Per colpa del destino

di shana8998
(/viewuser.php?uid=832164)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


                                                         
                                         Prologo

Com'è potuto succedere proprio a me? Io che sono sempre stato così diligente, serio, responsabile. Come ho potuto concedere ad una persona il potere di  manomettere la mia vita, a tal punto, da sconvolgerla per sempre?
E' inconcepibile. Un ragazzo non può finire sulla cattiva strada per colpa di una ragazzina.
Si proprio così: di una ragazzina.
Una dannata ragazzina, dai sogni irrealizzabili. Un animo irrequieto e maledetto in lotta costante contro quei demoni che l'avrebbero potuta divorare da un momento all'altro.
Perché ho permesso a me stesso di fare miei, i suoi mostri? Perché non ho fermato tutto quando potevo?
Probabilmente, perché nel momento in cui le nostre vite si sono incrociate, io avevo già incominciato, per la prima volta, a capire cos'è l'amore. Cosa significa essere stregati da qualcuno e quando me ne sono accorto, era già troppo tardi.
L'amore, ahimè, ha mille sfaccettature: è un caleidoscopio di emozioni che bruciano la gola come una dose di dama bianca. Non lo controlli-non puoi- controllarlo.
L'amore, non ha un canone, non ha regole; e poi, anche se ne avesse, lei, le avrebbe infrante tutte.

«Tu ed io, siamo colpa del destino»

Dio...non posso smettere di pensarla. 
La sua voce. Quella maledetta frase che non vuole cancellarsi dalla mia testa. Indelebile, proprio come un tatuaggio. Uno di quelli che tanto amava e che tanto detestavo io.
Con lei non riuscivo a capire cosa fosse giusto e cosa fosse sbagliato.
Agivo di impulso. Senza ragione. 
No...Chi voglio prendere in giro, una ragione l'avevo...Cécile Charlotte Pestillo era la mia ragione.
Il mio destino.



 
                                                                             Gabriel 1.

La cultura è la misura del valore di una persona.
L'Università, sin dagli albori della mia vita, è sempre stata chiaramente: il mio traguardo. 
Sono stato ammaestrato affinché riuscissi nell'intento di conquistare la mia ammissione alla Saint Louis University. 
E' un posto per pochi,ed io, non avevo altra possibilità se non quella di essere "uno di quei pochi".
Mi sono sempre impegnato al massimo in funzione di quel traguardo. Scelte dei corsi, scelte dei gruppi di studio. Ostinato a mantenere la mia media altissima, ho annientato anni ed anni di goliardiche avventure giovanili, solo per quella maledetta lettera di ammissione...
Poi è arrivata. Come un fulmine a ciel sereno. Ce l'avevo fatta...

«Gabriel!» 
Stacco il carica batteria dalla presa elettrica e raccolgo il cellulare dal comodino.
«Allora, Gabriel vuoi scendere?!»
«Arrivo!»
Credo che mia madre sia più in ansia di me. L'unico figlio che va all'Università. Anche se praticamente abito a meno di tre isolati dalla struttura, immagino, che apprensiva com'è, le sembrerà di aver perso suo figlio in qualche, sperduto, continente asiatico.
«Buongiorno» 
Quando scendo le scale, Sara è accanto a mia madre, con uno scatolone stretto fra le braccia e mi regala uno dei suoi dolcissimi sorrisi.
«Buongiorno piccola» le do un bacio sulla fronte. Non mi volto verso mia madre, ma so che è accigliata. Odia le "effusioni" in pubblico. Qualsiasi tipo di effusione, anche quelle inesistenti come questa.
«Hai preso tutto?» dice, schiarendosi la voce.
«Si mamma» le sorrido reprimendo il primo di una lunga serie di sospiri rassegnati.
Ci avviamo tutti e tre verso la porta d'ingresso. 
«Sei proprio certo che vuoi stare in un dormitorio? Non preferiresti tornare qui?» chiede per la millesima volta.
 Mia madre è unica nella sua possessiva apprensione.
La classica donna troppo protettiva che ti chiude per anni dentro una bolla di vetro, pur di non farti sbucciare le ginocchia. Troppo innamorata di suo figlio per lasciarlo in balia della vita.
Rido. «No, mamma. Starò bene.»
Non ne sono molto convinto. Cioè, il dormitorio è la scusa per starle un po' lontano e senza pressioni di alcun genere. Ma la verità è che io odio condividere gli spazi. Specie quelli personali.
Sara sistema l'ultimo scatolone nel portabagagli e sale sul sedile posteriore.
«Ne sei certo?»
«Si mamma. Ne sono certo.»
E' veramente esasperante...                                   
                                                                              ***************
«Che posto orribile» mormora mia madre, mentre, attraversando il corridoio del dormitorio, ci scontriamo con un gruppo di punk.
Non posso fare a meno di sghignazzare assieme a Sara, per lo sdegno che le marchia a vista il viso.
«Siamo arrivati.» Metto via il foglio preso in segreteria.
Una porta verde leggermente logora, ombra la mia visuale.
«Sei sempre in tempo per ripensarci» dice quasi fra le labbra.
L'abbraccio «E tu per sistemarti le pieghe sul tubino che indossi».
Una delle poche cose che ho in comune con lei è la cura per noi stessi. Siamo fissati per eleganza, stile ed abiti firmati.
Non ricordo di aver mai avuto una polo o un cardigan che non costasse almeno 200$, ovvio, non mi piace ostentare con gli altri, ma adoro il fatto di distinguermi per la classe.
Forse è sbagliato, ma sono cresciuto secondo opinioni bel precise e regole, così ferree, che hanno plagiato il mio modo di vedere cose e persone.
Anche Sara. Se lei non fosse così casta, bella, bionda come mia madre ed elegante; io non l'avrei nemmeno presa in considerazione.
Mia madre arrossisce e si ricompone immediatamente stirandosi sulle gambe il tessuto dell'abito.
Finalmente mi decido ed abbasso la maniglia: un odore pungente di fumo mi travolge.
Sento mia madre soffocare un respiro e non è per l'odore che c'è nella stanza.
Una tipa piena di tatuaggi e piercing sta praticamente scopando con il suo ragazzo, davanti ai nostri occhi.
Mi schiarisco la voce, tirandomi sul naso il paio di occhiali da vista. Prima che mia madre gridi addosso a questi due, intervengo io.
 «Permesso?»
Sollevano la testa ma non sembrano affatto imbarazzati. 
«Hai visite...» mormora lei scendendo dall'inguine di lui e raccogliendo la T-shirt da terra.
Ringrazio il cielo che non siano del tutto nudi. Mia madre sarebbe potuta collassare.
«Tu devi essere Gabriel» dice il tipo dai capelli ossigenati e le braccia ridotte ad un brutto quadro di arte moderna.
«Si, sono io.» Mi rendo conto di avere leggermente la voce irritata.
Sara lo scruta paonazza in volto. E' combattuta fra il coprirsi gli occhi ed il continuare a fissarlo. Credo che non abbia mai visto un ragazzo semi-nudo in vita sua. Io, al contrario, sono anche un po' invidioso per la verità. Sara mi ha imposto la castità fino al matrimonio, di buon accordo con mia madre. Quindi insomma...si, vorrei essere su quel letto al posto di quel tizio. Magari, però, con lei e non con quella ragazza.
Il tipo si alza e prima ancora di stringermi la mano, si accende...cos'è quella una canna?
Ho paura che mia madre potrebbe svenire da un momento all'altro. 
«Oh mio Dio, ma quella è..» dice con il respiro mozzo afferrando il mio braccio. 
«Io sono Drake.» Mi tende la mano lui ,costringendomi a separare il braccio dalla presa disperata di mia madre.
La stringo fissandolo dritto in viso. Serio come non mai.
Ritira la mano ed indica la ragazza con il pollice «E lei è Ambra.»
Osservandola bene, anche lei ha quel non so che di raccapricciante. Ha due ferri infilzati nelle guance e disegni gotici lungo tutte le braccia ed i capelli tinti di giallo evidenziatore che le sbattono proprio male sul viso pallido e carico di trucco.
Ambra solleva una mano come se non ci vedesse e saluta chiudendo le dita, una dietro l'altra, come un ventaglio.
«Posso andare?» Si rivolge al biondo, un attimo dopo, con un certo tono tediato.
Lui annuisce. 
La bionda ci supera come se niente fosse, risistemandosi la gonna inguinale sulle cosce.
«Gabriel...» sussurra mia madre nel mio orecchio «sei forse impazzito?»
Devo esserlo sul serio per decidere di restare qui con questo tipo e la sua discutibile fidanzata.
Ma lo faccio. Resto.
«Mamma è tutto ok» mormoro a denti stretti. 
Non voglio darle l'impressione di essere irritato da lei, piuttosto, sono irritato perché so che mi pentirò prestissimo.
Sospira rattristata e poggia il mio borsone sul materasso vuoto. Vuoto, si fa per dire: ci sono un mucchio di panni accatastati.
«Scusa, non è che potresti...» indica i panni, con un gesto che denota disgusto a volontà.
Gli occhi di Drake viaggiando da Sara a lei e da lei ai vestiti. «A quelli non sono miei» 
Alza le spalle e raccoglie la sua maglia.
Non c'è un centimetro della sua T-shirt non  forellato. Cos'è una nuova moda uscita da poco? 
Mia madre sembra sbigottita dalla risposta. «A no? E di chi sarebbero?» 
Mi avvicino al materasso e rovisto fra gli indumenti. Sono di una taglia eccessivamente piccola e non penso che un ragazzo userebbe un reggiseno con tanto di collarino annesso.
«Sono i miei.» Una quinta presenza si aggiunge a questo momento, già di per se, assurdo.
Sara, mia madre ed io ci voltiamo verso la porta di colpo.
Una ragazza avvolta in un cardigan nero che le arriva lungo sulle cosce, vestita in tuta ed anche lei, amante dei piercing , si affaccia aggrappandosi alla cornice della porta.
Ha lo sguardo furbo e vispo. Non come questo qui e la sua ragazza che sembrano essere usciti dal film: "Virus".
Fa un passo avanti. Non sembra ne entusiasta, ne scontenta, di vedermi qui ma le brilla una luce strana negli occhi.
«Gabriel. Sono il coinquilino di Drake.» Le tendo una mano.
Accenna un sorriso che dura mezzo secondo. «Cécile».
Che nome strano. E' francese?
«Io sono Sara.» Sara si fionda fra di noi, all'improvviso,quando nota, che la mora continua a fissarmi come se stesse assistendo all'aurora boreale.
«Piacere.» Stesso sorriso. Stessa stretta di mano e poi torna a guardare me.
«Primo anno?». Sembra cordiale. Un po' strana, ma cordiale.
«Esatto.» 
Si rassetta il mezzo cerchietto di ferro sotto l'attaccatura del naso.
«Allora frequenterai gli stessi corsi che frequento io.»
Annuisco incerto.
«Ti piacerà vedrai» dice accennando un secondo e breve sorriso; ma non mi guarda, piuttosto, le sue iridi chiare stanno viaggiando dietro le mie spalle.
Si affaccia oltre il mio braccio ed alcune ciocche, dei lunghi capelli lisci e scuri, le ricadono sulla scollatura della canottiera bianca - non so perché la sto guardando, giuro.
«Lei chi è? Tua nonna?» Domanda ingenua.
Mi irrigidisco.
Mia madre fa un passo avanti. «Si da il caso, che io sia la madre di Gabriel. Sharona.»
Tuona sollevando il mento impettita.
Devo poggiare il pugno chiuso della mano, sulle labbra, per non ridere.
Cécile, al contrario, non sembra aver capito il fastidio di mia madre.
La guarda stralunata schiudendo appena le labbra.
Poi si fa dritta.
«Vi tolgo i vestiti dal letto» afferma,  ignorando del tutto l'ira di mia madre. 
Sono sbalordito. E' maleducata o solo stupida?
Solleva lo sguardo a me un secondo prima di tornare a muoversi per la stanza.
Gli occhi color miele chiaro, le donano un'aria così ambigua... Mette quasi paura.
Si avvicina al materasso, raccoglie il mucchio di abiti e se lo tira in grembo.
«Allora buon inizio semestre.» 
Parla pacata, lenta, ricorda il sibilo di un serpente la cadenza della sua voce. O forse, è solo l'impressione che mi da il suo aspetto.                                                                                             ************
«Quella deve starti lontano» ringhia fra le labbra Sara, avvinghiando il mio braccio, mentre camminiamo verso la caffetteria dell'Università.
«Non posso crederci! Mi ha dato della nonna!» 
Per fortuna, lo strepitare di mia madre mi impedisce di risponderle.
«Ok, sono tipi strani. Ma, infondo, non devo frequentarli per forza.»
Non ho alcuna intensione di frequentare Drake, le sue canne e la sua ragazza.
O quella tipa strana con gli occhi miele.
«Vorrei ben vedere!» esclama Sharona, poi, si volta verso il barista «Ci fa tre caffè? Grazie.» ed allunga 5 dollari.
«Questa non doveva essere un' Università cattolica?».
«Lo era. Nel settecento.» le faccio notare sconsolato.
Pochi minuti a seguire i caffè sono pronti.
Prendo il mio e quello di Sara che, nel frattempo, ha ordinato anche un cornetto alle more e sta aspettando che le venga dato. Mi dirigo verso un tavolino seguendo mia madre.
«Cerca di dimenticare questa esperienza.» Le chiedo quasi come una supplica.
E' furiosa e a me viene ancora da ridere. Ma come si fa ad avere così poco tatto come quella ragazza?
«Vorrei che tu dimenticassi di aver deciso di restare qui.» Strappa una bustina di zucchero e versa i granelli  nella tazzina.
Sospiro ancora. E' da quando è incominciata questa giornata che lo faccio.
«Ci hanno messo un secolo» Sara si passa una mano dietro la gonna a pieghe stirandola contro le cosce, prima di sedersi e poggiare il piattino con il suo cornetto sul tavolino.
Gli occhi blu le risplendono colpiti dai neon sul soffitto, rendendola ancora più bella.
Sono innamorato di lei, ha tutto quello che posso desiderare da una ragazza.
Nessuna potrà mai cambiare quello che provo nei suoi confronti. 
«Sono d'accordo!» Esclama mia madre facendo piombare nuovamente la mia attenzione, al discorso nato fra loro, attorno al tavolino.
«Su cosa?» Domando confuso, mandando giù un sorso di caffè.
«Sul fatto che quella tipa debba stare lontana da te» risponde fiera la mia ragazza, spostandosi una ciocca bionda dietro le spalle.
Ahh...queste due, insieme, sono come il Gatto e La Volpe.
Sono all'Università da meno di un'ora e già sembra che mi debba fare dei nemici...Grazie ad entrambe ragazze!

Sarà sicuramente un anno difficile...

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


                                                   Gabriel 2.

In stanza con Drake non si sta male in fin dei conti. Non c'è quasi mai. Mi ha detto di far parte di una confraternita e di dormire li spesso e volentieri.
Meglio. Solo, senza distrazioni, ne gente strana che mi gira per camera, posso concentrarmi su questa dannata tesi di Letteratura.
Ad una settimana dall'inizio delle lezioni, l'unico corso dove ho trovato realmente difficoltà è proprio quello della Morgan.
Probabilmente, sono 
sempre stato un tipo più affine alle materie che comprendono numeri, calcoli e ragionamenti logici, anziché, deduzioni psicologiche e tratti caratteriali ad interpretazione personale.
Perciò, dato che non voglio riportarmi questo esame fino alla fine dell'anno, questa mattina, ne ho approfittato per svegliarmi all'alba e provare a stendere qualcosa, per anticiparmi il lavoro e potermi concentrare poi sugli altri corsi.

Sono le sei e mezzo del mattino quando apro il file in pdf da studiare. 
Clik.
Clik.
Clik.

Scuoto la testa dopo tutte le pigiate di mouse. Stavo per addormentarmi. Cavolo.
No! Mi sono addormentato!
L'orologio, sullo schermo del pc, segna le otto e un quarto. Ciò vuol dire che ho solo trenta minuti per trovare l'aula del primo corso di giornata.
Afferro il mio zaino e butto dentro i libri trascinandoli con la mano, via dalla scrivania, in un colpo solo.
Mi muovo in una perfetta sequenza di movimenti ben studiati, utilizzando tutto il corpo come porta-oggetti.
Cellulare fra le labbra, astuccio fra le dita e la borsa ancora da chiudere mentre apro la porta.
Ah, gli occhiali! 
                                                                          ***************
Ci sono pochi studenti a quest'ora. Il corridoio, luminoso per i vari neon, risplende sull'uggiosa giornata di pioggia fuori dalle mura.
Poco brusio, giusto quello di qualcuno che come me ama essere puntuale a lezione.
Alcune ragazze sorseggiano del caffè accanto al bancone della caffetteria all'ingresso. Altre, ripassano per un esame. Possibile che ci siano solo ragazze a quest'ora?
Sfoglio l'opuscolo delle sezioni ed il foglio con i miei orari.
«Stanza 6C» mormoro, percorrendo il corridoio a ritroso fra le aule.
Trovata!
«Buongiorno.» L'insegnate di socio-economia mi saluta, infilando la chiave nella toppa della porta dell'aula.
«Buongiorno a lei.» 
Subito dopo averlo salutato, mi ricordo, amaramente, di non essermi guardato allo specchio.
Insomma, ci tengo a presentarmi a lezione preciso.
Sono attento a particolari come:  gel sui capelli,camicia perfettamente stirata..                   
                                                                            ******************
Le prime ore passano in fretta, fra una spiegazione ed un riassunto di diverse diapositive.
Poi, fatale come l'ultima sferzata d'inverno: l'ora di Letteratura.
Sono proprio in conflitto con questa materia. Da quando la Morgan ci ha assegnato quella tesi, sono avvilito. Forse, perché pretende che una semplice tesina qualsiasi assomigli alla tesi di laurea.
Ma non sono l'unico che è preoccupato qui dentro. L'intera sezione, da quel po' che sono riuscito ad intuire, si sta dannando per accontentare l'insoddisfabile, Jane Morgan.
Avevamo una scadenza e quasi tutti si erano trovati a doversi accordare su una proroga per la consegna.

Tutti tranne lei...

La porta si apre cigolando infondo all'aula, nel bel mezzo della spiegazione. 
La Morgan si zittisce e fissa la sagoma snella, con le braccia tatuate e i lunghi capelli scuri che si appresta ad entrare nella stanza.
«Pestillo» la nomina in tono canzonatorio «anche se la frequentazione di questo corso è facoltativa c'è un orario per l'ingresso.»
Probabilmente, Jane Morgan è l'unica insegnante in questo posto, che si lamenta degli ingressi in ritardo.
In teoria, all'Università, non esiste questa storia. Dovrebbero essere affari nostri se perdiamo una spiegazione.
Ma suppongo, che a quella donna debba dare parecchio fastidio, l'essere interrotta mentre parla.
Cécile la guarda per un momento e poi passa dritta verso un posto libero.
Stranamente, Jane,  serra le labbra e non dice più niente.
Che razza di personaggio è questa ragazza?
E perché Jane non ha continuato ad inveirle contro?
Cécile, solleva la borsa sulla ribaltina della sua sedia e tira fuori un mucchio di fogli spillati.
«La tesina su Freud» stende 
il fascicolo verso la docente.
La stessa Morgan sembra sbalordita. Sbatte le palpebre più volte e poi le dice:
«Oh bè, sei certa di consegnarla così in anticipo?».
Cécile annuisce sorridendo appena.
Come diavolo ha fatto?!
Una settimana e ha già consegnato una tesina del genere?
E' un genio? E' umana?
Credo che tutti intorno a lei , fra i posti a sedere su queste gradinate, la stiano riguardando esterrefatti, proprio, come la sto guardando anch'io.
Non è possibile. La stessa Morgan ci aveva dato tre settimane di tempo per completare quella ricerca, proprio perché, estremamente complicata.
Deve spiegarmi come ha fatto.                               
                                                                                  ********************
E a fine giornata, pretendo di saperlo.
«Scusa?» La intercetto all'uscita dell'edificio.
Lei si volta distratta. I volumi di letteratura fra le braccia e la borsa a tracolla che le gira attorno, quando si volta a guardarmi.
«Ehy.» Sorride appena. «Serve qualcosa?»
«Ecco, so che potrei sembrarti invadente...Potresti dirmi cosa hai messo nella tesina?»
No Gabriel, così è troppo da copioni incalliti.
«Cioè, dove hai preso spunto?» Mi affretto a dire.
Il suo sorriso si fa più largo, come se fosse divertita.
«Suppongo...da dove prendono spunto tutti? Internet.» 
Fa per voltarsi.
«No. Cioè, si. Ascolta ho bisogno che...» Gabriel vuoi veramente abbassarti a chiederle una mano? Si che lo voglio. Devo superare questo esame. «...tu mi dia una mano.» Mi gratto la nuca impacciato.
La curva delle sue labbra, adesso, sa più di derisione che di divertimento.
Sospira. «Non ho tempo.»
«C-Come?».
Riprende a camminare come se nulla fosse.
«Ehy, avanti, non fare la preziosa. E' solo una tesina!» la inseguo piagnucolando.
Probabilmente, questa tizia è - a prescindere dal suo aspetto - la tipica secchiona che vuole tenersi tutte le belle doti intellettive per se.
Il che, infondo, è lo stesso insegnamento che mi hanno impartito i miei, quando si tratta di studiare e raggiungere mete più alte degli altri.
Sghignazza. «Non sto facendo...la preziosa».
Svoltiamo l'angolo e non mi accorgo subito che siamo usciti dal campus.
«Si che stai facendo la preziosa. Non vuoi darmi una mano!» brontolo. 
Si, sono molto insistente se voglio.
Mentre, quasi soddisfatto, sto già per cantar vittoria, Cécile piomba davanti a me fermandosi di colpo e devo tirare il freno a mano ai piedi per non finirle addosso.
«Ascolta. Non ho tempo. Chiaro?» E' seria mentre lo dice. 
Affloscio le spalle.
«Ti pagherò. Qualsiasi cifra per giunta!» Congiungo le mani mimando un gesto di preghiera.
«Voglio che tu mi dica una cosa...» sollevo lo sguardo incuriosito «Ti sembra che io abbia la faccia di un'escort che vuole essere pagata?» Solleva un sopracciglio ed ha l'espressione snervata.
Spalanco le palpebre allibito. 
Un'escort? No, cavolo. Non intendevo minimamente...
Ehy, dove vai?!
Volta i tacchi ed attraversa la strada, quasi, senza guardare le auto che stanno passando e senza aspettare una risposta da me.
Come diavolo le è venuto in mente? Mi avrebbe concesso delle ripetizioni ed io l'avrei pagata come se avesse un titolo per insegnarmi.
Un'escort...Bah.
Sto per demordere, quando però, vedendola allontanarsi lungo il marciapiede, la voglia di non affogare in quella stramaledetta tesina torna a galoppare dentro me.
Ahh!
Attraverso la strada sollevando le braccia a mezz'aria per bloccare il traffico e la rincorro.
Lei si accorge di cosa sto facendo e mi sorride divertita. 
Certo...un attimo prima di accelerare di più il passo fino a correre.
Ma che diavolo!
«Cécile!»
Ed eccomi qui. Vestito di tutto punto, con delle sneaker che costano più di quanto riuscissi a credere, mentre corro fra la gente lungo il marciapiede, con la stessa andatura di un ladro di biciclette inseguito dalla polizia.
Tutto: per una stupida tesina.
Cécile, ogni tanto, si volta alle spalle per vedere se ancora sto al passo. Ridendo.
Ridendo!
Io sono senza fiato. Distrutto dalla sveglia all'alba, mentre lei ...se la ride beata.
La odio in questo momento.
«Diavolo! Fermati Cécile!» 
Credo che il mio urlo l'abbia distratta, poiché, sembra inciampare prima con i suoi stessi piedi e poi, contro un uomo. Un turbinio di fogli avvolge entrambi e nel marasma di quell'istante, finalmente, la riesco a raggiungere.
«Dio, Cécile. Ma sei impazzita?» appoggio entrambe le mani sulle ginocchia riprendendo fiato.
Poi, la vedo. Fa una faccia sgomenta degna delle migliori attrici di Hollywood e tira dritto a se l'indice puntandomelo contro.
«Mi sta molestando!» grida all'uomo con cui è andata a sbattere, che ora, è chino a raccogliere i suoi documenti svolazzanti.
Le mie palpebre si spalancano per la seconda volta in pochi minuti.
«Che....Che...» 
Oh, mio Dio. OH MIO DIO!
Non posso credere che lo stia facendo sul serio.
«Ragazzo, qualche problema?» L'uomo in completo elegante mi scruta minaccioso mentre, lei circonda una sua gamba con entrambe le braccia. Mi guarda come un cerbiatto, con gli occhi tondi. Spaurita manco l'avessi stuprata.
Non riesco a dire una parola. Sono sgomento. Raggelato. Scioccato.
Guardo lei, poi lui, poi di nuovo lei e...sogghigna divertita?!
«No. No, no.» sollevo le mani dritte a me. «Nessun problema.» 
Dovresti fare retro front, Gabriel. Su!
Provo a dirmi. Ma cavolo, voglio prendermela con lei. 
Perché diavolo mi ha fatto passare per un maniaco?!
«Allora smamma.» Fa minaccioso lui, aiutando Cécile a rialzarsi.
La guardo con le palpebre ridotte a due sottili fessure. La rabbia mi divora vedendo la soddisfazione che prova in volto.
Mi decido. Abbandono l'idea di farle una scenata e torno sui miei passi.
Solo dopo qualche minuto sento di nuovo la sua voce.
«Ti aiuto.»
Mi giro, lentamente, fulminandola con lo sguardo.
«Mi ...aiuti?» dico ghignando. Devo sembrare un pazzo.
«Ah, adesso, mi aiuti?» faccio un passo verso lei e la vedo rannicchiarsi fra le sue stesse spalle come se avesse timore.
Respira Gabriel. Respira.
Socchiudo le palpebre per un secondo.
«Grazie mille, allora.» dico cercando di non essere aggressivo. Ma la voce mi esce stridula e metallica.
Lei risolleva la schiena dritta e accenna un sorriso a labbra strette.
E' pazza. Senza dubbio è pazza.
«A presto.» Cinguetta girando su un piede solo e poi, si allontana trotterellando lungo la strada.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


                                                                Gabriel 3.

Ancora non riesco a capacitarmi di ciò che è successo ieri per strada. 
Cécile deve avere qualche problema mentale. Resto fermo dell'idea che sia pazza.
Siamo pazzi. Anche io devo esserlo per aver deciso di accordarmi per studiare con lei.
«Bene. Le lezioni, per questa settimana, terminano qui.» La Morgan rassetta i fogli che stringe per mano e sorride gioiosa alla classe.
Ci solleviamo tutti dai nostri posti.
Venerdì: finalmente.
Non rivedrò questo dannato corso per almeno altri tre o quattro giorni.
«Ehy, tu devi essere Gabriel.» 
Mi volto sorpreso dal fatto che qualcuno mi rivolga parola.
Una ragazza? «Si, sono io» mi trema leggermente la voce.
Chiudo la cerniera del mio zaino e lo carico in spalla.
«Piacere, mi chiamo Allison.» Sorride gioiosamente stringendomi la mano.
All'improvviso, sono contento che qualcuno sia così cordiale con me.
Specie, se si tratta di una ragazza così carina e a modo.
Le do un breve sguardo da cima a piedi: è anonima. Indossa una camicetta bianca, un paio di jeans celesti e delle ballerine. I capelli biondo cenere, sono raccolti in una coda lenta fra le scapole. Non è truccata, ma a me sembra che stia bene lo stesso.
Ho sempre preferito le ragazze acqua e sapone.
«E' inopportuno che te lo chieda, ma vorresti studiare con me questo pomeriggio?» domanda timidamente, mentre ci avviamo verso l'uscita dell'aula.
«Mi avrebbe fatto molto piacere a dire il vero, ma ho già preso impegno con una nostra compagna.» 
Rapidamente mi pento di aver chiesto a Cécile di studiare con me.
Insomma, Allison sembra così una tipa apposto.
Si rabbuia per un secondo.
«Ah» mormora.
Ehy, perché diavolo sembra dispiaciuta?
Superiamo la caffetteria ed usciamo dal complesso di aule per tornare verso il dormitorio.
«Se vuoi, possiamo vederci domani mattina. Così magari ti passo qualche informazione su Freud» Provo a buttarla li, solo perché mi sembra veramente delusa.
Scuote la testa «Non preoccuparti» e mi lancia un ennesimo sorriso gentile.
Ad un tratto, però, i suoi occhi castani piombano su qualcosa alle mie spalle  e si fa seria.
«Allison...» Sibila una voce dietro me; una mano passa fra le mie scapole cogliendomi del tutto di sorpresa.
«Cécile.» Risponde l'altra arida. Il suo sorriso è svanito.
Cécile sogghigna ma non saprei dire perché.
Sembra che si stiano sfidando con gli occhi.
«Pronto per le ripetizioni?» la mora guarda me.
Annuisco scrutando con la coda dell'occhio Allison.
Perché diavolo serra la mascella? 
«Io vado.» Capitola snervata. Poi, guarda me e prova a sorridere «Ci vediamo Lunedì.» 
La saluto con il palmo della mano, nel pieno dell'imbarazzo.                                                               
                                                                                     *****************
«Che diavolo era quello?» strepito mentre Cécile mi conduce verso la biblioteca.
Cammina fiera, lo sguardo ben attento a tutto ciò che la circonda, le dita attorno alla cinta della sua borsa nera a tracolla.
«Quello?...»
Allargo le braccia « Quello che è successo con Allison?», dico aggrottando la fronte.
Fa spallucce. «Non so di cosa parli, francamente.»
Sospiro e le lancio un'espressione eloquente.
«Mancavano solo un paio di spade...» sposto l'anta a vetro della biblioteca.
La mora mi segue all'interno e si sfila la tracolla.
 «Forse, non le sto simpatica» risponde con estrema sincerità, mimando le spallucce.
«Oh, questo lo avevo capito.»
La biblioteca è un posto meraviglioso e quella della Saint Luis lo è ancora di più.
Il pavimento verde e bianco, i tavoli in legno massello e le pareti tappezzate di libri di ogni epoca storica; mi ricreano lo spirito.
Una luce chiara filtra da ampi finestroni ad arco, alti sulle pareti, illuminando, quanto basta, l'intera sala.
Penso che vivrò qui dentro per tutto l'anno.
Cécile schiocca due dita attirando la mia attenzione.
Si sta accomodando a sedere ad un tavolo fra i tanti in fila per la stanza.
La raggiungo cercando di non far rumore.
Ci sono diversi studenti alle prese con le più svariate materie e so quanto sia importante il silenzio per chi studia.
Sfilo lo zaino dalla spalla e mi accomodo spostando lentamente la sedia.
Cécile tira fuori qualche quaderno e le tracce su Freud. 
«Da dove partiamo?» bisbiglio.
Rovista nello zaino ancora un attimo prima di rispondere e tira fuori un lecca lecca incartato.
«Partirei dalla sua biografia» scarta la pellicola che ricopre la sfera di zucchero e la trasforma in una piccola biglia stropicciata fra le dita.
Annuisco e tiro fuori i miei appunti sull'argomento.
                                                                                           ******************
Cécile può restare concentrata per un margine di tempo massimo che varia fra i trenta minuti e l'ora.
Dopo di ché, incomincia ad annoiarsi e quando questo accade, fa cose stupide, fuori luogo e snervanti: come tirarsi fuori dalla bocca, il lecca lecca, rumorosamente.
Socchiudo le palpebre per l'ennesima volta, mentre, distratto da quel suono, dimentico cosa devo scrivere.
«Potresti...» indico la pallina dolce.
Lei sposta lo sguardo piatto a me.
Mi osserva per qualche secondo. Francamente, non credo che le interessi di dar fastidio agli altri.
Sospiro scuotendo, appena, la testa e torno a battere la punta della penna sul foglio.
Non c'è cosa più snervante del rumore che fanno le guance assieme alle labbra, quando succhi qualcosa.
Lo odio.
Fortunatamente, non sono l'unico. Una ragazza ricciolina, seduta al tavolo in direzione d'aria con il nostro, solleva lo sguardo nervosa.
«Puoi smettere di fare rumore?» gracchia, rivolgendosi a Cécile.
La mora solleva lo sguardo dallo schermo del cellulare appoggiato al tavolo e la fissa.
Il suo viso non esplicita nessuna emozione. Non fa una piega, nemmeno, quando l'altra ragazza le ripete «Hai capito?».
Si fa rotolare la pallina di zucchero sulla lingua e poi, inaspettatamente, solleva il polso destro facendole il medio.
Voglio sprofondare. 
«Hai voglia di litigare?» la riccia si solleva furiosa.
Le sopracciglia di Cécile si sollevano, tanto quanto basta, per farle capire che non ha paura. 
«No. Tu hai voglia?».
Vorrei raccogliere le mie cose ed espatriare per la pessima figura che mi sta facendo fare.
Sicuramente avrei rincontrato quella ragazza e mi avrebbe collegato alla sfera di amicizie di questa tipa. Tutto ciò avrebbe fatto si che la mia reputazione trasmutasse da ottima a pessima.
«Cécile, finiscila!» La voce mi scappa più stridula e soffocata del previsto.
I suoi occhi sfiorano i miei. «Ha iniziato lei.» mi dice piatta.
Sul serio?
«Dovresti evitare di portartela dietro.» Proferisce, ad un tratto, la riccia che ha già raccolto la sua roba e se ne sta per andare.
Sospiro innervosito. Vorrei dire qualcosa a questa sfacciata, ma non saprei proprio da dove partire.
«E' colpa mia» sbotto. «Non dovevo chiederti aiuto.» 
Non so perché sono scattato in questo modo. Ne perché sto riempiendo il mio zaino alla velocità della luce.
Anzi lo so: io non sono qui per perdere tempo con le sue stranezze.
Cécile segue con lo sguardo ogni mio movimento. Non cerca di fermarmi. Non risponde nulla.
Continua a giocherellare con quel dannato lecca lecca e ...mi fissa.
Schiudo le labbra, ma poi, resetto qualsiasi pensiero, sospiro e mi dirigo verso l'uscita.
                                                                             ****************
Si, ho avuto un atteggiamento infantile lo so. Ma io non tollero quel tipo di atteggiamento maleducato.
In un colpo solo ha mancato di rispetto a me e a quella poverina che tentava di studiare.
Probabilmente, non sopporto proprio le mancanze di questo genere.
Ma poi ripenso che sto parlando di Cécile, quella, che ha dato a mia madre della "nonna".
Pensavo di averla giudicata troppo in fretta dopo quella tesi consegnata in largo anticipo, ma non sbagliavo, è esattamente ciò che sembra. Sciatta e volgare come i piercing ed i tatuaggi che ha.
Dling.
Le campanelline della porta del Waves, tintinnano fra loro quando entro nel pub.
Mi sono imbattuto in questo posto senza nemmeno accorgermi di aver camminato per ore fuori dal campus. L'irritazione è sciamata in fretta, lasciando spazio a dubbi inappropriati che nutro per quella ragazza.
Sono veramente incuriosito da lei?
Mi accomodo ad un tavolino libero dopo aver ordinato un Hamburger doppio con Ketcup, maionese e patatine. Ho fame. 
Mia madre non mi avrebbe mai lasciato mangiare questa roba. Mi avrebbe messo davanti ad una scelta: o il cibo spazzatura o le sfilate per ditte importanti come indossatore.
Si, questa è l'unica distrazione che ho dallo studio.
Crescendo, si è resa conto, ancora prima di me, che fossi alto e snello abbastanza per fare il modello.
Diceva e dice tutt'ora, che ho il viso angelico. Il ché, in parte è vero. Grandi occhi verdi, la pelle per natura leggermente ambrata come quella di mio padre e l'altezza. La prima volta che mi portò a fare una sfilata, avevo 16 anni ed ero già alto un metro ed ottanta. Da quel momento c'è stata un'ascesa proficua in quel settore, fino a che stilisti importanti non hanno incominciato a chiedere di me.
«Il tuo Hamburger» la cameriera, tatuata e dai capelli rosa, si avvicina nel suo completino da lavoro porgendomi il piatto.
«Grazie» rispondo distrattamente.
Non voglio dare più confidenza alle tipe tatuate.
Tiro fuori il quaderno ed incomincio a rileggere ciò che ho scritto.
Quando sono quasi del tutto concentrato, la cameriera torna ad avvicinarsi al mio tavolo e senza chiedere nulla apparecchia per un'altra persona dall'altro lato.
«Emh, scusa, credo che tu ti stia confondendo.» Provo a farle notare abbassando il quaderno ad anelli.
Lei guarda me come se fossi io quello confuso. 
«Mh...No, affatto.» Termina di apparecchiare e si allontana. 
Non protesto, forse, in questo posto, funziona così.
Sfoglio il mio quaderno ed il tavolo trema leggermente.
Sollevo lo sguardo ed una sagoma snella si è seduta davanti a me.
Cécile. Che diavolo...
«Ho sbagliato ok?» fa, prima ancora che possa dirle qualcosa.
L'osservo incredulo.
Alza gli occhi al cielo e prosegue «Non dovevo comportarmi da maleducata».
Stiro le labbra e reprimo un sospiro. Afferro una patatina e torno a leggere la pagina del mio quaderno.
La ignorerò. Si. Mia madre e Sara avevano ragione, dovevo stargli lontano.
Mi ha fatto perdere una giornata di studio per la sua sfacciataggine. Con l'avvicinarsi inesorabile della consegna di questa tesina, perdere un giorno, significa ritrovarsi nei guai.
«Mi stai ascoltando?»
Sollevo lo sguardo del tutto disinteressato.
Le sue labbra carnose si schiudono dandole un'aria allibita e nervosa al tempo stesso.
«Il tuo Hamburger» la cameriera torna per la terza volta con un vassoio per mano e allunga il piatto a Cécile. Poggia anche una birra davanti a lei.
Perché non mi sbalordisce che beva alcolici?
«Devi proprio fare cena qui?» 
Accoglie fra le dita il panino e solleva lo sguardo a me solo un attimo prima di addentarlo.
«Hai comprato questo posto per caso?» domanda accennando una punta di sarcasmo.
Sollevo un sopracciglio. «Dico a questo tavolo.»
Morde vorace il panino curvandosi leggermente verso il piatto e annuisce.
Rassegnato torno ad appoggiare la schiena indietro sullo schienale della panca di legno. 
Non ho neanche più voglia di mangiare. Mi snerva così tanto.
Le espressioni che fa, come si comporta...Non c'è qualcosa che sopporto di lei.
«Era proprio buono questo panino» bofonchia, satolla, stirandosi le braccia sulla testa, una decina di minuti dopo.
Non mi meraviglierebbe nemmeno sentirla ruttare francamente.
Per fortuna me lo risparmia.
«Allora spilungone...Sei riuscito a scrivere altro su quella roba?» indica il mio quaderno.
Grazie a te no.  
Storco la bocca. «No.» 
Sorride appena come se la mia ammissione  l'avesse, in qualche modo, fatta sentire soddisfatta di avermi fatto perdere tempo.
Forse si sente superiore a me? No, perché certe volte mi guarda e fa delle facce che mi fanno pensare  proprio che mi consideri meno di lei.
Afferra la sua birra e fa un sorso spostando lo sguardo alla strada.
Si è fatto buio anche se sono a malapena le sette del pomeriggio.
C'è gente che passeggia all'esterno del locale. Altri, che rincasano. L'ampia vetrata è tappezzata da stiker di ogni genere ed il vetro è lercio; nonostante ciò, stranamente, questo posto mi piace.
«Sei del posto?» domanda di punto in bianco.
«Tre isolati dall'Università» ammetto.
Sospira una risatina senza distogliere lo sguardo dalla strada.
«Tu?» voglio farle una domanda per annientare il senso di disturbo che mi ha suscitato quella risata fra i denti.
«Io vengo ...» adesso quella a disagio sembra lei. I suoi occhi si sollevano e girano attorno a ciò che ha davanti poi torna a fissare me «Secondo te...da dove potrei venire?»
Non so da dove potrebbe venire. Forse, neanche mi interessa saperlo.
«Australia?» La butto li. Ride.
«Ritenta» poggia gli avambracci sul tavolo e stringe delicatamente la birra fra le mani, facendosela girare fra le dita.
Sembra più interessata ora.
«Canada?»
Scuote appena la testa e ride ancora.
«Stai nominando i posti che ti piacerebbe visitare?»
Mi scappa un sorriso. «Forse..» afferro la patatina che ho lasciato ricadere nel piatto un attimo prima e l'addento.
«Mosca».
Quasi mi strozzo. 
«Mosca? Ma è ...»
«Lontana?» sorride divertita «Si, lo è».
Fa un sorso dal collo della bottiglia. 
«Cioè tu vieni da Mosca, ma il tuo nome è ...non è russo insomma.»
Si asciuga le labbra con il pollice «Oh, da cosa lo deduci?» mi prende in giro.
«Il mio nome è francese. I miei due nomi , sono francesi. Mentre il cognome Pestillo è spagnolo»
Wow, è un perfetto pastrocchio.
Scuoto la testa sorridendo. «Però...Dovevo capire da questo che sei un vero casino»
Ride di cuore. 
«Qual è il tuo secondo nome?» Ad un tratto, le domande mi sfuggono dalle labbra come cavalloni sulla spiaggia.
«Charlotte» i suoi occhi miele non si spostano più dal mio viso. Nemmeno, quando beve dalla bottiglia. Mi osserva attenta ad ogni particolare.
«Invece...il cognome? Immagino che tuo padre sia spagnolo.»
Si tira verso lo schienale. Ad un tratto ho l'impressione che voglia prendere le distanze da me e da quella domanda.
Sposta gli occhi sulla targhetta della birra che sta massacrando con le unghie.
«Lui è per metà americano e per metà spagnolo. Mentre mia madre è russa.»
Si spiegavano gli occhi miele sicuramente ereditati dal padre ed i capelli scuri, classico delle russe che vedo nei...niente, delle russe e basta.
«Capisco. Però! Che razza di quadro di Picasso che sei...»
Sembra che abbia preso la mia affermazione come complimento, poiché, anche se non mi guarda, sta sorridendo.
All'improvviso, ho riacquistato fame.
Mentre mangio il mio panino usando le posate, la vedo osservarmi come se fossi un caso da studiare.
«Che c'è?» domando.
Solleva le sopracciglia e si vieta di ridere. «Non sono l'unica strana a quanto pare».
Guardo in direzione dei suoi occhi: coincide con le posate strette nelle mie dita.
«Non provengo dalla giungla. Esistono le posate ed hanno lo scopo di non farmi sporcare le mani»
Allarga un braccio e lo poggia sullo schienale della panca.
«Sei proprio un damerino.»
Era un insulto? No, perché sono pronto ad offenderla a mia volta in tal caso.
                                                                                           *****************
Terminata la "cena", usciamo dal Waves insieme. L'aria è fresca, anche troppo, ed io ho solo la polo sbracciata, perciò, sto congelando.
Lei indossa nuovamente quel cardigan sin troppo lungo e lo porta sceso sulle braccia come se fosse una mantella.
Secondo me, lo fa solo per farsi guardare tutti quei simboletti sparpagliati per le braccia.
«Non hai freddo?» le domando di getto, notando che la canottiera in micro-fibra che indossa è veramente sottile.
Mima un no.
Ci incamminiamo verso il campus.
«Che facciamo adesso?»
«Co-Come scusa?» 
Lei mi guarda come se fosse ovvio che la serata, per me, debba continuare.
«E' Venerdì sera, amico.» Mi fa notare sollevando le spalle «Ci sono le feste delle confraternite. Quelle nei pub.»
La freno subito «No, no, ascolta io non vado alle feste. Sono stanco e domani mattina vorrei tornare a casa»
Mi guarda come se fossi uno stralunato.
Pensare che mi veda strano tanto quanto la veda io, è estremamente confortante.
«Possiamo non fare tardi...» propone.
Non capisce quello che dico, oppure, è solo petulante ed insistente?
«Sul serio, non sono interessato» 
E poi una serata con lei sarebbe un pugno in faccia a Sara. Se lo venisse a sapere soffrirebbe troppo.
Sorpasso Cécile e proseguo sul marciapiede. Ovviamente, imperterrita, si accoda.
Sospiro.
«Ok, niente feste.»
Oh, l'ha capito finalmente.
«Vai al dormitorio adesso?» si allaccia le braccia dietro la schiena piegandosi alla ricerca del mio viso.
«Già.» Ecco che torna la sensazione di nervoso.
Odio le persone invadenti ed insistenti. E lei è una di quelle. 
«Posso venire con te?»
«No!» gracchio.
Curva le labbra, delusa.
«E va bene...Che verresti a fare?» Cécile si annoia facilmente. Se riuscissi a convincerla che quest'idea è solo una noiosa perdita di tempo, forse, demorderà.
«Mh..» si picchietta le labbra con un dito; l'aria pensierosa. Ci sta riflettendo sul serio? Non è chiaramente lampante che potremmo solo piombare in una serie di silenzi angoscianti e sospiri snervati soli chiusi in una stanza?
«Ci vediamo un film. Hai il portatile tu.»
Come diavolo fa a saperlo?!
Non so cosa risponderle. Non so come spostare la freccia deviandole la strada.
Si sporge verso il mio viso «Il silenzio è assenso» sussurra, poi, mi precede trotterellando come al suo solito.
«Ehy aspetta...Non...»

Ahh!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


                                                                                 Gabriel 4.

Il dormitorio di Venerdì sera è pressoché vuoto. Credo che qui sia di rito partecipare alle feste il fine settimana. 
Per fortuna!
Almeno nessuno mi vedrà in compagnia di questa tizia stramba. Non vorrei alimentare voci del tutto false che potrebbero, in qualche modo, raggiungere le orecchie di Sara.
Ho i brividi solo all'idea.
Attraverso il corridoio delle camerate. E' l'unica parte di dormitorio ancora illuminata , ma presto, anche qui le luci verranno spente.
Perché ha deciso di seguirmi fin qui? Non poteva radunarsi con i suoi amici accannati e fare quello che fa sempre?
«Conosci la strada» dico atono e muovo una mano avanti a me indicandole chiaramente di precedermi. Probabilmente conosce la mia stanza meglio di quanto non la conosca io.
Già...non le ho mai chiesto perché i suoi vestiti fossero sul mio letto, quando sono arrivato.
Dovrei domandarglielo. Ma che dico? Cosa me ne frega?
Raggiungo la porta un attimo dopo di lei, sfilo la chiave dallo zaino e libero l'anta dalla cornice .
Drake non c'è...come al solito. Accendo la luce ed accantono lo zaino ai piedi della scrivania. Lei, fa lo stesso con la sua borsa a tracolla, appoggiandola accanto ai piedi del letto.
Si aggira per la stanza, sbirciando fra i miei volumi accantonati su una mensola, affianco al mio letto. Non posso fare a meno di seguire ogni suo movimento con lo sguardo, come se temessi qualche gesto strano da parte sua.
C'è una libreria logora dello stesso color verde bottiglia della porta con sei mensole praticamente vuote. Gli unici libri presenti sono i pochi che ho portato da casa mia. Di Drake c'è ben poco a parte, poster di cantanti, una quantità indefinita di  posacenere e riviste pornografiche sparse qua e la per la stanza.
Il mio letto è accostato proprio alla libreria e blocca gli ultimi scaffali. Sopra di lui c'è un'ampia finestra, stessa cosa sul letto di Drake.
E' una stanza piccola per due persone ed i mobili sembrano incastrati a forza come , ad esempio, il mio comodino accantonato alla parete oltre la testata, in legno chiaro, del mio letto.
E' tutto così scomodo qui dentro.
«Norwegian Wood. Wow...» Cécile, tira dalla piccola pila di libri, uno dei miei preferiti e ne studia la copertina come se stesse ispezionando un reperto storico.
«Sapeva dimostrare una rara nobiltà d'animo e allo stesso tempo una inguaribile bassezza. E mentre con la sua grinta e il suo ottimismo trascinava la gente,il suo spirito annegava in una palude di tristezza e solitudine.» cita.
«Intuii dal primo momento questa sua natura contraddittoria e non riuscivo a capacitarmi di come facessero gli altri a non vederla.Il suo inferno lo accompagnava a ogni passo.» continuo dopo di lei.
Ci sorridiamo. 
«Hai letto anche tu questo libro?» le domando cercando di velare il mio senso di sorpresa.
Annuisce «ed ho anche imparato a memoria diversi versi a dire il vero.» Lo ripone fra gli altri.
Non immaginavo che fosse amante della lettura. Insomma si, se ti sei iscritto a letteratura devi esserlo per forza , ma non credevo che una tipa come lei , potesse apprezzare questo genere.
«Che c'è?» sorride più vistosamente. Probabilmente la sto fissando con la faccia da ebete.
«Niente...» mi massaggio la nuca vagando con lo sguardo per la stanza.
Quando finalmente riesco a frenare quella folata d'imbarazzo che mi scuote come vento in tempesta , afferro il pc dalla scrivania e lo accendo.
«Che film vorresti guardare?» chiedo poi, impacciato.
«Mh...non so.» 
Sono agitato, il ché, non mi suona nemmeno troppo strano dato che sono in sua compagnia e non ho idea di cosa farle vedere.
Oddio, forse mi sto facendo salire l'ansia perché ho paura di fare brutta figura propinandole qualche film noioso? Veramente sono agitato per questo? Non era mio obiettivo farla annoiare?
Che mi prende?
Dopo minuti interminabili di fallita ricerca, pigio sull'icona di Netflix e le porgo il pc.
«Scegli tu.»
Sbatte le palpebre due volte. «Addirittura mi concedi quest'onore? E se poi non ti piace ciò che scelgo?»
Perché ho la sensazione che ora si senta esattamente come me?
Alzo le spalle. 
Lei si siede lentamente sul materasso e le sue dita incominciano a scalpicciare sulla tastiera.
Non mi sono mai sentito tanto agitato per la scelta di un film. Sara ama tutto ciò che piace a me , perciò sono sempre andato sul sicuro con lei.
«Trovato» mormora soddisfatta.
Mi accosto al materasso e spio lo schermo. 
«Hai intensione di guardare una serie?»
Fa spallucce. «Perchè no?»
«Perché non riusciremo a vedere la fine? Tanto per cominciare.»
Mi scruta in una maniera strana.
«Non si deve necessariamente scoprire come va a finire qualcosa» ammette «certe volte , il bello sta proprio nel non sapere come finiscono certe storie».
Non la penso allo stesso modo. Che gusto c'è nell'incominciare qualcosa se poi non sai come va a finire? 
«Per me è meglio se vediamo un film.» Borbotto accomodandomi a sedere accanto a lei.
Sghignazza. «Sei troppo impaziente, Gabriel Fontés
Sa il mio cognome?
Sposto lo sguardo sorpreso -e non piacevolmente- verso lei.
E' una stalker? Mi spia? 
Prima il pc, ora il mio cognome...
Pigia sul menù e sceglie un film a caso. Di colpo, mi sento quasi in imbarazzo per averla costretta a scegliere un film.
«Ok, mando in play?» domanda.
Annuisco distratto dal flusso incessante di domande che mi sto ponendo.
Non ci metto molto a perdere interesse per il film ma ne guadagno di altro genere: lei.
La ragazza più strana che abbia mai incontrato prima. Rimangio ciò che credevo di lei.
Probabilmente è più contorta e profonda , anche di me.
Forse, sbaglio a giudicare le persone dal loro aspetto esteriore. Non tutti sono come quello che vogliono far vedere.
Specialmente lei, combattuta fra due personalità del tutto in collisione fra loro.
Una: sciatta e volgare. L'altra, molto più eclettica e complessa.
  Passano tre quarti d'ora e la schiena appoggiata contro il muro interrotto dalla finestra , incomincia a dolermi.
Anche lei sembra intorpidita dalla posizione, ma a differenza mia , è molto più propensa a prendere iniziativa.
Senza chiedere nulla , infatti, si sdraia a pancia in su portandosi in grembo il pc.
Solleva lo sguardo oltre il bordo e mi fissa.
Anche se non dice nulla, i suoi occhi , mi chiedono implicitamente di seguirla e stranamente non sono urtato dal fatto che non mi abbia chiesto permesso.
La imito sdraiandomi affianco a lei , piegando un braccio sotto la testa e tornando a fissare lo schermo del pc.
Non la sfioro. Evito che qualsiasi punto del mio corpo possa urtare il suo, schiacciandomi verso la parete. 
Sono a disagio e non è solo lei il motivo. Bensì, credo che sia io il problema. Io e questa strana sensazione piacevole che provo ora  in sua compagnia.
Lo stare sdraiato con lei , mi sembra qualcosa di così normale, come se fosse capitato già altre volte.
Cécile sospira appena uno sbadiglio e sperando che non se ne accorga, per un solo istante, le spio il viso. Ha gli occhi umidi di sonno ma sembra ostinarsi nel continuare la visione del film.
Ora che la guardo da vicino , i suoi lineamenti sono così delicati. Il naso leggermente a patata, le labbra carnose , gli occhi grandi e le ciglia lunghe.
Nonostante abbia i tratti somatici ancora acerbi, dimostra molto di più dell'età che penso abbia.
Si muove appena sul materasso e di riflesso schizzo via gli occhi da lei. Lo sguardo, però, mi finisce sul suo braccio sinistro. Sui piccoli simboli tatuati sulla pelle chiara.
Probabilmente hanno tutti un significato che non mi sovviene. 
In particolare me ne colpisce uno: una serie di triangoli concentrici in varie sfumature di nero. E' un po' più grande degli altri e le sta proprio sotto la spalla. Attorno ci sono altri simboli, qualche nome calcato in piccolo ed alcuni petali di pesco sparati qua e la.
Non le ho mai visto tutte le braccia nude ma immagino che siano tappezzate di questa roba.
Provo ad immaginare come potrebbe essere Sara  marchiata in quel modo e poi immagino me. 
No, noi siamo così distanti da questo genere di usanze tribali.
Perché dovrei sgarbare il mio corpo.
Si porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio e con la stessa mano sfila il cellulare dalla tasca della tuta. Accende il display per poi oscurarlo nuovamente.
Forse, se non avesse tutti questi tatuaggi e quel piercing sotto il naso, Cécile, sarebbe veramente carina.
Di colpo, sono arrabbiato con lei per essersi rovinata in quel modo.
E' alta , snella ed ha ogni rotondità al posto giusto. 
Non capisco , fra l'altro, perché usa vestirsi così male. Nel senso, perché proprio la tuta e le scarpe da tennis? Perché quel cardigan largo che le potrebbe fare da coperta?
Perché non indossa una camicetta o un semplice cardigan? Le risalterebbero le forme e la renderebbero molto più femminile.
«Ti dispiace?» mi tende il pc. Si è surriscaldata la ventola e forse, per questo, mi sta implicitamente chiedendo di tenerlo in grembo al posto suo.
Annuisco e me lo porto sulla pancia.
Ci scambiamo le posizioni: io a pancia in su e lei che ruota su un fianco. Le mani esili dalle lunghe unghie laccate di nero, schiacciate dalla guancia e l'aria serena e distesa.
Con lo schermo davanti sono costretto a fissarmi sul film; senza accorgermi che il tempo è passato velocemente ed è notte fonda.
Ma c'è qualcosa di peggiore del dormire poche ore e svegliarsi presto: Cécile che dorme di sasso accanto a me.
Ho un sussulto interno quando mi volto a guardarla.
Come faccio adesso? Svegliarla mi sembra veramente poco carino ma, mia madre, piomberà in camera mia domani mattina presto e se non la faccio andare via la troverà qui.
Chiudo il pc e lo abbandono sul materasso.
Pensa Gabriel. Pensa.
Allungo l'indice e le punzecchio la spalla sperando che apra gli occhi, si scusi e vada via.
Niente. Oscilla ma continua a ronfare.
Merda.
Mi lascio ricadere all'indietro. Non potevo trovarmi in una situazione peggiore di questa.
                                                                              **************
Una musica invadente mi filtra nei lobi delle orecchie. E' incessante, forte, fastidiosa.
Sbatto le palpebre impastate dal sonno. Non realizzo subito dove mi trovo, cosa devo fare, ne tanto meno, che ore siano.
C'è solo questa diavolo di suoneria che strepita frasi a caso seguite da colpi di batteria.
Mi tolgo il paio di occhiali guardandomi intorno. 
Ah. Dimenticavo che questa è ancora nel mio letto.
Il display del suo cellulare si illumina brillando al di la del suo profilo.
Probabilmente lo ha schiacciato sotto un fianco. Provo ad allungare le dita di una mano, alla ricerca dell'apparecchio, facendole scorrere timidamente lungo il bordo del materasso.
Dannazione! Proprio il rock deve piacere a questa qui?
Quando finalmente urto il bordo del suo Iphone , mi rendo conto , di avere la mano incastrata sotto di lei.
Immagino subito la sua reazione se dovesse svegliarsi. Li si, che mi crederebbe un maniaco.
Mi affretto a tirare via il cellulare e cerco disperatamente di mesticarci per mettere il muto.
Jace: questo è il nome che brilla ad intermittenza sullo schermo.
«Ti piacciono i "We are the fury"?  Stai facendo squillare il mio cellulare da ore...» biascica assonnata , facendomi trasalire.
«E' questo tipo che sta facendo suonare questa canzone odiosa da ore» brontolo acido, mostrandole lo schermo del suo telefonino.
Sbatte le palpebre come se si stesse forzando a svegliarsi di colpo ed afferra l'aggeggio.
Sospira come se quel nome l'avesse disturbata e pigia il tasto sulla parte superiore del telefono.
A saperlo prima, lo avrei fatto anche io...
«Chiamate indesiderate?» 
«E' solo quel rompicoglioni del mio coinquilino.» fa sconsolata.
Madamme...
Si solleva dal materasso stropicciandosi gli occhi.
«Vado a prendere un caffè. Vuoi che ne porti uno anche a te?» 
Sfilo il mio cellulare dalla tasca posteriore del pantalone: le sette e trenta.
Posso permettermi un caffè. Mia madre non sarà qui , prima di mezz'ora o più. Cécile sarà già andata via e tutto filerà liscio.
Oltretutto , cancellerò il fatto di averci dormito insieme e dei pensieri che avevo su di lei e sul suo corpo.
Si. Lo farò, sicuramente, appena evaporerà da qui.
Cécile si solleva ed esce dalla stanza. Ha i capelli leggermente arruffati e l'aria di una che vorrebbe tornare a dormire. E' buffa.
Non penso si sia truccata, poiché, il cuscino non è macchiato di fondotinta come mi sarei immaginato e le sue ciglia lunghe non hanno coperto di mascara la pelle dei suoi zigomi.
Probabilmente ha un colorito così omogeneo che trae in inganno.
Mi stiracchio ancora un po'. Sono tutto intorpidito. Avevo dimenticato come fosse dormire in due su un letto singolo. Era capitato solo una volta a casa di Sara, durante un pomeriggio di pioggia, ma non ricordavo di essermi svegliato come ora. Mi sento Pinocchio ; un pezzo di legno.
Afferro il pc e mi sollevo per appoggiarlo sulla scrivania.
Dovrei incominciare a mettere in ordine le mie cose se voglio riportarle a casa.
Ho bisogno di vestiti puliti, di un altro paio di scarpe, qualche cappotto per quando incomincerà il freddo; e di una marea di altre cose.
«Tieni» quando mi volto Cécile stringe per mano due bicchieri di carta con il logo dell'Università. Su uno ci sono due bustine di zucchero , sull'altro, solo una.
Il suo viso è leggermente imbronciato , tipico di chi si sveglia controvoglia.
Mi stende il caffè e toglie il coperchio al suo. Si accomoda al bordo del letto e si organizza per strappare le due bustine di zucchero.
Imito i suoi gesti, annusando l'aroma del caffè ancora fumante, restando a berlo in piedi accanto alla scrivania.
Cécile, di prima mattina, spiccica due parole in croce. Credo che sia quel genere di persona che odia i rumori da appena sveglia - cosa che non si direbbe data la suoneria del suo cellulare.
Io, al contrario, quasi subito dopo aver aperto gli occhi sono un grillo.
Ho voglia di fare , di muovermi.
Mentre beviamo i nostri rispettivi caffè, piomba un silenzio imbarazzante fra noi. Quel genere di silenzio che, vuoi o no, si viene a creare quando due persone si trovano assieme in un posto senza conoscersi.
Odio i silenzi.
«Non sembra anche a te , di avere le ossa ridotte a carta pesta?» le domando cogliendo la palla al balzo, quando la vedo massaggiarsi il collo.
«Decisamente».
Il silenzio torna a persistere ed io non posso fare a meno di pensare che ben presto mia madre o peggio , Sara, sarà qui.
Non voglio essere sgarbato con Cécile , cacciandola da camera mia, ma voglio evitare scene apocalittiche.
Schiudo le labbra giusto appunto per dirle che deve andare via , quando, la porta si spalanca di colpo.
«Amore , siamo qui.»
L'espressione sbigottita di Sara , si fa largo nella mia coscienza, spiazzandomi. Le sue iridi celesti viaggiano da me a Cécile e da lei di nuovo a me.
Il viso della mia ragazza, cambia tonalità una decina di volte, prima di farsi paonazzo.
Fa un passo all'indietro.
«Sara» sollevo le mani «non è come pensi.»
Muove la testa mimando un no e si porta una mano alla bocca. Gli occhi le si inumidiscono in fretta.
Persino Cécile sembra leggermente attonita.
Non proferisce mezza parola; fissa Sara con le labbra dischiuse. Probabilmente, non sa neanche lei come comportarsi.
«Perché lei è qui, Gabriel?» la voce le trema sulle corde vocali.
«Ecco...» cerco risposta da Cécile stessa, rivolgendole lo sguardo. Perché è qui? Perché ha dormito con me?
Torno a guardare Sara e cerco di mostrarmi il più sincero possibile «abbiamo visto un film» ammetto «voleva portarmi ad una festa, ma ho rifiutato.» 
Cécile solleva entrambe le sopracciglia.
So, che sto facendo l'infame, scaricando tutta la colpa a lei ma non posso perdere Sara.
«Questo dovrebbe farmi sentire meglio?» strepita.
«Si può sapere che diavolo succede? Vi sentite dall'ingresso!»
Ruby, la nostra domestica , passa accanto a Sara urtandola con la sua irruenza solita. L'aria nervosa.
Non è la classica donna di servizio. Lei è ...eccentrica, volgare, sfacciata come Cécile; ma conosce mia mamma da secoli, perciò, sono abituato al suo modo di fare sui generis.
Diciamo che ho imparato a tollerarla.
«Oh Ruby, per fortuna sei qui» dico con fare supplichevole «aiutami a far capire a Sara che non è successo niente ».
Ruby sposta gli occhi scuri su Cècile e sogghigna per un momento. 
«Però, ti sei dato alla gnocca a quanto pare.» commenta con il suo solito sarcasmo che fa accapponare la pelle.
Alzo gli occhi al cielo «Ruby»  
«Che c'è? Dico solo che è una bella ragazza.» ammette serena, alzando le spalle.
«Vedi? Lo dice anche lei!» Singhiozza Sara.
Dovevo sapere che Ruby mi avrebbe messo nei casini. Lei odia Sara. Dice che è una gatta morta e che mi rammollisce.
Dice anche, che dovrei smetterla di cercare mia madre nelle ragazze, ma io credo che sia solo la mia costante brama di perfezione che mi spinge a trovare caratteristiche a lei comuni.
«Ok....ok» Cécile interrompe il teatrino sollevandosi dal materasso «Biondina, non è successo niente ieri sera. So che non ti è piaciuto vedermi con il tuo ragazzo a bere un caffè, ma credimi , non lo sfiorerei nemmeno con i genitali di un'altra».
Ho un momento di delusione immotivato. Non che mi interessi sapere se a Cécile , potevo piacere o no, ma sentir dire quella frase mi ha fatto restare male. Ha colpito la mia autostima.
Sara sembra leggermente confusa, probabilmente, non sa se dar retta al suo istinto o alle parole di Cécile.
Guarda me come se volesse un'ammissione.
«Oh, perfetto» esordisce Ruby «ora possiamo ripartire, prima che la vecchia chiami la cavalleria?»
Cécile afferra la sua borsa a tracolla e getta il bicchiere di carta del caffè nel cestino.
«Ci vediamo a lezione.» Dice con tono distaccato.
Esce dalla stanza come un fantasma, sparendo per il corridoio.
                                                                                   ***************
Durante il viaggio , Sara non fa altro che battere i polpastrelli sulla tastiera del suo cellulare , digitando freneticamente una serie infinita di messaggi. So, a chi sono indirizzati, e la cosa non mi piace affatto.
Ruby guida senza scollare gli occhi dalla strada ed ogni tanto, alza la musica della radio per farmi domande riguardo Cècile.
Non so, ma forse -e dico forse- c'è la remota possibilità che quella ragazza l'abbia colpita.
«Come diavolo ti è passato per la testa?» bisbiglia.
«Non lo so. Non era in programma che finisse in camera mia.»
Scuote la testa «no, dico come ti è saltato in testa di non fartela?»
Sono basito. Ruby è totalmente fuori di testa.
Nonostante i suoi 46 anni , parla e pensa , come una ragazzina che ne ha 20.
Le lancio un'occhiata di disappunto , prima di spostare lo sguardo oltre il finestrino.
Ruby ha ragione, Gabriel. Perché non ci hai provato con lei? A te piace.
Un tonfo al cuore mi fa tossire , quando , la vocina interiore, nella mia testa, mi svela il più arcano dei miei inconsci pensieri.
Vorrei incominciare una discussione con questa stramaledetta voce insidiosa, ma Ruby, svolta l'angolo e parcheggia.
Siamo arrivati prima che potessi realizzare la provenienza di quel pensiero.
Scendiamo dall'auto.
Sara ha un broncio che non finisce più e non mi degna di una parola. Avanza nel vialetto di casa, pronta a farsi sostenere da mia madre, nelle sue sciocche sceneggiate.
Ruby apre il portabagagli e tira fuori le mie cose.
«Gabriel Clayton Fontés!» E' il momento.
Mia madre marcia verso di me con una vistosa espressione adirata sul viso.
«Come diavolo ti è venuto in mente di far dormire da te , quella sciacquetta !»
Lo ha detto sul serio? L'ha chiamata sciacquetta?
Socchiudo le palpebre per un istante. 
Sara doveva per forza spifferarle sempre tutto?
«Che cosa ti ho insegnato? Possibile che pochi giorni di quel posto ti abbiano già plagiato?» Sbraita.
«Mamma, Sara ha confuso la situazione» provo a giustificarmi.
Il suo cipiglio si fa più marcato «non credo che ci sia molto da confondere! Tu, da domani , torni a dormire qui!» Sentenzia.
Dietro di lei Sara mi fulmina aggrottando la fronte. E' proprio infantile delle volte.
«Va bene.» La sorpasso incazzato come una belva e supero anche Sara senza considerarla.
Dannazione mi sembra di essere trattato come una fighetta. 
Certo , anche io mi sarei fatto pessimi pensieri se l'avessi trovata in camera con un ragazzo, ma cavolo le abbiamo detto in due, che non è successo nulla.
Salgo le scale in legno lucido e raggiungo la porta di camera mia sbattendomela alle spalle.
Devo calmarmi. Così come sto ora , non potrei mai affrontare un pranzo con loro e con mio padre.
                                                                          *********************
Una mano bussa sulla lastra della porta di camera mia. Devo essermi addormentato.
«Gabriel è pronto!» La voce da cornacchia di Ruby , mi costringe ad alzarmi.
Apro la porta e me la ritrovo davanti con uno strano ghigno malizioso.
«Che c'è?» brontolo.
«Si vede che ti dispiace...»
«Dispiace?» chiudo la porta dietro di me.
Allaccia le braccia al petto «Ma si, perché devi tornare qui.» So che vorrebbe aggiungere altro.
Sollevo un sopracciglio in attesa che spari quella frase.
«Ed anche per lei» ammette, finalmente, in fine.
Sospiro rumorosamente alzando gli occhi al cielo e mi dirigo verso le scale.
«A me puoi dire la verità» si affretta a raggiungermi.
«No Ruby, ti sbagli.»
Ridacchia. «Sono Indo-americana, non scema.»
Non ho mai pensato che Ruby fosse scema , anzi, ci ha sempre visto lungo su tutto.
Forse, è per questo che mia madre non l'ha licenziata e la strapaga.
«Mi serve solo per la tesi su Freud, ok?» mi piantono davanti a lei.
Storce il labbro e muove una mano avanti a se «si , si . La tesi su Freud.».
Lascio correre , tanto so, che non cambierà opinione.
Attraverso uno dei tanti salotti di casa: quello prima della sala da pranzo, con vista sugli ettari di terreno attorno alla villa.
«Ben tornato, figliolo!» Mio padre è seduto a capotavola e mi saluta con enfasi.
Sorrido e mi accomodo a sedere, attorno all'ampio tavolo rettangolare imbandito di ogni ben di Dio.
«Allora» incalza «com'è l'Università?».
Ce ne sarebbero di commenti da fare...
«Normale. Mi trovo abbastanza bene» rispondo vago, afferrando la bottiglia dell'acqua e versandomene un po' nel bicchiere.
«Normale? Tutto qui?» Lui si versa del vino ed un attimo dopo, i suoi occhi sono di nuovo su di me.
Alzo le spalle. Sono proprio disturbato oggi , non riesco a trovare la voglia per parlare.
«E' successo qualcosa Gabriel?» mi chiede apprensivo.
Mia madre compare dalla stanza adiacente, schiarendosi la voce.
«Gli ho detto che deve tornare a dormire qui» lancia un'occhiata autoritaria a mio padre che di riflesso aggrotta la fronte.
«Per quale motivo?»
Sara guarda mia madre con gli occhi che le brillano. Mi irrita.
«Perché? Perché tuo figlio, Joshua, ha incominciato a frequentare un brutto giro» poggia entrambi i palmi sulla tovaglia candida.
Mi sollevo di colpo «non ho incominciato a frequentare proprio nessuno.» 
Mi guardano tutti spiazzati.
«Ora calmati figliolo...» mio padre mi fa cenno di tornare a sedere «...di che giri parla?»
Scuoto la testa «Sara, ha trovato in camera mia , la ragazza che mi aiuta con la tesina su Freud. Il problema è che è tatuata e mia madre soffre della così detta: puzza sotto il naso» parlo secco, scandendo bene le parole che mi escono dalle labbra con una punta di astio.
Mio padre fa girare il vino nel suo bicchiere e butta giù un sorso.
Non volevo ammettere di aver avuto problemi con lo studio, ma me l'hanno dovuto tirare fuori a forza ed ora non posso smettere di vuotare il sacco.
«Non si è posta la minima domanda su Cécile. L'ha additata solo per il suo aspetto esteriore» proseguo con lo stesso timbro nervoso «sai quanto tempo abbiamo per quella tesina? Tre settimane , proprio perché è difficile. Sai in quanto tempo l'ha consegnata lei? Sei giorni.»
Mia madre sembra sentirsi presa in contro piede.
Storce le labbra tinte di rosso ed abbassa lo sguardo imbarazzata.
«E' un genio quella ragazza.» Concludo buttando la schiena all'indietro contro la sedia.
Mio padre ascolta in silenzio fino alla fine e sospira.
«Sharona, forse dovresti ripensarci. Infondo, se Gabriel dice la verità - perché la dice-» guarda me e sottolinea con la voce l'ultima frase, poi torna a guardare lei «quella ragazza potrebbe aiutarlo a passare l'esame.»
Mia madre si accomoda a sedere contrariata. Sara ascolta in silenzio delusa.
«Non fa niente. Torno qui» il mio più grande difetto è quello di essere orgoglioso , perciò, se ha detto che devo tornare, apposto. Facesse lei!
Mia madre non proferisce altro, ma so che è soddisfatta.
  Trascorriamo il resto del pranzo parlando a coppie: me e mio padre, e Sara e mia madre che si scambiano qualche breve frase di cortesia e nulla di più. 
Fanno così quando architettano piani alle mie spalle e non vogliono farsi "scoprire" colpevoli.
«Vi porto il dolce?» Ruby appare con una fetta di pane e prosciutto fra le dita.
Mia madre la guarda e scuote la testa sconcertata.
«Si Ruby, grazie» sospira.
Mentre aspettiamo il dolce, evito lo sguardo di tutti, e mi perdo nel meraviglioso paesaggio fuori dalle ampie vetrate della stanza.
Il cielo è una distesa pennellata perfettamente da piccole nuvolette bianche ed il sole risplende sul mio giardino come se fosse una giornata di piena estate.
Abbiamo una piscina e probabilmente , più tardi, mi farò un bagno. Ma non inviterò Sara...o forse si.
«Eccoci!» Ruby con la sua solita esuberanza si avvicina con un carrello porta-vivande e ci stende i piattini con la Zuppa Inglese.
Lo zucchero addolcisce le persone , si sa. Ed infatti, le chiacchiere si espandono lungo il tavolo rendendo meno stucchevole ciò che stiamo ingurgitando.
Mentre addento il primo pezzetto di torta , per qualche strano motivo, nella mia testa incomincia a rimbombare la suoneria di Cécile. 
Forse non era così male. Ma si, era orecchiabile. Mi dico.
«Non lo sentite anche voi?» chiede mia madre drizzando la schiena.
«Si..» risponde Sara girandosi verso l'ingresso.
Ad un tratto quella suoneria diventa vivida, vera.
Ma che diavolo...
Mi sollevo dalla sedia per raggiungere il mio zaino,  lasciato assieme  al borsone, vicino alla porta d'ingresso.
Più avanzo , più la sento.
Tiro giù la zip ed incomincio a frugare.
L'apparecchio mi vibra sul palmo della mano illuminandosi e oscurandosi ad intermittenza.
Un numero , scorre lungo la parte superiore del display. Non è registrato e... è il mio numero!
«Si può sapere che succede?» Chiede mia madre dalla sala sporgendosi sul tavolo.
«Niente.»
Come diavolo c'è finito nel mio zaino?
Poi ricordo. I nostri cellulari erano buttati sul letto, evidentemente, dobbiamo averli confusi.
La suoneria si zittisce e parte il trillo di una serie di messaggi.
C'è una password che blocca lo schermo, ma posso  leggere le prime frasi ugualmente, dato che appaiono sullo schermo.

Hai preso il mio telefono.
Devi ridarmelo.


Il tono dei messaggi è impositivo ed arrogante , tipico di Cécile.

Non puoi sbloccare lo schermo vero? 🤪
Vorresti farlo però.
Allora , ti darò il pin. Ma non devi aprire niente all'infuori degli sms che ti sto mandando.


Continua a scrivermi una pioggia di messaggi come se stesse facendo un monologo con se stessa.
Mi viene da sorridere.

3325. Ricorda , non sbirciare.😉

I passi di Sara si fanno largo lungo lo spazio fra ingresso e sala da pranzo. Avanza inesorabile a passo di marcia.
Resto come un'idiota. Se le nascondo il telefono farà una scenata , ma se non lo faccio , farà peggio.
Assottiglia gli occhi, spostando lo sguardo da me alla mia mano. «Di chi è quel telefono?» 
«Di...Della ragazza che hai visto in camera. Deve averlo scambiato con il mio.»
Fa una smorfia di disgusto, ma stranamente , non strepita.
«E ti sta scrivendo ora?»
«Con il mio, per dirmi appunto, che lo abbiamo scambiato»  sembra rilassarsi appena «cancellerò le chat quando glielo restituirò, sta tranquilla.»
Finalmente un sorriso.
Non riesco ad essere arrabbiato con lei a lungo.
Le accarezzo una guancia.
«Godiamoci questa giornata.» Le poggio una mano dietro la schiena e la guido verso la sala.
                                                                                  **********************
Il pomeriggio passa in fretta. Ci facciamo il bagno in piscina, giochiamo con Dolly-il mio cane, guardiamo un po' di tv; Sara suona la chitarra di mio padre per esercitarsi e finalmente scende la sera.
«Ci vediamo domani mattina.» Scosto la porta d'ingresso e la lascio uscire di casa.
«Certo amore.» Mi copro dietro l'anta per rubarle un bacio senza farmi vedere da mia madre.
Le guance le si arrossano e sorride dolce.
«A domani.» Mi saluta e saltella sui tre gradini che precedono il prato, correndo verso l'auto di suo padre.
Lui suona il clacson e mi saluta con una mano. Ricambio e lascio che ripartano prima di chiudermi la porta dietro.

