Così dannatamente bello

di DanilaCobain
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***
Capitolo 9: *** 8 ***
Capitolo 10: *** 9 ***
Capitolo 11: *** 10 ***
Capitolo 12: *** 11 ***
Capitolo 13: *** 12 ***
Capitolo 14: *** 13 ***
Capitolo 15: *** 14 ***
Capitolo 16: *** 15 ***
Capitolo 17: *** 16 ***
Capitolo 18: *** 17 ***
Capitolo 19: *** 18 ***
Capitolo 20: *** 19 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 22: *** 20 ***
Capitolo 23: *** 22 ***
Capitolo 24: *** 23 ***
Capitolo 25: *** 24 ***
Capitolo 26: *** 25 ***
Capitolo 27: *** 26 ***
Capitolo 28: *** 27 ***
Capitolo 29: *** 28 ***
Capitolo 30: *** 29 ***
Capitolo 31: *** 30 ***
Capitolo 32: *** 31 ***
Capitolo 33: *** 32 ***
Capitolo 34: *** 33 ***
Capitolo 35: *** 34 ***
Capitolo 36: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


 
Sveva lanciò un ultimo rapido sguardo all’appartamento.
Tutto, in quelle stanze, le ricordava Logan. A cinque mesi dalla loro rottura non era ancora riuscita a superare quel dolore. Era sempre con lei, dolce e affilato, a ricordarle l’amore che aveva vissuto e che ora non esisteva più.
Davanti alla porta, uno scatolone pieno delle cose che Logan aveva lasciato a casa sua. Maglioni, scarpe, cd e altre cianfrusaglie. Non era mai riuscita a liberarsene ma quel viaggio in Italia doveva significare una svolta. Sveva aveva la necessità di riappropriarsi della sua vita e al ritorno non avrebbe più voluto trovare quelle cose in giro.
Chiuse la porta e fece scattare la serratura. Era tempo di tornare a casa.

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Capitolo 2
*** 1 ***


1

Milano, finalmente.
Seduta ad un tavolino di una caffetteria, mentre guardava lo scorrere frenetico della vita quotidiana nella sua città, Sveva si rese conto di quanto le fosse mancata.
La chiamata da parte del suo mentore era stata provvidenziale; era arrivata nel momento giusto, quello in cui tutto il suo essere, stremato, le urlava di prendersi una pausa da New York.
Finì di mangiare il pezzo di dolce che aveva nel piattino e uscì. L’aria era già molto calda e piacevole. Sveva passeggiò senza fretta e senza una meta precisa, godendosi la città quasi come se fosse una turista. Sentiva che qualcosa dentro di lei si stava risvegliando, schiacciato per troppo tempo dal peso del dolore. Una labile fiammella, ancora timorosa e incerta. Bastava alimentarla nel modo giusto.
Pensò al suo lavoro e a quello che l’attendeva. Adorava fare il neurochirurgo e da qualche tempo aveva iniziato a scoprire il piacere di insegnare. Il suo mentore, Carlo Turriani, l’aveva sempre spronata in tal senso, anche quando erano a New York insieme e la voleva come assistente all’università, ma Sveva in quel periodo era presa dagli studi sul campo, dalle operazioni in sala agli esperimenti in laboratorio. In seguito ad alcune sue pubblicazioni sulle riviste scientifiche del settore era stata invitata a diversi seminari e in quelle occasioni si era scoperta ben felice di poter divulgare il suo sapere.
Il professor Turriani poi era tornato in Italia e oltre a dirigere un ospedale occupava anche la cattedra di Neurochirurgia all’università di Milano. Pur immaginando di ricevere un altro rifiuto, per l’inizio del nuovo anno accademico aveva chiamato Sveva, la sua allieva migliore che aveva portato con sé a New York diversi anni prima. Sveva sapeva di averlo lasciato di stucco quando aveva accettato. Ne aveva terribilmente bisogno. Sperimentare l’insegnamento la stuzzicava. L’indomani avrebbe incontrato Carlo e messo a punto un piano di studi adeguato. Poi sarebbe iniziato lo studio, e gli approfondimenti per la preparazione delle lezioni.
Nel suo peregrinare giunse davanti alla boutique di Giorgio, un suo vecchio amico. Sostò per qualche minuto davanti alla vetrina, ammirando gli abiti di alta sartoria esposti. La sua attenzione fu catturata da un tubino rosso, le spalline larghe e lo scollo leggermente a V, lungo fin sopra al ginocchio. Voleva provarlo e pensava che sarebbe stato perfetto per la festa di inaugurazione del locale di suo fratello Enrico, quella sera stessa.
Entrò.
Giorgio era dietro al bancone, la testa calva china su un registro, intento ad annotare qualcosa. La alzò meccanicamente, solo per un cortese saluto, poi tornò a scrivere.
«Ciao Giorgio.»
Nel sentire pronunciare il suo nome, Giorgio alzò di nuovo la testa e fissò la donna con più attenzione. Quando la riconobbe, il suo sguardo s illuminò.
«Oh mio dio, Sveva!» mollò la penna e uscì dal bancone, andandole incontro. «Sei tornata!»
Si abbracciarono. Sveva gli sorrise in maniera affettuosa. Giorgio la fece allontanare un poco e la squadrò da capo a piedi.
«Sei splendida. Ti trovo in forma.»
«Anche tu, Giorgio. Sembri più giovane. Stai usando una nuova crema?»
«Oh, smettila» fece un gesto con la mano, «piuttosto, quanto rimani? Abbiamo il tempo di un aperitivo in settimana?»
«Anche più di uno. Resto per qualche mese.»
«Grandioso! Anche quel gran figo del tuo fidanzato è qui? Deve venire anche lui, è troppo simpatico.»
Sveva si irrigidì, ma solo per un secondo. Era determinata a superare la cosa e ce l’avrebbe fatta. «Non è più il mio ragazzo» disse, ostentando una calma e una serenità che non aveva dentro.
Giorgio rimase interdetto. I suoi piccoli occhi marroni la scrutarono. «Scusami, io non… oh, meglio così! Non hai idea di quanti bei ragazzi ci sono in giro ultimamente. Te ne presenterò qualcuno, non preoccuparti. A dirla tutta, quell’americanino era un po’ noioso.» Le strizzò l’occhio facendola sorridere. «Ma parliamo di cose importanti, la festa di tuo fratello! Sei qui per quello, giusto? Ti serve un vestito.»
Sveva tirò un sospiro di sollievo, grata del cambio di argomento. «Sì. Ho visto in vetrina quel tubino rosso e vorrei provarlo. Che dici, potrebbe andare bene? Non so nemmeno che tipo di festa sia.»
«Oh, tesoro, scherzi? Alla festa di tuo fratello ci sarà tutta Milano.» Si voltò verso la vetrina. «Quello rosso è bellissimo, ma io ho quello perfetto per te. Torno subito.»
Giorgio scomparve dietro a una porta e Sveva si mise a guardare in giro. La boutique di Giorgio era sempre stata una delle sue preferite. Lì aveva trovato sempre quello che cercava ed era rimasta soddisfatta ogni volta, sia per qualità dei tessuti, sia per la particolarità dei capi. Oltre alle grandi firme dell’alta moda, da Giorgio c’erano anche capi unici confezionati a mano. Proprio uno di questi aveva in mano l’uomo quando tornò. Era un tubino della forma e lunghezza simile a quello rosso in vetrina ma era di un blu chiaro intessuto con fili dorati. Elegante e raffinato. Stupendo. Sveva si avvicinò allo specchio e si guardò.
«È favoloso. Intonato ai tuoi occhi» disse Giorgio guardandola.
Ed era proprio quello che stava pensando lei. Il vestito si armonizzava perfettamente con la sua figura e metteva in risalto il colore dei suoi occhi, anch’essi di un bel blu.
La porta della boutique si aprì ed entrarono due persone. Giorgio si allontanò da lei per andare ad accoglierli. Sveva era completamente innamorata di quel vestito. Costava un occhio della testa, ma era da tanto che non si faceva un regalo. Doveva solo provarlo. Prima di andare nei camerini cercò con lo sguardo Giorgio, per chiedergli il permesso. Non c’era, ma riconobbe le due persone che erano entrate.
Era impossibile non conoscerle. Kieran Blom e Evangeline Prot, lui un famosissimo calciatore e lei un’attrice statunitense altrettanto famosa. Una delle coppie più amate e seguite dai rotocalchi.
In quel momento Kieran aveva la testa china sul cellulare, Evangeline invece posò lo sguardo sul vestito che Sveva aveva in mano. Si avvicinò, muovendosi sinuosa come se stesse sfilando su una passerella, ancheggiando.
«Che bello» disse rivolta al vestito. Guardò Sveva negli occhi e accennò un sorriso ironico.
«Questo sta meglio a me, non credi?» Tolse il tubino dalle mani di Sveva e si diresse al bancone, mentre sopraggiungeva anche Giorgio, con in mano alcuni capi.
Kieran, udite le parole della fidanzata aveva posato il cellulare e si era diretto verso di lei. Le lanciò un’occhiata di fuoco. «Che cosa stai facendo?»
Dopo un iniziale momento di sconcerto, anche Sveva si avvicinò al gruppo.
Giorgio poggiò i vestiti sul bancone. «Ecco qui, Eve. Sono tutti pronti.»
Evangeline scansò Kieran e poggiò anche il vestito azzurro con gli altri. «Prendo anche questo.»
«Scusami, se non ti dispiace lo stavo provando io» intervenne Sveva.
Giorgio guardò il vestito azzurro, poi Sveva, poi Eve. Impallidì. «Oh, Eve, tesoro. Quello è un pezzo unico, non ne ho altri. E c’era prima la signora.»
Evangeline rise forte, una risata brutta. Si voltò di nuovo verso Sveva. «A lei non entrerebbe mai.»
Kieran chiuse gli occhi e serro le labbra.
Sveva arrossì.
Giorgio non parlò.
«Lo prendo io» continuò Eve, raccolse tutti gli abiti e si mosse in direzione dei camerini. «Vado a provare tutto.»
Giorgio afferrò le mani di Sveva, che rimaneva immobile, incredula. «Vado a prenderti subito un altro vestito. O vuoi provare quello rosso?»
Sveva si sottrasse bruscamente alla stretta di Giorgio. Non voleva un altro vestito, voleva quel vestito. E c’era prima lei, lo aveva preso prima lei! Perché Giorgio non aveva detto niente e aveva permesso un comportamento del genere?
«Prendi quello che vuoi. Pago io.» Kieran pronunciò quelle parole piazzandosi davanti a lei. La sovrastava, tanto era alto, e la guardava dritto negli occhi.
Niente traspariva da quelle pozze nere, neanche un po’ di imbarazzo. Ma come osava? Sveva esplose.
«Credi di poter comprare tutto con i tuoi stupidi soldi? Peccato, non potrai mai comprarci un po’ di educazione. Per te e per la tua fidanzata.»
Kieran le rivolse un’occhiata sprezzante. «Tanto nemmeno te lo saresti potuto permettere.»
Sveva scosse la testa. «Cafone» sibilò, poi uscì dal negozio rincorsa dalla voce di Giorgio che le chiedeva di aspettare.
Non si voltò né si fermò fino a quando non arrivò a casa.

