Il mistero della Foresta di Chaos

di Soleil et lune
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stella cadente ***
Capitolo 2: *** Divinus Siderus, l'arma di Athena ***
Capitolo 3: *** Non ha nome, non ha età ***
Capitolo 4: *** "Occhi belli" ***
Capitolo 5: *** Un grido solo ***
Capitolo 6: *** Pegasus e Dragon ***
Capitolo 7: *** Goldilocks ***
Capitolo 8: *** Il "cucciolo" di Chaos ***
Capitolo 9: *** Ritrovo ***
Capitolo 10: *** La bocca dell'Inferno ***
Capitolo 11: *** Lotta tra sorelle ***
Capitolo 12: *** Alla luce della torcia ***
Capitolo 13: *** La leggenda della Contadina di Cannes ***
Capitolo 14: *** "Zoomorphus!" ***
Capitolo 15: *** Baba Yaga ***
Capitolo 16: *** La poesia della pioggia ***
Capitolo 17: *** Pianto nel buio del Mamertino ***
Capitolo 18: *** Lithium ***
Capitolo 19: *** Apeiron ***
Capitolo 20: *** Whiterabbit -parte 1 ***
Capitolo 21: *** Whiterabbit -parte 2 ***
Capitolo 22: *** Whiterabbit -parte 3 ***
Capitolo 23: *** Ancora sotto la pioggia. ***
Capitolo 24: *** Fuoco fatuo ***
Capitolo 25: *** Chloe ***
Capitolo 26: *** L'anticamera del Chaos ***



Capitolo 1
*** Stella cadente ***


"ATTENZIONE: RAGAZZO GIOVANE SUI DICIASSETTE ANNI AGGREDITO IN UNA STRADA DI NUOVA LUXOR. AGRESSORE NON ANCORA IDENTIFICATO.
Un giovane ragazzo di diciassette anni è stato aggredito da un uomo di identità sconosciuta, la vittima è restìa a descrivere il suo aggressore. Stando a quanto è stato raccontato agli inquirenti il ragazzo sarebbe riuscito a fuggire e a difendersi, ma sul suo corpo sono presenti ustioni di secondo grado e numerosi lividi su gambe, braccia e schiena; la vittima presenta inoltre una rottura dell'omero e della gamba sinistra. Abbiamo intervistato il giovane e le sue dischiarazioni sono state le seguenti: "Non posso rivelare nulla del'aspetto del mio aggressore, solo che era solo, ed eravamo in una stradina poco distante dal porto, vicino a Rue de la rose, poco lontani da Place de Greve, insomma, nella parte francese di Nuova Luxor. Oltre non posso rivelare, se non che possedeva due grandi e luminosi occhi gialli". A seguito di tali dichiarazioni il ragazzo è stato aiutato a tornare nella sua camera d'ospedale grazie a Saori Kido, la donna che lo ospita insieme agli altri Saint che in precedenza avevano partecipato alla Guerra Galattica. I nostri giornalisti sono in attesa di informazioni."

Fu questo articolo di giornale, scritto in un trafiletto al lato del Times, a convincermi a tornare da New York. Ero molto preoccupato, vedendo la foto di Jabu mi sono subito chiesto cosa fosse successo, poi ho prenotato dei biglietti per l'aereo, fatto le valige e corso sul primo aereo disponibile per la mia città natale. Mi chiedevo tante cose mentre ero su quell'aereo: se gli altri fossero arrivati, se mio fratello si fosse deciso a muoversi invece di restare alla Death Queen Island, se fosse successo qualcosa a Milady nel frattempo...ero una molla pronta a saltare. Mi ero ritrovato quell'articolo tra le mani in un mattino di giugno, andando a vedere la posta. Mi stupii vedendo la mia cassetta occupata: era una pagina del Times risalente a due giorni prima, non sapevo chi me l'avesse mandato ma in quel momento mi importava ben poco. Nonostante io e Jabu non fossimo legati la sua aggressione implicava due possibilità: la Terra poteva essere di nuovo in pericolo oppure l'addestramento per lui era stato inutile, e sapevo che mi sarei arrabbiato parecchio se si fosse rivelata la seconda opzione, anche se quei due strani occhi gialli mi facevano tendere verso la prima. Sospirai e guardai fuori dal finestrino, cercando di non prestare attenzione all'uomo che mi si era addormentato sulla spalla la sera prima. Il mio cellulare era in modalità aereo e temevo di ricevere brutte notizie al mio arrivo. Cercai di non pensarci e guardai fuori: era notte fonda ma vedere il cielo da sopra le nuvole era una sensazione difficile da descirvere, e lo è tutt'ora. Cercai le varie costellazioni;  trovai Pegasus, Gemini, Aries...per un attimo mi dimenticai di tutto quello che stava succedendo e della mia preoccupazione. Presi il mio MP3 e schiacciai play, la maggior parte delle mie canzoni erano di Alan Walker, mi piaceva molto. La ascoltai finché non mi addormentai, erano circa le due o le tre, non ricordo bene. Mi svegliai il giorno dopo completament indolenzito, stanco e con un dolore lancinante alla schiena. Mi guardai intorno e sulle note di Alone mi resi conto che erano le nove del mattino. Spensi l'MP3 e poggiai la testa sul finestrino, guardando il cielo azzurro. Dall'altoparlante ci avvisarono che l'aereo era sul punto di atterrare e ci raccomandarono di allacciare le cinture. Lo feci e attesi che l'aereo atterrasse, ero tutto un fremito, finalmente avrei scoperto cosa stava succedendo. Immaginai il peggio a mio malgrado mentre l'aereo atterrava. Nemmeno l'applauso scrosciante dei passeggieri mi scosse dai miei pensieri, raccolsi in fretta e furia il mio zainetto e mi avvicinai all'uscita insieme agli altri passeggieri, dovevo ancora riprendere i miei bagagli. Stringevo il foglio di giornale tra le mani come un ossesso, ero così agitato che urtai un anziano sulla sedia a rotelle. Borbottai delle scuse e tolsi il mio cellulare dalla modalità aereo, trovando dei messaggi da parte di Hyoga risalenti alla sera prima. "Shun, hai saputo la notizia? Jabu sta male, io sto partendo da Mosca, dovrei essere a Nuova Luxor domani pomeriggio. Sirio sta avendo dei problemi con il figlio e Seiya invece dovrebbe partire stasera, se dovess arrivare prima proteggi Lady Saori per noi". Sospirai ancora e risposi un semplice "Va bene". Hyoga mandava messaggi così lunghi solo quando era molto agitato e effettivamente aveva tutti i motivi buoni per esserlo. Riuscii a riprendere il mio bagaglio solo dopo due ore ed ero sfinito, mi sarei voluto riposare ma dovevo correre a Villa Kido, così feci solo una pausa al bar. Ordinai un cappuccino e un cornetto, avevo voglia di fumare ma non avevo il tempo, per me era come se al centro della Terra ci fosse una bomba ad orologeria pronta ad esplodere da un momento all'altro, un abisso che minacciava di inghiottire il nostro amato pianeta. Feci colazione  con un cornetto vuoto e un cappuccino e a malapena riuscii a pagare, mi apprestai ad uscire, poi sentii una mano sulla spalla ma quando mi voltai non vidi nessuno. Pensai di essermi sbagliato e corsi fuori, cercai in giro per Nuova Luxor, cercando di ricordare la strada, ma non feci altro che perdermi in quelle strade che rendevano quel posto un vero e proprio labirinto. Riconobbi il porto, la mia ragione mi impose di starne alla larga, ma non potevo, Jabu era stato aggredito, Lady Saori poteva essere in pericolo e la Terra con lei! No, non potevo starne alla larga. Mi avvicinai al porto e mi guardai intorno: non c'era nessuno, nessuna traccia di cosmo, apparentemente era tutto tranquillo: solo le onde del mare accompagnavano i miei passi tardi, mentre con fare circospetto mi guardavo intorno,senza abbassare la guardia nonostante mi stessi convincendo che non ci fosse nessuno. Lasciai la valigia in mezzo alla strada, coprendola con una cupola di cosmo (ci mancava solo che mi rubassero i pochi panni che mi ero portato), poi cercai ovunque: nei bidoni, dietro le scatole di legno e persino dietro i bidoni della spazzatura, ma non trovai assolutamente nulla. Decisi di controllare i magazzini prima di girare i tacchi e andarmene. Mi avviai verso il più grande e cercai di aprire la porta, che però era chiusa a chiave. Concentrai una piccola parte del mio cosmo sulla mia mano e lo feci passare nella serratura, poi da lì prese la forma di una chiave. "Il saper padroneggiare il proprio cosmo..." pensai in un sospiro, poi usai la chiave per aprire il pesante portone di metallo e scrutai quanto vi era all'interno. La vista era praticamente nulla, quel poco che vidi però è fermo nella mia mente da quel giorno preciso: c'era un tavolaccio in legno, sembrava sul punto di cadere, un tavolo da bigliardo rotto, alcuni catenacci e delle casse vuote. Rimasi fermo sulla soglia ossevandoli, scrutandoli, quasi come farebbe un'intelligenza artificiale mentre scannerizza un oggetto, la meticolosità era la stessa. Mossi qualche passo verso l'interno e controllai, ma non c'era nulla, solo un terribile odore di pesce e di chiuso, ma un bagliore attirò la mia attenzione: era una piccola chiave d'argento , simile a quella di un carillon, era molto strano che si trovasse lì. Stavo pensando di lasciarla dov'era ma sentii qualcosa di strano: un verso simile a un muggito mi fece sobbalzare e corsi fuori. L'ultimo magazzino aveva la porta spalancata! 
Corsi laggiù e mi soffermai a guardare la porta, era come se qualcuno di pesante e a dir poco indelicato l'avesse sfondata; deglutii e mi avvicinai al suo interno, poi sentii un respiro pesante e un odore simile a quello di un allevamento di bovini. Il magazzino era il più piccolo, potevo vedere varie macchie di muffa agli angoli dei muri bianchi, il pavimento in legno scricchiolava sotto i miei piedi e a mano a mano quel fetore era sempre più pesante, l'unica mobilia era costituita da un vecchio tavolo al lato della stanza e tre casse vecchie e puzzolenti. Mentre camminavo mi resi conto di aver schiacciato qualcosa di molle e con mio sommo disgusto mi resi conto che era...letame!
"Ugh..." feci, e indietreggiai, la scarpa era quasi totalmente sporca, guardando la quantità che si riversava al suolo iprecai quasi urlando:"Per la miseria ma com'è possibile che a terra ci siano tutti questi escrementi?" e sospirai mettendo una mano in tasca e strisciando il piede a terra, quella giornata non era la mia, e ormai era un dato di fatto. Sobbalzai sentendo un pesante respiro dietro di me, lentamente mi voltai e quel che vidi mi lasciò senza parole, ma allo stesso tempo mi aiutò a spiegare quanto accadeva. Di fronte a me stava un uomo: era alto circa due metri e mezzo, aveva un corpo umano e muscoloso ma la testa di toro!
"Il Minotauro!" gridai mentre quella bestia mi saltò addosso, rischiando di infilarmi le sue corna nel torace. Schivai appena, rotolando a terra e rialzandomi mentre lui mi osservava con i suoi grandi occhi gialli e luminosi. "Ma certo! Ora è tutto più chiaro!" pensai schivando ancora quell'essere "Ha aggredito lui Jabu!". Retreggiai vedendo che aveva preso il tavolo, poi lo fece strisciare contro di me, che ero con le spalle al muro. Saltai sul tavolo con le ginocchia leggermente piegate appena quello sbattè al muro, poi saltai addosso alla bestia e gli atterrai sulle spalle, conducendolo contro il muro mentre quello si dimenava. Le corna si infilarono nel muro e io saltai giù, ma il Minotauro continò a scrutarmi e si staccò dal muro perdendo un corno, provai a correre ma mi raggiunse e mi si parò davanti, mi prese e mi lanciò contro la porta di un altro magazzino, la sfondai e caddi a terra, sbattendo la testa e da lì colò un rivolo di sangue. Il Minotauro mi si avvicinò e mi prese per un polso, sollevandomi da terra, poi mi lanciò contro un altro magazzino di cui sfondai il muro atterrando sul tavolo, mi vidi arrivare addosso il tavolo da bigliardino e ruscii appena ad evitarlo, rotolando verso sinistra. Mi alzai barcollando mentre vidi qella bestia arrivarmi addosso,saltai e atterrai con un piede sulla sua testa, poi saltai ancora e gli tirai un calcio sul costato, facendolo barcollare verso sinistra. Fissò i suoi occhi luminosi su di me e mi venne addosso, ancora una volta, rischiando di prendermi il corno rimasto in testa. Mi buttai a terra all'ultimo secondo a sinistra mentre il mostro finì a sbattere il muso su una lastra di metallo. Indietreggiò tendosi la faccia, dal cui enorme naso colava molto sangue, ma da allora i suoi occhi gialli brillarono di una furia cieca, mi alzai e retreggiai mentre quello respirava ancora più affannosamente, poi presi un tubo di metallo da terra e mentre quello mi veniva addosso glielo tirai sul collo robusto, ma non funzionò, servì solo  a fargli girare la testa, mi spinse e finii fuori, facendo strisciare il tubo a terra mi fermai e riuscii appena a vederlo mentre mi veniva addosso con la sua velocità mostruosa. Mi afferrò dal collo e mi alzò da terra, sembrò indugiare ma mi lanciò subito contro l'ultimo magazzino. Fu un attimo: mi caddero le travi addosso e riuscii appena ad aprire gli occhi, poi lo sentii avvicinarsi. Rimasi immobile, fingendomi morto, e funzionò. Si allontanò e uscì dal magazzino. Mi alzai  e spostai le travi facendo meno rumore possibile, poi guardai in mezzo alle travi, in mezzo ad esse trovai un pugnale. Lo afferrai e lo guardai attentamente, era grande e affilato. Avevo bisogno della mia amratura, ma lo scrigno era vicino alla valigia, quel pugnale era la mia unica possibilità. Uscii di soppiatto e lo vidi voltarsi e guardarmi, poi fu tutto come in un sogno, uno di quelli che iniziano come degli incubi per poi diventare sogni meravigliosi, soddisfacenti. Corsi ignorando il lancinante dolore al petto e mentre quella bestia mi veniva incontro saltai e lo calciai con entrambi i piedi sul petto, il mio cosmo si concentrò sulle mie gambe dando loro maggior forza e rendendo il calcio più potente, il Minotauro venne sbalzato via e finì contro un muro, che si crepò. Velocemente mi avvicinai alla valigia e feci sparire l'aura cosmica e aprii lo scrigno dell'armatura di Andromeda, subito il totem uscì da esso e indossai la mia armatura, non era in condizioni ottimali a causa dell'ultima battaglia, ma almeno avevo le mie fedeli catene. Il Minotauro si alzò e come una furia mi venne incontro, saltai e appena lui fece per prendermi gli spinsi il mento all'indietro e infilai il pugnale nella sua gola, quello indietreggiò tenendosi il collo.
"Catena di Andromeda!" urlai mentre lui mi correva ancora incontro, bloccandolo, ma quello riscì comunque a tirare un pugno al suolo, che tremò e si ruppe, esplodendo sotto i miei piedi, facedomi saltare in aria e cadere a faccia in giù, ma di riflesso la catena mandò delle scariche elettriche ad altissima tensione verso il mio avversario, che emise muggiti altissimi e stridenti per il dolore, cadendo poi a terra. "Non posso arrendermi, devo farlo per Jabu!" urlai dentro la mia testa e mi alzai più forte di prima. 
Ripresi il pugnale dalla sua gola e tagliai l'altro corno, che a onor del vero, stava ormai venendo via da solo. Ruppi il pugnale ma il Minotauro rimase a terra ancora un po' prima di alzarsi. Nel suo pugno si concentrò una strana sfera gialla, alzò il braccio verso il cielo e lo sbattè a terra, ma io saltai appena lo fece e quel colpo gli fu fatale, con il corno gli perforai il petto e calciando su di esso lo spinsi ancora più all'interno di esso. La bestia retreggiò e cadde rovinosamente al suolo, poi lo sentii muggire in modo stridulo, tossire del sangue e poi sparire mutandosi in una strana cenere d'argento. 
Avevo il respiro pesante, mi tenni la testa e caddi in ginocchio, poi a terra e persi i sensi. 
Mi svegliai che era il tramonto, ero stralunato, la testa mi girava e avevo una pesante nausa, provai a mettermi in piedi ma come lo feci sentii l'impellente bisogno di vomitare e corsi vicino al mare per vomitare: lo feci e reggendomi a un palo di legno, rischiai anche di perdere l'equilibrio e cadere ma la dea Fortuna mi assistì e non lo feci. Mi guardai attorno mentre pulivo la bocca con un fazzoletto: nel cielo l'arancione e il blu creavano preziose decorazioni nella volta celeste, verso ovest una luminosa sfera rossiccia sembrava nascondersi nel mare che aveva assunto un colore a metà tra l'azzurro e il viola ed era increspato dalle onde, spostando lo sguardo si vedeva una Nuova Luxor illuminata dalle prime luci artificiali. Ricordo chele mie labbra si incresparono in un sorriso amaro, perché avevo avuto la conferma che qualcosa non stesse procedendo per il verso giusto. La Terra era di nuovo in pericolo. 


ANGOLO AUTRICE: Rigrazio Marlena_Libby per il suo aiuto, la sua pazienza e la suaguida per aiutarmi nel mondo di Efp. Probabilmente senza la sua guida e i suoi insegnamenti questa storia non sarebbe mai venuta alla luce e non avrei mai cominciato a scrivere su Efp. Mi scuso in anticipo per il capitolo corto, ma è solo l'inizio, diciamo che è il prologo, i prossimi capitoli saranno certamente più lunghi. Mi scuso ancora. Siccome sono nuova e quindi la mia esperienza è praticamente nulla nell'ambito della scrittura su Efp non credo di stupirm in caso mi arrivino delle critiche, che sono comunque ben accette, ma ringrazio a prescindere chiunque decida di recensire. Cercherò di far uscire il prossimo capitolo domani stesso se non più tardi. Grazie se avete letto fin qui e vi saluto calorosamente! Ciao!!

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Capitolo 2
*** Divinus Siderus, l'arma di Athena ***


Mentre camminavo per strada le mie sicurezze erano crollate: forse quanto stava accadendo non poteva essere gestito da noi. Santo cielo, era il Minotauro! Ero sopravvissuto appena e sapevo che quell'incontro, quel maledetto incontro, era solo la dichiarazione di una nuova e sanguinosa guerra che avrebbe coinvolto l'intero universo! Decisi di abbandonare tali pensieri nel vano tentativo di restare lucido ma era semplicemente impossibile, ero agitato, fremevo, chiamavo i miei compagni ma riagganciavo dopo uno squillo siccome per quanto ne sapevo potevano anche essere già arrivati oppure Lady Saori era in pericolo! 
Feci un respiro profondo e cercai di calmarmi, invano, allora accesi una sigaretta e feci il primo tiro, appoggiandomi a un palo. Solo dopo quattro o cinque tiri ripresi a ragionare lucidamente. Calmati Shun, mi ripetevo, a Villa Kido ci sono comunque gli altri cavalieri e comunque non hai di che temere, no? Avete affrontato situazioni simili innumerevoli volte. Se l'adrenalina calava leggermente la mia agitazione non accennava a diminuire, sentivo l'ormai familiare sapore del tabacco invadermi la bocca, ne sentivo il sapore, l'odore, tanto rassicurante ma sapevo anche tanto pericoloso per me e chi subiva il mio fumo passivo. "Nostro padre era un gran fumatore", diceva sempre Ikki-Niisan, "consumava interi pacchetti in un giorno solo. Ricordo ancora l'odore delle sue sigarette, era un odore molto pesante e si attaccava spesso ai vestiti"; ebbene so da chi ho preso, dicevo sempre ogni volta che appoggiavo una sigaretta sulle labbra, come se fosse una magra giustificazione per il male che facevo ai miei polmoni. 
Mi guardavo intorno, c'era ci mi guardava con compassione o con  giudizio, che quelli se a bocca riesce a reprimerli gli occhi no. Non me ne curavo, anche per abitudine, ormai erano due anni buoni che spendevo quei cinquecento yen per comprare la solita marca. Pessima, ma economica, il risparmio mi spingeva a comprarla. Non sapevo come avrebbe reagito mio fratello alla notizia del mio vizio per il fumo, nel dubbio non glielo dissi mai. Sapevo che era sbagliato ma in quel momento non era importante, dovevo ragionare lucidamente!
"Chi può essere?" mi chiedevo battendo nervosamente un piede a Terra, arrabbiato, triste, preoccupato, convincendomi poi che fosse il caso di arrivare alla fermata degli autobus per andare a Villa Kido. Mi chiedevo dove fossero gli altri, ma stando al messaggio di Hyoga il prossimo che avrei visto sarebbe stato lui. "Ma dove diavolo siete?" urlai furente facendo sobbalzare ua signora anziana seduta accanto a me alla fermata degli autobus. La guardai un attimo e sospirai, poi buttai a terra la sigaretta e la schiacciai con la scarpa, che era ancora sporca. "Non dovresti fumare" disse la signora accanto a me "anche se hai una giornata no, a lungo andare per il fumo poresti essere più di là che di qua". La guardai, era una signora bassina, sulla settantina, con i capelli grigi e corti, aveva occhi blu come zaffiri e nonostante la vecchiaia la pelle risultava curata , aveva degli occhiali rossi poggiati sul naso e con una catenella che finiva dietro il collo, un pullover azzurro, una gonna nera e scarpe nere. "Mi scusi signora, non volevo darle fastidio" borbottai, ma quella parve ignorarmi e chiese subito:"Da dove vieni?"
"Vengo da New York"
"Oh, la grande mela" sorrise lei, poi al mio sguardo interrogativo mi chiese:"Non sembri molto americano però"
"No, sono giapponese"
"Si vede giovanotto, si vede" e continuò "i tuoi genitori sanno che fumi?"
"Sono orfano" dissi io e lei si girò a gardarmi con i suoi grandi occhi blu, mi sentivo a disagio, non ne avrei mai parlato con una sconosciuta, ma quella signora mi ispirava una strana fiducia.
"Mi dispiace ragazzo, immagino sia un grande dolore per te" disse poi frugando nella borsa "si vede che sei un bravo ragazzo, ma non dovresti fumare, tutti pensano sempre male vedendo un ragazzo con una sigaretta tra le labbra. I tuoi genitori non vorrebbero vederti così".
Per me fu un colpo forte, era come se quella signora avesse parlato più volte con ragazzi...come me. Mi fece provare uno strano dolore al petto, fece male, tanto che non so se un colpo ricevuto durante le nostre numerose battaglie potesse egualiare quel dolore. Avrei voluto tagliare corto ma quei grandi occhi blu me lo impedirono, anche senza guardarli mi sembrava che potessero leggermi dentro...che mi stava succedendo? Poteva forse essere il ricordo dei miei genitori?
La donna mi poggiò una mano sulla spalla, spingendomi a guardarla, poi mi rivolse un dolce sorriso e mi disse dolcemente: "Sei giovane, non buttare via la tua vita". Arrivò un autobus, ma non era il mio, la donna si alzò e mi diede una caramella incartata in una carta rossa e mi disse sorridendo ma con un leggero tono di rimprovero:"Così potrai toglerti quell'odore di tabacco dalla bocca", poi salì sull'autobus - era la linea tre - e sparì tra i suoi passeggeri. Mi appoggiai allo schienale della panchina e scartai la caramella, era oramai fatta notte e solo la luce di un lampione illuminava la via, ero immerso nel verde degli alberi. Buttai la caramella in bocca e aspettai l'autobus, perdendomi nella danza del vento e in quell'odore di bosco che portava con sè. Era l'ambiente ideale per la scena di qualche film horror da intitolare magari "Il lampione" o qualcosa di simile, ma ero stranamente rilassato, quasi mi dimenticai del motivo per cui ero lì, deciso a perdermi nel meraviglioso spettacolo che poteva dare la natura in quell'ora tarda, nel canto delle cicale, della luce dei ciottoli bianchi del sentiero illuminati da quel volgare lampione che li rendeva solo più bianchi e lucenti di quanto già non fossero. Avrei voluto solo stendermi in mezzo agli alberi e godermi quella notte stellata, sognare cullato dal concerto fornito dalla pineta, dal vento gentile che mi acarezzava il viso concedendomi una tanto sospirata frescura dopo quella giornata così calda. Non era possibile però, dovevo correre a Villa Kido per adempiere al mio dovere di cavaliere, dovevo proteggere Lady Saori e gli abitanti della Terra insieme ai miei compagni, ma dov'erano in quel moemento? 
Una lacrima solitaria mi rigò il viso mentre mi perdevo in quel canto. Cinque minuti, volevo solo cinque minuti di pace!
Vidi in lontananza l'autobus e sospirando presi le mie cose, mi alzai e mi diressi verso il controllore, comprai il biglietto e mi sedetti nel primo posto disponibile, anche se avevo una libera scelta siccome era abbastanza tardi e quasi nessuno prendeva l'autobus a quell'ora. Ero stanco ma a muovermi avevo ancora la passione che mi rendeva cavaliere, Jabu non ha rivelato ai media cosa fosse successo e chi fosse il suo aggressore ma Milady sicuramente lo saprà, almeno a lei lo avrà raccontato, era il Minotauro e qualcosa sicuramente c'era sotto! La mia fermata distava un solo isolato da Villa Kido, quando l'autobus si fermò ringraziai, augurai buonaserata e scesi giù  con tutte le mie cose, poi l'autobus ripartì  mentre io mi guardavo intorno, finché non decisi di incamminarmi. Quando arrivai a Villa Kido venni preso da un moto di nostalgia, ricordando il mio ritorno dall'Isola di Andromeda, mi avvicinai al cancello e suonai. La voce di Tatsumi, stridente e, oserei dire, senile mi accolse chiedendo chi fosse. "Tatsumi apri, sono io", a quella frase seguì un attimo di silenzio, poi un ronzìo mi fece capire che il cancello era aperto. Spinsi il cancello ed entrai nel giardino, camminando sulle mattonelle biancastre in mezzo alle varie sculture, aiuole, fontane...era come fare un salto indietro nel tempo. Il pesante portone in legno mi venne aperto, non ebbi nemmeno il tempo di salutare che una voce familiare asserì: "E' arrivato l'americano!". Hyoga mi fece sorridere, da quando mi ero trasferito a New York mi chiamava in quella maniera. Lady Saori corse giù per le scale, la vestaglia verde sopra la lunga camicia da notte bianca si muoveva secondo i suoi movimenti, i suoi grandi occhi blu brillarono e mi salutò: "Shun, grazie al cielo, temevo fosse successo qualcosa! Perché non ci hai avvertiti del tuo ritardo?". Sospirai e dissi: "Mia signora, a dire la verità qualcosa è successo" e mi tolsi la giacca, mostrando  i numerosi ematomi e tagli sulle braccia. Non mostrai quelli sulle gambe siccome mi parvero già abbastanza preoccupati, Hyoga mi afferrò un braccio e lo controllò meticolosamente mentre Lady Saori era sul punto di svenire. Povera donna, forse avrei dovuto usare maggiore delicatezza. "Ma che diamine hai fatto?" mi chiese il mio migliore amico, poi Lady Saori parve riprendersi e i chiese:"Con chi ti sei scontrato, cavaliere?" 
"Probabilmente con l'aggressore di Jabu"
"Non dirmi che..."
"Milady, credo che sia ovvio che ad incontrare Jabu sia stato il Minotauro, aveva gli stessi occhi gialli descritti nell'articolo di giornale, inoltre l'ho incontrato vicino al porto"
"Si, Jabu ci a detto che era stato proprio il Minotauro ad aggredirlo"
"Ora dov'è?"
"In camera sua, ma gli porrai domani le tue domande, ora dobbiamo parlare noi, ho un terribile sospetto miei guerrieri" disse, e si portò le mani al petto.
Per quanto mi stessi tormentando non riuscii a interrompere il suo silenzio, simile a quello di chi prega. Hyoga mi poggiò una mano sulla spalla e mi rivolse uno sguardo complice, sorridendomi leggermente. "Stai tranquillo" dicevano i suoi occhi blu e profondi come un lago ghiacciato, mentre ci avviavamo verso lo studio di Milady. 
Arrivati, ci fece sedere con un cenno della mano e Tatsumi si mise in piedi accnto a lei. 
"Ora puoi pormi tutte le tue domande Shun, ti ascolto" disse rivolgendosi a me, che non me lo feci ripetere due volte.
"Milady, trovo molto strano che il Minotauro si trovi qui, non era stato forse sconfitto da Perseo? Perché è tornato? Come ha fatto e chi gli ha dato vita nuova? Hades è stato sconfitto, chi potrebbe essere?"
Lady Saori ascoltò pazientemente tutte le mie domande, poi mi rispose: "Credo che non solo Hades potesse riportare in vita chi ha lasciato questo mondo"
"A chi vi riferite Milady?" chiese poi Hyoga, sporgendosi leggermente col busto i avanti come qando è davvero interessato all'argomento della discussione.
"Esiste chi può rompere ogni regola pestabilita, spegnere le stelle e rendere il cielo un'infinita volta luminosa, sto parlando di Chaos".
Io e Hyoga ci guardammo, poi la guardammo ancora, Lady Saori si spostò una ciocca di capelli dietro la spalla e sospirò, guardò per un secondo il ritratto di suo nonno e mosse le labbra come in una preghiera silenziosa. Seguì un altro momento di silenzio, poi ripresi: "Milady, affinchè con i nostri giuramenti potremo confortarvi, diteci di più su di lui".
Lady Saori sospirò, poi posò i suoi grandi occhi su di noi, parlando così: "Esiodo disse che Chaos fu il primo tra tutti, il nostro concetto di caos è diverso da quello dell'epoca del mito, in quanto loro indicavano il vuoto"
"Quindi sarebbe più giusto dire che Chaos è il vuoto?" chiese Hyoga, incuriosito, mentre Tatsumi prendeva un grosso libro dalle pagine ingiallite.
"Esatto, è una delle divinità primarie, il vuoto primordiale, colui che ingoiava tutto come un abisso senza fine, dove non esistono luce o tenebre, solo un enorme vuoto, il nulla cosmico."
"Senza tenebre o luce?" 
"Senza tenebre o luce" mi fece eco Lady Saori "è l'angelo della morte sotto le cui ali regna il caos".
Abbassai lo sguardo, poi lo rialzai "Dite che sia stato lui a far tornare il Minotauro?"
"Non è da escludere, ti dico solo che invece di creature della mitologia greca si circonda di creature provenienti soprattutto dal folklore europeo, è Chaos e il suo disordine lo mostra anche nella sua vita"
"Va bene Milady, dovremo partire per fermarlo no? Quando partiremo?" chiese Hyoga stringendo un pugno.
"Aspetta Hyoga" disse Milay agittando la mano verso di lui facendogli segno di calmarsi, poi aprì il libro e lo sfogliò, trovò la pagina scelta ed esordì: "Prima di ogni cosa, prima della battaglia, dovremo trovare questa" e indicò un paragrafo porgendoci il libro. 
"Sin dall'epoca del Mito il padre degli dèi,il grande Zeus, si premurò di impedire che la pace fosse turbata da ogni evento o guerra, ma per farlo affidò alla dea Athena, sua figlia prediletta, un'arma in grado di generare l'implosione dell'universo se usata male, ma che nelle mani della dea figlia di Zeus porterebbe pace negli animi e protezione alla Terra da lei tanto amata. La sua potenza si manifesta sommando tra di loro la potenza di tutti gli Olimpi, e respingendo chiunque la dea ritenga necessario respingere. Il Divinus Siderus, al giorno d'oggi detto Divine Star, donerebbe enormi poteri alla dea, purchè sia nel giusto. Tale oggetto si può recuperare inserendo i sette rubini nei sette pilastri presenti nella Foresta di Chaos e dalla loro unione sull'ottavo pilastro, grazie ad un fulmine, si formerà la tanto sospirata arma della dea, ma i rubini dovranno essere inseriti entro le ventiquattro ore dal primo oppure la Terra crollerà".
Lessi la descrizione ad alta voce mentre la nostra dea ci osservava annuendo di tanto in tanto.
"Dobbiamo trovare questa Foresta del Chaos e la Divine Star, saremo finiti altrimenti" affermai poggiando un braccio sul tavolo, mentre Hyoga annuiva convinto. "Miei giovani guerrieri" ci chiamò Lady Saori "aspetteremo Seiya e Dragone, prima di allora non ci moveremo, ma una cosa è certa: la Terra sarà salva, ancora una volta, Chaos non riuscirà a fermare i vostri giovani e palpitanti cuori di guerrieri".
Annuimmo, io ero un po' meno convinto, il Divinus Siderus era un'arma da disruzione di massa stando a quel che diceva il libro, e sapevo per esperienza che ci sarebbero stati dei periti, era un presentimento tanto forte quanto doloroso. Ci congedammo da Milady e uscimmo dal suo studio, io presi le mie cose mentre Hyoga mi scurtava: "So quello che stai pensando" disse dietro di me appena salii le scale, lo osservai tenendo una mano sulla spallina dello zaino, poi fece un passo in avanti dicendo: "Ci saranno dei periti, potranno essere nemici, potremo essere noi, ma dobbiamo lottare, lo dobbiamo fare per la dea Athena, senza perdere la speranza. Sono sempre state così le nostre batteglie".
"Hai ragione, questa battaglia sarà come l'ultima...la precedente...e quella prima ancora..." mormorai voltandogli le spalle e avviandomi verso camera mia.


ANGOLO AUTRICE: Sono ancora io! Ho pubblicato due capitoli in un giorno perché non è sicuro che domani riesca a postare, quindi mi sono portata avanti col lavoro. Chiedo venia a chiunque possa sembrare breve il capitolo e vi chiedo di recensire così da sapere in caso dovessi migliorare qualcosa o in caso la storia vi sia piaciuta almeno fino ad ora, io comunque ci metto sempre il massimo impegno!
Ciao a tutti!!


 

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Capitolo 3
*** Non ha nome, non ha età ***


Il giorno dopo quella conversazione mi svegliai che erano le dieci, ero davvero sfinito. Mi guardai intorno e la camera non era cambiata minimamente: il letto era sottile come allora, le mura erano color rosa pallido, mentre il pavimento aveva una moquette marrone e scolorita; al lato della porta in legno stava un armadio ancora vuoto siccome la sera prima non avevo disfatto le valige. La scrivania era vuota e la sedia scricchiolava come quando l'avevo lasciata quattro anni prima. Mi misi una tuta e mi pettinai i capelli, poi indossai le scarpe da ginnastica e andai nel cortile per fare una corsa intorno alla villa. Quel giardino, per quanto fosse degno di un re, non era mai stato per me una fonte di piacere, quel posto fu per me l'inferno durante la mia infanzia, mi chiedevo ancora dove fossero i miei genitori, perché non erano morti, no. Mio fratello diceva sempre che erano morti ma è impossibile. Il nostro cognome è molto raro a Nuova Luxor e andando al cimitero ci sono solo persone anziane con quel cognome. Mio fratello è ancora convinto che io pensi che siano morti, ma ho sempre preferito lasciarglielo credere. "Scoprirò la verità, Ikki" mi ripetevo sempre, ma del resto non tutto il male viene per nuocere, "se sopravviverò andrò a fondo di questa faccenda". Ero a Nova Luxor in fondo, il luogo della mia nascita e della morte dei miei genitori, e dopo quella faccenda avrei avuto l'occasione per scoprire qualcosa. Mentre ero in preda a quei pensieri notai una figura sulla panchina vicino alla villa. Era una figura incappucciata e questo non mi piacque affatto. "Ho trovato la villa" disse poi la figura, aveva una voce femminile e alquanto soave, se fosse stata una figura mitologica sarebbe stata una sirena. Vidi che tirava fuori dalla tasca qualcosa di strano...un sacchetto contenente una strana polverina verde. Ne prese un mucchietto e ne sentì l'odore, ma ancora non riuscivo a scorgerne il volto. Senza pensarci due volte saltai fuori e con un balzo fui davanti alla persona la cui identità mi era ignota. La suddetta persona rimase sorpresa nel vedermi, senza troppe cerimonie tirai un diretto sul suo viso facendo cadere il suo corpo, poi girai questa persona e le tolsi il mantello per poi rendermi conto che davanti non avevo una signorina ma un uomo!
Non mi ero affatto sbagliato, la sua voce era femminile e soave, ma lui era un energumeno di almeno un metro e ottanta, robusto e con lunghi capelli nei legati in una coda, il viso era duro e aveva gli occhi piccoli e neri, la pelle era olivastra e in alcuni punti pareva si fosse scottato. Indossava una giacca di pelle e dei pantaloni dello stesso colore. "Che diamine vuoi marmocchio?" disse cercando di prendermi, con successo. Mi sollevò dai capelli e mi tolse dalla strada. Finii dietro una siepe mentre lui si avviava al portone. Non mi importava che stesse avanzando, io avevo quel sacchetto e quell'imbecille non se n'era nemmeno accorto! Corsi sul retro, dovevo avvisare Lady Saori e portarla via, sapevo che voleva lei. A conferma di ciò si mise a battere i pugni sul portone urlando "Athena, apri! Inchinati al volere di Chaos, io, suo emissario, sono qui per portarti a lui affinché tu esegua la sua volontà!".
Ci avrei scommesso la vita, solo Chaos poteva creare certi abomini! Un uomo con la voce di una donna, sembrava l'esperimento fallito di uno scenziato e probabilmente lo era. Di colpo quel bestione smise di battere i pugni sul portone e inveì: "Piccolo bastardo!".
Lo sentii corrermi dietro ed era estremamente veloce, stava per raggiungermi ma cominciai ad arrampicarmi sulle rampicanti, cercai di raggiungere almeno la finestra al primo piano ma anche quella bestia comincò ad arrampicasi. Il rampicante, per quanto robusto fosse, non resse il peso di entrambi e cedette. Lui cadde a terra rovinando una siepe mentre io riuscii appena ad afferrare una gargoille appesa al muro e a tenermi a quella. Lui corse verso la porta sul retro con l'evidente intento di sfondarla, capii di dover saltare per arrivare alla finestra più vicina, salii sulla gargoille che si crepò sotto il mio peso, imprecai e saltai afferrando il davanzale della finestra, poi mi issai ma quella maledetta era chiusa!
Abbassai lo sguardo e la porta era stata buttata giù!
Sgranai gli occhi e distrussi la finestra con un pugno, mi feci numerosi tagli alla mano ma ora il più grande problema era Lady Saori, dovevo trovarla, pregavo dentro di me che Hyoga fosse con lei e d'un colpo sentii dei rumori indistinti al piano terra. Corsi in fondo al corridoio, sentivo le urla di Lady Saori e di Tatsumi mentre la temperatura scendeva gradualmente, Hyoga stava combattendo con ogni probabilità. Mi lasciai scivolare lungo la ringhiera e continuai a seguire le voci, che mi conducevano in salotto. "Shun!" mi chiamò il mio amico "Questo pazzo-"
"So già tutto" lo interruppi legandomi il sacchetto in vita sotto gli occhi di quello strano tipo, che si inferocì e mi venne contro. 
"Hyoga, ho un piano"
"Ho già capito cosa vuoi fare" mi disse lui.
Caricai il mio cosmo e sulle mie braccia si formarono due catene fatte interamente di cosmo.
Il bestione si soffermò e ci guardammo tutti e tre, aspettando una mossa falsa degli uni e degli altri. Un rivolo di sudore mi colò dalla fronte, quello scherzo della natura sembrava deciso a farci a pezzi.
Tatsumi si mise a difesa della sua signora con la sua inseparabile spada di bambù "Non ti muovere!" inveiva con sicurezza assai scarsa, e anche quella scemò quando il nostro ospite indesiderato gli rivolse uno sguardo, facendolo tremare e nascondersi con la signora dietro il divano.
Feci roteare gli occhi, poi Hyoga si decise a fare la prima mossa, la Polvere di Diamanti colpì l'uomo (se così lo si può definire) facendolo retreggiare e in quel momento, avendolo distratto, io riuscii a bloccarlo con la catena e a immobilizzarlo. "Muoviti Hyoga!" gli intimai, mentre lui cominciò a fare i suoi soliti movimenti per caricare l'Aurora del Nord, poi la lanciò verso il nostro avversario, che inizialmente fece resistenza ma finì contro il muro e nell'urto colpì anche me, che caddi a terra. Hyoga venne da me aitandomi ad alzarmi, lo rigraziai e poi ci rivolgemmo all'uomo, che ormai era prossimo al congelamento. Prima della sua dipartita volevo porgli alcune domande.
"Chi ti manda?" gli chiesi "Ormai non hai nulla da perdere, rispondi alle nostre domande".
L'uomo sputò un dente, poi ci guardò. Quanta pena provai per quella povera anima! Scossi la testa portandomi il pugno al petto, poi abbandonai quel tono da duro e mi inginocchiai accanto a lui, mormorando: "Ti daremo una degna sepoltura, ma devi rispondere alle nostre domande...ti prego...".
L'uomo sorrise e cominciò a parlare: "Io ero un taglialegna che viveva in Polonia, avevo una moglie, una bellissima figlia, era tutto perfetto. Un giorno decisi di percorrere una strada diversa e mi trovai davanti a un bosco meraviglioso. Non vi racconterò oltre, solo vi dico che non feci in tempo a cogliere una rosa per la mia bellissima Viola che scatenai le ire del padrone di quel posto".
Io e Hyoga ci scambiammo uno sguardo, poi lui annuì esortando l'uomo a continuare nel suo racconto. "Mi si presentò come Chaos e mi impose una scelta: tornare a casa e non ritrovare mia moglie e mia figlia o restare da lui e sparire per sempre dalla circolazione. Ovviamente scelsi la seconda e non tornai più a casa, per assicurarsi che, anche scappando, avrei avuto una vita infelice, mi diede la voce di una donna e ora sono destinato a vivere in eterno con questa voce e ad ubbidire a Chaos. Prego solo che, una volta morto, potrò riposare in paradiso lontano da questo dolore".
Non riuscii a resistere e gli acarezzai i capelli per almeno provare a confortarlo, lui sorrise e continuò: "Chaos è deciso a distruggere l'universo in modo da ristabilire le regole e diventare il sovrano di un nuovo universo, dovete fermarlo, non è da solo" 
"Chi c'è con lui?" chiese Hyoga inginocchiandosi anche a lui, nel frattempo Lady Saori si era avvicinata.
"Con lui c'è un mostro che dalla nascita della vita si trova agli estremi dell'universo, lui si nutre dei corpi celesti, è come un gigantesco buco nero. Attira i corpi celesti a sè alla velocità di 0.2 Km\h, per poi ingerirli. Non ha nome, non ha età, esiste, e Chaos vuole usarlo per distruggere l'universo. Sta alimentando la sua forza gradualmente e poi-" si fermò e tossì, poi divenne livido.
"E poi?" chiesi comprendendo che quelle sarebbero state le sue ultime parole, lui mi rispose "Distruggerà tutto, a meno che voi non lo fermiate".
Mise una mano sul sacchetto che avevo legato in vita e disse: "Conservatelo, vi servirà", poi chiuse gli occhi e la testa cadde all'indietro, poi spirò. 
Hyoga abbassò lo sguardo, poi mi mise una mano sulla spalla, come a pregarlo di seguirlo. Guardai Tatsumi e mi alzai, seguendo Hyoga, dovevamo aspettare Seiya per la mossa decisiva.

NOTE AUTRICE: Sono riuscita a pubblicare questo, poi sparisco davvero, promesso XD.
Come al solito mi scuso se il capitolo può sembrare breve, se avete qualcosa da correggermi scrivetemelo nelle recensioni oppure se vi è piaciuto quanto scritto ditemelo così da rendermi felice :3
Ciao ciao!!

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Capitolo 4
*** "Occhi belli" ***


Era la sera del 13 giugno, io e Hyoga eravamo sul terrazzo e guardavamo la volta celeste immersa nel buio della notte. Il piacevole vento estivo ci accarezzava il volto mentre gli occhi si perdevano a guardare l'ondeggiare dei rami degli alberi o il brillare delle stelle. Respirai a fondo, ma appena Hyoga mi toccò la spalla la maschera da duro cadde e cominciai a lacrimare, nel silenzio della notte, perché anche nel mio dolore avevo rispetto di quel tacere. 
"Shun..." cercò di chiamarmi Hyoga, ma io non gli risposi, mi asciugai le lacrime e lo guardai, la mia voce era ancora rotta dal pianto, mi rivolsi a lui dicendogli queste parole: "Di questo non ne fare parola con nessuno", mi resi conto solo dopo, guardando l'espressione di Hyoga, di aver usato un tono più duro di quanto volessi. Scossi la testa e continuai a guardare il cielo, poi presi il mio cellulare sotto gli occhi vigili del pennuto e cercai  il contatto di mio fratello. Scrissi nel messaggio: "Ikki, devi venire qui il prima possibile. L'universo è in pericolo, Chaos lo sta attaccando. In caso tu non ci trovi sappi che probablmente saremo alla Foresta di Chaos, si trova in Polonia. Raggiungici presto, ti prego" e pensai di inviare, poi corressi: "non farci attendere come tuo solito". Solo dopo aver corretto inviai. "Tuo fratello quando diceva di essere più forte non intendeva  scorbutico" mi si rivolse poi Hyoga, di cui mi ero scordato la presenza. "Fatti gli affari tuoi" gli sibilai, non era una maschera, ero davvero frustrato e arrabbiato, avevo voglia di una sigaretta ma per paura che a Hyoga potesse dar fastidio mi astenni, inoltre temevo che siccome lo vedevo particolarmente simile a mio fratello in quel momento temevo potesse spifferargli il fattaccio. Ora capisco cosa provano le ragazze che nascondono le gravidanze, pensai, poi guardai Hyoga e gli dissi, con fare sprezzante: "Vado a fare un giro" e saltai sul tetto più vicino, correndo via. Il fine era quello di allontanarlo ma il pennuto più famoso dello zodiaco evidentemente non aveva recepito il mio messaggio. "Mi seguirai finché non ti stancherai e tornerai in Russia?" 
"Probabilmente".
Lo fulminai con lo sguardo e cercai di seminarlo. "Maledizione è tanto chiedere di stare da soli?", mi chiedevo mentre Hyoga mi osservava, continuando a correre in mezzo ai tetti. Sembrava che facesse apposta a restarmi dietro qualche metro, proprio per seguirmi, non troppo vicino da ostacolare la mia corsa ma nemmeno troppo troppo lontano da perdermi di vista. Tutto ciò mi infastidiva e rendeva felice al tempo stesso, non mi spiegavo come. Mi fermai di colpo, lui non se ne accorse e inciampò, cadendo in un cassonetto dell'immondizia. Tutto come calcolato dieci secondi prima. Saltai giù e gli passai vicino, "Idiota", gli rivolsi, allontanandomi, ma non ricevetti nessuna protesta in risposta, e me ne diaspiacque. Le luci della città si susseguivano davanti ai miei occhi una dopo l'altra, guardavo le macchine, come i loro guidatori non si rendessero conto di essere osservati e così i passanti, tutti impegnati, tutti al telefono, o a parlare, o a flirtare. Ammetto che fu imbarazzante assistere alla sfacciataggine di un ragazzo mentre provava a fare lo spaccone con una ragazza. Sospirai guardando verso un'insegna luminosa. Era un pub. Portai lo sguardo sulla porta del pub, poi ne vidi uscire un uomo. Era strano, aveva dei lunghi capelli azzurri legati in una coda bassa da un nastro rosso, aveva gli occhiali e gli occhi rossi con delle particolari sfumature arancioni, mentre la sua pupilla era stranamente simile a quella dei gatti. Era vestito con un completo bianco elegante. Mi sorrise e mi voltò le spalle, poi si incamminò. Sobbalzai quando mi sentii afferrare da un braccio e tirare indietro, il sobbalzo divenne uno sbuffo quando sentii la voce di Hyoga sussurrare alterato "Fai ancora una cosa del genere e ti farò fare una fine peggiore di quella di Hades".
"Mollami" dissi spingendolo via per liberarmi il braccio, lo sentii brontolare ma non gli diedi peso, poi seguii quell'uomo con lo strano. Che sia l'ultima cosa che farò, mi dissi, ma devo scoprire il perché di quegli occhi, e mi avviai, ma Hyoga mi afferrò dal cappuccio della felpa e mi sollevò da terra. "Mettimi giù brutto scemo!" dissi dimenandomi mentre quel russo da quattro soldi se la rideva sotto i baffi, poi tornò serio. "So già che vuoi fare. Sei pieno di lividi e occhi belli potrebbe benissimo essere una trappola. Fai meno l'idiota e cammina fino alla villa, oppure se ci tieni tanto a fare questa passeggiata, che è più simile ad un acchiapparello che altro, andiamo al parco. Siccome sono buono posso offrirti un gelato". Dopo aver detto tutto ciò mi mise giù e si guardò intorno, poi esordì con "Allora, ti ricordi dov'é il parco?". Non so cosa successe quando non gli arrivò risposta, molto probabilmente imprecò, ma io ero appresso a "occhi belli". Lo seguii arrivando sino a una pineta. Mentre ci allontanavamo dall'ambiente illuminato della città la mia inquietudine cresceva sempre di più, la pineta era quasi completamente buia, poi superato un certo tratto solo la luce delle stelle illuminava, se così si può dire, quel posto, ma la verità è che quel posto era buio e il leggero vento, unito agli spifferi, peggiorava solo la situazione. Sentivo le cicale,  non erano piacevoli come poche ore prima,  ora il loro canto pareva intonare un requiem dedicato a me. Volevo tornare indietro ma quando retreggiai mi resi conto che dietro di me c'era un muro fatto d'alberi. "Ma dove sono finito?" mi chiesi, poi un sussurro mi fece raggelare: "La curiosità uccise il gatto". Mi voltai di scatto, non vidi nessuno ma sentii qualcosa simile a un mantello toccarmi la gamba, mi guardai intorno, poi in lontananza vidi due luci: rosse, con delle sfumature arancioni. Toccai ancora il muro d'alberi e lo sentii sbriciolarsi sotto la mia mano, poi venni spinto via da un altro ramo di un albero, poi da una radice che però era...estremamente lunga ed elastica! Era lunga almeno tre metri ed elastica come una frusta, ricordo ancora il dolore, caddi e sbattei la testa. Fu uno schiaffo a svegliarmi, Hyoga era sopra di me. "Te l'avevo detto razza di imbecille!"
"Ma non farmi la predica pennuto" dissi e feci per rimettermi in piedi, ma la testa mi doleva talmente tanto che dovetti sdraiarmi di nuovo. Vedevo indistintamente le luci giallastre e bianche. Mi portai una mano alla testa e guardai Hyoga "Che ore sono?" gli chiesi, lui aggrottò la fronte e disse: "Le due, siamo in una strada periferica e di conseguenza il viale è deserto, ti ho trovato qui un quarto d'ora fa privo di sensi. Te l'avevo detto disgraziato!" mi urlo e fece per tirarmi uno schiaffo, ma si fermò. Tirò un sospiro profondo e roteò gli occhi, poi mi prese in spalla. "Sono un Saint di Athena, non la tua badante",disse sbuffando mentre si incamminava.



ANGOLO AUTRICE: Heilà gente eccomi qui! Vi avevo detto che non avrei pubblicato ma alla fine riesco sempre a darvi fastidio! E' sempre un onore!
Scherzi a parte nonostante l'orario vi ho portato un altro capitolo sperando di fare cosa gradita. Vi invito a recensire qualora abbiate delle critiche da presentarmi o in caso vi sia piaciuto, del resto mi fa sempre un grandissimo piacere. Scusate ancora per chi considererà breve il capitolo e porterò il prossimo ovviamente il prima possibile. Ciao ciao!!

