La ragazza più sola.

di LatazzadiTea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chi scrive lettere su richiesta, andrà ovunque lo si richieda. ***
Capitolo 2: *** Salsedine e polvere da sparo. ***
Capitolo 3: *** Una lettera per Dietfried. ***
Capitolo 4: *** "Agli ordini, Capitano!". ***
Capitolo 5: *** Due importanti verità a confronto. ***
Capitolo 6: *** Lacrime: eterne lettere d'amore. ***
Capitolo 7: *** La tempesta - Prima parte. ***
Capitolo 8: *** La tempesta - Seconda parte. ***
Capitolo 9: *** Rivelazioni. ***
Capitolo 10: *** Di nuovo insieme. ***
Capitolo 11: *** Perdersi e ritrovarsi - Prima parte. ***
Capitolo 12: *** Perdersi e ritrovarsi - Seconda parte. ***
Capitolo 13: *** Fratelli. ***
Capitolo 14: *** Cosa resta del passato? ***
Capitolo 15: *** Addio, Maggiore Gilbert! ***
Capitolo 16: *** Sulla strada che ho deciso di percorrere. ***



Capitolo 1
*** Chi scrive lettere su richiesta, andrà ovunque lo si richieda. ***


 

Cap.1

Chi scrive lettere su richiesta, andrà ovunque lo si richieda.




"Cosa? Dietfried Bougainvillea mi ha richiesta come Bambola?", domandò stupita Violet.

"Sì, Violet, proprio lui...", le confermò stranito Claudia Hodgins.

Nella sala dove le Bambole di scrittura automatica battevano a macchina per i loro clienti scese il silenzio. Iris, Erika e Cattleya si guardarono esterrefatte, mentre Claudia osservava preoccupato l'enigmatica espressione di Violet dopo aver appreso la notizia. Erano passati quattro anni da quando la giovane aveva iniziato a lavorare presso la sua società come Bambola, e d'allora ne era passata di acqua sotto i ponti, pensò Hodgins. La piccola reduce che ricordava con tanta tenerezza non c'era più, al suo posto v'era una giovane donna adesso. Dopo tanta sofferenza Violet era riuscita a trasformarsi in una delle migliori Bambole di scrittura automatica che avesse mai conosciuto: la gente adorava le sue lettere. Era riuscita a comprendere i sentimenti umani proprio grazie a quelle persone, condividendo insieme alle loro vicissitudini anche le stesse emozioni. Ogni storia le aveva fatto provare una cosa diversa, insegnandole cosa fossero il rimpianto e la tristezza, o semplicemente la gioia, come quella ch'era facile trovare nello sguardo di un amico quando lo si incontrava per strada. Erano state tutte quelle emozioni a toccarle il cuore, facendole finalmente comprendere cosa fosse l'amore. Eppure, malgrado fosse cambiata, quell'inaspettata richiesta sembrava averla turbata al punto da farla precipitare nuovamente nel passato.

Dopo un primo istante di incredulità, infatti, lei aveva acconsentito.

Accettando quel lavoro senza la minima esitazione, Violet sembrava improvvisamente tornata indietro con gli anni. Sapeva perfettamente quanto incontrare quell'uomo la ferisse, eppure, non avrebbe mai disatteso al suo dovere. Claudia l'aveva vista scurirsi in volto per quello, mentre abbandonava le braccia artificiali lungo i fianchi come ad arrendersi. Dopo, tornò sull'attenti quasi subito, come fosse l'ennesimo ordine da rispettare.

"Naturalmente, sei sempre libera di rifiutare...", affermò pensieroso Hodgins.

"Nossignore! Comunichi al Capitano Bougainvillea che sono lieta di accettare. Sono mesi che non vado sulla tomba del Maggiore Gilbert: ne approfitterò per fargli visita lungo la strada...", aveva aggiunto invece lei, stringendo delicatamente fra le dita d'acciaio il suo unico tesoro.

La spilla color smeraldo donatale da Gilbert molti anni prima, aveva lo stesso riflesso amaro della sua perdita. Violet l'aveva guardata spesso in cerca dei suoi occhi, quasi sperasse ancora di vederli o ritrovarli in un ricordo. Pensandoci, anche Dietfried aveva gli occhi verdi, sebbene i suoi fossero meno gentili di quelli del fratello. Capiva solo ora quanto quell'uomo dovesse averla disprezzata sia da bambina che dopo: d'altronde, lei non aveva portato altro che morte nella sua vita. Era comprensibile che la odiasse, si disse Claudia. Ciò che l'ex soldato proprio non capiva, invece, era come gli fosse venuto in mente di chiamare proprio Violet fra le tante brave e talentuose bambole a sua disposizione.

"Bene, comunicherò la tua decisione al cliente entro sera... Ah, Violet, nel caso non dovessi ripensarci devi sapere che sarà lui a venire a prenderti. Resterai presso la sua abitazione per il tempo necessario, così non dovrai preoccuparti dell'alloggio..." , l'avvertì lui, decisamente seccato.

"Come preferisce... Quando devo partire?", volle sapere Violet prima di congedarsi.

"Domattina presto! La corazzata del capitano attraccherà al porto di Leiden all'alba, fa in modo di essere pronta per quell'ora... ", finì di dire Hodgins.

Violet si era poi allontanata, accennando un sorriso. Il più falso che avesse mai visto in vita sua, pensò Claudia, rivolgendo una fugace occhiatina d'intesa a Cattleya e alle altre. Quel losco individuo tramava qualcosa, lo sentiva.






Violet era rientrata di corsa nella sua camera: quella di sempre, la piccola e spoglia stanzetta che Hodgins le aveva permesso di occupare alla società postale senza farle pagare l'affitto. Si era seduta poi sul letto, perdendosi ad accarezzare l'intessitura di quelle lenzuola profumate e lavate di fresco, mentre la lieve brezza che spirava da sud portava con se il sapore del mare. In realtà, quella non era una vera partenza. Non si sarebbe dovuta imbarcare, né prendere il treno come quando doveva lasciare Leiden per raggiungere qualcuno. Riflettendoci, non avrebbe nemmeno dovuto lasciare la città dal momento che i Bougainvillea vivevano lì, sebbene la loro grande abitazione fosse completamente circondata dalla campagna. La ricordava vividamente quella casa, come altrettanto bene ne rimembrava la padrona. L'anziana madre di Gilbert - il suo adorato Maggiore - malgrado il suo dolore, un giorno l'aveva accolta. E non si era limitata solo a quello: dicendole che non l'aveva mai ritenuta responsabile della tragica scomparsa del figlio, l'aveva anche assolta.

Per Dietfried invece, seppur si fosse ammorbidito dopo l'incidente del treno, era diverso: era certa che l'uomo non l'avesse ancora perdonata. Anche se da quel giorno aveva effettivamente smesso di maltrattarla, l'intensità dell'odio che traspariva dal suo sguardo quando la guardava era ancora così forte dall'essere inequivocabile. Ed era proprio quello a confonderla, a renderle impossibile capire perché, pur potendo evitarlo, avesse comunque scelto di ingaggiarla. Cosa gli passava per la mente? Ma soprattutto, a chi mai poteva voler scrivere un uomo simile? A un vecchio compagno d'armi? Forse a un amico, o a una possibile amante? Ripensandoci, lei quella risposta forse già c'è l'aveva: Dietfried Bougainvillea era la persona più cinica e fredda che avesse mai incontrato, non avrebbe mai potuto aprire il suo cuore a nessuno, tanto meno a una come lei, arrivò a concludere.

Tuttavia, poco dopo arrossì, sopraffatta da mille dubbi e altrettante incertezze. Violet faticava ancora parecchio ad accettare se stessa: cercare di comprendere uno a uno tutti i nuovi sentimenti che provava, la metteva sempre davanti a un bivio. Si domandò cosa le avrebbe portato quella decisione, sebbene accettare, in quel momento le fosse parsa la cosa più facile. Era eccitata e spaventata al tempo stesso, ammise con se stessa. Oltre la paura c'era l'ansia di iniziare una nuova avventura e in tutta onestà, era curiosa. Voleva sapere cosa l'attendesse ancora fuori da quella porta, e non c'era occasione più giusta di quella per scoprirlo, si disse, sprofondando nel materasso e fra i cuscini in attesa di dormire.






Violet scese in anticipo, attratta dal profumo della colazione che Erika, Iris e Benedict avevano l'abitudine di preparare sempre al mattino. Sarebbe dovuta uscire presto, così s'affrettò a bere almeno una tazza di caffè prima di mettere piede fuori dalla porta; l'auto dell'uomo infatti non tardò, e nel silenzio più totale l'autista si premurò di caricare in macchina sia la sua valigia che l'ombrellino da sole. Dietfried Bougainvillea portava con sé lo stesso odore ferroso della sua nave da guerra, fu con quello spirito nel cuore che Violet gli sedette accanto senza emettere un suono.

"Vedo che abiti ancora qui: quell'avido sfruttatore di Claudia Hodgins non ti paga abbastanza?" , aveva infatti esordito Dietfried, odioso come sempre.

"Sono stata io a chiedergli di restare nell'edificio che ospita le poste, e la paga di bambola automatica di scrittura che mi viene corrisposta è del tutto in linea col mio contratto... Inoltre, l'ex Tenente Colonnello Hodgins, riscattò al mercato nero la spilla che mi regalò il Maggiore pagando di tasca sua, perciò, temo che quel termine non gli si addica affatto, signore...", replicò immediatamente lei, sentendo il cuore rimbalzarle nel petto.

"Quindi, stai risparmiando?", continuò lui senza neanche scomporsi.

"Esatto. Restituirò al Sig. Hodgins fino all'ultima monetina spesa, dopodiché, pur continuando a scrivere per la sua società, mi metterò in viaggio..." aggiunse con determinazione Violet.

"In viaggio? E per dove ragazzina?", volle stranamente sapere l'ufficiale di marina.

"Per Gardarik, Capitano.", lo informò lei, ricambiandone spavalda lo sguardo.

"Potresti trovare solo macerie laggiù, lo sai vero?", le aveva semplicemente ricordato l'uomo.

"Sì, ne sono perfettamente consapevole..." , assentì la giovane, rabbuiandosi in volto.

Come inizio non c'era male, si disse Violet, tornando a fissare pensierosa il panorama fuori dal suo finestrino. Che c'era di sbagliato in lei? Non sapeva cosa, ma ogni volta che vedeva quell'uomo qualcosa la induceva a cercarne in qualche modo l'approvazione. Non aveva parlato con nessuno del suo progetto di tornare al Nord in cerca di informazioni sul Maggiore, né con Cattleya - di cui si fidava ciecamente - né con Benedict o le altre sue compagne, Iris ed Erika. Visitare quel posto col Sig. Hodgins qualche anno prima purtroppo non l'aveva portata a niente, tutto quello che sapeva sul Maggiore era che il suo corpo era svanito nel nulla, lasciando dietro di sé solo una tomba vuota su cui piangere.

Dietfried non aveva aggiunto più nulla, chiudendo gli occhi e restandosene in silenzio quasi si fosse assopito. Non dovendone più sostenerne lo sguardo severo e contratto Violet aveva potuto finalmente guardarlo bene in faccia, finendo per fissarlo. Era stupefatta dalla grande somiglianza esistente col Maggiore: se non fosse stato per la pettinatura e il piccolo neo che il Capitano aveva accanto all'occhio sinistro, avrebbe potuto confonderli. Come potessero due persone tanto simili essere al contempo tanto diverse non sapeva spiegarselo: se in Gilbert aveva sempre trovato un alleato, in Dietfried non aveva visto altro che un nemico da sconfiggere.

"Sembri cresciuta, quanti anni hai adesso?", le domandò proprio lui, aprendo gli occhi improvvisamente.

"Dovrei averne diciotto... In effetti, essendo un'orfana, non ho modo di saperlo con certezza.", esitò a rispondere Violet, trasalendo.

"So' esattamente cosa sei, signorina Evergarden... Ad ogni modo, ci tenevo a informarti che il tuo vero cliente non sono io, ma mia madre, la Signora Bougainvillea... ", le aveva freddamente chiarito Dietfried.

Nonostante il filo di disprezzo con cui l'uomo aveva pronunciato quelle prime parole, la notizia che ne seguì la illuminò di una gioia immensa seppur la ragione di tanta segretezza le sfuggisse.

"Vostra madre? La madre del Maggiore ha chiesto di me? Non capisco, perché non dirlo subito? Non avrei mai rifiutato di lavorare per lei... ", ribatté infatti Violet.

"Onestamente? Mi sono fatto la stessa domanda... Comunque sia, farti credere che fosse stata una mia idea è opera sua: potrai chiarire l'equivoco direttamente con lei quando la vedrai, d'altronde, il mio unico compito era accompagnarti alla villa...", ammise Dietfried.

Violet si portò una mano al petto, sentendo il cuore nuovamente in subbuglio. Quella nuova intensa emozione le colorò di vermiglio le guance turgide e piene, facendone risplendere gli occhi già azzurrissimi.

"Se è così, allora la metterò al corrente, Signore! La prego solo di fermarsi presso un negozio di fiori o di dolciumi, non posso presentarmi a casa della Signora a mani vuote...", replicò lei.

"Non credo sia necessario, ragazzina. Non sei una mia sottoposta, e in più, la tua non è una visita di cortesia!", la murò Dietfried.

"Ci tengo a ricordarle che il mio lavorò consiste anche nell'interagire coi famigliari del cliente, per la riuscita di una buona lettera. Lavoro che, fra l'altro, inizierà solo quando comincerò a battere a macchina. Né prima, né dopo, Capitano Bougainvillea!", ci tenne a precisare Violet.

Era felice di non essersi fatta intimidire da quell'uomo tanto arrogante, tuttavia, nell'attesa di sentirlo recriminare Violet si preparò al peggio.

"Che sfacciataggine! Certo che ne hai di fegato... ", aveva invece finito per ridacchiare lui, distendendo finalmente i tratti nervosi e contratti del viso.

Era come se il mondo avesse preso a girare nel verso sbagliato, si disse Violet, osservandolo ridere di gusto per la prima volta in vita sua. Com'era possibile? Da quando Dietfried era capace di farlo?

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Capitolo 2
*** Salsedine e polvere da sparo. ***


Cap.2

Salsedine e polvere da sparo.




Il negozio di fronte al quale il Capitano Bougainvillea aveva deciso di fermarsi per accontentarla si chiamava "Bianche Note D'amore", strano nome per un negozio di fiori, stabilì Violet, immediatamente attratta dall'incredibile profumo che addolciva l'aria fuori le vetrate. Solo entrando si rese conto di quanto fosse grande e pieno di piante, ce n'erano infatti di tutti i tipi, notò la giovane: dalle più nobili e altezzose rose ai più umili fiori di campo, che dai colori vivaci declinavano al pastello. Violet infatti, preferiva questi ultimi, a cominciare dal tenero mazzetto di "Non ti scordar di me" che aveva notato fra le scaffalature esposte sulla strada.

"Sono tutti molto belli, non ho idea di cosa prenderle...", gli confessò indecisa.

"Mia madre ama il Lisianthus: una pianta che produce bellissimi fiori simili alle rose. Prendi quella blu, l'adorerà, vedrai!", le consigliò Dietfried.

Nel linguaggio dei fiori il Lisianthus blu voleva dire penitenza, di conseguenza, chi lo regalava era in cerca di perdono.

Violet ne ricordava fin troppo bene il significato, dato ch'era stato proprio il Sig. Hodgins a rivelarglielo la prima volta che avevano fatto visita alla tomba del Maggiore. Ora capiva chi li aveva piantati al cimitero. Non aveva più dubbi sul fatto che fosse stata la Signora Bougainvillea a farlo: era evidente che la madre di Gilbert pensasse ancora d'aver qualcosa da farsi perdonare, e a tal proposito, Violet si rattristò.

La cattiveria di quell'uomo era senza limiti, pensò Violet. Ogni occasione era buona per ferirla, persino la più innocente. Era certa che la madre del Maggiore non l'avesse mai colpevolizzata della morte del figlio; chi continuava a farlo invece, era lui.

"Bene, allora acquisterò un Lisianthus...", accettò di fare lei, comprando anche un piccolo mazzo di "Non ti scordar di me" da lasciare sulla lapide di Gilbert sulla via del ritorno.


                                                                                         


A casa Bougainvillea non andò meglio; dopo quello scherzo di cattivo gusto lei non gli aveva più parlato, facendo inevitabilmente tornare a crescere la tensione fra i due. Così, sperando di non doverlo rivedere, Violet si congedò in fretta. Cosa che Dietfried le impedì categoricamente di fare, costringendola a seguirlo fino al suo studio personale. Bastarono un paio di rampe di scale per raggiungerlo, scoprendo subito che dalle finestre si godeva della vista mozzafiato di un lago e uno splendido giardino.

"Quando incontrerò la signora?", chiese con trepidazione Violet.

"Fra poco...", tagliò corto lui, porgendole un plico di documenti presi direttamente dal cassetto della propria scrivania.

"Cosa sono?", domandò infatti lei, molto stupita.

"Fotografie, documenti e coordinate, anch'io sono in cerca di informazioni su Gilbert...", le confessò di getto Dietfried.

"Informazioni, ha detto? E di che tipo?", s'agitò la ragazza.

"Qualunque possa spiegarmi perché il suo corpo non fu trovato accanto al tuo, Violet. Fino a prova contraria i morti non camminano da soli, giusto?", aggiunse lui con convinzione.

Violet aveva iniziato a tremare come se un vento gelido le avesse appena toccato le ossa. Era così? Dietfried credeva davvero che il fratello fosse ancora vivo? Ma se non morto come tutti dicevano, dove si trovava? Che n'era stato di lui? Ora che conosceva il significato della parola "Ti Amo", c'era una sola cosa che Violet voleva sapere dal Maggiore e cioè cosa invece, avesse significato per lui. Era pienamente consapevole del suo affetto sincero, ma si trattava veramente dello stesso sentimento che legava un uomo a una donna? Oppure, quel ti amo era lo stesso che Gilbert avrebbe potuto dire a una figlia o una sorella? Era stata il suo cagnolino da guardia per così tanto tempo che non avrebbe proprio saputo dirlo.

"Certo che non camminano da soli...", ripeté infatti lei, sentendosi improvvisamente mancare la terra sotto i piedi.

Quando sentì le gambe cedere, Violet s'aggrappò istintivamente a Dietfried, avvertendo un intenso sentore di salsedine e polvere da sparo inondarle le narici. Fu come annegare nell'oceano: ne aveva i capelli impregnati, così come gli abiti e la pelle. Quell'uomo così insopportabilmente arrogante, per sostenerla aveva finito per stringerla a sé, avvolgendola come se si trovasse fra le stesse braccia forti del mare.

"Vieni, siediti un momento ragazzina, ti prendo qualcosa da bere.", esordì lui, adagiandola sull'unica poltrona che arredava la piccola stanza.

"Sono desolata, Capitano!", si scusò allibita Violet, sprofondando in un estremo imbarazzo.

Fino ad allora, l'unico ad averla stretta a quel modo era stato il Maggiore. Aveva ben chiaro quel tepore: al contrario del fratello, Gilbert era sempre stato profondamente tenero e rassicurante con lei. Come aveva potuto cercare l'aiuto di quella persona e appoggiarsi ad essa? Si rimproverò lei, quasi l'avesse tradito. Dietfried dal canto suo, si era passato nervosamente una mano fra i capelli corvini. Sudava come se qualcuno gli avesse stretto il cuore in una morsa, senza capire cosa avessero condiviso in quel momento. L'unica spiegazione possibile era che al pensiero che Gilbert fosse ancora vivo, Violet non avesse retto, soccombendo a quel turbinio di emozioni che aveva investito entrambi.

Un leggero bussare li fece sobbalzare entrambi: dall'altra parte, una dolce voce famigliare chiedeva sia di lui che di Violet.

"Siete qui, dunque! Violet mia cara, quanto tempo...", l'abbracciò la donna senza aggiungere altro.

"Madame Bougainvillea: che piacere rivederla!", ricambiò con sincerità la giovane, facendo un breve inchino.

"Vieni, ti ho fatto preparare del Tè al gelsomino e dei biscotti al burro, abbiamo così tanto da dirci noi due. Non è così?", asserì con gioia la madre di Gilbert.

"Veramente io, ecco, vorrei iniziare subito con la stesura della lettera, Madame." obbiettò Violet.

"Certo ragazza mia, ma dopo pranzo... Ora seguimi, ti mostro la stanza!" finì di dire la donna, rivolgendo un'occhiataccia sfuggente al primogenito.

Quando Violet fece altrettanto cercando nuovamente i suoi occhi, Dietfried corrugò la fronte: ora che la madre l'aveva praticamente rapita, sarebbe stato difficile parlarle ancora di Gilbert. Così, poco prima di vederla scomparire dietro quella porta per tutto il pomeriggio, anziché ignorarla, l'ufficiale le accennò un sorriso. Fu a quel punto che Violet si sentì sprofondare. Non era abituata alla sua gentilezza, erano sempre stati la rabbia e il disprezzo a governare fra loro, tanto da farle pensare che alla base di quel repentino e inusuale cambiamento ci fosse ben altro.



                                                                                    


Violet riuscì a scacciare quei pensieri cupi solo entrando nella camera che la Signora Bougainvillea le aveva assegnato, in vista di quel breve soggiorno. Era davvero grande e ricca di arredi, ma a riempirne gli spazi c'era un enorme letto a baldacchino così adorno da romantici tendaggi, dal rubar decisamente la scena a tutto il resto. Solo dopo essersi riempita gli occhi di tanta bellezza, la giovane notò finalmente la sua valigia. Il piccolo bagaglio a mano contenente un cambio di vestiti e la sua macchina da scrivere era stato attentamente posizionato sullo scrittoio, mentre il suo ombrellino da sole era stato accuratamente lasciato accanto alla porta. Fu davvero un breve assaggio di ciò che l'aspettava in quella casa, perché Violet si ritrovò a seguirne la padrona fino in giardino, sotto una magnifica pergola di glicini non ancora del tutto sbocciata.

Non aveva mai condiviso tanta intimità con qualcuno, nemmeno in quei quattro anni alla società postale, benché avesse imparato ad amare quel luogo e le persone che ci lavoravano. Così, alla vista di quel tavolo deliziosamente imbandito alla giovane mancò un battito. Violet riuscì a rilassarsi veramente solo dopo essersi accomodata, mentre il sapore del tè al Gelsomino le solleticava i sensi e il palato. Quando poi l'anziana madre di Gilbert le sedette di fronte, intenta ad osservarla bere e mangiare, posò la tazza di porcellana nel piattino aspettando che uno dei camerieri la servisse.

"Tutto qui? Mangi ancora come un uccellino, piccola mia! ", le fece notare la Signora Bougainvillea.

Avrebbe voluto risponderle onestamente, ma tacque. Avrebbe dovuto dirle che in guerra ai soldati veniva insegnata la disciplina, cosa che nonostante gli anni non aveva mai scordato. E non solo, Violet avrebbe dovuto spiegarle quanto fosse stata abituata a patire la fame, la stanchezza e il freddo quando era nell'esercito, ma evitò di farlo, limitandosi ad annuire.

"Madame, posso chiederle a chi intende scrivere...", esordì dopo Violet.

"Certo bambina, le lettere sono indirizzate a entrambi i miei figli, cara. A Dietfried e Gilbert!", le annunciò la donna.

A quelle parole il mondo intorno a Violet iniziò a vorticare: non era pronta a soffrire ancora, non di nuovo. Aveva già aiutato altri genitori a esprimere i propri sentimenti ai figli, ma per quanto magnifica, quell'esperienza era sempre stata devastante. Esperienza che avrebbe dovuto ripetere con la madre del suo amatissimo Maggiore, aggiungendo dolore ad altro dolore.

"Madame, le chiedo perdono ma, non credo di essere la persona giusta per questo lavoro...", cercò di rifiutare Violet in preda all'angoscia.

"Immaginavo che sarebbe stato difficile per te, ma vedi mia cara, ho sempre preferito pentirmi di qualcosa piuttosto che rimpiangerla... ", ammise saggiamente la donna.

Nessuno lo sapeva, ma Madame Bougainvillea stava morendo. Era serena mentre ne parlava, come si trattasse di una seccatura o una faccenda del tutto irrilevante; la vita era effettivamente un viaggio, aveva detto la donna mentre lei l'ascoltava. Un viaggio che un giorno, nel bene o nel male sarebbe comunque dovuto finire. Violet non era riuscita a trattenere le lacrime, supplicando la Signora di perdonarla per aver anche solo pensato di rifiutarsi di aiutarla.

"Accetto di iniziare allora, ma dal Capitano Dietfried, per favore..." la pregò di fare Violet.



                                                                                       


Dietfried Bougainvillea osservava la scena dall'alto, attraverso la finestra che dal suo studio dava sul giardino. Non poteva udire la conversazione, ma lo strano mutamento che aveva visto avvenire nella giovane mentre parlava con sua madre lo preoccupava. Violet pareva turbata, ma d'altronde poteva capirla: tornare in quella casa per lei, non doveva essere facile. Ce l'aveva portata subito dopo i fatti del treno, avvenuti circa tre anni prima, quando l'aveva vista rischiare coraggiosamente la vita per lui e gli altri passeggeri incurante del pericolo. In quel frangente, mentre tentava disperatamente di sventare un attentato dinamitardo da parte dell'ex impero Gardarik, Violet non aveva mai pensato a se stessa. Anche se non era mai stato tenero con lei, quel giorno aveva finalmente capito il suo errore. La ragazza su quel treno non era più lo strumento di morte che aveva conosciuto: grazie all'amore di suo fratello Gilbert, quella bimba senza sentimenti s'era trasformata in una giovane donna dall'animo dolce e gentile.

Ed era su questo che Dietfried contava, sulla certezza che Violet lo avrebbe aiutato a trovare Gilbert. Aveva bisogno di farlo, se non altro per prenderlo a pugni e chiedergli come avesse potuto mentire a tutte le persone che lo avevano amato e ancora lo amavano, Violet compresa. L'idea che fosse veramente morto in quel bombardamento era inaccettabile, quanto lo fosse comprendere cosa avesse spinto il fratello a rinunciare alla sua vita per il bene di quella ragazzina. Avrebbe potuto aiutare Violet anche tornando, si era detto, a meno che non fosse stato spinto a sparire per via di qualcosa di estraneo alla sua volontà. Sbuffò, versandosi qualcosa di forte da bere malgrado fosse ancora presto per ubriacarsi. Quella strana ragazza aveva il potere di emozionarlo come un bambino, aveva dovuto ammettere l'ufficiale, allentando il colletto della giubba militare con i gradi della marina. L'ennesima cosa che non riusciva a spiegarsi, pensò Dietfried, lasciandosi cadere sull'unica grande poltrona che arredava la stanza. C'era infatti, un altro mistero da svelare, e cioè cosa avesse spinto una donna acculturata come la madre a rivolgersi a una Bambola di scrittura automatica per intrattenere una corrispondenza con qualcuno. Non avrebbe avuto nessuna di ragione di farlo, a meno che anche lei non gli stesse omettendo qualcosa.

Perché Violet era lì? E cosa voleva veramente sua madre da lei?




 

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Capitolo 3
*** Una lettera per Dietfried. ***


Cap.3

Una lettera per Dietfried.



Le agili dita della giovane Bambola di scrittura automatica si fermarono nel preciso momento in cui la Signora Buogainvillea smise di parlare, lasciando nell'aria di quel luminoso pomeriggio nient'altro che il silenzio. Violet provò un improvviso senso di vuoto nello staccarsi della macchina da scrivere, come se il ritmare metallico dei tasti si fosse accordato, man mano che scriveva, con ogni singolo battito del suo cuore. Sarebbe stato impossibile spiegare come si sentisse alla fine di quella lettera; lettera che in realtà, non aveva fatto altro che trascrivere parola per parola su un foglio. Dare consigli e indicazioni alla Signora non era stato necessario dal momento che quella madre sapeva esattamente cosa volesse dire al figlio.

I sentimenti che la Signora aveva espresso a Dietfried le ricordarono moltissimo le parole del Maggiore, facendola riflettere sul profondo significato della vita e l'ineluttabilità del destino: lo stesso che gli aveva strappato via le braccia e l'unico amore della sua vita. Non era riuscita a salvare Gilbert, come non poteva impedire alla Signora Bougainvillea di morire, malgrado volesse vivere. A pensarci, era normale che la donna fosse preoccupata per Dietfried visto che dopo la sua scomparsa sarebbe rimasto completamente solo. Violet provò compassione per lui, la solitudine era stata una triste compagna per entrambi. Sapeva che tipo di sofferenza provocasse : nessuno la conosceva quanto lei, soprattutto da quando aveva perso il suo Maggiore. Grazie a quella lettera inoltre, Violet aveva avuto modo di apprezzare una parte importante di Dietfried, diversa da quella che aveva sempre conosciuto. Un figlio tanto affezionato non poteva non avere un buon cuore, dedusse Violet, soffermandosi sulle ultime parole pronunciate dalla Signora Bougainvillea in quella toccante missiva.

In quell'ultima frase la madre gli chiedeva di vivere, pregandolo d'amare per essere riamato. Le stesse parole pronunciate dal Maggiore alla fine di quella fatidica battaglia, ricordò la ragazza. Gilbert non le aveva solo chiesto di vivere, l'aveva supplicata di farlo affinché fosse completamente libera di amare. Quel "Ti amo" detto in punto di morte, qualunque valenza avesse avuto per lui, altro non era che la più grande dichiarazione d'amore di un essere umano a un altro, poiché sin dal primo istante Gilbert aveva visto una persona in lei, non un'arma.

"Come pensa di recapitarla?", chiese spontaneamente Violet.

"Spedendola, naturalmente! Lo farai per me, quando tornerai alla società postale? Vedi, quella testa calda di mio figlio resterà in licenza solo un paio di settimane, e non voglio turbarlo. Lo capisci, vero?", le domandò la donna.

"Non crede che il Capitano apprezzerebbe di più riceverla dalle sue mani viste le circostanze?", si permise di obbiettare lei con le lacrime agli occhi.

"Dietfried non è un uomo facile, cara. Dopo la morte del padre ha dovuto crescere in fretta per prendere in mano le redini di questa famiglia, mettendo da parte la propria felicità e i propri sentimenti. Il tempo e la guerra poi, hanno fatto il resto, indurendo il suo cuore. Sai Violet, non l'ho visto piangere per il fratello nemmeno al suo funerale: darei qualsiasi cosa per vedere quelle lacrime..." le confessò la Signora.

