Il Gioco del Silenzio-The Quiet Game

di Crepuscolina13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 2 ***
Capitolo 2: *** Parte 1 ***



Capitolo 1
*** Parte 2 ***


Storia originale: https://www.fanfiction.net/s/13618644/1/The-Quiet-Game

Autrice: Too Young To Feel This Tired

Tradotto: crepuscolina13

 

Il gioco del Silenzio-The Quiet Game part 2

 

Partecipò spesso al gioco del silenzio. Perché fermarsi se era sempre la migliore? Forse voleva solo perdere almeno una volta per vedere cosa sarebbe successo, ma non avvenne mai.

Cinque iniziò a parlarle, non con lei ma a lei. Poteva divagare per ore con le sue teorie riguardo a papà e ai loro fratelli. Aveva bisogno di sfogarsi. Aveva bisogno di parlare. Aveva bisogno di lasciar uscire tutto per cui parlava, parlava e parlava e Vanya restava in silenzio ad ascoltare e a non ascoltare.

Alcune volte si sentiva grata quando veniva a parlarle altre invece era arrabbiata perché quando c’era lui nessun altro veniva a parlarle e perché nemmeno lui riuscì a batterla al gioco.

Ben una volta tentò di entrare nella camera ma Cinque lo fermò con le sue sopracciglia aggrottate e la sua voce severa.

-Non vedi che siamo nel bel mezzo di qualcosa?-

Cinque era impegnato a spiegare le sue idee riguardo ai viaggi nel tempo mentre Vanya contava quante volte avesse usato la parola “tempo” durante il suo monologo. Per ora ne aveva segnate 102 e ancora non aveva finito.

Lei offrì a Ben un sorriso di scuse per il comportamento di Cinque e lui se ne andò. Provò a mostrarsi arrabbiata nei confronti di Cinque ma entrambi sapevano che lei non avrebbe detto niente e lui avrebbe ignorato lo sguardo.

Anche se alcune volte chiedeva -Hai intenzione di dire qualcosa?- o -Qualche suggerimento?-

Ma non aspettava mai una risposta né notò mai il suo silenzio né le chiese mai perché non parlasse.

Vanya iniziò a chiedersi se lo stesse facendo a posta. Se forse fosse spaventato di perdere la propria confidenza e magari la preferisse più in quel modo, come la sorella silenziosa, ascoltatrice di tutte le sue brillanti idee senza che dicesse mai una parola. Qualcuno che non gli dicesse di stare zitto né che lo mandasse via. Qualcuno che semplicemente fosse un perfetto ascoltatore.

Vanya era sempre la vincitrice del suo piccolo gioco.

Anche se Cinque parlava e anche se qualche volta la guardava confuso non riuscendo a capire perché non stesse dicendo niente e chiedeva se la stesse annoiando.

Lui non le chiese mai la domanda chiave e Vanya non parlò mai per prima per non perdere al gioco. Lei semplicemente muoveva la testa invitandolo a continuare. Quel gesto era sufficiente per convincere Cinque a riprendere a parlare.

Qualcuno noterebbe almeno la tua assenza se un giorno tu scomparissi?

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-Ti senti bene?- le chiese un giorno.

Lei non stava giocando al gioco del silenzio al momento e aveva addirittura commentato una delle sue teorie.

-Perché non dovrei esserlo?- chiese confusa domandandosi se fosse dovuto al fatto che avesse parlato.

Magari davvero la preferiva quando era muta. Forse non le piaceva neanche quando parlava. Forse avrebbe dovuto praticare il gioco del silenzio tutto il tempo.

-Tu...- iniziò senza finire, qualcosa nei suoi occhi era diverso. Non era da Cinque. Non era sicuro di se stesso come invece era solito essere.

Vanya non era sicura di cosa fosse, ma era diverso.

Entrambi aspettarono, guardandosi l’un l’altro in silenzio; per una volta lei non lo stava facendo per via del gioco, finché la Mamma non arrivò ad annunciare la cena.

Cinque guardò la Madre e poi tornò a guardarla finché lei non se ne andò per informare anche gli altri ma prima lui disse: -So che di solito sono io quello che parla, ma se ...se tu..uh..se mai avessi bisogno di parlare di qualcosa puoi farlo-.

Si guardò un po’ intorno quasi imbarazzato e questo le consentì di trovarlo quasi tenero.

-Puoi parlare con me, cioè io ti ascolterei-.

Vanya non sapeva come rispondergli. Quelle non erano le regole. Era previsto che lui le facesse la domanda di sua iniziativa altrimenti avrebbero perso entrambi. Qualcuno doveva essere il vincitore anche se fosse stato lui.