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Capitolo 5
*** Un grido solo ***


La mattina del giorno seguente trascorse relativamente tranquilla, nonostante tra me e Hyoga vi fosse ancora una certa tensione. Pranzammo in silenzio, nessuno sapeva che dire, era una strana sensazione, era come se fosse difficile riconoscerci dopo anni passati a combattere. Lady Saori giocherellava col cibo e ogni tanto metteva in bocca qualcosa, ma alla fine del pasto aveva mangiato solo metà della zuppa. Mi trovavo così, col viso ad osservare il soffitto, la finestra chiusa e le tende tirate. La stanza non puzzava ancora di tabacco solo per  evitare lamentele, del resto le possibiltà erano due: o morire o sopravvivere e tornare negli Stati Uniti. La penombra avvolgeva la mia camera, in balìa di un sonno leggero mi pareva di ondeggiare con le palpebre semichiuse. Un respiro più profondo degli altri e chiusi gli occhi. Quella quiete venne interrotta da una mano che bussava sulla porta, che mi fece aprire gli occhi. Voltai la testa e bussò ancora, mi alzai e andai alla porta, poi tirai un sospiro poggiando una mano in mezzo ai capelli ed aprii. Lady Saori mi aspettava sulla porta, quando mi vide sobbalzò e disse:"Sper di non averti svegliato"
"Diciamo" dissi accennando ad un sorriso, poi la feci entrare. Lei entrò nella stanza e ne notò l'oscurità, ma non disse nulla, poi si sedette sul letto, restando in silenzio. Presi una sedia e mi sedetti di fronte a lei, chidendole se ci fosse qualcosa che non andava. Lei non disse nulla, mi poggiò una mano sul braccio e semlicemente mi diede una notizia che non seppi come prendere: "June del Camaleonte è stata aggredita".
Calò il silenzio, non ebbi nessuna reazione. Certo, ero scioccato, ma quel che Milady non sapeva era che tra me e quella donna era sorto un abisso che non sarebbe mai stato riempito. Abbassai lo sguardo portandolo leggermente verso sinistra.
"Era da sola?"
"Era insieme a Leda"
"Sono sopravvissuti?"
"Lei si, Leda no"
"E' in condizioni gravi?"
"E' stata aggredita dapprima di Asher, non sapendo a chi rivolgersi siccome era sprovvista di documenti hanno aspettato che si svegliasse per poter chiamare qualcuno, si è svegliata stamattina"
"Quindi è stata aggredita prima di Asher?"
"Già, però non si sa nulla sull'aggressore, lei non ha rivelato nulla".
Tacqui un attimo, poi le chiesi se fosse ancora in ospedale e lei annuì. 
"Dovete dirmi altro?"
"Se vuoi partire per l'Isola di Nadromeda per andare a trovare la tomba di Leda puoi farlo,  farò in modo che un jet privato ti accompagni".
Ci pensai su, poi rifutai:"Non penso, per ora la missione è più importante, lo rivedrò a prescindere, che sia davanti alla sua tomba o nel Paradiso dei Cavalieri", la vidi sorridere anche se dubito avrebbe sorriso nello stesso modo se avesse saputo quanto augurassi a quel bastardo di bruciare tra le fiamme dell'Inferno. 
"Voglio andare a trovare June, magari ci rivelerà qualcosa"
"Vuoi essere accompagnato?"
"Non serve, l'ospedale non è poi così lontano".
Presi la felma e me la misi addosso, infilai una mano in tasca e le chiesi se avesse bisogno di qualcosa, ma lei negò. Uscii dalla camera insieme a lei, camminammo insieme qualche tratto, lei aveva gli occhi bassi. Mi guardai intorno, più per abitudine che per altro:davanti ai miei occhi si susseguivano i ritratti della famiglia Kido mentre il tappeto attutiva i miei passi provocando un rumore soffocato, mentre nelle mie narii si diffondeva l'odor del limone. Arrivammo sulla cima delle scale e dopo un istante di silenzio lei si allontanò. "Mia signora" la chiamai, le si fermò dandomi ancora le spalle "in caso abbiate bisogno chiamatemi". Lei si voltò, mi sorrise e annuì, poi io scesi le scale e le nostre strade si divisero. Uscito dalla villa mi guardai intorno, poi mi misi le cuffie e, accompagnato sempre da Alan Walker, mi avviai alla fermata degli autobus. Mi misi ad attendere appoggiato al cartello giallo con su scritto "Fermata", il cielo era nuvoloso e pareva stesse per piovere, i lampi erano abbastanza distanti, le strade erano deserte e non passava praticamente nessuno. Il vento soffiava tra i rami degli alberi e portava con sè l'odore della pioggia. Alzai lo sguard al cielo e mi misi le mani in tasca, poi lo riportai sulla strada, per me quel paesaggio era un'opera d'arte. La prospettiva di andare a trovare June non era delle miglior, la nostra amicizia si era chiusa in maniera alquanto brusca. Presi il mio cellulare: Ikki non aveva nemmeno letto il mio messaggio. "Al diavolo!" pensai rimettendo il mio telefono in tasca. Guardai sulla strada e l'autobus stava arrivando, le sue luci giallognole illuminavano la strada e la sua carrozzeria, vecchia e piena di graffiti, era ben visibile in lontananza. Salii, l'autobus era vuoto, solo l'autista era presente.Era un uomo grasso, disordinato, con un colorito ce non poteva certo appartenere a chi gode di buona salute, gli occhi dilatati dagli effetti di chissà quali sostanze, ma in quel momento denotavano  lucidità e un'intelligenza viva.
"Hey ragazzo" mi parlò "siediti qua vicino, dimmi dove vuoi che ti porti: non c'è nessuno in strada e a nessuno dispiacerà se un autista aiuta un ragazzino che, a dire il vero, non dovrebbe stare in giro a quest'ora". 
Quel suo fare da gigante gentile mi fece sorridere, così accettai di buon grado e mi sedetti nel posto più vicino al sedile dell'autista. 
"Dove ti porto?"
"All'ospedale"
"Va bene, si parte".
Il viaggio trascorse tranquillo, per strada non c'era un'anima, ogni tanto vedevo degli uccelli poggiarsi sul marciapiede, l'auotbus non era nelle condizioni migliori:da alcuni sedili proveniva un tanfo indescrivibile, alcuni erano rattoppati e alcuni vetri rotti. L'eistintore mancava e sul pavimento c'erano briciole di pane e patatine.
"Scusa per il disordine, in poche occasioni si sono curati di questo auutobus date le sue dimensioni"
"Non importa signore".
Tacqui sui mozziconi di sigaretta e sulle bustine che ero riuscito a intravedere nella tasca del suo giaccone.
Mi fece scendere davanti all'ospedale, che in previsione dell'imminente temporale aveva già acceso le luci nei suoi corridoi, lo vedevo dalle finestre. Salii velocemente le scale e mi fermai davanti alla porta dell'ospedale, poi entrai. Venni accolto dalla frescura e dalle luci bianche di quel posto. Mi misi le mani in tasca e mi avvicinai alla reception. La signora alla reception era una signora di circa trent'anni, era bionda con dei grandi occhi verdi e degli occhiali rossi poggiati sul naso. La donna era al telefono e stava parlando, ma dal tono pareva una conversazione alquanto superficiale, così chiesi: "Mi scusi...", lei mi osservò, sorrise e mi fece cenno di attendere alzando un dito nella mia direzione. Aspettai, ma dopo venti minuti non aveva ancora riagganciato. Feci ancora per prendere la parola ma lei agitò la mano verso di me, stavolta più spazientita rispetto a prima. Mi ero stancato, allora chiesi tutto d'un colpo:"June Smith, dove la trovo?", lei fece roteare gli occhi e mi rispose:"Al quarto piano, quinta porta sulla sinistra". Mentre facevo per andarmene la sentii:"Certo che questi giovani sono proprio impazienti". Mentre me ne andavo mormorai:"Come se lei fosse un fossile", non so se mi abbia sentito, ma la vidi sporgersi dal bancone mentre andavo via. La mia soddisfazione scemò quando mi ritrovai davanti all'ascensore. Lo chiamai e rimasi ad attendere, non sono qui per lei, pensavo, sono qui solo per scoprire qualcosa in più. Salii sull'ascensore e premetti il bottone per il quarto pianoMentre l'ascensore saliva la mia ansia cresceva, sembrava non arrivare mai. Guardavo fuori, aveva iniziato a piovere, mi rilassai, la pioggia mi aveva sempre fatto questo effetto. Quando l'ascensore si fermò persi un battito, mi ritrovai di fronte a un lungo corridoio illuminato dalle luci al led, il bianco delle luci si rifletteva sulle mattonelle del pavimento, bianche anch'esse. Vedevo passarmi accanto medici e infermieri ma non ci badavo molto, pensavo solo a quella porta verso cui mi stavo dirigendo. Arrivai alla quinta porta sulla sinistra e mi fermai, poggiai la mano sulla maniglia fredda, tirai un pesante sospiro, poi roteai la maniglia ed aprii la porta.
"Buon pomeriggio" sentii dall'interno "certo che ce ne hai messo di tempo per presentarti".
Entrai e la guardai:June aveva testa, braccia e gambe fasciate, indossava la divisa da paziente e aveva le braccia conserte, il viso corrucciato e gli occhi bassi. 
Mi sedetti accanto a lei e feci con tono duro:"Ringrazia che sia venuto, non mi hai più contattato per quattro anni"
"Io non ti avrei contattato per quattro anni?!" fece lei quasi strillando "Le lettere che ti ho mandato non sarebbero nulla per te?! Osi presentarti qui dicendo certe cose?! Vattene, cane!"
"Lettere...?" feci io "Tu mi avresti mandato delle lettere?! Dove sarebbero allora?!"
"Le ho mandate a Villa Kido e tu non mi hai mai risposto! So di aver sbagliato, ma ti ho scritto più volte per chiederti perdono! Tu non mi hai mai risposto!".
Quelle informazioni mi lasciarono esterrefatto, non potevo crederci, lei...mi aveva scritto?
"Io non ero a Villa Kido" dissi semplicemente, lei sgranò gli occhi. 
"Ascoltami, ne riparleremo dopo" dissi tagliando corto, poi ripresi "Chaos ha intenzione di conquistare il multiverso e-"
"Temi che questa volta il nemico sia troppo grande per voi?".
La guardai esterrefatto, lei sorrise con dolcezza e disse:"Lo so, mi sono trovata davanti uno dei suoi scagnozzi".
"Me lo potresti descrivere?"
"Era un ragazzo sui vent'anni, aveva lunghi capelli blu legati in una coda bassa, inoltre i suoi occhi erano particolari: sembravano gli occhi di un gatto inoltre erano di un colore simile all'arancione".
Sobbalzai, era la stessa descrizione dell'uomo che avevo visto la sera prima!
"Come è morto Leda?"
"Non lo so, ha combattuto contro quella bestia, io sono scappata"
Tacqui, tra di noi il silenzio divenne pesante.
Le chiesi:"Tra quanto tempo ti dimettono?"
"Hanno detto due settimane".
Rimanemmo lì, in un silenzio tombale, avremmo potuto chiarire ma qualcosa ce lo impedì, una barriera mentale che avevamo alzato entrambi. Mi alzai, non sapevo cosa dire o fare, ci guardammo, entrambi eravamo tesi.
"Ti serve sapere altro?"
"No..." balbettai, poi lei continuò con un semplice:"Bene" e voltò la testa dall'altra parte. Lasciai la stanza e mi chiusi la porta alle spalle, sospirai e mi avviai verso l'ascensore, quella conversazione, così breve, mi aveva profondamente turbato. Salii sull'ascensore e pigiai il tasto del piano terra, poi le porte si chiusero. Decisi che solo alla villa mi sarei sfogato in un pianto liberatorio, ma in quel momento no, c'era troppa gente. L'ascensore cominciò a scendere e nel frattempo mi asciugai una lacrima solitaria. Le luci dell'ascensore sfarfallarono, poi si bloccò. Schiacciai il tasto di emergenza, poi l'ascensore tremò più forte e sembrò cadere per un attimo, poi si fermò ancora. Mi ressi ai muri, non capivo cosa stesse succeendo poi lo sentii andare su di colpo, infine sentii le grida da fuori e sembrò che l'ascensore fose stato preso e scaravantato in aria. Caddi sulle porte e sentii un forte boato, poi l'urto e lo specchio nell'ascensore si ruppe e alcuni pezzi di vetro mi caddero addosso. Nella confsione più totale sentii che l'ascensore era stato girato e degli artigli affilati avevano bucato le porte. Un occhio gallo guardò in uno dei buchi lasciatii, poi mi vide e cominciò ad infierire di più sulla porta. Dopo un po' riuscì a romperla e lo vidi: Era un uomo con alle mani tre artigli affilati, aveva addosso un'armatura gialla e una lunga cresta nera, gli occhi erano piccoli e neri, si vedevano solo dei pallini rossi. Infilò gli artigli sul muro vicino alla mia faccia, così vicini da graffiarmi. "Voi Saint di Athena" esordì "meritereste solo l'estinzione. Sappiamo quello che stai facendo maledetto e vedrai che fine fanno i ficcanaso come te!" e provò a colpirmi con i suoi artigli in faccia, io mi spostai e lui si girò nella mia direzione. Gli tirai un montante sotto il mento e uscii da quella che ormai era una scaltola rotta.
"Non così in fretta Andromeda!" mi urlò da dietro mentre vedevo dei fasci di luce partire dall'ascensore. Mi alzai e mi preparai alla lotta, anche quell'individuo uscì dall'ascensore, che si distrusse completamente. Eravamo sul tetto dell'ascensore e io ero senza armatura, un ghigno malevolo si dipinse sul volto dell'uomo:"Che c'è cavaliere? Non avrai forse paura?"
"Sono stato nel regno dei morti, tu non mi fai alcuna paura".
Lui rise, "Sei finito!" gridò rivolto nella mia direzione, poi dalla sua mano destra partì una sfera d'oro. La schivai appena, ma non avevo calcolato che dietro di me ce ne fossero altre cinque, e non me ne resi conto finché tutte e cique non mi colpirono alle spalle. Caddi e rischiai di finire giù, poi lui mi prese la mano con gli artigli. Urlai, poi lo guardai negli occhi, quel folle.
"Addio Andromeda" disse lasciandomi cadere giù. Dieci piani, caddi per dieci piani. Ero troppo spaventato anche per gridare, mentre vedevo la strada avvicinarsi sentivo la gente gridare, gli occhi mi facevano male, guardai vverso il cielo e vidi quell'uomo guardarmi dal tetto, poi solo un pensiero connesse il cervello con la mia bocca e un grido si levò dalla mia gola: un grido di fedeltà che non mi abbandonava nemmeno al momento della morte, nel terrore per l'umanità, l'aria sussurrava nelle mie orecchie un requiem dedicatomi, ma le mie labbra espressero una sola parola, emanarono un grido, e un grido soltanto:"ATHENA!".

 

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Capitolo 6
*** Pegasus e Dragon ***


Chiusi gli occhi mentre cadevo, il cielo si faceva sempre più lontano e quel grido di disperazione forse sarebbe rimasto inaudito. Sentii un'emanazione di cosmo estremamente familiare, spontaneo mi fu un sorriso, poi rallentai di colpo, quando aprii gli occhi vidi che intorno a me stava una grande drago verde semitrasparente, i suoi occhi erano rossi e i suoi baffi si muovevano secondo il vento. Cominciai a scendere più lentamente, poi vidi a terra la calca di persone distribuita per strada, alcuni erano scioccati, altri sollevati, alcuni bambini indicavano nella mia direzione con sguardo stupefatto, poi sentii i tuoni e cominciò a battere la pioggia.
"Non riesci mai a stare fuori dai guai, vero cavaliere di Andromeda?" disse una voce alle mie spalle. Seduto sul drago c'era Sirio, un piede poggiato sulla coda dell'animale, che mi fissava sorridendo. "Sirio!" lo chiamai felice, poi a quella voce si aggiunse un'altra altrettanto familiare:"Hey amico ci sono anch'io!".
Mi scappò una risata: eravamo al completo. Seiya si lanciò dal palazzo di fronte all'ospedale, ancora vi furono delle grida, ma quello atterrò sulla coda del drago. "Lascia fare a noi" disse tendendomi la mano che io afferrai prontamente. Mi sedetti anche io sulla coda di quell'animale, poi anche quell'individuo 'sì strano da essere palesemente un'altra creazione di Chaos scese dal tetto e con una capriola si ritrovò sul lampione.
"Pegasus ryu sei ken!" urlò il mio amico mentre quell'uomo gli corse incontro, schivò tutti i colpi e fu a un passo da lui, poi Seiya si spostò di colpo, rivelando Sirio dietro di sè, il quale agì subito con il suo Rozan Shoryu Ha, colpendo in pieno l'avversario. Lui, colpito, finì sbalzato all'indietro e impiantò i suoi artigli a terra per fermarsi. Alzò lo sguardo sui miei amici, poi sputò a terra e sorrise, con uno slancio fu addosso a Seiya il quale provò a schivarlo ma non riuscì a fare molto se non ad evitare di essere colpito al cuore, in compenso fu colpito al costato. Sirio sgranò gli occhi e anche lui caricò quell'individuo, che però si girò di scatto e lo colpì alla gamba, ma il dragone non si scompose affatto e lo colpì da vicino, l'urto lo costrinse a staccarsi e a finire contro il muro, crepandolo. Seiya si alzò tenendosi il costato, poi si mise in posizione. Sirio saltò indietro accostandosi a Seiya, poi entrambi si misero in posizione, poi espansero il loro cosmo e mentre l'individuo si apprestava ad attaccarli nuovamente lanciarono il loro attacco combinato: fu fatale all'uomo, finì contro il muro dell'ospedale, rompendolo. Mi avvicinai all'uomo e ne sentii il battito, era morto, aveva sbattuto la testa a causa dell'elmo atterrando col collo su di esso: il collo si era rotto. Sirio e Seiya si avvicinarono e mi poggiarono la mano sulla spalla, io mi voltai verso di loro felice, adesso erano qui e potevamo salvare l'universo, loro erano lì con noi! 
Li abbracciai senza dire una parola, poi scoppiai in un pianto liberatorio, quanta paura avevo avuto di non rivederli, ma almeno erano lì.
Presi la mia felpa e la ridussi a brandelli, la usai per bloccare la fuoriuscita di sangue di Seiya, poi, mentre il viale si sfollava a causa della pioggia diventata più insistente, usai il resto per la gamba di Sirio. 
"Toglimi una curiosità" dissi rivolt a Sirio "cos'aveva tuo figlio?".
Sirio sospirò, poi disse che me ne avrebbe parlato una volta conclusa la faccenda. Ci avviammo verso la villa, a metà strada vedemmo Hyoga con un ombrello venire verso di noi. Si fermò e fece cadere l'ombrello, era un ombrello rosso, poi corse verso di noi con le braccia spalancate. Strinse Sirio e quasi buttò giù Seiya, non erano da lui certi slanci d'affetto, e la cosa mi diede stranamente fastidio. Non sapevo perché ma ebbi voglia di strangolarlo, poi battei nervosamente un piede a terra. Sirio lo notò e trattenne le risate, tranne quando lo fulminai con lo sguardo, allora riprese il suo solito portamento serio. Hyoga e Seiya si alzarono, totalmente zuppi, poi il pennuto li rimproverò, che se lo avessero avvisato invece di un ombrello solo ne avrebbe portati tre! 
Seiya esordì con una domanda alquanto scomoda per il pennuto:"Perché Hyoga non ne avresti portati quattro? Volevi forse condividere l'ombrello con Shun-"
"Seiya ti conviene zittirti immediatamente o potrei ridurti peggio di quel tizio".
Seiya, Sirio e Hyoga si ammutolirono, olmeno Hyoga lo fece, Sirio e Seiya avevano la mascella cadente. 
Mi era uscito spontaneo, non pensi male chi legge, non sono una persona violenta ma non mi piace essere stuzzicato.
Seiya e Sirio provarono ad attaccare bottone ma io e Hyoga non ci rivolgevamo la parola. 
"Allora" disse poi Seiya "parlando di cose serie: cosa è successo di preciso con Chaos?", poi io e Hyoga ci scambiammo uno sguardo, in tacito accordo concordammo che fosse Hyoga a fare il punto della situazione e così fu. Hyoga parlò del Divinus Siderus, del mostro ai limiti dell'universo, dei propositi di Chaos e degli otto pilastri, poi della foresta. Ascoltarono in silenzio mentre ci rifugiavamo sotto la tenda di un negozio, Seiya e Sirio si tolsero le armature e si sedettero sugli scrigni, ascoltando quella folle storia. "Beh, è un bel guaio" disse Dragone strizzandosi i capelli, poi tornò a guardare la strada, "dobbiamo parlarne con Lady Saori".
La pioggia non accennava a diminuire, eravamo zuppi ecominciavamo a sentire freddo. Ci passò davanti una macchina, una limousine. La limousine si fermò proprio davanti a noi, era Julian Solo!
Ci alzammo tutti e lo osservammo venire verso di noi: il completo bianco impeccabile, i capelli azzurri al vento e gli occhi blu profondo come le profondità marine lasciavano evincere una regalità e una maestosità che solo quell'uomo poteva dare. Era la prima volta che mi soffermavo sul suo aspetto e mi meravigliai della sua immagine di apparente perfezione, era un'immagine tanto realistica quanto fallace ed ipocrita, ma addosso a lui vestiva che era un figurino nonostante, appunto, la sua ipocrisia. Poseidon ci guardò uno per uno, solo dopo si decise a parlare: "Salute" ci disse "che cosa vi accade? Perché siete qui?".
Nessuno di noi rispose, allora lui fece un cenno col capo e ci indicò la sua macchina:"Siete bagnati come dei pulcini, seguitemi alla mia villa, cavlieri".
Ci guardammo, avremmo rifiutato ma in quel momento ci parve conveniente, inoltre erano trascorsi anni dalla vicenda di Nettuno e Julian pareva in buona fede, per questo accettammo. Salimmo sulla macchina di lusso, Julian si sedette difronte a noi e ci osservò per quei minuti che parvero ore. "La Terra è di nuovo in pericolo eh?" disse, Seiya lo corresse: "Non solo la Terra, l'universo". Julian sospirò, poi guardò fuori dal finestrino le gocce di pioggia che lo avevano bagnato. Sorrise, fu un sorriso amaro il suo, rimasi colpito nel guardarlo, così assorto, era un'immagine a cui non ero abituato. Lo osservai in silenzio, finché non ci ritrovammo davanti alla sua villa, un Petit Trianon in Giappone. Scendemmo dall'auto e ci precipitammo sotto il portico seguiti da Julian, poi due energumeni aprirono le porte. Ci fecero cambiare: Io continuavo a guardarmi intorno, statue in stile neoclassico e quadri di ogni tipo decoravano i corridoi e le sale, i muri erano bianco panna e il pavimento sembrava una scacchiera per il gioco della dama. Tappeti indiani decoravano le scale e ai lati delle stanze stavano antichi cimeli di un tempo lontano, ricordi del mare, diceva Julian. "Ogni cosa che vedi esposta, caro Shun", mi spiegava lui "è un ritrovamento da parte delle squadre di ricerca della mia famiglia, sono tutti custoditi qui, alcuni sono cimeli persiani, altri greci, altri ancora egizi, mentre alcuni, come quel vaso che vedi lì in fondo, sono indiani". Ci sedemmo, dopo circa una mezz'oretta, di fronte a un tavolino con della cioccolata fumante. "L'ideale quando fuori piove" disse Julian cercando di smorzare la nostra agitazione, poi cominciammo a chiacchierare; non ricordo tutti i particolari di quella conversazione, probabilmente riguardava Lady Saori e le sue manie oppure semplicemente quel che ne era di noi, fatto sta che ad ogni modo rimanemmo in silenzio in diversi momenti e non vale la pena riassumere quella conversazione, chiedo la cortesia ai signori lettori di capirmi. 
"Ad ogni modo" riprese poi Julian "volendo potrei farvi accompagnare da Sirya, del resto qualche aiuto potrebbe esservi utile"
"Dovremmo parlarne dapprima con Milady" gli rispose Seiya, a quell'affermazione Julian fece un gesto con la mano indicando che qelle erano solo quisquiglie di poco conto, poi ci disse che aveva già parlato con la nostra dea e che lei aveva voluto che lui chiedesse a noi se ci fosse stato utile un aiuto in battaglia. Alzai un sopracciglio mentre Hyoga  si sporgeva leggermente più in avanti, poi Julian poggiò il viso su una mano e ci sorrise leggermente guardandoci con i suoi eleganti occhi: "Ebbene cavalieri? Accettate?". Calò il silenzio, poi io presi la parola: "Una buona strategia sarebbe portare con noi anche i cavalieri semplici o quelli magari più arginati, fortificando i lati in modo da accerchiarli, non credo che ci troveremmo davanti poche persone e probabilmente avranno una strategia militare. Non augurerei a nessuno di sperimentare l'esperienza del flauto di Sirya, potrebbe essere una potenziale arma da distruzione di massa, farebbe concorrenza al fantasma diabolico di mio fratello". Gli altri annuirono e Julian sorrise soddisfatto, poi schiacciò un tasto su un telefono. "Hermann, prepara la pec e spediscila a Lady Saori entro stasera, i suoi cavalieri hanno accettato". Fummo condotti fuori con i vestiti bagnati in una busta, avevamo addosso i vestiti che Julian ci aveva prestato. "Restituitemeli quando volete", aveva detto, anche lui sapeva essere gentile. Ci avvicinammo alla macchina che stava di fronte alla villa. Salimmo velocemente e salutammo Julian, apprestandoci a tornare alla villa, eravamo stanchi e sapevamo che, ora che Sirio e Seiya erano con noi, saremmo partiti il giorno successivo, dovevamo prepararci. 
Quando entrammo nella villa Lady Saori ci venne incontro, fu felicissime di vedere Sirio e Seiya e corse loro incontro, stringendo quest'ultimo, era molto sollevata siccome c'eravamo tutti...o quasi. Sospirai a quel pensiero mentre Lady Saori conduceva i nuovi arrivati nell'altra stanza. Presi il mio cellulare e controllai: come da mia aspettativa non aveva letto. Al diavolo! 
Furente rimisi il telefono in tasca e andai al piano di sopra, poi sentii la voce di Hyoga:"Shun..."
"Lasciami solo" lo liquidai sparendo alla cima delle scale. Dovevo preparare la mia armatura: saremmo sicuramente partiti il giorno dopo.


ANGOLO AUTRICE: Salve a tutti!! Naturalmente questo capitolo è uscito in fretta e furia come tutti gli altri per cui mi scuso se può parervi breve, ma spero che vi piaccia! Vi chiedo come al solito di scrivermi eventuali critiche che ritenete giusto espormi, siccome sono nuova qui e potrei commettere eventuali errori oppure se vi è piaciuta la storia e dovrei continuare su questa via scrivetemelo e sia che sia ua critica o una recensione positiva ne sarò ben felice! Ciao ciao!!

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Capitolo 7
*** Goldilocks ***


Passai la notte fissando il vuoto: mi sentivo come un pazzo che cercava di disfarsi di tutti i suoi brutti pensieri, non è stato semplice. La finestra era aperta, non perché avessi caldo, ma solo per ascoltare i rumori del vento, il rumore che fanno le ronde dei salici di Villa Kido, il rumore degli alberi, il come anche quei semplici rumori, nel buio di una notte estiva, potessero sembrare una cacofonia senza alcun senso. Poi eccola, il senso lo prende, accompagna i miei sentimenti e la loro danza perpetua alla ricerca di una pace destinata sempre a durare troppo poco. Una lacrima scese lungo la mia guancia e cadde sul pavimento, bagnandolo in un punto assai insignificante. Chiusi gli occhi e mi lasciai andare, ma ancora, dovevo riaprirli: ero all'erta anche se non era quello il momento della lotta, mi sentivo come sull'aereo, pronto a scattare in qualsiasi momento, teso, stanco ma vigile. Morfeo non mi accogli tra le tue braccia stanotte?, pensavo nel tacito buio di quella camera. Sentii poi gli occhi farsi improvvisamente pesanti, non osai muovermi ancora nel quasi terrore di perdere quel sonno ritrovato da poco. Cominciai a pensare poco lucidamente e poi eccolo, il mio agognato e dolce dormire. Aprii gli occhi, ero...nello spazio?
Mi guardai attorno, non vedevo nulla se non stelle e galassie in lontananza, non sapevo dove potessi essere, c'erano persino pianeti di colori che noi non conosciamo, colori senza nome che non saprei descrivervi,non li avevo mai visti prima e nessuno potrebbe averli mai visti. Mi sentii attratto come se una corrente mi stesse trascinando verso sinistra a velocità sempre maggiore, finchè non venni trascinato ad una velocità assurda verso un buco nero in cui finii tra le mie grida. Quando riaprii gli occhi ero in una sorta di foresta, era cupa, faceva freddo, gli alberi si intrecciavano tra di loro, le loro foglie non lasciavano intravedere un brandello di cielo, i tronchi erano quasi ammassati, storti e ricurvi, ad essi erano appese delle torce simili a quelle dei castelli medievali, tracciavano un sentiero rettilineo, non riuscivo a vederne la fine, mi incamminai. Non succedeva nulla, camminavo e basta, come se fossi in sentiero senza fine, il mio passo era tardo ma il respiro era sempre più pesante, cominciò a farmi male il petto, poi arrivai alla fine del sentiero. C'era un grosso castello in stile gotico, da quel castelo vidi volare una piuma d'acquila, la presi in mano, la guardai attentamente, poi voltai lentamente lo sguardo verso l'unica finestra aperta del castello e vidi due occhi rossi e luminosi.

Mi svegliai di soprassalto, ero madido di sudore e avevo il fiato corto, mi girai ma caddi dal letto, il petto mi faceva ancora male. Rimasi sdraiato sul pavimento a fissare il soffitto qualche istante, poi mi calmai. Rimasi sul pavimento ancora qualche minuto, sentii però la vibrazione del mio telefono, la emetteva ogni volta che ricevevo un messaggio. Mi precipitai vicino alla mia giacca, poi presi il telefono e ansimante aprii l'app degli SMS. Cercai di leggere il nuovo messaggio, ma non riuscivo nemmeno a vedere bene. Chiusi gli occhi e presi un respiro, poi lessi, e questo è quanto vi era scritto: "Pubblicità: sei interessato a ricevere una maggiore ricarica, più SMS disponibili e sei giga gratis al mese? Contattaci!".
Quasi lanciai il telefono, speravo fosse Ikki, ci speravo! Quel maledetto bastardo sarebbe arrivato solo per salvarmi, ne ero certo! Brutto imbecille!
Lasciai il telefono sul tavolo e mi sedetti, trattenni le lacrime. Non mi sarei fatto salvare questa volta, non mi importava della sua assenza, avremmo fatto a meno di lui, dov'era il problema?
Mi vestii e presi lo scrigno della mia armatura, poi corsi giù, urtai anche Tatsumi ma non mi importava poi tanto. Avevo deciso di dargli un'ultima possibilità, avevo messo il telefono nella tasca dei miei pantaloni e se non ci avesse contattati entro il nostro arrivo in Polonia per me era da considerarsi morto. Nel cortile interno stava già un mini jet vhe ci avrebbe portati in Polonia, lì c'era già Syria. Syria era lì, seduto sul suo scrigno, flauto alla mano ed intento ad osservare il nostro mezzo di trasporto. Mi avvicinai, mentre camminavo continuavo a chiedermi se quel flauto lo tenesse per un'effettiva emergenza oppure solo per ornamento. Si vedeva che era il migliore amico di Julian: la sua lunga giacca color porpora gli cingeva il busto sottile mentre al collo portava un fiocco color panna, aveva dei pantaloni dai toni violacei e delle scarpe nere. Non ebbi nemmeno il tempo di parlare, mi salutò immediatamente: "Ci si rivede Andromeda".
Sorrisi leggermente e gli risposi:"Chiamami Shun, ormai siamo alleati"
"Come vuoi" disse semplicemente lui e sul volto gli si dipinse un sorriso gentile.
Mi sedetti a terra, con la schiena poggiata allo scrigno, poi cercai di fare conversazione mentre aspettavamo: "Credevo di averti ucciso", ma me ne pentii subito, lo guardai e i nostri sguardi si incrociarono, apparente indifferenza nel suo e imbarazzo nel mio. Rimanemmo così qualche secondo, poi lui scoppiò in una fragorosa risata. Rimasi confuso dal suo comportamento così singolare, poi lui mi spiegò: "La tua espressione è qualcosa di incredibile!" e continuò a ridere. La sua ilarità era contagiosa, così risi anch'io, risi come non facevo da molto tempo, poi cominciammo a chiacchierare, era incredibile quante cose avessimo in comune. Scoprii che gli piaceva la musica metal, era un amante dei Metallica, per nente scontato. Mi ci volle un po' per metabolizzare la cosa, avrei detto che fosse un amante di Chopin, Mozart...le apparenze ingannano. Syria era un ragazzo di intelligenza sublime. Parlare con lui era davvero piacevole e aveva non solo una grande padronanza di linguaggio ma riusciva a far ridere senza scendere in volgarità e scherzando su argomenti della realtà di tutti i giorni. Scherzammo a lungo, poi lui esordì con: "Certo che Marilyn Monroe ci metteva meno tempo per prepararsi..." disse alludendo ai miei compagni di lotta ed effettivamente era vero, ci stavano mettendo un sacco! Quando arrivarono ci alzammo entrambi, anche Lady Saori era con loro, portava un vestito color panna lungo fino alle ginocchia, diverso dal solito e ingombrante vestito bianco. 
"Cavalieri" ci appellò Lady Saori "qualunque cosa accada ricordatevi solo che la vita delle persone sulla Terra è cosa ben più importante di qualunque altra cosa, dobbiamo vincere ad ogni costo, abbiate cura della vostra vita". Annuimmo e lei si allontanò. Presi il mio telefono e controllai: non aveva letto, quel maledetto non aveva letto e ovviamente non aveva risposto. 
"Lascia perdere Shun" mi disse Hyoga "tuo fratello è un completo idiota, arriverà solo quando sarai in diffcoltà, quanto ci scommetti?"
"Un pugno da farti saltare i denti se parlerai ancora così di lui, non ti permettere Hyoga" dissi fulminandolo con lo sguardo e, dopo aver preso lo scrigno della mia armatura, mi avviai. Distinsi con la coda dell'occhio lo sguardo che si lanciarono Hyoga e Syria. Salii le scale per arrivare alla porta dell'aereo, poi mi guardai indetro un attimo, soffermandomi sugli edifici della città, come ogni volta, poteva essere l'ultima volta che rivedevo la mia terra natìa. Entrai e presi posto vicino al finestrino, Seiya si sedette accanto a me e mi osservò qualche momento. Evitai il suo sguardo, ero davvero poco volenteroso di una conversazione, forse lui lo capì e rimase in silenzio. "Dimmi un po'" disse dopo un poco "da quando tu e Odette dei poveri vi detestate?"
"Non lo detesto, penso solo che sia un idiota"
"Anche io sono un idiota"
"Sei sopportabile".
Seiya tacque due minuti, poi sopraggiunse un suo sospiro che mi fece girare: "Posso capire il ballerino mancato, ma come mai tu e June avete smesso di parlarvi?"
"Come lo sai?"
"Ieri notte ci siamo sentiti su Skype, è ancora in ospedale, ci siamo parlati finché la sua batteria non si è scaricata"
"Capito"
"Per quale motivo non vi parlate più?"
"Non è importante"
"Shun quale parte di "June sta soffrendo" non ti è chiara?"
"Doveva pensarci prima"
"Prima di cosa?"
"Prima di tentare di uccidermi insieme a Leda!"
"Cosa?!" fece poi il mio amico "Ma che diavolo hai combinato?!".
A sentire il suo tono di voce alzarsi anche Lady Saori e Syria si voltarono a guardarci.
Tacqui un poco, poi lo guardai ed iniziai a raccontare:"E' stato diverso tempo fa. saranno passati due anni, non me lo ricordo nemmeno. Ero in visita all'Isola di Andromeda, ricordo che faceva abbastanza freddo in quei giorni. Mi svegliai una sera e mi resi conto che la mia casupola era in fiamme. L'uscita era bloccata e le finestre bloccate. Guardando fuori dalla finestra vidi June e Leda, fermi, intenti osservare la casa andare a fuoco. Riuscii per miracolo a buttare giù la porta, ero ustionato in più punti e ancora oggi ho una grossa cicatrice sulla schiena. Sono stato in ospedale due settimane e dopo che fui dimesso lasciai l'isola, fu così che decisi di trasferirmi negli Stati Uniti".
Calò il silenzio tra me e Seiya, rimanemmo così altri interminabili minuti, che poi divennero ore, che poi divennero tutto il resto del viaggio. Quando arrivammo in Polonia erano trascorse varie ore, scendemmo che eravamo in una sorta di strana radura...ma dove diavolo eravamo?
L'erba era morbida, il prato ci accarezzava dolcemente le gambe, sembrava di essere in un film, quasi uno strano paradiso terrestre. Manzoni non sarebbe riuscito a descrivere come ondeggiavano i rami degli alberi, come si muovevano gli uccelli,non avrebbe potuto descrivere la muta poesia di quel vento, non sarrebbe riuscito Botticelli a dipingere nuvole come quelle che avevamo noi sulle nostre teste, eravamo in paradiso? No, eravamo in Polonia e non in gita di piacere. Me ne ricordai quando uno strano bagliore, come una sottile scheggia, mi passò sotto gli occhi. Seiya si lanciò e spostò Lady Saori appena in tempo da evitare il colpo, che frantumò e distrusse l'aereo. Che diamine succede?, gridò Syria guardando il corpo metallico andare in frantumi sotto gli occhi suoi e di tutti. Mi voltai verso quegli alberi, erano gli stessi del mio sogno! Spuntò tra di esi un individuo. Era un uomo alto, con dei lunghi capelli bianchi, il viso era duro, il mento quadrato e gli occhi erano blu, addosso aveva un'armatura dello stesso colore e ci osservava. "Ragazzi guardate!" gridò Seiya indicandolo. "Veloci!" ci ridestò Hyoga "Prendete le armature!". Senza indugio indossammo le nostre armature, ma quell'uomo era sparito. Ci guardammo intorno, poi mi girai e lo vidi dietro di noi. Mi sorrise in modo inquietante e poi spalancò le braccia, emanando un cosmo di inenarrabile potenza, fummo sbalzati e finimmo contro quegli alberi. Seiya continuava a tenere stretta Lady Saori mentre noi ci alzammo e ci mettemmo come un rombo, Syria cominciò a suonare e quell'uomo si fermò succube della sua musica, allora Sirio ne approfittò. "Rhozan Shoryu Ha!" urlò e nell'aria si liberò un drago verde che immediatamente fece per attaccare l'uomo.
"Diamond Dust!" "Catena di Andromeda!" urlammo insieme io e Hyoga e mentre quel triplo attacco si liberò nell'aria e andò verso il nostro bersaglio, poi la vista fu ostacolata da una luce improvvisa e luminosa.
Quando riuscii a vedere vidi che quel bestione era ancora lì, in piedi, non lo avevamo nemmeno scalfito!
"Che diamine significa?" chiese Syria, nessuno seppe dargli risposta ma avevamo una sola cosa in testa, qualunque cosa fosse successa qesta volta il rischio era grosso. Lui sorrise, poi io mi rivolsi a Seiya: "Amico, vai via con Lady Saori, noi ce la vedremo con questo bestione e vi raggiungeremo il prima possibile"
"Prudenza ragazzi" disse lui prendendo Lady Saori dal braccio e fuggendo nella foresta.
L'uomo lo vide e non fece nessuna resistenza, poi sorrise e chiuse gli occhi.
"Cos'hai da sorridere?" chiesi tendendo la catena tra le mani, poi lui mi rispose con la sua voce raschiante come se fosse di metallo: "Siete così imprudenti da lasciare che la vostra dea vada via con uno solo di voi quando non bastate in quattro per potermi dolere, stolti, non immaginate a cosa siete andati incontro", un rivolo di sudore mi colò dalla fronte sentendo quelle parole e risposi: "Taci, non abbaiamo nemmeno iniziato! Onde del tuono!" urlai io e lanciai la mia catena, ma anche questa volta le mie catene non lo colpirono. Piuttosto furono fermate da uno strano scudo viola scuro, era di un colore simile a quello...di una surplice?!
Lo scudo era molto grande, quasi quanto quello dell'armatura di Athena se non di più, spuntava la lama di una lancia da dietro. La mia catena pareva bloccata e tremava leggermente, tutti si immobilizzarono, persino Syria non aveva più la forza di suonare il suo flauto stregato. "Rivelati!" gridai poi al proprietario dello scudo, poi quella persona si alzò ed era una ragazzina. Rimasi paralizzato, quella ragazzina era una persona di incredibile bellezza, gli occhi erano di un viola brillante, come se le avessero conficcato delle ametiste nelle cavità oculari. La pelle era liscia e perfetta, bianca come il latte e aveva delle labbra rosse come due rose rosse, addosso aveva la sua armatura, era viola scuro con due grandi ali dietro la schiena, la gonna era lunga fino alle ginocchia, da cui partivano degli stivali lunghi e decorati con fasce di un viola più chiaro, aveva il corpetto che la ricopriva interamente, fino al collo mentre sulle spalle aveva degli spallacci che ricordavano delle maniche a sbuffo, i braccioli arrivavano fino al gomito, in mano aveva una lancia, non dimostrava più di quindici anni. "Pedo" disse poi la giovinetta "perdi ancora tempo con loro? Mi sono già sbarazzata del fuggiasco e della sua dea"
"Maledetta!" le gridò contro Hyoga, poi le corse incontro, ma appena lei gli gridò "Fermo!" la mia catena si mosse e attaccò Hyoga, e quasi mi trascinò con sè.
"Hyoga!" urlai mentre quello veniva trafitto al fegato: fu sangue su quel prato immacolato e Sirio e Syria rimasero stupefatti.
"Colui che avete davanti" disse poi la ragazzina "è Pedo di Corona Borealis, rivolgetevi a lui col dovuto rispetto, è uno degli uomini più vicini a Chaos".
"Rspetto dici? Povera stupida io non porterò mai rispetto a chi non ha pietà di due ragazzi, preparati alla lotta!"
"Fermo!" mi disse Syria prendendomi dalla spalla "Shun, non vedi cosa è stata in grado di fare? Ha guidato la tua catena e ora Hyoga è ferito!"
"Non possiamo rimanere fermi mentre ci ammazzano, dobbiamo fare qualcosa Syria! Quella pazza ci ammazzerà tutti!"
"L'unico pazzo qui sembri tu mio caro amico" mi disse Pedo "rimani in silenzio mentre poniamo fine al nostro operato, la tua dea è morta e così è stato per il tuo amico, affronta il tuo destino con la serenità che si addice a un cavaliere" e rise, rise come un pazzo, godeva del dolore negli occhi di Hyoga, della furia che assaliva ogni fibra del mio corpo, del terrore di Sirio e dell'agitazione di Syria. Senza pensarci corsi da Hyoga, dalla zona del fegato sgorgavano zampilli di sangue e lui si accasciò quasi sul mio petto. Syria riprese un attimo di lucidità e osservò Pedo e quella strana ragazzina, poi portò il flauto alle labbra e cercò di suonare, ma dal suo flauto non usciva un suono. La ragazzina aveva il braccio teso verso di lui e il flauto era avvolto da una strana aura viola. "Ci penso io a loro" disse a Pedo "tu vai". Pedo si limitò ad annuire e voltò le spalle alla sua compagna "Sapevo che c'era da fidarsi di te", poi sparì. Io, Sirio e Syria ci mettemmo in posizione per attaccarla tutti insieme, poi lei esclamò qualcosa in una lingua strana e tutti fummo avvolti da strane colonne di luce. "Ragazzi!" feci appena in tempo ad urlare prima di scomparire lontano da loro, poi persi i sensi. Mi svegliai che ero in una parte della foresta, non capivo dove fossi finito. "Ben svegliato" sentii alle mie spalle, una voce femminile, infantile, acuta...non c'erano dubbi. Saltai addosso alla ragazzina che ci aveva assaliti, ora non portava più quell'armatura, aveva addosso delle scrpe nere simili a quelle delle bambole di porcellana, delle calze bianche e lunghe, supponevo avesse una gonna siccome dal collo in giù era coperta da una lungo cappotto rosso. La presi dal colletto e la sollevai leggermente da terra, lei non si scompose ma io in quel momento avrei voluto ucciderla e non mi importava che fosse una ragazzina di si e no quindici anni!
"Calmati" disse con calma "ti ho salvato, di nuovo". 
"Cosa?" le chiesi confuso "Smettila di prendermi in giro! Dove sono gli altri? Hai ucciso Athena e Pegasus, me la pagherai!"
"Non li ho uccisi, sono vivi" disse, poi io risposi: "Maledetta non ci provare nemmeno! Non provare a prendermi in giro! Vuoi solo salvarti perché temi di morire? Sei solo una vile!"
"Già fatto tesoro" disse con altrettanta calma prendendomi i polsi e allontanandomi da sè, poi si aggiustò la giacchetta, sbuffò e di fronte alla mia espressione confusa continuò quasi come una cantilena: "Vuoi forse rovare l'esaltante esperienza della morte?"
"Ma cosa stai blaterando?" le chiesi, ancora sulla difensiva, lei si avvicinò ma io mi discostai, allora mi prese un polso e mi costrinse ad avvicinarmi, poi mi sfilò quella che poi si scoprì essere una foglia dai capelli. 
"Chi sei tu?" 
"Non te lo posso dire" disse poi esaminando la foglia, che poi si sgretolò davanti a noi, ero confuso, poi lei mi guardò e continuò: "Non avere paura per i tuoi amici, devi sapere che Pedo non piace nemmeno a me, non sto dalla parte di Chaos"
"Allora perché ci hai attaccato?!" le urlai contro
"Abbassa la voce" fece lei "intanto ero già decisa a farlo da prima, ho spedito Hyoga con un particolare del mio gruppo specializzato nella guarigione"
"Il tuo gruppo?"
"Hai mai sentito parlare dei Partigiani?"
"Si?"
"Ecco, solo che non c'è Mussolini, non c'è il movimento fascista ma solo Chaos che ha deciso di distruggere l'universo, ecco tutto"
"Momento, momento, momento," feci io "tu non sei contro di noi, qui c'è un gruppo per una sorta di "Resistenza", non puoi dirmi il tuo nome, e ci hai attaccati sapendo già a chi spedirci?!"
"Esatto!"
"Dio mio è la cosa più folle che abbia mai sentito!"
"E' folle ma sei vivo, dubito potresti dirlo se non fossi intervenuta"
"Sai la cosa peggiore?"
"Quale?"
"Devo darti ragione".
Dopo questo scambio di battute mi massaggiai le tempie, dovevo assolutamente elaborare la notizia che quella piccola pazza mi aveva dato. 
Sospirai e dissi:" Grazie per avermi salvato, ma ora proseguirò da solo".
Lei alzò un sopracciglio e incrociò le braccia, poi io le dissi: "Bene, ci rivedremo, spero, grazie ancora" e feci per andarmene, però me la ritrovai davanti appena mi voltai.
"Grazie" scandii per farle intendere il messaggio, ma lei non si mosse e anzi, disse:"Se vuoi andare vai pure, ma guarda di là" e mi indicò un mucchietto d'ossa che poteva appartenere ad un uccello simile ad un fenicottero, poi la guardai e riguardai il mucchietto d'ossa. "Ebbene?" chiesi, lei mi fece segno di aspettare e immediatamente le ossa si mossero formando poi lo scheletro di quell'uccello, che prese a correre con grande velocità verso un punto idefinito, poi stese le ali e si sollevò in volo, sparendo.
Rimasi a bocca aperta, poi lei mi sussurò:"Aveva calpestato un rametto velenoso".
Rimasi in silenzio un po', poi le chiesi:" con questo vuoi dirmi che senza di te sono morto?"
"E sepolto" continuò lei.
"Proprio non puoi dirmi il tuo nome eh?"
"No"
"E va bene, ti chiamerò Goldilocks per comodità" dissi in un sospiro, poi mi incamminai facendole segno di seguirmi. Fu così che iniziai per davvero quella nuova avventura. 


ANGOLO AUTRICE: Salve gente! Eccomi con un nuovo capitolo! Come al solito vi invito a recensire se la storia vi è piaciuta! In caso abbiate delle critiche scrivetemelo pure e le accoglierò con serenità, se vi è piaciuta invece scrivetemelo pure e ne sarò solo che felice! Ciao ciao!!