Dling

Il suono del sms mi fa sussultare. Avevo scordato di aver il telefono di Cècile in tasca.

Non hai ancora sbloccato il cellulare? 

Perché le interessa così tanto? Non possiamo restituirci i cellulari Lunedì all'Università e basta?
Fisso lo schermo a lungo, mentre salgo le scale e raggiungo la mia camera.
Non so per quale motivo , ma ...provo una sorta di imbarazzo misto all'agitazione, pensando di ficcanasare fra le sue cose.
Mi chiudo la porta alle spalle e decido di lanciarmi sul letto.
Il cellulare è qualcosa di personale -anche se nel mio non ho praticamente nulla.
Ma in quello di Cécile, che avrei trovato?
Alla fine la curiosità vince il timore e digito il pin.
Lo schermo si sblocca sull'interfaccia della Home.
Ci sono le chiamate che mi ha fatto con il mio cellulare segnate sull'icona del telefono e almeno una ventina di sms non letti che, so, non appartenere tutti a me.
Lo sfondo è sommerso dalle icone , ma si distingue bene un grosso serpente disegnato e pittato in varie tonalità di verde e blu.
La solita roba da svalvolati; penso.
Pigio sull'icona sms ed involontariamente, non si aprono subito i miei, ma l'intera lista dei suoi contatti Whatsapp.
C'è Drake e Jace e poi una sfilza di numeri non salvati che le chiedono  cose tipo : "dove sei?" o "che fine hai fatto?".
Ignoro il motivo di quei messaggi, perciò, li lascio perdere ed apro la mia chat.

Ho sbirciato. 

Scrivo.

Non è vero. 

Risponde dopo qualche minuto facendo apparire l'online accanto alla foto della mia faccia.

Come fai a saperlo?

Incomincio a trovare divertente questa storia.

Perché sei troppo un bravo ragazzo.

Mentre sto digitando ancora , però, scrive un secondo sms.

A differenza mia. 🤪   

Sorrido come un ebete anche se so di avere il display davanti a me e non lei.

Puoi sbirciare quanto vuoi , tanto , non troverai assolutamente nulla.

Le cose più importanti le ho sul portatile, il cellulare , l'ho sempre utilizzato poco.

Se però entrassi nel tuo ICloud...

Avvampo per un secondo, ma poi ricordo che ci vuole una password.

Certo , accomodati pure... 😉

Appare "sta scrivendo..." ma la risposta attende ad arrivare. Ed infatti alla fine si blocca.
Non voglio sembrare un disperato che cerca di attaccare bottone a tutti i costi , ma non voglio neanche che lei smetta di scrivere.

Da Lunedì torno a dormire a casa.

Perché cavolo gliel'ho detto?!
Torna subito online.

Ah...Davvero?

Non so come interpretare quella risposta, perciò, la ignoro e proseguo.

Si , mia madre era furiosa. Sara le ha raccontato tutto come al suo solito.

Sta scrivendo...
Ruoto sulla schiena con il cellulare alto fra le dita.

Dovevo approfittare della situazione, allora. Almeno, l'avrei fatta arrabbiare per bene.

Perdo un battito e le guance mi vanno a fuoco.
Leggo bene?

Ma che dici?

🤣 Riesco a vedere la tua faccia basita , da qui.

Mi prende in giro come al solito.

Ah-ah. Simpatica.

So, di starti simpatica.

Afferma con una sicurezza spiazzante. Lei, non sa neanche se le cose stanno realmente così, eppure, le plasma affinché  siano come le pensa lei.

Non ne sarei tanto sicuro.

Allora ti piaccio.


Che?!
Ad ogni modo sto sorridendo ancora.

Neanche un po'.

Però mi guardi le tette.


Ho uno spasmo allo stomaco.

Non è vero!

Oh, si che lo è.


E' vero? Le ho mai guardato le tette? Forse, involontariamente.

Quando sarebbe successo?

Possibile che l'abbia fatto? E se l'ho fatto, mi sono fatto beccare pure come un imbecille.

Succede tutte le volte. Forse, non te ne accorgi.

No, mi sta prendendo per i fondelli.

Se è capitato , sicuramente , sarà stato perché le paragonavo a quelle di Sara.

Oh..be', la tua ragazza dovrebbe essere veramente fiera di te. Immagino che sia bellissimo andarsene in giro a fare paragoni sulle tette.

Il suo tono è cambiato. 

Intendevo dire che, per me, le sue sono meglio di tutte.

Ma perché sto dando certe spiegazioni?

Certo.

Cambio la dicitura affianco al termine pazza : lei è bipolare. 

Ti sei offesa?

Io? Dovrebbe farlo la tua ragazza, non io.


Incomincio ad irritarmi.

Ok, la smettiamo di parlare di lei?

Ci hai fatto pace, per caso?

Mi ha completamente ignorato.

Fai sul serio?

Certo! Allora ci hai fatto pace?


Non so perché , ma ora risponderle mi è diventato fastidioso.

Si , ci ho fatto pace.

Sta scrivendo...

Meglio così.
Ci vediamo Lunedì.
Non rispondere a nessun numero ne per chiamate ne per sms.


Ma che le prende?

Cécile...

Aspetta un po' prima di rispondere e la immagino fissare lo schermo.

Che c'è?

Sbaglio o appena ti ho detto che ho fatto pace con Sara , hai tagliato corto?


Sono sincero.

🤣

Una faccetta?
Aspetto un po', per vedere se digita qualcos'altro.
E lo fa.

❤️Notte Gabriel.

Scrive all'improvviso sparendo dalla chat.

Sono rintronato dai suoi messaggi ed ho una strana sensazione nel petto. Da una parte è piacevole, mi sento eccitato da tutto quello scambio di sms , dall'altra, mi sento profondamente in colpa verso Sara.
E poi c'è quella parte di me che vorrebbe proseguire con i messaggi...
Sospiro oscurando il display e lanciando il telefono sul materasso.
Mi concedo una mezz'ora di silenzio per pensare. Fra poco sarà ora di cena e poi ci sarà da affrontare tutta la Domenica...

Dling.

La mia mano si muove di scatto come se avesse vita propria ed artiglia il telefono.
C'è il mio numero ed accanto la dicitura: foto.
Che cazz-
Quando sblocco lo schermo ed apro la chat , Cécile , mi ha mandato una foto della sua scollatura. Mantiene con le dita il bordo della canottiera e si vede di poco lo spazio fra i seni. Il dito medio della mano è alzato come se mi stesse mandando a fanculo davvero.
Sono del tutto scioccato.

Sono meglio le sue?

Quello scatto è ben mirato. Il seno non le si vede praticamente per niente , ma la domanda che segue la foto , lascia chiaramente via libera all'immaginazione.
Sospiro un sorriso.

Devo proprio rispondere?

Sta scrivendo....

No. Lo scoprirò da sola.

Ammetto,che non posso fare a meno di sentire un certo formicolio alle parti basse. Sono pur sempre sensibile a certe cose.
Poi però, ricordo che ho una ragazza e quasi mi vola il telefono dalle mani.
Cécile è totalmente sopra le righe. Ingestibile e quella foto...come diavolo si può mandare una foto del genere?
Devo ridarle il cellulare e cancellare il mio numero da questo al più presto.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


                                                                          Gabriel 5.

Lunedì torno a lezione. Per qualche motivo, a me sconosciuto, mi è mancata l'Università.
Probabilmente -anzi sicuramente- per colpa dell'asfissiante presenza di mia mamma.
Fortunatamente, sono riuscito a mettere da parte l'orgoglio, tornando al dormitorio.
Perciò, eccomi qui, raggiante e pronto alle lezioni della giornata.
Attraverso l'atrio e trovo Allison accanto alla caffetteria.
«Buongiorno!». Solleva una mano, afferra il bicchierino da caffè e mi raggiunge.
«Ciao.» Le sorrido.
«Com'è andato il fine settimana?»
Ci incamminiamo lungo il corridoio che lentamente incomincia a gremirsi di studenti.
«Poteva andare meglio» ammetto leggermente impacciato.
«Litigi con la ragazza?»
«No, no,» fingo un altro sorriso più marcato «con lei è tutto apposto.»
«Mi fa piacere.» Svoltiamo dentro l'aula di Economia.
«Questa settimana dovrebbe venire a trovarmi anche il mio ragazzo.» Mi informa , mentre si accomoda accanto a me.
«Hai un ragazzo?» 
Sono sorpreso che ne abbia uno.
«Si chiama Marcus e vive a quattro ore di auto da qui.»
«Wow.» La mia espressione le fa chiaramente capire che sono contento per lei.
L'insegnante di Economia entra in aula, seguito a ruota da Cécile.
Questa volta non indossa la tuta ed il cardigan. 
Le sue braccia sono coperte da un maglioncino nero e le gambe sono avvolte in un paio di jeans strappati ed aderenti.
Ai piedi, un paio di anfibi.
Cammina rilassata verso la gradinata ma il suo sguardo sembra terribilmente spento e disinteressato a tutto ciò che la circonda.
Si arresta davanti alla ribaltina della mia sedia e si scende le cuffiette dalle orecchie.
«Il mio cellulare.» Dice gelida.
Allison ci scruta incerta.
«Ti informo che ieri non ha smesso di squillare neanche per un attimo» le dico, mentre sfilo l'apparecchio dallo zaino.
 Aveva ricevuto almeno quaranta chiamate dai numeri più disparati.
Me lo strappa dalle mani come se glielo avessi rubato e mi lancia contro il mio che riesco ad afferrare per un soffio.
«Ma che razza di atteggiamento è?» bisbiglia Allison, solo quando Cécile è lontana.
Alzo le spalle «Si sarà svegliata con la luna storta.»
Durante la lezione, getto lo sguardo al di la della fila accanto a me e la trovo pigiare convulsamente sul display del telefonino.
Sta digitando una serie di messaggi: il viso contratto, nervoso.
Muove una gamba freneticamente ed alza e bassa il cellulare dalla ribaltina infinite volte. Poi, di colpo, raccoglie le sue cose e si alza.
Ovviamente, nessuno le chiede dove stia andando. 
                                                                          *******************
«Alla fine , sei riuscito a prendere gli appunti su Freud?» Chiede Allison. Finalmente la giornata è finita e possiamo tornare ai nostri dormitori. Oggi abbiamo avuto praticamente tutti i corsi in comune, lei ed io. Corsi, a cui Cécile non ha partecipato.
«No...» dico abbattuto.
«No? Ma la consegna è tra qualche giorno!».
 Il fatto che lei, me lo stia sottolineando, non mi è di aiuto.
«Troverò un modo per completare quell'odiosa tesina.» Drizzo le spalle e con aria determinata batto un pugno sul palmo dell'altra mia mano. 
Ride.
«Tu? A proposito, sei riuscita a completarla?» Mima un no, ma non sembra preoccupata.
«Sono quasi alla fine.»
Cavolo, ma allora erano tutti a buon punto tranne me.
I commenti che avevo sentito in classe non erano solo brusio; veramente, alla fine tutti ce l'avevano fatta.
«Sono certa che la terminerai per tempo.» Poggia una mano sulla mia spalla e mi sorride.
Ricambio il sorriso anche io.
«Comunque...» si ferma sull'erba del cortile esterno al campus «Riguardo Cécile... cerca di starle lontano, ok?»
Aspetta, cosa?
«Perché?»
«Ecco vedi, io la conosco meglio di ciò che credi. Non è una persona...come dire, tranquilla.» 
«Non ti seguo Allison.». 
Torniamo a camminare uno affianco l'altra sul prato.
«Cècile è...come dire...particolare. E' quel genere di persona in grado di metterti nei guai. Guai veri». Ok, così mi spaventa.
«Che genere di guai? »
Allison si passa una mano sulla fronte e ha tutta l'aria di sentirsi a disagio.
«Non posso raccontarti come stanno le cose. Ma devi sapere che c'è un motivo per cui, lei ed io, non ci tolleriamo affatto.»
All'improvviso mi sento travolto dalla curiosità.
«Sarebbe?»
Stringe le spalline del suo zaino e non sposta mai lo sguardo dal prato che sta calpestando.
«Lei ed io, siamo sorellastre.»
Spalanco gli occhi. «Sul serio?»
Annuisce ma è molto meno euforica di dieci minuti fa.
«Ovvio, la storia è lunga e non voglio star qui a raccontarla. Ma credimi, Cécile non si è mai comportata bene. Dovresti...insomma hai capito»
Proprio mentre sto per risponderle la sagoma di Drake ci raggiunge, inaspettatamente.
«Hai visto Cécile?» chiede a me, ruvido e scorbutico come al solito.
«Ecco, in realtà si. Questa mattina a lezione, ma poi è sparita per tutto il resto della giornata
Lui, inespressivo, tira fuori il cellulare e pigia sul pulsante per inviare un audio messaggio.
«Dove cazzo sei finita? Bonuà ti cerca da una settimana.» Le ringhia dalla cornetta.
Ascolto e memorizzo ciò che ha detto.
Non avevo letto di nessun Bonuà sul suo telefono, sicuramente, faceva parte di quella schiera di numeri non registrati che avevano fatto squillare il suo telefono, incessantemente, per tutta la giornata di ieri.
Drake si allontana scandagliando il prato con lo sguardo, senza neanche salutare.
«Vedi?» Proferisce con ovvietà Allison «Che ti avevo detto?»
Seguo la sagoma di Drake con lo sguardo.
«Sai chi è Bonuà?» domando a lei.
«Sicuramente una delle tante compagnie poco raccomandabili che frequenta.»
Quindi Cécile ha questo genere di frequentazioni?
Continuiamo a parlare ancora di lei per un po'. Allison non si sbottona più di tanto, mi sottolinea solo -e più volte- che non hanno rapporti, che Cécile ha preferito procedere di testa sua e che i loro genitori litigano, spesso, anche per colpa sua.
«Sono arrivata» dice infine, davanti alla porta della sua stanza. La mia è dieci porte dopo.
«Allora ci vediamo domani.»
Lei sorride e mi saluta.
Trascino i miei pensieri lungo il restante tratto di corridoio e una volta arrivato davanti alla mia porta, sfilo la chiave ed entro.
«Ahh! Che ci fai qui?» Vedo la mora sdraiata sul mio letto, con Norwegian Wood, fra le mani.
Solleva lo sguardo e poi, come se non esistessi, lo riabbassa alle pagine del libro.
Mi chiudo la porta dietro le spalle.
«Ti ho fatto una domanda» mi acciglio. 
«Hai visto Drake, vero?» Chiude il libro e si solleva a sedere a gambe incrociate sul materasso.
Annuisco «Ti cercava.»
Gonfia il petto e butta fuori l'aria.
«Immagino che verrà qui allora» si alza e lancia il libro sul materasso pronta ad andare via.
Le blocco un braccio prima che apra la porta e mi sorprendo anche io di averlo fatto.
Lei guarda la mia mano, poi guarda me.
«Che stai facendo?»
«Mi spieghi che succede? Perché scappi?» Sono serio, serissimo.
Schiude le labbra poi scuote la testa «Stanne fuori.»
Persino lei mi dice di farmi gli affari miei, perché mi ostino a cerare di capire?
«No, no...non funziona così» faccio un passo di lato e blocco la porta frapponendomi a lei.
Alza gli occhi al cielo e fa un passo indietro incrociando le braccia al petto.
«Si può sapere che cazzo vuoi, Gabriel?»
«Tanto per cominciare-» inizio.
«Tanto per cominciare» ripete con una vocetta odiosa.
Aggrotto la fronte «Tanto  per   cominciare , chi è Bonuà?»
Gonfia le guance e poi scoppia in una risata cristallina.
«Ti prego, togliti di mezzo.» Fa forza contro di me, cercando di spostarmi per un fianco dalla porta. Non mi scollo di un millimetro.
«Che diavolo!» Sbraita.
«Rispondi alla mia domanda.»
 «Il mio datore di lavoro.» 
Alzo entrambe le sopracciglia «Ed io ci dovrei credere?»
«Certo che si!» 
Strizzo le palpebre per un momento. Odio che mi si urli in faccia.
«Ok, e perché ti cerca da una settimana e manda Drake a chiedere se sei stata vista?»
Sembra veramente poco contenta di tutte quelle domande.
«Perché io e Drake lavoriamo insieme. Adesso...puoi toglierti dai piedi?.» prova a spingere ancora.
«Che genere di lavoro è?» 
Ho i peggiori pensieri a riguardo.
«Oh, mio Dio» borbotta agitando le braccia.
«Vogliamo fare una cosa? Vieni a vedere il posto dove lavoro. Anzi venite tu ed Allison.»
Non so perché abbia tirato in causa anche lei, ma di certo non mi tiro indietro e se devo, costringerò anche Alli.
«Ok.»
Sommette un respiro.
Si calma e poi tira fuori il telefono facendo vibrare il mio.
«Ti ho mandato la posizione. Questa sera alle nove sono li.» Mi passa accanto spingendomi via dalla porta.
Non la fermo, sono troppo concentrato a leggere il nome del posto che mi ha indicato tramite sms.
                                                                               ****************
Il Gold Rose è stracolmo di gente. Non so che genere di locale sia, ma Allison ha dovuto guidare parecchio per raggiungerlo.
Assomiglia ad un locale notturno. Uno di quei posti, dove si fanno spettacoli di cabaret o roba simile, con tanti tavolini rotondi e il palco al centro della sala.
La luce è soffusa e spesso faccio fatica a vedere dove metto i piedi.
La clientela però, è vestita abbastanza bene. Quanto meno, sia donne che uomini, non sembrano vestire come Cécile o Drake.
«E' una follia, te ne rendi contro?» Protesta Allison, mentre attraversiamo il budello di corridoio prima della sala.
Siamo dovuti tornare indietro a pagare l'ingresso, cosa, che nessuno dei due sapeva doversi fare.
«Voglio vedere in che razza di guai si è cacciata.» Ammetto.
Allison si volta verso me un attimo prima di scostare un tendone blu per accedere alla sala. «Pensi sul serio, che lei sia tanto stupida da farti scoprire i suoi guai questa sera?» Non mi da il tempo di rispondere ed avanza nella sala.
Forse, Alli la odia troppo per essere razionale ed oggettiva nei confronti di Cécile.
Ci metto un po' per orientarmi nella sala e mi sono appena reso conto che ho perso Allison.
«Sono qui.» La bionda allunga la mano oltre un tavolino. La raggiungo e mi siedo.
Sono ancora leggermente intirizzito dal freddo, perciò, non mi tolgo la giacca.
«Buonasera, signore e signori.» 
Un tipo in giacca e cravatta percorre il palco con un microfono stretto in una mano.
E' grassoccio ed il tailleur, a righine bianche su sfondo nero, che indossa, gli sta sin troppo aderente.
«Questa sera, come di consueto, vi intratterremo con alcuni talenti emergenti della musica pop e non.»
Il tipo fa le dovute presentazioni facendo avvicinare al palco la prima band.
Sono tutti ragazzi giovani e con la voglia di fare. Ma i primi brani che ascolto, lasciano parecchio a desiderare.
Mentre le esibizioni procedono una dietro l'altra, Alli ed io ordiamo da bere : Fanta per me e Mojito per lei.
«Non ti facevo un'amante dell'alcool.»
«No, infatti non lo sono» dice quasi fra i denti.
Non dico più niente e fingo un sorrisoSo perché sta bevendo.
Senza che potessi rendermene conto, arriva mezzanotte.
Allison ha già bevuto altri due Mojito ed i suoi occhi brillano di una strana luce bellicosa.
Fissa il palco come se stesse aspettando che la preda esca dalla tana.
«Ed ora, il penultimo brano». 
L'uomo con il microfono sparisce dietro le quinte e Cècile avanza verso uno sgabello sistemato al centro del palco, accanto ad un secondo microfono.
Stringe per mano una chitarra. Ma non è questo che mi colpisce,piuttosto, è ciò che indossa ad attirare la mia attenzione.
Un abito nero dalla gonna a pieghe lunga sul ginocchio -assolutamente non da lei- ed un paio di tronchetti neri con il tacco.
Il colletto di una camicetta bianca le spunta fuori dal bordo del vestito e se non vedo male, quella che le pende sul petto, è una piccola croce oro.
La scruto sbalordito.
«Non dirmi che ti piace» bofonchia disgustata e alticcia Alli.
Sposto lo sguardo su di lei e scuoto la testa.
Dico di no ed intanto non posso smettere di guardarla.
Si accomoda sullo sgabello ed imbraccia la chitarra.
Riscalda le dita punzecchiando due corde.
Il microfono fischia per un istante ma poi, sembra tornare tutto apposto.
Strimpella quelle che mi sembrano le note iniziali del brano.
Dentro me è un crescendo di curiosità. Non vedo l'ora di sapere com'è la sua voce e quando finalmente canta, resto totalmente sbalordito.
Non avevo mai sentito una voce così angelica. 
Nonostante sia una cover di un'altra artista, le parole mi arrivano dritte al petto assieme allo sguardo triste che le ombra gli occhi, mentre le pronuncia.
La canzone termina ed in tutta la sala si levano applausi fragorosi.
«Patetica.» 
Di punto in bianco, Allison si solleva dalla sedia e si muove verso l'uscita.
Non capisco che diavolo le sia preso ma so che devo seguirla.
Primo, perché è ubriaca e secondo, perché rischio di restare a piedi.
«Alli! Alli aspetta.» 
All'esterno si gela. Si è alzato un venticello insidioso e gelido che mi costringe a rannicchiarmi nelle spalle stringendomi le braccia intorno.
Allison, al contrario, cammina tranquilla come se nulla scalfisse la sua esile figura.
«E' patetica!» Grida ancora. Alcuni passanti ci guardano storto.
Ci manca solo che mi confondano per il fidanzato fedifrago, date tutte le improperi che sta lanciando contro Cécile e l'impietosa scena di me che -come ultimamente mi succede spesso- la rincorro.
Quando si decide a fermarsi, finalmente, mi avvicino.
«Si può sapere perché ce l'hai tanto con lei?»
Allison solleva lo sguardo arrossato verso me, ma quando prova a rispondermi, a
pre la bocca ed ha un conato.
Così, all'improvviso. Mi arriva il sangue alle ginocchia.
Chiudo le palpebre, perché potrei starnazzare isterico, dato che MI STA VOMITANDO SULLE SCARPE.
La porta del locale torna ad aprirsi ed appare la sagoma di Cécile, avvolta in un cappotto nero e lungo.
«Oh, stai vomitando?» cinguetta, raggiungendoci.
Allison le da una piccola spinta, restando china con la testa mentre io le reggo i capelli.
«Aspetta...» Cécile si sposta lo sguardo quanto basta per riuscire a vedere le mie scarpe. Le guance le si gonfiano per poi sbottare in una risata fragorosa.
«Oh mio Dio ! Sulle tue scarpe!» Si stringe la pancia con una mano e le indica con l'indice dell'altra.
Aggrotto la fronte «Non è divertente.»
Non la smette di ridere. Alzo gli occhi al cielo e torno ad occuparmi di Allison.
Il colorito della bionda, da paonazzo che era, si fa vistosamente pallido.
«Non credo che stia molto bene» constata Cécile -anche se non serviva lei per capirlo.
Il tono della sua voce, però, è cambiato, sembra preoccupato adesso.
«Probabilmente le si è bloccata la digestione o qualcosa del genere» commento.
Se Allison avesse demorso dall'idea di fare la matta, uscendo dal locale, esclusivamente con la camicetta di seta addosso, a quest'ora non starebbe così.
«La riporto al dormitorio.» 
Cécile annuisce. Al contrario di come mi aspettassi, il suo viso è realmente il ritratto della preoccupazione.
Strano, ero rimasto all'idea che si odiassero.
«Vi raggiungo più tardi» dice, poi torna verso il locale.
                                                                                    **************
«E' questa la tua stanza?»
Sorreggo Alli per tutto il tragitto, dall'auto al dormitorio, fino alla sua stanza.
«Si» mormora con la voce impastata e stanca.
Mi allunga la borsa facendomi intendere che devo cercare la chiave all'interno.
Non è da me frugare nelle borse altrui ma in questo caso non vedo altra alternativa, perciò, mentre lei la solleva verso me, tiro giù la piccola zip e mestico con le dita.
Appena, finalmente, trovo la chiave l'accompagno dentro.
La stanza è vuota come presumevo. Aiuto Alli a stendersi sul materasso ancora prima di accendere la luce.
«Ti vado a prendere una camomilla» e a cambiarmi scarpe.
Annuisce appena.
Poco tempo dopo, torno in camera sua con un bicchierino fumante ed un paio di scarpe pulite. Ha acceso l'abat-jour e mi osserva mentre chiudo la porta.
Sembra stare meglio anche se afferma di avere i crampi.
«Questa ti farà bene», mi siedo accanto a lei.
Fa qualche sorso dal bicchiere ma ha tutta l'aria di voler dire qualcosa. Infatti, lo fa.
«Ho avuto una reazione esagerata» ammette.
Sollevo lo sguardo a lei, probabilmente, privo di alcuna espressione.
«Non dovevo comportarmi come una sciocca» prosegue, passandosi una mano sul viso.
Non so cosa risponderle. Avevo visto l'espressione di Cécile così preoccupata nei suoi confronti, quando invece, Allison covava solo astio per lei.
Loro due non si sopportano, questo è chiaro. Ma se si fosse trovata Cécile nelle sue condizioni, Alli l'avrebbe aiutata? Non lo so.
«Francamente, non mi è piaciuto il tuo atteggiamento.» Sono sincero.
Il volto di Alli si scava, ferito dalle mie parole.
«Gabriel, tu non sai abbastanza per potermi dare colpa delle mie reazioni».
«Probabilmente è così. Ma a prescindere da questo, non dovevi fare la schizzoide e non dovevi inveire contro di lei offendendola, in sua assenza, fra l'altro». 
Mi scruta attonita per un momento, poi, abbassa lo sguardo gettandolo all'interno del suo bicchiere.
«Il fatto è che Cécile ha deciso di intraprendere una strada diversa da quella che nostro padre aveva pensato per noi» mormora sconsolata.
«Che genere di strada diversa? Insomma, cazzo, spiegami una volta per tutte di cosa parli.»
Ho detto cazzo?
Sento il nervoso montarmi dentro, così prepotente, che riesce a farmi sollevare in piedi.
Allison arrossisce e mi scruta intimorita.
«E' successo quando i nostri genitori si sono sposati.» Si affretta a dire. La voce le trema appena « Cécile ed io, prima di allora, eravamo grandi amiche. L'adoravo, giuro. Ma poi, quando è uscito fuori che mia madre avrebbe sposato suo padre...be', le cose sono cambiate.» Fa una breve pausa girandosi il bicchiere fra le dita «Ricordo perfettamente quel giorno, la scenata che fece a nostro padre» i suoi occhi si velano di tristezza «Disse che non avrebbe mai acconsentito a vivere con noi, che per lei, potevamo andare tutti e tre a fanculo, che ci odiava. Si trasferì da casa nostra e per un anno intero non riuscimmo ad averci contatti».
Il modo in cui racconta del passato con Cécile, mi fa pensare che Alli abbia sofferto per questa storia.
«Poi, quest'anno, mio padre viene a sapere che vive in periferia in un appartamento affittato da un certo Jace.»
Il numero che la chiamava quella mattina...
«Nostro padre ha fatto le dovute ricerche ed è emerso che questo Jace, è un tipo molto poco raccomandabile. Io, credimi-» i suoi occhi saettano dietro le mie spalle, spalancandosi di terrore.
Mi volto di scatto.
«Che cazzo gli stai raccontando?» la voce metallica di Cécile, invade la stanza come un tuono.
Lancia ad Alli un'occhiata torva e raggelante.
«Io...niente lo giuro» balbetta l'altra.
«Mi stava raccontando delle tue frequentazioni poco raccomandabili». Forse, sto sbagliando a confessarglielo ma sono realmente preoccupato per lei.
«Con chi vivi Cécile?» incalzo con fare intimidatorio.
Lei sposta le iridi chiare a me, assumendo un'espressione bellicosa.
«Fatti  i cazzi tuoi».
In quel preciso momento scoppio : le arrivo ad un palmo dal naso ed ho voglia di inveire contro di lei.
So che è stupido preoccuparsi per una persona come Cécile. Ho sempre avuto l'impressione che le importasse poco degli altri e che fosse ancor meno interessata al fatto che qualcuno, potesse interessarsi a lei; ma è più forte di me.
«No. Non mi faccio i cazzi miei,  dato che conosco una persona e quest'ultima si sta cacciando nei guai!» grido.
Per un momento sembra stupita della mia reazione. Le sue palpebre si sollevano in uno scatto e mi fissa basita.
«Adesso, per cortesia-» tento di placare il tono della voce « Puoi dirmi, chi cazzo è Jace e perchè, secondo tua sorella, è una cattiva compagnia?»
Il suo sguardo si indurisce. Serra la mascella per un istante, poi sbraita.
«Lei, non è mia sorella!» la sua voce stilla veleno. Si avventa contro di me e mi da uno spintone, pronta a raggiungere Allison.
La bionda fa uno scatto indietro sul materasso per evitarla rovesciandosi addosso la camomilla. Mi fiondo su Cécile bloccandole le braccia, un attimo prima che riesca a colpirla. Sono travolto dagli eventi. La sua reazione mi ha spiazzato totalmente.
«Dovete finirla di starmi addosso!» prosegue a strepitare come una iena, dimenandosi nella mia presa.
«Chi cazzo vi ha chiesto aiuto? Io non ho chiesto niente a nessuno!»
Alli è pietrificata. La guarda sgomenta, le tremano persino le mani.
«Calmati!» Le grido ancora.
«Non sai un cazzo di me, stronza!»  Gli occhi della bionda si gonfiano di lacrime.
Spingo Cécile verso la porta. Lei continua ad inveire a parole contro la sorella ma, alla fine, riesco a farla uscire dalla stanza.
Si sgancia da me con uno strattone.
Non sta piangendo, ma anche i suoi occhi sono rossi.
Mi fissa con uno sguardo colmo d'odio.
«Chi cazzo sei tu, per impicciarti dei fatti miei!?»
Non ho idea del perché reale di quella reazione. E' totalmente fuori di sé e sono convinto che se non l'avessi fermata, avrebbe fatto seriamente del male ad Alli.
«Allison è preoccupata per te. IO, sono preoccupato per te».
Le sue palpebre fanno uno scatto, ma il suo guardo è impenetrabile.
«Va a farti fottere, Gabriel» mi lascia come un idiota, quella risposta.
Cécile volta i tacchi e raggiunge l'uscita del dormitorio.
Un attimo prima di separare l'anta con la spalla, i nostri occhi si incontrano di nuovo.
E' lo sguardo lascivo, più intenso che abbia mai visto.
                                                                                      ****************
Per il resto della settimana, di Cécile non c'è traccia.
Alle lezioni non c'è mai, il suo contatto Whatsapp è sempre offline: sembra che non sia mai esistita.
Allison non parla di lei da quella sera ed evita costantemente l'argomento.
Io non le chiedo nulla, dato che ricordo perfettamente il volto carico di terrore che aveva mentre Cècile l'aggrediva feroce.
Probabilmente, l'astio fra loro è dettato dal fatto che i loro genitori si sono sposati. Si, sicuramente, la questione delle cattive frequentazioni che lei ha, è solo marginale rispetto il vero nocciolo dei loro dissidi.
In ogni caso, ho pensato a questa storia per tutti e sette i giorni ed ho deciso di ascoltare Allison. La eviterò.
E' meglio così, per una lunga lista di motivi che comprendono, purtroppo, anche Sara.
Quando Cécile mi gira intorno, perdo la condizione del tempo, dimentico di scrivere alla mia ragazza, persino di pensarla delle volte e questo non va bene.
  Riesco a tornare in stanza solo verso le tre del pomeriggio; oggi le lezioni sono durate più del previsto.
Stanco e con la voglia di riposare almeno per una mezz'ora, scosto l'anta della porta lanciando lo zaino all'interno senza badare a dove possa ruzzolare.
Mi tolgo gli occhiali e stropiccio gli occhi.
«Oh»
Sussulto quando la voce roca di Drake mi coglie di sorpresa. Mi rinfilo gli occhiali di colpo e lo trovo chino dietro la testata del mio letto, intento a frugare dentro una scatola.
Ancora mi chiedo per quale motivo tenga la sua roba dentro gli scatoloni e si ostini a ficcarli sotto i nostri letti.
«Drake, non ti avevo visto.» Chiudo la porta alle mie spalle e mi accascio sul materasso.
«Dove cazzo l'ho messo?» bofonchia fra i denti.
Mi sporgo dalla testata e sbircio dentro lo scatolone, seguendo le sue mani isteriche che scavano fra abiti , CD ed altra roba.
«Eccolo, cazzo!» Tira su un trita-erba con la stampa in gomma di una grossa foglia di Marijuana, alzandolo oltre il suo naso come un trofeo.
Si solleva e si dirige verso il suo letto.
Torno a sdraiarmi sollevando lo sguardo al soffitto.
«Allora? Come vanno le cose?» 
Il mio sguardo saetta a lui.
«Intendi lo studio? Bene.»
Scuote la testa accennando un sorrisetto.
«Parlo di Cécile.»
Sollevo le palpebre confuso. Perchè doveva chiedermi di lei?
«E chi l'ha vista più» dico dandomi un'aria disinteressata.
Sospira un'altra risata.
«Ho visto te ed Allison al locale, settimana scorsa»
«Ci ha invitati lei. Tu c'eri?»
Svita il trita-erba e tira fuori, da una pallina di carta stagnola, la sostanza.
«Ho cantato dopo di lei». Fa il cantante anche lui?
Mi sollevo con il gomito.
«Non sapevo facessi il cantante.»
Gira la parte superiore dell'arnese e ben presto riesce a tritare ciò che gli serve.
«E' solo per pagarmi la retta qui» afferma.
«Capisco...Anche Cécile canta per lo stesso motivo?»
Mugugna un si.
«Senti, tu l'hai vista ultimamente?»
Drake solleva gli occhi azzurri su di me, guardandomi con un'insolita espressione sardonica.
«Si» 
«Come sta?» 
Ingoro il modo in cui piega le labbra ghignando e spero che non si sia fatto una strana idea riguardo la mia domanda.
«Bene» non aggiunge altro fino a che, dopo un sospiro, si decide a parlare.
«Ascolta» dice mentre lecca la cartina per chiuderla «Non devi preoccuparti per lei, ok? E' la mia ragazza, sta bene, ci penso io a lei.»
Aspetta, da quando? Lui, non fornicava con la tipa pallida?
«La   tua ragazza?» 
I suoi occhi tornano a guardarmi felini.
«Si, qualcosa in contrario?»
Scuoto la testa «No, solo che ti ho visto con...Ambra, mi pare che si chiamasse così..»
Ride divertito.
«Ambra è solo una trombamica» lo scruto ancora più confuso e ciò lo spinge a proseguire. «Ricordi il giorno in cui sei arrivato qui? Cécile è venuta a riprendersi i vestiti, giusto?». Annuisco. «Ci eravamo lasciati la settimana prima e lei era tornata al suo appartamento».
Adesso si che si spiegavano un bel po' di cose.
«Ed ora?» 
Sorride. «Ed ora, ci siamo rimessi insieme». 
Perché il mio stomaco si è contratto? Mi disturba che stiano insieme?
«Sono contento per voi.» Torno a stendermi mentre l'odore forte d'erba ha già riempito la stanza.
Drake si solleva dal materasso, facendo qualche tiro di fumo e raggiunge la scrivania.
«Però» dice riacquistandosi la mia attenzione «Ha lasciato questo per te».
Mi lancia un impaginato spillato.
«Che roba è?» chiedo.
Drake alza le spalle. «Che ne so, roba che studiate voi
Sono allibito quando giro le prime pagine e mi rendo conto che si tratta della tesina su Freud. Di tutta, la tesina su Freud.
Cécile ne aveva fatta una a parte per me il che, mi lascia letteralmente senza parole.
Sfoglio velocemente le pagine e noto che c'è un foglio strappato da un quaderno.

 Questo è perché ti ho fatto perdere tempo. Scusami.
                                                                     C.


Non riesco a far altro che trattenere un sorriso.
«Si, è la tesina che abbiamo in consegna questa settimana.» Ammetto.
Drake mormora un ok, mentre raccoglie le sue cose e si prepara ad uscire.
E' stato un bel gesto da parte sua. 
La dovrei ringraziare. 
Sfilo il telefono dalla tasca ed apro la sua chat. E' online. Ma proprio mentre sto per digitare il messaggio, mi blocco.
Che dovrei fare? Sarebbe da ingrati ignorare tutto e prendersi il merito della tesina.
Sospiro un'infinità di volte davanti allo schermo, mi arriva anche qualche messaggio di Sara, a cui rispondo come se fosse una scusa per perdere tempo.
Alla fine mi faccio coraggio.

Grazie per la tesina. Lascia che ti ricompensi.

La risposta non tarda ad arrivare, gelida.

Non mi serve nulla.

La parte più remota del mio inconscio, leggendo quella breve riga di sms, mi convince che le sue parole tutto vogliono dire, tranne che ciò che significano davvero.

Drake mi ha detto che vivi in un appartamento. Ti farebbero comodo due soldi per di più, no?

Ho già detto che non voglio.


Poi, c'è quella parte di me che ha mandato a fanculo la razionalità e vuole....Cosa vuole? Vederla? Sentirla? Sapere che sta bene?

Allora permettimi di offrirti...non so, un Hamburger da Waves?🤣 

Sta scrivendo...
Ho le palpitazioni mentre leggo quella breve dicitura. Perchè?

Ok, ci sto.
Facciamo questa sera? Non lavoro.


Perdo un battito.


Rispondo che mi sembra perfetto e che ci saremmo visti davanti al locale per le otto e trenta.
Dovrei sentirmi in colpa, per come mi sento ora?
Perché sono agitato.
Aspetto l'ora pattuita con uno strano fermento nel petto. 
Sono un cretino. 
«Permesso?» Allison, sbuca dietro l'anta della porta, dopo aver bussato.
«Ehy» le sorrido.
«Che fai?». Entra e se la chiude alle spalle.
Ho steso due maglioncini sul materasso e li sto guardando da un quarto d'ora, chiedendomi se farà freddo o no.
«Sto per uscire, tu?» le chiedo tornando a guardare gli indumenti.
«Meglio quello blu» si sporge oltre il mio braccio, appoggiandosi appena ed indicando il capo.
Lo afferro e me lo infilo sulla T-shirt.
«Io, comunque, resto a studiare questa sera. Devo finire la tesi su-» il suo sguardo piroetta sul materasso fermandosi sul fascicolo spillato.
Lo agguanta ed inizia a sfogliarlo. I suoi occhi viaggiano fra le righine.
«Non sapevo che avessi terminato la tesi.» Afferma e non so per quale motivo, ma sembra disturbata.
Le tolgo delicatamente il fascicolo dalle dita.
«E' una lunga storia...» Mi sposto e raggiungo un piccolo comò tirando fuori una giacca.
«Una lunga storia eh?» la guardo senza saper bene cosa dire.
«Per caso, questa lunga storia porta il nome di Cécile?» incrocia le braccia al petto, spostando il peso da un piede all'altro.
 «Si.» Mi costringo a dire.
Sorride amaramente. «Come immaginavo...ancora ti gira intorno, vero?»
Aggrotto la fronte «Cécile non mi gira intorno.» Sottilineo disturbato «E' stata gentile con me. Mi ha fatto perdere giorni preziosi e ha rimediato, tutto qui.»
Solleva un sopracciglio «Quindi, tu non ti stai preparando per incontrarla, giusto?»
Sospiro rassegnato.
«E' solo un Hamburger da Waves, niente di più.»
«Dio! E' assurda!» Solleva un braccio per aria, strepitando.
Certe volte, fra lei e l'altra, non capisco chi ha le razioni più strane.
«Dai Allison...» cantileno.
Si imbroncia ancora di più.
«Prometto che sloggerò appena finito il panino.»
Scuote la testa «Non pensi alla tua ragazza?»
Sgrano gli occhi. Sul serio sta provando a farmi salire i sensi di colpa?
«Certo che ci penso!»
Storce un labbro «Vedo.»
Ok, tutta questa storia mi sta dando ai nervi.
«Sono in ritardo, ok? Domani ti racconterò di come mi sono comportato bene» la spingo verso la porta.
«Non c'è bisogno.» Scuote le spalle e si guadagna da sola l'uscita.
«Ma ricorda le mie parole, stai facendo l'errore più grande della tua vita.»

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


                                                                      Gabriel 6.

Cammino stringendomi le mani intorno e strofinandomi convulsamente le spalle. Non immaginavo che potesse fare così freddo questa sera.
Quando arrivo nei pressi del Waves, Cécile è appoggiata alla vetrina e sta fumando una sigaretta.
Mi chiedo come riesca a starsene impassibile, avvolta nel misero cappotto scamosciato che porta, con quest'aria gelida che ci colpisce.
Solleva lo sguardo verso me e lancia la cicca sul marciapiede spingendo l'anta del locale.
La seguo all'interno senza farmi troppe domande. Il tepore del pub mi avvolge sciogliendo quella sorta di intirizzimento fastidioso che mi porto dal campus.
Cécile, appoggiata con il gomito al bancone, sembra star già ordinando.
Mi muovo per raggiungerla, ma è del mio stesso avviso.
«Ho già ordinato per entrambi» afferma con voce piatta. Annuisco.
Non me la sento di protestare. In realtà, non so neanche perché abbia deciso di incontrarla.
Si, la dovevo ringraziare ed avevo pensato di farlo offrendole una cena, ma ad un tratto, credo di star sbagliando tutto. Mi sento fuori posto. Fra l'altro, le parole di Allison mi martellano la testa. L'errore più grande della mia vita. Aveva definito così quest'uscita.
Ci accomodiamo allo stesso tavolino di qualche giorno fa, accanto alla vetrata.
Cécile non dice una parola. Fissa l'esterno dalla vetrata, assorta in quello che ha tutta l'aria di essere un fiume di pensieri, che le rendono lo sguardo vagamente triste.
Dopo un po', però, sposta le iridi chiare a me.
«Il gatto ti ha mangiato la lingua?» chiede con il suo solito fare da impertinente.
Aggrotto la fronte «Be', sembra che anche alla tua  non sia capitata sorte migliore.»
Sghignazza fra i denti e per la prima volta le vedo mordere la pallina di un piercing arpionato alla sua lingua.
Possibile che non ci avevo mai fatto caso? 
«Il vostro ordine» la cameriera appare accanto al nostro tavolo con un vassoio alto sul palmo della mano e poggia davanti a noi due bicchieri colmi di ghiaccio, imbevuto in un ambiguo liquido di colore blu elettrico.
«Dove sono i nostri Hamburger?» chiedo del tutto confuso.
La cameriera scambia uno sguardo divertito con Cécile e poi si allontana.
La mora inchioda i gomiti al tavolo,appoggia le labbra alle dita intrecciate fra loro,
«Non ci sono» e alza le spalle.
«Vedo!»
Agguanto il bicchiere e provo ad annusare il contenuto. Dall'odore non sembra male : è fruttato.
Lei mi osserva divertita con i suoi grandi occhi chiari.
Quando mando giù un sorso, la gola mi va a fuoco e tossisco violentemente.
Trattiene una risata dirompente tremolando tutta.
«Che ca-volo è questa roba?» mi pulisco la bocca con il dorso della mano.
«Rum, Blue Curaçao e qualche altra porcheria.» Afferma sorridendo divertita.
Anche ciò che contiene il suo bicchiere ha lo stesso colore.
«Hai ordinato dell'alcool, quando domani abbiamo lezione?!» gracchio.
«E' solo un drink, non ti ho mica allungato della droga».
Prende fra due dita la cannuccia del suo bicchiere e manda giù qualche sorso senza distogliere lo sguardo da me.
Le mie labbra si schiudono involontariamente per un istante, ma poi, mi ritornano in mente un sacco di cose tipo: Sara; distolgo, in un lampo, lo sguardo riportandolo al mio bicchiere.
«Che c'è? Non riesci a mandarlo giù?» incalza lei. Ha dato il via ad una vera e propria sfida con lo sguardo che mi sta rivolgendo.
Sollevo un sopracciglio «Certo che ci riesco» .
Devo farlo, ne va del mio onore.
Trascino il bicchiere, sul tavolo, verso me.
«Andava bene la tesina?»
Avevo dato uno sguardo sommario a ciò che aveva scritto ed era realmente perfetta.
Non mancava nulla. I pensieri, le parole le conclusioni personali, era tutto impeccabile.
Faccio un sorso. «Si.» poi ci ripenso ed aggiungo « Ammetto che sei veramente brava»
Una fila perfetta di denti bianchissimi si fa largo fra le sue labbra.
«Grazie» si tira indietro appoggiando la schiena alla panca, mantenendo il bicchiere con una mano e la cannuccia con l'altra. «Mi piace Letteratura. Mi piacciono quelle materie dove puoi esprimere un concetto o un pensiero, tuo e personale» ammette sorseggiando il drink.
«Io preferisco di gran lunga le materie che comprendono numeri, logica e cose del genere»
 «Lo avevo immaginato».
Sollevo entrambe le sopracciglia sorpreso. «Ah, si?»
«Be', diciamo che non mi sembri il tipo che analizza molto ciò che c'è di celato attorno a noi.»
Dovevo prenderlo come un insulto?
«E' solo una constatazione» fa quasi come se mi avesse letto nella mente, accennando l'ennesimo sorrisetto.
«In parte forse è vero» borbotto. Effettivamente, non mi sono mai speso a soffermarmi su aspetti come :  esistono inferno e paradiso? E il destino? O peggio l'Oroscopo.
Sono tutte congetture stupide secondo me, dettate dall'innato desiderio di credere in qualcosa pur di accatastare certezze. Certezze che, secondo me, non sono minimamente indispensabili per poter, comunque, vivere una vita tranquilla e serena.
«Certo che è vero, sennò per quale motivo te lo starei dicendo?» Eccola, la sua solita presunzione.
Sbuffo e tiro un sorso più corposo.
«Perchè, vorresti farmi credere che tu mediti e sprechi tempo su cose come l'Oroscopo?»
Mi lancia uno sguardo indecifrabile da cui, però, colgo nuovamente una strana scintilla.
Si solleva la manica della giacca trascinando via anche quella del maglione che indossa, scoprendo un tatuaggio sul polso: la testa di un toro con tanti simboli che gli girano attorno.
«Sono tutti i segni dello zodiaco.» Afferma «Non credo nell'Oroscopo, ma credo nello studio dei segni.»
Sbuffo una risata. «Tutte stronzate.» Lei, però, non sembra offesa dal mio giudizio.
«Dici?» 
Certo che dico. Insomma chi diavolo crederebbe mai a qualche tizio che descrive il tuo carattere basandosi su costellazioni e chissà quali altre stupidaggini.
Annuisco convinto.
Cécile accenna un sorrisetto guardandomi felina.
«Interessante» mormora senza lasciarmi la possibilità di capire il suo commento.
«Sarebbe-» fa l'ultimo sorso dalla cannuccia, prima di abbandonare il bicchiere vuoto sul tavolo «Divertente farti cambiare opinione, sai?»
«Dubito che potresti riuscirci.»
Si sporge nuovamente verso il tavolo appoggiandosi sulle sue stesse braccia e fissandomi dritto in faccia.
Mi mette leggermente in soggezione averla così vicina.
«Che-c'è?»
«In cos'altro la tua mente matematica non crede?»
Piroetto gli occhi in aria mentre rifletto su quella domanda.
«Non credo alla vita dopo la morte, non credo...ad inferno e paradiso...al destino»
Le sue palpebre fanno un piccolo scatto ma la sua espressione continua ad avere lo stampo divertito che aumenta ad ogni mia parola.
Fa un momento di silenzio, poi torna a parlare «Sei il mio alter-ego al maschile» afferma.
Accenno un sorriso. Effettivamente, mi diverte l'idea di aver incrociato una ragazza così tanto diversa da me.
«Su questo, credo di essere  pienamente d'accordo con te. Siamo diversi in tutto.» Finalmente riesco a fare l'ultimo sorso anche io. Questo beverone non voleva proprio finire.
«Già.» Fa convinta nel tono di voce. «Ed è proprio questo il bello».
E' la seconda volta che tira fuori un commento che non riesco ad afferrare. Ma questa volta,probabilmente senza un vero motivo, mi ha stretto lo stomaco per un attimo.
«Ce ne porti altri due?» Cécile solleva un braccio verso la cameriera e lei annuisce.
«Altri due?! Ho finito ora il mio!»
Ride. «Che lagna che sei! Divertiti per una volta».
Ehy, io non sono una lagna e mi sono persino divertito parecchie volte...ma non così...
La cameriera impiega veramente poco per portarci il secondo giro di bevute, sparecchiando e riapparecchiando il tavolo.
Piano piano, fra un sorso e l'altro, i discorsi variano e sono sempre più fluidi e spontanei.
Non chiedo nulla di personale, piuttosto, mi diletto con battute o scherzi -che ovviamente lei fa a me- che mi fanno ridere, nonostante tutto.
«Com'è stare lontano dalla tua ragazza?»
Come gli è venuta in mente Sara, ora?
«Lontano...la vedo ogni fine settimana ed abita poco fuori città.»
«Sei innamorato di lei?»
Certo che sono innamorato di Sara, è solo che ultimamente ho la testa per aria.
«Ovvio che la amo» affermo con un certo fastidio nel tono di voce.
Cécile mi fissa in modo strano ed i suoi occhi, in questo momento, hanno acquisito uno strano potere ipnotizzante.
Probabilmente la musica che rimbomba per tutto il locale, l'alcool che si sta facendo largo dentro me e questo caldo asfissiante, devono riuscire a farmi percepire il suo sguardo in maniera diversa.
«Sei tornata con Drake.» Alzo un po' la voce, poiché, il brano che hanno messo ora è sin troppo alto.
Cécile annuisce. Non decifro la sua espressione, ma ha l'aria di non esserne troppo entusiasta.
«E' sempre stato un tira e molla fra noi» afferma «Probabilmente, fra una settimana staremo punto e a capo». Forse sono io che interpreto male il suo tono di voce, ma sembra che infondo non sia molto interessata a lui.
«Speriamo allora, che sia la volta buona» rido.
Lei accenna un sorriso ma non ha l'aria di essere eccessivamente radioso come quelli che fa di solito.
I brani si susseguono fino a che non ne passano uno che le fa brillare gli occhi.
«Ti piace questa canzone?».
Annuisce muovendo in fretta la testa.
E' una versione acustica di : How to save a life; ed ammetto che piace anche a me.
Stende una mano di colpo sul tavolo, dirigendo le sue unghie lunghe e nere a me.
«Balliamo?»
Non trattengo una risata.
«Una volta non erano i ragazzi a dover fare i cavalieri?».
Mi lancia un'espressione eloquente «Se resto ad aspettare te, posso fare la muffa»
Non aspetta la mia risposta, agguanta la mano e mi trascina verso lo spazio vuoto fra tavoli e bancone.
Non sono in grado di protestare.
Cécile mi si piazza davanti ed aggancia le braccia al mio collo.
Sono sprofondato in una voragine di imbarazzo.
Che devo fare? Come mi devo muovere? Ci stanno guardando?
«Ok, adesso-» fa scivolare le mani via dal mio collo ed afferra le mie braccia «Queste le mettiamo qui.» Se le avvolge alla vita ed io divento ancora più rigido di prima.
C'è poco spazio fa di noi e mi sento intrappolato da lei.
«Non...hai mai ballato con una ragazza?» chiede in un misto di stupore e divertimento.
In realtà si, al matrimonio del fratello maggiore di Sara. Con lei. Ma adesso è tutto diverso.
«Certo che l'ho fatto.» Quella volta, si ballavano bravi movimentati e non si stava così vicini.
«Sei così impacciato» sghignazza «Rilassati»
Purtroppo in un certo qual modo, l'ho fatto. Mi sono rilassato e...che Dio mi perdoni, ma è veramente fantastico.
Il pensiero delle mie mani attorno alla sua vita mi sta facendo increspare la pelle.
Nonostante, non dovrebbe...incresparmi la pelle.
Seguo il suo movimento ondeggiante e pian piano, non avverto più nulla. Non sono più agitato. Non ricordo più le parole di Alli. Sono ipnotizzato a tal punto che Cécile mi parla di qualcosa ma io non riesco neanche a sentirla.
Si zittisce per un momento e mi fissa sorridendo.
«Che c'è?» perché ho la voce arrochita?
«Sei ubriaco per caso?» chiede rifilandomi uno sguardo sornione.
Forse lo sono sul serio.
La mia lingua sembra sciogliesi, le gambe sono molli e pesanti e la testa si è svuotata già da un po'.
Non credevo che bere fosse così.
«Forse...un po'» bofonchio.
Ride divertita.
Fa scivolare via le braccia dal mio collo fino alle mie mani. Intreccia le sue dita alle mie e mi conduce nuovamente al tavolo.
Giuro, mi sento inebetito. Potrebbe farmi qualsiasi cosa ed io resterei inerme senza sapere come muovermi -anche perché, mi pesano tutti gli arti e sarebbe comunque difficile farlo.
Piombo sulla panca e cerco il mio viso con le dita sfiorandomi le guance bollenti.
Lei ridacchia.
Aggrotto la fronte -o spero di averlo fatto.
«Sta bene la tua faccia.» Conferma.
Per fortuna, perché io non me la sento più.
«Non credevo che reggessi così poco l'alcool.» 
La seguo con lo sguardo mentre si sistema sulla panca.
«Ed io non credevo che tu fossi una spugna.»
Sbotta in una delle sue risate cristalline. «Per due drink, mi dai della spugna? Allora dovresti vedere-» si zittisce all'improvviso.
«Vedere cosa?» incalzo.
I suoi occhi si sono spostati dietro le mie spalle, verso l'ingresso secondario del locale.
Mi volto e noto un gruppo di uomini che sta avanzando nel locale.
Cécile scatta come una molla agitata. Raccoglie velocemente il cellulare, che aveva appena posato sul tavolo e schizza in piedi.
«Alzati» ordina senza distogliere lo sguardo dalle cinque sagome.
«Perché?» protesto in un lamento.
«Fa quello che ti dico, veloce.» Anche la sua voce è cambiata. 
Sbuffo e mi alzo controvoglia -è colpa dell'alcool, purtroppo.
Ho qualche difficoltà appena torno in piedi. Un capogiro violento mi fa incespicare per un attimo ed avrei bisogno di un po' di tempo per ricordare come ci si muove senza dare evidenza della mia poca sobrietà.
«Cazzo, vuoi muoverti?» Mi spinge in malo modo verso l'uscita.
«Si può sapere che diavolo ti prende?» sbraito una volta fuori dal locale.
I lineamenti del suo viso si induriscono di nuovo, proprio come la sera in camera di Alli.
Non risponde. Afferra il mio braccio e mi trascina lungo il marciapiede.
«Ti ho fatto una domanda.» Strattono via la sua mano da me.
Cécile arresta il passo e lancia gli occhi al cielo.
«Devi proprio impicciarti sempre di tutto?» Dice parecchio stizzita «Non puoi farti andare bene certe situazioni, senza rompere i coglioni con le domande?».
E' tornata la solita aggressiva.
Il suo tono è violento.
Il suo sguardo è violento.
Scuoto la testa ed in un momento di sobrietà sbotto «Sai che ti dico, questa volta vacci tu a farti fottere.»
Mi chiederò più tardi come sono riuscito a trattarla così. Adesso voglio solo tornare al dormitorio e farmi passare questa sbronza antipatica.
«Gabriel.» Mi raggiunge afferrandomi un lembo della giacca.
«Che cazzo vuoi?»
Serra la mascella ed aggrotta la fronte un attimo dopo, ma non parla.
Allora lo faccio io «Non vuoi dirmi chi cazzo sono quei tipi. Non vuoi dirmi per quale motivo tua sorella si preoccupa per te. Non vuoi dirmi un cazzo! Però, se si tratta del tua stupida idea di farmi cambiare idea sulle puttanate, di farmi bere come un idiota o chissà cos'altro, allora ti fai in quattro!» Sono una furia. Vorrei non urlarle in faccia, ma realmente sento scalpitare una rabbia dentro me, provata ben poche volte prima.
Il suo sguardo muta svariate volte mentre sembra montarle fiele nel petto.
«Porca puttana!» Grida isterica passandosi le mani fra i capelli. 
«Quante volte ancora devo ripeterti che non devi interessarti dei cazzi miei!»
«Voglio solo aiutarti» mormoro.
Mi fissa con le palpebre spalancate e l'odio negli occhi.
«Non ho bisogno del tuo maledetto aiuto» sibila velenosa.
Dannazione «Si che ne hai bisogno!» ora sono io a gridare «Sei appena scappata da cinque tipi loschi. Cazzo, questo non è aver bisogno di aiuto?»
Serra le labbra ed ho quasi l'impressione che voglia piangere.
«Aveva ragione Alli. Devi starmi lontano.» Ha l'aria sconsolata e la voce è tornata cupa ed abbattuta.
«Dove vai adesso?» Le chiedo nell'immediatezza, vedendola tornare a camminare.
«A casa.»
Prendo un grosso respiro.
E' notte inoltrata. A conti fatti, il quartiere dove abita -anche se non è molto distante da qui- è malfamato. No, non me la sento di lasciarla andare da sola.
Raccolgo la calma e ci riempio il petto, seguendola.
«Che cazzo stai facendo?» borbotta.
«Ti accompagno.» Infilo le mani in tasca e mi stringo la giacca addosso.
Sospira un sorrisetto che svanisce in un battito di ciglia.
«Sei veramente testardo» ammette in un respiro.
«Già, è uno dei miei tanti pregi.» Non so perché diavolo ho tirato fuori questa frase, sotto forma di battuta, in un momento simile ma quando la vedo sorridere più marcatamente smetto di pentirmene.
Nessuno dei due aggiunge altro fino a che i piedi di Cécile si arrestano davanti ad un palazzo e guarda verso le finestre più in alto.
«E' questa casa tua?»
Sopra le nostre teste si erge un edificio relativamente moderno dai mattoni scuri e i vetri bordati di nero.
Cécile annuisce guardando ancora per un po' l'ultimo piano, poi, scruta me con la coda dell'occhio.
«Sali?» chiede atona.
Ci sono mille motivi per cui dovrei rispondere di no e tornare indietro, ma il fatto che sia stata lei a chiedermelo, mi fa pensare che vuole trattenermi.
Forse quei tipi le fanno paura sul serio. Forse, sarebbero in grado di farle del male.
«Sto poco.» Affermo con lo stesso tono di voce.
Tira fuori un mazzo di chiavi dalla tasca della giacca ed infila quella più lunga delle altre, nella toppa.
L'interno ha i muri ruvidi dello stesso colore dei mattoncini esterni. A terra c'è un parquet di legno chiaro illuminato, giusto, dall'unica luce presente sopra le nostre teste.
Raggiunge la sola scalinata presente, anch'essa di legno con il corrimano nero.
La seguo in silenzio fino all'ultimo pianerottolo.
Non mi do neanche la possibilità di lamentarmi con me stesso per aver salito quattro piani di scale.
Ci ritroviamo davanti ad una porta scura. Estrae una seconda chiave dal mazzo e la apre.
Un tepore leggero ci avvolge nel buio dell'appartamento.
Accende l'interruttore ed una luce calda proveniente da un angolo della parete illumina quella che sembra una cucina. Non ci sono finestre.
Ci sono, però, dei banconi chiari che fanno angolo fra due pareti per diversi metri, con tanto di pensili appesi sopra. Al centro un tavolo dello stesso colore, lungo abbastanza da permettere a dodici persone di mangiare insieme e comode.
Un divano e l'oggetto con cui inciampo e per poco non mi sfracello il becco, mentre mi guardo attorno.
«Non fare casino» mi ammonisce lei.
Sollevo le braccia mimando in labiale uno scusa.
«Cècile, sei tu?» Una voce impastata di sonno mi fa trasalire e sbatto nuovamente un piede contro il divano.
Lei fulmina me e poi torna a voltarsi verso la porta dritta a noi che si è appena separata lasciando spazio alla visuale di finire su un tizio biondo -questa volta naturale- in mutande e pieno di tatuaggi come lei. Ha anche un piercing sul labbro inferiore ed una leggera barba chiara e corta.
Resto come un perfetto idiota nel vederlo.
Lui si gratta la testa ancora rintronato dal sonno.
«Chi cazzo ti sei portata dietro?» biascica.
Cécile sospira afflosciando le spalle e con nonchalance si avvicina al frigo.
«Un amico» dice sfilando una bottiglia di birra. Appoggia l'estremità seghettata del tappo al bordo del bancone e con un colpo secco del palmo, la stappa.
«Un amico, certo» fa lui sogghignando.
Il tizio fa un passo verso il frigo imitando Cécile.
«Be' amico di Cécile, qui ci sono le birre. Fa come se fossi a casa tua».
Resto sulla difensiva seppur mi concedo di sibilare un grazie. Grazie, al quale lui si volta verso me guardandomi come se mi fosse spuntata una seconda testa, scoppiando poi, a ridere come un cane.
«Simpatico questo tipo» fa un sorso dal collo della bottiglia.
«Lascialo in pace, Jace»
Appena Cécile mormora il suo nome, mi si accende una lampadina. Forse l'unica, date le mie condizioni.
Lui è quel Jace.
«Allora? Non ne vuoi un po'?» incalza il medesimo, indicandomi la bottiglia con un cenno del polso.
«Sono apposto.» 
Cécile ha l'espressione tirata e se ne sta seduta accanto al tavolo concentrandosi a strappare l'etichetta della bottiglia, come le ho già visto fare in passato.
«Amico, non startene li impalato! Siediti cazzo!» 
Sposto lo sguardo vago su di lui e mi affretto ad annuire occupando una sedia a caso.
«Allora? Hai saputo per quella cosa?» chiede poi ,rivolgendosi a Cécile.
Le labbra di lei si stringono di stizza.
«Ti pare il momento?» gli abbaia.
Jace guarda me poi lei. Sospira una risatina e si allontana di ritorno verso la sua stanza.
«Non prendere in considerazione le cose che diciamo» prova a giustificare ciò a cui ho appena assistito.
Non voglio risponderle niente. Non capisco di cosa parlano e probabilmente, se provassi a chiederglielo mi divorerebbe come successo per strada.
«Sei sicuro che non vuoi una birra?» svia il discorso, un attimo dopo.
Faccio una smorfia di disgusto e muovo una mano davanti a me «Se dovessi bere altro, finirei per vomitare».
Sorride «Ah...le tue scarpe?» dice come se avesse avuto un flash.
«Hanno fatto la fine della camomilla.» Ci ripensa un attimo, poi, deve ricordarsi di averla fatta rovesciare con la sua irruenza e ride.
«Vanno meglio i tuoi nervi?» Incrocio le braccia sul tavolo e ci appoggio il viso, dato che la testa incomincia a pesarmi sul serio.
Lei mi fissa per un momento poi distoglie lo sguardo e sorride tiepida.
«Si...».
Accenno a curvare all'insù le labbra anch'io.
Fa una breve pausa come se si stesse forzando a tirar fuori le parole. «Grazie per avermi accompagnata. Non sarei tornata a casa.»
Quell'ammissione mi fa spuntare sulla punta della lingua una miriade di domande. Ma le tengo per me.
«Cécile-» forse mi griderà addosso «Non ti voglio vedere in mezzo a qualche guaio»
mi fissa senza emettere un fiato. Le guance leggermente arrossate per l'alcool. «Non so nemmeno perché te lo sto dicendo.» Mi passo una mano fra i capelli sospirando un sorriso.
«Ma lo penso sul serio...io non-». 
Abbandona la bottiglia, si solleva e fa il giro dello spigolo del tavolo arrivandomi davanti.
Sono totalmente paralizzato da ogni suo gesto, perso nei suoi occhi, nel modo in cui mi guarda.
Appoggia gli avambracci sulle mie spalle,facendosi largo prepotente con le ginocchia fra le mie gambe. 
Il suo modo di essere, le sue espressioni, i suoi occhi, tutto di lei : troneggia su di me.
Di riflesso le mie mani, seguendo un comando impartitosi da sole, le si poggiano sui fianchi e non posso fare a meno di fissarla nelle iridi chiare.
Sono gli occhi più belli che abbia mai visto.
Malvagi, ma anche tristi, rabbiosi, eccitanti, dolci...
Non so bene cosa stia succedendo, ma quando prova ad avvicinare il viso, non posso fare a meno di fissarle le labbra.
Risalgo con lo sguardo e mi rendo conto che il suo esitare non è altro che un velato domandare permesso.
Ed io...ormai sono del tutto perso, vittima del suo potere, del suo volere.
Mi sporgo verso lei e le catturo le labbra.
Lei schiude le sue e ricambia il bacio: la sua lingua è calda e contrasta con il freddo della pallina del piercing che gioca con la mia carne.
Mi accarezza la nuca: non avrei mai pensato che potesse essere così delicata.
L'attiro a me e d'istinto scavalla una gamba sedendosi a cavalcioni sulle mie ginocchia.
E' un impulso stringerle le dita attorno ai fianchi. Sempre di più, mentre dalla sua gola si libera un minuscolo gemito gutturale : il suono più bello che abbia mai sentito.
Lascio che le mie mani le risalgano la schiena fino a che le dita non finiscono per mescolarsi ai fili dei suoi capelli lisci come seta.
Non ho mai sperimentato tutta questa serie di gesti del tutto naturali in un bacio così vorace.
Non penso di voler smettere. Non penso di far cessare tutto, anzi...
Le premo leggermente la nuca, mentre penso che potrebbe scappare da me.
Probabilmente, domani, sarò del tutto pietrificato all'idea di ricordarmi di questo momento. I sensi di colpa mi divoreranno ed io ne finirò morto straziato. Ma ora, proprio non riesco a provare altro che voglia.
Non posso pensare a...

Brr
Brr


La vibrazione del mio telefono spazza via tutto travolgendomi. L'incantesimo si spezza, facendomi arrivare il cuore in gola.
Cécile si solleva velocemente passandosi il dorso della mano sulle labbra e torna a sedersi davanti alla sua birra. E' imbarazzata ed ha lo sguardo perso come se, anche lei, ha realizzato solo adesso cosa è successo.
Sono una palla di fuoco ed il messaggio, ne è causa solo in minima parte.

E' notte ed ancora aspetto un tuo messaggio.

«Dannazione.» Mi sollevo come una molla.
Vorrei non ammettere che il messaggio di Sara è riuscito a far arrivare quei tanto poco attesi sensi di colpa. Ne, tanto meno, vorrei ammettere che una certa angoscia si stia facendo largo nel mio petto.
«E' la tua ragazza?» mormora Cécile accennando a schiarirsi la voce.
«Si.» Mi passo una mano sul viso, ma non serve a cancellare ciò che è appena successo. Ne a rallentare il battito impazzito del mio cuore.
«Rispondile.»
La guardo spalancando le palpebre.
Scuote le spalle «Non devi mica strillarle nelle orecchie quello che è successo» fa scontata.
Come se per me fosse consueto dire bugie.
Non ne ho mai detta mezza nella mia vita e non voglio incominciare proprio ora con la mia ragazza.
«Non voglio mentirle» protesto.
Cécile sospira ed alza gli occhi al cielo, tornando a bere la sua birra.
«Ok, allora, avanti-» indica il mio telefono con il gesto di una mano «scrivile che hai appena baciato una ragazza che ha già visto nella tua stanza. Per cui ti ha già rimproverato. Ma soprattutto che odia.»
Be', messa così non è proprio il massimo dell'ammissione di colpa che potrei sganciarle.
Affloscio le spalle consapevole, quindi, di star per scrivere la prima bugia della mia vita.
Apro la chat e digito veloce il messaggio.

Perdonami. Ho avuto due tesine da stendere ed ho finito solo ora.
Cerca di dormire. Ti amo.


Quando le mie dita pigiano sulle lettere della tastiera quel verbo, lo stomaco mi si contrae.
Io la amo.
Io la amo.

Serro le palpebre un attimo dopo aver premuto invio.

Ti amo anche io.

Risponde un secondo dopo. Ho un altro spasmo. E' fastidio? Forse, avrei sperato che inveisse ancora, così poi...L'avrei lasciata? La voglio lasciare?
«Mi sento un traditore» mormoro in un sospiro accasciandomi a sedere.
«Sei un traditore» mi scruta oltre la bottiglia.
Aggrotto la fronte «Grazie».
Tira fuori una risata soffocata.
«Però se hai deciso di cedere, forse, non sei così tanto innamorato. Questo fa di te, un traditore annoiato, il che...potrebbe anche essere compreso».
La scruto del tutto incredulo.
«Fai sul serio?»
Fa dondolare la bottiglia avanti a se, mantenendola dal collo, con due dita.
«Be', dai...evidentemente, la tua ragazza ti ha fatto mancare ben più di qualcosa.» Il suo tono è leggermente malizioso.
Mi mordo un labbro perché....cazzo è vero.
«Questo non fa di me una persona meno colpevole».
«Nah».
A che gioco sta giocando? Un attimo prima tenta di alleggerirmi le colpe e quello dopo mi fa piombare nello sconforto.
I suoi occhi furbi schizzano dalla bottiglia a me.
«Su, non ne fare una tragedia» si solleva e lascia definitivamente la birra a se stessa «Tutto il mondo si concede un svago almeno una volta e poi, ti ricordo che anche io ho un ragazzo» Dice con voce molto più bassa, sporgendosi verso me e raddrizzando la schiena un attimo dopo.
«Sara ed io non siamo come te e Drake» affermo duro. Il sorrisetto spavaldo le sciama dal viso in fretta.
«Forse. Ma per come sono andate le cose, te ed io, siamo identici.» Sprigiona veleno mentre mi lancia un'occhiata di sufficienza prima di incamminarsi verso la porta del corridoio.
Trattengo qualunque cosa ho nel petto ora.
«Dove vai?»
«A dormire.»
NO. Non la seguirò in camera. Non sbaglierò ancora.
«Be' io torno al dormitorio» dico constatando che sono quasi le tre del mattino.
Cécile si volta verso me e non riesco a decifrare il modo in cui mi guarda.
Poi, sparisce dietro l'anta.                                         
                                                                          **********************
Mi chiudo la porta d'ingresso alle spalle cercando di non far rumore ed infilo le mani in tasca come se stringermi nelle mie stesse spalle, possa proteggermi da ciò che sono o da quello che ho fatto.
Dovevo dar retta ad Allison.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


                                                                          Gabriel 7.

E' l'alba e sono ancora sveglio: scorro la home di Facebook, senza realmente leggere ciò che scivola davanti ai miei occhi. 
L'effetto dell'alcool è svanito, lasciandomi solo un blando ricordo -decisamente amaro- delle sue sensazioni.  Ciò che non tende a svanire, però, è la matassa informe dei sensi di colpa che si è avvinghiata al mio petto.
Avevo vagamente idea di come sarebbe stato il dopo : ho tradito Sara e, questo momento, doveva essere esattamente com'è ora.
Nebuloso, triste e ricco di nuove, atroci, consapevolezze.
Mi è piaciuto baciare Cécile. Mi è piaciuto, a tal punto da sentirmi ancora formicolare le labbra, da avere ancora la sensazione di sentire i suoi fianchi fra le mie dita o il tepore della sua lingua sulla mia.   
Maledizione!
Sono piombato in un vortice di desideri proibiti che mi sta uccidendo.
 Quando esco dall'applicazione e fisso lo schermo, non leggo l'ora, bensì, immagino il suo nome.
Desidererei leggerlo covando la speranza in un sms che mi affermi che quel che è successo, è capitato davvero. Perché così, sembra tutto troppo etereo. Tutto troppo confuso, come lo ero io, dopo quei maledetti beveroni fruttati.
Cosa mi hanno fatto i suoi occhi? Che razza di potere ha Cécile, per avermi spinto a compiere un gesto così inaspettato?
Mi domando se sia stato solo un impulso immotivato -da ragazzo- oppure, una voglia vera e propria che va, ben oltre, la semplice attrazione fisica.
Forse lei ha ragione. Forse, Sara mi ha fatto mancare qualcosa. 
Ma cosa? 
Il sesso?
La libertà?
La trasgressione?

Probabile: sono tutte parole che attribuisco a Cécile.
Lei è sesso.
E' libertà ed è trasgressione.
Non avevo mai pensato di potermi imbattere in una persona che procurasse reazioni tanto visibili su di me.
Forse dovrei resettare ciò che è successo. Ma si, se riuscissi a fingere che quel bacio non sia mai esistito, sono certo, che tutto tornerebbe come prima.
Chi voglio prendere in giro... non accadrà mai...
Alle sette e senza aver chiuso occhio, decido di alzarmi rassegnato.
Sono uno straccio quando raggiungo i bagni in comune del dormitorio. Lo sono anche quando, incerto, mi decido a raggiungere la caffetteria ed ancora, quando raggiungo l'aula di Letteratura.
«Mio Dio...che faccia...» mormora Allison in una smorfia.
«Non ti ci mettere anche tu» borbotto «Non è stata una notte facile».
La sorpasso dirigendomi verso la cattedra ai piedi della gradinata e lasciandoci, finalmente, la tesina su Freud, prima che arrivi la Morgan.
«Che è successo?» mi chiede in tono inquisitorio, seguendomi come un'ombra.
Poggio lo zaino ai piedi della sedia e mi ci accascio sopra, strofinandomi gli occhi da sotto la montatura degli occhiali.
«Allora?» incalza sedendosi accanto a me.
Mi volto a guardarla deciso «Sai, l'alcool fa schifo.» Affermo con una certa sicurezza nel tono della voce.
Alli per un momento sembra confusa, poi preoccupata, ed infine accigliata.
«Hai bevuto?»
«Devo chiedere il permesso per farlo?» 
Storce un labbro «No, ma non immaginavo che bevessi.» 
Torna a muoversi sulla seduta tornando composta e spostando lo sguardo dritta a se, come se se ne fosse risentita della mia reazione.
«Immagino sia stata lei a convincerti» è quasi un bisbiglio metallico, quello che esce dalle sue labbra.
«Sono stato io a decidere di bere.» Non è vero. 
 «Spero che ti sia divertito, allora.» 
La curva tirata delle sue labbra ed il modo in cui fa capitolare il discorso, dando alla voce un tono stizzito, mi fanno chiaramente intendere che abbia già presunto qualcosa. Ma non ho realmente voglia di affrontare questo discorso con lei. 
Anzi, Allison è l'unica che non deve sapere di quel bacio per quanto che mi riguarda.
Fra noi scende un silenzio glaciale ma non mi pongo il problema di scioglierlo.
La lezione comincia in un via vai di studenti che dai propri posti si spostano, verso la cattedra, per consegnare le tesine. Mentre li osservo, mi domando dove sia finita Cècile; spero che non abbia deciso di saltare la lezione per evitare me.
La Morgan ordina ad un'allieva di chiudere la porta. Fine degli accessi.
Era stata chiara la settimana scorsa: chiunque fosse entrato in ritardo, avrebbe assistito alla lezione da dietro la porta.
Questo stava ad indicare che Cécile non si sarebbe fatta viva nemmeno oggi...
Scuoto la testa.
Perché diavolo mi sento avvilito?
«Darò uno sguardo alle vostre tesine in serata, domani, disporrete dell'esito.» Afferma, ma io l'ascolto distrattamente.
Incomincia a spiegare qualcosa su Edgar Allan Poe, i suoi tormenti e le sue visioni.
Ho il quaderno aperto sulla ribaltina e la penna per mano ma non riesco a buttar giù nemmeno mezza riga.
Rischio veramente di mandare l'anno all'aria solo per quello che è successo? Perchè Dio solo sa a  cosa potrebbe portarmi l'essere disattento a lezioni come questa.
Sono un fascio di nervi, assonnato, rintronato e mangiato vivo dai sensi di colpa.
Il pensiero costante va a  Sara. So che la penso così intensamente solo perché mi sento in colpa per aver baciato Cécile: Sara non meritava un torto del genere.
Sono fortunato a stare con lei : è sempre stata premurosa e dolce con me e poi, anche se stiamo insieme da soli due anni, la conosco praticamente da una vita. Ci siamo detti sin da bambini che avremmo concluso le nostre vite insieme.
Quando confessai a mio padre di essermi innamorato di lei, ammise che avevo fatto la scelta giusta.  «Non mi hai mai deluso.»  Che direbbe ora, sapendo che ho baciato un'altra ragazza? 
Probabilmente mi scruterebbe con lo sguardo deluso e lascerebbe al suo fare ammonitore il resto.
Odio pensare che potrei renderlo scontento. 
Ho visto il suo sguardo quando ho ammesso di aver trovato difficoltà con la tesina di Freud. Nonostante mi abbia difeso con mia madre, i suoi occhi erano delusi e mi avevano ferito.
«Dovresti scrivere qualcosa» bisbiglia Alli, scrutandomi con la coda dell'occhio.
Vorrei abbandonare l'aula in realtà.
«Qual è il genere narrativo prediletto da Poe?».
Allison alza la mano, ma la Morgan deve esser diventata di colpo strabica, perché chiama me.
«Fontès, rispondi tu?» trasecolo appena.
«Ecco...»
La Morgan mi scruta con aria impaziente agitandomi ancora di più.
Ad un tratto, Alli allunga una mano sulla mia ribaltina, stendendomi un foglietto strappato con scritto qualcosa. Ci lancio lo sguardo:

Stile gotico e letteratura Horror.