Lei scese dal letto, le parole le bruciavano la gola ma non riuscivano ad uscire.

Non stava giocando al gioco quel giorno ma qualche volta non riusciva a parlare anche se non prendeva parte al gioco. Alcune volte era semplicemente lei che non riusciva a parlare. Era tutta colpa sua. Non poteva controllarlo e ciò la faceva sentire ridicola e debole.

La più debole di tutti.

Gli altri sembravano sempre così posati anche uno così sciocco come Klaus o uno con la mancanza di grazia come Diego o una drammatica come Allison.

Loro probabilmente non hanno mai avuto bisogno di pillole o di uno stupido gioco per impedirgli di farli sentire come se avessero potuto cadere in pezzi da un momento all’altro.

Loro erano forti e potevano affrontare le proprie inquietudini e le proprie emozioni da soli a differenza sua.

Forse era per quello che non riusciva a parlare, non voleva perdere al gioco.

Cosa sarebbe stata senza di esso? E senza le sue pillole? Sarebbe stata se stessa? Non era forse ciò che era adesso la vera se stessa?

E quindi Vanya non disse niente, invece prese velocemente le sue mani che strinse sentendo il proprio viso riscaldarsi prima di premere le proprie labbra contro la sua guancia. Non era sicura se fosse un “grazie” o uno “scusa”, ma fortunatamente non dovette aspettare e scoprire cosa ne pensasse Cinque.

Lo lasciò andare e corse giù per la cena. Non avrebbe abbandonato il suo gioco.

Dopotutto loro non stavano giocando e Cinque non le aveva fatto la fatidica domanda.
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(*)Ma qualcosa era cambiato. La volta successiva in cui fu in atto il suo gioco Cinque venne nella sua stanza e senza proferire parola si mise a fissarla per qualche istante prima di distendersi sul suo letto accanto a lei mentre entrambi iniziarono a fissare il soffitto della stanza di Vanya.

Lui non disse niente, semplicemente continuò a guardare il soffitto con la testa così vicina a lei che poteva percepire il suo calore e udire il suono del suo respiro forte e chiaro. Era quasi rassicurante.

Si domandò se forse anche Cinque stesse giocando ad un suo gioco. Si domandò se forse anche lui volesse che lei gli facesse la domanda così da farlo perdere. Ma non sapeva forse che in quel modo anche lei avrebbe perso? Qualcuno doveva essere il vincitore, anche se doveva trattarsi di nuovo di lei, non voleva rovinare il suo gioco.

Cinque si girò sul fianco fissandola finché non si chinò per depositarle un bacio sulla fronte senza una parola né una spiegazione.

-Se vuoi..parlare di qualcosa io sono qui-.

Nonostante fosse commossa e emozionata per via di quel bacio, tutto sparì quando realizzò che lui non aveva affatto capito le regole del gioco, nemmeno un po’ se lui pensava che lei volesse e avesse scelto di prendere parte al gioco.

Rimase al suo fianco mentre con una mano cercava le pillole nella sua borsa finché presa una la ingoiò senza nemmeno disturbarsi a sedersi.

Anche se a Cinque importava, non riusciva a capire.

Vanya era solita pensare che non essere importante per nessuno era la cosa più possibile peggiore ma realizzò invece che la peggiore era il fatto che loro non riuscissero a capire. Se nemmeno le persone che tenevano a lei riuscivano a capire chi altro avrebbe potuto farlo?

Il giorno dopo era tranquilla e anche se Cinque le chiese se stesse bene lui non le chiese mai perché non stesse parlando. Semplicemente prese timidamente una sua mano tra le proprie mentre erano seduti sul letto e gli chiese di parlarle facendo finta che ciò le bastasse. Facendo finta che sarebbe bastato sentirlo parlare e sentirlo preoccuparsi per lei. Facendo finta di poter fermare il gioco scegliendo di non doverci giocare il giorno dopo.

Il problema era che lei non era mai stata brava a fingere.

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Poi venne il giorno in cui Cinque la guardò durante il pranzo per poi chiedere per l’ennesima volta al Padre perché non potesse viaggiare nel tempo, e lei sapeva che lui voleva più di qualsiasi altra cosa che lei parlasse ma Vanya stava giocando al gioco del silenzio. Lei stava giocando e quindi non poteva parlare.

Per cui Vanya scosse la testa sapendo però che non sarebbe stato sufficiente per farlo rimare

E poi lui scomparve e ancora una volta Vanya aveva vinto. Lei vinceva sempre al gioco del silenzio.