 

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Capitolo 8
*** Il "cucciolo" di Chaos ***


Mentre camminavamo tra noi calò un silenzio di tomba. Vedevo i lunghi capelli biondi della mia compagna, si muovevano col vento, le arrivavano poco sotto le spalle. Camminavamo, semplicemente camminavamo, nel nostro silenzio. In quel silenzio mi sorgevano tante domande, troppe per essere espresse da uno sconosciuto, ma quel che mi colpì di più di quella ragazza erano gli occhi, viola, era un colore davvero singolare. Certo, Syria aveva gli occhi rosa, ma mai avevo visto degli occhi così profondi, così pieni della luce tipica di chi, nel silenzio, lotta per un ideale in cui crede, anche se porta ad un dolore dilaniante capace da spezzarti in due.
Non ero colpito solo da quello, lei era giovanissima, eppure trapelava una sicurezza che non era tipica per la sua età, insomma, quella ragazza avrebbe dovuto frequentare le superiori e non combattere in una Guerra Sacra. Perché la sento tanto vicina?, era quella la domanda che mi ripetevo mentre camminavamo sui bianchi ciottoli di quella foresta tanto meravigliosa, ricca di chissà quali misteri, in cui il gotico e il fiabesco creavano un così sublime intreccio, quel posto era un'opera d'arte della natura eppure era il campo di guerra di una disputa tra divinità, tra la giustizia e il chaos, tra la vita e la morte, tra la pace e la distruzione. Mi ressi la testa a quei pensieri, non mi ero nemmeno accorto che Goldilocks si fosse fermata. La guardai, poi lei si girò e mi guardò con quei grandi e maledettissimi occhi viola, indicandomi poi una cascata. La guardai interrogandola con tutta la faccia, facendola sorridere, poi lei mi disse:"E' la fonte della vita, la chiamano anche Intermezzo tra vita e morte, dobbiamo saltare".
"Saltare?" chiesi, e lei annuì, poi mi si rivolse ancora: Sono tremila chilometri di salto nel vuoto, se sopravvivi, vivi e vai avanti, se muori non procedi per ovvi motivi".
"Non ci sarebbe un altro modo?" chiesi poco volenteroso di buttarmi nel vuoto, poi al suo diniego chiesi:"Come dovrebbe una persona sopravvivere?"
"E' per questo che si chiama Intermezzo tra vita e morte, decide la fontana"
"Quindi la fontana sarebbe viva?"
"Esattamente".
Sospirai, non feci altre domande e mi avvicinai al bordo, mi chiedevo anche come fosse possibile che ci fossero tremila metri di altezza, teoricamente la foresta non era in una zona pianeggiante?
Guardai giù, c'era una sorta di caverna ai piedi della cascata, non saprei come descrivere quel che era. Guardai Goldilocks, lei sorrideva con fare affabile ma avevo paura che se non avessi fatto questo "salto della fede" mi avrebbe spinto lei. Per paura di avere ripensamenti, e quindi di non farlo, decisi di semplicemente non pensare a nulla e lanciarmi nel vuoto, senza nessuna protezione, semplicemente lo feci. Chiusi e strinsi le palpebre, l'udito rapito dallo scrosciare della cascata, poi mi sovvenne un pensiero assai strano, che fossero memorie di un tempo lontano o che fosse un semplice sogno, questo non comprendevo. Ero in una culla, ero un semplice bambino, di appena pochi mesi. La coperta era leggera e faceva freddo, tanto freddo, la finestra era rotta, l'unica luce proveniva da una porta sulla sinistra. Accanto alla mia culla stava una cuccetta in cui era raggomitolato un piccolo bambino con lunghi capelli blu, era denutrito e i suoi occhi erano tristi, piangeva a dirotto ma nessuno ascoltava il pianto di quel bambino. I ruomori della porta affianco erano simili allo scrosciare di una radio, fuori dalla finestra c'erano ancora alcune case diroccate e c'era un pesante odore d'alcool presente in tutta la casa. Il ricordo sparì dopo quelli che a me parvero secondi, poi mi sentii cadere in acqua con un pesante rumore. Ero vivo, nelle profonde acque di una caverna, guardando in alto potevo vedere solo un piccolo buco luminoso, la caverna era totalmente buia eccetto per una strana luce bluastra che proveniva...dall'acqua?
"Sei vivo?" mi chiese la vivace voce di Goldilocks, a cui risposi con un'occhiataccia, poi le chiesi mentre cercavo di togliermi l'acqua dagli occhi:"Perché l'acqua è luminosa?"
"Oh nulla" fece lei "Solo gli occhi del Kraken".
"Oh ecco...come sarebbe a dire il Kraken?!" urlai poi, e mi resi conto che lei era su una sorta di altalena fatta con dei rampicanti e delle viole, mi aveva ingannato?!
"Zitto, secondo te perché alcuni ci lasciano le penne? Solo per essere caduti in acqua? Quello è il primo livello, ora devi affrontare il cucciolo di Chaos"
"Chiamarlo cucciolo è una parola grossa!" dissi vedendo dei tentacoli enormi spuntare dall'acqua, l'altalena di Goldilocks si alzò, sembrava quasi che la grotta fosse sua amica, ma chi diamine avevo davanti?!
Usai le catene come rampino appendendomi ad una roccia, poi mi tirai su appena in tempo per vedere il Kraken uscire dall'acqua e aprire quella che immaginavo fosse la sua bocca. Il crostaceo troppo cresciuto poi tornò sott'acqua e cominciò ad agitare i suoi tentacoli, non potevo guardare e basta allora mi diedi uno slancio e arrivai sull'altro muro della grotta appendendomi ad uno spuntone di roccia, poi cercai di colpire con la catena i tentacoli del Kraken ma questo lo fece solo infuriare di più, allora questo si mosse solo più furiosamente e urtò le mura della caverna, alune rocce crollarono e una mi colpì fandomi cadere in acqua, mi colava il sangue dal naso, poi sentii il tentacolo del Kraken tirarmi giù, nelle profondità delle acque e lo vidi in faccia. L'istinto di sopravvivenza prese il sopravvento su di me e lanciai  la catena con una violenza che non sapevo di avere, la catena aggredì il tentacolo del Kraken e lo tagliò, poi quello con un altro mi spinse violentemente verso un muro di roccia, poi feci per tornare in superficie data la mancanza di aria, ma quello mi prese ancora e mi lanciò fuori dall'acqua spedendomi contro un muro di roccia contro cui sbattei violentemente, mi mancò il respiro per un secondo, poi sputai sangue, ricaddi e quello mi riprese, stavolta mi lanciò talmente in alto che potei vedere il cielo, poi ricaddi ancora, pensai che mi volesse morto per mangiarmi, poi usai ancora la catena cercando di appendermi, riuscii nell'intento ma nel tirarmi su colpii una raccia, la colpii col fegato con violenza. Sputai ancora sangue e cominciai a sudare, Goldilocks era sparita! Quella maledetta mi aveva lasciato solo con quel mostro, ma non diceva di aiutarmi?!
Non finii quei pensieri che vidi poi una coda che mi scioccò, il Kraken era saltato fuori dall'acqua e stava venendo verso di me con la sua bocca spalancata!
Mi tirai su in tempo, ma la roccia cedette e caddi in acqua molto prima del leggendario mostro degli abissi, tanto da finire sotto di lui. Il fondale era profondo e così provai a nuotare ma i tentacoli erano presenti anche lì nonostante fosse fuori dall'acqua, poi quando il mostro cadde l'urto mi spinse ancora più in profondità e toccai uno dei suoi tntacoli posteriori, allora mi prese e mi tirò fuori dall'acqua, lanciandomi. Quando credetti di essere spacciato mi venne l'illuminazione, sapevo come fare! Afferrai ancora una roccia e mi tirai su, il Kraken saltò ancora fuori, pure io saltai e la mia mira era la sua bocca. Mi lasciai cadere così, nel vuoto, come avevo fatto prima. Riuscii non so come ad evitare le sue file di denti e mi lasciai passare lungo i suo corpo, poi mandai la catena di Andromeda ancora a farmi da rampino e mi appesi ad uno delle ultime file. Mi feci scendere e caricai il cosmo, sapevo di aver fatto una pazzia, ma del resto era Chaos la minaccia, allora perché non fare pazzie siccome lui della follia ne era il signore?
Caricai il mio cosmo come mai, una fibra di adrenalina percoreva tutto il mio corpo, un brividò mi percosse la schiena, era questa la sensazione dell'espansione ai limiti del cosmo? Sentii come se tutta la galassia di Andromeda, i chilometri che separavano la Terra da essa,  tutti gli anni luce e tutte le stelle e gli astri fossero dentro di me. Chaos, temimi, pensavo mentre lasciavo che la Tempesta della Nebulosa investisse con tutta la sua violenza l'interno del mostro di cui mi trovavo, il rumore assordante dei suoi lamenti scuoteva quel corpo martoriato e più si lamentava più io ne aumentavo la violenza, e così, vidi il suo corpo allargarsi sempre di più, un grido sordo scosse tutto, era il Kraken?
Continuai ad espandere il mio cosmo e la sua agonia era sempre più lunga, sempre più lunga, tanto che ormai il Kraken sembrava, con i suoi lamenti, implorare pietà. Io non potevo restare lì, dovevo proteggere Athena ad ogni costo e con lei l'universo intero e la giustizia, dovevo ritrovare i miei compagni...no, non potevo assolutamente morire lì!
A malincuore, pietoso della povera bestia, continuai ad espandere sempre di più il mio cosmo, finchè non sentii un rumore simile ad uno strappo e poi tutto si distrusse, avevo ucciso il Kraken!
Caddi nell'acqua, mentre quella ormai era più sangue che quello, ero stanco, sporco di sangue e ormai quel luogo, un tempo bellissimo, era diventata la tomba di un mostro. Vidi Goldilocks sull'altalena che mi osservava. "Sapevo che avresti fatto di tutto per sopravvivere, ci sono state le persone sopravvissute a quel mostro", disse "ma sei stato il primo a tentare di ucciderlo, devo applaudire alla tua tenacia" continuò battendo le mani, quella era una...non sapevo nemmeno come descriverla, sembrava compiaciuta però, in quegli occhi vedevo l'universo, ero davvero vivo? Non riuscivo a credere a cosa stesse succedendo, era semplicemente...assurdo.
Il sangue del Kraken si illuminò d'oro con mio sommo stupore, poi le gocce diventarono luci piccole come lucciole, poi volarono via e sparirono, lasciando l'acqua limpida come prima.
"Tu...mi hai messo alla prova?"
"Già, se non fossi sopravvissuto a questo non avresti potuto affrontare quel che sarebbe venuto dopo. Mi dispiace Shun, ho dovuto farlo".
Sospirai e sorrisi metre l'acqua lavava via da me i residui di sangue. "Grazie", sospirai, lei mi sorrise, mi soffermai ancora sui suoi occhi viola. Non potei farne a meno, allora le chiesi:"Goldilocks, hai sempre avuto gli occhi viola?"
"In realtà il loro colore naturale sarebba l'azzurro" mi spiegò "ma sono viola per una mia specialità"
"Ovvero?"
"Sono capaci di mostrarmi quel che è stato, quel che è e quello che sarà"
"Un attimo quindi tu sei..."
"Onnisciente, esatto" e fece un sospiro "e ammetto, con grande gaudio a onor del vero, che ti ammiro per aver ucciso quel mostro. Era alto oltre sessanta metri e tu lo hai battuto, hai avuto più successo tu...che un Giudice Infernale".
Sgranai gli occhi e la guardai:"Che vuoi dire? Non dirmi che tu sei..."
"Si Shun, io sono un Giudice Infernale, o meglio, ero, ma almeno la mia surplice mi è rimasta".
Ero esterrefatto, un...Giudice Infernale? Non potevo crederci, dovevo star sognando, quella bambolina di porcellana non poteva essere un Giudice degli Inferi!
L'altalena scese, poi l'acqua brillò di più e la corrente mi spinse giù, finii di colpo in mezzo alla corrente marina e mi pareva quasi di soffocare, mi muovevo veloce e furioso, sbalzato dalla corrente e vedevo la luce sempre più vicina. Riuscii di nuovo a respirare, poi quando aprii gli occhi mi resi conto di essere in superficie. Ero ancora immerso sul letto dell'acqua ma era così bassa che la mia faccia era in superficie. Vidi Goldilocks guardarmi dalla riva, conosceva proprio tutte le scorciatoie quella piccola disgraziata. Risi sommessamente e mi tirai a sedere. Goldilocks mi tese la mano e io la presi, poi prima che potessi fare qualunque cosa lei mi alzò di scatto con un forza che non mi sarei mai aspettato, arrivai sulla riva e la guardai, lei poi riprese quel tono strafottente e mi disse:"Ti piacciono i biondi con gli occhi azzurri?"
"Ma che vai blaterando?"
"Quel russo ha i capelli biondi e gli occhi azzurri"
"Non mi piace, è il mio migliore amico"
"A quando le nozze?"
"La finisci?!"
"Non sarei così leggero fossi in voi" disse poi una voce maschile alle nostre spalle.
Ci girammo entrambi e guardammo con attenzione quell'uomo, era basso, magro, ricurvo e con dei tratti senili e sproporzionati. Era calvo e aveva dei denti aguzzi, gli occhi erano rossi e uno dei suoi denti era d'oro. 
"Non mi aspettavo un colpo così basso Orion" disse guardando la mia amica "passare dalla parte di Athena...", disse scuotendo il capo e facendo schioccare più volte la lungua contro il palato "non va affatto bene. Non temere però, io adesso sistemerò il tuo amico e porterò te al cospetto di Chaos a chiedere perdono in ginocchio". Improvvisamente le mie gambe cedettero, Goldilocks mi sorresse ma io sanguinavo dal costato, ero rimasto ferito nello scontro.
"Figlio di..." mormorai tra i denti, poi mi trattenni. "Vuoi che me ne occupi io?" mi chiese Goldilocks e io per una attimo fui tentato di riponderle di sì, ma un pensiero mi sovvenne alla mente: la rabbia verso mio fratello. Non da lui, ma da un'altra persona mi facevo difendere? Per giunta una ragazzina? Non mi importava che fosse un Giudice Infernale, non sapevo perché non fosse alla Giudecca e in quel momento non mi interessava. Io non ero indifeso. "No" dissi deciso, poi mi tirai su, guardai il mio avversario, poi la voce della bionda mi arrivò all'orecchio:"Lui è Morreno della Mosca, uno dei detentori degli otto rubini".
Morreno sorrise sentendoci parlare. Lo osservai, poi mi misi in posizione di difesa, deciso a difendere la mia nuova amica, Lady Saori, l'universo, la giustizia...e deciso ad avere quel rubino!
Un sospiro, poi ancora quella scarica di energia e poi una domanda che sorse dalle mie labbra:"Sei pronto alla lotta, cavaliere?".


NOTE AUTRICE: Salve! Eccovi un nuovo capitolo, so che forse può essere breve ma come al solito ci ho messo tutto il mio impegnoe spero quindi che vi piaccia! Come al solito si accettano critiche e, in caso il capitolo vi sia piaciuto, vi invito comunque a dirmelo! Vi saluto, ciao ciao!!

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Capitolo 9
*** Ritrovo ***


Eravamo lì: uno di fronte all'altro, occhi negli occhi, il respiro fermo come se quell'attimo dovesse rimanere impresso nel tempo, a futura memoria. 
Goldilocks era seduta su una roccia e ci osservava, poi eccolo,il vento birbante che tutto muoveva e così, dalla rotura di quell'immobilità, cominciò la nostra lotta. Non lo vidi nemmeno arrivare, tanto fu forte e lesto il calcio allo stomaco che mi fece finire sbalzato contro un albero, l'impatto fu tale che l'albero crollò e io caddi a terra con lui. Morreno mi fu subito addosso, a un altro calcio ne seguì un altro e poi un altro ancora, un montante su una guancia mi fece finire nel fiume vicino a noi e con il costato colpii una roccia, sputando altro sangue che si mischiò all'acqua cristallina che accoglieva in quel momento le mie membra stanche. 
Mi alzai con grande fatica mentre Morreno mi osservava divertito, come il gatto osserva il topo, fu questo il mio pensiero e, ad essere sincero, non avevo torto: il suo cosmo era immenso e terribilmente aggressivo, ma non fu solo questo a colpirmi:Il suo cosmo sembrava un collage di tante altre emanazioni dello stesso, unite in uno solo, seppur ben distinguibili tra loro. Cercai di riconoscere i vari tipi di cosmo ma erano tutti impossibili da decifrare, tranne uno, la cosa mi scioccò: quello...era il cosmo di mio fratello!
Caddi in ginocchio, era per quello che mio fratello non mi rispondeva? Era forse caduto nelle grinfie di quell'animale?
Morreno rise di gusto, trattenni a stento le lacrime, non potevo credere che Ikki fosse morto. Persi un battito e per svariati secondi non respirai, fu come un colpo al cuore, riuscii appena a vedere Morreno darsi lo slancio e saltarmi addosso. Mi lanciai anch'io, senza pensare a quel che facevo, la mia unica priorità era farla pagare a quel maledetto. Ci scontrammo e io riuscii a tirare un pugno a lui e lui fece lo stesso con me, ma ci fu una differenza: io svenni.
Quando rinvenni mi resi conto che Morreno mi era salito sulla schiena e mi stava storcendo il braccio dietro la schiena mentre con l'altra mano mi teneva la testa bloccata al suolo: "Allora?" chiese "Non ti ribelli più?". 
"Che hai fatto a mio fratello?!" chiesi allo stremo delle forze, ero inquieto, non percepivo più il mio cosmo, nemmeno quello di Goldilocks o quello del mio avversario. "Dunque avevo ragione, sei il fratello di Ikki di Phoenix!" disse soddisfatto "Quel pazzo era venuto fin qui qualche giorno fa , lo ricordo ancora, il 13 giugno", a quella frase sentivo le lacrime pungermi gli occhi, ma lui continuò:"Non ci misi molto con lui, prima assorbii il suo cosmo e poi assorbii lui stesso". Ikki non poteva essere morto...le lacrime cominciarono a scendere senza sosta, ero disperato, mi era passata la voglia di combattere, mi sentivo davvero solo. Morreno continuò a ridere e premette di più il mio crene contro il prato, sentendo quella risata, quella maledettissima risata, mi scossi: avevo ancora una ragione per combattere, la mia furia. Se fossi morto o sopravvissuto non mi importava, non mi importava che mi avesse privato del cosmo, avevo dei motivi per combatterlo e vincerlo: la mia furia, Athena, la giustizia, la salvezza dell'universo e quel rubino, quel dannato rubino!
"Morreno della Mosca...", mormorai, "questo...questo non lo dovevi fare! Catena di Andromeda, attacca il nemico!" e la catena mi ubbidì, subito strinse Morreno in una morsa micidiale ed emanò le sue scariche elettriche, poi come una frusta lo colpì spedendolo lontano da me, contro un albero. Goldilocks ci guardava con il suo solito sguardo imperturbabile, un sorriso le increspò le labbra quando vide Morreno a terra.
"Non puoi ribellarti a me, sei senza cosmo!" bablettò poi il mio nemico, ma in risposta ricevette solo un altro colpo con la mia catena, ma non si arrese, anzi, probabilmente cominciò a fare sul serio, saltò molto in alto, atterrando crepò il suolo, tanto che il terreno intorno a lui si era totalmente alzato e non vi era più stelo o albero, ma io non avevo intenzione di arrendermi, la vendetta non era tra i miei ideali, anzi, divergeva totalmente dagli stessi, ma in quel momento mi interessava solo di vendicare mio fratello Ikki, il mio amato fratello! Quanto fui  stupido, lui, così devoto alla giustizia, come poteva rinegare i suoi stessi ideali ed ignorare la chiamata in aiuto del suo stesso fratello? Decisi che non lo avrei deluso oltre, forse una strana luce mi illuminò lo sguardo, perché Morreno indietreggiò. Sorrisi, poi guardai Goldilocks. Morreno si mise in posizione di difesa mentre Goldilcks saltava dietro di me. "Ho un piano" le sussurrai, poi lei annuì e disse prontamente:"So già cosa fare, conta su di me" e sparì tra i rami degli alberi. Io e Morreno ci corremmo incontro e lui provò ancora a colpirmi con un pugno, ma io lo evitai, notando qualcosa di strano al suo braccio: dalle nocche delle sue dita erano spuntati dei piccoli aghi. Probabilemnte era stato grazie a quelli che ero svenuto, quasi sicuremente contenevano qualche tossina. Lanciai la mia catena e ancora lo fulminai, lui tra le urla mi insulava ma io ero sordo ad ogni sua parola, poi lui si alzò saltando e fece una capriola, poi fece per saltarmi addosso. Fu un attimo: sciolsi la presa delle catene e mi allontanai mentre Goldilocks si presentava al mio posto, con la sua lancia riuscì a perforare il torace di Morreno e quello crollò al suolo, urlando nella sua agonia. Mi avvicinai a Morreno e lo guardai negli occhi, lui sorrise beffardo, poi cominciò a dire:"Ebbene è questo l'amore tra fratelli?" poi sospirò e continuò:"Sai ragazzo, anche io avevo un fratello, siamo cresciuti in un paese qui vicino ma il sogno di diventare cavalieri era così forte che abbandonammo la nostra terra natìa. Entrambi concorrevamo per l'armatura della Mosca" disse battendosi una mano sul corpetto dell'armatura "ma mio fratello minore era decisamente più portato di me. Avrei dovuto provare gioia per lui e invece ho preferito l'odio, che mi spingeva a migliorare. Feci passi da gigante, ma mio fratello era sempre migliore di me. Sai cosa feci allora, ragazzo?" a quella domanda scossi la testa, lui continuò: "Fui così accecato dall'odio che uccisi mio fratello. Pagai dei cavalieri, una sorta di sicari, per farlo fuori. Cosa vuoi che potesse fare una ragazzo di quindici anni, un principiante, contro quei cavalieri forgiati da fuoco di mille battaglie? Dai tuoi occhi leggo già la risposta: nulla. Fu tutto spacciato per un incidente. Vinsi io l'armatura, ma sai, quello che gli uomini non vedono lo vedono gli dèi, e tutti videro quel che feci al mio povero fratello. Nessuno mi volle tra i suoi guerrieri, solo Chaos mi accettò, mi trattò bene, in cambio di fedeltà mi concesse di mangiare tutti i frutti più buoni ed esotici, annusare i fiori più belli e profumati, alcuni di essi esistono solo qui, oppure di lavarmi nelle acque più pulite e cristalline. Ora lascia che ti dica una cosa: tuo fratello non è morto, una volta che io avrò esalato l'ultimo respiro lo potrai rivedere". I miei occhi si illuminarono, poi lui estrasse dalla sua cintura un rubino, dei più belli che io avessi mai visto, e me lo mise in mano. "Non essere mai così furente con tuo fratello e non prendere esempio da me ragazzo, la Caina attende chi uccide gli innocenti con tanto furore", poi venne avvolto da una strana luce biancastra, e divenne sempre più luminoso, finché la luce non accecò me e la mia compagna. "Addio cavalieri", furono le sue ultime parole, poi scomparve e la lancia di Goldilocks cadde a terra. Sul prato accanto a me si formò una strana luce arancione mentre sentivo il mio cosmo ritornare a me, poi vidi una sagoma robusta e la forma dell'armatura dell'araba Fenice. Ikki era a terra, stanco, svenuto, ma era lì, vivo e salvo. Avevo salvato mio fratello. Non ci pensai due volte e lo strinsi a me con forza cominciando a piangere, era salvo, era vivo, mio fratello era con me e stava bene!
Goldilocks si avvicinò a noi, sorridendo a sua volta con fare tenero. "E' vivo..." mormorai tra i singhiozzi, mentre Goldilocks gli sentiva il battito. Mentre con una mano stringevo mio fratello con l'altra stringevo tra le dita il rubino, mi tremavano le mani. "Shun..." mormorò una voce maschile, cupa, ma che io conoscevo e amavo. "Ikki stai bene?" chiesi guardandolo, lui mi sorrise annuendo, poi mi asciugò gli occhi. "Mi hai salvato..."
"Per una volta..." scherzai io.
Goldilocks si inginocchiò e indicò davanti a noi una quercia enorme, era abbastanza distante ma nonostante fosse lontana sapevo bene che alla sua ombra ci si sarebbe potuto accampare un esercito. 
"Cos'è?" chiesi a Goldilocks, lei mi rispose così:"E' il primo pilastro, i pilastri sono otto, come i livelli della foresta".
"Livelli?"
"La foresta ha otto livelli, i pilastri conducono a questi livelli, più si scende di livello e più ci si avvicina a Chaos"
"Quindi l'ottavo rubino ci condurrà a Chaos?"
"Esattamente, ma ogni livello è peggiore di quello precedente, occorre molta cautela, ogni rubino trovato è un aumento di quanto bizzarro accade nella foresta, e qui non ve la siete passata bene"
"Affatto...quindi quella sorta di uccello era un preludio?"
"Esattamente".
Ikki sospirò e si alzò, poi disse: "Non possiamo farci intimorire da qualche bestia selvatica, l'universo è in pericolo".
Annuimmo entrambi, poi Ikki guardò Goldilocks e chiese:"E' la tua ragazza?"
"Ok che l'aspetto non è tutto, ma a me piacciono i ragazzi alti" disse poi la mia compagna alzandosi e avviandosi.
Io e Ikki ci guardammo per attimi che parvero ore, poi io chiesi, più a me che a lui:"Sta insinuando che io sia basso?"
"Non sto insinuando che tu sia basso, solo che il bassotto della vicina di casa di mia nonna è più alto di te" e continuò a camminare.
"Ha parlato la stangona svedese"
"Ti sento nano da giardino!"
"La prossima volta che mi dici che sono basso ti lancio meglio di un giovellotto, altro che Giudice Infernale!" e la seguii.
Ikki venne al nostro seguito, Goldilocks camminava con passo deciso, quasi da marcia militare, mi inquietava parecchio il suo sguardo, poi notai il suo naso: era piccolo e con la punta leggermente tendente verso l'alto.
Quasi scherzando le chiesi:"Goldilocks toglimi una curiosità: sei francese?"
"A onor del vero si"
"Da dove vieni?" le chiesi, poi lei si girò e mi sorrise, poi continuò a camminare:
"Sono nata nel 1324 a Carcassonne".
Io e Ikki ci guardammo, eravamo confusi, ma decidemmo comunque di non chiedere oltre, non era quello il momento. Arrivammo di fronte alla quercia, era enorme, il tronco era robusto e il verde delle foglie dell'albero creava un meraviglioso intreccio con la luce che oltrepasava furtiva dalle foglie. Sul tronco era disegnata una sorta di porta circolare, leggermente ovale e priva di pomello. Mi avvicinai cautamente, un passo dopo l'altro, poi con una mano toccai il tronco, quasi accarezzandolo, poi infilai con l'altra il rubino nel posto dove mancava il pomello ed entrava pefettamente. D'un tratto dal rubino cominciarono a disegnarsi tantissime linee dorate, pervadevano il tronco della quercia e piano piano si avvicinavano ai rami, poi alle foglie, tutte divennero dorate, dalla più bassa a quella posta più in alto. Guardai i miei compagni di viaggio, poi girai quella che ora era la maniglia, tirandola verso di me. Guardai nella porta e non c'era assolutamente nulla, nemmeno segatura, la quercia era cava. Mi girai verso gli altri due, che si guardarono e poi guardarono me, poi Goldilocks scrollò le spalle. Improvvisamente sentii un vento fortissimo provenire dalla porta nella quercia, anche gli altri due lo sentirono e cominciarono a guardarsi intorno, Ikki sgranò gli occhi e disse:"Attenti!" mentre dei sottili fili neri uscivano dalla porta e si protendevano minacciosi verso di noi, provammo ad allontanarci ma ci afferrarono e ci trascinarono nella porta, una volta dentro ci sentimmo preciptare nel buio mentre la porta si chiudeva, un buio soffocante, come quell'odore di legno.



NOTE AUTRICE:Ciao a tutti! Ho cambiato carattere perché mi ero resa conto che da telefono si leggeva in corsivo nonostante utilizzassi il Comic Sans (-.-). Detto questo spero come al solito che la storia vi sia piaciuta e vi invito a scrivermelo nelle recensioni nel caso, oggi ho fatto un plot-twist assurdo e spero di non venir linciata nelle recensioni XD.
Anche in caso abbiate delle critiche le accoglierò e cercherò di migliorarmi, grazie per aver letto, alla prossima!!!!

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Capitolo 10
*** La bocca dell'Inferno ***


Mi svegliai di soprassalto, ero ancora nella foresta e il vento gentile mi accarezzava i capelli. Avevo il fiato corto e una strana sensazione di vuoto mi attanagliava lo stomaco. La mia testa girava leggermente mentre mi rendevo conto, con sgomento, che nell'aria potevo sentire un suono familiare: campane.
Mi alzai lentamente reggendomi la spalla, Ikki non c'era e nemmeno Goldilocks, ero da solo, di nuovo. "Fratello!" gridai "Goldilocks!", ma nulla, non un fiato. Mossi i primi passi e il rumore dell'erba accompagnava il battito del mio cuore che aumentava gradualmente ad ogni passo, poi il suono delle campane cessò e io mi sentii ancor più perso, solo in quella landa silente in cui tutto taceva e solo l'erba schiacciata dai miei piedi offriva qualche suono, un suono secco, lieve, ma un suono. Il piano era uguale al precedente, meraviglioso e inquietante a un tempo, una via di mezzo tra la meraviglia di una fiaba e l'inquietudine di un cimitero.
Gli alberi si intrecciavano fitti sopra la mia testa e la luce solare filtrava tra quelle foglie. Camminavo senza sosta e nel frattempo riflettevo: Se abbiamo aperto la prima porta vuol dire che il conto alla rovescia per il Divinus Siderus è iniziato, dicevo tra me e me, devo trovare gli altri e sbrigarmi. Sentii una strana emanazione di cosmo alle mie spalle e mi voltai di scatto. "Tu non andrai da nessuna parte" mi disse una strana voce femminile, ma davanti  a me non c'era nessuno. Mi guardai attorno, ma appena feci per avanzare mi resi conto che i rami dietro di me avevano formato una sorta di muro. Mi avvicinai e lo toccai, i rami si intrecciavano tra loro in fili taluni sottili e altri robusti, e così fecero anche ai lati, formando un unico corridoio, buio e inquietante, anche sopra fu tutto coperto, era impossibile vedere qualunque cosa. Spaventato caddi seduto a terra e raccolsi nel mio pugno un mucchietto di terra, poi lo lasciai cadere a terra. Mi risollevai e cominciai di nuovo a camminare, un passo e poi un altro, lentamente, finché non trovai il coraggio e cominciai a correre anche se era talmente buio che anche chiudendo le palpebre non sarebbe potuta esservi oscurità più grande. Cominciai poi a sentire un brusìo, mi arrestai però quando mi resi conto che questo brusìo non era altro che un coro di voci e ad accompagnarlo c'era un violino, o forse più di uno, non l'ho mai saputo con precisione, poi mi resi conto di quale brano fosse: era un requiem, e uno molto famoso, "Dies irae", di W. A. Mozart.
Mi chiesi cosa stesse succedendo, cos'era quel coro? Perché aveva cominciato a suonare? 
Avevo molte domande, ma il volume di quella musica era assordante e in breve tempo fui preso da un grande mal di testa, non capivose fosse dovuto al volume o alla musica in sè, che fosse qualche incantesimo? Non lo sapevo, ma l'istinto di sopravvivenza ebbe la meglio e così continuai a correre cercando un riparo ma sembrava che tutto mi conducesse solo verso quel punto, ma non sapevo nè dove stessi andando e nemmeno perchè lo stessi facendo, sapevo solo che stavo correndo come un pazzo e che...non riuscivo a controllare le mie gambe! Era come nella fiaba delle scarpette rosse, per quanto la bambina ci provasse non riusciva a smettere di ballare, ebbene, io non riuscivo a smettere di correre, nemmeno quando il mio cuore implorava pietà. Cominciò a farmi male il petto e quel requiem non faceva che peggiorare le cose, la musica si infilava nelle mie orecchie e mi portava verso un oblìo a cui non riuscivo a sottrarmi, martellava nelle mie tempie, graffiava le mie orecchie, martellava il mio cuore che non aveva mai fatto tanto male e io mi sentivo sprofondare, come sprofonda il cemento in mare, e il mio sembrava un mare di agonia. Dopo un po' vidi davanti a me una strana luce rossastra, simile a fuoco, ma più mi avvicinavo più era visibile...ero...non so nemmeno come descrivere il mio stato d'animo, forse perché ero talmente sotto shock da non provare nulla, da annullarmi nel vuoto della mia mente. Era un buco profondo centinaia e centinaia di metri, dal fondo c'era una luce, come se fosse un mare di fiamme, tanti come me correvano verso quella che, stando alle descrizioni, poteva essere con buona probabilità la bocca dell'Inferno. Vedevo uomini, donne e bambini correre verso quel fosso urlando e poi ci saltavano dentro, bruciando tra le urla e il pianto. Sgranai gli occhi, cos'era quello?! Un incubo?! Mi avvicinavo sempre di più a quella fossa ed ero terrorizzato, cosa stava succedendo? Perché ero lì? Stavo forse morendo? Goldilocks e Ikki ci erano già finiti dentro?!
Non me ne resi quasi conto, mi diedi lo slancio con le gambe e saltai nella fossa, un caldo incredibile mi avvolse, anche se ero ancora in aria, sgranai gli occhi mentre mi sentivo cadere a testa in giù, verso le fiamme. Non gridai nemmeno, ma ripresi padronanza di me stesso e riuscii ad afferrare una catena che era stranamente appesa vicino al muro di roccia. Poggiai i piedi su quel muro e con entrambe le mani mi ressi alla catena, poi, cosciente che prima o poi o sarei scivolato o la catena si sarebbe staccata, con un movimento veloce del braccio sinistro lanciai la catena di attacco che si impigliò in un punto che non riuscivo a vedere, poi la attorcigliai meglio intorno al mio polso e la usai per reggermi mentre lanciavo anche quella di difesa, anche quella si impigliò e dandomi un altro slancio con le gambe saltai fuori aiutandomi con le catene, atterrai di nuovo sul muro di roccia e saltai ancora, poi saltai fuori da quella fossa e atterrai poco distante. Respiravo a fatica, poi caddi in ginocchio tenendomi il petto, quanta paura avevo avuto!
Mi sollevai di nuovo in piedi e tirai un pesante sospiro, infilando una mano nella frangetta e muovendola leggermente. 
"Sei più abile di quel che credessi" disse ancora quella strana e maledetta voce femminile; mi voltai e non vidi ancora nessuno, ma la terra si scosse e la temperatura aumentò di colpo, poi dal mare di fuoco si alzò una strana roccia piana, era una sorta di piattaforma e rimase sospesa nel vuoto, su di essa c'era, in piedi, una figura alta e incappucciata. La osservai a lungo, poi mi decisi ad avvicinarmi e mormorai: "Chi sei?", lei non rispose, si tolse il cappuccio liberando al vento dei capelli lunghi ed argentati, si tolse anche il mantello e pareva simile ad una di quelle dame medievali, ma addosso aveva un'armatura: aveva un vestito lungo fino alle ginocchia verde scuro, il corpetto che le stringeva il petto era marrone e così le ginocchiere e gli stivali, i bracciali di quella che doveva essere la sua armatura erano marroni anch'essi e in una mano stringeva il ramo di un qualche albero che non sapevo riconoscere; sul dito della stessa mano portava un anello la cui pietra era verde scuro, come il vestito, ma nell'anello era presente anche una "F" di color oro. "Il mio nome è Dalia" disse lei "sono la guardiana della bocca dell'Inferno"
"Bocca dell'inferno?" le feci eco io, mentre lei si spostava una ciocca di capelli dietro la schiena, lei distolse lo sguardo e disse:"Zorba non ti ha forse detto di stare lontano da qui? Evidentemente non hai ascoltato e hai deciso di fidarti di..." e non terminò, sospirando.
"Di...?" le chiesi esortadola a continuare, ma lei scosse la testa e mi guardò, ordinandomi con voce solenne:"Sei un cavaliere? Allora vieni, sali su questa piattaforma e affronta me, Dalia, la più potente di tutte le streghe!" e balzò indietro, indicandomi la piattaforma, in un ordine muto. "Come rifiutare l'invito di una così bella signorina?" dissi per darmi un tono e saltai, quando atterrai la piattaforma immediatamente si sbilanciò, ma a Dalia non parve importare, sembrava anzi che vi fosse abituata. La temperatura crebbe nuovamente e Dalia spiccò un balzo venendo contro di me, io mi scansai ma quella sembrò prevedere la mia mossa e si girò prontamente, muovendo la bacchetta e generando un muro di sfere, erano simili a tanti piccoli soli e tutti vennero contro di me. Provai ad usare la Rolling Defense, ma fu vana e i soli riuscirono comunque a colpirmi, spingendomi verso il bordo di quel ring evidentemente improvvisato. Dalia cercò ancora di attaccarmi, puntò la sua bacchetta verso il cielo e velocemente la fece andare giù, trasformandola in una frusta. Con un movimento veloce del braccio la mosse contro di me e riuscì a prendermi il polso.
"Shun di Andromeda, questo mare infuocato sarà la tua tomba, accetta serenamente il tuo destino" disse tendendo di più la frusta; un rivolo di sudore mi percorse la fronte, poi mi decisi ad attaccare: con un balzo fui vicino alla donna ma atterrando sotto di me si venne a formare una sorta di cerchio bianco da cui partì una colonna di luce bianca e luminosa, fui investito in pieno e gridai di dolore. Quando la colonna sparì quasi caddi a terra ma Dalia mi tirò un calcio spedendomi fuori dalla piattaforma, riuscii appena ad aggrapparmi, infilai le unghie nel terreno, non potevo cadere. Dalia si avvicinò a me e mi guardò, sorridendo leggermente. Lanciai ancora la catena di attacco ma la deviò con un semplice movimento del braccio, facendola cadere. Mi afferrò dal polso, aveva una forza sorprendente, poi mi lanciò di nuovo sulla piattaforma. "Sarebbe meglio ucciderti ora" disse seccata "ma voglio usarti come monito per chi oserà ancora disturbare i piani del Sommo Chaos, ti appenderò come uno spaventapasseri vicino alla porta del secondo livello. Hai qualche preghiera prima di morire?" chiese poi alzando la frusta al cielo mentre diversi fulmini si avvicinavano alla sua punta. Provai ad alzarmi ma schiacciò la mia testa con un veloce movimento del piede facendo scheggiare il pavimento che colpii con la testa. 
"A quanto pare no. Muori Shun di Andromeda!" e fece per abbassare il braccio, ma la sentii gridare, poi indietreggiare. Alzando la testa vidi decine e decine di piume di bronzo che le trafiggevano il braccio. Stringeva i denti mentre lo reggeva, guardando oltre  me. Mi voltai e vidi che dietro di me c'erano Ikki e Goldilocks. "Tu...!" esclamò Dalia "Tu!", non capivo e guardai Goldilocks e, nonostante il sorrso elegante che le increspava le labbra vedevo le ciglia corrugate in quello che chiunque avrebbe definito un misto tra un ghigno e un sorriso compiaciuto. "Tu li hai portati qui..." continuò la strega, ma Goldilocks la interruppe:"Non ti intromettere, non sei tu il nostro obiettivo, vogliamo il rubino del terzo livello".
"Scordati che vi lasci passare, sei solo un'illusa", poi dissero, insieme, in coro:"Sorella sciagurata!".



ANGOLO AUTRICE: Salve a tutti gente, eccomi qui con un nuovo capitolo! Mi scuso per il ritardo, lo avrei fatto uscire ieri sera ma siccome pareva più un film di Tim Burton che una Fanfiction sui cavalieri più sfigati dello zodiaco ho preferito cancellare (-.-').
Spero che vi sia piaciuto il capitolo e in caso scrivetemelo nelle recensioni oppure anche qualora siate vogliosi di espormi delle critiche le accetterò con piacere così da migliorarmi! 
Ci si vede al prossimo capitolo gente!!

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Capitolo 11
*** Lotta tra sorelle ***


Le due sorelle si guardarono negli occhi per attimi che parvero infiniti. Goldilocks si avvicinò alla piattaforma e continuò ad osservare Dalia, i suoi occhi parevano privi di qualunqe espressione. "Sorella" parlò Dalia "non intrometterti in queste cose, non dirò a Chaos del tuo passaggio, ma tu stai fuori da queste cose". "Prima mi definisci una sorella sciagurata e poi mi risparmi? Dalia, non sono una bambina, ho fatto le mie scelte e a prescindere di quali siano le conseguenze. Lasciaci passare o li farò passare io al costo di combattere contro di te". "Tu sei pazza!" urlò Dalia "Perché non mi ascolti? Tu sei mia sorella e io non voglio combattere contro di te, ti ho difesa da Contessina sin da quando eri viva, vuoi che anche dopo la morte io mi tormenti per la tua scomparsa Be-" ma non fece in tempo a terminare il suo sproloquio, perché un colpo di Goldilocks la colpì dritta allo stomaco, facendola cadere e rotolare indietro. "Non azzardarti a dire il mio nome," disse Goldilocks mentre gli occhi viola cominciavano a brillare come due fari accesi "piuttosto difenditi". Guardai Goldilocks evidentemente confuso, non riuscivo a capire cosa stesse succedendo e nemmeno quel suo cambiamento repentino, per quanto la conoscessi da poco e avessi capito fino a che punto poteva essere priva di scrupoli non mi sarei mai aspettato una simile lotta contro sua sorella! Lo sguardo di Dalia era cambiato alla vista di sua sorella, passando dalla soddisfazione nel vedermi a terra alla rabbia e poi alla disperazione. Che fosse preoccupata per il destino di sua sorella? Chi era Contessina?
Dalia si alzò tenendosi lo stomaco ed osservando la sorella negli occhi, quegli occhi viola privi di ogni espressione. Sono questi i danni dell'onniscienza?, mi chiedevo turbato in un pensiero che non riuscii ad esprimere. Mio fratello mi aiutò ad alzarmi, ma io ero concentrato su quelle due. Dalia sospirò e si mise in posizione di difesa, era evidente che volessero lottare. "Sai vero, che perdendo tempo qui Contessina si avvicinerà sempre di più a Chaos?"
"Lo so" rispose Goldilocks "ma proprio perché si avvicinerà di più a Chaos sarà più divertente combatterla".
"Non fate sciocchezze!" le ammonì Ikki "Combattere qui non solo è pericoloso ma ci ruberebbe anche molto tempo, dobbiamo correre a prendere il rubino!"
"Ikki ha ragione" mi aggiunsi io "Dalia, combatti con noi, i servigi a Chaos non ti porteranno da nessuna parte, una volta che lo avrai aiutato si sbarazzerà di te, non lo capisci?!"
"Preferisco non capire questo" commentò Dalia freddamente "che sopportare l'ingratitudine di mia sorella minore".
Si saltarono addosso l'una contro l'altra: Goldilocks cercò di colpire Dalia con la sua lancia ma la strega si parò con un braccio deviando la lancia, poi la prese dalla caviglia e cercò di buttarla a terra ma Godilocks riuscì ad atterrare daprima sulle braccia, poi si diede lo slancio su quelle e atterrò in piedi. Si ritrovarono di nuovo l'una contro l'altra, per un attimo ebbero lo stesso sguardo, ma gli occhi di Dalia, blu come il cielo, si persero in quelli viola della sorella minore come a cercare quell'affetto lontano che un giorno avevano provato reciprocamente. 
Goldilocks cominciò a togliersi l'armatura, si tolse prima i braccioli, poi gli spallacci, la gonna e il torso, mostrando il suo cappotto rosso. "Voglio darti una possibilità, sorella" disse "non hai la tua armatura, non posso combattere con quella indosso". Dalia piegò leggermente le ginocchia e spalancò le braccia mentre espandeva il suo cosmo; "Non mi serve la tua pietà" disse freddamente mentre anche Goldilocks replicava quella posizione. Si diedero entrambe lo slancio e avvicinarono il pugno al proprio fianco nella medesima posizione, poi una luce fortissima, entrambe si erano colpite allo stomaco. Goldilocks atterrò nella posizione dove prima stava Dalia tenendosi lo stomaco, mentre Dalia atterrò con nonchalance di fronte a me ed Ikki, alzandosi immediatamente. "Hai dimenticato una cosa" disse voltando lo sguardo verso Goldilocks "siamo sopra la bocca dell'Inferno. Io sono sopra ciò che mi dà maggiore energia, sono praticamente invincibile". Goldilocks si alzò e bruciò ancora il suo cosmo, la sorella la guardò e disse:"Non ti arrendi mai eh? Complimenti per la tenacia, ma mi costringi ad agire di conseguenza". Entrambe concentrarono nelle loro mani delle sfere di energia, erano luminose, e molto, quasi accecanti. "Ferme! La vostra forza si equivale, rischiereste di iniziare una Guerra del mille giorni!" disse Ikki, ma nessuna delle due lo ascoltò. 
"Non vi impicciate!" urlarono all'unisono e si lanciarono addosso le sfere, iniziando una Guerra dei mille giorni, in quel momento mi ricordarono molto Dohko e Shion. Retreggiai, Ikki le osservava e rimaneva in silenzio mentre mi stringeva una spalla con la mano, forse ricordando i giorni in cui siamo stati nemici. A mano a mano il cosmo delle due sorelle si espandeva sempre di più mentre quel posto tremava, anche la piattaforma lo faceva, cadevano rami, pietre, foglie, sentivo il suolo tremare sotto i nostri piedi, tanto che persi l'equilibrio; Ikki mi afferrò prontamente per un braccio mentre cercava anche lui di reggersi in piedi. Smettetela!, volevo gridare ma sapevo che mi avrebbero ignorato, erano troppo concentrate. "Forse posso provare a bloccarle con le catene" sussurrai ad Ikki, poi lui continuò: "Non ti conviene, sembrano più forti anche dei cavalieri d'oro, simili a noi con le armature divine, se non più forti"
"Non immaginavo che Goldilocks potesse essere tanto potente"
"Nemmeno io, ma ho un'impressione strana"
"Quale?"
"Hai presente quando la forza viene trattenuta?"
"Si"
"Lo avverto da entrambe le parti...".
Le guardai, lo sguardo di Dalia stava cambiando, che stesse pensando a quel che stava facendo?
Guardò la sorella, ferma nel suo obiettivo ma al contempo esitante per la persona che aveva davanti. Le sopracciglia mi tremavano, pregavo affinché si fermassero ma non lo facevano, piuttosto Goldilocks guardò nella nostra direzione e gridò:"Attenti!", guardando sopra la mia testa potei vedere un enorme masso cadere sopra di noi. Ikki sgranò gli occhi, fu questione di secondi, Goldilocks lasciò il colpo per venire verso di noi ma fu colpita in pieno, si sbilanciò e cadde dalla piattaforma, nel frattempo mi sentii buttare verso destra e vidi nello stesso momento il masso cadere sulle spalle di Ikki, che lo reggeva e io chiusi gli occhi.
Quando li riaprii mi resi conto che Dalia si era buttata al lato della piattaforma in roccia, quando mi girai mi resi conto che stava tenendo il polso di Goldilocks. 

Non potei fare a meno di sorridere vedendo quella scena, poi sentii la maggiore urlare:"Non preoccuparti, ora ti tiro su!" e così fece, tirando su la sorella minore come se fosse una piuma, Goldilocks era ferita alo stomaco, il sangue si mischiava al rosso del suo cappotto , respirava a fatica e si teneva lo stomaco con una mano mentre con l'altra si reggeva alla spalla di sua sorella maggiore mentre questa le cingeva le spalle con un braccio. "Perdonami..." fecero in coro e si abbracciarono, mentre la piattaforma diventava di nuovo parte del terreno, poi la terra finalmente smise di tremare, i rami e le pietre smisero di cadere e la pietra che Ikki teneva faticosamente sulle spalle si sgretolò. Corsi da lui e lo aiutai ad alzarsi, Ikki fece scrocchiare le spalle borbottando qualcosa di incomprensibile, poi sentii una voce dietro di me: "No ma prego eh", era tornato..."Odette dei poveri!" gli risposi, mentre lui rideva e mi dava una pacca sulla spalla, chiamandomi:"Americano!". Ci abbracciammo, mi era quasi mancato, poi guardammo tutti Dalia, speranzosi. Lei si sentì evidentemente in imbarazzo e si grattò dietro la testa. 
"Meno male che questo pennuto è arrivato in tempo..." disse poi una voce dietro di me, era una voce femminile e leggermente infantile, quando mi voltai ci misi un attimo a realizzare quello che vidi. Dietro di noi c'era una ragazza di circa diciassette anni, aveva un cappotto blu con della pelliccia sul cappuccio, una maglietta larga e bianca, dei pantaloncini neri e calze parigine dello stesso colore e ai piedi aveva delle scarpe da ginnastica bianche. I capelli erano bianchi e corti, formavano un caschetto mentre la pelle era dello stesso colore dei capelli, gli occhi, invece, erano particolarissimi: avevano la sclera nera, mentre la pupilla era blu elettrico. Si mise una mano tra i suoi capelli arruffati e sospirò guardandoci uno per uno, poi con voce monotona disse a Dalia: "Hai finalmente capito i tuoi errori?", Dalia annuì lentamente ed abbassò lo sguardo, tra tutti calò il silenzio. era forse quella ragazza dall'aspetto trasandato la persona specializzata nella cura di cui mi parlava Goldilocks?
La ragazza si avvicinò alla mia amica e le poggiò una mano sullo stomaco, su cui brillò una luce celeste, poi la ferita sparì e persino i vestiti si ricucirono. La ragazza si alzò e con fare inespressivo si presentò:"Io sono Eretria".
Guardai Hyoga e lui annuì, poi aiutò Goldilocks ad alzarsi e lo stesso fece con Dalia.
"Forse dovremmo andare..." disse Ikki "non possiamo perdere altro tempo".
Ci alzammo tutti e ci avviammo, solo Dalia rimase lì dov'era, poi la sentimmo con voce flebile:"Aspettate..." disse, e noi ci fermammo "sono con voi".

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Capitolo 12
*** Alla luce della torcia ***


"Come ci avete trovati?" chiesi guardando nella direzione di Hyoga, il quale si limitò a scrollare le spalle mentre Eretria prendeva la parola:"Semplice: Dalia usa spesso questo corridoio come luogo per i suoi omicidi, diciamo che è un particolare tipo di incantesimo abbastanza usato dalle streghe, l'Incantesimo Sovrano. Può essere usato da chiunque, ognuno ne ha uno, però solo una volta in ventiquattro ore. Siccome lo conosco bene ho intuito che vi trovaste qui, inoltre, Hyoga ha percepito il tuo cosmo e io quello di Orion. Non c'è da stupirsi quindi". Parlava con tono di sufficienza, come se stesse parlando del tempo. Quella ragazza era alquanto inquietante e probabilmente non ero l'unico a vederla come una persona particolare: Hyoga si guardava bene dal rivolgerle lo sguardo e Dalia si stringeva un braccio, come se fosse in imbarazzo, solo Goldilocks non sembrava risentire della sua presenza, ma non me ne stupivo, tra pazze ci si intende, pensavo. Eretria infilò etrambe le mani nelle tasche del piumino, abbassando lo sguardo, poi Ikki asserì:"Non possiamo perdere altro tempo, le ventiquattro ore sono già cominciate!"
"Non così in fretta" disse Eretria con tono monotono "non riuscirete mai a superare il secondo piano". Ci voltammo tutti, ad ascoltare quel che aveva da dire quella strana ragazza, i nostri sguardi la esortavano a continuare, e così fece lei:"Non solo nessuno è mai riuscito a trovare il proprietario del rubino, ma si dice che sia talmente potente da poter manovrare tutto il secondo piano, è persino possibile che ci stia ascoltando: manipolando gli alberi e i sentieri trasforma il secondo piano in un labirinto privo di uscita in cui gli uomini sono destinati a vagare finché la morte non  sopraggiunge". "Una persona simpatica insomma" commentò Goldilocks in tono sarcastico, poi le chiesi:"Goldilocks sbaglio o sei onniscente? Non potresti guidarci tu?".
Goldilocks ed Eretria mi guardarono e calò il silenzio. Goldilocks cercò all'inizio di trattenere le risate, poi comincò a ridere fragorosamente portandosi una mano alla fronte mentre Eretria alzava un sopracciglio guardando nella mia direzione, come se la mia domanda fosse la più stupida mai posta. Guardai mio fratello e lui pareva più confuso di me, allora chiesi:"Cosa c'è di così divertente?" e incrociai  le braccia, Goldilocks parve tentare di trattenersi , poi poggiò la mano sulle labbra e cessò di ridere con somma fatica. "Credi davvero che se avessi potuto rivelarti passo passo cosa fare ti avrei aiutato? Per cortesia, Chaos mi avrebbe già uccisa se potessi farlo" disse con tono di scherno per la mia stupidità, poi rise sommessamente poggiandosi una mano sul fianco. "Chi è onniscente senza essere una divinità non può rivelare avvenimenti futuri" chiarì Dalia con un tono più pacato di quello della sorella minore, io annuii ma il comportamento di Goldilocks mi pareva strano: per quanto potessero essere esplosive le sue reazioni non aveva mai reagito in tale maniera. Tentai di non pensarci, poi un pensiero mi balenò in testa: "Hyoga" lo chiamai "come siete entrati?". Lui mi rispose che semplicemente aveva aperto un varco congelando i rami e poi distruggendoli, domanda abbastanza stupida anche questa. "Non dovremmo cercare di uscire allora?" disse Ikki e tutti annuimmo, ma avevo una strana sensazione. Ci incamminammo, però per strada notai qualcosa di strano: Goldilocks ed Eretria si guardavano, gli occhi negli occhi, ma le espressioni cambiavano, stavano forse parlando telepaticamente? Dalia rimaneva estranea a tutto, era calata un'atmosfera pesante come un macigno, ma sembrava che Eretria e Goldilocks non se ne accorgessero.
La terra tremò un secondo, facendoci fermare, mio fratello si guardò intorno ma non riuscivamo più a vedere nulla, della cenere ci entrò negli occhi, le nostre grida vennero coperte dal vento impetuoso, tanto potente che ci sollevò in aria, era forse un tornado quello? Quando tutto cessò cademmo tutti a terra. "State bene?" chiese Ikki tenendosi la spalla, da parte nostra giunsero alcuni lamenti e qualche "Sì" detto tra i denti. Ci alzammo, ma quanto eravamo finiti in alto?!, mi chiedevo, poi notai che il corridoio era sparito. Guardai Dalia ma dalla sua espressione stupefatta poteva comprendere che lei non c'entrava nulla, con mio grande rammarico. Mi guardai intorno, poi alzai lo sguardo al cielo e mi resi conto che si stava annuvolando.
Notai un bagliore poco distante da noi, era strano, cosa poteva essere?
Cosciente della pericolosità della mia azione ma guidato dalla curiosità, una vera canaglia, mi incamminai. La voce di Dalia mi sopraggiunse ma pareva un sussurro lontano, ormai la mia mente era catturata da quel bagliore. "Shun non allontanarti, è pericoloso!" diceva, io separai i rami di un cespuglio e fu strano quel che trovai: una sorta di fragola blu e marcia. Rimasi perplesso e lo presi tra le dita, poi lo raccolsi, cos'era quel frutto così particolare?
"Shun!" mi sopraggiunse poi la voce di Goldilocks allarmata, mi voltai appena in tempo per vedere dei tronchi altissimi spuntare dal terreno e formare un muro altissimo. Poggiai le mani su quel muro, poi tirai qualche pugno. "Ragazzi!" li chiamai " Ragazzi mi sentite?!" "Shun!" fu la risposta di Hyoga "Aspetta, ti tiro fuori!" disse e poi sentii gli alberi diventare freddi, ma poi tornarono tiepidi. "Maledizione!" imprecò il mio amico poi riprovò ma ancora una vota fu tutto vano, dopo un po' potei sentire chiaramente un rumore di vetri infranti e Hyoga gemere di dolore. "Non giocarti la mano" disse Goldilocks, poi mi si rivolse con queste parole: "Mangia la parte matura del futto". Guardai quella strana fragola, girandola tra le  dita, poi me la avvicinai alle labbra e staccai un morso: il sapore era strano, era dolciastro ed amaro allo stesso tempo, era disgustoso. Sentii un rumore che ricordava l'apertura di una serratura, poi mi resi conto che accanto ai miei piedi si stava formando una sorta di scala a chiocciola i cui gradini erano in pietra. Era disturbante ma ero chiuso tra quattro mura, delle dimensioni di un ascensore. "Ragazzi" chiamai io "mi si è formata una scala a chiocciola accanto!"; "Shun non scendere" mi disse Hyoga, ma subito dopo Goldilocks disse, in tono imperativo: "Scendi". Ero confuso, li sentii litigare:"Stammi a sentire bambolina" disse Hyoga "io non ti conosco ma sappi che già dai tuoi toni non mi piaci affatto, hai messo tu Shun in questo guaio, evita di combinarne altri", era alterato e lo fu ancora di più sentendo la risposta di Goldilocks, calma, pacata e pungente come solo le sue provocazioni potevano essere: "Perdonami testimonial dei polaretti, ma se vuoi vedere il tuo amichetto vivo conviene che mi ascolti, a meno che tu non voglia vederlo come uno scheletro in uno spazio grande due metri quadrati!".
Hyoga tacque, poi Ikki cercò di fare da paciere e disse: "Dobbiamo fidarci di lei, dopotutto se Shun la ha ancora al suo fianco un motivo ci sarà, lo avrebbe già ucciso altrimenti".
"Va bene" borbottò Hyoga, io presi quella risposta per un permesso, e guardai le scale in pietra, alcune erano storte, altre più alte o più basse della precedente e portavano su di loro dei solchi, come se fossero le orme del tempo ormai trascorso. Lentamente cominciai a scendere, a mano a mano che scendevo potevo sentire l'aria rarefatta e l'odore della pietra e della terra farsi spazio tra le narici, mi parve di scendere in una cripta. Più scendevo più mi allontanavo dalla luce, facevo fatica, non vedevo bene e mi dovevo reggere ai muri. Dopo un poco sentii un suono simile a quello di poco prima e calò il buio. La porta si era chiusa. Mi guardai intorno ma vedere era impossibile, più scendevo e più faceva freddo, era inquietante sentire i miei passi come unico suono. Il mio respiro si fece affannoso, mi sentivo osservato e non era una bella sensazione. Sentii poi un rumore simile a quello dei passi, come una corsa. Mi voltai di scatto e poi guardai di nuovo davanti a me, ma per il movimento brusco persi l'equilibrio e caddi cominciando a rotolare giù per le scale. Quando mi fermai  mi accorsi di una luce in lontananza: era una torcia, di quelle che si vedono nei castelli medievali. Mi alzai e cominciai a correre in quella direzione, poi mi appoggiai al muro e mi resi conto che oltre quella luce non c'era nient'altro, poi era solo buio. La presi in mano, era pesante, decisi di camminare con quella. Camminavo lentamente, un passo dopo l'altro, in totale silenzio, c'era solo il rumore appena accennato dei miei passi, cercavo intorno a me, avevo paura che qualcosa mi saltasse addosso da un momento all'altro. Avevo paura di girarmi, sentivo che qualcosa mi seguiva, continuavo semplicemente a camminare, un passo, due...il silenzio totale. "Sono un cavaliere", cercavo di ripetermi, "qualunque cosa sia...posso difendermi! Non devo avere paura.", ma, ahimè, la mia non era paura della morte quanto di un nemico nascosto nel buio...che silente mi attendeva, nel'angolo che stavo per svoltare...a sinistra. Mi bloccai dopo un po', rendendomi conto di aver ragione e di non essere solo: Dal fondo del corridoio potevo denotare chiaramente un'altra luce e un'ombra avvicinarsi all'angolo, come se volesse venirmi incontro.