Violet si sentì profondamente in colpa verso la donna: Dietfried non riusciva a piangere per Gilbert semplicemente perché non credeva che fosse morto in quella battaglia. Ma doveva tacere. Se avessero scoperto che era sano e salvo avrebbero dato nuova linfa vitale a tutti, in caso contrario, la delusione sarebbe stata così terribile da sopportare da portare altra sofferenza nei loro cuori. Per quei motivi non poteva dirlo a nessuno, tanto meno alla madre, che non voleva sperasse inutilmente. Dietfried era disposto anche a questo, a costo di farle pensare di essere la persona peggiore della terra. Violet posò nuovamente lo sguardo su quella lettera, la risposta a tutti i suoi dubbi si trovava proprio davanti a lei. Principalmente ora, che ne conosceva la risolutezza e la bontà d'animo, avrebbe seguito Dietfried fino all'inferno pur di ritrovare il Maggiore. Certa come non mai di potersi finalmente fidare di lui.






Dietfried riaprì gli occhi che era già metà pomeriggio: si era preso una brutta sbronza la sera precedente, rifletté, sostenendosi il capo dolorante con le mani. Non aveva voglia di alzarsi, eppure doveva. Non godeva della compagnia della madre da oltre sei mesi, e viste le sue condizioni di salute era ora di farlo. Si appressò alla finestra per tirare le tende e impedire alla luce di inondare la stanza: odiava le tipiche giornate assolate dei primi di Maggio, da qualche anno il caldo si era fatto più inteso e difficile da sopportare. Quel pensiero lo mandò indietro negli anni, ai bei tempi giovanili, quando il clima era ancora fresco e la primavera tardava sempre ad arrivare. Non che fosse poi così invecchiato si disse, aggiustandosi un lungo ciuffo ribelle cadutogli sul volto, dopotutto, aveva appena trent'anni, pensò, scendendo finalmente in giardino in cerca di Violet.

Si sarebbe scolato un'intera caraffa di caffè prima di metterla al corrente delle sue scoperte, nel frattempo avrebbe potuto riordinare i pensieri e decidere da dove iniziare a cercare Gilbert in base alle informazioni che già aveva.

"La signorina Evergarden è ancora con mia madre? ", domandò Dietfried a uno dei domestici.

"No Signore, la signorina è andata al lago...", rispose prontamente il cameriere, apprestandosi a liberare il tavolo sontuosamente apparecchiato per la merenda.

"Capisco, allora la raggiungerò lì... Dite a mia madre che chiederò alla signorina di farci compagnia per cena stasera, si premuri di avvertire la cuoca per tempo!", si raccomandò l'ufficiale.

Il lago... Non c'era luogo migliore per godersi la magnifica vista della Villa e la natura circostante. Erano anni che non gustava la calma di quel meraviglioso panorama, che trovò improvvisamente ancor più bello e suggestivo grazie alla ragazza che ne impreziosiva lo sfondo come la malinconica protagonista di un dipinto. Intenta com'era ad ammirare quello scintillio, Violet non doveva averlo sentito arrivare e quasi gli dispiacque doverla distrarre dai suoi misteriosi pensieri. Ammirandola ancora un po' da lontano infatti, Dietfried evitò di farlo, finendo per notare un aspetto di lei a cui non aveva mai dato importanza prima. La giovane indossava sempre lo stesso vestito, quasi si trattasse di una sorta di uniforme militare per Bambole di scrittura automatica. Doveva essere decisamente opprimente per una ragazza di quell'età arrivò a concludere , soprattutto in una giornata calda e soleggiata come quella. Ora che non era più un soldato Violet avrebbe potuto scegliere qualcosa di più adeguato alla sua femminilità, come un abito di seta rosa ad esempio. Se il blu le donava, il rosa l'avrebbe senz'altro valorizzata, pensò l'uomo, sospirando al pensiero di dover intavolare con lei l'ennesima spiacevole conversazione riguardo a Gilbert.

"É proprio una bella giornata, non trova Capitano?", esordì lei, non appena l'avvicinò.

"Sì, davvero bellissima...", le rispose Dietfried.

"Riguardo a quell'argomento, Signore, pensavo che discuterne lontano dalla vostra abitazione sarebbe stato più sicuro... Mi parli delle informazioni che ha ottenuto per favore. Ha detto di avere delle coordinate, giusto?", andò dritta al punto la ragazza.

"Esattamente!", assentì lui.

Le coordinate in possesso dell'uomo indicavano un centro di detenzione per prigionieri di guerra poco oltre il confine dell'impero Gardarik: era pacifico che il nemico avesse catturato molti dei loro durante il conflitto, ciò che non sapevano ancora era che fine avessero fatto tutti quegli uomini dopo la guerra. La teoria di Dietfried era plausibile; malgrado i due paesi avessero siglato da anni un risolutivo trattato di pace, era possibile che in quei campi si trovassero ancora prigionieri molti soldati di Leidenschaflit, Gilbert compreso.

"Il Generale Gardarik che ordinò il bombardamento della base nemica in cui ci trovavamo io e il Maggiore, era lo stesso dell'attentato del treno, vero?", chiese conferma Violet.

"Proprio così, quell'uomo non ha mai digerito la sconfitta...", aggiunse Dietfried, ricambiando quello sguardo limpido e sincero.

"Pensa veramente che il Maggiore sia scampato al crollo? Ma se andò così, perché i Gardarik avrebbero dovuto prendere solo lui e non me, a che scopo?", si tormentò lei.

Ancora una volta Violet si sentì mancare: si era quasi abituata all'idea di dover vivere senza di lui, ma così era troppo. Cosa doveva pensare? Gilbert era vivo e si trovava ancora nelle mani del nemico?

"Per vendicarsi, forse? La perdita del loro quartier generale fu' una disfatta insopportabile per Gardarik, al punto che per impedirci di conquistarlo decisero di farlo saltare... Potrebbero aver ispezionato quel luogo subito dopo il cedimento in cerca di documenti o superstiti, catturando lui credendoti morta...", asserì Dietfried, cambiando però sia tono che espressione.

"Lo dice come se ne avesse l'assoluta certezza: ma è solo una teoria, giusto?", replicò Violet.

"Sì, non ho prove. Ciò nonostante, non ho nessuna intenzione di arrendermi! Per questo motivo ho bisogno di te, Violet... Mi aiuterai a scoprire cosa accadde veramente a Gilbert, vero?", le domandò l'uomo, afferrandola d'improvviso per le spalle.

Violet si sentì sopraffatta da quel gesto, e la risposta tardò ad arrivare. Il vento s'alzò, le acque quiete del lago iniziarono a incresparsi e le alte fronde degli alberi a vibrare. Quando le leggiadre brezze si fecero più forti, trasformandosi in violente folate che investirono entrambi, una finì per strapparle via l'ombrello. Fu' allora che Violet vide Dietfried lasciarla per rincorrerlo d'istinto, gettandosi dal pontile per afferrarlo al volo prima che l'aria lo portasse via per sempre. E poi lo guardò ancora, incredula, sprofondare fino al collo in quella limpidezza per poi uscirne completamente fradicio col suo amato parasole in mano. Dietfried aveva salvato il suo prezioso ombrellino dal vento e dall'acqua, impedendogli di rovinarsi a discapito delle conseguenze, ritrovando in quel gesto l'uomo generoso e altruista descritto dalla Signora Bougainvillea nella lettera a lui dedicata. Il Dietfried Bougainvillea che aveva conosciuto in passato era stato l'uomo più freddo, egoista e calcolatore che avesse mai avuto la sfortuna d'incontrare, ma ora c'era una persona diversa davanti a lei. Poteva apparire borioso e arrogante alla maggior parte delle persone che lo conoscevano, e sapeva dove e come colpire col suo acuto e pungente sarcasmo, ma in lui c'era molto più di quello, e Violet riusciva a vederlo. Dietfried restava il soldato che aveva dato undici anni della sua vita alla patria e alla Marina oltre che il figlio devoto, quello che avrebbe dato e fatto qualsiasi cosa per proteggere la madre e il fratello minore: anche umiliarsi e chiedere il suo aiuto. Violet sapeva benissimo quanto l'avesse detestata in passato, tuttavia, in quel momento di smarrimento cercò ugualmente rifugio fra le sue braccia. Perché anche un cuore spezzato in due era in grado di battere ancora, si disse, stringendosi volontariamente a lui.

"Sì, certo! Farei qualsiasi cosa cosa per riportarlo a casa! Non ho altro desiderio che quello di rivederlo...", gli confessò lei singhiozzando, nascondendo imbarazzata il viso nel suo petto.

"Lo so' ragazzina, ma adesso lasciami: mia madre mi ammazzerà se ti prendi un malanno...", aveva cercato di sdrammatizzare Dietfried, allontanandola da sé di scatto.

Sconcertata Violet aveva finito per ubbidire, temendo di averlo offeso o turbato in qualche modo. C'era stato qualcosa di forzatamente garbato nel modo in cui l'aveva trattata dopo quell'inatteso contatto fisico; possibile che il Capitano non stesse veramente comprendendo il senso reale degli slanci d'affetto che aveva per lui?

Una volta tornati, Violet aveva continuato a provare quella strana sensazione per tutta la durata della serata passata con lui e la Signora. Anche la madre sembrava aver percepito una certa tensione fra loro, al punto da congedarsi con una scusa lasciandoli completamente soli nel patio. Avrebbe voluto chiarire con Dietfried prima di tornare nella propria stanza, ma non riuscì ad emettere un suono quando lui si ritirò nel suo studio salutandola appena. Durante il tragitto di ritorno dal lago lei e il Capitano si erano accordati, decidendo di partire insieme per Gardarik subito dopo la fine del suo incarico alla villa. Prima però, sarebbe dovuta tornare alla società postale per giustificarsi col Sig. Hodgins, sempre che un misterioso cliente non fosse spuntato dal nulla richiedendola come Bambola di scrittura automatica proprio da quelle parti.

Non era una sciocca: Hodgins non avrebbe mai approvato quel viaggio visto che viveva nella convinzione che Gilbert fosse morto in combattimento. Aveva imparato a fidarsi di lui sin dal giorno in cui aveva recuperato al mercato nero la sua spilla, e l'ultima cosa che voleva era deluderlo. Non avrebbe nemmeno mai voluto mentirgli, sebbene il cuore continuasse a dirle di correre in cerca del Maggiore pur rischiando di non trovarlo. Violet posò lo sguardo sul prezioso smeraldo che baciava ogni sera prima di addormentarsi, provando una stretta al cuore al pensiero del Capitano Bougainvillea. Negarlo era inutile, quell'insolita amicizia cresceva troppo in fretta per non avere conseguenze sulle loro vite, bastava pensare a tutte le volte che si erano sfiorati anche solo con lo sguardo per capirlo.


 

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Capitolo 4
*** "Agli ordini, Capitano!". ***


 

Cap.4

"Agli ordini, Capitano!"




Claudia Hodgins starnutì più volte, inconsapevole del fatto che qualcuno in quel momento stesse chiedendo proprio di lui. Stava male da giorni: sapere Violet in compagnia di quella carogna di Dietfried Bougainvillea non lo faceva dormire la notte. Per fortuna sarebbe tornata presto si era detto entrando nel suo ufficio ogni mattina, solo così avrebbe potuto ricominciare a vivere serenamente.

"Sono le undici! Ti sembra questa l'ora di arrivare?", lo ammonì severamente Cattleya.

"Ecco, io, credo di essermi addormentato tardi...", balbettò Hodgins, cercando inutilmente di giustificarsi.

"Può darsi, ad ogni modo ti consiglio di sbrigarti ad andare nel tuo ufficio: hai visite!", replicò bruscamente la giovane fidanzata.

"Già, si certo, dimenticavo che oggi è quel giorno del mese...", ricordò Hodgins all'improvviso.

"Mi spiace molto amore, ma l'uomo che ti sta' aspettando dietro quella porta non è esattamente chi pensi...", lo mise in guardia Cattleya.

Bastò l'aria impensierita della donna a fargli capire subito chi fosse, c'era una sola persona al mondo in grado di rovinargli completamente la giornata: Dietfried.

"Te la prendi sempre tanto comoda eh, piccolo Hodgins?", lo punzecchiò infatti l'altro, con un tono più irritante del solito.

"Capitano Bougainvillea, è sempre un piacere! Come posso aiutarla?", esordì invece Claudia, sforzandosi di non cedere a quell'ennesima e inutile provocazione.

"Sono venuto a dirti che la signorina Evergarden ha fatto un ottimo lavoro per me, e dato che ho ancora bisogno di lei, si tratterrà alla Villa per un'altra settimana... Quello è il suo compenso!", andò dritto al punto Dietfried.

Hodgins gettò uno sguardo malevolo sulla busta piena di denaro che Dietfried gli aveva sgarbatamente gettato sul tavolo, cercando di capire dove avesse veramente intenzione di arrivare. Poi, restando calmo, contò l'importo del contenuto.

"È il triplo di quello pattuito, e comunque avresti potuto consegnare quel denaro direttamente a Violet. Non c'era nessun bisogno di disturbarti a venire!", precisò Claudia sbuffando.

Hodgin notò che Dietfried era più inquieto del solito. Era alterato e si vedeva, sebbene la ragione al momento gli sfuggisse.

"Non avrebbe mai accettato un compenso così alto, lo sai! Pretendo per quella ragazza un aumento di paga, Hodgins. E ovviamente, se tu non sarai in grado, sarò io ad aggiungerlo mensilmente al suo stipendio...", rispose Dietfried.

"Già, e naturalmente non vuoi che lo sappia, vero?", indovinò Hodgins.

"Vero! Sta risparmiando denaro per un viaggio, ne eri al corrente?", gli chiese l'ufficiale.

"Certamente, è lodevole che anche tu voglia aiutarla...", ammise Claudia.

"Sarà un vizio di famiglia...", rispose Dietfried riferendosi a Gilbert.

Hodgins intuì qualcosa di sottinteso in quelle parole attentamente soppesate: era una frecciatina bella e buona quella, pensò Claudia, iniziando a sudare.

"Sì, Gilbert è stato molto generoso con Violet prima di morire... Sarebbe fiero di lei, se la vedesse adesso...", aggiunse Hodgins.

"E l'ha vista? Voglio dire, l'avrà fatto qualche volta visto che ha passato gli ultimi tre mesi proprio qui, a Leiden...", replicò Dietfried sul punto di esplodere.

Fu' così che l'uomo mise fine a quella sgradevole conversazione, gettandogli in faccia l'inconfutabile prova del suo errore: credere di poterlo ingannare per sempre. Il grosso plico che Dietfried gli aveva gettato con cattiveria sulla scrivania conteneva numerose fotografie che lo ritraevano in compagnia di un uomo che sembrava essere Gilbert. C'erano due sole cose a differenziarlo da lui, la postura sofferente e una benda nera, che il misterioso personaggio delle foto indossava sul volto per nascondere l'occhio destro. Hodgins e quel giovane si erano incontrati molto spesso in quegli ultimi mesi; era ovvio che Dietfried non avesse desistito, facendolo spiare dai suoi uomini sin dal giorno in cui Violet aveva messo piede in quel posto.

"Mi hai fatto pedinare? Cosa sei, una specie di maniaco?", reagì malamente Hodgins.

"Mi spiace piccolo, ma non sei esattamente il mio tipo... Se questo è il gioco a cui tu e mio fratello volete farmi giocare, allora giocherò! Perciò, digli di sbrigarsi a tornare o sarò a io prendermi Violet!", sibilò Dietfried fra i denti.

L'ex soldato non si era mai pentito di aver appoggiato Gilbert nel suo progetto di aiutare Violet a ritrovare il suo cuore e i suoi sentimenti, ciò nonostante, provò comunque una pena infinita per lui. Dietfried si era rivelato una persona spregevole in passato, d'altronde, se il fratello aveva deciso di escluderlo così radicalmente dalla sua vita una ragione c'era.

"Non è mai stato un gioco, Dietfried... Puoi odiare me e Gilbert per averti mentito così orribilmente ma, lascia fuori Violet, ti prego!", lo supplicò Claudia.

"Lo farò, certo... ma voglio la verità, e la voglio adesso!", pretese Dietfried.

"È vero, Gilbert era ancora vivo quando lo trovai, sebbene in gravissime condizioni...", confessò Hodgins visto che non poteva più nasconderlo.  





Una volta tornato a casa Dietfried colpì con pugno la propria scrivania, sfogando su di essa tutta la rabbia e la frustrazione che in quel momento provava per Hodgins. Malgrado fosse stato difficile estorcergli la verità, ora sapeva con certezza che la persona delle foto era davvero suo fratello, cosa di cui non era mai stato completamente sicuro. Era bastato sapere che Gilbert fosse vivo per riempirgli il cuore di gioia, anche se il desiderio di saperne di più l'aveva costretto a restare incollato a quella sedia pronto ad ascoltare il resto della storia. Era stato così che Hodgins gli aveva chiarito cosa fosse veramente successo quella notte: lui era davvero sopravvissuto alla battaglia, perdendo però sia un braccio che l'uso dell'occhio destro. Claudia gli aveva anche spiegato come Gilbert si fosse risvegliato dal coma due settimane prima di Violet, maturando quella decisione solo ed esclusivamente per il suo bene. Dinnanzi a tutta quella sofferenza, doveva essersi convinto che farle credere di essere morto l'avrebbe finalmente liberata dall'impegno preso con lui e con l'esercito. Perché solo sparendo l'avrebbe aiutata a tagliare definitivamente i ponti col suo passato, anche se in quel modo avrebbe condannato entrambi a un destino di solitudine e dolore.

Ora che era finalmente in grado di comprendere i sentimenti di Gilbert c'era una sola cosa che gli avrebbe rimproverato: aver mentito così spudoratamente, soprattutto alla madre.






"Capitano! Capitano Bougainvillea, è sveglio? Posso entrare?", lo chiamò più volte Violet.

"Certo, entra pure!" , la invitò Dietfried, risvegliandosi di colpo da un sonno agitato e profondo.

"Capitano, si sente bene? È tutto sudato!", esclamò lei, precipitandosi ad aiutarlo.

"Dove sono?", domandò confuso.

"Nel suo studio, Signore!", gli ricordò Violet, cercando di asciugargli la fronte.

"Che ci fai qui? Non saresti dovuta venire...", reagì malamente Dietfried, colto da un profondo imbarazzo per via della sua vicinanza.

"La volevo avvertire che la cena è pronta, Madame Bougainvillea mi ha chiesto di venirla a chiamare, così...", si spiegò lei, allontanandosi di un passo.

"E perché mai? Non sei una dannata domestica!", sbottò ancora l'altro.

"Lo so...", replicò tristemente Violet, impensierendosi.

"Esci! Vattene subito da qui, hai capito?", rimbrottò Dietfried, vistosamente contrariato.

"Agli ordini Capitano!", ubbidì lei, portando rigidamente la mano destra alla fronte.

Dietfried trovò il saluto militare di Violet perfetto, malgrado la circostanze non lo richiedessero affatto. Magari, aveva cercato di minimizzare prendendosi giustamente gioco di lui e del suo brutto carattere, pensò lui, rilassando i lati contratti della bocca in un'improvviso e spontaneo sorriso. Violet cercava semplicemente di essere gentile, sopportando i suoi repentini e disastrosi sbalzi d'umore al solo scopo di compiacerlo, mentre lui - insopportabile e scontroso come al solito - era stato pessimo.

"Ti prego Violet, perdonami! È solo che, che io...", si arrese in fine Dietfried, vergognandosi di quell'atteggiamento così stupido e infantile.

"L'ho forse offesa, Capitano? Se è così me lo dica, la prego!", lo scongiurò di fare Violet confusa.

"No ragazzina, tu non hai fatto niente di sbagliato, credimi...", la rassicurò Dietfried.

Nonostante sembrasse essersi calmata, l'uomo capì solo guardandola che Violet era ancora scossa da qualcosa. Non era facile intuirne i pensieri, le donne avevano sempre rappresentato un mistero insolubile per lui, sebbene fosse chiaro che stesse succedendo un che di strano tra loro. Non era stato semplice ammettere con se stesso di essersi sentito turbato da quegli abbracci, così come dal suo profumo dolce e delicato. Un uomo d'onore avrebbe mantenuto le distanze solo per quello, pensò, oltre che per l'affetto che sapeva legarla ancora a suo fratello.

Dietfried non aveva mai capito di che genere di attaccamento si trattasse, se fosse solo l'inizio di una tenera amicizia o di una vera e propria storia d'amore. Non sapeva nemmeno cosa Gilbert avesse potuto vedere in lei visto che all'epoca Violet era poco più che una bambina, ciò di cui era sicuro invece, era che una volta scoperto il suo inganno Violet l'avrebbe odiato di nuovo. Era perfettamente consapevole che l'essersi servito di lei per arrivare al fratello avrebbe decretato la sua fine ai suoi occhi. Dopotutto, ingannarla facendo leva sui sentimenti che nutriva per Gilbert era stato facile quanto convincerla che la storia del campo di detenzione Gardarik fosse vera. In un modo o nell'altro, Violet l'aveva veramente condotto a lui, anche se avrebbe dovuto fare i conti col proprio cuore oltre che con la propria coscienza. Dietfried rabbrividì di fronte a quella pericolosa verità: si stava facendo degli scrupoli perché provava qualcosa per lei, ormai era palese. Doveva mettere fine a quella follia, Violet era troppo inesperta e vulnerabile per essere corteggiata da un uomo come lui, malgrado il piano iniziale prevedesse anche quello. Non sarebbe andato oltre, si disse, finendo per togliersi la cravatta e allentare i bottoni del colletto della camicia che sentiva stringergli la gola come il cappio al collo di un condannato.

"Non scenderà a farci compagnia, dunque...", sospirò lei alla fine.

"No: puoi giustificami con mia madre? Dille che stasera cenerò nel mio studio, per favore...", la pregò Dietfried.

"Certo, ma si ricordi che ho bisogno di lei, perciò si riguardi...", aveva finito per rispondergli Violet, esitando a lasciarlo.

Come se gli avesse letto nel pensiero lei gli aveva afferrato le mani attirandolo a sé. Dietfried era rimasto immobile, con gli occhi spalancati di fronte a quel cenno, non osando nemmeno respirare mentre Violet si alzava sulle punte dei piedi per poterlo affettuosamente baciare al lato della bocca. Solo incontrandoli da così vicino notò quanto il blu dei suoi occhi fosse intenso e sincero, stringendola fra le braccia in un gesto appassionato e possessivo. La desiderava, era evidente, ma non provò a baciarla: la rispettava troppo per spingersi al di la di quel confine invalicabile. 






Una volta oltrepassata la soglia della sua stanza, Violet si portò una mano al petto, riuscendo a percepire il battito impazzito del suo cuore attraverso la pelle. Quello sguardo di smeraldo era troppo simile a quello del Maggiore per lasciarla indifferente: quelle ciglia folte e nere erano troppo lunghe per appartenere a un uomo, riusciva soltanto a pensare. Era soggiogata dalla sua presenza, e il cuore le doleva. Dietfried le provocava un tumulto di emozioni meravigliose e al contempo angoscianti, così difficili da decifrare, tanto da toglierle il respiro. Aveva sempre profondamente amato Gilbert, eppure, sembrava esserle bastato poco per dubitarne. Soprattutto ora che l'immagine di Dietfried iniziava a confondersi con la sua, tanto da farle temere di poterne dimenticare i tratti del volto o il suono della voce per quanto fossero simili a quelli dell'altro. Violet cominciò a pensare che quella semplice somiglianza non fosse sufficiente a spiegare ciò che provavano quando stavano insieme.

Cercando di scacciare quel pensiero terrificante dalla mente, la ragazza fece ricorso a tutta la sua determinazione per non soccombere al desiderio di tornare in quella stanza a baciarlo ed abbracciarlo ancora. Era stata un soldato in passato, e lo sarebbe stata ancora. Nella vita di uno strumento non c'era spazio per l'amore, si convinse Violet, almeno fino a quando non avesse vinto anche quell'ennesima e dura battaglia.



 

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Capitolo 5
*** Due importanti verità a confronto. ***


Cap.5

Due importanti verità a confronto.


Dietfried cenò da solo nello studio, con lo sguardo incendiato dal fuoco scoppiettante del camino. Per fortuna la stanza era piccola e si scaldava in fretta, pensò, stentando a mandare giù un altro boccone. Niente a che vedere con la fredda e umida cabina della sua nave quand'era per mare si disse, posando l'attizzatoio. Poco dopo imprecò per la frustrazione, tutta quella faccenda lo stava facendo impazzire: aveva passato anni a cercare una prova tangibile della morte di Gilbert e ora, semplicemente spiando Hodgins, in pochi mesi aveva scoperto un intero mondo di bugie e sotterfugi degni di un vero e proprio romanzo giallo.

Dopo quello che aveva saputo dai suoi sottoposti, Dietfried si era fatto un'idea più precisa sulle ragioni che avevano spinto il fratello a mentire, ma per esserne certo doveva trovarlo. La sua paura più grande era che avesse ricevuto un altro incarico dall'esercito dopo la battaglia alla cattedrale Gardarik, e questo perché malgrado la schiacciante vittoria ottenuta quel giorno, le sorti della guerra non erano ancora state decise. C'era ancora da combattere, vista la moltitudine di fazioni di ribelli e rivoluzionari che tramavano nell'ombra, e l'attacco al treno n'era stata la prova. Se Gilbert avesse accettato di scendere nuovamente in campo senza porre condizioni, Violet sarebbe stata costretta a seguirlo, cosa che non era successa.

Aveva ceduto se stesso in cambio della libertà della ragazza? Era plausibile, ma a quel punto Gilbert poteva essere ovunque. Se era come pensava, era stato certamente promosso e trasferito altrove, probabilmente per consentirgli di guarire nell'attesa di fare la sua parte, assicurando al governo la firma di quel trattato di pace. Le possibilità erano così tante che ognuna di quelle elencate avrebbe avuto senso per lui. Il problema era un altro: come avrebbe reagito Violet di fronte alla verità. Avrebbe sofferto ancora di più o avrebbe compreso? Magari entrambe le cose, si disse Dietfried, fissando ancora le fiamme. Era stanco di pensare e rivangare il passato: col suo ritorno, Gilbert avrebbe messo fine a ogni suo dubbio.

Con quella consapevolezza nel cuore e la spossatezza che da un po' lo attanagliava, Dietfried s'appoggiò allo schienale della poltrona dimenticando completamente la cena. Violet... Erano ore che cercava di togliersela dalla testa, ma quel bacio così dolce e pieno d'affetto continuava a tormentarlo. Bevve un generoso bicchiere di vino per stordirsi e smettere di pensarci, felice di potersi finalmente appisolare. La piccola tremolante fiammella che si era accesa fra loro rischiava di divampare e trasformarsi in un rogo, o meglio, in un inferno, si disse prima di addormentarsi.





Il fumo che usciva da comignolo della piccolo cottage sulla spiaggia, indicava chiaramente che il padrone era in casa. Hodgins emise un sospiro di sollievo, aveva fatto due giorni di viaggio per raggiungere quel luogo dimenticato da dio in mezzo al nulla, e non aveva nessuna voglia di rimanere all'aperto. Non ebbe però nessun bisogno di bussare alla porta, Gilbert lo aveva accolto sull'uscio con una espressione decisamente preoccupata in volto.

"Che significa questa lettera?", gli chiese l'amico, visibilmente sconvolto.

"Fammi entrare dai, hai del caffè?", lo fermò subito Hodgins, salendo le scale del piccolo basamento esterno altrettanto di malumore.

"Sì, scusami...", rispose Gilbert facendolo entrare.

"Volevo che fossi preparato Gilbert, per questo l'ho inviata... Dietfried sa tutto!", lo informò Claudia, sedendosi esausto al tavolo della piccola cucina.

"E Violet?", domandò in ansia l'altro.

"Non è al corrente di nulla, tranquillo! Ha promesso di non metterla in mezzo anche se si trova alla Villa con lui... Ha detto di dirti di sbrigarti a tornare, o se la prenderà lui... Credi che fosse serio? Per me gli ha dato solo di volta il cervello!", affermò Hodgins, bevendo avidamente un'abbondante tazza di caffè nero fumante.

"Mio fratello, ha veramente detto questo?", replicò Gilbert incredulo.

"Già! Caro amico mio, hai un rivale in amore, urrà! Festeggiamo?", ironizzò tristemente Claudia.

"Violet alla villa con lui, eh? Mi sta proprio mettendo alle strette, vedo... Sa dove sono?", volle sapere Gilbert.

"No, ma è solo questione di tempo. Tuo fratello è peggio di un segugio... Che intendi fare con lui, lo incontrerai?", gli chiese spassionatamente Hodgin, con un'espressione decisamente tirata sul viso.

"Certo, ho molta voglia di riabbracciarlo. Come sta? Era arrabbiato?", chiese premurosamente Gilbert.

"Arrabbiato? Bellicoso, direi! Ma sì, nonostante tutto penso stesse bene!", scherzò Claudia, impallidendo solo all'idea di averci di nuovo a che fare.

"È sempre stato una testa calda: non si smentisce mai! Cosa sta facendo Violet a casa nostra, lo sai?", lo interrogò ancora Gilbert.

"Scrive lettere per lui, credo... ", rispose titubante Hodgins.

"Credi? Va' da Dietfried, Claudia! Digli dove sono e che voglio vederlo... In quanto a Violet, quando avrà finito alla Villa mandala pure da me!", aggiunse Gilbert.

Hodgins annuì, sollevato. Sapere che quel momento fosse finalmente arrivato lo rendeva felice. In particolare, era ansioso di mettere fine a quella spinosa faccenda quanto lo era di iniziare a vivere una nuova vita senza quel fardello sulle spalle. Dopotutto, quel segreto taciuto così a lungo aveva finito per logorarli tutti, sopratutto lui e Cattleya, che malgrado non fosse mai stata d'accordo sul mentire a Violet alla fine era stata costretta ad appoggiarlo lo stesso. Avevano imparato a voler bene a quella ragazza, e questo, malgrado il suo terribile passato. In fin dei conti, Violet lo meritava visto che aveva sempre avuto un buon cuore. Poteva dire con certezza che tutti alla società postale tenessero a lei, del resto si erano sempre considerati una grande famiglia allargata, pensò Claudia, salutando l'amico sulla via del ritorno. L'unica cosa che temeva era la sua reazione: Violet aveva sofferto talmente tanto per la morte di Gilbert che sapere la verità sui motivi che l'avevano spinto a lasciarla, l'avrebbero potuta sconvolgere. Era stata ingannata da tutti, e per ben quattro anni, anche se a fin di bene. Come avrebbe reagito di fronte a una realtà così crudele? Come avrebbero rimediato? Hodgins sbuffò, facendo un ultimo cenno di saluto a Gilbert, che ormai lo osservava da lontano. Nonostante tutto doveva sbrigarsi, o avrebbe perso sia il traghetto che il treno.





Violet si sistemò il vestito sedendosi al tavolo della veranda, pronta a scrivere la seconda lettera che l'era stata commissionata dalla Signora Bougainvillea, quella per Gilbert. Anche in quel caso non avrebbe dovuto far altro che ascoltare attentamente le parole della donna e riportarle fedelmente sulla carta, né più né meno di quello. Era stato lo stesso per quella destinata a Dietfried, dove la Signora aveva ampiamente dimostrato di non aver bisogno di consigli su come esprimere i propri sentimenti al figlio. Una madre sapeva cosa dire perché l'aveva già scritto nel cuore, e lei lo sapeva. Nel richiederla come Bambola di scrittura automatica la Signora Bougainvillea aveva semplicemente voluto condividere con lei le proprie emozioni, rendendola partecipe del suo dolore e dei suoi rimpianti, come avrebbe fatto con un qualsiasi altro familiare. Ciò che lei e Gilbert avevano vissuto insieme, l'aveva indissolubilmente legata a lui e alla sua famiglia per sempre.