Qualcuno noterebbe almeno la tua assenza se un giorno tu scomparissi?

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Vanya continuò a suonare il violino e a giocare al gioco. Il tempo passò. Lasciò la casa, finì la scuola, trovò un lavoro, scrisse un libro, seppellì suo padre, scoprì i suoi poteri, distrusse quasi il mondo e via dicendo. Ci fu un breve momento in cui non ebbe bisogno di riniziare il gioco quando pensava che Leonard sarebbe finalmente stata la persona che avrebbe sempre voluto parlarle e che avrebbe sempre saputo quando non farlo ma poi tutto scomparve e lei ritornò nelle braccia del gioco.

Non sarebbe stato grandioso se tutto fosse stato fantastico dopo quella vicenda? Non sarebbe stato fantastico se dopo aver riallacciato i rapporti con la sua famiglia non avesse più dovuto pensare al gioco? Lo sarebbe stato, ma non andò in quel modo.

Continuò a giocare al gioco di volta in volta e neanche i suoi colleghi se ne accorsero. Nessuno lo faceva. Lei vinceva sempre al gioco.

Tornò da lavoro senza aver mai parlato con nessuno e annuì a malapena quando il mattino dopo Cinque le chiese se desiderasse del caffè. Diventava addirittura più facile giocare al gioco quando doveva andare a lavoro.

I suoi fratelli erano distrutti proprio come lei per cui non c’era da stupirsi se alcuni giorni non mostravano nessun interesse per lei. Ognuno doveva affrontare i propri drammi personali. Aveva capito molto tempo fa che non poteva darsi la colpa per quello proprio come lei non poteva aspettarsi che loro risolvessero i suoi problemi. Anche lei non poteva far niente per loro.

-Sei stata silenziosa a cena- le disse Cinque mentre si stava dirigendo verso la propria stanza. Visto che la sua non c’era più si era appropriata di quella degli ospiti che era molto più grande rispetto alla sua vecchia camera che però aveva sempre trovato troppo enorme a quei tempi. Troppo vuota. Troppo solitaria.

Lei e i suoi fratelli avevano fatto un patto per cui finché non avessero capito come risolvere le cose avrebbero tutti vissuti sotto lo stesso tetto. Cose come la sottoscritta e i propri poteri e le sue medicine che aveva iniziato di nuovo ad assumere. Come poteva non farlo se l’alternativa era distruggere il mondo?

Quelle parole le causarono un attimo di smarrimento. Era quello il problema di giocare e vincere per così tanto tempo. Vanya non sapeva come perdere. Se qualcuno le avesse finalmente chiesto perché non stesse parlando lei onestamente non avrebbe saputo come rispondere. Ormai non lo sapeva più. Doveva aver dimenticato la risposta molto tempo fa.

Così Vanya alzò le spalle per poi afferrare il barattolino delle pillole tenendolo stretto nel proprio palmo e se ne andò nella sua stanza chiudendo la porta dietro di se. Qualche volta le era permesso barare. Dopotutto era il suo gioco.

Ma il fatto era che anche Cinque era un baro per cui apparve nella sua stanza senza nemmeno essere invitato andandole subito incontro mentre lei stava riponendo il proprio violino nella sua custodia appoggiata sopra il letto.

Sembrava diverso, insicuro. Aveva uno strano sguardo ma Cinque era sempre strano. Non era molto portato a parlare di sentimenti e Vanya capì così che era proprio di quello di cui lui voleva parlare. Sembrava come un pesce fuori dall’acqua mentre camminava avanti e indietro per la stanza. Lei desiderava ardentemente che se ne andasse e allo stesso tempo sperava che rimanesse. Il conflitto la stava quasi spezzando a metà dall’interno. Non era mai stata brava in quel tipo di situazioni. Si era sempre sentita troppo impacciata, strana, diversa anche tra le persone senza poteri. Adesso sapeva perché. Non apparteneva all’Umbrella Academy ma nemmeno apparteneva alla classe delle persone normali senza poteri. Le pillole la aiutavano a intorpidire tutto. Tutto il suo dolore, i suoi errori, le sue paure e perfino i suoi poteri. Erano l’unica cosa a parte vincere al gioco su cui lei aveva sempre potuto contare.

-Sei rimasta in silenzio anche una settimana fa e anche quando eravamo piccoli- iniziò a guardare dappertutto tranne verso di lei. Desiderò andarsene ma non voleva rischiare di incontrare qualcuno per i corridoi.