ANGOLO AUTRICE: Hoiiiiiii!!!! Eccomi qui con u nuovo capitolo! Mi scuso per la sua brevità ma purtroppo è tardi, sono stata tutto il giorno fuori e ho sonno XD. Intanto mi scuso anche per il precedente in quanto non solo era molto breve ma era anche pieno di errori di battitura, e che ci voglamo fare Ferragosto è Ferragosto (-.-).
Intanto spero che vi sia piaciuto e vi invito a scrivermelo nelle recensioni, che mi fanno un sacco piacere, vi invito anche a correggermi eventuali errori in caso ne sentiate il bisogno, sono sempre felice di migliorarmi!
Detto questo io vi saluto, un bacione dalla vostra Soleil, ciaooooo!!!





 

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Capitolo 13
*** La leggenda della Contadina di Cannes ***


Mi bloccai subito, non riuscivo a muovermi, le membra erano diventate pesanti come macigni e la mia attenzione era totalmente catturata da quella luce distante. La figura uscì allo scoperto: aveva lunghi capelli blu legati in una coda bassa da un nastro blu, gli occhi avevano una particolare sfumatura rancione e la pupilla era simile a quella dei gatti. L'uomo, alto ed esile, mi osservava con una mano su un fianco e sembrava aspettare che mi avvicinassi, ma io non mi mossi, ero totalmente bloccato e soprattutto non riuscivo a distogliere lo sguardo da quegli occhi. "Oh mio Dio, un'altra povera anima dispersa in questi meandri oscuri come l'animo umano" disse lui "ti sei forse perduto? Non avere paura, io non ti farò del male". Fece qualche passo verso di me ma io retreggiai, non mi piaceva quell'uomo, lui si fermò e sorrise e mi guardò quasi dolcemente, poi disse:"Non avrai certamente paura di me, spero. Beh, le mie speranze sembrano vane". "Risarmiami la tiritera" dissi io retreggiando "so benissimo chi sei", lui alzò un sopracciglio e mi chiese con aria innocente:"Possibile?". "Certo che è possibile", continuai "non fare il finto tonto con me, Zorba".
Lui mi osservò dall'alto al basso e si mise a ridere, vedendo che mi ero messo in posizione di difesa, poi fece un cenno con la mano per tranquillizzarmi:"Mi hai scoperto Sherlck, ebbene si, mi chiamo Zorba, ti piace il mio nome?". "Non ho voglia di scherzare", continuai "se vuoi lottare ti aspetto, fatti avanti maledetto!". "Calmati ragazzino" disse lui "stai tremando come una foglia, se continuerai così potrebbe caderti la torcia. Mi spiace deluderti ma io non sono Zorba" 
"Come?"
"Se fossi davvero Zorba" disse poi facendo una pausa "ti avrei già ucciso, non potresti fare nulla da solo, quel giocattolo sarebbe praticamente inutile", poi mi prese il polso in modo da fermarlo, quando mi calmai lo lasciò e disse:"Ora va meglio". "Aspetta, se tu non sei Zorba allora tu chi sei?", poi lui mi sorrise fece un inchino facendo roteare il polso e si presentò:"Il mio nome è Diderot, nobile cavaliere" e alzò lo sguardo su di me, continuando "seguimi, forse è il caso di uscire di qui, l'aria è molto rarefatta, non trovi?", poi senza asettare una mia risposta si avviò, ma non prima di sorridermi in modo quasi inquietante. Qui sono tutti matti, mi ripetevo mentre lo seguivo, Diderot aveva un passo svelto e la sua eleganza si esprimeva anche nei suoi movimenti, era raffinato e sembrava uno di quei signori inglesi dell'epoca vittoriana, il suo completo bianco non era minimamente sporco, ma le sue scarpe erano piene di polvere, segno che aveva camminato a lungo i quel cunicolo. A mano a mano che camminavamo mi potevo rendere conto di come il soffitto si abbassasse sempre di più, dopo un pò infatti fummo costretti a piegarci per continuare a camminare. Diderot caminava con gli occhi bassi, poi ci trovammo di fronte ad un muro. Lo guardai interrogandolo con tutta la faccia ma lui mi rispose semplicemente:"Stai indietro", poi poggiò la mano su una sorta di mattone e retreggiò anche lui, mentre davanti a noi si formava un'altra scala a chiocciola. Diderot prese la mia e la sua torcia e le spense in un secchio d'acqua lì vicino, poi cominciò a salire invitandomi a seguirlo con un gesto della mano. Lo seguii e salimmo le scale, fu molto più faticoso di prima ma Diderot pareva quasi abituato, infatti non lo sentivo mai ansimare oppure scomporsi, a mano a mano la temperatura cominciava a salire, faceva sempre meno freddo, poi Diderot poggiò una mano su quello che sarebbe dovuto essere il soffitto mentre con l'altra infilava una piccola chiave d'oro e la infilava in una serratura, poi la fece girare ed aprì quella che pareva una sorta di botola, poi uscì. "Vieni pure" mi disse con tono rassicurante, mentre lui usciva e la luce dell'esterno illuminava l'entrata. Non abituato alla luce mi coprii gli occhi con entrambe le braccia, rimasi così qualche secondo e poi, dopo essermi abituato, uscii dalla botola per poi rendermi conto di trovarmi in una sorta di pozzo vuoto, pieno di rampicanti ed erbacce. Mi guardai intorno sotto lo sguardo divertito di Diderot, il quale mi prese in giro, dicendomi:"Benvenuto nel mio castello, non è molto carina l'entrata? Beh,certamente non da dove sei entrato tu, ma sempre meglio un vecchio pozzo che un cunicolo pieno di ratti, polvere e insetti. Tranquillo, ora usciamo" e rise, rise molto,ma senza perdere la sua innata eleganza. Alzò leggermente un piede, sotto il quale volò un pezzo di legno! La piccola tavola rettangolare si posò sotto il piede di quell'uomo, poi lui si issò su di essa e lo rifece con l'altro piede, e poi con l'altro, formando una scala. Io ero un po' titubante, ma quell'uomo mi incuriosiva e mi affascinava, anche se era molto inquietante, aveva un non so che di particolare, un fascino che l'uomo conosce solo esplorando i meandri più profondi dell'occulto e della notte, un fascino che poteva essere scoperto solo viaggiando in una stradina alla mezzanotte di una nottata priva di stelle. Eccita ed affascina, ma il pericolo è alto e ne si è consapevoli, e al contempo solo quella singolare emozione può donare un tale senso di inquietudine, per quanto sia piacevole però ogni rumore, ogni movimento e ogni sguardo fa trasalire, e anche se ci sembra interssante e curiosa quell'adrenalina, una volta al sicuro il batticuore coglie sempre, e il petto fa male, ma è sempre meglio di una coltellata nella schiena, giusto?
Una volta salito mi resi conto di trovarmi al centro di una sorta di atrio, di fronte a me c'erano delle scale e dietro un portone enorme e ai lati delle porte pù piccole, pareva di essere in un castello medievale, di quelli dell'età feudale. Diderot stava in cima alle scale, sembrava che mi stesse aspettando, poi quando salii il primo gradino mi resi conto che verso di noi stava venendo una graziosa signorina: aveva dei lunghi ricci d'oro legati in un fiocco blu e un vestito da cameriera azzurro lungo fino ai piedi. "Mio signore mi avete fatta chiamare?" chiese rivolta al suo padrone facendo un inchino, non mi rivolse il minimo sguardo, osservando il pavimento che chissà quante volte aveva già pulito. "Marie, guida il nostro ospite nel salotto, ho di che discutere con lui" disse Diderot guardandomi  in modo serio, poi si voltò e sparì nel corridoio che stava sulla cima delle scale. Guardai Marie scendere e scale con grazia, poi lei fece un leggero inchino posando su di me i suoi grandi occhi blu notte e dicendomi con voce morbida:"Seguitemi messere", poi cominciò a camminare facendomi strada. Il castello aveva un sofftto altissimo, era in perfetto stile medievale, persino i dipinti seguivano quello stile e ogni cosa ricordava quel periodo storico. Marie stava in silenzio tutto il tempo, il palazzo era immenso, scendevamo e salivamo le scale e ne scendevamo altre, poi entravamo nelle porte e attraversavamo i corridoi, tutto in silenzio, solo i nostri passi erano fonte di rumore. Lei arrivò sino ad una porta in legno, alta e stretta, poi la aprì e con un gesto della mano mi disse:"Il padrone sarà qui a breve, attendetelo per favore", poi fece un elegante inchino e sparì nel corridoio. La osservai finchè potei, poi quando lei sparì entrai nel salotto. Il salotto aveva mura e pavimenti in piera, vi erano tre ritratti, uno pareva raffigurare un uomo abbastanza simile a Diderot, portava abiti eleganti e in mano aveva una spada; il secondo dipinto ritraeva una bella donna con una tunica smanicata e legata in vita da una piccola fune e uno scialle rosso sulle spalle, era sdraiata in un prato fiorito e pareva vi stesse dormendo adagiata, i lunghi capelli biondi erano sparsi tra le margherite e i papaveri mentre gli occhi erano chiusi e le labbra semiaperte. Ciò che mi colpì però fu il terzo dipinto: C'erano i soggetti dei due quadri, l'uomo era seduto e la donna era in piedi mentre teneva per mano un bambino somigliante all'uomo, aveva gli stessi capelli de padre ma gli occhi erano della madre. Guardando poi la stanza mi accorsi che a terra c'era un tavolino in legno, intorno stavano due poltrone rosse e un divano, sul tavolino c'era una tovaglietta bianca con dei ricami sui bordi mentre al centro stava un cestello di frutta. Mi avvicinai lentamente alla poltroncina e prima poggiai le mani, poi mi sedetti. Di Diderot non c'era nemmeno l'ombra, quindi per me fu naturale cominciare a pensare a tutto quello che era avvenuto, era molto strano, ero abituato ad affrontare nemici di ogni genere, ma fu strano non trovarmi in mezzo a templi o colonne. So che sembra stupido, ma per me era diventato naturale, fu come uscire dalla mia zona di comfort, se così si può dire, per quanto un campo di battaglia possa essere effettivamente una zona di comfort. Non mi accorsi nemmeno che Diderot fosse entrato, solo quando si schiarì la voce me ne acorsi e mi alzai notando che si era cambiato: indossava una camicia rossa e dei pantaloni bianchi mentre ai piedi aveva degl stivali neri. Accennò ad un sorriso e si sedette, e così feci io. "Non serve che mi racconti di quel che sta succedendo", cominciò Diderot, "so tutto". Io lo guardai alzando un sopracciglio, Marie entrò nella stanza con un vassoio in mano,  Diderot le fece segno di lasciare tutto sul tavolo e lei eseguì, poi chiese, con voce dolce:"Serve altro mio signore?"
"No, non serve nulla,vai pure mia cara", poi, dopo che la cameriera se ne fu andata, tornò a concentrarsi su di me. Prendemmo entrambi una tazza di thè e cominciammo a sorseggiare, era caldo, ma aveva un piacevole retrogusto di zenzero. Diderot  mi osservava sorridendo, io mi sentivo a disagio, i suoi occhi mi ipnotizzavano e io non riuscivo a muovermi, non sapevo nemmeno il motivo per cui mi ritrovavo a bere del thè con lui, dovevo salvare Athena! 
Una domanda mi assaliva però...forse non mi avrebe risposto ma valeva la pena tentare, almeno per smorzare la tensione. "Se io ti dicessi "Cavaliere di Orione", cosa ti verrebbe in mente?". Lui mi guardò con fare interrogativo, poi parve di capire e sospirò, poi rise sommessamente. "Oh certo, il cavaliere di Orione, come potevo dimenticarmela". Si pulì la bocca con un fazzoletto, poi mi guardò e mi chiese:"Cosa vorresti sapere?" "Tutto, possibilmente" "Tutto? Come sei curioso" disse poggiando la tazza sul tavolino, io chiesi, impaziente:"E' vero che è morta?"
"Si, Orion è morta nel 1234" 
"Come è morta?"
"E' una storia molto lunga"
"Vorrei che me la raccontassi"
"Non so ragazzo..."
"Per favore...!".
Diderot mi osservò a lungo, poi sorrise e abbassò gli occhi, si sistemò meglio sulla poltrona e, con fare da vero narratore, cominciò a raccontare:"L'invidia tra fratelli è la cosa peggiore che possa esistere, sia in vita che post mortem: lo sa bene la gente di Cannes, in Francia, che da anni si tramanda la leggenda della Contadina di Cannes. Secondo la leggenda, nella Francia feudale, in particolare a Cannes, all'epoca un piccolo borgo, viveva una famiglia composta dal padre, un sarto, la madre filatrice e tre sorelle. Ancora oggi non si conoscono i nomi delle sorelle, ma solo il nome del feudatario dell'epoca, Marcobello. Marcobello era un giovane splendido, aveva degli occhi verdi come due smeraldi, capelli biondi e lunghi, una pelle abbronzata e un fisico scultoreo. Fatto sta che, giunti i suoi diciannove anni, era giusto che trovasse moglie, ma nessuna delle donne dei feudi vicini soddisfava le sue  aspettative. Ciò in realtà non era una cosa poi così strana, in quanto egli aveva nel cuore già un'altra persona e nessuna donna per quanto bella o ricca, poteva sostituire quel sentimento. Marcobello aveva infatti posato gli occhi sulla figlia minore del suo sarto, girano voci che il suo matrimonio con la figlia di un signore di un regno confinante sia stato sospeso in quanto il giovane si sarebbe precipitato in piena notte nella camera del padre, sicchè non voleva sposare la giovane Giovanna, voleva la figlia del sarto ad ogni costo. La signorina però, all'epoca quattordicenne, aveva già perso la testa per un altro giovane, il figlio di un falegname. Per questo, quando la giovane signorina fu chiamata da Marcobello per cucire nel suo palazzo, rimase colpita dalle gentilezze dell'uomo, ma non cedette alle sue avances. Marcobello aveva sentito parlare di questa ragazzina, la sua bellezza infatti era conosciuta persino nei borghi vicini. Marcobello provò più volte a farla innamorare, ma senza successo alcuno. Nel frattempo però un'altra persona di quella famiglia aveva perso la testa per Marcobello, la figlia maggiore del sarto. La givane diciottenne, consapevole dei sentimenti che Marcobello nutriva per sua sorella cercava di spingere la ragazza a sposarlo, ma lei ogni volta rifiutava con fermezza. La sorella di mezzo difendeva sempre i sentimenti della sorellina e litigava spesso con la maggore, che per contro cominciò a parlare di lei in paese come una donna di facili costumi.  Tra le sorelle vi fu sempre maggiore distacco, finchè quella di mezzo non sposò un ricco mercante di Genova e lì visse una vita lunga e felice,con in dono sedici figli.  Dopo un anno vi fu la tragedia: venne ritrovato il corpo della figlia minore carbonizzato insieme a quello di un ragazzo sconosciuto, nessuno lo riconobbe, nemmeno il falegname di cui lui si proclamava figlio. La tragedia scosse tutta Cannes,riconobbero la ragazza solo per la sua scomparsa avvenuta pochi giorni prima. Vennero sepolti entrambi e poco tempo dopo fu annunciato il matrimonio tra la maggiore delle sorelle con Marcobello. Le nozze non durarono a lungo, infatti, venne proclamata dopo un poco anche la scomparsa del figlio del re di Francia e cominciarono le ricerche. Lo scudiero del re affermò di aver visto il principe l'ultima volta vicino Cannes e dopo di che questi gli avrebbe ordinato di tornare indietro. Poco tempo dopo venne ritrovata la sella del cavallo vicino ad un fiume, ancora oggi nessuno sa chi l'abbia messa lì. Il re allora fece interrogare tutto il paese, per un anno le indagini continuarono ininterrotte, finchè poi non si fece avanti il suocero del feudatario. L'anziano, con somma fatica, racconto quel che il re voleva sentire: la leggenda della Contadina di Cannes. Il padre raccontò tutto e successivamente, da Genova, venne anche la sorella di mezzo. Fu così che, dopo un anno di indagini, i soldati del re, come una vera squadra d'assalto, entrarono nel castello di Marcobello e lui fu arrestato con sua moglie. Il piccolo di due anni fu affidato al nonno materno, siccome il paterno era morto da poco e i due coniugi furono processati, l'accusa era quella di omicidio e regicidio. Ormai era certo, il giovane ritrovato era il figlio del re di Francia. Entrambi furono processati e condannati a morte per decapitazione, la condanna dei ricchi.". 
Terinò il suo racconto bevendo un sorso di thè. "Ancora oggi", continuò dopo qualche minuto di silenzio, "nel centro di Cannes si trova la statua della contadina, la quale dà il volto a tutte le giovani vite spezzate".
Cominciai a collegare, Goldilocks era la ragazza morta, Dalia poteva essere la sorella di mezzo e la maggiore...che fosse lei Contessina? La ragazza che si starebbe avvicinando a Chaos?
"Ascoltami" chiesi io "per quale motivo Orion non può dire il suo nome?". "E' complicato da spiegare, forse un giorno te lo dirà lei stessa" e si versò altro thè, io potei solo commentare:"E' una storia così triste...e poi cosa successe?", Diderot si schiarì la voce e continuò:"La sorella di mezzo morì per vecchiaia, divenne una strega e molti la chiamano anche Senex, siccome è una delle poche streghe ad essere morta per vecchiaia e non sul rogo, forse fu proprio l'unica, ma non si sa con certezza. La minore fu molto cara ad Hades e la maggiore non si sa che fine fece, alcuni dicono che sia diventata una maga, la nemica per antonomasia di un cavaliere: capace di togliere potere alle costellazioni, potrebbe uccidere chiunque voglia, dopo le divinità le maghe sono la razza più potente dell'universo, conosciute anche per i loro riti crudeli e i loro modi barbari".
"Cosa mi sai dire di una certa Eretria?"
"Depressa e inespressiva, è la migliore amica di Orion, ma altro non so, alcuni dicono che sia la figlia di Hades ma nessuno lo sa con certezza, Orion e il suo gruppo vivono circondati da un'aura di mistero".
Rimanemmo in silenzio, poi io lasciai la tazza sul tavolino e dissi:"Ti ringrazio per l'aiuto, ma ora devo andare", poi mi alzai e mi avviai alla porta, ma lui mi prese una spalla e mi disse:"Aspetta Shun, ho ancora altro da mostrarti, vieni con me", e senza aspettare una risposta mi spinse delicatamente fuori, guidandomi in quel castello labirintico. Incontrammo Marie per strada, lei si inchinò e Diderot fece un cenno col capo, poi mi idicò un'altra scalinata in pietra che io, mio malgrado, mi ritrovai a salire. Fu strano lo sguardo che vidi su Marie, mi inquietò ma tentai di non farci caso, poi mi ritrovai in cima alle scale, di fronte ad una porta in legno. Sotto lo sguardo rassicurante di Diderot aprii lentamente la porta per poi restare a bocca aperta: eravamo sulla torre più alta del castello e potevamo vedere tutto quel che si estendeva oltre le mura di pietra. Potevamo vedere le vette delle montagne, le valli, i sentieri, i fiumi e i laghi, era uno spettacolo da rimirare in silenzio, poche volte in vita mia avevo potuto vedere certi tipi di paesaggi, di quelli che fanno sentire un groppo alla gola, di quelli che li si vede una volta e non li si scorda giammai. 
Mi voltai verso Diderot:"Ti ringrazio" gli dissi "sei stato molto gentile, ma ora devo proprio andare", lui annuì ma mi invitò con la mano a guardare fuori, io ubbidii ma mi vennero subito in mente Goldilocks, Hyoga, mio fratello e gli altri, non potevo aspettare un minuto di più, poi sentii una spinta, guardando dietro di me vidi Diderot che aveva poggiato le mie mani sulla mia schiena e con uno sguardo inquietante mi osservava, quasi rideva, mi spinse, una, due volte,  io tentai di fare resistenza ma  persi l'equilibrio e lui con forza mi spinse e mi buttò giù. Gridai il suo nome aggrappandomi al cornicione della finestra, lui mi afferrò i polsi e stacco le mie mani dal cornicione. "Aiutami!" gli gridai, lui si sporse leggermente e mi disse:"Qualche volta dovresti dare retta al tuo intuito"
"Aspetta Diderot ma quindi tu...!"
"Non Diderot, chiamami pure Zorba".



ANGOLO AUTRICE:Hoiiiiiii! Eccomi, ho aggiornato anche oggi perché anche il capitolo di ieri sera era abbastanza breve e spero di aver recuperato un po', ma in caso sia ancora breve vi chiedo scusa. Se il capitolo è stato di vostro gradmento scrivetemelo pure altrimenti scrivetemi eventuali critiche in modo che io mi possacorreggere! Sarò ben felice di leggere le vostre recensioni e sapere cosa ne pensate della soria per cui metto corpo e anima, quali sono le vostre riflessioni sulla storia del giudice infernale più insopportabile di sempre? Fatemelo sapere! Ciao ciao dalla vostra Soleil!!!

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Capitolo 14
*** "Zoomorphus!" ***


Zorba mi guardava e io guardavo lui, era come se in quegli occhi potessi rivedere il riflesso del male allo stato puro, un abisso nel quale non v'erano luci ed ombre, ma solo il nulla cosmico, come se tutto ciò che stava in quel corpo fosse sparito tempo addietro. Comincò a ridere fragorosamente, poi quel pazzo sporse leggermente il viso verso di me e disse:"Che possa la dolce melodia delle tue grida accompagnarti nell'ultimo viaggio, cavaliere", e mi lascò cadere. Inizialmente urlai per la caduta, ma un pensiero mi sovvenne:"Non può finire così...non qui, non ora...fratello, Goldilocks, Athena...no, mi rifiuto di morire ora, non finché non avrò spedito Chaos all'Inferno!", poi urlai il nome della mia catena e quella si mosse verso Zorba, il quale la evitò con un semplice movimento della testa. "Cos'era? Il tuo ultimo, vano, tentativo? Beh, salutami Hades lurido bastardo", disse, poi si girò per andar via ma, con suo sommo stupore, potè notare la catena tornare verso di lui come un boomerang. Si abbassò e la evitò, ma a lui non avevo indirizzato attacco alcuno. La catena si aggrovigliò intorno alla ringhiera del castello e la usai come un rampino, poggiai entrambi i piedi sulle mura in pietra e cominciai a correre su di esse, poi spiccai un salto e Zorba sollevò la testa per guardarmi in faccia sgranando gli occhi rossi, io sorrisi e gli atterrai dietro, lui ancora non si voltava. Dopo interminabili instanti di silenzio esordii:"Non dire gatto se non ce l'hai nel sacco". Lui si voltò verso di me, poi sentì il tintinnìo della catena che avevo tirato con forza verso di lui liberandola dalla ringhiera, lui la evitò ed io sorrisi, utilizzando la stessa tecnica che avevo usato con Io di Scylla per bloccare l'orso. "Liberami maledetto!" urlò verso di me, ma io non lo ascoltai e liberai le scosse elettriche della catena. Lui urlò di dolore e si poggiò su un ginocchio. Mi dispiacque vederlo in quelle condizioni, mi chiesi se fosse sotto il controllo di qualcuno o se fosse sicuro di quel che faceva. "Ascoltami" gli dissi "cessiamo la lotta, dammi il rubino per andare oltre e non ti verrà fatto alcun male ulteriore", lui mi guardò corrugando la fronte, ma io continuai:"Ti prego Zorba...". 
"La guerra per il dominio del mondo" cominciò lui "non si fa con l'acqua di rose!" e con un movimento veloce si alzò e spalancò le braccia, distruggendo la mia catena!
"Preparati Shun di Andromeda!" urlò "Non sarai perdonato!". 
Di colpo di fronte a me apparve una luce accecante che, quando si dissipò, mi rivelò che Zorba non era più lì!
Ne fui sorpreso, poi mi voltai e lo vidi, ma prontamente lui mi spinse giù dalle mura con un calcio e cadde con me, stringendomi il collo tra le mani. "Questa volta mi assicurerò personalmente che tu non fugga!" mi urlò, nel frattempo io socchiusi gli occhi, stavo cominciando a sentirmi debole, tanto debole. Socchiusi gli occhi, poi iniziai a boccheggiare, non riuscivo a respirare! 
Sul volto di Zorba si disegnò un ghigno mentre una pedana composta da alberi e rami ci accompagnava in quella caduta che pareva infinita, stavamo prendendo sempre maggiore velocità e poi capii perché: Non riuscivo a vedere il terreno! Vedevo solo una vasta infinita di nebbia e questo perché probabilmente la torre si era alzata e non me ne ero reso conto, Zorba poteva manipolare ogni cosa del livello, dovevo aspettarmelo!
"Tranquillo" disse lui "non morirai. Mi assicurerò personalmente che tu possa rimanere in questa condizione fino a quando non atterreremo. Se sarai in procinto di svenire aumenterò l'ossigeno, se invece dovessi tornare a respirare sottrarrò l'ossigeno. Goditi il volo!" disse ridendo ancora. Io mi dimenai ed osservai le mie mani, che stavano impallidendo. "Non respiro...aiuto...fratello...!", pensai, e fui in procinto di svenire, quando poi Zorba allungò una mano verso il mio viso ed aumentò l'ossigeno, e di lì capii. "Fumare uccide, ma in questo caso mi salverà la vita" pensai, chiusi ancora gli occhi e feci per fingere di svenire. Zorba allungò nuovamente la mano verso il mio viso per passarmi l'ossigeno. Non si era reso nemmeno conto che avevo infilato una mano nella mia tasca e avevo preso il mio accendino. Lui mi passò l'ossigeno ma io velocemente posi l'accendino verso la sua mano, valeva la pena di correre quel rischio.
"Ma cosa-?!" 
"E' troppo tardi!", risposi io, provocando l'esplosione. Mi feci scudo con la catena di difesa, con quel che rimaneva della catena di attacco mi aggrappai ad un albero ma anche quello cedette e io caddi a terra, ma non mi feci poi tanto male. Zorba sbattè dapprima contro il muro in pietra, poi a terra. "Figlio di...", non terminò la frase, lo interruppi:"Poniamo fine a tutto ciò, basta combattere"
"Hai ragione Andromeda" disse lui alzandosi "è il momento di farla finita...".
Sorrisi, ma poi sgranai gli occhi, i rami degli alberi mi avevano trafitto le gambe e le braccia. Lui sorrise e cominciò ad avvicinarsi:"Mai fidarsi di un demone", disse con un ghigno sul volto. Un rivolo di sangue mi colava dalle labbra, pensavo fosse arrivata la mia ora, poi mi accorsi che la catena di attacco si stava muovendo. Con un movimento lento si ricongiunse con le altre parti. "Demone...?" feci eco io, lui sorrise avvicinandosi di più a me. Arrivammo a pochi centimetri l'uno dall'altro, poi il suo sorriso si allargò e potei notare tre file di deti aguzzi, gli occhi rossi brillavano, poi la sua voce divenne più grave:"Le anime umane sono le mie preferite, vivono così poco che anche nella vecchiaia sono ancora mature, non marciscono mai, sono così dolci...". Tremai, sapevo cosa era intenzionato a fare, ma proprio mentre si stava avvicinando mi riebbi e urlai:"Catena di Andromeda!" colpendolo in pieno viso. Saltò indietro tenendosi la faccia, evidentemente sorpreso, gli avevo procurato solo un piccolo graffio. Lui guardò attentamente quel rivolo di sangue uscire fuori dalla sua pelle, attraversare la guancia e finire sulle labbra, poi finì sulla punta del mento e cadde sull'erba. "Tu..." cominciò "tu hai osato profanare il mio volto?! La pagherai cara Shun di Andromeda!", poi mi corse incontro e mi tirò un pugno nello stomaco, in cui poi passarono numerosi rami, trafiggendolo. Sputai ancora sangue, ma lui non si fermò, continuando ad inveire. Dopo un poco non riuscivo già più a capire nulla, sentivo il calmo cantare della morte, le palpebre s facevano pesanti, ed inoltre avevo inaspettatamente sonno...era quella la mia fine? Non tentai nemmeno di oppormi, purché quella tortura avesse fine. Chiusi le palpebre, ormai pesanti come macigni. Una voce familiare mi riscosse:"Ehi" disse, in quel momento le percosse di Zorba si fermarono, "solo io posso malmenare mio fratello!". I rami divennero freddi di colpo, poi si ruppero e io caddi a terra, prontamente sorretto da Hyoga, che mi scosse leggermente:"Svegliati Shun!", disse, io mugunai qualcosa, volevo solo essere lasciato morire in pace. Improvvisamente sentii una mano poggiarsi sul mio stomaco e sul mio ginocchio, poi venni pervaso da una strana sensazione di pace. Una melodia si insinuò nelle mie orecchie, suadente e dolce, una nennia che, invece di accompagnarmi nel sonno eterno, mi risvegliava e mi riportava alla realtà, non potevo morire. La mano si poggiava su più punti del mio corpo, prima l'altro ginocchio, poi le spalle, ed eccomi ad aprire gli occhi, pieno di energia. Osservai gli occhi di Eretria, che mi scrutavano dalla mia sinistra, tanto particolari nel loro colore quanto nella loro profonda tristezza, cosa si celava in quegli occhi? "Non morire" disse in tono neutro "non abbiamo tempo di seppellire un cadavere", e si allontanò. Mi alzai aiutato da Hyoga; Goldilocks, Ikki e Dalia erano tutti e tre schierati di fronte a Zorba.
"Dalia, maledetta traditrice" sibilò il nostro nemico "ti farò pentire di aver voltato le spalle a Chaos". "Taci cane!" inveì mio fratello alzandosi con un salto, poi liberò le infuocate ali della fenice contro Zorba, il quale le evitò con un salto, Dalia allora lo sollevò con la telecinesi. Ikki utilizzò di nuovo il suo attacco e colpì  Zorba, il quale, sotto gli occhi di tutti prese fuoco e andò a sbattere contro un albero, incendiandolo. Dopo poco tempo le fiamme si estesero con l'erba, ma in quel momento non ci interessava. Zorba si alzò di nuovo nonostante il suo corpo stesse andando in fiamme. "Sporco demone..." inveì Goldilocks, mettendosi in posizione di difesa, Zorba lanciò nuovamente le sue radici contro di noi.
"Diamond dust!" urlò Hyoga, congelando le radici, che poi si distrussero.
Disposi la catena a difesa circolare di tutti, nel frattempo il fuoco intorno a noi continuava a divampare. 
"Shun!" mi chiamò Goldilocks, io mi avvicinai a lei, avevo già capito cosa volesse fare. 
Lei mi avvicinò la sua lancia ed io legai con un movimento veloce della mano la catena, poi entrambi vi poggiammo una mano sopra. Un fulmine calò sulla lancia e quella prese fuoco, poco prima che la catena si allontanasse per la paura del fuoco rilasciai le scariche elettriche e dopo che la catena si fu allontanata retreggiai, Ikki e Hyoga scambiarono la loro posizione, poi in coro urlarono:"Ali della Fenice! Polvere di Diamanti!". Zorba bloccò i due colpi con le mani, retreggiando nel tentativo, ma venne trafitto da diversi aghi verdi. "Cosa...diamine...?" 
"Ora te ne starai buono per un po'" fu la risposta di Dalia, a cui seguì un urlo di Zorba per il dolore di chissà quali tossine che erano passate nel suo corpo. Fu colpito dalle Ali dell'araba Fenice e dalla Polvere di Diamanti, rimase immobile, poi Goldilocks ed io tirammo la freccia all'unisono, la catena si legò alla freccia, poi urlammo all'unisono:"Archangel chain!", e il colpo investì Zorba, emanando una luce accecante e un'esplosione che ci sbalzò tutti indietro. Sentii il rumore di qualcosa che cadeva sull'erba, aprendo gli occhi vidi che vicino a me stava un rubino! Ormai le fiamme stavano distruggendo totalmente il piano, dovevamo trovare la porta!
Ci alzammo a fatica, poi dissi:"Bene, poteva andare peggio, dobbiamo correre a cercare la porta per il terzo livello!", tutti annuirono, ma Hyoga voltò lo sguardo verso destra. Mentre stavamo per andarcene sentimmo la sua voce urlare:"Fermi ragazzi!", tutti ci voltammo appena in tempo per vedere Zorba venire contro di noi, per essere precisi verso Hyoga!
Urlai il nome del mio amico e mi posi esattamente di fronte a lui con le braccia spalancate pronto a farmi colpire, ma la voce di Dalia mi fece sobbalzare. Vi fu un solo, ed unico grido, un grido disperato, di chi tenta la magia estrema:"Zoomorphus!".
Chiusi gli occhi, ma non accadde nulla, vidi solo una luce distinta attraverso le palpebre chiuse. Quando riaprii gli occhi al posto di Zorba vidi...un grasso gatto nero?
"Stupida strega..." miagolò quello "non solo rompi il patto stipulato tra me e te ma mi trasformi anche in una bestia pulciosa, vai all'Inferno", disse, poi Goldilocks lo prese da dietro il collo e lo sollevò, quello miagolò in protesta, ma si ammutolì appena guardò negli occhi della mia amica.
"Mi servirebbe proprio un gatto per quelle pozioni con la mandragora", sorrise lei, lui tacque e le salì fedelmente sulla spalla, sedendosi composto. Lei lo prese tra le braccia e mormorò: "Bah...demoni...". "Veloci!" disse poi avviandosi, tutti la seguimmo, stringevo il rubino tra le mani e il caldo provocato dalle fiamme era insopportabile. Finalmente arrivammo di fronte alla quercia su cui era intagliata la porta del terzo piano. Infilai il rubino come un pomello, poi lo girai, i rami dell'albero avevano già cominciato a prendere fuoco. Aprii la porta e saltai dentro, tutti mi seguirono, eravamo leggermente stretti e l'odore del legno bruciato pervadeva le nostre narici, cominciai a tossire reggendomi ad Ikki, poi cominciammo tutti a tossire e l'interno dell'albero si riempì di fumo, stava bruciando anche la corteccia, perchè l'albero non funzionava?! Dopo poco alcuni pezzi della corteccia cominciarono a venire via, mi sentivo svenire. Istintivamente battei una mano sul tronco ma anche quella parte che avevo colpito venne via e le fiamme cominciarono a divampare anche all'interno dell'albero! Ci stringemmo tutti ormai sicuri della nostra prossima fine, ma dopo vidi che intorno a noi c'erano delle strane luci bianche. Non sentimmo più il pavimento sotto i nostri piedi e poi cominciammo a cadere. Inizialmente urlammo per la caduta, ma ci rendemmo conto di essere in una sorta di tunnel azzurro, le luci bianche illuminavano tutto, vedevo totalmente sfocato, alla fine di questo tunnel stava solo una luce bianca e luminosa, verso cui stavamo precipitando. "Attenti!" urlò mio fratello, mentre andavamo verso quella luce bianca. 


NOTE AUTORE: Hoiiiii! Dopo un lungo periodo di assenza eccomi qui con un nuovo capitolo! Spero vi sia piaciuto e che non sia stato troppo violento, in questo caso mi scuso. In caso vi sia piaciuto scrivetemelo con una recensione oppure in caso contrario scrivetemi pure cosa non vi ha convinto e io cercherò di correggere le mie imperfezioni!
Boiiiiiiiiii!!!

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Capitolo 15
*** Baba Yaga ***




§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§

Mi svegliai che ero in una coperta, una luce fioca passava da sotto la porta e dalla finestra si poteva intravedere il tetto di qualche capanno di fronte ad essa, l'aria era pesante, come se da tempo nessuno avesse aperto le finestre, la luce giallognola della strada illuminava scarsamente qualche pezzo del paviento in legno, logoro e probabilmente incrostato. Mi resi conto di essere in una culla e gli unici suoni che riuscivo ad emettere erano dei suoni labiali senza alcun significato preciso. Puzzavo e sentivo l'odore della muffa pervadere tutta la stanza, sentivo distintamente il suono di un televisore nella stanza affianco, ma oltre quello non sentivo nessun rumore. Accanto alla culla stava un panno sporco e sopra di esso un vecchio cuscino dalla federa sgualcita. Guardai ancora fuori dalla finestra, era notte fonda, sporadicamente erano percepibili i suoni di alcune macchine che passavano lì vicino, sembrava un insieme di capannoni, simili a quelli delle periferie più diffamate. Sentii bussare alla porta della stanza affianco, quei muri dovevano essere davvero sottili, poi un fruscìo e dei passi lenti, quasi trascinati.
"Allora?" disse una voce femminile e priva di ogni espressione "Quanto hai guadagnato?", poi vi fu un attimo di silenzio. Quegli attimi mi parvero interminabili, poi sentii uno schioppo e qualcosa sbattè contro lo stipite della porta. "Solo venti dollari?!" urlò poi la stessa voce di prima "Disgraziato! Io ti pago da mangiare e tu non sei capace nemmeno di vendere qualche stupido fiammifero, ti ho detto che devi portare qui almeno cinquanta dollari ogni sera! Non azzardarti a piangere, non mi interessa del freddo che fa, hai la giacca, fattela bastare, hai capito?!" poi vi fu un attimo di silenzio, e riprese:"Muoviti!" e sbattè la porta.
Mi venne spontaneo cominciare a piangere, i miei vagiti erano udibili in tutta la casa, mi pentii di aver cominciato a piangere, volevo fermarmi ma non riuscivo, quel corpo era fuori dal mio controllo!
Improvvisamente la porta si aprì sbattendo contro il muro dietro di lui. Entrò una donna, era alta e piuttosto magra. I suoi occhi erano azzurri e così i capelli, lunghi quasi fino alle natiche; il viso era pallido e corrucciato, le spracciglia ogni tanto si stringevano e si corrugavano in una smorfia di dolore, lo sguardo era spento ed era vestita sciattamente con una tenuta da casa e l'odore di alcol era percepibile anche ad una certa distanza.
"Cosa fai tu? Piangi?" chiese prendendomi in braccio con fare svogliato, cercando di cullarmi in silenzio. Dopo un po' cominciò a parlare:"Perché?" si chiese "perché mi sono presa quest'altro fardello? Non arriviamo a fine mese e mancava solo un altro moccioso a cui badare? Melanie...perché te ne sei andata e mi hai fatto questo?".
Non avevo idea di chi fosse Melanie, ma il suo corpo era strano, sul suo collo vi erano numerosi segni rossi, era ben visibile il suo intimo, molto provocante; mi resi conto che, malgrado l'odore di alcol, quella donna era dotata di una strana e conturbante sensualità sebbene la sua fosse una bellezza sbattuta e sfiorita già da molto tempo. Suonò il telefono, lei si alzò con me in braccio ed uscì dalla stanza, con pochi passi raggiunse il fondo dal soggiorno in cui stava un vecchio apparecchio telefonico. La donna lo guardò un poco e poi alzò la cornetta, avvicinandosela all'orecchio.
"Pronto?"
"Hey Albachiara...hai tempo per farmi visita?"
"Solitamente non lavoro a quest'ora"
"Se ti dicessi cento dollari per ogni ora?".
La donna ebbe un sussulto, poi tacque. 
"Vediamoci di fronte al Luxury Bar tra mezz'ora, non deludermi mi raccomando, sei tra le mie preferite".
La donna riagganciò, una lacrima le solcò il viso, afferrò una bottiglia di vodka e cominciò a bere da essa senza utilizzare il bicchiere, bevve come se fosse acqua, soffocando i singhiozzi dati dalle lacrime che avevano cominciato a solcarle le guance. Nel frattempo in televisione stavano dando il telegiornale, in basso era visibile anche l'orario: erano 23:47. 
Cullato dalla voce calma del giornalista chiusi gli occhi e dopo un poco tutto divenne un rumore vago e distante.

§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§

Aprii gli occhi. La testa mi doleva da morire, emisi un lamento e la voltai a sinistra, c'era una parete in pietra, dove diamine ero finito?
Mi misi a sedere continuando a guardarmi intorno, reggendomi la testa che mi doleva, l'unica luce era data da un focolare acceso dall'altra parte della grotta. Intorno a me c'erano tutti i miei compagni, eravamo salvi?
Di fronte al fuoco, seduta su un tronco, stava una figura curva e incappucciata, fissava le fiamme danzare in quel piccolo falò che le stava dinnanzi. Mi alzai e lentamente, un passo dopo l'altro, mi avvicinai  a quella figura. Mi fermai poco prima di arrivarle davanti, poi, notando la mancanza di reazione, le girai intorno e la guardai in faccia: la sua pelle era solcata da rughe profondissime, era  verdognola e lunghissimi capelli argentati le cadevano ai lati del viso, gli occhi erano sgranati, rotondi e il loro verde era simile al verde tipico dell'acqua sporca. Il viso era decorato da un naso adunco e piutosto grande con una verruca sulla parte sinistra. Le mani ossute  e tremolanti stringevano un vecchio bastone, i piedi erano nascosti sotto quella pesante veste. Mi sedetti di fronte a lei, fu come se non mi avesse visto, continuava a fissare il veloce danzare delle fiamme e a respirare tra i denti.
Mi sporsi leggermente verso di lei, poi osai proferire:"Mi perdoni signora?", solo allora alzò lo sguardo verso di me, con un movimento così veloce che sobbalzai e ricaddi seduto, diamine se quello sguardo era inquietante.
Lei sorrise con la sua larga bocca, che si allargò da orecchio a orecchio, sentivo che sarei svenuto da un momento all'altro. Lei cominciò a ridere, la sua voce era simile al gracchiare dei corvi. "Sai ragazzo" cominciò "siete stati molto fortunati, solitamente nessuno sopravvive a questo passaggio. Hai oltrepassato bene i ricordi del passato?".
"Cosa?" chiesi io, "Massì" continuò "i ricordi del tuo passato. Ti stava simpatica quella bella signora?". Ero confuso, non capivo, poi ci arrivai. "Quindi quel bambino alla porta..."
"Esatto, era quel bel ragazzone che dormiva vicino a te, hai visto come la mammina lo trattava? Un vero spasso, non trovi?" e riprese a ridere in modo sguaiato. Il solo pensiero che alla porta ci fosse mio fratello mi dava i brividi, avevo l'istinto di correre da lui e stringerlo ma qualcosa mi tratteneva, quegli occhi verdi mi bloccavano lì e mi tenevano fermo al mio posto nonostante quella donna fosse la più ripugnante che io avessi mai visto. 
"Tu che ne sai? Chi sei?" le chiesi, lei perse il sorriso, pareva quasi sorpresa.
"Oh, bene bene" disse lei "qualcuno che ha il coraggio di interrompermi, ma non mi dire! Ad ogni modo ragazzo, lascia che mi presenti: io sono la Baba Yaga".
"Baba Yaga?" feci eco io, avevo già sentito quel nome, Hyoga me ne aveva parlato qualche volta ma io non ricordavo bene...dannazione, un'amnesia in quel momento non era certamente il massimo!
"Esatto" continuò lei "era bella la tua mamma?"
"Presumo di si...?"
"Sbagliato!" mi urlò lei "lei non era la tua mamma".
Ormai abituato alle esplosioni di quella vecchia cercai di rimanere fermo e di non saltare in aria, ma come era possibile? Che ci facevo io allora in quella casa, se io non ero il figlio di quella donna allora io ed Ikki eravamo...fratellastri?
Deglutii, poi guardai Ikki, il viso era corrucciato, chissà che incubi stava affrontando, forse proprio quelle sere passate fuori di casa al freddo.
Quando riportai gli occhi sulla Baba Yaga lei continuava a sorridermi e a respirare in mezzo ai denti, sembrava una bestia affamata. 
"Chi era quella donna?" chiesi io "Ero per caso il figlio di secondo letto di nostro padre?".
"Oh no no no" disse lei "non eri affatto il figlio di secondo letto"
"Stai quindi dicendo che..."
"Tu e quel ragazzone non siete fratelli".
Mentre la donna ridacchiava in mezzo ai suoi sporchi denti io elaboravo la notizia, non poteva essere...io ed Ikki siamo cresciuti insieme, non potevamo non essere fratelli!
"Calmati ragazzo" disse lei "stammi bene a sentire, io so bene che tu stai cercando informazioni sul passato tuo e di tuo fratello. Sbaglio o la tua amichetta ha tentato di ammazzarti?".
Rabbrividii, era tutto vero, ma allora-
"Prendi per oro colato quel che ti dirò: tu e quel ragazzo non siete fratelli, tu sei il figlio di una cantante lirica".
Mi alzai di scatto, non poteva essere vero, semplicemente non poteva essere vero, io ero giapponese, ero Andromeda Shun, fratello di Phoenix Ikki, i nostri destini non potevano e non dovevano essere divisi. Eravamo fratelli. Eravamo fratelli ed era innegabile. Lui era mio fratello, io ero suo fratello e quella vecchia rimbambita stava dicendo fandonie!
"Ikki è il figlio di una meretrice e di un galeotto, la sua famiglia ha origini egiziane ma col tempo si sono mischiati ai giapponesi facendo nascere un sanguemisto di quella fatispecie".
Io non rispondevo.
"Melanie Marie Shuffer, tua madre, era orginaria di Monaco, aveva incontrato Sakura Shikamura la sera del 23 gennaio 1976, quando lei navigava in buone acque insieme al marito, uno degli uomini di più alto grado nella Yakuza. Lei si trasferì in Giappone con la Shikamura, erano molto amiche e tua madre non si faceva problemi a stringere amicizia con un criminale. Nel 1978 Shikamura rimase vedova, il marito morì in un incidente d'auto dopo aver assunto droghe pesanti, nel frattempo la Shuffer rimase incinta. Dopo la tua nascita diede i primi segni di squilibrio mentale, continuava a dire di averti concepito con Uranus e che lui le disse che per provarlo poteva fare così: avrebbe dovuto sparare ad una persona qualsiasi con un proiettile d'oro, dal corpo sarebbe uscito un proiettile d'argento. Lei fece così e dal corpo di quell'uomo d'affari a cui aveva sparato però non uscì nessun proiettile d'argento. Furente tua madre sparò ad altre venti persone in quella piazza, ma solo sparando ad una donna incinta uscì il famoso proiettile d'argento. Purtroppo però lei non riuscì a prenderlo e cadde in una fognatura.
Fu giustiziata due anni dopo."
Mi alzai e cominciai a girare intorno, ero intenzionato a smettere di ascoltare le sue menzogne ma lei continuò:"Shikamura cadde in disgrazia con due figli piccoli da mantenere, come nome d'arte si diede Albachiara e divenne una prostituta storica della vostra città. Poi vi fu l'avvenimento di Hades e la madre di Ikki morì, lasciandovi soli".
Non dovevo ascoltarla.
"Brutta storia vero?".
Non dovevo ascoltarla.
"Pensa se tua madre non fosse impazzita che vita meravigliosa avresti avuto".
Non dovevo ascoltarla.
"Magari non saresti finito con il figlio di un criminale e di una prostituta".
Non dovevo ascoltarla.
"Pensa se però tua madre avesse avuto ragione".
Non dovevo ascoltarla.
"Pensa, essere il figlio di Uranus".
Non dovevo ascoltarla.
"Del resto c'era un proiettile d'argento".
Non dovevo ascoltarla.
"Cosa succede? Ti turba quel che ti dico?".
Non potevo più tollerare.
Le andai addosso e la afferrai per la veste:"Taci figlia di cane! Niente di quel che mi dici è verità! Ikki è mio fratello! Tu stai dicendo fandonie! Sei solo una pazza!".
La donna si dimenò, era spaventosamente vicina al fuoco, io non ero padrone di me, la situazione stava spaventosamente precipitando.
"Oh cavaliere, pensa all'anima tua!"
"Penso che voglio farti tacere e subito!".
"Pietà di me! Pietà!"
Improvvisamente sentii delle braccia sottili afferrarmi dalla vita e tirarmi indietro, mentre Goldilocks faceva cadere la vecchia a terra.
Mi dimenai, Dalia stava dietro di me, sentivo il suo profumo di incenso pervadermi i sensi e tenermi bloccato.
"Lasciami!" urlavo "Lasciami ho detto!".
"Che diamine sta succedendo?" disse Hyoga correndo verso di me, poi contribuì a tenermi fermo, sembravo un animale selvaggio, ma non riuscivo a controllarmi.
Dalia mi diede a Hyoga e si avvicinò alla Baba Yaga e disse, in tono imperioso:"Baba Yaga, come hai potuto infangare il buon nome delle streghe? Stai forse portando questo giovane alla follia?". "Oh mia regina" disse la vecchia "pietà di me, lui è pazzo, è malato come sua madre!"
"Non era mia madre!" fu il mio grido, Hyoga mi strinse di più per bloccarmi, ma io non potevo togliere gli occhi da mio fratello, ancora assopito. Mi agitai, non riuscivo a controllarmi, l'aria non mi arrivava ai polmoni, sentivo gli occhi bruciare, era una sensazione orribile. 
"Orion calmalo!" disse Dalia rivolta alla sorellina, che corse verso di me e porse una mano verso la mia fronte, toccandola, ma prima che potesse fare qualunque cosa io diedi una gomitata nello stomaco a Hyoga e corsi fuori, la pioggia battente martoriava il mio cuore come se fossero tutti proiettili...proiettili d'argento...
Intorno a me potevo vedere decine e decine di proiettili d'argento, tagliavano l'aria, cadevano sulle foglie, lasciavano il segno, facevano rumore. Spalancai le braccia e mi lasciai avvolgere dal profumo della pioggia che mi aveva già bagnato completamente, lasciai che l'odore di essa mi penetrasse nei polmoni e mi calmasse, lasciai che il rumore delle gocce fosse l'unico suono nella mia testa.
Lentamente chiusi gli occhi e mi lasciai cadere a terra, mentre le gocce di pioggia camuffavano le lacrime che mi rigavano il viso.
Sentii dei passi dietro di me, poi la voce di Hyoga si mischiò al cantare della pioggia:"Shun...".

"Come le gocce di pioggia cadono sulla città così le mie lacrime cadono sul mio cuore".