 

Ciao a tutti!
Sono tornata con questa nuova storia, dopo un lungo periodo di assenza.
Sono felicissima, la scrittura mi era mancata molto e ho tanti progetti in mente. 
Le vostre opinioni sono importantissime per me, perciò se vi va di lasciamri un commento ve ne sarei molto grata. Inoltre, sono alla ricerca di nuove storie quindi non esitate a propormi le vostre! Potete farlo qui o su Facebook, Instagram, Twitter, il nickname è lo stesso: DanilaCobain. 
A presto.

Danila

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Capitolo 3
*** 2 ***


2


Evangeline blaterava. Continuava a ripetere in maniera incessante quanto fosse noiosa Milano e quanto desiderasse tornare a casa sua a Los Angeles. Come se non fosse successo nulla. Come se non avesse toccato il fondo in quel negozio.

Kieran camminava senza dire una parola, torvo in volto. Non ne poteva più di quei comportamenti, non ne poteva più di fare figuracce per poter assecondare tutti i suoi capricci. E poi lui Milano la amava. Ogni palazzo, ogni strada, ogni singola pietra; a Milano si sentiva a casa.

Da tempo Evangeline aveva cominciato a fargli pressioni, volendo a tutti i costi che sondasse il terreno per un possibile trasferimento negli States, ma non ne aveva mai realmente parlato con il suo procuratore. Se fosse dipeso da lui sarebbe rimasto a Milano per sempre.

«Domani parto, Kieran» disse lei, cambiando discorso.

Kieran si voltò a guardarla. Le labbra perfette erano colorate da un lieve strato di rossetto rosso. Ricordò la prima volta che le aveva rubato un bacio, sul terrazzo del suo appartamento di Miami, una sera d'estate di quasi tre anni prima. Evangeline aveva pronunciato quella stessa frase. Allora però aveva un sapore diverso, allora Kieran aveva avuto paura di non rivederla mai più.

In quel momento, invece, rimase in silenzio.

«Ho un provino per un film. Il mio agente mi ha chiamata stamattina.»

Kieran continuò a camminare. Lui amava Evangeline, ne era sicuro, eppure a quella notizia si era sentito sollevato, più leggero.

«Beh? Non dici nulla?» lo incalzò lei.

«Sono molto felice. Di che genere è questo film?»

Evangeline si fermò. Kieran si voltò a guardarla. Aveva l'aria stizzita. «Lo vedo che sei felice. Non vedevi l'ora che me ne andassi, non è così?»

«Stare un po' di tempo separati ci farà bene.» Continuò a camminare ma la ragazza gli arpionò la maglietta e lo costrinse a fermarsi.

Gli occhi blu fiammeggiavano di collera, era sul punto di fare una scenata. Kieran si guardò intorno, l'ultima cosa che voleva era discutere con lei in pieno centro con decine e decine di persone a guardarli.

«Cosa stai dicendo, Kieran? Vuoi una pausa?»

«Eve... ne parliamo a casa.»

Le circondò le spalle e le diede un bacio sulla testa. Evangeline lo assecondò ma dopo qualche passo si fermò di nuovo.

«È per quello che è successo nel negozio? Ho visto come mi hai guardata.»

«Sì, Eve, sì. Non puoi comportarti così, lo capisci? »

«Credi forse che io sia una bambina e che devi dirmi come devo o non devo comportarmi?»

«A quanto pare, sì. Hai centinaia di vestiti a casa, anche più belli di quello. Senza contare tutti i vestiti che ti regalano gli sponsor ogni volta che vai a un galà. Si poteva benissimo evitare tutto.»

«Sai che c'è, Kieran? Parto stasera. Non ti sopporto quando fai così.»

Questa volta fu lei a incamminarsi. Kieran sospirò e cercò di calmarsi. Non era proprio il momento giusto per litigare. In serata avevano la festa di inaugurazione del nuovo locale di Enrico, il suo migliore amico, non potevano mancare. Lui non se la sarebbe persa per nulla al mondo. Era più che sicuro che Evangeline non sarebbe partita e quindi dovevano fare pace per arrivare alla festa con uno stato d'animo quantomeno tranquillo. Sapeva bene di cosa fosse capace Eve quando era in collera con lui. Un'altra sceneggiata non l'avrebbe retta.

Quando imboccarono il cancelletto del loro palazzo Kieran le prese la mano. Eve non la strinse ma non la tolse. Kieran guardò il suo bellissimo profilo. Gli occhi chiari risaltavano sulla carnagione olivastra e sui capelli corvini. Si chinò per darle un bacio sulla guancia.

«Pace?»

Lei non rispose. Lo attirò a sé e lo baciò sulle labbra, un bacio freddo che si insinuò tra le piccole crepe del cuore di Kieran.

***

Kieran uscì dalla doccia e si avvolse un asciugamano in vita. Evangeline era davanti allo specchio, pettinava i lunghi capelli neri. Era uno schianto, lì davanti a lui, in lingerie di pizzo nera. Sul volto i rimasugli della litigata precedente che la rendevano ancora più eccitante. Sul viso di Kieran, e nella sua mente, invece non c'era più traccia di tensione, solo aperto desiderio. Era pronto a fare pace con lei, nel più classico dei modi.

Evangeline stroncò i suoi pensieri sul nascere. Lo guardò attraverso lo specchio. «Che c'è?»

«Ti sto guardando. Non posso?» Kieran accennò un sorriso e le circondò la vita.

«No» rispose Eve scostandosi. «Sbrigati o faremo tardi a questa stupida festa.»

Kieran serrò i pugni. «Sai che c'è Eve? Ne ho abbastanza. Se la mia festa non ti piace rimani a casa o vai a farti un giro con la tua amica del cuore.»

Uscì dal bagno e si diresse in camera. C'era ancora qualcosa di recuperabile nella loro relazione? Si amavano ancora? Forse per loro due non c'era più nulla da fare, erano giunti al capolinea. Forse avrebbero dovuto affrontare un discorso molto più serio. Forse. Ma non quella sera. 
 

Un'ora più tardi Kieran varcò la porta d'ingresso decorata da palline argentate luccicanti del SerotoninPersisteva in lui un alone di nervosismo. La discussione con Evangeline era degenerata e alla fine lei aveva preso le sue cose ed era andata a casa di un'amica. L'indomani avrebbero dovuto parlare del loro futuro. Non potevano più rimandare.

Pensare che fosse realmente finita gli provocava una strana fitta al cuore. Andare avanti era impossibile, lasciare la sua Eve troppo doloroso. C'era stata lei al suo fianco durante una delle pagine più buie della sua storia calcistica. Lei gli aveva dato la calma necessaria per affrontare la situazione con razionalità e distacco, per impedire che col suo carattere irascibile potesse compromettere il suo futuro da professionista. Ma adesso quella calma non gliela dava più. Le discussioni erano continue, i suoi comportamenti incomprensibili. E lui non si stava dimostrando altrettanto bravo a capire cosa le stesse succedendo. Cosa poteva servire a loro due? Una pausa? Una chiusura definitiva?

Tutte le persone che lo salutavano gli chiedevano di Eve e del perché non fosse lì. Un impegno improvviso, diceva, e si sforzava di sembrare felice come sempre.

Individuò Enrico, circondato da un nutrito gruppo di persone e decise che lo avrebbe salutato dopo. Raggiunse invece la sua squadra, quasi al completo, che occupava un angolo della sala principale. Divanetti scuri erano addossati alle pareti. Si sedette accanto a Mark, un tedesco ben piazzato, sempre allegro e pronto a fare festa.

Fece un cenno alla cameriera più vicina e ordinò da bere. Due veterani della squadra, Giacomo e Simone, raccontavano un episodio successo l'anno precedente durante il quale Giacomo aveva scatenato una rissa nel tunnel degli spogliatoi. Ridevano tutti e anche Kieran si lasciò andare a quel ricordo.

«Solo stasera?» Mark avvicinò il bicchiere a quello appena arrivato di Kieran. Tintinnarono appena. Poi bevve tutto quello che ne rimaneva.

«Sì.»

«Anche io. Mia moglie è ancora in Germania, forse torna la settimana prossima.»

Kieran annuì meccanicamente e portò il bicchiere alle labbra. Fu in quel preciso istante che la vide. La ragazza bionda con la quale aveva avuto un alterco nella boutique di Giorgio quel pomeriggio era appena entrata nel locale. Anche Mark aveva seguito l'ingresso della ragazza, incuriosito dallo sguardo stralunato del compagno. Kieran lo sentì ridacchiare.

«Ah amico. È un bene che Evangeline non sia qui. Quella biondina è uno schianto.»

Kieran dovette ammettere a se stesso che era vero. Indossava un vestito rosso che le stava alla perfezione e tacchi alti che slanciavano la sua figura. Guardò Mark. «Chi è? La conosci?»

«No. Ma entro la fine della serata lo saprò.»

«Non c'è bisogno di aspettare la fine della serata» si intromise Giacomo accostandosi ai due. «Quella è Sveva, la sorella di Enrico.»

Mark si alzò. «Perfetto. Vado subito a presentarmi.»

«Stai buono, tu!» Giacomo lo tirò per la giacca e lo fece ricadere sul divano.

Tutti risero.