Una volta erano più uniti, pensava che sarebbe stato lui quello a farle la domanda e a farle perdere il gioco ma Cinque non l’aveva mai capito. A lui importava di lei ma non l’aveva mai capito e non le aveva mai fatto quella domanda. E adesso a lui non importava più di lei e non erano più uniti. Vanya desiderò che se ne andasse, che la lasciasse da sola e lei magari avrebbe potuto…...non lo sapeva più neanche lei.

-Alcune volte tu non parli- lo disse come un dato di fatto ma senza la sua solita confidenza e impertinenza, non sembrava affatto il Cinque che lei conosceva. Si ricordò che l’ultima volta che aveva avuto questo atteggiamento era stata quella volta in cui era andato molto vicino a vincere il gioco ma lei non glielo aveva permesso. Ma dopotutto lui non glielo aveva mia chiesto, pensava che fosse stata una sua scelta quella di mettere in atto il gioco. Lui non sapeva che non era affatto stata una sua scelta. Lei aveva solamente avuto il bisogno di giocarci.

Cinque sembrava insicuro su quello che voleva dire così come lo era Vanya.

-Vanya, perché non parli?- chiese piano a malapena più forte di un sussurro ma valeva lo stesso. A lei bastava quello. Quelle erano le regole. Quelle erano le regole del suo gioco del silenzio. Del gioco a cui non riusciva a rinunciare. Del gioco a cui aveva sempre vinto fino a quel momento almeno…

Anche se sapeva di aver appena perso e che lui aveva vinto, anche se sapeva che adesso era finita lei non riuscì ad aiutarlo e scosse la testa mentre le lacrime scivolavano sulle sue guance così riprese il contenitore delle pillole pronta a prenderne una come aveva sempre fatto quando veniva scossa da troppe emozioni. Adesso era ancora più necessario visto che una sua semplice crisi poteva portare alla fine del mondo in cui Cinque era stato costretto a vivere per decenni.

Provò ad aprire il barattolo ma il coperchio non si muoveva e la sua frustrazione iniziò a crescere sempre di più mentre provava ancora e ancora a svitare il tappo finché non apparve una mano di Cinque ad avvolgere la sua. Da quando le mani del ragazzo erano diventate così grandi da riuscire ad avvolgere le sue? Da quando era diventato così grande e così forte tanto da riuscire a fermarla? Da quando gli importava davvero di lei? Da quando aveva iniziato a comprenderla?

Vanya alzò lo sguardo verso di lui.

-Niente pillole oggi, va bene?- chiese per poi aspettare finché lei non fece un cenno di assenso.

-Parlami- disse ancora con voce stranamente delicata ed era quasi troppo per lei da sopportare, infine annuì di nuovo – o...okay-.

Aveva davvero perso al gioco questa volta.

Così Vanya parlò. Raccontò a Cinque del gioco spiegandogli le regole. Parlarne ad alta voce la faceva sembrare una cosa stupida ma lui non la giudicò mai con lo sguardo né prese in giro l’idea. Aspettò che lei avesse finito prima di parlare. Non era come quando erano piccoli. Questa volta la lasciò parlare, la lasciò argomentare le proprie idee. Non aver preso la pillola contribuì a farle avere una mente lucida anche se i mobili intorno a loro tremavano di tanto in tanto.

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Avrebbe voluto poter dire che da quel giorno aveva smesso di giocare ma invece lo faceva ancora di tanto in tanto. Non era facile lasciar andare via l’idea di quanto tempo sarebbe stato necessario ad una persona prima che gli importasse così tanto di lei da notare il suo silenzio. Col tempo i suoi fratelli iniziarono a trattare il suo silenzio come un dato di fatto, forse lo avevano sempre fatto pensando però che fosse una sua scelta invece che un qualcosa su cui lei non aveva il controllo.

Non le chiesero mai perché non parlasse, si limitavano a dire quanto lei rimanesse sempre in silenzio, in quei casi se voleva perdere guardava Cinque e lui poggiava la sua mano sopra il proprio gomito per poi cercare con voce sommessa di convincerla a parlare.

Le pillole e il gioco erano stati una gran parte di lei per troppo tempo per lasciar semplicemente perdere quindi continuava a giocare e con Cinque a giocare insieme a lei era diventato anche più divertente. Probabilmente era strana ma Vanya amava perdere con lui. Altre volte Cinque sfruttava il gioco per semplice diletto quando le faceva intenzionalmente delle domande a cui lui sapeva che non poteva rispondere.

-Personalmente neanche io parlerei con quegli idioti per tutto il giorno se potessi, tu sei più astuta di me- diceva con un sorrisetto mentre lei alzava gli occhi al cielo prima di baciare di nuovo la sua guancia.