-Paul Verlaine

Angolo autrice: Hoi! Con queste note poetiche di Verlaine ci apprestiamo a concludere anche questo capitolo leggermente più drammatico degli altri. Come vi è sembrato? Vi è piaciuto? Trovate che abbia dato troppe sfighe a Shun? 
In caso vi sia piaciuto ditemelo con una recensione, lo sapete che mi fa sempre tanto piacere, in caso contrario spiegatemi pure le problematche della storia in modo che io possa correggermi in futuro!
Boiiiiiiiiii!
 

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Capitolo 16
*** La poesia della pioggia ***


La vita ci porta ad amare, ma anche ad odiare, sono due sentimenti opposti però sono due facce della stessa medaglia. A pensarci l'odio è pur sempre una forma d'amore, cos'è l'amore? Un sentimento, uno dei più potenti, ma anche l'odio lo è, sono così diversi e così uguali al contempo, non è strano? 
Forse l'odio è una sorta di evoluzione dell'amore, qualcosa di più profondo ancora, un sentimento così forte da fare male, ma non in positivo. Guardando Ikki provavo quello: lo odiavo. Lo odiavo con tutto il mio cuore, lo odiavo per essere entrato nella mia vita, lo odiavo per esserne uscito così tante volte, lo odiavo per avermi abbandonato e per avermi assillato da piccolo, lo odiavo perché...perché non era mio fratello. 
Ascoltavo il quieto cantare della pioggia, era un canto costante, che a senirlo pareva si fermasse il tempo, nel frattempo gli steli dell'erba si piegavano alla prepotenza del vento mentre l'odore della pioggia mi dava un fallace senso di quiete.Potevo vedere alcune scene della mia infanzia: Ikki seduto su una sedia a dondolo in legno, con le fiabe di Hans Christian Andersen tra le mani a leggere vicino alla finestra su cui tamburellavano incessanti le gocce di una pioggia di fine estate. Ikki non era mio fratello. Io non ero suo fratello.
Guardai il mio riflesso in una pozzanghera, portando le dita della mano a sfiorarmi lo zigomo, di colpo sentivo tutta la reale distanza che stava tra noi: con lui avrei potuto avere lo stesso rapporto che ho con Jabu , con Nachi o con Gerki, la  prospettivae mi faceva sentire male, trattenni un conato ad immaginare la scena, poi sobbalzai sentendo una mano poggiarsi sulla mia spalla. Sobbalzai, voltando leggermente la testa verso sinistra potei vedere Hyoga scrutarmi con fare quasi apprensivo. "Shun..." cominciò lui "se vuoi ne potremmmo parlare", io distolsi lo sguardo e lo portai al suolo dicendo con tono malinconico:"Non c'é nulla di cui discutere".
Hyoga tacque un attimo, poi strinse la presa sulla mia spalla, non disse nulla,non parlò, dopo un silenzio interminabile che però poteva essere potenzialmente durato pochi secondi lui disse semplicemente:"Devi smetterla di aggrapparti a lui. Pensaci Shun, anche se non foste fratelli lui ti amerebbe ugualmente, ti ha sempre protetto, dubito lo facesse per passare il tempo. Guardati Shun, sei distrutto, ma il legame che lega due persone è dato solo dal sangue o anche da altro? Lo dimentichi tu, inguaribile romantico?", e sorrise, sorrise con una tale dolcezza da sciogliere il cuore; "Per te si è lasciato sfigurare con quella cicatrice, ha lasciato che il suo corpo bruciasse sotto il sole cocente, si è lasciato intorpidire nell'inverno di quell'isola, ti ha salvato da Pandora...e non credo lui non sapesse, credo che ricordi bene questi piccoli particolari, perché fidati, sono davvero piccoli". Sobbalzai, le sue parole mi rincuoravano ma non mi convincevano, poi lui mi poggiò le mani sulle spalle, guardando verso la grotta:"Guarda Shun, le vedi Goldilocks ed Eretria?". Mi voltai e le vidi, Goldilocks stava aiutando Eretria a reggersi in piedi, facendole poggiare un braccio sulle sue spalle
tenendola per la vita con l'altro braccio. Sembrava reggere bene il suo peso nonostante Eretria fosse parecchio più alta di Goldilocks. "Vedi? Loro due non sono sorelle ma il loro rapporto prescinde dal legame di sangue, non trovi che anche tu ed Ikki possiate avere quel rapporto, anzi, che voi lo abbiate già se non ancora più forte?".
Il labbro inferiore cominciò a tremarmi, le sue parole mi commossero, aveva ragione. Lo strinsi forte, poi sentii la sua mano accarezzarmi dolcemente i capelli, poi mi sussurrò teneramente:"Vai da lui". Non ci pensai due volte, annuii velocemente e corsi nella grotta, da mio fratello. Ignoravo le dure parole di Dalia alla Baba Yaga, mi avvicinai solo a mio fratello, che si era da poco svegliato. Si tenne la testa e mi guardò, poi sorrise leggermente e si mise seduto:"Hey...battuto la testa? Spero che il tuo quoziente intellettivo non sia sceso ulteriormen-", non lo lasciai finire, lo strinsi forte e, con voce tremante,gli dissi semplicemente:"Ti voglio tanto bene, fratello".
Lui ricambiò la stretta leggermente confuso, poi guardò la Baba Yaga e, capendo, mi strinse più forte, senza proferire parola. 
"Disgraziata! Donna sciagurata!" continuava intanto Dalia, "Come osi chiedermi misericordia? Via, giù le mani dalla mia veste, non posso tollerare un simile comportamento, pagherai con la vita!"
"No! Vi scongiuro madonna, pietà di me!"
"Non fai altro che peggiorare la tua fine continuando a pregarmi"
"Regina mia, Senex! Miserere di me!".
"Senex?" chiese Ikki, fu Eretria a rispondergli, con voce leggermente affaticata:"Senex in latino vuol dire "vecchio", "anziano", Dalia è una delle poche streghe ad essere morte in età avanzata, difatti in vita non
era una strega, ma decise di diventarlo per poter scendere negli Inferi e stare con la sorella".
Dalia alzò la bacchetta verso il cielo, essa si illuminò di bianco e Baba Yaga emise un urlo terrorizzato, gli occhi della regina si illuminarono di rosso e la fissarono inniettati di sangue. Ad essere franco mi bloccai, mi fece paura, nessuno osò muoversi, era tutto bloccato. La temperatura si alzò di colpo, sotto la Baba Yaga si formò un cerchio bianco, la Baba Yaga urlò ancora e l'orlo della sua gonna prese fuoco, cominciando rapidamente a salire. Era atroce, non avevo idea che Senex potesse essere così crudele, provai pietà per quella donna e le sue grida di terrore e dolore mi terrorizzarono tanto da farmi retreggiare, perdere l'equilibrio e cadere a terra. Hyoga aveva gli occhi sgranati e Ikki cercava di farmi alzare, un rivolo di sudore gli colava dalla fronte e vidi il veloce movimento del suo pomo di Adamo nel momento stesso in cui deglutiva.
Non potevo restare fermo, corsi fuori e, per grazia divina, vicino alla grotta c'era un pozzo. Le grida della vecchia si sentivano anche da fuori. Presi l'acqua velocemente e corsi dentro, poi le versai il contenuto in testa, immediatamente le sue urla si placarono.
Respirò affannosamente, poi tossì e guardò Dalia tremante.
"Diamine se prima eri brutta ora sei anche peggio", pensai tra me e me, poi mi frapposi tra Dalia e Baba Yaga.
"Togliti di mezzo Shun", mi disse Dalia "ho una condanna da eseguire", ma io non mi scansai e ribattei, mentre Hyoga e Ikki mi facevano segno di no con la testa intimandomi, così, di spostarmi:"Scusami Dalia, ma penso sia inutile perdere tempo ad eseguire condanne. Se questa vecchia rimbambita è stata capace di dirci certe cose allora vuol dire che evidentemente qualcosa su questo piano la saprà. Magari potrebbe rendersi utile e aiutarci, terminato questo casino potrai bruciarla quanto vuoi, promesso", dissi, sperando che mi ascoltasse e a lungo andare si dimenticasse dell'accaduto. 
Lei tacque un attimo, poi poggiò le mani sui fianchi e , con un veloce movimento della bacchetta, cancellò il cerchio.
"Parla vecchia", disse poi "chi abita questo piano? Chi custodisce il rubino?".
La vecchia, ancora tremante, biascicò in risposta:"Non posso dirlo...posso dire solo che il loro dolore è dolce, hanno due facce come i gemelli, dalle loro spine nascono i fiori...e la loro pelle è di laguna".
Riuscii a trattenere Dalia dal saltarle addosso, non potevamo perdere altro tempo, quindi la implorai:"Ti prego Dalia!".
Dalia si liberò dalla mia presa e rimase immobile, in silenzio, nella grotta era calato il silenzio.
"Andiamo", disse semplicemente mentre si avviava uscendo dalla grotta, lanciando un'occhiataccia alla Baba Yaga, sembrava la volesse incenerire. La strega fece un urletto e si rintanò di più all'angolo. Nel frattempo Eretria si era ripresa e aveva seguito Dalia insieme a Zorba e Hyoga, rimasi a fissare il vuoto, poi posai lo sguardo sulla donna, che tremava ancora, mi faceva pena. Goldilocks mi allungò una gomitata per svegliarmi, io sobbalzai e la guardai, lei disse semplicemente:"Ci sei?", io annuii velocemente un paio di volte e mi avviai con loro.

§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§

Dopo un bel po' di tempo stavamo ancora vagando su quel piano, la pioggia ci aveva resi fradici ed era persino difficile parlare o sentire quel che diceva l'altro. Sovente dovevamo sputare l'acqua che ci atterrava sulle labbra, impedendoci di parlare, avevamo tutti freddo, era inutile negarlo, il rumore della pioggia stava diventando quasi assordante e il temporale era così funesto che quelle gocce di pioggia facevano quasi male, il rumore del tuono era frastornante ed inquietante, come se dovesse arrivare chissà quale minaccia dal cielo, quel rombo lontano per me a Villa Kido era fonte di rilassatezza, ho sempre amato il suono della pioggia, mi aiutava a dormire, ma in quel momento era solo fonte di inquietudine, non sapevo nemmeno io per quale arcano motivo.
"Si può sapere quanto manca? Sono ore che camminiamo"disse Hyoga seccato, nessuno ribattè, era ovvio che avesse ragione. 
"Dobbiamo continuare a cercare...com'è che diceva?" chiese Ikki, poi Eretria gli rispose:"Il loro dolore è dolce, hanno una doppia faccia come i gemelli...", e si fermò, poi  Hyoga continuò:"dalle loro spine nascono i fiori e la loro pelle è di laguna", "Cos'è uno di quegli indovinelli dei libri per bambini?" chiese poi Zorba seccato, io sospirai e continui a guardarmi intorno, poi vidi un leggero movimento nei cespugli. Mi fermai e guardai in quella direzione, istantaneamente il rumore si fermò. Rimasi in silenzio a guardare in quella direzione, gli altri si fermarono a guardarmi. Mi avvicinai al cespuglio e rimasi un attimo in attesa, poi scostai i rami e ciò che vidi mi lasciò...alquanto perplesso: c'era un piccolo esserino, alto quanto metà del mio polpaccio, con due enormi occhioni neri, delle spine sulla schiena e sulla testa e la pelle era verdognola.
Lo fissai un attimo, poi lui mi vide e balzò con un suono simile ad uno squittìo, dileguandosi. "Aspetta!" gli intimai inseguendolo, i miei compagni imprecarono ma io non mi fermai e anche loro cominciarono a seguirmi, correndo all'impazzata sotto la pioggia e in mezzo alle pozzanghere. Quel piccolo essere era veloce, ma non sembrava cattivo, dopo un poco saltai in avanti e, cadendo a terra riuscii ad afferrarlo. Per lo spavento il piccolo essere squittì in modo più acuto e, con mia sorpresa, dalle spine che ne ricoprivano il crene e la schiena spuntarono tante piccole margherite. "Cosa diamine ho appena visto...?" mi chiesi in un muto dialogo con me stesso, poi quel piccolo cosino continuò a dimenarsi. Era la cosa più dolce che avessi mai visto, faceva una tale tenerezza! Se i custodi a cui si riferiva la Baba Yaga erano così allora prendere il rubino per il piano successivo sarebbe stato un gioco da ragazzi!
Mi alzai tenendolo ancora in braccio, poi venni raggiunto dagli altri, appena Dalia vide l'esserino tra le mie braccia dire che urò è dire poco. Lo prese in braccio e fece sfregare il naso del piccolino con il suo, il piccolo  rise contento e abbracciò la mia amica. Chi dice che le streghe sono tutte cattive si sbaglia di grosso, pensavo io con un leggero sorriso, poi Hyoga intervenne:"E questo cosa sarebbe?"
"Non lo so, l'ho inseguito perché mi ricordava le creature di cui ci parlava la Baba Yaga e credo proprio di aver ragione"
"Beh se sono tutti così abbiamo solo da prendere il rubino".
Il piccolo essere sgusciò fuori dalle braccia di Dalia e si incamminò, noi lo seguimmo perplessi, magari ci avrebbe portati nel luogo dove si trovava il rubino, era stato semplice quella volta!
Dopo che fummo arrivati sul posto mi rimangiai le mie parole...d'un tratto ci trovammo dinnanzi ad un villaggio, le case erano molto alte e fatte in legno alcune, quelle più periferiche, mentre già nelle zone centrali stavano case ancora più grandi e in mattone, per dire le proporzioni, una sola gargoille poteva essere alta quanto Ikki, ci sentivamo come delle formiche. Appena arrivammo in centro cominciarono i veri problemi. Non c'era praticamente nessuno nelle periferie, avevamo capito il motivo:stavano tutti al mercato! 
Appena arrivammo potemmo vedere bestioni alti quasi tre metri, si aggiravano a passo pesante per le vie, erano enormi, con delle spine su testa e schiena, ci aggiravamo indisturbati all'inizio, ma quando videro il piccoletto...beh, sapevamo già che sarebbero stati guai.
"Mio nipote! Mio nipote ha i fiori sulla testa!".


Angolo autrice: Hoiiiiiiiiii! Eccomi qui con un nuovo capitolo che spero sia di vostro gradimento!
Msono divertita a scriverlo, peccato che il mio computer abbia deciso bene di non collaborare. Ebbene sì, ormai questi poveretti ne han viste di ogni, ma come se la caveranno stavolta? Il capitolo vi è piaciuto? Lasciatemi una recensione nel caso, ma se avete delle critiche da espormi ditemele pure e sarò ben felice di migliorarmi!
Detto questo vi saluto, il letto chiama, boiiiiiiii!

 

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Capitolo 17
*** Pianto nel buio del Mamertino ***


NEL CAPITOLO PRECEDENTE:
Dopo che fummo arrivati sul posto mi rimangiai le mie parole...d'un tratto ci trovammo davanti ad un villaggio, le case erano molto alte e fatte in legno alcune, quelle più periferiche, mentre già nelle zone centrali stavano case ancora più grandi e in mattone, per dire le proporzioni, una sola gargoille poteva essere alta quanto Ikki, ci sentivamo come delle formiche. Appena arrivammo in centro cominciarono i veri problemi. Non c'era praticamente nessuno nelle periferie, avevamo capito il motivo: stavano tutti al mercato! Appena arrivammo potemmo vedere bestioni alti quasi tre metri, si aggiravano a passo pesante per le vie, erano enormi, con delle spine su testa e schiena, ci aggiravamo indisturbati all'inizio, ma quando videro il piccoletto...beh sapevamo già che sarebbero stati guai.
"Mio nipote! Mio nipote ha i fiori sulla testa!".

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Mi svegliai di soprassalto, la testa mi faceva un gran male e mi parve di percepire qualcosa di vischioso colarmi dalla testa. Intorno a me tutto era buio, l'unica luce arrivava da un cerchio luminoso in alto, si sentiva prepotente l'odore del legno, l'aria era pesante e potevo sentire la pioggia battente e dei singhiozzi, la cosa mi lasciò molto perplesso. Mi alzai, non capivo da dove provenissero, era quasi impossibile vedere oltre il mio naso e quei singhiozzi continuavano, erano acuti, come se appartenessero ad una ragazza.
"C'è qualcuno...?" chiesi titubante, poi sentii qualche gemito e una voce mi rispose:"Ci siamo solo io e te Shun", era Eretria.
"Eretria ma...stavi piangendo?", lei aveva ancora la voce rotta dal pianto, mi rispose semplicemente:"No! Sto bene, non sono affari tuoi!".
Retreggiai leggermente a quella rispsta tanto aggressiva, poi sospirai, anche se solo l'atto di respirare faceva male in quel posto.
"Fai come ti pare", dissi semplicemente sedendomi a terra, pensai che fosse il caso di capire dove fossimo e poi uscire.
Cercai di concentrarmi ma non riuscivo a pensare ad altro che ad Eretria, inoltre non riuscivo a capire come potesse essere possibile il fatto che solo noi fossimo presenti lì e gli altri no, dov'erano?
"Dove siamo?" chiesi ad Eretria, la quale dopo un poco di tempo mi rispose:"Siamo nel Mamertino", "Mamertino?" feci eco io e lei continuò:"Siamo caduti prede dei giganti. I giganti non sono altro che una sorta di discendenti degli antichi titani, infatti ognuno di loro appartiene una razza e noi abbiamo trovato quelli della terra. Sono una società civilizzata, almeno da quel che mi ha raccontato Orion, ma una loro particolarità è quella di non avere un sistema carcerario, infatti non possiedono una vera e propria legge ma solo gli umani o comunque coloro che non sono giganti devono sottostare ad alcune assurde leggi, come per esempio quella di non spaventare i membri della comunità. Nel caso dei giganti di terra la loro paura si manifesta con dei fiori sulla testa e sulla schiena. Non possedendo un carcere si ispirano ai romani: non hanno un vero e proprio sistema carcerario ma hanno bensì il cosiddetto Tullius, o Mamertino"
"Gli altri dove sono?"
"Sono riusciti a fuggire, tu sei stato colpito alla testa e sei svenuto, ti hanno preso subito, poi hanno preso me. Hanno provato a liberarci ma fu tutto vano, alla fine poterono solo scappare e nascondersi" 
"Noi siamo nel Mamertino quindi...cosa succede a chi ci entra?"
"Solitamente qui si aspetta che vengano eseguite le condanne a morte", disse poi con il magone, aveva paura di morire.
Rimanemmo in silenzio, doveva esserci un modo per uscire da lì, eppure quel posto sconosciuto pareva non avere uscita.
Cercai di consolare Eretria poggiandole la mano sulla spalla, le dissi:"Usciremo da qui, non ti preoccupare", anche se io medesimo temevo che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrei parlato con qualcuno. Una lacrima solitaria mi cadde sulla mano, Eretria stava piangendo. Dopo un po' sentii le sue spalle venir scosse dai singhiozzi, poi si gettò tra le mie braccia piangendo disperata. "Ho paura! Non vogli morire non posso morire ora!".
La strinsi forte, fino a quel momento non avevo fatto tanto caso a lei, parlava così poco che spesso la dimenticavo, eppure solo in quel momento, in cui non potevo vedere i suoi enormi occhi blu, potevo comprendere quanto potesse essere fragile. Avevamo la stessa età ma pareva aver sofferto le pene dell'inferno. Lei quasi sparì tra le mie braccia, continuando a piangere ininterrottamente, chissà da quanto tempo non lo faceva, forse proprio in quel momento riteneva che fosse l'ultima possibilità, del resto cosa c'era di male? Stavamo per morire, tanto valeva liberarsi di quei fardelli.
"Eretria...", la chiamai, lei mi guardò, poi tirò su col naso. Le chiesi poi in tono morbido:"E' forse vero che tu sei la figlia di Hades?", lei si asciugò gli occhi e disse:"No, questa è solo una diceria, io non sono sua figlia, non l'ho mai conosciuto", poi tirò su col naso e disse:"In verità mi sento male non per questo...io non posso morire"
"Per quale motivo?"
"Mentre voi ritornereste sicuri a casa io ad attendermi ho un orfanotrofio. Lì vi troverò una piccola bambina. I suoi capelli sono neri, gli occhi blu come la notte, sembrerà quasi una bambola di porcellana. Quella bambina..." disse, facendo una pausa "quella bambina è mia figlia".
La guardai e sgranai gli occhi, Eretria aveva una figlia?
Lei si inginocchiò a terra, poi cominciò a piangere di nuovo. Mi inginocchiai ancora davanti a lei, ormai avevo fatto l'abitutine all'acre odore del legno, le misi un braccio intorno alle spalle e la strinsi ancora a me, lei continuò: "Rimasi incinta di lei a quindici anni, lui però mi abbandonò, era un guerriero, non poteva essere anche il fidanzato di una ragazza madre. Io provengo dal regno di Sottoterra, prima di allora non ero mai uscita, non avevo mai visto il cielo, la mia famiglia mi ripudiò e fui cacciata. Scappai via dal regno, ero terrorizzata ed avevo paura...fu così che incontrai Chaos. Chaos fu molto generoso con me, mi propose persino di diventare una delle sue amanti. Io accettai ma una volta giunta nel palazzo mi resi conto di come era davvero...un luogo in cui un mossa falsa bastava per condannarti alla forca. Dopo nemmeno una settimana dissi a Chaos che volevo lasciare la corte, perché avevo troppa paura", poi riprese a singhiozzare ancora più forte, faceva male vederla così disperata, avrei solo voluto stringerla più forte ancora a dirle che avrebbe vissuto, sarei andato due volte sulla forca pur di permetterle di andare da sua figlia. La sua voce ormai era un continuo urlare, si distorceva e si bloccava, andava a scatti e poi diventava roca, gli occhi rossi per il pianto e le guance ormai bagnate, la perfetta scena della disperazione materna. Continuò ininterrottamente, poi disse ancora, distrutta:"Solitamente la pena per l'abbandono di quella corte, che in realtà pareva solo un harem, era la morte o la prigionia, ma lui mi propose una cosa: avrei vissuto nella foresta, mi avrebbe dato cibo, riparo e un posto dove dormire, ma in cambio mia figlia sarebbe stata anche sua figlia...e sarebbe diventata..." e continuò ancora a piangere. Sgranai gli occhi e la guardai, e se fosse diventata una minaccia per la Terra? Dovevo saperlo, altrimenti...cielo, non mi riconoscevo. Una madre stava piangendo davanti a me per il futuro della sua pargola ed io ero lì a pensare come un Saint!
Prima mettevo da parte quell'istinto quasi sempre, perché non lo sentivo nemmeno mio ed in quel momento lo stavo mettendo prima della sofferenza altrui!
Sapevo che avrei dovuto pensare alla salvezza della Terra, di Athena, ma in quel momento era assai poco importante per il mio lato umano. A prescindere dalla minaccia i miei amici avrebbero combattuto al posto mio, tanto stavo per morire quindi che senso aveva preoccuparsene?!
In quel momento avrei dovuto pensare solo a quella donna, perché no, non riuscivo a vederla come una ragazza, lei per me era una donna, Eretria per me ne aveva passate talmente tante che non poteva essere definita una ragazzina, ma una donna.
"Ha deciso che divenisse il corpo ospitatnte di Nyx..." terminò. 
Ero scioccato, d'improvviso sentii il fiato farsi corto, ma ormai la Terra non era più un mio problema. Non sapevo più cosa fare, potevo solo darle delle finte speranze, perché sarebbero sempre state finte, eravamo nel Mamertino, eravamo spacciati.
"Usciremo da qui e rivedrai tua figlia", dissi, ma lei evidentemente non mi credette perché non ebbe nessuna reazione, come darle torto? Non avevo dati oggettivi su cui basarmi e in quel momento stavo consolando una persona, non potevo essere credibile in nessun modo! Cominciai a respirare a fatica, stavo cominciando a provare un nuovo sentimento...era paura della morte?
Non avevo paura della morte in sè per sè, ci ero andato vicino un sacco di volte, per me rischiare la vita era come la pausa caffè per un impiegato, niente di nuovo insomma, all'inizio magari segna, però dopo poco manco ci si fa caso, la mia paura in quel momento era l'esecuzione in sè. Ho sempre trovato l'esecuzione capitale la morte più imbarazzante: lasciarsi ammazzare di fronte a gente che acclama la testa di chi, in quel momento, sta pareggiando i conti con Thanatos. Non mi importava il fatto di morire in sè, quello me lo ero meritato per la mia incapacità, io non volevo morire di fronte a degli urlatori. Ma ormai il danno era fatto e quella sarebbe stata la mia sorte, inesorabile, vergognosa, ma sarebbe stata la mia sorte. Mentre stringevo la mia amica non potevo non pensare, ormai non mi era rimasto altro da fare che pensare alla mia vita. Mi sono sempre visto come un marinaio: viaggio per mari in tempesta, conosco tutte le increspature del mio mare, i venti e i suoni per me ormai assenti, ma prima o poi se il mio mare me lo permetterà ritornerò a casa, ma so anche che ogni volta che mi imbarco potrei non tornare più; basta un vento sbagliato, una mancanza, una qualunque sciocchezza, ed eccomi lì, morto in balìa dello stesso mare che ritengo di conoscere tanto bene.
Ancora oggi, nel raccontare tutto ciò, mi sento così e quella strana inquietudine non m'abbandona nemmeno nei miei sogni, ma non li ritengo incubi, no. Io non dormo nemmeno quando sogno, non l'ho mai fatto, risate infantili, carilloin e tanti occhi vitrei si susseguivano e si susseguono nei miei sogni, ma cosa c'è di così diverso dal mondo che ci circonda? Veniamo scrutati da occhi vitrei, che pensano a cose diverse, forse non ci notano, ma noi ci sentiamo scrutati, quegli occhi fanno più male di quanto si possa credere, quelli degli adulti. Quelli dei bambini non fanno certi pensieri, per loro tutto è una meraviglia, con sguardo innocente guardano ogni cosa, anche solo essere scrutati da un bambino ci fa sentire invincibili, realizzati, perché il loro sguardo è talmente puro che il nostro spirito i quel momento si eleva al cielo e vince l'invincibile. Ma ogni volta quegli occhi si spengono, quegli occhi perdono luce, abbandonano il mondo delle meraviglie dell'infanzia e diventano adulti. Tutto termina, l'infanzia finisce, la vita va avanti e prima o poi finiamo per arrancare per tirare avanti più a lungo. Dopo aver fatto certi pensieri mi chiesi...vale davvero la pena di vivere per questo? Per vedere le lacrime di una madre, finire su una forca, per sopravvievere, non per vivere. Ne valeva davvero la pena?
Sì, ne valeva la pena. Ne valeva la pena perché proprio dai bambini dovremmo imparare, dovremmo guardare il mondo come fanno loro, amare la vita e soprattutto vivere, vivere e ancora vivere, perché prima o poi i rischi ci saranno sempre ma bisognerà andare avanti, e con le ferite che ci si procura non bisogna perdere la fiducia del prossimo e io non l'avevo persa verso mio fratello e verso gli altri, non la volevo perdere affatto! Loro sarebbero arrivati e ci avrebbero salvati, non avremmo ricordato questa guerra come una guerra a cui siamo sopravvissuti ma come una guerra che noi abbiamo vissuto, a prescindere dal dolore futuro!
Presi Eretria dalle spalle e la allontanai da me, ma solo per spingerla a guardarmi negli occhi, ero animato da una forza nuova e sentivo che nulla mi avrebbe smosso.
"Sopravviveremo", le dissi, guardandola dritto negli occhi, poi le chiesi se fosse in grado di fare luce, quando lei mi disse di sì la sentii battere le mani e formare una piccola fiammella blu, la illuminava interamente. Eretria mi parve quasi una figura eterea, dalla bellezza fredda e sbattuta, perché la sua non era una bellezza stereotipata, no. Eretria mi parve bellissima nella sua sofferenza, mi fece sorridere, perché quella guerriera così fredda mi si era mostrata a nudo senza alcuna vergogna. Mi guardò negli occhi, poi le iridi tremarono leggermente nel farlo. Tacque, mi osservò in silenzio e poi tirò un lungo sospiro, come se fosse sollevata. Lei si fidava di me.
Mi sorrise e ancora mi strinse, io ricambiai l'abbraccio, poi però sentimmo uno scossone e cademmo sul lato con un gemito. Guardammi il cerchio di luce sul soffitto, esso si aprì come se fosse un coperchio, poi vedemmo un enorme occhio giallo scrutarci. Era il momento.
Presi Eretria da un braccio e la aiutai ad alzarsi, ma anche quando lo fece non la lasciai. Il gigante con un movimento veloceci butto nel palmo della sua mano, poi si avviò. Alzai gli occhi al cielo, pioveva ancora, la pioggia mi bagnava il volto, i capelli, mi rendeva...mi rendeva...non so nemmeno io cosa mi rendesse, tutt'oggi non lo so descrivere. Guardai Eretria, lei mi parve spaventata ma mi guardava con fiducia cieca, io le sorrisi, avevo in mente qualcosa. Le feci segno di salirmi sulle spalle e lei lo fece immediatamente, il gigante se ne accorse ma non disse nulla, anzi, mi parve quasi dispiaciuto. Ad ogni suo passo la terra tremava, noi tremavamo nella sua mano, avevo paura ma cercavo di non darlo a vedere ma l'acqua mi mandava sempre più brividi lungo la colonna vertebrale, torturandomi con il suo scendere costante lungo la schiena. Mi morsi il labbro facendomi male, un sottolissimo rivolo di sangue mi colò dalle labbra. "Fratello, Hyoga, amici, mi avete abbandonato?" mi chiedevo senza sosa, avevo davvero paura, ma non potevo bloccarmi, non in quel momento. Deglutii e osservai il paesaggio intorno, a me, sentivo lo sguardo fiducioso di Eretria su di me. No, non l'avrei delusa.
Ci trovammo improvvisamente di fronte a un calderone, era enorme, al suo interno vi bolliva l'acqua. Il calderone era situato all'inerno di una grotta, intorno ad esso c'erano numeosi giganti col viso coperto da cappucci bianchi, sembrava quasi una setta. Uno di loro, vestito di bianco da capo a piedi, cominciò a parlare, era una lingua strana, non l'avevo mai sentita prima, ma improvvisamente vi fu un attimo di silenzio, durò svariati minuti, poi riprese a parlare. "Tieniti forte" sussurrai ad Eretria, la quale strinse di più le braccia intorno al mio collo. Improvvisamente cominciarono a parlare in coro, un rivolo di sudore mi colò dalla frote, scendendo lungo la guancia e cadendo dal mio mento. Improvvisamente il gigante che ci stava tenendo si avvcinò al calderone. Eretria strinse gli occhi e nascose il viso sulla mia schiena, io tirai un respiro profondo e, con un respiro profondo mossi qualche passo in avanti, poi mi decisi e saltai giù.


ANGOLO AUTRICE:Hoiiiiiiiiiiii!!!!!!!!!!! Come ve la passate gente? Eccomi con un nuoco capitolo, spero che vi sia gradito e mi scuso in caso vi siano orrori di batttura ^-^'''.
Spero però che il capitolo sia di vostro gradimento, in caso lo sia scrivetemelo pure con una recensione e in caso non lo sia scrivetemelo comunque in modo che io mi possa correggere!
Vi ringrazio per aver letto e spero di avervi intrattenuto!
Boiiiiiiiiii!!!!!!!!!!!!!

 

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Capitolo 18
*** Lithium ***


La più vecchia e la più forte emozione del genere umano è la paura, e il più vecchio e il più forte tipo di paura è la paura dell'ignoto.
H. P. Lovecraft.

Non se ne resero nemmeno conto, per quanto fu lesto il movimento, della mia catena che si aggrappava ad uno spuntone di roccia vicino alla base del calderone. Se ne resero conto solo quando fu troppo tardi, ormai ero a terra, libero. Eretria scese dalle mie spalle e cominciammo a correre, il delirio si diffuse nella grotta: forse nessuno aveva mai osato apporsi alla furia dei giganti della terra, beh, forse ero il primo. Cercare di uscire sarebbe stata un'impresa troppo ardua anche per me: eravamo circondati da piedi che sbattevano a terra nella speranza di calpestarci, centinaia e centinaia di piedi, la terra tremava, l'aria rimbombava del rumore e delle grida di quegli esseri fantastici, l'aria quasi non arrivava, si erano persino messi a coprire l'uscita per evitare di farci scappare. 
Mi rendo conto a ripensarci, quanto possono essere stati stupidi. Il mio respiro era reso irregolare dalla corsa, ma mi ero reso conto di quanto effettivamente dovessi ragionare a mente fredda per uscire da quell'apocalisse. Schivai ancora i loro calci, seguito da Eretria, ogni tanto mi fermavo e passavo sotto i piedi, quei bestioni ovviamente non si rendevano conto di nulla. 
Pensai ad un nascondiglio, volevo che pensassero che fossimo già usciti.
Ebbi un'idea ma non sapevo fin quanto potesse funzionare e non mi sembrava il caso di tentare la fortuna. Volevo provare a nasconderci vicino al calderone, sulle pietre roventi, avrebbe fatto male ma nessuno avrebbe provato a guardare lì no?
Sentivo però che poteva non funzionare, dove potevo nasconderci? 
Eretria mi chiamò e mi disse:"Shun, guarda là!" e mi indicò una piccola crepa, piccola per le dimensioni di un gigante, forse ci saremmo potuti entrare ma era in alto anche per un gigante, come potevamo arrivarci?, mi chiedevo, poi notando un gigante che rischiava di schiacciarci spinsi Eretria dietro una roccia e lì mi misi anch'io cercando di riprendere fiato, ansimavo e nemmeno mi ero reso conto d'esser tanto affaticato. 
"Hai qualcosa in mente ora?" mi chiese Eretria, io risposi con un cenno di diniego del capo, poi la guardai:"Qualche idea?".
"Attualemente no..." mi rispose mesta, poi guardò oltre la roccia, i giganti si stavano ancora scatenando, di fronte a noi stava solo il muro di roccia. "Potremmo aspettare che semplicemente vadano via", disse poi, ma io scossi la testa:"Prima o poi potrebbero trovarci, non è prudente rimanere qui", e abbassai la testa, cominciando a pensare, del resto avremmo potuto provare ma ovviamente se qualcuno ci avesse visto tutto questo sarebbe stato vano, eppure le grida di quei bestioni non mi aiutavano affatto.
Dopo qualche minuto Eretria mi scosse il braccio, richiamando la mia attenzione; quando le rivolsi lo sguardo lei tremolante mi indicò un punto alla mia sinistra. Voltai la testa verso sinistra e ciò che vidi mi lasciò senza parole: c'era una donna, in piedi, di lato a noi anche se parecchio distante; aveva indosso un elegante vestito bianco, il corpetto era pieno di perle e di merletti, la gonna era lunga e a campana, terminava in un elegante tulle mentre sopra di esso stavano altre perle e altri eleganti ricami. Le maniche erano lunghe ed erano in tulle mentre i capelli erano lasciati sciolti, a cadere morbidi sulle spalle, sopra la testa stava una piccola crocchia legata con un nastrino color panna mentre intorno alla testa c'era una coroncina con perle e piccoli fiori bianchi. I suoi enormi occhi scuri mi scrutavano nel profondo, le sue labbra, rosse come il sangue mi sorridevano dolcemente mentre giocherellava con una ciocca dei suoi capelli neri neri, resi ancor più neri dalla pelle bianca. "Chi è?" chiesi ad Eretria, ma lei non mi seppe rispondere, si limitò solo a scrollare le spalle.
La donna sorrise ancora e sparì in un buco nel muro che...che prima non c'era!
Senza pensarci due volte presi Eretria dal braccio e corsi nel buco, che ne frattempo si stava chiudendo. 
Il buco si era quasi totalmente richiuso, stavamo accellerando ma a mano a mano quello si chiudeva, poteva essere la nostra ultima via di fuga e come se non bastasse i giganti ci avevano visto!
"Diamine!" urlò Eretria vedendo che ci stavano inseguendo, nel frattempo il buco si stava ancora richiudendo e le urla dei giganti erano aumentate!
Le sopracciglia mi tremavano, ero terrorizzato ma non potevo certo arrendermi, presi Eretria, la spinsi avanti e mi buttai dietro lei, spingendo entrembi fuori mentre il buco si richiudeva del tutto.
"Ohiohiohi..." dissi tenendomi la testa, che avevo sbattuto contro una roccia, tipico.
Eretria sospirò, poi si mise una mano sugli occhi e si mise a ridere.
La guardai interrogativo, lei, solitamente inespressiva, silente, quasi cupa...rideva?
Stava lì, sdraiata sull'erba, rideva come mai l'avevo vista fare...anche perché non l'avevo mai vista ridere.
"Scusa..." mormorò lei ancora sorridendo, dopo un poco "c'è chi piange di gioia e c'è chi ride, del resto bisogna stendere i nervi ogni tanto, no?".
Io mi limitai ad annuire, poi mi guardai intorno: non sembrava d'essere ancora sul terzo piano! 
Era notte, faceva piuttosto freddo e alla pioggia si era sostituita una nebbia fittissima; gli alberi erano molto pù vicini tra di loro, guardai l'orario: erano appena le tre del pomeriggio, eppure parevano le tre di notte!
L'erba pareva bagnata dalla rugiada, la sfiorai col palmo della mano e mi soffermai, chiudendo gli occhi, assaporando gli odori del paesaggio: odore di bosco, di pioggia, umidità...non era poi così male, eppure il vento, leggero, quasi invisibile, pareva il gelido sussurro di un fantasma, lì, nella notte. C'era una strana pace in quel posto, se potessi descriverlo lo definirei simile ad Aokigahara, ma non so quanto mi credereste siccome Aokigahara è conosciuta per essere "La foresta dei suicidi". Che ci crediate o no mi sentivo così: in un mare d'alberi, come se fossero onde e non steli d'erba quelli sotto la mia mano. Alzai gli occhi al cielo: non vedevo nulla, solo il nero e qualche foglia, era tutto buio. Mi alzai dopo un poco vedendo un luccichìo nella nebbia. Mi avvicinai ignorando i richiami di Eretria, poi la vidi, quella donna, mi guardava con quegli occhi enormi e sensuali, che le davano un'aria quasi esotica nonostante il pallore della sua pelle, in mano aveva qualcosa di rosso, di brillante...aveva un rubino. Mi si avvicinava lentamente, i suoi passi, per quanto fossero leggeri, erano scanditi dal rumore dell'erba che si piegava sotto i suoi piedi.
Crik crak, lentamente si avvicinava, e io non potevo muovermi, rapito, a poco servivano i richiami di Eretria:"Shun! Shun!", mi chiamava ma io ero rapito solo da quegli enormi occhi scuri e da quelle labbra rosse, e mentre quella sposa si avvicinava a me Eretria continuava ad urlare in preda al panico:"SHUN! SHUN ALLONTANATI! VAI VIA!".
Nonostante il terrore mi assalisse restavo fermo, come in un sogno non riuscivo a scappare o al urlare, restavo fermo a guardare quella figura che rappresentava forse il peccato nella sua forma più pura e che comunque in mano aveva ciò che io volevo, quel rubino, dovevo averlo. Lo teneva nel palmo della sua mano pallida, a palmo aperto, le dita leggermente piegate, chi era?
Non mi era ben chiaro cosa fosse e cosa volesse, e forse era questo a farmi più paura, le sue dita parevano formare una morsa nella sua mano, così pallida, così bianca...così perfetta, come lei. 
La donna mi si avvicinava sempre di più finchè non potei sentire il suo odore, era lo stesso del bosco, lo stesso della pioggia caduta, fresco ed opprimente ad un tempo. La donna mi si avvicinò finché non potemmo guardarci negli occhi, potevo sentire il suo respiro fresco addosso, silenziosa e letale, temevo quello a cui stavo per andare incontro e lei teneva ancora quel maledetto rubino in mano! Tentavo di muovere il braccio per prenderlo ma ero bloccato completamente, nel frattempo potevo sentire un dolce aroma ai frutti di bosco provenire dalle sue labbra...labbra che stava avvicinando alle mie.
Chiusi gli occhi, poi sentii due grida sovrapporsi: Eretria e un'altra che non avrei mai pensato di esser felice di sentire! 
"SHUN!" urlò disperata Eretria, poi un'altra voce, era Goldilocks! "Vade retro Lithium!".
La donna si allontanò di scatto da me, poi guardò dietro di me, come distolsi lo sguardo caddi a terra e potei vedere Goldilocks, Ikki, Hyoga, Dalia e Zorba!
Lithium, così a quanto pare si chiamava quella donna, retreggiò mentre Goldilocks si avvicinava a me seguita dagli altri. La donna fece una smorfia e poi sparì nel bosco. Ikki mi aiutò ad alzarmi e lo stesso fece Dalia con Eretria. 
"Chi era?" chiese poi Eretria "Come ci avete trovati?"
"Avete un cosmo e nel nostro gruppo qualcuno è onniscente, non è stato quindi difficile," disse Ikki "riguardo quella donna invece..." e tacque, non sapeva cosa dire.
"Era la Lithium", disse Dalia, Hyoga le rispose:"Lithium? Seriamente "Litio" è un nome?",
"Il litio" disse Goldilocks "è un metallo alcalino sulla tavola periodica, indicato con Li. E' utilizzato come trattamento per i medicinali per il disturbo bipolare, ma probabilmente non si chiama così per quel motivo". Mio fratello ci pensò su, poi scosse il capo e continuò ancora a navigare nei suoi pensieri, poi nel suo sguardo si accese l'illuminazione:"Lithium somiglia...a Lilith!"
"Lilith?" chiese Hyoga, reclinando leggermente la testa di lato.
"E' un demone notturno nella tradizione ebraica, viene definita la donna che ha preceduto Eva, ma la si può trovare anche nelle credenze mesopotamiche, ma a prescindere Lilith non è una presenza positiva, anzi, è fortemente negativa, alcuni la definiscono addirittura l'amante del Diavolo".
Quelle parole mi fecero rabbrividre, non sapevo se correndole dietro mi ero condannato o altro, anche se la cosa che più mi premeva era...se avremmo dovuto fronteggiarla per riprendere il rubino.


ANGOLO AUTRICE: Hoiiiiiii!! Sono già ritornata a scrivere, sono molto contenta di quanto viene scritto nelle recensioni e ringrazio tutti coloro che mi han fatto anche solo un piccolo complimento o le recensioni lunghissime che ricevo! Grazie di cuore, mi fanno sentire soddisfatta del mio lavoro!
Detto questo oggi abbiamo un capitolo un po' particolare, spero vi piaccia! L'unico mio rammarico è il timore che sia troppo breve ma vabbè dettagli. Spero comunque che sia di vostro gradimento, alla prossima, Boiiiiiii!!!!!!!!!!!!!!

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Capitolo 19
*** Apeiron ***


La nebbia stava coprendo la strada dinnanzi a noi, l'erba che calpestavamo produceva un suono secco, era scura, bagnata dalla rugiada e carezzava gli alti alberi i cui rami parevano secche braccia di uomini urlanti.
"Potremmo essere qui da ore", si lamentò Ikki, "non si vede nulla, dobbiamo muoverci".
Hyoga si limitò a guardare Dalia, la quale comprese e battè le mani, mentre accanto a noi comparvero una decina di fuochi fatui, i quali potevano illuminare solo nel raggio di qualche metro.
Goldilocks guardò Zorba, il quale miagolò sconsolato prima di sparire in nube viola. "Maledetta mocciosa...", cominciò quello, ma  quella che ormai era la padrona si limitò ad ignorarlo, sorridendo leggermente.
Zorba, ormai diventato una zucca intagliata al cui interno stava un piccolo lume, era diventato una sorta di torcia, eppure era ancora difficile vedere:"Temo che orientarci sarà molto difficile", disse Hyoga, poi guardò a terra e si chinò. "Che succede Hyoga?" gli chiesi avvicinandomi e lui, in risposta, colse un piccolo fiore bianco con un'inquietante macchia rossa. Se lo rigirò attentamente tra le dita, poi me lo porse e io lo esaminai con scrupolo ancora maggiore: pareva che stesse sfiorendo mentre un goccio di quella strana sostanza, la quale, appena Hyoga mi passò l'oggetto del nostro interesse, colare tra i petali e poi colò lungo lo stelo, finchè non si depositò sulle mie dita. "Cos'è?" chiesi io rabbrividendo, Ikki mi rispose, con un tono un po' basso:"Credo che sia sangue...", "E' proprio sangue!" confermò Goldilocks con il suo solito tono un po' infantile, che però in quel momento pareva assai inquietante.
Lasciai cadere il fiore e cercai di pulirmi la mano, solitamente non ci facevamo spaventare da queste piccolezze, ma in quel momento, complice anche la nebbia e l'esperienza appena vissuta, ci sentivamo come bambini indifesi, ma non ci volle molto per rinsavire. Quel fiore poteva stare ad indicare che stavamo seguendo la direzione giusta, forse quella bestia era vicina, forse era solo andata in quella direzione oppure stavamo andando incontro alla morte, forse una morte violenta, o forse violentissima.
Decidemmo di continuare per la nostra strada ma vedevo Eretria estremamente nervosa, poi Goldilocksmi si avvicinò e mi disse, con tono pacato:"Andiamo avanti Shun, debbo parlarti", ed accellerò il passo. Gli altri parevano non averci fatto caso, forse erano tutti persi nei loro pensieri, eppure io non potevo fare a meno di trovare incredibile come il suo alternarsi tra infantilità e maturità la rendesse, forse, più affidabile della mia dea di sempre, più affascinante di una danza orientale e, forse, brutale come l'impatto che aveva sulla gente. Non avrei dovuto pensare questo, ma era anche vero che in poche ore di conoscenza Goldilocks era diventata quasi un'amica, una compagna, una sorella, eppure mi dimenticavo sempre che di quella ragazza io non conoscevo nemmeno il nome. 
La raggiunsi ma lei continuò a camminare, lo sguardo era perso nel vuoto, come se fosse immersa in chissà quali pensieri profondi e chissà quali fossero per turbare quegli occhi viola.
Non sapevo nemmeno come interrompere quel silenzio così pesante, non sapevo come sollevarla dai suoi pensieri, mi pareva quasi indecoroso interromper i pensieri di quella ragazza senza nome.
"Shun", proferì poi, e in un fiato mi disse solo:"panta rei", senza spiegarsi quando la interrogai con tutta la faccia, ritornando vicino alla sorella. 
Arrestai il mio passo e feci passare il gruppo avanti , poi li seguii e Ikki mi si avvicinò chiedendomi:"Va tutto bene Shun?", allora io chiesi, senza pensarci due volte:"Cosa vuol dire panta rei?".
Lui ci pensò un attimo, poi mi rispose:"Onestamente non saprei dirti, ma credo che sia greco".
Il silenzio regnava nella foresta, il vento scuoteva leggermente le chiome degli alberi mentre un sibilio spettrale ci attraversava le orecchie, poi ci trovammo dinnanzi a un bivio, al cui centro c'era un enorme cipresso, probabilmente pluricentenario.
"Siamo ad un bivio..." mormorai, ovviamente pensavo di fare la prima cosa che sicuramente voi penserete: pensavo di dividerci. Sì, ebbi la geniale idea che ebbe Seiya di fronte alla casa di Gemini, ma, conscio dei rischi, decisi di evitare azioni avventate, ma non feci in tempo a pensarlo.
"Forse dovremmo dividerci", propose Hyoga, ma prima che potessi protestare Eretria si aggregò:"Hyoga ha ragione, dobbiamo proseguire, non possiamo indugiare", quindi tentai di dire:"Non credo sia una buona idea, in caso ci sia un pericolo dovremmo essere uniti, non credo sia il caso di disperderci."
Ikki annuì e confermò quanto avevo detto:"Dividerci è troppo rischioso, ci lasceremmo indietro gli uni con gli altri e poi non avrebbe senso farlo dopo aver fatto i salti mortali per riunirci".
"Potrebbe essere una buona idea però", commentò Goldilocks con un leggero sorriso, "del resto abbiamo un cosmo, possiamo usarlo per rintracciarci o capire se qualcuno di noi ha bisogno di aiuto".
Il ragionamento di Goldilocks non faceva una piega, eppure non ero convinto, Zorba muoveva lentamente la coda, non era convinto nemmeno lui.
"Orion e se ci allontanassimo troppo?" azzardò Dalia, ma la sorellina rispose subito:"I cosmi miei e tuoi sono molto espansi, riusciremo a trovarci facilmente".
"E' una pessima idea..." continuai, ma alla fine Goldilocks  riuscì a convincere la sorella, che cedette anche lei. Ormai conoscevo Goldilocks e sapevo che non faceva mai nulla per caso, ma ormai ero inquieto e non mi fidavo, però, mi dissi, dopotutto era onniscente...
"Va bene", cedetti io "facciamolo, purchè non sia rischioso".
Decidemmo di dividerci: Eretria, Hyoga e Dalia sarebbero andati a sinistra, io, Ikki, Goldilocks e Zorba a destra. 
Dopo numerose raccomandazioni ci separammo, promettendoci di ritrovarci il prima possibile, e noi ci avviammo verso destra; eravamo in quattro, in un bosco inquietante e con l'amante del diavolo a piede libero, beh, non è certamente una storia che racconterei a mio figlio prima di dormire.
Difatti se dapprima l'atmosfera aveva un non so che di poetico nel suo essere opprimente, da quel momento in poi di poetico ci sarebbe stato ben poco.
L'odore della pioggia e l'atmosfera cupa furono ben presto accompagnati da uno strano ed improvviso tanfo, come se fossimo entrati in un magazzino ricolmo di carne marcia, poi potemmo sentire un ronzìo, tipico degli insetti e ben presto non li sentimmo solo. Ikki gemette di sorpresa retreggiando mentre un insetto enorme grosso come un coniglio gli tagliava la strada. Ci arrestammo e potemmo vedere dinnanzi anoi una vera e prorpia colonia di insetti simili! Stavano sull'erba, sugli alberi, erano simili ad un incrocio tra un calabrone e una vespa, disgustosi.
Dopo una tale visione retreggiai e mi tappai il naso, quell'olezzo era insopportabile.
"Cosa diavolo sono?!" chiese Ikki disgustato, io non seppi rispondergli e rimasi in silenzio, ma non per molto. Notai infatti qualcosa di un colore simile al carne all'interno di un albero, mi avvicinai lentamente ad un albero, un passo dopo l'altro, schiacciando con i piedi l'erba scura e rompendo  così fragili rametti neri.
Cercai di evitare l'enorme insetto sul tronco, guardai in un buco all'interno dell'albero e potei vedere qualcosa che mi scioccò: la testa di una bambola senza occhi, con della cera che fuoriusciva dalle orbite vuote e dalla bocca, poi separato dal crene stava il corpo rivestito da stracci marroni e grigi. 
Sobbalzai, ma il grido di Ikki e Goldilocks mi destò di colpo, ma solo per vedere l'insetto saltarmi addosso, urlai per lo spavento e sentii una bava vischiosa ungermi il viso, il collo, bruciava  e faceva male, come se fosse corrosiva. Continuai ad urlare per il dolore, Goldilocks e Ikki dissero qualcosa ma io non compresi, poi mi sentii spingere e caddi in un laghetto. L'acqua era verde e potevo sentire qualcosa di di peloso sotto il palmo della mano, mentre mi guardavo intorno poi scorsi qualcosa di simile ad un ratto galleggiare sul pelo dell'acqua. Trattenni un conato di vomito ed uscii velocemente dall'acqua annaspando ed aggrappandomi a fatica al terreno, le unghie si sporcarono di terra  e i pantaloni avevano attaccati piccoli pezzetti di una strana materia orgaica che non volevo identificare. Mio fratello mi aiutò ad uscire e mi aiutò a pulirmi, poi mi accarezzò con la punta delle dita la guancia, che bruciava ancora, poi disse:"Non voglio pensare a cosa sarebbe successo se ti avessimo lasciato con quel coso in faccia, ma dove siamo?", poi Goldilocks gli rispose:" parte della foresta chiamata Hoia Baciu, prende il nome dalla foresta vicino a Cluj-Napoca, una delle città più popolose della Romania, questo perchè, in minima parte, si somigliano".
Ikki allora chiese:"E l'altra parte? Ha un nome?".
"Aokigahara", rispose allora Goldilocks ed entrambi ci allarmammo, Aokigahara era la foresta dei suicidi!
"Calmi", ci ordinò lei "non è famosa per i suicidi, ma solo perché è così fitta da ricordare un mare d'alberi".
Tirammo un sospiro di sollievo, ma ci rimettemmo subito all'erta: sentimmo qualcosa di strano, non sapevo come definirlo e come raccontarvi quel suono. Era come un coro di voci maschili, ma molto più cupo e metallico, reso come un ringhio, non come un coro. 
Rabbrividii, poi notai un movimento dietro i cespugli. Tutti e tre ci mettemmo in posizione di difesa, ma non uscì nulla. Dopo un po', facendomi coraggio, mi avvicinai al cespuglio, lo scostai e...ne uscì fuori un coniglietto bianco, che semplicemente scappò via. Sospirammo sollevati, poi, seguendolo con lo sguardo notammo la sua direzione: era una grotta la cui entrata era enorme, era altissima, forse quindici metri, la sua entrata era triangolare ma sopra la porta, come se fosse uno stemma, stava un teschio privo della mandibola. 
Io e Ikki sobbalzammo ad una tale vista, mentre Goldilocks rimase calma, io fui l'ultimo a farlo, perché era semplicemente tutto così assurdo...
Deglutii, poi, mentre un rivolo di sudore mi colava lungo la fronte, mi avvicinai all'entrata con passi tardi e lenti, seguito dai miei compagni. La grotta dall'entrata pareva buia, ma potevo vedere una luce fioca in lontananza. Tirai un lungo sospiro e tutti ci guardammo con sguardo complice, poi ci decidemmo ed entrammo.