Kieran si rese conto a malapena di quello che stava succedendo. La ragazza era la sorella di Enrico. Enrico, il suo migliore amico e compagno di squadra. Aveva visto tante volte le sue foto e non l'aveva riconosciuta. 
Come doveva comportarsi adesso? Chiederle scusa? Fare finta di niente?

La giornata iniziata male era destinata a peggiorare. 

 

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Capitolo 4
*** 3 ***


3


Gente. Tantissima gente sconosciuta. Al suo ingresso nel locale Sveva aveva a malapena riconosciuto suo fratello. Ragazze giovanissime in miniabiti luccicanti e tacchi vertiginosi, uomini impomatati con sorrisi smaglianti e cocktail in mano. Enrico era circondato da persone, rideva, brindava e faceva qualche foto.
Sul lungo bancone bianco posizionato alla destra dell’ingresso vi era un buffet. Sveva si avvicinò. Stuzzichini di ogni genere e forma le riempirono gli occhi e l’olfatto. Sentì lo stomaco iniziare a brontolare. A pranzo aveva mangiato pochissimo, il nervosismo le aveva tolto l’appetito. Prese un piattino e lo riempì di tramezzini, tartine, crostini e cocktail di gamberetti. Abbracciò con lo sguardo l’intera sala alla ricerca di un posto dove potersi sedere.
E vide Kieran. In fondo alla sala, con tutti gli altri compagni di squadra. Lui la stava fissando. Per qualche secondo rimasero a guardarsi. Poi Sveva si voltò e andò a cercare posto nella seconda sala, a cui si accedeva oltrepassando un arco, decorato da festoni, alla destra del bancone. Poco più piccola della prima, luci calde, divanetti color verde scuro e tavoli di legno. Alle pareti stampe di piante tropicali con foglie giganti e motivi floreali e al centro del soffitto un’istallazione in vetro circolare che permetteva di guardare il cielo. Sembrava di stare in una serra, rilassante e accogliente nonostante la cacofonia di voci e musica.
Trovò un posto, si sedette e cominciò a mangiare. Anche da lì riusciva a vedere Kieran. Se ne accorse quando alcune persone si spostarono e incontrò di nuovo il suo sguardo fisso su di lei. Cercò di ignorarlo. Probabilmente l’aveva riconosciuta. Probabilmente in giro c’era anche la sua fidanzata. Magari con un pizzico di fortuna sarebbe riuscita a evitare qualsiasi tipo di interazione con lui.
Enrico la raggiunse dopo un po'. «Sveva, sei arrivata.» Si sedette accanto a lei e le diede un bacio sulla guancia.
«Sono arrivata poco fa. Eri impegnato e ne ho approfittato per mangiare. Sembra una bella festa.»
«Sembra?»
«Sembra che si stiano divertendo tutti.»
«E tu?»
Gli occhi dolci di Enrico incontrarono i suoi. Sorrise e passò una mano tra i capelli biondi del fratello. «Sono molto orgogliosa di te. Il locale è bellissimo, questa sala è meravigliosa e tutti i progetti che hai in mente… mi fa piacere che tu stia investendo anche sul tuo futuro.»
Enrico aveva acquistato l’intero immobile dove era situato il bar e aveva in programma l’apertura di un b&b. Tutto questo Sveva lo aveva saputo la sera prima, quando il fratello era andato a prenderla in aeroporto.
Enrico si guardò intorno con un sorriso soddisfatto. «Già. E non hai ancora visto il giardino! Vedi quella porta?» nella parete sul fondo, dietro alle spalle di Sveva, c’era una porta d’acciaio chiusa. «Lì c’è il cortile interno del palazzo. Ci farò un giardino per le sere d’estate. Domani ti faccio vedere il progetto.» Le circondò le spalle con un braccio e la baciò sulla testa e sulla guancia. «Sono contento che tu sia qui per restare un po’. Mi sei mancata.»
«Anche tu.»
Sveva gli accarezzò il volto. Vide comparire una scintilla di malizia nello sguardo del fratello. La rimirò con un sorriso impertinente sulle labbra.
«Stasera hai deciso di rubare il cuore di qualcuno? Stai benissimo, questo vestito ti sta da dio.»
Il vestito rosso lo aveva ricevuto nel pomeriggio, nel suo appartamento, ed era stato mandato come regalo da Giorgio, con tanto di rose e bigliettino in cui chiedeva scusa per il suo ignobile comportamento. Era proprio quello che aveva visto in vetrina. Sveva lo aveva provato. Sembrava cucito apposta per lei e aveva deciso di indossarlo per la festa.
Involontariamente spostò lo sguardo verso Kieran. La stava guardando ancora. «Non voglio conquistare proprio nessuno, credimi.»
Enrico si alzò e tese la mano verso di lei. «Vieni. Andiamo a salutare i compagni.»
Sveva avrebbe preferito non andare, ma mise la mano in quella del fratello e si tirò su. Riuscirono a sgusciare tra i corpi accaldati e raggiungere il tavolo della squadra. Enrico giocava nella squadra di Milano da quando era un ragazzino. Quasi tutti conoscevano Sveva. Infatti quando si avvicinarono e Enrico esordì dicendo «Guardate chi è tornato», Giacomo si era già alzato e aveva abbracciato la ragazza. Era il più “anziano”, il capitano della squadra. Capelli neri, barba folta e sguardo vispo, nutriva un profondo affetto per la ragazza. Anche Sveva era molto affezionata a tutti loro. Scambiò qualche parola con tutti mentre li salutava.
Solo due dei presenti Sveva non aveva mai conosciuto: Mark Kruger e Kieran Blom. Kieran rimase seduto. Serio, guardava la scena senza dire una parola. Sveva di tanto in tanto gli lanciava qualche occhiata. Non aveva visto Evangeline e si chiedeva dove fosse. Mark, invece, si era alzato e si era presentato. Prese la mano di Sveva e se la portò alle labbra, facendo un piccolo inchino.
«Siedi con noi?» le disse, indicandole il posto accanto a Kieran.
In quel momento Enrico notò l’amico seduto e silenzioso. «Kieran, anche tu non conosci mia sorella.»
Il ragazzo si alzò. Imponente, dall’alto dei suoi due metri di altezza. Impassibile. Indossava un completo blu scuro e una camicia bianca. Strinse la mano di Sveva così forte che per poco non si udirono le ossa scricchiolare. Lei non si scompose e cercò di ricambiare la stretta, per quanto possibile.
«La famosa Sveva. Ti immaginavo diversa.»
«Io invece ti immaginavo proprio così, Kieran Blom.»
Probabilmente tutti a quel tavolo si erano accorti di quanto suonassero velenose quelle parole. Enrico spostò lo sguardo da lei a Kieran. «Che succede, ragazzi?»
«Niente» si affrettò a dire Sveva.
«Io e tua sorella abbiamo avuto una discussione in un negozio, oggi.»
Una sonora risata proruppe dalla gola di Enrico. «Ma che dite? E per quale motivo?»
Sveva e Kieran si fissavano. Lei non riusciva a credere che avesse avuto il coraggio di tirare fuori l’argomento dopo la brutta figura fatta. Lui sfoderò un sorriso angelico.
«Potevi dirmelo che eri la sorella di Enrico. Te lo pagava lui, il vestito?»
«Quale vestito?»
«Non ho bisogno di un uomo che mi paghi i vestiti. Mi guadagno da vivere da sola.»
Sapeva che non avrebbe dovuto abboccare alla provocazione, ma in quel momento provava un odio profondo verso quell’uomo. Stava per cedere alla tentazione di schiaffeggiarlo e di togliergli quel sorriso soddisfatto dal volto. Voleva andare via, lontano da quel frastuono e da tutta quella gente sconosciuta.
«Mi dite cosa diavolo sta succedendo?»
Anche questa domanda di Enrico non ricevette risposta.
«Vogliate scusarmi, vado a prendere da bere.» Sveva girò sui tacchi.
La sua intenzione era quella di sparire, tornare a casa. Ma non fece in tempo a fare un passo che si ritrovò stretta in un abbraccio. Il corpo muscoloso di un uomo l’avvolse. Forte. Protettivo.
Senza bisogno di guardarlo in volto, Sveva lo riconobbe.
Christian.
«Sei tornata e non mi hai detto niente» disse lui, la bocca vicina al suo orecchio.
«Volevo farti una sorpresa.» Ed era vero. Sapeva che Christian, il portiere della squadra e suo migliore amico, sarebbe stato presente alla festa. Quando si staccarono e lo guardò negli occhi sentì il cuore riempirsi di felicità. «Vieni, andiamo a prendere da bere» strinse la sua mano e lo portò il più lontano possibile da quel tavolo.