Ripeto ciò che c'è scritto con voce tremante.
«Bene. La prossima volta...una risposta più celere» la Morgan torna verso il pc dietro la  cattedra e fa scorrere l'ennesima slide di cui ignorerò la spiegazione.
«Grazie.» Bisbiglio alla bionda che stranamente mi regala un sorriso.
La voce di Jane torna ad incalzare sull'argomento, quando, un rumore contro la porta ci fa girare tutti nella sua direzione -Morgan compresa.
L'anta si separa e la sagoma di una Cécile con due profonde e vistose occhiaie si fa largo al centro.
Jane la fulmina torva.
«Pestillo, non posso farti entrare».
Cécile, la ignora totalmente e cerca di dirigersi al suo posto. La strafottenza della mora, però, deve aver fatto si che a Jane si serrasse la mascella, le montasse la rabbia, per poi, farla fiondare su Cécile afferrandole il braccio.
«Dove credi di andare? Ho detto che non puoi entrare!».
Cécile le lancia uno sguardo inespressivo, che non fa presumere a nessuno di noi ciò che le vediamo fare un attimo dopo. La rabbia le monta prepotente all'improvviso. Strattona il braccio e poi rigetta contro una spinta che fa piombare la povera insegnante a terra.
Nell'aula il brusio si fonde con lo sgomento.
«Ma che fa!»
«E' impazzita!»
Il viso di Jane si fa paonazzo sembra in bilico fra voler piangere e gridare alle inservienti di far intervenire la sicurezza.
«Porca puttana...» sussurro appena sollevandomi di colpo.
Il mio sesto senso mi dice che Cécile farà qualcosa di ancora più stupido se qualcuno non decide di intervenire, perciò, mi lancio giù per la gradinata e la spingo fuori dall'aula, prima che possa succedere qualsiasi altra cosa.
«Che diavolo fai!?» Ringhio scuotendo le braccia in aria. «Ti ha dato di volta il cervello?!»
Sembra nervosa ma la sua espressione si limita ad un broncio appena accennato.
«Ho bisogno di assistere alle lezioni. Quella stronza non può sbattermi fuori» non alza la voce, per quanto, sia oltremodo stizzita.
«Se vuoi assistere alle lezioni, svegliati prima.»
I suoi occhi saettano su di me e per un momento, ho l'impressione che voglia aggredirmi come ha fatto con la Morgan.
«No, non dirmelo...» sollevo il palmo della mano verso lei «..immagino che se non riesci a svegliarti c'è un perché ed ovviamente, io non posso saperlo!»
Sembra sul punto di esplodere ma non mi interessa.
«Già, infatti.» Si muove verso l'uscita della struttura.
«Non credi, invece, che dovresti farmene partecipe?» l'accosto accelerando il passo.
«Per quale motivo?»
Già Gabriel, per quale motivo? Pensavi che dopo essertici baciato, lei, si sarebbe aperta con te?
«Per evitarti-» indico la porta infondo al corridoio e sollevo entrambe le palpebre «quel genere di cazzate.»
Alza gli occhi al cielo.
«Ho avuto da fare questa mattina e mi sono liberata solo ora» prosegue.
«Oh, ma certo!». 
Mi fulmina.
«Sto dicendo sul serio. Sono stata incaricata di fare delle consegne per il pub dove lavoro.» Il suo tono di voce sembra sincero o quanto meno molto serio.
Scosta l'anta di vetro e la seguo all'esterno.
«Potevi dirlo anche alla Morgan invece di farla schizzare a terra.»
«E' stata una reazione impulsiva.»
Direi una reazione stupida e che le costerà sicuramente una sospensione.
Sospiro arrendevole.
Sposta gli occhi su di me «Torna a lezione.»
Vorrei. Dovrei, più che altro, ma continuo a seguirla nemmeno fosse una calamita.
«Credo che sia meglio restare con te. Voglio evitarti altre cazzate».
Non aggiunge altro.
Usciamo dal campus ritrovandoci per strada senza una meta precisa e tutto un tratto, mi sento spaesato.
Cécile attraversa il marciapiede ed entra spedita in un bar. Ho deciso di non chiederle nemmeno più cosa stia facendo. Mi sono arreso davanti alla sua instabilità.
Entro dopo di lei e la trovo seduta ad un tavolino : le cuffiette alle orecchie e gli occhi gettati su un quaderno. 
Raggiungo la sedia dall'altro lato del tavolo e mi ci accascio limitandomi ad osservarla.
«Non so cosa prendi di solito, perciò, ti ho ordinato un caffè.» Alza per un momento lo sguardo a me, poi, afferra una penna e morde il tappetto per liberarla.
«Grazie».
Non ho idea di cosa stia scrivendo dato che copre la pagina con il braccio, perciò, aspetto il mio caffè e quando arriva, lo trangugio guardando lo schermo di un televisore affisso al muro dietro le sue spalle.
Ha ordinato un cappuccino ed una brioche che mangia avidamente.
«Hai intensione di restare con me tutto il giorno?»
Non le rivolgo lo sguardo. «Facciamo, finché ho voglia»
Sospira un mezzo sorriso che scruto con la coda dell'occhio.
«Perché lo fai?» riesce a riguadagnarsi l'attenzione che mi stavo rifiutando di darle.
«Detto francamente-» non lo so.
«Lascia stare. Non mi interessa.» Mi fredda afferrando la tazza del cappuccino e mandandone giù sorsi corposi.
Resto per un momento interdetto dal suo atteggiamento, ma incomincio ad avere l'impressione che abbia timore di qualcosa. 
Ma di cosa?
Terminato di mangiare ripone le sue cose e mi incita ad alzarmi con il suo fare sempre molto poco raffinato e poco gentile.
Usciamo dal bar e torniamo a camminare. Lentamente incomincio a riconoscere la strada per il Waves e poi ancora l'imbocco del suo quartiere; mi sale un dubbio atroce.
«Dove stiamo andando?» 
Si volta e continua a camminare all'indietro ammiccando un sorrisetto malizioso.
«Non preoccuparti, non voglio portarti a casa. Anche se, forse,a te non dispiacerebbe come idea...» Trasecolo per lo stupore e di ricambio scoppia a ridere.
«Fai delle facce impagabili» si volta e torna a camminare guardando la strada.
Svoltiamo verso un parcheggio e tira fuori dalla borsa un paio di chiavi poi raggiunge, inaspettatamente, un'auto che sembra d'epoca.
«E' tua?» chiedo sprofondando a sedere su un sedile di pelle nocciola.
Si cala dentro anche lei «No, è di Jace. Me la presta ogni tanto».
L'idea di stare dentro l'auto di quel tipo mi disturba e non poco.
Accende il motore ed il suo rombo prepotente invade il parcheggio, un po' come ha fatto l'esuberanza di Cécile con la mia vita tranquilla.
I finestrini abbassati lasciano filtrare una piacevole aria fresca che stempera l'afa soffocante di questa mattina. 
Ci immettiamo in strada accodandoci al traffico e Cècile deve guidare per un po' prima di riuscire a svoltare verso uno stradone secondario.
«Mi stai portando al mare?» chiedo.
Annuisce con un sorrisetto.   
                                                                                   ****************
Sto protestando da un quarto d'ora.
Odio la sabbia dentro le scarpe ed odio indossare i pantaloni in spiaggia. Ma c'è una cosa che odio più di tutto questo: il fatto che a Cécile brillino mille intenzioni stupide negli occhi.
Io le vedo. Quelle idee strambe che le scorrono nella testa quando vede qualcuno giocare a palla o i cani correre sul bagnasciuga. Lo vedo, che vorrebbe fare la bambina e gettarsi in qualcosa di imbarazzante.
«Chiediamogli la palla.» Ed infatti indica un gruppo di bambini che sta giocando sulla riva.
«Non ci pensare».
Alza gli occhi al cielo.
«Va bene, tu fa come ti pare, io vado a prendergli la palla» abbandona la borsa sulla sabbia e si dirige a passo sicuro verso il gruppetto.
Ha detto prendere?
Immagino già come potrebbe rivolgersi a quei poveri bambini.
«Cècile!»Afferro la sua borsa e le corro dietro.
Uno dei bambini tira la palla in aria. Cécile si fa largo spingendo via un altro di loro e proprio quando sta per agguantare la palla, la placco meglio di un giocatore di football.
Getta un Oh sordo che muore, non appena, piombiamo ruzzolando sulla sabbia.
«Che cazzo-» la stizza le sciama via presto lasciando spazio ad una fragorosa risata limpida quando guarda me.
Abbasso lo sguardo ai miei vestiti e mi rendo contro che sono finito con le gambe sulla riva e l'acqua mi ha inzuppato fino alle ginocchia.
«Hai visto cosa hai fatto!» sbraito.
Non la smette di ridere, ricadendo indietro con la schiena.
A lei non interessa minimamente che i suoi abiti siano pieni di sabbia impastata all'acqua, ne che i suoi anfibi siano diventati due cotolette.
Da una parte, invidio il suo modo di essere. Non pensa nemmeno lontanamente alle conseguenze, vive ogni momento come se...come se fosse l'ultimo.
Torna a drizzare la schiena e, in un momento morto, artiglia un pugno di sabbia  giocherellandoci.
Il sole le bacia la pelle chiara mentre, le pagliuzze ambrate negli gli occhi da gatta, risplendono ancora di più. Probabilmente la sto fissando così intensamente che se ne accorgerà presto.
Sposta lo sguardo, dal palmo che sta facendo volare via un pugno di sabbia, a me.
«Che c'è?» mi domanda con uno strano sorriso. E' affettuoso e...imbarazzato? Cécile imbarazzata?
«Niente» le dico. Io, in compenso, lo sono davvero.
Si solleva in uno slancio e mi raggiunge agguantando le mie mani.
«Che vuoi-»
«Non fare domande» all'improvviso sembra rendersi conto del tono metallico con cui si rivolge a me -sempre- ed addolcisce la voce «Almeno per oggi. Ok?».
Libera solo una mano, mentre l'altra, cerca disperatamente le mie dita per intrecciarle alle sue.
Poi corre. Corriamo. Lei mi trascina in acqua come un tornado e nel momento in cui sprofondo sotto la massa salata, mi tornano in mente mia madre e Sara.
Cosa penserebbero di me se mi vedessero ora?
Se mi vedessero sorridere, riemergendo dall'acqua, ad un' altra persona.
Se si rendessero conto che sono felice.
Aspetta...come potrebbero rendersene conto, se nemmeno io l'ho fatto ancora?
Cécile, di colpo, schizza fuori dall'acqua e tira i suoi stivali alla riva.
Sghignazzo.
«Cazzo, mi pesavano le gambe» si lascia ricadere un attimo dopo all'indietro.
«Madamme...quanta grazia...» inarco la schiena  restando a galla sul pelo dell'acqua. 
«La senti?» dice all'improvviso.
Il cielo terso mi oscilla davanti, immenso, e mi ci perdo. 
«Cosa?»
Sposto lo sguardo verso i miei piedi notando che anche Cècile è persa a guardare il cielo sdraiata nel blu dell'acqua.
«La pace» socchiude gli occhi sorridendo.
Torno a guardare l'infinito e mi sfugge un sorriso.
La pace ha proprio un bel suono ed ha anche un sorriso stupendo.
«E' stupenda» mormoro.
«Vorrei provarla più spesso» dice sussurrando quasi le parole «Io...non ricordo più che cosa vuol dire starsene in pace». 
La sua voce è sprofondata in un vortice di malinconia. Perché?
Abbasso le gambe e torno a galleggiare in acqua fissandola confuso.
«Che vuoi dire?»
Lei fa la stessa cosa, tornando ad ondeggiare colpita dal flusso dell'acqua, difronte a me.
Si morde il labbro superiore.
«Che avevo dimenticato cosa vuol dire sentirsi sereni, tranquilli, al sicuro...» scorgo un velo di timidezza mentre parla «Sai Gabriel, se tu mi conoscessi meglio...probabilmente, smetteresti di starmi dietro. Sono una pessima persona» distoglie lo sguardo gettandolo chissà dove oltre la sua fronte.
Perché dice certe cose di se stessa? Cosa può averla portata a pensare così male di lei?
«Ma non ti conosco, giusto? Allora perché fasciarsi la testa prima del tempo?» alzo le spalle avanzando lentamente verso lei. L'acqua si increspa attorno a me.
«Quando arriverà quel momento ci penserò, ok?» sorrido.
La vedo indietreggiare per un istante come se avesse paura. Non può aver paura di me...
Mi fissa con uno sguardo totalmente diverso. 
Potrei perdermici ogni volta in quegli occhi.
Allungo una mano verso il suo braccio e quando lo sfioro la sento irrigidirsi per un momento.
Per la prima volta è fragile come un ramoscello; mi da l'impressione di poterla spezzare con un dito.
                                                            Chi è Cécile Charlotte Pestillo?
                                                                    *******************
«Ah, fantastico ed ora come ci torno al dormitorio così?» protesto mentre abbandoniamo la spiaggia e ci ritroviamo sul marciapiede stracolmo di persone che, fra l'altro, ci guardano come se fossimo due esauriti.
«E' un problema tuo» risponde lei, carogna come al solito, strizzandosi il bordo della T-shirt di un gruppo musicale dal nome strano ed irripetibile. 
Aggrotto la fronte «E' diventato anche un TUO problema» e la indico.
Socchiude le palpebre esasperata tornando a camminare verso l'auto poco distante da noi.
«Troveremo qualcosa da metterti a casa mia». 
E' un attimo: lo stomaco si stringe ed il ricordo di quel bacio riaffiora prepotente nella mia testa.
Penso a decine di modi per evitare di tornare li: comprarmi qualcosa da indossare nei negozietti sparsi per la via oppure lasciare che i miei panni si asciughino all'aria...
Ma mentre ci penso, sono già dentro l'auto e lei sta guidando di nuovo.
A differenza mia, sembra trovare tutta questa situazione estremamente nella norma.
Il viso rilassato e quasi indifferente alla mia presenza, la radio a tutto volume: canta...
Forse, sono io l'unico stupido che pensa ancora a ciò che è successo fra noi.
Arriviamo davanti alla suo appartamento poco tempo dopo e, questa volta, spalanca la porta con molta più sicurezza.
Non mi chiede di far piano ne, tanto meno, sembra aver l'espressione tirata di ieri sera.
«Non c'è il tuo amico?» domando chiudendomela alle spalle.
Mima un no con la mano e separa anche l'altra porta da cui filtra la luce necessaria per farmi capire dove sto mettendo i piedi.
Oltre essa ne vedo, separate da pochi metri di spazio, altre quattro.
Questo appartamento è un vero buco ma la nota positiva è il fatto che mettendo le finestre delle stanze a corrente si sta da Dio.
C'è una porta aperta davanti a me : è una camera da letto. Dall'ampia finestra si vede il mare. Mi dice che quella è la stanza che lei e Jace mettono solitamente in affitto ma che, ultimamente, parecchi studenti si erano rifiutati di condividere casa con loro, fuggendo, solo qualche giorno dopo aver firmato il contratto.
Perché non mi stupisce?
Cécile separa la terza porta e mi chiede di seguirla.
Questa stanza è totalmente diversa.
Più piccola di quella accanto: con una serie di scaffali stracolmi di libri che albeggiano sopra ad una scrivania bianca, mentre, il letto in ferro battuto al centro della stanza occupa il più dello spazio affiancato da un enorme armadio bianco con le ante di vetro. Incuneato fra armadio e materasso un comodino bianco laccato.
Le pareti sono di un rosa scuro o forse è solo la luce dell'abat-jour che ha appena acceso a farmele apparire di quel colore.
«Non alzi la serranda?» le domando spiando dai suoi fori e scorgendo nuovamente il mare.
«Ci batte troppo sole» afferma abbandonando gli stivali sul pavimento.
«Capisco...» mormoro.
«Vado a cercare qualcosa nell'armadio di Jace. Aspetta qui» non sono affatto entusiasta di questa cosa, ma incomincio ad avere i brividi per colpa dei panni umidi.
Cécile sparisce dietro l'anta della porta lasciandomi solo ed immerso nel suo mondo.
Mi guardo intorno ancora una volta : è così strano stare a contatto con le sue cose.  Senza sapere nemmeno bene il perché e ad un tratto,provo un mucchio di sensazione nuove. Sono disorientato e sento di essere appena entrato nella sua intimità, per sbaglio. Il mio sguardo si ferma su una foto appoggiata al piccolo comodino.
Faccio il giro del materasso e mi siedo afferrando il quadretto che ritrae due ragazze.
Una è indubbiamente Cécile. L'altra, però, le assomiglia come una goccia d'acqua: gli stessi capelli lisci e scuri, lo stesso sorriso, anche gli occhi sono simili, ma l'altra tende ad averli più scuri.
Nella foto, Cécile le tiene entrambe le braccia attorno alle spalle.
«Chi è questa ragazza?» domando quando la vedo rientrare con alcuni panni piegati fra le braccia.
Il suo sguardo è imperscrutabile e fissa il quadretto che ho fra le mani.
«Mia sorella» ammette infine lasciandomi decisamente sorpreso. Non sapevo che avesse una sorella, Allison non me ne aveva mai parlato.
Si siede accanto a me e poggia gli abiti sul materasso.
«Vi assomigliate parecchio» sorrido appena. Lei ricambia allo stesso modo ma, poi, il suo sguardo si ombra.
«Ci assomigliavamo parecchio, anche di carattere. Lei era dinamite...dinamite vera e propria» ride flebilmente.
Il mio sguardo vaga su di lei «Perché parli-» mi zittisco subito quando la sua bocca si contrae per un momento ed il suo sguardo mi spiega in silenzio che sua sorella...non c'è più.
Mi si stringe la gola.
«Mi dispiace...Io...». 
Scuote la testa «Non potevi saperlo.».
Fa scorrere le dita attorno alla cornice di legno e lascio che si riappropri della foto.
«E' morta in un incidente stradale a 17 anni» afferma fissando la foto e passando il pollice sul viso della ragazza. Mentre lo fa, ho l'impressione che nella sua testa appaiano tutti i momenti passati con lei, le loro risate o magari i pomeriggi passati a raccontarsi chissà cosa. Mi spezza il cuore vederla cosi. Io non so cosa significa perdere qualcuno; in vita mia ho perso solo lo zio Alfred e non lo vedevo dall'età di sei anni...Perciò, no. Non posso immaginare cosa significhi perdere qualcuno come una sorella o un fratello.
«Quel giorno ha cambiato tutto».
Accenna un sorriso amaro «Sai, non piango più da allora» si porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio «E' come se una parte di me fosse morta insieme a lei».
Ho appena avuto un'illuminazione su Cécile: la morte della sorella deve averla fatta chiudere così tanto in se stessa che, probabilmente, esterna il dolore sotto un'altra forma, l'ira.
Lei sembra veramente arrabbiata con il mondo ed ora, capisco anche perché gridò ad Allison di non essere sua sorella.
Mi stende la foto facendo cenno di poggiarla nuovamente sul suo comodino.
«Bene» sospira battendosi i palmi sulle cosce «Ho trovato qualcosa che potrebbe starti bene» dice cambiando totalmente tono della voce. 
Odio che lo stia facendo. Non deve imporsi di stare bene per forza. 
«Con me non c'è bisogno che fingi» mormoro.
Ho un impulso istintivo. L'attiro a me. Forse è sbagliato, ma vorrei solo che capisse che non si deve essere forti per forza, certe volte, essere forti non serve affatto.
Le sue spalle si irrigidiscono vertiginosamente.
«Deve essere stato straziante perdere tua sorella. Per questo ti chiedo di non importi di essere forte quando stai con me. Io non voglio attaccarti in nessuna maniera.» 
La sento affondare con la fronte nell'incavo del mio collo e, lentamente, le sue mani risalgono la mia schiena stringendomi appena.
Ho smesso di considerarla una stralunata da quando ho capito che la sua vita nuota in acque piene di squali.
Mi apre il petto in due prendere coscienza del fatto che, probabilmente, Cécile ha vissuto momenti atroci nella sua vita totalmente sola.
Si allontana da me quanto basta per trovare il mio sguardo.
Ha gli occhi arrossati ma non sta piangendo.
Schiudo le labbra per poter dire altro ma lei non mi da il tempo: allunga il viso verso me e mi bacia.
Il cuore sembra arrivarmi in gola. 
Che sta facendo?
All'inizio ciò che capita alle nostre labbra è innocente; mi bacia lentamente, talvolta esitando appena, ma poco dopo mi ritrovo ingabbiato da me stesso in un bacio appassionato.
Le passo una mano dietro la nuca e lei si solleva, costringendo me, a fare lo stesso. Mi attira a se mentre la mia bocca è schiava della sua.
Mi rendo conto che il groviglio di sensazioni che ho quando sto con lei, si sbroglia, quando mi bacia. Quando lo fa, i miei sentimenti sembrano del tutto chiari come se ne avessi consapevolezza da sempre.
La catena agganciata al suo paio di pantaloni tintinna contro il vetro dell'armadio quando lo urta con la schiena.
Mi separo un attimo da lei.
«N-no non farlo, baciami...ti prego» mormora, con un tono che rasenta la disperazione, sfiorandomi le guance.
E' sbagliato.
E' tutto sbagliato.
Ma è anche terribilmente giusto
.
D'un tratto mi sento un'altra persona: ho voglia di farle cose che non mi sono mai passate  per la testa.
Lei non ha idea dell'effetto che mi fa. Non ha idea di quello che provo quando mi bacia, proprio come sta facendo ora mentre mi morde il labbro inferiore.
Una serie di brividi mi parte dalla spina dorsale facendomi contrarre di piacere.
Risalgo con le dita sulla sua T-shirt, poggiandole sulle costole. 
Le sue dita si insinuano sotto la polo e nonostante siano gelide, si lasciano dietro una scia bollente.
La pelle si increspa di più quando il freddo della stanza mi sfiora mentre lei mi toglie la maglia lasciandola cadere a terra. 
La sua bocca si avventa con bramosia sul mio collo costringendomi a poggiare le mani accanto alla sua testa , sul vetro dell'armadio, per non lasciarle libere di strapparle quella dannata maglia che porta.
Ho paura di sembrarle affamato, di poterla spaventare in qualche modo.
Ma quando lei mi afferra i fianchi attirandomi a se e non c'è che contatto fra di noi, il mio cervello si resetta totalmente.
Le mie mani scivolano su lei esitando per un momento sui fianchi per poi addentrarsi sotto la sua T-shirt. Ha un fremito e torna a baciarmi; le sue unghie premono sulla mia schiena ma non è dolore quello che provo: sono scintille e più ne sento, più ne ho voglia.
La pelle liscia mi scorre sotto i palmi e le dita si insinuano appena sotto il ferretto del reggiseno. 
Voglio che continui a mordermi le labbra e a guardarmi in quel modo.
Voglio risalire ogni sua curva.
Voglio spogliarla.
Voglio toccarla.
Voglio...
SARA.
 Sono un fuoco, ovunque, ma l'ultimo briciolo di coscienza parla e mi dice che devo fermarmi.
«Non posso. Scusami, non posso.».
Mi stacco da lei in preda a tutta una serie di sentimenti aggrovigliati e non piacevoli.
Ha le labbra arrossate e gli occhi languidi. Il respiro le esce veloce esattamente come credo esca il mio.
Resta per un momento a fissarmi, sembra spiazzata o forse, solo conscia di ciò che stavamo per fare.
«Hai...ragione, scusami» mormora in un filo di voce arrochito.
«Penso che andrò...andrò a farmi una doccia» si schiarisce la voce.
Annuisco.
Prende un gran respiro ed esce dalla stanza  chiudendosi la porta alle spalle -attimo perfetto per accasciarmi a sedere sul materasso e pensare a come sono recidivo nel far cazzate.
Mi passo le mani sul viso. 
Ho tradito Sara. Ancora. Ma il peggio è che, ogni volta, finisco solo per sentirmi più distante da lei.
Capisco, perso nei miei sensi di colpa, che devo porre fine ad almeno una di queste due situazioni.
Valuto l'idea di lasciare Sara pressoché impossibile, perciò, l'unico punto da mettere è quello a questa situazione con Cécile.
A questa stupida attrazione che mi fa diventare un perfetto idiota nonché suo succube.
Sfilo di fretta i miei vestiti e metto quelli che mi ha portato lei.
Non bado nemmeno al fatto che indosso un paio di jeans pieni di strappi vistosi ed una T-shirt con la stampa macabra di un teschio : voglio solo uscire da qui.
Vado verso la porta ed artiglio la maniglia spalancandola di colpo.
Cécile, stretta in un asciugamano che le arriva sopra le ginocchia, ha un sussulto per lo spavento.
I suoi occhi viaggiano su di me e le pupille si allargano in maniera del tutto anomala.
Non voglio chiedermi perché, anche, se so perfettamente cosa significa.
«Devo andare» mormoro e non con poca fatica.
«Lascia che ti riaccompagni. Ho l'auto.»
Mi mordo un labbro perché -seriamente- vederla avvolta in quell'asciugamano mi sta facendo immaginare un centinaio di modi in cui potrebbe scivolare via da lei.
Maschero l'imbarazzo e tutti quei pensieri pornografici nella testa, con un leggero colpo di tosse  «Ok, ma non metterci un'eternità. Ti aspetto in cucina» e la sorpasso, maledicendomi, perché ho persino i peletti dietro la nuca eccitati, in questo momento.
                                                                              ****************
Attraversiamo il corridoio del dormitorio insieme poiché le voglio restituire i vestiti di Jace. In realtà voglio liberarmene al più presto.
«Dannazione, ho lasciato la mia roba nell'aula di Letteratura» dico mentre cerco, inutilmente, le chiavi nella tasca del pantalone, ancora umido, che ho stretto al braccio.
«Ho io un paio di chiavi» dimenticavo che lei dormiva abusivamente in questa stanza.
Me le passa e l'inserisco nella porta girando due volte.
«Entra, raccolgo i miei panni e-»
Se c'è una cosa in cui ho incominciato a credere è quella stupida teoria di cui mi ha parlato Cécile in auto solo pochi minuti fa : il Karma esiste.
Lei, ovviamente, me ne ha parlato ricordando svariati suoi episodi ed io -da buon coglione- ho riso anche questa volta dicendole, scherzando, che poteva tornare a leggere l'Oroscopo sul quotidiano.
Ed ora, eccomi qui, con il mio  Karma che si è rivelato un vero pugno nello stomaco.
«Cercavi le tue cose?» Allison è seduta sul mio letto, mentre affianco, Sara è in piedi a braccia incrociate e mi lancia uno sguardo al sapore di Arsenico. Guarda me, poi i suoi occhi azzurri si spostano a Cécile.
Sento il sangue scendermi, tutto e in una volta sola, ai piedi.
Anche Cécile sembra sbigottita il che è parecchio strano.
Allison si solleva dal materasso, lo sguardo severo. «Avevi lasciato tutte le tue cose in aula questa mattina.» dice mentre fa un passo verso me  «Così ho pensato di riportartele...poi però, mi sono accorta che il tuo cellulare squillava a ripetizione-»
«Le hai detto tu di venire qui?» la interrompo avvertendo fiele scorrermi nelle vene. Alzo la voce.
La bionda sembra restare interdetta.
«Non urlarle addosso!» interviene Sara facendo un passo avanti «Allison è stata gentile nei miei confronti» fa una pausa fissandomi dritto in volto «Se non fosse stato per lei, io non avrei mai scoperto che mi tradisci da settimane».
«Da settimane!? Ma che diavolo stai dicendo!?» protesto. Il mio sguardo schizza da Sara ad Allison «Le hai detto che la tradisco da settimane? Sei impazzita?!».
Serra le labbra per un momento. «Non sono settimane che lei ti gira attorno?» prosegue con un briciolo di timore nella voce ma l'espressione accigliata e convinta che persiste .
«Cazzo, no! E' successo-» vedo Sara muoversi verso la porta « Sara, no, aspetta» cerco di fermarla, bloccandole i polsi. E' in lacrime e trema come una foglia «Lasciami spiegare. E' successo per sbaglio...Avevo bevuto...» 
I suoi occhi rimbalzano sul mio viso colmi di disprezzo e delusione «Adesso ti sei messo anche a bere? Mio Dio, che ha fine ha fatto il mio ragazzo?» fa disgustata.
Mi sorprende che Cécile sia rimasta in disparte. 
«Ho sbagliato, ma io...Ti amo» Sara strattona un polso e sgancia una cinquina dritta sulla mia faccia. 
«Non ti azzardare a dirmi quella parola. Non voglio più vederti!» Ruggisce spingendomi via e dando una spallata a Cécile che, però, si limita solo a socchiudere le palpebre come se cercasse di restare calma.
«Grazie! Grazie veramente Allison!» grido stizzito infilando le mani fra i capelli.
Mi fissa inespressiva «Qualcuno doveva pur dirglielo» e mormora con un certo sdegno, passandomi accanto.
Quando, però, passa accanto a Cécile, quest'ultima, l'afferra per un braccio costringendola a piegarsi verso lei  «Sei veramente pietosa...»  le sibila con astio, poi, la lascia andare bruscamente.
Allison, rigida, esce dalla stanza senza aggiungere altro.
Mi accascio a sedere accanto alla scrivania. Ho le gambe molli e mi è scoppiata un'emicrania feroce. 
E' questo quello che chiamano Karma? E' così la vita ti rende ciò che fai?
Sollevo lo sguardo a Cécile : Non era lei il capitolo che dovevo chiudere?

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


                                                             Gabriel 8.

Dieci giorni dopo, Sara non risponde alle chiamate, Cécile mi ha allontanato dicendo che tutto ciò che è successo è stato un errore e con Alli, non sono riuscito ad incrociarmici mezza volta dato che mi evita come la peste.
La mia vita sembra fluttuare, cristallizzata, nel vuoto.
E' bastato un giorno perché perdessi tre persone fra cui, una, la più importante: la mia ragazza.
Il cosmo deve aver deciso di tendermi un tranello veramente poco piacevole per decidere di stravolgere la mia vita in questo modo.
Ho detto veramente cosmo? Sto incominciando a credere a queste stronzate? 
Anche se fosse vero e il nostro cammino fosse pilotato da roba come Karma, destino e stronzate varie, di certo, io non me ne resterò in balia degli eventi. Per questo, ora, sto facendo avanti ed indietro davanti alla porta di Allison.
Parto da lei. Ho proprio voglia di sapere per quale assurdo motivo ha deciso di vuotare il sacco con Sara.
Sono furioso con lei. Insomma, nessuno le dava il diritto di poter spifferare un tradimento ad una ragazza che neanche conosce e poi, scommetto che lo ha fatto solo per rovinare i giochi a Cécile, il che, rende la sua posizione peggiore di quello che è.
Mi decido : pianto i piedi davanti alla lastra di legno verde e batto due colpi a pugno chiuso.
All'inizio non sento rispondere nessuno, ma quando sto per colpire ancora la superficie logora, l'anta si separa.
Spalanco le palpebre rendendomi conto che la ragazza che condivide la stanza con Allison la conosco già.
«C-ciao» esita con la voce per un momento «Ci conosciamo?» chiede poi, storcendo un labbro come se stesse cercando di ricollegare il mio viso a qualche episodio.
«In biblioteca, più o meno, tre settimane fa» rispondo leggermente timido solleticandomi la nuca.
Sapevo che l'avrei rincontrata ma non credevo affatto che potesse essere la coinquilina di Allison.
Questo è decisamente il fato: crudele, spietato ed imbarazzante.
Le sue palpebre scattano all'improvviso. Ha l'illuminazione. «Tu eri con quella tipa maleducata!».
«Già...» mormoro in un sospiro arrendevole.
Apre un po' di più l'anta «Entra pure. Cercavi Allison?».
Non sono certo che entrare sia l'idea migliore ma essere carino con lei, riparerà sicuramente, alla brutta figura che mi ha fatto fare Cécile quel giorno.
«In realtà si, sai per caso che fine ha fatto?» mi invita a sedermi su uno dei due materassi, mentre lei si accomoda sulla sedia girevole accanto alla scrivania.
«E' uscita poco fa. Ma sicuramente sarà qui a breve» afferma, spostandosi la corposa massa di ricci dietro le spalle.
Ed infatti, solo due minuti dopo, proprio quando mi sono fatto coraggio e sto dicendo a questa ragazza che mi dispiace per quell'episodio, lei apre la porta, ma non è sola.
«Oh, lui chi è? Un altro vostro amico che si unisce alla festa?» Di quale festa parla?
Il tipo che entra in stanza è mulatto. Un viso pulito ed anonimo incorniciato da folte sopracciglia scure e capelli a spazzola del medesimo colore.
Allison guarda la riccia, poi me.
«Si, lui è Gabriel» dice, infine, lasciandomi intrappolato in questa situazione assurda.
Lui si avvicina di un passo e mi tende la mano «Piacere Marcus».
Ricambio la stretta seppur preferirei evaporare.
«Sono certo che ti divertirai con noi questa sera» sorride entusiasta -sicuramente- all'idea di non essere l'unico ragazzo.
«Ecco, in realtà-» mi sollevo stirandomi i pantaloni sulle ginocchia.
«In realtà voi non vi conoscete affatto» Alli mi interrompe di colpo, indicando la riccia con il palmo della mano. Mi rifila uno sguardo tagliente quando la guardo contrariato.
«Lei è Margherita» la riccia sorride gioiosa ed invece di stringermi la mano, stringe direttamente me, in un abbraccio che mi schiaccia contro le sue tette enormi.
«P-piacere» mormoro a fatica.
«Bene, allora vogliamo andare a prepararci?» propone la bionda zigzagando fra il mio sguardo e quello del suo ragazzo.
«Ottima idea» affermo secco dirigendomi verso la porta.
«Marcus, amore, mi aspetteresti un momento?» si rivolge a lui un attimo prima che io esca dalla stanza.
Il ragazzo annuisce ed incomincia a chiacchierare con Margherita.
«Che diavolo ti salta in mente?» bisbiglio isterico mentre ci chiudiamo la porta alle spalle.
«Ascolta, Marcus non sa niente di ciò che è successo. Non sa di quando ho bevuto. Non sa che ...ho una sorellastra. Non sa niente» rimarca più volte la parola "niente" facendola suonare tagliente «Perciò, per questa sera, assecondami e ti prometto che quando ripartirà, riprenderemo il discorso. Ok?» Ha lo sguardo supplichevole. Sinceramente, non me la sento affatto di creare scompiglio nella relazione di qualcun'altro. Anche se questo "qualcuno" ha rovinato la mia.
Sospiro rassegnato «Va bene.» 
Le sue labbra tornano a curvarsi all'insù.  «Grazie, grazie» mi schiocca un bacio sulla guancia e mi invita ad andare a prepararmi.
                                                                                  *********************
Ho deciso di salvare la relazione di una ragazza che ha praticamente distrutto la mia, per ritrovarmi alla festa di una confraternita. Ottimo.
Marcus parcheggia affianco al vialetto dell'enorme villa dai muri rosso vinaccio.
Il prato e la casa sono gremiti di gente che già, alle nove e mezzo della sera, rasenta il coma etilico.
Ma perché diavolo l'ho assecondata?
Scendiamo ed incomincio, sin da subito, ad avvertire una sorta di disturbo al pensiero di dover passare una serata in mezzo a decine di sconosciuti, ubriachi e molesti.
Margherita, al contrario, sembra euforica nella sua camicetta fiorata e nella gonna a pieghe. Seguiamo le sagome di Marcus ed Allison lungo la lingua di ciottoli che porta all'ingresso.
«Non vedevo l'ora di partecipare ad una festa di confraternita» mormora la riccia che mi cammina affianco, avvolgendo le sue braccia attorno al mio. AL MIO. Una confidenza mai data.
Marcus ci spiega, durante il breve tragitto, di avere un cugino che fa parte di quella confraternita: un certo Jhoan Foley. Perciò, è abituale per lui partecipare a queste serate.
«Bene vi presento un po' di gente» dice e ci fa strada all'interno della casa.
Della musica strappa-orecchi -ad un volume, pressoché, sproporzionato- rimbomba da una stanza all'altra e non sto nemmeno a spiegare quanto ci metto per attraversare i primi tre metri di ingresso, annaspando fra una spinta e l'altra.
Marcus mi presenta persone, una dietro l'altra, atteggiandosi a padrone di casa e sfoggiando strepitosi sorrisi euforici.
Si da pacche sulle spalle con tutti e riceve baci sulle guance da tutte.
«E' proprio un animale da festa il tuo ragazzo» dico ad Allison, solo quando, veniamo abbandonati assieme a Margherita da lui.
«E' figlio di un noto imprenditore locale. Lo conoscono praticamente tutti» afferma.
Basta che restiamo fermi per un attimo in mezzo alla stanza per ritrovarci a stringere tre bicchieri pieni di qualche porcheria dal colore scuro.
Allison e Margherita non sembrano scioccate dall'apparizione improvvisa dei tre bicchieri e, senza porsi molte domande, incominciano a sorseggiarne il contenuto.
Non mi resta che provare a socializzare un po' con questa nuova ragazza dato che costringermi a parlare in tranquillità con Allison, incomincia a sembrarmi complicato.
La bionda, probabilmente stufa di fare la terza incomoda, si allontana disperdendosi nella mischia.
«Che studi? Non ti ho mai vista ai nostri corsi» guido Margherita verso un divano e ci accomodiamo fra altra gente senza starci a dare troppo peso.
«Marketing aziendale ed altre materie molto noiose» 
«Non dire così. Non sono materie noiose.» Rido e ride anche lei.
Fra una chiacchiera e l'altra, gente a caso si intromette fra noi e, ben presto, ci ritroviamo trasportati dalla folla al centro di quella che sembra una pista da ballo di fortuna. L'insistenza di questa ragazza nel farmi ballare con lei mi snerva ma l'assecondo per un po'.
I bicchieri aumentano. I balli anche.
Alla fine, però, la perdo di vista mentre sto parlando con una ragazza del mio stesso corso.
Margherita è sparita insieme ad un tipo afro-americano e, dal suo stato di sobrietà, deduco che fosse già abbastanza alticcia dopo cinque di questi bicchieri.
Resto, perciò, solo ad aggirarmi per la villa della confraternita circondato da scene che mettono i brividi: gente semi-nuda che mima spogliarelli davanti a tutti, chi limona appoggiato ad un tavolo, altri sui banconi della cucina.
«Hai visto Margherita?» dopo diversi bicchieri e tutta questa musica che mi shakera il cervello, sono rintronato e ci metto qualche secondo per capire che alle mie spalle c'è di nuovo Alli.
«Eh...mh, no.» Mi guardo intorno poiché il mio cervello ha recepito il comando: cerca Margherita. 
«Eccola li» la trovo. Il mio braccio fa fatica ad indicarla restando sospeso a mezz'aria. Mi pesa e tende a ricadermi lungo il fianco.
Margherita, in compenso, sta peggio di me. Mantiene un braccio allacciato alla nuca di un ragazzo e si vede che è notevolmente in la con il tasso alcolico.
Biascica qualcosa e ridono tutti.
Allison sfreccia come una furia verso lei ed io la seguo, incespicando appena, in qualche passo.
«Scusate!» si fa strada come un carabiniere fra la folla «Lei viene con me» e carica l'altro braccio della ragazza sulla sua spalla.
«Ma ci stavamo divertendo...» piagnucola uno dei tipi.
«Be', il divertimento è finito» lo fredda lei, poi, torna a rivolgersi a me e comanda «Vieni ad aiutarmi».
Annuisco e la raggiungo ma posso sentire la mia instabilità nelle gambe e credo se ne sia accorta anche lei, dato che, mi guarda con la fronte aggrottata.
La ignoro.
Poco dopo stiamo letteralmente trascinando Margherita fuori dalla villa.
«Dovevi, per forza, bere così tanto?» sbraita la bionda attirandosi solamente risate divertite e scialbe dall'amica.
Ci appoggiamo alla ringhiera bianca del portico che circonda l'intera costruzione.
«Voi restate qui. Appena trovo Marcus, andiamo via».
Non ho affatto voglia di restare solo con Margherita ma non posso, certamente, lasciarla qui in balia delle circostanze e di questa gente.
«Aiutami a ...sedermi» biascica cercando di salire di fondo-schiena sul bordo spesso della ringhiera.
«Ferma, così cadi all'indietro!». Deve sembrare una scena tragicomica quella a cui stanno assistendo alcuni ragazzi sparpagliati qua e la intorno a noi, mentre cerco di sollevarla di peso -e dal retro delle cosce- per accontentarla in quel suo capriccio stupido.
Mi appoggia le mani sulle spalle dopo essersi sbilanciata in avanti per la seconda volta.
«Cavolo, sono veramente ubriaca» mormora ridacchiando.
«Dici?» rispondo con non poca ironia nel timbro della voce. 
Non che io lo sia meno di lei. Ma, di certo, non a questi livelli. 
«Perché non sei rimasto a ballare con me» piagnucola con una vocina flebile ed impastata.
Non le rispondo. Si sbilancia ancora e d'istinto le afferro i fianchi per non farla cadere.
«Non ti piace ballare con me?» Non so se si è resa conto che ha chinato talmente tanto il viso che ora i suoi ricci mi ricoprono la testa.
«Non è vero» Ma quando arriva Allison?
Dopo altri dieci minuti incomincio a credere che Marcus sia andato via.
Dopo venti, che siano tornati entrambi al dormitorio.
Dopo trenta, ritratto e penso che siano semplicemente tornati a ballare lasciandomi in balia di questa tipa.
«Sai che ti dico Gabriel...Ho sonno» dice mentre appoggia la testa sulla mia spalla.
«Anche io.» brontolo fra i denti mentre il nervoso monta dentro me per l'atteggiamento di Allison.
«Te la senti di camminare?» chiedo alla riccia. Lei scosta la fronte dalla mia spalla e mi fissa con gli occhi languidi. Dubito che mi abbia capito.
«Allora?» 
Di punto in bianco, avvicina il viso al mio e mi bacia.
Mi irrigidisco di colpo. Primo, perché non so cosa diavolo le passi per la testa, secondo, perché mentre è li che agguanta le mie labbra alle sue, con la coda dell'occhio, scorgo le ultime due sagome che avrei voluto vedere oggi: quella di Drake e di Cècile. Insieme.
Stanno salendo i pochi gradini che li separano dall'ingresso con altri ragazzi.
Spariscono velocemente dalla mia visuale ed io mi ritrovo con il cuore in gola in un attimo.
Mi stacco velocemente da Margherita. «Che-» non faccio in tempo a finire di dirle qualcosa tipo: che cazzo fai?, che lei mi spinge per le spalle e vomita.
E' la seconda volta che vengo inondato da qualcuno: sta diventando un cliché poco simpatico.
«Cazzo» faccio un passo indietro. Questa volta le mie scarpe si sono salvate; non posso dire lo stesso per la maglia.
«Perdonami...mi dispiace» biascica lei imbarazzatissima prima di rimettere ancora.
Sospiro avvilito e tento di aiutarla a scendere senza sfracellarsi dalla cancellata. La porto nell'erba dove sembra svuotarsi completamente e poi, nuovamente in casa.
«Adesso cerchiamo una stanza dove farti sdraiare, ok?» annuisce e si limita ad appoggiarsi a me.
C'è una rampa di scale che porta ai piani superiori. E' invasa di gente e con non poca difficoltà, riesco a far salire Margherita al piano superiore.
Una sfilza di porte si alterna lungo il muro di un  corridoio giallo sole. Abbasso le maniglie, una ad una, imbattendomi in svariate coppie -formate anche da più di due persone- alle prese con un romanticissimo sesso in sbornia, finché, non trovo una stanza da letto vuota.
Aiuto la ragazza a sdraiarsi sul materasso e le dico che torno il prima possibile. Lei annuisce ed io torno in corridoio alla ricerca di un bagno per lavarmi la maglia.
Ripercorro a ritroso la lingua di parquet ed in un flash ricordo che la porta alla mia sinistra è l'unica che non ho aperto...quindi, il bagno.
Abbasso la maniglia e quando scosto l'anta...Cécile si tira su dal ripiano affianco al lavandino, di colpo, imprecando.
I miei occhi viaggiano dal suo viso a ciò che stringe per mano per poi rimbalzare sul ripiano scuro.
«Che cos'è quella roba?» le domando facendo fatica ad identificare l'uso di una cannuccia e quella poca polvere rimasta sulla superficie scura.
Le sue palpebre fanno uno scatto millesimale verso l'alto.
«Un cazzo» passa una mano sul mobiletto e spazza via quel po' di residuo polveroso. Raggiunge il Water e butta la cannuccia.
«Un cazzo? E' cocaina?» le ringhio addosso.
«E' solo per tirarmi su» prova a spingermi poggiando gli avambracci sul mio petto, per uscire dal bagno.
«Ti droghi?! Da quando?» grido. Il mio cuore intanto ha preso ad accelerare i battiti.
Si morde il labbro inferiore scaricandoci i nervi «Non mi drogo. E' solo per tirarmi su...Ti sposti cazzo!?».
Incomincio a capire i suoi sbalzi d'umore e a cosa siano dovuti.
Fa un passo indietro: lo sguardo più tirato, le palpebre più aperte;
«Mi dici che cazzo ti passa per la testa? Era questo ciò di cui mi parlava Allison, quando mi ha detto che non sei una persona da frequentare? Ti droghi!?» Afferro di colpo la maniglia e la porta sbatte per errore sul bordo della vasca da bagno. Cécile sussulta per un attimo, ma poi, il suo viso torna inespressivo.
«Forse, Alli aveva ragione dopotutto, no?» il tono monocorde con cui dice quella frase, alzando perfino le spalle, mi fa demordere dall'idea di continuare.
La mia mano scivola via dalla maniglia e mi faccio da parte per farla passare.
Non sollevo lo sguardo quando mi sorpassa e credo che nemmeno lei me l'abbia rivolto.
                                                                               *******************
Quindi è così? Cécile si droga. Ecco perché Alli non voleva che la frequentassi. Quando parlava di guai grossi si riferiva a questo?
Scommetto che Jace e Drake c'entrano qualcosa con la sua dipendenza e questo mi fa ribollire il sangue ancora di più.
Torno al piano inferiore e non ho idea di che ora si sia fatta. So soltanto che la gente sta lentamente sciamando via e, perciò, suppongo di essere rimasto chiuso in bagno almeno per un'ora buona.
«Scusami, che ore sono?» chiedo ad un tipo che mi passa accanto.
«Le due del mattino» e poi aggiunge «Ci spostiamo in una discoteca non lontano da qui. Facci un salto» E' sicuramente ubriaco dato che mi tratta come se fossi suo amico dandomi, perfino, una pacca sulla spalla.
«Passerò» dico forzando un sorriso e sorpassandolo.
C'è ancora la musica strappa-orecchie e qualcuno sparso qua e la, ma ora si cammina molto meglio.
«Allison. Cazzo! Dove eri finita?» La bionda mi viene incontro ed ha l'aria nervosa.
«Devi scusarmi, ho litigato con Marcus.» Si passa una mano fra i capelli «Margherita?».
«Al piano di sopra che dorme. E' nell'ultima stanza.» Indico la rampa di scale poco distante da noi.
Marcus ci raggiunge mentre finisco a spiegarle che l'amica ha vomitato e che ho passato un'ora a lavarmi la maglia.
«Allora saliamo a prenderla e poi andiamo via. Questa volta sul serio» Guarda Marcus assottigliando le palpebre.
Lui annuisce imbarazzato e la segue verso la rampa di scale.
E' stata una serata pessima. Sono nervoso e teso come una corda di violino. Voglio andare via e dimenticare quello che ho visto, ma prima...ho sete.
Voglio dell'acqua perché a forza di urlare la gola si è inaridita di colpo.
Raggiungo la cucina e sfilo attorno l'isola per raggiungere il lavandino.
Devo scavalcare con un braccio una tipa che ci sta vomitando dentro, per riempire uno dei bicchieri di carta che ho trovato impilato accanto a lei.
Per fortuna era ancora incartato sennò avrei demorso dal bere.
Apro il rubinetto e riempio il bicchiere voltando il viso dall'altra parte per non rischiare di rimettere sopra questa poverina.
Mi tappo il naso e bevo solo quando sono ben distante da lei.
Ci voleva proprio...
Appoggio il bicchiere al bancone affianco alla porta d'uscita e, mentre mi sto incamminando verso l'ingresso, qualcuno riaccende le luci e spegne la musica. Solo allora vedo la sagoma di Cécile seduta su un divano.
Ha il cappuccio della felpa tirato sulla testa e stringe una bottiglia di birra con due dita facendola oscillare nel vuoto, mentre, l'altro braccio è piegato sulle sue ginocchia.
Dove diavolo è finito Drake? Perché la lascia sempre sola?
Mi sto per dirigere verso lei, quando, Alli, Marcus e Margherita scendono dal piano di sopra.
«Andiamo?» chiede la bionda. Sollevo gli occhi alla rampa affianco a me.
«Vi raggiungo subito.» Alli non deve essersi accorta di Cécile, oppure, sta fingendo perché annuisce e mi supera.
E' l'ennesima sciocchezza che sto per fare ma Cécile, come chiunque altra, non merita di restare sola dopo aver assunto certe sostanze.
Raggiungo il divano facendomi largo con le scarpe fra i bicchieri rovesciati a terra e mi siedo affianco a lei.
Sposta per un momento lo sguardo, poi, sospira un sorrisetto che sa di derisione.
«Perché sei sola?» le chiedo poggiando i gomiti alle ginocchia.
«Che vuoi Gabriel?» fa un sorso dalla bottiglia.
«Sapere perchè diavolo fai certe cose e perché il tuo ragazzo ti lascia sola mentre le fai» mi do un certo tono convinto alla voce.
Sorride. E' un sorriso bello e malinconico che per un secondo mi fa illudere di poterla aiutare ancora. Ma so cosa sta per succedere.
 «Sei patetico. Non capisci che non ti voglio fra i piedi? Che non ti devo nessuna spiegazione?Solo perché ci siamo baciati qualche volta non significa che sei autorizzato a rompermi i coglioni. Ed invece, eccoti qua: al posto di riflettere su come riconquistare la tua ragazza -che è l'unica in grado di tollerare la tua presenza- sei seduto affianco a me cercando di fare...cosa? Aiutarmi?».
La sua voce stilla veleno,e me l'aspettavo, ma ignoro il dolore che ho nel petto e la guardo dritta negli occhi. «Non dici sul serio. Parli così per la roba che hai tirato».
Ripenso a quei pochi momenti passati con lei. Al mare, a casa sua. Non so se dichiararla una perfetta attrice o una pessima bugiarda.
«Invece dico sul serio. Tornatene a casa» intima in un ordine e torna ad avvicinarsi la bottiglia alle labbra. Gliela strappo di mano e la getto sul tappeto davanti a noi.
«Che cazzo fai?!»
Mi alzo di colpo con l'intenzione di raggiungere la porta d'ingresso.
Si alza dietro me e prova a farmi arrivare una spinta  costringendomi ad afferrarla per i polsi.
«Sai che ti dico, mi hai proprio stufato.» Le lascio un polso solo ed afferro la sua giacca dal divano «Adesso ti riporto a casa. Penso che hai già bevuto e fatto...altro, abbastanza.» La trascino verso l'uscita.
«Lasciami!» protesta ma si costringe a seguirmi «Mi fai male Gabriel.»
Non le do ascolto. Mi ha stufato, sul serio. Odio le persone che si auto-distruggono ed odio ancora di più quelle che provano a distruggere gli altri.
«Dove sono le chiavi dell'auto di Jace?» ringhio. La vedo parcheggiata dietro quella di Marcus. Allison ci guarda dal finestrino con l'aria preoccupata, ma non le do peso.
«Vattene Gabriel. Tornate in auto con quelli e lasciami in pace!» Grida di getto lei, vedendo la sorellastra.
«Dimmi dove sono le chiavi!» La sovrasto. Per un momento le si blocca il respiro e sembra intimorita.
Mi scruta con le palpebre spalancate e, alla fine, si decide e le tira fuori dalla tasca del giubbino che stringo nella mano.
Mi fissa mordendosi un labbro come se si stesse trattenendo dal piangere e me le sbatte sul petto dirigendosi verso l'auto.
Faccio cenno ad Alli che può ripartire ed anche se il suo viso è scavato di ansia fa accendere il motore a Marcus.
                                                                             ******************
Pochi isolati dopo sono sotto casa di Cécile. Di nuovo.
Credo siano le tre passate se non di più e la via è totalmente deserta.
«C'è qualcuno in casa?» le domando. 
Suppongo che la roba che ha preso stia entrando nella fase calante e l'alcool che ha in corpo non aiuta perché ha lo sguardo vacuo e oscilla sul posto leggermente.
Mima un no con la testa.
Bene, almeno non mi dovrò preoccupare del rumore che farà lei.
Saliamo le quattro rampe di scale e, finalmente, riesco a separare la porta del suo appartamento.
La luce è accesa nonostante sembra essere veramente vuoto.
Sul tavolo ci sono decine di bottiglie di birra, scarti di cena e qualche canna appoggiata qua e la.
Sorvolo sul fatto che potrebbe aver iniziato a bere e ad assumere droga, con i suoi amici, qui dentro, e l'accompagno in camera.
Sprofonda a sedere sul bordo del materasso mantenendosi la testa con le mani. Cerco l'interruttore dell'abat-jour e l' accendo.
«Ce la fai a toglierti le scarpe?» Sembra esplodergli la testa dal modo in cui strizza le palpebre. Reprimo l'ennesimo di innumerevoli sospiri di rassegnazione.
«Fermati, ci penso io» le dico quando la vedo sporgersi pericolosamente in avanti appoggiando di colpo un palmo al vetro dell'armadio.
Mi chino davanti a lei e le sciolgo i lacci delle Converse. 
E' la seconda volta, questa sera, che qualcuno mi afferra per le spalle ma adesso che è lei a farlo, mi si stringe lo stomaco.
Non voglio ancora farmi entrare in testa che certe ragazze non sono per me. Che persone come lei sono solo in grado di incasinarmi la testa.
Perché mi ostino ad aiutarla ancora?
Le libero i piedi e mi sollevo.
«In quell'anta ci sono alcune maglie di Jace» dice, sdraiandosi all'indietro e coprendosi il viso con l'avambraccio.
Apro l'armadio e sfilo una T-shirt ampia, gialla, con una stampa particolare sul davanti.
«Tien-». Quando mi giro resto come un perfetto ebete vedendola tirarsi sulla testa la felpa.
Ancora una volta mi rendo conto dell'effetto che è in grado di farmi, ed ora, con la pelle scoperta, e quel po' di reggiseno trasparente che indossa è ancora peggio.
Per la prima volta mi rendo conto che mi piacciono persino i tatuaggi che le invadono le costole: cinque righine scritte in corsivo,sul suo lato destro ed i petali di pesco sparsi attorno, che le arrivano fino al braccio.
Mi piace persino la mezza luna, che le sbuca dal bordo del jeans, a sinistra dell'ombelico.
Lancia la felpa sul pavimento riportandosi i capelli dietro la schiena ed allunga la mano verso me per farsi passare la T-shirt.
Sto evitando in tutti i modi di guardarle più su delle costole, per quanto, mi è impossibile.
Quella trasparenza non lascia esattamente un bel niente all'immaginazione. Ricordo, poi, di aver già visto quel reggiseno con il collarino annesso ma, non immaginavo che addosso ad un seno così perfetto, facesse quella figura.
Mi strappa la T-shirt dalle mani e se la infila lasciandomi la possibilità di tornare a respirare.
Si sbottona il jeans grigio topo e nel tentativo di sfilarli sospira rumorosamente.
«Ti dispiace darmi una mano?» 
Dice a ...me?
Per un momento sono tentato nel rispondere che non posso, ma risulterei terribilmente idiota.
Stringo le labbra ed infilo le dita nei bordi del tessuto tirandolo via.
Per la prima volta vedo anche l'enorme carpa a colori sulla coscia destra. Alcune onde disegnate sotto l'animale le arrivano a toccare la vita sotto l'orlo degli slip. Mi piace anche questo tatuaggio. Penso che non ce ne sia uno, sul suo corpo, che non ho iniziato a farmi piacere.
«Grazie» mormora.
Smetto di osservarle la pelle ed abbandono il pantalone accanto a lei.
«Cerca di dormire».
Si solleva di colpo.
«Dove vai?»  E'...allarmata?
«Al dormitorio.» Rispondo ovvio.
«Vuoi andartene?» la sua voce si fa più stridula e nervosa.
Non lo so. Cioè...lo so: restare è sbagliato come tutte le volte che l'ho fatto.
«Ti ho riportato a casa. Che altro dovrei fare?» torno a voltarmi verso lei.  Ammetto di essere confuso, specie, quando scuote la testa e si passa il palmo della mano sul viso.
«Restare» dice secca.
«Cosa mai dovrei restare a fare, Cécile?» chiedo nel tono più acido che conosco.
Si passa le dita di una mano fra i capelli fissando il riflesso delle sue gambe nude allo specchio.
«Mi dispiace, ok?» dice con un'intensità assurda «Mi hai sentita?»
«Si. Ti ho sentita» rispondo secco. Peccato che non basti un "mi dispiace" per cancellare ciò che le ho visto fare.
«E' faticoso avere a che fare con te. Sei testardo ed esasperante...» Si getta di schiena indietro sul materasso.
«Ah, io sarei faticoso? Tu invece sei un cagnolino addomesticabile, vero?»
«Ehy sei crudele» brontola facendo il broncio.
Alzo un sopracciglio e la fisso allacciando le braccia al petto.
«Sei stata veramente crudele con me questa sera.»
Parla così in tono basso che la sua voce sembra quasi un sussurro «Non lo faccio apposta»
«Si invece e ti diverte. Come la volta che ti ho dovuto inseguire. Ti diverte fare la stronza e trattare male le persone» Sento un nodo alla gola. Il cipiglio è sciamato per lasciar spazio al nervoso sul mio viso. Le braccia si sono adagiate contro i fianchi, tese. 
«Allora perché continui a tornare da me?»
«Probabilmente, non lo so neanche io. Ma sta tranquilla, ho intenzione di tornare con Sara. Questo, non accadrà più.» 
«Non tornare con lei...» sussurra con la voce ridotta ad un filo.
Stringo i pugni. 
Per quale motivo? Per farmi torturare da una come lei?
«Che ti importa, si può sapere?» alzo la voce «Hai detto che sono patetico. Che ti giro sempre intorno, che-»
«Mentivo, sono io quella patetica». Mi interrompe mozzandomi il fiato.
«Sono io quella che tira cocaina per star su di morale, non tu, e sono sempre io quella che non si sa tenere le persone accanto».
«Da quanto tempo lo fai?» Mi riprometto di ricominciare ad aggredirla, ma non ora.
«E' successo solo qualche volta. Due o tre al massimo» si solleva con il gomito e mi fissa. Ha l'aria abbattuta.
Probabilmente, sta mentendo anche adesso, ma una parte di me è spinta a crederle. 
 «Non è questo il mio problema Gabriel. Non si tratta di questo.»
Le si storpia la voce e fa fatica a combattersi per non piangere.
«Non devi farlo. La droga, l'alcool non servono ad aiutarti.» faccio una breve pausa « E poi, fanno di te una persona orribile».
«Lo pensi sul serio?» 
No, non lo penso sul serio. Be', oddio, forse un po'...ma non credo che Cécile sia una brutta persona, «Lo penso si.», solo che non riesco a non farle pesare come ci resto quando mi tratta di merda.
Sospira un sorriso mordendosi il labbro inferiore.
«So che non dici sul serio» ha la voce leggermente impastata.
«Devo andare» Non glielo ammetterò mai.
«Non farlo, aspetta» si alza in uno scatto che non le credevo poter fare e mi agguanta un braccio.
La fisso serio negli occhi e lei fa lo stesso.
«Se riesci a guardarmi negli occhi e a dirmi che devo sparire dalla tua vita, allora, lo farò».
Apro la bocca per dirle esattamente quelle parole. Per fare la cosa giusta e lasciarla perdere una buona volta: lei, i suoi sbalzi d'umore, le droghe ed i suoi dannati casini.
Si avvicina «Dimmelo.» Mi passa una mano dietro la nuca e immediatamente mi viene la pelle d'oca.
Fa un altro passo verso me e le nostre labbra si sfiorano.
«Dimmi che devo sparire.».
 Il mio respiro accelera. 
«Smettila Cécile» mi manca il fiato.
«Io ho bisogno di te» ammette bisbigliando «Ma sono troppo orgogliosa per ammetterlo a me stessa» Sento il cuore rimbombarmi nel petto. 
Ci sono tante cose da dire  ma, in questo momento, voglio solo smarrirmi in lei e dimenticare questa serata e ciò che le ho visto fare.
La bacio d'impulso. Non è un bacio carnale, solo uno sfiorarsi di labbra.
Le sue iridi chiare scintillano di qualcosa che rasenta la bramosia.
Mi posa la mano sulla nuca, in quello che mi sembra un disperato tentativo di avvicinarsi a me mentre torna ad accanirsi sulle mie labbra. Sento la rabbia, la frustrazione, trasformarsi in desiderio e affetto: la sua bocca è avida e i suoi baci sono bagnati.  Senza staccarsi da me inizia a camminare all'indietro, con una mano sulla mia nuca e l'altra che stringe un lembo della mia maglia quasi come se volesse strapparla, ma quando arriviamo al bordo del letto inciampo con i suoi piedi e cadiamo entrambi sul materasso. Ruota e si mette a cavalcioni su di me.

                                                                                       Cècile.

Non ho mai provato un tale piacere nel dominare qualcuno come lo provo con Gabriel.
A differenza di tutti i ragazzi che ho conosciuto lui è così...ingenuo, pulito; non è come Drake, ne, come tutti quelli che in passato mi sono portata a letto.
«Voglio vedere i tuoi occhi» gli sfilo il paio di occhiali che indossa e lo abbandono sul materasso.
Mi fa impazzire il fatto che resti totalmente spiazzato da me, ed infatti, quando finalmente le sue iridi verdi incrociano le mie posso riconoscere quel misto di timore e desiderio che mi fa incendiare.
Cerca di tirarmi a sé per baciarmi, ma io ho altri programmi.
Slaccio i due gancetti del reggiseno di pizzo, lo lascio scivolare dalla mia pelle e lo faccio cadere dietro di me giù dal materasso.
Le sue pupille si dilatano talmente tanto che l'iride è ridotta ad un sottile cerchietto scuro e fumoso.
Esita per un momento e poi mi accarezza il seno: ha le mani bollenti e lo lascerei anche fare, se non fosse che la mia parte più vorace ha già preso il sopravvento in me. Lo prendo per i polsi e gli tiro via le mani. Mi scruta confuso ma non do modo a me stessa di frenarmi difronte al suo sguardo leggermente intimorito. Scorro verso il basso. Afferro la cinta allacciata ai suoi pantaloni e separo il cuoio dalla fibbia. Trattiene un respiro, mentre li tiro giù oltre le ginocchia, insieme ai boxer.
Lo sento ansimare appena afferro la sua erezione e, sollevando lo sguardo, ho l'impressione che sia combattuto fra il mantenere gli occhi su di me ed il tenerli chiusi.
Voglio togliergli la possibilità di scegliere: voglio che mi guardi; voglio le sue pupille dilatate su di me. Scivolo verso il pavimento quanto basta per ritrovarmi fra le sue cosce.
«Apri gli occhi, Gabriel» lo fa a fatica mentre non smetto di muovere la mano intorno a lui.
Solo quando si solleva con la testa e le nostre iridi si incontrano ancora, mi faccio coraggio, e lo prendo in bocca.
Mentirei se dicessi di non aver fatto mai un pompino a qualcuno e, mentirei ora, se dicessi che per la prima volta sono agitata.
Il suono che esce dalla sua gola mi irradia peggio di prima. Gli stringo una coscia mentre continuo a dargli piacere: non mi ha mai divertito arrecarne tanto a qualcuno. Allo stesso tempo, però, dentro me si accavallano un misto di sensazioni strane. Cose che non ho mai provato prima.
Solo quando passo la lingua sulla punta e lo vedo sollevare i fianchi, capisco quanta estasi gli arreca ciò che sta succedendo.
«Merda...Cécile» boccheggia.
Mi sento sempre più vicina al limite. Possibile che vederlo godere mi faccia eccitare come se mi stesse toccando?
Gabriel, mi guarda come se veramente non sapesse cos'altro aspettarsi da me. Mi scappa una risatina.
Doveva essere solo un gioco. Un cazzo di capriccio.
Jace aveva, dannatamente, ragione. Mi aveva detto che dovevo stare lontana da ragazzi come Gabriel. Non sono il tipo di persona che può avvicinarsi ad uno come lui. 
Peccato, che Gabriel ha dovuto rovinare tutto con il suo dannato desiderio di aiutarmi e mi sia entrato dentro prima ancora della sua erezione.
Gli ho confessato che ho bisogno di lui. Credevo che fosse l'alcool o quello che ho sniffato ad avermi fatta parlare, invece, appena ho mormorato quelle parole, ho sentito il petto alleggerirsi. Ho veramente bisogno di lui? Anche se così fosse, deve uscire dalla mia vita. Lui non merita i miei guai: merita una ragazza che sappia amarlo.
Torno a salire su di lui. 
Mi scruta con le palpebre ben aperte. 
Sto per togliermi il paio di slip quando mi afferra, inaspettatamente, un polso.
Che diavolo fa? Ora, sono io quella che lo scruta spiazzata.
In un attimo piombo in un baratro di dubbi che mi arpiona lo stomaco.
Confusa sto per sollevarmi via da lui quando mi afferra per i fianchi e mi fa cenno di tornare a sedere.
Mi fa un effetto strano sedergli in grembo quand'è completamente nudo.  E mi ha resa impotente.
Obbedisco, ma l'impazienza mi ha serrato la gola. Mi mordo un labbro appoggiando i palmi al suo petto. Che vuole fare?
Sento le sue dita avvinghiarmi un fianco mentre l'altra mano avanza fra le mie cosce.
Il cuore mi pulsa in gola.
Scansa l'intimo e sussulto di piacere quando le sue dita si fanno strada in me.
Le muove piano come se temesse di farmi male. D'istinto incomincio ad ondeggiare il bacino leggermente per accelerare il ritmo.
Mi stupisco da sola di come il mio corpo reagisca a lui.
I suoi occhi mi scrutano con un'intensità tale da potermi polverizzare.
«Ti piace?» mi chiede con la voce leggermente arrochita.
Annuisco a fatica mentre le mie unghie si insinuano sempre di più nella sua pelle.
Il punto è che non mi piace solamente , mi fa impazzire.
Invasa dal piacere incurvo la schiena, per un momento, verso di lui ma mi obbliga a tornare dritta.
Appoggia una mano sulla mia clavicola costringendomi, implicitamente, a fissarlo. E' il miglior scacco matto che mi potesse rifilare. Per la prima volta vedo nei suoi occhi una luce che so appartenere a me: la voglia carnale di qualcuno mentre si è consapevoli di poter affogare.
Faccio del mio meglio per tenere gli occhi aperti mentre un orgasmo mai provato prima mi travolge.

                                                                                   Gabriel.