§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§

Ci volle un poco, ma arrivammo, e quel che trovammo non è facile da descrivere, ma lo faò come posso. 
Andando verso quella fioca luce avevamo trovato una strana tenda rossa, decorata in oro, al fianco stava un piccolo tavolo con una lampada ad olio, mentre, sempre sul tavolo, stavano una piuma d'oca intinsa in una piccola boccetta quadrata, piena di inchiostro nero e affianco una carta, come se qualcuno dovesse scrivere una lettera.
Non c'era un suono, così mi avvicinai al tavolo, ma quando arrivai al tavolo non feci intempo a guardare cosa ci fosse scritto nella lettera che sentii l'urlo di Goldilocks:"Shun! Attento!", ma non riuscii a muovermi, fui sbalzato da una strana frusta e sbattei contro mio fratello, poi entrambi finimmo contro il muro di roccia e qualche piccola pietra cadde accanto a noi, poi vedi Goldilocks sfoderare la sua lancia e scontrarsi con quella strana frusta che proveniva da dietro le tende!
La fece roteare un paio di volte, tentò di taglarla ma quella continuò ad attaccarla finchè non si attaccò alla lancia e la spedì contro di noi, che rompemmo ulteriormente il muro e mio fratello sputò qualche goccia di sangue.
"Fianlemente siete arrivati", disse una voce femminile proveniente da dietro le tende.
"Lithium...!" annaspai io, sentimmo una risata femminile, poi le tende si aprirono e vedemmo  dietro di esse,stava un letto a baldacchino con candide lenzuola, cuscini e ricami, sopra c'era la donna di prima, il cui corpo era coperto da una lunga camicia da notte con le maniche gonfie e lunghe, un fiocco stava sul petto e c'erano dei ricami sulle spalle. Lei ci osservava con le sue labbra rosse leggermente increspate in un sorriso inquietante, giocando con una ciocca di capelli. 
"Sapevo vi sareste spinti fin qui", disse con una finta amarezza "la curiosità uccide".
Ci alzammo, Zorba rimase dietro di noi e la osservò attentamente, poi lei continuò:"Ma non temete, avrete la stessa sorte degli altri"
"Cosa?!" chiesi, Ikki si mise in posizione di difesa e Goldilocks aggrottò la fronte, quando lo vidi però mi resi conto di un piccolo particolare che avrebbe cambiato radicalmente il corso della battaglia...non per vantarmene, ma quando decido di ragionare Sherlock Holmes mi può solo pulire le scarpe! Ok, torno al racconto...
Dicevo, quel piccolo particolare avrebbe cambiato radicalmente le sorti della battaglia, dunque feci qualche passo in avanti, con sommo disappunto di Lithium. Alzò un sopracciglio e mi osservò da capo a piedi, parlandomi con tono di scherno:"Cosa vorresti fare? Affrontarmi?
E' il momento Shun, sfoggia la tua arte retorica, mi ripetevo, poi le dissi:"Sinceramente non ti temo, non credo che tu possa aver ucciso i nostri amici".
"Ma come?" fece lei trattenendo una risata "ma se prima sembrava che stessi per morire di crepacuore"
"Non credo che tu reagiresti bene alla notizia della morte di un amico"
"Io non ho amici"
"Lo immaginavo, è un peccato però", dissi io guardando leggermente in basso a destra "sei veramente molto bella".
Ikki aveva la mascella cadente e Goldilocks tratteneva una risata per la faccia inebetita di Lithium, che arrossì vistosamente:"Non è vero!" 
"Allora mostrami i corpi, una ragazza così bella non può uccidere a sangue freddo tre persone".
Lei allora perse la ragione ed urlò:"Eccoteli i corpi!" e calò giù con delle ragnatele i nostri amici, feriti, ma i loro cosmi erano ancora percepibili, dovevamo fare presto.
Mi finsi sorpreso, allora feci:"Dovremo combatterti quindi?", lei poi si sentì presa in giro e la sua espressione, dapprima sensuale e dolce, divenne ben presto così carica di odio da sfigurarsi in un grido, poi notammo un movimento sotto la gonna: le gambe si erano unite ed erano diventate un tutt'uno, poi divennero nere e cominciarono a gonfiarsi fino ad assumere una forma ritonda, da cui spuntarono otto zampe da ragno, gli occhi divennero otto, i denti fuoriuscirono dalla bocca e lei si diresse verso di noi a passo svelto, correndo nella nostra direzione.
"Mettiamoci ad angolo retto!" ordinai, immediatamente Goldilocks e Ikki si disposero ad angolo retto intorno a lei, poi ordinai ancora:"Attacchiamo e scaliamo!".
Capirono subito cosa avevo in mente di fare: immediatamente Ikki sferrò le ali della fenic e Goldilocks un raggio di luce dalla mano, io attaccai con la catena, poi girammo. L'obiettivo era semplice: attaccarla e confonderla affinché non potesse attaccare anche lei. Fu ustionata dalla fenice di Ikki, tanto che urlò di dolore più volte, le fiamme accarezzavano la sua schiena che da candida divenne rossa e cominciò a sanguinare, Goldilocks infeve la stordiva con un raggio di luce in modo da non permetterle di vedere e io la bloccavo con la catena, ma non durò a lungo. Urlò, urlò così forte che alcune parti della grotta cominciarono a cadere, Goldilocks si spostò appena in tempo per non essere colpita ma Ikki fu bloccato alla gamba e urlò dal dolore, temetti che si fosse rotto qualcosa.
Quella cosa sputò la ragnatela e mi bloccò le braccia vicino al torso, poi mi lanciò contro il muro, che si ruppe e le pietre mi caddero addosso e sul petto, facendomi sputare sangue. Lei continuò a urlare e presto cominciarono a cadere anche i corpi dei nostri amici, Dalia cadde spaccando una pietra ma non riprese i sensi, poi cadde anche Hyoga, ma cadde su uno spuntone di roccia appuntito e si perdorò il polpaccio.
Lei si aggirava tra i corpi, tirò una zampata a Goldilocks e la fece sbattere contro un muro, lei gemette, uno spuntone di roccia le perforò la spalla, il sangue scorreva a fiumi ormai, mentre Lithium arrivava verso di me, chiedendomi se avessi un ultimo desiderio.
La guardai attentamente: esattamente dove prima stavano le gambe in quel momento si trovava il rubino...ero così vicino...
Dovevo avere quel rubino, e sapevo come, dovevo solo prendere tempo.
Voglio che tu risolva un mio dubbio, le dissi, quale mostro si trova ai limiti dell'universo?
Lei ci pensò un attimo, poi mi chiese:"Perché ti interessa? Stai per morire".
"Non sono forse un cavaliere? Non è forse mio dovere, in quanto tale, sapere di che morte morirà il mio mondo?", chiesi con una finta ira. 
Lei rise soddisfatta, poi disse:"E va bene, ti accontenterò, del resto stai per morire", fece una piccola pausa e continuò:"Anassimandro una volta disse che l'origine di tutto era l'apeiron, una sostanza infinita e indefinita, da cui avevano origine tutte le cose, tutte le cose prima o poi si distruggono o muoiono, questa è una pena che esse pagano per essersi separate dall'apeiron e dalla sua armonia. Le cose nascono dalla separazione dall'apeiron e muoiono per questo, per questa colpa imperdonabile. Anassimandro ovviamente aveva preso un granchio, ma il mostro alleato di Chaos ha preso proprio il nome da  lui, Apeiron. Il mondo esiste, noi esistiamo, voi esistete, e vi siete sparati dall'armonia e tutto questo è inaccettabile, ecco perché Chaos vuole averlo con sè, per diventare padroni di un nuovo mondo"
"Ma non è un controsenso? Se quel che dici è vero perché l'Apeiron dovrebbe essere favorevole alla creazione di un nuovo mondo?"
"E' proprio questo il bello!" esclamò entusiasta "Chaos creerà il mondo perfetto proprio nell'Apeiron, niente contrasti, niente guerre, niente epidemie...la perfezione, l'Apeiron diventerà perfetto, il mondo perfetto, voi umani siete solo scarti da eliminare prima dell'dealizzazione di questo piano!".
Sorrisi, parlava con tanta enfasi che mi fece quasi tenerezza.
Io e Goldilocks ci scambiammo uno sguardo complice e io continuai:"Capisco, è davvero meraviglioso!".
Lei mi guardò sorpresa, poi mi chiese:"Cosa c'è? Dici di essere dalla nostra parte per avere salva la vita?".
"No no", negai "ora che ci penso questo piano è una meraviglia, è come l'Apeiron, perfetto!"
"Cosa te lo fa credere?"
"La tale devozione con cui tu credi nella tua causa, non può non essere vera passione la tua".
Lei riflettè, poi fece con senso di assenso:"Hai proprio ragione, e poi non sei poi male", fu così convinta delle mie parole che cominciammo a conversare amabilmente, grazie al cielo riuscii a tenerla focalizzata su di me e a non girarsi. Non vi racconterò dell'organizzazione di questa nuova società, più simile ad una setta che altro, ma vi limiterò ad esporre i fatti che mi sono capitati e fidatevi, miei cari amici, non vi perdete nulla. 
Quando poi fu il momento io e la mia amica ci guardammo negli occhi, poi dissi a Lithium:"Attenta! Si stanno alzando!", fingendo di averli traditi, lei allora si voltò verso di loro e, tanto era presa nel racconto, che non si era nemmeno resa conto della mia catena sotto di lei.
"Fuoco!" proferì Ikki, e tutti insieme, io, Ikki, Goldilocks, Eretria e Hyoga, usammo i nostri colpi più potenti contro di lei, formando un attacco combinato che raggiunse livelli di luminosità tali da rendere impossibile la vista per qualche secondo, mentre lei urlava in maniera disumana, un urlo da far accapponare la pelle.
Mi ritrovai sdraiato a guardare il sofitto della caverna, con un mezzo sorriso in faccia, della donna restava ormai solo la parte delle gambe, e delle zampette da ragno. Il rubino si staccò dal suo ventre e rotolò verso di me. Sorrisi leggermente e lo presi in mano, stringendo tra le dita la chiave che ci avrebbe aperto il prossimo piano.


NOTE AUTRICE:Hoiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii! Vi sono mancata? Probabilmente no ma eccoci qui con un capitolo nuovo nuovo tutto per voi! Mi dispiace di due cose, perdonatemi ma qui potrei dilungarmi:
1)Mi dispiace di essere stata così assente, cercherò di essere più presente d'ora in avanti, anche se, almeno per ora, non posso promettere nulla, però ci proverò, tentando di fare un capitolo a settimana.
2) Ragazzi mi dispiace ma qui se vedrete orrori di ortografia purtroppo sono dati dal fatto che il computer fa i capricci e non mi permette di correggerli, mi scuso tantissimo, di solito cerco sempre di correggerli prima di publicarli, spero che non vi infastidisca nella lettura!
Detto questo vi lascio, spero che il capitolo vi sia piaciuto nel caso ditemelo in un commento o anche in caso abbiate qualche critica da farmi le accolgo sempre come formative!
Vi ringrazio di aver letto, vi mando un bacione a tuuuutti quanti! Boiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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Capitolo 20
*** Whiterabbit -parte 1 ***


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La porta della quercia si spalancò e noi saltammo fuori, atterrando sull'erba morbida e profumata. Intorno a noi la brezza carezzava leggera le nostre guance e il sole filtrava tra le foglie degli alberi.
Mi guardai intorno, apparentemente regnava la pace,gli uccellini cinguettavano e il sentiero bianco pareva brillare alla luce del sole .
Ikki, che aveva capito la filosofia di quel luogo, sospirò e, mettendosi le mani sui fianchi, disse esasperato:"Apparentemente qui non c'è nulla da temere, dov'è la fregatura?"
"Probabilmente basterà spostare un ramosciello per trovarla...", intervenne Hyoga, ma Senex li interruppe:"Percepisco qualcosa di anomalo...".
Ikki congiunse il pollice e l'indice tracciando una linea invisibile sorridendo con fare frustrato. "Sento un cosmo...apparentemente è in sintonia col tuo", disse guardandomi. Ci pensai, chiedendomi quale cosmo potesse effettivamente essere in sintonia col mio: Seiya? No, lui andava d'accordo con tutti, Shiryu? Nemmeno...io e lui obbiettivamente ci...aiutavamo in battaglia ma questo è il quanto, si mi ha salvato ma...al di fuori della battaglia il nostro rapporto è puramente..."professionale"...che fosse allora...?
"Syria!" esclamai io, senza dubbio era sul piano se Delia lo percepiva, ma dove poteva essere?
"Solo..." disse poi la regina delle streghe "non riesco a percepirlo, lo percepisco come se lo avessi accanto", "Bel problema" commentò Eretria, ma quell'assemblea fu interrotta da un ringhio.
Il ringhio proveniva da dietro un cespuglio di bacche rosse, io feci per avvicinarmi ma Ikki mi afferrò il braccio tirandomi verso di lui, ma fu del tutto inutile perché dal cespuglio uscì un essere...incredibile. Era il mostro di origine divina, leone la testa, il petto di capra, e drago la coda; dalla bocca vomitava orrende vampe di fuoco, nondimeno fu ucciso da Bellerofonte anche per aiuto agli dei.
"La Chimera!" esclamò Ikki, e Goldilocks urlò:"Correte!", e tutti cominciammo a correre, quell'essere, che pareva venire solo da una delle bolgie più profonde dell'Inferno, ruggì e potemmo vedere le lingue di fuoco che uscivano dalla sua bocca carezzare l'erba, bruciandone alcuni sprazzi, poi si mise a correre presso noi.
"Maledizione!", dissi, poi vidi Ikki voltare leggermente il corpo, era preoccupato .
"Dobbiamo rallentarlo!" esclamò Hyoga, io mi misi a riflettere, qualche cosa dovevo pur fare!
La Chimera spiccò un salto e ci si parò davanti, ringhiando e spalancando le fauci, da cui pendevano lunghe fila di saliva.
Con dei movimenti degni della lonza dantesca si avvicinò lentamente a noi, ed io potei notare qualcosa di luminoso pendere dal collare che aveva, però non potei vedere bene nella foga, perché ebbi l'illuminazione:"Hyoga, ho un'idea, bloccagli le gambe! Ikki, stordiscilo col fantasma diabolico!".
Annuirono entrambi e partirono sia il primo che il secondo: Ikki utilizzò il Fantasma Diabolico per stordirlo e, quando la videro barcollare, Hyoga usò il Diamond Dust per bloccargli le zampe. Non durò molto, infatti dopo pochi secondi la bestia si riprese, noi comnciammo a correre, con l'intento di seminarla.
Correvamo completamente alla cieca, a momenti non ci vedevamo più tra di noi, gli alberi erano stretti e avevamo difficoltà ad orientarci.
"Ikki!"
"Eretria!"
"Senex!"
"Shun!"
"Orion!"
"Hyoga!"
Ci chiamavamo l'un con l'altro ma a mano a mano le grida diventavano sempre più lontane e più cercavo di seguirle più le sentivo lontane, più le mie grida continuavano più le altre diminuivano, finché mi ritrovai a gridare a vuoto.
"Ikki!".
"Goldilocks!".
"Hyoga!".
"Senex!".
"Eretria!".
Gridavo ma nessuno rispondeva, poi mi fermai per riprendere fiato, il fumo me lo aveva dato corto e mi sentivo sul punto di crepare.
Mi guardai intorno, ero perso, di nuovo, ma stavolta non ero in qualche luogo inquietante, anzi, quel piano pareva invece trasmettere una sensazione di pace e serenità.
Camminavo e il rumore dell'erba spezzata sotto i miei piedi mi infondeva una sensazione di sicurezza, ricordandomi della mia infanzia all'orfanotrofio. 
Ripensai alla mia infanzia, ma quando scavai più a fondo mi resi conto che effettivamente di sereno non c'era nulla.
Poi mi sovvenne alla mente uno strano pensiero: uno stanzino buio, una luce al neon sfarfallante...e poi un dolore atroce alla schiena.
Rabbrividii, e mi resi conto di essere raggomitolato a terra...che mi fossi immaginato tutto?
Mi alzai e mi sgranchii le braccia, forse me lo ero solo immaginato. Dovevo trovare gli altri e smetterla di farmi film mentali, quindi mi incamminai cercando gli altri alla cieca, non avevo una direzione, stavo andando totalmente a caso e probabilmente non volevo ammetterlo.

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Ok, era ufficiale, mi ero perso. Lo ammisi a me stesso, non avevo la benché minima idea di dove mi trovassi o di dove stessi andando, stavo andando completamente alla cieca, magari avrei visto anche Chaos prendere il caffé!
Ero esasperato e penso si capisca, mi grattai dietro la nuca e sospirai, sarebbe stata dura, mi resi conto di quanto effettivamente Goldilocks fosse utile come navigatore, quei piani erano davvero immensi! Poi però notai qualcosa di strano, infatti vidi chiaramente un cespuglio muoversi, rimasi a fissarlo, ma dopo un paio di minuti uscì uno strano coniglio. "Sono in ritardo, sono in ritardo!" diceva tutto trafelato guardando un orologio d'oro da taschino mentre correva. Lo seguii e lo vidi continuare dire di essere in ritardo e mi chiesi, dubbioso, per cosa mai potesse essere in ritardo un coniglio. 


Note autrice:Hoooooooooooii! Come al solito aggiorno con tre ere glaciali di ritardo ma, complice il sonno arretrato, ho fatto ritardo. So che il capitolo potrebbe essere breve, infatti è una parte di due che dovrebbe uscire domani, anche se non è proprio sicuro. Detto questo ragazzuoli io vi saluto e ci rivediamo al prossimo capitolo, booooooooooooi!!!!!!!!!!



 

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Capitolo 21
*** Whiterabbit -parte 2 ***


"Sono tremendamente in ritardo!!", continuava quello mentre correva, io lo seguii: indossava un completo da borghese rosso e aveva un fazzoletto giallo legato al collo e continuava a correre tutto trafelato guardando l'orologio. "Mi scusi signor coniglio..." chiesi quando gli fui vicino "per cosa siete in ritardo?".
Lui si fermò un attimo e mi guardò interdetto da capo a piedi, poi esordì: "Sei troppo giovane, non puoi capire".
Continuò poi a correre e si recò presso un'enorme quercia, io lo seguii e vidi che sulla quercia c'era il disegno della porta. Beh, quantomeno avevo già trovato il portale.
Lui si mise a cercare in giro e si soffermò tra alcuni cespugli, e io notai una strana scritta sulla porta, quindi mi avvicinai e lessi:

"Per me si va nella città dolente,
per me si va nell'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.

Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina potestate,
la somma sapienza e 'l primo amore;

dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, o voi ch'intrate."

Rimasi interdetto, quella era la scritta integrale sulla porta dell'Inferno della Commedia di Dante, ma come mai recitava così su quella porta? L'ultimo verso non era forse presente anche sulla porta dell'Inferno di Hades?
Il coniglio continuò a correre, allontanandosi dal cespuglio. Rimasi in silenzio e lo seguii con lo sguardo, però, preso dalla curiosità, decisi di sbirciare...cosa c'era di tanto interessante in quel cespuglio?
Spostai leggermente i rami e la luce del sole si infranse sul metallo di un particolare flauto color arancione.
Sgranai gli occhi e lo afferrai, poi urlai:"Catena di Andromeda!", e la mia fedele catena sfrecciò tra gli alberi, tagliò i rami e le foglie, dopo pochi secondi tornò con quel coniglio, strillante, legato e sospeso a mezz'aria.
"Lasciami! Ragazzaccio! Incivile!", urlava e scalciava quello, io lo afferrai per il retro della giacchetta e gli porsi sotto il naso il flauto, dicendo:"Si come ti pare, ora, dimmi dove hai preso questo flauto"
"Non lo so, l'ho trovato!"
"E lo hai nascosto in un cespuglio per quale motivo?", chiesi poi con fare inquisitorio poggiando la mano stretta a pugno con cui tenevo l'oggetto incriminato sul fianco.
"Era bello, non ho il tempo di tornare a casa, quindi l'ho preso e l'ho nascosto".
La cosa non mi convinceva, un coniglio vestito di tutto punto che correva a destra e manca dicendo di essere in ritardo con la Chimera a piede libero non perderebbe tempo con un flauto.
"Mettimi giù! Sono in ritardo!!", continuò, diamine, mi pareva di essere entrato in Alice nel Paese delle Meraviglie...
"In ritardo per cosa?" gli chiesi esasperato, lui non pareva voler rispondere, certo che di situazioni strane ne avevo viste, ma quel coniglio mi stava facendo perdere la mia solita pazienza, però poteva essermi utile...
"Senti un po'", gli chiesi "conosci questo posto?", "Come le mie tasche!", disse lui convinto, e io proseguii:"Allora ti propongo un accordo: tu mi aiuti in questo posto e in cambio io...", io?
Lui alzò un sopracciglio, allora, guardando l'orologio, trovai l'illuminazione:"Ti regalerò un orologio con cui riavvolgere il tempo tutte le volte che vorrai, così non sarai più in ritardo".
Al coniglio si illuminarono gli occhi, la cosa reggeva, del resto poteva aiutarmi, tanto avrebbe riavvolto il tempo...ma con quale orologio?! Ho sparato una sciocchezza tale che ci aveva creduto...ma dove diamine avrei preso un orologio simile?
"Allora ti aiuterò, si aiutano sempre le persone in difficoltà!", "Si ci credo...", pensavo io nella mia testa, avevo fatto una cretinata, di nuovo, mai come allora ebbi voglia di una sigaretta...
Sospirai, poi per prima cosa gli posi davanti al muso la scritta del muro:"Perché c'é questa scritta? Spero che la porta non conduca all'Inferno...!"
"No, no", fece lui "in realtà Chaos e Hades non si sono mai sopportati, aggiungi l'amore per la Commedia di Dante Alighieri e hai creato l'unione perfetta: è come se Chaos definisse i piani successivi come peggiori dell'Inferno, onestamente non so nemmeno come tu possa essere qui"
"Me lo sto chiedendo anch'io...", aggiunsi, poi lo lasciai a terra, mi ero reso conto che ok, avevo la guida, ma dove andare?
Probabilmente sarebbe stato meglio cercare gli altri, ma come? Quel piano pareva sconfinato e non percepivo uno straccio di cosmo. Quello che a tutti gli effetti era il Bianconiglio mi guardava e muoveva leggermente le morbide orecchie, esasperato gli chiesi:"Riesci a percepire i cosmi?", e lui:"I che?", "Lascia perdere..." sospirai poi io, ero ad un punto cieco.
Effettivamente ero come un bambino che prendeva un righello per la prima volta: avevo lo strumento, ma come usarlo?
"Senti...", gli chiesi "per caso le strade hanno un punto d'incrocio?"
"Sei un suicida che vuole finire tra le fauci della Chimera?", mi chiese piegando la testa di lato, io feci segno di no con la testa, poi esasperato mi sedetti con la testa tra le mani.
Tirai un lungo sospiro, disperato, non sapevo davvero che pesci prendere, ero al limite, ed eravamo solo a metà! Mi pareva di essere lì da giorni, settimane...forse Lady Saori era già morta...no, lo avrei percepito, non poteva essere morta.
Il coniglio mi si avvicinò e mi diede un paio di colpetti sulla testa, attirando la mia attenzione: "Si può sapere che succede?", mi chiese in tono calmo e pacato. Avrei voluto piangere ma la mia razionalità mi disse di non farlo e di restare operativo, ero restìo a raccontargli tutto, ma lui mi precedette:"So che sei un cavaliere, qui si parla della vostra avanzata, stai tranquillo, voglio aiutarti, anche se sono solo un coniglio".
Lo guardai sbattendo più volte le palpebre, confuso, poi lui proseguì:"Sembri un bravo ragazzo, anche se un po' maleducato, ma un bravo ragazzo, e poi non ho nulla da perdere, quindi puoi raccontarmi tutto quello che vuoi". Ero rincuorato, poi lui continuò:"Dai...dalla una possibilità a questo vecchio coniglio", e tese le braccia verso di me. Io non ci pensai due volte e lo strinsi fortissimo, tanto che appena lo feci lui mi ammonì:"Calmo, calmo così soffoco!", quindi allentai la presa, avevo davvero bisogno di un abbraccio. 
"Ho perso i miei amici dopo essere stati inseguiti dalla Chimera, non so dove mi trovi e poi ho trovato il flauto che con ogni probabilità appartiene ad un mio amico, quindi sono estremamente preoccupato!", dissi trattenendo appena le lacrime, poi continuai:"Non percepisco i loro cosmi, sono stanco, ho paura, inoltre ho fatto un sogno orribile qualche giorno fa, quindi sono ancora più preoccupato, inoltre temo per la mia dea...!", poi la voce si incrinò e mi tappai la bocca con la mano, pur di non far sentire la mia voce, poi non riuscii a proseguire. Il mio stravagante compagno mi guardò con fare paterno, poi mi diede una pacca sulla spalla e mi chiese:"Sei un fumatore?"
"Si...come lo sai?"
"Non lo sapevo, ma qui ne sono passati tanti, e ne conosco tanti, quindi me lo sono chiesto. Avanti, prenditi una pausa di cinque minuti e fumati una sigaretta"
"Aspetta io non posso-"
"Fidati di me, accenditi una sigaretta".
Lo guardai stranito, poi mi resi conto di non averle con me, quindi lui frugò nella tasca della sua giacca, allora prese un sigaro. Io lo guardai stranito e lo presi tra le mani, non era molto invitante, allora lui mi porse anche l'accendino, poi prese un sigaro a sua volta. Fumarlo fu strano, quasi nuovo, non come la prima sigaretta, in cui mi lacrimavano gli occhi, ma quasi, non potei trattenere un colpo di tosse. 
Il coniglio mi osservò senza dire nulla, poi continuò a fumare il suo sigaro. Passarono minuti interminabili, mi pareva che quel sigaro non finisse mai.
Quell'insieme di gas che usciva sottoforma di nuvola più o meno scura da quel rotolo di tabacco e sostanze in combustione e il suo aroma mi davano una sensazione di malinconia, ma quantomeno mi calmai. Lasciai cadere il sigaro a terra e lo schiacciai col piede, come facevo con le sigarette. "Zotico..." disse il Bianconiglio prendendo da terra il mio sigaro e mettendolo in una scatolina che aveva tirato fuori dalla tasca della giacca...ma quante tasche doveva tenere quella giacca?
"Perfetto", disse lui "pausa fatta, ora andiamo dal mio amico"
"Amico?"
"Sicuramente lui ha visto qualche cosa" disse poi lui scrollando le spalle e incamminandosi.
Lo seguii, in quel mondo così strano e sconosciuto lui mi parve una manna dal cielo, anche se all'inizio lo trovai altamente insopportabile. 
Camminammo per lunghissimi sentieri, il bosco era davvero fitto ma bellissimo, il sole riscaldava l'aria, il vento trasportava il dolce aroma dei fiori e potevamo sentire, in lontananza, il ruscello che andava e mai si fermava produrre un dolce cantare infinito, come il tempo, che scorre ininterrotto, esattamente come quelle acque. 
Improvvisamente si fermò, guardandosi intorno per qualche secondo, io feci per pralre ma mi zittì con un movimento veloce del braccio, poi sentii un ruggito e vidi la Chimera correre verso di noi.
Cominciai a correre prendendo Bianconiglio in braccio, ripresi a correre alla cieca, ma la sentivo sempre più vicina, sempre più pericolosa e vogliosa di affondare le sue fauci nella carne mia e del mio amico, poi cominciai a percorrere una strada in salita e la corsa divenne sempre più difficoltosa. "Corri ragazzo, corri!", diceva il mio amico, io continuavo a correre ma era sempre più difficile, il cuore cominciò a farmi male, ero troppo stanco.
"Continua a correre!", Bianconiglio era disperato e la sua voce rasentava l'isterico, ma il mio fiato era sempre più corto, sempre più corto...alla fine inciampai e rotolai giù per il monte, colpii numerose pietre, mi tagliai, gemetti di dolore, poi quando feci per rialzarmi reinciampai di nuovo, ormai non riuscivo a vedere più nulla, il sangue che mi colava dalla fronte mi copriva interamente gli occhi e dopo un po' non riuscii più a vedere per gli occhi chiusi. Inciampai nuovamente e mi sentii cadere nel vuoto, poi riuscii ad aprire gli occhi e l'ultima cosa che ricordo è il salto mostruoso della Chimera e le sue fauci spalancate verso di me. L'ultima cosa che riuscii a sentire fu il grido disperato di Bianconiglio, che tenevo ben stretto tra le braccia:"SVEGLIATI RAGAZZO!".

Note autrice:Allora, mi ero ripromessa di concludere Whiterabbit oggi, però non ci sono riuscita e tra l'altro anche ieri volevo scrivere ma non ho avuto proprio tempo. Sto andando di fretta perché il capitolo in sè per sè è davvero lungo e quindi lo sto dividendo siccome scrivo la sera, e sono spesso piuttosto stanca ^-^'''.
Cercherò di concludere la voltaa prossima, non andrò oltre la quarta parte di Whiterabbit, promesso!
Detto questo pero che il capitolo vi sia piaciuto, nel caso scrivetemelo con una recensione, se è troppo breve o se ci sono errori perdonatemi, sappiate che non lo faccio apposta, ma aspetto sempre che voi leggiate con ansia anche solo per alleggerirvi la giornata!
Detto questo io vi saluto, anche se avete delle critiche scirvetemelo, io sono  qui!
Un bacio dalla vostra Soleil!



 

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Capitolo 22
*** Whiterabbit -parte 3 ***


ATTENZIONE:
In questo capitolo potrebbero esservi scene non adatte ad un pubblico troppo sensibile, anche se non definibili "Not safe for work", ma ad ogni modo sono presenti alcune scene di violenza esplicita. Siete stati avvisati.






Aprii gli occhi, ma nulla accadde, anzi, mi ritrovai in un luogo diverso. Era notte, ero in una stradina isolata, quasi in campagna; il vento smuoveva lentamente i rami degli alberi, faceva freddo, come una di quelle uggiose notti novembrine, eppure non vi era pioggia, ma solo l'odore, forse era passata. Mi misi a sedere, ero su un marciapiede, di quelli irregolari su cui inciampare è più facile che camminarvi, su esso c'erano tre panchine messe in fila, tutte presentavano delle crepe, una addirittura non aveva lo schienale. Mi alzai guardando la luna piena, talvolta coperta dalle nuvole mentre quel gelo mi penetrava fin nelle ossa. Ero solo, passava solo una macchina di tanto in tanto e a luce giallognola dei lampioni illuminava quella strada deserta. Il marciapiede presentava alcune chiazze d'erba alta, alcune piante si attaccavano ai miei pantaloni e solo dopo numerose imprecazioni riuscivo a liberarmene, rendendomi le mani completamente appiccicose. Sbuffai cercando di pulirmele, nessuno pareva stranirsi dell'armatura, o forse non mi vedevano? Alzai lo sguardo e mi resi conto di essere di fronte ad una scuola. Era una scuola superiore, l'unica luce era data da un lampione posto sopra la porta, ad illuminare l'entrata. Osservai l'edificio, era grande e con dei mattoni rossi, le enormi finestre davano su classi ovviamente vuote, cercai un orologio per capire che ore fossero ma l'unico era uno sul marciapiede e segnava le tre e sette minuti, ma era fermo da chissà quanto tempo. Guardai verso l'entrata ma era tutto immobile, anzi, la situazione era inquietante. Come si chiamava quel rituale da fare di fronte all'entrata della scuola? Ah giusto, Ichigo-san, in effetti, mi resi conto, sembrava proprio o scenario perfetto per farlo. Continuai a guardarmi intorno, poi decisi di incamminarmi ma non avevo la benchè minima idea di dove andare. A destra era a malapena illuminato da altri lampioni gialli, anche se erano alquanto rari, e davano su numerose case popolari, mentre a sinistra c'era una zona centrale, ma non sapevo quanto potesse essere sicuro presentarmi per strada con l'armatura. Sempre più convinto di procedere a sinistra feci per attraversare la strada, ma qualcosa attirò la mia attenzione: c'era una ragazza, aveva lunghi capelli biondi, legati in una coda alta, aveva grandi occhi azzurri e lunghe ciglia nere, mentre sulle labbra aveva del rossetto rosso acceso; era vestita in modo provocante, con un abitino bianco molto succinto, aveva le calze a rete, decoltè bianchi molto alti e una rosa rossa sull'elastico che le lagava i capelli e all'unica spallina del vestito. La osservai, mi chiesi se fosse pazza a girare in modo così poco decoroso in strade così. Mi avvicinai a lei, ma quando le fui vicino la riconobbi: era June! Non me lo sarei mai aspettato da lei...di solito era una piuttosto attenta, soprattutto al modo di andare in giro...forse era andata ad una festa, ma perché girare in quel modo così indecoroso e soprattutto in quelle strade, non poteva farsi accompagnare a casa? Quando le fui affianco cominciai:"June, sei pazza ad andare in girò così, in queste strade e a quest'ora? Non c'era nessuno per accompagnar-", ma lei tirò dritto senza degnarmi della benchè minima attenzione, non voltò nemmeno lo sguardo. Ne rimasi colpito e la seguii con lo sguardo, poi continuai a chiamarla per attirare la sua attenzone, le correvo vicino, le toccavo la spalla ma nulla, era come se non esistessi per lei. Mi fermai osservandola camminare su quel marciapiede irregolare con quei tacchi altissimi, pareva abituata a camminarci su, ma cosa le era successo? Aveva solo diciotto anni ma pareva molto più...grande. Prima che potesse superare la scuola si fermò, di fronte ad essa, una strana macchina grigia. June camminò vicino a quella macchina e si piegò appoggiandosi alla portiera, che aveva abbassato il finestrino. "Hey bellissima", disse una voce maschile all'interno della vettura "oggi con me ho solo cinquanta dollari, non sono potuto passare in banca a cambiarli in yen, ti va bene se per un giretto te li dò e poi tu li vai a cambiare?". Era una voce roca, graffiata, quasi senile. Mi avvicinai per guardare in faccia quella persona, era veramente un mostro: un uomo grasso, sulla sessantina, rozzo e unto d'olio come se fosse appena uscito da una friggitoria e con un forte accento americano. Puzzava ancora di fritto e gli mancavano perfino i denti a causa, forse, del diabete. "June!" la chiamai, ma nè lei e l'uomo parevano vedermi. La mia amica annuì e l'uomo sghignazzò, facendole segno di salire, poi dicendo: "Brava così cara...sei bellissima oggi". June si avvicinò alla portiera del posto del passeggero e la aprì, entrando nella macchina come se fosse un robot
 . "June aspetta!" dissi io andando vicino alla sua portiera, ma i finestrini si erano già chiusi e la macchina partì. "JUNE!!!" urlai io sconvolto. Poco prima che la macchina partisse ero riuscito a vedere sul dispaly dell'auto la data e l'ora: l'una di notte del 29 maggio di quell'anno, poco prima che tornassi da New York. "June...!", continuavo a chiamarla, sconvolto. June...era una escort? Non riuscivo nemmeno a deglutire, cosa diamine era successo in mia assenza? Lentamente mi voltai, non riuscendo a distogliere però lo sguardo da dove era andata la macchina grigia. Inciampai in una imperfezione della strada e caddi a terra, ma quando potei fare meglio la conoscenza del pavimento notai anche una cosa che mi era sfuggita. L'imperfezione della strada in cui ero inciampato si apriva come se fosse un bivio, indicandone due vie che non avevo visto: una in un viattolo assai scarsamente illuminato e stretto e un'altra proprio verso la scuola, il cui cancello ora era aperto. Mi avviai verso il viattolo, come rapito, e quando vi fui dentro mi guardai intorno: poche e piccole finestre, alcune illuminate da una luce giallognola e da altre, aperte, era possibile sentire il notiziario. C'erano solo due porte  entrambe  chiuse, ma la mia attenzione fu catturata da un lieve bagliore vicino ad un cassonetto. La luce di quei pochi lampioni che illuminavano la via si rifletteva sul cane di una piccola pistola. La presi e me la rigirai tra le mani, appena guardai il mio riflesso però accadde qualcosa di strano: vedevo la mia stessa immagine, terrorizata, mentre le puntavo contro la pistola, aveva già una gamba ferita e poi, eccolo, il nero e il suono di uno sparo, poi riaprii gli occhi ritrovandomi sempre nella stradina, con June e Leda che mi fissavano, e caddi come corpo morto cadde

§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§

"Ragazzo, ragazzo svegliati!", mi chiamava Bianconiglio, ma io ero totalmente stordito: "Bianconiglio...?"
"Si, sono io, e ti sei appena ripreso da una brutta caduta"
"Dov'è la Chimera...?"
"Mentre cadevi sei finito in un fiume che ci ha trascinati via, per colpa tua mi si è totalmente bagnato il completo!".
Mi misi seduto tenendomi la testa, mi parve di averla sbattuta contro la roccia maledizione!
"Stai bene vero?", mi chiese preoccupato, io annuii ma ero ancora inquieto per l'incubo, sembrava così reale...ma in fondo June una escort...era assurdo, semplicemente assurdo e irreale, era solo un sogno...vero?
Scossi la testa, annuendo a Bianconiglio, poi mi alzai. "Hai ancora con te il flauto?"
"Si!" disse convinto brandendolo nella mano destra. Rimasi in silenzio, lui ne parve turbato ma io lo guardai ridacchiando e dissi, con tono gentile: "E' tutto apposto, ho solo fatto un incubo ma non preoccuparti", lui innarcò un sopracciglio fissandomi, onestamente, pareva fin troppo intelligente per essere un coniglio...
Il sorriso sparì dal mio viso e mi avviai, mentre lui mi seguiva. 
Mentre calpestavo quei sentieri erbosi continuavo a chiedermi dove fossero gli altri, il vento soffiava leggero e gentile tra gli alberi, ricordandomi gli alberi del parco di Nuova Luxor. Sentii improvvisamente qualcuno avvicinarsi e, prima che me ne accorgessi, una grossa mano mi afferrò per la vita, sollevandomi da terra. "Shun!!" urlò Bianconiglio, quasi istericamente, mentre vedevo chi mi aveva afferrato...era Pedo!
Mi dimenai ma era fortissimo e strinse la presa, facendomi provare un dolore incredibile al torace. Trattenni un grido di dolore, sentivo che mi sarei rotto tutte le ossa da un momento all'altro, e quello rideva. "Alla fine Orion non ha mantenuto la parola... onestamente non me lo sarei aspettato da lei, ma ora non importa", disse Pedo ridendo e lanciandomi contro un albero, che appena lo urtai si ruppe. Non lo vidi nemmeno arrivare, tanto fu lesto il suo piede che mi schiacciò facendo penetrare numerosi rami nella mia schiena martoriata e facendomi sputare sangue. Dopo che ebbe fatto ciò continuò la frase che aveva interrotto pochi secondi prima:"Finirò io il lavoro". 
"Shun!!" urlò Bianconiglio, ma Pedo si voltò verso di lui. "Bianconi...glio..." cominciai io, ma non riuscivo  parlare, il dolore era atroce. Pedo sorrise e mi sollevò ancora, Bianconiglio sgranò gli occhi vedendo la mia schiena, non oso immaginare quanto sangue perdessi. Vidi in faccia Pedo e mai, giuro, MAI vidi occhi così pieni di sanguinaria follia, era impossibile fissarli senza incorrere in un brivido lungo la schiena, pugnalavano solo rivolgensi alla persona, erano gli occhi di una bestia che di umano non aveva nulla. "Non preoccuparti coniglio", disse poi "appena finirò con lui penserò a te". Poi mi lanciò verso il suolo con la testa rivolta verso esso, dire che ci mancò poco a perdere i sensi è un eufemismo. La terra sotto di me si ruppe e dalla mia fronte sgorgava molto sangue, ma lui non era ancora contento. Mi afferrò e con l'altra mano mi prese le gambe. Cominciò a tirare come per volermele strappare, il dolore mi fece gridare tanto che alcuni uccelli cominciarono a scappare. Potevo sentire i lembi della mia pelle strapparsi in alcuni punti, faceva male e onestamente speravo solo di morire affinchè quella tortura avesse fine. Pedo pareva fare piano apposta, come se volesse sentirmi gridare il più possibile prima di concedermi la pace di Sora Morte, poi lo vidi turbato e smise di tirare...il suono di un flauto si stava diffondendo nell'aria. Pedo si insospettì e mi lasciò cadere a terra. Caddi e non riuscii nemmeno a gemere, ma notai che Bianconiglio stava suonando il faluto di Syria...!
Pedo si voltò verso di lui e lo fissò, poi rise:"Hai davvero intenzione di intimidirmi suonando un flauto? O vuoi forse suonare un requiem per questo sciagurato?". Bianconiglio alzò lo sguardo su di lui...i suoi occhi avevano preso una particolare sfumatura di rosa, alla cui vista sgranai gli occhi. 
"Baba Yaga mi ha detto di non suonarlo se non in caso di estrema necessità, e credo che questo sia il caso", poi riprese a suonare ed intorno a lui il vento prese a girare vorticosamente, non potevo credere ai miei occhi. Di colpo il grassoccio coniglio vestito riccamente divenne più alto, snello, le orecchie sparirono e divennero capelli mentre la sagoma di un prestante giovane con indosso un'armatura munita di ali prendeva il posto del mio compagno. Incredulo, osservai il vento dirdarsi e mostrare la forma di Syria. "Syria...!", lo chiamai, ma lui disse, quasi deridendomi:"Shun, scusa se te lo dico, ma nemmeno il vero Bianconiglio sarebbe cascato ad una bugia come quella dell'orologio". Una lacrima mi attraversò la guancia, ero così felice...
Pedo lo osservò e aggrottò la fronte, poi disse:"Un belloccio con un flauto non mi spaventa affatto, vieni e lotta cavaliere!". 
Syria sorrise vedendolo allontanarsi da me correndo verso di lui. Schivò un suo pugno senza troppi problemi e poi un altro, poi saltò e atterrò sulla sua schiena, tirando un calcio che lo fece cadere. Elegante come una farfalla saltò sul ramo di un albero e avvicinò il flauto alle labbra, poi mi vide e saltò giù, afferrandomi e stringendomi a sè con un braccio per cercare di tenermi in piedi, anche se le mie ginocchia erano piegate a causa dello sforzo e non riuscivo a reggermi. Pedo si alzò e mi guardò silenzioso, poi sghignazzò e caricò Syria, che appena se lo vide arrivare contro mi caricò sulle sue spalle e saltò sul ramo, appoggiandomi poi con la schiena rivolta verso il tronco, ma appena alzai la testa per guardarlo l'alberò tremò e alcune foglie caddero, Pedo si era deciso ad arrampicarsi per arrivare a noi e stava scalando il tronco. "Maledetto scimmione...", lo insultò Syria, poi mi guardò e sorrise:"Ti piace la Sinfonia numero 40 in g minore di Mozart?", io lo guardai interrogandolo con tutta la faccia, lui sorrise avvicinandosi il flauto alle labbra e guardandomi, poi cominciò a suonare.
Appena cominciò Pedo cercò di tapparsi le orecchie e cadde a terra, sull'erba morbida, urlando. La melodia era qualcosa di impressionante, le dita di Syria si muovevano veloci sul suo strumento, come tante  farfalle in un prato fiorito. Pedo urlava e si dannava su quel prato, mentre io sentivo il mio corpo riacquisire vigore, le ferite si rimarginarono e io mi sentii come un leone. Pedo lo malediceva tenendosi le orecchie:"Sporco pifferaio! Argh, maledetto infame! Figlio di una meretrice! Smetti subito di suonare quell'oggetto infernale!", si girò supino e affondò la testa nell'erba, afferrando la terra e infilandosela nelle orecchie pur di non sentire, ma a poco serviva. Gli occhi erano quasi spiritati, era un misto di agonia e dolore, cominciò a vomitare, in mezzo a quel vomito potei notare il corpo di un povero agnellino, ingoiato per intero. Dopo un po' Pedo, con le orecchie ancora sporche di terra, cadde prono ansimando, pareva che stesse cercando di soffocarsi con la faccia nel terriccio, come a preferire il suicidio a una fine tanto indegna. Pareva uno di que' cani, e tale era, di quei cani che distruggono raccolti e pretendono che nulla sia fatto al loro, e così lui, stanco e ancora sporco della sua stessa bile, si agitava sul prato. Una volta finita la sinfonia Syria mi guardò facendomi segno di andare via velocemente, perché quella era la nostra occasione di fuggire.



NOTE AUTRICE: Hoiiiiii! Sono tornata! Scusate la lunga assenza, ma spero che questo capitolo sia di vostra gradimento e soprattutto non troppo breve! Spero che vi sia piaciuto, in caso ditemelo in una recensione oppure ditemi cosa non vi è piaciuto e mi correggerò! Boiiiiii dalla vostra Soleil!