In particolare amava perdere con Cinque quando la convinceva a sedersi accanto a lui per poter parlare di tutto quello che voleva, senza fermarsi mai, anche di argomenti apparentemente ridicoli o superficiali. Lui semplicemente le restava accanto lasciandola parlare. Forse presto non avrebbe più avuto bisogno del gioco del silenzio o forse ne avrebbe sempre avuto bisogno, ma per ora era confortante sapere che almeno una persona lo aveva notato, che almeno una persona se ne fosse preoccupato.

E cosa più importante che l’avesse compresa. Forse sarebbe stato sufficiente.

 

 

 

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Note della traduttrice: Premetto che questa è la seconda fan fiction che io abbia mai tradotto, non ho lauree in inglese o robe simili quindi parecchi passaggi non sono stati tradotti alla lettere anche perché magari in italiano non avevano neanche senso ma più come la mia mente li interpretava.

Ovviamente vi consiglio di andare a dare un’occhiata anche all’originale( https://www.fanfiction.net/s/13618644/1/The-Quiet-Game ) appena l’ho letta me ne sono innamorata e non esagero a dire che ho pianto per tutto il tempo e alla fine sono scoppiata a piangere, mi ha veramente toccato nel profondo e per questo ho deciso di tradurla.

Spero che anche a voi sia piaciuta così tanto, sappiate che qualunque recensione scriverete mi premurerò di mandarla anche alla vera autrice a cui ovviamente ho chiesto prima il permesso, quindi è informata di questa traduzione.

Altre Note:

(*) Ho avuto un po’ di difficoltà a comprendere la parte in cui Vanya e Cinque sono distesi sul letto quindi ho omesso alcuni dettagli che non sapevo come tradurre.

Altre note: l’autrice usa innumerevoli volte “play the game”- “giocare al gioco” ma siccome non mi piace molto come suona in italiano alcune volte ho sostituito play con altri tipi di verbi anche per non creare così troppe ripetizioni.


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Capitolo 2
*** Parte 1 ***


Storia originale: https://www.fanfiction.net/s/13618644/1/The-Quiet-Game

Autrice: Too Young To Feel This Tired

Tradotto: crepuscolina13

 

Il gioco del Silenzio-The Quiet Game

Se scomparissi qualcuno noterebbe almeno la mia scomparsa?

Alcuni pensieri terribilmente cupi passarono nella mente di Sette quando si svegliò a tarda sera.

Aveva sofferto di mal di testa durante la giornata e aveva ottenuto il permesso di mettere in pausa il suo studio finché non si fosse sentita meglio anche se il padre aveva sottolineato come fosse più debole rispetto agli altri per aver avuto un mal di testa in primo luogo.

La Mamma le portò qualche medicina e lei si addormentò subito dopo averle prese. Forse aveva solo bisogno di qualche ora in più per riposarsi.

Finalmente la sua testa smise di pulsare e scese così al piano di sotto solo per poi scoprire che tutti avevano ormai finito di cenare e adesso erano già passati a intrattenersi con altre attività mentre la Mamma riuscì a rimediarle qualcosa da mangiare.

Restò così in cucina tutta da sola cercando di masticare la cena.

Di solito le piaceva ciò che la Mamma cucinava ma oggi non ricavò gran gioia da quel pasto, rimase solamente a guardare le scale domandandosi se gli altri fossero a conoscenza che aveva avuto mal di testa e in quel caso perché nessuno era venuto ad avvertirla che la cena era pronta.

Sette parlò un po’ con la Mamma, finì di mangiare e poi tornò al piano di sopra .

Tutte le porte erano chiuse anche se riusciva a sentire i suoi fratelli ridere e parlare attraverso di esse.

Fissò ogni singola porta sperando che una di quelle si aprisse e che qualcuno la invitasse dentro per fare quattro chiacchiere o per giocare ma tutte le porte rimasero chiuse.

Non sapeva chi fosse con chi ma immaginò che nessuno volesse essere disturbato visto che le porte erano tutte chiuse.

Ancora ricordava tutte le volte in cui aveva provato a intromettersi nelle loro conversazioni o nei giochi solo per poi sentirsi dire di andare via.

Questa volta non si disturbò neanche a provarci.

Sette ritornò nella sua camera lasciando però la sua porta accostata in caso qualcuno fosse venuto a vedere come stesse.

Non c’era bisogno che parlassero o giocassero, bastava semplicemente che qualcuno le facesse compagnia così che non dovesse sentirsi così sola.