Non ho ma visto qualcosa di così bello. Vederla venire e sentire quel suono che le esce dalla gola mi fa avvertire dei brividi mai provati prima.
E' totalmente indifesa mentre le sue guance si arrossano e le sue gambe tremano attorno alla mia vita.
Vorrei non controllarmi, mi ha fatto salire una voglia impressionante ma so che se me la portassi a letto, questa sera, si complicherebbe tutto.
Be', non che non si sia già complicato così...
Si china verso me appoggiando la fronte sulla mia spalla: il respiro che le esce veloce, affannoso.
Le bacio la tempia mentre sento il suo respiro tornare, pian piano, sempre più regolare.
Si solleva leggermente e sembra che stia sorridendo. Si sporge verso me e mi bacia.
Le accarezzo le guance: la foga è sparita, lasciando spazio ad un bacio dolce ed umido.
«Gabriel io-». Cerca di parlare quando, improvvisamente, la porta si spalanca.
«Ehy Céci-DIO, scusate» Jace si tappa gli occhi sghignazzando.
Cécile salta via dal materasso afferrando al volo la sua T-shirt e stringendosela addosso; io, di riflesso, balzo in piedi risalendomi alla velocità della luce i pantaloni.
«Cazzo, J hai dimenticato come si bussa?» protesta lei.
«Volevo solo dirti che ci sono degli amici stasera. Cazzo, non credevo di trovarti qui...A scopare con il tuo amico» biascica leggermente.
«Esci, maledizione!».
Lui sommette un'altra risata gonfiando le guance e, sollevando le mani sulla testa, esce ad occhi chiusi dalla stanza.
Lei si passa una mano sul viso. «Scusami, non sapevo che sarebbe tornato stanotte» sembra veramente imbarazzata.
«Non preoccuparti» Anche se ovviamente è tutto più che imbarazzante, lascio perdere.
Dalla cucina incomincia a sentirsi il vociare concitato ed alticcio di qualcuno. Dopo poco, rimbomba della musica e capisco che hanno intenzione di proseguire la festa qui.
«Forse dovresti andare via» mormora lei rinfilandosi la T-shirt.
«Perché?» sono contrariato. Per quale motivo deve cacciarmi?
«Ci sono gli amici di Drake...» la voce le si riduce ad un soffio.
Non dovrei restarci male, eppure, succede.
«Be', non credi che dopo quello che è successo dovresti...Non so, dirgli che lo molli?» 
Le sue palpebre scattano e schizza gli occhi a me «Cosa dovrei fare?» scuote la testa socchiudendo le palpebre «Gabriel, non ho nessuna intenzione di lasciare il mio ragazzo per...per questo» indica il letto con un gesto della mano che sminuisce, vertiginosamente, qualsiasi forma di importanza potesse avere ciò che è successo li sopra.
Mi si stringe lo stomaco. «Parli di ciò che abbiamo fatto come se non contasse nulla» mormoro deluso.
Raccoglie istericamente i panni dal pavimento «Perché? Conta?».
Non posso credere che sia veramente così stronza.
Questa è cattiveria allo stato puro: non considerare cosa pensano gli altri lo è.
«Hai ragione non conta» sollevo lo sguardo a lei e mi infilo la prima T-shirt che trovo sul materasso ed il paio di occhiali.
Faccio il giro del letto urtandola appena e mi accovaccio per rinfilarmi le scarpe.
«Gabriel, è che-».
 «Non importa» la interrompo rialzandomi di scatto e dirigendomi verso la porta.
Non mi segue e la cosa mi delude parecchio.
Mi sbatto l'anta alle spalle e raggiungo la cucina.
Ci sono quattro tizi compreso Jace ed una è donna. Lei gli cinge le spalle seduta sulle sue ginocchia, perciò, deduco sia la ragazza o...la trombamica
Gli altri due sono presi a sniffare roba sul tavolo. Capisco, adesso, dove si rifornisce Cécile.
«Oh, ma guarda chi c'è!» ridacchia il biondo facendo un sorso di birra «Come mai abbandoni il campo?» ha un tono derisorio che mi irrita il sistema nervoso.
«Perché sono le cinque e quaranta del mattino.» dico monocorde.
Jace ride sotto i baffi «La notte è giovane, amico, siediti» batte due colpi sul tavolo facendomi chiaramente intendere che devo accomodarmi con loro.
Il biondo continua a fissarmi con insistenza, fino a che, l'amico non contribuisce a mettermi alle strette.
«Avanti, muovi il culo fratello!»
Arreso , mi accomodo affianco al tipo che mi ha rivolto parola per ultimo e Jace me lo presenta.
«Lui è Raul» devia lo sguardo su quello che mi sta seduto davanti «Lui è Victor» Il tipo mi fa un cenno con la testa e Jace presenta anche la ragazza «Ed, infine, lei è Cindy.» La testa bionda e riccia si scuote in un saluto euforico a cui ricambio con un sorriso forzato.
Raul mi stende un vetrino con una striscia di polvere bianca «Fai?».
«Oh, no sono apposto» dico sollevando le cinque dita.
Jace e lui si scambiano un'occhiata d'intesa dallo stampo divertito.
«Non tiri...quindi, fumi?» chiede e c'è una leggera punta d'ovvietà nella sua voce.
«No, in realtà, neanche quello.»
Sbotta a ridere «Amico, che tristezza...». Ad occhi e croce questo tipo deve avere una trentina d'anni: è leggermente in sovrappeso, pieno di tatuaggi come quasi tutti qui dentro e con l'aria burbera, quasi intimidatoria.
Ma c'è anche un lato, nel suo sguardo, che mi da l'impressione che sia un tipo amichevole.
«Victor, passami quella roba» dice allungando un braccio dietro lo schienale della mia sedia.
Victor, al contrario, probabilmente, ha meno di me: capelli rasati biondo cenere, occhi chiari, pochi tatuaggi sulle braccia ed un piercing che brilla sul suo sopracciglio destro.
Non sembra un tipo socievole, piuttosto, mi da l'impressione di uno che si trova qui per caso.
Stende della roba facendola scorrere sulla superficie del tavolo e quando raggiunge me noto che si tratta del necessario per fare una canna.
«Questa sera, amico, fumerai la roba più buona del paese» proferisce entusiasta Raul.
«E se non volessi?» -E poi, perché cazzo mi chiami amico?
Raul mi scruta con la coda dell'occhio e sommette una risata «E' solo erba».
Intanto Jace, fra una pomiciata e l'altra, si gode la scena. Non so perché diavolo ce l'abbia con me o, quanto meno, il motivo per cui gli piaccia mettermi in difficoltà.
Raul ci mette qualche minuto per creare una cartina perfetta, afferra l'accendino e fa una boccata, poi, la passa a me.
Guardo la punta che arde per qualche secondo. Tutta la mia rabbia e la frustrazione per la serata, si concentrano in un momento solo, dove -da sciocco- decido di fare una cazzata: fumo.
All'inizio sento un sapore strano ma piacevole e tossisco facendo ridere tutti. 
Li per li, mi chiedo che gusto ci trovino dato che sembra di fumare una sigaretta qualsiasi, ma poi, quando le boccate diventano due , tre , quattro; incomincio a sentirmi ...rilassato.
Ogni muscolo lo è. Ho la testa vuota più di quanto non l'avessi avuta con l'alcool e mi viene da ridere, ferocemente.
«Tira fuori una birra per il ragazzo, Cindy!» Fa Raul battendomi una pacca sulla spalla.
Credo che questo momento sia l'ultimo che ricorderò per tutta la restante serata.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


     Quel che temiamo più di ogni cosa,ha una proterva tendenza a succedere realmente.
                                      (Theodor Adorno)


 
                                                     Gabriel 9.
Spalanco gli occhi di colpo. Dove sono? Faccio uno scatto e per poco non ruzzolo giù dal divano. 
I miei occhi intercettano due sagome e schizzano al di là dell'ampio tavolo chiaro, rimbalzando sul viso -incazzatissimo- di Cécile. Jace, accanto al fornello, si volta verso me con il manico della caffettiera stretto in una mano ed una tazza nell'altra, rifilandomi un sorrisetto divertito. 
«Buongiorno» dice ridacchiando.
«C-Che...» bofonchio con la voce ancora impastata di sonno.
Mi passo il dorso della mano accanto alla bocca e si inumidisce per via di quella che sembra saliva.
Stavo sbavando nel sonno? Che pena...
«Che ore sono? Cosa è successo?» continuo a sentire lo sguardo della mora addosso a me e vorrei sotterrarmi.
«Le tre del pomeriggio.» Afferma lui.
«Le tre?!» Scatto a sedere, ma un violento capogiro mi costringe ad artigliare lo schienale per ritrovare stabilità. La testa mi scoppia e ho la gola così arida da avere l'impressione di aver ingoiato della carta abrasiva.
Jace sghignazza e mi raggiunge stendendomi la tazza che ha appena riempito.
Quando l'odore di caffè raggiunge le mie narici mi si alza lo stomaco.
«Ah, tranquillo è normale» fa scontato, notando la mia smorfia di disgusto «Bevine un po' vedrai che passa.» Faccio qualche sorso e sembra, effettivamente, andare meglio.
Finito il caffé, mi sollevo e raggiungo il tavolo sedendomi, a caso, su una delle diverse sedie. Cécile distoglie lo sguardo abbassandolo alla tazza che stringe fra le dita.
Fra noi si è appena innalzato un muro di silenzio e non ho alcuna intenzione di abbatterlo.
Jace ci osserva divertito, poi, con una scusa, ne approfitta per tagliare la corda.
Dopo una manciata di minuti, Cécile pensa bene di aggredirmi come al suo solito.
«Hai fatto abbastanza il coglione ieri sera?» 
Sollevo lo sguardo a lei. Non ho idea di che sguardo sia, ma sento che voglio sbottare a ridere.
Chi le da il permesso di venire a giudicare cosa ho fatto?
«Ma che vuoi?»
Solleva un sopracciglio stizzita e torna a grattare il bordo della tazza con le unghie. Credo si stia mordendo l'interno della guancia, ma non vorrei sbagliarmi.
«C'era bisogno di fumare e di bere fino alle sette di questa mattina?»
Che ho fatto fino alle sette?!
«Non sono cose che devono interessarti». Nonostante non riesca ancora a credere che ciò sia veramente accaduto, mi rivolgo a lei totalmente impassibile.
Alza gli occhi al cielo e sospira una risata colma di sarcasmo e fastidio. 
«Si, invece» proferisce venefica.
«Ma smettila» mi alzo abbandonando definitivamente la tazza a se stessa.
«Perché hai deciso di comportarti in quel modo?!» mi strilla dietro.
Mi volto di scatto «Pensi veramente di potermi rimproverare? Proprio tu?»
Si morde un labbro; l'espressione rabbiosa «Se lo hai fatto per dimostrarmi qualcosa, bè, mi dispiace per te ma mi hai fatto capire, solamente, che sei un idiota»
Vorrei strozzarla quando si rivolge con quel tono e con quella sufficienza a me.
«Allora non siamo affatto diversi».
Sto per dirigermi verso la porta e, finalmente, tagliare la corda, quando, la sua voce torna a raggiungermi.
«Io potevo esserlo, con te» dice. Sospiro derisorio. Poi, la mia rabbia esplode.
«Con me? Con me?!» Le urlo addosso e lei esita un passo all'indietro. «Perché non la fai finita? Smettila di pronunciare frasi più grandi di te e-» cerco di calmare la voce dato che non siamo soli «Lasciami in pace.»
L'unica sensazione che riesco a percepire dal suo viso è l'immensa delusione per quello che sta accadendo.
Spalanco la porta d'ingresso e me la sbatto dietro lanciandomi per le scale.
Voglio che sparisca per sempre dalla mia vita.
                                                                         
                                                              Cécile.
Sussulto un'altra volta mentre nella mia testa rimbomba il botto che ha fatto la porta blindata quando Gabriel se l'è sbattuta dietro.
Ho fatto un casino. Un maledetto casino.
«Piccola, forse è ora che inizi a darmi retta».
Mi volto alle spalle e vedo Jace appoggiato allo stipite della porta: le braccia incrociate, l'aria affettuosa e compassionevole allo stesso tempo.
Respiro profondamente «Perchè mi sento così?!» strillo disperata.
Si scansa dalla porta e mi raggiunge. «Perché è giusto che anche tu ti conceda di provare certe cose, ma...Ecco, lui è la persona sbagliata» mantiene le mani sulle mie spalle e le accarezza con i pollici.
Jace è uno dei pochi veri amici che ho. L'unico, forse, a cui tengo veramente.
«Doveva essere solo un capriccio» affermo con rabbia «Mi piaceva. Lo vedevo così imbranato, mi faceva ridere. Ho pensato di portarmelo a letto, ma...Cazzo, non doveva succedere questo!».
Sorride fraternamente e mi accarezza una guancia «Cècile, non voglio essere bacchettone. Non mi si addice. Ma tu sai quanti casini ti porti dietro e lui-» alza gli occhi alla porta «Non è in grado di stare al passo come, magari, fa Drake.»
Sospiro avvilita.
Nella mia vita sono riuscita a mettere in mezzo alla merda praticamente tutti quelli che mi girano attorno: Jace, Drake, Victor, Raul; tutte persone che non hanno nessuna colpa, se non, quella di conoscermi.
«Non è colpa tua». 
Alzo lo sguardo verso lui. «Si che lo è. Se non avessi disturbato la persona sbagliata a quest'ora, nessuno di voi si troverebbe in questa storia»
Jace scuote la testa «Noi siamo in questa situazione, perché vogliamo esserci.»
«Si, certo...come no» mi allontano da lui stendendomi verso il tavolo ed afferrando il suo pacchetto di sigarette.
Ne sfilo una e l'accendo.
«Immagino che se io non avessi derubato Bonuà, voi, sicuramente, sareste stati in una situazione simile, vero?»
Sghignazza e prende una sigaretta anche lui.
«Forse no.» L'accende e fa una boccata «Ma adesso ci siamo. Tu ci sei. Perciò, evitiamo di farne un dramma. Piuttosto-» si muove verso un cassetto e tira fuori un foglio «A quanto siamo arrivati?»
Scosto una sedia e ci scivolo sopra sedendomi sulla mia stessa gamba. 
«40.000 dollari» affermo.
Storce un labbro «Ne sono ancora parecchi, cazzo...» si strofina il viso con la stessa mano che mantiene la sigaretta.
«Altre quattro consegne».
Altre quattro consegne e, finalmente, quel figlio di puttana lascerà in pace me e loro.
«Sei sicura che vuoi farle da sola?» domanda titubante.
No. Non sono sicura. Ho visto gli indirizzi che mi ha lasciato lo stronzo via sms. Appartengono a persone poco raccomandabili e, sicuramente, finirò in qualche guaio peggiore.
«Cécile...» L'espressione che appare sul viso di Jace mi fa allarmare. «Hai visto quest'indirizzo? Hai visto a chi appartiene?» mi stende il foglio. Subito, alla prima occhiata, incomincio a tremare come una foglia.
«No, cazzo. Non lo avevo visto» dico strappandoglielo  dalle dita.
Non posso farlo. Non posso andare in quella casa.
Sollevo lo sguardo sgomento a Jace.
«Non posso, non posso andarci.» mormoro in preda al panico.
«Sta calma» solleva i palmi «Troveremo una soluzione. Ci manderemo Drake o Raul».
Scuoto la testa e sento i capillari nelle sclere tirarmi.
«No. No. Bonuà è stato chiaro riguardo le consegne per quella persona: o donne o facce pulite.» dico tutto d'un fiato.
Poi, ci fissiamo per un secondo e basta quello sguardo per intenderci.
                                                                   
                                                                      Gabriel.
Percorro la strada verso il campus con le mani in tasca stretto dentro una T-shirt non mia e con il quale sento il gelo di Ottobre addosso.
Nemmeno quest'aria glaciale ha il potere di far sbollire il tumultuo che ho nel petto.
Odio l'idea che a breve tornerò a piangermi addosso, ma è inutile negare che succederà: e lo farà perché ho capito che la mia, per Cécile, non è solo un'attrazione.
E' un angoscioso fastidio costante all'idea che possa succederle qualcosa. Un'apprensione esagerata per ciò che dice e che fa. E' molto di più di qualche bacio o di quello che è successo ieri.
Che stronzo sono. Mentre lo penso sospiro un sorriso amaro; credere che per lei significasse altro. Ma come si fa?
Purtroppo, la mia paura più grande si è avverata: ho dimenticato Sara per sostituirla con una ragazza che non sa nemmeno cosa voglia dire amare qualcuno.
Attraverso il viale alberato dopo il Waves ed incomincio a sentire la sicurezza di un posto conosciuto e che mi appartiene.
All'improvviso, però, un clacson mi fa sussultare strappandomi alle mie riflessioni interiori.
«Amico, che faccia...» sbatto le palpebre quando vedo la folta barba di Raul apparire oltre il finestrino.
«Raul...» lo saluto senza esplicitare emozione.
Lui accosta.
«Esci ora da casa di Jace?». 
Annuisco. «Tu? Come mai in giro?»
«Ho accompagnato Victor a casa sua. Questa notte stava abbastanza-» accenna un sorrisetto che comprendo un attimo dopo.
«Ah...Ahh! Capisco...».
«Vuoi un passaggio?» Il campus non è lontano ma, detto francamente, non ho voglia di camminare -e pensare a Cécile.
Acconsento e faccio il giro della macchina calandomi dentro.
C'è odore di fumo stagnante e qualche cartaccia qua e la.
Agganciati allo specchietto retrovisore, due grossi dadi pelosi penzolano ad ogni sussulto dell'auto.
«Com'è stato il risveglio questa mattina?» Mantiene lo sguardo fisso alla strada, ma lo vedo ugualmente sogghignare.
«Di merda» dico quasi fra me e me.
«Oh, con queste parolacce potresti spaventarmi sai?»
Aggrotto la fronte e la sua espressione si fa sempre più divertita.
«Chi saresti tu? Il nuovo fidanzato di Cècile?» mi fa dopo un po'.
«Eh, cosa? No.».
Gira lo sterzo imboccando una traversa e capisco che sta temporeggiando.
«Allora cosa ci facevi a casa di Jace?» mi lancia un'occhiata squadrandomi da capo a piedi e torna a guardare la strada «Non mi sembri il tipo che frequenterebbe gente come loro».
Infatti non lo sono e ancora mi sto chiedendo come diavolo ci sono finito.
«Te la fai, vero?» incalza, dandomi una gomitata e ammiccando con l'occhiolino quando si rende conto che non voglio rispondere.
«No-» -vorrei, ma ancora il mondo non si è capovolto e non voglio diventare la puttanella di una ragazza fuori di testa. Completamente, fuori di testa.
«No.» Ripeto con più calma. «Cécile è una mia compagna di corso. E' li che l'ho conosciuta».
La strada si allarga dividendo palazzi alti e con le pareti interamente di vetro.
«Cécile è una brava ragazza» voglio sbottargli a ridere sul becco, giuro. E' la prima persona che non ne parla male.
Raul sposta lo sguardo a me «Solo che ha una vita complicata.»
«Se l'è complicata da sola.» Sottraggo il mio viso ai suoi occhi e guardo la lingua d'asfalto oltre il finestrino, appoggiando il gomito sulla sporgenza dello sportello.
«No, credimi. Gliel'hanno complicata.».
«Chi?»
«I suoi genitori» mormora ovvio «Il loro divorzio, il fatto che suo padre abbia messo di mezzo gli assistenti sociali per farla trasferire qui dalla Russia, l'alcolismo cronico della madre. Un po' tutto.»
«A-Aspetta, aspetta...Hai detto alcolismo cronico? Assistenti sociali?».
Decide di accostare affianco ad un palazzo e spegne il motore.
«Non ti ha detto che sua madre è alcolizzata?».
Sono geloso. Lui, come sicuramente anche gli altri, sa queste cose ed io no.
Mimo di no con la testa.
«Allora, forse, non sono io che devo venirti a raccontare certe cose» Sta per riaccendere il motore, quando gli blocco il polso.
«Se non me ne parli tu, non lo farà nessun'altro».
Mi fissa in dubbio per un momento, ma poi, decide di assecondarmi.
«Premetto, non voglio farti questo discorso per chissà quale motivo, ma perché mi sembra di aver capito -e sentito- che ieri sera stavate litigando.»
Mi mordo l'interno della guancia «Si.» mormoro.
Sospira e si fa comodo nel sedile. «E' tipico di quella ragazza azzuffarsi con la gente, anche, con chi le vuole bene.» In che rapporti sono loro due? Raul sembra conoscerla meglio di come pensassi.
«Tornando a ciò che ti stavo dicendo: si, sua madre beve e suo padre ha chiesto l'affidamento esclusivo.»
Abbasso lo sguardo, mentre, una matassa infinita di domande incomincia a prendere forma nella mia testa.
«Perché lei e suo padre non vanno d'accordo?».
Schiude le labbra ma ci mette un po' per rispondere, come se stesse calibrando le parole.
«Oh, bè, suo padre e lei non hanno più rapporti dall'incidente.»
«Chi è questa ragazza?»
«Mia sorella»
«E' morta in un incidente stradale a 17 anni»

«Parli di quello che è capitato alla sorella?»
Annuisce sconsolato.
«C'era lui al volante quando hanno urtato il guardrail. Probabilmente, lui e sua moglie avevano bevuto come al solito» Termina la frase con una punta di disgusto.
Ho un sussulto nel petto: di colpo, la macchina di Raul sembra stringermisi addosso.
«Lei lo ha odiato da quel giorno.» 
«E poi, lui ha deciso di risposarsi...» aggiungo.
«Già. Cécile, sicuramente, non poteva continuare a vivere come un'orfanella con la madre che non si preoccupava nemmeno di farle da mangiare; ma, di certo, non sarebbe potuta vivere neanche con suo padre»
Sono un intreccio di sensazioni orribili.
«Perché mi stai raccontando tutte queste cose?» 
Si gratta il mento sotto la barba. «Non so, ma da quando le giri intorno i suoi problemi sembrano ucciderla meno» fa una breve pausa «Ha fatto delle cazzate atroci quando è arrivata qui ed ancora non ne è uscita fuori, ma tu, amico, sei una buona spalla per lei. Perciò, non la lasciare abbandonata a se stessa».
Probabilmente ho totalmente sbagliato il tiro sul conto di Raul. E' un bravo amico e vuole bene a Cécile.
«E' che...Non vorrei impelagarmi in qualcosa di troppo più grande di me» mormoro timido martoriando i miei stessi pollici. 
«Io credo che tu ci sia già dentro fino al collo.» Lo guardo confuso e mi rifiuto di chiedergli a cosa voglia alludere quell'affermazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


  Il destino, quando apre una porta, ne chiude un’altra.
  Dati certi passi avanti, 
non è possibile tornare indietro.                                                                                                                                                                                       (Victor Hugo)

                                                                                                                                                             
                                                             
                                                          
 
                                                      Cécile 10.
Se avessi potuto raccontare la verità a Gabriel, a quest'ora, saprebbe perché faccio uso di cocaina.
Non voglio dormire. Non voglio che quei ricordi riaffiorino inesorabili.
Quando mi metto a letto non penso solo ai miei problemi, non vedo ciò che di marcio ho seminato, bensì, vedo la neve scendere sul finestrino dell'auto di mio padre. Vedo, il cielo plumbeo della notte ingrigire le nuvole. Vedo l'asfalto che scorre sotto le sue gomme e sento le loro grida.
Così apro gli occhi, sono sudata ed ho il respiro affannato. Cerco di convincermi a non chiuderli nuovamente, nemmeno, se sto morendo di sonno. Perché se lo faccio, quel maledetto scorcio di vita passa alla scena successiva.
So che mi sentirò sollevare il sedile da sotto. So che sentirò di perdere l'equilibrio ed avvertirò lo sbalzo d'aria. So che tuonerà il fragore delle lamiere sull'asfalto.
Altre volte, però, è inevitabile che io lo affronti. Posso stare sveglia due giorni, ma al terzo devo chiudere questi maledetti occhi, per forza.
Così, quando so che deve succedere, mi dico che ce la posso fare, che riuscirò a dormire anche se dovrò rivivere quel momento.
Stringo il cuscino, serro le palpebre e cerco di respirare profondamente.
Ma quel boato è così vivido da alzarmi lo stomaco.
Non gridano più. Non si spingono più, persino l'odore di alcool è svanito.
C'è neve ovunque e sono capovolta a testa in giù. L'unica cosa che mi mantiene arpionata al sedile è la cinta di sicurezza.
Riesco a malapena a voltare lo sguardo verso Katarina. Non le vedo il viso, il sedile di mia madre è così incrinato che penso lo abbia incastrato fra cappotta e poggia testa.
C'è silenzio. Ne sono avvolta. Ovattato, angosciante, rotto solamente dal rumore delle lamiere che oscillano sull'asfalto. 
Che cosa è successo? 

Mi dico che devo aprire gli occhi, che non voglio ricordare cosa è successo dopo, cosa ho visto.
Ma a quel punto dell'incubo, non riesco a tornare indietro.
Vedo le mie mani muoversi sulla chiusura della cinta di sicurezza e pigiare il bottone. Vedo il mio corpo cadere sulla cappotta, fra i vetri, la neve ed il sangue; come se io fossi li, ad un passo dalla piccola Cécile di appena 14 anni e da sua sorella Katarina. 
Vorrei poter fare qualcosa, vorrei poterle aiutare, ma non posso muovermi, non posso fare niente.
Incomincio a tremare nel sonno, ho letteralmente degli spasmi perché so cosa sta per succedere.
Riesco a sbucare fuori dal finestrino accanto a me: i vetri sono esplosi e le lamiere lasciano veramente poco spazio per passare; ma sono esile, piccola e ce la faccio.
Trascino i piedi sull'asfalto.
Ho dolore ovunque, sono intorpidita ed il mio cappotto grigio è macchiato di rosso.

Perché ogni volta che rivivo questo momento, non temo mai per me? Non mi preoccupo della ferita che ho accanto alla tempia, ne del sangue che mi cola dal naso. Non riesco mai ad avere paura per me stessa, ma tremo all'idea che -ogni volta- possa succedere qualcosa di nuovo.
Dove sono i miei genitori? Perché Katarina non si muove?
«Katarina, svegliati!» 
Lo sportello dal suo lato è bloccato e nonostante io lo stia tirando con tutte le mie forze, lui non accenna ad aprirsi.
C'è puzza di benzina, a terra cola ovunque.
«Mamma...Papà...» Sto piangendo.
Sento le guance inumidirsi e le lacrime scivolare sulla pelle stranamente troppo calda. Ho gli occhi imperlati di lacrime che mi offuscano la vista, perciò, decido di passarmi il dorso della mano per scacciarle. Ma quando lo faccio vedo solo sangue.

Mamma...
Papà...
Mi accovaccio verso loro. Sembrano riposare beati. Per un momento, non voglio svegliarli, perché sono così belli quando non si gridano addosso.
Ma poi, mi dico che devo farlo, che Kat sta male.
Allungo una mano dentro al finestrino imploso e scuoto mia madre gridando il suo nome.
I vetri mi entrano nelle mani, lei ne è ricoperta.
«Mamma, svegliati!» - 
Cécile svegliati! Tu non vuoi ricordare.
«Mamma!»
Il cellulare le scivola dalla tasca, illuminandosi, quando sbatte contro la cappotta dell'auto.
Ho il cuore in gola e la testa pulsa: di colpo, prego che quella strada si animi di persone e che tutti mi dicano che è solo un brutto sogno.
Non succede.

Non succede mai...
Compongo il numero di emergenza. C'è un momento in cui non ricordo cosa ho fatto successivamente. La mia mente ricorda solo le ambulanze, gli uomini che ardono con la fiamma le lamiere per aprirle e tante, tante, voci tutte insieme.
«La ragazzina, controllate la ragazzina!» 
Corrono tutti. Polizia, infermieri...Tante persone diverse ed allarmate.
C'è una dottoressa che scende velocemente da un'ambulanza e mi raggiunge. Credo stia parlando ma non la sento.
I miei occhi sono rivolti all'auto. L'hanno sezionata tirando fuori i corpi dei miei genitori. Dicono che sono vivi, seppur abbiano perso conoscenza.
«Cosa è successo? Lo ricordi?» Ignoro del tutto la dottoressa. Voglio raggiungere mia sorella. Voglio sapere come sta.
La donna prova a bloccarmi ma le strattono via il lembo del cappotto e corro verso l'auto.
Che stanno facendo, perchè si sono radunati tutti attorno a mia sorella?
Perché ci stanno mettendo così tanto per dire che sta bene?
Uno di loro scuote la testa. Il viso pallido e segnato da quella che sarebbe stata la mia, atroce, verità.
La tirano via dalle lamiere, ma le loro schiene possenti mi impediscono di vederla subito. A differenza di mio padre e di mia madre, però, lei non viene caricata sulla barella.
Un uomo le sta appoggiando accanto un sacco.
«Katarina!» Sento afferrarmi per le spalle. «Katarina!»
«Allontanate la ragazzina!»
Scalcio con tutte le forze che ho. Ma loro mi bloccano... tutte le volte. 
Io la vedo. 
La mettono stesa in quel sacco nero, sola, abbandonata.
Io...La-vedo.
Ha il collo spezzato e lo sguardo vacuo, spento.

Spalanco gli occhi: ho il viso rigato di lacrime, tremo, ho la nausea. Il cuore mi martella nel petto sempre di più mentre la stanza non accenna a smettere di girarmi attorno.
Non respiro. 
Ogni volta che riapro gli occhi, ho l'impressione di essere morta e poi nata di nuovo.
E' sempre peggio.
Mi sollevo nel disperato tentativo di calmarmi.
Quando incontro il mio riflesso allo specchio, mi spavento da sola per come sono ridotta: le occhiaie, le sclere arrossate, la pelle sudata ed i capelli umidi attaccati ovunque attorno al viso.
Me li porto indietro allacciandoli in una coda alta. La nuca è totalmente bagnata, non mi sorprende.
Apro l'armadio e sfilo una felpa nera abbastanza pesante ed un paio di jeans strappati.
                                                                                      ********
«Non dormi nemmeno questa notte?» incrocio Jace in corridoio: è appena tornato.
«A quanto pare no» mormoro mentre mi dirigo verso il bagno con i panni stretti fra le braccia. Sa perfettamente perché non riesco a dormire e so che vorrebbe dirmi di darci un taglio con le uscite  in piena notte e con il girovagare a bere fino a che non crollo per inerzia.
«Esci anche stasera?» mi chiede, infatti, un momento prima che apra la porta e mi cali nella doccia.
«L'intenzione è quella.»
Sospira rumorosamente «Finirai per ammazzarti a forza di sniffare e di bere».
«Lasciami in pace» 
Chiudo la porta a chiave e ci appoggio la schiena per un momento.
So perfettamente che finirò per ammazzarmi, ma non mi interessa.
Ho troppo marasma nella testa per potermi negare di affogarlo in qualche bicchiere o nell'effetto della droga.
Mi svesto.
Resto sotto il getto dell'acqua per quella che mi sembra un'eternità, dove spero, che i miei muscoli si rilassino, che il cuore deceleri ed i nervi si sciolgano: non succede.
Non cambia mai nulla. Il mio corpo si è assuefatto a questa sorta di stress costante. I miei muscoli si sono abituati ad essere contratti ed il mio umore è fossilizzato in quello che sembra un disastroso ritratto di infelicità che si manifesta nel peggiore dei modi.
Vorrei che qualcuno mi salvasse da questi incubi.
Vorrei che qualcuno estirpasse da me il mio passato e forse, anche il mio presente.

                            
                                                                                   Gabriel.
Sono le due di notte quando il mio cellulare si illumina suonando rumorosamente.
Lo afferro sollevandolo dal materasso e con gli occhi ancora impastati di sonno, leggo un numero non registrato in rubrica.
«Pronto?»
«Amico, dormi?»
La voce è familiare, ma ci metto un po' per capire che si tratta di Raul.
«Raul? Sei tu? Chi ti ha dato il mio numero?» biascico, mentre mi passo una mano sul viso nel disperato tentativo di allontanare il sonno da me.
«Troppe domande amico. Preparati, Victor ed io stiamo per venirti a prendere»
Non saperei decifrare il tono della sua voce ma, sicuramente, questa improvvisata non ha a che fare con qualcosa di divertente.
Non so cosa pensare. E' tutto assurdamente strano.
«A prendermi?» mi sollevo a sedere sul materasso di colpo.
Mi riaggancia.
Che diavolo. Cosa possono volere lui e Victor da me?
                                                                                         *********
Venti minuti dopo, trovo un'auto accostata al cancello del campus. Fari e motore sono accesi.
Mi stringo il cappotto addosso ed attraverso quel po' di prato che mi divide da loro.
Victor ha un braccio fuori dal finestrino e stringe la causa di ogni mia amnesia: una canna.
Indossa una T-shirt grigio cemento ed un berretto scuro dalla visiera larga. Mi chiedo come faccia a starsene tranquillo,a maniche corte, con il freddo di questa notte.
Spalanco lo sportello sul lato passeggero e mi calo dentro.
«Buongiorno» mi schernisce Raul, guardandomi dallo specchietto retrovisore.
Aggrotto la fronte e mi limito a sbuffare dalle narici.
Il moro si rimette sulla strada ed alza di qualche tacca il volume della musica.
«Dove stiamo andando?» borbotto discretamente snervato.
Solleva nuovamente gli occhi sullo specchietto.
«Lo vedrai».
Non mi viene detto nulla, finché l'auto non viene accostata ad un marciapiede in una zona fuori mano della città.
L'insegna di un negozietto di alimentari illumina un marciapiede dai grandi lastroni di cemento. Ci sono alcuni alberi lungo di esso e svariati palazzi grigi e tristi da ambedue i lati della strada.
Non conosco questa zona.
«Cosa ci siamo fermati a fare qui?» mi sporgo verso i loro sedili.
Victor continua a fumare fissando la strada e Raul, invece, sembra alle prese con la chat aperta sul contatto di Jace.
Ad un tratto, entrambi sembrano mantenere il respiro fissando il portoncino di un palazzo.
Seguo il loro sguardo in linea d'aria con quel punto, finché, non vedo una sagoma incappucciata e stretta in un Napapijri nero. Riconosco chi c'è sotto quel cappotto, solo per la catena agganciata al paio di jeans neri.
«Aspetta ma quella è Cécile...». Appoggio le mani al finestrino, sporgendo il viso verso la sua sagoma, il più possibile.
Si avvicina ad un campanello e suona.
Un attimo dopo qualcuno le apre la porta ma non riesco a vedere chi.
Lei si guarda attorno e poi, sparisce dietro l'anta.
Sento un groppo in gola.
«Di chi è quell'appartamento?» mi trema leggermente la voce.
Raul volta lo sguardo a me. E' serio. Troppo.
«L'appartamento del figlio del suo...datore di lavoro.» Afferma esitando un momento con la voce.
Di chi? Di quel Bonuà che avevo sentito nominare? Ma che ci faceva una sua dipendente, alle due di notte, a casa del figlio?
«Mi avete portato qui per farmi sapere che ha una tresca con il figlio del suo titolare?».
La fronte di Raul si aggrotta vistosamente, poi, lui e Victor si scambiano un'occhiata incomprensibile.
«Puoi smettere di fare domande? Guarda e sta zitto.» Sbotta all'improvviso.
Arreso, torno a schiacciare la schiena contro il sedile senza spostare lo sguardo dall'appartamento.
Sembra una villetta privata, l'unica, al centro di un mucchio di palazzi anonimi.
Qualche piccolo cespuglio di rose accanto alle pareti, la cassetta delle lettere come si usava una volta, le tende pompose ad ogni finestra; troppo distinta per essere una casa "losca".
Che diavolo ci fa Cècile li dentro?
Passano una manciata di minuti e vedo una delle quattro finestre illuminarsi: quella in basso più vicina alla strada.
Scorgo la sagoma di Cécile e poi quella di un ragazzo con addosso un maglioncino chiaro. La tenda semi-trasparente copre i loro volti, fra l'altro, il ragazzo sembra più distante da lei ed io non sono "occhio di falco".
Vorrei scendere ed affacciarmi per curiosità, perché nella mia testa stanno girovagando mille ipotesi. Fra tutte, la peggiore: che abbia una storia parallela anche con lui.
Non so per quale motivo, ne se sia giusto o sbagliato, ma l'idea che si veda con un altro -oltre al suo ragazzo e me- mi fa salire il sangue al cervello.
«Voglio avvicinarmi» dico con il tono della voce serio e deciso.
I due si voltano a guardarmi sbigottiti.
«Che c'è? Sono curioso!» Alzo le spalle.
Si guardano per un momento come se non sapessero che pesci prendere.
Apro lo sportello.
«Gabriel. Non farti vedere» dice il moro.
Annuisco e chiudo lentamente lo sportello dietro me.
Quei pochi metri che mi separano da quella finestra, li percorro con le gambe tremolanti.
Il timore per ciò che mi aspetta, mi stringe lo stomaco quasi da togliermi l'aria.
E' incredibile come riesca a preoccuparmi per lei...
Raggiunta la parete, mi accuccio sotto la sporgenza del davanzale. Mi sento un vero cretino.
Aspetto qualche secondo prima di aggrappare le falangi al marmo e sporgere la testa e quando i miei occhi piombano all'interno di quello che sembra un salottino, stento a non perdere l'equilibrio.
Non è la prima volta che vedo Cècile tirare cocaina, ma per quanto mi possa disturbare, tutta la mia attenzione è piombata sul ragazzo difronte al tavolino dove lei è sporta.
Marcus è dritto davanti a lei e sembra compiaciuto nel vederle assumere quella roba.
Mi si alza lo stomaco.
Marcus è il ragazzo di Allison. Allison la sorellastra di Cécile. Allison non voleva che la frequentassi. 
Che sappia quello che succede fra loro?
Incespico un passo all'indietro. Non solo, Cécile mi aveva tenuto nascosto qualcosa, ma anche Allison sembra avermi mentito.
La strada incomincia a girarmi intorno. Mi manca l'aria.
Non riesco a muovermi verso l'auto, ma non riesco nemmeno a pensare di poter restare fermo qui.
Sento la rabbia ed un mucchio di altre sensazioni montarmi dentro.
Cécile si sta rovinando con le sue mani. Marcus ed Allison lo sanno e stanno facendo in modo di aggravarle quella situazione.
Preso da non so quale tipo di raptus, marcio verso la porta e batto ripetuti colpi sul legno chiaro ed intarsiato del portone.
«Ma che cazzo fa?»
«Gabriel!» 
Sento gli sportelli dell'auto di Raul aprirsi e le loro voci invadere la strada. E' troppo tardi. Ho deciso di seguire questo impulso. 
L'anta si spalanca.
Mi ritrovo faccia a faccia con Marcus. Alle sue spalle, dopo meno di un battito di ciglia, vedo apparire Cécile.
«Gabriel? Che ci fa-.» Marcus appena mi vede, sembra non credere ai suoi occhi. Ha proprio l'espressione di uno che è stato colto sul fatto.
Mi fa vedere rosso.
Sollevo un braccio prima che possa aggiungere altro e lo colpisco dritto in faccia. Lui incespica all'indietro, coprendosi la mascella con una mano.
«Gabriel!» Grida lei.
Sono una bomba ad orologeria. Sento l'adrenalina mischiarsi alla rabbia e sento, che devo colpirlo. A tutti i costi. Mi lancio su di lui come un proiettile e mentre sferro i colpi successivi, mi sembra di non vedere neanche più il viso ambrato  del ragazzo.
Cécile è paralizzata. Si stringe i capelli fra le dita e la testa fra i palmi delle mani.
«Fermati!»
Mi sento afferrare per le spalle.
«Dannazione! Fermati!»
«Lasciami andare!» Le braccia di Raul sono troppo forti e possenti per potermi liberare.
Per un momento, riesco a vedere il terrore nel viso di Cécile. Terrore, nel vedere Marcus a terra.
Guarda il sangue uscirgli dal labbro, poi, le mie nocche spaccate, ed infine me.
Ho l'impressione che non riesca a credere ai suoi occhi,
«Che...diavolo-»
«Spiegami cosa ti ho visto fare! Spiegami cosa cazzo nascondete tu e tua sorella!».
Entrambe le mani le tremano mentre le abbassa lungo i fianchi.
Per un istante, nei suoi occhi, vedo brillare una sottospecie di riconoscenza, ma dura poco perché il suo viso torni ad essere una maschera di rabbia.
«Hai combinato un cazzo di casino! Porca puttana!» Ringhia metallica.
Strattono le braccia da Raul che -finalmente- mi lascia andare.
«Cosa-è successo?» Quando Marcus sembra riprendere conoscenza, sia lei che Raul piombano in una sorta di panico.
«Merda...Merda!» Cécile mi spinge verso l'uscita, mentre l'altro corre a ritroso verso l'auto ordinando a Victor di mettere in moto.
«Che cazzo sta succedendo?!» Mi ritrovo a correre per strada travolto da quel panico inspiegabile, stampato sui loro volti.
«Dovevi farti i maledetti cazzi tuoi! Ecco, cosa è successo.» Dice lei fiondandosi sullo sportello e spalancandolo.
Mi volto a guardare verso il portoncino. Vedo Marcus mantenersi la testa ed estrarre il cellulare dalla tasca.
«Vuoi muoverti?!» Cécile mi tira dentro e riesco a malapena a chiudermi lo sportello dietro, che stiamo già sfrecciando per strada.
                                                                                   ********
Che Cècile facesse uso di droghe non era affar nuovo. Ma Marcus, lui si, che è una novità in questa storia.
E se Allison avesse saputo da sempre cosa c'è fra la sorellastra ed il suo ragazzo? Se lo stesse persino proteggendo?
«Così lo hai picchiato...» Jace mi preme una busta piena di cubetti di ghiaccio sulla guancia.
Nella colluttazione non mi sono neanche reso conto di aver preso un bel gancio destro.
Siamo tutti nell'appartamento di Cécile.
Raul e Victor hanno l'espressione di due che si sentono terribilmente in colpa. Se ne stanno seduti attorno al tavolo fissando la superficie quasi con lo sguardo perso. Lei, invece, non fa altro che fare su e giù per la stanza; l'unico tranquillo sembra Jace. Fumando una sigaretta, seduto accanto a me sul divano, non sembra mostrare il minimo sbigottimento o timore per quanto accaduto.
«Già...» mormoro.
Io...bè, sono ancora scosso per quello che ho visto ed incredulo per ciò che ho fatto.
In vita mia non ho mai alzato le mani a nessuno.
Jace fa un tiro e poi si allontana la sigaretta dalla bocca, sbuffando il fumo in un sospiro.
«Ok, possiamo rimediare a quello che è successo...»
«Possiamo? Sul serio Jace?!» Grida lei sbattendo un pugno sulla porta blindata, facendoci sussultare tutti.
«Sai che cazzo vuol dire quello che è successo?»
Il biondo abbassa lo sguardo ed una piccola fossetta tirata gli stira le labbra.
«Lui, forse, lo sa. Ma io no, Cécile.» La fisso dritta in faccia allontanando la mano del biondo dalla mia guancia. «Non credi che sia ora di farmi capire cosa cazzo sta succedendo?»
Schiude le labbra ed i suoi occhi chiari si puntano su di me in quell'odioso sguardo di sufficienza e stizza contemporanea.
Jace si solleva appoggiandosi alle sue stesse ginocchia.
«E' meglio che restino soli, ragazzi» Dice agli altri due, che non ci mettono molto a sollevarsi in piedi e a seguirlo in camera sua.
«Non devo spiegarti niente» Cécile si muove verso il frigorifero, lo apre e tira fuori una bottiglia d'acqua, svitandola e bevendo svariate sorsate.
«No? Ho appena preso a pugni il ragazzo della tua sorellastra che ti aveva offerto della cocaina!» Grido.
Sono furente. Per lei, per quello che fa....per ciò che nasconde.
Si stacca dal bordo della bottiglia e l'abbandona sul bancone affianco.
«Io l'avevo detto...che era folle...» mormora quasi fra i denti.
«Di che parli?»
                                                                                 
                                                                                               Cécile
Quando mi è venuta l'idea di metterlo in mezzo, non avevo minimamente calcolato che sarebbe potuta succedere una cosa simile. Probabilmente, ho sempre visto Gabriel troppo fragile e spaurito per destreggiarsi con cose del genere.
Non mi sarei mai aspettata che potesse sferrare un pugno in faccia a qualcuno e questo -per quanto mi ecciti da morire- mi fa temere ancora di più per lui.
Reagisce d'impulso. Non ragiona, non riesce ad arrivare da solo a certe conclusioni. Sono certa che riuscirebbe ad immischiarsi con le persone sbagliate ancor peggio di come ho fatto io.
Ma come cazzo è venuto in mente a Raul di portarlo sotto casa di Marcus? E' stato sicuramente Jace.
«A niente Gabriel. Non so perchè diavolo ti abbiano portato li»
Cerco di muovermi verso le sedie ed accasciarmi a sedere -l'effetto della cocaina sta svanendo e mi sento come se un tram mi stesse passando addosso- ma Gabriel mi si piazza davanti.
Incomincio ad avere i brividi e la testa mi scoppia.
Non che il cuore stia facendo di meglio...
«Ma c'ero e quello è il ragazzo di tua sorella! Dannazione!»
Il fatto che continui ad urlarmi addosso non aiuta il mio sistema nervoso.
«Smettila di urlare» mormoro seria. Alza ancora di più la voce.
«Voglio sapere che cazzo c'entra lui con te!»
«Smettila di urlare» Ripeto strizzando appena una palpebra.
«Tua sorella lo sa? Sa che il suo ragazzo è il tuo pusher?!»
Non vuole proprio sentirci. E' così snervante.
«Cristo! Smettila di urlare!» Afferro il bordo di una sedia e la sbatto contro il tavolo, riuscendo a zittirlo «Che cazzo vuoi che ti dica!? Si è il ragazzo di mia sorella e mi stava dando della roba. Lei non lo sa.»
Trattiene un respiro e per un momento sembra essersi liberato di un peso.
Perché mi sento uno schifo quando mi guarda in quel modo?
«Tu non sai un mucchio di cose...E se non fosse stato per quei due coglioni, a quest'ora, non mi sentirei costretta a parlartene!»
Già, perché mi sento costretta a dirgli la verità?
«Voglio sapere come stanno le cose» stenta un momento «Tu non lo capisci proprio? Non ti rendi conto che io mi preoccupo veramente per te?!»
Forse, per lo sguardo severo e preoccupato allo stesso tempo? O perché mi ha evitato un'altra notte passata a girovagare sballata per non dormire.
O semplicemente, perchè è la prima persona che mi urla in faccia, che si preoccupa per me?
«Ok,ok...» premo le mani sul suo petto e socchiudo le palpebre per trovare...la calma? Il coraggio?
Mi serve veramente del coraggio per rivelargli questa verità?
Lo allontano da me e chiudo la porta del corridoio. Non so se Jace avesse già calcolato anche questo momento, ma io, no di certo.
Sfilo il pacchetto di sigarette dalla tasca centrale del cappotto e ne faccio uscire due.
Gabriel guarda me, poi  la mia mano.
Stranamente non fa storie. L'afferra ed aspetta che accenda la mia per poi porgli l'accendino.
«Non voglio parlare della mia vita con te» lo fisso negli occhi tentando di ricacciare lo sguardo più distaccato che conosco, mentre spero che lui si faccia largo in quella matassa di situazioni disastrose che mi porto dietro. Anche se dico di non volerlo fra i miei guai.
Anche, se mi ostino a scacciarlo ogni volta. Ho bisogno di lui.

«Ma io si. Io voglio sapere perché una ragazza come te, preferisce rovinarsi in quel modo anziché-»
«Anziché...cosa? Vedi Gabriel, non tutte le ragazze carine che incontri possono essere la tua Sara. Io non posso esserlo» sollevo le braccia girandomele intorno ed indicando la stanza «Questa è la mia vita. Quella è la mia vita»
Sembra che non trovi le parole dopo la mia affermazione: questa si che è una novità, mi ha urlato addosso -sempre- tutto quello che gli è passato per la testa, mentre litigavamo. Ed ora?
«La tua vita potrebbe essere migliore di questa» mormora dopo un po'.
Magari fosse così...
Allontano lo sguardo da lui. Istintivamente, mi mordo l'interno della guancia perché sento i capillari tirarmi nelle sclere come se dovessi piangere.
«In che rapporti sei con Marcus?»
Perdo un battito.
«Mi da solo della roba» Faccio un tiro di sigaretta e mi ci vorrei strozzare. Ma non succede.
Gabriel solleva un sopracciglio fissandomi insistentemente.
«La verità...» 
Sospiro e arresa, mi decido a parlare.
 «Quando sono arrivata qui, non volevo stare con mio padre dopo l'incidente» forse questo mi costerà caro. Raccontargli la verità, costerà caro a tutti e due «Ho provato a vivere a casa sua con la sua nuova, famiglia, perfetta. Ma non era proprio per me. Così ho incominciato a meditare su come potermene andare-» E se tutto questo lo portasse a compiere qualche cazzata ancora più grossa? «E poi ho incontrato Marcus. E' apparso come un fulmine a ciel sereno: ricco, con un patrimonio immenso da ereditare; certo, all'inizio non pensavo di derubarlo. Volevo farmi mantenere per un periodo, almeno, finché non fossi riuscita a trovare un altro modo per andarmene da qui. Così mi ci misi assieme. In cinque mesi riuscii a convincerlo del mio amore e mi trasferii da lui. Ma io avevo bisogno di quel modo, di qualsiasi, altro modo.-» E se Gabriel cambiasse idea su di me?Non che ora non sia già pessimama se poi, dovesse diventare peggio? «L'altro modo lo pensai una mattina, in circa quindici minuti, vedendo la cassaforte nello studio del padre aperta-» Mi scruta come se non riuscisse a credere alle sue orecchie.
«200.000 dollari. Ecco la cifra che ho sottratto a Marcus e a suo padre.» 
Scuote la testa incredulo. «Aspetta, non capisco, allora perché sei in buoni rapporti con lui?»
Sospiro un sorriso colmo di sarcasmo «Buoni rapporti? Io non sono in buoni rapporti con lui. Ne con suo padre.» faccio una breve pausa solo per vedere come e se, cambia la sua espressione «Pensavo di averla fatta franca. Volevo prendere il primo aereo per tornare in Russia o andare in Inghilterra o in qualsiasi altro posto lontano da questo, quando, un'auto scura non mi tagliò la strada fuori dall'aeroporto . Scesero cinque uomini ed uno di loro era il padre di Marcus»
«Bonuà? Quello che dovrebbe essere...»
«Il proprietario di quella bettola dove mi hai vista cantare.»
Deglutisce vistosamente ed ha l'espressione di uno che si aspetta di sentire il peggio. In parte, non sbaglia.
«Ho capito di essermi immischiata con della gente realmente pericolosa, solo quando mi sono ritrovata una pistola puntata dietro la schiena da uno dei suoi uomini.»
I suoi occhi si fanno piccoli e stretti, come se stesse provando dolore.
«Non rivolle un soldo di quelli che gli avevo sottratto. Ma disse, che avrei dovuto ripagarlo per il torto subito.»
Non vorrei continuare a parlare. 
«In che modo?» gli trema la voce.
«Ha importanza?» 
Serra per un momento le labbra.
«Perché non dovrebbe averla?» 
Non mi sono mai sentita così sporca come ora davanti a qualcuno.
Gabriel è una bella persona. La migliore che abbia mai potuto incontrare...
Dopo aver inspirato uno degli ultimi tiri di sigaretta, mi accascio a sedere sul divano.
Sento il peso del suo sguardo su di me.
«Lavorando per lui.» Alzo le spalle.
«Che genere di lavoro?». 
Mi mordo un labbro socchiudendo le palpebre.
«Perché devi fare sempre tutte queste domande? Non ti basta sapere che lavoro per uno strozzino?»
Gabriel si passa una mano fra i capelli, accomodandosi accanto a me.
«Immagino cosa potrebbe averti chiesto di fare» 
«Dici? Io ne dubito» Affermo con una punta di sarcasmo nella voce, spostando lo sguardo alla brace ardente che si illumina fra le mie dita «Ad ogni modo, vorrei che tu ne restassi fuori.»
«Io voglio aiutarti» 
Sospiro un sorriso amaro «No Gabriel. Non devi farlo»
Afferro il posacenere 
dal bracciolo del divano accanto a me e lo sistemo fra di noi spegnendoci la sigaretta.
«Sono stata una stupida. Ho reso la mia vita un inferno, più di quando non lo fosse già. Non voglio che anche la tua ci diventi».
Spegne la sigaretta restando per un momento in silenzio.
«Tu non vuoi che la gente decida per te. Allora, perché tu devi decidere per gli altri?» 
Sbatto le palpebre incredula.
«E' una mia scelta »   
Perché lo stai dicendo? Non è una tua scelta. E' stato Jace ad organizzare tutto!
Rivolge lo sguardo a me e sorride tiepido. «Sei solo capitata nelle mani sbagliate. Ma puoi uscirne ed io voglio aiutarti...in qualche modo»
Ad un tratto, ho cambiato idea: non solo, non voglio più metterlo nei guai, ma non mi interessa, nemmeno più, quello che potrebbe capitare a me. Sono miei problemi, non suoi.
So che il modo che Jace aveva pensato per incastrarlo era infallibile, ma non pensavo che lo fosse fino a questo punto e non pensavo che Gabriel tenesse così tanto a me.
«Gabriel...è che...».
Il cellulare mi vibra nella tasca.
Lo sfilo e trovo un messaggio di Jace.

Non rovinare tutto. Ricordati che questa storia potrebbe finire presto.

Perché l'unico modo per uscirne, devi essere proprio tu?



Nota: probabilmente, avendo pubblicato il capitolo alle 3 del mattino --stanca morta dopo il turno di lavoro- troverete migliaia di errori. Chiedo perdono in anticipo 🙏

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


  “La vita è fatta di incontri e di separazioni. Le persone entrano nella tua vita tutti i giorni, tu gli dici buongiorno e buonasera, alcune restano qualche minuto, alcune per qualche mese, qualcuna per un anno, altre per sempre. A prescindere dalla persona, ci si incontra e ci si separa.”                 
                                                                                                                                                 (C.Ahern)

                                               
                               
                         Gabriel 11.
Il tragitto verso casa è familiare e semplice, e non mi da molti pensieri. Mi costringo a restare impassibile e scopro che è più difficile del previsto.
Darei qualsiasi cosa per riavvolgere il nastro dei miei ultimi mesi e tornare al primo giorno di Università.
Avrei seguito il consiglio di mia madre e cambiato stanza.
Si è preoccupata per Drake, temendo che potesse avere una cattiva influenza su di me; se solo avesse capito prima -anzi, se solo avessi capito prima- che il problema sarebbe stato quella ragazza maleducata dagli occhi miele!
Se avessi saputo che quello sguardo avrebbe finito per stravolgere la mia vita e farla a pezzetti.
  Non sarei arrivato a questo.  Chiedermi di sparire...
Ruby guida in silenzio, fissando la strada e mantenendo entrambe le mani strette attorno al volante.
Non mi ha fatto neanche mezza battuta da quando è arrivata a prendermi.
Probabilmente, anche lei è rimasta sbigottita dalla mia chiamata. Io ero quello che non sarebbe tornato a casa tanto presto...no?
Appoggio il gomito sulla sporgenza dello sportello e la testa al finestrino: riesco solo a fissare l'asfalto, ostinato a non crollare.
«Devi andartene. Lascia l'Università e dimentica questa storia.» 
Molto probabilmente, mia madre ha sempre avuto ragione a proteggermi da ciò che è il mondo e dovevo darle retta: a quest'ora non mi sarei ritrovato con la stanza del dormitorio a soqquadro ed il materasso stracciato a colpi di lama. Non mi sarei ritrovato, a dover scappare da tizi che neanche conosco e che mi vogliono impartire una lezione.
Se Jace non mi avesse proposto di restare da loro due notti fa, se non mi fossi convinto a farlo, ci sarei stato io li dentro.
«Mi dispiace Gabriel...è solo colpa mia».
Non sono solo le sue parole a non voler abbandonare la mia testa, ma anche l'espressione che aveva quella mattina quando, accompagnandomi al dormitorio, si è trovata a dover rispondere ad una chiamata di Drake che spiegava come certe persone mi stavano cercando, ed ancora, al suo volto, quando siamo entrati in camera mia ed abbiamo trovato tutto per aria. Il modo in cui si è passata le mani fra i capelli ed i suoi occhi si sono arrossati: Cécile non piange mai. Anche Jace me lo ha detto, lei non è in grado di farlo, eppure, lui stesso mi ha affermato che da quando conosce me, i suoi occhi tendono sempre più ad arrossarsi. Non le scendono le lacrime, non singhiozza; ma le trema la voce mentre si combatte -mentre si combatte e si incolpa di tutto. 
Come mi sposto sul sedile, dalla borsa, esce Norvegian Wood.
Lo afferro prima che cada sotto la seduta.
Non lo vedevo da un po'. L'avevo buttato fra le mie cose e dimenticato li. 
E' buffo pensare che un libro qualsiasi, ora, rappresenti l'unico collegamento che ho con lei.
«Pensi di restare tanto?» mi chiede all'improvviso Ruby, spazzando via, per un istante, i miei pensieri.
«Fino alla fine delle vacanze di Natale».
Solleva le sopracciglia sorpresa, facendo una smorfia strana.
«Tua madre ne sarà contenta» aggiunge poco dopo.
Manca poco perché casa mia appaia dietro l'angolo.
«Sicuramente».
Mi spia con la coda dell'occhio «Sei scappato da quella?»
Aggrotto la fronte e la fisso, «No! Ho solo bisogno di staccare per un po'», ma è proprio così. Sono scappato. Da lei, da quelle persone, dalla paura che ho provato.
Sospira un sorriso che di tutto sa, fuorché di convinzione.
Torno a fissare la strada ed il vialetto di casa appare dopo poche villette.
Spegne il motore e tira il freno a mano.
«La vecchia non sa niente, salterà dalla gioia...» fa, con la sua solita tendenza ad aggiungere il sarcasmo alle sue affermazioni, scendendo dall'auto.
Dolly, libera in giardino, mi fa le feste ma perdo poco tempo con lei. Decido di entrare e basta.
Niente ripensamenti, niente timore.
Abbandono la borsa all'ingresso e mi dirigo direttamente in cucina, poiché, è da li che sento alcuni rumori.
Trovo mia madre accanto ai fornelli sotto la vetrata circolare della cucina.
«Gabriel...» la sua bocca si spalanca di stupore. «Che ci fai qui?» Abbandona il mestolo e mi raggiunge in fretta, stringendomi fra le braccia.
A differenza del suo, il mio abbraccio si limita ad un leggero appoggiarle le mani sulle costole. Un saluto che rasenta la circostanza.
«Come stai mamma?» le chiedo.
Mi scruta in volto e subito, la sua espressione si tinge di preoccupazione. Mi accarezza una guancia.
«Io sto bene, ma tu? Tu come stai?» domanda in modo apprensivo.
«Sto bene» mi avvicino al bancone e raggiungo la macchina per il caffè a cialde.
«Avevi detto che non saresti tornato prima della fine del semestre» incalza lei.
Tiro fuori da un cassetto il blister delle cialde e ne estraggo una.
«Ho cambiato idea.» La infilo nell'apposito scompartimento e sfilo un bicchierino di carta dalla pila  affianco.
Stira le labbra per un momento e torna ad afferrare il mestolo, girando quello che sembra del maiale al latte.
«Non ti vedo bene, amore mio»
«Sto bene mamma!» Il bip della macchina squilla due volte.
Mia madre mi guarda come se le avessi appena sparato in petto.
«Scusami, ho bisogno di stare un po' per i fatti miei» Afferro il caffè e mi dirigo in camera mia.
                                       Cécile.
Non credo di aver mai provato la mancanza di qualcuno -ancora in vita- come la provo per Gabriel.
Se solo io non fossi io, a quest'ora, lui starebbe ancora con la sua ragazza a vivere un primo anno di Università sereno e spensierato.
E' possibile che io debba sempre rovinare tutto?
«Vuoi venire dai miei per Natale?» Jace si sporge dallo stipite della porta con la testa. Abbasso Norvegian Wood e sollevo gli occhi a lui.
«Non preoccuparti, Katline sarà stufa di cucinare per me» mi sforzo di sorridere.
Scuote la testa «Sai che non è così. Mia madre ti adora»
Vorrei veramente non passare il Natale da sola, ma non voglio neanche rischiare che gli uomini di Bonuà piombino a casa di una povera donna di settant'anni, la notte dell'avvento, per spaccarle qualche osso cercando me.
«Ti ringrazio Jace. Per quest'anno passo».
Si rabbuia come se ci fosse restato male. Drizza la schiena e mi raggiunge sedendosi a bordo letto.
«Non è il caso che tu resti qui, sola, mentre sai che loro ti stanno cercando»
Sospiro un sorriso che vaga fra l'amareggiato ed il sarcasmo «Non è la prima volta».
Quella volta al Waves: mi cercavano anche li.
Mi rivolge uno sguardo che definirei preoccupato «Non me la sento proprio di lasciarti sola qui» si schiarisce la voce «Non c'è neanche l'albero di Natale!». Mi strappa una mezza risata.
«Lo andiamo a comprare prima che tu torni da tua madre»
Alza gli occhi al cielo e si solleva «Sei veramente testarda»
«Sei veramente testardo» 
«Già, è uno dei miei tanti pregi.» 

Scuoto la testa e mi rendo conto che ho la pelle d'oca.
«Starò bene»
«Ti droghi?! Da quando?» 
«Se ci ripensi, parto domani mattina presto» Si allontana dal letto.
«Jace» aspetto che i suoi occhi incontrino di nuovo i miei «Grazie per tutto quello che hai fatto per me»
Sembra sbigottito e mi fissa con un'insolita faccia  inebetita.
«Non te lo dico spesso. Ma dovrei incominciare a dire grazie alle persone» 
Sospira un sorriso ed esce dalla stanza.
«Io ho bisogno di te» 
Sollevo lo sguardo al soffitto.
«La tua vita potrebbe essere migliore di questa.»
«Io voglio aiutarti» 
Chissà, forse è stato Gabriel a farmi imparare a riconoscere quando si deve ringraziare qualcuno per esserci.
E' raro trovare persone che diventino costanti nelle nostre vite. 
Forse, sono fortunata e non riesco ad accorgermene.
Afferro il cellulare ed entro su Whatsapp.
Sei in città?
Anche Drake per me c'è sempre stato. Non possiamo definirci una coppia. Ne, tanto meno, possiamo dire di essere innamorati.
Si. Vuoi che passi da te?
Nonostante ciò, lui, sin dal primo giorno, mi ha sempre teso una mano. Ha rischiato per me, come tutti loro e all'inizio, lo ha fatto da solo.
 Se sei libero...
E' un peccato che lo abbia conosciuto in quella bettola e che poi, si sia lasciato trasportare dalle droghe, dai soldi.
E' una bella persona. Era- una bella persona.
Aveva persino dei sogni. Credo che amasse cantare tanto quando me. 
Si...amava cantare e voleva sfondare nel mondo della musica. Ma anche lui, come me, è andato a sbattere contro le persone sbagliate.
Sono sotto casa.
Se non avesse deciso di assecondare quel maledetto...
 Ti ho aperto il portone.
Giro la chiave nella toppa e qualche minuto dopo scorgo la sua sagoma: le mani in tasca, i capelli biondi lisci e stranamente non riempiti di gel.
Gli stringo le braccia attorno al collo, ispirando uno degli odori più famigliari al mondo: il suo profumo.
«Ehy, darling»
Ci chiamavamo così una volta. Quando ancora metà dei miei guai non erano i suoi. Quando non conoscevamo droghe o consegne o danni.
Quando ancora eravamo solo Cécile e Drake.
Mi sorride come al solito prima di darmi uno dei suoi baci.
Cammino all'indietro senza staccare le labbra dalle sue.
Ci sono persone che difficilmente riescono ad amare, ma sanno dare affetto e riconoscenza in quantità così immensa che vengono scambiate per amore.
                                                  Gabriel.
«Ho bisogno di te.» sussurra Cécile  sfiorandomi appena sotto l'orecchio con le labbra.
«Ma sono troppo orgogliosa per ammetterlo a me stessa»
Le sfioro le guance.
«Dove vai adesso?» perché il suo viso è spaurito?
Cerco di risponderle che non sto andando da nessuna parte, che sono qui davanti a lei, in camera sua. Ma non mi sente. La sua sagoma si allontana sempre di più.

Apro gli occhi  e mi ritrovo nella realtà. Le tapparelle sono abbassate e per un attimo non mi ricordo dove sono. Poi capisco: sono a casa mia e quelle che vedo sono le pareti blu e celesti della mia stanza.
Provo a chiudere gli occhi per vedere se Cécile è ancora li, ma non ci riesco.
                                             ******
«Ben svegliato» esco dalla veranda sul retro, dopo aver chiesto a Ruby di prepararmi un cornetto colmo di Nutella, e trovo mia madre china sui suoi amati vasi di gerani con una paletta fra le dita coperte da grandi guanti gialli da giardiniere.
«Buongiorno» le sorrido.
Non ricordavo quanto mi piacesse questo lato di casa, fino a che, non ci sono voluto tornare.
C'è un piccolo lago distante una ventina di metri dal nostro prato. Sopra di lui si ergono diverse montagne, attorno è circondato da alberi.
Non esco sul prato. Preferisco restare all'interno della veranda. Fuori si gela, mentre qui dentro, il riscaldamento da terra permette di stare in pantaloncini e canotta.
Finisco di mangiare il cornetto e mi accomodo su una delle tre poltrone rivolte verso la vetrata laterale; quella con il televisore agganciato sopra.
Afferro il telecomando dal tavolino davanti alle mie ginocchia e pigio su on.
Normalità: mi era mancata in parte. Ammetto di aver provato terrore quando mi sono reso conto che fossi braccato dagli uomini di quell'aguzzino. Per questo, adesso, mi sento al sicuro, tanto, da pensare che tutto di casa mia mi è mancato.
«Tuo padre tornerà questa sera da Parigi. Ma ho deciso ugualmente di invitare a cena Sara e la sua famiglia» Afferma mia madre portando all'interno un ampio vaso pieno di rigogliosi gerani lilla.
Mi si contrae lo stomaco. Mi volto di scatto verso lei.
«A cena?...».
Abbassa il mento scrutandomi perplessa «Si, ho pensato che tu e Sara non vi vedete da un po'. Sarete contenti di passare un po' di tempo insieme».
Sgrano gli occhi. Possibile che Sara non abbia detto nulla a mia madre?
Perché non le ha spifferato che l'ho tradita?
Ma poi, una cena?! Come farò a guardarla in faccia?
«Sei proprio sicura che Sara abbia acconsentito a questa cena?». Le domando spostando il peso tutto su una gamba ed affacciandomi dallo schienale della poltrona.
Mia madre poggia il vaso accanto ad un tavolo più ampio, rotondo e pieno di scartoffie di mio padre; si  passa il dorso della mano sulla fronte e drizza la schiena.
«Be', io ho sentito Richard, non ho parlato direttamente con lei.»
«Da quanto tempo non la senti?»
Storce un labbro ed aggancia le mani alla vita «Un paio di giorni. Gabriel devi dirmi qualcosa?» fa canzonatoria.
«No, no.» mi affretto a rispondere scivolando a sedere dritto.
Mi raggiunge e si affaccia da dietro la poltrona, l'aria severa «Hai per caso litigato con lei?»
Sollevo appena lo sguardo oltre la mia fronte «E' stato solo uno stupido bisticcio» -anche se non è affatto stupido, non è stato minimamente intenso come le litigate fra me e Cécile.
Sospira «Spero per te, che tu non l'abbia fatta soffrire». Si allontana nella sua gonna lunga e svolazzante, sfilandosi i guanti.
«Ti sei cacciato in qualche guaio?» Sposto lo sguardo verso una delle ante scorrevoli che tappezza la veranda.
Ruby ha un'espressione che vacilla fra il divertimento e la derisione.
Sospiro rumorosamente «Mi stavo giusto chiedendo perché non ti fossi ancora impicciata degli affari miei» ridacchia accomodandosi a sedere sul tavolino davanti a me.
«Allora?» sibila.
La scruto dalle palpebre quasi socchiuse. Non le voglio rispondere. Non mi voglio sentir dire "te lo avevano detto" ne tanto meno, sentirla ridermi in faccia.
«La moretta ti ha mollato?» incurva un angolo della bocca e solleva ripetute volte le sopracciglia attirandosi un'occhiataccia da me.
«Non mi ha mollato.» borbotto «Non stavamo assieme» -e non ci staremo mai.
Storce le labbra «Allora cosa ti prende?»
Abbasso lo sguardo. Devo lasciare l'Università perché mi vogliono fare la pelle e non so come dirlo ai miei.
«Voglio lasciare l'Università» ammetto.
All'inizio, Ruby scoppia a ridere ma poi, quando si accorge che sono impassibile, si frena «Cosa vuoi fare!?» e starnazza come un'oca.
«Abbassa quella voce!» grido in un bisbiglio.
«Ti ha dato di volta il cervello? Cos'è, la passera ti ha fatto male?» ora bisbiglia anche lei.
«Sei veramente volgare delle volte».
Aggrotta la fronte. 
«Ho capito che quel posto non fa per me. Voglio solo cambiare facoltà, magari-» lontano da questa città. 
Si passa una mano sul viso e mima di piangere, poi di gridare ed infine schizza in piedi e mi punta un dito contro «Non finirò a dovermi sorbire tua madre piangere e ingoiare Martini come se fosse uno sciroppo alle fragole, per colpa tua!»
Sospiro piroettando altrove lo sguardo «Ti tocca bella».
Mi sollevo ed abbandono il telecomando sul tavolino.
«Mi tocca? Io non vengo pagata abbastanza per star dietro a tua madre!»
Mi diverte il fatto che non possa urlare e quindi bisbigli con la voce metallica seguendomi come un'ombra.
Attraverso il piccolo spazio che divide una delle due porte della cucina con quella laterale del salone.
«Che diavolo è successo per farti saltare questo grillo in testa?!» Ruby mi segue fin sulle scale.
«Non è successo niente. Non posso voler cambiare facoltà e basta?» Spalanco le braccia alzando le spalle.
«No che non puoi! Sai che i tuoi genitori hanno penato tanto per farti ammettere li»
Mi fossilizzo sulle scale voltandomi di colpo «Io! Io ho penato tanto!» Le dico indicandomi il viso.
Ruby sospira e mi lancia un'occhiata piatta «Si, si...Tu hai penato tanto» cantilena «Fatto sta, che l'ultima cosa che serve a tua madre ora è sapere che vuoi abbandonare quel posto.» Fa una breve pausa e riprendiamo a camminare verso la mia stanza «Ha avuto un crollo psicotico solo nove mesi fa!»
«Non significa che devo sacrificarmi ancora per qualcosa che non mi piace»
Provo a chiudermi la porta dietro ma lei afferra la maniglia e siccome so che tanto se la sbatterà dietro la lascio fare.
«Vedi di toglierti dalla testa quest'idea di merda e...» il suo tono cambia diventando esasperato «vedi di tornare con la biondina»
Sbatto le palpebre e resto fermo accanto a letto senza riuscirmi a tuffare fra le coperte come stavo per fare.
Fisso Ruby  e lei fissa me. «Come-»
«Non ci vuole un genio» mi fredda prima di sbattersi la porta dietro -come avevo previsto.
                                                 Cécile
Drake mi accarezza la testa mentre con la mano libera mantiene il cellulare sfogliando la Home di Facebook.
Gioco con la catenina che pende dal suo collo e per un momento, uno soltanto, mi sento esattamente dove dovrei essere.
E' qualcosa di estremamente mio questo attimo.
Qualcosa di così vicino al passato, a prima dell'incontro con Gabriel, che riesce, per poco, a farmi passare quella sorta di mancanza che ho per lui.
Mi bacia la testa senza spostare lo sguardo dallo schermo.
Sono così tanto abituata a lui che quando Gabriel è piombato nella mia vita, l'unica cosa che ho saputo fare è stata aver paura.
E poi i paragoni.
Paragonavo gli sguardi di Gabriel a quelli Drake, i loro baci, le loro attenzioni; tutto.
Ma fortunatamente, con Gabriel non sono mai andata a letto. A quest'ora, tratte le somme, non sarei riuscita a stare nuda ed abbracciata a Drake.
Non sarei riuscita a farci sesso ne tanto meno a restare poi accoccolata a lui. Forse...si, sesso ce lo avrei fatto lo stesso, ma gli avrei chiesto di andarsene o avrei inventato di aver da fare.
Qualche volta è capitato fra noi. Quando ho scoperto di Ambra.
Non so nemmeno dove diavolo l'abbia conosciuta.
Sollevo lo sguardo al suo viso.
Lui non lo ammette, ma è preso da lei. Solo che si fida così tanto di me, che gli resta impossibile lasciarmi andare. Quando certe persone sono immischiate nello stesso giro è difficile che si lascino perdere.
Ma tante volte, penso che gli sto togliendo una parte di felicità.
Una settimana prima che Gabriel piombasse nella mia vita, accusavo Drake di avermi tradita, di farmi soffrire; trovarlo con Ambra a letto mi aveva fatto uscire matta, ma ora...
Ora che sento la mancanza di un ragazzo per la prima volta, mi chiedo se non stia togliendo anche a lui qualcosa.
«Drake...» mi sollevo mantenendomi le coperte sul seno. Non so perchè lo stia facendo, mi sono sempre lasciata guardare da lui, ma ora, proprio mi sento imbarazzata.
I suoi occhi azzurri rimbalzano sul mio viso un po' attenti ed un po' disinteressati al tempo stesso.
«Ti vedi ancora con Ambra?»
Sospira e spegne il display del cellulare abbandonandolo sulle coperte accanto a se.
«Non ci vediamo da una settimana e te ne esci così?»
Distolgo lo sguardo che sicuramente mi si è indurito «Appunto perché non ci siamo ne visti ne sentiti, vorrei saperlo. Mi hai chiamato solo per dirmi che la tua stanza al dormitorio era un disastro. Che ci facevi li? Mi hai detto che non ci dormivi più.» 
Si muove sotto le coperte e porta le braccia dietro la nuca. Ha l'aria strafottente, la solita, di quando si sta per accendere un litigio.
Lo guardo per un istante in attesa di una risposta «Ero tornato a prendere la mia roba»
«Per dormire dove? Non mi hai mai detto dove dormi veramente.»
Solleva le spalle « Dormivo seriamente in confraternita. Li dove siamo stati insieme l'ultima volta»
«Ed ora?» chiedo più aggressiva.
Sospira ancora e fa per alzarsi.
«Che importa?» fa una breve pausa che sfrutta per infilarsi di nuovo i panni «Non eri tu quella del "non siamo gelosi
Mi mordo un labbro. E' vero, quando siamo tornati insieme ed io ho baciato Gabriel è bastato poco perché se ne accorgesse e l'unica cosa che ho saputo rispondergli è stata «non fare il geloso. Io non sono gelosa di te»
Allora perché nonostante mi dica che voglio renderlo libero di stare con Ambra, mi ribolle lo stomaco?
«Non sono gelosa, voglio solo sapere se posso lasciarti nelle mani di una ragazza che ti vuole sul serio»
Le sue iridi azzurre si schiantano su di me all'improvviso.
Schiude le labbra e mi fissa.
«Sai, ti ho beccato più di una volta con lei. Ho pensato che ti piacesse sul serio.»
«Chi ha detto che mi piace?» tuona, infilandosi in un gesto veloce, quasi unico, la T-shirt nera.
«Si vede. Insomma, lo neghi, ma si vede» accenno un sorriso che fa rabbuiare la sua espressione.
«Sei solo abituato a me.»
«Non dire cavolate e non pensare che voglia lasciarti per qualche scappatella» mormora appena. 
Certe volte, è così difficile separarsi dalle persone. Anche da quelle che non si amano veramente.
«Perché non hai il coraggio di ammettere che vuoi stare con lei?»
Mi guarda con una stranissima espressione colpevole che per qualche motivo mi fa sciogliere.
L'ho legato a me per così tanto tempo...
Mi sollevo dal materasso gattonando verso il bordo, verso lui, e gli aggancio le braccia al collo.
«Io ci sono anche se stai con lei» mormoro «Ricordi quello che ci ha insegnato Jace? Siamo una famiglia.»
Ce l'ha ripetuto così tante volte...
«Se uno di noi si dovesse trovare nei guai, ognuno di noi ci deve essere» 
«Non si abbandona la famiglia» 

«Lei mi piace.» Ammette in un filo di voce «Mi fa sentire bene. Mi fa ridere. Certe volte, però, ho bisogno di te»
Mi passa le mani sui tatuaggi che ho sulle costole e nonostante sia nuda, per la prima volta, non mi guarda come se volesse scoparmi e basta.
«E' per questo che voglio-» liberarti da me «Che tu stia con lei»
Solleva lo sguardo a me ed è indecifrabile.
 «Io ci sarò sempre per te.» gli dico.
Socchiude le palpebre e ride. Una risata piena di imbarazzo e...dispiacere? Ma anche la risata di un ragazzo che si è appena tolto un peso.
«E'- cazzo è strano»
«Lasciarsi senza urlare?» sorrido. 
Scuote la testa «No, rendersi conto, per la prima volta, che qualcuno potrebbe mancarti» fa una pausa ed io non riesco a far altro che fissarlo confusa. «Sono così abituato a te che adesso, pensare che è finita -finita davvero- mi fa sentire strano.» Storce naso e bocca mentre lo dice e mi scappa da ridere.
«Fa strano anche a me.» Faccio scivolare via le braccia dal suo collo, ma le blocca afferrandomi i gomiti, riacquistando la mia attenzione.
«Promettimi che ci sarai e non dico solo per Bonuà, i soldi o per sniffare. Intendo come amica. Come persona che mi conosce sul serio»
Per un momento ho l'impulso di baciarlo, ma mi rendo conto che stona con quello che sta succedendo, perciò, mi limito a sorridergli e a promettere che sarà così.
                                     ******
«Allora...Vado...» dice quando mi sono rivestita.
«Va bene» gli sorrido mentre mi allaccio gli anfibi seduta a bordo materasso piegata a testa in giù.
«Ah, comunque vivo da lei. Sono pochi giorni...Ma ecco, mi faceva strano dirtelo.»
Stringo le labbra e non so se ridere o arrabbiarmi o restare impassibile. 
Forse, dovrei solo essere contenta per lui.
«Ma volevi dirmelo...» gli faccio notare sollevandomi dal materasso.
«Perché sei veramente l'unica di cui mi fido» non ha il coraggio di guardarmi, ma dovrebbe farlo. Seriamente, è tutto ok.
«Sono felice per voi due» 
Un sorriso sincero si fa spazio lentamente sulle sue labbra...e sulle mie.
                                                  Gabriel.
«Ben rivisto giovanotto! Ti fai sempre più alto» 
Lascio passare Richard e sua moglie Susanne, invitandoli ad entrare.
«Felice di rivederti tesoro» Sua moglie mi da un bacio sulla guancia. Manuel, il fratello minore di Sara è stretto fra le sue braccia e quando lei si piega per salutarmi, mi tira una ciocca di capelli.
«Sei cresciuto» gli scompiglio i suoi sorridendo.
«Richard! Susanne!» Mia madre, pomposa come sempre, li raggiunge a braccia aperte salutandoli calorosamente.
«Lasciate che porti queste buste in cucina» Hanno per mano svariati pacchetti che di solito comprendono dolci per il dessert e qualche pensierino portato per me o per i mie genitori, dai loro viaggi all'estero.
Ma questa volta, non sono entusiasta all'idea che li dentro ci sia qualcosa per me: non lo merito.
«Ciao Gabriel» Sposto lo sguardo all'uscio di casa.
Sara indossa, sotto al cappotto nocciola, un abito prugna lungo sulle ginocchia e mi fissa stringendo la cinta della borsetta con entrambe le mani, così forte, che le nocche le sono diventate bianche.
Posso percepire la sua agitazione da ogni singolo gesto o movimento che fa.
Ai piedi indossa un paio di stivaletti senza tacco.
Nonostante siano passati solo due mesi, non averla vista, me la fa sembrare più alta di come la ricordavo.
«Entra,che fai li alla porta?» cerco di sorriderle e mi muovo in fretta facendole un cenno plateale con la mano che le strappa una risata.
Mi da un bacio sulla guancia, poi, mi sorpassa dirigendosi verso la sala da pranzo.
                                     *******
«Allora, come vanno gli studi?» Mi domanda Richard arrotolando un pugno di spaghetti alla forchetta.
Mio padre è appena arrivato da Parigi e senza cambiarsi è venuto a cenare.
Non ho avuto nemmeno tempo per parlargli della mia scelta di lasciare l'Università.
«Bene» affermo sotterrando lo sguardo all'interno del mio piatto.
«Sai, anche Sara vorrebbe iscriversi nella tua stessa Università, l'anno prossimo.» Fa euforica sua madre.
«Ma davvero?!» e mia madre non è da meno.
Sollevo lo sguardo a Sara che ricambia al mio con uno che non riesco a comprendere. So solo che mi fissa, forse, come se stesse aspettando una mia reazione.
«Sono certo che verrai ammessa» dico accennando un sorriso.
Abbassa lo sguardo e sembra nascondersi mentre sorride a sua volta.
Certe volte, mi chiedo come ho fatto a tradirla. E' così dolce, tenera...
Peccato che Cécile sia tutta un'altra cosa.
Mi infilo un pugno di spaghetti in bocca allontanando quel commento dalla mia testa.
La cena procede decisamente più tranquillamente. Il ghiaccio fra me e lei si è sciolto e riusciamo -grazie a suo fratello Manuel che non ci lascia in pace un attimo- a ridere come facevamo una volta.
Arrivati al momento del digestivo, Sara ed io siamo sul divano in sala. Abbiamo deciso di far vedere un cartone animato a suo fratello e dopo un bel po' -finalmente- sembra essere crollato fra noi due.
Susanne ci passa dietro diretta in cucina, ma prima di arrivarci si sporge verso noi.
«Perché non lo portate sopra?» dice e poi guarda me «Può vero?»
«Ma certo. C'è una stanza libera con un letto matrimoniale, non c'è nemmeno il pericolo che cada dal materasso»
Mi sorride affettuosamente «Grazie Gabriel» e raggiunge la cucina.
Prendo in braccio il piccolo e accompagnato da Sara, raggiungo la porta in legno bianco accanto a quella della mia stanza.
Lei mi abbassa la maniglia ed entra prima di me.
Appoggio delicatamente suo fratello al centro del materasso ed accendo l'abat-jour sul comodino affianco.
Mimo di far piano facendo finta di sgattaiolare dalla camera e lei si tappa la bocca con una mano per non ridere ad alta voce.
«Torniamo dagli altri» dico.
Sto per allungare un piede verso il gradino quando mi afferra un braccio. Mi volto e la vedo mimare un no con la testa.
Aggrotto la fronte confuso. Allaccia le dita di una mano a quelle della mia e mi conduce verso la mia stanza.
Mi chiedo se abbia dimenticato qualcosa li? O se voglia riprendersi qualche regalo che mi ha fatto.
Apre la porta ed aspetta che entri anch'io.
«Devi prendere qualcosa?» Mi aggiro per la stanza guardando un po' ovunque perché proprio non ho idea di cosa possa essersi dimenticata.
Mia madre ha lasciato una piccola lucetta da notte, arancione, accesa e ci vedo poco e niente.
«Dammi un momento che accendo la luce e-» Faccio un passo distratto verso l'interruttore affianco alla porta e mi blocco all'istante.
Sara si è scesa la zip del vestito e le spalline larghe e pompose le sono scese sotto le spalle lasciando visibili quelle del reggiseno chiaro.
Le mie palpebre si spalancano lentamente. Sono totalmente spiazzato.
«Sara...Che...».
Non mi guarda come lo farebbe Cécile, ma allo stesso modo vedo, nel bagliore dei suoi occhi appena colpiti dalla luce fioca, la voglia.
Fa un passo verso me mantenendosi il vestito schiacciato al seno con le mani.
«Voglio...» le trema la voce «Voglio...» 
Non è obbligata a dirlo. Non voglio renderla inerme.
Le prendo il viso fra le mani e la bacio.
Ho aspettato per così tanto tempo questo momento, che non solo, non ci avevo sperato più, ma adesso proprio sono travolto.
«Sei sicura?» le sussurro staccando le labbra dalle sue.
Annuisce in fretta.
Ho l'opportunità di dimenticare i due mesi passati e di far uscire dalla mia testa Cécile e sono convinto che questo cambierà tutto. Deve. Per forza.
Abbassa le braccia e l'abito le scivola di dosso.
E' la prima volta che vedo Sara nuda ed è stupenda: alta, slanciata.
La bacio perché la vedo tremare per un istante. A differenza di Cécile, lei tende a coprirsi, esita, avvampa di colpo.
Fa un passo verso me e sento la sua pelle bollente, oltre il maglioncino.
Voglio veramente dimenticarla?
Mi sfilo il maglione e la T-shirt. Gli occhi di Sara viaggiando su di me. Non posso vedere tutte le sfumature sul suo viso, ma sono certo che sia arrossita. Ciò che vedo, però, sono le sue labbra gonfie per i baci che ci siamo dati e mi viene voglia di massacrarle ancora.
Le afferro un polso e  la porto fra le mie ginocchia quando mi siedo a bordo del letto.
Lei mi guarda giocherellando con il ciondolo a forma di G che le ho regalato il primo anno di fidanzamento.
E' strano che non dica qualcosa come "mi sei mancato", ma in questo momento, ci faccio caso si e no.
La fisso per un altro istante: voglio esserne certo della sua sicurezza.
Non vorrei che poi se ne pentisse o peggio si ammalasse per chissà che cosa.
Le accarezzo una gamba fino a che, arrivato al ginocchio, non le faccio capire che deve sollevarla così che io possa liberarla dagli stivaletti.
Lo fa, osservando ogni movimento delle mie dita.
Forse doveva essere tutto proprio così. Sara doveva essere la mia ragazza, Cécile la mia sbandata e nuovamente Sara la mia prima volta.
E' impacciata e devo guidarla, ma non mi pesa.
Mi sale a cavalcioni sopra e mentre le sbottono il reggiseno, la bacio così da non farle sentire il peso di essere nuda davanti ad un ragazzo.
Forse, c'è una piccola parte di me che quando sdraia Sara sul materasso, quando si sbottona la cinta del pantalone,quando si infila sotto le coperte e quando tira fuori un preservativo dal comodino; è pentita.
Quella parte di me che continua a ripetermi che non è qui che dovrei stare.
«Dimmi se ti faccio male» sussurro mentre cerco di farmi spazio dentro di lei.
Sara mi stringe le spalle senza premere troppo sulla mia pelle e mantiene lo sguardo su di me. E' leggermente spaventata. Quando avanzo un po' di più, caccia un gemito e ho l'impulso di fermarmi.
«Male?»
«No, no. Continua...»
E mi chiedo: con Cécile sarebbe stato lo stesso? 
Forse la prima volta deve essere fatta con una persona...speciale.
Forse, Sara è quella persona.
Allaccia le gambe alla mia schiena e finalmente, sembra non provare più dolore. Mi stringe la schiena con più vigore mentre muovo il bacino verso lei e gli ansimi che fa sono così delicati che quasi non li sento.
«Sto per venire» ansima. Sollevo lo sguardo solo quando la sento tremare. «Anche io» Si stringe una mano sulla bocca per non gridare e vederla così bella e sconvolta fa cedere anche me.
Le stringo la vita travolto dalla sensazione più bella che abbia mai provato.