 

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Capitolo 23
*** Ancora sotto la pioggia. ***


La pioggia aveva cominciato a tamburellare e noi correvamo sotto di essa, come dei dannati, inoltre era scesa la nebbia e stava cominciando ad essere complicato anche solo vedere oltre il proprio naso. Syria era divenuto per me una sagoma appena distinguibile e le nostre voci si perdevano tra un tuono e l’altro. Syria mi stava guidando per procedere verso il rubino che secondo lui avrebbe trovato, ma che non era riuscito a prendere a causa di uno strano meccanismo. Ora molti di voi avrebbero ben ragione di rimproverarmi. Difatti ho commesso una mancanza non raccontandovi la parte della nostra fuga, ma arrivando direttamente qui, soprattutto perché tra le foglie ed il vento che prometteva pioggia la nostra sirena mi raccontò come effettivamente divenne un coniglio ed io, per farmi perdonare, lo racconterò a voi.
Syria mi raccontò di essersi svegliato in mezzo al bosco. Pioveva e faceva molto freddo, disse che non pareva giugno, sarebbe potuto essere novembre. Il vento era molto forte e pareva pronto a sradicare un albero da un momento all’altro, volavano foglie e piccoli rami, forse, disse, era giunto il diluvio universale. Si alzò, guardandosi intorno, ma non vide assolutamente nulla, era tutto silenzioso e solo il soffiare del vento contribuiva a fare rumore, e qualche tuono ogni tanto, quando Giove aveva piacere. Lui camminava e camminava, ma niente, non vedeva nessuno in giro, come se fosse l’unico sul piano. Solo dopo circa mezz’ora riuscì ad intravedere, in lontananza, bagnato fin nelle ossa, una luce simile a quella di un focolare. Syria allungò il passo e poi si mise a correre, doveva ripararsi il prima possibile, ma quando arrivò vicino alla luce si rese conto che davanti a sé non aveva una casa, bensì una caverna. Non che fosse schizzinoso, ma si chiese, a quel punto, cosa ci fosse in quella caverna e quando vi entrò fece per guardarsi intorno, eppure con su somma sorpresa non c’era nessuno. Syria mi descrisse accuratamente la grotta in questione: l’edificio si componeva di un corridoio lungo trentasei metri e largo sei, le cui pareti erano formate da lunghi blocchi di pietra a filari orizzontali, che crescevano a mano a mano che ci si addentava, illuminati dalla luce delle torce appese ai muri. L’accesso avveniva tramite un’apertura alta circa cinque metri e larga due e questa entrata era sormontata da un architrave monolitico che, a detta di Syria, pareva avere il peso di molte tonnellate. Giunse infine ad una sala circolare alta sicuramente più di dieci metri al cui c’entro si trovava un enorme falò. Syria non vide altro, poi sentì un colpo alla testa e perse i sensi. Quando si svegliò si trovò di fronte al falò, legato come un salame e sentiva dei passi nella sala. Dopo un poco, da dietro il falò, vide spuntare una donna. Syria me la descrisse, partendo col principio che non fosse affatto una bella donna, per poi continuare dicendo che portava un lungo peplo viola, sulla sua vita brillavano grazie al fuoco diverse cinture d’oro, sottili e simili a catene; il viso, che non si sapeva distinguere se fosse di una giovane o una vecchia, era contornato da lunghi capelli biondi che le scendevano ai lati, cadendole placidamente sulle spalle e poi arrivare sino ai fianchi. Gli occhi erano piccoli e simili a quelli di una bestia famelica e le mani, abbastanza grandi e con lunghe dita affusolate, si muovevano veloci, in uno scatto quasi nervoso. La donna si avvicinò a lui con gli occhi che parevano spiritati e con una voce tremula formulò, guardandolo negli occhi: “I tuoi occhi…”, e fece una pausa, in cui gli respirò in faccia, per poi ripetere ancora: “I tuoi occhi…”. Syria per un attimo pensò fosse pazza, ma la donna sussultò e scrollò la testa da destra a sinistra, allontanandosi da lui con un balzo felino. Syria non riusciva nemmeno a pensare, ma non per la paura, ma per quanto quell’evento fosse bizzarro. Mi raccontò che lui non aveva paura, affatto, era solo molto curioso, infatti la donna non lo spaventava minimamente, ma anzi, la trovava quasi simpatica, almeno in un primo momento. Quella signora si voltò verso di lui, che in quell’attimo sentì un brivido percorrergli la schiena. Quando si fu allontanata Syria poté guardarla meglio: nonostante avesse un viso dai tratti senili aveva il corpo di una giovane! 
Syria la guardò più intensamente e vide con orrore che non stava sognando, quella donna era lì, di fronte a lui ed aveva un fisico giovane ed un volto senile, non era un sogno. La donna si avvicinò a lui, sorridendo maliziosamente pur non avendo nessuna idea lussuriosa. Si avvicinò a lui e guardava i suoi occhi, con grande bramosìa. Voleva i suoi occhi, così grandi, rosa, contornati da quelle ciglia nere…li voleva a tutti i costi. La donna si avvicinò sempre di più al mio amico, guardandolo con grande insistenza e quando cominciò a tendere le dita verso di lui una voce la fermò. “Fermati!”, si sentì riecheggiare nella stanza e la donna si arrestò istantaneamente, voltandosi, più per la sorpresa che per un eventuale spavento. Da dietro il falò, entrata dalla porta, vi era una ragazza. La sua pelle era olivastra, tipicamente mediterranea, i suoi capelli neri e lunghi, lasciati liberi al vento; i suoi occhi erano scurissimi e brillavano di una viva intelligenza, inoltre quella ragazza era vestita con abiti tradizionali olandesi o polacchi, o forse erano russi, Syria non riusciva a distinguere. Prontamente la graziosa straniera afferrò la donna per un braccio e la tirò indietro, dicendole che la sua ossessione per il bello stava sfociando nell’assurdo e che doveva lasciarlo andare. La donna la osservò e poi rispose seccata:” I patti sono questi, tu mi hai chiesto protezione ed io ti ho accontentata, incurante delle tue ideologie. Il minimo che mi devi è non immischiarti. Discostati!”, ed immediatamente la spintonò via con un movimento del braccio. La ragazza barcollò, ma non cadde, e come una furia spinse lei stessa la donna, che cadde. “So che lo ucciderai solo per capriccio. Se proprio vuoi i suoi occhi lascia che sia io a pendere la sua vita, così che non soffra”, disse la ragazza, e la donna accettò. “Ci penso io”, cominciò, “tu vai”, e la donna se ne andò guardando ancora i suoi occhi. Appena la donna se ne andò si avvicinò a Syria, mormorando un “Mi dispiace”, cominciando a slegarlo: “Non sarebbe mai dovuto accadere”. Quando poi lei si avvicinò Syria borbottò un ringraziamento, e la ragazza gli guardava intensamente gli occhi. Passò qualche secondo e lei affermò convinta: “Però su una cosa sono d’accordo: hai davvero degli occhi stupendi”. Syria raccontò che in quel momento arrossì, ma la ragazza disse sbrigativa che non c’era tempo da perdere e che dovevano fuggire entrambi, quella donna sarebbe tornata a breve e dovevano sbrigarsi. Subito corse fuori e Syria rimase fermo ad aspettarla, non sapendo cosa aspettarsi, e quando quella tornò la vide porgerle delle erbacce e del sale. Si avvicinò un po’ alla pira e fece a pochi metri di distanza un cerchio di sale, indicandolo poi a Syria. Il mio amico si avvicinò titubante e non capiva, finché poi la misteriosa ragazza gli disse, a chiare lettere: “Devi entrare nel cerchio, e devi essere lesto, potrebbe star tornando”. Syria entrò nel cerchio e su ordine della ragazza mangiò le erbacce: erano amare, ma Syria era molto inquieto a causa di quella…cosa, era convinto che potesse essere di tutto, meno che una donna. Dopo che ebbe fatto ciò la ragazza protese le mani verso il cerchio e disse delle strane parole, parole così strane che non mi seppe ripetere e che disse non appartenere a nessuna lingua di questo mondo. Non mi raccontò il processo di trasformazione, ma disse che fu molto doloroso e che la ragazza si era severamente raccomandata: “Non devi assolutamente e per nessun motivo suonare il flauto senza che sia necessario. Appena lo suonerai tornerai al tuo aspetto originario ma la trasformazione, se dovesse andare male, comporterebbe un infarto fulminante a causa della riacquisizione improvvisa del cosmo, inoltre anche la pronuncia del tuo nome potrebbe portarti a trasformarti, cerca di nascondere la tua identità”, inoltre era stata così imperativa che Syria provava terrore solo a sentirla. Fu così che avvenne: lentamente si trasformò in un coniglio e subito lo teletrasportò a quel piano. Si era risvegliato qui ed aveva ancora il suo flauto e poi aveva cominciato a girare, solo dopo due o forse tre ore mi aveva incontrato ed aveva compreso che era il momento. Non mi disse il nome, perché probabilmente non lo sapeva, quindi ero convinto che chiedere fosse inutile.
Tornando a noi, stavamo correndo da un po’ sotto la pioggia battente, Syria doveva aver vagato parecchio per sapere così bene la strada, ma la nebbia era così fitta che a momenti non riuscivamo a vederci. “Syria!” “Shun!”, ci chiamavamo, per non perderci di vista, ma era comunque difficile. La temperatura calò di colpo, il vento cominciò ad ululare ed ecco che in mezzo alla nebbia sentimmo i latrato dei cani, e vedemmo delle sagome venire verso di noi. Erano due uomini, vestiti con degli stracci, magri e pallidi come cenci, inseguiti da due cagne nere. Il primo riuscì a fuggire, il secondo, stremato, si nascose dietro un cespuglio, venendo poi sbranato dalle due cagne. Rimanemmo immobili, anche il mio amico deglutì, forse anche lui aveva assistito a quella scena per la prima volta, come me. Improvvisamente sentimmo dei rintocchi, simili a quelli delle campane.
Debbo essere onesto e dirvi che originariamente non ero intenzionato a raccontarvi questa parte, ma mi rendo conto che in effetti dovrei raccontarvela, del resto di cose strane ed inquietanti ne sono già successe e penso sappiate ormai che questo posto può essere tanto affascinante quanto spaventoso.
Camminammo per un po’, sentendo quei rintocchi incessanti che a mano a mano si facevano più forti, sempre più forti, per poi vedere in lontananza quello che pareva un campanile nella nebbia. Ci avvicinammo ancora e ci trovammo di fronte ad un enorme cancello arrugginito che chiuso pareva raffigurare una grande croce latina, era bloccato da un grosso catenaccio chiuso con un lucchetto. Guardai a destra ed a sinistra, il muretto di cinta che si trovava ai lati del cancello pareva senza fine ed era così alto che sarebbe stato quasi impossibile scavalcarlo. Io e Syria ci scambiammo uno sguardo, apparentemente non c’era nessuna ragione intelligente per entrare, quindi gli dissi che forse era il caso di lasciar perdere e che ci saremmo dovuti allontanare; il mio amico mi diede ragione e ci avviammo, facendo per tornare indietro, ma un rumore metallico mi fece fermare. “Cosa c’è?” mi chiese l’amico mio, ma restai immobile e guardai ancora il cancello, poi mi avvicinai ad un piccolo oggetto che avevo notato in mezzo all’erba alta: era una grossa chiave, era molto vecchia ed era arrugginita. Syria me la prese dalle mani e la guardò attentamente, corrugando la fronte come chi si interroga, dopo di che mi chiese: “Ma era in mezzo all’erba prima?”, “No” feci io, poi lui continuò dicendomi che effettivamente non l’aveva notata. Archiviammo tutto come un errore di distrazione e cominciamo ad interrogarci sul da farsi: poteva effettivamente essere una perdita di tempo e magari non avremmo trovato nulla, ma era anche vero che era il primo edificio che vedevamo nel raggio di chilometri. “Tu sai la strada, ma allora non perdiamo tempo ed avviamoci verso il rubino”, dissi a Syria, che mi rispose: “Non essere frettoloso, è vero che so dov’è, ma non so come prenderlo, indaghiamo qui, perché io prima non l’avevo trovato questo posto”. Ci pensai un attimo, ma prima che potessi dire qualsiasi cosa Syria si era già avvicinato al cancello e aveva preso in una mano il grosso lucchetto che lo chiudeva. Infilò la chiave nella serratura e la girò, in un primo momento fece i capricci, poi riuscì ad aprirla facendo una maggiore forza, il catenaccio cedette insieme al lucchetto ma la chiave si ruppe. Io e il mio amico ci guardammo un attimo, io mi avvicinai e toccai il cancello con una mano, aprendolo lentamente mentre quello cigolava. Lo aprii abbastanza da poter entrare ed entrai, Syria mi seguì subito e lasciò l’entrata aperta. Mi poggiai le mani sui fianchi, guardandomi intorno. Era un cimitero, potevamo vedere qualche cripta, delle lapidi, alcune tombe di famiglia...un cimitero normale. Mi chiesi se ci fosse un custode o qualcuno, ma lo esclusi subito, del resto era chiuso a meno che non avessimo trovato una chiave usurata, ma chi lascerebbe una chiave in bella vista, soprattutto per un cimitero tanto grande? Oltre a ciò potevo anche vedere l’incuria con cui era tenuto: alberi malati, erbacce alte fino alle nostre ginocchia e assenti in alcune chiazze, altre invece erano marroni e invece i fiori erano tutti appassiti. Camminavamo tra le tombe e le cripte, vi dirò, nessuna tomba era stata profanata: oggetti in oro ed ottone, finestre e vetrate erano intatti ed al loro posto, era solo la natura morta e il pesante silenzio che suggeriva l’abbandono di quel posto, e mi chiesi effettivamente il perché; poteva forse essere il cimitero degli abitanti della foresta? Poteva essere, ma niente smentiva ciò e niente lo confermava. Le lapidi erano quasi illeggibili, le foto strappate dal tempo o completamente assenti, ero riuscito a leggere qualche “Marie”, “Joseph”, ma niente di che, era quasi impossibile leggere, come vi dicevo. Non riuscivo ad avvicinarmi alle tombe: il fetido odore dei fiori morti mi dava alla testa, ma tra di esse trovai una lapide che mi colpì molto: inizialmente pensai che appartenesse a qualcuno che aveva fatto parte del mondo del teatro, oppure che lo avesse amato a tal punto da far mettere sulla propria lapide due facce tipiche delle rappresentazioni teatrali: una era felice e l’altra era triste, forse arrabbiata, ma comunque mi metteva molto a disagio. Syria nel frattempo si era avvicinato alla sezione ebraica, lasciandomi di fronte a quei visi composti da grossi buchi per narici, bocca ed occhi. Miei cari ascoltatori, non vi nascondo che provai molto disagio nel guardarli, ma notai anche che, soffermandomi su di esse, il cielo si faceva ancora più scuro, pareva quasi che stesse scendendo la notte. Si alzò il vento, ed io distolsi lo sguardo da quelle maschere così inquietanti per poi portarlo sui rami che seguivano il vento e mentre vedevo le foglie staccarsi da deboli rami – ed alcuni di essi cadere – sentii un altro rumore metallico che mi fece riportare lo sguardo sulla maschera. Notai però qualcosa che sporgeva dalla narice di una delle due maschere: era un laccetto verde, simile a quello dei surgelati. Mi abbassai e lo feci dondolare, poi lo sfilai dalla narice. Questo laccetto era un sorta di anello, usato come portachiavi, infatti ad esso erano attaccate due o più chiavi, erano usurate come la chiave del cancello ma forse erano ancora utilizzabili senza che si rompessero. “Syria-“, lo chiamai, ma lui non c’era. “Syria!”, urlavo, “Syria!!”, niente, tutto silenzio, di Syria non c’era traccia. Sospirai e presi tra le mani le chiavi, guardandole ancora, poi sentii una voce alle mie spalle sussurrarmi dolcemente: “Shun…”. Mi voltai, ma non vedevo nessuno, nemmeno un’ombra. “Chi c’è?” chiesi guardandomi intorno “Syria sei tu?”. Cominciai a vagare, ma l’aria si faceva sempre più pesante e diventava difficile respirare…mi chiesi, sospirando, se prendere le chiavi fosse stata effettivamente una buona idea. Le guardai e cercai di capire cosa potessero aprire…forse una cripta o una tomba di famiglia, ma in mano avevo il niente, solo un paio di chiavi che non sapevo cosa avrebbero potuto aprire. “Shun…”, sentii ancora, stavo cominciando a perdere la pazienza, ma riuscii a distinguere la voce: era una voce femminile e senile, molto debole, ma al contempo mi pareva estremamente triste. Continuavo a girarmi, ma intorno a me vedevo solo tombe, cripte, ed alberi morti…poi notai uno che mi parve molto singolare, infatti pareva quasi avere un viso da anziana, con quel naso grande, gli occhi piccoli e il viso rugoso…era quasi buffo! Ridacchiai tra me e me, poi però la corteccia…parlò!
“Non ridere di me maleducato!”, disse la voce, facendomi sobbalzare e spaventandomi tanto che caddi col sedere a terra…la guardai attonito e la corteccia sbuffò, la sua voce era la stessa che avevo sentito. “S-Sei tu che mi hai chiamato poco fa?”, balbettai quasi con un filo di voce, poi lei continuò e disse: “Si, sono io, cos’è che ti ha fatto tanto ridere?”, il suo tono era spazientito ed io non sapevo come cavarmi fuori dalla terribile figuraccia appena fatta, ma la…donna albero? Non so, ebbe misericordia e mi guardò pietosa, dicendomi che non importava, ma che aveva bisogno di me. Mi alzai e mi scrollai di dosso la terra, poi lei continuò: “Devi sapere che io appartengo ad una razza di ninfe, ossia le Amadridi, le ninfe degli alberi. Un tempo facevo parte del corteo di Chaos, ah, che bei tempi in cui potevo danzare con le mie compagne, ma ahimè ormai non posso più, perché sono vecchia e Chaos, non contento, mi ha trasformata in questo albero morto, in mezzo alle lapidi, e così le mie compagne per ninfe più giovani e belle. Giovane ragazzo, tu mi devi aiutare, fammi ritornare ancora giovane e bella, così da potermi allontanare da questo posto, perché la nebbia è opprimente e la pioggia mi soffoca”. Dispiaciuto per lei decisi di aiutarla, ma effettivamente come avrei potuto fare? Non sapevo come farla ringiovanire, quindi ruppi il silenzio in cui mi ero chiuso e le chiesi, tutto d’un fiato: “Cosa devo fare per farti tornare giovane e bella? Io non sono di qui, non trovo il mio amico e non so cosa fare”. Lei mi osservò, in silenzio, ma ebbi un’idea. “Ascolta”, le dissi, “facciamo un patto: se io ti aiuto a tornare giovane e bella tu mi aiuterai a prendere il rubino che si trova incastonato nel muro di questo piano, ci stai?”, lei strabuzzò gli occhi, chiedendomi: “Sei pazzo? Chaos ci ucciderà entrambi, nessuno può prendere quei rubini!”. “O questo”, dissi imperterrito “o io proseguirò per la mia strada”, allora la signora anziana si vide costretta ad accettare le mie condizioni. Con un sospiro cominciò a dirmi come fare, mentre io la ascoltavo con le mani sui fianchi: “Devi arrivare alla fonte che si trova nel centro del cimitero. Se ti immergerai troverai una botola, con l’aiuto di un catenaccio in ferro e la dovrai aprire. Una volta aperta l’acqua passerà al suo interno e tu dovrai scendere lungo le scale nel centro esatto della cupola in cui finirai e raccogliere il calice di vino al centro del tavolo. Fai attenzione a non cadere, inoltre alcuni gradini sono rovinati dal tempo o mancano, fai attenzione”. Ascoltate attentamente le istruzioni presi a correre, ma la voce della donna mi fermò: “Shun!”, disse, “per orientarti lascia che ti dia questo”, e dai suoi rami cadde un tizzone ardente. La guardai confuso, poi lei mi indicò, con i secchi rami, una piccola gabbietta in ferro, abbastanza grande da infilarci il tizzone. Mi chiesi se fosse lì apposta, dopo di che la presi, la aprii e raccolsi il tizzone, mettendolo al suo interno. Lasciai la vecchia burbera e mi avventurai in quel labirinto fatto di lapidi. Continuai a correre ma non trovai niente, finché non mi ritrovai dinnanzi ad una grandissima fontana dalla base circolare, al cui centro si ergeva la statua di Poseidone. “Julian…ti fai trovare anche qui…”, pensai, poi ripensai a quel che aveva detto la donna e mi avvicinai al bordo. Era disgustoso, l’acqua era di un marroncino assai poco rassicurante e vedevo legnetti e foglie sporche galleggiare sulla superficie, inoltre l’odore che proveniva dall’acqua era atroce, non sapevo se puzzasse più quella…o la tuta che Mylock usava per fare sport. Comunque, cominciai a vagare in quel liquido che arrivava fino alle mie ginocchia, era difficile anche camminare, quel liquido era parecchio denso…e non ci tenevo a scoprire il motivo. Improvvisamente inciampai e caddi in mezzo all’acqua, un po’ me ne entrò in bocca ed io tossii come un dannato, disgustato come non mai, sentendone anche il sapore in bocca e il mio disgusto aumentò ulteriormente, finché non mi calmai e sotto la mia mano non sentii qualcosa di simile ad un catenaccio. “Trovato!” dissi esultando, poi tirai la catena, era robusta e pesante e dopo un paio di tentativi riuscii a spalancare lo sportello, aprendolo e aspettando che l’acqua entrasse nella botola. Finalmente la fontana si svuotò ed io rimasi a fissare per un po’ l’entrata della botola, tecnicamente la stanza al di sotto della botola non si sarebbe dovuta allagare? Decisi di farmi poche domande e pensai a quel che dovevo fare…anche se ormai il tizzone si era disperso, forse era stato portato via dalla corrente…infatti non lo vedevo, ma non me ne curai, ormai ero abituato ad andare alla cieca. Scesi lungo le scale, a mano a mano diventavano sempre più buie, ma prima che potessi sprofondare nell’oscurità sentii un cigolio, poi improvvisamente sentii qualcosa rompersi sotto le mie gambe, poi sprofondai nel buio, urlando, poi un dolore alla testa, infine il buio.
 
 
NOTE AUTRICE: Hoiiiiiii!!!!!!!!! Sono tornata dopo una lunga assenza! Scusatemi, ma ci ho messo un po’ a scrivere il capitolo, sperando che sia di vostro gusto! Avete qualcosa da criticarmi? Scrivetemelo pure, il mio obbiettivo è migliorare! Vi ingrazio intanto per aver letto, un bacione grandissimo ed alla prossima, boiiiiiiiiiiiiiii!!!!!!!!
 
 
 

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Capitolo 24
*** Fuoco fatuo ***


Nonostante la botta non svenni, anche se mi feci un gran male, difatti avevo sbattuto la schiena contro alcuni gradini sporgenti che mi avevano rallentato la caduta e di conseguenza non avevo perso i sensi. Mi guardai intorno tenendomi la testa, certamente oltre a quel che dovevo fare non mi mancava affatto qualche altra particolarità da aggiungere alla lista, non che ci avrei fatto caso ormai. Il pavimento era allagato a causa della caduta dell’acqua, quindi un sottile strato di acqua putrida si estendeva lungo tutta la superficie. Guardai sopra di me: un fascio di luce mi illuminava, sopra di me una scalinata a chiocciola con quei gradini sporgenti, di cui due erano ormai spezzati e giacevano accanto a me. Continuai ancora a guardare quel fascio di luce, probabilmente proveniva dalla botola ancora aperta, poi mi focalizzai sul pianto, un pianto sommesso, ma era inequivocabilmente femminile. Mi alzai con somma fatica e mi guardai intorno: potevo salire nuovamente le scale oppure passare sotto un arco a tutto tondo ed entrare in una grande sala illuminata da torce appese ai muri, al ci c’entro c’era una grande tavola con una tovaglia candida e al cui c’entro c’era un calice dalla coppa trasparente e dal collo in oro, ma non c’era nessuno che piangesse in quella sala. Avrei dovuto prendere il calice ed andarmene, ma non riuscivo a non pensare a qualcuno in difficoltà oppure ad uno spirito sofferente, ma per quanto ne sapevo sarebbe potuta essere tranquillamente una trappola...
Mi misi a riflettere ma non riuscivo a trovare un compromesso, e poi non sapevo da dove provenisse quel pianto. Decisi, a malincuore, di lasciar perdere, prendere il calice ed andarmene, ma notai qualcosa che mi fermò: sul lato c’era una porticina in legno, ci sarei passato a malapena, ma vedevo che da sotto di essa proveniva della luce ed avvicinandomi  potevo sentire il pianto diventare più chiaro. Mi piegai e bussai, chiedendo: “C’è qualcuno?” ma non ricevetti risposta, almeno non nell’immediato, poi sentii dall’interno una voce che con fare quasi timido mi rispose: “Si sono qui”. Era una voce delicata e femminile, ancora rotta dal pianto, e a quel punto non potevo certo tirarmi indietro!
Presi la maniglia e feci per entrare, ma la porta era chiusa a chiave. “Ehi!”, chiamai, rivolto verso l’interno “La porta è chiusa, sai dove posso trovare le chiavi?”, ma la ragazza mi rispose che non sapeva dove potessero essere ma che sicuramente erano nel cimitero. “Ti prego aiutami”, disse la prigioniera “in cambio farò tutto quello che vorrai!”. Sospirai, altro che rubino, stavo risolvendo i guai di tutti tranne che della Terra.
Facciamo le cose con ordine, mi dissi, prima portiamo il calice. Mi addentrai in quella grande sala, sui una base rossa sui muri si ergevano lunghe brande gialle su una base rossa, mentre tra varie canne si potevano vedere dei grifoni guardare tutti verso un punto in comune, un trono n pietra sopraelevato dal pavimento grazie a due gradini, tra le canne però vi era un’altra figura, il disegno di un uomo. Mi avvicinai e lo guardai meglio: era raffigurato con il viso rivolto verso il lato, così come le gambe, il petto era frontale e così i fianchi mentre il braccio destro era rivolto verso il petto mentre col sinistro pareva stesse tirando qualcosa che però non era più visibile, poiché quella parte del muro era bucata, i capelli erano lunghi e l’uomo portava un copricapo singolare, composto da piume e gigli. Distolsi lo sguardo leggermente inquieto, per poi riportarlo sulla coppa. La presi dal collo, e ne odorai il contenuto, ma non aveva alcun odore. Lo presi e mi voltai, uscendo e recandomi verso le scale a chiocciola e salii le scale facendo attenzione. Finalmente tornai all’esterno, e cominciai a cercare di nuovo la quercia, poi la ritrovai e le andai vicino, rivolgendomi così a lei: “Ecco il calice, ora dimmi come riprendere il rubino”, ma lei rispose prontamente che non si fidava, e voleva prima berlo, allora le avvicinai il calice alle labbra e lei bevve, seguì poi la sua trasformazione in cui il tronco divenne a mano a mano più esile, il viso più delicato, i secchi rami braccia che si muovevano con eleganze e le radici divennero lunghe gambe. Vestita con le sue stesse foglie, la ninfa mi guardò sorridendo, poi scappò nella nebbia. “Aspetta!” gridai correndole dietro “Non mi hai ancora detto come fare per prendere il rubino! Fermati!”, ma fu tutto inutile, sparì nella nebbia e non la vidi più. Mi aveva fregato! Non ci potevo credere…mi aveva usato e poi mi aveva mandato via! Ninfa maledetta!
Tirai un calcio fortissimo al calice, che andò a sbattere contro il tronco di un cipresso, infrangendo la coppa in mille pezzi. Mi sedetti su una panchina, reggendomi il viso, non potevo ancora credere di aver solo perso tempo! Beh, lavorava per Chaos, me lo sarei dovuto aspettare. Ero così nervoso che mi parve che anche il vento ridesse di me, e lo maledissi. Mi alzai, dovevo comunque trovare il modo di aiutare quella ragazza, quindi mi avviai, però poi sentii dei lamenti. Non riuscivo a capire cosa fosse, forse era un altro spirito…sarei andato a controllare dopo, quella ragazza era in pericolo! Corsi giù per le scale, ma avevo una strana sensazione, una sensazione di inquietudine che cresceva a mano a mano che scendevo le scale, ma non potevo certo fermarmi lì, quindi proseguii a scendere. Arrivai all’ultimo gradino e guardai direttamente verso la porticina, ma mentre feci per entrare fui fermato dalla voce di qualcuno: “Ormai è usanza entrare e non salutare?”.
Mi voltai di scatto e lo guardai: era un uomo di circa vent’anni, ed era identico a quello raffigurato poco prima, con gli s tessi capelli lungi e lo stesso copricapo fatto di gigli e piume, seduto su quel trono d pietra mi scrutava come a volermi scavare nell’intimo, fissandomi con i suoi enormi occhi cobalto. “Chi sei?” chiesi, e lui mi rispose con un sorriso, e mentre muoveva elegantemente la sua mano da una parte all’altra della sala proferì: “Dovrei chiederlo io a te, straniero. Osi rubare il mio vino e poi interrogare me? Orsù, avvicinati ed entra nella sala, è forse la ragazza l’oggetto del tuo interesse?”
Rimasi impassibile ma anche inquieto, eppure quell’uomo mi affascinava come non aveva mai fatto nessuno, tanto che mi affascinava che non resistetti al recarmi di fronte a lui, poco oltre il centro della stanza, mentre lui mi scrutava dal suo trono in pietra. Mi sorrise con fare quasi melenso, forse, ammisi, neanche Athena avrebbe potuto sorridere con tale dolcezza. Rabbrividii leggermente, poi esordii: “Io sono Shun di Andromeda, Saint di Athena. L’unico motivo per cui ho preso il tuo vino è stato dopo aver stretto un patto con una vecchia ninfa che mi aveva chiesto aiuto per tornare nuovamente giovane e bella, in cambio mi avrebbe fatto un favore. Vi posso assicurare che non sono entrato qui con altri intenti se non quello di prendere il vino, almeno in principio, ma poi ho sentito il pianto di una persona e sono sceso giù nuovamente per aiutarla. Immagino che voi sappiate più di me riguardo a chi c’è in quella porta”, dissi spostando lo sguardo per un attimo verso la porticina “quindi vi chiedo di agire per il bene e darmi la ragazza”. Lui mi osservò da capo a piedi, poi disse, senza troppi giri di parole: “La vuoi? Per me non ci sono problemi. Quella lagna piange ogni giorno ad ogni ora ed io mi sono stancato di sentirla sempre. Se vuoi salvarla prego, accomodati, principe azzurro, ma so cosa volevi chiedere a quella quercia e no, non ti avrebbe detto come prendere il rubino poiché non lo sapeva nemmeno lei, in pratica ti ha ingannato dall’inizio. Ad ogni modo prego, prendila, per me non ci sono problemi”. Ero scioccato da quelle parole, mi stavo preparando allo scontro ma non pareva ce ne fosse bisogno, ero allibito da quanto sentivo, mi pareva troppo strano. Lo guardai alzando un sopracciglio, se gli avessi voltato le spalle mi avrebbe colpito, ne ero certo. Lui mi continuava ad osservare e non pareva deciso a smettere, non finché fossi rimasto lì. Dovevo sbloccare la situazione, quindi cominciai a retreggiare, continuando a fissarlo negli occhi, poi arrivai poco distante dall’entrata, solo allora mi voltai…non l’avessi mai fatto…
Appena mi voltai sentii qualcosa trapassarmi lo stomaco. Sputai sangue e poggiai lentamente i miei occhi sgranati sulla ferita: ero stato trapassato da un ramo enorme, potevo vederne le foglie ancora sporche del mio sangue, il quale colava sul legno, depositandosi poi sul pavimento. Rimanemmo entrambi in quella situazione di stallo per un periodo che a me parve eterno finché lui non cominciò a ridere, in un misto tra follia e divertimento, poi cominciò a dirmi, deridendomi: “Stupido! Pensavo realmente che ti avrei lasciato prendere quella donna?! Come puoi essere tanto ingenuo?! Ovviamente non la porterai via, quella donna è mia, e non solo, è di Chaos!”, e poi tirò verso di sé, facendomi sbattere la testa contro il bracciolo di pietra del suo trono, facendomi poi cadere ai suoi piedi. Mi schiacciò la testa sotto il suo piede, facendomi crepare il pavimento, sentivo che sarei svenuto a breve. Sentivo il sangue scorrere dalla mia fronte scendere in mezzo agli occhi, per poi depositarsi sul terreno. Mi afferrò per i capelli, sollevandomi, io non riuscivo a porre la minima resistenza e lui mi lanciò verso il muro, che quasi sfondai. Il sangue mi colava dalle labbra, mi doleva tutto e mi chiesi se non fosse giunta la mia ora. Il principe dei gigli si alzò dal suo trono, venendo verso di me, io ero ben deciso a non morire senza lottare, perciò scagliai la mia catena contro di lui, ma la mia debolezza si rifletteva sulla catena, che appena partì fu prontamente bloccata dal principe, che mi guardò con malizia ancora maggiore. Appena fu a pochi passi da me sorrise leggermente di lato ed i suoi occhi si illuminarono, mentre io potevo vedere il mio corpo cominciare a diventare trasparente. Potevo sentire il mio corpo sempre più leggero, la mia mente pervasa dalla pace che solo il sonno eterno può dare, e nel frattempo sentivo anche il principe ridacchiare tra sé e sé ma non mi importava, eo in pace…ero felice…e ciò bastava. Poi mi ricordai, “I miei compagni!”, ma era troppo tardi, e divenni una piccola sfera luminosa, poi andai verso il muro e la mia immagine comparve dove prima c’era il principe dei gigli, mentre il totem della mia armatura si ricomponeva e il principe ritornò sul suo trono, osservando il mio totem come un’opera d’arte.
Mi parve di riprendere conoscenza ed eccomi fuori, ero fuori dalle mura del cimitero! Ma come era possibile? La risposta la trovai nel mio riflesso in un laghetto lì vicino: ero un fuoco fatuo! Cosa significava’ Ero morto? Mi ero reincarnato? Tutto questo era assurdo ma…poi vidi Hyoga!
“Hyoga!”, provai, “Hyoga!”, ma non mi sentiva in nessuna maniera, in realtà nemmeno io potevo sentire la mia voce, erano solo i miei pensieri, era come se fossi muto. Vagava insieme ad Eretria e Goldilocks, senza una meta, ed io volevo comunicare con loro. “Stiamo cercando un ago in un pagliaio, questo piano è veramente enorme!” disse l’amico mio, ma subito Goldilocks rispose: “Dobbiamo prima cercare gli altri, qui c’è anche il vostro amico Syria, non possiamo lasciarne indietro nemmeno uno”, ma Hyoga continuò: “E gli altri? Li abbiamo persi da un sacco, stiamo perdendo troppo tempo qui! Dannazione Orion se sai dove sono andiamo direttamente da loro!”. “Attualmente uno non è raggiungibile”, disse la bionda, “però siamo arrivati vicino al cimitero”, subito il mio amico la interrogò “Credi siano lì?”, ed allora lei gli rivelò: “Uno è in arrivo, gli altri due sono là, forse”, “Che intendi con forse?” le chiese Eretria leggermente inquieta, ma Goldilocks disse cinica: “Avverto con difficoltà il cosmo di Shun”, “Quindi è in pericolo?!” chiese allarmata Eretria, con somma sorpresa dell’amica, che rispose un po’ titubante:”…Si…è in pericolo”. Quasi mi dimenticai della mia situazione per il teatrino che si era venuto a creare tra le ragazze, anche Hyoga pareva preoccupao per me, perciò disse, senza perdere tempo: “Andiamo in questo cimitero, stare qui a perdere tempo è inutile”. Entrambe le ragazze annuirono, ma Eretria parve leggermente più convinta dell’amica e dopo si misero a correre seguendo Goldilocks, che era ormai diventata un navigatore. Fermai la mia amica piazzandomi di fronte a lei, come a volerla fermare, e lei si fermò. “Un fuoco fatuo?” chiese Eretria, Hyoga si avvicinò guardandomi più da vicino e proferì: “Strano, sarà per il cimitero…ma perché porsi sulla nostra strada”, “Vorrà indicarci la via”, disse poi Goldilocks guardandomi, e dal suo sguardo capii che aveva compreso tutto. “Dovremmo fidarci di un fuoco fatuo?”, chiese Hyoga, compresi che effettivamente non era convinto, e come dargli torto? Ma era altresì vero che ormai di cose strane ne succedevano, e non avrebbe dovuto porsi troppe domande dopotutto. Cominciai a muovermi e subito Eretria e Gildilocks si misero al mio seguito, Hyoga dopo qualche secondo cominciò a seguirmi. Arrivammo rapidamente al cimitero, ma qualcosa non andava: io e Syria avevamo aperto il cancello, ma adesso il cancello non c’era e giaceva abbandonato al lato della strada! “Ma che…cazzo…?” disse Hyoga, riflettendo i miei pensieri, poi chiese: “Un cimitero distrutto? Perché ci ha portati qui? Secondo me è una trappola bella e buona”. Eretria si avvicinò leggermente, poi guardò il cancello ed io feci lo stesso; ci presta attenzione e notai che era come se un corpo massiccio lo avesse investito in pieno, sul cancello alcune parti scottavano, come se quel corpo fosse estremamente caldo. Hyoga si fece largo tra una Goldilocks impassibile e un’incerta Eretria, entrando nella cinta muraria. Si guardò intorno, poi continuò a camminare, seguito dalle due ragazze, ma io notai qualcosa che non avevo notato prima, e nel farlo rabbrividii per un motivo in quel momento ignoto, e con buone probabilità sarebbe stato meglio che rimanesse tale.
Notai una grande cripta in pietra, era larga, alta, una cupola in pietra era sormontata da un angelo con le ali spiegate e al suo interno si poterono vedere pochi ceri accesi. Avvicinatomi vidi che anche Eretria mi aveva seguito, e anche lei stava guardando nella cupola. Fui pervaso da una strana sensazione, che non accennava a diminuire con lo sguardo insistente di Goldilocks su di noi. La situazione si fece ancor più inquietante, così presi coraggio ed entrai. “Vuoi che ti segua?”, mi chiese Eretria, che fino a quel momento non mi aveva abbandonato, anche se ero un piccolo fuocherello. La guardai attentamente, era come se sapesse chi fossi, continuando a osservarmi. Continuai a camminare, e lei mi seguii prontamente, cominciando anche a guardarsi intorno: la luce soffusa dei ceri di fronte alle lapidi illuminava scarsamente il lungo corridoio, che pur essendo lungo e largo pareva quasi soffocante. Eretria pareva sempre meno convinta di quel posto, pareva quasi intenzionata a tornare indietro ma vide una figura di fronte ad una lapide e, se in un primo momento parve spaventata, in un secondo momento tentò quasi di avvicinarvisi, per poi arrestarsi bruscamente. La analizzai da capo a piedi, inquieto, avete presente la bambina del film Ju-On: The Grudge? Ecco, quasi identica, ma più calma. Stava fissando una lapide in particolare, era immobile, non si muoveva minimamente, anzi, ciondolava lentamente da una parte all’altra…da sinistra a destra…da destra a sinistra...improvvisamente si voltò verso di noi e ci fissò con i suoi enormi occhi dai lineamenti asiatici sgranati. Eretria trattenne un grido per le condizioni in cui riversava: i suoi capelli lunghi e neri erano bagnati, alcuni attaccati alle sue guance pallidissime, la veste bianca era bagnata e sporca di fango mentre i piedi nudi erano sporchi di terra, che avevano sporcato anche le sue unghie, così come le mani. Rimanemmo immobili a fissare quella bambina, ma lei non sembrava intenzionata ad attaccarci. Lentamente girò sia la testa che il busto verso di noi ed Eretria fece un passo indietro, spaventata, ma io non mi sentivo spaventato, affatto, anzi…la sentivo quasi vicina. La bambina guardò un’ultima volta la tomba, poi venne verso di noi. Eretria pareva sul punto di scappare, terrorizzata con me dalla figura della bambina, che forse avrà avuto tredici, quattordici anni; la bambina parve vedere la reazione di Eretria e tornò alla tomba di prima, poi prese un fiore bianco da essa e tornò verso di noi, poi alzò lo sguardo su Eretria e le porse il fiore.
Eretria rimase così colpita dal gesto che non riuscì a fare altro che fissare quella bambina prima di chinarsi e prendere il fiore, mormorando qualcosa per ringraziarla.
La bambina mi prese poi tra le mani, avvicinandomi al suo petto, e poi mi sembrò di…cambiare prospettiva, si può dire?
Eretria guardava verso di me, sbattendo più volte le ciglia. “Cosa c’è?” le chiesi, e poi la vidi sussultare, in un misto tra sollievo e sorpresa; “Cosa?” le chiesi ancora più concitato, mentre lei mi guardava. “Shun”, disse “sei davvero tu?”, io le risposi “Si, lunga storia il fatto della fiammella, ma mi stupisco che tu mi senta, di solito non mi sente nessu-“ e guardai nella direzione indicata da Eretria, che mi indicava una candela rossa, intorno a cui stava una copertura simile al metallo, per cui era riflettente, e poi rimasi scioccato: ero diventato la bambina. “COSA?!” esclamai guardando il mio riflesso, ancora sotto shock, poi mi guardai e vidi la veste sporca e…oddio puzzavo come…COME UN CADAVERE.
In effetti l’odore era l’ultimo dei problemi in quel momento, ma dovevate concedermela.
Mi toccai i capelli, sporchi e bagnati, attaccati a ciocche tra loro, per aggiustarli sarebbe stato più semplice raderli tutti. Mi sentivo anche infreddolito, facevo un po’ fatica a muovermi, ero molto intorpidito. Guardai Eretria, ancora incredula, ma sicuramente non quanto me.
Mi calmai e dissi, cercando di calmare più me che la mia amica: “Ok, ok…poteva andare peggio, almeno adesso ho un corpo seppur non molto vivo ma va bene così. Adesso cerchiamo gli altri”, Eretria annuì, ma prima di andarmene fui attirato dalla tomba che la bambina stava guardando poco prima. Mi avvicinai e appena la guardai fui assalito da un’ondata di tristezza infinita: c’era la foto della piccola, era una foto in bianco e nero, risalente al 1918, sulla tomba c’era scritto “Agnieszka Nowak” e sotto le date: 1905-1918. Vicino ad ogni tomba stava una piccola nota all’angolo in basso, ma erano tutte in polacco e non riuscivo a leggerle. Sopra la tomba della bambina c’era poi quella di una donna, morta nello stesso anno, chiamata Ania Nowak, nata nel 1889, vicino al cognome della donna v’era scritto anche “urodzony Kowalski”. Anche Eretria si avvicinò e disse che quella parola, urodzony, in polacco significa letteralmente “nata”, quindi la donna faceva di cognome Kowalski prima di sposarsi. Se la matematica non è un’opinione, pensai, doveva essere una ragazza madre…poi un pensiero mi balenò in testa e…ma no, forse sarebbe stato meglio lasciar perdere, magari non era in quel modo, ma quel pensiero non mi lasciava stare…
“Che succede Shun?” mi chiese Eretria vedendomi assorto, mi limitai però a negare con la testa, poi le dissi: “Dai sbrighiamoci”, e mi avviai.

Mentre camminavamo le raccontai tutto quello che era successo, della ninfa, di quel tipo…e gli dissi anche che da un lato volevo recuperare il corpo ma dall’altro mi chiesi se dopo tutte quelle botte sarebbe stato ancora vivo. Eretria mi ascoltò con pazienza e quando le parlai dell’uomo divenne pensierosa: “Ho sentito parlare di un tipo del genere tempo fa”, poi tacque un secondo e continuò “però non ci ho mai avuto niente a che fare, so solo che è davvero pericoloso…ma non sei riuscito a capire chi fosse quella ragazza?”. “No” le risposi “non ho mai sentito la sua voce, non riesco proprio a decifrarla, non l’ho nemmeno vista in faccia”. I nostri discorsi furono interrotti dalla visione del cancello del cimitero. Eravamo tornati all’entrata, non sapevamo ancora orientarci e per questo eravamo andati alla cieca. Il cancello era sfondato, letteralmente, era stato buttato giù e giaceva a terra. Mi avvicinai e lo toccai: era rovente, probabilmente chi lo aveva sfondato non l’aveva fatto troppo tempo prima del nostro arrivo. “Shun”, mi disse Eretria, “guarda qua” e mi porse un piuma in bronzo sui toni dell’arancione e decorata con un tratto blu.
La presi e me la rigirai tra le mani, anche se conoscevo fin troppo bene il proprietario, poi la inclinai leggermente e ciò che vidi riflesso mi fece fermare un attimo, come se fossi stato in una specie di trance. Alzai lentamente lo sguardo solo per vedere il cielo cominciare a scurirsi, alcune nuvole avevano lasciato uno stralcio aperto da cui potevamo vedere il sole…e insieme ad esso una specie di eclissi. “Eretria” dissi con un filo di voce “è quello l’Apeiron?”.
 
ANGOLO AUTRICE:LEGGETE E’ IMPORTANTISSIMO
Hoi raga, scusate l’assenza chilometrica ma sono stata impegnatissima. Vi ho portato il capitolo nuovo ma non credo che sarà l’ultimo di oggi, devo aggiornare ancora infatti e se possibile cercherò di finire Il mistero della foresta di Chaos entro e non oltre la metà di luglio. Ho in mente infatti un progetto molto ambizioso, ma lasciate che vi spieghi e lo so che potrebbe seccare ma fidatevi se volete capirci qualcosa leggete.
Il mistero della foresta di Chaos è il primo capitolo di una serie che ho intenzione di fare che ha per protagonista l’incatenato più famoso dello zodiaco, una serie molto ambiziosa in quanto approfondirà tutti i personaggi di Saint Seiya, o almeno i cinque bronzetti, tra l’altro alcune saranno pure un post-omega, ma non terrò conto del finale siccome l’unica cosa decente fatta da omega è stata mostrarci i 5 bronzetti adulti e renderli quindi un po’ più fighi, quindi non pensate nemmeno di vedere i protagonisti di omega, perché mi incentrerò sui Saint adulti. Siccome vorrei cominciare ad organizzarmi faccio decidere a voi quale storia volete vedere per primi, perché le farò entrambe:
  1. Un’unione tra Lost Canvas e la serie classica;
  2. Una storia ispirata al videogioco Yume Nikki;
Quindi abbiamo rispettivamente una storia sul viaggio nel tempo e una storia incentrata sul tema dei sogni, quindi a voi l’ardua sentenza.
Detto questo spero che il capitolo vi sia piaciuto, ditemi cosa non vi è piaciuto e cosa invece si nelle recensioni e aspettatevi un capitolo in serata. Boiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii

 

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Capitolo 25
*** Chloe ***


ATTENZIONE:
QUESTO CAPITOLO PUO’ CONTENERE ATTI DI VIOLENZA, SANGUE E COSE NON MOLTO FAMILY FRIENDLY, CHI LEGGE LO FA A PROPRIO RISCHIO, MA SI CONSIGLIA LA LETTURA AD UN PUBBLICO CONSAPEVOLE. PER CHI RESTA: MI PIACETE. CI VEDIAMO ALLA FINE DEL CAPITOLO.
 