Chissà cosa avrebbe scoperto quel pomeriggio, si domandò, preparandosi a battere quella lettera a macchina col cuore a mille. Lo conosceva abbastanza da sapere che era stato una brava persona, ma a parte quello, di Gilbert non sapeva niente. Che uomo era stato il Maggiore prima di conoscerla? Che genere di figlio o di fratello? Era già stato innamorato o quel "Ti amo" era il primo che avesse mai pronunciato? Violet esitò, tremando. Gilbert se n'era andato senza rivelarle nulla di sé. Ciò che avrebbero dovuto e potuto sapere l'uno dell'altra s'era annullato proprio quella sera, spazzato via da quella pioggia di bombe, sangue e lacrime.

"È tutto a posto, cara? Vuoi aspettare ancora un po', prima di iniziare?", le chiese con apprensione la Signora Bougainvillea.

"No, è solo che: il Capitano non è sceso a colazione, così mi chiedevo se stesse bene...", esordì imbarazzata Violet.

Dietfried... A dispetto di tutti i suoi buoni propositi non aveva fatto altro che pensarci, arrivando addirittura a sognarlo quella notte. Riflettendoci, non lo vedeva dalla sera precedente, notò la giovane, volgendo speranzosa lo sguardo verso la finestra del suo studio. Il Capitano Bougainvillea non era certo un campione di simpatia, tuttavia, l'alterato stato umorale non ne spiegava affatto il pallore. Quando lo aveva abbracciato e baciato sulla guancia Violet ne aveva avvertito il bruciante calore, quasi fosse febbricitante mentre la stringeva. Dietfried era accaldato, ansante e sudato oltre il consentito per essere perfettamente in salute, pensò la ragazza. E come spesso accadeva, quando si sentiva turbata da qualcosa, Violet si portò una mano al petto.

"Beh, non sarebbe la prima volta che si attarda nel suo studio. Anche se in effetti, saltare due pasti di seguito non è proprio da lui.", assentì la donna.

"Due pasti? Credevo avesse cenato nello studio...", replicò confusa.

I timori di Violet si rivelarono fondati, Dietfried aveva passato la notte in bianco finendo per perdere conoscenza a causa di una febbre altissima. Nemmeno il dottore era stato in grado di fare una diagnosi certa, si sarebbe potuto trattare di qualsiasi cosa, anche di Scarlattina, e di conseguenza andava assistito. Violet guardò la Signora, in piedi accanto al letto del figlio. Aveva un'espressione crucciata e pensierosa anche se al contempo tenera e premurosa: poteva solo immaginare come si dovesse sentire non avendo la minima idea di cosa lo affliggesse.

"Penserò io al Capitano! Resterò con lui e farò tutto il possibile! Per favore dottore, mi dia istruzioni...", si propose Violet con sorpresa di tutti.

"Non è compito tuo, bambina mia... Penserò io a mio figlio!", la redarguì dolcemente la donna.

"Mi perdoni Madame, ma alla sua età preferirei che si astenesse dal correre certi rischi... La signorina è giovane capace e forte, sono certo che se la caverà più che egregiamente!", intervenne il dottore, dandole man forte.

Distogliendo l'attenzione dalla donna - che non avrebbe mai voluto contraddire - Violet posò lo sguardo zaffireo sull'uomo, ringraziandolo con un breve cenno del capo. Quel medico sembrava conoscere bene la famiglia, ma soprattutto, doveva essere al corrente dello stato di salute della donna per sconsigliarle la fatica di dover assistere il figlio in quel delicato frangente. Dietfried sembrava davvero sofferente; era stato molto male quella notte, e lo odore acido del vomito lo dimostrava. Era la prima volta che assisteva un malato, ma abituata com'era a eseguire ordini, seguire le poche preziose indicazioni del dottore non sarebbe dovuto essere un problema per lei.

"È molto gentile da parte tua: mi raccomando, lo lascio nelle tue mani, cara...", la ringraziò la Signora, esprimendole con un lieve sorriso tutta la sua gratitudine.

"Non la deluderò Madame, conti pure su di me!", la rassicurò Violet.

Quando la Signora e due dei servitori della casa uscirono dalla stanza, prima di andarsene il dottore affidò a Violet il compito più importante: abbassargli la temperatura. Doveva rinfrescarlo e dissetarlo di frequente, cucchiaio d'acqua dopo cucchiaio, per impedire allo stomaco di ribellarsi e al corpo bollente di disidratarsi mentre era incosciente. Sarebbe stato un lungo pomeriggio quello, si disse, ponendo con cura una pezza bagnata sulla fronte dell'ufficiale. Solo quando si allontanò dal letto sfiorandogli involontariamente una mano con la sua, sentì Dietfried afferrarla. Non era lucido, e probabilmente delirava mentre la chiamava battendo i denti con le labbra che gli tremavano, come se ne avesse avvertito la presenza. Fu a quel punto che la giovane ebbe la sensazione di star ancora lottando, anche se questa volta non c'era solo un nemico da sconfiggere ma anche un uomo da salvare. Preoccupandosi, Violet si domandò se Dietfried non si fosse ridotto in quello stato a causa delle notti insonni passate a cercare Gilbert. Ad ogni modo, qualunque fosse la causa, quella febbre sembrava divorarlo. L'intero mondo di Violet si contrasse, riducendosi a loro due chiusi in una stanza; ne sarebbe uscita certo, ma solo dopo averlo aiutato a vivere.





Gilbert percorse a piedi un lungo tratto di spiaggia, mentre incurante del freddo, del buio e della nebbia che si levava dal mare pensava a Violet. Lasciarla in quell'ospedale sola e ferita era la cosa più difficile che avesse mai dovuto fare benché non ne fosse pentito. Ricordava vividamente ciò che aveva patito durante quella battaglia: se non fosse stato per lui e la sua decisione di trascinarla con sé in quell'incubo che era la guerra, Violet non avrebbe perduto le braccia. Aveva biasimato Dietfriet per il suo cinismo quando lui aveva fatto di peggio: se suo fratello aveva creduto di agire per il bene del suo paese - anteponendo i suoi assurdi ideali al proprio cuore - lui era stato un ipocrita. Non aveva mai approvato i suoi metodi, ma nemmeno esitato a servirsi di lei come un'arma. Violet era la persona più sola che avesse mai conosciuto, per questo andava protetta. Invece, accecato dalla propria arroganza, Dietfried l'aveva presa e strappata alla sua terra, pagando quella scelta disumana con la vita dei suoi uomini. Così, comprendendo solo troppo tardi la gravità di quell'errore, al fratello non era rimasto altro che sbarazzarsene. Ma era solo questione di tempo, un giorno anche lui l'avrebbe lasciata, tanto valeva confidare in una persona come Hodgins per farlo. In quegli anni lui e Claudia avevano parlato spesso del suo progetto di rifarsi una vita lontano dall'esercito: era stato quello a fargli maturare l'idea di scomparire e affidargli Violet.

Aveva perso un occhio e un braccio in quello scontro, tuttavia lo Stato gli chiedeva ancora un altro sacrificio: trovare e distruggere chi ancora minacciava la pace, divenendo un fantasma agli occhi del mondo. Gilbert aveva passato due interi anni a cercare quelle persone, riuscendo nel suo intento solo dopo il terzo. Per questo farsi credere morto era stata la cosa più giusta da fare, sebbene perdere i propri famigliari e la persona che amava fosse stato devastante. La verità era che per quanto lo desiderasse, Gilbert temeva di tornare. Non era stato semplice ammettere che la cosa di cui aveva più paura, era proprio quell'incontro. Il senso di colpa che provava nei confronti di Violet non se n'era mai andato, e non solo perché decidendo di occuparsene l'aveva quasi uccisa. Confessandole il suo amore l'aveva incatenata a sé e a quel ricordo per sempre, costringendola a vivere nel rimpianto di un sentimento mai sbocciato. L'avrebbe mai perdonato per questo? Gilbert si voltò, rivolgendo un ultimo sguardo al piccolo e accogliente cottage che per quattro anni era stata la sua casa. Quella flebile e rassicurante luce nel buio, presto si sarebbe spenta, e lui sarebbe tornato senza sapere che ne sarebbe stato della sua vita senza lei accanto.


 

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Capitolo 6
*** Lacrime: eterne lettere d'amore. ***


Cap.6

Lacrime: eterne lettere d'amore.




Violet aveva vegliato Dietfried un giorno e una notte prima di vederlo riprendersi alle luci dell'alba successiva, chiaro segno che le cose stessero finalmente migliorando. Lei e il dottore avevano fatto i turni per salvarlo, dormendo e mangiando a intermittenza fra una crisi e l'altra, quando la febbre lasciava il passo ai tremori e ai brividi di freddo, e loro dovevano sostituire l'acqua fresca con il brodo appena intiepidito per dissetarlo.

"Grazie...", fu la prima cosa che Violet gli sentì dire, dopo averle affettuosamente preso la mano nella sua.

La stretta era meno vigorosa del solito, notò Violet, non vergognandosi affatto di restituirla con gesto del tutto naturale ai suoi occhi. Dietfried non era riuscito ad aggiungere altro, e nemmeno serviva che lo facesse visto che la sincerità dei suoi sentimenti traspariva fin troppo chiaramente dal suo sguardo. Cosa che, senza sapere il perché, le strappò un sorriso. Era felice di non saperlo più in pericolo, perdendosi nel fondo di quei meravigliosi smeraldi che lentamente riprendevano vita illuminandosi.

Gli stessi occhi del Maggiore, si soffermò ancora una volta a pensare Violet, intristendosi d'improvviso.

Aveva progettato di partire per il campo di prigionia Gardarik proprio insieme all'uomo, ma dopo quell'imprevista situazione, sarebbe dovuta andare da sola. Non poteva più aspettare: era necessario sapere se la pista che stavano seguendo fosse o meno attendibile, per continuare le ricerche altrove. D'altronde, era stato proprio Dietfried a darle quella speranza e non si sarebbe arresa, si ripromise di fare Violet. Dopo tutto, avrebbe fatto qualsiasi cosa per riavere il Maggiore nella sua vita, malgrado il pensiero di lasciare Dietfried proprio in quel momento la facesse soffrire. Quel dolore inaspettato le salì fino in gola, spingendola letteralmente a fuggire dalla stanza per evitare che qualcuno se ne accorgesse.

Precipitandosi fuori dalla camera da letto di Dietfried sotto lo sguardo allibito del dottore, Violet si sforzò di ricacciare indietro l'inspiegabile emozione che da giorni le impediva di respirare. Ora le era chiaro: ciò che sentiva per lui non aveva nulla a che vedere con l'affetto che da sempre nutriva per Gilbert.

"Tutto a posto, signorina?", si preoccupò di chiederle il dottore, seguendola fino alle scale.

"Certo, Signore! È solo che dev'essermi finito qualcosa nell'occhio: dite pure al Capitano Bougainvillea che sarò subito di ritorno... ", si scusò goffamente Violet, celando inutilmente l'imbarazzo.

Scoppiare in lacrime l'avrebbe di certo tradita, così, cercando una via di fuga Violet si precipitò correndo nella propria camera, attirando l'inevitabile attenzione della Signora Bougainvillea.

"Va tutto bene, cara? Posso entrare?", chiese la donna da dietro la porta.

"Prego!", rispose Violet, affrettandosi a rinfrescarsi per nascondere il viso arrossato dal pianto.

Come intuendone lo stato d'animo, la Signora l'aveva premurosamente raggiunta, sedendole accanto sul letto. La madre di Gilbert era rassicurante e protettiva quanto lui, sentiva, respirandone l'odore particolare e dolciastro. Quel profumo le ricordò improvvisamente quello del Lisianthus, la pianta fiorita che Dietfried le aveva consigliato di omaggiarle prima che arrivasse in quella casa. Era possibile che la Signora l'avesse già interrata nel suo splendido giardino, pensò, invidiando quella pianta che avrebbe messo radici in luogo, lo stesso in cui anche lei avrebbe tanto voluto restare.

"Devi essere molto stanca, cara... Vuoi che chieda al dottore di fare a meno di te, per oggi?", esordì con preoccupazione la Signora Bougainvillea.

"Ma il Capitano ha ancora bisogno di cure...", replicò Violet improvvisamente in preda all'ansia.

"Dietfried non è più un bambino, se la caverà benissimo anche senza le tue continue attenzioni...", cercò di sdrammatizzare la donna, cambiando decisamente sia tono che espressione.

"Non è necessario, e comunque non riuscirei a dormire... Mi preoccuperei per lui, e non vederlo peggiorerebbe la situazione!", confessò ingenuamente la giovane.

"Come vuoi, ma domani scriveremo la nostra ultima lettera... Pensi di farcela anche così? ", la spiazzò l'anziana, alludendo all'evidente stato di prostrazione in cui versava dopo quella lunga notte.

"Certamente! Sarò sempre perfettamente in grado di assolvere al mio dovere, Signora!", le assicurò Violet, scattando istintivamente sull'attenti come un bravo soldatino.

"Bene, torna pure da lui adesso...", la congedò la donna, affrettandosi a lasciarla sola.

Avvilita, la ragazza si scostò una ciocca arruffata di capelli biondi dalla fronte: le parole della Signora avevano tutta l'aria di un ultimatum, pensò Violet. Era sempre troppo onesta e cristallina per riuscire a ingannare qualcuno: l'anziana si era certamente accorta di qualcosa, altrimenti non avrebbe mai cercato di allontanarla a quel modo dal figlio. Nonostante la vergogna, Violet era perfettamente cosciente che la donna non desiderasse altro che proteggerla visti i suoi trascorsi con Gilbert. Era più che normale che disapprovasse il suo coinvolgimento emotivo con Dietfried: era confusa su ciò che provava per lui, e quella vicinanza, di certo non l'aiutava. Avrebbe dovuto smettere di intromettersi nelle loro vite una volta per tutte, e allontanarsi da quella casa il prima possibile se voleva sopravvivere ai sussulti del suo cuore.

Cosa più facile a dirsi che a farsi, visto che non desiderava altro che tornare in quella stanza per stargli vicino.




Una volta arrivato alla stazione di Leiden, Claudia Hodgins scese dal treno attraversando di corsa uno sbuffo di vapore da cui riemerse senza cappello. Quattro giorni di viaggio erano decisamente troppi per uno abituato al silenzio quanto lo era lui, soprattutto in considerazione di come li aveva passati: nel vagone passeggeri di terza classe, notoriamente affollato di famiglie con padri assenti e madri isteriche, con plotoni di marmocchi urlanti e appiccicaticci al seguito. Così, una volta lasciatosi tutto alle spalle, Hodgins poté finalmente concentrarsi su una delle questioni che più gli stavano a cuore in quel momento, dire a Violet di Gilbert anche se c'era ancora un ostacolo fra loro.

Benché sembrasse cambiato, Dietfried restava pur sempre un'incognita. Anche fosse stato sincero riguardo a Violet, dicendo che non l'avrebbe mai coinvolta se Gilbert si fosse palesato, da bravo manipolatore qual'era sempre stato poteva ancora mentire. Ora che sapeva che il fratello era vivo, volendo una spiegazione non si sarebbe fermato. Ovviamente, il caro buon vecchio Capitano, non aveva la minima idea di quanto fosse sempre stato difficile per lui averci a che fare. Perciò, anche se sembrava non mentire, concluse Hodgins, doveva ugualmente sbrigarsi a parlare con Violet. Decidendo che sarebbe andato a riprenderla di persona se non avesse avuto sue notizie, e questo malgrado l'idea di incontrare di nuovo Dietfried, non gli piacesse affatto.





"Cos'è questo?", chiese disgustato Dietfried.

"Brodo di pollo e verdure!", gli annunciò Violet, prendendo il cucchiaio dalla ciotola colma di zuppa.

"Ancora? Non sono più un poppante! Avevo specificatamente chiesto alla cuoca carne e uova...", protestò l'ufficiale.

"Certo, se solo riusciste a mandar giù qualcosa di solido senza rimettere, ma non è così!", lo rimproverò la ragazza in un tono quasi militaresco.

Violet ghignò divertita, imboccandolo come avrebbe fatto con un poppante che faceva i capricci. Un'immagine del tutto irriverente e contrastante con l'aspetto virile e mascolino che il Capitano Bougainvillea aveva sempre avuto, sebbene fosse ancora febbricitante e del tutto esausto Dietfried restava l'uomo più forte e robusto che avesse mai incontrato. Era davvero una persona diversa da quella che aveva conosciuto molti anni prima, ora ne aveva la completa certezza. Con il nuovo Dietfried poteva conversare sentendosi del tutto a suo agio, esattamente come lo era stata molti anni prima col Maggiore, benché il loro rapporto si fosse limitato a quello esistente fra un subordinato e il suo superiore. La connessione che c'era fra loro andava ben oltre il travagliato passato che li accomunava, e lo percepirono entrambi.

"Che c'è? Perché hai quell'espressione triste?", volle infatti sapere Dietfried.

"È solo che domani dovrò lasciare la Villa, e non vorrei.", confessò la ragazza, realmente dispiaciuta.

"Mia madre ti ha chiesto di finire il lavoro, per caso?", indovinò l'uomo.

"Sì, ed è giusto ma, così... io...", balbettò Violet arrossendo.

"Così cosa?", insistette Dietfried.

"Non potrò più occuparmi di lei, Capitano...", riconobbe lei, rabbuiandosi in volto.

Sapeva cosa avrebbe dovuto risponderle, ma le parole non uscirono. Così, una volta appoggiatosi allo schienale del letto per potersi avvicinare di più a lei, a Dietfried bastò allungare un braccio per poterla toccare. Osservandola, l'uomo le sfiorò con la mano il volto pallido, arrivando a farsi scivolare una ciocca dorata fra le dita come fosse la cosa più normale e spontanea da fare in quel momento. Avrebbe dovuto consolarla e rassicurarla in qualche modo, ma l'unica cosa che riuscì a fare fu continuare ad accarezzarla con lo sguardo. Indugiando sul collo dalla pelle diafana e le forme aggraziate e perfette nascoste sotto i vestiti, Dietfried si sentì nuovamente rapire da quella fresca e delicata bellezza. Anche se ciò che più ammirava di lei, dovette ammettere l'uomo, non era certo l'aspetto fisico.

Violet era indubbiamente una bella ragazza, ma ciò che apprezzava più di tutto oltre il suo carattere, era il fatto che fosse una brava persona. Talmente genuina e buona da eclissare da quel punto di vista qualsiasi altra donna avesse mai incontrato, aveva concluso. Ed era proprio quello il punto, se Gilbert l'amava, l'amava per questo, e il fatto di essere attratto da lei allo stesso modo di certo non lo assolveva. In pochi giorni era scattato qualcosa di incomprensibile e totalmente sbagliato fra loro, qualcosa che doveva stroncare sul nascere visto che il fratello era vivo e stava tornando. Anche se probabilmente si stava innamorando, non sarebbe stato lui a impedire a quei due di stare insieme come meritavano. Doveva lasciarla andare, o avrebbe ferito entrambi, cosa che non poteva permettersi di fare se voleva essere perdonato.

"Sono felice di averti avuta tutta per me in questi giorni, ma mia madre ha ragione, sei qui per lei, non per me...", le rispose Dietfried con gli occhi lucidi.

"Quindi, se non potrò aiutarla a guarire, mi manderà a Gardarik da sola?", lo interrogò Violet, cambiando totalmente discorso.

"No, dato che la partenza è annullata. Mi dispiace Violet, ma la pista che avevamo si è rivelata falsa, purtroppo... Perdonami se a causa della febbre non sono riuscito a dirtelo prima... ", le mentì spudoratamente lui.

Per la millesima volta, Violet si sentì sprofondare, al punto da pensare che quell'ennesima delusione questa volta l'avrebbe uccisa. Si era nuovamente aggrappata a una vana speranza? Cedere alla disperazione sarebbe stato facile se non fosse stato per Dietfried, anche se rifugiarsi in quell'abbraccio caldo ed accogliente ogni volta che ne aveva bisogno poteva sembrare sbagliato. Era la sola ancora di salvezza che le restasse, l'unico appiglio a cui aggrapparsi per non arrendersi e affogare. Non poteva dimenticare Gilbert: avrebbe popolato i suoi sogni per sempre, anche illudendosi che un giorno il tempo l'avrebbe aiutata a sopportarne la mancanza. L'avrebbe cercato tutta la vita e non ci avrebbe mai rinunciato, seppur sentisse il bisogno di fuggire da quell'ulteriore pugnalata al petto. Era stata proprio quella bugia - quella che si era voluta raccontare per potersi svegliare ogni mattina senza di lui - a portarla fin lì. A insegnarle che la privazione poteva ferire qualcuno al punto da provocargli nella carne una vera e propria sofferenza fisica; sofferenza che avrebbe dovuto colmare se voleva sopravvivere. Come se il semplice fatto di averlo semplicemente pensato avesse materializzato d'un tratto ogni suo più intimo timore, Violet desiderò baciarlo. Se Gilbert era stato un punto fermo nella sua vita, Dietfried l'aveva destabilizzata come un terremoto capace di distruggere tutto.

"Violet, ascoltami... ", provò inutilmente a dire l'uomo prima di essere interrotto.

"Non posso, non ci riesco, non più...", replicò infatti lei, posando le labbra sulle sue.

"Dannazione!", bisbigliò alla fine Dietfried, incapace di respingerla.

Era totalmente e irrimediabilmente perduto: anche se l'avesse divorata, non avrebbe potuto saziarsi di lei. L'egoistico bisogno che aveva di quella ragazza aveva prevalso nell'esatto momento in cui lei aveva inclinato il capo per accoglierne la lingua avida. Non era possibile che Violet stesse facendo una cosa simile, era tutto completamente insensato e folle, continuava a ripetersi mentre la sentiva sciogliersi sopra di lui. Dietfried la scostò per riprendere fiato, sollevandole il mento con le dita per guardarla meglio negli occhi, che in quell'istante erano di un azzurro chiarissimo. Occhi splendidi, constatò fissandola. Troppo innocenti per appartenere a chi pensava di sapere cosa fosse meglio per se stesso, pensò l'ufficiale, asciugandone con le labbra le ciglia bagnate dal pianto. Dov'erano finiti tutti i suoi buoni propositi? Che fine avevano fatto il buon senso e la ragionevolezza che da sempre lo guidavano? Era folle pensare che Violet stesse veramente desiderando lui e non Gilbert, nel suo immaginario? Era possibile. Com'era probabile che non fosse così e quell'ingenua ragazzina nemmeno capisse cosa stesse facendo, si convinse Dietfried, ricambiando il secondo bacio che si scambiarono con estrema dolcezza.

Era davvero ciò che voleva? Certo che sì, benché si domandasse chi dei due stesse realmente mentendo al proprio cuore in quel momento. Chi aveva il coltello dalla parte del manico? Avere potere su qualcuno lo aveva sempre affascinato, peccato che al comando ci fosse lei adesso. Anche in quell'istante, mentre si concedeva alla sua bocca come si sarebbe concessa una distrazione, per lei non sarebbe stato altro che quello. Ciò che accadeva fra loro c'entrava con l'amore quanto lui, che non aveva mai veramente amato nessuno oltre se stesso e la propria famiglia, dovette ammettere Dietfried. Anche se in fondo, chi meglio di lui poteva capirla? Non era forse per quello che si era gettato anima e corpo nel lavoro e nell'alcol? Per dimenticare e soffocare un dolore, altrimenti insopportabile?

Per la prima volta dopo anni, Dietfried riuscì finalmente a piangere, annegando il suo cuore in acque così scure e profonde da non sapere più come fare a riemergere o respirare ancora. Non era stato in grado di rinunciare a lei, e questo pur sapendo che Violet s'aggrappava a lui come un moribondo si aggrappava all'ultima boccata d'aria che gli restava. Non gli faceva certo onore, tuttavia, le diede esattamente ciò che voleva. Incapace di dirle che l'alito di vita a cui tanto anelava, probabilmente la stava aspettando proprio fuori da quella porta.


 

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Capitolo 7
*** La tempesta - Prima parte. ***


Cap.7

La tempesta.


Più tardi, Violet non fu in grado di spiegarsi cosa fosse accaduto e in che ordine, l'unica cosa di cui aveva la certezza era il battito accelerato del suo cuore nel petto. Non aveva mai baciato un uomo, ma non era turbata. Ne tanto meno pentita, malgrado avesse osato farlo solo in preda alla disperazione del momento. Aveva promesso a se stessa di non cedere mai a quel bisogno, ma aveva perso. La cosa positiva era stata capire cosa avesse iniziato a provare veramente per lui, sebbene l'arcano da svelare ora fosse un altro. Avere pietà di qualcuno era una valida ragione per baciare una persona a quel modo, si domandò la ragazza, portandosi come d'abitudine la preziosa spilla di smeraldo alle labbra.

L'aveva davvero compatita, dispiacendosi per lei e la sua situazione? O c'era di più? Qualsiasi cosa fosse si disse Violet, era un problema per entrambi, visto che si erano lasciati senza dirsi una parola quand'era fuggita senza dargli spiegazioni. Non riusciva a pensare ad altro che al suo sguardo sofferente così pieno di domande, domande a cui non avrebbe saputo come rispondere dal momento che se amare due persone era possibile, allora lo amava. Non aveva strumenti per valutare la differenza fra quello che provava per Dietfried nel presente, con ciò che aveva sentito per Gilbert in passato.

Erano le persone a cui quei sentimenti erano rivolti a essere diverse, non ciò che provava per loro. Era così, dunque? Doveva smettere di pensare a Gilbert e accettare che al suo posto, ci fosse Dietfried adesso? Violet scorgeva l'uomo che era dietro la maschera che usava indossare per difendersi, ed era un uomo dolce, tenero e affettuoso quello che vedeva. Qualcuno capace di accoglierla fra le braccia, piangendo con lei nel silenzio di un segreto che non avrebbe mai rivelato, né tradito. Il Dietfried che continuava a visitare le famiglie dei marinai che lei stessa aveva ucciso, donando loro denaro perché costantemente oppresso dal rimorso. Quei ricordi così lontani non suscitavano in lei più nessuna emozione ora: ripensandoci, era come vivere in sogno la vita di qualcun altro.

Per quanto si sforzasse, gli anni oscuri della sua infanzia si riducevano a una sola odiosa parola: uccidi! Un ordine diretto, esplicito e terribile, emanato da qualcuno di cui ormai non aveva più memoria. Il passato era passato: chi o cosa si era stati in precedenza non contava, questo le aveva sempre detto il suo Maggiore. Dopo la guerra infatti, il suo unico obbiettivo era stato quello di vivere in cerca di quella felicità che lui si era augurato che trovasse, sebbene fosse certa di non averla mai provata.

C'era dell'irrisolto nella sua vita, sapendo benissimo di aver cercato il volto di Gilbert in quello del fratello, così come il suo sguardo e la sua voce. Ma più lo faceva, più lui le sfuggiva, svanendo a poco poco davanti i suoi occhi. L'uomo che era riuscito ad amarla in quel mondo esploso e in fiamme, pensò ancora, malgrado l'avesse restituita alla vita a costo della sua, non era mai riuscito a stringerla tanto forte. Non quanto era stato capace di fare Dietfried nonostante forse, ancora la odiasse. No! Gridò a se stessa, cercando di scacciare quell'idea malsana dalla mente. Non era possibile che nutrisse ancora odio nei suoi confronti; Dietfried provava altro per lei, glielo aveva letto negli occhi mentre lo baciava. Doveva tornare in quella stanza per chiarire, pensando che se l'aveva assecondata non era stato per pietà o per compassione. Così, facendosi coraggio si alzò dal letto senza esitare, allontanando dal viso arrossato i cuscini tra cui aveva pianto per scappare da se stessa e da ciò che sentiva per lui.

Era determinata a crescere, ad aprire un nuovo capitolo della propria vita benché fosse chiaro che non avrebbe mai cancellato Gilbert dal suo cuore. Ma appena uscì dalla porta della sua stanza, l'inaspettata visita di qualcuno mutò il suo intento sul nascere. Come in una visione ovattata Violet vide una donna uscire dalla camera di Dietfried, una presenza così delicata ed eterea da dare quasi l'impressione che fluttuasse mentre si muoveva verso di lei nel suo elegante vestito color porpora. Violet notò che la bellissima ospite del Capitano possedeva splendidi occhi nocciola a mandorla e labbra perfette, inespressive e rosse come quelle di una bambola di porcellana.

Ma chi era? E che ci faceva una donna del genere in quella casa, in un momento come quello? La brutta sensazione che la colse in quell'istante la raggelò. Lo sguardo freddo e sprezzante della misteriosa dama uscita dalla camera da letto di Dietfried la colpì allo stomaco quando capì chi potesse essere e cosa volesse. Restarono solo poco a fissarsi, poi fu la Signora Bougainvillea a intervenire, presentando le due ragazze l'una all'altra.

"Contessa Largflower, lei è Violet, la giovane Bambola di scrittura automatica che ha assistito il mio Dietfried...", le spiegò l'anziana.

"Molto piacere, sono Lady Abelia, la fidanzata del Capitano Bougainvillea. ", ci tenne a puntualizzare la donna, squadrandola dall'alto in basso come avrebbe fatto con un cane randagio.

"E come sta ora?", volle sapere Violet preoccupata.

"Dormiva quando sono entrata... È stato il dottore ha dirmi come ti chiami e quanto sei stata preziosa: io e la Signora Bougainvillea non ti ringrazieremo mai abbastanza per quello che hai fatto per il mio futuro marito.", enfatizzò tronfia la giovane donna.

"Ho fatto solo il mio dovere...", rispose Violet.

"Ovviamente! Mi hanno detto che eri venuta qui solo per scrivere lettere, ma a quanto pare sei anche un ottima infermiera: prenditi ancora cura di lui allora, ti prego... La prossima settimana ci sarà una festa molto importante a casa nostra, e desidero che almeno, il mio Dietfried si regga in piedi!", aggiunse l'altra, ridacchiando senza il minimo tatto.

"In realtà io, domani lascerò la Villa. Sono spiacente mi creda, ma sono certa che una settimana sarà più che sufficiente perché il Capitano si riprenda completamente anche senza le mie cure...", aveva replicato Violet, congedandosi dalle due donne in fretta e con un lieve inchino.

Per un istante Violet si chiese se quella donna all'apparenza tanto fragile ed elegante, avesse lo stesso cuore di pietra del Dietfried che aveva conosciuto tanti anni prima. Non si era affatto preoccupata di lui, semmai, ciò che le premeva era non essere messa in imbarazzo alla sua festa. Era la classica donna alla moda dell'alta società di Leiden, eppure, Violet la trovava eccessiva. Troppo civettuola e vanesia per accompagnarsi a un uomo serio e tutto di un pezzo come lui, concluse.