Chissà se sarebbe stato lo stesso con lei?

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Il coraggio è quasi una contraddizione in termini. Esso significa un forte desiderio di vivere che prende la forma di una disponibilità a morire.
(GK Chesterton)



                                                             Gabriel 12.
«Dieci...» Capodanno è un momento in bilico fra due tempi ben distinti.
«Nove...» L'addio all'anno passato «Otto...» ed il benvenuto a quello che verrà.
«Sette...» E' l'esatto istante dove ognuno di noi tira le somme. 
«Sei...» Ma non solo, è anche il momento dei desideri,
 «Cinque...», dei buoni propositi,
«Quattro...» dei sogni che speriamo si realizzino,
«Tre...» e di quelli che, purtroppo, abbiamo imparato, non si realizzeranno mai.
«Due...» E' l'addio ed il benvenuto. E' il buttarsi dietro le spalle un altro anno con la speranza che, almeno per un secondo, anche le nostre tristezze vengano trascinate via.
«Uno...» E tu, anche solo per quel secondo, hai il diritto di desiderare qualcosa di diverso, di nuovo e dare il potere a quel desiderio di diventare certezza. Qualsiasi esso sia. Anche il più sbagliato...
«Buon anno!!» Mio padre fa saltare il tappo allo spumante e lo scrosciare di applausi e risa festose riempiono il retro di casa nostra.
Quest'anno non ci siamo soltanto noi: la veranda è piena di parenti di Sara oltre a tutti quelli invitati da mia madre che fanno parte della nostra famiglia.
C'è un mucchio di gente allegra ed alticcia -gente che conosco bene, fra l'altro- eppure, mi sento strano.
Una parte di me avverte un peso: una specie di rimorso di coscienza misto a preoccupazione che mi ha accompagnato per tutta la cena ed ancora adesso.
Probabile sia per il fatto che, a distanza di un mese dal mio ritorno a casa, non sia ancora riuscito a parlare della questione Università con i miei genitori. Ne di come sono dovuto scappare.
Ma si, sono certo che sia per questo motivo se stasera, mentre tutti ridono e festeggiano, io non ho altra voglia se non quella di starmene seduto sul bracciolo di questa poltrona, in veranda, a guardare la pioggia di lucine calde che agganciate ad una parete raggiungono l'altra fino al pavimento e bere altro spumante fino a che non mi dia alla testa.
Voglio che i miei pensieri si annebbino, lasciandomi riposare.

Tu che leggi nel destino:
l’anno nuovo come sarà?
Bello, brutto o metà e metà?
Trovo stampato nei miei libroni
che avrà di certo quattro stagioni,
dodici mesi, ciascuno al suo posto,
un carnevale e un ferragosto,
e il giorno dopo il lunedì
sarà sempre un martedì.
Di più per ora scritto non trovo
nel destino dell’anno nuovo:
per il resto anche quest’anno
sarà come gli uomini lo faranno.
 

Il solito pensiero pessimistico. Mando giù l'ultimo sorso di spumante svuotando il calice che stringo fra le dita.
«Gabriel, avanti non startene li!» dice mia madre sollevando il suo calice colmo di spumante, sfoggiando uno dei suoi magnifici sorrisi allegri.
Sospiro e mi sollevo.
Forse dovrei provare, almeno per un secondo, a camuffare il mio stato d'animo terminando i festeggiamenti con lo stesso sorriso di circostanza di tutti.
«Altro spumante?» Charlie,il cugino di Sara, mi versa altro liquido dorato nel bicchiere senza che io possa rifiutarmi. Oltre ai bicchieri di vino trangugiati durante la cena, gli amari ed al prosecco francese che hanno portato Richard e sua moglie, questo è il secondo calice che lascio venga riempito fino all'orlo.
Gli sorrido e lo sollevo davanti a tutti.
«Buon anno gente!»
«Buon anno!»
Chissà se Cécile si sente così tutte le volte che decide di bere...
Scommetto che come me, anzi, più di me, avverta questa specie di sensazione di sentirsi in gabbia, prigioniera di se stessa e che sia per questo che spesso preferisce buttarsi in queste cose.
Non lo trovo giusto, ma liberatorio. Perdere il controllo lo è.
«Gabriel, sei ubriaco?» mi volto di scatto verso Sara che mi arriva da dietro.
«No...» -si, parecchio. Ed è strano che lo chieda dato che biascico e si sente.
«Sei ubriaco...» ripete, questa volta, fra lo stupito e l'incredulo.
«E quindi?» ondeggio leggermente in avanti curvandomi fino a raggiungerle il viso. Di riflesso fa un passo indietro. La sua fronte si aggrotta notevolmente ed un cipiglio le balza in viso.
 «Anche mia madre e tuo padre lo sono» singhiozzo.
Schiude le labbra. So che vorrebbe starnazzare qualcosa e sono pronto ad ignorarla.
«Non sei cambiato. Non sei cambiato da ciò che eri diventato frequentando l'Università» le si arrossano gli occhi.
«Non sono- oh, ti prego» cerco di sorpassarla per raggiungere Charlie, ma fa un passo di lato e mi serra la strada.
«Da quando ti piace bere?»
Da mai, oggettivamente. Solo che questa sera, mi sono seduto a tavola e l'unica cosa a cui ho pensato è stato trovare un modo per annullare il flusso dei miei pensieri.
«E' Capodanno Sara-» sospiro in un soffio, rassegnato.
Scorgo la sagoma di Ruby avanzare in veranda trasportando un grosso carrello porta vivande colmo di macedonie in piccole ciotoline ed il terzo giro di calici.
Torno con lo sguardo a lei «-Cerca di rilassarti» e finalmente, la sorpasso.
Non credo che il comportamento di Sara sia sbagliato.
Infondo, ha ragione: da quando ho conosciuto Cècile ho imparato a tirar fuori il peggio.
Lei è in grado di tirare fuori il peggio di me...e in un certo qual senso, anche il meglio.
Raggiungo il portavivande.
«Io prendo...questo» allungo una mano verso un calice con un liquido frizzante più ambrato.
«No, tu non prendi nulla, bellezza» la mano di Ruby intercetta il mio polso.
«Che vuoi Ruby?» Mi tira verso se raggiungendo il lobo del mio orecchio «Sei...ubriaco?» bisbiglia acida.
«Emh...si.» sghignazzo.
Stringe con più vigore il mio polso «Sei impazzito?!»
Fa una piccola pausa intercettando la sagoma di mia madre, che se ne sta al centro di un gruppo di parenti a tener banco con chiacchiere e sproloqui su quanto sia entusiasta di me e della facoltà  in cui sono rientrato, controllando che non si volti verso noi.
«Sei la mia domestica non mia madre» le strattono via il braccio ma lei lo afferra nuovamente.
«Non rovinare questa serata» mi lancia un'occhiata gelida.
«Non ne ho alcuna intenzione. E-lasciami.».
Finalmente libero dall'insidiosa presa di Ruby e trionfante per la conquista del mio terzo calice di spumante, mi avvio verso il gruppo di cugini miei e di Sara che si conoscono dai tempi del liceo.
Che importa se mi guardano manco fossi diventato un marziano?
Faccio un sorso dal mio calice ed un passo indietro oscillando, convinto di averne fatto uno avanti verso loro.
Si sono ubriaco, quindi?
Che c'è che non va?

«Gabriel...E' tutto ok?» mi chiede Mike. La sua voce mi arriva perfetta alle orecchie, ma è la mia che fatica ad uscirmi dalle labbra.
Bere è così strano: hai l'impressione di recepire tutto ciò che ti sta intorno e di dimenticarlo all'istante, i tuoi arti vanno a rilento eppure tu sei certo di star sollevando un braccio o di star sorridendo a qualcuno.
«Tutto-apposto» piombo con un braccio attorno alle sue spalle.
Bere non ti crea problemi, nemmeno, quando e se, qualcuno ride di te o ti guarda male come Sara.
Mike e Charlie ridono divertiti.
«Sapete, non mi sono mai divertito così-tanto» oscillo decisamente un bel po', per fortuna che Mike è abbastanza forte da riuscire a reggermi.
«Il piccolo -astemio- Gabriel Fontès è ubriaco, o sbaglio?» chiede Jonny raggiungendoci.
Non ho mai tollerato i miei cugini, eppure, adesso mi sembrano le persone più sopportabili della serata.
«E' Capodanno» lo indico con un dito della stessa mano che arpiona il calice. «Dobbiamo divertirci»
A dire il vero, non ho mai sopportato nulla della mia vita.
La pressione, le pretese, le persone che mi hanno costretto a frequentare i miei.
«Gabriel, togli quel bicchiere» all'improvviso le mani esili di Sara appaiono attorno al mio calice. Quando è arrivata accanto a me?
«E' roba mia» farfuglio cercando di non farglielo prendere.
«Sara lascialo in pace. E' Capodanno» protesta suo cugino Mike.
«Ho detto dammi quel bicchiere» lo ignora e insiste fissandomi dritta in viso.
Quando me la prendevo con Cécile per la droga, probabilmente, provavo le stesse sensazioni che vedo ritratte sul viso di Sara.
Sdegno, dispiacere, rabbia, delusione.
«Vuoi lasciarmi in pace?» la spingo delicatamente con l'avambraccio. Incespica un passo all'indietro e resta a fissarmi per quello che sembra un secondo, sgomenta, prima di accanirsi su di me nuovamente.
«Sei veramente uno stronzo!» strilla.
Se ci penso bene, me la prendevo con Cécile perchè mi rendevo conto che ciò che faceva la spingeva a comportarsi persino peggio della norma con me e non volevo accettare che certe sostanze facessero uscire il suo lato peggiore: quello che mi scansava, che non mi permetteva di aiutarla.
«Ma si può sapere che diavolo vuoi?» mi separo da Mike: il nervoso che si accavalla dentro me, per qualche stranissima ragione, non mi fa barcollare più come pochi secondi fa.
«Ma ti vedi? Puzzi di alcool ed hai il viso- Dio Gabriel!»
Ho litigato così tante volte con lei per la cocaina o per l'abuso d'alcool e ci sono rimasto così male, che alla fine, sono arrivato al punto di emulare i suoi stessi atteggiamenti.
Ho bevuto e l'ho fatto per annebbiare le mie emozioni proprio come avrebbe fatto lei.
Chissà, forse Cécile rappresenta quelle che gli altri chiamano "cattive influenze".
Sollevo un braccio e schianto il bicchiere a terra dietro le sue spalle.

Non esiste gesto che non spezzi qualcosa, a volte anche solo l’aria.

«Gabriel...Che diavolo fai?» chiede qualcuno alle mie spalle.
 Si sono voltati tutti. Sento i loro occhi addosso. La pressione dei loro sguardi, tutto quello che fino a due minuti fa non percepivo.
Gli occhi di Sara non ci impiegano che qualche istante per imperlarsi di lacrime.
«Gabriel!» Mia madre ci raggiunge a passo di marcia e mi spintona con la poca forza che ha. «Ti ha dato di volta il cervello?! Che sta succedendo?!» Guarda me in cagnesco e poi Sara, tramutando la sua espressione da rabbiosa a preoccupata in un batter d'occhio.
Susanne, la madre di Sara, ci raggiunge velocemente abbracciando sua figlia, che però, resta immobile a fissarmi.
«Che sta succedendo?! Mi stavo godendo la serata e lei è piombata qui a rovinarmela!» sbraito in risposta a mia madre.
Le sue palpebre si sollevano per lo stupore al punto che temo le possano uscire gli occhi fuori dalle orbite. Arrossisce d'imbarazzo.
«Tutti voi mi avete rovinato la serata!» Insisto sorpassandola.
Per un istante, mi capita di incrociare lo sguardo severo di mio padre ma non gli permetto di fermarmi.
Ho il cuore leggermente alterato, ma forse, tutto quello che ho bevuto non mi permette di essere agitato come vorrei.
«Gabriel, torna immediatamente qui!» Sento i tacchi di mia madre scalpicciare sul parquet alle mie spalle.
«Lasciami in pace!» le urlo attraversando il piccolo corridoio e ritrovandomi nel salone principale all'ingresso di casa.
Mi sento afferrare per un braccio e vedo le sue unghie artigliarmi la pelle oltre la manica della camicia.
Quando mi volto del tutto noto che siamo furenti entrambi.
«Sono stanco! Stanco di dovervi nascondere come mi sento o cosa mi succede!» Intanto, davanti l'ingresso della veranda, si sono radunati tutti spiandoci da lontano, in prima fila: Ruby.
«Sono scappato dall'Università. Non voglio andarci più e non voglio che mi costringiate a vivere questa vita come un infelice!»
Mia madre mi ascolta attonita.
«Vi ho -cazzo- vi ho ascoltati per così tanti anni. Avete idea di come ci si senta ad essere il figlio perfetto? O di come mi sia sentito quando mi avete privato di qualsiasi sorta di svago, solo ed esclusivamente, per un vostro interesse egoistico? E se io avessi voluto lavorare invece che studiare? Se avessi voluto vivere, anziché studiare?»
Non è del tutto vero ciò che le sto gridando contro. Non avrei mai abbandonato gli studi, ma avrei voluto godermi quella parte di giovinezza sprecata dentro casa a far cose che mi sono fatto andare bene per forza di causa maggiore.
«Avete scritto la mia vita sulle pagine di un vostro cazzo di diario, scegliendo qualsiasi cosa al posto mio! Persino la ragazza!» 
«Ma cosa dici...Noi...lo abbiamo fatto per il tuo bene» farfuglia.
«Per il mio bene? Chiedermi come sto o cosa ho voglia di fare, significa agire per il mio bene!»
«Gabriel-» Tuona la voce di mio padre mentre attraversa quei pochi metri che mi separano dagli altri «Adesso basta!»
Certe volte, arriviamo ad un punto di rottura dove il nostro "eco-sistema mentale" va in blackout
«Stai dando spettacolo davanti a persone che non sono della nostra famiglia» ringhia fra i denti.
Non puoi fare molto quando succede, se non partire dal buttare fuori quello che provi.
«Non me ne frega un cazzo.» Proferisco gelido.
E certe volte, quello che provi finisce per allontanare qualcuno dalla tua vita.
Serra la mascella e prima ancora che io possa aspettarmi qualsiasi risposta, mi sferra un ceffone in pieno viso.
«Christian!» mia madre si porta entrambe le mani alla bocca. 
Credo che per lei, questo momento, rappresenti un incubo.
Non ha mai visto mio padre alzarmi le mani ne, tanto meno, me dare spettacolo.
«Sono veramente stufo di questo atteggiamento irriverente. Sei un ingrato.» 
 A volte le cose succedono. Succedono e basta. Non puoi farci niente. Ma è ciò che fai dopo che conta. Non conta ciò che succede, ma come decidi di reagire.
                                                                                             Cécile.
Respiro -o per lo meno tento di farlo- e fa male. Ho dolore ovunque.
Lascio scivolare il cellulare sul sedile accanto a me appoggiando una mano allo sterzo, mentre, cerco disperatamente di sistemarmi meglio -ed a fatica- su questa dannata seduta.
Qualsiasi posizione adotti, ogni osso, ogni muscolo, ogni fibra mi lancia atroci scariche di dolore e fitte lancinanti.
Perdo il fiato mentre tento di stendermi un po' di più, nonostante, lo stia facendo lentamente.
Chi l'avrebbe mai detto: dolorante, in un parcheggio ai piedi di un Motel, dentro un'auto, dopo aver ricevuto una rotta d'ossa...
Bel Capodanno Cécile, complimenti.
Fisso il parabrezza. I goccioloni enormi di pochi attimi fa si sono trasformati in pioggia scrosciante. 
Afferro un lembo della felpa e scopro l'addome: credo sia la parte del corpo che mi fa più male -se non prendo in considerazione le gambe.
Infatti, c'è una vistosa contusione rosso-violacea estesa oltre l'ombelico della stessa forma della mazza da baseball con cui mi ha colpita quel bastardo.
Provo a sfiorarla con le dita, ma il solo tocco mi fa sollevare il ginocchio d'istinto e serrare i denti, sopprimendo un lamento di dolore.
Non ho versato una lacrima. 
Ne quando venivo colpita, ne quando mi rendevo conto dell'efferatezza con cui lo stava facendo, ne quando mi sono sentita dire che non sono un pegno per espiare le colpe di qualcun altro.
Ma ho temuto di poter piangere quando ho pensato di chiamare Gabriel.
Rendersi conto di aver bisogno disperatamente di una persona ed allo stesso tempo, aver bisogno di proteggerla, significa sentirsi così?
Se ciò che ho deciso di fare questa sera lo avessi pensato  qualche anno fa, sarei scoppiata a ridere.
Io che cerco di corrompere uno strozzino perché lasci in pace una persona che non sento e non vedo da un mese, che ha una vita e che mi disprezza per quella che sono...
Già, avrei riso, parecchio.
Eppure, questa notte è proprio così che ho deciso di agire.
Certe volte ci ho pensato- a Gabriel intendo. La sua presenza nella mia vita incasinata ha, in qualche modo ambiguo, trasformato parte di quella che è la Cécile contorta. Parte, di quell'abisso di tristezza che mi ha risucchiata per anni.
Ho imparato a dire grazie, ed è solo merito suo.
Ho imparato, anche, che le persone che decidono di esserci e ci sono veramente vanno protette ed anche quelle che per qualche motivo non possono esserti vicino ma le senti ugualmente parte di te, devono esserlo.
Dio...Gabriel è capace di questo?
Perché, non sapevo cosa fosse la tenerezza, finché non ho sentito la sua mano sulla mia. Non potevo immaginare che una carezza potesse abbattere tutte le mie paure, ma lui le hai cancellate con un solo tocco.
Sono ancora convinta che l'amore non esista, che esistano solo persone destinate a riempire certi vuoti ma, da quando è arrivato lui, ho sperimentato cosa vuol dire sentire il cuore battere veloce e l'ansia di proteggere quel briciolo di sensazioni meravigliose che seguono quello sfarfallare interno.
Non lo amo, ma ho un costante bisogno di lui e dopo questa notte, ho un costante bisogno di proteggerlo da me e da chiunque possa o pensi di potergli fare del male.
Ecco perché ho finito la mia sesta birra e mi sono presentata qui. E' questo il motivo per cui sono scesa dall'auto munita di una mazza da baseball ed ho bussato alla stanza di Bonuà.
Peccato che certe volte però, per quanto si provi a reagire, non si ottenga che un volo di chiappe a terra.
Non so cosa speravo di fare, forse, di ucciderlo. Ed invece, gli ho permesso di sfilarmi la mazza dalle mani, distraendomi alla vista della ragazza nel suo letto.
Che sciocca, perché non ho continuato a farmi gli affari miei?
A quest'ora non mi avrebbe disarmata e massacrata.
Ma probabilmente, vedendo quella ragazza nel suo letto, mi sono resa conto che non sono la sola a sentirsi disperata.
Margherita anche, è disperata.
Sicuramente per problemi diversi dai miei, ma pur sempre afflitta da qualcosa.
Gliel'ho letto negli occhi quando mi ha guardata e li ha sgranati come non mai.
Ho provato ad aiutarla a gridarle di scappare ma era come freddata dalla paura e poi, lui si è alzato.
Si è tirato su i pantaloni e mi ha raggiunto.
Non so perché, ma nel momento in cui il mio cervello ha recepito la paura di quella ragazza, all'istante, anche io ho incominciato a temere per me, per lei, per tutto.
Non ricordo bene come sia successo, ma so per certo che mi ha afferrata per i capelli e strappato l'arma dalle mani, sbattendomi a terra. Poi, mi ha colpita.
E' partito dalle gambe ed ho sentito persino il rumore del legno sulle mie ossa, ma quando ha capito che non sarebbe bastato, ha colpito più in alto.
Ricordo solo il fischio nella testa e la vista che incominciava ad offuscarsi.
Sarei morta. 
Riuscivo a pensare solo a questo.
Ma poi, lei lo ha fatto: ha preso il coraggio e lo ha stretto nei pugni delle sue mani premendo il grilletto.
Mi ha salvata.
Le sirene dell'ambulanza sfrecciano dietro di me entrando nel parcheggio. Si fermano ed alcuni infermieri scendono rapidamente dai mezzi, precipitandosi li dove la porta è ancora spalancata.

 “Un giorno la paura bussò alla porta. Il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno.” ( Martin Luther King )

Trasportano una barella all'interno dell'appartamento e pochi attimi dopo, il corpo coperto di sangue di Bonuà fa capolino sul pianerottolo del Motel, dietro la ringhiera.
Se questa notte non avessimo avuto coraggio, saremmo morte entrambe.
Se Margherita non avesse avuto coraggio, io sarei morta.
                                                                                                Gabriel.
Sono le due del mattino: casa è vuota e le uniche voci che sento, oltre l'ingresso della veranda, sono quelle di mia madre e di mio padre. Stanno litigando per colpa mia.
Forse il coraggio non è solo agire, ma anche buttare fuori quella parte dolorosa che si è insinuata dentro al nostro essere e ci fa star male.
Ci vuole coraggio per liberarsi, per dire la verità.

«Mi sento veramente una merda» mormoro chino a raccogliere i vetri del calice che ho scaraventato a terra durante i festeggiamenti.
Ruby sghignazza avvicinandosi a me con la paletta stretta fra le mani.
«Sentiamo, per quale motivo?» si china osservandomi gettare i pezzi di vetro, uno alla volta, sulla superficie di plastica rossa.
«Perché li ho umiliati davanti a tutti ed ho umiliato anche me stesso»
Sposta il peso su un ginocchio appoggiandocisi del tutto e sospira. «Certe volte, non si riesce a trovare altro modo per essere sinceri. Hai avuto bisogno della spinta di qualche bicchiere per riuscire a dirgli la verità» fa spallucce «Ma alla tua età è più che normale. Ti sentivi frustrato e te lo si leggeva in faccia»
Perché Ruby si è resa conto di ciò che passavo e loro no?
«Ma li ho delusi. Mio padre mi ha persino schiaffeggiato-» sento i capillari nelle sclere tirare e la gola stringersi dolorosamente. «Hai visto Sara come mi guardava? Era terrorizzata...»
«E tu? Tu non hai visto come stavi?» sollevo lo sguardo a lei «Non hai fatto altro che fissare i calici di vino a cena e perderti nei meandri della tua mente. Ora, non sono una psicologa, ma di certo non avevi la faccia di uno che se la stesse spassando»
Non me la spassavo proprio per niente infatti.
«Allora-» si accomoda a sedere sul tappeto Persiano ed abbandona il manico della paletta buttando le braccia morbide sulle cosce. «Cosa ti prende?Mi sembra di averti sentito dire che sei scappato dall'Università. Immagino non si tratti di qualche compito andato male» 
Deglutisco e lascio cadere nella paletta l'ennesimo pezzo di vetro restandolo a guardare per un po' scintillare colpito dalle lucine gialle sulle nostre teste.
«Ho...Ecco...» Dovrei confessarle la verità? Dovrei fidarmi? Gli adulti non sono i nostri antagonisti per eccellenza?
Solleva le sopracciglia mimando un'espressione d'attesa.
«Si, ho detto di essere scappato dall'Università ed è vero. Perché-» la fisso nelle iridi nere «Alcuni uomini mi stanno dietro. Mi hanno fatto trovare la stanza a soqquadro e...mi sono spaventato»
Il viso di Ruby non mostra la minima emozione, piuttosto, credo che stia aspettando che continui a raccontare.
«Ho picchiato un ragazzo» serro le labbra quando quello inferiore incomincia a tremarmi e mi costringo a sollevare gli occhi al soffitto perchè non voglio piangere.
«Il figlio di un tipo importante ed ora-»
«C'entra qualcuno?»
Schiudo le labbra tornando a fissarla di colpo.
«Si, intendo... qualche amico o una ragazza?»
Mi mordo il labbro superiore sfuggendo dal suo sguardo inquisitorio.
«Si»ammetto poi, in un filo di voce «C'entra una ragazza».
Ruby sospira un sorriso ed ha un palmo di sarcasmo spiaccicato in faccia.
«E' quella moretta» afferma. Annuisco.
«Ok...» appoggia un palmo sul mio ginocchio «Ok Gabriel, ok. Si può rimediare a tutto.»
«Non si può rimediare ad un cazzo!» Mi sollevo di colpo passandomi i dorsi delle mani sugli occhi umidi. «E' un cazzo di casino. Non c'è un pezzo che combaci in tutta questa storia.»
Ruby si solleva lentamente fissandomi comprensiva.
«Lei vive un fottuto macello. La sua intera esistenza è un fottuto macello ed io, invece di starmene ben alla larga, sto male perché ho saputo solo peggiorare la situazione».
Abbassa lo sguardo ed ho l'impressione che in qualche modo le dispiaccia per me.
«Sai cosa ho sperato quando è scattata la mezzanotte?» alzo leggermente la voce «Di rivederla. Di rivederla viva. Perché, facciamoci a capire, sappiamo tutti che da certi giri non se ne esce vivi. Ed io-Dannazione! Io non so che devo fare, non so come devo comportarmi!» Non riesco più a frenare le lacrime e per la prima volta mi ritrovo a piangere per qualcuno. Mi stringo la testa fra le mani mentre quel fiume di sensazioni sgorga dalle mie parole e dai miei singhiozzi.
Le vedo stringere i pugni e le sue labbra tirarsi. 
«Ho perso mio figlio Josèf per un motivo molto simile.» Ammette spiazzandomi «Aveva preso un brutto giro. Frequentato persone sbagliate e fatto cose atroci. Poi, un giorno, gli hanno sparato in pieno centro.» Solleva gli occhi a me «Tu sai cosa devi fare, solo che hai paura»

Quanto veramente siamo disposti a rischiare per qualcuno?
Quanto valore ha la vita delle persone che ci circondano, per noi?

«Io...non posso aiutarla. Non ho fatto altro che complicarle le cose.»
«E se aiutarla significasse solo starle accanto? Sai, anche io avevo paura quando Josèf  scelse quella vita. Avevo paura quando si drogava, avevo paura di non riconoscere più mio figlio, ma la verità è che io ho avuto paura di esserci, di aiutarlo. Le persone cambiano Gabriel, ma solo se hanno un valido motivo per farlo e qualcuno che ci sia a ricordare perchè lottano»
Sarei stato un buon motivo per Cécile? 
«E se non fossi il suo buon motivo? Se a questo gioco, l'unico preoccupato per lei fossi io? E poi...lei mi ha chiesto di sparire»
Socchiude le palpebre sorridendo tiepidamente «Non puoi saperlo» Fa una breve pausa e si accomoda sul bracciolo di una poltrona «A volte, siamo noi a non essere dei bravi ascoltatori e quando loro se ne accorgono, quando chi ha bisogno se ne accorge, tende a scacciarci. Un po' per sfiducia ed un po', perché temono per noi»
Se lei mi avesse allontanato per questo? Se avesse avuto paura...per me?
«Io devo...» mi sbatto le mani sulle tasche del pantalone e poi mi guardo intorno svariate volte alla ricerca del mio cellulare. 
«Devo cercarla. Io devo cercarla» corro verso l'uscita della veranda.
                                                                                           Cécile.
Morirò qui? Se avessi un'emorragia interna o qualcosa del genere, sicuramente, morirei qui.
Non mi piace affatto l'idea di farlo in un parcheggio specie- 
Mi volto verso il sedile posteriore -con lei.
Margherita ha perso i sensi crollando svenuta nella mia auto.
Certo che al peggio non c'è mai fine, per davvero.
«Merda!» tiro un pugno al volante. Adesso come cazzo risolvo questo problema? Mi ha vista li dentro. Mi ha vista- armata- li dentro, ed ha sentito il nome di Gabriel uscire dalla mia bocca e, poi ancora, quello di Marcus. Sospiro schiacciando la testa indietro sul sedile.
Dannazione!
Brrr Brrr
Il display del mio cellulare si illumina ad intermittenza per un paio di volte.
Lo afferro svogliatamente e sblocco lo schermo.
Perdonami. 
Le mie palpebre si spalancano sempre di più mentre leggo lettera per lettera quel primo sms.
Ti ho lasciata sola quando, invece, tu avevi bisogno e nonostante ciò, ti sei preoccupata per me.
Non capisco perché mi stia scrivendo queste cose, ma sento gli occhi inumidirsi.
Ma sai che c'è? Non voglio più aver paura e non me ne frega niente se continuerai a cercare di tenermi fuori. Io ci sono. Io voglio esserci e so che tu hai bisogno di me.
Pagherei qualsiasi cosa pur di dirgli che non è così, ma la verità è che -è fottutamente così- ho bisogno di lui. Ora, ma anche più in la.
Io ho bisogno di Gabriel Fontès tanto quando ho bisogno dell'aria che respiro.
Digito velocemente sulla tastiera.
 Trentesima strada, RedFlow Motel. Sono nel parcheggio.
Spengo il display del cellulare e lo lancio sul sedile.
Finirò per rovinare l'ennesima vita,come sempre...ma questa volta, mi spezzerà il cuore.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Delle volte le cose succedono. Succedono e basta. Non puoi farci niente. Ma è ciò che fai dopo che conta. Non conta ciò che succede, ma come decidi di reagire.
                               (Jay Asher)

                                                                                   Gabriel 13.
Non ho mai avvertito tante emozioni e tutte insieme fino a che Cécile non è piombata nella mia vita.
Uso il termine "piombata" perchè, ogni volta che ripenso a lei, mi viene in mente una grossa bomba sganciata, chissà da dove, che mi piove addosso dal cielo esplodendo ed inglobandomi nel suo caotico frastuono.
Cècile è una bomba. Una bomba ad orologeria o forse una mina antiuomo.
Si, se dovessi scegliere, se questo fosse un videogioco, lei sarebbe sicuramente l'artificiere dotato di mine antiuomo.
Le stesse che usa per tediarmi ed allontanarmi da se. Le trappole in cui, inevitabilmente, cado ogni volta.
«Accelera»
«Lo sto facendo»
Come ora. Come questa sera.
Per tutto il tragitto mi ripeto che averle scritto è stato un errore madornale.
Ma se non lo avessi fatto? Se non avessi ceduto a miei sentimenti, lei non mi avrebbe inviato l'indirizzo, non mi avrebbe fatto capire che è nei guai.
Ho l'impressione che il petto non riesca a gonfiarmisi a dovere mentre usciamo dalla zona centrale della città per addentrarci nella periferia ad ovest.
Mantengo lo sguardo fisso alla strada.I tergicristalli sbracciano sul vetro del parabrezza arrancando sotto la pesantezza dell'acquazzone che si sta abbattendo sulla città.
Le pupille, per qualche istante, si incantano a fissare il loro movimento meccanico seguendoli, mentre il cervello modella ogni sorta di pensiero: dal più angosciante, al più catastrofico.
«Trentesima, Ruby» sollevo il braccio verso l'incrocio alla nostra sinistra «Gira qui.»
Che cosa può averla spinta a mandarmi un indirizzo? La zona è periferica e non credo che lei sia avvezza a frequentarla.
Mentre nel mio petto accresce sempre di più la sensazione angosciosa che possa esserle capitato qualcosa di terribile, incrociamo quello che da lontano sembra un Motel.
Poco dopo, il neon rosso ad intermittenza appare fra svariati palazzi bassi ed anonimi.
Posso sentire lo stridere dei miei muscoli, quando ho piena coscienza del fatto che la paura per ciò a cui potrei assistere si è insinuata sotto pelle.
Ruby entra fra i due muretti divisori alti solo pochi centimetri addentrandosi in un parcheggio che troviamo semi-vuoto. Poche auto, su cui la violenta pioggia balla una sorta di Requiem funereo e martellante.
L'impala di Cécile è ferma nell'oscurità. La luce dei lampioni alle nostre spalle che non arriva a sfiorarle la cappotta.
Trattengo il fiato fissandola, mentre Ruby rallenta sempre di più fino a fermarsi.
«Sei sicuro di quello che stai per fare?» 
Non rispondo subito. Riesco solo a mantenere lo sguardo sull'Impala di Cécile.
«Gabriel!» Ripete a voce più alta Ruby facendomi sussultare.
Ci sono degli uomini in divisa che stanno facendo dentro e fuori da una delle tante porte, stipate una dietro l'altra, del motel.
Che cazzo è successo?
«Perché c'è la polizia?» mormoro, non riesco a scandire bene le parole.
«Non lo so, ma ascolta» poggia il palmo della mano sul mio braccio e mi fissa dritta negli occhi «Qualsiasi cosa sia successa, se la tua amica ti ha detto di venire qui significa che si è messa nei guai. Gabriel, non si torna indietro. Se resti qui, non potrò aiutarti con i tuoi genitori»
Mi verrebbe da chiederle perché mi ci ha portato qui, se poi è contraria.
«Ho deciso di aiutare una persona.» Separo la cintura di sicurezza dal gancio e mi tiro sulla testa il cappuccio.

Si è veramente pronti per i cambiamenti?
Siamo pronti ad affrontarli?

«Gabriel-»
«Grazie di tutto Ruby» Scendo dall'auto senza voltarmi indietro.
Probabilmente, no.
Ma dobbiamo abituarci. 

In un momento di distrazione di un agente, riesco a correre sotto la pioggia e a raggiungere il sedile sul lato passeggero dell'Impala calandomici dentro.
Certi cambiamenti, dobbiamo accettarli per forza.
«Sei venuto.»
Perché sono frutto del destino.
«Ho detto che voglio esserci»
Si, proprio come gli incontri.
«Ho fatto un casino» 
Proprio come il giorno in cui ho incontrato lei.
Fa un cenno con gli occhi verso il sedile posteriore.
«Ma quella...»
Mi fissa con aria colpevole.
«Mi dispiace» 
Era destino che finisse sulla mia strada.
Ed era destino che la mia vita cambiasse.
Ma il destino è strano, perché è ovvio che la mia vita sarebbe cambiata, di certo però, non che fosse proprio lei a farlo accadere...sembra assurdo.

«Che diavolo è successo Cécile?!».
Le emozioni mi offuscano i pensieri e basta poco per farmi gridare.
Quando lo faccio, la vedo rannicchiarsi nelle spalle. Le palpebre che le si sollevano per poi riabbassarsi velocemente e lo sguardo che si adagia su un punto qualsiasi fra noi.
«Cosa hai fatto?» Torno a fissarla. Devo avere una bufera dentro gli occhi perché non ha il coraggio di guardarmi.
«Io...» 
Ho capito che era sbagliato starle dietro, dal primo giorno in cui ho sentito la sua voce, eppure, sembra che per qualche strana circostanza non ne possa fare a meno.
E se lei non si lasciasse aiutare affatto?
Se stessi tentando invano di salvarla da se stessa?

Ma poi, perché devo salvarla?
«Volevo che ti lasciassero in pace»
Allargo il palmo della mano verso il parabrezza «Ci sono dei poliziotti in quella camera di motel!»
Al momento, vorrei scendere e correre verso casa.
«Lo so. Li vedo.» Borbotta cercando di mettersi dritta sul sedile.
Ha dolore. Ogni movimento che fa la costringe a serrare i denti o strizzare le palpebre.
«Ti hanno picchiata?» Domando più calmo.
Proprio non riesco a vederla soffrire.
«Picchiata...Non proprio.»
                                                                                         Cécile.
Hanno tentanto di uccidermi per meglio dire. Ma che glielo spiego a fare? Non fa altro che urlare ed agitarsi. Ha troppa paura per potermi stare a sentire. Per poter capire il perché del mio gesto.
«Ascolta, portami a casa. Sei libero di andartene dopodiché» Mi sembra l'idea migliore.
Perché averlo fra i piedi se non riesce ad essermi d'aiuto?
«A casa?» Solleva entrambe le sopracciglia. Ha l'aria furibonda «Hai bisogno di andare in ospedale, non a casa!»
Cristo è veramente testardo ed insopportabile. Perché diavolo non fa quello che gli chiedo? E perché, nonostante tutto, non riesco ad urlargli come qualche mese fa?
«Non posso andare in ospedale. Non ci arrivi proprio?»
Sbatte le palpebre confuso. E' così ingenuo. Mi fa tenerezza l'idea che non si aspetti veramente nulla da me e che ogni volta che scopre un mio malfatto, cada dalle nuvole. Ma dove ha vissuto fin'ora? Nelle favole?
«Infatti, ti ho chiesto cosa hai fatto.» Allaccia entrambe le braccia al petto.
Mi aspetto di vedere un broncio... No, non lo fa.
«Giuro che ti racconterò tutto, però ora ho veramente bisogno di tornare a casa»

                                                                                             Gabriel.
Un'ora dopo, sono lungo le scale del palazzo dove abita Cécile.
«Ce la fai a salirle?» Domando a Margherita. Ha ripreso i sensi, ma sembra ancora scombussolata.
Ha dato di stomaco ben due volte dopo essersi destata da quella sorta di perdita di coscienza e non fa altro che ripetere fra le labbra che non doveva succedere.
Succedere...cosa?
E' possibile che non abbia il diritto di sapere?
«Si» risponde in un filo di voce.
Le ho prestato il mio cardigan ed il cappotto. Era tutta intorpidita dal freddo persino la pelle aveva incominciato a perdere di colore.
«L'appartamento è al quarto piano» Affermo dal basso della tromba delle scale.
«Tu invece?» Volto lo sguardo alla mia sinistra, verso Cècile.
Annuisce ma la vedo notevolmente in difficoltà.
Riusciamo a salire qualche gradino ma decido di cingerle il busto con un braccio per aiutarla.
«Cazzo!» 
«Che ti prende?» Noto che ha appoggiato il piede destro per poi fermarsi di colpo.
«E' il ginocchio.» Non voglio accettare l'idea che potrebbe avere persino qualche osso rotto. Il solo pensiero fa si che la rabbia mi divori.
«Aspetta» Mi chino cingendole anche le gambe.
«E' imbarazzante» mormora aggrappandosi al mio collo.
Se lo trova imbarazzante lei, figuriamoci io che ho le sue labbra ad un palmo di naso.
«Sei fortunata. Non pesi affatto»
Procedo sui gradini senza problema.
«Perché se fossi stata grassa?»
«Probabilmente, ti avrei lasciata li su quel gradino»
Sghignazza tossendo appena «Che stronzo.» Scosta il viso dalla mia spalla e mi fissa «Nah, non lo avresti mai fatto. Ti saresti fatto uscire un'ernia piuttosto» Torna a poggiare la guancia sulla mia spalla.
«Già, forse hai ragione»
Le sento sospirare un sorriso «E' questo che mi piace di te»
Non è più imbarazzante averla fra le braccia, ma l'idea che abbia potuto sentire il cuore perdermi un battito per poi accelerare come una Ferrari.
E' questo che le piace? 
«Siamo arrivati» Dice poi sollevata, cercando di scendere.
«Sta ferma, ti porto in camera»
Margherita ha lasciato la porta spalancata ma non c'è all'ingresso.
«Non c'è bisogno che mi porti in camera.»
Sospiro. Sono abbastanza testardo da non starla a sentire almeno per questa volta.
Mi faccio strada verso la sua stanza e scosto l'anta in un gesto rapido e impacciato al tempo stesso.
Non c'è luce all'infuori di quella che proviene dall'ingresso che, per quanto sia vicino alla stanza, non riesce ad illuminarne un granché.
«Ok, è fatta» sospiro appoggiandola sul materasso.
Allungo una mano verso il pulsante dell'abat-jour e finalmente ci vedo.
«Grazie».
Non ricordo di averle mai sentito dire grazie, almeno non in questo modo.
Non con gli occhi arrossati, non mentre sta male.
Esito per un istante, prima di darle una carezza sulla guancia.
Ho l'impressione di toccare un vaso di cristallo pericolante e di aver il terrore di farlo rompere, quando le sfioro la pelle. Accenna un sorriso.
«Dove vai?» 
«A prendere qualcosa per medicarti. Avete degli antidolorifici?»
«In cucina».
Un attimo prima di uscire dalla sua stanza torno a voltarmi «Forse dovresti chiamare Jace.»
Si rabbuia velocemente.
«So che preferiresti non dire nulla, ma-»
«Lo farò. Lo chiamerò adesso.»
Sollevo l'angolo della bocca perché a sorriderle, ora, non ci riesco.
                                                                                                            **********
Attraverso il piccolo corridoio e sento dei conati provenire dal bagno.
Possibile che Margherita stia ancora male?
«E' permesso?» Busso ma apro ugualmente la porta.
La trovo china accanto al WC. La testa metà dentro, metà fuori dalla tazza.
«Tutto ok? Stai ancora vomitando?»
Annuisce appena. Sembra stremata.
Guardo verso la stanza di Cécile. Credo che possa aspettare un momento.
Mi chiudo la porta dietro le spalle e mi avvicino a Margherita.
«Che stai-» Incredula mi guarda chinarmi accanto a lei e raccogliere i suoi ricci foltissimi in una coda improvvisata.
Le guance le si fanno ancora più rosse.
Immagino che si stia vergognando tantissimo, ma non dovrebbe. Capita a tutti di stare male, specie dopo...
«Sei così gentile Gabriel.» accenna con la voce rotta «Se solo sapessi cosa ho fatto».
Prima che io riesca a risponderle ha un altro conato.
Volto la testa di lato e per un momento rimpiango di non essermi fatto gli affaracci miei.
«Gli ho sparato.» Margherita riacquista subito la mia attenzione ed il mio sguardo.
«Ho sparato al padre di Marcus» confessa in lacrime.
Non venirlo a sapere sarebbe stato meglio?
«Sp-Che cosa?!» Le lascio andare i capelli e senza nemmeno rendermene conto sono di nuovo in piedi.
Si tira su con la schiena pulendosi con il dorso della mano le labbra.
«Lui ha aggredito Cécile ed io- Oddio! Io gli ho sparato» Scoppia a piangere a dirotto stringendosi le spalle e chinandosi fino a toccare terra con la fronte.
Vorrei cercare di consolarla. Vorrei poter fare qualcosa, qualunque cosa, ma sono pietrificato. Paralizzato da quella frase.

Gli ho sparato.

«Margherita, stai dicendo sul serio?» 
«Si. Io- Io non...» cerca di dire senza riuscire a proseguire.
Ecco perché Cécile si è spinta fino al punto di mandarmi quell'indirizzo.
La porta alle mi spalle si apre lentamente.
C'è sempre stato un retropensiero, qualcosa che mi sfuggisse. Ma non credevo che fosse qualcosa di così grosso. E non intendo solo questa sera, ma in tutti i mesi di frequentazione con Cécile.
«Ti rovinerà la vita.»  «Non devi frequentarla»
                                                         «Ho bisogno di te.»   
«[...], stai facendo l'errore più grande della tua vita.»
                                             «E' questo che mi piace di te»

Una schiera di frasi buttate li a caso pulsano nella mia testa una dopo l'altra.
Mi manca l'aria, mi sembra di soffocare.
«Avete ucciso un uomo?!» Grido a Cècile.
Il mondo mi gira attorno.
«Gabriel ti posso spiegare» 
«Spiegare?!» Mi prendo i capelli fra le dita «Spiegare?!» Scoppio in una risata isterica. Fra le lacrime.
Cécile fa un passo avanti ed allunga un braccio verso me, mentre con quello libero si mantiene al vetro della doccia.
«NO. Non ci provare!» la indico «Non provare ad avvicinarti» Mi sposto verso il lavandino e fisso entrambe «Nessuna delle due!»
Com'è possibile che il tempo continui a scorrere? A me sembra che tutto si sia fermato attorno a questo bagno.
Non sento neanche il rumore delle vetture in strada.
Le uniche cose che distinguo sono quella voce odiosa e gli occhi di Cécile mentre mi parla.
«Se solo ti fermassi un attimo. Se riuscissi a farti spiegare com'è andata...»
«Sta zitta. Sta zitta. Sta zitta!» 
Hanno ucciso un uomo. Non c'è nulla da spiegare.
Cazzo, quanto fa male.
Si, fa male scoprire che certe persone non puoi far altro che lasciarle uccidersi con le proprie mani.
«C'è un motivo, Cristo!» Grida.
«E quale sarebbe?!»
«Volevo che Buonuà e Marcus ti lasciassero in pace. Ma dovevo...Dovevo impedire a Jace di metterti in mezzo» Afferra la maniglia della porta chinandosi leggermente con il busto in avanti, ansimando per una fitta.
«Jace?»
Cécile mi ha ingannato per tutto questo tempo.
«Che c'entra Jace!?» Insisto.
«Si trattava di quattro consegne» Mormora cercando di riprendere fiato lentamente.
«Dovevano essere solo quattro fottute consegne. Ma lui deve sempre esagerare»
In un battito di ciglia ripenso a Raul e Victor. Mi sono stati così addosso nell'ultimo periodo.
«Dovevo solo convincerti ad aiutarmi. Ce l'avrei fatta da sola.»
Ovattato sento il chiavistello della porta blindata aprirsi e tanti passi invadere la casa.
«Dovevi convincermi...come?» Mi trema la voce.
Cècile solleva lo sguardo. Sembra sul punto di piangere ma non lo fa.
E' troppo orgogliosa.
«Facendoti innamorare di me»
Il bagno si riempie di volti conosciuti.
Jace, Drake, Victor, Raul, Cindy.
«Mi dispiace Gabriel. Mi dispiace veramente» Mi concedo un momento di debolezza e la guardo dritta negli occhi. Me ne pento subito.
Ha pianificato ogni mossa, ogni parola, ogni sguardo, ogni messaggio, e lo sapevano tutti tranne me.
Persino Cindy.
Non mi sono mai sentito così. Preso in giro, umiliato. Sono un coglione.
Cécile se ne sta li impalata come se non mi avesse appena rovinato la vita, come se non mi avesse umiliato davanti a tutti.
Come se non contasse nulla ciò che sento per lei.
«Amico» prova a dire Jace. Non lo voglio sentire.
Mi sento in una gabbia piena di coccodrilli.
Voglio solo andarmene.
«Gabriel...» La voce di Cécile fa si che il mio cervello ripristini il collegamento con la bocca «Come hai potuto farmi una cosa del genere?»
Faccio pena. Ne faccio a me stesso, figuriamoci a loro.
Non riesco a non piangere e la voce tremante e strozzata non aiuta.
«Ho sbagliato, ecco perché questa notte volevo rimediare»
«Hai sbagliato?! Hai sbagliato?!» strillo. «Dimmi perché? Perché proprio io?»
«Ci serviva una faccia pulita. Sono stato io a fare il tuo nome» Jace fa un passo avanti sotto lo sguardo incerto di tutti. «Non prendertela con Cécile. Ha capito subito che metterti in mezzo era un errore.» Dice, ma lo sguardo di lei, che lo fissa sollevando le palpebre incredula, racconta tutt'altro.
Mi piacerebbe credere che sia così come dice, ma so che non lo è.
Sento la rabbia stringermi la gola. «Lo avresti fatto veramente? Mi avresti illuso?» Mi rivolgo  nuovamente a lei.
Gli occhi colpevoli rispondono al posto suo.
Mi passo le mani fra i capelli.
Com'è possibile che riesca a portarti alle stelle, a farti fare una cazzata dietro l'altra e poi a farti sprofondare in un abisso infinito, così?
«Mi dispiace Gabriel. Ho capito tardi che mentre tentavo di farti innamorare, quella che incominciava a provare qualcosa di vero ero io.»
La sua smorfia di dolore mi da una tremenda sensazione di rivincita, ma non basta.
«Sei disgustosa»
Le labbra le si increspano e le ciglia le si imperlano di lacrime in un istante.
«Adesso basta, te ne stai passando» Protesta Drake cercando di avventarsi contro me.
 Jace lo afferra per un braccio bloccandolo.
«Gabriel, so che per te ora non è facile. Però ci sei dentro, più che mai. Perciò, a prescindere da Cècile, ti chiedo a nome di tutti di aiutarci.»
Sbatto le palpebre allibito. Fa sul serio?
«Abbiamo bisogno di tirare fuori ogni persona che vedi dalle grinfie di Bonuà, anche se è morto. Anzi, ora che è morto i problemi si moltiplicheranno-»
«Te lo scordi! Sei forse impazzito? Perché dovrei aiutarvi?!» Protesto.
Aggrotta la fronte stringendosi fra due dita l'attaccatura del naso come se stesse cercando di mantenere la calma «Perché gran parte di ciò che è successo è anche colpa tua.»
«Siete voi che mi avete obbligato a colpire Marcus con i vostri inganni! Sapevate ciò che provo per Cécile!»
L'ho ammesso. Ho ammesso che provo qualcosa per lei.
Non ho il coraggio di guardarla.
«Si è vero, ma sei tu che hai sferrato quei pugni, non noi.» ribatte come se soddisfatto della sua deduzione.
Mi sento in trappola.
«Non voglio che sia messo in mezzo» interviene nuovamente Cécile.
Jace le lancia uno sguardo indecifrabile ma lei sembra restare impassibile.
«Dubito che ci sia altro modo»
Lei bastona lo sguardo. Il viso che le si storce in una smorfia di disappunto e rabbia. Spinge via gli altri e si trascina in camera sua sbattendosi la porta alle spalle.
Non mi intenerisce più. Non mi interessa se ora si sia resa conto di star male per me. Io non voglio più vederla.
«Sei con noi o contro di noi, Gabriel?»

      Quando si effettua una scelta, si cambia il futuro.
                               (Deepak Chopra)             
          

«Aiutaci ad uscirne ti prego» avanza Cindy con aria supplichevole «Tutte le persone che vedi qui dentro, non hanno un futuro»
Mi guardo attorno. Guardo i loro occhi.
Davvero la loro vita dipende da ciò che deciderò di fare?
«Non sarai mai solo. Non permetteremo che ti accada nulla.»
E se questo portasse la mia a dipendere da qualcuno per sempre?



 
Note: Mi scuso in anticipo per eventuali errori. Siete invitati a farmeli notare liberamente.
Buona lettura.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


         Era come se il mondo avesse improvvisamente smesso di girare. Come se la gente intorno a noi fosse scomparsa. Tutto dimenticato. Era come se nel mondo intero quei pochi minuti fossero stati creati soltanto per noi, e noi non potessimo fare altro che guardarci l’un l’altra. Era come se lui vedesse il mio volto per la prima volta.
(Cecilia Ahern)
                       

                                                                                                  Gabriel 14.
«Dai, Gabriel soltanto un altro», mi sussurra Lola all'orecchio.
Ho già bevuto una quantità spropositata di birra e quello che mi sta offrendo ora è il quarto di una serie di shot, e so che se ne berrò ancora finirò per essere totalmente ubriaco. Da un lato sarebbe bello dimenticare i miei problemi, ciò che ho scelto di accettare. Ma devo restare lucido.
«Vuoi che ce ne andiamo?» biascica lei.
Dove dovrei andare? Sono passati venti giorni dalla notte di Capodanno. Non pensavo che sarei riuscito a sopravvivere a quel momento. A quelle venti lunghe giornate senza poter parlare con Cècile.
Quando è andata via da casa di Jace, senza nemmeno voler sapere cosa ho scelto di fare, sono rimasto seduto sul pavimento della stanza accanto alla sua tutta la notte. Non è tornata, neanche nei giorni a seguire.
Jace ha tentato, la sera stessa, di spiegarmi com'erano andate realmente le cose.
Ovviamente, senza risultato.
Perché sai che c'è, Cécile? Non volevo spiegazioni da Jace, le volevo da te.
Volevo...sentire di nuovo quell'ammissione. Vera o falsa che fosse.


Nonostante sia passato del tempo, il fantasma di quella sera continua a perseguitarmi: in quello che faccio, in quello che dico, nei comportamenti che ho.
Ogni immagine è ben impressa nella mia memoria e...Cazzo, pagherei per poter dimenticare tutto.
«Dove vorresti andare?»
Lola sa di erba e whisky. Avrei una mezza voglia di portarmela in bagno e scoparmela, solo perchè so che posso. E' già successo giorni fa, quando quello stronzo di Raul mi ha convinto a farmi tatuare. Il risultato? Ho un enorme serpente Maori stampato sull'avambraccio sinistro e mi sono scopato la mia tatuatrice.
Non credo che questo mi faccia onore, ma per lo meno, il peso dei miei pensieri è venuto meno per una notte.
«Dove preferisci» Ammicca un sorrisetto sornione sfiorandomi la spalla con la sua.
Tutto un tratto il divano di questa confraternita mi sembra troppo scomodo per entrambi.
«Coraggio Gabriel, sai che posso fartela dimenticare» Si sporge verso il lobo del mio orecchio e mi regala un breve bacio sul collo.
«Cosa?» le chiedo mentre la sua mano si insinua fra le mie cosce.
«La ragazza di cui mi parlavi qualche sera fa.» Le ho parlato di Cécile?
«Ah...di quella...» ritraggo la coscia attirandomi un'occhiata perplessa da parte sua.
«Ascolta, dimentica quella sera, ok?» Non sono certo di averle raccontato tutto, ne di averle svelato che mi riferissi proprio a Cécile, ma nel dubbio...
Lola mi fissa piegando la testa da un lato.
«Ok, non tutta la serata. Solo la parte dove parlo di-»
«Gabriel, Lola, vi state divertendo?» Raul piomba in mezzo a noi costringendoci a separarci.
«Abbastanza» Risponde in una risatina lei.
Non capisco come sono riuscito a finire in questa situazione. In tutta, questa situazione.
«Sono contento.» Raul sposta lo sguardo a me «Era ora che questo ragazzo si riprendesse un po'».
Non era questo il modo che avrei adottato ma fa lo stesso...
«Posso rubartelo un attimo?» Lola annuisce e lui mi fa cenno di seguirlo fra la massa di ragazzi alticci che invade la stanza.
La musica rimbalza da una parete all'altra rimbombando e ci mettiamo un po' per trovare un posto più tranquillo.
«Che c'è?» Domando monocorde sfilando dalla tasca il pacchetto di sigarette ed accendendone una.
«C'è stato un cambio di programma. Andiamo sulla Sesta Avenue a ritirare un pacco.» 
Sollevo lentamente le palpebre e lo fisso. Di colpo il cuore mi è salito in gola.
«Non avevamo detto che le consegne le avremmo iniziate il mese prossimo?»
Raul tracanna un sorso dalla birra che stringe fra le mani spiandomi oltre l'orlo del bicchiere.
«Si chiama cambio di programma apposta»
Perfetto. Non ero pronto a vivere a casa sua, figuriamoci a fare una consegna senza preavviso.
«Non fare quella faccia, amico! Passiamo a prendere Drake, ci penserà lui per questa volta»
Mi sento leggermente consolato dal fatto che non si tratti delle famose quattro consegne, ma bensì di un lavoretto extra -anche se non era nell'accordo.
«Ti servirà per fare pratica» conclude.
Termino la sigaretta inalando quanto più fumo possibile.
Sono in fibrillazione e non nel senso buono della parola.
«Partiamo subito?» Domando seguendolo a ritroso verso la stanza principale.
Fa spallucce «Avevi altri programmi?»
«Oh no...assolutamente» borbotto con una leggera punta di sarcasmo.
Affondiamo i primi passi nel salotto principale ed incontro subito Lola che probabilmente ci stava cercando essendo sola.
Appoggia una mano sulla mia spalla e mi sporgo fino a che riesco a sentirla meglio.
«Andate già via?» strilla cercando di sovrastare il baccano.
«Si. Ma ci sentiamo dopo ok?»
Sorride entusiasta e ricambio allo stesso modo.
«Andiamo latin-lover» mi richiama all'ordine Raul.
                                                                                                      **********
Qualche isolato dopo siamo sotto casa della bionda che ho visto la prima volta, nella stanza del dormitorio, assieme a Drake.
«Da quando convive con lei?» mi sporgo dal finestrino per osservare meglio le uniche finestre da dove è visibile la luce accesa, sulla facciata del palazzo.
«Un po'»
Non avevo idea che Drake e Cècile si fossero lasciati. Ne tanto meno che lui convivesse proprio con la sua scopamica.
«Finalmente fratello!» Raul tira fuori la testa dal finestrino inveendo con tanto di braccio sollevato.
Drake appare ai miei occhi nell'esatto istante in cui le mie orecchie avvertono il trillo di un citofono che sblocca il portone del palazzo.
E' avvolto in un parka verdone, alle mani un paio di guanti di pelle tagliati sulle falangi.
«Che cazzo di freddo boia!» Si cala nell'auto facendola oscillare.
Appena chiude lo sportello, Raul mette in moto.
«Hai letto il messaggio?» Chiede il messicano sollevando gli occhi allo specchietto retrovisore per intercettare il biondo.
«Si, si tratta di qualche chilo. Giusto?»
Perché rabbrividisco quando sento parlare di chili, roba e via dicendo?
Drake si sporge verso noi appoggiando gli avambracci uno per sedile e mi fissa con aria spavalda «Allora damerino, ti senti pronto?» 
Sogghigna facendosi passare la pallina del piercing arpionato alla sua lingua fra i denti.
«Certo che sono pronto» ringhio borbottando.
Si rigetta all'indietro a braccia incrociate facendo scendere silenzio in auto. Silenzio, che Raul spezza inserendo una pennetta USB nell'apposito scomparto, facendo partire brani a caso e di ogni genere.
La Sesta Avenue non è molto lontana. Dobbiamo superare due grandi viali alberati ed un incrocio a forma di T, prima di raggiungerla. Questione di minuti.
«Avete mai pensato a cosa faremo dopo?» Dice Raul di getto, attirandosi la nostra attenzione.
«Mh, credo che metterò su famiglia» risponde ironico Drake sollevando appena lo sguardo dallo schermo del suo cellulare.
Il messicano scuote la testa sghignazzando.
«E tu?» si rivolge poi a me lanciandomi un'occhiata veloce.
Che razza di domanda strana. No, non ci ho pensato.
«Ecco...»
«Se ne andrà da qualche parte con Cécile» Interviene di nuovo il biondo. 
Perdo un battito.
Raul guarda me, poi lo specchietto retrovisore.
«Aspetta, Cécile e tu...» Sembra allibito dal fatto che io e la sua ex non stiamo affatto assieme.
Scuoto la testa «Lasciamo perdere questo discorso per favore.» Anche perché non ho la minima voglia di parlare proprio con lui di Cécile.
Ancora, nonostante non stiano più assieme, provo una sorta di gelosia. Anzi no, di invidia. Si, sono invidioso del fatto che lui sia riuscito a starci insieme per quasi più di due anni ed io...Io sia stato raggirato e basta.
«Ma poi, ora che ci ripenso...La notte di Capodanno dov'eri? Non hai assistito alla litigata?»
Fa spallucce «Con lei sono all'ordine del giorno.»
Provo ad immaginare loro due che litigano ma non ci riesco.
Sollevo le palpebre sospirando e sto per rispondere qualcosa a riguardo quando una luce abbagliante travolge me e l'auto di Raul.
Veniamo sbalzati fuori strada ed il susseguirsi del riecheggiante frastuono delle gomme che stridono sulla strada sovrasta persino le nostre grida.
L'auto volteggia su se stessa un paio di volte senza separarsi dall'asfalto.
Raul fa appena in tempo a sterzare prima di finire contro una delle tante piante a bordo strada.
Quando riusciamo a fermarci dalla testata della vettura incomincia ad uscire una voluta spessa di fumo bianco. C'è puzza di bruciato e ferro, ovunque.
«State tutti bene?» Boccheggia il messicano sollevando la fronte dallo sterzo.
«Credo di si» 
Drake si solleva dal sedile. Ha una ferita a pochi millimetri dalla tempia ma sembra star bene, per quanto, sia decisamente confuso. Si tocca l'escoriazione e subito noto che incomincia ad uscirgli copioso del sangue.
«Tutto bene?» Mi affretto a chiedergli.
«Non è questo il problema ora.» Risponde secco facendomi cenno di guardare verso il mio finestrino.
Anche Raul sembra guardare nella stessa direzione.
Infatti, quando mi volto, scopro che il vero problema è in quella geep dai vetri oscurati che continua a puntarci i fari addosso.
«Chi cazzo c'è in quella macchina?» Chiedo preso dal panico. Vorrei uscire ma lo sportello dal mio lato è totalmente incurvato indentro.
«Non lo so, ma dobbiamo tagliare la corda» Si affretta a dire Raul cercando di riaccendere l'auto. Gira ripetutamente la chiave. Non va.
Il motore continua a fare calzetti per diverse volte, mentre, dall'altro canto, quella che adesso ha preso le sembianze di un toro inferocito, ha il motore rombante e sembra pronta a venirci nuovamente addosso.
«Con un cazzo di parafanghi del genere ci ridurrà in poltiglia.»
Avrei una lista infinita di motivi per cui qualcuno potrebbe cercare di ucciderci e tutti mi portano a quella sera.
In che razza di storia si è cacciata Cécile?
La geep riprende la sua corsa e torna a sbatterci contro. Questa volta, prende in pieno un lato sulla parte posteriore.
Miracolati, l'auto riparte appena un momento dopo e Raul riesce, con una manovra degna di un pilota di Rally, a rimettersi in corsia, sfrecciando.
«Maledizione! Maledizione!» Drake si sporge verso il portabagagli «Ci sta dietro!»
«Chi cazzo sono? Chi cazzo sono!?» grido.
Mi tirano i capillari negli occhi. Ho voglia di vomitare.
Svoltiamo fra una strada e l'altra, superando la Sesta Avenue, ignorando la consegna e correndo come se non ci fosse un domani.
«Gabriel, chiama Jace» ordina il moro.
«Ok, ma non ho-» si tira fuori dalla tasca il cellulare maldestramente e per quanto gli tremano le mani, quasi non lo fa cadere. «Chiama Jace ho detto!» Me lo sbatte addosso e pigia sull'acceleratore.
«Eccolo!» Grida Drake abbassandosi di colpo e proteggendosi la testa con le mani.
La vettura dietro di noi ci tampona un'ennesima volta ma Raul riesce a mantenere il controllo.
«Spera che basti la benzina» dico e mi porto l'apparecchio accanto alla guancia dopo aver trovato il numero di Jace.
                                                                                                    *********
«Come sarebbe a dire che vi hanno inseguito?»
Dopo svariate telefonate, siamo riusciti a contattare il musicista, seminando la geep e riuscendo a trovare una piazzola di sosta.
«Si, abbiamo dovuto prendere la statale per seminare quella dannata geep»
«Maledizione» La voce di Jace, oltre la cornetta, sembra più preoccupata che mai.
«Raggiungetemi a casa.»  Conclude riagganciando.
                                                                                                     **********

E ti sembrerà di affondare in un mare pieno di squali e senza uno scoglio al quale aggrapparti. E ti sentirai incompreso, solo. E capirai che nessuno tiene a te. Capirai che in questo mondo siamo dei pupazzi di stoffa che camminano e basta, che si bagnano quando piove e che volano via al primo soffio di vento forte.

«Siete arrivati.» Salgo l'ultima rampa di scale dopo Drake e Raul.
Tremo ancora come una foglia e mi sembra strano che riesca persino a stare in piedi.
Ma quando raggiungo l'uscio dell'appartamento di Jace sento un unico sguardo su di me.
Non credevo di rivederla in questa circostanza. Cécile è immobile, un passo oltre il limite conferito fra zona notte e ingresso del suo appartamento. Il viso scavato da una sorta di angoscia, le palpebre spalancate.
«Chiudete la porta.»
 Stavo pensando che sono diventato più coraggioso di ciò che credessi. Insomma, sono appena sopravvissuto ad una geep che ha tentato di farci fuori.
«Dite che sia opera di Marcus?» Anche ora che siamo seduti attorno a questo tavolo e li sento ipotizzare il nome del colpevole, mi dico: sei forte.
Lo sono perché devo. Perché se non lo fossi, verrei inghiottito per sempre da questa storia.
Solo ora ho capito che non se ne esce fuori.
«Sicuramente se non è stato lui, sarà stato qualcuno sopra Bonuà. Qualcuno a cui interessava molto il suo business e la sua presenza.»
«A chi mai interesserebbe un cazzo della sua presenza?» fa contrariato Drake mentre Cindy si occupa della sua ferita.
«Potrebbe interessare a qualche mittente delle consegne.» 
Jace si volta verso Victor che però continua a mantenere lo sguardo basso nel suo bicchiere di birra.
«Già...In ogni caso, dato che Marcus è uno dei principali sospettati di questa faccenda, proporrei di stargli dietro.» Afferma tornando a guardarci.
«Che vuoi dire?» Chiede allarmata Cècile.
«Tornate all'università. Seguite i suoi spostamenti e nel frattempo noi continueremo ad organizzare ciò che ci siamo lasciati alle spalle, compresa la consegna di questa sera.»
Cécile si butta indietro con la schiena sullo schienale della sedia, l'espressione disturbata e le dita che stringono il tappo di una bottiglia tanto che potrebbe ferirsi i polpastrelli con il bordo seghettato.
«E' una follia» afferma fra le labbra rivolgendosi al musicista.
«Concordo. Non ho affatto voglia di rivedere la sua faccia» aggiunge Margherita timidamente.
«So che non è piacevole per entrambe, tanto meno per Gabriel, ma...Non pensate che tutti si siano chiesti che fine avete fatto? Perché dopo gli episodi al dormitorio siete spariti tutti?» Fa una breve pausa e sposta lo sguardo a Drake «Vale anche per te.»
Il biondo serra i denti e distoglie lo sguardo.
«Non voglio mettere in mezzo Ambra.» Afferma con una certa decisione.
«A maggior ragione se per un po' le stai lontano, le faresti solo un gran favore.» Tenta di spiegare Jace. E' abbastanza convincente perché, dopo qualche minuto, Drake accetta.
«Agiremo in questo modo...» Ci fissa uno ad uno «Tornerete alle vostre vite, parteciperete alle lezioni, alle feste, ma baderete anche a controllare Marcus, Allison e le possibili persone che frequentano. Tutto con un occhio di riguardo per voi stessi e per gli altri. Vi coprirete le spalle a vicenda.» Guarda me ed il biondo «E vale per tutti.» 
Storco le labbra. Nulla del suo piano mi convince e non solo a me.
Anche Cècile sembra preoccupata e Margherita è ancora da convincere del tutto.
                                                                                                               *********
Il discorso si conclude dopo poche domande che vengono porte da Raul e Victor.
Ci alziamo tutti.
«Che ne dite di tornare a casa per questa sera?» Propone il messicano.
«Si, sono d'accordo» Afferma Drake.
Sto per decidermi a lasciare l'appartamento quando noto Cindy e Jace che, allontanandosi dal resto del gruppo, parlano concitatamente.
Lei, che di solito ha il viso radioso anche nelle peggiori situazioni, ora è un fuoco. Sbraccia e qualche volta il tono della sua voce si fa più acuto, tanto che Jace la trascina per un braccio verso il bagno.
«Mi aspettate? Torno subito.» Dico a Raul e Drake. Sono certo che non mi seguiranno dato che sono in compagnia degli altri.
Mi avventuro verso il breve corridoio. La luce è spenta, ma basta quella che proviene dell'ingresso per indirizzarmi verso la porta chiusa del bagno.
«Sai benissimo che li stai esponendo ad un rischio troppo grande!»
«E cosa vorresti fare? Lasciare tutto in mano di Cècile? Ci vuoi tutti morti?»
«Vorrei che per una volta non ti prodigassi per lei, ma pensassi a me!»
«Oh, per l'amor del cielo! Cindy, sai che lo faccio per noi. Voglio che tutto questo finisca il prima possibile solo per stare con te!»
Mi appoggio alla lastra lignea solo per sentir meglio le loro voci.
«Chi pensi che sia il mandante di quella spedizione punitiva?» domanda Cindy.
C'è un momento di silenzio, poi è sempre lei che torna a parlare «E' lei? E' lei, vero?»
Lei? Lei chi?
«Victor lo sa?»
«No, ma credo lo immagini.»
«Che fai? Origli?» Trasalisco volandomi di scatto.
Cécile è immersa nella penombra con le braccia incrociate e mi fissa.
«No. Mi stavo assicurando che non ci fosse nessuno.»
«Appoggiato in quel modo?» sbuffa sarcastica dirigendosi verso la porta di camera sua ed abbassando la maniglia.
«Voi avete un'idea su chi sia il responsabile, non è vero?» la seguo a passo di marcia dentro la stanza.
«Scusa, dov'eri fino ad un quarto d'ora fa?» si muove per la camera nel chiaro tentativo di evitare me e il mio sguardo.
«Adesso basta!» Mi sbatto la porta alle spalle «Mi sono rotto il cazzo di te, di voi tutti e dei vostri stramaledetti segreti! Sai dove mi hanno portato i vostri giochi del cazzo?» L'afferro per un braccio costringendola a voltarsi verso me «A vivere a casa di un tizio che manco conosco. Ad essere vivo per miracolo dopo che una fottuta geep ci ha mandati fuori strada! Dimmi il nome della persona che ritenete responsabile.»
Ciò che mi irrita di più è che non si scompone affatto.
Schiude le labbra per dire qualcosa ma le esce solo un sospiro snervato.
«Dannazione!Continuerai a tenermi come una pedina? Cos'ero prima di questo?!» La lascio andare e nel farlo, mi scappa di spingerla leggermente «Una valvola di sfogo?! Ti sei divertita ad usarmi come un burattino del cazzo?!»
Avrei voglia di afferrare la prima cosa che mi capita e frantumargliela davanti.
Le do una spinta. Una spinta vera che la fa arretrare di un passo. E' la prima volta che mi succede. Io non la toccherei mai.
«Avanti Cécile! Ammettilo, è stato divertente mettermi in mezzo come un povero coglione.»
E' questione di un battito di ciglia.
Cécile solleva un braccio e la sua mano si schianta sulla mia guancia. 
Per la prima volta le vedo scendere una lacrima.
Mi pietrifico.
Ho voglia di piangere, infatti, mi trema un labbro. Non è per lo schiaffo, ma è perchè mi sono appena reso conto di ciò che è in grado di tirarmi fuori Cécile. Il peggio.
«Cosa vuoi che ti risponda? Vuoi sentirti dire che sei stato usato così puoi autocommiserarti? Oppure, decidi di accettare le cose per come sono?»
«E come sono?» Ringhio.
Abbassa lo sguardo come se sperasse di poter evitare la risposta.
«Non era in programma tutto questo. Volevo solo avere un flirt con te. Lo trovavo divertente.» 
Stringo i denti.
«Ma poi, le cose mi sono sfuggite di mano. Tutte- le cose.»
Non so cosa fare, non riesco a far altro che pensare a quella lacrima e alla rabbia che mi divora.
«Non volevo accettare che quella che doveva essere una semplice scappatella mi avrebbe portato a lasciare il mio ragazzo, a tradirlo e poi il macello con Jace e gli altri...Non credevo che sarebbe successo tutto questo. Che sarei riuscita a provare qualcosa di vero»
Tutta l'aria si concentra nel mio petto, soffoco.
«Farei qualsiasi cosa per poter tornare indietro nel tempo. Per tornare ad essere due sconosciuti, Gabriel. E so che lo vorresti anche tu-»
Qualcosa di vero...
«Ma non si può e mi dispiace che ti sei trovato in mezzo a questa storia, ti prometto, però, che troveremo un modo per farla finire.»
Mi esplode la testa. L'accolgo fra le mani lasciandomi ricadere indietro, sul materasso, a sedere.
«Sai cos'è buffo?» 
Torno a sollevare lo sguardo verso lei.
«Che nonostante tutto, anche se ora ci odiamo...Siamo ancora qui a parlare, a cercare di capire...»
Si inginocchia poggiando una mano sulla mia gamba destra e fissandomi con un strano sorriso appena accennato sulle labbra. Ha ancora gli occhi gonfi e la voce le trema leggermente.