“Eretria!” sentimmo dietro di noi: era Hyoga! “Dove ti eri cacciata? E poi-“ ebbe quasi un sussulto vedendomi, come se non avesse mai visto niente del genere “Lei chi sarebbe?”, chiese, e io risposi con tono scortese tanto quanto il suo: “Sono io imbecille, fai pochi commenti, guarda in alto”. Hyoga fece quanto gli dissi, e rimase sbigottito, perché non si aspettava di vedere ciò che vide, tra l’altro quest’eclissi era molto simile alla Greatests Eclipse di Hades, per questo con buone probabilità lo aveva riportato a quella battaglia. Sospirò, poi mi guardò e mi chiese scorbutico: “Si può sapere come hai fatto a ridurti così?” mi disse, e io feci per rispondere, ma fummo interrotti dalla vocina acuta di Goldilocks che raggiunse Hyoga facendosi strada tra alcune lapidi dicendo: “A questo penseremo dopo, ora dobbiamo correre vicino al pozzo, Ikki potrebbe aver fatto qualche scemenza delle sue”.
“Che scemenza?” le chiesi, lei si limitò a rispondermi in maniera sbrigativa dicendomi: “Ho visto il pozzo aperto, ma qualcuno stava scendendo, non potevi essere tu, perché eri già sceso prima e non eri risalito, Hyoga era con me e Eretria nella cripta, a meno che non fossero Syria, Shiryu o Seiya poteva trattarsi solo di tuo fratello”.
Oh dannazione, pensai, se quell’idiota di mio fratello era stato sconfitto dal principe dei gigli allora riversava nelle mie stesse condizioni. Giurai che l’avrei ammazzato appena trovato, ma le mie ingiurie furono interrotte da Eretria che mi tirò, cominciando a correre verso il pozzo, seguita dagli altri due.
Arrivammo vicino al pozzo, la cui entrata aveva un odore nauseante a causa dell’acqua sporca, allora ci avvicinammo alle scale e cominciammo a scendere, stranamente era molto più buio di prima e faceva anche più caldo e si sentiva odore di fumo. Quando scendemmo di più potemmo vedere che, dall’entrata alla sala del trono del principe, proveniva una vera e propria coltre di fumo. Un senso di panico mi assalì e corsi giù, incurante dell’acqua che avrebbe potuto farmi scivolare e rompere l’osso del collo da un momento all’altro, perché la paura che fosse successo qualcosa ad Ikki era talmente forte da rendere il mio raziocinio molto più debole del solito: “Ikki!” urlai più volte mentre scendevo, mentre i miei compagni urlavano il mio nome accelerando a loro volta il passo. Ero vicino alla fine quando poggiai male il piede e rotolai giù per le scale, sotto lo sgomento di Hyoga che urlò il mio nome da metà scalinata. Arrivai giù e sbattei la testa anche con una certa violenza, poi mi alzai tenendola mentre un rivolo di sangue scendeva dalla mia fronte pallida. Corsi vicino all’entrata e vidi Ikki all’angolo, che quasi soffocava per il fumo mentre la sala del trono andava a fuoco. Corsi vicino a lui, che stava tossendo e non riusciva ad alzarsi a causa di una trave molto pesante che gli era caduta addosso. “Tu chi sei?” chiese tossendo, io non feci in tempo a dirgli chi fossi, perché fummo interrotti da una voce metallica, graffiante, profonda e dal suono quasi demoniaco: “Ancora tu?!” urlò, mentre un essere massiccio, alto quasi fino al soffitto ed estremamente muscoloso usciva dalle fiamme. I denti erano aguzzi e giallognoli, gli occhi neri, totalmente, la sua pelle era rossa e le venature parevano vera e propria lava mentre delle grosse corna attorcigliate le une tra le altre si ergevano sulla sua testa e un paio di ali enormi da pipistrello si aprivano sulla schiena.
“Chi diavolo è?!”, urlai vedendolo, Ikki mi guardò sorpreso e chiamò il mio nome, ma credo che di fronte ad un essere che pareva uscito direttamente dalle viscere dell’Inferno -come probabilmente era- in una stanza che va a fuoco, la mia identità fosse l’ultima cosa ad importare effettivamente. Cercai di aiutare Ikki, ma era troppo pesante anche per me. “Hyoga!!” lo chiamai a gran voce, ma vidi quell’essere muovere verso di noi il suo braccio muscoloso munito di artigli. Mi abbassai e tirai giù anche mio fratello, quell’essere corse verso di noi, era totalmente nudo se non per una sorta di panno che copriva la sua virilità. Infilò il suo artiglio poco sopra la mia testa, nel frattempo Ikki perse i sensi per la mancanza di ossigeno e anche io cominciavo a sentirmi soffocato sia dall’odore di fumo che dall’odore di zolfo proveniente da quello che era a tutti gli effetti un demone. Il demone respirò pesantemente e alzò di nuovo il braccio, mirando stavolta alle nostre teste, ma prima che potesse abbassarlo fu trafitto alla spalla dalla lancia di Goldilocks, urlando di dolore e facendo dei passi indietro. Goldilocks gli saltò sulle spalle e cominciarono una lotta corpo a corpo. “Veloce, prendi il tuo corpo!” mi incitò Goldilocks.
“C’è una ragazza nella porta affianco, dobbiamo…” e mi fermai per tossire, “tirarla fuori!”
“Se non ce la vediamo prima con questo bestione non usciremo vivi nemmeno noi, veloce!”, intervenne poi Hyoga, e io mi limitai ad annuire.
Goldilocks fu buttata a terra dal demone, che si estrasse la sua lancia dalla spalla, emettendo un suono raccapricciante, per poi afferrarla dalla caviglia e buttarla contro Hyoga, che stava cercando di venire verso di noi. Mi alzai e cercai di sollevare Ikki, ma era troppo pesante e io con quel corpo non potevo certamente sollevarlo, ma non potevo nemmeno lasciarlo lì, nel mezzo di una vera e propria arena! Goldilocks si alzò quasi immediatamente e spiccò un salto, evitando un artiglio del demonio, poi gli saltò su una spalla afferrando un corno, cercando di reggersi, e mentre quel demone cercava di tirarla giù con un movimento degli artigli Goldilocks gli infilò le unghie nell’incavo tra la spalla e il collo, facendo fuoriuscire una sostanza vischiosa che fece strillare il demone, facendolo barcollare. Colsi la palla al balzo e andai verso il mio ritratto, non so come ma tornai fuoco fatuo, uscendo dal corpo della bambina e mi infilai nel muro, nel frattempo Hyoga aveva appoggiato le mani a terra e la stanza si stava progressivamente raffreddando, fino a scendere sotto lo zero, tanto che il pavimento cominciò a gelarsi e le fiamme in qualche modo si estinsero, non chiedetemi perché, ancora oggi non so spiegarlo, mi piace pensare che fosse per la capacità di Hyoga di maneggiare lo zero assoluto. Il mio amico rimase così per molto, se avesse ceduto probabilmente la stanza sarebbe tornata l’inferno di prima. Eretria non perse tempo e vide, vicino al trono, un piccolo gancio su cui era appeso un mazzo di chiavi. Corse immediatamente verso il mazzetto e lo colse, era ancora rovente e per questo all’inizio ebbe problemi a maneggiarlo, ma dovette spostarsi immediatamente perché Goldilocks era ancora a cavallo del demone e tenendolo per le corna lo aveva fatto cadere sul trono, facendolo sbattere col fianco sui braccioli di quest’ultimo, con una violenza tale che il trono si ruppe ed Eretria cadde all’indietro. Il demone prese Goldilocks per la vita e la lanciò verso il muro, e la mia amica sputò sangue. Eretria corse verso la porta e cercò di maneggiare con le chiavi, l’ansia gliele fece cadere di mano e il demone corse verso di lei per colpirla e ad ogni suo passo la terra tremava, poi cercò di colpirla ma proprio in quel momento il demone fu fermato da una sottile, ma forte, catena di bronzo: la mia. Ero uscito dal muro nel momento stesso in cui Goldilocks vi aveva sbattuto, crepandolo e permettendomi di uscire più facilmente, e con la mia armatura ero uscito fuori per unirmi alla battaglia. “Non ti hanno insegnato che le donne non si toccano nemmeno con un fiore?” mormorai alla bestia, che era deciso a non lasciarsi scappare la preda, Eretria nel frattempo aveva la schiena contro la porta, pietrificata, non sapeva cosa fare perché il demone era a pochi centimetri dal suo viso e la paura che si liberasse dalla mia presa era tanta. Il demone parve quasi liberarsi e a nulla valsero le scariche elettriche della mia catena, ma lo vidi fermarsi improvvisamente e lo sguardo di Eretria andò leggermente verso il basso, fu così che vidi Goldilocks che tirava un pugno al demone nello stesso punto in cui il demone aveva sbattuto contro il trono, probabilmente incrinandosi una costola. Il demone cadde all’indietro a peso morto, ma non si era ancora arreso. Eretria finalmente colse l’occasione e infilò le chiavi nella toppa, aprendola velocemente e chiudendosi la porta alle spalle. Il demone stette immobile per qualche secondo, nel frattempo Ikki riprese i sensi e si alzò, tenendosi la testa. “Che succede…?” mormorò, io gli lanciai un’occhiataccia ma non ebbi il tempo di rompergli la testa come avevo pianificato, il demone si alzò di nuovo, ma stavolta spalancò le ali, buttandoci tutti indietro con quel movimento e tutti sbattemmo contro il muro. Caddi addosso a Hyoga, il nostro respiro ansante era visibile a causa del freddo glaciale nella sala, il demone pareva sul punto di cambiare forma di nuovo, ma invece no, corse verso di noi e con una mano ci colpì tutti all’unisono con i suoi artigli, non eravamo riusciti ad evitarli a causa del troppo poco spazio e adesso avevamo tutti almeno uno o due squarci sul corpo. In una mano prese Goldilocks e nell’altra prese Hyoga, chiamammo i loro nomi e tentammo di difenderli, ma nessuno riusciva a fare nulla, nemmeno le ali della fenice di mio fratello parevano funzionare. Lanciò Goldilocks dall’altra parte della stanza, crepando il pavimento, e poi cominciò a sbattere la testa di Hyoga più volte contro il pavimento, sui muri, senza dargli tregua, nel frettempo mio fratello provò di nuovo ad intervenire con un balzo, ma il demone lo inchiodò al muro con un artiglio conficcato nel suo stomaco e gli fece sputare sangue. Io cercai di capire cosa fare, ma il demone me lo impedì, schiacciandomi con un piede contro il suolo, facendo uscire del sangue dalla mia schiena, nel frattempo il viso di Hyoga era ricoperto di sangue, così come tutto il suo corpo. Il demone evidentemente non ne aveva ancora abbastanza, così tolse il piede da sopra di me e cominciò a sbattere Hyoga più volte contro di me, con violenza crescente. Si fermò improvvisamente irrigidendosi, e capii il motivo siccome la punta della lancia di Goldilocks era infilata all’altezza del suo cuore. Il demone si voltò verso la biondina, che era già in posizione di difesa. “Non ne hai avute ancora abbastanza?” le chiese il demone con quella voce raccapricciante, preparandosi ad assaltare la ragazzina che era tanto più piccola di lui in statura, ma che aveva più tempra di tutti in quella stanza. Devo ammettere che, anche se all’inizio la odiavo, senza la sua faccia tosta saremmo morti tutti in quella stanza, che ormai era totalmente sporca di sangue e carne. Il demone mi fece cadere Hyoga addosso, ormai privo di sensi. Si diresse a passo pesante verso la ragazzina, che ancora una volta saltò e si aggrappò alla punta della sua stessa lancia, usandola per arrampicarsi addosso al nostro avversario, tirandogli poi un calcio dietro la testa abbastanza forte da farlo barcollare ma non abbastanza da stordirlo, inoltre Goldilocks era palesemente priva di forze, non ce la faceva più come tutti noi, anche i suoi occhi cambiarono colore e da viola divennero azzurri. Il demonio si buttò a terra di schiena e schiacciò la ragazzina sotto il suo peso, sotto di lui potemmo vedere espandersi una larga pozza di sangue. Sbiancai, poi vidi il demone alzarsi e Goldilocks che non riusciva nemmeno a muovere un muscolo, ma quando pensai che fosse davvero finita una voce risuonò nella stanza: “Non dovresti trattare così la sorella minore la regina delle streghe.”, era…era Zorba!
Zorba, in forma umana, stava sull’uscio della porta e vicino a lui stavano Dalia e Syria!
“Ragazzi…andatevene via…” cercai di dire con un filo di voce. “Mio caro amico”, disse Zorba, “purtroppo per te io resto un demone”, poi alzò lo sguardo sul nostro avversario “per giunta uno dei più potenti”. Il nostro avversario si voltò verso di loro: “Tu…”, disse, ma Zorba lo interruppe subito, “facciamola finita” disse mentre Dalia gli arrivava accanto, poi insieme corsero verso il demone, che quasi calpestò Goldilocks per correre verso di loro. Dalia prontamente scivolò sotto le gambe del nemico, aiutata anche dal ghiaccio, mentre Zorba si mise in posizione di difesa. Il suo fisico da prestante ventenne era ben diverso dal fisico minuto ed esile di Goldilocks, per cui era anche molto più forte, gli tirò un pugno talmente forte da incrinargli una costola, facendolo sanguinare mentre Dalia tirò fuori la bacchetta ed esclamò qualcosa in greco antico che in quel momento non compresi, fatto sta che intorno al demone si formarono delle ellissi che si muovevano intorno al suo corpo, impedendogli di muoversi, per questo cominciò ad emettere delle specie di grugniti per lamentarsi della presa. Syria prese prontamente il suo flauto e cominciò a suonare, e il demone cominciò a strillare a causa della melodia del mio amico. Sulla fronte di Zorba comparve uno strano simbolo luminoso, che comparve anche sulla fronte del demone, che cominciò a strillare tanto che la stanza tremò. Cercai di alzarmi e presi Goldilocks, spostandola dal centro della stanza per non farla schiacciare, aveva perso tantissimo sangue e respirava a malapena. Zorba saltò ancora e tirò un pugno direttamente sulla faccia del demonio, poi si aggrappò ad una delle corna e colpì l’altra col tallone, rompendola. Dalia non riusciva a pronunciare le formule per colpa degli strilli del demone, ma alla fine riuscì a pronunciare qualcosa in greco, ma anche lì compresi ben poco, nelle mie orecchie sentivo solo un fischio e il suono prodotto dagli altri mi pareva ovattato, ero pervaso dall’odore di sangue e sudore che aleggiava per tutta la stanza, faceva sempre più freddo e facevo fatica a muovermi, tanto che mio fratello mi dovette sorreggere, ma io ero sul punto di svenire, eppure in quel caso davvero morire sarebbe stato un lusso. L’agonia del demone durò parecchio, pareva che Zorba e Dalia fossero degli esperti nel campo e infatti il loro operato fu pulito e meccanico, quasi come una catena di montaggio, che sa esattamente cosa fare. Alla fine il demone cadde all’indietro, respirò pesantemente un paio di volte, poi continuò più lentamente e infine chiuse gli occhi, ed io sperai che gli avesse chiusi per sempre. Zorba accorse subito vicino a Goldilocks, sollevandola leggermente e scuotendola, chiamando più volte il nome della sua armatura, ma nulla, era sfinita. “Magari si riprenderà più tardi”, azzardai io, poi vidi Syria correre verso Hyoga ed aiutarlo ad alzarsi, sorprendentemente Ikki pareva stare bene. “Stai…bene?” chiesi titubante, lui mi sorrise ed annuì leggermente “Ci vuole ben altro per buttarmi giù, lo sai”, e mi strinse forte al suo petto. “Nii-san…” mormorai leggermente, tutte le intenzioni di ammazzarlo di botte erano sparite di colpo, sostituite da un senso di protezione che sentivo solo quando a stringermi era il mio amato fratellone. Goldilocks riprese i sensi dopo un po’ e si alzò aiutata dalla sorella e da Zorba, che pareva davvero molto preoccupato, tanto da offrirsi di portarla in spalla; lo guardai tra l’incuriosito e il divertito…e mi balenò l’ipotesi che il micetto potesse essersi preso una cotta per Goldilocks. Il pensiero mi fece sorridere.
Syiria mi si avvicinò e mi chiese, in tono abbastanza preoccupato: “Tutto ok amico? Tu e Hyoga siete ridotti parecchio male…”. “Non me ne parlare”, dico io in tono un po’ seccato “purtroppo siamo ben lungi dall’aver finito, sto quasi rimpiangendo l’atmosfera caotica di New York…”, e qui mio fratello ebbe un attimo di défaillance chiedendomi in tono smarrito: “New York?” facendomi ritrovare tutta la voglia che avevo prima di farlo fuori. Mi liberai dal suo abbraccio, era bastata quella maledetta frase a farmi ricordare il motivo per cui ero tanto furente con lui all’inizio di questa odissea; feci per ribattere, ma sentimmo la voce di Eretria in fondo alla stanza chiamarci. “Ragazzi…”, disse la ragazza, aiutando un’altra persona – ben nascosta dietro lo stipite della porta – a camminare. Ci avvicinammo, io in testa al gruppo, e vidi questa persona, che era una ragazza. Avrà avuto circa diciotto anni, almeno d’aspetto, il suo atteggiamento delicato ed aggraziato non aveva nulla della tipica imperialità o faccia tosta di un pluricentenario: camminava a capo chino, reggendosi a fatica ad Eretria, era molto magra, coperta con un fogliame abbastanza fitto, lungo le gambe correvano delle radici sottili decorate con qualche fiorellino qua e là, su una delle due caviglie spuntava una piccola fogliolina solitaria e sulla pelle vi erano alcune crepe tipiche dei tronchi degli alberi, gli occhi erano molto grandi e verdi, e anche le ciglia erano di un particolare verde scuro e così anche le labbra, mentre al posto dei capelli aveva una lunga chioma formata da foglie giallastre, che parevano quasi dei lunghi ricci biondi. Anche ai lati della testa aveva un paio di fiorellini e pure sul medio destro, dove stava un fiore posizionato come un anello. All’inizio ne rimasi colpito, era davvero una bella ragazza, poi abbassai gli occhi e vidi, alla caviglia, un segno rosso, simile quasi ad un’irritazione. Lo indicai senza dire niente, ma lei non rispose, limitandosi ad abbassare lo sguardo e ad avvicinarsi di più ad Eretria, che mi riprese con lo sguardo. “Aveva una palla al piede”, disse semplicemente continuando a guardarmi con rimprovero, ammetto di essermi sentito abbastanza in imbarazzo. Sospirai, siccome volevo che Eretria smettesse di guardarmi come se avessi ucciso qualcuno chiesi, cercando di essere più gentile possibile: “Come ti chiami?”.
La ragazza misteriosa rimase un po’ in silenzio e mi guardò senza dire nulla, (non crediate che sia diventato insensibile, ma mi faceva male tutto ed ero alquanto nervoso pensando ai piani mancanti, per giunta questo piano era stato particolarmente faticoso), poi dopo un interminabile minuto di silenzio rispose con un filo di voce: “M-Mi chiamo Chloe…”.
“Da dove vieni?” continuai “perché eri lì dentro?”, lei si strinse nelle spalle, poi disse, sempre con un filo di voce: “Io ero la più bella delle ninfe della foresta, tanto che Chaos mi notò. Mi chiese più volte di avere un…rapporto…ma io rifiutai sempre, non lo amavo e poi mi spaventava, poi arrivò a chiedermi di sposarlo, ma io avevo troppa paura di lui…era qualcosa di spaventoso non per il suo aspetto, anzi…ma quegli occhi erano la cosa più terrificante che avessi visto, tanto che non voglio pensarci, non voglio ricordarli!”, e la sua voce tremò, pareva sul punto di piangere. Aspettai che Eretria la calmasse per farle la prossima domanda, ma Syria mi precedette: “Sei stata rinchiusa qui per suo ordine?”, e la ragazza annuì, allora continuò: “Ti ha…mai fatto qualcosa oltre alla prigionia? Sai…quello che intendo…”, ma la ragazza negò, disse che no, non l’aveva mai toccata in quel modo, o almeno, non lei. “Non tu?”, chiesi io, poi a differenza di Syria, che cercava di dosare le parole io ero arrivato ad un punto in cui del dosare le parole mi interessava ben poco: “Ha mai violentato un’altra donna, o ninfa, o chiunque altro?”, e lei non negò. Mi parve un po’ turbata, e non mi andava d forzala, del resto non era importante per la nostra missione. “Senti”, le chiesi “avevi detto che in cambio della libertà avresti fatto qualsiasi cosa ti avessi chiesto” e feci una pausa per guardarla negli occhi, lei annuì convinta e dopo aver pregato qualsiasi divinità esistente e aver chiesto una buona parola anche da parte di Buddha le chiesi: “Come facciamo a prendere il rubino per scendere al prossimo piano?”. Chloe abbassò lo sguardo, poi disse che non potevamo prendere quel rubino. Calò il silenzio per un attimo, fu allora che persi definitivamente anche quel briciolo di pazienza che mi era rimasta e inveii: “Ascolta, non abbiamo tempo da perdere in sciocchezze! Ti abbiamo liberata, ma non siamo qui per risolvere i vostri problemi, devi dirci come diavolo prendere questo rubino, ci serve, altrimenti quel pazzo che vi governa distruggerà tutto per un folle desiderio di ricreazione! E’ questo quel che vuoi?!”
“Shun calmati!”, cercò di dirmi Syria, ma io lo bloccai con un movimento del braccio, guardandolo con la furia negli occhi, che si placò quando riappoggiai gli occhi su Chloe che pareva sull’orlo del pianto.
Eretria mi spostò in malo modo, andando a consolare la ninfa e sorprendentemente anche Ikki mi lanciò uno sguardo di disapprovazione, il che era quasi ironico conoscendo mio fratello.
Dalia mi appoggiò una mano sulla spalla, ma io la mossi sottraendogliela, non avevo bisogno di essere consolato, volevo solo sapere dove diamine fosse quel rubino così da porre fine a tutto quel calvario. “Sei un idiota”, mi si rivolse poi Eretria “se la avessi lasciata finire avresti capito che non possiamo prendere quel rubino perché è un falso”. Corrugai la fronte e la guardai alzando un sopracciglio “Che intendi?” “Quel rubino è fatto apposta per ingannare i viaggiatori, è impossibile da prendere, ma in questo modo si concentrano tutti su quello, non cercando quello vero”. Mi sentii un vero imbecille, in effetti avrei dovuto farla finire. Sospirai, mi avvicinai alla fanciulla piangente e le dissi: “Scusami, non ti avrei dovuto urlare contro, ma capisci che per noi è molto importante che tu ci aiuti per evitare che succeda quel che Chaos vuole che accada,” e la ragazza mi guardò, smettendo di singhiozzare “ci serve il tuo aiuto, se sai come fare ti prego, dicci come possiamo prendere il rubino, sei l’unica che ci può aiutare”. La ragazza abbassò gli occhi e io le asciugai le lacrime, poi, ancora titubante, si alzò e disse che ci avrebbe condotti finalmente al nostro agognato rubino, quello vero. Gliene fui grato, poi la nostra attenzione fu distolta da Chloe a causa di un bagliore dietro di noi, e proveniva da quel demone. Ci voltammo e lo guardammo finché il bagliore non scomparve: alla fine il demone si rivelò essere quell’uomo che avevo visto poco dopo il mio arrivo…lo avevo soprannominato il principe dei gigli siccome era identico al dipinto presente nella sala del trono del palazzo di Cnosso, il cui nome era appunto Il principe dei gigli…a pensarci non sapevo come si chiamasse veramente. Il principe aveva il viso totalmente sfigurato, anzi, ne mancava una parte intera e non credo che sia importante descriverlo, vi basti solo sapere che ho capito chi fosse dal cappello abbandonato a pochi centimetri dalla sua testa. Oltre il giovane c’era ancora la bambina che mi aveva prestato il suo corpo, che mi fissava con i suoi grandi occhi a mandorla. Mi avvicinai sorridendo, dopo quel che aveva fatto meritava di essere ringraziata. “Sei stata molto coraggiosa”, le dissi “ti ringrazio”, ma lei sorprendentemente non mi rispose, prese la sua veste bianca e strappò una parte della gonna, poi me la porse, dicendomi, con la sua vocina: “Dalla a Chaos”, ed io, confuso ma comprensivo, annuii. La bambina ci guardò tutti, poi lentamente si avviò verso l’uscita, ma scomparve appena il fascio di luce la illuminò. Io la seguii con lo sguardo fino a quando non sparì, come ipnotizzato, poi mi riebbi e corsi fuori ma quando mi ritrovai fuori della bambina non c’era traccia, in compenso il cielo si era fatto molto più scuro, più cupo. I miei compagni mi raggiunsero e Goldilocks, ancora aiutata da Zorba, mi disse: “Dobbiamo proseguire, tra poco il sole tramonterà”, ed io, in silenzio, annuii cominciando a camminare e i miei compagni mi seguirono mentre la campana della sera scandiva i nostri passi che si apprestavano a lasciare il cimitero.


ANGOLO AUTRICE: Hoi raga, siamo giunti finalmente alla fine di quest’altro capitolo. Non è stato un granché ma spero come al solito che vi sia piaciuto, vi ringrazio per aver letto e vi mando un bacio! Boiiii!!!!!!
 

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Capitolo 26
*** L'anticamera del Chaos ***


Hoi raga, scusate per l’assenza ma il computer si era rotto (saltava la corrente in casa ogni volta che lo accendevo, problemi col case box). Mi scuso per l’assenza lunghissima, ma in compenso ecco il capitolo nuovo. Il Mistero della foresta di Chaos sta giungendo al termine, e vi ringrazio molto per chi ha letto perché senza di voi, senza le letture che potevo vedere, questa storia non sarebbe mai arrivata ad una conclusione. Questa storia fa parte di una serie ed è la storia di apertura in cui incrocio sia il mondo epico dei cavalieri ad una realtà che può essere anche peggio del campo di battaglia. Vi ringrazio davvero tanto, ma adesso basta con le smancerie e vi lascio ai capitoli finali della storia! Boiiiiiiiiiiii!!!!
 





ATTENZIONE: Il seguente capitolo contiene violenza, non a livelli esagerati ma sentitevi di continuare la lettura finché vi sentite di farlo. Chi continuerà la lettura lo fa a propria discrezione per tanto non mi assumo alcuna responsabilità in caso decidiate di farlo. Buona lettura.
 

 
Mentre camminavamo in quella radura fui assalito da un senso di malinconia. Capitava spesso che accadesse, soprattutto a New York, e tra di noi era calato un silenzio di tomba. “Quanto manca alla fine di tutto questo?”, mi chiedevo, ma era già un miracolo uscirne vivi, lo sapevamo tutti, ma questa domanda purtroppo non me la stavo ponendo solo in quella circostanza.
 
Ricordo ancora le luci di New York, in quelle sere di pioggia, il rumore del traffico e le gocce che sottili bagnavano il vetro del taxi che prendevo sempre per tornare a casa dal lavoro, perché non avevo nemmeno i soldi per permettermi una macchina tutta mia. Il veicolo giallo era bloccato nel traffico, eravamo lentissimi e non ci muovevamo di un centimetro, i clacson in sottofondo poi erano una vera tortura per l’udito, inoltre se fossi sceso avrei dovuto sopperire al gelido vento novembrino che si insinuava tra i palazzi e nei giacconi dei malcapitati che correvano sul marciapiede in cerca di un riparo dal maltempo. Lavoravo in un pub, di quelli pieni di insegne, che verso la mezzanotte accolgono coloro che nell’alcool e nella solitudine affogano le tristezze della vita. Da barista ero abituato ad ascoltare le storie di coloro che traevano un minimo di sollievo solo nell’essere ascoltati, nel potersi sfogare, anche solo con un giovane barista che dall’altra parte del bancone sentiva le loro parole strascicate e i loro accenti cadenti a causa della vodka e che probabilmente il giorno successivo non avrebbero trovato. Pensare a questi individui mi portava sempre una tristezza immane, li vedevo come dei miserabili, mio malgrado, e me ne impietosivo, ma più che ascoltarli non sapevo che fare. Lo stesso bar mi metteva tristezza: i neon che lampeggiavano indicavano una qualsiasi marca di qualche alcolico, l’unica parte decentemente illuminata era il bancone e infatti era lì che si riunivano tutti, sotto la luce biancastra e mortuaria di un neon appeso al soffitto proprio sopra di quel pezzo di legno. La parte divertente è che la zona degli alcolici disponeva di lampadine che servivano proprio ad evidenziarli, ho sempre pensato che fosse una tattica per spingere le persone a bere di più e lo trovo meschino e crudele…ma del resto è proprio grazie all’alcool che quel posto andava avanti. La paga era abbastanza da permettermi di pagarmi la retta universitaria, il resto lo usavo per vivere ma era davvero misero, cercavo di risparmiare il più possibile: il cibo in scatola era il mio migliore amico, soprattutto le scatolette di tonno, peccato che ne mangiassi talmente tanto che mi dava la nausea, eppure oltre quello non è che mangiassi molto altro, perché dopo una giornata di studio non hai voglia di cucinare niente, e anche volendo cosa potresti preparare con quel poco che ti restava che era abbastanza da pagare si e no l’affitto e le bollette? Il bar si trovava in un vicolo, nella classica stradina malfamata, dove gli autobus passano massimo un paio di volte al giorno, per questo avevo sempre un senso di inquietudine a tornare a casa quando finivo siccome era sempre molto tardi, e nemmeno per quanto riguarda casa mia era diverso. Si trattava di un bilocale situato al primo piano di un condominio vecchiotto in periferia, i muri esterni erano pieni di graffiti, di crepe, altri locali erano disabitati e fatiscenti, inoltre i muri erano talmente sottili che potevi sentire i televisori degli altri inquilini negli appartamenti accanto al tuo, e se riuscivi a sentire i televisori figurati le grida, le minacce…anche le percosse. L’affitto era di duecento dollari mensili, ed io lo dividevo con il mio coinquilino Franky. Franky era un anno più grande di me, anche lui frequentava l’università ma non ci teneva quanto me, i suoi genitori per giunta erano alcolizzati e lui era scappato di casa all’età di diciassette anni. Non l’hanno mai cercato. L’università, come dicevo, non gli interessava particolarmente, ma lavorava comunque da Starbucks per mandare avanti quell’abitacolo che per comodità entrambi chiamavamo “casa”, anche se per noi non lo era affatto, o meglio, lo diventava, quando Franky non era sotto effetto di sostanze stupefacenti. Esatto, si drogava, eroina soprattutto, lo faceva ascoltando musica lo-fi, e si rilassava così. Prima si limitava alle canne, ma dopo un po’ non gli fecero più effetto e passò all’eroina. Franky era un tipo esile, più alto di me ma con spalle e fianchi stretti, spesso vestiva di scuro, il suo incarnato era pallido e spesso gli occhi, marroni, erano cerchiati da enormi occhiaie scure, i capelli erano neri e gli toccavano l’orecchio, a vederlo sembrava un emo, e invece si faceva di eroina. Sentivo spesso i vicini parlare di lui, ma io sapevo che in realtà non era un cattivo ragazzo, era solo preda di se’ stesso e dei propri demoni. Una volta presi persino un pugno da parte di John, che abitava nella porta affianco. “Non criticarlo perché si fa di eroina, lui almeno non fa del male a nessuno, non è un porco che va a prostitute con la moglie in casa!”, gli dissi una volta, prendendomi un pugno da quest’energumeno, alto e obeso, con il grasso che colava dal mento, era un muratore e fumava molto, tanto che sentii l’odore del tabacco quando mi colpì. “Che marca disgustosa”, ricordo di aver pensato, infatti la mia dipendenza dal fumo iniziò proprio lì, a New York. Franky era un tipo a posto, era gentile, si vedeva che aveva sofferto molto, spesso si sfogava con me e liberava il dolore che lo opprimeva da anni, passavo molte notti accanto a lui, anche solo poggiandogli una mano sulla spalla, perché era mio amico e gli amici fanno questo. Lo aiutava parlare, lo aiutava tanto, ma poi tornava a farsi per trovare sollievo. Io cercavo di farlo smettere ma non c’era verso, cominciai a temere di trovarlo morto una volta tornato a casa. Era in questa situazione che continuavo a chiedermi: Quanto manca alla fine di tutto questo? Perché la mia vita è un saltare da un incubo ad un altro? Dalla paura di morire alla miseria più profonda? E per giunta non riuscivo a smettere di pensare a mia madre…chi era mia madre, e poi…il proiettile d’argento…ma no, Baba Yaga era solo una pazza.
 
“Eccola!”, la voce di Chloe mi riportò bruscamente alla realtà, avevamo camminato parecchio ed ora la ninfa stava indicando una grotta, “si trova là”. Mi avvicinai alla grotta e vi entrai, era spaziosa, simile ad una tholos, solo che vi era un buco nel centro della semi-cupola, da cui partiva un fascio di luce che illuminava una lucente varietà monocristallina dell’ossido di alluminio. Mi avvicinai alla pietra preziosa, situata su una sorta di podio, e data la fatica fatta per ottenerla il suo colore rosso pareva ancora più luminoso. Lo presi tra le mani, e gli altri mi raggiunsero, la luce si rifletteva su quella pietra e per un attimo fummo presi dalla gioia, tuttavia fu appunto solo un attimo, perché poi vedemmo le pietre che, dal reggersi autonomamente grazie al loro peso, cominciarono a cadere sulle nostre teste. “Tutti fuori!”, urlò Zorba, e noi cominciammo a correre fuori mentre tutto intorno a noi collassava, Chloe stava inciampando sull’uscio e io feci appena in tempo a prenderla tra le mie braccia e a saltare fuori, cadendo sull’erba morbida con lei stretta al petto e tremante.
Anche gli altri erano stati costretti a gettarsi fuori in quel modo, della grotta non restava niente, solo cumuli di pietra. Mio malgrado un pensiero mi assalì: cosa ne sarebbe stato di Chloe?
Lo avrete già capito, Chloe non era tra le mie simpatie all’inizio, eppure era stato istintivo aiutarla; sarà stato per l’istinto di saint, per un raptus di misericordia, fatto sta  che adesso lei era aggrappata e stretta a me. Confuso, guardai mio fratello, che ora mi sorrideva leggermente, poi mi alzai aiutando Chloe. “Dobbiamo muoverci”, dissi poi avviandomi, mentre mi voltavo per riprendere a camminare notai che Chloe stava sorridendo ed era arrossita. Camminammo un po’, poi Zorba imprecò guardando il cielo sopra di noi e anche noialtri alzammo lo sguardo: tinte di rosso e giallo tingevano un cielo arancione e alcune nuvole parevano quasi di un colore a metà tra il viola e l’azzurro. “Dannazione…”, disse Hyoga, io avrei esordito con qualcosa di più volgare ma mi astenni. Il sole stava tramontando ed eravamo solo al quarto rubino, cercai di mantenere la calma ma mentre sugli altri si disegnava un’espressione di panico dentro me cresceva un senso d’ira che cercavo di nascondere, giuro che avrei ammazzato chiunque, perché ormai mi ero abituato alle stranezze di quella foresta. Mi toccai la fronte con la punta delle dita, avevo i nervi a fior di pelle, e soprattutto mi chiedevo dove diavolo fossero Dragone e Seiya! “Muoviamoci”, dissi in tono secco e feci per avviarmi, poi Hyoga mi chiese se stessi bene ma mi girai verso di lui e gli feci capire con sguardo eloquente che non ero in vena di chiacchiere, poi proseguii. Dopo qualche passo sentii gli altri continuare a camminare e gli occhi di mio fratello su di me, ma non avevo voglia di parlare o proferire parola e dopo qualche minuto cominciai a correre, perché non avevamo tempo da perdere. “Chloe dov’è la quercia?”, chiesi io e Chloe ci indicò la strada. Non vi dico il viaggio, non fu molto lungo e non parlammo per niente, quindi non perderò tempo io a scrivere e non farò perdere tempo voi a leggere. Arrivammo di fronte alla quercia, però c’era qualcosa di diverso perché…era come se fosse sul punto di morire. Goldilocks si incupì, tacque per un po’ mentre io scrutavo nei minimi particolari quella quercia: il suo colore pareva tendere sul grigio, non c’erano foglie, affatto, ma non fu questo a farmi scattare sull’attenti, bensì quella che sarebbe dovuta essere la porta: in alcune parti mancavano dei pezzi, lo spazio per infilare il rubino era molle e puzzava molto, per non parlare di quando mi avvicinai, decine di insetti scapparono via dalle radici dell’albero che puzzava come un cadavere. Io rimasi in silenzio, infilai il rubino nel buco apposito ed entrammo tutti in quel tronco dall’odore nauseabondo, una volta entrati sentimmo un vento gelido entrarci fin nelle ossa, poi un suono simile ad un rametto che viene calpestato, poi quel vento cessò ed apparentemente non accadde nulla. Ci fissammo qualche minuto, poi Eretria aprì la porta e scoprimmo che il piano era diverso. Diamine se era diverso.
Il vento muoveva i rami secchi degli alberi, che erano spogli e dai tronchi neri nonostante fossimo a giugno, l’erba era alta e di uno strano colore tendente al marrone e non c’era neanche traccia di animali che non fossero insetti che ci giravano intorno. Ci incamminammo senza dire una parola ed io alzai gli occhi al cielo: era grigio, ma non di quel grigio tipico di un cielo nuvoloso, era…semplicemente grigio, non so come spiegarvelo, grigio con delle striature di nero, simile ad un cielo al tramonto ma con quelle tinte sul nero e sul grigio e il tutto, nell’insieme, pareva un quadro dalle tinte surreali, ma non come il resto della foresta ma in un senso più cupo, più tetro. Vi siete mai chiesti come si potesse raffigurare l’anima di un essere umano? Io si, in genere se vogliamo attenerci ad uno stile più fantasy potremmo immaginarla, secondo me, come una sfera luminosa e bianca, o forse colorata, e se poi siete fan di Undertale potreste immaginarla come un cuore colorato di uno dei sette colori dell’arcobaleno, dipende poi dal tratto della personalità che volete far emergere di più e infine Platone divideva l’anima in tre parti: razionale, concupiscibile e coraggiosa e poi su queste e sul tratto più evidente formava i ruoli nella società; non che mi lasci sempre coinvolgere da questi discorsi così filosofici, ma in quel momento ricordo di aver pensato che se mi avessero chiesto di raffigurare l’animo e la psiche di un noto serial killer – come ad esempio Charles Manson – niente avrebbe potuto raffigurarli meglio di quello scenario così immobile e terribilmente mortuario. Improvvisamente sentii un brivido percorrermi la schiena e un’inquietante presenza dietro di me, così mi voltai di scatto e i miei compagni fecero lo stesso. “Shun che succede?” mi chiese Hyoga, perché stavo guardando un punto indefinito in cui non c’era nulla.
Non c’era davvero nulla ma io mi sentivo osservato. “Non vi sentite osservati?” chiesi con estrema naturalezza, ricevendo in risposta gli sguardi confusi dei miei compagni che dopo qualche secondo cominciarono a guardarsi gli uni con gli altri. “Lasciate stare” risposi cercando di chiudere in fretta il discorso, poi mi guardai di nuovo alle spalle e continuammo a camminare, ma quella sensazione non voleva proprio sparire. Dopo qualche minuto Ikki aprì la bocca per parlare e disse parole, ma io non riuscivo a sentirlo, ma pareva che tutti gli altri ci riuscissero, ed anzi gli rispondevano! Non sentivo una parola, solo un inquietante ronzio nelle mie orecchie ogni volta che qualcuno parlava, provai a parlare ma non riuscivo nemmeno ad aprire la bocca.
Continuavo a camminare notando che lo scenario stava cambiando, sentii sulla mia spalla una mano stringermela forte, ma non avevo il coraggio di girarmi. Di colpo gli alberi secchi divennero edifici di una Tokyo di quasi vent’anni fa, le foglie abbandonate sul suolo persone che si muovevano prese nelle loro faccende, il cielo grigio e nero un cielo serale e i miei compagni divennero persone totalmente sconosciute, tranne Ikki e Hyoga. Ikki parve invecchiare di colpo, i suoi capelli da disordinati divennero pieni di gel e tirati indietro, l’armatura un completo elegante da uomo d’affari sui toni del grigio e divenne leggermente più basso e un po’ più…in carne. Hyoga invece cambiò totalmente il suo aspetto, a differenza di Ikki che un minimo ricordava il suo aspetto originale Hyoga divenne tutt’altra persona: era diventato un uomo sulla trentina dalla pelle chiara, con due occhi neri, piccoli e sottili e sotto cui vi erano delle occhiaie evidenti; i capelli erano tagliati corti ed erano sui toni del nero, non era basso ma nemmeno alto ed era molto magro, aveva un pizzetto sul mento e un completo da uomo d’affari, ma sui toni del nero, inoltre nel taschino erano appesi dall’asticella un paio d’occhiali dalle lenti sottili, forse da lettura e sotto un braccio portava una cartellina gialla. I due uomini cominciarono a parlare tra loro, la dizione perfetta e il linguaggio forbito mi avrebbe fatto pensare a due persone per bene, ma i loro sguardi tradivano quest’idea superficiale.
“Conosci un mortale più sventurato di me, Llyod?” disse l’uomo che somigliava ad Ikki, e l’altro replicò: “No, la tua infelicità giunge fino al cielo”, e ancora il primo: “Ecco perché sono pronto a morire”.
Osservai i due uomini, Llyod era evidentemente più giovane del primo e dalla tasca della sua giacca usciva l’angolo di un biglietto. Senza pensarci due volte mi sporsi leggermente e presi il biglietto tra le mani, con mia sorpresa era un biglietto da visita su cui c’era scritto “Akahito Shikamura”. Shikamura…? Sbaglio o era il cognome di Sakura Shikamura, Albachiara?
Potevano essere fratelli, e se quello fosse stato lo zio di Ikki? No, non ci credetti, si somigliavano troppo, era come se Ikki fosse di colpo invecchiato di vent’anni, era molto più probabile che fosse il marito di Sakura e che lei avesse acquisito il cognome da lui, quindi era molto più probabile che quell’uomo fosse il padre di Ikki, quell’uomo di alto grado della Yakuza.
D’ora in poi scriverò sotto forma di dialogo, perché tutto quel che hanno fatto è stato camminare e controllare sporadicamente orologi o cellulari.
Llyod: Credi che gli dei si curino delle tue minacce?
Akahito: Gli dei sono protervi con me ed io lo sono con loro.
Llyod: La tua superbia potrebbe moltiplicare i tuoi mali.
Akahito: Trabocco di mali, non potrei accorgermi di altri.
Llyod: Allora cosa farai? Dove ti porterà la tua ira?
Akahito: Ritornerò all’Inferno, da dove, crescendo, ho maturato l’idea di essere venuto.
Llyod: Sono discorsi indegni di un signore.
Akahito: Fai presto a darmi consigli e a farmi rimproveri: sei giovane e fuori dalla bufera, tu.
Llyod: Non è detto che non ci possa finire, una volta intrapresa questa strada non si torna più indietro, se non rimettendoci la vita, e questo tu dovresti saperlo meglio di me.
Akahito: Come fai a darmi del signore dopo che le mie mani si sono sporcate del sangue di vittime innocenti? Con queste stesse mani io accarezzo mio figlio.
Llyod: Akahito, io so benissimo quello che hai fatto con quelle mani e non ti do certo del signore per questo motivo, ti do del signore perché nonostante ti porti questa colpa non piangi e non strilli implorando pietà nel tentativo di ottenere la pena minima per quello che hai fatto. Sarò sincero con te: non ti lamentare delle tue mani sporche di sangue, ma addolorati per quelle volte che hai ordinato ad altri di uccidere, così hai rovinato l’anima tua e di quelli, più di quanto non fosse già rovinata.
Akahito: Mi stai forse dicendo che disprezzi questa posizione? Se ti sentisse qualcun altro saresti già in ginocchio in procinto di ricevere una pallottola in testa.
Llyod:Lo so, ed è per questo che faccio questi discorsi solo con te, perché so che resteranno tra noi. No, non disprezzo questa posizione, non sono un tipo che sputa nel piatto in cui mangia, perché io stesso mi sono portato a questo e sarebbe ipocrita ed immaturo piangere sul latte versato, ti pare?
Akahito:E’ anche vero che la resistenza ha un limite.
Llyod:Non siamo un gruppo di beneficenza, non puoi semplicemente andartene quando ti stufi di mandare avanti i giochi.
Akahito: Lo so molto bene Llyod, ma se stai cercando di aiutarmi questi discorsi non lo fanno. Ascolta semplicemente le ragioni che mi oppongono ai tuoi rimproveri. La mia vita non è vivibile ora così come non lo è mai stata. Mio padre uccise mio nonno ed ancora impuro del suo sangue violentò la seconda figlia e quando si scoprì che ella era incinta la sposò. Si può dire che la mia vita sia cominciata grazie alla violenza. Mio padre era già un membro della Yakuza, uno potente, ecco perché io adesso sono dove sono. Anch’io, come mio padre, sposai Sakura perché rimase incinta di mio figlio, anche se onestamente non la amo, l’ho fatto solo perché sennò quel bambino sarebbe finito per strada, e una cosa che detesto è quando Sakura si porta dietro quella Melanie, ultimamente dice di vedere il dio del cielo…secondo me deve solo farsi ricoverare.
Llyod:Solo i celesti possono giudicare le parole degli umani, rammendalo bene.
Akahito: Ahimè, io penso a tutto fuorché a questo, ma per come stanno andando le cose credo che a breve ci trasferiremo in America.
Llyod:Lascerai il Giappone permanentemente?
Akahito:Ancora non so, Katsukami mi ha affidato delle cose da fare in America, ma no, non penso di tornare in Giappone. So quello che ho fatto e so che non potrà essere perdonato, ma al contempo voglio spendere ciò che rimane di questa vita per fare del bene, per quanto posso.
Llyod:Preoccupati solo di non disubbidire eccessivamente a Katsukami.
Akahito:Ti ringrazio, amico mio.
Sentii di colpo qualcosa sollevarmi da terra, ma solo di pochi centimetri tenendomi dal colletto, poi la sensazione di stretta sulla spalla sparì e quegli edifici e quelle persone scomparvero, ed io tornai in mezzo ai miei compagni accorgendomi che era Hyoga a tenermi da dietro il colletto.
“Uh…?” feci io con voce impastata, come se mi fossi svegliato da un sogno, “Ti sei svegliato finalmente”, mi fece Hyoga “hai camminato tutto il tempo facendo strani gesti, prima hai fatto segno di afferrare qualcosa e di leggerlo, poi continuavi a camminare guardando fisso davanti a te e spostando la testa da una parte all’altra, abbiamo cercato di svegliarti varie volte ma niente, eri un sonnambulo con gli occhi aperti”, continuò poi il russo. “Mhm…”, feci semplicemente, mi sentivo intontito, come sotto farmaci, poi ci trovammo di fronte ad una quercia. “Di già?” feci io, la porta era anche aperta. “Qualcuno ci ha preceduto”, fece Dalia ed io sperai che avanti a noi vi fossero Sirio e Seiya. Entrammo di nuovo nella quercia. Quel piano era tranquillo…sperai dentro di me che non fosse solo la calma prima della tempesta, anche se a onor di logica probabilmente era così…e quella tempesta aveva il nome di Chaos. Il piano successivo era quasi identico, solo pareva più buio…forse per la tarda ora. “Che ore sono…?” chiesi ai miei compagni e Ikki mi rispose “Credo le nove di sera…”.
Avevamo undici ore per porre fine a tutto ciò e noi eravamo solo al…sesto piano…? Avevo anche perso il conto porca miseria!
Cominciammo a correre e Goldilocks ci guidava, ma io avevo la testa da tutt’altra parte: Akahito Shikamura era il padre di Ikki, ok, ed era uno dei membri più alti della Yakuza, figlio di un membro più anziano che dopo aver violentato sua madre, quindi la nonna di Ikki, l’aveva sposata. Ok, quindi nacque da uno stupro e crebbe praticamente nell’ambiente mafioso ereditando la posizione di suo padre ma dopo un po’ si trasferì negli Stati Uniti e questo spiegherebbe anche il perché la madre nel sogno che avevo fatto nella grotta di Baba Yaga aveva chiesto al figlio dollari e non yen. Fin qui ok, ma prima cosa: perché parlavano di dei? Seconda cosa: perché Akahito è stato mandato in America?
Inoltre mi tocca fare un’altra annotazione, se Akahito parla già di Melanie allora vuol dire che all’epoca o mia madre era quasi in procinto di essere incinta siccome vedeva Uranus o li ha seguiti in America, cosa abbastanza improbabile, ma se Baba Yaga era stata precisa il primo a morire fu Akahito, poi mia madre rimase incinta…quindi quello che avevo visto era un estratto delle ultime settimane di vita del padre di Ikki? Quindi se le mie supposizioni erano esatte nell’ordine: mia madre cominciò a vedere Uranus e Sakura ed Akahito erano in procinto di trasferirsi in America, ma Akahito fece un incidente stradale dopo aver assunto sostanze stupefacenti e morì, nel frattempo Melanie rimase incinta, Sakura invece a questo punto restò in Giappone e non ebbe più contatti con la Yakuza visto che finì per fare la prostituta, però Melanie commise quegli omicidi, venne catturata, partorì e poi dopo due anni venne condannata a morte, siccome Sakura in quel sogno indicò una cifra con i dollari americani evidentemente si  trasferì comunque in America, magari sperando di iniziare una nuova vita, ma finì comunque per fare la escort con il nome di Albachiara per poi morire dopo la venuta di Pandora, ma se le cose stanno così come abbiamo fatto io ed Ikki ad arrivare a Nuova Luxor, in Giappone?
“ATTENTI!” urlò Dalia ridestandomi dai miei pensieri e tutti fummo investiti da un enorme ramo che ci buttò dall’alta parte. Sbattemmo tutti a terra, ma alcuni riuscirono a mantenersi su un ginocchio, poi sentimmo una voce femminile ma profonda iniziare a parlare dicendo: “Bene bene…chi abbiamo qui? I traditori e i Saint di Athena, ma che bella sorpresa”, e poi sentimmo dei passi e lei continuò “non mi aspettavo sareste sopravvissuti a tanto, complimenti per la vostra forza” ed uscì allo scoperto. Era una donna alta, la sua età era indefinita, ma aveva lunghi capelli castani legati in una coda alta le cui punte erano simili a rami, la sua pelle era quasi grigia, aveva occhi totalmente viola e addosso aveva una calzamaglia nera e un paio di tacchi abbastanza spessi. “Ma che…cazzo..?” fece Ikki guardandola, ma la donna schioccò le dita e un albero spostò i propri rami e ad uno di quelli dell’albero dietro di esso si vedeva un enorme bozzolo appeso, era talmente grande che avrebbe potuto contenere un essere umano. “Tamara…”, la chiamò Goldilocks con la minaccia nella voce, allora la signora si girò a guardarla e sorrise, poi guardò verso di me e dopo verso tutti gli altri. Un brivido mi percorse la schiena quando poggiò la mano sul bozzolo, da esso infatti potevo riconoscere un cosmo e…oddio, stavo per svenire. Tamara increspò le sottili labbra colorate di rosso in un sorriso inquietante, poi disse: “Mi dispiace Orion, ma stavolta sono stata io ad essere dieci passi avanti a voi”, e di colpo dal terreno spuntarono decine e decine di radici che in un lampo afferrarono me e i miei compagni per le caviglie. Imprecammo tutti, mentre le radici continuavano a salire e ad afferrarci più saldamente. “State zitti e smettetela di urlare come maiali al macello” disse Tamara, ricevendo da tutti noi un’occhiataccia, “ho una lunga conversazione da fare, con tutti voi”, e si sedette su una roccia vicino a quel bozzolo. “ALLONTANATI DA LI’!” strillai mentre la vedevo passare la mano su quel corpo viscido e dall’inquietante colore verdastro, lei di tutta risposta mi guardò e sbeffeggiandomi mi chiese: “Sennò che fai? Chiami il tuo fratellone? Ah no aspetta, lui è proprio lì, accanto a te, e ora che fai? Piangi?”, ero sul punto di strangolarla, ma quando lei disse, fingendo un’espressione intenerita: “Povero piccolo” lanciai la catena contro di lei e la catena di attacco la colpì quasi in pieno volto ma all’ultimo lei si spostò, non l’avevo colpita minimamente. “Shun non fare stron-“ “SI CAZZO LO SO!” urlai contro uno spaurito Hyoga, preoccupato, pareva, più dalla mia reazione che dalla situazione in se’. In tutto ciò Chloe tremava come una foglia, le sue gambe lignee erano bloccate dalle radici e ogni tanto la sua voce tremolante si faceva sentire in sporadici lamenti. Avrei voluto solo zittirla, soprattutto quando Tamara rivolse a lei i suoi occhi minacciosi. “Che c’è tesorino? Hai paura?” fece con voce smielata e Chloe di tutta risposta emise un urletto che fece sobbalzare anche Tamara prima di farla scoppiare a ridere. “Se tutte le ninfe sono come te” disse tra le risate “allora quasi quasi potrei lasciarvi passare solo per vedere questa foresta distrutta”, poi si rivolse a me con lo sguardo e subito dopo tornò a guardare Chloe che tremava ancor più visibilmente e le punte dei capelli di Tamara si alzarono, sapevamo tutti cosa stava per succedere. “NO!” “FERMA!” urlammo tutti, chi la prima chi la seconda frase, ma era già troppo tardi: i capelli, o radici, di Tamara avevano trapassato il petto di Chloe da parte a parte. Mi si gelò il sangue vedendo che da dietro Chloe si stava cominciando a formare una vischiosa pozza di liquido rosso cremisi, il corpo di Chloe era quasi abbandonato e poi la sua assassina tirò via le radici, ormai sporche di sangue, dal petto di Chloe. Liberata per essere uccisa, che triste scherzo del destino, forse…forse sarebbe stato meglio lasciarla lì. Nemmeno Goldilocks e Dalia avevano qualcosa da dire. Le piane poi avevano inveito ancora sul corpo della ninfa e stavano cominciando a prosciugarla, nutrendosi del suo sangue. Hyoga era sbiancato, Ikki sudava freddo, ma potei vedere Syria piegarsi in due e vomitare. Tamara non se ne accorse, era troppo impegnata nel suo lavoro, ma io me ne resi conto. Syria non poté nemmeno buttarsi a terra tanto era tenuto saldamente e per questo mi faceva pena. Se gli altri avevano dato un cenno di reazione io no. Io mi sentii solo svuotato nel vedere quello spettacolo macabro, perché sarei un bugiardo ed un ipocrita a dire di aver provato dolore, io e Chloe ci eravamo conosciuti solo un paio d’ore prima, ma non avevamo legato; non fraintendetemi, non ero affatto felice che fosse morta, soprattutto in modo così macabro, se potessi tornare indietro per salvarla lo farei eccome, eppure tutto ciò che ricordo di quel momento fu uno schiacciante senso di vuoto che incombeva su di me, la nausea venne in un secondo momento. Ancora oggi mi chiedo cos’avrei potuto fare per salvarla. Eretria pareva sul punto di perdere i sensi e Zorba, nonostante fosse il re dei demoni, pareva poco turbato rispetto a noi, tuttavia anche lui parve non poter arrivare ad un tale livello di malvagità. Tamara appena finì di tagliare gli arti prese entrambe le braccia e le buttò apparentemente a caso, e così fece con le gambe e col busto, invece la testa la buttò nel laghetto vicino a noi. “…cos’hai fatto?” chiesi, incredulo, mentre lei continuava a sorridermi e poi le radici avvolsero le parti del corpo di Chloe e le trascinarono sotto terra. “Mangiate miei tesori, mangiate” mormorò, probabilmente si riferiva al terreno. Forse anche lei ha potere sul piano, mi dissi, ma no, non poteva essere, probabilmente aveva poteri più ristretti. “Allora”, disse poi voltandosi verso di noi e schiarendosi la voce “volete stare zitti oppure preferite fare questa fine?”. Io ero ancora sconvolto, ma non gliela diedi vinta, quindi provai a fare ugualmente un tentativo. “CATENA DI ANDROMEDA!” urlai e la catena mi ubbidì, andando contro di lei, ma contro le mie aspettative lei si limitò solo ad afferrarne le estremità. “Le cose stanno così eh?” mi chiese retoricamente guardandomi e sorridendo con fare sornione, allora tese le catene e corse verso di me mentre i suoi capelli o rami o come dir si voglia cominciarono già ad alzarsi, mi parve infatti di vedere la mia vita passarmi davanti agli occhi e tra le grida degli altri chiusi gli occhi, aspettando il colpo fatale, ma quest’ultimo non arrivò. Riaprii prima un occhio, poi un altro e potei notare che Tamara era ferma, avvolta in un’aura d’oro, ma non riusciva a muoversi per quanto ci provasse. “Ma che diavolo…?” fece Ikki, gli altri rimasero immobili, eppure l’atmosfera di paura di poco prima si era diradata. “Veloci!” fece Goildilocks, dalle mani di Hyoga partì una nebbiolina azzurra che si andò a depositare vicino alle radici, rendendole di ghiaccio e poi distruggendole, finalmente potevamo muoverci. Non perdemmo tempo, riconoscevamo chiaramente quel cosmo: era Athena, quindi forse Saori era vicina, finalmente.
Tamara cominciò ad innervosirsi, poi urlò contro di noi: “Cosa pensate?! Che solo perché la vostra dea da quattro soldi vi ha giovati il combattimento sia finito? Non è affatto così!” e dal terreno spuntarono decine, centinaia di radici che cominciarono a venire verso di noi, ma stavolta non ci facemmo prendere alla sprovvista. Goldilocks saltò in alto e così fece Eretria, accanto alla cui comparvero dei portali piccoli ma tantissimi ed in varie direzioni, poi lasciò che la sua amica scagliasse la sua lancia in uno di questi ed immediatamente da tutti gli altri portali apparvero le lance di Goldilocks, che finirono per tagliare le radici. Ikki e Hyoga collaborarono e si misero l’uno alle spalle dell’altro guardando in direzioni opposte: Hyoga riuscì a congelare la sua metà grazie alla Diamond Dust e Ikki con le ali della fenice riuscì a bruciare la sua, io non potei fare nulla in quanto la mia catena era ancora bloccata nella mano di Tamara, che certamente non stava per vedersela bene. Syria, Dalia e Zorba erano rimasti fermi, ma non per questo avrebbero lasciato correre un crimine tanto atroce. Syria cominciò immediatamente a suonare, facendo strillare Tamara che però non poteva muoversi, allora Dalia la afferrò da dietro il collo e la buttò a terra; la donna fu liberata dalla sua posizione e lasciò anche andare la mia catena che prontamente ritornò a me, ma quei tre avevano solo cominciato. Tamara cercò di alzarsi ma Dalia le bloccò la testa a terra con un piede e impedendole di alzarsi e nel frattempo l’assassina continuava a strillare. “Adesso chi è che urla come il maiale da macello?” mi venne spontaneo pensare e non so se in quel momento mi si formò un ghigno sul viso, perché mi parve quasi che fosse così. Syria non smetteva di suonare, lo sguardo amichevole e gentile del mio amico era scomparso e rividi quello dell’avversario spietato e crudele che conobbi durante la battaglia contro Poseidon. Zorba afferrò da prima una pietra appuntita e la alzò verso il cielo, poi guardò verso Goldilocks e immediatamente si fermò; in quella posizione era facile intuire che volesse colpire Tamara alla testa, tuttavia non lo fece, fermandosi proprio guardando la ragazza bionda. Si ritirò, poi lasciò la pietra a terra sotto lo sguardo smarrito di Dalia, voleva…risparmiare Tamara?
Era strano per uno come lui, Zorba, ormai l’avevo capito, era un signore solo all’apparenza, per quanto riguardava gli avversari era a dir poco un mostro, ma non come Dalia, che si limitava a giudicare severamente chi andava punito – basti pensare a quella volta con Baba Yaga -, lui godeva nell’infliggere torture e castighi agli altri ed era inutile tentare di dire il contrario, ma poi capii. Zorba fece qualche passo indietro, poi si voltò dando le spalle a tutti noi e alzò una mano davanti a sé. Improvvisamente il terreno fu scosso da un terremoto e poi si creò in vari punti. “Zorba!” lo chiamai io rischiando anche di cadere, Hyoga ed Eretria erano già caduti e Ikki si reggeva ad un albero. Da quelle crepe sorsero due colonne corinzie alte dai tre ai cinque metri unite da una chiave di volta sormontata da un arco a tutto sesto che poggiavano su una base preceduta da tre gradini. Era un portale, dava sul nero più totale in cui era visibile una nebbiolina grigia. Tamara quando lo vide sgranò gli occhi e disse: “No…tu…TU!!!!” scuotendo la testa, ma Dalia le tirò un altro calcio su di essa e la fece quasi sprofondare nel terreno. Zorba prese la nostra avversaria dal colletto mentre lei continuava ad urlare: “NO TI PREGO! TI PREGO!!”, ma il demone non sentì ragioni, la fece prima alzare, poi la praticamente lanciò nel portale, facendola cadere. Sentimmo le sue grida per una manciata di secondi, poi un silenzio assordante, infine Zorba chiuse il portale. Ne rimanemmo tutti turbati, poi gli chiesi: “Zorba dove l’hai spedita?”, lui mi guardò e poi rispose secco: “Nel limbo”, poi spostò lo sguardo sul bozzolo. Io, Hyoga ed Ikki ci avvicinammo velocissimi a quel corpo viscido, ci guardammo e dopo di che con un movimento repentino del braccio sinistro afferrai il triangolo cavo che si trovava all’estremità della catena di difesa e lo usai per tagliare il bozzolo dall’albero e quando questo cadde a terra cominciai letteralmente a sbucciarlo sotto gli occhi di Hyoga ed Ikki, stranamente quella sensazione era quasi rilassante, ma cercai di non farlo capire agli altri che mi guardavano. Tirammo un sospiro di sollievo vedendo cosa c’era nel bozzolo: Era Shiryu!
Ikki scoppiò in una fragorosa risata data più dal sollievo che da altro ed anche Hyoga tirò un sospiro carico di tutta la tensione scaricata. Lo feci alzare, era incosciente, chissà da quanto era lì, per giunta era sporco di una sostanza vischiosa e verdognola che si era attaccata perfino ai suoi lunghissimi capelli neri. “Shiryu!” lo chiamammo più volte, ma lui non accennava a rispondere, finché dopo vari tentativi (tra cui quello di buttargli l’acqua in faccia) riuscimmo a farlo rinvenire. “Che succede…?” ci chiese “Dove siamo…? Ragazzi d quanto tempo siete qui? Dov’è Seiya? E Athena?”, “Una domanda per volta” gli fece poi Hyoga divertito, aspettammo che si riprendesse un altro po’, Goldilocks, Dalia ed Eretria avevano persino raccolto delle bacche per lui siccome lo vedevano molto pallido e rimasi sorpreso nel constatare la quantità di bacche commestibili presenti in quella foresta, erano tutte bacche che non avevo mai visto prima d’ora. Ce n’erano di vari colori: rosse, blu, bianche e ripiene di un succo color porpora…una molto carina aveva la forma di un piccolo melograno morbido e liscio come una pesca sciroppata, giallo che sfumava verso il rosso. Dopo una decina di minuti Shiryu si riprese e ci raccontò quel che aveva successo: lui e Seiya erano atterrati sullo stesso piano ed insieme a loro c’era Lady Saori, però Tamara li aveva attaccati e si erano separati. Era riuscito a  far scappare Seiya e Saori ma lui era stato catturato. Non sapeva altro. Lo ascoltammo e capimmo di doverci muovere. Entrammo nella porta che ci avrebbe condotti al sesto piano.
Il piano era quasi identico al quinto, però, stranamente, non c’era nessuno. Era quasi notte, una notte priva di stelle, ma non c’era vento. Il piano era illuminato solo da alcune torce in stile medievale appese agli alberi, il resto era totalmente silenzioso. Ci avviammo, cominciammo a correre mentre il sole tramontava, e trovammo la quercia: era aperta!
Fu il piano più veloce, la quercia era aperta ed era nelle stesse condizioni della precedente, ma c’era il rubino, c’era tutto!
Cominciai a ragionare mentre gli altri analizzavano la quercia. Il rubino c’era, era lì, come un pomello, nella posizione in cui sarebbe dovuto essere…ma quindi…Seiya era già all’ultimo piano? Poteva essere così: che avesse trovato il rubino e che fosse andato all’ultimo piano insieme a Lady Saori, quindi era fatta, l’ultimo piano!
Agognavo quel momento da quando il primo rubino entrò nella toppa, finalmente eravamo giunti nell’ultimo piano. Era stato facile, il penultimo piano, avevamo già il piattino pronto, ma la verità era solo una: era solo la calma prima della tempesta perché, oltre quella porta, c’era Chaos.

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