Stringendosi la spilla di smeraldo più forte al petto, Violet sospirò. Fra loro non avrebbe mai potuto esserci altro che un rapporto di complicità e reciproca comprensione, si disse. Quei baci erano stati un errore, era vero. Un terribile sbaglio di cui non si sarebbe mai pentita si disse, tornando quasi inconsapevolmente in quella stanza. Dietfried sembrava dormire ancora profondamente; era pallido, ma sereno notò, appoggiandogli le labbra sulla fronte per sincerarsi che la temperatura fosse veramente scesa.

"Sei qui, finalmente...", mormorò Dietfried, risvegliandosi al suo tocco.

"Sono solo io Capitano, Violet!", gli rispose, pensando che l'uomo stesse cercando Abelia e non lei.

Violet notò la sorpresa sul suo viso. Erano a pochi centimetri l'una dall'altro e lui le cinse la vita con un braccio, obbligandola a sedergli accanto sul letto.

"Solo tu? Che vuol dire, chi altri pensi che stessi aspettando?", volle sapere Dietfried confuso.

"La signorina Largflower ad esempio, è appena uscita dalla vostra camera...", rispose la ragazza arrossendo.

"Non vedo Abelia da tre mesi, Violet. Se è qui, è senz'altro per via di mia madre.", disse l'uomo con un espressione del tutto stupefatta sul volto.

Non si sarebbe mai aspettato una simile reazione da parte della madre, mai. Si era accorta del trasporto che aveva per Violet ed era intervenuta per salvarla dalle sue grinfie? Da quando aveva una così bassa opinione di lui? Tuttavia, ripensandoci Dietfried non poteva darle torto. Aveva sempre trattato le donne come pacchi postali, per usare un eufemismo, con cura e mille attenzioni fino al giorno della "spedizione", per poi dimenticarsene completamente dopo. Donne di cui non ricordava né il volto né il sapore, tranne che per le conoscenze politiche o le importanti parentele che potessero avere. Come nel caso di Abelia, che era figlia di un uomo tanto influente quanto corrotto da poterlo aiutare a scoprire che fine avesse fatto davvero suo fratello. Cosa che, naturalmente, non avrebbe potuto dire a nessuno finché Gilbert non si fosse deciso a tornare.

Era veramente stanco di nascondersi dietro quella facciata di compiacente e irriverente freddezza: piangere gli aveva fatto bene, e doveva ringraziare una sola persona per questo, Violet.

"Devo andare!", reagì la giovane.

"No! Ti prego, resta.", la supplicò lui, cercando di trattenerla al suo fianco.

"Non credo che la Signora approvi: se ci vedesse insieme come è accaduto poco fa', sono certa che non capirebbe...", replicò lei, cercando di sfuggirgli.

"Non c'è nulla da capire Violet, hai solo ceduto allo sconforto, tutto qui.", cercò di convincerla Dietfried.

Cosa voleva da lei allora? Perché la costringeva a rimanergli accanto impedendole di andarsene come se temesse di perderla per sempre? Violet si morse un labbro, cercando di scacciare le emozioni che il ricordo di quei baci le suscitavano ogni volta che ci pensava. Al contrario di lui, che sembrava improvvisamente diventato più razionale, quando di razionale e controllato fra loro non c'era mai stato niente. Dietfried la stava salvando da se stessa, era chiaro. Malgrado ciò, Violet provò ugualmente una sensazione di tristezza e privazione all'idea che lui avesse minimizzato, rilegando tutto a una semplice debolezza del momento benché in parte fosse vero. Se le cose stavano così allora, anche lui aveva avuto un cedimento, pensò.

"È vero, non avrei dovuto. Per questo chiederò alla Signora di scrivere la nostra ultima lettera, oggi stesso... Non posso più restare in questa casa Capitano, lo capisce vero?", ammise Violet, sicura di avergli chiarito bene la sua situazione.

"Che stai dicendo, ragazzina? Che prima o poi, l'avresti fatto comunque?", fu la reazione sorpresa di Dietfried.

Ora era lei a non sapere cosa rispondere. Ecco che veniva fuori la sua totale inesperienza in quelle cose, soprattutto perché una persona normale avrebbe saputo come gestire le emozioni da cui veniva travolta. Cos'era più giusto fare in quei casi? Mentire, o dire la verità?

"Non credo, non penso che avrei mai trovato il coraggio... ", disse semplicemente Violet.

"Proprio così, vedi? So' come ti senti riguardo a Gilbert: sei arrabbiata, e lo capisco. E la frustrazione che provi nel non sapere se sia vivo o morto, peggiora le cose... Manca molto anche a me, quell'idiota! Ma lo troveremo, vedrai. E se non ci darà una bella spiegazione, giuro che lo prenderò personalmente a calci nel di dietro!", rispose Dietfried con un groppo in gola.

Dietfried non era riuscito a trattenere il pianto, nascondendosi il volto fra le mani per dare libero sfogo allo stesso dolore che anche lui provava. Del resto, Violet lo seguì a ruota, pur restando mestamente in silenzio mentre lo sentiva singhiozzare per il fratello per la prima volta da che aveva saputo ch'era morto. Se la l'avesse visto, la Signora Bougainvillea avrebbe gioito di quelle lacrime si disse Violet, decidendo di andarsene. Di sicuro Dietfried aveva bisogno di stare solo adesso: non era più un ragazzino, ma un uomo fatto; orgoglioso com'era non avrebbe tollerato di essere osservato e compatito da qualcuno in quel momento. Così, quando lui non provò a fermarla, Violet decise di rifugiarsi nella sicurezza della propria stanza per decidere cosa fare riguardo a Gilbert.

La pista sul campo di prigionia nemico si era rivelata un immenso buco nell'acqua, e questo malgrado Dietfried e i suoi uomini avessero investigato e rischiato parecchio per ottenere delle informazioni, si disse. Era un uomo troppo intelligente per perdere tempo a quel modo, investendo tempo e denaro in un progetto tanto incerto quanto infruttuoso. Qualcosa doveva pur avere attirato la sua attenzione per spingerlo a continuare su quella strada, cos'era andato storto allora? Le era sembrato così sicuro mentre ne parlava, tanto da riaccendere una speranza ormai spenta in lei, e poi, in due parole liquidato tutto? Come se mesi di ricerche, lavoro fatto e tempo speso, fossero irrilevanti?

Cosa le nascondeva allora? Si domandò, riflettendo sulle sue parole. Ora che ci pensava, Dietfried parlava di Gilbert al presente, come se sapesse di lui qualcosa che a lei sfuggiva. Gli aveva dato del pazzo e dell'idiota quasi pensasse di poterglielo sul serio dire in faccia, mentre lo prendeva veramente a calci. Com'era possibile? Se era così convinto che Gilbert fosse vivo, al punto d'averne la certezza, che prove aveva al riguardo? Non era possibile, stava sbagliando. Correva troppo con la fantasia, si convinse Violet per calmarsi. Dietfried non le avrebbe mai mentito, non su una cosa tanto importante e vitale per entrambi.




Hodgins tossì rumorosamente, cercando di placare gli animi: la situazione alla società postale stava decisamente degenerando. Cattleya aveva indetto una riunione con le ragazze e Benedict proprio nel suo ufficio, affinché spiegasse a tutti cosa stava per succedere a Violet. Tranne che per lei, nessuno di loro aveva saputo del Maggiore Gilbert sin dal principio. Lo avevano scoperto in seguito grazie a Erika, che un giorno, per caso, lo aveva visto entrare a casa di Hodgins spaventandosi al punto da pensare di aver visto un fantasma. Era stato quest'ultimo a confessarle che Gilbert si recava a Leiden almeno una volta al mese da che era sparito, al solo scopo di osservare Violet da lontano e tenerla d'occhio. Iris e Benedict - pur faticando a mantenere il segreto - ne erano venuti a conoscenza solo perché Erika, innamorata di Benedict, non era riuscita a tacere confessando tutto al giovane. Hodgins li aveva poi chiamati tutti all'appello, supplicandoli di rispettare la volontà di Gilbert, affinché Violet proseguisse da sola il duro percorso di crescita che l'aspettava senza di lui.

"È disumano! Abbiamo visto tutti Violet soffrire... Come la prenderà quando saprà che l'abbiamo ingannata, mentendole per tutto il tempo?". esordì Iris, profondamente arrabbiata.

"Prima o poi verrà a saperlo, non possiamo più continuare quest'inutile farsa! Gilbert mi ha chiesto di mandarla da lui, e a questo punto non ho scelta... Piuttosto, prepariamo a correre ai ripari spiegandole le nostre ragioni, sono certo che Violet capirà se l'affronteremo tutti insieme.", aggiunse Hodgins altrettanto alterato.

"Perché dovremmo? Dov'è il Maggiore? Perché non viene di persona? È lui che dovrebbe farlo, non noi o qualcun altro!", obbiettò innervosito Benedict.

Erika accarezzò il braccio del ragazzo per calmarlo, aggiustandosi gli occhiali sul naso com'era solita fare quando rifletteva su qualcosa. Era stata la prima a sapere la verità, e doverla tacere pur vedendo l'amica piangere ogni giorno era stato snervante; Violet aveva il diritto di sapere quanto lo avevano loro di liberarsi di quel peso insopportabile. In quei lunghi quattro anni erano stati una famiglia, e come una famiglia avrebbero agito, aiutando Violet ad accettare di essere stata lasciata da Gilbert solo per il suo bene.

"Ovviamente ci saremo sempre per lei: è la nostra sorellina. Ma la penso come Benedict, dovrebbe essere il Maggiore Bougainvillea ad affrontarla per primo, capo.", ne convenne Erika, in sintonia col giovane compagno.

"E va bene, contatterò Gilbert! Ma nel frattempo, se siete tutti d'accordo, andrò a riprendermi Violet a casa Bougainvillea... ", annunciò Claudia.

Hodgins intuì la risposta dalle espressioni più rilassate e l'improvviso silenzio che calò nel suo ufficio: era ora di agire, e detto fatto, alzò la cornetta del telefono.


 

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Capitolo 8
*** La tempesta - Seconda parte. ***


Cap, 8
 

La tempesta - seconda parte.




Violet si svegliò di soprassalto a causa di un tuono: fuori, nubi scure e basse si muovevano velocemente nel cielo del tardo pomeriggio. Era affranta. Persino il tempo non era dell'umore giusto, si disse, alzandosi frettolosamente dal letto per chiudere le imposte prima che il vento le facesse sbattere.

Si era nuovamente addormentata per la stanchezza e la Signora Bougainvillea non l'aveva voluta disturbare? Era sicuramente così, pensò, indugiando alla finestra mentre un fulmine saettava poco lontano illuminando il panorama agreste. Quel lampo di luce e il potente fragore che ne seguì - così simile a un'esplosione - la fecero sussultare, facendo riemergere in lei il ricordo improvviso di Gilbert. Era come se il volto del Maggiore le fosse apparso in un sogno, visualizzandone l'espressione amareggiata come se c'è l'avesse proprio davanti agli occhi. Violet sentì la pioggia iniziare a battere insistentemente sui vetri mentre calde lacrime tornavano a rigarle il viso: avrebbe dato qualsiasi cosa per poterlo veramente rivedere in quel momento, allungando la mano verso quella figura sfuocata per poterla toccare.

"Maggiore...", mormorò, sfiorando il petto dell'uomo di fronte a lei.

La visione aveva le fattezze di Gilbert, ma non parlava. Solo avvicinandosi Violet intuì la verità, quel profumo era unico e inconfondibile. Abbracciare Dietfried durante il temporale fu' come respirare la brezza marina che soffiava dalla spiaggia in un giorno piovoso: la sua pelle era liscia e fresca adesso, ed aveva lo stesso odore dell'acqua che schiumando s'infrangeva sugli scogli. Aveva deciso di raggiungerla tenendosi in piedi a mala pena, col viso smunto e i lunghissimi capelli neri sciolti sulle spalle. Doveva aver pianto parecchio nella solitudine della sua camera da letto, concluse Violet, sostenendone il peso, ben sapendo che nessun'altra persona al mondo avrebbe potuto comprendere quello stato d'animo meglio di lei.

"Non sono lui, e non lo sarò mai!", gli sentì dire nel buio.

"Lo so questo...", rispose Violet, zittendolo con un bacio.

Sentirsi nuovamente posseduta da quelle labbra fu eccitante e terribile al tempo stesso, soprattutto quando la mano dell'uomo le risalì dai fianchi a lambirle prima la vita e poi la schiena. Una lunga e lenta carezza che ebbe sul suo corpo lo stesso effetto del vento su un incendio, pensò la ragazza. Non era stata solo disperazione, concluse: Dietfried era per lei ciò che lei era per Diefried, la sua unica e vera debolezza. Violet chiuse gli occhi e tutti quei desideri proibiti divennero realtà, mentre quella bocca così calda e assetata ricambiava la sua.

La verità era che aveva ritrovato la forza di reagire ai crudeli raggiri del destino solo grazie a lui; per merito di Dietfried era tornata a lottare, ma ancor di più, era tornata a sperare ancora.

D'altro canto, Dietfried era cambiato al punto da essere irriconoscibile, da sapere che un fiore non andava colto prima del tempo, ne estirpato. Bisognava prendersene cura per aiutarlo a sbocciare, conscio che quel compito non sarebbe dovuto toccare a lui ne a nessun altro che a Gilbert. Perché anche se l'aveva lasciata era stato lui a crescerla, proteggerla ed amarla durante la guerra. E non solo, persino dopo, osservandola da lontano giorno dopo giorno anche grazie a Hodgins e alla sua improbabile combriccola di postini, portapacchi e Bambole di scrittura automatica. Ma pur sapendolo, in quell'attimo Dietfried non riuscì a fermarsi, sperando che fosse lei a mettere fine a quella pazzia.

Per un momento si sentirono solo i loro respiri affannati nella stanza, poi, lo scricchiolio prodotto dalla porta che si apriva li fece trasalire entrambi, riportandoli alla realtà. Violet si staccò da Dietfried, irrigidendosi solo quando lui - giratosi verso quel rumore - alzò le braccia in segno di resa, proprio come si faceva quando qualcuno ti puntava addosso un'arma.

"Crepa, maledetto traditore!", aveva sibilato dopo una voce, prima che il click del cane di una pistola pronta a sparare la facesse scattare come automa verso l'aggressore, facendolo volare contro il muro della stanza.

Quando il suono di un colpo partito per sbaglio rimbombò tra le pareti, spezzando l'irreale silenzio che si era venuto a creare, Dietfried vide la sagoma del misterioso attentatore finire per terra dopo aver violentemente sbattuto contro la parete e una parte del mobilio. Temendo per l'incolumità di Violet si era lanciato verso il caminetto per afferrare l'attizzatoio e poterla difendere, cosa che si rivelò inutile dal momento che la ragazza aveva già pensato ad immobilizzare l'uomo spezzandogli un braccio. L'agghiacciante grido di dolore dell'attentatore doveva aver spaventato un secondo assalitore, perché Dietfried vide qualcuno correre attraverso il corridoio fin giù per le scale.

"Violet, c'è una pistola nel cassetto della mia scrivania! Va' a prenderla, corri!", le ordinò l'ufficiale, alzandosi a fatica dal pavimento dov'era crollato ferito.

La ragazza esitò per un secondo, la luce era tornata dopo un breve blackout della rete elettrica e quando la stanza s'illuminò di nuovo poté finalmente verificare quali fossero le reali condizioni di Dietfried. Il proiettile l'aveva preso solo di striscio, realizzò con un moto di sollievo, concentrandosi sul compito più importante che aveva in quel momento: arrivare allo studio e recuperare l'arma d'ordinanza del Capitano.

Una volta presa la pistola dal cassetto dov'era custodita Violet si fiondò al piano inferiore, dove nel più totale sgomento urtò il Sig.Hodgins che al contrario saliva. Scoprendo così come l'ex tenente colonnello dell'esercito era intervenuto mettendo in fuga tutti gli aggressori, allarmandosi dopo essersi imbattuto in un paio di loro proprio fuori dalla casa. Anche il secondo uomo entrato nella Villa col primo attentatore era riuscito a scappare, abbandonando il compagno durante la concitata fuga da Hodgins che nel frattempo gli aveva sparato, riuscendo probabilmente a colpirlo.

"Chi è? L'avete interrogato?", chiese Violet, incapace di calmarsi.

"Un rivoluzionario Gardarik suppongo, visto che da quando gli hai spezzato il braccio non fa altro che imprecare in quella stramaledetta lingua!", le rispose contrariato Claudia.

"Un rivoluzionario? E perché una persona del genere dovrebbe avercela col Capitano?", obbiettò Violet profondamente turbata.

Hodgins sembrò sul punto di arrendersi, quando ad un passo dal rivelarle tutta la verità Dietfried lo fulminò con lo sguardo.

"Credo sia a causa delle mie ricerche perché vedi, devo aver alzato parecchia polvere durante le mie ricerche sul loro territorio...", s'inventò Dietfried, improvvisando.

"Quell'uomo l'ha chiamata traditore, non sono stupida! La smetta di mentirmi, la prego...", lo supplicò Violet, ormai al culmine della sopportazione.

Avrebbe tanto voluto insistere, ma di fronte a quell'espressione così profondamente colpevole, lei si sentì morire. Che stava succedendo? Perché sia il Capitano che il Sig.Hodgins le stavano mentendo? E quanto era implicato Dietfried in quelle bugie?

"Vieni cara, sei troppo sconvolta adesso... Accompagnami alle cucine a prendere qualcosa di caldo, vuoi?", intervenne appena in tempo la Signora Bougainvillea, portandosi via Violet prima che potesse anche solo pensare di fare altre domande scomode al figlio.

"Vai! Io e il Sig.Hodgins abbiamo ancora qualcosa d'importante da discutere adesso...", le consigliò di fare Dietfried quasi si trattasse di un ordine.

Era accaduto sul serio, Dietfried Bougainvillea era nuovamente cambiato? C'era sempre una luce a illuminargli lo sguardo quando accadeva, qualcosa di molto simile a un lampo che gli balenava negli occhi finendo per incendiarli, aveva notato Violet. Un temporale poteva essere distruttivo, ma quasi sempre lavava via la polvere dalle cose, pensava Violet. Ed era quello che stava succedendo? Sentì la pioggia ricominciare a battere insistentemente sui vetri: avrebbe potuto dire qualsiasi cosa in quel momento, ma quegli occhi non mentivano. I dubbi che l'avevano assalita solo poche ore prima erano tornati a tormentarla non appena aveva udito quelle parole, sebbene il cuore avesse continuato a dirle di non ascoltarli. Restò in piedi a guardarlo con le mani in grembo per qualche istante, poi si decise a scendere con la Signora fino alle cucine: una buona tazza di tè caldo l'avrebbe senz'altro aiutata a schiarirsi le idee prima di affrontarlo.




"Cercavano Gilbert, non è così?", chiese Dietfried subito dopo, stringendosi il fianco con una smorfia di dolore.

"Sì, e sono preoccupato! Era così ansioso di rivederti e rincontrare Violet, mi aveva addirittura chiesto di mandarvi da lui...", ammise Hodgins, togliendosi il soprabito di dosso.

"Ansioso di rivederci, ma scherzi? Ci ha mentito per quattro anni!", sbottò innervosito Dietfried.

"E cos'altro avrebbe dovuto fare? Sappiamo tutti che gli avresti impedito di collaborare col governo solo per salvare Violet...", gli rispose Claudia, avvicinandosi a lui per controllargli la ferita.

"Cos'altro, dici? Chiedermi aiuto, forse? ", continuò Dietfried, digrignando i denti per la rabbia al pensiero di quanto Hodgins avesse ragione.

Gilbert non si era rivolto a lui sapendo che non lo avrebbe mai ascoltato? L'amore supponeva veramente questo, si domandò l'uomo, il completo sacrificio verso la persona amata? Un concetto a lui sconosciuto, qualcosa che non avrebbe mai potuto comprendere all'epoca, ammise. Dunque, Claudia aveva ragione: era veramente solo sua la colpa?

"Chiederti aiuto? Credi davvero che Gilbert pensasse di trovare un minimo di comprensione in te, in uno che è stato capace di strappare una bambina alla sua terra per fare di lei un'arma?", gli ricordò Hodgins, cercando di tamponare il sangue che dalla ferita gli colava sul pavimento attraverso i pantaloni.

"Quella bambina, come dici tu, al tempo uccise due dei miei uomini! Che altro avrei dovuto fare, eh? Violet era un'arma ancor prima di incontrarmi: la sua vita non ha mai contato nulla per nessuno, e tu lo sai benissimo questo!", rimbrottò Dietfried.

"Stai dicendo che era tutto calcolato, allora? Che sapevi cosa stavi facendo, quando decidesti di liberarti di lei per affidarla a Gilbet?", chiese Hodgins, ancor più sconvolto di quanto avrebbe dovuto essere.

"E vuoi condannarmi anche per questo? Per aver sempre e solo pensato al benessere di quello stupido idealista di mio fratello?", tuonò l'ufficiale, sul punto di esplodere.

Dietfried era ancora profondamente arrabbiato con Gilbert, era evidente. Aveva sempre e solo cercato di difenderlo, anche se nel modo più sbagliato possibile e questo Claudia lo sapeva. Infatti, non osò replicare a quelle parole, limitandosi a chiarire un particolare che probabilmente all'altro era sfuggito.

"Gilbert non ha salvato Violet in nome dei suoi ideali, l'ha fatto per amore. Lo stesso amore che anche tu nutrivi per lui, sebbene tu abbia finito per agire con una bassezza tale da risultare del tutto ingiustificabile!", asserì Hodgins.

Dietfried rimase un attimo in silenzio, questa volta Claudia aveva colpito nel segno. Non aveva mai provato vergogna per ciò che aveva fatto in passato mentre ora, non solo il petto gli bruciava, ma al solo pensiero aveva la nausea.

"Qualunque cosa si pensasse di me o delle mie deprecabili azioni, era e resta irrilevante. L'unica cosa che volevo era salvare mio fratello, non importava come o chi dovessi calpestare per questo...", ammise tristemente Dietfried.

"In particolare Violet, vero? Non posso credere che la odiassi al punto da volerla vedere morta... Era solo una bimba sperduta, avresti dovuto aiutarla invece di trascinarla all'inferno!", replicò disgustato Hodgins.

"È vero, l'ho usata! E con ciò? Dopo l'assassinio dei miei marinai pensai anche di eliminarla, ma dopo averla vista in azione scelsi di non farlo, affiaccandola a Gilbert per proteggerlo... Lo ripeto, avrei fatto qualsiasi cosa per lui, è così difficile da comprendere?", ribadì l'ufficiale ancora una volta.

Dopo quella terrificante conversazione Dietfried si alzò dalla poltrona dov'era sprofondato, aggrappandosi con forza alla propria scrivania per non cadere. Anche se lo ripugnava, pensava sul serio ciò che aveva detto. Era consapevole di aver permesso alla guerra di strappargli via il cuore, anche se temeva di averne ancora un pezzettino a languirgli da qualche parte nel petto. Lo stesso pezzetto che avrebbe voluto avvizzisse piuttosto che sentirlo battere ancora, crescendogli dentro come un cancro giorno dopo giorno, a tormentarlo col suo rumore forte e regolare. Di nuovo e poi ancora, sempre di più, fino a dolere e riempirgli gli occhi di tutte le lacrime che non era mai riuscito a versare. Ed era Violet la sola e unica responsabile di tutto questo. Sempre lei, che malgrado tutto ancora sorrideva. Che aveva deciso di vivere e per questo ancora respirava quando tutti i suoi detrattori, ormai morti e sepolti, pagavano lo scotto delle loro azioni marcendo sotto terra. Era sempre stata questa la sua forza: la sua ferrea volontà. Quella di una bambina abbandonata, rapita e gettata nel fango dall'arroganza da gente come lui, che a dispetto di tutto aveva trovato nell'affetto sincero di un estraneo la voglia di rinascere e cambiare ancora.

Vedendolo così pentito e oppresso, Hodgins evitò di saltargli al collo malgrado sentisse il sangue ribollirgli nelle vene. Per quanto terribile fosse, la visione di Dietfried aveva perfettamente senso anche per lui, che aveva ucciso in guerra senza mai farsi domande sull'identità del nemico a cui aveva appena tolto la vita. Perciò, sebbene avesse imparato ad amare Violet come una figlia, chi era lui per giudicare? Poteva disprezzarlo per ciò che aveva fatto in passato, ma allora anche lui, alla stregua di tutti gli altri avrebbe potuto fare lo stesso, arrivò a concludere Hodgins.

"Dove si nascondeva Gilbert, lo sai?", volle sapere poi Dietfried, cambiando discorso.

"Sull'isola delle rose di vostro padre... ", gli rivelò Claudia, vedendolo improvvisamente sbiancare.

"Chiamo l'Ammiragliato! Tu avverti Violet e mia madre: dobbiamo muoverci...", lo incoraggiò a fare l'ufficiale, rabbuiandosi all'improvviso.

Dietfried si apprestava a telefonare e Hodgins a lasciare lo studio quando vennero nuovamente spaventati da un rumore fortissimo proveniente dall'esterno della stanza, era stato un fracasso pauroso, tanto da spingerli ad armarsi di nuovo. Solo dopo essersi preparati a sparare ancora spalancarono la porta con un calcio, rendendosi conto di ciò che era veramente accaduto fuori dello studio. Infatti, seppur allarmati, fu solo Violet che videro in piedi di fronte a loro. La ragazza doveva averli sentiti parlare, e in preda alla confusione doveva aver lasciato cadere il vassoio che generalmente teneva saldamente in mano, a terra.

La giovane Bambola di scrittura automatica che tutti stimavano e conoscevano si era tramutata in un essere sgomento e tremante dinnanzi a loro. Violet era rimasta pietrificata dopo aver ascoltato quella conversazione, al punto da sembrare irriconoscibile ai due uomini che la fissavano non sapendo che fare. C'era voluto un attimo per distruggere completamente il suo mondo, lo stesso ch'era bastato a mandare in frantumi la preziosa teiera che aveva lasciato cadere sul pavimento del corridoio, con tutto il resto del raffinato servizio di porcellana che si portava appresso.

"Violet, che stai facendo? Da quanto sei qui?" le domandò mortificato Hodgins.

Quando la ragazza non rispose e furono i suoi occhi a farlo per lei, Dietfried si sentì sprofondare. L'uomo e Hodgins non avevano potuto far altro che inseguirla giù per le scale, chiamandola più volte dopo averla vista scomparire definitivamente all'esterno del portico ancora battuto e inondato di pioggia. Solo a quel punto erano precipitati nell'angoscia più totale, anche se a passarsela peggio in quel momento sembrava essere proprio il navigato Capitano. Per una ragione che Claudia non riusciva a spiegarsi Dietfried pareva sinceramente addolorato per Violet, e questo malgrado le atrocità che gli aveva appena sentito uscire dalla bocca. Com'era possibile che ora se ne stesse sotto quel nubifragio a disperarsi e preoccuparsi per lei? La lacerazione provocata dal colpo di pistola non era grave, ma avrebbe dovuto fargli ancora un male insopportabile. Possibile che non sentisse più niente? Doveva essere stata una massiccia scarica di adrenalina a permettergli di stare ancora in piedi, si disse Claudia. Un meccanismo che Hodgins conosceva molto bene visto quello che aveva passato in guerra, e a guardarlo, era probabile che Dietfried si trovasse proprio in quella condizione adesso. E questo solo perché temeva per Violet, pensando che fosse realmente in pericolo?

"Tu cercala sul retro e nei giardini, io vado al lago!" gli aveva perentoriamente ordinato l'uomo, probabilmente intuendo dove si potesse trovare la giovane in quel momento.

A quel punto Hodgins non aveva recriminato, soffermandosi su quel bizzarro comportamento che niente aveva di logico a parer suo. Per fortuna non dovette attendere molto per avere un chiarimento, perché fu proprio la Signora Bougainvillea a fornirgli involontariamente le risposte che cercava.

"È inutile andarla a cercare: Violet è corsa verso il lago, e con mio figlio alle calcagna non potrebbe essere più al sicuro, mi creda...", tentò di tranquillizzarlo la donna.

"Al sicuro, con Dietfried?", obbiettò Claudia.

Fu lo spiazzante sorriso apparso improvvisamente sul volto dell'anziana a farlo ricredere. Dunque, ci aveva visto giusto, fra quell'uomo spaventoso e la piccola Violet stava realmente accadendo qualcosa. Ma cosa? Non poté fare a meno di chiedersi Claudia, rientrando in casa al seguito della Signora Bougainvillea. Dopo di che le sedette accanto, proprio sotto suo invito, domandandosi il perché della strana calma mostrata dalla donna vista la situazione.

"Prenda, immagino che ne avrà bisogno visto quello che sto' per dirle...", aggiunse l'anziana madre di Dietfried e Gilbert.

Hodgins accettò di buon grado il bicchiere colmo di liquore all'arancia e caramello offertogli dalla donna, con la netta sensazione che qualcos'altro stesse per accadere, e che, per quella serata, le sorprese non fossero finite.

 

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Capitolo 9
*** Rivelazioni. ***


Cap 9.

Rivelazioni.

 
Dopo quella scioccante verità, Violet si era gettata a capofitto nella fuga, orientandosi solo grazie alla luce dei lampi che a tratti le illuminavano il cammino. L'unica cosa che voleva in quel momento era scappare da quel luogo il più lontano possibile, e questo malgrado il temporale si fosse intensificato, mutandosi presto in una tempesta. Non rallentò il passo nemmeno quando la pioggia scrosciò più forte, iniziando a frustarle prima la faccia e poi il corpo, infradiciandole i capelli e i vestiti che aveva addosso. Non era più sul campo di battaglia, eppure, l'atmosfera era quella: coi tuoni che sembravano bombe e i sibili del vento, che da lontano, parevano grida.

Ora come allora, Violet sentiva di precipitare. Come se a ogni passo sprofondasse sempre più a fondo, inghiottita dalle stesse fauci aperte della terra. L'unica vera sofferenza che avesse mai sperimentato in guerra era stata quella fisica, ma più ci pensava, più tutte quelle privazioni sembravano nulla al pari del dolore che provava ora. Non era stata capace di comprendere cosa lei e il Maggiore sentissero veramente l'uno per l'altra, e ancora, per quanto si sforzasse, stentava a capirlo. Le aveva detto di amarla ma poi l'aveva abbandonata, arrivando a farle credere di essere morto pur di farla uscire dalla sua vita. Gilbert si era liberato di lei proprio come aveva fatto Dietfried molti anni prima, sebbene il più vecchio dei fratelli Bougainvillea potesse addurre delle scuse più credibili, si disse, arrivando al lago mentre spumeggiava in preda ai violenti spasmi delle correnti d'aria che ne agitavano la superficie.