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Capitolo 5
*** 4 ***


4


«Cosa succede tra te e Sveva?»
Kieran fissò l’amico. Non c’era più traccia di divertimento sul suo viso, aveva visto Sveva arrabbiarsi sul serio, forse più di quanto avesse fatto la mattina. Emise un sospiro sonoro, in cerca delle parole giuste per spiegare l’accaduto.
«Oggi ho incontrato tua sorella da Giorgio. Stava provando un vestito e quando lo ha visto Eve lo ha voluto a tutti i costi. Glielo ha tolto dalle mani, ha iniziato a dare di matto. Volevo solo risolvere la cosa e ho detto a tua sorella che poteva prendere quello che voleva, avrei pagato io. Lei, neanche a dirlo, si è offesa, mi ha dato del cafone ed è andata via. Fine della storia.»
Enrico sorrise un poco, forse immaginando la scena. Kieran invece sentì riemergere tutta la rabbia che aveva represso nei confronti di Evangeline, per avergli fatto fare quella bruttissima figura, aggravata dal fatto che la ragazza fosse la sorella del suo migliore amico, e ora si trovava nella situazione di doversi scusare. Per la prima volta in vita sua stava provando imbarazzo.
Il volto dell’amico si era rabbonito. «Una sciocchezza, quindi. Però potevi evitare di fare quella battuta su chi le avrebbe pagato il vestito.»
Kieran scosse la testa. «Era una battuta, infatti. Non volevo offenderla, ma tua sorella è… lei non ha il senso dell’umorismo» allargò le braccia, come a voler dire che stavolta non aveva fatto niente di così strano, e piantò i suoi occhi scuri in quelli chiari di Enrico.
Lui distolse lo sguardo e lo puntò sulla sorella, lontana, quasi vicino all’ingresso. Per un attimo i suoi occhi sorrisero con tenerezza. Si fece più vicino a Kieran.
«Sta passando un momento particolare, Kieran. Promettimi che domani sera risolverete tutto. Non vi voglio vedere così.»
Kieran sollevò un sopracciglio. «Domani sera?»
«Ho intenzione di portare Sveva con noi alla festa di Valentina.»
«Oh-oh» circondò Enrico con un braccio e lo sbatacchiò un poco. «Allora fai sul serio con questa ragazza. Vuoi presentarla anche a tua sorella…»
Lui sorrise e abbassò lo sguardo. «No, ma che sul serio…»
«Ma dov’è? Non l’ho vista in giro.»
«Arriva più tardi, sta finendo di lavorare. Eve? Non è venuta?»
«No.» Il tono e l’espressione non ammettevano repliche.
Enrico ingoiò la domanda che aveva sulla lingua e annuì. Fissò per un attimo l’amico, cercando di carpirgli qualche informazione silenziosa, poi gli diede un colpetto sulla spalla.
«Non preoccuparti per Sveva, le passerà.»
«Se lo dici tu.»
Si allontanò e Kieran si sedette di nuovo. Mark aveva rivolto l’attenzione verso un paio di ragazze che gli avevano chiesto una foto. Gli altri chiacchieravano tra loro. Prese il suo bicchiere e lo vuotò tutto d’un fiato. Ne ordinò un altro.
Era un miscuglio di sensazioni. Incazzato con Eve, e con Sveva che lo aveva guardato ancora una volta con disprezzo. Non era certo migliore di lui, non lo conosceva, non sapeva nulla della sua vita, eppure lo aveva giudicato in un secondo.
Col senno di poi si era reso conto che il gesto nella boutique poteva risultare offensivo, ma lo aveva fatto con le migliori intenzioni. Voleva solo evitare che le cose peggiorassero, invece erano precipitate e si erano schiantate al suolo spargendo conseguenze in tutte le direzioni.
Infine si sentiva terribilmente in colpa per la fine della sua relazione. Sentiva su di sé il peso della decisione.
Guardò nella direzione di Sveva. Odiava la situazione che si era venuta a creare ma non era l’unico a doversi scusare, anche lei lo aveva offeso. E invece aveva continuato a guardarlo con quella sua aria di superiorità, come se Kieran fosse solo un povero idiota con i soldi, indegno di qualsiasi tipo di considerazione da parte sua.
Stava con Christian vicino all’ingresso e se la ridevano. Christian le accarezzava il volto e la toccava come se fosse di sua proprietà. Non staccavano gli occhi l’uno dall’altra, così come lui non riusciva a staccare gli occhi da loro, e parlavano fitto fitto. Osservò come le grandi mani di Christian avvolgevano la sua vita stretta evidenziando ancora di più le curve dei fianchi e il fondoschiena. Infilò un dito nel colletto della camicia e tirò un po’, sentendo fastidio e caldo. Sorseggiò il suo gin tonic mentre le mani di Christian scendevano lente sui fianchi…
«Fortunato il nostro Christian.»
Kieran trasalì e si voltò verso Mark.
«Dici che se la scopa?» continuò il tedesco.
«Non capisco cosa ci troviate di interessante in quella ragazza. Oltretutto è parecchio antipatica.»
Mark si passò una mano sulla barba corta. «Ha qualcosa di estremamente affascinante e sensuale, non trovi?»
«No.»
«Ho sentito la storia del vestito… amico, ma che hai combinato?!»
A Mark piaceva prendere in giro i compagni e Kieran si lasciò andare alla sua bonaria ilarità. Ridacchiarono insieme.
«Che ne dici di concludere la serata con queste due belle ragazze a casa mia?» Mark si alzò dal divano e invitò le ragazze a fare lo stesso.
Kieran scosse il capo sorridendo. Mark non perdeva mai occasione per rimorchiare. Si stupiva del fatto che la moglie non lo avesse ancora lasciato.
«No amico. Passo.»
Il tedesco gli fece l’occhiolino e con le ragazze sottobraccio andò via. Kieran si avvicinò agli altri, stando attento a rivolgere le spalle alla porta in modo da non cadere più nella tentazione di guardare quella stronza di Sveva.
 
 
«Che succede con Kieran?»
Christian scostò i capelli dal volto di Sveva e indugiò con la mano sulla guancia.
«È un idiota» rispose, ma si sentiva già più calma. La presenza del suo migliore amico le aveva restituito il buonumore.
«Lo so, all’inizio può sembrare un idiota. Ma è un bravissimo ragazzo, te ne accorgerai.»
Sveva sorrise a quelle parole, Christian tendeva sempre a vedere il buono dappertutto. Forse era stato proprio quel suo lato che l’aveva fatta innamorare quando erano solo due ragazzi che frequentavano ancora il liceo.
Christian era stato il suo primo amore. Dolce, intenso e spensierato come solo gli amori giovanili sanno essere. Lo aveva conosciuto a una delle partite di Enrico con le giovanili della squadra di Milano. Christian giocava già in prima squadra e sugli spalti si era avvicinato, incuriosito da quella ragazza bionda dallo sguardo limpido. Qualche parola scambiata nell’imbarazzo, poi un’uscita insieme agli altri, poi da soli. Lui che l’aspettava fuori dalla scuola, le lunghe passeggiate fino a casa. I sorrisi, il cuore a mille, i baci e le carezze sempre più ardite. Christian era due anni più grande di lei, Sveva invece aveva diciassette anni e sognava già di diventare un medico. Christian l’adorava, vedeva in lei una piccola donna forte e decisa pronta a sacrificare qualsiasi cosa pur di raggiungere i suoi obiettivi. Amava trascorrere i pomeriggi a guardarla studiare, specie durante il primo anno di università, quando Christian era andato a vivere da solo e Sveva gli riempiva l’appartamentino in centro di amore e felicità.
E poi, un giorno, Sveva aveva deciso di partire per l’America e continuare gli studi a New York insieme al suo professore e mentore. Sarebbe stata un’occasione d’oro per la carriera della ragazza e Christian non le avrebbe mai chiesto di restare solo per lui. Ci avevano provato, ma la distanza era troppa e il tempo per vedersi non c’era mai.
Christian non l’aveva mai lasciata del tutto e quello che un tempo era stato amore si era trasformato in un affetto indissolubile. Divennero ancora più uniti, liberi dalla gelosia e dalle scaramucce di coppia raggiunsero un’intimità maggiore. Alla fine lui conobbe un’altra donna e la sposò, Sveva incontrò Logan. L’amico sapeva della fine della sua relazione, conosceva ogni dettaglio. Nell’ultimo periodo l’aveva chiamata più del solito, preoccupato perché il dolore aveva fatto scomparire quasi del tutto la Sveva che conosceva e che amava.
Questo Sveva lo capiva, e Christian che la conosceva meglio di chiunque altro vedeva che il suo cuore era ancora stretto nella morsa del dolore.
«Sto bene» disse lei, dando voce alla domanda impressa negli occhi di Christian. Lì, con lui, stava davvero bene.
Christian la strinse a sé. «Ancora non ci credo che sei qui e che potremo vederci tutti i giorni.»
«Starò qui talmente tanto che ti stuferai di me» cercò di scherzare lei, perché le lacrime avevano iniziato a pizzicarle gli occhi e non voleva lasciarle andare.
«Impossibile»
Forse tutto ciò di cui aveva bisogno per guarire era proprio davanti a lei, era l’amore che le dava Christian.