Nessuno lo fece.

Fu la mattina dopo che iniziò per la prima volta a escogitare il suo piccolo gioco. Era Semplice.

Ogni qual volta in cui si sentiva particolarmente sola avrebbe iniziato dal giorno dopo a giocare con se stessa per un personale semplice passatempo.

Era un gioco un po’ strano, Sette lo sapeva ma non c’erano molte cose in cui lei era brava.

Lei era brava a stare in silenzio no? Papà le diceva sempre di stare zitta ogni qual volta Quattro stuzzicava lei e Sei quando erano piccoli, ma forse era tutta una sua invenzione. Alcune volte non ne era sicura.

Era un gioco sciocco ma lei vinceva sempre.

A tutti i suoi fratelli piaceva vincere durante gli allenamenti, amavano battersi a vicenda per essere i primi o i migliori. Vincere era divertente e anche a lei sarebbe piaciuto vincere.

Il gioco era semplice.

Lei non avrebbe parlato finché qualcuno non le avesse chiesto perché non stava parlando.

Semplice, no?

Si sarebbe svegliata e avrebbe passato tutto il giorno senza dire una parola finché qualcuno non fosse venuto da lei a chiederle perché non stava parlando.

Sarebbe stato divertente vedere quanto tempo sarebbe passato prima che qualcuno venisse a farle la fatidica domanda una volta realizzato ciò che stava facendo.

Non avrebbe richiesto troppo tempo, giusto?

Come potrebbe essere altrimenti? Qualcuno doveva pur notare che lei non stava parlando no? Come potevano non accorgersene?

La colazione fu un po’ deludente anche se cercò di non farci troppo caso.

I suoi fratelli come al solito stavano combattendo contro la mancanza di sonno o chiacchierando a proposito di qualche missione passata mentre lei stava silenziosamente mangiando i suoi cereali evitando di non guardare nessuno mentre provava a non piangere così da non interrompere il suo gioco.

Non sarebbe stato divertente scoprire quanto avrebbe potuto resisteresenza parlare? Senza che nessuno notasse che non stava parlando? Senza che a nessuno importasse?

Dopo colazione andarono tutti a studiare, lei doveva esercitarsi al suo violino mentre gli altri erano impegnati in palestra.

Nessuno venne a disturbarla, non che fosse mai successo.

Rimase nella sua stanza tutta da sola a suonare finché le sue dita non iniziarono a farle male ma non poteva smettere.

Suonare era l’unica cosa che aveva, l’unica cosa in cui era brava.

Se lei non si esercitava regolarmente Papà le avrebbe portato via il violino e lei sarebbe rimasta senza niente.

Così suonò per ore finché non arrivò il momento del pranzo, spaventata che se si fosse fermata anche solo un momento il violino le sarebbe stato portato via.

Consumarono il pranzo con il loro Padre e in quelle occasioni non avevano il permesso di parlare quindi nessuno notò il suo silenzio.

Come potevano? Tutti restarono in silenzio durante il pranzo ascoltando la trasmissione che il Padre permetteva loro di ascoltare quel giorno.

Lei masticava il suo cibo facendo meno rumore possibile chiedendosi quanto tempo sarebbe passato prima che qualcuno notasse il fatto che lei non stava parlando. Qualcuno doveva pur rendersene conto giusto?

Dopo pranzo ebbero un’altra sessione di studi, questa volta tutti insieme.

Pogo trattò prima la chimica e poi si spostò sulla fisica.

Le fece una domanda solo una volta. Non era molto difficile infatti Sette aveva già scritto la risposta sul proprio quaderno ma non poteva rispondere ad alta voce così si limitò semplicemente a scuotere la testa e Pogo passò a porre il quesito a Luther.

Non poteva infrangere le regole del gioco.

Si domandò se qualcuno avesse iniziato a notare che non stava parlando sin da ieri, quando osò guardarsi intorno scoprì che nessuno la stava guardando.

Nessuno la guardava mai comunque.

Dopo ciò era di nuovo ora di cena, di nuovo con il loro Padre e quindi parlare non era permesso. Non finì tutto il suo pasto e lasciò un po’ di cibo nel piatto

-Oh non hai fame Sette?- le chiese la madre.

-Magari la prossima volta posso cucinare una delle tue pietanze preferite mh?-.

La Madre le tolse il piatto da davanti ma non aspettò una sua risposta e Sette non ne diede una, semplicemente si alzò dalla sedia camminando fino alla sua stanza lasciando però la porta aperta in caso qualcuno avesse voluto entrare.

Nessuno lo fece.