Violet si fermò, resistendo appena alla loro forza incalzante, per poi lasciarsi trasportare verso la fine naturale di quel vecchio pontile che si deformava, scricchiolando pericolosamente sotto il peso del suo corpo. Sarebbe potuta cadere e scomparire davvero fra quelle onde: sarebbe stato meglio piuttosto che tornare, pensando che non sarebbe servito. Cosa avrebbe risolto, dopotutto? Che avrebbe ottenuto? Saperlo vivo l'aveva colmata di una gioia e una disperazione tali da non riuscire a capire più nulla di se stessa ne di ciò che sentiva; voleva vederlo più di qualsiasi cosa, ma al contempo, con altrettanta forza e determinazione, desiderava scordarlo. Che povera illusa era stata, e Gilbert e Dietfried, come avevano potuto ingannarla a quel modo?

Sussultò, voltandosi verso chi la chiamava. L'immagine di Dietfried le apparve davanti agli occhi nitida come il freddo della notte, riversandosi dentro di lei con la stessa violenza delle sue crudeli affermazioni. Un fiume di cattiveria capace di travolgere e devastare ogni cosa senza alcun diritto di replica, pensò ancora Violet, sempre più sconvolta. Com'era riuscito a raggirarla a quel modo? Come aveva potuto permettergli di avvinarsi così tanto a lei? Avrebbe voluto odiarlo per averla ammaliata, sapendo quanto non fossero state quelle parole, ne come le aveva usate a ferirla così tanto. Ciò che la faceva stare veramente male era come Dietfried l'avesse baciata e stretta a sé, pensando ancora di lei e del Maggiore, tutte quelle cose orribili. Dunque, il serpente velenoso era veramente tornato? No, probabilmente non era mai andato via. E come era stato bravo a nascondere la sua vera natura, si convinse la ragazza, talmente bravo da sembrare innocuo e farle credere di essere veramente cambiato, arrivò a concludere piangendo.



Dietfried la raggiunse dove il bosco degradava verso la campagna, mentre correva sul pontile che si allungava nel lago in lontananza. L'intensità del vento a quel punto era calata, e il cielo ormai totalmente sgombro di nubi, permetteva alla luna di illuminare il paesaggio notturno ormai privo di colore. Violet appariva minuscola nella vastità di quel panorama, muovendosi con la stessa incerta lentezza di un fantasma che vagava su una terra ormai ostile, pensò Dietfried. Era sempre stata una ragazza forte, ma ora era distrutta, ed era solo sua la colpa. Ci avrebbe messo un po' a raggiungerla, ma l'avrebbe fatto. Anche a costo di rimetterci le penne, visto il modo in cui la sua ferita aveva riniziato a sanguinare durante quella corsa disperata contro il tempo.

"Che diavolo pensi di fare, eh? Torna subito indietro, mi hai sentito!", urlò l'uomo alle sue spalle.

"E se non lo facessi? Se mi gettassi?", chiese lei con rabbia, voltandosi di scatto verso il suo interlocutore.

"Ti seguirei, e allora moriremmo entrambi, Violet... ", replicò Dietfried, ansimando per la stanchezza.

"Bugiardo! Lei non lo farebbe... Perché dovrebbe? L'unica cosa che vuole è vedermi morta, giusto? Ne approfitti allora, mi lasci andare!", lo sfidò Violet, girandosi pericolosamente verso il lago.

"Scommettiamo? Sarebbe la più grande soddisfazione della mia vita, credimi. Ma non posso lasciarti andare, non dopo quello che Gilbert ha fatto per te.", le ricordò serio l'uomo, provocandola.

Dietfried si morse la lingua: era stato crudele e lo sapeva, sebbene avesse dovuto per farla reagire in qualche modo. Infatti, solo approfittando di quell'attimo di turbamento e confusione riuscì ad afferrarle le braccia, cosa di cui si pentì immediatamente quando lei lo respinse, facendolo precipitare malamente a terra.

"Il Maggiore mi ha abbandonata al mio destino, lo faccia anche lei!", gli urlò in faccia Violet.

"Abbandonata? Non dire sciocchezze, Gilbert ti ha salvata, ecco cosa... Se non avesse accettato il nuovo incarico avuto dal governo in cambio della tua libertà, a quest'ora, forse, sareste morti entrambi...", la corresse lui con rabbia, cercando comunque di bloccarla.

Violet si fermò, guardandosi attorno nuovamente smarrita, dandogli così il tempo di gettarsi su di lei mentre si divincolava per sottrarsi alla sua presa. Era esausto, stanco e dolorante oltre ogni possibile limite umano, ma non mollò finché non la sentì arrendersi fra le sue braccia. L'aveva fatto: era riuscito a fermarla, imprigionandola sotto di sé solo grazie al peso del suo corpo. Pronto a pagarne tutte le conseguenze però, perché Violet tornò a combattere, colpendolo ripetutamente più e più volte mentre lo insultava gettandogli in faccia tutto il suo incommensurabile disprezzo.

"Lei è un mostro! Mi lasci! Mi lasci andare, ho detto!", si ribellò lei ancora una volta, cercando inutilmente di scansarselo via di dosso.

"E tu una vigliacca se pensi che gettarti in quel lago risolva qualcosa... Ascoltami Violet, Gilbert non ha avuto scelta. Lo capisci? Anch'io credevo che l'avesse, e invece no, non l'ha mai avuta...", reagì l'ufficiale, estremamente provato dall'evidente disperazione di Violet.

"Allora, perché? Perché l'ha fatto? Non capisco!", singhiozzò alla fine lei.

"Per amore, solo per questo...", le assicurò Dietfried, tenendola saldamente stretta a sé.

"Ha sempre avuto ragione lei, se fossi morta, tutto questo non sarebbe successo...", aveva replicato Violet, abbandonandosi completamente al pianto.

Cosa stavano facendo? Com'erano arrivati a quel punto? Dietfried si morse nuovamente il labbro fino a farlo sanguinare, cercando di asciugarle inutilmente le lacrime mentre singhiozzava senza minimamente cercare di opporsi. L'unica cosa che avrebbe voluto era stringerla più forte e chiederle perdono, ma non sapendo come rimediare, pur restando immobile sopra di lei ciò che pensò di fare fu aprirle semplicemente il suo cuore.

"No, è sempre stato Hodgins ad avere ragione, non io. Se avessi avuto un po' di compassione per te quando ti trovai, non saremmo mai arrivati a questo. Perciò è mia la colpa, solo e soltanto mia!", ammise totalmente Dietfried, passandole una mano sul viso per toglierle i capelli inzuppati dagli occhi.

Balenò una luce, ma non in cielo, bensì dentro di lei. Era tutto talmente assurdo da non sembrare vero malgrado lo fosse, e forse, per la volta in vita sua, Dietfried era sincero. Si era servito di lei e le aveva mentito era vero, ma solo per trovare Gilbert, e a quel punto gli credeva. Anche se non capiva perché, ne come o quanto il Sig.Hodgins fosse coinvolto in quella storia, a meno che, realizzò Violet, non fosse sempre stato lui il suo reale obbiettivo.

"Il Maggiore è vivo, dunque...", esordì lei, rivolgendo lo sguardo al cielo notturno tappezzato di stelle.

"Sì, vivo e vegeto!", le confermò Dietfried, senza tuttavia lasciarla andare.

"Sono contenta...", riuscì solo a dire, non trovando le parole giuste per esprimere la reale felicità che stava provando in quel momento.

"Lo so', anch'io! Anche se gliela farò pagare per averci lasciato a quel modo, te l'assicuro questo.", ebbe il fegato di scherzare Dietfried.

"Capitano?", lo chiamò lei, cercando i suoi occhi.

"Sì, sono qui, Violet.", la rassicurò dolcemente lui.

"Ma se il Sig.Hodgins sapeva tutto, perché si è servito di me per arrivare al Maggiore?", gli domandò Violet.

"Beh, semplicemente perché il piccolo Hodgins non avrebbe mai vuotato il sacco, altrimenti... Sapevo quanto mi detestasse, per questo quando ho saputo che mia madre ti voleva alla villa gli ho lasciato credere di essere io il committente. Ti ha sempre voluto molto bene Violet, non biasimarlo per averti mentito: Claudia non lo merita.", le chiarì l'uomo.

"Piccolo?", volle sapere Violet incuriosita.

"Hodgins è sempre stato un centimetro più basso di me, e da ragazzi, quando glielo facevo notare lui si arrabbiava sempre... Ed era un vero spasso, credimi, con quei capelli rossi e la faccia piena di lentiggini, diventava subito paonazzo...", rise divertito l'altro, rilassandosi d'improvviso al ricordo di quei giorni lontani.

Ora che la tensione era scemata, Dietfried sentì la fatica abbattersi su di lui come un macigno. Era alla frutta, si disse, cercando inutilmente di alzarsi da terra e rimettersi in piedi. Togliersi quel peso di dosso era stato liberatorio, quanto sentire Violet stringersi lui malgrado le cose terribili che aveva detto. Sarebbe rimasto con lei se il tempo dell'indugio non fosse finito, ma Gilbert era ancora in pericolo, e loro dovevano trovarlo. Riappacificarsi fu per entrambi come tornare a respirare dopo una lunga apnea, ma un altro tuono li scosse: la tempesta, di certo non era finita.

"Dobbiamo andare da lui, subito!", si riprese Violet, tornando a ragionare lucidamente. "Certo, corri a casa e dì a Hodgins di chiamare l'Ammiragliato: ci penseranno i miei uomini a scortarvi in città, mentre andate a cercare Gilbert...", le rispose Dietfried.

"Pensa veramente che il Maggiore sia qui, a Leiden?", volle sapere Violet.

"Non sarebbero venuti a cercarlo fino a casa, non credi?", replicò Dietfried. Violet annuì, era ovvio che avesse ragione.

A quel punto solo Hodgins poteva sapere dove si trovasse il Maggiore, suppose la giovane, ma c'era un altro problema da risolvere. Dietfried era troppo stanco per seguirla, lasciarlo lì era l'unica soluzione possibile se voleva raggiungere la villa in fretta ed evitare il peggio.

"Andrò, ma come facciamo con lei?", titubò la ragazza. "Mi trascinerò fino a casa se necessario, ma tu vola! Corri da lui, Violet... Sbrigati!", ripeté Dietfried con fermezza.

"Sissignore!", ubbidì finalmente la giovane, lanciandosi verso il proprio obbiettivo senza più esitazioni.

Aveva già sperimentato quell'angosciosa sensazione di tristezza e privazione in passato, sentì Violet. Temere per chi si amava era qualcosa d'atroce, una sofferenza capace di spezzare la volontà di chiunque, si disse, ma non la sua. Ora sapeva cosa aveva provato Gilbert il giorno in cui l'aveva lasciata: alla fine, come l'uomo aveva sempre sperato che accadesse, ora anche lei era in grado di capirlo. E questo perché quei sentimenti erano sempre stati dentro di lei, arrivò a concludere la ragazza. Non era stata capace di riconoscerli prima, ma ora, grazie al Sig.Hodgins, alla Signora Bougainvillea e a tutte le persone che l'avevano amata, poteva. Compreso Dietfried, dovette ammettere con se stessa. Continuando a scivolare e inciampare su quella fangosa stradina di campagna, resa ancora più impraticabile dall'immane quantità d'acqua appena caduta. Sapeva benissimo quanto fosse necessario sbrigarsi, eppure, le era bastato fare un solo passo lontano da lui per sentirsi nuovamente sprofondare e stringere il cuore. Era certa di amarlo quanto aveva amato Gilbert, sicura di poter vincere qualsiasi battaglia e sconfiggere qualunque nemico per lui, proprio come il suo Maggiore aveva fatto per lei.

Che sciocca era stata a pensare che lui avesse potuto tradirla o abbandonarla. Ma ancor di più, a sentirsi così profondamente e irrimediabilmente sola visto che in realtà, lui c'era sempre stato. Ora poteva, anzi, doveva vederlo, fosse stato anche per l'ultima volta. Ne aveva bisogno, quasi il solo saperlo ancora in vita non bastasse a convincerla del contrario. E le fu sufficiente per costringersi ad accelerare il passo, malgrado anche lei ormai fosse stanca e quasi completamente priva di forze.



Lo sguardo ceruleo di Claudia si specchiò nel riflesso ambrato e ipnotico del liquore che stava sorseggiando, mentre immerso nei suoi pensieri lo faceva roteare nel palmo della mano per scaldarlo e sprigionarne l'aroma. Era forte, e ne bevve volentieri un altro sorso prima di riuscire a spiccicare una sola parola riguardo alle cose che aveva saputo dalla Signora in quegli ultimi e interminabili minuti d'attesa.

"So che è difficile da credere, ma è esattamente tutto quello che è successo durante la permanenza di Violet alla Villa.", finì di dire l'anziana.

"Capisco... Ma sapendo di Gilbert, perché non li ha fermati?", volle sapere Hodgins, sforzandosi di mantenere la calma.

"In realtà ci ho provato, seppur goffamente, e questo malgrado sia convinta che certe cose siano comunque destinate ad accadere...", rispose la Signora Bougainvillea, guardandolo con un'espressione totalmente disarmante in volto.

"Quindi, cosa si aspetta che faccia adesso?", chiese Claudia.

"Mio caro ragazzo, da lei non mi aspetto proprio nulla... Anche se a malincuore, penso che sarà proprio Dietfried a mettere fine a tutto questo...", sospirò la donna.

"E di Violet, che mi dice? Che ne sarà di lei? A questo punto sono abbastanza sicuro che provi qualcosa per Dietfried... Le sembra giusto tutto questo?", domandò ancora Hodgins, scuro in volto.

"Violet percorrerà la sua strada da sola, vedrà! Confido tantissimo in lei e nel suo giudizio, tanto da essere sicura che farà la scelta più giusta quando avrà fatto chiarezza nel suo cuore. Ad ogni modo, non sarò certo io a ostacolarla se è quello che teme...", cercò di tranquillizzarlo la Signora, bevendo a sua volta un abbondante sorso di liquore alle arance.

Claudia tacque di nuovo, accettando quelle parole come veritiere. Dopo di che alzò lo sguardo dal suo bicchiere, dirigendolo verso la grande portafinestra che dava sugli splendidi spazi aperti della Villa. Si doveva godere di una vista incantevole durante il giorno, si disse Hodgins, impressionato dall'incredibile limpidezza delle gocce d'acqua così simili a lacrime che ne imperlavano le enormi vetrate. Lacrime... Come quelle sul volto arrossato di Violet dopo averlo sentito parlare, si rimproverò. O quelle che Gilbert e Dietfried avrebbe dovuto ancora versare, pensando alle rivelazioni scioccanti della Signora Bougainvillea sulla sua salute e il poco tempo che le restava. Per non parlare di quello che aveva saputo su Violet e Dietfried, e ciò che era successo fra loro.

Non sapeva cosa stesse accadendo veramente tra l'uomo e la ragazza, l'unica cosa certa, dopo aver parlato con la Signora, era che Gilbert fosse vivo e al sicuro in quel momento, informazione che quei due ancora non avevano. Avvertì una scossa di rabbia al pensiero di cosa avesse passato Violet in quegli anni, e di come si fosse sentita all'idea che Gilbert fosse sopravvissuto dopo averlo creduto morto a causa sua. Avevano sbagliato a tenerla all'oscuro per così tanto tempo, e a quel modo, per giunta. Hodgins finì di bere, ma prima che potesse anche solo pensare di posare il bicchiere, quattro camionette appartenenti alla marina militare invasero il parcheggio sotto casa a sirene spianate. Gli uomini di Dietfried erano giunti in fretta per arrestare e prendere in custodia il ribelle Gardarik ferito da Violet, così, lasciò la spinosa questione in mano a loro prima di decidere di uscire di nuovo per andarli a cercare.



Violet si fermò un solo secondo a riprendere fiato, sentendo un impeto di rinnovato coraggio quando si sentì nuovamente chiamare, nel silenzio stellato della notte. Riconobbe il Sig.Hodgins in quella voce, ma non era solo: c'erano altri cinque uomini con lui, tutti appartenenti alla Marina.

"Violet, grazie al cielo! Stai bene? Sei ferita?", le domandò premurosamente Claudia.

"Sì, io... io sto' bene... Il Maggiore piuttosto, avete notizie?", chiese prontamente Violet.

"Certo, devi sapere che Gilbert è salvo! Si trova in città adesso, al sicuro in una delle celle di detenzione dell'Ammiragliato...", la rasserenerò Hodgins.

"In arresto? Il Maggiore, ma come è possibile?", volle sapere Violet, piena di sconcerto.

"Questo dovresti chiederlo a Dietfried non credi? A proposito, dove si trova il Capitano ora?", replicò Claudia alla fine.

"Al vecchio pontile, a circa un chilometro e mezzo... Era esausto, e non è riuscito a seguirmi...", gli rivelò Violet.

Uno dei sottufficiali di Marina accorsi ad aiutarli aveva immediatamente fatto cenno agli altri di seguirlo, mettendosi a correre in direzione del lago dopo aver saputo da Violet dove il loro Comandante si trovasse. Mentre scrutava con occhi sempre più increduli il Sig, Hodgins, la giovane si sentì scuotere da un brivido quando lo vide arrivare portato a peso dai suoi uomini. Dietfried aveva mantenuto la parola, trascinandosi a stento lungo quel sentiero fangoso pur di raggiungere lei e il fratello. Una cosa che ci si poteva aspettare solo da lui, realizzò Violet, sapendo quanta determinazione si nascondesse in quell'uomo così adorabilmente irritante e folle. Così lo aspettò, gettandosi letteralmente fra le sue braccia sotto lo sguardo attonito di tutti i presenti, incurante di ciò che loro o il Sig. Hodgins potessero pensare.

"È vivo... Il Maggiore è vivo! E sta' bene...", gli mormorò Violet all'orecchio, poggiandogli istintivamente una mano contro il petto.

"Vedi, che ti avevo detto? Alla fine c'è l'abbiamo fatta a riportarlo a casa!", rispose Dietfried, baciandola istintivamente sul capo e sulla fronte.

Ad Hodgins mancò il fiatò, restando ad osservare quell'incredibile scena come si trattasse dell'opera prima di uno spettacolo teatrale. Da quando aveva ricevuto le fotografie che lo ritraevano in compagnia dello sconosciuto che aveva poi scoperto essere suo fratello, Dietfried non si era più fermato, cntinuando a farli seguire. Senza minimamente aspettarsi un simile epilogo, quei marinai avevano costantemente protetto Gilbert, finendo per arrestarlo e trattenerlo al quartier generale della Marina pur di sottrarlo al pericolo. Nessuno sapeva come i ribelli Gardarik avessero scoperto la sua vera identità, ne come fossero arrivati fino a casa, scambiandolo per Dietfried.

L'unica cosa certa era che senza Dietfried, Gilbert non c'è l'avrebbe mai fatta, constatò.

"Andiamo adesso: lui ci starà aspettando, immagino...", li interruppe Claudia, seppur con estremo imbarazzo.

"Certo! Va' da Gilbert, Violet... Io vi raggiungerò più tardi, dopo aver parlato con mia madre ed essermi fatto medicare.", le promise l'ufficiale.

Annuirono entrambi, e Dietfried si fermò un istante a guardarla dritto negli occhi prima di congedarsi. Lei non capì, ma il messaggio era chiaro. E Claudia gliene diede conferma, spingendo Violet a seguirlo all'Ammiragliato anche senza di lui. Dunque, era così che quell'idiota intendeva rimediare? Mentendole, per poi sparire dalla sua vita come aveva già fatto il fratello? L'avrebbero scoperto presto, si disse Hodgins, mettendo in moto la macchina mentre Violet saliva a bordo con gli abiti sporchi e pieni di fango.

"Sei pronta?", volle assicurarsi l'uomo prima di partire.

"Sì, prontissima!", si sentì rispondere.


 

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Capitolo 10
*** Di nuovo insieme. ***


Cap.10

Di nuovo insieme.

 

"Non lo permetterò... Non lascerò che tu muoia!"

L'eco di quelle parole, ancora risuonava. Violet gliele aveva gridate alla fine di quel combattimento, dopo avergli afferrato la giubba addirittura con i denti pur di strapparlo alla morte.

Era arrivata a farlo dopo che Gilbert era stato colpito prima all'occhio e poi al fianco, beccandosi la prima fucilata che le aveva amputato di netto il braccio destro. Non aveva pensato ad altro che a salvarlo anche dopo, quando in seguito allo scoppio di una granata erano riusciti a fuggire nascondendosi lungo una scalinata all'interno del complesso. Era lì che aveva finito per perdere l'unico braccio che le restava, cadendo in ginocchio in una pozza di sangue proprio davanti a lui. Erano passati anni da allora, ma quando ci pensava Violet poteva ancora sentirne l'odore ferroso, mentre ciò che non riusciva proprio a richiamare alla mente - stranamente - era il dolore che il suo corpo spezzato doveva aver provato in quel momento.

L'unica consapevolezza era che avrebbe continuato a lottare, se lui non avesse deciso di arrendersi costringendola a fermarsi.

"Basta Violet, ti prego smettila! Fermati... Tu, tu devi vivere... Devi essere libera... lo penso davvero... Dal profondo del mio cuore io, ti amo...", gli aveva risposto Gilbert prima di scomparire.

Non ricordava di essersi arrabbiata per quelle parole, forse, solo d'aver pensato quanto fosse stato inutile sprecare le ultime forze che gli restavano per farle quell'assurda dichiarazione.

"Tu, mi ami? Ma che cos'è l'amore... Cos'è? Che significa? Io, non capisco... Non lo capisco... Non riesco a capirlo!", aveva ribadito lei, qualche attimo prima di svenire e perdere tutto.

Violet rimembrava quel frangente con estrema vividezza, come il giorno in cui era tornata alla fortezza abbandonata per cercare qualcosa di lui fra le macerie. Era lì che l'avevano trovata, alla fine di quella stessa scala, o meglio, di quei pochi gradini che erano riusciti a fare prima che tutto crollasse. Le era rimasto solo quello di lui, il ricordo di quei giorni terribili e quella confessione: qualcosa di cui non avrebbe mai compreso il significato se non fosse stato per il suo percorso di Bambola di scrittura automatica. Cosa avrebbe potuto saperne altrimenti una come lei dell'amore? Ma soprattutto, come avrebbe potuto sentirlo per qualcuno se non l'aveva mai provato ne ricevuto prima? Era questo che Gilbert aveva voluto per lei, che conoscesse l'amore provandolo attraverso le emozioni delle persone che avrebbe aiutato attraverso le sue lettere?

Claudia le aveva già spiegato che la decisione di affidargliela era stata maturata da Gilbert già prima di quell'ultima battaglia, dicendole che nel cuore del giovane c'era sempre stato il desiderio di liberarla. Gilbert avrebbe desiderato vederla crescere, maturando nell'abbraccio di una famiglia piena d'amore non su un campo di battaglia. Ma non era esattamente così che era andata: lei era cresciuta, sì, ed era maturata, certo, ma fra le lacrime e la solitudine più nera. Così accecata dal dolore e dal senso di colpa da non riuscire a cogliere il minimo affetto nei gesti delle persone da cui era circondata. Legata così visceralmente a quei tragici eventi da pensare di non poter andare avanti senza l'ordine diretto di un suo superiore. Non aveva avuto il coraggio di dirlo apertamente, ma ancora faticava a digerire le conseguenze di quel sacrificio, se non altro per l'atroce sofferenza che quella scelta aveva provocato in Dietfried e nella Signora Bougainvillea.

"Stai tremando, Violet... Sicura di non voler fare un bagno caldo e cambiarti, prima di vederlo?", le domandò Claudia durante il tragitto.

"No, non adesso, voglio andare dal Maggiore prima", rispose Violet con lo sguardo e le mani fisse in grembo.

"Mi spiace di averti mentito: se Gilbert non avesse insistito a mantenere il segreto, io...", cercò di scusarsi Hodgins prima di essere bruscamente interrotto.

"Non importa, non più. L'unica cosa che voglio è vederlo, solo questo.", tagliò corto Violet, nuovamente turbata.

"Certo, ma devo avvertirti: lo troverai molto cambiato...", aggiunse Claudia con un sospiro ansioso.

"Immagino, però, anch'io non sono più la stessa. Insomma, non se ne andrà di nuovo, vero? Mi ha osservata per tutto questo tempo, giusto? Glielo dirà? gli dirà cosa ho imparato, non è così?", continuò Violet, tornando a guardarlo con gli occhi pieni di lacrime.

"Gilbert è già al corrente di tutto, perciò, sta' tranquilla! Andrà bene, vedrai", l'aveva rassicurata Hodgins.

Dopo un primo cenno di entusiasmo, Violet sembrava essersi di nuovo chiusa in se stessa, stretta come a difendersi nella coperta che gli uomini di Dietfried le avevano gentilmente offerto per scaldarsi. Avrebbe voluto capire meglio il suo stato d'animo, ma a quel punto, gli era pressoché impossibile. Come l'inimmaginabile scena che gli sovvenne alla mente, pensando a Dietfried che l'abbracciava e la baciava, mentre lei lo ricambiava facendo lo stesso. Com'era stato possibile? Hodgins se lo domandava sin da quando l'aveva saputo, soprattutto dopo averla vista piangere e disperarsi solo per quell'unica persona. Quei quattro anni erano stati davvero duri, lunghi e difficili da passare, perciò non poteva biasimarla per aver cercato in Dietfried un po' di comprensione e di calore umano: ma arrivare a provare qualcosa per lui, addirittura quello...

Storse il naso al pensiero che l'uomo l'avesse circuita apposta, anche se, tenendo conto delle sue ragioni, a quel punto non avrebbe condannato nemmeno lui. Era evidente che fosse riuscito a perdonare Violet e guardare avanti, cosa che in un altro frangente l'avrebbe reso immensamente felice se non fosse stato per il delicato momento che stavano affrontando. Perché era Gilbert il problema adesso, non potendo fare a meno di chiedersi come avrebbe reagito alla notizia di ciò che era accaduto fra il fratello e la ragazza che amava.

Giunsero all'Ammiragliato che non era ancora giorno e quando l'auto rallentò, fermandosi del tutto davanti agli ingressi principali, Violet scese, lasciandosi alle spalle sia lui che la coperta. Malgrado fosse entrata quasi di prepotenza nessuno poté o volle fermarla, certamente a causa degli ordini ricevuti da Dietfried che li autorizzavano a raggiungere Gilbert senza alcun tipo di veto o di controllo, pensò Claudia. Hodgins era come sempre stupito, continuando a seguirla a poca distanza mentre venivano scortati verso gli edifici che ospitavano le prigioni. Percorsero un ultimo tratto all'esterno, e mentre proseguivano verso la sala d'aspetto riservata ai famigliari dei detenuti arrivò l'alba. Si prospettava un'umida ed assolata giornata di fine maggio, concludette Claudia, fermandosi ad ammirare il cielo terso e azzurrissimo prima di entrare.




"Prego Colonnello Bougainvillea, da questa parte...", lo invitò a seguirlo uno dei sottufficiali addetti alla sua sorveglianza.

Sì, grazie.", aveva risposto Gilbert, alzando lo sguardo verso le due persone che lo attendevano dalla parte opposta della stanza.

Non riusciva a credere che Violet fosse così vicina: era stato costretto a guardarla da lontano per così tanto tempo, che proprio non riusciva a crederci. Quante volte aveva combattuto contro il desiderio di chiamarla e di correre da lei? Così tante, da non riuscire più distinguere il sogno dalla realtà. Fatta eccezione per il dolore di non poterlo fare naturalmente, perché quello, e lo ricordava benissimo, quello era stato reale.

Come reale, adesso, era quel momento.

Gilbert si massaggiò nervosamente le tempie pensando a come giustificarsi dopo averle mentito così a lungo: già la immaginava con quel piglio calmo e indecifrabile, a fissarlo mentre lo vedeva avanzare verso di lei come un eroe appena resuscitato dalla morte. Lei, che lo aveva aspettato e ancora lo attendeva, senza minimamente sapere cosa aspettarsi da lui o da quell'incontro. La sua piccola Violet, che lo avrebbe rivisto come lo aveva asciato quattro anni prima: con la stessa espressione stanca e disperata sulla faccia ancora umida di pioggia, sangue e lacrime.

Non era un disertore ne un traditore della patria, tuttavia, quando giunse dalla sua cella nella camera dei colloqui era infreddolito e senza la giacca, con un paio di pantaloni fradici e una camicia strappata addosso.

Non è così che aveva sognato il loro primo incontro, si disse Gilbert, scorgendone la sagoma afflitta e ricurva attraverso le sbarre della porta che li divideva appena. Violet aveva lo sguardo fisso e le mani giunte, tanto era tesa, mentre Claudia la scuoteva dal suo torpore accogliendolo nella camera dei colloqui, salutandolo con una stretta di mano e una pacca sulla spalla. Era stato allora che lei lo aveva guardato, puntando i grandi zaffiri ancora annebbiati dal pianto fissi nei suoi: o meglio, nell'unico occhio buono che gli era rimasto visto che l'altro ormai era andato. Hodgins li aveva lasciati soltanto a quel punto, promettendo ai due giovani di tornare solo dopo aver sbrigato le ultime pratiche per il rilascio sebbene sapessero entrambi che fosse solo una scusa.

L'ora della verità era giunta, si disse Gilbert. Chiedendosi se alla fine lui e Violet sarebbero veramente riusciti a tirare le somme. Restarono a lungo come sospesi, dopo di che, fu lei la prima a parlare.

"Maggiore: è proprio lei?", ebbe la forza di chiedergli Violet, allungando una mano verso di lui per accertarsi che fosse reale.

"Certo, Violet... sono io e sono veramente qui, davanti a te...", le assicurò Gilbert, fermandosi a un passo da lei.

Al suono della sua voce lei tremò, provando un brivido che nulla aveva a che vedere con gli abiti umidi che ancora si teneva addosso. Era davvero lui. Ed era così vicino da riuscire a sentirne il respiro leggermente affannoso e stanco, pensò Violet, decidendo finalmente di toccarlo.

Quando gli carezzò la fronte, sfiorandola appena con la punta delle dita, Gilbert trattenne a mala pena un sospiro, mentre lo guardava trasalire quasi meravigliato al gelo del suo tocco. Avrebbe dovuto fermarsi ma continuò, passando delicatamente dalla tempia alla guancia, finendo per indugiare sulle labbra dischiuse e il mento squadrato. Malgrado la benda e le numerose cicatrici che gli segnavano il viso, Gilbert era sempre lo stesso: con i suoi lineamenti regolari e lo sguardo color smeraldo, il medesimo della pietra incastonata nella sua spilla. Non avrebbe avuto più bisogno di aggrapparsi ad essa per sentirlo di nuovo accanto a sé, si disse. Le sarebbe bastato guardarlo, per farlo pensò, sentendo le lacrime tornare a rigarle il viso.

"É buffo ma, sembra proprio che lei abbia attraversato una tempesta, per arrivare fin qui...", singhiozzò Violet, stringendosi finalmente a lui.