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Capitolo 6
*** 5 ***


5


I ramoscelli del platano erano carichi di foglioline verdi, tenere e gioiose, e oscillavano languidi all’insinuarsi del vento. Sveva, seduta in auto, li fissò per un po'. Dentro di lei si agitava un vento ben più forte.
La mattina era stata proficua; con il professor Turriani aveva cominciato a lavorare sul piano di studi ed era stata nella clinica dove avrebbe lavorato per tutto il semestre milanese, dove aveva conosciuto i suoi nuovi colleghi.
Non era andata altrettanto bene nel pomeriggio, quando aveva sentito le sue amiche e colleghe newyorkesi e inevitabilmente erano finite a parlare di Logan. Lo avevano visto in ospedale con la sua nuova fiamma nel reparto di ginecologia, e, fatte alcune domande in giro, erano venute a sapere che la coppia molto probabilmente aspettava un bambino.
Quella notizia l’aveva devastata. Prima che Logan la lasciasse dicendole che si era innamorato di un’altra le aveva chiesto di sposarlo. Credeva che sarebbero stati insieme per sempre, che avrebbero avuto dei figli e sarebbero invecchiati in una casa in campagna, come avevano sognato più e più volte. Sveva non si era accorta di niente, solo nelle ultime settimane era diventato distratto e scostante ma lei credeva che fosse a causa dello stress per i preparativi e le decine di cose da fare in vista del matrimonio. Così, quando una mattina Logan le aveva detto che non l’amava più le era crollato il mondo addosso.
Si era colpevolizzata, aveva passato giorni davanti allo specchio a chiedersi dove avesse sbagliato, cosa avesse l’altra donna che lei non era stata in grado di dare a Logan. Poi aveva deciso di reagire, non era colpa di nessuno se i sentimenti di Logan per lei erano svaniti. Ma al lavoro lui era sempre presente, sempre felice, e lei sempre più triste, con il cuore a pezzi e una casa vuota che era diventata la sua gabbia. Per questo aveva accolto di buon grado la proposta del professor Turriani, per riuscire a respirare di nuovo.
Erano trascorsi solo sei mesi… e già aspettavano un bambino. Il dolore che con un lavoro meticoloso era riuscita a contenere aveva rotto gli argini e l’aveva riempita tutta. Asciugò con delicatezza una lacrima scappata via e scese dall’auto che le aveva prestato Enrico, una delle tante che possedeva. Aveva promesso al fratello che ci sarebbe stata a questa festa e poi sentiva proprio il bisogno di tenere la mente occupata da altro.
L’appartamento del fratello era situato al centro di Milano, al terzo piano di un palazzo antico. Enrico ci viveva da solo e aveva chiesto a Sveva di stare da lui ma lei aveva preferito tornare nell’appartamento di famiglia, vuoto perché i genitori ormai vivevano stabilmente in un casolare nella val d’Orcia.
Grande, luminoso e dotato di ogni genere di comfort, l’appartamento di Enrico rispecchiava la sua personalità, sempre attenta alle ultime tendenze in fatto di moda e tecnologia.
Ad aprirle la porta fu Kieran. Sveva non si aspettava di trovarlo lì. La guardò con quei grandi occhi neri fieri e decisi, accennò un saluto e si spostò per lasciarla entrare.
Il salone era in stile minimal, un mobile basso con il ripiano in vetro su cui poggiava un televisore gigantesco che occupava tutta la parete, un divano altrettanto grande di fronte e a terra un soffice tappeto e un tavolino. Alle pareti c’erano foto di Enrico con i vari trofei vinti e qualcuna della famiglia. Sveva si guardò intorno. Non c’era traccia del fratello e in casa era tutto silenzioso. Chiese dove fosse Enrico.
«È andato via poco fa. Mi ha chiesto di aspettarti e portarti alla festa.»
«Ah. Non c’era bisogno di lasciarti qui ad aspettarmi, avrebbe potuto mandarmi l’indirizzo e sarei andata da sola.»
«Non ne dubito» rispose Kieran sarcastico. «Se ti ripugna così tanto stare in macchina con me puoi seguirmi con la tua. Sempre se sai guidare.»
Le passò accanto per prendere il giubbotto poggiato sul divano. Lei osservò le sue spalle larghe ricurve sul divano alzarsi e rimanere per qualche secondo così. Quell’atteggiamento ostile da parte di entrambi non avrebbe portato da nessuna parte. Avrebbe preferito di gran lunga andare con la sua macchina, ma decise di andare con Kieran. Tuttavia, quella sarebbe stata l’ultima volta. Lui continuava a lanciarle frecciatine offensive e non credeva di meritarsele. Quando lui si voltò, Sveva lo guardò dritto negli occhi.
«Questo è il tuo atteggiamento abituale o io ti sto particolarmente antipatica?»
«Il mio atteggiamento è una conseguenza del tuo.»
Nessuno dei due osava spostare o abbassare lo sguardo, era una sfida. Kieran era imperturbabile, le labbra rosee rimanevano serrate. Una ciocca di capelli sfuggì selvaggia davanti al volto. La riportò dietro l’orecchio con gesto sicuro, continuando a guardare Sveva.
«Non mi sembra di averti offeso in qualche modo. Invece tu continui a farlo, da ieri nella boutique…»
«Ieri nella boutique volevo solo sistemare le cose» la interruppe Kieran, facendo un passo verso di lei.
«Beh, hai sbagliato modo. Non è tirando fuori il portafogli che si risolvono le cose. C’è una cosa chiamata educazione che evidentemente tu non hai.»
Kieran fece un altro passo, il pugno della mano serrato, gli occhi fiammeggianti. «Ora chi è che sta offendendo? Ma no, Miss Perfettina non sbaglia mai.»
«Kieran, ascolta…»
«No, adesso mi ascolti tu. Mi hai dato del cafone, del maleducato e pretendi che io ti chieda scusa per qualcosa che non ho reputato offensivo nel momento in cui l’ho fatto?» era a pochissimi centimetri dal suo volto. «Scordatelo.»
Sveva sentiva il suo profumo, non distolse gli occhi da quelle pozze nere che scintillavano di collera e avvertì un brivido correrle lungo la schiena. Sentì la sua fermezza che vacillava.
«Non dobbiamo per forza essere amici o andare d’accordo…» incespicò nelle parole, deglutì e si umettò le labbra secche, sbatté le palpebre e interruppe il contatto visivo, sentendo venir meno il respiro. Si passò una mano tra i capelli e fece un passo indietro.
«Tuo fratello però vorrebbe che lo fossimo.»
«Allora proviamoci. Mettiamo da parte questa…» gesticolò, indicando sé stessa e lui, «antipatia e ricominciamo da qui.»
Kieran sembrò rifletterci. Indossò il giubbotto e infilò le mani in tasca. Le sue labbra si incurvarono all’insù e negli occhi balenò uno scintillio divertito.
«Guidi tu?»
Anche Sveva sorrise un poco. «Andiamo con la mia macchina?»
«Per forza. Avevo dimenticato di aver dato le mie chiavi a Enrico.»
Si avviò verso la porta e uscì, seguito da Sveva. Mentre chiudeva la porta lei gli disse: «Pensavo che mi stessi facendo una carineria chiedendomi di guidare.» E questa volta non era né offesa, né sarcastica.
Kieran scoppiò a ridere. La guardò e scosse la testa, agitando i capelli lunghi fino al collo che quel giorno aveva lasciato sciolti. «Io non sono mai carino, sono solo un cafone coi soldi.»
Si avviò per le scale e Sveva lo seguì, afferrandolo per un braccio per farlo fermare. Era la seconda volta che sottolineava quella parola. Era evidente che bruciasse più di quanto Sveva potesse aver immaginato. Se dovevano provare a instaurare un qualche tipo di rapporto era necessario chiudere quella questione una volta per tutte.
Lui si voltò a guardarla, l’aria interrogativa ma assolutamente priva di scherno o nervosismo.
«Ascolta, io volevo chiederti scusa per averti detto quelle cose nel negozio.»
«Grazie.»
Continuò a scendere e Sveva lo seguì. Si udiva solo il rumore dei loro passi e qualche voce provenire dagli appartamenti, note delicate che uscivano da un pianoforte, l’abbaiare di un cane e l’imbarazzo di Sveva. Perché lei era così imbarazzata che pensava fosse percepibile anche dagli inquilini dietro le loro porte. Aveva parlato a sproposito nel negozio, presa dalla rabbia, e aveva ferito una persona che in fondo in fondo non aveva colpa; l’unica vera cafona era stata Evangeline.
Fece per parlare, per spiegargli che era rammaricata davvero ma una volta fuori lui l’anticipò.
«Voglio chiederti scusa anche io per tutto quello che è successo, anche per il comportamento di Eve.»
«Scuse accettate.» Sorrise a Kieran e si avviò alla macchina. «Ci sarà anche lei stasera?»
«È partita, starà via per un po’. Ora dammi le chiavi, guido io. Siamo già in ritardo.»

 
Buon pomeriggio!
Siamo giunti finalmente ad un confronto tra Sveva e Kieran. Cosa pensate che accadrà alla festa?
Voglio ringraziare di cuore chi sta seguendo la storia e l'ha inserita tra le seguite/ricordate/preferite, grazie davvero!
Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo,
al prossimo aggiornamento. <3

Danila

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Capitolo 7
*** 6 ***


6.