Aspetto per ore e ore e nessuno lo fece, solo quando sentì la voce della madre provenire dal corridoio informando che era ora di andare a dormire lei chiuse la porta, si cambiò per la notte e spense la luce consapevole che tanto nessuno sarebbe venuto a farle una visita né a parlarle e che nessuno le avrebbe chiesto perché non stava parlando perché nessuno se ne era accorto, perché a nessuno importava.

Quando le lacrime solcarono il suo volto e la sua mano tremante aprì il contenitore delle pillole Sette farfugliò a se stesse la prima frase della giornata.

Ho vinto”.

Non era bello vincere? Non era un gioco divertente? Non ci si sentiva bene a vincere?

A tutti piaceva vincere e lei aveva vinto! Aveva vinto! Aveva vinto il suo stupido gioco! Non ci si sentiva grandiosi ad essere dei vincitori?

Questo pensò mentre piangeva prima che le pillole facessero effetto sopprimendo quel sentimento di tristezza lasciandola intorpidita ancora una volta.

L’Intorpidimento era meglio della solitudine.

Le andava bene tutto finché non avesse più provato la solitudine.

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Il tempo passò e lei continuò a mettere in pratica il suo piccolo gioco.

Non tutti i giorni. Alcuni giorni erano tranquilli, lei salutava tutti al mattino augurandogli buona fortuna quando avevano una missione da compiere.

Rispondeva Sì se qualcuno le chiedeva di prestargli il suo quaderno, i compiti o qualunque cosa volessero da lei.

Alcune volte riusciva anche a fingere che lei fosse felice così, che sentirsi necessaria solo a passare i compiti ai suoi fratelli fosse sufficiente.

Che le bastava solo il fatto che loro sapessero della sua esistenza.

Bastava però che Papà dicesse qualcosa di cattivo o che gli altri la cacciassero via, a volte non era neanche necessario l’intervento di qualcuno, bastava semplicemente che la vocina dentro di lei della quale non aveva il controllo le facesse credere che se fosse scomparsa nessuno se ne sarebbe accorto né gli sarebbe importato.

Le bastava quello e lei decideva che era arrivata l’ora di giocare.

Era ridicolo.

Che divertimento c’era in un gioco nel quale lei vinceva tutte le volte?

Le sarebbe dovuto venire a noia dopo la terza o la quinta volta eppure lei continuava a giocare come se volesse a tutti i costi che qualcun altro vincesse, come se volesse che qualcuno le chiedesse perché non stava parlando.

Non doveva essere poi così competitiva se voleva perdere così disperatamente.

Aveva dato ai suoi fratelli parecchie possibilità di batterla ma nessuno lo fece mai.

Non potevano perché a loro non importava.

Qualcuno noterebbe almeno la tua assenza se tu un giorno scomparissi?
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E quindi Vanya restava nella sua stanza con la porta accostata.

Lei era sempre una giocatrice onesta. I fratelli avevano sempre una possibilità. Lei non barava mai, rispettando così le regole auto inventante del suo auto inventato gioco.

Potevano entrare ogni qual volta desiderassero, semplicemente loro non lo facevano mai e anche se lo facevano non notavano mai che lei restava in silenzio.

Loro non le facevano mai la fatidica domanda continuando così a perdere.

-Vorrei vedere i tuoi appunti di Calcolo- disse Cinque entrando nella sua stanza senza nemmeno bussare.

Cinque non chiedeva mai se poteva entrare in una stanza.

Si atteggiava sempre come una sorta di privilegiato che solo il figlio preferito poteva avere.

Lei vedeva il modo in cui Papà guardava a lui.

Tutti loro cercavano sempre di impressionarlo in qualche modo, di far in modo di farsi piacere, di farsi volere ma nonostante quello c’era sempre un modo diverso con cui il padre guardava Cinque.

Nonostante la sua sfrontatezza e la sua testardaggine il Padre preferiva di più Cinque rispetto a tutti gli altri.

Vanya sapeva che lui non l’aveva salutata questa mattina.

Nessuno lo faceva almeno che non fosse lei la prima a salutarli. Ma oggi stava giocando per cui non disse una parola.

Gli fece segno di andare alla sua scrivania.

Lui annuì in risposta e si diresse al tavolo afferrandoli e iniziando a dargli un’occhiata.

-Quattro...beh Klaus suppongo, ha continuato a colpire il tavolo per tutto il tempo, era impossibile concentrarsi su ciò che diceva Pogo-.

Vanya lo guardò in silenzio.