A volte il treno sbagliato, ti porta alla stazione giusta.
(dal film The lunchbox)

Lascio scivolare via dal mio viso le mani.
«Io non...» inizio, ma è difficile finire «Non ti odio. Non ci riesco»
Le sue palpebre fanno un piccolo scatto verso l'alto.
«E' solo che non mi piace la persona che divento quando sto con te» ammetto in un filo di voce.
«Chi diventi, quando stai con me?» I suoi occhi miele mi scrutano aspettando la risposta.
«Una persona che non voglio essere. Una persona violenta,fragile...una persona disposta a sbagliare...»
«Sai chi diventi, invece, secondo me?» fa girare il pollice sul mio ginocchio e devo sforzarmi per restare concentrato.
«Chi?»
«Te stesso. Credo che tu sia esattamente ciò che vedono i miei occhi. Una persona altruista, buona e pronta a fare di tutto per le persone a cui tiene»
Sembra così sincera, così convinta delle sue parole che per un attimo mi dico che posso crederle.
Lascia scivolare via la sua mano da me ed ecco che torna a rabbuiarsi «So che mi credi una brutta persona... ma mi fai...» si interrompe «Lascia perdere»
«Mi fai? Cosa? Finisci la frase.»
Il modo in cui le si illuminano gli occhi quando mi guarda, il modo lento in cui schiude le labbra, come se ogni parola dovesse contenere una bugia o una verità, tutto, mi induce ad aspettare la risposta.
«Tu...mi fai venire voglia di essere una persona migliore. Voglio cambiare per te.»
Devo aver capito male. Sono certo che tutto ciò che sta succedendo non abbia il minimo senso. La cosa peggiore è che ne sono letteralmente risucchiato.
La fisso confuso «Che hai detto?»
«Mi hai sentita»
«No. Di sicuro ho capito male...Cosa vuoi fare?»
Solleva gli occhi al cielo e mi aspetto che si sollevi da terra, ma non lo fa.
«Dico sul serio. E' per questo che non riesco a starti troppo lontana. Tu mi fai sentire strana, Gabriel. Sono sentimenti che non conosco. Mi stordiscono e...ho cercato di ignorarli...».
Ho cercato anche io di negarli...
«So che mi sono comportata come una stronza, ma la verità è che avevo paura.» 
Abbassa lo sguardo e fa per alzarsi come se rassegnata da tutta quest'ondata di eventi.
«Peccato che non funzionerebbe comunque, fra di noi...» conclude con la tristezza di un filo di voce.
Odio che conferisca a noi quel limite.
Di getto le afferro un braccio. Non aspetto che mi dica qualcosa, non mi interessa.
La bacio. 
Molti credono che le emozioni vadano ignorate se sbagliate. Io trovo che non esista emozione o sensazione sbagliata se forte dentro noi e che tutte, vanno seguite anche in piccola misura.
Cécile barcolla per un momento e si appoggia alle mie spalle.
E' la prima volta che le vedo le pupille così larghe. 
Solleva un ginocchio appoggiandolo accanto a me sul materasso. «Gabriel» sospira fra un bacio e l'altro. Ho il riflesso di separarmi da lei e lo faccio. Se lo aspettava.
«Io non voglio una relazione ora come ora»
«Che significa che non vuoi una relazione?» 
Ecco che tutto torna a distorcersi nella mia testa. E' come se Cècile fosse in grado di farmi vivere una grossa illusione costantemente.
«Non voglio dare un'etichetta a noi due.»
Sbuffo. Vorrei scacciarla da me e alzarmi. Resto fermo ma volto lo sguardo.
«Vuoi i benefici e nessuna responsabilità»
Scuote la testa «Vorrei solo che tu fossi consapevole del fatto che le cose si fanno con la calma. Non voglio svegliarmi domani e ritrovarmi in una storia, non è il momento»
«Non voglio essere il tuo giocattolo, soprattutto se mi tratti male.»
«Non lo sei.»
Vorrei che non mi facesse quest'effetto. Vorrei poterle dire che questo genere di cose non fa per me. Che io sono per le situazioni stabili, vere.
Ma poi mi sfiora una guancia obbligandomi a guardarla negli occhi.
«Se non sei convinto di quello che provo. Se preferisci che esca dalla tua vita, lo farò» sussurra.
«No, non voglio che tu lo faccia.»
Torna a baciarmi.
Con lei è tutto semplice e complicato al tempo stesso...
Di punto in bianco, i miei sensi si accendono in maniera del tutto diversa. Ora, posso sentirla su di me. 
I pensieri che lentamente mutano. Maledico quel jeans troppo stretto ed avvinghiato alla sua carne, quando, sono le mie mani che la bramano. 
Odio questa felpa che le nasconde le forme.
Odio che non sia nuda su di me.
«Non pensare mai più che ti sto usando» ansima.
«Cécile, fra le cose a cui sto pensando in questo momento, questa è proprio l'ultima»
Sorride e gli occhi le brillano.
Mi sfiora il viso con le dita. Le nostre labbra che si cercano disperate.
«Dimmi che mi vuoi...» mormoro.
Per tutta risposta, Cécile scavalla da me tornando dritta in piedi. Gli occhi che non scappano dai miei. Intercetta il bottone del jeans scuro e lo separa dall'asola.
Merda. 
E' così bella.
Il tessuto scuro le scivola lungo le gambe e con un movimento veloce, anche il paio di Converse viene tolto.
Fa un passo verso me facendosi spazio fra le ginocchia. Non posso far altro che osservare ogni suoi movimento, impotente al cospetto di tutto quello che è, e che vorrei farle.
La tiro a me.
I suoi baci sono tutto ciò che speravo di ricevere. Così attesi, disperati.
«Mi sei mancato» mormora sulle mie labbra.
Anche lei mi è mancata, come l'aria. Ma qualcosa in me è cambiato. Se prima credevo che starle accanto fosse sbagliato per Sara, ora, credo che sia sbagliato e basta.
E' una sensazione contrastante: volerla e volerla lontana da me.
Mi scoppia il cervello. Ho bisogno di questo. Devo averla e lei, con il suo modo di fare, mi ha messo di fronte una scelta ben chiara: andare avanti o finirla per sempre.
Ma se non cercassi di frenarla...
Le sue mani piccole, dalle unghie laccate di nero, mi sbottonano i jeans e li tirano giù. Smetto di pensare razionalmente quando lo fa, non  sono lucido. Ho perso la ragione per questa ragazza e lei ne è pienamente consapevole. E le piace. Se ne approfitta.
«Aspetta...». Non voglio veramente che smetta, ma sento di dover opporre almeno un po' di resistenza, per alleviare il senso di colpa. Sono stato con un'altra ragazza, ho rubato la verginità alla mia ex sparendo e ora...
«No...Non aspetto. Ho aspettato già abbastanza» replica con una certa decisione allungandosi su di me.
Mi blocca i polsi sulla testa. Sono in trappola.
Non riesco a fermarla, non ce la farei neanche se volessi. Ne ho bisogno e lei ha bisogno di me.

Siamo come il buio che incontra la luce: la perfezione del caos.

Si solleva con la schiena restando a cavalcioni su di me e si sfila la felpa. Resto rapito, quasi inebetito, a guardarla. Scopro che sotto l'indumento non ha alcunché. E' come se fosse sempre stata pronta a questo momento.
Lo è lei, la sua pelle, il calore che emana.
Abbassa gli occhi su di me prima di tornare a tormentarmi le labbra.
Sembra un angelo e un diavolo allo stesso tempo, così dolce e così dannatamente sporca.
                                                                                             Cècile.
Non è così che immaginavo la prima volta fra di noi. Ho fantasticato spesso su come sarebbe stato fare sesso con Gabriel e tutte le volte, ho sempre immaginato qualcosa di estremamente pulito, diverso.
Ma ora ho così troppa voglia di lui che non me ne frega niente delle altre persone sparse per la casa, ne di Raul che lo ha già chiamato un paio di volte al cellulare.
«Cos'hai?»
Scuoto la testa «Nulla.»
Essere nuda sopra di lui è qualcosa che ho desiderato per mesi ed ora...Ora, per la prima volta ho paura.
Credevo di aver preso così tanta confidenza con il mio corpo che niente e nessuno avrebbe potuto farmi titubare in una situazione del genere. Nessuno tranne Gabriel.
Mi sento una ragazzina alle prime armi, è la prima volta che mi succede.
Sono su di lui da un paio di minuti, non riesco nemmeno a baciarlo. Paralizzata ecco come mi sento.
Gabriel mi scruta ancora una volta.
«Se ci hai ripensato...» Prova a dire con il solito timbro di voce imbarazzato.
Poggio l'indice sulle sue labbra e mimo un no «Volevo accertarmi che non ci fosse nessuno dietro la porta» dico.
Accenna un sorriso divertito.
Afferro la sua felpa. Con un movimento della schiena mi aiuta a togliergliela. 
Finalmente, siamo alla pari. Entrambi nudi e disarmati.
                                                                                            Gabriel.
Cécile sospira un istante prima di sollevarsi dal mio inguine ed aiutarmi ad entrare dentro lei.
Getta la testa all'indietro e si abbandona completamente alla passione, e io con lei.
Affondo le dita nella pelle morbida dei suoi fianchi. La disperazione che provo all'idea che questo momento potrebbe finire troppo velocemente mi disarma. Domani come sarà? Come si comporterà?
Geme e per un momento ho l'impressione che abbia pronunciato il mio nome.
Ho bisogno che lo ripeta. Ho bisogno che mi senta,che mi senta fino in fondo, e che le piaccia sentirsi rivendicata.
Lei deve essere mia. Lo doveva essere molto tempo fa.
La sua pelle coperta di tatuaggi riluce di sudore, il suo seno dondola mentre spinge le anche verso me. Le catturo i seni con entrambe le mani ed il suo respiro si fa ancora più affannoso.
Ancora qualche spinta e la sento sciogliersi sopra di me...è meraviglioso.
Si sporge verso il lobo del mio orecchio, le guance arrossate, il fiato corto.
 «Vieni per me» sussurra.
Le afferro i fianchi facendola girare finché non sono sopra di lei. 
Le sue iridi miele si incastrano con le mie e mi basta guardarla per sentirmi esplodere. 

                                                                                               *******
                                                                                                 Cècile.
Mi accascio di fianco a lui. Ho ancora i muscoli tesi e mi gira la testa, ma non mi sono mai sentita così felice in tutta la mia vita come in questo preciso momento.
 «Come...ti senti?» mi volto verso lui sospirando una risatina. Ha il viso sconvolto e rilassato al tempo stesso, e i suoi occhi sono meravigliosi. Più del solito.
 «Shhh, non dobbiamo parlare» fa scacciando l'aria con una mano. Sta sorridendo.
Sposto lo sguardo al soffitto.
 «Che stronzo! Sedotta ed abbandonata.» Ride di cuore ora.
 «Ok, non voglio essere stronzo- per questa sera.A cosa stavi pensando?»
Faccio spallucce.
 «Al fatto che tutto questo doveva succedere».
Ruota il viso verso il mio profilo. E' confuso.
 «Oh, e adesso non incominciare a screditare le mie teorie sul destino, per favore» sollevo una mano a mezz'aria.
Ridacchia.
 «Non avevo affatto intenzione di farlo» le sue dita mi accarezzano il polso, esattamente, li dove nasce il tatuaggio che rappresenta i segni zodiacali. Li guarda.
 «Ho incominciato a crederci anche io. Forse, c'entra veramente il destino »
Sono sbalordita.
Sospiro un sorriso e torno a fissarlo scostandogli una ciocca di capelli dalla fronte   «Quindi perché, invece di litigare, non diamo la colpa a lui?»
Sbatte le palpebre.
 «Si, insomma...Tu ed io siamo colpa del destino e così tutto ciò che ci capita»
 «Tu ed io siamo colpa del destino» ripete ridacchiando  «Mi piace»
                                                                                                 *********
 La nostra relazione, o qualunque cosa sia, si è trasformata completamente in un solo istante.
All'improvviso sono diventata tutto ciò che avevo il terrore di diventare. E' lui ad avere il controllo.
Può fare di me la donna più felice del mondo o distruggermi con una sola parola.

E so che mi distruggerà.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Ho avuto un istante di grande pace. Forse è questa la felicità.
(Virginia Woolf)

                                                                                    Gabriel 15.
Un raggio di sole mi accarezza una guancia. Ho caldo, sotto queste coperte si soffoca, ma non ho nessuna intensione di aprire gli occhi. Nella mia testa sono ancora avvinghiato a Cècile e mi sta baciando. E' la sensazione di calma e serenità più bella provata da un bel po' di tempo a questa parte.
Sento le molle del materasso abbassarsi e risollevarsi. E' lei? Si è svegliata? 
Ancora con il dubbio che la notte precedente sia stata solo un sogno, decido di sollevare una palpebra sola. Ciò che vedo è una stupenda sagoma snella nascosta sotto un'ampia T-shirt nera -la mia- che si muove verso la porta della stanza.
Mi sfugge un sorriso. La consapevolezza che sia stato tutto reale è ancor meglio del sogno che stavo facendo.
Attimi dopo, Cécile torna in stanza con due tazze fumanti strette fra le mani.
E' strano che abbia sollevato la serranda, in tutti questi mesi non gliel'ho mai visto fare.
Ha sempre preferito vivere in penombra.
«Sei sveglio...» mormora con un sorriso dolce stampato sulle labbra. Appoggia le due tazze sul comodino e sale sul materasso di ginocchia.
Mi volto a pancia in su e finalmente incontro il suo sguardo.
«Dormito bene?» domanda abbassandosi sui gomiti. Ho il suo viso così vicino...
Mi toglie il fiato: la sua bellezza, la dolcezza che ha nello sguardo in questo momento, come mi parla.
«Ho dormito beni-bene, grazie». Mi sollevo a sedere, lei mi segue con lo sguardo.
«Anche io. Era un bel po' che non dormivo così» ammette. Si ritrae con la schiena, si volta ed afferra una tazza per poi porgermela.
«Caffè di prima mattina...Questo si, che mi è mancato» A casa di Raul non si beve caffè a meno che non sia io a farlo. E solitamente, torno troppo sfatto per mettermi a preparare del caffè decente.
Afferro la tazza ispirando l'aroma che emana e faccio un sorso. Lei fa lo stesso e non smette di fissarmi mentre trangugia il suo caffè.
Potrei scommettere che sta sorridendo con le labbra incollate alla ceramica tiepida, mentre mi osserva bere.
Restiamo a guardarci come due lupi affamati, giocando a provocarci con gli occhi, finché, uno dei nostri due cellulari non squilla: il mio.
Sollevo le spalle facendole capire che sono più incerto di lei su chi possa essere.
Cerco l'apparecchio fra le coperte e quando lo trovo e leggo il nome impresso sul display mi si stringe lo stomaco.
Porgo a Cécile la tazza «Torno subito». Scendo dal materasso in fretta e raggiungo il bagno chiudendomi la porta alle spalle.
«Pronto?»
«Gabriel...»
Mi appoggio con la schiena alla lastra di legno dietro di me e socchiudo le palpebre.
«Mamma...»
Perché proprio ora? Perchè in venti giorni, ha pensato di chiamarmi solo ora? Non poteva farlo quando mio padre mi ha mandato il messaggio che mi escludeva per sempre da casa loro?
«Mi manchi Gabriel. Voglio che torni qui» dice tutto d'un fiato. La voce rotta da quello che diventerà pianto a breve.
«Ricordi? Mi avete cacciato e poi, ho già detto a papà che sarei rimasto via.»
La sento singhiozzare. «Non puoi mandare tutto all'aria per una ragazza. Sara è in pensiero per te. Tutti i messaggi e le chiamate che ti ha fatto- che ti abbiamo fatto- non hai risposto mai...»
«Non avevo motivo di farlo.»
So che sto arrecando dolore a mia madre e non vorrei, sul serio, ma non posso tornare indietro.
«Rivoglio mio figlio!» Grida nella cornetta in lacrime.
Mi si stringe il petto.
Potrà avere mille difetti, ma mi ama e questo non potrà mai cambiare.
«Mamma, non rendere tutto più difficile» provo a dirle «Ti assicuro che sto bene»
«Non so nemmeno dove dormi. Perché non mi fai venire da te? Magari a pranzo...»
Mi passo una mano sul viso. Odio sentirla così disperata, implorarmi di vederla.
Ma non capirebbe. Non capirebbe Cécile, questo posto, gli altri.
«Ti prometto che presto ci rivedremo» le dico.
La sento soffiarsi il naso.
«Basta che mi dici dove, io correrò sempre da te»
Mi mordo un labbro. Mia madre mi manca. Non pensavo di arrivare a dirlo, ma mi manca sul serio.
Da quando le cose sono cambiate è come se anche una parte del mio rapporto con lei lo fosse.
«Grazie...mamma. Ti voglio bene»
                                                                                        *******
Quando torno in stanza, il buon umore che avevo appena sveglio è svanito del tutto. Ma non sono l'unico a cui è venuto il broncio.
Cécile è in piedi accanto alla finestra, le braccia incrociate e l'aria di una che me ne sta per cantare quattro.
«Che hai?» le chiedo arricciando un labbro. Vederla così...mi secca. Non è proprio il momento.
«Chi era?» ignora la mia domanda passandomi sopra con il tono della voce come un carrarmato.
«Era-» aspetta, perchè dovrei starmi a confidare con lei? Mi ha mai raccontato qualcosa di suo? Esclusa la storia di sua sorella, sono venuto a sapere i fatti suoi dagli altri.
«Nessuno. Non era nessuno» Torno verso il comodino, afferro il mio caffè ormai stiepidito e mi sdraio sul letto al posto suo.
«Ha a che fare con quello?» indica il mio avambraccio sinistro.
«Eh? Cosa...NO!» Come diavolo...
«Pensavi che non mi fossi accorta di quel tatuaggio? Chi te lo ha fatto?» aggrotta la fronte.
Mi sollevo a sedere, la tazza a mezz'aria davanti a me.
«Aspetta, come cavolo hai collegato questo a qualcuna?»
Alza le spalle.
«Conosco le amicizie di Raul. Tutto qui.» Sbuffa muovendosi verso la scrivania.
«A prescindere dal fatto che, NO, non c'entra nessuna. Che diavolo ti importa di chi mi ha tatuato?E poi, perché dovrei dirti il nome di chi mi chiama?»
Si volta di scatto «Che diavolo mi importa?» solleva gli occhi al cielo e fissa il soffitto con uno strano sorrisetto, poi, torna a fissare me «Sul serio?»
«Ehy, ehy» abbandono la tazza e mi alzo «Dacci subito un taglio. Non ho proprio voglia di litigare per queste cazzate»
Il suo viso è il ritratto del fastidio e...mio Dio, mi sta facendo una scenata di gelosia!? 
Non riesco a credere che questa sia la Cécile che mi ha fatto dannare per mesi interi.
«Ok, hai ragione.» Apre un cassetto a sfila un pacchetto di sigarette sigillato «Non mi importa, non sono affari miei» solleva entrambe le mani in aria per poi lasciarsele ricadere lungo i fianchi e abbandona la stanza a passo di marcia.
«Cécile!» la seguo «Cécile, aspetta».
Che diavolo le prende? Perchè fa così?
                                                                                      Cécile.
Perchè faccio così?
«Lasciami in pace!»
Perché quando ho visto quel tatuaggio, questa notte, non gli ho dato peso ed ora, dopo quella chiamata, ho dato di matto? Infondo, non so neppure chi c'era dietro la cornetta.
Mi chiudo la porta del bagno dietro le spalle ed esattamente in faccia a Gabriel.
«Cazzo Cécile! Possibile che ogni volta devi fare la pazza?»
Ha ragione. Possibile che debba sempre esplodere in ogni mia manifestazione?
Tiro un bel respiro e scarto il pacchetto mentre lui è ancora dietro la porta che tenta di parlarmi.
«Maledizione, l'accendino...»
Sapete qual è il momento peggiore durante una situazione del genere? Voler evitare qualcuno perché si è in torto ed essere costretti ad incontrare i suoi occhi. Proprio come ora, per quel dannato accendino.
Ho bisogno di fumare, di calmarmi.
Cazzo. 
Giro la chiave ed abbasso la maniglia. Lo sguardo alle punte scalze dei miei piedi.
«Si può sapere che ti prende?» Mi è ad una spanna e non riesco a guardarlo in faccia.
«Non lo so.» Una cosa però riesco a farla: riesco a darmi la risposta al perché di questa reazione.
Ho paura che lui, dopo avermi soggiogata, possa sparire ancora. So che è in grado di farlo e se prima andava bene, dato che tutto era ancora nebuloso e confuso attorno a me, ora, sarebbe una catastrofe.
Gabriel sospira e senza che possa rendermene conto mi ritrovo le sue mani sulle guance.
«Certo che sei veramente strana Pestillo» Sollevo lo sguardo solo dopo aver sentito la sua voce tornare ad essere dolce.
Lo scruto e vedo il sorriso che mi aspettavo.
«Sono un'idiota delle volte, scusami».
Mi stringe a se «Decisamente.» 
Sghignazza.
«Grazie.»
«Di cosa?» si separa da me trattenendomi per le spalle.
Lasciare che mi fissi così mi fa andare a fuoco il viso.
«Di...essere tornato da me» Distolgo lo sguardo in fretta.
Sorride affettuosamente «Ho promesso di esserci»
                                                                                       ********
                                                                                       Gabriel.
12:00
«Hai preso tutto?» Carico l'unico scatolone che ho nel portabagagli dell'Impala di Cécile, assieme al mio borsone.
«Non avevo molto con me» Affermo un attimo prima di chiudere il portellone.
Faccio il giro della vettura e mi calo dentro.
«Sono certa che a Raul mancherai» dice girando lo sterzo verso la strada e guardando oltre il suo finestrino.
«Oh, certo. Sono convinto che non avere più un pupazzo da strapazzare lo farà soffrire parecchio».
Ridacchia.
Secondo Jace dovremmo tornare alle nostre vite, a ciò che c'era prima di questo momento, con la consapevolezza di avere un piede nel futuro ed uno nel passato.
Dobbiamo seguire Marcus ed Allison, stargli alle calcagna affinché questa serie di "avvertimenti" poco amichevoli abbia fine. Non la trovavo un'idea eccezionale all'inizio e la trovo pessima ora che sono diretto nuovamente al campus.
«Come la metterai con i tuoi genitori?» domanda mentre cambia stazione radio. 
«Ho detto loro che userò il mio fondo Universitario e che finito quello troverò un lavoretto» In realtà ho chiamato Ruby per informarla del fatto che avrei usato i risparmi che i miei genitori hanno messo da parte per me per concludere l'anno all'università, peccato però, che quella cifra sul conto basti a malapena per il semestre.
Annuisce mugolando qualcosa.
«Tu?»
«Io cosa?» gira l'angolo e ci ritroviamo nei pressi del campus.
«Tornerai a studiare, si?»
Volta lo sguardo a me e le ballonzola sulla faccia un'espressione furba e sorniona al tempo stesso «Paura di non vedermi?»
Sospiro una risatina.
«Comunque, si. Tornerò a studiare e poi...Non posso lasciare te, Drake e Margherita soli e sulle tracce del figlio di uno spacciatore morto»
«Odio che mi ricordi questo dettaglio» borbotto.
«Eccoci qua»
Non faccio in tempo a poggiare il gomito accanto al finestrino che è già ora di scendere.
Ho un mucchio di sensazioni strane nel petto. Un po' di malinconia, qualche ricordo e poi quella brutta sensazione di pericolo.
Cécile estrae dal portabagagli il mio scatolone ed io afferro il borsone dei panni.
«La tua stanza è sempre quella che avevi» afferma «Le ho controllate questa mattina»
«Tu-mi spaventi. Giuro»
Fiera, si dirige verso la mia vecchia stanza ed abbassa la maniglia. E' aperta, che Drake sia già arrivato?
Senza aspettarmi un granché, mi dirigo verso di essa e scendo il borsone dalla spalla ancor prima di entrare.
Ecco, quel borsone piomba a terra in men che non si dica, quando scopro che la stanza è occupata da Margherita.
«E tu che ci fai qui?» le chiedo del tutto allibito.
Cécile sembra, stranamente, sin troppo tranquilla. Poggia lo scatolone ai piedi del mio letto e si volta a guardarci.
«Non me la sentivo di tornare in stanza con Allison» dice la riccia.
Comprensibile, ma perché proprio con me?
«Emh, ok e Drake?»
«Ha preso una stanza singola. E' due porte dopo la nostra»
«Capisco»
Trascino il borsone fino al letto e mi siedo.
«Quindi...» C'è un momento di soggezione che non nascondo «Da oggi sarà così?»
Cécile fa spallucce. Infondo lei questo genere di situazioni tormentate le conosce bene.
«Spero che durerà poco tutto questo» dice l'altra.
Lo spero anche io. Veramente.
«Io vado via.» Cécile si muove verso la porta «Ho una lezione fra qualche minuto»
Dimenticavo che alcuni corsi non li ho in comune con lei.
«Ci vediamo più tardi» Annuisce e si allontana.
«Tu non hai corsi?» Margherita fa menagement aziendale e non ha praticamente mezzo corso in comune con me. Probabilmente, ha già saltato un numero infinito di lezioni comprese quelle di questa mattina, ma forse qualcuna, ora, potrebbe tenerla lontana da questa stanza. Mi farebbe un favore. Ho bisogno di riflettere.
«No, fino alle 15 sono libera.»
Dall'incidente di Capodanno, con lei non ho parlato più. Poche frasi gettate qua e la durante le "riunioni" ma nulla di più, però, mi sono reso conto che quella notte l'ha segnata parecchio. Non è più la stessa.
«Che ne dici se mangiamo qualcosa insieme?» Tanto che non posso stare solo, almeno, passo il tempo.
«Ci sto» sorride timidamente.
Abbandoniamo la stanza per raggiungere il Waves. E' l'unico posto che conosco nei paraggi del campus e tutto sommato fa della carne buona.
«Mi mancava un po'...tutto questo» Afferma lei mentre attraversiamo la strada.
«Intendi la vita da universitari? Anche a me...un po'»
Mi infilo le mani nelle tasche. Questa mattina il sole sembrava scottarmi, mentre ero nascosto sotto il piumone, ma ora proprio si gela.
«E' stato un bel cambiamento»
«Puoi dirlo forte, Gabriel» Spinge la porta e le campanelle tintinnano.
Il locale è semi-vuoto per cui troviamo posto in fretta.
«Che prendi?» 
Margherita solleva il menù davanti al suo viso e si perde nelle righine scure delle pietanze.
«Pensavo della carne arrosto o un Cheesburger» dico senza affrettarmi a scegliere il piatto fra quelli proposti.
«Allora prenderò la stessa cosa che prendi tu» abbassa il menù sorridendo.
                                                                                                    *******
«Sai Gabriel, la prima volta che ti ho visto non mi sembravi così simpatico» Margherita addenta il suo doppio Cheesburger con voracità.
«Be' se ti può consolare non ti trovavo affatto simpatica neanche io.»
Fa il broncio ma le passa in un attimo.
Afferra la Coca-cola davanti a se e manda giù un bel sorso corposo.
L'osservo per un attimo prima di addentare il mio panino.
«Scusa se quella volta ti ho baciato. Non faccio così-» si zittisce come se avesse riflettuto su quelle sue stesse parole e si fosse resa conto di qualcosa. Qualcosa di spiacevole, perché la sua fronte si corruccia vistosamente.
«E' tutto ok?» provo a chiederle allungando il viso verso lei.
«Si è solo che...» Abbandona il panino nel piatto e raccoglie il tovagliolo per pulirsi le dita unte «Io non sono la persona che credi. Anche se Cécile mi ha trovata in quella stanza di Motel io-» la interrompo poggiandole una mano sulla sua.
«Non sono qui per giudicarti. Ma onestamente, sarei curioso di sapere il motivo per cui tu eri li»
Sento la sua mano irrigidirsi.
«Avevo bisogno di soldi. So che esistono mille modi per farne, ma-» scuote testa e spalle «Ero disperata. Mi avrebbero buttata fuori dall'università a fine Dicembre. Sono andata a letto con Marcus ed una volta finito...gli ho chiesto cento dollari, da quel momento è partito tutto»
Ha le guance rosse mentre ne parla.
«Sai, Marcus mi piaceva anche...»
Non so se si voglia giustificare o cosa stia pensando, ma non le fa onore ciò che ha fatto. 
«Ci sono mille modi, dici bene. Comunque è passato»
Le tremano le labbra « Come si fa a dimenticare di aver ucciso un uomo?» domanda in lacrime ma è quasi più una supplica a cui non c'è risposta.
«Io...» ritraggo la mano «Io non lo so.»
Deve essere un fardello atroce da portarsi sulle spalle. Nessuno merita di morire, tutti dovremmo avere il diritto di essere giudicati, condannati e di scontare in carcere le nostre pene.
«Una cosa però la so» mi faccio su con la schiena appoggiando un braccio alla panca in legno «Non sei sola e quel peso non è solo tuo. Puoi contare su di noi, su di me e Cècile, specialmente. E' il nostro segreto. Il nostro dramma»
Riesco a strapparle un mezzo sorriso mentre si asciuga una lacrima.
«Se non ci foste voi, sarei persa» dice in un filo di voce.
«Non sei sola».
                                                                                                *******
15:00
«Hai lezione ora?» Dopo pranzo abbiamo passeggiato per un pò. Prima verso il centro, poi in metro per tornare verso l'università ed ancora vicino al mare. 
«Si è anche abbastanza tardi» afferma guardando l'orologio sul suo polso.
«Ok, allora ti accompagno a prendere i libri» Non me la sento di lasciarla sola. Se dovesse incontrare Marcus?
Annuisce e sorride, ma è un sorriso strano. Tirato, dolorante. Si poggia una mano sullo stomaco e per un momento il suo sguardo si perde sull'asfalto.
«Ehy, tutto bene?» le poggio una mano sulla spalla cercandole il viso.
«No, in effetti non mi sento molto bene. Ho bisogno di un bagno»
Raul mi aveva detto che Margherita dalla notte di Capodanno aveva incominciato a soffrire di ciò che comunemente vengono chiamati attacchi di panico, che si chiude in bagno e piange o rimette per ore. 
«Ok, cerca di stare calma. Il campus è a due passi»
Acceleriamo verso l'edifico non lontano da noi. L'esterno pullula ancora di persone, ma fortunatamente nessuno incrocia il nostro sguardo. Il bello di questo posto è che le persone come noi, sono veri e propri fantasmi.
«Cerchiamo di fare in fretta» dice. La pelle ambrata le si scolorisce vistosamente passo dopo passo. Non so cosa le succeda poi, quando ha queste crisi e non voglio scoprirlo proprio nel cortile dell'Università.
Spalanco la porta dell'edificio e la guido verso i bagni condivisi.
Margherita ci piomba dentro correndo. Sento solo le porte saloon sventolargli alle spalle.
«Ok! Io vado a prenderti un asciugamano in caso ti volessi sciacquare il viso» dico a voce alta dall'esterno.
Anche se la risposta non arriva, decido comunque di raggiungere la nostra stanza per prendere quanto detto.
Mentre sto raggiungendo l'ala delle camerate mi perdo in mille pensieri, ma tutto viene spazzato via, quando mi rendo conto, abbassando la maniglia, che la porta della mia stanza è stata aperta.
Ricordavo di averla chiusa, anzi, Margherita mi aveva dato le chiavi per farlo.
Il cuore mi balza in gola in men che non si dica. Non so cosa fare sul momento. Chiamare Cécile? Informare Jace? Aprire e vedere chi c'è?
Non sento rumori, perciò, provo a separare l'anta. Dallo spiraglio scorgo il mio letto. E' ordinato. Sembra che nulla sia stato toccato dalla mia parte.
Ok Gabriel, un bel respiro.
Stringo i denti, il pugno della mano libera e mi costringo a spalancare la porta.
Non ci sono persone, ma c'è qualcosa abbandonato al centro del pavimento.
Una scatola. Blu, a forma di quadrato con un grande fiocco rosso allacciato intorno.
Che diavolo...
Faccio un passo e mi chino a raccoglierla.
Chi ha potuto lasciare un regalo proprio qui? E' per Margherita?
Provo a scuoterla. Dati i recenti avvenimenti, non mi sorprenderei se ci trovassi una bomba al suo interno.
Invece non sento ticchettii di nessun genere se non lo sbattere di qualcosa contro il cartone che la contiene.
Mi siedo sul materasso e decido di sollevare il coperchio.
Una pennetta?
C'è una pennetta USB all'interno ed un biglietto. A prima vista un foglio bianco strappato sul  bordo e scritto a penna.
Lo prendo e lo apro.
Non potete scappare. 
Il pezzo di carta mi trema fra le dita. Sento la fronte imperlarsi di sudore e d'improvviso ho anche la nausea.
«Tutto bene, Gabriel?» Sussulto voltandomi verso la porta. Margherita mi ha raggiunto prima che potessi farlo io.
«Devi leggere questo...».

Non sai che quello che ti tocca una volta si ripete? Che come si è reagito una volta, si reagisce sempre? Non è mica per caso che ti metti nei guai. Poi ci ricaschi. Si chiama il destino.
(Cesare Pavese)



Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


“[...] Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.”


                                                                                     Gabriel 16.
«Che cos'è?»
A Margherita tremano leggermente le ginocchia mentre si mette seduta accanto a me sul materasso nella nostra stanza di dormitorio.
«Non ne ho la minima idea...» 
Le sue dita olivastre si allungano verso il pezzo di carta che stringo fra le mie, le palpebre le si aprono come due ventagli irrigidendosi spalancate, mentre le pupille si perdono fra quelle poche, concise, terribili parole.
Non potete scappare.
NON POTETE SCAPPARE.
Una frase che, molto velatamente, nasconde il semplice e stillato concetto "Siete fottuti. Tutti quanti."
«Dobbiamo farlo vedere agli altri.» Affermo saettando in piedi.
«Hai ragione. Provo a chiamare Jace.» Sfila il suo cellulare dalla tasca e compone in fretta il numero del musicista.
Mi decido che l'idea migliore sia avvertire prima Drake che Cécile. Se dovessi dirlo prima a lei senza riuscire a contattare tutti gli altri, sono certo, che farà qualche cazzata colossale. Si, proprio tipo questa in cui ci ha cacciati...
Sospiro passandomi una mano sul viso. Sto facendo i chilometri su e giù per la stanza.
«Vado a cercare Drake» sbotto rivolgendomi a Margherita. Lei annuisce velocemente permettendomi di andare, prima ancora che Jace le risponda.
Esco dalla stanza attraversando quel breve tratto di corridoio che mi separa dalla camera del ragazzo.
Sono un fascio di nervi.
L'ipotesi che quel pacchetto possa esserci stato recapitato da un universitario al quale piace scherzare un po' troppo, è da scartare a priori.
Non ci sarebbe nemmeno un nesso plausibile con la frase scritta a penna.
No, non è un fottuto scherzo. 
In un attimo mi sembra di essere piombato in un baratro scuro senza via d'uscita. Mi sento sommerso, angosciato, terrificato.
«Drake! Sei in stanza?» Batto due colpi sulla lastra verde «Sei qui dentro?» e poi altri due.
Dove cazzo è finito?
Mi guardo intorno. Il corridoio è puntellato di sagome con gli zaini sulle spalle o i libri stretti sotto braccio, ma non vedo tatuaggi o capelli ossigenati.
Maledizione!
Percorro il corridoio a ritroso con falcate decise e pesanti. Mani in tasca e cappuccio sceso sulla testa, spio con lo sguardo volto per volto, angolo per angolo. Devo trovarlo, prima di Cécile.
Raggiungo il cortile esterno. I volti si moltiplicano. Sono travolto da tutti quegli sguardi. 
Come sono arrivato a questo? E' una domanda che mi ostino a pormi da un po'.
Mi serviva un cambio, volevo essere una persona nuova. Vi siete mai sentiti così? E' atroce.
Avevo il disperato bisogno di crescere, di tagliare quel cordone ombelicale che mi aveva tenuto stretto alle mie certezze per così troppo tempo che ora...Be' ora, pagherei per avere un ago e del filo abbastanza resistenti per cucire quello strappo.
Sono finito nella merda. Una merda che mi sta inghiottendo dalla testa ai piedi.
Mi trovo in un posto dove tutti, proprio tutti, possono essere la causa della mia dipartita. 

"Come se stessi affogando e nessuno ti lanciasse una corda."


«Non c'è! Dannazione! Non c'è!» Credo di aver alzato la voce imprecando, perché, un gruppetto di ragazzi si è voltato a guardarmi.
Per un nanosecondo mi pietrifico davanti ai loro occhi.
Le mie gambe si muovono prima di me. Torno dentro.
Come una lince raggiungo la mia stanza in men che non si dica.
Dobbiamo tornare da Jace o...Chiamare Cécile. A questo punto è inevitabile.
«Margherita. Drake non-» Sento il sangue scendermi ai piedi «Margherita!» Mi precipito su di lei. E' riversa sul pavimento. Sembra aver perso i sensi, il cellulare ancora stretto fra le dita delle mani.
«Cazzo, cazzo, Margherita!» Le sollevo la testa. Il suo corpo è tiepido mentre le guance sembrano essersi fatte di ghiaccio.
«Aiuto! Aiutatemi!»
                                                                                            *********
18:25.
«Dove cazzo eri finito!» Salto via dalla sedia del pronto soccorso, quando vedo Drake raggiungerci apparendo dietro la porta d'emergenza. «Ti ho cercato per tutto il dormitorio!»
«Ero impegnato» Mi guarda come se non mi vedesse e poi con una spallata mi sorpassa.
Trattengo il mucchio di imprecazioni che vorrei gridare.
Con me ci sono anche Jace e Cécile. Non ho detto nulla del pacchetto, del biglietto e della pennetta; a conti fatti, nemmeno Margherita ha avuto il tempo di farlo dato che Jace non ha menzionato affatto l'argomento.
Drake si accomoda su una sedia accanto al musicista. Cécile è seduta poco distante: le mani a coprirle il viso ed i gomiti inchiodati alle ginocchia.
Le loro espressioni, a differenza di come mi aspettavo, sono angosciate.
«Il tempo sembra non passare mai» Sospira il musicista.
Non è l'unico che lo pensa. Ho l'impressione che dalle tre del pomeriggio ad ora, il tempo abbia plasmato una dimensione secondaria distorta, lenta ed angosciante.
La porta d'emergenza torna ad aprirsi. Sono arrivati anche Raul e Victor.
«Non c'era bisogno che vi scomodaste» proferisco acido.
I due sollevano lo sguardo a me ed ingoiano il rospo senza rispondere nulla.
Alzo gli occhi sopra alla mia testa. C'è un grosso orologio circolare agganciato alla parete che divide gli ambulatori dalla sala d'attesa ed io non riesco a far a meno di contare i minuti che sono passati da quando l'ambulanza ci ha portati qui.
Ad un tratto una delle due ante che chiudono alla vista gli ambulatori si spalanca.
«I parenti di Margherita Santés?»
Faccio un passo avanti e di riflesso tutti gli altri si alzano in piedi.
«Siete dei famigliari?» Domanda con le labbra piatte un medico in camice bianco sulla sessantina.
Le sopracciglia folte e corrucciate che lo rendono ancora più severo di quello che è, quando,  affermando di essere suoi compagni di università, risponde che "allora non siamo tenuti a sapere l'esito dei suoi esami".
«Come sarebbe a dire?» Sbotta Drake avanzando con la sua solita arroganza verso l'uomo «E' una cazzo di universitaria fuori sede, come facciamo a contattare i suoi genitori?»
In quel preciso istante, mi rendo conto che non so nemmeno se Margherita li abbia dei genitori. Quanto poco ci conosciamo? Quanto poco sappiamo di noi?
«Mi dispiace, sono tenuto a riferire l'esito degli esami svolti, solo ed esclusivamente, ad un parente.» Ribatte pacato, quasi monocorde, l'altro.
«Ci dica almeno come sta?» Chiedo preoccupato.
«Margherita ha ripreso i sensi. Terminata l'ultima flebo di sali minerali potete farle visita» Capitola un momento prima di tornare agli ambulatori.
Jace tira un sospiro di sollievo rumoroso. So che per lui sarebbe stata solo una rogna in più.
«Vedrai che non le è capitato nulla di grave» Borbotta Drake scrutandomi con la coda dell'occhio. E' strano che sia proprio lui a tentare di rassicurarmi. Mi sarei aspettato, o forse avrei preferito, fosse stata Cécile a raggiungermi e darmi manforte. Ma lei non mi parla da quando è piombata qui. Non voglio che il nostro rapporto torni ad essere altalenante e fatto di singoli momenti di felicità, ma ora Margherita sta male ed io non posso permettermi di fare l'egoista.
«Andiamo».
                                                                                             *********
«Ehy, come stai?» Mi avvicino al letto dove trovo la riccia riposare.
Solleva appena le palpebre e mi sorride debolmente. Ha ancora una flebo attaccata e non so cosa le abbiano dato ma sembra rintontita.
«Meglio» biascica appena.
Cécile è l'unica che si avvicina al letto sedendosi al bordo e tentando di tirar fuori un mezzo sorriso tiepido le mormora un buongiorno.
Gli altri si aggirano per la stanza in attesa, forse, di andare via.
«Mi dispiace di avervi fatto preoccupare» dice rivolgendosi un po' a tutti.
«Non devi pensarci, l'importante è che tu stia meglio» Risponde Jace.
Serro la bocca e sposto lo sguardo -snervato- da lui a Margherita. 
 «Cosa hanno detto i medici?» Chiede lei debolmente.
«Ecco...Non essendo tuoi parenti non abbiamo il permesso di conoscere l'esito dei tuoi esami. Ma sono convinto che sia tutto ok. Magari è stato un calo di zuccheri» cerco di sdrammatizzare sorridendo. 
Non funziona. La vedo ancora leggermente preoccupata, assillata dal pensiero di cosa le possa essere capitato.
«Vuoi che ti portiamo qualcosa per cena?» Le domanda, di punto in bianco, Cécile.
«Non ho molta fame...» esita l'altra «Ma grazie»
Cècile scavalla dal letto.
«Allora io mi assento un momento.»
«Dove devi andare?» Dove cazzo deve andare in una situazione del genere? E perché non mi chiede di accompagnarla? 
«Ci metto poco.» Risponde aggirando la domanda.
«No, aspetta» Provo a dire ma non mi ascolta. Si muove verso l'uscita senza nemmeno voltarsi.
Mi mordo un labbro e distrattamente, mentre mi vorrei voltare verso Margherita, incontro la mia stessa espressione angosciosa sul volto di Jace.
«Vado con lei» Afferma.
Non obbietto. Ora come ora, separarci è una pessima idea. Anche se loro, ancora, non sanno nulla del pacchetto.

                                                                                           Cécile.
Leggo le etichette blu presenti in ogni corridoio alla ricerca della farmacia di questo posto. L'Abel Hospital è un enorme complesso di ambulatori, sale operatorie e del genere, che si estende a forma di ferro di cavallo nella zona nord della città.
Un posto di merda, che odio, come d'altronde ogni ospedale.
Esco dal pronto soccorso e a pochi metri dalla fontana a forma di delfino al centro del complesso, sotto il portico, trovo la farmacia.
 E' imbarazzante, ci siamo solo io la commessa ed altre quattro persone.
Mi metto in fila cercando di ricordare il nome del medicinale che devo acquistare.
Sfilo il cellulare dalla tasca. So di aver fatto qualche ricerca, questa mattina,a riguardo ed il nome è da qualche parte nella cronologia di Google.
«Levonorgestrel, un contraccettivo...» Mi volto di scatto.
«Jace!» Le guance mi vanno a fuoco.
Il biondo mi scruta con un sorrisetto spavaldo stampato in faccia.
«A cosa ti serve la pillola del giorno dopo?»
Sospiro snervata tornando a girarmi verso la fila.
«Secondo te a cosa serve una pillola del giorno dopo?» 
Sghignazza fra i baffi «Il nostro amichetto non sa fare retromarcia?»
«La pianti, Jace?» lo ammonisco metallica.
Si sporge verso il lobo del mio orecchio «Oh, certo...Io la smetto, ma tu vedi di non farti mettere incinta una seconda volta, non è il momento di giocare alla mamma»
Mi volto di scatto pronta a -non so- sferrargli un destro, ma lui si è già allontanato e sta uscendo dalla farmacia.
Porca puttana. Ruggisco dentro me. 
Doveva proprio seguirmi?
E poi, in ogni caso, non sono nemmeno sicura che sia accaduto sul serio. Si, insomma, ci ho fatto caso nella doccia questa mattina...ma poteva essere "roba mia" e non di Gabriel. 
«Mi dica» la voce della farmacista mi fa sussultare. Non mi ero resa conto che toccasse già a me.
«Mi servirebbe...» le allungo timidamente il telefono sul bancone. Lei da uno sguardo veloce e dal suo viso non trapela nulla.
Sparisce dietro alcuni scaffali per poi tornare con una scatolina rosa e bianca stretta fra le dita.
Pago e nascondo il tutto nella tasca del cappotto.

                                                                                             Gabriel.
Abbiamo lasciato Margherita riposare e d'accordo con gli altri, una volta tornati Jace e Cécile, ci saremmo allontanati per fare cena.
«Sei tornato finalmente» dico vedendo Jace «Cécile?» mi sporgo cercando di guardare oltre la sua spalla e non la vedo.
Scuote la testa e scaccia l'aria con una mano.
«Ci raggiungerà più tardi».
Annuisco leggermente incerto.
«Allora? Andiamo?» chiede lui.
«Andiamo. Prima però devo parlarvi.»
Gli occhi dei quattro si lanciano su di me.
Tiro fuori il pezzo di carta dalla tasca e la pennetta.
«Cos'è questa roba?» Domanda il musicista girandomi accanto mentre scruta le mie mani.
«Qualcuno ha lasciato in camera mia e di Margherita un pacchetto. Aveva le sembianze di un regalo, c'era persino un fiocco. Ma poi, aprendolo...»
«Non potete scappare...» mormora leggendo le parole scritte sulla carta.
«Che cazzo significa?» Esordisce Raul sgomento.
«Dannazione, non lo so!» 
Victor mi afferra la pennetta dalle mani e la esamina.
«E' una classica pennetta da PC, potremmo andare a casa di Jace e vedere che c'è dentro.»
«Muoviamoci» comanda il musicista con un tono di voce tremendamente serio.
                                                                                                ********
20:00
Ci accomodiamo accanto ad un lato del tavolo a casa di Cécile. Io seduto davanti allo schermo lei dietro di me assieme a Victor e Raul, e Jace accanto a me.
«Inserisco la pennetta» affermo. Nessuno fiata.
Mando in play l'aggeggio. C'è una sola cartella in memoria ed ha una data che conosciamo tutti sin troppo bene.
1-01-19
Prendo aria e porto il cursore proprio su di lei.
Lo schermo si tinge di nero mandando in play il riquadro di un video.
E' la registrazione di una telecamera di sicurezza all'esterno del Motel dove Bonuà è stato ucciso da Margherita e Cécile.
Non c'è audio, ne colore, ma seppur sia tutto in bianco e nero si vede perfettamente il momento in cui lei e Margherita sono uscite fuori dalla stanza. 
La riccia è nuda e la testa è coperta dalla giacca di pelle di Cécile. Al contrario, l'altra in testa non ha nulla. Margherita la sostiene per un po' prima di cadere in ginocchio. Faticano  per qualche minuto sulla gradinata che le separa dal parcheggio e pochi secondi a seguire è Cécile che tenta di trascinarsela via.
Per tutto il video, Cécile mantiene la testa bassa e difficilmente il suo viso è riconoscibile.
Ma loro, i mittenti di questo brutto scherzo, hanno mandato questa registrazione proprio a Margherita. Questo significa sanno. Sanno chi ha ucciso Bonuà, hanno trovato il colpevole...
Jace batte un pugno sul tavolo imprecando.
Mi volto verso Cécile che ora ha la faccia di una che si trova a tu per tu con il triste mietitore.
«Lo sanno. E' finita» piagnucola Raul.
«Dannazione» Sospira Drake gettandosi a sedere su una delle tante sedie come se gli fossero appena cedute le gambe.
«Ok, loro sanno. Ma...Loro chi?» Domando con una certa sicurezza.
«Non lo so...Marcus? Qualcuno che lavora per lui? Gli scagnozzi di Bonuà magari» Dice Raul con la gola stretta di pianto sollevando i palmi delle mani.
Noto che Jace, per la prima volta, resta in silenzio quasi perso nelle sue riflessioni. La fronte leggermente corrucciata, lo sguardo gettato chissà dove sul pavimento.
«No» sbotta improvvisamente sovrastando le voci di tutti noi «Non può essere stato Marcus da solo. Ma c'è sicuramente il suo zampino»
«Che abbia preso in mano gli affari di famiglia?» Interviene Victor monocorde.
«Probabile» constata l'altro.
«Cerchiamo di non perdere la calma, ok?»
«Non perdere la calma?!» Drake scatta arrivandomi ad una spanna dal viso «Lo capisci che questo è solo un cazzo di fottuto avvertimento? Pensi che si fermeranno qui?! Hai scordato come hanno tentato di farci fuori?»
Fisso il biondo dritto negli occhi, saetta l'odio fra noi.
«Cercate di mantenere il controllo» Ci ammonisce Jace.
«Vediamo di non azzardare mosse stupide e togliamo Margherita da quel posto. Il pacco è arrivato a lei e all'università si sarà sparsa la voce che è stata ricoverata»
                                                                                   Cécile.
Il mondo sta crollando a pezzi senza averci dato il tempo di limitare i danni. 
E' agghiacciante.
«Cécile, stiamo andando»
«Arrivo subito»
E' tremendamente agghiacciante.
Io sono l'essenza di ciò che vuol dire errore. Io sono un fottuto errore
Scendo le rampe di scale quasi trascinando le gambe. Sono paralizzate tanto da darmi la sensazione di averci arpionata attorno una rete di ferro spinato. Doloranti e paralizzate. E' questa la paura?
«Smettila di pensarci» sollevo lo sguardo a Jace. Come sono arrivata davanti alla mia auto? Perché persino il tempo mi sta sfuggendo di mano?
«Io non...» Non posso prendere in giro nessuno all'infuori di me stessa. Sto pensando esattamente che la colpa di tutto questo sia solo mia.
«Non ce la faccio» Mi porto una mano accanto al cuore di colpo.
Cos'è questa sensazione asfissiante che ho nel petto?
«Cécile, tutto bene?»
Perché, mentre la vista si appanna e gli occhi si inumidiscono, il mio cuore sembra frustare la mia cassa toracica?
«Io non...» Non ho respiro.
Mi manca l'aria.
«Cécile!»

Se una canzone ti fa piangere e tu non hai più voglia di piangere, puoi smettere di ascoltarla-

E' tutta colpa mia.
E' solo colpa mia.

Sono una debole.
«Cécile, cerca di respirare più lentamente!»
Ho l'impressione di vedermi riflessa nello sguardo di Jace: tutto quello che vedo, sono due occhi rapiti dal terrore.
Guardati Cécile. Guarda che pena fai.
Non sento le mani di Jace sulle mie spalle, ne la sua voce. Per fortuna che almeno gli altri sono già partiti. 
Non voglio che vedano quanto inetta io sia.
«E' solo-E' solo un attacco di panico» cerco di ansimare.

Ma non puoi sfuggire da te stesso.
Non puoi decidere di smettere di vederti.
O di spegnere il rumore che hai in testa…

Mi lascio andare fra le sue braccia. Alcune lacrime di fatica mi scivolano sulle guance. Tremo.
«E' tutto ok. E' tutto ok» mormora lui immergendo il palmo della mano nei miei capelli.
«Mi dispiace.» Poi, come in una bella favola a lieto fine, il mio corpo si rilassa lasciandosi andare, dopo tanto tempo, ad un pianto a singhiozzi lungo e disperato.
«Mi dispiace» Il cuore si apre, la mente si svuota. Avverto il peso della mia vita venir meno.

Se solo piangere bastasse a cancellare le cose.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Avvertimento: se siete suscettibili a scene di sangue o tematiche delicate come il suicidio, il mio consiglio è di saltare questo capitolo, poiché, potrebbe ledere la vostra sensibilità.
 
 
 
Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te.
(Friedrich Nietzsche)
                                                                               Margherita 17.
Vorrei bloccare il presente. Se potessi mandare in play e stoppare l'autoreverse di un registratore, pigerei pausa. Perché ho bisogno che tutto si fermi esattamente in questo istante.
Ho sbagliato. No, forse, non sono le cose che ho fatto ad essere sbagliate, ma lo sono io.
Sapevo che sarebbe stata una follia venire a vivere qui a Boston. Mia madre me lo aveva detto: avrei fatto una brutta fine.
Eppure io avevo insistito così tanto per accettare la borsa di studio per l'università. Proprio quella che volevo io.
Avevo bisogno di aiuto allora ed ho bisogno di aiuto ora. Quella scelta e quella che ho deciso di prendere ora, sono diverse ma spinte dallo stesso motivo.
Cambiare vita.
Con il massimo dei voti ed un reddito economico inferiore alla media,perciò, sono salita su quel pullman e ho salutato la mia famiglia.
Cosa avrei fatto? Come mi sarei sostentata? Sicuramente avrei trovato una soluzione.
Pensavo di poter conquistare il mondo, quando, a Settembre, sono arrivata qui. Mi sbagliavo.
Solo dopo pochi mesi, tutto è andato a scatafascio. 
La mia borsa di studio è stata rifiutata -problemi burocratici-, i soldi sono finiti e la mia vita aveva avuto il primo inciampo imprevisto.
Come potevo realizzare il mio sogno di diventare un'imprenditrice se anche la facoltà mi aveva respinta?
Forse è da quella pazza idea di farmi strada nella società che è partito tutto questo.
E poi mi sono prostituita. Si, questo ha fatto di me una persona ripugnante, ma ancora non avevo toccato il fondo.
Ho sbagliato, ok? Avrei potuto lavorare, fare qualsiasi altra cosa, ma avrei tolto tempo allo studio e Marcus...Lui mi aveva offerto questo escamotage. Soldi facili in poco tempo e ne ho fatti, si che ne ho fatti. Ma come ho detto, non avevo ancora toccato il fondo.
Ho ucciso un uomo.
Ho ucciso un uomo perché volevo che la mia vita non prendesse la stessa direzione di quella dei miei genitori.
Non volevo vendere pesce fino alla mia morte. Non mi volevo nemmeno sposare giovane e farmi mantenere da qualcuno...mai e poi mai!
Io volevo essere qualcuno. Volevo assumere il pieno controllo di quello che chiamano potere femminile.
E' un tema che in famiglia non viene nemmeno menzionato. Ed...ecco, io non volevo avere lo sguardo di mia madre, mentre osserva alla TV tutte quelle donne di potere che parlano di politica, triste e malinconico.
Se solo non si fosse distorto tutto così...
«Signorina Santés, le analisi sono tutte perfette ed il piccolo cresce bene e sano.»
Poi quella frase.
Incinta. Sono incinta.
Come donna dovrei essere raggiante, dovrei piangere dalla gioia. Invece, questa notte, ho pensato a come potermi togliere la vita. Perché è troppo. Non posso sopportarlo.
"Vorrei morire" mi sono detta.E' una frase così difficile da pronunciare ad alta voce ed ancor più difficile è rendersi conto che lo vuoi davvero.
Per questo la mia vita dovrebbe andare in pausa. Il tempo si dovrebbe fermare e il fato dovrebbe rimescolare le sue carte.
Gabriel e gli altri sono venuti a trovarmi e non ho avuto il coraggio di dirglielo. Ho fatto finta di non sapere cosa avessi avuto. L'ho fatto, anche per accertarmi che nessuno sappia niente.  E nessuno saprà niente.
Mi sono sollevata dal letto e ho cercato i miei effetti personali nell'armadietto accanto a me. Speravo di trovare la mia borsa, porto sempre un tagliacarte con me per via delle tante ricerche all'università, ma non c'era.
Così ho preferito raggiungere il Triage. Lì fanno i primi accertamenti del caso quando arrivano i pazienti e ci sono diverse scrivanie piene di fogli, perciò, di tagliacarte.
Sarebbe andata bene anche una forbice, solo che ci avrebbe messo più tempo ed io non ho più tempo
Io ho questo momento.
Ho aspettato il cambio turno e mi sono addentrata nella piccola cabina, ho trovato questo dannato affare e sono corsa in camera mia.
Ogni stanza ha un bel bagno spazioso, l'ho trovato perfetto.
C'è una doccia ampia e con i poggia mani su entrambi i lati appositamente messi per i disabili. Come li ho visti, ho  immaginato tutta la scena. Silenziosa, indolore.
I piedi scalzi hanno, quindi, attraversato il bagno e toccato la ceramica della doccia. Ho girato la manopola dell'acqua che subito ha iniziato a zampillare e poi a scorrere sotto i miei piedi. Mi sono accucciata a sedere e ho stretto una mano attorno, proprio, a quel poggia mani.
Con l'altra ho sollevato la lama saldamente impugnata e l'ho avvicinata alla mia pelle.
La cosa buffa è stata che nel mentre succedeva tutto questo, io non pensavo a nessuno fuorché Gabriel. C'è qualcosa in lui che ha provato a salvare una parte di me dal primo giorno in cui l'ho visto. Peccato che nemmeno tu, Gabriel, ce l'abbia fatta.
Non doveva andare così.
Un taglio. La mano stretta attorno al ferro bianco fino a farmi diventare le nocche chiare, i muscoli tesi per sentir meno dolore possibile e l'altra, quella armata, che con forza si accanisce sul polso.
All'impatto non ho sentito molto. E' stato un dolore bruciante ma poi è svanito in fretta lasciando spazio al calore del sangue che si concentra tutto nel punto ferito.
Ho ansimato, stretto i denti e pianto e gridato a bocca serrata.
Ci hanno messo un po', ma le forze -finalmente- hanno incominciato a scarseggiare.
Sono certa che fino a domani mattina non entrerà nessuno in questa stanza, ho tutto il tempo per morire.
Ma un taglio non basta. Non basta perché la mia vita scorre frenetica mentre per spegnersi ci mette un'eternità.
Sfregio anche l'altro polso. Un taglio verticale questa volta. So che morirò velocemente e sarà tutto placido.
Sarò libera.
 
 
                                                                                           Gabriel.
Il pronto soccorso è vuoto alle undici di sera. Pochi casi d'emergenza: qualcuno che si è tagliato il dito con l'affettatrice, un bambino con un vistoso esantema sulla pelle e due tre anziani colpiti da infarto.
«Ehy, voi!» Un'infermiera ci blocca un momento prima che Jace scosti del tutto l'anta degli ambulatori.
«Non è orario di visita, non potete stare qui» dice raggiungendoci nella sua tenuta da lavoro verde sbiadito con una cartellina stretta fra le dita e l'aria snervata e stanca di una che si è sbattuta già una decina di ore di lavoro.
«Non siamo qui per una visita» Fa un passo verso di lei Jace «Siamo venuti a prendere una nostra amica»
«Non ci sono dimissioni per questa sera.» Afferma la mora dando uno sguardo alla cartella.
«Be', ecco la prima.» Interviene Drake abbassando la leva della porta in ferro.
«Dove va! Si fermi!»
«Avanti muoviamoci.» Dice il biondo sparendo velocemente lungo il corridoio frastagliato di stanze ambulatoriali.
Mi catapulto dietro lui senza batter ciglio, al contrario, Cécile, Victor, Raul e Jace sono costretti a restare indietro intercettati da una seconda infermiera.
Apro la porta della stanza di Margherita: è vuota. Il suo letto è disfatto accanto, sul pavimento, ci sono i suoi effetti personali sparpagliati.
Le ciabatte che le ha portato Jace, sono accanto al materasso, ma di lei non c'è traccia.
«Dove diavolo è finita?» Mormora Drake guardandosi attorno.
Siamo entrambi spaesati.
«Forse le stanno facendo qualche visita...» Mentre mi aggiro per la stanza sento l'eco di un getto d'acqua che scorre.
Faccio cenno a Drake di avvicinarsi alla porta del bagno e lui mima un si con la testa.
«Margherita? Sono Gabriel, ti siamo venuti a prendere.» Non c'è risposta, ma, ad un tratto, un tonfo rumoroso mi fa sussultare.
E' lo stesso rumore di una boccia o di una palla da biliardo che cade al suolo. Ricorda molto...una testa che si rompe.
Drake, ancor prima di me, spalanca la porta.
C'è solo acqua che scorre sulla mattonelle blu, acqua e sangue. Il bagno è allagato e proprio al centro della parete infondo, c'è Margherita.
«M-Margherita» 
E' riversa stesa nella doccia, le braccia completamente ricoperte di sangue. Nonostante le batta l'acqua addosso da quei tagli non smettono di uscire flotti rossi e copiosi.
«Margherita!»
Corro verso di lei chinandomi nella doccia senza box.
«Oh mio Dio!» 
Drake mi raggiunge velocemente.
«Chiama il primario. Chiama qualcuno!» Gli ordino.
Il biondo scatta correndo fuori dalla stanza.
«Perché? Perché lo hai fatto?» ho i lacrimoni e non mi vergogno.
Mi siedo nella doccia trascinandomi Margherita fra le cosce. 
«Ti prego, ti prego svegliati» singhiozzo.
Il suo cuore batte lentamente, come se, ancora, una piccola parte di lei fosse aggrappata a questa vita.
«Che cosa è successo?!» Tre donne in camice bianco invadono il bagno raggiungendomi. I loro volti scavati ed allibiti per lo shock.
Non le sento. Non le vedo.
 
Margherita. Perché lo hai fatto?
                                                                                              *********
«E' nel reparto di rianimazione.»
               «Ha perso molto sangue»
«Siete arrivati giusto in tempo.»
               «Ha provato a...Dio, non riesco a dirlo.»
«Perché? Perché lo hai fatto!?»
Spalanco gli occhi di colpo, sono seduto fuori da rianimazione e penso di essermi addormentato.
L'ambiente settico di questo posto è illuminato da led che dovrebbero alleggerire l'impressione che da questo corridoio di merda. Non lo fanno, affatto.
C'è odore di disinfettante, ferro e morte ovunque.
«Ragazzi...» biascico stropicciandomi un occhio e sollevandomi dalla sedia «Dovreste andare anche voi» Con me ci sono Cècile e Drake. Gli altri sono dovuti andare via a causa di una consegna imprevista.
«Tu hai l'auto qui fuori, giusto?» fa Drake alla mora. 
Cécile, con gli occhi arrossati e l'aria stanca, annuisce.
«Allora tu va via, resto io» mormora lui.
Lo scruta incredula ma poi sembra convincersi.
«Scusa se non resto, Gabriel.» Si solleva abbottonandosi il cappotto.
«Non preoccuparti».
Guarda entrambi «Ci sentiamo più tardi».
L'osservo andare via.
«Vuoi che ti vada a prendere un caffè?» chiedo al biondo.
Mima un no con la testa e poi l'appoggia alla parete dietro la fila di sedie.
Torno a sedermi. C'è silenzio. Un silenzio assordante che mi fa esplodere la testa.
«La stanno operando?»
Drake si muove sulla seduta «Non ne ho idea.»
Sospiro. «Perché sei rimasto?»
Lo spio con la coda dell'occhio.
«Perchè non sarei dovuto rimanere?»
Che mi fossi sbagliato? 
Se per tutto questo tempo avessi sbagliato il giudizio su ognuno di loro?
Avevo visto Margherita sempre allegra e spensierata ed ha provato a togliersi la vita.
Ho visto Cécile, con le sue droghe e gli atteggiamenti da pazza, nascondere un mondo di insicurezze ed una vita triste e solitaria.
E poi Drake, così sfacciato e stupido delle volte, fare la nottata per una ragazza che conosce appena.
E se veramente avessi sbagliato tutto?
«Non la conosci neanche» mi tiro su con la schiena.
«Tu perché lo fai?» mi chiede di getto.
«Be'...Perché è una persona in difficoltà e va aiutata»
Sospira una risatina. «Ed io non potrei vederla alla stessa maniera?»
Effettivamente potrebbe.
«Si non voglio dire che-»
«Avevo una sorella» mi sovrasta zittendomi «E si è tolta la vita all'età che aveva Cécile quando è arrivata qui.»
Si volta verso me. Le mani incrociate sulle ginocchia. «E' questo il mio motivo.»
Non credevo che Drake avesse perso qualcuno.
«Io- non lo sapevo...»
Fa un sorriso amaro. «Non potevi saperlo. Non l'ho mai detto a nessuno.»
«E perché lo stai dicendo proprio a me?»
Si solleva stirandosi il jeans sulle ginocchia «Perché anche se siamo profondamente diversi, in qualcosa ci assomigliamo. Per un motivo o per un altro nessuno di noi lascerebbe nei guai qualcuno.»
«Io non ti assomiglio affatto!» Salto in piedi. Mi guarda sbattendo le palpebre «Non è un cazzo vero che tu non lasceresti mai qualcuno solo. Tu hai lasciato Cécile sola più di una volta!»
Serra la mascella ed un muscolo sotto pelle guizza vistosamente. 
«Tu l'hai abbandonata mentre si faceva di cocaina!» Continuo imperterrito ed avanzo verso lui pronto a colpirlo «Non ti è mai fregato nulla di lei!»
«C'eri tu!» Grida un momento prima che le mie nocche raggiungano il suo zigomo.
Resto con il braccio a mezz'aria.
«C'eri tu con lei!» ripete «Ho capito subito che eri diverso. All'inizio, mi ero anche ingelosito di te a tal punto che ho cercato di intimorirti. Ma sai cosa credo? Che infondo, in te, sin da subito, ci ho visto quello che ero io prima delle droghe, delle cazzate. Sapevo che Cécile sarebbe stata al sicuro fino a che ci saresti stato tu.»
Abbasso il braccio e lo sguardo.
«Lei merita una persona che le voglia bene e che abbia in testa solo lei. Per Cécile ci sarò sempre, ma non sono io che la merito.»
«Non diventeremo amici per questo. Ma ora... So che non sei la persona che ti dimostri delle volte.»
Sorride appena.
«Già.» Sospira «Ho cambiato idea sul caffè, vado a prendermene uno» Si infila le mani in tasca allontanandosi lungo il corridoio.
 
Forse siamo più di quello che siamo. O meno. Forse nessuno è quello che sembra.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


 “Chi non vuol far sapere una cosa, in fondo non deve confessarla neanche a se stesso, perché non bisogna mai lasciare tracce.”
GIULIO ANDREOTTI


                                                                                         Cécile 18.
Tutti nascondiamo qualche segreto.
Chi per se stesso, chi per altri, chi per tutti.
Io li mantenevo per tutti loro...


«Hai esagerato un'altra volta» Victor mi sfila gli anfibi mostrando un po' di fatica e li lancia sul pavimento della mia stanza.
«Questo non si chiama esagerare, si chiama non pensare» dico in un singhiozzo sollevando lo sguardo a lui.
Storce un labbro.
«Questo si chiama ubriacarsi. Avevi detto che ci avresti dato un taglio...» mi afferra il jeans per le caviglie ed io separo il bottone dall'asola così da permettergli di sfilarmelo.
«Senti un po', quanti anni hai? Sei diventato mio padre?» 
Con i muscoli appesantiti e la mente impastata dall'alcol sprofondo maggiormente nella morbidezza del materasso.
«Vado a prenderti un bicchiere d'acqua. Credo sia il caso» dice monocorde e si allontana.
Fisso la parete. 
In questo momento l'unica persona che vorrei su questo letto è Gabriel. Se non fossi un danno che cammina, a quest'ora lui sarebbe qui. Ma purtroppo sono buona solo a scacciare via le persone. Non riesco a parlare con lui dalla notte in cui abbiamo fatto sesso. Non capisco nemmeno il perché.
«Ecco a te» Victor torna in stanza con un bicchiere stracolmo d'acqua e me lo porge. Mi costringo a sollevarmi e lo afferro.
«Non avevo sete» borbotto mantenendo lo sguardo su di lui mentre mando giù, ugualmente, qualche sorso.
Sospira sollevando gli occhi al cielo.
«Oh mio Dio! Allora anche tu sei in grado di muovere i muscoli del viso!» lo sfotto «Fallo di nuovo! Ti prego»
«Oh, finiscila» sbuffa nascondendo una risata e si accascia a sedere sul materasso.
Oscillo assieme alle molle.
«Sai persino ridere! Wow...tu si che mi stupisci» 
Mi da una spinta «E smettila! Sei veramente antipatica!»
Sbotto a ridere. E' la prima volta che mi succede con lui.
«Detto da te è quasi un complimento.» Mi sporgo per appoggiare il bicchiere sul comodino.
«E' per quell'invito che hai deciso di bere questa sera?» per un momento mi si contrae lo stomaco.
«Non sono affari tuoi» 
«Sai perfettamente che sono, anche, affari miei» Incalza lui.
Socchiudo le palpebre per un istante «Possiamo...Non parlarne? Si tratta di una cerimonia qualsiasi. Finirà in fretta.»
Noi sapevamo che segreto stavamo nascondendo...
«Non sei obbligata a venire» 
Getto lo sguardo alle mie gambe nude.
«Sai, credo di voler sapere come sta Allison»
Sospira e poi, d'improvviso, mi avvicina la testa alla sua con la mano «Che tenerona» cinguetta.
Lo scaccio via «Oh, adesso smettila tu! Non prendermi in giro!»

                                                                                       *********
16:00 il giorno della cerimonia.
«Sai cosa mi da tremendamente fastidio?» cerco di infilare le mani sotto lo strascico dell'abito «Le mutande che ti entrano nel sedere.»
Jece borbotta una risata mentre cerca di fare un fiocco al nastro di raso che stringe il bustino dell'abito.
«Sei agitata per caso?» 
«Affatto. Passerò questo schifoso pomeriggio a bere fino a scordarmi di essere stata invitata al matrimonio -al secondo matrimonio- di mio padre e di quella putt-» Jace stringe forte il nastro di raso togliendomi quasi il fiato.
«Cazzo, fa più piano!»protesto.
«Non è colpa mia se hai messo più chili sulle tette che sul resto del corpo!»
Da quando ho tentato di darci un taglio con le droghe ed il poco sonno devo aver messo su almeno due chili. Non che si noti, quanto meno, non nei miei panni consueti. Ma in questo dannato bustino, il mio seno sta soffrendo parecchio.
«Perfetta» mormora facendomi voltare verso l'anta specchiata dell'armadio.
Non sono mai stata un tipo da abito, ne mai avevo pensato di vedermi con qualcosa del genere addosso, ma stranamente mi sento...bella.
Bella come una persona pulita e non come Cécile.
«Ti presenterai sola?»
«Si.»
Mi lancia uno sguardo apprensivo.
«Jace, sta tranquillo. Sto bene» dico voltandomi verso lui e quasi sospirando.
Mugugna d'incertezza.
«Sul serio!»
Agguanto i lembi della gonna lunga oltre la punta dei miei piedi e cerco di sorpassare lui, le mie scarpe e gli svariati abiti sparsi fra materasso, pavimento e ante dell'armadio.
Mi afferra per un braccio costringendomi a voltare lo sguardo.
«Non voglio che succeda nulla li, intesi?»
Sorrido tiepidamente «Non permetterò che succeda nulla.»
Si dice "le ultime parole famose" quando, proprio ciò che rifiuti, che non vuoi che accada,  succede.
«Adesso vado.» Jace mi lascia il braccio, ma la sua espressione pensierosa non lascia me.
Afferro un copri spalle in pelle nera e la pochette «C'è altro che devi dirmi?» chiedo un momento prima di abbandonare la stanza.
Conosco sin troppo bene Jace ed il suo modo vano di nascondere le cose.
«In realtà» si muove verso me e si ferma davanti alla porta «Volevo dirti che la questione di farti uscire dai guai è passata in secondo piano da parecchio». Sbatto le palpebre confusa. 
«Mi sono affezionato a te e non voglio che ti succeda più nulla di male-»
«Ma non mi succederà» lo interrompo «So quello che faccio.»
Solleva lo sguardo dritto nel mio.
Di colpo mi sento strana...a disagio.
«Non smettere di fidarti di me proprio ora.» mormoro.
Fa un altro passo verso me «No, non lo farei...».
Le sue mani mi accarezzano il viso e prima che possa rendermene conto, lo sto baciando.
Lo stomaco che si stringe, le mani che mi tremano. All'improvviso, mi sento in colpa, perchè è come se avessi sempre desiderato questo momento, ma non ricordavo affatto di saperlo.
C'è una parte di me tremendamente rassicurata da quello che sta succedendo e l'altra...L'altra che, bè, ha in mente solo gli occhi di Gabriel. Il fatto che ci siamo allontanati, tutte quelle frasi non dette, quelle paure malcelate.
E poi penso che con Jace questo non è mai capitato, ma che le emozioni che mi da Gabriel non me le da nessuno. Ma la sicurezza che sento quando Jace è con me, non la ho con lui.
«Jace. Jace, aspetta.» Gli prendo i polsi e li allontano da me.
«Non voglio. Non posso.» faccio un passo indietro e poi un altro. Alla fine, capisco cosa voglio fare.
Fuggo via, letteralmente, dalla mia stanza. Spalanco la porta d'ingresso e cerco velocemente di scendere le scale del palazzo.
Mentre lo faccio sfilo il cellulare dalla pochette e compongo il numero di Victor alla velocità della luce.
«Pronto?» Risponde monocorde come al solito dopo qualche squillo.
«Dove sei?» Prendo una storta mentre a falcate percorro le scale sui tacchi.
«Sono quasi arrivato.»
«Torna indietro» ordino «Vieni sotto casa mia»
Cosa diavolo mi è capitato mentre Jace mi baciava?
Anche se la domanda da porsi non sarebbe affatto questa è l'unica che mi martella la testa.
«Che è successo questa volta?» domanda seccato.
«Non rompere. Ti aspetto qui.» Riattacco e spingo via l'anta del portone in vetro.
Finalmente riesco a respirare. Grandi respiri che escono fuori asfissianti.
Proprio mentre il panico si sta prendendo quasi totalmente gioco di me, lo vedo arrivare a bordo dell'auto di Raul.
«Grazie a Dio.» Raggiungo lo sportello e mi calo dentro.
Victor si immette sulla strada senza saper bene dove svoltare.
«Spero che questa volta sia per qualcosa di serio»
Mi mordo un labbro «Accosta al primo bar»
                                                                                             *******
Ci stanno fissando tutti. Non hanno torto, sono appena le cinque del pomeriggio e Victor ed io siamo gli unici, in questo postaccio di periferia, a sorseggiare vino in bicchieri di plastica vestiti da serata di gala.
«Va meglio?» 
Appoggia i gomiti alla superficie del tavolino circolare e si sporge verso me con il viso.
«Credo sia stata solo un po' d'ansia.» Mando giù tutto d'un fiato l'ultimo sorso del mio secondo bicchiere di vino.
«Ti capita un po' spesso ultimamente, intendo di avere l'ansia» Lui fa lo stesso e lo poggia davanti a se.
«Sono parecchio...stressata.» Spero che se la beva. In fin dei conti è vero, lo stress non manca.
Solleva le sopracciglia sottraendo lo sguardo al mio «Sarà. Spero solo che la tua ansia non ti farà fare qualche cavolata proprio questa sera»
Fisso il display del mio cellulare che non la smette di illuminarsi all'arrivo dei messaggi di Jace.
«Di questo passo arriveremo per l'ora del dolce» dico.
Scendo dal mio trespolo a fatica «Togliamoci dai piedi questa cerimonia di merda.»
                                                                                          *******
17:45 
Non riesco a provare che un miscuglio di sensazioni indistinte mentre percorro il viale brecciato, illuminato da faretti, di casa Pestillo.
Ho le gambe leggermente instabili e ci metto un bel po' per riuscire a trovare l'equilibrio adatto per raggiungere l'ingresso maestoso della villa di mio padre.
Mi da il voltastomaco calpestare il terreno di casa sua. Se potessi, sparirei proprio in questo istante.
Sfilo il telefono dalla pochette ancora una volta, ormai sono quasi arrivata e so che una volta sorpassata la soglia di casa loro, ogni persona che conosco all'esterno diventerà off-limits.
Sblocco lo schermo. Non ho il coraggio di aprire i messaggi Whatsapp di Jace, non voglio sapere cosa mi ha scritto o perché. Non voglio sapere neanche cosa gli è saltato in mente mentre diceva di tenerci a me. Ma so che in qualche modo ha suscitato qualcosa nel mio petto.
Clicco sulla chat di Gabriel. Risulta offline. Mi sono ridotta a guardare i suoi accessi...che pena.
«Charlotte! Che bello, sei qui!» Una zaffata di Chanel numero 5 mi frusta le narici e due braccia esili mi circondano le spalle stritolandomi in un abbraccio a dir poco stucchevole.
«Zia Abbey...» mormoro a fatica.
Con il suo pomposo abito pesca ed i capelli freschi di messa in piega, la zia Abbey -che non vedo tipo da una vita- appare trionfale dal nulla spazzando via tutti quegli anni dove mi ha messa nel dimenticatoio come se non fossi mai stata messa al mondo.
«Quanto tempo, come stai? Come va l'Università?» mi chiede strizzandomi una guancia. Vorrei darle una sberla e staccarle la testa.
«Andrebbe meglio se mi lasciassi la faccia, zia» Dico a denti stretti cercando di sopportare il dolore di quel pizzico.
Lo sta facendo apposta. In realtà lei mi odia. Essendo la sorella più anziana della madre di Allison, non ha mai considerato me come nipote effettiva.
Abbey mi lascia andare la guancia -finalmente- ed i suoi occhi si fanno subito affilati come quelli di una viscida serpe.
«Speravo che venissi anche tu. Sarà un matrimonio stupendo» Credo che lei abbia sempre saputo quanto e perché odio mio padre. Tutti lo sanno in famiglia, e si ostina a rimarcare quanto sia entusiasta di questa nuova, stupenda, meravigliosa, coppia del cazzo.
«Ne sono certa. Non potrebbe essere altrimenti» dico. Mi scappa la voce metallica ma non me ne preoccupo.
«I miei fratelli sono dentro?» chiedo fingendo un sorriso cordiale.
«Credo proprio di si.» Sorriso, che lei ricambia allo stesso identico modo.
Si fa da parte e mi invita a proseguire sul brecciato.
«Fa attenzione con quei tacchi, rischi di inciampare!»
Ci speri brutta vecchia zitella!
Ad un passo dalla gradinata principale, mi rendo conto di non potercela fare.
Ho di nuovo quella sensazione di vuoto nel petto e più mi rendo conto che c'è gente all'esterno della villa, più mi sembra di perdere il controllo di me stessa.
Sto soffocando.
Sto...morendo.