"Credo si possa dire lo stesso di te, a quanto pare...", si limitò a rispondere Gilbert, abbracciandola con la stessa tenerezza di un tempo.

Col viso nascosto nella sua spalla, Violet poté finalmente piangere tutte le sue lacrime. L'interno di una prigione non era certo il luogo ideale per dar sfogo alle proprie emozioni, tuttavia lo fece, cercando fra quegli stracci un lembo di pelle nuda su cui piangere. Gilbert era caldo, e il suo cuore batteva forte e sano, regolare come il ticchettio di un orologio che aveva scandito il tempo passato dal loro addio a quello del loro incontro.

Sembravano essersi lasciati soltanto ieri, ma erano passati anni. Non poteva negare di essere profondamente felice adesso, eppure, Violet capì che oltre quella gioia, nel suo cuore c'era altro. Perché l'ingombrante presenza di Dietfried non se n'era mai andata, e lei sapeva di averlo cercato con lo sguardo, nella speranza che arrivasse come aveva promesso di fare. Avrebbero rimandato le spiegazioni a data da destinarsi, pensò fra sé e sé la giovane, schiacciata dall'enormità dei sentimenti che provava per i due uomini in quel momento. Sarebbe dovuto esistere solo Gilbert per lei, e così avrebbe fatto. Sapendo che dopo anni di lontananza e di assenza avrebbero dovuto ricominciare a conoscersi un passo alla volta, malgrado l'essersi ritrovati fosse già abbastanza.

Sarebbero rimasti allacciati in quell'abbraccio per sempre se Hodgins non li avesse interrotti con la notizia che Gilbert era libero e potevano andare. Avrebbero continuato quella conversazione altrove, aveva sentenziato Claudia, altrettanto commosso, ma non prima di un bagno, qualche ora di riposo e un'abbondante colazione, naturalmente.


 

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Capitolo 11
*** Perdersi e ritrovarsi - Prima parte. ***


Cap 11.

Perdersi e ritrovarsi - Prima parte
.



Una volta nel suo letto, quelle poche ore di riposo si trasformarono in fretta in un lungo pomeriggio di sonno per Violet. Riaprì gli occhi che era quasi sera, trovandosi come stordita a pensare ai cambiamenti avvenuti nella sua vita in quelle poche settimane di assenza. Era tornata mentre alla società postale s'iniziava il lavoro, poco dopo aver salutato Gilbert, che era rientrato al comando centrale dell'esercito per fare rapporto sugli avvenimenti che lo avevano portato a fuggire dall'isola dove si nascondeva per tornare in seno alla sua famiglia.

Violet si fermò a riflettere, spaziando con lo sguardo sui tendaggi nuovi di zecca, il mobilio raffinato e l'elegante scrivania, accanto alla quale qualcuno aveva accuratamente provveduto a sistemare sia la sua valigia che il suo ombrellino. Tutto profumava di fresco e ogni angolo era stato accuratamente pulito e messo in ordine. Notò anche un armadio più grande accanto al suo letto, chiedendosi che fine avesse fatto l'altro. Scoprendolo poi ricolmo di biancheria e abiti di ricambio, alcuni dei quali meno sobri di altri, aveva pensato, anche se tutti sul tono del rosa. Restò per un po' ad ammirare il tutto, godendosi quell'atmosfera famigliare e rassicurante dopo tanto tempo, alzandosi in un secondo momento, per avvicinarsi allo scrittoio. Le era bastato fare un passo in più per accorgersi della presenza di due buste chiuse, una delle quali più grande e voluminosa dell'altra. Vicino a quelle che parevano lettere indirizzate proprio a lei, Violet vide anche un fiore di Lisianthus blu, graziosamente fermato da un delizioso nastrino giallo. Si sentì mancare quando decise di aspirarne il profumo dolce e delicato, immaginando subito chi fosse il mandante di quel messaggio.

Soltanto un uomo sarebbe stato capace di un gesto tanto eclatante usando proprio quel fiore per chiederle perdono: solo lui, Dietfried.

"Sei sveglia, finalmente! Ma guardati, hai di nuovo i capelli arruffati e in disordine: è un miracolo che dopo tutta quell'acqua non ti sia presa un malanno!", esordì chiassosamente Cattleya, facendo letteralmente irruzione nella sua stanza con un vassoio stracolmo di biscotti al burro e tè al gelsomino.

"Dove sono finiti i miei vecchi vestiti, e i mobili? È tutto così diverso, adesso...", volle sapere Violet, sentendosi improvvisamente smarrita.

"Nel vecchio magazzino, direi... Sai, il presidente non era d'accordo a far sparire tutte le tue vecchie cose dalla stanza, ma quando quel pomposo del Capitano Bougainvillea si è offerto di arredarla dandogli della locusta, Hodgins non ha resistito... Sai come sono fatti gli uomini, no? Sempre pronti a competere fra loro su chi ha l'ego più grosso, per usare un eufemismo...", continuò la donna, soffermandosi un attimo a guardarla.

Violet era ancora profondamente triste, al punto da non sembrare vero. Avrebbe dovuto sprizzare gioia da tutti i pori dopo il ritorno di Gilbert, ma più la osservava, più non sembrava così. Che le stava succedendo? Alla luce di ciò che aveva saputo da Claudia, la donna sorrise bonariamente, aiutandola a sedersi sul letto per poterle pettinare i capelli prima che facesse colazione. Aveva una mezza idea di come la giovane si potesse sentire, e decise di indagare, seppur con le dovute precauzioni del caso.

"È stata dura, eh? Tutte queste emozioni e tutte in una volta, per giunta! Non oso immaginare come ti sia sentita dopo aver rivisto il Maggiore in quella prigione... Dev'essere stato scioccante, no?", gettò l'esca Cattleya, iniziando a intrecciarle i capelli per aiutarla a realizzare la solita acconciatura.

"Sì, ma sono ugualmente molto felice, anche se mi sento così... Così...", sospirò Violet, incapace di trovare le parole giuste per spiegare veramente ciò che provava.

"Così delusa e piena di rabbia, Violet? C'è l'hai col Maggiore per averti mentito, ma non sai come dirglielo per paura di ferirlo? È questo che vuoi dire? So' quanto ti sia mancato, ma a questo punto penso che dovresti essere del tutto sincera con lui!", azzardò Cattleya.

"Non è così, non sono affatto arrabbiata... io...", sbottò la giovane, provandole chiaramente il contrario.

"Sicura? Certo, aveva delle buone intenzioni, tuttavia il Maggiore ha scelto cosa fosse meglio per te senza nemmeno consultarti: al tuo posto, sarei arrabbiatissima con lui!", rincarò la dose Cattleya.

Nonostante tutte le lettere che aveva scritto, imparando il valore delle emozioni e della parola ti amo, Violet non avrebbe saputo come esprimere i suoi veri sentimenti in quel momento. Ma non era rabbia quella che sentiva, ne era certa.

"Ho paura che se dicessi la verità al Maggiore, lui potrebbe anche decidere di non restare... ", ammise Violet, tremando.

Cattleya aggrottò la fronte, di solito Violet aveva un controllo d'acciaio sulle proprie emozioni, ma ora percepiva una falla. Persino quella lega temprata era stata portata al limite della sua resistenza, quindi Claudia aveva ragione quando diceva che fra lei e il Capitano Bougainvillea era accaduto qualcosa di più di un semplice abbraccio e uno stupido bacio. Anche se aveva passato la notte più traumatica della sua vita, Violet era ancora troppo confusa e pallida per i suoi gusti; solo un mese prima si sarebbe gettata fra le braccia di Gilbert senza battere ciglio, mentre ora... Era senza dubbio successo qualcos'altro tra loro, e lei continuava a tenerlo segregato dentro di sé come aveva fatto tante altre volte in passato.

"Gilbert è tornato per restare, ne sono certa! Perciò aprigli il tuo cuore e digli tutto quel che senti, o questi sentimenti negativi finiranno sicuramente per schiacciarvi entrambi, Violet...", le consigliò Cattleya.

"E cosa dovrei dirgli di preciso, sai dirmelo? Che anche adesso, malgrado il suo ritorno, l'unica cosa che vorrei è correre dal fratello per dimenticare tutto? E questo che dovrei confessare al Maggiore, eh? Che il suo sacrificio e il suo amore potrebbero non valere il dolore che mi ha causato? Non posso farlo, Cattleya! Mi odierebbe per questo, lo so'...", reagì Violet, piangendo.

"Eccome, invece! Tutto mia cara, tranne una cosa, però... Perché sono stati proprio quell'amore, quel sacrificio e quel dolore ha fare di te la persona che sei oggi Violet, e Gilbert non potrebbe mai odiarti per questo... Su', ora basta con le lacrime: il tuo adorato Maggiore è giù che ti aspetta! Scegliamo qualcosa di adeguato da mettere, vuoi?", aggiunse saggiamente Cattleya, asciugandole il viso col suo solito fare materno e gentile.

"Non sono proprio il mio genere, ma in mancanza d'altro...", sospirò Violet, dando un occhiata sfuggente all'armadio pieno d'abiti che le aveva regalato Dietfried.






"Prendi, fammi compagnia, straniero!", lo invitò a bere Hodgins, scolandosi davanti ai suoi occhi increduli più di un bicchiere di vino.

"Grazie, ma passo... Ad ogni modo dovresti iniziare ad andarci piano anche tu Claudia, non sei più un ragazzino!", lo ammonì Gilbert, sfoggiando gli scintillanti gradi da Colonnello sulla divisa pulita, stirata e in ordine.

"Parla per te, pivello! A differenza tua, io lo reggo ancora benissimo!", si vantò Hodgins, ridendosela sfacciatamente di gusto.

Claudia notò che l'amico aveva un altro aspetto adesso, sebbene fosse palese che si stesse ancora nascondendo dietro l'uniforme che indossava. Come Violet, Gilbert aveva un'espressione triste e sconsolata in faccia, quasi fosse evidente che le cose non fossero andate esattamente come entrambi si aspettavano. La giovane non era mai stata brava a fingere, ed era palese che sotto quell'apparente felicità, nell'animo della ragazza si nascondesse qualcosaltro.

"Violet era distrutta l'altra sera: dev'essere stato terribile per lei scoprire la verità a quel modo... ", disse Gilbert dopo un breve silenzio.

"Sì, e quel che è successo con tuo fratello ha peggiorato le cose!", sbottò Hodgins in evidentemente stato d'alterazione.

"No, credo che le abbia fatte solo venire a galla, Claudia! Dopo tutto, non è quello che speravamo per lei: che dimenticasse il passato e si rifacesse una vita?", reiterò Gilbert, dirigendo lo sguardo preoccupato e stanco verso l'ingresso dell'ufficio.

Hodgins intuì qualcosa nel suo repentino cambiamento di umore: Gilbert aveva avvertito un rumore provenire dall'esterno, sentendo qualcuno avvicinarsi. Claudia sbuffò, passandosi nervosamente una mano fra i capelli color cremisi: quelle voci chiassose non potevano che appartenere alle ragazze che accompagnavano Violet, pensò, cercando di darsi un minimo di contegno in vista di incontrare la compagna dopo aver bevuto così tanto.

"Scusate l'attesa, ma la nostra Violet non sapeva proprio cosa indossare oggi!", si giustificò Cattleya, entrando nel grande ufficio di Hodgins con Violet sotto braccio.

"Non importa, ne è valsa la pena visto il risultato: sei davvero bellissima, Violet...", rispose Gilbert, guardandola con ammirazione.

"Grazie, Maggiore! Anche se penso che il merito vada tutto al vestito...", replicò invece Violet, abbassando lo sguardo.

Fino a quel momento, Gilbert non si era mai veramente reso conto di quanto Violet fosse cambiata in quegli anni. Al posto dell'acerba ragazzina che aveva cresciuto, c'era una donna adesso. Una donna vera, avvolta in un vaporoso abito di seta che le scopriva le spalle e le disegnava le forme, mettendone in risalto i seni voluttuosi e la vita sottile. Dov'era finita quella bambina fragile e impaurita che si aggrappava a lui mentre la portava via dalla sua casa? Ricordava perfettamente come le sue piccole dita si stringessero alla sua uniforme con fermezza, come a dirgli che non l'avrebbe più lasciata. Gilbert sentì le emozioni che aveva vissuto in passato esplodergli nel petto, mentre le sentiva sovrapporsi a ciò che provava ora. Quand'era germogliata in lui quella sensazione? Non aveva idea di cosa avesse fatto scattare il grilletto. Se gli fosse mai stato chiesto cosa gli piaceva di lei, non sarebbe stato in grado di esprimerlo adeguatamente a parole.

Prima ancora di sapere cosa provasse, si era sentito felice ogni volta che lei lo chiamava. Aveva desiderato proteggerla sin dal principio e persino ora, Gilbert sentiva il cuore pulsargli nel petto con immutata devozione. Ma più la guardava, più Violet sembrava diversa, come se dalle sue labbra uscissero solo parole che pensava gli fossero gradite. Lui era stato il suo tutto, mentre adesso sentiva che si era creata una distanza fra loro: un muro sottile fatto di menzogne e verità non dette che rischiava di separarli per sempre se non fosse corso ai ripari.

"Bene, penso che la nostra auto ci aspetti! Vieni Violet, dobbiamo andare...", disse poi Gilbert, invitandola a seguirlo.

"Certo, Mag... Volevo dire, Colonnello...", si corresse Violet, accettando quella richiesta più come un ordine che non un invito.

"Riportala a casa sana e salva, ma soprattutto a un orario decente. Violet deve riposare per svolgere al meglio il suo lavoro di domani, perciò niente ore piccole o sciocchezze simili, siamo intesi?", si raccomandò Hodgins con aria pensierosa.

"La riporterò a casa prima che rintocchi la mezzanotte paparino, fidati!", volle tranquillizzarlo scherzando Gilbert, prima di rimettersi l'elegante cappotto e accompagnare Violet fuori dalla stanza con sé.

Dal canto suo, Violet aveva annuito tutto il tempo, evitato di guardare il Sig.Hodgins negli occhi anche in quel frangente. Gilbert sembrava avere fretta di parlarle in privato, e dopo tutto quel tempo era normale che desiderasse farlo malgrado fosse evidente che lei non riuscisse più a nascondere il turbamento che provava.





Solo all'esterno della società postale Violet tornò finalmente a respirare, sentendosi improvvisamente toccare la pelle da una dolce brezza sospirante dal mare. Nonostante fosse in compagnia di Gilbert, quel profumo di salsedine la portò a pensare a Dietfried e a chiedersi come stesse, dove fosse e quando l'avrebbe rivisto. Era da quando l'aveva lasciato alla villa che non aveva sue notizie, e la cosa, già iniziava a infastidirla. Cattleya aveva ragione, dopo tutte quelle menzogne aveva iniziato a provare un sentimento molto simile alla rabbia verso chi l'aveva ingannata.

Era un misto di amarezza e risentimento quello che sentiva, oltre alla delusione. Conosceva benissimo le loro motivazioni, tuttavia, Violet non si sarebbe aspettata niente di simile né dal Sig.Hodgins né da Gilbert. Per non parlare di Dietfried, che aveva infranto la promessa di raggiungerla all'Ammiragliato dopo quella notte di confronto senza darle nessuna spiegazione. Era stanca di essere manipolata da tutti, anche se più di chiunque ne comprendeva le ragioni.

"Sei pensierosa: c'è forse qualcosa che non va'?", le chiese Gilbert, tendendole la mano per aiutarla a salire accanto a lui in macchina.

"Sì, io, in realtà mi chiedevo se non fosse rischioso andarcene in giro dopo quello che è successo alla villa...", volle sapere Violet.

"È comprensibile, ma non abbiamo più nulla da temere, credimi. So' per certo che i rivoluzionari Gardarik che vi hanno aggredito sono stati tutti arrestati, Violet...", le mise al corrente Gilbert.

"Così, era questo il suo lavoro? Per quattro anni non ha fatto altro che dare la caccia a terroristi, ribelli e antipacifisti?", gli domandò Violet.

"Fra le altre cose... Una volta sgominai anche una banda di trafficanti d'armi qui a Leiden: fu il giorno in cui persi per la prima volta uno dei miei uomini! Me la vidi brutta, sai? Dovetti scappare da un edificio in fiamme anche se per fortuna sapevo dove rifugiarmi, così, mi infilai in casa di Hodgins. Poveretto, ricordo che gli venne un colpo quando mi trovò...", aggiunse lui, sdrammatizzando di proposito pur continuando ad osservare ogni sua espressione o reazione corporea.

"La smetta! Lo trova divertente? Non le ho mai chiesto di fare questo per me, ne di mettere in pericolo la sua vita giorno dopo giorno... Come crede che mi senta, eh? Non aveva il diritto di sparire senza dire una parola, non dopo quello che abbiamo condiviso in guerra! Ha idea di come mi sia sentita, o di cosa abbia passato?", riuscì finalmente a dire Violet.

"Sì, che c'è l'ho... Ti ho guardata soffrire per quattro lunghi anni, e ti assicuro che ho fatto altrettanto! Non so' se ne avevo il diritto ma, certamente, avevo più di una ragione per farlo... Soprattutto pensando che al posto di quell'uomo morto in missione ci saresti potuta essere tu, Violet... A dirla tutta, ognuno di loro saresti potuta essere tu!", le sbatté in faccia il giovane, guardandola per la prima volta con severità.

"Maggiore: ho forse fallito in qualche cosa? Sta' dicendo che non sarei più stata in grado di proteggerla dopo aver perso le braccia in combattimento?", andò dritta al punto Violet.

"Sto' dicendo che quegli uomini, sapevano cosa stavano facendo quando hanno deciso di lavorare per il governo... Hanno fatto una scelta, scelta che tu, in quanto mia arma non avresti mai potuto fare! Avresti continuato a uccidere se non ti avessi dato un'alternativa, e non per un ideale come la giustizia o la pace ma per me, e io non lo potevo permettere, Violet... Non più, non di nuovo!", reagì Gilbert.

Gilbert avrebbe voluto gridare, probabilmente avrebbe voluto farlo sin da bambino se gli fosse stato permesso. Se gli fosse stata concessa quella libertà l'avrebbe fatto, senza doversi preoccupare di essere ben educato o di far vergognare la sua famiglia. La verità era che aveva sempre desiderato farlo, ma aveva taciuto, costretto dalle convenzioni del suo status e dal nome che purtroppo ancora si portava addosso.

"La prego, mi faccia scendere... Fermi la macchina!", gli intimò Violet scossa dal bisogno di scappare.

"No, adesso mi starai a sentire!", le rispose Gilbert.

"Non posso...", si ribellò lei, cercando di aprire lo sportello dell'auto in corsa per mettere fine a quel doloroso supplizio.

"Ti amavo, Violet! Ti amo, ancora... Avrei voluto dirtelo in modo più appropriato a parole, ma non sono mai riuscito a farlo... Violet io, amavo ogni cosa di te, a cominciare dal tuo modo di guardarmi... Amavo il modo in cui i tuoi azzurri si spalancavano su ogni cosa che scoprivi quando imparavi qualcosa di nuovo: fiori, arcobaleni, insetti, la neve e le foglie cadute, quelle città piene di lanterne tremanti che si accendevano come lucciole ai primi sentori della notte... Avrei voluto mostrarteli sotto una luce diversa, perché volevo che potessi apprezzare liberamente la vita, anche se non riuscivo a immaginare come avresti vissuto senza di me. Ciò nonostante, sapevo che se fossi rimasto non saresti mai stata in grado di riuscirci a causa mia. So' che ritieni il mio comportamento sbagliato ma, per quanto tu abbia sofferto, non potevo trascinarti di nuovo all'inferno con me Violet, proprio non potevo...", aveva cercato di spiegarle Gilbert, in modo che le fosse più chiaro possibile.

"Avrebbe dovuto dirmelo, invece! Nonostante i miei progressi, tutti i miei viaggi e quello che ho imparato, ha lasciato che credessi di averla persa... In qualsiasi istante io... io... avrei potuto...", rispose Violet, soffocando un singhiozzo.

"Avresti potuto cosa, Violet? Mi sarei ucciso pur di non perderti! Ed è vero, avrei dovuto dirtelo... Ci sono tante cose che avrei dovuto dirti in realtà, ad esempio che ho protetto questo paese malgrado il suo stile di vita non mi piacesse affatto. Devo confessare che sono più le cose che detesto di quelle che mi piacciono, anche se voglio molto bene al mio migliore amico e alla mia famiglia inevitabilmente contorta... La mia vita consisteva e consiste tutt'ora solo in questo, proteggere e mantenere in vita le persone che amo, Violet... Tu, al di sopra di ogni altro!", ammise Gilbert altrettanto scosso.

Violet senti un profondo e doloroso bruciore ostruirle la gola, tuttavia non riuscì a reprimersi, supplicandolo di raccontarle tutto quello che era successo dopo la battaglia per capire meglio come fossero andate veramente le cose. Aveva bisogno di sapere perché anche lei lo aveva amato: Gilbert era stato l'epicentro del suo mondo dacché lo aveva incontrato a che lo aveva perso, un mondo che rischiava di andare in frantumi se non avesse saputo cosa fosse realmente successo il giorno della sua scomparsa.

"Lo farò, ma ora scendiamo: ho voglia di camminare!", le promise Gilbert, prima di ordinare al suo autista di fermare la macchina.
 

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Capitolo 12
*** Perdersi e ritrovarsi - Seconda parte. ***


 
L'auto di rappresentanza fornita dall'esercito, si era fermata in un vecchissimo sobborgo di Leiden, dove le vie erano ancora illuminate a gas. Violet non ricordava di esserci stata nemmeno per consegnare la posta, ma era lì che Gilbert aveva vissuto ogni volta che tornava in città.

Aveva fatto la spola dall'isola dove si nascondeva abitualmente a quel quartiere, dove le strade fatte di ciottoli logorati dal tempo e dall'intenso calpestio dei carri, si intersecavano fra loro creando labirintici vicoli fra le case fatiscenti. Viuzze talmente strette e buie da sembrare infinite a un forestiero o un visitatore inesperto: il luogo ideale dove far perdere le proprie tracce in caso di pericolo. Inquietante e tenebroso, ben lontano dalle grandi vie illuminate e piene di negozi del centro o della più modesta ma ugualmente ricca periferia, anche se, per per molti versi, stranamente familiare.

Violet sentì un brivido percorrerle la schiena scoperta, portandola a stringersi più forte a Gilbert che, per tutta risposta, si tolse premurosamente il cappotto per metterglielo sulle spalle.

"Hai freddo?", le chiese Gilbert.

"No, non più.", rispose Violet, inalando il suo odore dal tessuto.

"Meglio così: vieni, ancora due passi e siamo arrivati.", l'avvertì lui.

Violet alzò lo sguardo lucido e carico d'emozione, ritrovandosi davanti uno spettacolare luccichio di lanterne colorate. Ci aveva messo un attimo a mettere a fuoco, accorgendosi quasi subito di quanto quei colori inondassero di luce l'incredibile piazzale al centro del quartiere. Ma ciò che più la sorprese fu la presenza di tantissime bancarelle, per non parlare del profumo dei dolci e del pane appena sfornato che aleggiava nell'aria solleticando l'immaginazione e l'appetito. Violet si soffermò ad ammirare tutto il contesto, provando un'emozione fortissima mentre faceva attenzione allo strano abbigliamento della tanta gente che a quell'ora ancora riempiva le strade. Fu un attimo, ma quando realizzò che quel particolare modo di vestire apparteneva senza ombra di dubbio agli abitanti di Intens - città che durante la guerra era stata liberata dopo tre anni di assedio da parte dell'impero Gardarik - ebbe un tuffo al cuore.

A quel punto i ricordi si fecero improvvisamente più intensi e vividi, ritornando al giorno in cui lei e il Maggiore avevano passeggiato lungo le vie di quel luogo lontano. Violet s'avvicinò a una di quelle bancarelle trattenendo il respiro, sentendo una lacrima scivolarle spontaneamente lungo il viso mentre il cuore le sobbalzava nel petto. Non avrebbe saputo dire se fosse lo stesso banchetto dove aveva comprato la sua amata spilla di smeraldo; nemmeno l'anziana venditrice pareva la stessa, eppure, tutto intorno a lei le rimembrava quel momento. Violet s'intenerì pensando a quell'ufficiale e a quella bambina soldato: le persone che erano state, quando lui era ancora il suo superiore e lei la sua arma, non esistevano più.

La ragazzina di allora non avrebbe mai compreso lo strazio dell'uomo che la precedeva lungo quella strada affollata di persone. Quella sera Gilbert si era fermato molte volte ad aspettarla, voltandosi spesso verso di lei per accertarsi che fosse ancora lì, a qualche passo da lui. Quella Violet non si sarebbe mai allontanata, non avrebbe mai e poi mai lasciato il suo Maggiore sebbene solo adesso capisse perché, nonostante la sua posizione di netta superiorità, lui si voltasse a cercarla. Le bastava fissarlo nell'unico occhio che gli era rimasto per rivedere lo stesso imbarazzo: la vergogna che Gilbert aveva provato per se stesso era identica al dolore che leggeva ora nel suo sguardo. Un dolore che voleva uscire ma restava intrappolato come era un grido soffocato, ricacciato a forza nella gola. Un suono inudibile, come la verità che Gilbert aveva custodito così a lungo in fondo al cuore, da sentirla pungere nel petto. Straziante, come gli artigli di una bestia che raschiava le profondità della sua anima per uscire.

Durante quegli anni Violet aveva sognato spesso quell'episodio, solo che nei suoi incubi, lui scompariva sempre tra la folla. La perdita e l'assoluta ignoranza del come o del perché, nella ricerca incessante e il continuo domandarsi dove fosse, se stesse soffrendo o fosse infelice, era stata questa la sua condanna. Il sentimento angoscioso che l'aveva accompagnata ogni giorno al risveglio, dopo infinite notti passate a piangere non desiderando altro che la morte, questo l'aveva sfinita. Si era sentita la ragazza più sola che esistesse al mondo oltre che la più miserabile e colpevole, ecco cosa aveva provato.

E Gilbert? Sentiva lo stesso quando la guardava? Fino a che punto si era sentito colpevole? Credeva davvero di aver toccato il fondo regalandole quella spilla in cambio del suo impegno sul campo di battaglia? Violet aveva scelto quel gioiello solo perché le ricordava il colore dei suoi occhi, non l'aveva mai considerata un premio, ma un modo come un altro per sentirlo più vicino a sé, anche se del tutto inconsapevolmente. Che ci credesse o meno, era stato lui a salvarla dandole uno scopo per cui vivere, non il contrario. Al di là di tutto il dolore, la solitudine e la sofferenza di quegli anni, Violet comprese che era quella la sola e unica cosa veramente importante.

Anche se, costringendola a vivere senza di lui, Gilbert stesso aveva aperto la porta che alla fine lei aveva oltrepassato. A quel pensiero Violet sentì tutti i sentimenti negativi che aveva accumulato durante gli anni dissolversi, sparendo in un attimo alla vista di un bracciale d'argento in cui era incastonata una piccolissima pietra azzurra. Era un gioiello prettamente maschile, quello? Non avrebbe saputo dirlo, ma non ci pensò due volte a comprarlo. Aveva portato con amore e orgoglio la sua spilla: baciandola ogni notte, riversando in essa tutti i suoi pensieri, i desideri e le speranze, bagnandola sempre di lacrime prima di dormire. Gilbert l'aveva resa libera in tutti i modi possibili, adesso lo sapeva. L'aveva fatto senza aspettarsi nulla in cambio, a costo di perderla per sempre pur di saperla felice. Come poteva avercela con lui, per questo?

"Le ho preso un pensiero, spero non le dispiaccia...", l'avvisò Violet.

"Affatto, sapevo che ti sarebbe piaciuto fare acquisti in questo posto: fammi dare un'occhiata, dai, sono curioso...", accettò lui con entusiasmo.

"Allora allunghi il braccio, Mag... Volevo dire, Colonnello.", si corresse immediatamente Violet.

"Violet, tu? Ti ringrazio, ma non avresti dovuto...", reagì Gilbert, incupendosi non appena Violet gli allacciò il bracciale al polso.

"Sì, invece. Ho sempre desiderato farlo, perciò lo accetti, la prego...", insistette Violet, sentendosi nuovamente riempire il cuore d'affetto e gratitudine.

Il passato era il passato, bisognava lasciarselo alle spalle per ricominciare a vivere: era stato lui a insegnarglielo. Nel presente, il passato aveva smesso di esistere ed avere un senso, come ciò che erano stati e le cose che avevano fatto; forse non lo ricordava, ma era stato proprio lui a dirglielo. Non si poteva cambiare ciò che era stato, quelle esperienze avevano costruito le persone che erano oggi, rinnegarle non sarebbe servito. L'unica cosa che potevano fare adesso era andare avanti. Non potevano far altro che proseguire aveva concluso Violet, pur chiedendosi dove l'avrebbe portata quella nuova avventura.

Alla fine Gilbert aveva accettato e sorriso, un mezzo sorriso in realtà, ma il calore con cui lo fece fu più che sufficiente a commuoverla. L'indicibile dolcezza nello sguardo di lui - più magro e longilineo del fratello, ma altrettanto aitante - cozzava con la sua immagine ferita e claudicante di adesso. Tuttavia, malgrado avesse il viso segnato dalle cicatrici e il corpo traumatizzato dalla guerra, l'uomo di fronte a lei non aveva perso la sua incredibile bellezza. Era ancora giovane e attraente, oltre che la persona migliore che avesse mai incontrato in tutta la sua vita, eppure, la consapevolezza della loro vicinanza fisica non la turbava affatto. Gilbert non la faceva sentire confusa e a disagio come Dietfried, doveva ammetterlo, anche se al momento poco importava. Una volta chiarito con Gilbert sarebbe andata sicuramente a cercarlo, si disse, stringendosi nuovamente al braccio del suo elegante cavaliere.

Violet notò che anche Gilbert s'era finalmente rasserenato, malgrado sulle prime avesse reagito con tristezza alla vista di quel regalo. Non sapeva che tipo di pensieri avesse ispirato in lui con quel gesto né perché l'avesse turbato, tuttavia, dopo aver così faticosamente raggiunto una sorta di pace e d'accettazione non ebbe il coraggio di chiederglielo. La serata non era ancora conclusa, così decisero di visitare la dimessa abitazione che Gilbert aveva usato durante le sue sporadiche missioni a Leiden. Il tetto sarebbe dovuto essere aggiustato e la facciata ridipinta, così come le porte e le finestre. Il vialetto che portava alla casa era pieno di erbacce e radici affioranti, con parecchie buche e pozzanghere piene d'acqua disseminate un po' ovunque. Solo il piccolo giardino era pulito e in ordine, con varie piante di fiori e rose rampicanti che in quel periodo stavano fiorendo. Nonostante tutti i suoi difetti, una volta dentro Violet ebbe modo di apprezzarne almeno l'interno, ch'era caldo ed accogliente malgrado ci fossero appena due stanze. Quel misero alloggio non era niente di fronte alla maestosità della Villa o gli eleganti palazzi dell'alta borghesia dove Gilbert era cresciuto, ma non aveva nessun motivo di vergognarsene vista la sua scelta.