Quando Enrico gli aveva chiesto di aspettare la sorella Kieran si era preparato al peggio. La sera prima non erano stati molto carini e l’umore di quel momento non era dei migliori. Non era stata una giornata facile, Evangeline la mattina gli aveva intimato di lasciare la casa libera perché non voleva vederlo e doveva prendere le sue cose prima di partire, ma lui non aveva nessuna intenzione di trascinare oltre quella situazione. Si era fatto trovare a casa e tra le urla, i pianti e gli insulti avevano deciso di chiudere la loro relazione.
Aveva ancora negli occhi il volto di Eve trasfigurato dalla rabbia e dalle lacrime. Odiava vedere piangere una donna, e si odiava per esserne stato la causa. Ma cos’altro poteva fare? Ormai era finita, lo sapevano entrambi.
Anche Sveva doveva aver pianto quel giorno, lo aveva notato subito quando era entrata in casa; le sue iridi blu erano circondate da un alone rosso. Però era bella, anche mentre lo insultava, anche se era davvero antipatica. E lui ci stava prendendo gusto a farla arrabbiare. C’era quella particolare espressione da saccente che proprio non sopportava, ma il modo in cui si infervorava alle sue provocazioni lo divertiva.
Dopo quelle scuse, che gli erano costate care ma aveva sentito di dovergliele, non avevano più aperto bocca. In macchina la radio era accesa; Kieran, una mano sul volante e l’altra sul cambio, sbirciò il volto di Sveva. Sembrava tranquilla. Aveva indossato un completo nero giacca e pantalone e un top di satin beige, le scarpe col tacco mettevano in evidenza le sue caviglie eleganti. Guardava dritto davanti a sé e di tanto in tanto si voltava, facendo correre lo sguardo sui palazzi e sui passanti.
Kieran parcheggiò e scesero.
La festa di Valentina consisteva in un evento organizzato per far conoscere ad amici e persone influenti la sua nuova collezione di intimo; da modella Valentina era passata a fare l’imprenditrice.
L’unica cosa interessante per Kieran era l’open bar che avrebbe trovato. Veniva spesso invitato a eventi di cui non gli importava nulla, ma a questo era andato solo perché si trattava della fidanzata di Enrico.
Valentina era raggiante quando li accolse. Indossava un vestito lungo dorato con uno spacco fin sopra alla gamba. Baciò e abbracciò Kieran, si presentò a Sveva e la prese sottobraccio per presentarla agli altri ospiti. Enrico, invece, si diresse con lui verso l’angolo bar. L’appartamento di Valentina era un loft estroso e colorato, al centro era stata allestita una piccola passerella e tutt’intorno erano state distribuite le sedute. Kieran notò come si prestasse benissimo a eventi del genere.
Enrico prese due bicchieri e vi versò del vino rosso, senza aspettare che lo facesse il barman.
«Allora? Tu e Sveva avete chiarito?» porse un bicchiere a Kieran.
«Diciamo.»
Enrico fece un sorriso. «Te lo avevo detto che le sarebbe passato.»
«Abbiamo raggiunto una tregua solo per farti stare tranquillo.»
Il suo sguardo cadde su di lei. Stringeva qualche mano, sorrideva. Sembrava a suo agio, completamente tranquilla, eppure il sorriso era spento e i suoi occhi tradivano tanta tristezza.
Enrico, accanto a lui, rise. «Una tregua, addirittura. Vi odiate così tanto?»
Bevve un sorso di vino e si appoggiò con il gomito al bancone. «Ieri hai detto che sta passando un momento particolare. Di che si tratta?»
Enrico esitò. giocherellò con il bicchiere, guardando nel liquido scuro come se potesse trovarvi dentro le risposte. «Si è lasciata da poco.»
Kieran sollevò le sopracciglia e stava per fare una battuta pungente ma si voltò di nuovo verso Sveva. E così, anche lei… «Siamo in due», la voce era appena udibile.
L’amico aggrottò la fronte. «Come dici?»
Lui bevve ancora, guardò Enrico negli occhi e prese un profondo respiro. «Evangeline e io ci siamo lasciati.» Realizzò che era la prima persona a cui lo diceva.
«Cazzo» Enrico lasciò il bicchiere e mise una mano sulla spalla dell’amico «stai bene?»
«Sì, sì. Sai com’è. Le cose tra noi non andavano più.»
«Ma sei sicuro? Cioè, voglio dire, ultimamente Eve era insofferente e si percepiva che c’era qualcosa che non andava, però forse è solo un periodo. Magari quello che vi serve è solo una pausa per ritrovarvi.»
Kieran chiuse gli occhi per un secondo e si aggiustò i capelli dietro l’orecchio. «Non lo so, non è più la Eve di cui mi ero innamorato. E ci ho provato a capire cosa le stesse succedendo, l’ho assecondata in tutto pur di farla stare meglio, ma ho trovato solo un muro davanti. Sai, credo che lei si fosse stancata di stare con me, ha solo avuto paura di prendere la decisione e ha aspettato che lo facessi io.»
«È probabile che sia come dici tu.» Fece un ampio gesto con la mano, abbracciando tutta la sala. «Stasera però non ci pensi, ok? Qua è pieno di ragazze bellissime e tra poco arriveranno anche le modelle in bikini. Divertiti e basta.» Riempì un altro bicchiere, di prosecco. «Vado a portare da bere a Sveva.»
Kieran rimase vicino alla zona bar. Mandò giù qualche stuzzichino e si intrattenne con qualche conoscente, lasciandosi trasportare dalla musica di sottofondo e dal chiacchiericcio allegro dei presenti. Aveva bisogno di non pensare alle brutture della sua relazione, alle cattiverie che erano arrivati a sputarsi in faccia.
Scrutò la sala fino a soffermarsi su Sveva. Anche lei sentiva quell’assurdo vuoto dentro?
Aveva apprezzato le sue scuse, anche perché si era accorto che erano sincere e non di circostanza. Si sorprendeva sempre quando si accorgeva di come i giudizi della gente potessero ferirlo ancora, come quando era solo un ragazzino e veniva chiamato zingaro per via dell’etnia della madre, croata di nascita.
Il temperamento lo aveva preso tutto da quella terra, irruento, istintivo, duro. Non era mai stato disposto a farsi mettere i piedi in testa da qualcuno o a farsi dire se fosse in  grado o meno di fare qualcosa. Aveva imparato presto che se non ci credeva lui per primo in sé stesso nessuno lo avrebbe fatto. Nessuno gli avrebbe dato un aiuto, un supporto. E alla fine ce l’aveva fatta, era diventato uno dei calciatori più conosciuti e amati in tutto il mondo.
La musica nella sala cambiò e la voce gioiosa e squillante di Valentina invitò tutti a prendere posto. Kieran rimase in piedi e continuò a bere. Sveva era seduta in prima fila, proprio di fronte a lui, accanto al fratello e alla padrona di casa. I lunghi capelli biondi le accarezzavano le spalle nude. Pensò che fossero bellissimi e, al quarto bicchiere di vino, Kieran stava immaginando di infilarci le mani e saggiarne la morbidezza.
La sfilata terminò tra gli applausi. La bottiglia che aveva accanto Kieran era ormai vuota. Enrico e altri amici lo raggiunsero e continuarono a bere. In quel torpore si sentiva bene. I pensieri erano ovattati, Eve non c’era più. C’erano solo quei ragazzi, le battutine stupide, le risate e la testa leggera.
Ad un certo punto della serata Kieran vide Sveva avvicinarsi. Sorrideva a lui e a Enrico, che stavano seduti su un divano giallo.
«Ragazzi, che dite, vogliamo andare?»
Solo in quel momento Kieran si rese conto che non era rimasto nessuno.
«Oh, no. Io rimango a dormire qui» disse Enrico.
«Kieran?»
«Ho la mia macchina» rispose lui, facendole un sorrisetto sfrontato.
«Ah, è vero, me l’hai prestata oggi» Enrico rise senza motivo.
«Beh, ma tu non puoi guidare così. Ti accompagno io» disse Sveva.
«Così come?»
«Sei ubriaco.»
«Ubriaco? Ho guidato anche in condizioni peggiori, non preoccuparti per me.»
«Stai scherzando, spero. Non puoi guidare così.»
Sveva aveva l’aria seria ma i due ragazzi non riuscivano a restare seri neanche per qualche secondo.
«Tu hai la tua macchina, no? Quindi puoi andare se vuoi.»
«Dai Sveva, lascialo stare.»
«Enrico non ti ci mettere anche tu! Riuscite a fare i seri per due minuti? Non siete più dei ragazzini.»
«Appunto» rispose Kieran.
Vide Sveva sistemarsi la borsa sulle spalle. Negli occhi scintillava quel fuoco della rabbia che tanto lo divertiva.
«Fate come vi pare» si voltò.
«Tua sorella è davvero acida, secondo me ha bisogno di una bella sco…» qualcosa lo colpì in faccia e non riuscì a terminare la frase.
«Kieran!»
Enrico gli aveva lanciato un piattino di plastica. Lo scagliò di nuovo contro il mittente e entrambi risero.
Intanto Sveva non si era girata, era andata a salutare la padrona di casa ed era uscita.

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Capitolo 8
*** 7 ***


7


«Sveva! C’è tuo fratello che vuole salutarti!»
Distesa su una sdraio a bordo di una piccola piscina dal fondo verde acqua, Sveva si godeva il sole caldo mentre leggeva una rivista di medicina. Si voltò in direzione della voce; sua madre la stava raggiungendo. Guardava lo schermo del cellulare e sorrideva, il passo deciso e i capelli biondo cenere a caschetto che ondeggiavano di qua e di là.
Il giorno prima Sveva era partita per trascorrere il fine settimana con i suoi genitori che non vedeva da troppo tempo. Vivevano in un casolare immerso nel verde della val d’Orcia, un’oasi di pace e tranquillità. Appena arrivata il padre le aveva mostrato orgoglioso la piccola vigna che aveva messo su e le varie piante di cui si prendeva cura, la madre i suoi fiori e l’arredamento della casa rinnovato. Li aveva trovati ringiovaniti ed energici e respirare quell’aria delicata le aveva dato subito un senso di soave benessere.
Prese in mano il telefono e si accorse che si trattava di una videochiamata. Sapeva che anche Enrico era partito il giorno prima con la squadra per disputare l’ultima partita di campionato a Cagliari.
«Sorellona, ti stai rilassando?» chiese subito il fratello quando la vide comparire nello schermo.
«Insomma. Mamma e papà non mi danno tregua» rispose lei in tono scherzoso. Lanciò un’occhiata divertita alla madre che si stava accomodando sulla sdraio accanto alla sua.
«Li puoi biasimare? Non ti vedono mai.»
«We Romanini! Smettila di amoreggiare al telefono!»
Enrico spostò lo sguardo verso la voce con pesante accento straniero che aveva pronunciato quella frase. Sorrise e gli fece un gesto con la mano che Sveva non riuscì a vedere.
«È mia sorella.»
«Ah, è tua sorella?» subito nello schermo comparve anche il volto allegro di Mark. «Ciao Sveva!»
Sveva sorrise. «Ciao Mark.»
«Non prendere impegni in queste sere, ok? Appena torniamo ci sarà una festa a casa mia per la chiusura del campionato e tu sei invitata.»
«Va bene, adesso levati dalle palle.» Enrico spinse via Mark.
Ma si udirono altre voci e ad un tratto Sveva si ritrovò a salutare tutta la squadra, compreso Christian con il quale aveva messaggiato pochi minuti prima. Non aveva nemmeno il tempo di parlare che altri si intromettevano, si prendevano in giro e scherzavano tra loro. Lei rideva, contagiata da quell’allegria generale. Anche sua madre partecipava alla chiamata di gruppo.
«Kieran!» chiamò ad un tratto Enrico. «Vieni a vedere chi c’è!»
Sveva avvertì un sussulto alla bocca dello stomaco. Le scappò un flebile lamento e si agitò tanto che la madre si mise a fissarla.
Dopo pochi secondi il volto magro e affilato di Kieran fu davanti ai suoi occhi. Sorrideva ma appena la vide divenne serio. Si fissarono per alcuni secondi attraverso lo schermo.
«Vedo che ti sei ripreso. E soprattutto che sei vivo.»
Lui sollevò un angolo della bocca, divertito. «Che ti avevo detto? Dovresti imparare a fidarti di me.»
«Sei un incosciente.»
«E tu sei una rompipalle.»
Scoppiarono a ridere all’unisono. Ed era una risata che sapeva di liberazione, come se ogni tensione si stesse disperdendo volatilizzandosi nei suoni cristallini che uscivano dalle loro bocche, l’effetto di una bomba che polverizzava tutti i loro sguardi astiosi e le battutine al vetriolo.
«Cerca di segnare, oggi» disse lei, infine.
«Mi guarderai?»
«Sì.»
«Allora guarda con attenzione, perché te lo dedico.»
«Sempre se lo segni…»
«Vedrai» le fece l’occhiolino e diede il telefono a Enrico.
Si salutarono poi lei lo passò nuovamente alla madre. Riprese in mano la rivista. Lesse qualche riga di un articolo riguardante una nuova tecnologia per le operazioni al cervello in fase di sperimentazione ma si distrasse quasi subito. Aveva in mente il sorrisetto di Kieran, quegli occhi scuri scintillanti e pieni di divertimento.
Forse avevano ragione tutti quando le dicevano che era troppo rigida. Forse doveva lasciarsi andare di più alla vita e prenderla con leggerezza. Era sempre stata concentrata sulla sua realizzazione personale e a volte aveva dato per scontato che tutto sarebbe andato secondo i suoi piani, come aveva fatto con Logan.
Sempre tutto programmato nel minimo dettaglio. Non pensava di essere una persona arida, solo fortemente razionale. Ai sentimenti aveva sempre accostato la ragione e non aveva mai permesso a questi di influenzarla nelle decisioni. Anche l’idea di partire per l’Italia e non vedere più Logan era stata una scelta ragionata. Da questa esperienza universitaria ne avrebbe tratto molti benefici a livello accademico, per le sue ricerche e i suoi studi sul campo. Di avventato non aveva fatto mai nulla nella vita e l’idea di iniziare a comportarsi diversamente non la entusiasmava ma era arrivata in un momento della sua esistenza dove sentiva il bisogno di mollare la presa sul controllo.
Tolse le scarpe, arrotolò i pantaloni fino al ginocchio e si sedette a bordo piscina. L’acqua era gelata ma in contrasto col sole cocente era piacevole. Chiuse gli occhi, distese la testa all’indietro e lasciò che i raggi caldi le accarezzassero la pelle.
Si sporse ancora di più nell’acqua, fino a bagnare i pantaloni. Era agitata, avvertiva in sé un’urgenza pressante e quasi fastidiosa. Si lasciò cadere completamente nella piscina, il corpo scosso da brividi. Immerse anche la testa. Come aveva fatto a trasformarsi in una persona debole, dedita all’autocommiserazione? Come aveva potuto permettere che accadesse?
I polmoni cominciarono a bruciarle. Accolse il dolore, lasciò che crescesse. Sentiva come se per lungo tempo avesse vissuto in una bolla che le aveva risucchiato l’energia vitale. Era stanca di sentire solo tristezza, di sentirsi vuota e infelice.
Uscì fuori di scatto, batté le palpebre e respirò. L’aria entrò prepotente e dolorosa, proprio come quando nasciamo e per la prima volta respiriamo, proprio come se stesse nascendo di nuovo. Si distese e allungò le braccia verso il sole. Il venticello dolce giocherellava tra le sue dita, i raggi filtravano fino a raggiungere parti del viso e gli occhi. Li chiuse e sorrise.
Si perdonò per tutte le volte in cui non si era voluta bene, per tutte le volte in cui aveva permesso a sé stessa di sentirsi debole, poco adatta, infelice.
Era libera, adesso.