Mi siedo sul primo gradino. Non riesco nemmeno a riprendere fiato.
Due lacrime isolate si sganciano dalle guance infrangendosi sulle mani tremanti.
Ho bisogno...Ho bisogno....
Non trovo il cellulare, oppure, ce l'ho davanti agli occhi ma non lo vedo: svuoto la pochette gettando tutto sul gradino finché le mie dita non intercettano l'apparecchio.
Si muovono da sole pigiando sulla sezione "chiamate".
«Cécile?...»
Sentire la sua voce mi fa rallentare il battito per un secondo.
«Vieni a casa di mio padre. Ti prego.»
C'è un momento di silenzio «Sai che non posso. Drake ed io stiamo facendo...quella cosa.»
Poi realizzo che sto per far scoppiare un disastro.
«No, infatti. Non venire è solo un attacco di panico, starò bene.» Cerco di dire con il tono più rassicurante che riesco a ricacciare.
«Che ti succede, Cècile?» sembra sconsolato.
Da quanti giorni è che non ti parlo? Che non ti cerco?
Che hai costantemente da fare per risolvere i miei guai?
«Cécile...» Una voce alle mie spalle mi fa irrigidire tutti i muscoli.
«Devo andare, Gabriel.» Attacco senza attendere la risposta, raccolgo le poche cose da terra e mi sollevo.
«Sei qui...»
Chiudo la pochette.
«Papà»
Scende i gradini lentamente, esitando appena, e mi abbraccia.
Non lo ricordavo così. Non l'ho mai visto in tiro, piuttosto, ricordo tutte le volte che ubriaco picchiava mia madre e litigava con lei.
«Ho pregato così tanto perché venissi anche tu...» 
Gli strattono via le braccia «Sono qui, visto?» e salgo i gradini fino all'ingresso di casa.
Appena varco il corridoio principale, accanto alla scalinata, per fortuna, vedo Victor.
«Ti è venuto a salutare?» Il vizio di tenere le mani in tasca non lo toglie nemmeno quando indossa giacca e cravatta.
«Non lo hai visto?» faccio ironica.
La sua espressione contratta la dice lunga.
Varchiamo il salone principale. Ci sono mazzi di fiori sparsi ovunque e la puzza della casa che odio che sferza stoccate ogni passo che faccio.
Sul lato opposto della sala, l'immensa porta scorrevole di vetro è coperta da tendaggi candidi e semi-trasparenti che chiudono la visuale al giardino ed alla piscina sul retro.
«Non hanno badato a spese i tuoi genitori...» forse è un'affermazione poco felice nei suoi confronti, ma è l'odio a parlare non io. 
Victor, di fatti, non risponde nulla e si limita a seguirmi.
«Sono tutti nel salone oltre la cucina» dice solamente quando mi vede incerta su dove dirigermi.
Svolto verso la cucina. Ho ricordi pessimi di questa stanza. Solo urli e strilli e parolacce fra me Allison e sua madre -la loro madre.
A conti fatti, ho vissuto meno di un o due anni da loro. Giorni terribili, fatti di cattiverie, rimproveri gratuiti e scene che -francamente- avrei risparmiato a Victor. Era ancora troppo ragazzino per poter capire, o almeno, questo credevo io.
Ad un tratto, mi si pianta davanti impedendomi di passare.
«Che c'è?» aggrotto la fronte.
«D-Dovremmo andare via. Non è una buona idea, ci ho ripensato»
Che gli prende ora?
«Togliti dai piedi» Cerco di spingerlo via.
«Dico sul serio. Non è il caso. Non è-» Lo fulmino con lo sguardo e con una spinta decisiva mi avvento sulla maniglia della porta.
Fra tutti gli invitati sorridenti con i flute di champagne per mano, scorgo solo un paio di occhi castani. Al centro della sala, fra sorrisi e chiacchiere, ci sono loro due: Marcus ed Allison.
Sento troppi sguardi su di me, ora, da parte di tutti.
Allison spalanca le palpebre, sembra non credere ai suoi occhi. Si volta di scatto verso il tavolo da buffet ed ancor prima che le occorra cercare sua madre, lei le sia avvicina.
«E' tutto apposto. Sono stata io ad invitarla.»
Allison torna a fissarmi lanciandomi uno sguardo torvo. E' un vero peccato che abbiano preferito tenerla lontana dalla verità.
Cerco di ricompormi come meglio posso.
«Che bello rivederti, Allison» 

Quanti di noi sarebbero riusciti a mantenere il segreto e quanti sarebbero rimasti all'oscuro di tutto?

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Siamo tutti isole che gridano bugie in un mare di incomprensione.
(Rudyard Kipling)


                                                          Cécile 19.
La cerimonia
«Victor, anche tu qui! Che piacere rivederti» Con il suo solito fare da esibizionista, Marcus interrompe quel silenzio molesto, fatto di bisbigli,  allargando le braccia e facendosi strada verso il ragazzo.
«E' una vita che non ci incontriamo» Prosegue il moro stringendolo a se.
Victor, impassibile, ricambia la stretta per dovere, ma so che è profondamente disturbato.
«Allie» dopo un attimo Marcus torna a fissare mia sorella «Non mi avevi detto di avere anche una sorella»
Che gran figlio di puttana. Le sue doti da attore sono eccellenti.
«Sorellastra» Fa un passo avanti, lei «E no, non ne ho mai sentito il bisogno di farlo».
Sua madre ci fissa ancora per un attimo prima di aprir bocca.
«Bene signori!» Esclama come una vera padrona di casa, «Seguitemi in giardino!», cercando di invogliare gli invitati a distogliere l'attenzione da noi.
Ci spostiamo dal salone all'esterno della villa. In giardino, non molto lontana dalla piscina ed un secondo tavolo imbandito con ogni ben di Dio, hanno piazzato una tenda. Ad occhi e croce sarà li dentro che si terrà lo scambio delle promesse.
Marcus ed Allison ci precedono affiancati dalla zia Abbey. Victor ed io restiamo un passo dietro loro.
«E' assurdo, come riesca a non perdere il controllo. A restare nella sua stramaledetta parte.» Commento sdegnata.
Victor si porta il flute alle labbra mentre mi cammina affianco «Non mi sorprende. Piuttosto, quello sorpreso, sembrava proprio lui»
Già, non ci è voluto molto per capire che non si aspettava di vedermi qui. 
Raggiungiamo il resto degli invitati all'interno della tenda bianco candida. Victor si siede in prima fila accanto a sua sorella Allison ed il resto della famiglia della madre, mentre io, chiaramente messa in disparte, mi accomodo in ultima fila.
Il prete, sotto l'arco di fiori al centro dell'altare, incomincia a parlare e tutti i presenti si zittiscono.
Sui loro volti brilla l'emozione per ciò che sta accadendo, mi da il voltastomaco.
Dopo poco, la fatidica domanda.
«Samuel Andres Pestillo vuoi prendere la qui presente Alenka Ana Novàk come tua legittima sposa, rinnovando ed onorando le promesse già fatte?»
Mentre fisso il volto familiare di questo estraneo i ricordi mi sommergono.
 Me ne stavo li seduta a pettinare la mia Barbie. Spesso pensavo che avrei voluto essere come lei: bella, elegante, sempre perfetta. I suoi genitori saranno fieri di lei, mi dicevo. Suo padre probabilmente era l'amministratore di qualche azienda importante sempre via per lavoro e sua madre una casalinga stupenda che si dedicava a crescere le sue splendide figlie.
Il padre di Barbie non sarebbe mai tornato a casa barcollando e gridando così forte da costringere Barbie a chiudersi nel ripostiglio del sottoscala per non sentire il fracasso dei piatti rotti. E se per caso i suoi genitori litigavano per qualche banale fraintendimento, Barbie aveva sempre Ken, il perfetto fidanzato biondo, a tenerle compagnia...persino dentro il ripostiglio.
Mio padre mi ha abbandonata all'età di 14 anni e ora è di fronte a me che chiede la mano di un'altra donna dopo aver rovinato la vita alla sua ex moglie.
Non è vestito di stracci, non puzza di alcol. Diverso da come dovrebbe essere, diverso da come lo ricordo io, ha preso in mano una vita che non merita...non merita affatto.
Si volta verso me. Quando mi sorride, rivedo un'altra immagine del passato. Quella notte, l'incidente, le ambulanze e poi il silenzio dei giorni seguenti e quel maledetto funerale a cui ho partecipato solo io.
Da quella notte mia madre è peggiorata: non è stata più affettuosa come prima. Aveva già un problema con l'alcol e la morte di mia sorella, la separazione con mio padre, hanno distrutto tutto il bello che c'era in lei.
Però ha tentato disperatamente di restare con me.
«Lo voglio».
I suoi occhi brillano nel riflesso di quelli di lei. Ha un sorriso così stucchevole ed ingenuo, disgustoso.
«E tu Alenka Ana, vuoi prendere quest'uomo come tuo legittimo marito?»
Lei, al contrario, è subdola e viscida ed i suoi occhi brillano di furbizia.
«Lo voglio»
Uno scroscio di applausi si leva nella tenda. Qualcuno fischia, altri piangono di gioia, tutti applaudono festosi.
Tutti, tranne me.
Io resto seduta: la pochette stretta fra le dita rigide come artigli e lo sguardo fisso alle schiene dei presenti.
Ho voglia di alzarmi e spaccare tutto e poi, magari, di piangere a dirotto, ma non mi muovo.
La folla inizia a sciamare dalla tenda, non c'è rimasto quasi nessuno all'interno quando Victor si avvicina a me.
Mi si siede accanto e fissa l'altare vuoto come sto facendo io.
«Non aveva finito di rovinarmi la vita» mormoro in un filo di voce.
Lui non dice una parola, si limita ad allungare la mano verso le mie e la poggia sopra di esse.
«Non capisco come possa addormentarsi sereno la notte» voglio inveire ancora ed ancora.
«Cécile, non dovresti pensarci. Dovresti provare a dimenticare quell'uomo» Lo scruto confusa.
«Hai dedicato gli ultimi anni della tua vita a logorarti per colpa sua. Immagino che non hai dato nemmeno tutte le colpe solo a lui.» Sospira «E' ora di darci un taglio.».
Resto quasi inebetita dalle sue parole e stranamente confortata.
Si solleva e mi tende una mano «Cerchiamo di superare questa giornata. Ci sono io con te».
Sorrido amaramente e mi convinco ad afferrare la sua mano.
«Già...».

                                                                             ********
La merenda cena è a buffet perché gli sposi preferivano qualcosa di meno formale. Io scelgo del pollo e Victor una serie infinita di tartine con sopra le salse più strane.
Accomodati ai tavoli all'esterno, decidiamo che stare con qualche parente sconosciuto va bene ad entrambi, come va bene bere e passare il resto di questa cerimonia insieme.
Victor mi ruba una forchetta da sotto il naso, ma rischia di strozzarsi quando tenta di masticare e ridere allo stesso tempo.
Devo ammettere che mio fratello, quando beve -e lo fa di rado a differenza degli altri- è molto più simpatico e spigliato.
«Ecco la punizione per avermi rubato il cibo» dico soddisfatta versando ad entrambi altro vino.
Ride e si appoggia alla mia spalla.
Vedo che la donna davanti a noi ci fissa, e non con un'espressione divertita. Victor se ne accorge e ricambia il suo sguardo con altrettanto astio.
«Qual è il problema Doroty?» le fa lui abbastanza stizzito.
Lei fa una smorfia e solleva le spalle.
Mi sporgo verso l'orecchio di lui «Chi diavolo è Doroty?»
«La cugina di nostra madre» afferma.
Raccolgo il mio calice di vino e ne trangugio un sorso fissandola da oltre il bordo. Lei non solleva più lo sguardo per un bel po', ma continuo ad osservarla.
«Le da fastidio che tu sia qui con me?» chiedo a lui.
Non risponde, ma so che lo fa per non ferirmi.
So che l'intera famiglia di Alenka mi disprezza tanto quanto lei e non mi stupisce che Doroty vorrebbe che mi alzassi dal suo tavolo.
«Che bella che sei» all'improvviso una manina esile si appoggia sul mio avambraccio.
Una bimba con uno chignon colmo di roselline ed un abitino celeste come i suoi occhi, mi sorride raggiante.
«Ehy piccola» le dico, cucciandomi verso lei.
«Gabriela, vieni qui!» Sollevo lo sguardo alla donna seduta davanti a noi. 
«Non stava facendo niente di male» dico monocorde.
Doroty mi rifila uno sguardo torvo «Non importa, Gabriela sa che non deve disturbare gli invitati»
Sospiro un sorrisetto, sua figlia non ha fatto altro che girare per i tavoli accaparrandosi baci ovunque ed ora che si avvicina a me, lei ha da ridire.
Mi sollevo dritta sulla sedia sfidandola con un'occhiataccia e prendo fra le braccia la bimba portandomela a sedere in grembo. Victor, che sta assistendo a tutta la scena, borbotta una risatina fra i denti.
«A me non da nessun fastidio» dico con un certo tono di sfida.
Le guance di Doroty si fanno paonazze. Sta per scoppiare.
«Gabriela, scendi immediatamente da li!»
«Ma io voglio stare qui» piagnucola la bambina.
Doroty serra la mascella indispettita per l'atteggiamento della bimba, si solleva, la raggiunge e me la strappa dalle braccia facendo persino troppa forza sulle esili braccia della piccola.
«Le stai facendo male, non lo vedi?» Victor mi appoggia una mano sulla spalla appena si accorge che sto per alzarmi. Mi volto a guardarlo.
Dalla sua occhiata capisco di doverci dare un taglio. Reprimo un pugno di rabbia e torno a sedere sprofondando pesantemente sulla sedia.
Le portate principali scorrono velocemente. Il cielo si è imbrunito e qualcuno decide di fare un tuffo in piscina. Il ricevimento si è trasformato in una festa in piena regola. Alcuni invitati ballano, altri cantano al Karaoke, poi ci sono i tuffi, le risate... i bicchieri.
 Victor ed io ce ne stiamo sotto la veranda appoggiati al muro. Siamo stanchi, tronfi di cibo e abbastanza alticci.
«Stavi dando di matto per quella bambina» dice sorseggiando l'ennesimo bicchiere di spumante.
Ha le guance arrossate come i suoi occhi celesti. Si vede che l'alcol sta sortendo effetto.
«Le stava facendo male» affermo. Ripensando a quel momento, mi monta su nuovamente la rabbia.
«Non avresti reagito così se al posto di Gabriela ci fosse stata una ragazza della tua età»
Sospiro un sorrisetto e trangugio l'ultimo sorso di quello che credo fosse un mojito casereccio.
«Che dire, mi piacciono i bambini» appoggio il bicchiere sul davanzale della finestra alle nostre spalle «Vado in bagno.»
«Vuoi che ti accompagni?» 
Mimo un no con la testa e scosto l'anta in vetro per entrare.
Tutto sommato, fino a questo momento, ben poco è andato male. Mio padre, a tavola con mia sorella, il suo ragazzo e sua moglie, non si è avvicinato a me mezza volta ed anche gli invitati non mi hanno considerata.
Sicuramente qualcuno avrà avuto da commentare il fatto che Victor ha preferito restare con me anziché con sua sorella e sua madre, ma questo non ha rovinato il banchetto.
Salgo la rampa di scale in legno di rovere che conduce al piano superiore, quello dove si trovano le stanze da letto, lo studio di mio padre ed il bagno.
Oscillo leggermente sui tacchi e l'aver bevuto abbastanza non ché l'indossare questa gonna troppo lunga sta rendendo tutto troppo complicato.
Riesco a raggiungere il corridoio ma quando lo attraverso per arrivare al bagno lo sguardo mi cade sulla porta semichiusa della mia stanza da letto.
Afferro la maniglia ed entro.
Non è stato toccato nulla. Il letto perfettamente rifatto, i libri al loro posto, la scrivania sgombra. Profuma di pulito, come se mandassero a rassettarla ancora ora.
Mi muovo sul parquet scuro. 
Accanto al letto a baldacchino, sopra il comodino di legno massello, trovo svariate cornici.
Mi siedo a bordo letto e ne prendo una. La foto ritrae Allison, Victor e mio padre che li tiene stretti a se. Se non vado errato quella foto risale a molti, molti, anni prima che lui facesse richiesta di affido costringendomi a trasferirmi qui.
Mi fa rabbia vedere una foto del genere in quella che dovrebbe essere la mia stanza. Ma non è più la mia stanza, giusto?
Le altre cornici contengono foto che ritraggono me, sola: il giorno dell'arrivo a Boston, quello del mio primo compleanno in questa città di merda ed una, l'unica, con mia madre.
Avevo dimenticato questa foto. 
Avevo quasi dimenticato il suo viso.

Appoggio quella che ho in mano e porto a me quella che ritrae me e mia madre.
Ha dei lineamenti così sereni in questo scatto. Probabilmente, il peggio per lei non era ancora arrivato. Io ero piccola, troppo piccola, e lei così giovane ed entusiasta di essere madre per la seconda volta.
Le sfioro il contorno del viso con l'indice e di colpo sento il terribile bisogno di averla qui con me.
Non sono la ragazza forte e risoluta che ho sempre creduto di essere. Sono fragile, mi sento persa e lei...lei mi manca come l'aria.
«Cècile» Sollevo di scatto lo sguardo asciugandomi in fretta l'angolo di un occhio.
«Che ci fai qui?» 
L'uomo di fronte a me non può essere mio padre, benché abbia gli stessi lineamenti che ricordo sfocati nella mia memoria di bambina.
Tutte le speranze che avevo nel vederlo così, proprio come ora, accanto a mia madre,sono svanite quando ha deciso di dire SI a quella donna.
Come può riposare sereno?
«Sei sparita»
«Tutto quel ridere e scherzare mi stava dando sui nervi» dico incrociando le mani sulle ginocchia.
«Non intendo solo dal banchetto. Ti ho cercata per mesi...» si passa una mano dietro la nuca «Non hai mai risposto al cellulare»
Gli lancio un'occhiata felina «Cosa ti ha fatto pensare che potevo aver voglia di parlare con te?»
La sua bocca si contrae come se volesse ribattere, ma non lo fa.
«Non siamo più una famiglia. Mettitelo in testa» concludo tagliente.
Che situazione assurda. E' mio padre, l'uomo che ha abbandonato me e la mamma. E adesso è davanti a me che indirettamente mi supplica di perdonarlo.
Purtroppo è difficile ammettere che una parte di me sia persino felice di rivederlo. Anzi, non voglio ammetterlo affatto. Mi odio per quello che sto provando in questo preciso momento.
«Cécile, perché mi odi così tanto? Io non vi ho abbandonate. La mamma-» prova a fare un passo verso me ma lo sovrasto con la voce.
«Non ci provare. Non provare a dare la colpa a lei!»
Mi costringo a restare seduta. Se mi alzassi lo colpirei e poi mi sentirei male per averlo fatto.
Bastona lo sguardo e si asciuga la fronte leggermente imperlata di sudore.
«Era diventato tutto troppo difficile da gestire» ammette quasi sussurrando a se stesso «Katarina era morta e tua madre...Dio» si copre gli occhi con il palmo della mano «Lei soffriva troppo ed io non riuscivo ad aiutarla»
Scatto in piedi «E così ti è parso giusto abbandonarci e poi toglierle me!»
La vista mi si appanna di colpo.
«Vivevi per strada!»
La sua voce arrochita per l'età e gli eccessi passati, scoppia fragorosa. Mi intimorisce per un attimo.
«Preferivo vivere  per strada, ma accanto ad una persona che mi ama e lo farà sempre» ringhio fra i denti.
Per anni ho covato il desiderio di questo momento ed ora che è arrivato, mi rendo conto che io sono impotente poiché come lui...
Ha causato la morte di mia sorella e devastato la vita di mia madre, ma chi sono io per giudicarlo? Non sono poi così diversa da lui. Anche io, quando i problemi si fanno enormi, scappo.
«Posso almeno sapere dove abiti ora?» Tenta di chiedermi non sapendo cosa rispondere.
«Che ti importa?» lo aggredisco, ma poi mi rendo conto che non serve a nulla, che quell'aria da cane bastonato non sparirà dalla sua faccia del cazzo «Un po' la...Un po' qua...» mento.
«Credevo vivessi con qualcuno. Non hai un ragazzo?»
Fa sul serio? Sta cercando di avere questo genere di dialogo con me?
«In realtà c'è una persona, ma non ne voglio parlare con te.»
«Sono tuo padre, con chi altri dovresti parlarne?»
«Tu non sei mio padre! Tu sei l'uomo che mi ha rovinato la vita!» grido.
Il suo viso si contrae, un po' per rabbia, ma poi prevale il dolore.
«Mi manca mia figlia» scoppia in lacrime «Mi manca la mia Cecilija»
Sentir pronunciare il mio nome esattamente come lo faceva mia madre mi fa torcere lo stomaco: lo usavano quando tutto era ancora normale. Quando mia madre Andreja era una ragazza felice e mio padre l'amava ed amava me.
Sono confusa. Lo ricordavo come un alcolizzato aggressivo e poi, anche quando è arrivato qui, con me è sempre stato schivo e carico di rancore.
Ogni volta che abbiamo litigato negli ultimi anni, mi ha sempre gridato la frase "sei come lei, le assomigli anche", con disprezzo. Lo stesso che ha serbato a lei.
«Ti prego dammi una possibilità» singhiozza. Tira fuori un fazzoletto di stoffa dalla tasca della giacca e si asciuga gli occhi.
Lo fisso impassibile. Persino le mie lacrime hanno fatto retro-front.
«L'unica possibilità che ti do è quella di sparire dalla mia vita. Se sono qui oggi è solo per Allison e Victor.»
Lo sorpasso, spalanco la porta e vado via.
Non corro subito. I primi passi lungo il corridoio sono lenti ed attenti semmai lui mi dovesse seguire. Non lo fa.
Allora è li che corro.
Corro e finalmente, lontano dai suoi occhi, piango.
Piango perché si arriva ad un punto dove si dimentica persino come si finge di essere forti.
«Cécile!» Ignoro Victor e corro fuori dalla villa.
E' ormai la notte di un giorno che sto odiando quasi più di me stessa.
Incespico più volte sul brecciato e gli occhi appannati di lacrime e trucco non mi permettono di vedere dove sto mettendo i piedi.
Non so dove andare, non so cosa fare, ma vorrei scappare in qualche direzione.
Avanzo sulla ghiaia, finché, una storta non mi toglie il fiato costringendomi a togliermi i tacchi e a proseguire scalza.
Che importa, mi dico. Non ne vale la pena di camuffare una persona come me sotto un abito del genere.
Non ne è mai valsa...
Mi asciugo l'ennesima lacrima con il dorso della mano e scopro di averlo coperto di mascara colante.
Di getto anniento una risata pensando a quanto brutta e buffa sono in questo momento.
Pietosa. Si questo è il termine adatto.
Una ragazzina pietosa che scappa via dopo aver capito cosa nella sua vita le fa del male.
Cerco di darmi una calmata anche se le lacrime non la smettono di scendere, sollevo il viso al cielo stellato e raccolgo quanta più aria possibile.
Perché? Perché deve essere tutto così di merda?
L'insana sensazione che mi suscita la presenza di mio padre è deleteria per me. Mi sento in colpa verso mia madre: so di odiarlo, so che ho permesso a quest'uomo di rovinarmi la vita persino ora che gli sono lontana. Ma allo stesso tempo, lui -anzi, no- l'idea di avere un padre mi manca a tal punto da rendermi così tanto fragile.
Ti prego rispondi. Spero con tutta me stessa che Gabriel pigi quel pulsante e risponda a telefono.
Ho bisogno solo di lui in questo momento. Solo della sua presenza, di un "andrà tutto bene".
«Cécile» dal suo tono di voce capisco subito che è allarmato.
«Ti prego vieni a prendermi» singhiozzo «Sono a casa di mio padre. Ti prego, vieni qui.»
Sto piangendo a dirotto mentre sono a telefono con lui.
«Inviami la posizione. Arrivo.» Risponde telegrafico e riattacca.
Entro su Whatsapp e gli invio il percorso per arrivare qui.
Le emozioni mi sovrastano come un fiume in piena. I singhiozzi non la smettono di togliermi il fiato, le gambe mi tremano, lo stomaco fa male.
Sono crollata, proprio ora.
Il mio corpo è frustato da tremori interminabili che non riesco a domare. Ormai non si tratta più di attacchi di panico o di semplice ansia, si tratta di qualcosa di più profondo e malcelato.
Il mio cuore, come pensavo, è realmente ridotto in poltiglia a causa di questa persona.
All'inizio credevo che il male peggiore fosse Bonuà e tutte le cose spregevoli che mi ha costretto a fare, poi suo figlio. Ma ora, so che il vero male, il vero problema nella mia vita è mio padre e ciò che riesce involontariamente a farmi.
E' viscido. Odio che si pianga addosso consapevole dello schifo che fa.
Ed io sono una povera stronza masochista. Ho accettato questo stupido invito con l'intenzione di rovinare il suo matrimonio e sono finita a piangere nel suo giardino maledetto.
«Quando la smetterai di rovinare tutto?!» Grida  Allison alle mie spalle.
«Che diavolo vuoi?» le chiedo, ma la voce sembra tramutarsi in un lamento disperato.
Assieme a lei c'è Marcus. La faccia da impunito e il tremendo piacere di vedermi ridotta cenere che gli balena, come un lampo, sul viso.
«Ho visto mio padre piangere» dice severa rimarcando le parole "mio" e "padre" con la voce «Quando la smetterai? Non hai rovinato abbastanza l'atmosfera di questa famiglia?»
Mi sento morire. Io non provo tutto l'odio che prova lei per me.
«Allison, cerca di calmarti» le mormora Marcus afferrandole appena il gomito. Gli occhi le stillano odio contro di me.
Mi sorprende il gesto di lui, mi sarei aspettata un sorriso vittorioso stampato sulle sue labbra. Invece l'espressione che ha rasenta il fastidio.
«Avevi giurato di sparire dalle nostre vite» sibila rabbiosa «Ma non sei capace neanche di portare a termine le tue stesse parole!»
All'improvviso Victor appare alle sue spalle e la spinge «La devi lasciare in pace!» Grida alla sorella.
Vorrei fermarlo. Vorrei ricordargli che Allison non sa nulla del bel rapporto che lui ha con me, ne del fatto che entrambi sappiamo che la Dama Bianca, la donna a capo del defunto Bonuà è proprio la loro madre.
«Perchè la difendi!?» lei ricambia la spinta.
Marcus cerca di mettersi in mezzo ma i due sembrano belve inferocite.
«Victor non le reagire!» Cerco di farlo rinsavire «Smettetela!»
Assomigliamo a quattro galli in un pollaio troppo stretto.
Smanacciamo, urliamo. Non ha senso tutto questo.
«Marcus, fa qualcosa!» gli grido.
«Ci sto provando» cerca di bloccare per la vita Allison che intanto ha sferrato un'artigliata sulla guancia di suo fratello minore.
Sta andando tutto a rotoli. Di questo passo...
«Che cazzo hai nella testa per difenderla, eh?» inveisce ancora lei.
«E tu che motivo hai per odiarla così tanto? Perché non te la prendi allo stesso modo con il tuo ragazzo!»
Il sangue mi scivola ai piedi.
Victor si zittisce subito dopo aver pronunciato quell'ultima frase ed anche Allie e Marcus sembrano essersi pietrificati.
«Che vuoi dire?» avanza di un passo lei.
Marcus guarda me nel modo più disperato possibile.
«Ti ha tradita» mi affretto a dire io.
Gli occhi le si allargano a dismisura.
«Con...chi?» ora le trema la voce.
I miei occhi rimbalzano dal viso di Victor a quello di Marcus.
«Ecco-» provo a dire.

Un buon bugiardo sa che la menzogna più efficace è sempre una verità a cui è stato sottratto un elemento fondamentale.

«Con Margherita.» Ammetto con estrema sicurezza.
Marcus sgrana le palpebre e noto che le sue mani incominciano a tremare.
«Che-stai facendo, Cécile?» mormora con voce tremolante.
«Dice sul serio?» Allison si volta verso il suo ragazzo, gli occhi gonfi di lacrime «Sta dicendo la verità?» Ripete accennando un sorriso malinconicamente disperato.
Le labbra del moro si schiudono ma dalla sua bocca non esce nulla.
«Diglielo. Digli la verità» gli intimo a brutto muso.
So cosa sto facendo. Non posso permettere che tutto venga fuori, che lei sappia la verità di me, di Marcus e Victor ne, tanto meno, del lavoro che svolgiamo per sua madre.
«E'...E' così, Marcus?» le tremano le spalle.
Lui abbassa lo sguardo, forse ha capito dove voglio arrivare.
«Perdonami»
«NO! NO!» grida a singhiozzi lei «Non è vero!» si accascia sulle ginocchia. Victor l'afferra un attimo prima che cada a terra.
«Sei un mostro!»
I pugni del moro si stringono tanto da fargli diventare le nocche bianche.
Lo fisso e lui scruta me con la coda dell'occhio.
«Ho dovuto farlo...» mimo con le labbra, il viso impassibile.

Esistono delle menzogne così vergognose, da provare maggior disagio a sentirle che a raccontarle.

«Che diavolo...»
Quando credevo che il peggio fosse passato, Gabriel appare alle nostre spalle.
Il cuore si ferma nel mio petto per un attimo lungo quanto un'eternità.

«No, no, no, no...Gabriel, posso spiegar-» 
«Che significa, Cécile?» mi sovrasta. I suoi occhi rimbalzano su noi quattro e quando nessuno ha il coraggio di rispondere, alza la voce «Dannazione! Spiegatemi cosa significa questo!»
 

“La verità trionfa da sola, la menzogna ha sempre bisogno di complici.”

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Il nemico del mio nemico è il mio amico.
(Valeriu Butulescu)

                                                                       Cécile 20.
Avete mai provato la sensazione di sentirsi imprigionati in un lasso di tempo che vi sembra infinito?
Delle volte è una sensazione così asfissiante che ci sembra di morire. 
Ecco, adesso, io sto vivendo esattamente quel lasso di tempo. Un momento infinito, disastroso.


A Gabriel trema il labbro inferiore. Con le pupille sgranate ci guarda senza credere ai suoi occhi.
«Mi spieghi cosa ci fanno Victor e Marcus al matrimonio di tuo padre?» Strilla.
«Non è come credi» faccio disperata, avanzando verso lui «Posso spiegarti ogni cosa».
Mi guarda come se volesse incenerirmi con gli occhi e ci sta riuscendo.
« Avevi giurato che non mi avresti nascosto più nulla!» Non è soltanto fuori di sé, è anche amareggiato.
Mi rendo conto che tremo più di prima e che non so cosa accidenti fare.
«Non è come credi, Gabriel.» Mi ripeto.
«Ah, no? E come sarebbe?» 
Mi volto verso Victor e Marcus che capiscono al volo e convincono Allison a seguirli in casa.
Lei è confusa, ma so che ben presto cercherà nuove spiegazioni e sarà tutto ancora più difficile di ora.
Adesso però, il mio unico pensiero è Gabriel.
«Mi dispiace di averti mentito. Non sapevo come spiegarti-» poggio le mani sul suo petto ma un attimo dopo lui le scansa via e si muove verso il cancello.
Lo inseguo come posso.
«Non volevo che pensassi male! So che vederci tutti qui ti ha fatto credere che stiamo facendo il doppio gioco» 
Gabriel si volta di scatto e quasi gli finisco addosso.
«Per colpa sua, Margherita ha tentato di togliersi la vita» dice a denti stretti.
I capillari mi tirano nelle sclere «Lo so, dannazione! Lo so.»
Solleva un braccio indicando la villa «Ha fatto recapitare un video che incolpava te e lei di aver ucciso suo padre,e tu ci vai ad un ricevimento assieme?!  E che mi dici di Victor? Anche lui è in mezzo ai tuoi giochi sadici?»
Scuoto la testa «Devi credermi non è così! Victor è mio fratello, Gabriel. Lui ha finto per tutto il ricevimento di aver ben poco a che fare con me e Marcus...Cazzo, è il ragazzo di mia sorella è ovvio che ci fosse anche lui. E' stata una giornata terribile. Abbiamo finto. Tutti.»
Se Gabriel non mi crederà, lo perderò per sempre.
Sospira un sorriso amaro e sarcastico al tempo stesso «Finto. Come sapete fare voi...vi riesce così bene» dice estremamente soggiogato dalla delusione.
«Devi credermi, ti sto dicendo la verità.» Quando torna a guardarmi dritto in faccia, scopro che non mi crede affatto.Che è deluso e disgustato da me.
Fa male.
«A te costa troppo essere sincera con le altre persone.» Afferma «E a me costa troppo perdere tempo con la falsità.»
Tornano a scendermi le lacrime sul viso, questa volta, silenziose. Sorde.
Distoglie lo sguardo ed afferra un'anta del cancello.
«Gabriel devi ascoltarmi! Ci sono cose che sono difficili da spiegare. Ma ti dirò la verità!» lo imploro.
«Quante volte ho pregato per sapere la verità?» dice scrutandomi con la coda dell'occhio da sopra la sua spalla.
«Lo so- lo so» mi affretto a dire. Gli poggio una mano dietro la schiena sporgendomi alla ricerca del suo viso «Ma ti assicuro che presto saprai tutta la verità.»
Fissa il ferro scuro del cancello. Un muscolo gli guizza sulla mascella.
«Non ne ho bisogno» afferma, uscendo dalla proprietà.
Cazzo. Gli occhi mi bruciano e il corpo vuole piegarsi in due.
Non sento la ghiaia sotto i piedi scalzi, non sento l'aria gelida di Aprile. Sento solo lo squarcio che ho nel petto.
Non avrei mai immaginato...nemmeno nei miei incubi peggiori avrei creduto di poter soffrire così.
Non avevo mai avuto qualcuno di prezioso, non avevo mai sentito l'esigenza di possedere completamente una persona. Il panico...Il fottuto terrore di perderla...quello non me lo aspettavo.
Non mi aspettavo niente di ciò che è successo.
Doveva filare tutto liscio: del sesso e poi l'incarico. Avrebbe consegnato la cocaina ad Alanka ed avremmo chiuso questa storia.
Invece, Gabriel ha ragione, sono implicata in un omicidio. Sono una fottuta bugiarda che siede al tavolo con i suoi strozzini.
Doveva essere facilissimo, dannazione! Invece no. Invece ho perso l'unica persona che amo. Si, perché io lo amo e voglio essere la sua ragazza, ma mi rendo conto che la mia vita è troppo incasinata per costringerlo a starmi vicino.
Fra noi sarà sempre così, saremo sempre attratti l'uno dall'altra, ci ameremo come pazzi, ma al tempo stesso ci odieremo sempre di più e litigheremo e non ci capiremo. Ed io lo dovrei lasciar andare...
Mi accuccio sulle ginocchia nascondendo il viso fra le mani. Le gambe non reggono più quei singhiozzi che mi fracassano la gabbia toracica. Sto per vomitare, sono allo stremo.
«E' andato via?» Sollevo lo sguardo imperlato di lacrime.
Marcus ha addosso il cappotto e sembra che stia per andarsene.
«Si» mormoro appena.
I suoi occhi si fanno inaspettatamente comprensivi.
«Vuoi che ti riaccompagni a casa?»
Schiudo le labbra e non so realmente cosa dire.
«Ti toccherà dormire qui, altrimenti» aggiunge.
Si dice che ciascuno di noi, nel corso della propria vita, accumuli in media tredici segreti. Di questi, solo cinque sono davvero inconfessabili. Io ne ho solo uno, ma si fa sentire dentro come se ne valesse mille.
                                                                           *******

La strada si allarga davanti al cofano dell'Audi di Marcus.
E' ormai notte inoltrata e nonostante la villa di mio padre non sia distante dal centro, c'è un tratto di campagna da percorrere. Poco illuminato ed isolato, si estende in curve per uno o due chilometri.
«Allison mi ha lasciato» dice di colpo, dopo un bel po' di silenzio.
«Mi dispiace» sono sincera «Non sapevo che altro fare.»
Mantengo lo sguardo fisso sulla strada.
«Lo so. Hai fatto la cosa giusta.» Ammette «Cécile, io-» frena di colpo evitando per miracolo due porco spino che si stanno azzuffando al centro della strada.
Perdo il respiro e poi tossisco.
«Cazzo, che infarto» 
Mi guarda e sorride.
Di riflesso lo faccio anche io.
Gabriel avrebbe voluto sapere il mio segreto. Ma io non potrei mai raccontargli certe cose.
«Che stavi dicendo?» restiamo fermi al centro della strada, immersi nel buio.
Marcus non separa mai le mani dallo sterzo ed i suoi occhi hanno la scusa dei porco spino per non fermarsi nei miei.
Temporeggia per un secondo «Vorrei che domani passassimo al Cuore Immacolato.»
Resto impassibile «Non sei costretto a farlo.»
La sua bocca si storce in una smorfia di disappunto «Non mi sento costretto.» Afferma con convinzione.
Mi muovo sul sedile girando il busto verso lui «Ascolta, passare li non cambia ciò che sta succedendo fra me, gli altri e te.»
L'espressione sul suo viso si fa più marcata, è nervoso.
«Lo so benissimo»
Scuoto la testa «No, non lo sai. Sennò non mi chiederesti di passare li» tiro fuori il mio pacchetto di sigarette e ne accendo una «Sai cosa succederebbe se gli altri ci vedessero insieme o se sapessero?» Abbasso il finestrino per far uscire il fumo.
«A te importa così tanto? Insomma, ci hanno già visti insieme»
Socchiudo le palpebre per un attimo cercando di affievolire la rabbia che mi sta montando dentro.
«Ci hanno visti insieme tirare cocaina non- Dio, Marcus! Non ci arrivi proprio?»
«Non puoi far finta che quello che ci è capitato non è mai esistito» ribatte.
«Dove vuoi arrivare? Io ti odio Marcus. Tanto quanto odiavo tuo padre»
«Tanto, da ucciderlo»
Il sangue sembra defluirmi dalle vene. Deglutisco a vuoto.
«C-Cosa...»
«Gli hanno sparato e so quanto lo odiavi...»
«Mi stai veramente incolpando di aver ucciso tuo padre?!»
Esita per un attimo, vorrebbe rispondere ma non ci riesce.
Balzo dritta sul sedile e della cenere mi cade sul vestito «Sei tu che hai mandato quel video a Margherita, è così?»
Ma di colpo, inaspettatamente, sembra smarrito «Di cosa parli?»
«Non fare finta di non sapere di cosa parlo. La scatola, il pacco regalo con la chiavetta USB»
«Ti giuro, Cècile-» muove le mani avanti a se «Non sapevo nulla del pacco»
Perché l'istinto mi dice che devo credergli?
«No, non ti credo. Era all'università. Tu frequenti i suoi corsi e poi, anche Gabriel è stato perseguitato dagli uomini di tuo padre»
Congiunge le mani avanti a se «Di Gabriel sapevo tutto. Ma di Margherita, giuro, che non sono stato messo al corrente di niente.»
«E sentiamo allora, chi sarebbe stato?» Tiro l'ultimo respiro di fumo e getto la cicca.
«Non lo so, ma credimi, non c'entro niente io. Quando ho scoperto come si comportava mio padre e quel Night dove ti costringeva a lavorare ho deciso di prendere le distanze da lui. Si, spaccio per Alanka ma ho chiuso con il suo giro ed i suoi modi di fare.»
«E la geep che ha tamponato Gabriel?»
Scuote la testa un paio di volte «Non sono stato io.»
Se Marcus sta dicendo la verità, dietro tutti gli avvertimenti, chi diavolo c'è?
«Cècile, credimi, non mi interessa sapere se sei stata tu ad uccidere mio padre. Io stesso lo volevo morto.»
Non esiste peggior momento, di quando ti rendi conto che la persona che hai sempre creduto tuo nemico è una vittima delle circostanze, proprio come te.
Marcus si scopre il braccio e slaccia il polsino della sua camicia mostrando una vistosa bruciatura che ricorda molto la forma che ha il corpo di una libellula.
«Io sono una vittima tanto quanto voi. Questo mi è stato fatto un mese fa durante una serata di confraternita.» Solleva gli occhi a me «Non ho visto in faccia chi mi ha trascinato all'esterno della casa. Mi ha incappucciato e malmenato senza che nessuno potesse accorgersene. Poi, ho sentito un dolore pungente al braccio. Ho gridato. Inutilmente...»
Sono pietrificata mentre racconta quanto è accaduto.

Una trappola è una trappola solo quando non la conosci. E a noi ci avevano intrappolati tutti.

«E riguardo Margherita? Perché l'hai mandata da tuo padre?» mentre parlo rifletto su tutte le nozioni che ho «Sapevi cosa aveva fatto a me, perché l'hai gettata in pasto a quell'uomo?»
Si passa una mano fra i capelli «Credevo di aiutarla. Aveva bisogno di soldi, mio padre ha quel locale...» Tenta di giustificarsi.
«La costringeva ad avere rapporti con lui! Ha provato a togliersi la vita, per questo!» strillo.
Sembra accusare il colpo ed esserne scioccato «Ha...Cosa?»
«In ospedale, la notte che è stata ricoverata, ha preso un tagliacarte ed ha provato a tagliarsi le vene» ruggisco.
Gli occhi di Marcus si riempiono di lacrime. Da quando è così sensibile? Cosa sta succedendo?
Si passa nuovamente le mani fra i capelli sembra in preda al panico. Batte freneticamente un piede sulla moquette dell'auto e fissa l'asfalto in procinto di piangere.
«Mi aveva giurato che le avrebbe fatto fare la cameriera» dice con la voce rotta «Me lo aveva giurato» ripete. Sta tremando.
«Come ti aveva giurato di non avermi toccata con un dito, vero?»
Perché per quanto potrebbe provarci, anche volendo, non le accetterebbe mai.
«Tuo padre era un mostro e tu lo hai sempre saputo!» 
Sarebbe costretto a detestarmi per sempre per colpa dei miei segreti. 
Marcus spalanca di colpo lo sportello dell'auto, scende e vomita.
Segreti che senti dentro le ossa. Inconfessabili.
Tiro fuori dalla pochette un pacchetto di fazzoletti e scendo anche io dall'Audi facendo il giro.
E' piegato e mantiene le mani sulle ginocchia.
Gli stendo il fazzoletto per pulirsi la bocca.
Lo prende ma incespica alzandosi ed è costretto ad appoggiarsi all'auto. Ha il fiatone e sembra sconquassato da tutto il discorso.
«Tuo padre mi ha violentata, Marcus. E sai perché lo ha fatto? Perché aveva scoperto la mia gravidanza»
Il suo viso è una maschera di emozioni terribili.
«Ho provato a dirti la verità un milione di volte. Ho provato ad essere sincera anche con gli altri, ma proprio non ce la faccio. Tu non hai idea di cosa ho passato. Non hai idea di quanto mi sono scervellata per trovare un modo ed andarmene da questa città e quei soldi -i vostri soldi- mi erano sembrati l'unica soluzione. Sapevo di essere incinta, sapevo anche che non avrei mai praticato l'aborto; non volevo farti del male, credimi.»
Segreti che devono restare segreti. Costi quel che costi. Perché non tutti capirebbero.
«Ma io sono qui per rimediare al male che ti ha fatto» mormora all'improvviso.
Lui non capirebbe.
«Gli altri non sanno che il padre di Ariadna sei tu e, francamente, non voglio che lo scoprano.» Mi appoggio a sedere sul cofano dell'auto. «Se ci dovessero vedere insieme, se ci dovessero vedere con quella bambina, penserebbero che sto dalla tua parte. Fraintenderebbero. Per loro il colpevole di tutti quei gesti sei tu.»

Mia figlia ha quattro anni e mezzo. Appena nata è stata lasciata al Cuore Immacolato. Non sono una madre degenere l'ho solo protetta da quell'uomo, dalla mia famiglia...da me. E questo, lui non lo capirebbe...



Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


 Nessun carico di sensi di colpa può cambiare il passato e nessun carico di preoccupazioni può cambiare il futuro.
(Anonimo) 
                 

                                                                                Gabriel 21.
Mentre torno in camera capisco quanto sono stato stupido ad aspettarmi che Cècile fosse cambiata.
Avrei dovuto sapere che era impossibile. Dovevo immaginare che quelle parole pronunciate così di getto non erano altro che il frutto delle circostanze, della pressione che aveva addosso.
Amarmi: lei non lo fa. Non l'ha mai fatto.
Chi ama non mente.
«Gabriel»Sollevo lo sguardo di colpo e mi accorgo che Drake è appoggiato con la schiena contro il muro adiacente alla mia stanza.
«Che ci fai qui?» 
Non ho esattamente voglia di vedere altre persone in questo momento.
«Sono le due del mattino» fa scivolare oltre la manica del suo parka l'orologio da polso «Anzi, mi correggo, le tre passate. Mi ero quasi preoccupato per te» si risolleva dalla parete fissandomi dritto in viso. Per un momento ho come la sensazione che abbia capito a colpo d'occhio il mio umore plumbeo.
«Puoi stare tranquillo, nessun losco personaggio mi è stato alle calcagna fino ad ora» dico ironico. Tiro fuori la chiave, raggiungo la porta ad un passo da lui e la inserisco nella toppa.
Faccio un passo dentro la stanza ed accendo la luce. Drake mi si affila dietro entrando senza permesso.
«Allora? Vieni in confraternita con me?»
Abbasso la zip del Colmar e mi lancio sul materasso «No, devo studiare»
«Oh, ma dai! Ci divertiremo!» insiste accennando un sorrisetto.
«Davvero. Non ho voglia» nascondo il viso sotto gli avambracci con la speranza che mi lasci in pace. Non lo fa.
Ad un tratto, lo sento sbuffare e borbottare qualcosa e le molle del materasso, inaspettatamente, si abbassano.
Sposto un braccio sulla mia guancia spiandolo con la coda dell'occhio.
Onestamente, mi ha colto di sorpresa. Perché resta qui? 
Drake tira fuori dalla tasca del cappotto il pacchetto di sigarette e se ne accende una.
«Odio che  si fumi in camera» bofonchio attirandomi un'occhiata storta da lui, che mi ignora e lascia fluire lentamente una nuvola di fumo dalle labbra.
Sospiro rassegnato, non posso fare altro.
«Allora? Che ti prende damerino?»
Che mi prende? In effetti me lo sto chiedendo da un po'.
Ormai, da Settembre, non riesco più a capirmi.
Getto le braccia lungo i fianchi ma resto a fissare il vuoto del soffitto bianco.
«Io...Non la capisco» Sbotto «A te ha mai detto la verità? Intendo, su qualsiasi cosa» Mi sollevo a sedere di colpo. Il biondo sbatte le palpebre un paio di volte allibito e ha quasi voglia di ridere.
«Be', dipende.» Fa una boccata di fumo e fissa l'anello in metallo nero che ha sul dito medio, giocherellandoci «A Cécile-» sospira un sorriso che sa di amarezza e sarcasmo allo stesso tempo «resta più facile mentire di tanto in tanto. Non credo che sia mai stata brava a dire la verità. Nemmeno a se stessa.»
«Ha detto di amarmi» dico in un sussurro. Sto soffrendo, lo ammetto. «Ma a questo punto, sono quasi certo che sia una bugia anche quella».
Mi fissa per quello che sembra essere più di un solo istante, poi torna a distogliere lo sguardo «Se vuoi sapere la verità, perchè non le rubi il quaderno?»
«Di quale quaderno parli?» Un quaderno? Ricordo di aver visto diversi quaderni dentro la sua borsa ma nessuno che paresse degno di interesse.
«Si, lei scrive spesso su un quaderno. Appunta tutto ciò che le passa per la testa li sopra. Ma nessuno lo ha mai letto.»
«Immagino che vi avrebbe fatti fuori, conoscendola» commento in una risatina. 
Annuisce.
«Tu sai dov'è lei, ora?» Si infila la mano libera in tasca. 
«Forse è ancora a casa di suo padre» Mentre rispondo, il ricordo di Marcus e Victor li, in quella casa, riaffiora assieme a tutti i nervi.
Ma non voglio chiedere niente a Drake ne, tanto meno, ho voglia di litigarci accusandolo di essere un bugiardo quanto gli altri.
Non l'ho rivalutato o, almeno, non del tutto. Ora, però, è l'unico che riesco a tollerare e forse, anche l'unico che sta cercando di dirmi la verità.
Drake risolleva la mano. Stretto fra le dita un mazzo di chiavi.
L' osservo confuso.
«Approfittane ora. Jace non c'è, lei non dovrebbe essere rincasata. Se vuoi ti accompagno».
Perchè tutto un tratto si è fatto così gentile con me? Che sia l'ennesimo tranello? 
«Non posso intrufolarmi di nascosto in casa sua!» Protesto saltando in aria come una molla.
Drake mi lancia un'occhiata che sa di qualcosa come : "non dire stronzate, lo hai fatto mille volte".
«Drake, no! Non posso. Non è giusto!» ripeto.
Continua a guardarmi storto, con un cipiglio marcato.
«Cazzo» borbotto a denti stretti, strappandogli dalle mani le chiavi.
«Finalmente hai capito come si cerca la verità da queste parti!» Conclude soddisfatto tirando fuori dallo spiffero della finestra la cicca ormai arsa e sollevandosi in fretta dal materasso.
«Giuro che se mi scopre li dentro ti ammazzo!».
 Mi spinge verso la porta «Si, si, sicuramente...»
                                                                                      *******
Resto sul marciapiede a fissare le serrande abbassate dell'appartamento di Cécile domandandomi cosa cavolo stia per succedere e se sia la scelta giusta quella di spiare i suoi appunti.
Sicuramente non lo è.
«Damerino, ti muovi?» Drake ha già separato l'anta del portone in vetro.
«Vuoi smetterla di chiamarmi in quel modo?» sbraito.
«Checca isterica ti suonerebbe meglio?»
Ho voglia di prenderlo a calci sulle gengive ma lo ignora da persona matura, sorpassandolo.
Appena mi infilo nell'androne, il tepore che emanano gli appartamenti del complesso mi avvolge riscaldandomi a tal punto che la fusione con il battito del mio cuore accelerato mi sta provocando asfissianti vampate di calore.
Sono convinto che quando raggiungerò l'ultimo piano, di me resterà solo poltiglia in ebollizione.
«Cerchiamo di farla breve» Tremo all'idea di trovarla in casa, all'idea di essere scoperto a frugare nella sua vita di nascosto.
L'appartamento, fortunatamente, è ancora vuoto.
Avanziamo in silenzio diretti in camera sua.
Accendo solo la sua abat-jour che raggiungo con non poca difficoltà.
Essere qui dentro mi soffoca. Non riesco nemmeno a fissare il letto, che il ricordo di quella notte con lei torna a riaffiorare.
Bramavo da mesi che succedesse, che potessi averla e quando è capitato io mi sono gelato, a tal punto, che i sensi di colpa per essere andato con altre ragazze e quelli che non mi hanno permesso di amarla da subito hanno raffreddato anche il mio corpo.
Si dice che il sesso sia psicologico. Se così è, avrei la spiegazione per cui una volta arrivato all'apice i pensieri non mi hanno permesso di concludere il rapporto.
Ci sono rimasto così male. Per lei, per me. 
«Trovato!» Scuoto la testa e mi volto verso Drake ed il cassetto aperto della scrivania.
Ha un quadernino nero stretto fra le dita e lo sventola fiero oltre la testa.
Respiro profondamente.
Ho visto scrivere Cècile su quel quaderno giusto un paio di volte. Credevo che fosse un quaderno dell'università, nulla di rilevante, invece, quando Drake me lo passa, scopro che ci sono una miriade di frasi scritte con una calligrafia da ragazza marcata più e più volte.
Leggo di appunti scritti giorno per giorno, pensieri che riguardano lei, la sua vita, me.
Se una canzone ti fa piangere e tu non hai più voglia di piangere, puoi smettere di ascoltarla ma non puoi sfuggire da te stesso.
Non puoi decidere di smettere di vederti.
O di spegnere il rumore che hai in testa…

Di primo acchito, tutte le frasi che mi scorrono nelle pupille ricordano strofe di canzoni.
Poi però, scorrendo, ci si rende conto che ogni singola parola ha un senso.
Mi accomodo a bordo letto senza staccare gli occhi dall'inchiostro nero inciso sulle pagine.
Drake non si avvicina. Si accomoda sulla sedia girevole accanto alla scrivania e lo ringrazio mentalmente per aver scelto di lasciarmi solo. Solo con Cécile.
Leggo in silenzio tutte le pagine con la data, quelle dove sembra parlare ad un confidente stretto, quelle che non contengono stralci di pensieri ma la verità della sua vita.
Scopro delle giornate passate a mendicare per strada e di quelle dove ancora era una bimba felice. Di come le manca il sorriso di sua madre e di quanto odi suo padre.
Ho il groppo alla gola e gli occhi sempre più umidi mentre leggo di come si sente disperata ed allo stesso tempo svuotata, di come le droghe la privino di quell'incubo.
Altre volte, però, è inevitabile che io lo affronti. Posso stare sveglia due giorni, ma al terzo devo chiudere questi maledetti occhi, per forza.
Così, quando so che deve succedere, mi dico che ce la posso fare, che riuscirò a dormire anche se dovrò rivivere quel momento.
Stringo il cuscino, serro le palpebre e cerco di respirare profondamente.
Delle volte ho pensato di raccontarlo a Gabriel, ma la paura è così tanta, che allora preferisco dormire accanto a lui e lasciarmi calmare dalla sua presenza. 
Perchè solo lui è in grado di farlo.

Non mi rendo conto che le sto imbrattando le pagine di lacrime e forse è stupido anche che stia succedendo.
Forse è inutile credere di poter scappare dai propri mostri.
Perché non si è mai lasciata aiutare?
[...]Lui  appare di notte, mentre sto dormendo e Marcus non lo sente. Si infila sotto le coperte e divora ciò che c'è di bello in me.
Socchiudo gli occhi per scacciare alcune lacrime e come un lampo nel buio penso a Margherita. 
Soffoco al ricordo di lei e di quella stanza di ospedale, al gesto che si è  spinta a compiere e tremo al pensiero che Cècile potrebbe sentirsi spinta a fare lo stesso.
Ho sbagliato irrimediabilmente e non sono le droghe, il sesso e quello che faccio per vivere, gli unici sbagli. Anzi, certe volte, credo che senza di questo non potrei andare avanti. 
Come volto la pagina una foto mi scivola sulle ginocchia.
Non riconosco che gli occhi del viso ancora acerbo ritratto nello scatto.
Il colore non è quello delle iridi di Cécile ma so bene di che colore siano gli occhi di suo padre.
Una bambina dai ricci neri, corti e due grandi occhi verdi sorride davanti alla macchina fotografica.
Ho un sussulto in petto e i peggiori pensieri nella testa.
Volto la foto e leggo un nome.
Ariadna.
«Chi è questa bambina?» mostro la foto a Drake.
Mentre lo faccio mi convinco a tirare su con il naso. Rischio di diventare una maschera di moccio.
Drake si solleva dalla sedia raggiungendomi ed ignorando di proposito le mie lacrime. Capisco al volo che non vuole mettermi a disagio più di quanto non lo sia già.
Afferra la foto e storce la bocca «Non ne ho idea. Li non c'è scritto niente?» Fa un cenno con il capo verso il quaderno.
Sfoglio le pagine seguenti: altre frasi, altri pensieri quasi astratti ma nulla che riguardi la bambina nella foto.
«No, non dice nulla».
Mi sollevo dal materasso. Ho bisogno di sedermi accanto al tavolo e studiare ogni singola frase riportata nel quaderno.
«Che dici, andiamo via?»
Volto lo sguardo al biondo «Io resto ancora un po'»
Sono certo che Cécile abbia menzionato di uno stupro e temo che quella bambina nella foto ne sia il frutto.
Drake sospira impercettibilmente «Spero solo non torni proprio ora.»
«Se vuoi, puoi andare» Affermo uscendo dalla stanza.
«Preferisco restare. Insomma, sappiamo entrambi che quando esci di testa fai solo danni» mormora allacciandosi le braccia dietro la nuca.
                                                                                                  Cècile.
Dico a Marcus di lasciarmi a qualche isolato da casa.
Ho bisogno di aria, di due passi fatti in solitudine.
Marcus ha riaperto una ferita fastidiosa questa sera e, come se non bastasse, Gabriel e la sua sfuriata non hanno fatto altro che contribuire allo stato d'animo che ho adesso.
Vorrei veramente sparire.
Mantengo le scarpe per il cinturino, mentre, scalza avanzo sul marciapiede. La strada è deserta se non per qualche auto sporadica che mi sfreccia affianco. Non so se sia un bene o un male che sia sola in giro di notte per questa città ma, detto francamente, neanche mi interessa più di tanto.
Aver parlato di Ariadna mi ha svuotata e lasciata divorare dai sensi di colpa come mai prima d'ora.
Avrei bisogno di capire quale realmente sia il vero problema nella mia vita. L'avere una figlia? O le dipendenze dalle droghe? O più semplicemente l'essere stata stuprata?
Forse, la morte di mia sorella, fra tutte queste cose, mi sembra la questione più semplice da affrontare ed anche quella dove è più facile adagiarsi. E' un dolore sano, spontaneo, non ha niente a che vedere con il resto degli errori e delle atrocità che mi porto dietro.
Mi manca Katarina. Sono certa che con lei sarebbe stato tutto diverso, tutto più semplice.
Mentre svolto per la via adiacente al mio palazzo ripenso al suo sorriso, a tutte le volte che la nostra vita ha preso una piega di merda e che lei, con il suo carattere forte e risoluto, ci ha sempre tirate fuori.
Non credo di poter essere forte da sola, sai?
Senza rendermene conto sono davanti al mio palazzo e poi ancora, attimi dopo, sono per le scale. Stanca, distrutta e con un enorme foro nel petto.
Allungo la mano verso la maniglia che chiude il mio appartamento ma scopro che la porta è aperta.
L'abbasso rumorosamente. All'impatto con il movimento del mio polso, sento alcuni piedi muoversi frettolosi. Mi decido e la spalanco.
«G-Gabriel!»
Lo trovo con il mio quaderno in mano, colto in flagrante sul fatto. Con lui Drake.
Rivolgo un'occhiataccia torva al mio ex ma lui devia lo sguardo velocemente. 
Torno, perciò, a guardare Gabriel: prima lui, poi il mio quaderno e quindi di nuovo lui.
«Che diavolo ci fai con quello?!» Lancio le scarpe e mi scaglio come un proiettile per strapparglielo dalle mani.
«Chi è quella bambina?» domanda sollevandoselo sulla testa.
Mi metto sulle punte afferrandogli il Colmar con le unghie senza rispondere.
«Chi è quella bambina?!» Ripete questa volta strillando, mentre si oppone a me. 
«Drake, perché cazzo lo hai portato qui!?» Ingaggiamo una lotta selvaggia per il possesso del quaderno.
Gabriel non ha nessuna voglia di cedere e finisco per farmi male contro di lui involontariamente.
«Dimmi la verità!»
«Dammi quel dannato quaderno!»
Ci strilliamo fulminandoci con lo sguardo. Ci vorremmo morti entrambi in questo momento. Odio e rancore sono palpabili, tanto quanto l'amore che proviamo e che non riusciamo a confessarci.
«Nessuno ti ha dato il permesso di infilare il naso nella mia vita!» Gli do una spinta.
«Tu! Dannazione, tu mi hai gettato dentro questa merda!» Mi punta l'indice contro il petto e lo preme forte.
Grido. Per rabbia, per frustrazione, perchè lo amo e non doveva andare così.
«Tu non sai stare al tuo posto! Cosa pensi di fare? Cosa pensi di poter combinare dopo che ti ho detto la verità? Non ti permetterò di potermi ferire!»
«Non hai il coraggio di fidarti! Non ti sei mai fidata di me!»
Ci feriamo a colpi di frasi che, ora come ora, mi sembrano così superflue.
«E non mi fiderò mai!».
Le labbra di Gabriel tornano a chiudersi ed il suo sguardo diventa gelo invernale.
Raddrizza la schiena e senza distogliere lo sguardo da me parla a Drake.
«Lasciaci soli» Gli ordina.
Il biondo non si oppone.
«Chiamami se hai bisogno» dice prima di lasciare l'appartamento.
Il mio ex mi passa affianco senza rivolgermi lo sguardo. Il capo quasi chino, le braccia lente lungo i fianchi. Lo vedo che si sente in colpa, ma so che è convinto di aver fatto la mossa giusta.
Ciò che non capisco è il motivo.
                                                                                   *****
Sola con Gabriel, mi sento ancora più debole.
«Che motivo c'era di mandarlo via?» Provo a calmarmi. Mi stride la gola ed ho bisogno di bere.
Mi avvicino al lavello e faccio scorrere l'acqua, ma guardandola mi dico che non basta.
«Non c'era motivo di farlo restare. Questa è una cosa fra me e te.»
Apro il frigo e sfilo una birra, al diavolo l'acqua, chiudo il rubinetto e la stappo.
Mando giù un sorso e lo sento scorrere dentro me fino allo stomaco. Sospiro e appoggiata al lavello riprendo aria.
«Ok, vuoi sapere la verità?» Nel girarmi di scatto perdo l'equilibrio e sbatto con il fondo schiena contro i ripiani della cucina. Gabriel ha l'istinto di scattare verso me ma si arresta subito.
Sono costretta a tenere una mano artigliata al bordo del lavabo, ma non mi scompongo.
«Quella bambina è mia figlia» dico, sollevando l'indice della mano che stringe la lattina verso la foto che Gabriel ha fra le dita «Contento?».
Ci metto qualche sorsata per svuotare quasi del tutto la lattina. Mi dico che l'alcol sta riuscendo a smorzare la tensione, ma mento a me stessa.
Nel guardare il viso contrito che ha, ho l'impressione che il mondo gli sia appena crollato sulle spalle ma l'unica voglia che ho è quella di inveire senza rendermi conto che l'unico modo che ho per farlo è quello di raccontare la mia brutta verità alla persona che amo, cosciente di farla soffrire.
«Sono rimasta incinta a 17 anni, se questo è ciò che vuoi sapere. Ah, è di Marcus quella bambina.» Serro la mascella e in un impeto improvviso, dopo attimi di forzato silenzio, tiro la lattina contro il pavimento. Finisce per rotolare contro i suoi piedi.
«Cos'altro dovresti sapere? Sono stata stuprata dallo stesso uomo che ha portato Margherita a compiere quel gesto atroce e come se non bastasse, mio padre ha sposato la donna che costringe tutti noi a vendere droga. Non basta questo? No, giusto! Non ti è stato detto che Victor è mio fratello proprio perché, se tu non lo avessi capito bene, siamo figli della più grande narcotrafficante della zona! Dirti che ci siamo imparentati avrebbe compromesso le consegne. Non volevamo rischiare » Le lacrime sono tante e non le domino.
«Cosa, di ciò che mi stai costringendo a raccontare, potevo dirti sin da subito? Eh?!»
E' così liberatorio dire la verità.
«Sei l'unica persona che amo veramente e non volevo perderti spiegandoti quanto la mia vita faccia schifo. Quanto male ho visto fare e mi sono lasciata-» Con uno scatto felino mi raggiunge senza darmi il tempo di accorgermene.
Le sue braccia mi avvolgono strappandomi il fiato.
«Ho bisogno di essere aiutata, Gabriel» dico in un soffio. 
«Lo so.»


Non avevo mai detto la verità a qualcuno. Ero troppo abituata a mentire, a nascondermi dietro le bugie. Lo ero così tanto che, alla fine, ho creduto che quella fosse la strada migliore per non dover affrontare le mie paure.
Una di queste era proprio amare. Mi sono convinta, con il tempo, di non essere più in grado quando invece la verità era ben altra. Avevo paura di amare e di perdere chi amavo. 
Ma poi è arrivato quel testardo di Gabriel e mi ha costretta a scoperchiare il vaso di Pandora.
Ora non ho più paura di raccontarmi, perché so che a lui posso dire tutto e che resterà per sempre al mio fianco.
Ed io? Io sarò in grado di restare per sempre al suo fianco?



Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Non sei sola,
c'è chi ti porta nel cuore
e non sarai mai sola.
I miei occhi nella tua anima,
tu non sei sola,
tu non sarai mai sola,
tu sei qui nei pensieri, nel mio cuore.
E la solitudine del cuor tuo
volerà via lontano da te.
Vivi felice, vivi,
che sarò lì con te,
per sempre e sempre.
Non saremo mai soli.
Sei qui, impressa nel mio cuore.