"Prego, accomodati...", la invitò a entrare Gilbert, accendendo subito il fuoco nel camino.

"Sì, grazie... Posso dare una mano?", si offrì lei, vedendolo in difficoltà nell'alzare un grosso ceppo di legna.

"No, resta seduta, ci penso io! Per caso hai fame? Che sciocco: avrei dovuto offrirti la cena, perdonami...", si scusò l'altro, guardando la dispensa semi vuota.

"Mi accontenterò del tè visto che mi sono abbuffata di dolci prima di uscire: non ho molto appetito, davvero...", confessò Violet, arrossendo.

"La nostra cuoca è sempre stata molto brava a prepararli, mia madre ti avrà viziata alla Villa immagino... Mi mancano soprattutto quelle sfoglie di crema e cioccolato che preparava quasi sempre a pranzo la domenica, per non parlare dei suoi fantastici biscotti al burro: davvero ottimi!"; aggiunse Gilbert, mettendo il bollitore sul fuoco.

"L'ha fatto: mi ha trattata come una figlia, e invece di ringraziarla e finire il mio lavoro, sono fuggita..." ammise la giovane, rabbuiandosi in viso.

Una volta respirato l'inebriante profumo del tè appena fatto, Violet si sentì meglio, al punto che ancora immersa nei suoi pensieri addentò uno dei due ricchi e corposi tramezzini che Gilbert aveva preparato, smentendosi. L'uomo si era seduto al tavolo ad osservarla nel frattempo, sorridendo in sottecchi mentre la luce tremolante dell'illuminazione a gas proiettava le loro ombre contro il muro.

"Così, eri alla Villa per conto di mia madre: pensavo fosse Dietfried il tuo cliente... ", esordi Gilbert dopo un breve silenzio.

"Lo credeva anche il direttore, ma non era così... Anche la Signora era al corrente di tutto, vero? L'ho pensato subito guardandola negli occhi quella sera, prima che scappassi... Ad essere sincera, non era la sola. Lo sapevano tutti, anche il Sig.Hodgins e Cattleya, persino le ragazze e i miei colleghi della società postale. Gli unici all'oscuro eravamo io e il Capitano, sebbene solo adesso ne comprenda il motivo.", sbuffò Violet.

"Sono felice di sentirtelo dire, anche se capisco che accettarlo non sia stato facile. So di averti ferita, e mi dispiace Violet, non sai quanto!", aggiunse Gilbert.

"Sì, lei mi ha ferita, e moltissimo! Ma non voglio più pensare al passato, non più, Maggiore... cioè, io... Colonnello... Mi perdoni, le porgo le mie scuse più sincere, ma è difficile per me non chiamarla in quel modo.", riconobbe Violet, scusandosi ancora una volta.

"No, non scusarti. Mi hai chiamato così fin da piccola, perciò, se proprio non riesci ad abituarti, va bene anche Maggiore... Oppure, potresti iniziare a chiamarmi per nome visto che a breve lascerò l'esercito per occuparmi degli affari di famiglia... Mia madre sta morendo, Violet: è stata lei stessa a dirmelo... ", le rivelò Gilbert.

"Avevo ragione quindi, la Signora sapeva tutto... Mi sento sollevata al pensiero che non abbia dovuto soffrire come abbiamo fatto io il Capitano...", si sentì di rispondere Violet, pur sapendo che parlarne, avrebbe potuto ferire entrambi.

Era tardi per recriminare, Dietfried era stato importante per lei. Ciò che avevano provato l'uno per l'altra era stato reale quanto quello che lei e Gilbert avevano condiviso. Violet avrebbe voluto sapere altro, ma si sentì svenire. Aveva bisogno di riposo, ma a quel punto, ciò che voleva di più al mondo era smettere di pensare. C'era una valanga di altri dubbi a turbarla dopo quella confessione, Gilbert era tornato per lei o per la madre? E cosa avrebbe dovuto scrivere Violet nella lettera che la Signora Bougainvillea le aveva commissionato, se il figlio sapeva già tutto sul suo precario stato di salute? La missiva che avrebbe dovuto indirizzare a Gilbert non era mai stata scritta, e Violet comprese che il suo lavoro alla Villa non era finito con la sua partenza, la notte in cui se n'era andata.

"È quasi mezzanotte purtroppo... Penso che dovremmo muoverci se non volgiamo tardare, o Claudia si preoccuperà e verrà a cercarci...", si svincolò Gilbert, alzandosi di scatto dalla sedia quasi preferisse scappare pur di non dover affrontare l'argomento.

Violet avvertì i rintocchi delle campane in lontananza: sarebbero rientrati comunque in ritardo, e Hodgins li avrebbe sgridati lo stesso, pensò, uscendo in fretta dalla casa. Ma non oppose resistenza e lo seguì mestamente fino all'auto, percorrendo a ritroso la stessa identica strada dell'andata. Lei e Gilbert si erano certamente persi, concluse Violet. Anche se quella sera, per un momento aveva chiaramente sentito di averlo ritrovato. Quando c'erano state in gioco le emozioni, niente era stato facile per lei. Anche l'intesa più profonda e il sentimento più puro, potevano essere messi a dura prova di fronte a uno ostacolo, e il loro era senza dubbio il peso del non detto. Violet si era affidata completamente a lui in passato, al Gilbert che conosceva più intimamente di chiunque altro e di cui si fidava. Ma l'uomo gentile e premuroso di allora, quello di cui si era innamorata quando era solo una bambina non c'era veramente più. E sebbene quell'idea non le piacesse, avrebbe dovuto conviverci.




 

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Capitolo 13
*** Fratelli. ***


Cap.13

Fratelli.



Al contrario di ogni sua aspettativa, durante il viaggio di ritorno la compagnia di Gilbert fu più vivace e piacevole rispetto a quella dell'andata. I lunghi silenzi e gli inevitabili imbarazzi sembravano improvvisamente scomparsi nel nulla, malgrado sapessero cosa li attendesse alla società postale in caso di ritardo. Era già l'una di notte, ma non trovarono nessuno a rimproverarli una volta messo piede nell'edificio. Dopo averla accompagnata Gilbert si era congedato con un semplice, ma significativo bacio sulla guancia: d'altronde non era più una bambina, e l'assenza di Hodgins lo provava. Si passò una mano fra i capelli biondi, e si guardò attorno con lo sguardo vacuo: quella serata, per quanto stranamente piacevole, non aveva fatto altro che confermare i suoi dubbi. Si sentiva una stupida a mettere a repentaglio il suo futuro solo perché non riusciva a togliersi un uomo dalla testa. Come aveva fatto cacciarsi in un guaio simile? Non c'era altra spiegazione che quella, alla tempesta emotiva che stava provando mentre si rintanava nell'illusoria sicurezza della propria stanza.

Violet carezzò i mobili nuovi, facendo scorrere le fredde dita d'acciaio sui profili laccati dei legni pregiati che li adornavano, soffermandosi presso la scrivania dove l'attendevano ancora le missive ricevute da Dietfried. Perché le buste erano due, sebbene quella più grande e voluminosa non potesse contenere soltanto una semplice lettera, si disse. Violet prese la più piccola fra le mani, portandosela alle labbra come avrebbe fatto fatto con la sua preziosa spilla, baciandola dolcemente prima di forzarne con ossequiosa riverenza il sigillo che la proteggeva. Era come se quel piccolo cerchio di cera con impresso lo stemma della loro famiglia, custodisse parole e sentimenti da occhi indiscreti. Come se Dietfried avesse deciso di usare quel vecchio metodo di elargire segreti, per dirle che qualunque cosa ci fosse scritta fra quelle righe, apparteneva soltanto a loro.

Violet si spoglio del bellissimo abito che indossava per mettere la semplice camicia da notte che metteva ogni sera per andare a dormire, accomodandosi sul grande letto di ferro battuto e i cuscini ricamati prima di cimentarsi in quella imprevedibile lettura. Lasciando che lo sguardo scivolasse libero e leggero fra le emozioni nascoste in quelle righe, Violet nascose improvvisamente il viso tra le mani. Ma pur restando a lungo con la testa china e le spalle curve, non pianse. Non poteva piangere, no, proprio non poteva...

Leiden, Villa Bougainvillea.
Giovedì, 3 giugno 1922.

Cara Violet,
come comprenderai, oggi mi prendo il tempo di dirti addio con questa lettera, ma anche di rivelarti ciò che ho sentito e provato, incontrandoti. Sono stato fortunato ad averti avuto nella mia vita, anche se per poco, e ringrazio il cielo di avermi dato l'opportunità di starti accanto. Devo dirti grazie, e per più di una ragione, ma anche che, malgrado tu ora sia lontana, è rimasta in me la voglia di abbracciarti, di stringerti e baciarti, come tu mi baciavi. Perché amo, e amavo i tuoi sospiri, mentre lo facevi. Il mio cuore è infranto, perché so' che non vivrò mai più un amore così puro, e penso sia il arrivato il momento di dirti che se avessi potuto, ti avrei dato tutto me stesso. Ti avrei chiamata: amore, ho ancora così tante cose da dirti e lettere da scriverti; frasi che ancora non ho, e che mai scriverò. Ti avrei detto: tesoro, ho ancora così tanti baci per te; baci che mai darò, perché sono solo tuoi. Spero che comprenderai, come solo tu sei stata capace di comprendermi, e di perdonarmi, per questo cuore ricolmo di un affetto che non potrò più dimostrarti.

N.b. Ho però, un ultimo regalo da farti, e spero che lo accetterai.

Nei viaggi e durante le ricerche effettuate nei mari del nord per rintracciare Gilbert, mi sono spinto fino all'isola dove ti trovai il giorno 26 settembre dell'anno 1913. Come immaginerai, dopo l'abbandono da parte degli abitanti a causa dei bombardamenti, non erano rimaste che rovine sull'isola. Ciò non di meno, sono riuscito a trovare qualcosa di significativo tra i resti di quella che, in precedenza, doveva essere una grande casa di pietra. Ho pensato che ti nascondessi lì prima che ti portassi via con la forza, imbarcandoti contro la tua volontà sulla USS Leviathan classe Dévastation, di cui tutt'ora sono il Capitano. Nella busta più grande, che lascio in allegato a questa mia, troverai informazioni più dettagliate riguardo il sito e le famiglie che vi abitavano prima dello scoppio della guerra. All'interno ci sono fotografie e documenti che riportano i nomi e la provenienza di ognuna di loro, tutto quello che ho acquisito e reperito proviene dall'istituto anagrafico della città di Hormgard, capitale del regno di Drossel. Con amore, Dietfried.



Violet si stiracchiò, mettendo i piedi a terra, sentendosi avvolgere da un calore che non aveva mai sentito prima. Ciò che più l'aveva scossa di quella lettera, era stata la parola addio, mentre quelle che più l'avevano emozionata erano state le ultime usate da Dietfried per concluderla. Violet si asciugò le lacrime, fermamente decisa a non permettergli di lasciarla andare solo per compiacere il fratello e impedirgli di soffrire. Avrebbe deciso da sola che strada prendere, si disse, sentendosi tuttavia sopraffare dall'idea di dover iniziare un nuovo viaggio e una nuova ricerca. Perché l'unica cosa che voleva adesso era vedere Dietfried per stringersi a lui, e capire in che direzione l'avrebbe portata la sua vita da quel momento in poi.





Due giorni dopo Dietfried passò tre ore nel suo ufficio di Leiden, prima di rassegnarsi al fatto che non riusciva a concentrarsi su niente che avesse un senso. Per tutta la mattina aveva aggredito chiunque gli fosse capitato a tiro facendo battere in ritirata più di una persona, prima di decidere di lasciar perdere qualsiasi cosa stesse facendo. Spinse via la fila di fogli che gli invadevano la scrivania, spingendoli totalmente di lato; erano tanti, e quasi tutti riguardavano Gilbert e ciò che aveva fatto in quegli ultimi anni agli ordini del governo. Avrebbe dovuto esaminarli per fare rapporto al comando generale della marina visto il suo coinvolgimento, ma non li aveva nemmeno guardati: lavorare era impossibile, ma non aveva nemmeno voglia di uscire o andare in uno dei suoi circoli in cerca di distrazioni visto che non cercava la compagnia di nessuno. Dannazione: l'unica cosa che avrebbe voluto, era stare con Violet. Aveva persino evitato di incontrare Gilbert, per paura di vederla con lui. Ormai era palese: il dolore di saperli di nuovo insieme, era insopportabile quanto l'idea di starle lontano. Imprecò: erano appena le dieci del mattino ed era nel pieno servizio delle sue mansioni per potersi impunemente attaccare alla bottiglia.

Dietfried socchiuse gli occhi verdi, guardandosi allo specchio di sfuggita. Il riflesso rimarcò l'incredibile somiglianza che lo accomunava al fratello più giovane, facendogli distogliere lo sguardo al pensiero di quanto stupidamente avesse gettato via la sua vita in quegli anni. Quattro anni gettati al vento, aveva continuato a ripetersi Dietfried, anche se la colpa di quella situazione non era solo sua. Gilbert si era allontanato da lui proprio a causa del suo radicato egocentrismo: dall'individuo tronfio, arrogante ed egoista ch'era sempre stato, ammise. Aveva vissuto come gli pareva, senza mai badare alle conseguenze, pensando che il denaro avrebbe sempre e comunque aggiustato tutto. In questo, lui e Abelia erano simili: miseri esempi dell'aspetto peggiore della razza umana a cui appartenevano. Lui aveva usato lei per la sua influenza sul padre, e lei aveva usato lui per vantarsi delle conquiste che le permetteva il suo status. L'amara verità era che nessuna somma di denaro avrebbe mai potuto restituirgli il fratello se fosse morto, tanto meno adesso. Niente di ciò che aveva fatto per riaverlo nella sua vita gli aveva restituito il suo amore o la sua stima, si disse Dietfried, carezzando con la punta delle dita una loro foto da bambini.

Lui e Gilbert avevano solo tre anni di differenza, ma sembrava che ci fosse un secolo a dividerli. Potevano somigliarsi come gocce d'acqua, ma non erano uguali. Gilbert era sempre stato più remissivo e calmo, così ligio al dovere e sottomesso al padre, che non aveva mai osato replicare ne ribellarsi a niente prima di incontrare Violet. Si era arruolato nell'esercito proprio per accondiscendere ai desideri della sua famiglia, mentre lui aveva scelto la marina solo per contraddirli. Dietfried chiuse gli occhi sospirando, rilassandosi completamente al ricordo di loro due da piccoli. Non a caso, quella primavera - l'ultima che ricordava essere stata felice - il padre li aveva portati alla grande parata militare che si teneva a Leiden una volta l'anno. Il più grande eroe di guerra a cui Leidenschaftlich avesse dato i natali non usciva mai in pubblico, e quella era una di quelle rare occasioni. Un uomo severo e tutto di un pezzo, ecco come lo ricordava. Un padre che poteva essere tale solo in funzione di come avrebbe allevato i suoi figli in vista della gloria che avrebbero portato al buon nome della propria famiglia.

Ripensò a com'era saltato dalla carrozza quel giorno, trovandosi dinnanzi uno spettacolare scenario estivo colmo di luci e di colori. La prima cosa che aveva notato infatti, erano stati i grandi festoni appesi agli alberi perfettamente allineati sulla strada, con le ombre create dalla luce del sole che danzavano, seguendo il ritmo disordinato dell'aria che spirava tra le fronde. In quella stagione, le tempeste di petali create dai fiori di ciliegio spazzati dal vento, duravano ore, ed erano talmente belle da attirare moltissimi turisti e visitatori a Leiden. Quasi come le bufere di neve che avvenivano al nord, i fiori fluttuavano nell'aria ricoprendo tutto, al punto da essere considerato un vero e proprio spettacolo della natura in tutto il paese.

"È il fiore della nostra famiglia.", gli aveva fatto notare a un certo punto, il padre.

Ricordava quel giorno perché aveva fatto spallucce di fronte a quel richiamo, intento com'era a tenere la mano del suo fratellino di otto anni affinché non si perdesse tra la folla. Non era mai stato capace di apprezzare il tono d'orgoglio nella voce dell'anziano genitore che, ogni volta, passando davanti a quel luogo faceva quel gesto. Non aveva idea del significato che attribuisse a quello stupido fiore, ne gli era mai interessato saperlo. Suo padre non lo aveva mai ripreso prima di allora, ma quell'anno, per tutta risposta lo aveva colpito, umiliandolo davanti a tutti. Strattonandolo per il colletto del pomposo completo di cui si vergognava e che alla veneranda età di undici anni era costretto ancora ad indossare.

L'uomo poi, non contento lo aveva costretto a seguirlo fino al palco da dove avrebbero assistito alla sfilata organizzata dalle forze armate: un'area che sembrava esser stata appositamente creata per contenere alcune pericolose strutture per l'addestramento militare. C'erano diverse persone che indossavano la stessa uniforme nera violacea del padre, ma oltre a quelli, c'erano anche soldati che indossavano quella bianca a collo alto della marina. Intorno ai caccia e agli aerei da ricognizione, molti di quei soldati chiacchieravano tra loro, nettamente divisi in due gruppi. Sebbene fossero entrambe considerate forze di difesa, i membri di quei gruppi sembravano palesemente ostili gli uni verso gli altri: uno spettacolo bizzarro agli occhi di un ragazzo. Per i Bougainvillea era consuetudine entrare nell'esercito e non era la prima volta che suo padre, che occupava una posizione di alto rango, aveva portato lui e suo fratello a eventi simili, ma fu proprio quell'anno che Dietfierd decise di arruolarsi in marina per offenderlo.

Gilbert era sempre stato un bravo bambino, invece. Aveva sempre avuto una sorta di timore riverenziale per il padre: non avrebbe mai osato contraddirlo, probabilmente era per questo che dopo la sua decisione, non aveva più voluto vederlo. Dietfried sentì di essersi allontanato da Gilbert proprio quel giorno. Come se facendo quella scelta, avesse lasciato la sua piccola manina permettendogli di perdersi. Ribellandosi al proprio destino Dietfried sentiva di averlo abbandonato, incurante del dolore e della sofferenza che avrebbe inflitto a tutti i membri della sua famiglia, lui compreso. Ma non ebbe il tempo di pensarlo, che qualcuno bussò alla porta proprio nell'istante in cui decise di andarsene e passare il resto della giornata altrove, ordinando a uno dei due piantoni che sorvegliavano la porta del suo ufficio di cacciare chiunque fosse stato a disturbarlo.

"Mi spiace, ma dovrai ricevermi, che tu lo voglia o meno!", esclamò Gilbert, facendo letteralmente strada fra i due energumeni.

"Sul serio?! Tu, razza di idiota! Sai quanto sei stato stupido a venire qui, vero? Esci immediatamente Gil, o non risponderò delle mie azioni, giuro!", lo sfidò Dietfried, andandogli incontro senza buone intenzioni.

"Non posso, non prima di averti parlato...", insistette Gilbert, alzando tuttavia le braccia in segno di resa.

"Parlare? E di cosa?", continuò torvo Dietfried, fermandosi minaccioso a un solo passo da lui. Non vedeva il fratello da ben cinque anni, e non si erano lasciati per niente bene prima che sparisse.

Dietfried avrebbe potuto toccarlo semplicemente alzando un dito, ma per quanto lo desiderasse non ebbe comunque il coraggio di farlo. Non era ancora pronto a perdonarlo tuttavia, lo stato d'animo in cui versava in quel momento lo allarmò al punto da farlo desistere dal colpirlo e permettergli di restare.

"Di questa: è da parte di mamma", si spiegò Gilbert, mostrandogli chiaramente una lettera.

"Per me? Bastava una telefonata, non capisco...", si stupì Dietfried, tornando alla sua scrivania per aprire quella busta e leggerla.

Gilbert aveva deglutito nervosamente, rimanendo in piedi nel mezzo della stanza illuminata dal sole di mezzogiorno in attesa di una qual si voglia reazione da parte del fratello maggiore. Era il suo ultimo e disperato tentativo di riappacificarsi con lui, malgrado fosse latore di una delle peggiori notizie che una madre potesse dare a un figlio.

"Ma che problemi avete in questa famiglia, eh? La mamma, lei... Sta morendo? E me lo dice così, con una stupidissima lettera? Scommetto che sapeva tutto di te, vero? Da quanto, Gil? Rispondimi, maledizione!", reagì malamente Dietfried.

"Dal Principio... Mi spiace che averlo saputo in questo modo ti ferisca, ma mi ero appena ripreso dal coma e scoperto di aver perso sia il braccio che l'occhio destro: per questo l'ho chiamata! Ero talmente disperato per quello che era successo a me e a Violet che avrei voluto morire, così l'ho cercata. Volevo solo sentire la sua voce: giuro che non le avrei mai risposto se non l'avessi sentita invocare il mio nome al telefono... Era talmente addolorata che alla fine, io, non c'è l'ho fatta a mentire", gli confessò Gilbert, scusandosi addirittura con lui pur di aiutarlo a comprendere.

"Basta! Basta Gil, ti prego: ho capito perfettamente, non c'è bisogno che continui...", lo interruppe infatti Dietfried, stringendo con dolore quel foglio di carta nel pugno.

Vedere Dietfried piangere era uno spettacolo inconsueto a cui assistere. E Gilbert rimase immobile, incapace di dire una parola o di emettere un suono davanti a quel cedimento. L'uomo che ricordava l'avrebbe colpito, preso per gli stracci e gettato fuori dalla stanza senza mezzi termini pur di rimarcare la propria autorità e la propria forza. Nel bene e nel male, Dietfried era sempre rimasto fedele a se stesso, ma solo ora Gilbert, riconosceva in lui suo fratello.

"So' perfettamente che non potrai mai perdonarmi per averti mentito, ma posso abbracciarti adesso? Ti prego!", lo aveva supplicato Gilbert.

"Certo, ma non ti ci abituare: non credere nemmeno per un momento che te la farò passare liscia, capito?", aveva ribattuto Dietfried, trattenendo inutilmente le lacrime mentre lo accoglieva di nuovo fra le braccia.

Gilbert ne aveva inizialmente percepito la riluttanza, poi l'abbandono.La lotta interiore che da sempre si agitava in lui aveva finito per distruggere la loro relazione. E Gilbert a sua volta pianse, al sentore di quel corpo massiccio avvolgere il suo. Al contrario di lui, Dietfried aveva la stessa forza e la stazza dei maschi della loro famiglia, pensò, ricordandosi di quell'essere orribile che era stato suo padre nell'istante stesso in cui lo sentì singhiozzare. Quante volte quell'uomo lo aveva colpito? Avevano perso il conto ormai, si rispose il soldato, stringendosi ancora più forte a lui. Come la risacca marina s'abbatteva sulla scogliera immobile scavando la roccia, così, anni di vessazioni avevano scavato un buco nel suo cuore.

Non gli aveva mai detto di essersi allontanato da lui proprio per quello, perché da quel momento in poi Gilbert non lo avrebbe più lasciato. Sarebbe rimasto al suo fianco, e come Dietfried aveva fatto con lui, lo avrebbe preso per mano. Perché erano uniti da qualcosa che non si poteva spiegare, da un legame che era nato con loro ed era cresciuto con l'amore. Quell'amore che non avevano mai smesso di provare l'uno per l'altro, per quanto il mondo, la sofferenza e la guerra, gli avessero remato contro.


 

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Capitolo 14
*** Cosa resta del passato? ***




Cap. 14

Cosa resta del passato?

 

"Non posso accettare un altro lavoro, non prima d'aver terminato quello per la Signora Bougainvillea", volle chiarire Violet.

"Sei al corrente dei suoi problemi di salute, vero?", replicò con dispiacere Hodgins.

"Certamente. La Signora è stata molto chiara riguardo alla precarietà del suo stato, proprio per questo devo finire ciò che ho iniziato, direttore. Sono stata imperdonabile a lasciarla a quel modo, per non parlare del fatto che fuggendo da quella casa come una ladra, ho messo in imbarazzo lei e la società che rappresenta... Sono venuta meno al mio dovere di Bambola, e devo rimediare...", ci tenne a precisare Violet, decisa ad andare fino in fondo.

Claudia Hodgins sospirò, incrociando le braccia con disappunto di fronte a quel nuovo aspetto del carattere di Violet. La giovane era innegabilmente maturata negli anni, ma una tale ostinazione era qualcosa di nuovo per lui. Era tornata a notte fonda, ma non si era mai scusata per quel ritardo malgrado lui si fosse raccomandato di non farlo. Hodgins sbuffò, incapace di reprimere i pensieri negativi che lo affliggevano da quando aveva saputo di lei e Dietfried, tenendo conto che una cosa del genere non sarebbe mai accaduta in passato. Fino a poco tempo prima Violet avrebbe rispettando ogni sua decisione, mentre ora, ribatteva impuntandosi sulle proprie scelte con una risolutezza tale da fare impallidire anche la più testarda delle sue giovani colleghe. Solo dopo averla vista in compagnia di Gilbert - che a dispetto della loro amicizia restava sempre un uomo - aveva realizzato di non essere più in presenza della bambina che aveva aiutato, ma della donna che Violet era diventata.

Ciò nonostante, Claudia si era ugualmente impensierito, preoccupandosi. Chiedendosi come solo un bravo padre avrebbe fatto perché lei non fosse felice. Hodgins si sentì defraudato al pensiero che la ragazzina di cui si era occupato per anni come una filgia fosse cresciuta al punto di essersi innamorata di qualcuno. Violet aveva finalmente compreso il significato della parola "Ti amo", peccato che quella ritrovata consapevolezza fosse rivolta alla persona sbagliata, si disse. La vecchia Violet era scomparsa ormai, doveva farsene una ragione o sarebbe impazzito. Tanto più che lei stava insistendo proprio per riuscire a incontrare nuovamente quella persona, pensò.

"Beh, questo lavoro dovrai accettarlo, perché è proprio la signora Bougainvillea la tua cliente; andrai da lei domani a pranzo...  Visto che è ciò che desideri, non ti fermerò, ma se è solo per rivedere quell'uomo che fai tutto questo, sappi che non lo troverai alla Villa...", la informò Claudia.

Violet lo guardò restando un attimo in silenzio. Da quando il Sig.Hodgins sapeva di lei e Dietfried? Cattleya aveva intuito perché era una donna, ma lui, come lo aveva saputo?

"Allora chiederò alla Signora di dirmi dov'è... E se non lo farà, andrò all'Ammiragliato o a un altro dei suoi innumerevoli indirizzi per trovarlo. Sia chiaro che non permetterò più a nessuno di dirmi cosa devo fare della mia vita, mai più! Sono stata chiara?", s'infervorì Violet, arrossendo vistosamente.

"Cristallina! Ma non è prendendotela con me che risolverai tutti i tuoi problemi, Violet. Ecco, non avrai bisogno di mettere a soqquadro la città o di farti arrestare se lo cerchi qui: aspetta, ti scrivo l'indirizzo", la bloccò Hodgins, mettendosi seriamente a rovistare fra i suoi contatti.

"Direttore, lei...", balbettò Violet confusa.

"Non sono cieco, Violet... Quella notte mi è stato tutto molto chiaro credimi, ad ogni modo, adesso vai. Ma non fare di nuovo tardi domani sera, o dovrò mandar via un altro cliente", si lasciò scappar detto Claudia, per nulla felice di quello che aveva fatto.




Un'ora e mezza dopo, Violet si fermò ad ammirare l'imponente palazzo di proprietà dei Bouigainvillea, che si ergeva sopra tutti gli altri nel pieno centro della città. L'edificio ospitava diverse unità famigliari notò, dando un'occhiata veloce alla pulsantiera di ottone che spiccava sulla cornice di marmo che ne abbelliva la foggia antica e suggestiva. Il foglietto con sopra scritto l'indirizzo di quel luogo sfarfallò a un violento capriccio del vento, che per poco non glielo strappo dalle dita tanto era presa dai suoi pensieri.

"Violet...", la chiamò qualcuno.

Il tono sorpreso nella voce di Dietfried la scosse dall'improvviso torpore che per qualche istante le aveva impedito di muoversi. Nonostante il cuore avesse preso a battere all'impazzata alla sola vista dell'uomo, Violet si impose di mantenere il più rigoroso controllo, visto che si trovavano ancora in mezzo alla strada. Lui era appena sceso dall'elegante berlina di proprietà della marina e indossava ancora la sua candida uniforme bianca coi gradi da Capitano: l'unica emozione che poteva permettersi di mostrargli era una fredda e cordiale accoglienza malgrado fosse palese che desiderasse disperatamente fare ben altro. Ma trattenersi dal gettarglisi al collo era faticoso già di per se, figurarsi riuscire a sostenere il suo sguardo e recitare quella parte ancora per molto, si disse Violet, sforzandosi di accennargli almeno un sorriso.

Fu invece Dietfried a toglierla dall'imbarazzo agendo d'istinto: gli bastarono un paio di falcate per avvicinarsi tanto da afferrarle la mano e trascinarsela dietro. Persino il portiere li ignorò quando entrarono di gran carriera all'interno del palazzo, mentre Dietfried la accompagnava verso l'ascensore che li avrebbe portati entrambi al sesto e ultimo piano. Erano rimasti in silenzio per tutto il tempo: l'unica cosa che sentiva era la stretta vigorosa con cui Dietfried le teneva la mano. Quando entrarono nell'appartamento - che aveva tutta l'aria di un rifugio per scapoli impenitenti - Violet si trovò al buio finché Dietfried non scostò le tende e arieggiò, aprendo le grandi portefinestre che davano sul terrazzo. Erano solo le cinque del pomeriggio e il sole splendeva ancora alto nel cielo, ma sembrava che una grossa nube scura li avesse inseguiti per tutto il pomeriggio quando un'insolita corrente d'aria fredda li investì entrambi, facendoli rabbrividire.

Per un istante rimasero come sospesi l'uno di fronte all'altra, poi Dietfried affrettò il passo dirigendosi verso il grande camino che spiccava al centro della stanza per accendere il fuoco. Violet alzò lentamente lo sguardo su di lui, e quando la fiamma prese vigore, scoppiettando alle sue spalle, la luce calda e rossastra creò un'ombra sul suo viso.

"Come hai fatto a trovarmi?", l'aggredì improvvisamente lui.

"È stato il Sig.Hodgins a darmi l'indirizzo", ammise Violet, rattristata da quella dura reazione.

"Mi spiace, ma è stato uno sbaglio venire!", fu categorico Dietfried.

"Lo so, ma avevo bisogno di vederla un'ultima volta prima di dirle addio, visto che è ciò che desidera...", insistette Violet.

"Perciò, hai letto la mia lettera", ne concluse Dietfried.

"Sì, e l'ho trovata bellissima", sospirò lei, senza tuttavia riuscire a dirgli che lo amava.

"Perdonami se ti ho messa in una posizione così difficile Violet, forse, non avrei mai dovuto scriverla...", rifletté Dietfried.