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Capitolo 9
*** 8 ***


8


Il sole era già calato e il crepuscolo incombeva sulle strade. I lampioni cominciavano a illuminarsi di una fioca luce giallognola e dalle finestre si riversavano in strada i bagliori. Sveva, Enrico, Valentina e Kieran scesero dalla macchina. L’aria calda della tarda primavera li accolse insieme al suono ovattato della musica. Insieme alzarono la testa; sul terrazzino all’ultimo piano, quello di Mark, c’erano delle persone affacciate.
Sveva strinse a sé la bottiglia di vino rosso che aveva comprato per Mark e si incamminò con gli altri. Tutti l’avevano presa in giro quando aveva insistito per portare qualcosa al padrone di casa e nel momento in cui il ragazzone tedesco aprì la porta capì il perché. Dentro c’era una confusione  pazzesca, l’appartamento era già stipato di gente, e tra loro si aggirava qualche ragazza in costume da bagno. Sveva si era aspettata una festicciola tranquilla tra amici, non tutto quel fracasso.
Mark l’accolse con un abbraccio. «Sono davvero felice di vederti. Grazie per il vino, vuoi berlo adesso?»
Scosse la testa e lanciò un’occhiataccia al fratello che sghignazzava guardando Kieran proprio dietro di lei. Il calciatore svedese si mise al suo fianco e si chinò per farsi sentire.
«Stasera ci penso io a te.»
Sveva sorrise un poco. In macchina lui ed Enrico avevano stabilito che per Sveva era arrivato il momento di prendersi una sbronza con loro. Nessuno aveva prestato ascolto alle sue obiezioni.
«Se tu e mio fratello avete intenzione di bere come l’altra sera, io devo rimanere sobria per potervi portare tutti a casa.»
Kieran si aggiustò i capelli dietro alle orecchie e accennò un sorriso sghembo. «Non voglio sentire storie, Sveva. E poi devo farmi perdonare quel gol mancato che avevo promesso di dedicarti. Stasera passerai una serata indimenticabile.»
Sveva stava per ribattere ma lui la prese per un braccio e la guidò verso la zona degli alcolici. Armeggiò con delle bottiglie; lei non riusciva a vedere cosa stesse combinando, la sua enorme schiena e l’assembramento di ragazzi gli facevano da scudo. Quando si voltò aveva un’espressione molto soddisfatta. Le porse uno dei due bicchieri che stringeva.
«Assaggia.»
Sveva sorseggiò il liquido rosato. Era gradevole al gusto, ma estremamente alcolico. Sentì subito la pelle formicolarle e farsi più leggera. «Che ci hai messo dento?»
«È una ricetta segreta.» Kieran le strizzò l’occhio e si allontanò per salutare le persone nella stanza.
C’erano i compagni di squadra di Enrico, quasi tutti. Mancava Christian ma le aveva detto che sarebbe passato. Cercò di fare un giro per la casa ma era quasi impossibile muoversi in quella calca. La musica vibrava attraverso le casse, rimbombava sulle pareti e nelle orecchie, le ragazze cantavano e agitavano i fianchi.
Cominciava a sentirsi un po’ a disagio, ma la sensazione scomparve repentina come era arrivata. Doveva essere molto forte il cocktail che le aveva preparato Kieran. Ad un tratto, la musica non le sembrava più così assordante e quella che le era parsa una festa troppo caotica cominciava a piacerle. Enrico la prese in vita e la incitò a ballare.
Lei chiuse gli occhi e si estraniò da tutto il resto. La testa era leggera, lei era leggera, il suo corpo si muoveva a ritmo di musica, invitandola a osare a lasciarsi andare completamente. Ballava e rideva, gioiva di quella nuova libertà, si stava spogliando di tutta la rigidità che aveva accumulato negli ultimi periodi. Riusciva a percepire la vita che scorreva in ogni fibra del suo essere.
Sveva aprì gli occhi e guardò la massa di corpi che saltellava senza controllo. Cercò con lo sguardo il fratello ma incontrò due occhi scuri che la fissavano divertiti.
Kieran era fermo in un angolo della stanza, svettava sopra le teste assiepate e alcune ragazze gli ballavano vicino. Ammiccò nella sua direzione, il sorrisetto sulle labbra le fece capire che era più che soddisfatto del risultato ottenuto con la sua bevanda. Sveva alzò il bicchiere in segno di saluto, poi bevve l’ultimo sorso.
 
***
 
Kieran non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Si sentiva come ipnotizzato da quella figura che ondeggiava a ritmo di musica a occhi chiusi, come se tutto il mondo intorno a lei non esistesse. Poi le palpebre si sollevarono e lo sguardo si inchiodò al suo. Dalla videochiamata di Cagliari qualcosa era cambiato tra loro. Lei aveva smesso di avere quell’aria da saputella e lui si sentiva meno incline a fare battutine arroganti, nonostante gli assist perfetti che gli forniva. Anche su di lui il drink stava facendo effetto perché si rese conto di provare un’inspiegabile attrazione verso di lei.
Si fece largo tra gli invitati, raggiungendo a fatica la postazione degli alcolici. Preparò un altro bicchiere, per Sveva ma ne trangugiò quasi la metà mentre glielo portava.
«Visto che avevo ragione?» Il profumo di Sveva gli solleticò le narici e si insinuò nei lombi.
Sveva si sollevò sulle punte e gli poggiò una mano sulla spalla. «Per questa volta te lo concedo.»
Istintivamente Kieran le circondò la vita e lasciò che il corpo della ragazza aderisse al suo. «Bevine un altro po’.»
Lei gli tolse il bicchiere dalle mani e tracannò avidamente, strappando una risata a Kieran. Sembrò fissarsi a guardare un punto dietro di lui.
«Quelle ragazze ti stanno aspettando. Grazie per il drink.»
Voltò la testa per capire a cosa si stesse riferendo Sveva e vide tre ragazze che si sbracciavano nella sua direzione e lo chiamavano, anche se le loro voci venivano risucchiate dal fracasso. Guardò di nuovo Sveva che nel frattempo aveva ripreso a ballare e si era staccata un poco da lui. Avrebbe voluto stringerla ancora. E avrebbe voluto baciarla.
«Voglio ballare con te.»
Così dicendo l’attirò di nuovo a sé e cominciò a muoversi a tempo di musica. Lei sembrò un attimo disorientata ma non si allontanò, rimase appiccicata a lui e lo guardava con quei suoi grandi occhi blu, così belli, così profondi e pieni di misteri.
Era così bella e così fragile.
Allungò le braccia dietro al suo collo. Kieran pensò che non avrebbe resistito ancora a lungo. Quelle labbra rosse, incurvate in un sorriso, erano una tentazione troppo grande. Il sangue pompava forte nelle vene, gli rimbombava nella testa più assordante della musica. Alzò una mano per accarezzarle i capelli ma all’improvviso Sveva fu strattonata lontano da lui.
Enrico l’aveva presa da dietro e fatta salire su un tavolino di legno, insieme a Valentina. Kieran si mise sotto di lei e la guardò ballare. Non ci stava capendo nulla. Enrico, accanto a lui, incitava le due donne e lo spintonava, euforico. I pensieri vorticavano nella sua testa; Sveva, il suo profumo, i suoi fianchi e quelle gambe… lui voleva toccarla tutta.
Capì che aveva bisogno di un attimo di pausa e uscì fuori. Sul terrazzo l’aria fresca l’avvolse come un mantello. Scelse l’angolo più buio e silenzioso e si appoggiò alla balaustra. Sotto, una distesa di luci e quiete. Ora che riusciva a pensare con maggiore lucidità non sapeva spiegarsi cosa gli fosse successo lì dentro. Era stato sul punto di baciare Sveva. Fino al giorno prima il solo sentire pronunciare il suo nome lo metteva in uno stato di agitazione e nervosismo. Ma Sveva… lei era cambiata. C’era qualcosa di diverso nei suoi occhi, nell’espressione del suo viso, nel modo di rapportarsi con lui. Sembrava più spensierata, e non era solo l’effetto dell’alcool, l’aveva notato dal momento in cui era salita in macchina e si erano salutati.
Doveva darsi una controllata. Era la sorella del suo migliore amico.
D’improvviso lei era lì, a pochi passi da lui. Non si era reso conto che fosse uscita e lei non sembrava averlo visto. Teneva le mani strette sulla ringhiera, guardava verso le luci della città. Il venticello le agitava un poco i capelli. Si fermò per diversi minuti a contemplarla. Voleva chiamarla, scambiare qualche parola con lei lontano dalla confusione, ma fu anticipato. Mark sopraggiunse e si affiancò a Sveva. Kieran rimase immobile, un tutt’uno con l’oscurità dell’angolo in cui si trovava.
«Complimenti per la performance.»
Lei si voltò a guardare il ragazzo. «Probabilmente ti ho rovinato il tavolino.»
Mark poggiò un fianco al parapetto, «ne comprerò un altro.» Le scostò i capelli dal volto, «ti stai divertendo?»
«Molto.»
Si fece più vicino. Kieran poteva vedere il predatore che si nascondeva dietro a quello sguardo. Si irrigidì e serrò i pugni. Sveva lo allontanò un poco, facendo pressione con la mano sul petto di lui. Mark intercettò la sua mano e la strinse, carezzandola col pollice.
«Smettila di guardarmi così.»
«Così come?»
«Come se volessi mangiarmi.» Ritrasse la mano.
«È così.»
Kieran si costrinse a rimanere immobile. Vide Sveva che scoppiava a ridere, e Mark che la teneva per un braccio per non farla cadere.
«Sediamoci, ti va?»
La condusse verso il divano posizionato poco più avanti di Kieran. Temette di essere visto ma entrambi si sedettero senza guardare nella sua direzione.
«Credo di essere ubriaca.»
«Davvero?» la canzonò Mark. Passò un braccio intorno alle spalle della ragazza.
«Credo di non poter guidare. Come faremo a tornare a casa?»
A quella frase Kieran ebbe un moto di tenerezza. Anche da ubriaca riusciva a essere responsabile. Mark avvicinò pericolosamente il volto a quello di Sveva. Stava per baciarla.
«Non c’è bisogno di tornare a casa, puoi rimanere qui.»
Kieran fece uno scatto verso di loro, intenzionato a prendere a pugni in faccia il compagno. Come gli saltava in mente di provarci in quel modo con Sveva? Ma si fermò. Lui non poteva intromettersi in quella situazione e rischiare di creare un putiferio. Sveva si era scostata e stava cercando di rimettersi in piedi. Sembrava ancora in grado di cavarsela da sola. Cercando di rimanere più in ombra possibile, Kieran si avviò verso casa, in cerca di Enrico. Lo trovò abbracciato alla fidanzata che cantava.
 «Ehi. Tua sorella è ubriaca.»
«Sì, ho notato. Grazie per averle preparato quel drink.»
«Dobbiamo andare via.»
«Perché?»
«Mark ci sta provando con lei.»
«Lasciala divertire un po’, ne ha bisogno.»
Lasciala divertire? Enrico non sembrava capire la gravità della cosa. Quel cretino di Mark ci stava provando con sua sorella, voleva portarsela a letto e lui continuava a ballare. E no, si disse, non era geloso, solo non voleva che si facesse del male.
Doveva andare sul terrazzo e trascinarla via? E poi cosa, sbatterla contro il muro e baciarla fino a che non avessero avuto più fiato in gola?
Si fece largo con la forza tra la gente, recuperò le sue cose e andò via, furibondo.