                                                                                        Gabriel 22.
«Raccontami un po' per volta» Ho preparato una tazza di camomilla a Cècile e le ho avvolto le spalle con un plaid di lana trovato in camera sua.
Si è accomodata sul divano ed io accanto a lei. Ancora trema.
«Hai detto che ti eri trasferita da Marcus e poi? Cosa è successo?»
Sospira mentre fissa l'interno della tazza «Dopo cinque mesi di relazione ho scoperto di essere incinta. All'inizio pensai di dirgli la verità, ma poi una mattina ho trovato la cassaforte nello studio di suo padre.» Ammette con difficoltà «Non so cosa mi sia passato per la testa, avevo paura ed era tutto già un casino. Così ho preso quei soldi, ma suo padre aveva già trovato il test di gravidanza, evidentemente, perché una volta raggiunto l'aeroporto mi ha fermata» In pochi attimi la voce già distorta e legnosa si trasforma in un lamento «Mi ha stuprata. Suo padre mi ha stuprata e voleva costringermi ad abortire.»
Sta piangendo e sento che sto per farlo anche io.
Amare tanto una persona significa anche questo? Sentire il suo dolore sotto la pelle, nelle ossa.
«Quando è morto una parte di me è tornata a respirare» 
La stringo a me e lei si abbandona fra le mie braccia.
«So di averti fatto schifo, so che mi hai odiata e so che ho rovinato la mia vita. Ma ti prego cerca di capire.»
Anche se mi resta difficile comprendere fino in fondo il suo dolore, di certo, ora che si è confessata non sono più arrabbiato con lei.
«Troveremo una soluzione»
                                                                                                 Cécile.
Guardo la sua sagoma indistinta da dietro un velo di lacrime «Non c'è una soluzione, Gabriel. Chi fa ciò che facciamo noi, non ha modo di uscirne.»
Le sue palpebre si allargano in un sussulto, le braccia scivolano via da me e mi fissa smarrito «Cambieremo città. Raul dice sempre che finito tutto questo partirà. Ci lasceremo tutto alle spalle, vedrai».
Sorrido amaramente e mi passo una mano sul viso «Sono cose che si dicono» torno a fissarlo «Ma non è così».
Balza in piedi «Non ci hai mai provato! Non hai mai provato a darti una possibilità!»
E' incredibile la positività che emana questo ragazzo. Delle volte, riesce a far credere persino a me che le cose si possano risolvere. La sua ingenuità è contagiosa.
Mi sollevo anch'io lasciando scivolare via dalle mie spalle il plaid e poggiando sul tavolo la camomilla ormai fredda.
«Torna a casa, Gabriel.» Allo stesso tempo però, mi mette i nervi il suo modo di prendere le situazioni così alla leggera.
«No.» Dice, lasciandomi del tutto sorpresa.
«Come?»
«Hai sentito bene. NO. Non vado da nessuna parte»
Stringe i pugni, testardo come al solito.
«E va bene, fa come ti pare» soffio, dirigendomi verso camera mia.
«Sono consapevole di quanto non sia facile uscire da certi giri, ma non sei più sola»
Mi volto di colpo e per poco non mi finisce addosso.
«E sentiamo, quale fantastico piano avresti in mente? Perché Gabriel, dubito che tu possa realmente fare qualcosa per questa situazione»
I suoi occhi si assottigliano e storce le labbra come se stesse riflettendo, ma anche, come se ne fosse risentito della mia affermazione.
«Ti porterò a casa mia. E' solo per un periodo ma...»
«A casa tua?» sbotto a ridere e torno a dargli le spalle «Per piacere...»
Quando entro in camera mia la luce è accesa e mi tornano i nervi a fior di pelle ripensando a quanto lui e Drake siano stati sfacciati.
«Cazzo!» Grida attirandosi la mia attenzione «Ok, allora tu preferiresti passare la tua vita, così!» indica la mia stanza «Sola, senza aspettative, fatta sei giorni su sette...Io non ti capisco! Fossi in te mi godrei anche quella mezza giornata lontana da tutto»
Ha terribilmente ragione, ma so che se mi trasferissi a casa sua, lei  mi troverebbe li ed immischierebbe gente che non ha niente a che fare con questa situazione.
«No. Non posso, anzi, non voglio!»
Raggiungo l'armadio aprendone le ante nervosamente.
«Perché? Perché non ti lasci aiutare. Me lo hai chiesto tu.»
Socchiudo gli occhi e respiro. Perché non capisce?
«Senti, non voglio mettere di mezzo altre persone»
Gabriel mi afferra un polso costringendomi a voltarmi e poi anche l'altro fissandomi dritta negli occhi « Non lo farai»
Sollevo gli occhi al cielo rassegnata. Ammetto che mi viene da sorridere e non lo nascondo.
Gabriel è forse l'unico che ripone così tanta fiducia in me.
«Tu non hai idea della cazzata che stai  per fare»
Il suo viso torna nuovamente disteso e a tratti, soddisfatto.
«Certo che lo so. Ma è una mia scelta» dice afferrandosi i fianchi.
Rido.
«Sai, ti amo. Davvero.»
Le sue pupille, quando tornano a me, si allargano in due cerchi corposi.
Sono convinta che se avvicinassi l'orecchio al suo petto sentirei il suo cuore fare le capriole, un po' come il mio.
«Hai-Hai...» gli poggio l'indice sulle labbra perché sta balbettando e non vorrei scoppiare a ridere come un cane «Si, hai capito bene. Ti amo Gabriel.»
                                                                                          Gabriel.
Mi sveglio intorpidito, con un braccio allacciato alla nuca e l'altro sommerso dai capelli di Cécile.
Nonostante non abbia più la sensibilità sugli arti superiori, svegliarsi con lei accanto è meraviglioso.
Non mi sono mai sentito così bene ed in pace.
«Ehy, buongiorno» le sussurro quando sbatte le palpebre ancora impastate.
Cécile volta il viso assonnato verso me e sorride.
«Buongiorno».
Più la guardo, più mi sembra incantevole.
E' riuscita a fottermi il cervello, ma questa volta non me lo dico con rabbia o frustrazione. Sono felice che l'abbia fatto.
Le scosto una ciocca di capelli dal viso e lei sfiora il dorso della mia mano.
«Come hai dormito?» le chiedo.
«Ecco, bene» è imbarazzata. Sa che ho letto il suo quaderno e mi sento in colpa per averlo fatto, ma da una parte, seguire il consiglio di Drake è stato l'unico modo per arrivare a questo.
«Che ne dici di alzarci per una tazza di caffè?» propone velocemente. Ridacchio, adoro quando le si arrossano le guance e diventa timida.
Si tira su con un braccio dal materasso e sta per cacciare via una gamba dal lenzuolo quando le blocco il polso.
Mi scruta confusa.
                                                                                Cécile.
Con la gola serrata vedo tendersi il tessuto dei suoi boxer. Non mi da fastidio, non se si tratta di Gabriel.
Torno a sdraiare le spalle sul materasso e lascio che mi salga sopra. L'atmosfera è cambiata per la decima volta da quando ha messo piede ieri sera qui.
Fissa i miei occhi ed io non posso fare a meno di lasciarmi risucchiare da quello sguardo magnetico.
«Dimmi di no e mi fermo» dice. Ma io non ho alcuna intenzione di fermarlo.
I suoi muscoli si flettono mentre fa leva con le braccia e si sporge per baciarmi.
Mi sono mancate immensamente le sue labbra. Mi è mancato questo, lui.
Gli passo le dita fra i capelli e le nostre lingue si intrecciano in movimenti così perfetti che sarebbe difficile pensare che in passato abbiamo baciato persone differenti da noi due.
Si abbassa su di me. Involontariamente  inarco la schiena quando sento il suo inguine sul mio. Mi sento una quattordicenne in fibrillazione per la sua prima volta. Gabriel mi fa quest'effetto spiazzante.
Sento le sue mani scorrermi sui fianchi ed il cuore che pulsa nel suo petto mentre cerca disperatamente il battito del mio.
Vogliamo mangiarci e presto, conoscendoci, ci divoreremo di baci e non ne avremo mai abbastanza.
IO NON NE HO MAI ABBASTANZA.
Mi sfugge un gemito quando fa scorrere le dita accanto al bordo dello slip e poi più in basso.
Muoio dalla voglia di essere toccata e lui sta godendo nel vedermi disperata, senza mai arrivare a farlo veramente. E' una tortura, uscirò di testa se non o farà subito.
Gli mordo un labbro e l'altra mano, quella che non mi sta facendo soffrire, affonda i suoi polpastrelli nel mio fianco.
Dopotutto, non credo di essere l'unica che sta per scoppiare. Lo sento dal leggerissimo suono roco che ogni tanto sfugge dalla sua gola. Muoio ogni volta di piacere e voglio tornare a sentirlo, per questo, affondo le unghie nella sua pelle, perché so che tornerà ad ansimare.
Lancio un gemito più forte quando solleva l'angolo dello slip e infila le sue dita dentro me, finalmente.
Gabriel separa le sue labbra dalle mie e si tira leggermente più su, guardandomi mentre, in balia delle sensazioni, sono persa e sconvolta di piacere.
Non riesco a tenere gli occhi aperti, ma per quel po' che posso, vedo sulle sue labbra un sorriso divertito e terribilmente eccitante.
«Ti amo anche io, lo sai vero?»
«Si» soffio. Le sue dita entrano ed escono da me e il corpo sta incominciando a vibrare senza che io possa fermarlo.
«Ti amo, Gabriel.» Respiro affannata.
«Dillo di nuovo»
La sua bocca scende lentamente sul mio collo e poi ancora lungo la pancia.
«Ti-amo»
Succhia la pelle con forza e poi ci passa la lingua per lenire il dolore. E' una tortura ma è anche stupendo.
Gabriel ripete questi gesti all'infinito finché il mio corpo non avvampa.
Mi libera dell'intimo e quando, finalmente, scende verso il basso l'unico istinto che ho -o meglio, l'unica cosa che riesco a fare- è inarcare la schiena.
Mi allarga le gambe agguantando le cosce con i polpastrelli mentre muove la lingua su e giù.
In pochi secondi iniziano a tremarmi le gambe, stringo le lenzuola nei pugni.
«Avevo dimenticato quanto ti piacesse» dice senza staccarsi da me.
Emetto gemiti strozzati, non riesco a parlare. Gabriel ridacchia quando il mio corpo inizia a scuotersi per gli spasmi. In un momento di lucidità, mi rendo conto che, senza mai smettere ciò che ha incominciato, mi guarda e gli piace.
Credevo di non saper cosa significasse essere imbarazzati a letto con qualcuno, ne impotenti, ora lo so.
Dopo poco torna a baciarmi. Sulle sue labbra un sorriso soddisfatto.
«Sei sicura di...» Prova a chiedere.
Ho il respiro pesante e la testa confusa, ma so cosa voglio e lo voglio adesso.
Avvinghio il suo collo con le braccia e lo bacio. Faccio scivolare le mani lungo la sua schiena ed un attimo prima di infilarle sotto i suoi boxer per liberarlo da essi, riesco a rendermi conto che tutto questo mi è mancato dal primo giorno.
Da quando ci siamo baciati la prima volta, proprio qui, in questa stanza.
Sospira ed il suono che emette è leggermente arrochito. Solo quando siamo di nuovo pelle contro pelle ci lasciamo sfuggire un gemito.
«Cécile...»
«Sst, sta zitto» dico. So quello che sto facendo, non c'è bisogno che si preoccupi così tanto per me.
«Cécile, ascolta, devo dirti una cosa» E' più serio.
Nonostante sia infastidita, decido di fermarmi un secondo.
Lascio le mie braccia attorno al suo collo e lui si solleva sulle sue quanto basta per potermi fissare dritto negli occhi.
«Sono stato a letto con un'altra ragazza» ammette di colpo.
Ho uno spasmo, ma non è affatto piacevole. Lo stomaco, all'impatto con la sua affermazione, si è accartocciato su se stesso e mi sento il cuore in gola.
Non ho idea dell'espressione nata sul mio viso, ma guardando quella ferita di Gabriel credo che la mia non sia tanto diversa.
«Lo so. Ho sbagliato. Neanche volevo farlo veramente è solo che tu eri sparita come al solito ed io mi sono...perso»
Sento la voglia di alzarmi ed andare via, ma non riesco a muovere un muscolo.
«E' per questo motivo che, la notte che lo abbiamo fatto per la prima volta, io non sono...» solleva una mano e si gratta la nuca mentre svia lo sguardo.
Avrei bisogno di riflettere ma l'impulso che ho è quello di perdonarlo seduta stante perché ho creduto che non avesse avuto rispetto per me e sono stata costretta a farmi un test di gravidanza del tutto inutile, come una perfetta sciocca. «Jace mi ha baciata»,  l'unico modo che trovo è quello di colpevolizzarmi, giustificandolo e sistemandomi un gradino accanto lui sulla scala degli sbagli.
Gabriel mi scruta attonito, come se non  se lo aspettasse.
«C-Cosa ha fatto?» lo vedo irritarsi in un lampo.
Si solleva bruscamente.
«Gabriel, non fare stronzate» lo afferro per un braccio «Abbiamo sbagliato, ok? Tu ed io. Tutti e due. Lasciamoci tutto alle spalle, per favore» lo supplico.
Borbotta e sospira, ma si arrende.
«Sai che da questo momento sarò mortalmente incazzato con lui, vero?» torna a troneggiare su di me.
«Lo so» sospiro in una risata «Ma dimmi, dove eravamo rimasti?»
Abbiamo fatto tanti di quegli errori che è quasi un miracolo ritrovarci ancora qui e non sarebbe giusto rovinare ancora tutto.
Lo bacio. Lui chiude gli occhi e inspira di colpo quando afferro la sua erezione.
Faccio scivolare la mano su e giù, dopo poco, la voglia di sperimentare mista all'istinto prende il sopravvento: passo il polpastrello sulla punta, asciugandola, e lo sento pulsare nella mano.
«Verrò se lo fai ancora» boccheggia. La soddisfazione che provo in questo preciso istante è indescrivibile.
D'un tratto allunga una mano verso il paio di Jeans gettati a bordo letto e sfila qualcosa.
Ricordo che la prima volta che lo abbiamo fatto, la passione ci aveva trascinati a tal punto da farci comportare come due immaturi senza utilizzare precauzioni. Invece, ora che lo vedo estrarre la carta traslucida di un Condom sento che tutto andrà per il verso giusto, come se questo fosse un nuovo inizio.
Strappa l'involucro con i denti e senza che me lo chieda, afferro il piccolo oggetto di lattice lasciando che sia io a farglielo indossare e quando anche quest'ultimo accorgimento è stato preso, finalmente, lo sento avanzare dentro me. Ed è stupendo.
«Oddio» ansima. Lo invidio perché a me ha tolto il fiato.
Non c'è bisogno che io dica nulla, lui è perfetto, tutto questo lo è.
                                                                                 Gabriel.
A mezzogiorno, siamo ancora sdraiati sotto le coperte.
Cécile ha tirato fuori un piccolo stereo bluetooth e ci stiamo spassando a cambiare brano.
Mi piace l'idea di condividere i miei gusti musicali con lei. Anzi, mi piace proprio l'idea di condividere qualcosa, qualsiasi cosa, con questa ragazza.
«Lascia questa» mi blocca la mano mentre sto già scorrendo una seconda playlist sul mio Spotify.
«Ti piace?» Le domando quasi incredulo.
Lei mi guarda aggrottando leggermente la fronte. E' buffa.
«Si da il caso, che io non ascolti solo musica Metal. Non è che posso sentire esclusivamente gente che grida»
Rido.
«Non si direbbe»
Balza a sedere e le molle traballano vertiginosamente «Che vorresti dire?!» Prima che possa ribattere qualsiasi cosa, afferra il suo cuscino minacciando chiaramente di volermi colpire. E lo fa.
«Niente!» cerco di ripararmi con le mani «Aspetta!» ma è inutile perché sto ridendo troppo anche per evitare di prendercele.
«Mi arrendo!» ad un tratto lei ride ed io sono totalmente perso.
E' l'essere più meraviglioso che abbia mai visto, vederla ridere lo è.
«Sei veramente uno stronzo» dice abbandonando l'arma. Mi fisso a guardarla e lei di ricambio si fa confusa.
«Che ti prende?» domanda, infatti.
«No, niente. E' solo che...sei bella quando ridi»
Le guance le si tingono di un rosa acceso e balbetta qualcosa fra le labbra come se non sapesse che dire.
Cècile odia i complimenti, la imbarazzano, ma io non posso fare a meno di ripeterle quanto è stupenda per me.
«Ok, ok stai per prendere fuoco» la sfotto e le carezzo le scapole nude «E' meglio che mi alzi e che vada a fare una doccia»
Si imbroncia, ma poi mi regala un bacio a fior di pelle sulle labbra.
                                                                                                      *****
«Gabriel, non ti facevo qui» La voce di Jace mi fa sussultare non appena mi chiudo la porta della stanza di Cécile alle spalle.
Ringrazio Dio mentalmente per avermi fatto rinfilare i boxer. Colto di sorpresa, nudo, dal ragazzo che l'ha baciata non sarebbe stato il massimo specie perchè so che ho voglia di picchiarlo e che forse lo farò.
«Che vuoi,  Jace?» Raggiungo la porta del bagno senza dargli troppa considerazione.
«Ti sei svegliato con la luna storta a quanto pare» mi schernisce «Comunque, già che ci sei, la consegna numero quattro è stata anticipata a questa sera»
Stringo la maniglia, sono certo che sto per romperla.
«No, non preoccuparti. Quella consegna la faremo io e Cécile» dico.
Abbiamo deciso di presentarci a casa di suo padre, o meglio, mi ci presenterò io, lascerò il pacco e poi questo posto.
«Cosa?»
Quando decido di voltarmi, il viso di Jace è una maschera di rabbia.
«Hai capito bene. Farò quella consegna e Cècile mi aspetterà in auto. Poi ce ne andremo da qui»
Sospira una risata ironica «Non ti basta scoparla? Pensi sul serio che portandola via da qui, lei resterà con te?»
Quella raffica di parole mi arriva come una cazzottata in pieno viso e risveglia tutta la rabbia che ho.
«Senti ma che cazzo vuoi? Non ti impicciare. Abbiamo già deciso-»
Come un rapace mi afferra il collo, ancor prima che possa muovermi per evitarlo, sbattendomi contro la porta chiusa del bagno.
Gli abiti ed il cellulare mi scivolano dalle mani e finisco per agguantare il suo polso temendo che mi strozzi.
«Tu non sei altro che una pedina, tienilo ben a mente» ringhia quasi fra i denti.
«Lei non ti vuole» annaspo.
Stringe di più e mi meraviglio della forza che ha essendo un semplice musicista.
«Jace! Lascialo stare!» La testa di Cècile sbuca dalla stanza. Afferra Jace per la schiena e lo strattona via da me.
«Che cazzo ti salta in testa? Eh?!» gli grida contro.
Torno a respirare ma non posso fare a meno di massaggiarmi il collo indolenzito, fissando la scena di loro due che litigano.
«A voi, cosa salta in testa?! Fare quella consegna insieme? Vuoi fare scoppiare una bomba? Ti ricordo che Victor è solo un ragazzino!» strilla lui.
Sono certo che abbia tutte le buone ragioni per opporsi a questa scelta azzardata, ma anche lei ed io le abbiamo.
«E' la mia famiglia, il mio problema. Stanne fuori, Jace! D'ora in poi, stanne fuori» ripete convinta.
Il musicista la scruta come se avesse appena ricevuto un colpo di pistola nel petto.
«Fatti quella dannata doccia e andiamo via.» Mi ordina, tornando a fissarmi.
Non mi oppongo. 
Jace ed io ci rifiliamo l'ultima occhiata tagliente, prima che sparisca in bagno.
                                                                         ******
«Quindi è così? Ti ha picchiato?»
«Non mi ha picchiato».
La voce di Drake nel microfono del cellulare risulta più antipatica di quello che è solitamente.
«Non vuole che Cécile venga a fare quella consegna con me»
Lui sa tutto. Sa delle nostre intenzioni, sa che vogliamo mettere un punto a questa storia ed è stato il primo a proporre questa follia.
«Tu sei ancora convinto di questa scelta? Cioè, la mia era solo un'idea.»
«L'unica decente da quando sono finito in questa merda. Sarete stanchi anche voi, no?»
Raccolgo una foglia da terra giocherellandoci, in attesa che Cécile scenda dal suo appartamento.
«Si, lo siamo»
«Appunto»
Ha deciso di parlare con Jace senza di me. Ammetto che non sono affatto tranquillo e per questo, avevo bisogno di poter parlare con qualcuno di cui mi fido, o almeno, di cui credo di potermi fidare.
«Ascolta, ora dove siete?»
«Ancora sotto casa di Cécile.»
«Dove andrete a stare? Sai che Jace la caccerà di casa, se non sarà proprio lei ad andarsene di sua spontanea volontà»
«Prenderemo in affitto una stanza e poi, non so, la porterò a casa mia.»
Lo sento sospirare «Ok amico. Ma sta attento, intesi?»
«Sta tranquillo.»
                                                                                    Cécile.
«Non puoi decidere per me!» Grido.
Jace è fuori di sé. Ha appena afferrato una sedia lanciandola contro la parete opposta finendo per ridurla in mille pezzi.
«Tu non capisci» si batte l'indice sulla tempia «State vanificando anni di sacrifici, per cosa? Per qualche scopata?»
Stringo i pugni a quell'ultima frase «Io lo amo. Non è solo qualche scopata
Reprime una risata «Si, come amavi Marcus o Drake...» sibila.
«E' diverso e tu, cazzo! Tu non sai niente!»
Mi afferra per le spalle. E' la prima volta che riesce a togliermi il fiato per la paura.
«Io ti amo, non lui. Non Drake, nessuno di loro»
Credevo di aver trovato il mio mentore, il mio migliore amico. Mi sono fidata più di lui che di me stessa, ed ora...
«Lasciami.» Ora, ha rovinato tutto «Non voglio più vederti»
Il dolore che provo è molto simile a quello di una perdita importante. Una fitta sorda che ti stringe la gola, inevitabilmente seguita da un mucchio di ricordi confusi.
Ogni volta è così quando ci si rende conto di aver perso qualcuno.
Afferro le due borse piene delle mie cose e la giacca, pronta  per spalancare la porta.
«Cécile, aspetta» Jace appoggia una mano sulla lastra di legno e la richiude «Non puoi andartene. Capisco che quello che proviamo è diverso, ma abbiamo cose ben più importanti in ballo»
«Credi che non lo sappia? Adesso togliti dai piedi.» Lo spingo via e mi lancio per le scale.
«Finirete per rimetterci la pelle!» mi grida lui dalla cima della tromba delle scale.

Purtroppo ne eravamo tutti consapevoli.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Pregavo a me stesso di continuare a sopravvivere, ma avevo incominciato a capire che, in questo gioco, per sopravvivere dovevi essere scelto da loro.

                                                                                       Gabriel 23.
«Per il momento, potete stare qui» Quando Drake mi ha mandato la posizione su Whatsapp, non avevo riconosciuto la via di casa, non potevo immaginare che fosse della sua ragazza.
«Sei sicuro che ad Ambra non dia fastidio?» chiedo, mentre separa il cancelletto di ferro del cortile dal perno.
«No, le ho raccontato come stanno le cose.» 
«Che hai fatto?!» 
Drake si volta verso me e mi fissa sereno «E' la mia ragazza, non potevo continuare a mentirle»
Non so che faccia abbia Cécile ne se quest'affermazione le abbia dato fastidio o se ripensi ancora a lui, perchè non ha aperto bocca da quando siamo arrivati qui.
Non era in programma, ma l'idea di tornare al dormitorio è stata da escludere, dato che sono stato buttato fuori per via del fatto che i soldi nel mio conto corrente sono evaporati e cercare un appartamento in una giornata non è cosa da poco, perciò, sono stato costretto a chiedere una mano a lui.
Entriamo nel palazzo. L'appartamento è al terzo piano e Drake ci avvisa che in casa c'è Ambra che dorme.
«Resteremo per poco» dico quando ci fa cenno in direzione della porta che abbiamo appena raggiunto.
La apre ed aspetta che Cécile entri «Non preoccuparti, puoi stare finché ne hai bisogno»
                                                                                Cécile.
L'appartamento di Ambra non è esattamente come me lo aspettavo. Casa sua è carina. Sembra che ci sia lo zampino di sua madre perché è stranamente  troppo ordinata e curata nei minimi dettagli.
Mi guardo attorno per un bel po'. C'è una cucina in legno scuro dal piano di marmo che gira seguendo la curvatura del muro ed un tavolo per quattro persone dello stesso legno con un vaso di ciclamini al centro. Attaccate ai muri alcune pentole in rame perfettamente pulite e degli strofinacci ricamati a mano bianchi e gialli. Sulla parete accanto all'ingresso troneggia uno specchio enorme dalla cornice dorata e due vasi di cristallo pieni di rose bianche e fiori finti.
Il corridoio che divide le stanze è preceduto dalla porta del bagno che intravedo dallo spiraglio. La seconda porta è spalancata ma le altre sono tutte chiuse.
«Ti sei sistemato bene» commento, guardando il marmo chiaro sotto i miei piedi ed il cotto accanto ai banconi della cucina.
«Ambra è del posto, questa è casa sua. Ci vive sin da bambina» afferma poggiando la borsa di Gabriel sul tavolo.
All'improvviso, il trotterellare delle zampette di un cane si fa sempre più vivido, fino a che, non appare dalla porta divisorio abbaiando a Drake festoso.
«Piccolo» lui si china per salutarlo e il cucciolo lo riempie di linguate.
Sorrido alla scena. Sono contenta che Drake si sia scrollato di dosso quel brutto periodo della sua vita che ha condiviso con me. Ci tengo veramente a lui e mi sono sempre augurata questo per la sua esistenza.
«Lui è Bigle.» Lo prende fra le mani e lo solleva praticamente ad un palmo dal mio naso.
Fisso la bestiola per qualche secondo mentre continua a scodinzolarmi, poi, dopo parecchia incertezza, l'accarezzo.
Gabriel sorride guardandomi impacciata con il piccolo cucciolo di meticcio.
«Anche tu hai un cane, vero?» domando proprio a quest'ultimo. Annuisce.
Ho notato che guardando Bigle, l'espressione sul suo viso si è rattristata. Credo che casa sua gli manchi parecchio dopotutto.
«Bene, sistematevi.» Drake mette giù il cane e lo guarda andare via.
«Tu dove vai?»
Alza le spalle «A farmi un giro. Se riesco a trovare una pasticceria aperta riporto la colazione ad Ambra.»
Si, sono decisamente contenta che sia cambiato.
«Fate come se foste a casa vostra» conclude, infine, prima di salutarci e sparire dietro la porta.
Gabriel ed io afferriamo le nostre borse e ci dirigiamo verso la stanza infondo al corridoio, proprio come Drake ci ha detto di fare poco prima di arrivare.
«Che ne pensi?» Dico raggiungendola.
«Mh?»
Abbasso la maniglia «Si, dico...di questo e di...»
«Ti riferisci a Drake?» 
La serranda è abbassata ed è buio ma, prima ancora di alzarla, lascio le mie borse sul pavimento.
«Si, a come è cambiato. Ci sta provando...»
«Dovremmo farlo tutti». Gabriel ha ragione. Tutti noi dovremmo provare a cambiare ma, delle volte, per quanto lo si voglia, è impossibile.
Afferro la cinghia della serranda e l'alzo fino a che la luce non filtra del tutto nella stanza.
«Carina» commento. 
C'è un letto matrimoniale dalla testata bianca affiancato da due comodini ed un armadio a sei ante proprio davanti. Accanto alla porta-finestra, agganciato al muro, un televisore.
«Si, non è male» Gabriel si lascia cadere sul materasso, le braccia allacciate sulla testa.
Mi sdraio accanto a lui. 
«Tutto ok?»
Ruota su un fianco e poggia la mano sul mio viso «Si, sono solo un po' impensierito»
Non lo biasimo, da questo momento in poi, tutto quello che avevo calcolato e previsto non esiste più.
C'è una nube plumbea che oscura il nostro futuro ed io non ho la più pallida idea di cosa nasconda.
Passo due dita sul contorno del suo viso, nel farlo, mi sorride «Finché resteremo insieme, ce la faremo».
Non pensavo di riuscire a crederci.
«Certo che ce la faremo»
                                                                      Gabriel.
«Non ti basta scoparla? Pensi sul serio che portandola via da qui, lei resterà con te?»
Fisso il viso di Cécile e mi chiedo se quelle parole non siano altro che la verità.
Mi lascerà? Mi sta costringendo a fare tutto questo solo per un suo egoistico senso di sopravvivenza? No. Cécile non mi sta mentendo, ormai si è sbottonata, mi ha detto la verità.
«Tu...» allora perché mi sento così angosciato al solo ricordare quelle parole?
«Tu?» si solleva su un gomito.
Mi inumidisco un labbro, non so proprio come togliermi questo dubbio.
«Gabriel, cosa c'è?» fa dolcemente. Nonostante si stia sforzando a rimanere calma posso intravedere quello stralcio di preoccupazione e nervosismo nei suoi occhi.
«Tu...hai accettato di seguirmi solo perchè vuoi tornartene in Russia?»
I suoi occhi si spalancano allibiti.
«Che stai dicendo? Come ti salta in test- aspetta» socchiude le palpebre e sulle sue labbra affiora un sorriso nervoso «Non è perché in passato ho fatto quel che ho fatto a Marcus, che ora ho deciso di lasciarmi altre vittime alle spalle. Mi fa incazzare che pensi questo» si solleva di scatto.
«Non volevo insinuare niente!» lo faccio anche io nel mero tentativo di giustificarmi.
Ma è proprio così, lo penso. Anzi, ho il terrore di pensarlo.
«Gabriel, porca puttana, non credi ad un accidenti di ciò che ti dico! Però poi, vuoi fiducia cieca da parte mia!» strilla.
Socchiudo le palpebre perché Ambra sta dormendo e so che se gridassi anch'io la sveglierei. Vorrei che anche  Cécile la smettesse. Ha un tono di voce così odioso quando si arrabbia.
«Ho paura, ok? Jace dice che farai lo stesso»
Schiocca la lingua sul palato e rivolge lo sguardo al soffitto prima di riportare gli occhi a me «Giusto, Jace dice...Dio...» 
Slaccia le braccia dal suo ventre e fa per uscire dalla stanza.
Le agguanto un braccio e la tiro a me «Smettila, mh? Non fare la bambina. Odio quando ti comporti così»
Rivolge i suoi meravigliosi occhi miele al pavimento.
«Sono così tanto gelida da non riuscire a farti capire quanto ti amo?»
Mi scappa una risatina flebile fra i denti «No, non sei poi così gelida». Passo le mani lungo le sue braccia e mentre i suoi occhi ne osservano una, accenna un sorriso.
«Non ti abbandono. Non più»
In qualche modo...dovrei fidarmi, no?
La stringo a me e poggio il mento sulla sua testa.
«Mi sembra passata una vita da quando ti ho vista la prima volta»
Ride respirando sulla mia maglia «Stavo pensando la stessa cosa. Lo penso ogni volta che mi guardi»
«Ah si?»
«Si.»
«Allora, vediamo se pensi -come me- che sei sempre stata il mio chiodo fisso.»
«Perché vuoi sentirti dire qualcosa che già sai?» Fa scorrere le dita affusolate lungo la mia T-shirt e le passa sulla collanina d'acciaio agganciata al mio collo fissandola.
«Perché non te l'ho mai sentito dire»
Sospira un'altra risata fra i denti, poi, allontana il viso e mi fissa «Da quando ti ho incontrato, sei sempre stato in ogni mio gesto, ogni giorno, ogni momento, fino a che non sei arrivato nei miei pensieri e poi nel mio cuore. Sembra una sonata melensa, lo so. Ma è quello che sento, che ho provato e continuo a provare»
Resto senza parole. Mai e poi mai mi ha detto qualcosa del genere.
Va ben oltre un semplice ti amo, o ti voglio, o il sesso.
Se perdessi lei, perderei una parte di me.
«Cosa succederà adesso, Gabriel?» 
«Non lo so.» -Non lo so davvero.
«Avevi mai pensato a questo? Intendo a noi»
«Credo di averci pensato qualche volta»
Ma sicuramente, non avevo pensato a come poterla portare via da questa città o dalla sua vita.

                                                                                      Drake
Accosto accanto a Petter's Park. Sono convinto di ricordare che la domenica mattina l'unico fioraio aperto sia quello accanto a questi giardinetti pubblici. 
Infatti, quando spengo il motore e guardo meglio, mi accorgo che la serranda del piccolo chioschetto è sollevata.
Sono diversi anni che non passo da queste parti, mi ero ripromesso di far in modo di non ricapitarci più. Ma, a quanto pare, sembra che ogni mia promessa debba sfumare così come è stata fatta.
«Salve, come posso esserle utile?» Le campanelle sulla porticina di vetro smettono di tintinnare poco dopo che un uomo baffuto mi sorride cordialmente da dietro il bancone.
«Emh, ecco...» Ci sono un'infinità di fiori e di vasi e tutto qui dentro puzza di fiori.
«Volevo...stavo...» Dannazione, odio questo genere di cose.
L'uomo -che sicuramente starà pensando quanto idiota debba sembrare io in questo momento- mi sorride comprensivo.
«Devi fare un regalo ad una ragazza e non sai cosa scegliere» mormora dandosi un tono scontato alla voce mentre fa il giro del bancone.
«Ecco, si.» Devo sembrare proprio un coglione.
«Allora, vediamo...» Si china verso alcuni vasi e poi ancora, allunga un braccio verso certi fiori gialli riposti su uno scaffale più in alto.
Pochi minuti e nelle sue mani si forma un mazzo di fiori coloratissimi e vivaci.
L'uomo baffuto mi rivolge l'ennesima occhiata e sbuffa una risatina che mi innervosisce all'istante.
«Che c'è?» borbotto e poi nemmeno troppo a bassa voce.
«Devono proprio farti schifo i fiori» afferma.
«Come fai a saperlo?» Mentre incarta il mazzo multicolore, mi appoggio a sedere su un vecchio sgabello dal legno rovinato accanto al bancone, osservando le sue mani sapienti aggrovigliare nastri e stendere carta.
«Ho un figlio della tua stessa età» alza le spalle
«E so quanto questo genere di cose vi mettano in imbarazzo»
Sospiro una risata che muore sulla mia lingua.
«Non mi interessa. Ho sbagliato io a chiederti il motivo, ora mi dici quanto ti devo?» Certe volte, persino io detesto il mio modo di essere. Odio rivolgermi alle persone così quando si parla di genitori e figli...
L'uomo baffuto solleva lo sguardo leggermente interdetto a me «Ragazzo...Cosa c'è che non va?».
Inghiottisco a vuoto. Non so perché quella domanda così banale mi ha fatto venire il magone e perché non la smette di guardarmi in maniera così apprensiva?
«Non sono affari tuoi, fioraio. Adesso muoviti» Serro le dita sulla banconota da 20 dollari che ho tirato fuori dalla tasca. I suoi occhi continuano a viaggiare su di me, finché, non sospira e posa il mazzo di fiori.
«Sai, se c'è una cosa che ho imparato essendo padre è che dietro ogni comportamento aggressivo, ogni volto rabbioso, ci sono delle ferite che si nascondono.»
Sollevo gli occhi a lui in un lampo.
«Hai sofferto, non è vero?»
«Abbastanza» Sento le pareti della gola tremolarmi. Perché non riesco a controllare le mie emozioni?
«Per colpa di chi?»
«Mia. Solo-colpa-mia e adesso finiscila di psicanalizzarmi.» Ringhio.
Sospira un sorriso «Faccio il fioraio non lo psicologo.»
Dove diavolo vuole arrivare questi tizio, oggi? Non ho voglia di aprire discorsi che poi mi porteranno a fare quella cazzata.
«Ti ho solo chiesto di chi è la colpa» incalza fissandomi, ora, dritto in faccia.
Mi schiocco la lingua sul palato per il nervoso «Di mio padre. Sai, lui abusava di mia sorella e lei si è tolta la vita per questo motivo. Contento?»
L'uomo si fa su con la schiena, l'espressione sul suo viso ferita.
«Allora non dare la colpa a te stesso.» Batte lo scontrino e me lo stende.
Resto per un momento interdetto da quel modo di chiudere il discorso repentinamente dopo avermelo tirato fuori dalla bocca con le pinze.
«Tutto qui? Otto dollari? Mi hai fatto parlare di mio padre e... mi stiri uno scontrino senza blaterare altre stronzate?!» Perché sto gridando?
«Sono otto dollari» Ripete a testa bassa e sguardo fisso al bancone.
«Sto parlando con te!» lo vedo sussultare scosso dalla mia voce. Le palpebre che gli si serrano. Che cazzo gli prende?
«Non fa niente, lascia stare...» mormoro rassegnato agguantando il mazzo di fiori.
«Perdonalo» Ad un passo dalla porta la sua voce torna a rimbalzare fino alle mie orecchie.
«Perdona tuo padre»
«Che cazzo hai detto?» Sto per balzare dietro al bancone e riempirlo di pugni. Stringo il pugno attorno al mazzo di fiori, sgualcendone la carta.
L'uomo vibra di tensione.
«Melsbruk numero 733» 
«Cos'è un gioco? Che cazzo è Melsbruk 733?»
Posso leggere la paura negli occhi dell'uomo che ho davanti ma non capisco cosa lo spaventi così tanto.
«L'indirizzo di-» Le campanelle tornano a tintinnare costringendo gli occhi del fioraio a spostarsi dietro le mie spalle.
«Buongiorno, potrei comprare dei fiori?» Una donna vestita di nero con un ampio cappello sulla testa ed un paio di occhiali scuri a coprirle gli occhi , avanza leggiadra sul paio di tacchi a spillo che indossa, ondeggiando i fianchi fino al bancone.
«C-Certo signora».
Sono costretto a lasciare il fioraio con quel maledetto indirizzo in testa.
                                                                                     *****
Con il bottino fra le mani non mi dirigo all'auto, bensì, sul lato opposto del parchetto li dove nasce l'enorme palazzo grigio a ferro di cavallo costernato di finestre su ogni lato.
La strada poco trafficata mi permette di attraversare da un marciapiede all'altro senza fretta e finalmente di raggiungere la mia meta. Non ho molto tempo, dovrò trovare una pasticceria aperta e portare la colazione ad Ambra. Se Gabriel e Cécile dovessero rendersi conto che quella è stata tutta una scusa mi chiederanno dove sono stato ed io...Non ho nessuna intenzione di rispondergli.
«Buongiorno, sto cercando Santès»
Le dita della ragazza dietro il bancone della Hall non sono abbastanza veloci per i miei gusti. Si deve dare una mossa!
«Terzo piano, stanza 866.» Stampa il prospetto di una cartina del terzo piano e cerchia la stanza ed il corridoio.
Glielo strappo praticamente dalle mani e a falcate cerco la rampa di scale da prendere.
Non mi servirà quel prospetto, conosco questo posto come le mie tasche.
L'ultima rampa la percorro senza darmi il tempo di respirare e non appena intravedo la porta della sua stanza, i miei piedi smettono di camminare. Sollevarli diventa come sollevare due enormi massi.
«E' permesso?» Mi schiarisco la voce.
«Prego»
Abbasso la maniglia e quando sbircio dentro un enorme sorriso raggiante mi investe prima ancora che io possa dire qualcosa.
«Ehy» sorrido a mia volta.
«Sei passato anche oggi, alla fine» ammicca un sorrisetto sornione ma anche soddisfatto.
«Ti dispiace? Perchè sennò...» indico la porta alle mie spalle.
Scuote la testa divertita.
«Cosa sono quelli?» Di colpo, ho l'impulso di nascondere  il mazzo di fiori e lo faccio, ma lei allunga il collo per sbirciarmi dietro le spalle.
Sono...in imbarazzo.
«Dai, voglio vedere che hai li!» brontola sbattendosi i pugni sulle cosce coperte dal lenzuolo. Il broncio che ha è mega-galatico e buffo.
«Sono...» sto per dire "fiori" modalità monocorde quando lei grida dalla gioia. Gioia vera.
«Sono per me?!» Si stringe le mani accanto alle guance con aria sognante.
«Non è un diamante, sta calma!» La raggiungo mettendomi a sedere accanto a lei. Margherita mi strappa il mazzo dalle mani e ci affonda il viso ispirando a pieni polmoni.
«Dio! Drake, sono stupendi!»
Non ho mai visto tanta riconoscenza e contentezza nelle parole e nel viso di qualcuno.
«Sono contento che ti piacciano» 
Rivolge lo sguardo a me e le sue labbra si allargano di nuovo in un sorriso.
«Come stai, oggi?»
I segni sulle sue braccia sono ancora visibilissimi e per certi versi fanno accapponare la pelle.
«Molto meglio, grazie»
Mi inumidisco le labbra, «Certo, potresti stare meglio-», e mi guardo attorno «Insomma, qui dentro immagino che ti annoi parecchio»
Sospira rumorosamente «Non sai quanto!»
Mi porge il mazzo che poggio sul comodino accanto a me.
Quando torno a voltarmi mi accorgo che si è coperta persino le spalle con il lenzuolo nonostante sia seduta sul materasso, come se si volesse nascondere. 
«Quindi...non sai quando ti faranno uscire?» Le chiedo scrutandola senza farmi beccare.
«Detto francamente, l'idea di uscire da qui non mi alletta molto»
Ed io so perché.
«Ascolta, non devi fartene un problema» le indico il ventre.
«E' un problema. E'-» Non le do modo di continuare a dire quelle che per me sono sciocchezze. Afferro il lenzuolo e glielo tiro via di dosso.
Non ci mette molto a diventare paonazza, ma la vergogna, a differenza di altre persone, la paralizza.
Si vede proprio che non sa cosa fare. Vorrebbe coprirsi di nuovo ma non lo fa, non ci riesce.
La sua pancia è lievemente tondeggiante esattamente come quella di una ragazza al quinto mese di gravidanza. Una meravigliosa ragazza al quinto mese di gravidanza.
«Allora, mi spieghi cosa c'è da coprire?»
Solleva lo sguardo a me.
So che nemmeno lei sa cos'è che la fa sentire in quel modo. E' tutta colpa di quel maledetto che l'ha stuprata se lei si sente così.
«Perché?»
«Mh?»
«Perché lo fai? Perché, da quando è successo.. tu sei venuto costantemente a farmi visita?»
Sono restio ad aprirmi con le persone. Intendiamoci, sono più il tipo da gesti che non da parole e odio nella maniera più assoluta parlare di me.
«Che importa? Ti ha fatto piacere, no?»
Forse, Margherita si sarà anche domandata il motivo per cui ha visto di rado tutti gli altri. Non sa che il gruppo è esploso, che troppe teste cozzano insieme e che siamo tutti sin troppo sotto stress.
«Certo che mi ha fatto piacere. Ma non capisco perché tu e tu soltanto, stai cercando di farmi accettare ciò che porto in grembo»
Le poggio una mano sulla spalla, anche se mi rendo conto che sulla pancia sarebbe stato meglio «Perchè lui,il bambino non ne ha colpa e tu vai bene così, incinta di TUO figlio. Non è suo e non lo sarà mai.»
Margherita mi fissa accennando un leggero sorriso, gli occhi arrossati e velati.
«Grazie»
Mi si getta al collo. E' una sensazione strana, non ci sono abituato. Solitamente le ragazze che mi scopo non mi si gettano al collo...
                                                                                                   Gabriel.
Il citofono di Casa Wash trilla all'improvviso facendomi sussultare nel dormiveglia. Che ore sono? Da quanto tempo Cécile ed io ce ne stiamo rintanati in questa camera a dormire?
Alcuni passi, provenienti dalla stanza affianco, percorrono il corridoio. Sento la voce di Ambra e quella di un uomo che si qualifica come postino.
Attimi dopo, i piedi di Ambra sembrano attraversare a ritroso la strada che dalla porta d'ingresso raggiunge l'area notte.
«Permesso?» Mormora appena, battendo un colpo di nocche sulla porta.
Non voglio svegliare Cècile. Siamo arrivati qui questa mattina alle 10 dopo una notte insonne e parecchie lacrime versate, perciò, silenziosamente mi alzo e raggiungo la porta.
La scosto e mi affaccio quanto basta per intravedere il viso di Ambra.
«Ambra, dimmi» ho la raucedine da sonno e la bocca impastata ma lei non ci fa caso.
«Questo-» mi mostra un pacco simile ad una scatola di scarpe «Lo hanno recapitato per te»
Il cuore ci mette un secondo a balzarmi in gola.
Guardo lei, il pacco e poi nuovamente il suo viso.
«Chi lo ha mandato?» Bisbiglio chiudendomi la porta alle spalle.
Fa spallucce. Ha l'aria di non sapere realmente nulla.
Mi mordo un labbro «Ok, ok. Grazie per-» e sollevo il pacco indicandolo in un gesto.
«Di niente» 
Torno nella stanza che mi ha ceduto e come prima cosa mi accerto che Cécile stia ancora dormendo.
Faccio un bel respiro e mi appoggio contro l'anta dell'armadio, seduto sul pavimento.
Ho fretta di sapere cosa ci sia all'interno della scatola e per questo strappo la carta color verde acqua che avvolge l'incartato.
Un cd. Questa volta hanno optato per qualcosa di meno attuale.
«Dannazione» ringhio fra i denti scattando in piedi.
Ho bisogno di Drake.
Esco dalla stanza come un proiettile e mi fiondo sulla porta di Ambra.
«Drake ascolt-Oh mio Dio!» Dovrei incominciare a controllare la mia fretta.
Ambra è piegata sul materasso, il pantalone del pigiama abbassato e Drake la spinge da dietro.
Mi copro di scatto il viso con l'avambraccio.
«Cazzo amico! Non ti hanno insegnato a bussare?!» Protesta lui.
«Si è che...Cazzo è...»
«Vuoi uscire!?» Grida.
Sto per farlo. Sto per chiudere la porta e lasciar perdere nuovamente queste intimidazioni, quando mi torna in mente che l'ultima volta che ho sottovalutato una registrazione, una ragazza ha provato a togliersi la vita.
«Vaffanculo. No.» Abbasso il braccio e miro al pc fisso sulla scrivania accanto al letto.
Ignoro  il fatto che siano rimasti allibiti a guardarmi e le imprecazioni di entrambi.
Mi siedo alla scrivania e accendo sia il monitor che il pc.
Drake si risale i boxer in fretta e scende dal materasso come se stesse scendendo un gradino.
«Avevi fretta di vederti un porno proprio ora?»
Gli lancio un'occhiataccia eloquente «Era nel pacco che hanno recapitato ad Ambra»
«Quale pacco?» Domanda più a lei che a me.
Apro lo scomparto per i cd ed estraggo il motivo della mia angoscia dalla custodia. Appare una cartella e poi altre due al suo interno: una sembra essere una registrazione mp3. Mando in play.
«Un consiglio-» Una voce distorta mi parla in modo confidenziale «Prima di ascoltare tutta la registrazione, farei partire il video presente nella seconda cartella»
Ho i palmi delle mani intrisi di sudore e le dita mi tremano sul mouse mentre lo muovo a ritroso fra le pagine che ho aperto.
«Che diavolo...» Drake, sgomento quasi più di me, afferra lo sgabello accanto al materasso e lo trascina accanto a me. Mantiene gli occhi fissi al riquadro del video che è appena partito.
«Ti sarai chiesto perché ultimamente ti stanno capitando svariati episodi insoliti»
Anche l'attenzione di Ambra sembra essere per ciò a cui stiamo assistendo. 
Minacce: le ennesime.
« Ciò che però non ti sei mai chiesto è :sono io il responsabile di ciò che sta accadendo a me e ai miei amici? Sai Gabriel, certe domande sono fondamentali nella vita»
Mentre la voce distorta e metallica mi incolpa di essere la causa di tutte le sciagure che hanno colpito questo gruppo di ragazzi, nel riquadro video appare l'interno di una casa. 
La ripresa è in bianco e nero, la telecamera posizionata in basso sotto un mobile. «I tuoi genitori ti hanno creduto il figlio modello per quasi 18 anni, finché non hai deciso di abbandonarli per...Per chi li hai abbandonati, Gabriel?» Inghiottisco a vuoto. Voglio stoppare tutto, mi viene da vomitare, la testa gira e questo è il mio primo attacco di panico.
Gli occhi, poco a poco, si sono velati appannando la visuale dello schermo. Conosco quella stanza, ci sono stato una miriade di volte.
«Giusto, per una ragazza. Ti era stato chiesto di non frequentarla, vero? Eppure tu non hai ascoltato nessuno. Nemmeno la povera Sara.La tua amata Sara»
La telecamera inquadra la porta sul retro.Si è aperta. 
Gli stralci di registrazione vanno avanti, minuto per minuto, angoscianti. 
Non respiro quasi più, quando, una sagoma mascherata avanza oltre la lastra di legno. Indossa una testa da cinghiale, i suoi pantaloni sono chiari come la T-shirt che copre il suo addome.
La telecamera si muove, qualcuno è già dentro casa e come un vero regista sta riprendendo tutto.
E' un fottuto gioco macabro.
L'inquadratura cambia: è rivolta al divano, alla sagoma che vi riposa beata.
«La vedi? E' così bella quando dorme...»
L'uomo che impugna la telecamera si avvicina un attimo prima che l'altro le sfiori una ciocca di capelli con l'indice.
«Non la toccate! Non la toccate!» Grido sbattendo i pugni sulla scrivania.
«Non ci hai mai pensato, vero? A come sarebbe stato senza lei. O lo hai fatto? Magari quando hai capito di amare l'altra. Hai mai pregato che Sara sparisse?»
Non lo so. Io non lo so!  
Posso sentire le pulsazioni del mio cuore nelle orecchie.
Sono una maschera di lacrime. Singhiozzo e non riesco a fermarmi.
«Chi diavolo potrebbe mai farti questo?» mi domanda Drake in balia della confusione che questo video ci sta facendo piombare dentro.
«E' un vero peccato. Lei, così bella e giovane, avrebbe fatto qualsiasi cosa per te...»
«Se le torci un solo capello giuro che ti ammazzo con le mie mani!» L'uomo con la maschera fissa Sara piegando la testa da un lato. Vedo in quel fotogramma la bramosia nel volerle fare del male.
E succede.
Estrae un coltellaccio dalla cinta del pantalone.
«No, no, no, non lo fare. Non lo fare!» imploro, ma non c'è Dio che possa supplicare ora «Farò qualsiasi cosa vogliate, ma non la toccate!» 
«I tuoi genitori dovevano insegnarti a dare valore ad ogni attimo, ad ogni cosa, o persona che si imbatte nel tuo cammino, Gabriel. Devi dare più valore a ciò che hai. Ma soprattutto, devi imparare a stare al tuo posto .»
Il suo braccio si solleva, la mano serrata sul manico del coltello.
Si volta verso la telecamera come se aspettasse di sentirmi supplicare ancora e lo faccio. Lo imploro di lasciarla stare, convinto che mi stia sentendo.
Imploro di prendere me. Grido la via di questa casa, consapevole che loro sanno già dove mi trovo.
Urlo che lei non ha niente a che vedere con me e che io non ho tolto nulla di così importante a nessuno per dover sopportare questo.
Ma è inutile.
«No! Cazzo...» Drake si solleva dallo sgabello e di colpo, anche Ambra scatta in piedi a fissare lo schermo.
L'ha pugnalata. L'uomo con la maschera da cinghiale ha pugnalato Sara.
«Adesso sai cosa succederà a te ed alle persone che ti stanno a cuore se non sparisci»
La registrazione si interrompe, ma sullo schermo continua a schizzare il sangue di Sara ovunque nel suo salotto.
«NOO!» Sferro pugni alla scrivania. Sono in preda al delirio, vorrei distruggere tutto.
Impreco, poiché è l'unica cosa che mi è rimasta da fare e piango disperato, dilaniato.
«Sara! Torna da me!»
«Gabriel» Drake mi afferra per le spalle, non lo vedo neanche «Gabriel, cerca di tornare in te» mi dice, ma ormai Gabriel  è assente.
Sono privo di forze. E' come se lentamente la vita mi stesse abbandonando.
«Come puoi chiedermi di darmi una calmata!?» allargo il palmo della mano verso lo schermo «L'hanno uccisa! Cristo, l'hanno uccisa!» mi stringo i capelli, in un impeto di rabbia, fra i pugni «Potrebbero aver raggiunto anche i suoi genitori o i miei!»
Drake mi fa voltare verso il monitor, di nuovo, trattenendomi per le spalle «Guarda data e ora-» i miei occhi schizzano sulla piccola didascalia in basso a destra «Questa registrazione risale a questa mattina».
Probabilmente il mio cuore sta per cessare di battere.
«Q-Questa...»   Cosa sta succedendo? Cosa diavolo sta succedendo?!
«Sai cosa vuol dire questo?» Il tono di voce di Drake muta: ora, sembra più serio che mai «Che se nessuno ti ha chiamato, ne ha denunciato la morte di Sara...a saperlo siamo solo io, te ed Ambra»
«Cosa vuoi dire con questo?»
Serra la mascella innervosito dalla mia domanda che per lui deve sembrare terribilmente superflua «Dannazione! Non ci arrivi proprio? Significa che siamo complici di questi criminali se non portiamo questa registrazione in commissariato!»
Sposto lo sguardo al video che si è stoppato sull'ultimo fotogramma, quello di Sara dissanguata, poi, nuovamente a Drake ma qualcosa si è spento in me «Se andiamo dalla polizia ci chiederanno come abbiamo fatto ad avere questo video» mormoro in un filo di voce monocorde.
«Mentiremo! Ci inventeremo qualcosa!» sbraita lui smanacciando all'aria. E' nel panico.
« Dovremo spiegargli come lo abbiamo ricevuto. Cosa gli diciamo? Che dei possibili rivali nel narcotraffico americano ci stanno addosso? O che dei malati psicopatici vogliono ucciderci?» E' come se di colpo non provassi più nulla. La mia voce è atona, prima di tonalità, morta. Io lo sono.
«Cazzo! Siete in mezzo al narcotraffico?!» L'urlo di Ambra mi fa spostare lo sguardo privo di lucentezza verso lei.
«Non gli avevi raccontato tutto?» torno a guardare il biondo.
Drake mi scruta con aria colpevole.
«Dovevo immaginarmelo» Sospiro una risata amara pizzicata da una punta di isteria.
«Non è questo il momento di parlarne, pensiamo a come-»
La porta si spalanca all'improvviso e la sagoma di Cécile fa irruzione nella stanza. Il suo viso è ombroso, l'espressione torva, sempre più adirata mentre serra  le dita sottili attorno ad un fagotto incellofanato.
«Cosa ci fa questa roba nella tua borsa, Gabriel?»
L'imballato che Cécile sta sollevando contiene della polvere bianca, un kg per l'esattezza.
«Perché c'è della cocaina nella tua borsa?!» 

Tutti avevamo dei segreti, ma proprio tutti.

                                                                                               Nota: questo capitolo è stato scritto a più riprese di cui alcuni pezzi direttamente in html sul                                                                                                                                            sito, perciò, se notate errori nelle scene o nei dialoghi vi chiedo umilmente scusa.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


A tutti è dovuto il mattino, ad alcuni la notte.


                                                                                          Gabriel 24.
Vorrei non doverlo fare. 
«Pronto?»
Avrei preferito piombare in casa di Sara e sbrigarmela da solo.
«Mamma...»
Ma non ho altra scelta.
«G-Gabriel? Sei tu?»
Mi mordo un labbro. Drake, Cécile ed Ambra sono attorno a me. E' scesa la sera di un giorno infernale e dopo un susseguirsi di crolli psicologici ed una miriade di idee buttate alla rinfusa, l'unica soluzione plausibile si prospettava come una scaletta di passi da compiere in maniera meticolosa.
Il primo era proprio quello di chiamare mia madre.
«Si, sono io mamma. Volevo sapere come stavate tu e papà» Mi siedo sulla prima sedia libera che trovo attorno al tavolo, le gambe sembrano non reggere il mio peso. Ho i nervi a fior di pelle.
«Stiamo...Abbastanza bene. Tuo padre è in pensiero per te» Ho uno spasmo. Mio padre è sempre quell'uomo che ha minacciato di diseredarmi e mi ha cacciato di casa. Che ora si preoccupi per me conta fra il poco ed il niente.
«Capisco» mormoro quasi assente, immerso nelle mie riflessioni «Comunque puoi riferirgli che sto bene. Ho preso casa a Preston Street con un paio di amici e continuo a studiare.»
Mi gratto la nuca e chiudo le palpebre un paio di volte esasperato da quel discorso inutile. 
Mia madre mi manca questo è innegabile, ma ora proprio è l'ultima che vorrei sentire.
«Sono contenta che tu abbia proseguito gli studi.» L'unica nota positiva di questa chiamata è la sua voce fredda e distaccata quasi quanto la mia.
«E con quella ragazza?» chiede un momento dopo.
«Con Cécile?» Sollevo gli occhi proprio verso lei «E' finita un paio di settimane fa. Sai, avevi ragione, Sara è sempre stata la ragazza per me»
Sento mia madre affogare un sospiro di sollievo «Meglio tardi che mai»
«Già.»
Abbasso repentinamente lo sguardo al mio braccio appoggiato sul tavolo, alle dita che non vogliono darci un taglio continuando a sfregarsi l'una contro l'altra.
«Parlando di Sara-» Vedo le narici di Drake allargarsi a dismisura e la sua espressione torva fare da cornice al suo viso. Mi aveva raccomandato di non menzionare Sara più del dovuto «L'hai più vista?»
Sento le unghie laccate di mia madre battere su quello che sicuramente è il tavolo del soggiorno. Ha sempre ricevuto le sue chiamate seduta ad una delle 10 sedie presenti attorno ad esso, e scommetto che anche ora si trova li.
«Gabriel, da quando vi siete lasciati non è più passata a salutarci» Ammette dandosi un tono d'ovvietà alla voce «Nemmeno ora che i suoi genitori sono in vacanza con tuo padre»
Una scintilla di consapevolezza mi scuote la mente.
Era sola in casa ed è morta solo questa mattina: è ancora tutto sotto controllo.
«Capisco. Immagino che anche di questo io debba farmi carico. E' colpa mia dopotutto...»
«Non pensarci, quando tornerai per le vacanze estive si sistemerà tutto fra di voi»
All'impatto con quell'affermazione, un magone mi scuote lo stomaco. Non rivedrò mai più Sara. Non sentirò più la sua voce, la sua risata o semplicemente non potrò più essere guardato dai suoi occhi. Mai più.
«Lo spero. Lei mi manca sul serio»
La conversazione fra me e mia madre prosegue per qualche altro minuto. Poche frasi concise e nessun modo di attaccar briga. Non è quello che cerco, ho già la mia risposta.
«Allora?» Ambra si solleva dalla sedia fissandomi con aria impaziente non appena riaggancio con mia madre.
«Non la vede da parecchio ed i suoi genitori sono in vacanza con mio padre.»
Una luce di speranza le attraversa gli occhi.
«Perfetto!» Esordisce il biondo «Ma la prossima volta quando ti dico una cosa, vedi di farla».
«So quello che faccio.» Rispondo osservando le sue braccia muoversi verso il borsone da palestra della sua ragazza.
«Spero che saprai cosa fare anche dopo» Lo solleva e se lo carica in spalla «Forza, andiamo.».
Ambra si infila la giacca e lo segue all'esterno dell'appartamento.
«Sei sicuro di volerlo fare?» L'ombra di Cécile mi appare alle spalle.
«C'è un altro modo?»
Fa un passo avanti e sento il suo respiro scivolarmi addosso «Possiamo occuparcene noi.»
L'idea che lei ed il suo gruppo di amici psicopatici siano in grado di sbarazzarsi di un corpo come dei mercenari senza scrupoli mi fa accapponare la pelle.
«Era la mia ragazza, no?» la precedo senza aggiungere altro. 
                                                                                   ******
Eccoci qui, solo quaranta minuti dopo, fuori dal giardino di Sara.
La villa giace nel buio. C'è silenzio. Un silenzio angosciante, pesante e l'aria, tutto un tratto, si è fatta irrespirabile.
Scendiamo dall'auto tutti e quattro nello stesso momento.
«E' la luce del salotto quella?» Drake indica le finestre a pian terreno.
«Si.» Rantolo senza accorgermene.
Cécile, di riflesso, mi punta gli occhi addosso. So che immagina perfettamente come mi sento in questo momento, peccato, che forse lei ci riesce a capire il mio stato d'animo ed io no.
«Ok entriamo e?» Fa Drake attendendo un eventuale mossa secondaria ma proprio in quel momento due fari ci acciecano arrivandoci alle spalle.
«Chi cazzo è?» 
L'auto si ferma ed i fari si spengono facendo piombare nel buio le sagome all'interno. Il vero sgomento lo provo solo quando esse scendono dall'auto.
«Che significa?» Ringhio.
I volti di Jace, Victor e Marcus appaiono come un fulmine a ciel sereno davanti ai miei occhi.
«Dovevo farlo. Dovevo chiamarli» Tenta di giustificarsi Cécile.
Le lancio un'occhiata all'arsenico in grado di uccidere.
«Dovevi farlo? E' la mia cazzo di ex ragazza e loro sono tre fottuti bugiardi!» Le grido in faccia spalancando un braccio verso la villa.
«Ehy, ehy...modera le parole, amico» Jace, con aria spavalda, si muove sulla ghiaia sicuro di sé «Siamo qui per aiutarti, non per fregarti» Ferma i piedi ad un passo da me, «O almeno, non un'altra volta», poi mi sorpassa e fa un cenno con il capo a Cécile.
Voglio ucciderlo e da come lo guarda Cécile dopo che lui le ha ghignato in faccia, deduco che non sono l'unico.
Anche Marcus e Victor si decidono ad abbandonare l'auto. Impugnano secchi in plastica e stracci ed uno di loro stringe nella mano un rotolo di sacchi per l'immondizia.
Trattengo il fiato. C'è confusione nella mia testa.
Marcus è con loro? Perché?
«Allora? Entriamo e ripuliamo questo casino?» Fa il musicista scrutandomi dall'angolo dell'occhio.
Sollevo una mano pronto per dire qualcosa ma le parole mi muoiono sulla lingua. Serro le labbra e mi faccio strada fra di loro, arreso.
«Ricordatevi sempre che tenevo a lei» afferro il chiavistello del cancello e libero l'anta.
                                                                                         *****
Liberarsi di un cadavere non era nella lista di cose da fare durante questo primo anno d'università. Liberarmi del cadavere della mia ex men che meno.
«Sembra di stare in un mattatoio» Commenta disgustata Ambra, facendosi largo fra le pozze di sangue.
Attraverso la cucina sul retro quasi in punta di piedi come se non volessi disturbare il corpo della mia ex nell'altra stanza.
Le pedate di sangue degli assassini sono arrivate fin qui.
Guardo il loro percorso, disgustato dal fatto che abbiano anche manomesso i suoi mobili.
Ci sono piatti rotti ovunque e cassetti aperti sparsi per la stanza. Lo stesso scenario si ripropone in salotto, con l'eccezione che fra le cianfrusaglie di casa Stang c'è il corpo esanime della loro amata figlia riverso in una pozza di sangue.
«Hanno inscenato un furto per coprire l'omicidio di Sara» Ci fa notare Jace muovendosi rilassato in quel marasma di visioni raccapriccianti, con tanto di mani nelle tasche.
«Gabriel? Tutto bene?» La voce preoccupata di Cècile mi arriva alle orecchie, ma prima ancora un conato mi serra la gola.
Ogni arto trema e le fibre del mio corpo sono tese e sensibili come non mai.
Marcus mi appoggia una mano sulla spalla ed io mi ritraggo di riflesso. Lo sguardo sbarrato, la paura negli occhi.
I loro volti sono in pensiero per me.
«V-Va tutto bene...è solo che...»
Tremo alla vista del corpo di Sara. Al sangue. C'è sangue ovunque.
«Devo uscire» Mi affretto a dire, correndo a ritroso fuori dalla villa.
«Gabriel!» 
Appena riesco a spalancare la porta vomito fra l'erba dello spiazzo sul retro e mentre lo faccio, ogni attimo, ogni momento, ogni giorno passato con Sara mi torna in mentre come un pesante colpo di fucile nel petto.
«Gabriel! Gabriel, sta calmo...» Cécile mi accarezza la schiena cercando di tranquillizzarmi. Non ci riesce. Nulla può riuscirci.
Crollo indietro, a sedere sull'erba.
«Era la mia ragazza...» Dico singhiozzando tanto che il petto mi fa male. «Sono cresciuto con lei. L'ho amata ed ora...Non la vedrò mai più, vero?» Devo fare veramente pena.
Cécile mi guarda apprensiva e si siede fra l'erba accanto a me.
Vorrebbe dire qualcosa ma si limita a stringere la mia testa fra le sue braccia ed io voglio solo piangere finché queste lacrime non mi sconquasseranno il petto.
                                                                                         Cècile.
«Se non se la sente ci pensiamo noi» Drake si affaccia dalla porta che da sul retro. Mi volto a guardarlo per un secondo e poi torno a scrutare Gabriel. Gli ho accarezzato la testa per tutto il tempo lasciandogli buttare fuori tutto l'immenso senso di colpa che prova ed il disprezzo, perché lo so, ora si disprezza.
«No, ce la faccio» mi mormora sulle cosce sollevandosi un secondo a seguire «E' successo per colpa mia e poi...voglio salutarla per l'ultima volta».
So quanto è dilaniante seppellire una persona che hai amato profondamente. A me è successo quando ho perso Katarina.
«Ricordati che lei sa che l'hai amata, anche se non ci aiuti a far sparire il corpo» dico con la speranza di convincerlo ad allontanarsi dal resto del gruppo. Niente gli fa cambiare idea.
                                                                                         ******
«Avevi mai pulito la scena di un crimine?» Sollevo gli occhi a Jace «Sta zitto e pensa a passare quella spazzola piena di sapone sul pavimento.»
Il corpo è stato spostato sul tappeto persiano in soggiorno. E' con quello che la porteremo fuori di qui e decideremo cosa farne.
«Cosa ne facciamo del divano?E' distrutto» Domanda Gabriel sollevandosi da terra e raccogliendo la spugna intrisa di sapone e sangue.
«Effettivamente, non possiamo lasciarlo qui. Il sangue non se ne andrà mai» Afferma Victor e Marcus annuisce in accordo con lui.
Tiro un lungo respiro «Il camioncino che tuo padre usava per le moto, Marcus. Torna in città e prendi quello»
Il moro annuisce in fretta e corre fuori di casa strappandosi via dalle mani il paio di guanti usa e getta.
«Che avete da guardare?» Chiedo a tutti gli altri che mi stanno fissando inebetiti «Tornate a pulire!»
Torno a chinarmi verso il pavimento anch'io.
«Marcus? Perché mi hai costretto a portarlo qui?» Lo sguardo velenoso di Jace mi attraversa parte parte la faccia.
«Perché so di chi posso fidarmi» Dico secca, gettando la spugna nel secchio e fissandolo dritto negli occhi, prima di spostarmi lontana da lui.
Non battiamo ciglio nemmeno per un momento. Nonostante la stanchezza ed il lavoro più arduo di quanto creduto, all'alba, in salotto non ci sono più macchie di sangue. Il divano è stato caricato sul furgoncino di Marcus e portato via dallo stesso, mentre, noi altri abbiamo avvolto il cadavere di Sara nel tappeto caricandolo nell'auto di Ambra.
«Dite che ci troveranno?» Mormora Ambra guardando fuori dal finestrino dell'auto l'asfalto corrergli sotto.
«Faremo in modo che non accada» risponde in un soffio Drake mantenendo gli occhi sulla strada e le mani strette allo sterzo.
«Non siamo stati noi, giusto?»
«No, non siamo stati noi.»
                                                                                                 Gabriel.
«Sta sorgendo il sole» sussurro guardando la coltre d'acqua.
La sabbia attorno al molo è ancora avvolta dal chiarore della notte, mentre sulla cresta dell'acqua incomincia a stratificarsi una distesa argentea colpita dai raggi di quella palla immensa dietro l'orizzonte.
Non ho mai visto un'alba più triste di questa.
Dietro le mie spalle, Marcus, Victor, Jace e Drake issano il corpo di Sara avvolto nel tappeto Persiano a fatica.
Ambra stretta nelle braccia li osserva mesta.
«Che riposi in pace»
Il tappeto si apre in più giravolte sulla sua stessa lunghezza prima di liberare il corpo di Sara che annega nella profondità dell'acqua come un enorme e pesante ricordo da sommergere per poi essere dimenticato per sempre.
Vedo il suo splendido viso sparire sotto l'acqua verdastra del molo ed i suoi meravigliosi occhi celesti fissarmi per l'ultima volta.
Non ho più singhiozzi, quelli li ho finiti tutti, ma una lacrima isolata mi scotta la pelle della guancia.
Mi asciugo velocemente il naso con la mano e distolgo lo sguardo muovendomi verso l'auto.
«Andiamo via, dobbiamo pensare a far sparire quel tappeto.»
Non so cosa pensino gli altri, forse che sono un debole. Francamente non mi interessa.
Non possono immaginare come mi sento adesso e non è solo per ciò che è successo a Sara.
Siamo tutti nei guai. Tutti possibili cadaveri galleggianti.
Jace si sporge dalla cappotta della sua auto. Gli altri sono già dentro pronti a partire «Che la prossima volta non sia per sotterrare un cadavere» pronuncia mimando un saluto con due dita e si cala in auto ripartendo a tutto gas.
 Imbocchiamo strade diverse, uscendo persino da lati differenti del molo.
L'ansia del pensiero di essere visti da qualcuno ci sta letteralmente divorando. Ma se c'è qualcosa di ancora più atroce dell'idea di essere visti, è l'idea di dover nascondere un divano intriso di sangue e questo tappeto le cui fibre sono ormai sparse per tutta l'auto di Ambra.
«Dovrai buttarla»
«Non ci pensare! Ho pagato un occhio della testa questa macchina!»
«Dovrai farlo» Ribatte indispettito il fidanzato «Non vuoi mica finire dietro le sbarre solo perché quest'auto ti è costata troppo?»
Non ne posso più di sentirli litigare, fra l'altro, se lei si fosse seduta accanto a lui invece di farci stare me sarebbe stato meglio.
Allungo una mano verso la radio e alzo il volume. Noto che nessuno ci fa caso. Cècile ha le cuffiette alle orecchie e dorme e questi due continuano ad abbaiarsi contro come cani.


«Ultimi aggiornamenti. E' stato ritrovato, proprio questa mattina, il corpo senza vita di Sebastian Art, noto fioraio della zona. Sebastian Art aveva un chiosco proprio vicino Petter's Park. Era molto amato da chi lo conosceva e pare non abbia mai avuto screzi con nessuno. Le cause del decesso, non ancora note, sono al vaglio del medico legale che nella mattinata di oggi effettuerà le prime analisi del caso.»

Cosa spaventa di più? Seppellire un cadavere o sapere che il prossimo potresti essere tu?

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Il tunnel è sempre più buio, la luce in fondo ad esso è solo un mero barlume di speranza legato al filo del destino con cui giocano le parche.
Un'altra sbandata ed il filo si spezzerà, facendoci perdere nel buio per sempre.    T.

 
                                                                        Victor 25.
«Raul non risponde, di nuovo.» Aggancio la chiamata e ripongo il cellulare nella tasca del jeans. Jace continua a guardare la strada: mani sullo sterzo, aria persa in pensieri di cui ignoro la natura.
«Riprova.» La terza testa, in questa auto, si sporge dal sedile posteriore. Marcus appoggia gli avambracci sui due sedili e me lo ritrovo ad un soffio dalla mia spalla. Ancora mi chiedo perché mia sorella lo abbia coinvolto.
«Sarà la quinta volta che ci provo.» Dico.
Sono preoccupato. Raul non si fa sentire da almeno sei giorni.
L'ultima volta che ci siamo incontrati sembrava stare bene. Avevamo fumato marjuana insieme e poi lo avevo riaccompagnato a piedi sotto casa sua dal centro città.
Non era da lui sparire così. Non con me.
«Forse dovremmo passare a casa sua.» Inaspettatamente è Marcus a proporlo prima di me.
Jace sposta appena lo sguardo verso lo specchietto retrovisore «Dobbiamo andare a casa e pensare ad un modo per sbarazzarci del divano. Non sappiamo quando i suoi genitori rincaseranno e state pur certi che a breve ogni telegiornale parlerà della ragazza scomparsa "misteriosamente".»
Marcus aveva riportato il camioncino di suo padre in un vecchio capannone abbandonato che dista poco da Jefferson Park. Ci eravamo ripromessi di incontrarci subito dopo e di pensare ad un modo per sbarazzarci delle prove, ma adesso un pensiero incomincia ad insinuarsi dentro la mia testa. Il magone allo stomaco si sta facendo sempre più forte e se chiudo gli occhi posso vedere una marea di scene raccapriccianti. 
Mi schiaccio contro il sedile.
 Come siamo arrivati a questo?
Ho in mente il cadavere di quella ragazza e il petto mi si comprime all'idea che Raul possa aver fatto la stessa fine. 
«Ci penseremo dopo essere passati da Raul» dico di getto. Non è una richiesta né un tentativo di persuasione. E' un ordine.
«Sono certo che Raul e le vostre maledette canne possano aspettare» Insiste lui pigiando sull'acceleratore.
«Ho detto di passare da lui!» Grido, ma Jace insiste.
Un attimo dopo stiamo litigando.
Quello dopo ancora, un fascio di luce ci travolge.
Il boato riempie la strada appena illuminata dall'alba fioca.
Una macchina ci è appena venuta addosso.
                                                                     Cécile.
Un crampo allo stomaco mi desta violentemente dall'unico momento, di quella giornata infernale, dove ero riuscita a prendere sonno.
Mi sveglio con la gola stretta come se avessi il presentimento che il peggio non sarebbe tardato ad arrivare.
Probabilmente, condizionata dal sangue e dalla vista del cadavere di Sara, sono talmente turbata, che appena riacquisto coscienza corro con la mano al pulsante per abbassare il finestrino.
Ho bisogno di aria. 
Avrei anche bisogno di scappare e di cancellare la mia vita, ma adesso respirare è tutto ciò che mi posso permettere.
Marcus e gli altri sono diretti a casa di Jace. Questo abbiamo deciso prima di abbandonare il molo, ed è li che Drake si sta dirigendo alla guida dell'auto di Ambra.
Cerco di fare mente locale di tutto quello che è successo e di quello che ancora deve succedere.
"Ok. Adesso troveremo il modo di ripulirci le mani sudice, sbarazzandoci del tappeto e del divano. Poi questa storia finirà".
Mi dico gonfiando i polmoni d'aria fino a farmeli dolere. Il cielo terso prospetta una giornata serena.
Penso al sole e a quanto in questo momento mi dia fastidio.
Ho bisogno del buio. Del silenzio.
«Tutto ok?».
La voce di Drake mi rinsavisce dai pensieri. Mi volto di scatto.
«Non lo so.» Guardo verso lo specchietto agganciato alla portiera, Gabriel: sta dormendo.
Anche Ambra, accanto a me, sembra sia crollata.
«E tu? E' tutto ok? Hai l'aria esausta.»
Il riflesso nello specchietto retrovisore non è quello del solito Drake.
E' più quello di un ragazzo conscio del fatto che sta perdendo tutto.
Lentamente.
Inesorabilmente.
Proprio come Gabriel.
«Lo sono.» Si passa una mano sul viso e poi torna ad appoggiarla sul volante.
C'è un attimo di silenzio fra di noi, ma poi torna a parlare.
«Abbiamo fatto un bel casino e non parlo solo di Sara.» ammette. Non capisco.
«Di cosa parli?» Stacco l'auricolare dal mio cellulare. Ormai i brani in ripetizione sono finiti e Spotify tace da un po'.
Le ripongo in tasca e torno a dare attenzione a lui.
«Di quello che abbiamo fatto Gabriel, Raul ed io.»
Ho sentito bene? Gabriel, Raul e lui?
Mi sporgo di colpo fra i sedili «Cosa avete fatto?».
Il mio cuore ha preso a martellarmi dentro. Sento che sto per soffocare, di nuovo.
Le labbra di Drake si tendono. L'espressione tirata e colpevole.
Fa un lungo respiro e alla prima piazzola di sosta, accosta l'auto.
Il bip delle frecce accese è l'unico suono che invade la vettura, fino a che, nervosamente, non incalzo di nuovo con la stessa domanda.
«Cosa cazzo avete fatto?!»
Drake si morde un labbro ed i suoi occhi schizzano sullo specchietto retrovisore. Il riflesso delle sue pupille, dritto nelle mie.
«Scendi dall'auto.»
Il tono atono della sua voce mi fa piombare nel baratro di un'infausta confusione.
Non me lo faccio ripetere due volte, scendo e chiudo la portiera dietro di me.
Drake fa lo stesso e incomincia ad allontanarsi.
Lo seguo con il cuore che vuole esplodermi nel petto, fino a che non raggiungiamo un punto abbastanza lontano dall'auto.
«Ricordi quel chilo di cocaina nella borsa di Gabriel?»
Ho un tuffo al petto.
«Si.»
Infila una mano in tasca e tira fuori un porta sigarette di metallo. Ne estrae una e l'accende.
«L'abbiamo rubata noi.»
Apro la bocca ma tutto ciò che ne viene fuori è un sorriso sbieco, da pazza che non crede alle sue orecchie.
«N-Noi?»
«Tutti e tre.»
Respira dalla sigaretta una boccata. I suoi occhi sono rivolti alla strada, non a me;  la sua mente non è alla piazzola di sosta, non è concentrata sul discorso, è lontana.
I suoi pensieri sono rivolti a qualcosa di terribile, glielo posso leggere in faccia.
«Quando è successo? E di chi è stata l'idea? Cazzo, siete impazziti!»
«E' stato durante l'ultima consegna, quella a casa di tuo padre. Ho aiutato io ad impacchettare i chili e Raul era il nostro trasportatore.»
Ho paura di sentire cosa è successo dopo.
«Avevamo programmato tutto, minuto per minuto» dice «ma quando siamo saliti in auto, Gabriel aveva il viso plumbeo. Era nero dalla rabbia e qualcosa gli era balenato un paio di volte negli occhi mentre ci avvicinavamo a casa di tuo padre.»
Cerco di trattenere il respiro, proprio come quando sei sulle montagne russe, sei arrivato in cima, e stai aspettando di riscendere in picchiata.
«Poi ha detto: perché non ce ne teniamo un po'? E da li è nato tutto. Abbiamo trattenuto un paio di chili. Lui ha venduto il primo in meno di un paio di giorni. L'ho trovato grandioso. Un mucchio di soldi ed erano nostri. Ma poi...»
Sento i capillari nelle sclere tirarmi «Ma poi...Raul è sparito.» Ammetto più a me stessa che a lui «E' per questo che è sparito, che non risponde alle chiamate...».
«Non voglio pensare che sia così...». L'espressione sul suo viso è un mucchio di sensazioni spiacevoli che si accavallano l'un l'altra.
«Dobbiamo correre a casa sua a cercarlo.»
                                                                           Gabriel.
«Perché stai correndo così?» Afferro la maniglia dello sportello con una mano, mentre con l'altra tengo ben saldo un lato del sedile.
Non sono l'unico che sta cercando di non sbattere qua e la mentre Drake guida come un pazzo per la statale.
«Cécile, dimmi che gli prende?» La supplico.
Ma il suo viso è scavato. Ha gli occhi sbarrati e fissa la strada come se non vedesse altro.
Non è l'effetto di qualche droga, non è il poco sonno. E' la paura.
Conosco la paura di Cécile.
«Drake, maledizione! Decelera!» Grida Ambra tirando un pugno al sedile.
Lui la ignora. Svolta a destra di colpo, poi a sinistra e imbocca una strada secondaria.
Le auto sono già tante nonostante siano solo le sette del mattino.
Drake le evita per pura fortuna. Sembra che nulla lo possa fermare. Nulla, tranne il portone del palazzo di Raul.
La frenata ci sbalza in avanti per poi farci ripiombare a sedere.
Il primo a scendere fuori dall'auto come un proiettile è proprio Drake. Cécile gli corre dietro come una lepre.
Ho un brutto presentimento.
«Dannazione, non risponde.» Nonostante, il biondo stia tenendo il dito premuto sul campanello, dentro casa pare non ci sia nessuno.
«Chi cazzo sta suonando in questa maniera!» Alzo lo sguardo oltre la mia fronte.
Una donna in vestaglia sta protestando con il braccio sollevato, dalla finestra accanto a quella dell'appartamento di Raul.
E' Clorine, la sua vicina. L'avevo vista solo una volta, la sera che venimmo qui per spartirci i soldi della droga.
«Apri questa maledetta porta, Clorine!» Gli intima Drake a brutto muso.
«Perché non andate a farvi fottere, ragazzini!»
«Dannata vecchia!»
Clorine si ritira sparendo dalla nostra visuale, ma proprio quando la speranza ci sta per abbandonare il trillo del portone spazza via la rassegnazione del momento.
«Grazie a Dio!» Cécile sposta con il peso l'anta ed entriamo uno dietro l'altro.
L'appartamento di Raul è all'ultimo piano.
«C'è puzza da giorni li dentro. Perché no dite al vostro amico di buttare l'immondizia?» La sagoma di Clorine appare un secondo prima che Drake tiri fuori la chiave di riserva da un vaso di begonie finte, accanto alla porta dell'appartamento.
Clorine ci fissa, forse con la speranza di una risposta, poi sbuffa e si chiude la porta alle spalle.
«Ok...Ci siamo» A Drake trema la mano, non riesce quasi ad inserire la chiave nella toppa. La fronte imperlata di sudore.
L'anta si sposta ed un tanfo terribile falcia le nostre narici.
«Che cos'è questa puzza?» Ambra si copre la bocca e fa un passo indietro sul pianerottolo.
Anche Drake e Cécile sembrano trattenersi dal vomitare.
Dentro casa di Raul c'è caos.
Il divano dove era solito dormire ha l'unico cuscino, che dovrebbe coprire la seduta, rivoltato. La tavola è sgombra, tutto ciò che vi era sopra ora è a terra: il posacenere, l'erba, i mozziconi di sigaretta, le lattine di birra.
«Che cazzo è successo qui dentro...» Mi muovo nell'appartamento. Sembra esserci passato un uragano.
Ambra solleva due delle quattro sedie da terra e cerca di capire con lo sguardo cosa sia successo.
Quando mi giro verso l'unica porta che so dividere l'angolo cottura dalla zona notte, mi accorgo che Drake è accanto alla porta della camera da letto di Raul. Dritto, immobile.
Sembra fissare l'interno senza neanche respirare.
Che gli prende?
Gli occhi di Cécile rimbalzano su di lui.
Si muove ancor prima di me.
«No, no, no...Dimmi che non è vero!» Dice correndo verso il ragazzo.
                                                            Cécile.
Drake cade sulle ginocchia ed è solo allora che scopro il corpo di Raul.
E' riverso sul suo letto, lo sguardo sbarrato verso il soffitto e due grandi ferite sull'addome.
«Era mio amico».
Non ho mai visto Drake singhiozzare così.
E' distrutto e lo sono anche io.
La vista mi si appanna velocemente e l'aria che sembrava mancarmi fino ad un attimo prima, ora pare strozzarmi.
Mi chino sulle ginocchia avvolgendo le spalle di Drake.
«Dannazione!» Grida in un tumultuo di rabbia e dolore «Dannazione! Dannazione! E' solo colpa mia».
I passi di Gabriel ci arrivano alle spalle. Non ho il coraggio di guardarlo ma lo sento arrancare un passo all'indietro e poi sbattere contro lo stipite della porta.
Raul è morto. Sara è morta.
Ed è solo colpa nostra.
                                                                        Victor.
Apro gli occhi a fatica e un bagliore intenso brucia le mie sclere. La luce del giorno mi sta acciecando. La vista offuscata mi impedisce di vedere chiaramente cosa mi circonda ma quello che sta gocciolando sulle mie mani è chiaramente sangue.
Sento sgommare un'auto in lontananza. Non posso girarmi, il dolore al collo è troppo intenso.
Che diavolo è successo?
«Jace» allungo, quel po' che posso, una mano verso lui. Riesco a voltarmi a malapena, ma mi sembra di vedere la sua fronte china sul volante. C'è sangue anche addosso alle sue gambe; «Jace, apri gli occhi» lo scuoto ma non risponde.
Non sento Marcus. Lo specchietto retrovisore si è frantumato in mille pezzi, non posso vederlo.
«Marcus.» Lo chiamo e nel farlo mi strozzo con la mia stessa saliva.
Lo sportello dal mio lato è incavato verso l'interno e mi blocca la gamba contro il sedile. C'è del sangue che sgorga dai miei pantaloni nel punto dove il ferro fa pressione, non mi sento le dita dei piedi e ho l'impressione che persino il braccio, anch'esso bloccato, sia diventato freddo.
«Jece, avanti, cerca di svegliarti» Tossisco. Qualcosa dentro me sta riempiendo i miei polmoni e sa di ferro.
Le forze sciamano più velocemente del previsto: sto morendo?
Morirò qui, in quest'auto?
«Ragazzo, sei cosciente?» 
Non lo so. Non so più niente. Mi sento debole, quasi inesistente.
«Sta tranquillo andrà tutto bene.» E' una sagoma quella che mi sta parlando? Credo di si. Un'ombra indistinta che ha la voce da uomo.
«E' ferito?» Dopo poco, quella che ha l'aspetto di una donna bionda, appare davanti al cruscotto dell'auto. Sembra spaventata.
«Si.» Vedo muoversi delle macchie - persone? - e stanno sparendo.
«Ehy!» Batto un pugno sulla cappotta «I miei amici sono ancora qui!» cerco di respirare, è difficile «Ehy!...Non abbandonateci.»
Forse dovrei lasciarmi andare.
                                                  Cécile.
C'era soltanto un modo per salvarci tutti quanti, almeno dalla polizia.
E quella stessa mattina ce ne convincemmo tutti e quattro.
«Ci sei?»
Ambra annuisce stringendo il tappeto.
Dovevamo salvarci. A tutti i costi.
«Saliamo»
E per farlo, dovevamo lasciare che i morti seppellissero i morti.
«Tutto ok, voi li su?» Bisbiglio, guardando fra le ringhiere della tromba delle scale Drake e Gabriel salire il divano di Sara.
Annuiscono. 
Una volta trovato il corpo di Raul ci era voluto un po' perché concordassimo all'unisono che quella di portare gli oggetti di Sara in casa di Raul sarebbe stata l'unica scelta da fare.
Avrebbero incolpato lui, nella migliore delle ipotesi. O comunque, avrebbero cercato un nesso fra loro. Nesso che non esisteva, poiché Raul e Sara non si erano mai conosciuti.
Gabriel poggia il divano accanto alla parete dietro la porta d'ingresso e noi il tappeto al centro della stanza.
«Funzionerà?»
Lo guardo.
«Deve funzionare per forza.»



Nota: Riprendo questa storia dopo svariati mesi, per questo, se ci dovessero essere buchi di trama chiedo venia. 
Buona lettura.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3910430