Non era la prima volta che qualcuno le parlava mentre lei stava giocando ma le regole erano regole e finché qualcuno non glielo avesse chiesto lei doveva continuare a rimanere in silenzio.

Lei voleva vincere dopotutto.

Tutti amano vincere.

-Tuttavia, ho trovato l’intera idea leggermente impraticabile- disse riferendosi alla loro lezione.

Vanya non rispose e Cinque continuò.

Per qualcuno che era stato disturbato per la durata dell’intera lezione sembrava ricordare molti dettagli e continuò a divagare con le sue idee e le sue ipotesi finché non passò dal parlare delle sue personali teorie a qualcosa di completamente diverso.

Non era la prima volta che Vanya notava come lui superasse di gran lunga tutti gli altri fratelli quando si toccavano quegli argomenti.

Era di gran lunga il più intelligente di tutti.

Forse era quello il motivo per cui a Papà piaceva così tanto.

Notò anche che si stava leggermente allontanando dagli altri.

Si chiese se qualche volta anche lui si sentisse solo e se stesse ignorando quella solitudine concentrandosi sulle sue teorie e conoscenze così come lei faceva con il suo violino, con le sue pillole e il suo gioco.

Si domandò se fosse d’aiuto imparare nuove cose mentre lavorava sulle sue idee.

Riusciva a tenere abbastanza impegnata la sua mente tanto da tener lontana la malinconia?

Forse se lo stava solo inventando.

Cinque era amato dai suoi fans, accettato dai suoi fratelli e lodato dal Padre.

Lui era sicuro di sé, intelligente e sapeva di esserlo.

Come poteva sentirsi solo?

-Bene-disse infine mentre Vanya ascoltava le sue sconclusionatezze.

-E’ stato sorprendentemente più produttivo di quello che pensavo sarebbe stato-.

Notò che non aveva preso con sé i suoi appunti come si aspettava che facesse e con cura li ripose invece nel postò in cui li aveva trovati inizialmente sulla sua piccola scrivania.

-Grazie Sette-.

Lei ne fu sorpresa. Cinque non si scusava ne chiedeva mai scusa. A lui non importava essere educato o almeno così Vanya aveva sempre pensato. Forse era semplicemente di buon’umore ma lei non poteva dirlo, lei non lo conosceva. Non conosceva niente dei suoi fratelli così come loro non sapevano niente di lei.

Cinque si girò e fece per andarsene finché non si fermò e si girò di nuovo prima di aggiungere.

-Vanya-.

Avevano i loro nomi solo da un giorno e tutti avevano avuto un po’ di problemi ad accettarli, in particolare Cinque e quello doveva essere il motivo per cui aveva rifiutato il suo chiedendo a Mamma e Papà di poter tenere il suo nome precedente.

Papà mostrò un leggero interesse alla sua provocazione mentre Mamma non era mai disturbata né scossa da niente.

Lo guardò andare via prima di andare a chiudere la porta perché le lacrime stavano iniziando a scivolarle sul volto e lei aveva bisogno di prendere una delle sue pillole.

Cinque aveva parlato per quasi mezz’ora e mai una volta aveva notato che lei era rimasta in silenzio per tutto il tempo.

Vengono da te solo se hanno bisogno di qualcosa.

Deglutì la pillola a secco, riaprì la porta e andò a distendersi sul letto.

Aveva vinto di nuovo. Era la migliore in quel gioco. Tutti perdevano. Lei vinceva. Ormai non piangeva più. La pillola aveva fatto effetto.

Magari la prossima volta che qualcuno le avesse chiesto in cosa fosse brava lei avrebbe potuto rispondere che era brava a rimanere in silenzio per tutto il giorno.

Se qualcuno glielo avesse mai chiesto.

Il giorno dopo ritornò a parlare.

Durante il tragitto verso la biblioteca notò che la porta di Cinque era leggermente aperta ed era strano visto che di solito lui la chiudeva come il resto degli altri fratelli.

Vanya gli andò incontro per poi bussare trovando Cinque intento a lavorare su qualcosa prima che lui la guardasse, sbattendo gli occhi, confuso sul perché lei fosse li’.

-Si? Che cosa vuoi?- le sue parole suonarono sgarbate ma sembrava davvero confuso per cui cercò di non prenderla sul personale.

Lui odiava quando qualcuno lo disturbava.

-Prego- rispose con un sorriso stretto prima di andarsene senza aspettare la sua reazione. Non aveva ancora intenzione di rivelare il suo gioco.

 

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n.d.a: la storia originale è tutta unita ma siccome è molto lunga ho preferito dividerla in due parti così da poter fare una piccola pausa.

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