"Non deve scusarsi, perché nonostante le sue parole, io continuo a non aspettarmi niente da lei", cercò di tranquillizzarlo Violet, pur tremando.

"Davvero? Se fosse così non saresti venuta a cercarmi. Non dopo averti chiaramente suggerito di non farlo in quella stramaledetta lettera... Sbrigati a dirmi cosa vuoi veramente Violet, ma soprattutto, smetti di mentirmi per favore...", reagì malamente Dietfried, slacciandosi nervosamente il colletto della giacca militare.

"Non le sto mentendo, io... Io la amo, maledizione! Per questo sono venuta, oltre che per metterla al corrente che smetterò di mettermi in mezzo, se necessario...", trovò il coraggio di dirgli Violet.

Non sapeva dove avesse trovato la forza per ammettere i propri pensieri, l'unica certezza che aveva in quel momento era che sarebbe esplosa se non lo avesse fatto. Come se tutti quei sentimenti inespressi le premessero il petto in cerca di una via d'uscita, lei era stata incapace di trattenerli. O più semplicemente di gestirli, si disse, non come una qualsiasi altra donna avrebbe fatto al suo posto.

"Violet: non sei tu il terzo incomodo qui, lo capisci? Sei davvero incredibile, sai? Davvero incredibile...", ripeté ancora una volta Dietfried, ridendo amaramente.

A quel punto, in preda a una risata quasi isterica l'uomo si era coperto il viso con le mani, più per nascondere una lacrima caduta che una risata, pensò Violet, anche se le ci volle più di un attimo per dare un senso reale a quella reazione. Dietfried si era poi stancamente appoggiato di peso alla parete: sembrava sfinito, come se non mangiasse e non dormisse da giorni. Aveva abbandonato se stesso contro quel muro, incurvando le spalle con le lunghe leve a piegarsi, quasi non riuscissero più a sostenere il peso di quel corpo vigoroso. Aveva saputo della madre? Era quasi certo, altrimenti non avrebbe agito come un pazzo nel vederla, arrivò a concludere Violet. Lo conosceva abbastanza bene da sapere che Dietfried era solito nascondere il dolore che sentiva con la rabbia, per questo rimase a distanza, scegliendo di non avvicinarsi e di non toccarlo finché non si fosse ripreso.

Le bastarono pochi passi per avvicinarglisi poi, ma solo quando lo guardò nuovamente in faccia Violet sentì che l'uomo di cui si era follemente innamorata era tornato. Infatti, quando un'ulteriore folata di vento le spettinò i capelli Dietfried glieli accarezzò, finendo inevitabilmente per baciarli. Violet cercò di capire come reagire di fronte a qualcosa di così profondamente intimo, tanto che a certo punto, fu lei ad aiutarlo a scioglierglieli sulle spalle. Dietfried si ritrovò così, una massa di onde dorate dai riflessi argentei fra le mani. Da quando aveva cambiato acconciatura, si era stupidamente chiesto alla fine. Notando che Violet aveva finalmente abbandonato quelle trecce infantili per qualcosa di più adatto a una ragazza della sua età.

"Adoro i tuoi capelli: sanno sempre di buono... Che profumo è?", le aveva istintivamente chiesto lui, mentre lei lo fissava stupita.

Sul serio voleva parlare dei suoi capelli in quel momento? Aveva dovuto far fondo a tutto il suo coraggio per dirgli che lo amava e decidere di incontrarlo, e lui che faceva, le chiedeva del suo profumo? Per non parlare del piccolo battibecco avvenuto poco prima, dove lui aveva saputo mostrare tutta la sgradevolezza di cui era capace senza nemmeno impegnarsi.

"Non lo so', io, non ho mai badato a queste cose...", aveva esordito ingenuamente lei, tremendamente in imbarazzo.

Riflettendoci, Violet capì che non era esattamente quello a cui l'uomo era veramente interessato quando le sfiorò prima la fronte poi la punta del naso con le labbra, passando direttamente a impossessarsi della sua bocca senza dargli la minima speranza di lasciarla respirare come avrebbe sperato. Violet dovette protendersi totalmente verso di lui mentre Dietfried la baciava, sentendosi le punte dei piedi quasi staccarsi da terra per via della sua altezza. Una donna poteva perdere totalmente il senno in una situazione simile, pensò lei, aggrappandosi istintivamente al tessuto candido della sua uniforme militare. Dietfried fece una smorfia sofferente solo a quel punto, facendole capire che gli aveva involontariamente sfiorato la ferita da proiettile che i ribelli gli avevano inferto la notte dell'attentato.

"Non è ancora guarita?", si stranì lei, ansimando.

"No, ma è sulla buona strada...", le confessò Dietfried, mordendole coi denti il labbro inferiore della bocca.

"Potevate rimanere ucciso...", aggiunse Violet, guardandolo dritto negli occhi dopo quel gesto tanto possessivo.

Già, sarebbe potuto morire quella notte, e lei non avrebbe più potuto stringerlo fra le braccia e dirgli che si sarebbe sentita persa senza di lui. A quel pensiero, Violet abbassò d'improvviso lo sguardo: conosceva fin troppo bene quella sensazione.

"Grazie a Dio c'eri tu a proteggermi!", cercò di sdrammatizzare lui, anche se alla fine era vero.

Violet aveva neutralizzato il rivoluzionario Gardarik senza battere ciglio, gettandosi nella lotta col rischio di rimetterci la vita pur di difenderlo. Aveva agito senza minimamente pensare alle conseguenze, e per un momento, quella sera gli era sembrato di rivedere in lei la stessa ragazzina che si era accanita contro di lui e i suoi uomini. Violet non poteva sapere quanto l'avesse odiata al tempo, forse, si disse Dietfried, l'aveva fatto con la stessa intensità con cui l'amava adesso. La stessa bambina che aveva consegnato a Gilbert perché lo proteggesse dalla morte, se ne stava lì adesso, a guardarlo con gli stessi magnifici occhi azzurri di allora. Forse ancora in cerca di una risposta, che probabilmente, non sarebbe mai riuscito a darle.

Dietfried notò la timida occhiata che Violet lanciò al divano alle loro spalle, capendo immediatamente che non desiderasse altro che sedercisi. Non sapeva come lo avesse raggiunto, ma se era arrivata fino in centro città a piedi, era più che normale che fosse stanca.

"Certa di non volere proprio niente da me? Neanche adesso?", le domandò maliziosamente lui, aggrottando appena la sopracciglia.

Violet sentì il cuore pomparle più forte il sangue nelle vene: doveva essere arrossita fino alla punta dei capelli dopo aver sentito quelle parole. Era andata da lui perché l'idea di non vederlo mai più le era insopportabile: perché ne aveva bisogno come l'aria, come il cibo e come l'acqua, e questo perché lo amava come solo una donna poteva amare il proprio uomo. Avrebbe tenuto Gilbert nel suo cuore per sempre, pensò, mentre Dietfried la baciava ancora. Il Maggiore sarebbe rimasto con lei, e anche se non nel modo in cui lui desiderava, l'avrebbe cullato nella sua mente e nella sua anima. Custodendolo come aveva fatto con la sua spilla, mentre se la sfilava dal collo per riuscire a sbottonarsi il colletto della camicetta che indossava.

Dietfried la condusse finalmente sul divano, sedendosi con lei in grembo di fronte al fuoco. Le mani di Violet gli cingevano la nuca, con le dita affondate fra i suoi capelli scuri a cercare di disciogliere la lunga treccia con cui era solito legarli. Non volevano più confini a separarli, più reticolati di filo spinato o muri alzati a dividerli. Quella guerra era finita da tempo, e quando lo sentì sopra di lei, Violet pianse, toccando e baciando il suo corpo nell'ultimo tentativo di placare quella sete bruciante e saziarne la fame. Perché aveva bisogno di respirare la sua stessa aria ancora una volta: una prima, una seconda e una terza, e un'infinità di altre volte ancora. Quella sconvolgente verità spense in via definitiva l'ultimo barlume di ragione e lucidità che le restava, soprattutto quando vide il verde dei suoi occhi brillare della stessa luce infuocata che ardeva tra le fiamme del camino.

Quando rimase soltanto l'affanno dei loro respiri a inondare la stanza, Violet udì in lontananza la sirena di una nave che partiva. Quel suono le ricordò che erano vicinissimi al mare, che invidioso della passione che si stava consumando fra quelle quattro mura, coi suoi rumori e i suoi profumi sembrava volerli distrarre. Inarcandosi lentamente sotto di lui, Violet non gli diede retta, e pronta finalmente ad accoglierlo si perse a guardarlo: un uomo bellissimo e perfetto, sul cui petto ampio e muscoloso correva il solco frastagliato e biancastro di una cicatrice che gli segnava la pelle lungo tutta la clavicola. Anche se l'aveva già notata in precedenza, Violet si chiese se era stata lei a fargliela. Per tutta risposta ebbe una visione vivida di quell'istante, mentre il sangue fresco gli schizzava fuori dalla ferita macchiandogli la divisa candida. Il mondo reale era ancora la fuori, pensò Violet, costringendosi ad aprire gli occhi di fronte alle conseguenza di quello che stava facendo. Ogni cosa era pronta a ricordarle che per quanto lo desiderassero, lei e Dietfried non erano i soli esseri umani rimasti al mondo. Lui che si era dimostrato più saggio di lei in quel frangente, decidendo di fermarsi e non spingersi oltre, benché all'inizio le fosse sembrato che avesse perso totalmente impazzito fra le sue braccia.

"Scusami io... non capisco cosa mi stia succedendo... sono proprio ridicola...", singhiozzò Violet.

"Non sei ridicola... E non voglio che ti scusi o che ti senta in colpa per questo: ti sei solo difesa, ecco tutto...", la consolò Dietfried, prendendole una mano in modo che lei potesse toccargli la cicatrice con le dita.

Coi suoi polpastrelli di metallo Violet non poteva più percepire il calore, né la setosa morbidezza della pelle di qualcuno, eppure, in quel momento le parve di poterci riuscire. Così, facendosi coraggio lo guardò ancora una volta negli occhi, scegliendo di lasciarsi tacitamente trasportare fino in camera da letto. Lo amava, e per lui era lo stesso, e nulla di ciò ch'era appartenuto al passato l'avrebbe cambiato.



 

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Capitolo 15
*** Addio, Maggiore Gilbert! ***


Cap.15

Addio, Maggiore Gilbert!

 

Violet percorse lentamente il grande viale alberato che dai cancelli si inoltrava nella campagna, fino a interrompersi davanti al piazzale che si apriva di fronte alla casa. Erano passate quasi due settimane da quando l'aveva lasciata, ma quando si fermò, indugiando ad ammirare i giardini completamente fioriti accanto al patio, fu come non se ne fosse mai andata. Aveva lasciato l'appartamento di Dietfried all'alba, ed era tornata alla società postale a prepararsi: dove si era fatta il bagno, senza tuttavia sciacquarsi via di dosso i ricordi di quella notte indimenticabile. Dietfried l'aveva accompagnata poi fino alla Villa, ma non era sceso con lei, perché il desiderio di sua madre era stato quello di incontrare Violet da sola, e lui aveva accondisceso. Lo stesso giorno in cui la Signora avrebbe dedicato la sua ultima lettera al figlio più giovane, lei avrebbe detto addio al Maggiore Gilbert per accogliere nella sua vita il Colonnello Bougainvillea, in qualunque modo avrebbe deciso di farne parte. Violet sapeva che Gilbert si era trasferito alla Villa per stare vicino alla madre, e quando lo vide arrivare per prenderle la valigia con la macchina da scrivere e accompagnarla fino in casa, gli fece un inchino com'era di consuetudine per le giovani Bambole di scrittura automatica.

Dopo quel gesto così formale, Gilbert l'aveva guardata negli occhi, restando diversi secondi a fissarla senza dirle una parola. Violet si domandò se lui avesse realmente capito i motivi del suo cambiamento; la guerra aveva lasciato troppe cicatrici e scottature nel suo cuore, così come la sua mancanza. La risposta arrivò quando Gilbert le regalò un sorriso tacito e consapevole, prima di accompagnarla alla porta della stanza dove avrebbero incontrato la Signora.

"Vorrei vederti ancora più tardi: pensi che sia possibile?", la bloccò Gilbert, prima di bussare alla porta e andarsene.

"Certo, e con molto piacere, Colonnello...", accettò educatamente Violet, abbassando tuttavia lo sguardo.

Non aveva nulla di cui vergognarsi, soprattutto perché sapeva che Gilbert non era più all'oscuro di tutto. Ciò nonostante, quando glielo lesse negli occhi, Violet non riuscì più a guardarlo. Di sicuro gli doveva più di una spiegazione, pensò, mentre lui l'annunciava alla madre, sperando di riuscire a convincerlo che suo fratello non era colpevole della loro separazione, e che essersi innamorata di lui, altro non era che un contrattempo del destino. Aveva imparato a sue spese che le lettere arrivavano sempre al recapito indicato sulla busta, proprio per questo non aveva mai potuto scrivergli, perché quell'indirizzo, lei non lo aveva mai avuto. Avrebbe potuto dirgli tante cose in quelle lettere: una su tutte, che lo avrebbe aspettato per sempre, come del resto aveva fatto in tutti quegli anni. Nessuno poteva saperlo, ma alla stessa ora di ogni giorno, lei era corsa alla stazione dei treni per mesi, nella speranza di vederlo scendere da uno di quei vagoni. Il suo turno non era mai arrivato, assistendo così, alla più cupa disperazione o alla più luminosa felicità degli altri. Aveva visto genitori, fratelli e sorelle, figli e mogli e tante, tantissime giovani donne come lei, attendere il ritorno dei loro cari partiti per la guerra. In molti erano scesi da quei vagoni pieni di feriti e reduci che arrivavano direttamente dal fronte: tanti, ma mai lui. Forse era questo che non era riuscita a perdonargli, si disse Violet, di averla costretta ad aspettare. Di averle fatto credere che non sarebbe più tornato, scegliendo di farla soffrire, soffrendo a sua volta lontano da lei.

Violet si fece coraggio, cercando di scacciare quei pensieri tristi finché non sentì la voce della Signora Bougainvillea chiamarla. La donna era costretta a letto ormai da giorni, eppure, anche in quel frangente Violet non ebbe la minima percezione della gravità delle condizioni in cui versava. Malgrado tutto, l'anziana madre di Gilbert era sempre sorridente, dimostrando una volontà e una forza d'animo mai viste prima in una persona sofferente e ormai prossima alla morte. Solo dopo aver notato la quantità di medicine e farmaci presenti sul suo comodino, Violet avvertì un'angoscia profonda e una pesante stretta al cuore.

"Vieni figliola, accomodati! Che piacere rivederti, Violet...", l'accolse con gioia la donna.

Le tende erano ancora accostate, ma quando la vide porgerle le braccia per invitarla a sederle accanto, a Violet sembrò di entrare in una stanza completamente illuminata dal sole.

"Il piacere è solo mio, Madame! Speravo tanto di poterla rivedere per chiederle perdono, soprattutto per essere fuggita e aver rotto il suo prezioso servizio di porcellana...", ci tenne a scusarsi Violet.

"Ah, quello stupido servizio da tè: nemmeno lo ricordavo! Tu piuttosto, come stai mia cara? Ti trovo bene, anche se mi sembri cambiata Violet, come se avessi una nuova luce negli occhi.", constatò l'anziana, facendola avvampare dalla testa ai piedi.

Quasi ne avesse percepito l'imbarazzo la Signora smise di parlare, limitandosi a rivolgerle uno sguardo caloroso e comprensivo. Poi entrò un servitore accompagnato dal dottore, lo stesso medico che aveva vegliato e curato Dietfried insieme a lei.

"Inutile dire che Madame non si deve affaticare, ma potete iniziare...", diede il permesso il medico.

"Certo, dottore, baderò io che non si stanchi...", promise Violet, prima di salutare l'uomo e sedersi allo scrittoio.

Violet si accomodò di fronte alla donna aspettando con riguardoso silenzio che l'anziana trovasse la forza di iniziare, col risultato, che, alla fine, entrambe si ritrovarono a guardarsi con un sorriso malinconico e gli occhi pieni di lacrime. Una volta finito, Violet ritenne di aver scritto la più toccante dichiarazione d'amore che avesse mai dovuto battere a macchina, ricordando fra l'altro, il testo della precedente lettera che la Signora Bougainvillea aveva indirizzato a Dietfried. Se quella era già stata magnifica, quell'ultima era semmai ancora più struggente, intensa e vibrante. E la ragione stava nella profonda preoccupazione che quella madre portava con sé nella tomba, al pensiero di abbandonare quel figlio appena ritrovato al suo destino. Da quando aveva scoperto la verità su Gilbert, Violet aveva anche saputo che la Signora ne era sempre stata al corrente. Era stato lo stesso Dietfried a dirglielo, spiegandole quanto fosse stato difficile per sua madre mantenere quel segreto. Comprendeva solo ora il costo di quel sacrificio, sebbene in quel modo, si fosse sentita tradita dalla maggior parte delle persone che conosceva. Tuttavia, Violet decise di rileggere alla Signora il foglio che aveva appena finito di scrivere, aspettando che fosse lei a concludere il discorso e finire di parlare.

"Al mio caro figlio... Gilbert, il lavoro più grande che ho dovuto affrontare durante la mia lunga vita è stato crescerti, ma non cambierei un minuto del tempo speso a prendermi cura di te e proteggerti. Ho riso e pianto con te, ho celebrato le tue vittorie e condiviso i tuoi dolori, e in compenso, tu hai riempito il mio cuore di un affetto incomparabile. Figlio mio, sei stato per me come un regalo, e ogni giorno dopo la tua nascita, ho goduto di questo dono. Il tuo sorriso mi spiazza, la tua felicità significa tutto per me: hai riempito i miei occhi di meraviglia, e dopo tuo fratello, il tuo arrivo ha reso completa la mia vita. Sappi che anche dopo, quando non ci sarò più, camminerò accanto a te per sempre, tenendoti una mano sulla spalla per sorreggerti come quando eri un bambino. Ciò che spero è che la tua vita sia sempre piena di gioia e d'amore; solo questo chiedo per te, che le tue benedizioni siano numerose come le stelle del cielo e che davanti a situazioni difficili, le tue decisioni siano sempre giuste. Con amore, tua madre...", terminò Violet.

"Credo di non avere nient'altro da aggiungere, anche se avrei ancora così tante cose da dire... Sai, temo che riassumere un'intera vita in poche righe, sia un'impresa davvero impossibile. Non lo pensi anche tu, cara?", chiese conferma l'anziana signora.

"Può darsi, anche se trovo questa lettera perfetta così com'è...", rispose la giovane Bambola, asciugandosi col palmo della mano una lacrima dal viso.

Poi Violet sospirò, rivolgendo alla donna uno sguardo complice. Forse era davvero giusto così, si disse, preparandosi ad uscire e salutarla. Non poteva aspettarsi nessun'altra spiegazione da lei, se non quella di aver scelto di proteggere il figlio rispettando le sue scelte. Anche se l'aveva fatto per salvarla, era stato Gilbert ad andarsene, per questo non poteva incolpare nessun altro che lui della loro sofferenza.

"Violet, un'ultima cosa, bambina...", la fermò la Signora sulla porta.

"Sì?", si voltò Violet, sentendo il battito del cuore rimbombarle nel petto.

"Prenditi cura dei miei figli per me quando non ci sarò più, puoi farlo?", la supplicò la donna.

"Posso, e lo farò, Madame... Glielo prometto!", le assicurò Violet, uscendo.

Quando mise la valigia a terra, trovando proprio Gilbert ad attenderla fuori dalla casa, Violet si gettò fra le sue braccia dando inevitabilmente libero sfogo al pianto. Se le cose fossero andate diversamente, pensò lei, forse in quel momento così difficile avrebbe potuto aggrapparsi a lui, invece di dirgli addio. Rivedere la sua faccia, risentire la sua voce e odorare il suo profumo, l'avevano ferita più di quanto non avesse voluto ammettere. Soprattutto pensando a quanto fosse uscito distrutto da quella battaglia, dilaniato nel corpo e nell'anima, più di quanto non lo fosse mai stata lei.

"Mi spiace, Maggiore... Mi spiace davvero tanto...", singhiozzò di nuovo Violet.

"Lo so, ma è la vita. E la perdita fa parte di essa, come la gioia Violet, come l'amore...", replicò Gilbert, cercando di asciugarle gli occhi.

"C-Come l'amore? Maggiore io... le devo parlare...", balbettò lei alla fine, rendendosi perfettamente conto che Gilbert già sapeva.

"Ieri, nel suo ufficio, quell'idiota di mio fratello ha chiaramente detto che ti ama, ma che avrebbe fatto un passo indietro se glielo avessi chiesto, oltre un mucchio di altre sciocchezze simili...", le confessò Gilbert, sentendosi improvvisamente in colpa per averle riferito quelle parole.

Sì, gli uomini della sua famiglia erano sempre stati degli idioti, e lui era stato il più idiota di tutti, pensò.

"Maggiore io, sono certa che il Capitano non intendesse ferirla...", lo giustificò Violet.

"Ne sono sicuro, perché Dietfried non mentirebbe mai su una cosa simile, e anche se non riesco ancora a crederci, so che anche tu lo ami...", aggiunse Gilbert.

"Sì, e moltissimo.", ammise Violet, sentendosi morire all'idea di avergli dato un dolore.

Gilbert la staccò da sé, riuscendo nuovamente a guardarla come avrebbe fatto un tempo. Se n'era andato proprio per quello, ricordò a se stesso, per renderla libera di vivere la sua vita ed essere felice. Ma quella libertà aveva avuto un prezzo, e lui lo aveva pagato, rendendosene conto solo dopo averla rivista e tenuta finalmente fra le braccia. I voli pindarici del destino erano imprevedibili, ne concluse Gilbert, sforzandosi ugualmente di sorridere. Violet era la prova vivente che riscattarsi e dimenticare il passato era possibile, e dicendogli ch'era pronta a proseguire per la propria strada, glielo stava dimostrando. Non era un atto egoistico, ma qualcosa di dovuto a se stessi per poter sopravvivere, e lei c'era riuscita. Perciò, per renderle onore, lui avrebbe fatto lo stesso.

"Ora dobbiamo salutarci Violet, ma voglio che tu sappia che sei stata la persona più importante della mia vita, e che se sono un uomo migliore, lo devo a te. Quindi, voglio ringraziarti e dirti che se anche devo dirti addio, sappi che non riuscirò mai ad allontanarti dai miei pensieri...", finì per dirle Gilbert.

"È lo stesso per me Maggiore, perché io, non la dimenticherò mai!", gli rispose Violet, stringendo di nuovo al petto la sua spilla di smeraldo.

Fu un breve momento, un solo slancio; un unico bacio stampato sulle labbra per dirsi addio. Un bacio dato non per segnare una fine, ma per sigillare il ricordo di un sentimento prezioso che sarebbe rimasto così per sempre: puro e intatto, nei loro cuori.


 

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Capitolo 16
*** Sulla strada che ho deciso di percorrere. ***


Epilogo.

 
Il funerale della Signora Bougainvillea si svolse qualche settimana più tardi, in un assolato pomeriggio di mezza estate. Quel giorno Violet aveva preferito starsene in disparte, lasciando spazio a Gilbert e Dietfried, oltre che agli amici e parenti più stretti accorsi per omaggiare la donna di un ultimo saluto. Benché sapesse che il suo eccessivo riserbo non le sarebbe piaciuto, la sua presa di posizione aveva delle valide ragioni in quel contesto di ambigua severità. Dopo la mattina in cui la donna aveva scritto l'ultima lettera indirizzata al figlio, Violet era tornata spesso a trovarla alla Villa, e la maggior parte delle volte in compagnia di Dietfried. Così, per evitare inutili dicerie sul loro conto, Violet aveva deciso di comune accordo con l'uomo di tacere sulla loro relazione, almeno finché Dietfried non avesse sciolto il suo fidanzamento con Abelia e ripagato il debito di riconoscenza che aveva col padre della giovane. Gilbert, dal canto suo, aveva poi scelto di non lasciare più l'esercito, continuando a restare accanto alla madre fino all'ultimo momento. In seguito, lui e Dietfried avevano finito per l'occuparsi degli affari di famiglia insieme, mentre lei era rimasta a vivere e lavorare presso la società postale di Hodgins fino alla fine del periodo di lutto, che generalmente, a Leiden durava un anno.

"Penso che dopo quest'ultimo lavoro andrò a cercare la mia famiglia.", esordì Violet, intenta ad osservare il mare dalla finestra della loro camera da letto.

"Prenderò una licenza allora, sempre che tu abbia voglia di sopportare ancora la mia presenza...", le rispose scherzando Dietfried, osservandola di sbieco.

"So badare a me stessa.", obbiettò Violet, rivolgendo uno sguardo dolce e indispettito al compagno.

"Non è questo: è solo che, viste le tue condizioni, preferirei accompagnarti...", le assicurò lui, scivolando nudo fuori dalle lenzuola per raggiungerla.

Un piccolo sorriso le si ridisegnò sulle labbra; quella scaramuccia non aveva fatto altro che aumentare il costante bisogno che avevano l'uno dell'altra, malgrado fossero sposati già da tempo. Violet si carezzò dolcemente il ventre: era passato abbastanza da essere certa di aspettare un bambino, ed da un po, si cominciava a vedere. Quei pochi preziosi mesi avevano cambiato per sempre la sua vita e i suoi orizzonti, e sentendosi invadere da una felicità mai provata prima, Violet si poggiò al petto di suo marito.

"Pensi di convincermi a darti retta solo perché sei di nuovo in quello stato, vero?", replicò poi, arrossendo.

"Ti ho convinta a sposarmi in questo stato...", le ricordò maliziosamente lui, senza lasciarsi distrarre da nient'altro che non fossero i suoi occhi.

"Oh, certo: adesso ricordo...", gli confermò Violet, cingendogli la nuca.

I giorni erano volati via troppo in fretta, inseguendosi come petali di ciliegio nel vento pensò Violet, godendosi il panorama mentre Dietfried si rivestiva. Era di nuovo primavera a Leidenschaftlich, e lei compiva vent'anni. Ripensandoci, la ragazza proprio non riusciva a crederci: la guerra era ormai un lontano ricordo, come la sofferenza e il dolore che lei e Gilbert si erano lasciati finalmente alle spalle. Anche lui aveva trovato la sua strada, ed essendo ufficialmente entrata a far parte di quella famiglia, quella strada aveva finito per incrociarsi spesso anche con la sua. Poteva dire di aver imparato cosa fosse l'amore proprio grazie a lui, anche se lo aveva realmente assaporato fra le braccia di un altro. Grazie a Dietfried la parola "Ti amo" aveva assunto un significato nuovo e inaspettato, nella lotta continua di una vita accanto a un uomo tanto diverso e complicato, quanto così profondamente simile a lei. Perché lei e Dietfried erano uguali, entrambi innamorati di qualcuno diventato oramai indispensabile.

Si era sentita la persona più sola al mondo per tanto tempo, rifletté Violet, uscendo di casa tenendo saldamente fra le mani la sua valigia con la macchina da scrivere e il suo prezioso ombrellino. Ma ora, grazie a lui e al loro bambino non lo sarebbe più stata, si disse, avviandosi verso la sua postazione nella sala di scrittura riservata alle Bambole che Hodgins aveva appena ampliato. Ogni cosa era al suo posto, notò la ragazza, spaziando con lo sguardo la grande stanza dove le sue colleghe battevano a macchina quelle preziose missive piene d'amore. C'erano Erika, Iris e Cattleya, intente come sempre a soddisfare ogni richiesta dei loro clienti, e Benedict, che come suo solito a quell'ora beveva seduto nel salottino il suo caffè, dando un'ultima occhiata al giornale prima di uscire per distribuire la posta del mattino. E c'era Claudia, il loro caro direttore - nonchè l'uomo che l'aveva aiutata e protetta per tutti quegli anni - come sempre attento a vigilare, col suo fare paterno e rassicurante in attesa di rivolgere quelle tenere attenzioni alla figlia che aveva sempre desiderato, e che, da li a poco, avrebbe avuto.

Con quel quadro perfetto ben impresso nella mente, Violet si sedette, attendendo la prossima persona che l'aveva ingaggiata per scrivere una lettera: una giovane donna di più o meno la sua età, che accolse con la sua solita aria dolce e comprensiva dopo essersi presentata com'era solita fare prima di iniziare il suo lavoro.

"Girerei tutto il mondo, e verrei ovunque mi richiedeste. Sono una Bambola di scrittura automatica: Violet Evergarden, agli ordini!"

Il ticchettio dei tasti iniziò e inondò tutto, come il vociare sommesso e le lievi ed educate risate delle sue colleghe che a tratti rallegravano la già bella atmosfera. E Violet pensò al sole, che splendeva sulla città e sulla sua nuova vita, su quella via lastricata di sorprese che le aveva riservato il futuro lungo la nuova strada che aveva deciso di percorrere.

Fine.



Note dell'autrice.

Ebbene si, purtroppo siamo alla fine di questa storia. Premetto che solitamente non scrivo mai note alla fine di qualcosa, ma stavolta non posso esimermi perché i ringraziamenti da fare sono veramente tanti. Innanzi tutto, devo dire che i primi cinque capitoli sono stati betati e revisionati da una ragazza che si è offerta di darmi una mano sul gruppo del Giardino di Efp. Laetizia, ti devo ringraziare anche se poi sei sparita e non hai più potuto aiutarmi. Ma soprattutto, una menzione speciale va a tutti voi: chiunque abbia letto e recensito. In particolare a Mask 89, che ringrazio dal profondo del cuore per la sua presenza affettuosa e la sua grande gentilezza. Poi c'è Fenris, che coi suoi commenti brevi e concisi mi ha fatto compagnia praticamente a ogni capitolo: grazie anche a te, davvero! Che dire, vorrei citare anche Garakame, Clarisse e Robin per il sostegno e l'entusiasmo; con con le vostre recensioni spontanee mi avete incoraggiata a proseguire ragazze, perciò, grazie infinite anche a voi. E poi ci sono tutti gli altri, come Shilyss, Miky_ D_ Sempai, Fuuma, Amethist Sapphire, per citarne solo alcuni, che grazie all'attività di scambio del Giardino mi hanno saputo consigliare - mostrandomi anche il loro apprezzamento - che non è una cosa da poco.
Devo aggiungere un altro lettore a tutti gli altri, una persona che seguito e recensito ogni capitolo con devozione e sincero interesse, Altair: grazie infinite, la tua preziosa presenza mi ha resa orgogliosa fino alla fine di aver scritto questa storia!
Ho amato scrivere di Violet, e in particolare d'aver shippato questa coppia! Dietfried e Violet sono bellissimi insieme a parer mio, e semmai servisse, chiedo scusa alle fan di Gilbert per averlo trattato così freddamente. Non so se riproporrò qualcosa del genere, ma nel caso vorreste leggere ancora di Violet e delle sue avventure amorose e non, fatemelo sapere.

Grazie davvero a tutti!

Tea.

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