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Capitolo 10
*** 9 ***


9



Il picchiettio della penna sulla lavagna luminosa penetrò nelle tempie di Sveva come un martello. Chiuse gli occhi e le massaggiò, inspirando profondamente e dicendo a sé stessa che non avrebbe bevuto mai più.
«Io ritengo che si possa intervenire chirurgicamente. Data la massa ridotta, le probabilità di successo sono elevatissime. Tutto bene, Sveva?»
Il professor Turriani era in piedi vicino alla lavagna e indicava con la penna una piccola macchia biancastra presente sulla lastra, nella zona occipitale di un cervello. Si trattava di un astrocitoma pilocitico in fase iniziale e si discuteva su come intervenire.
Alzò gli occhi di scatto, mascherando la fitta alla testa. Prese in mano una delle due lastre poggiate sul tavolo e la osservò. «Sì. A New York ho eseguito un intervento simile diverse volte, non ci dovrebbero essere particolari problemi.»
Nella stanza c’erano altre due persone: un chirurgo e un tirocinante. Turriani chiese il parere di entrambi, poi staccò la lastra dalla lavagna e la ripose nella busta insieme alle altre.
«Vado a fare il giro di visite, ci vediamo tra un’ora per mettere a punto l’operazione.» Tutti si alzarono. «Mirco, tu vieni con me» aggiunse, rivolto al ragazzo.
Sveva si recò al bar, sgranocchiò qualcosa, bevve un caffè e si incamminò verso la sua stanza. Si sentiva a pezzi; dalla festa a casa di Mark era rincasata alle cinque e alle otto e mezza si era presentata al lavoro. Era stata una bella festa, sentiva di essere stata bene, ma non si sarebbe fatta preparare più nulla da Kieran d’ora in avanti, ancora non era riuscita a capire cosa avesse bevuto. Lui poi era sparito, non lo aveva più visto e sarebbero rimasti a piedi se non fosse arrivato Christian.
Aprì la porta del suo ufficio e per poco non lanciò un urlo. Appoggiata alla scrivania c’era l’ultima persona che avrebbe immaginato di incontrare. Rimase impalata, con il cuore che rischiava di schiantarsi nel petto.
«Logan.»
«Ehilà, doc», si mosse nella sua direzione e cercò di abbracciarla ma lei si sottrasse.
«Che ci fai qui?»
Sveva chiuse la porta e si diresse in fondo alla stanza. Guardò Logan davanti a lei, i capelli castano chiaro corti, gli occhi verdi, il sorriso seducente. Bellissimo, come sempre.
«Non ti ho più vista al lavoro e mi sono preoccupato.»
«E sei venuto in Italia per questo? Avresti potuto telefonare.»
«Sì, ci ho provato ma non sono riuscito a rintracciarti. E poi… quando ho saputo che eri di nuovo in Italia ho avuto paura di non rivederti mai più. Mi manchi, sai.»
Sveva fece roteare gli occhi e sbuffò. «Oh, per favore. Perché non mi dici il reale motivo per cui sei qui?»
Lui fece qualche passo in avanti. «È la verità. Mi ha chiamato il tuo portiere e mi ha detto che c’era una scatola per me, con tutte le mie cose dentro…»
«Ti aspettavi che le conservassi per sempre?»
Logan scosse la testa e sul suo volto comparve un sorriso. «Avevo dimenticato quanto sei bella quando ti arrabbi.» Coprì la distanza che li separava. Le loro labbra erano a pochissimi centimetri di distanza, Sveva tentò di scansarsi ma lui l’aveva già presa tra le braccia e baciata. Quante volte aveva immaginato quella scena nella sua mente, quante volte aveva sperato che lui tornasse. Ricambiò il bacio, sentiva di nuovo tutto il corpo risvegliarsi: il desiderio di essere baciata e tenuta stretta da Logan, il dolore lacerate al petto per tutto quello che era successo. Lo allontanò e andò a sedersi dietro alla scrivania.
Lui le si piazzò di fronte e poggiò le mani sul piano di legno. «Doc, ho bisogno di te. Torna a New York con me.»
Si costrinse a guardarlo negli occhi, cercando di rimanere ferma con la voce. Le tremavano le mani e le gambe. «Devo lavorare, adesso. È meglio se vai via.»
«Possiamo parlare dopo? Stasera, magari?»
Fece un sorriso amaro. «No.»
Logan emise un sospiro e annuì con la testa. La guardò per qualche istante e poi uscì.
Sveva chiuse gli occhi, cercando di calmarsi. La situazione le appariva così surreale che poteva credere si fosse trattato di uno scherzo della sua mente ancora ubriaca. Una parte di lei era euforica, Logan era arrivato fin lì soltanto per dirle che sentiva la sua mancanza e per chiederle di tornare in America con lui. Un’altra, però, la metteva in guardia e le ricordava che Logan attualmente aveva una compagna. Sperò con tutta se stessa che fosse andato via per sempre. Ancora tremante, si rimise in piedi e uscì a lavorare.
 
 
Era stato molto faticoso mantenere alta la concentrazione per tutto il giorno, per fortuna gli impegni erano stati tanti e il tempo era volato. Il suo unico desiderio era un bagno caldo, per sciogliere la tensione e cercare di alleviare la pressione alla testa. Ma davanti alla porta di casa trovò Logan.
Se ne stava seduto sul primo gradino con in mano un enorme mazzo di rose rosse. Per tutto il giorno aveva cercato di non pensare al significato di quell’incontro, non voleva crearsi delle aspettative e soprattutto non aveva nessuna voglia di rivivere le orribili sensazioni provate quando Logan l’aveva lasciata. Ma trovarselo ancora lì… che diavolo doveva fare?
«Non ci posso credere. Ti avevo detto di andartene.»
Logan scattò in piedi e le porse i fiori. Abbassò subito il braccio, vedendo che lei non era intenzionata a prenderli. «Concedimi solo un po’ di tempo per parlare prima che torni a New York.»
«Ci siamo già detti tutto tempo fa, ricordi? Mi hai detto che non mi amavi più.»
«È vero, ma ho capito di aver fatto una cazzata.»
Sveva rovistò nella borsa alla ricerca delle chiavi. «Cos’è, ti sei già stancato della tua nuova amichetta?»
«È stata solo un’avventura, non ha mai significato niente per me.»
Aprì la porta ma Logan non le permise di chiuderla. «Logan, per favore, sono stanca. Lasciami in pace.»
«Dimmi che oggi non hai provato niente quando ci siamo baciati e non mi rivedrai mai più.»
Il modo in cui la guardava non le piaceva affatto, era determinato a vincere quella sfida e lei non si sentiva abbastanza forte per continuare a resistere.
«Non ho provato niente. Adesso vattene.»
«Non ti credo, te lo leggo negli occhi che non è così.»
«Loga…»
Era di nuovo sulle sue labbra. La spinse dentro e chiuse la porta. Lasciò cadere a terra il mazzo di fiori e la strinse a sé. A quel punto Sveva non riuscì più a trattenere le lacrime. Le rigarono la faccia stanca e triste, bagnando anche Logan. In quelle gocce c’era tutto: frustrazione, rabbia, una piccola scintilla di felicità e dolore. La lasciò andare, evidentemente consapevole delle emozioni che stava provando. Raccolse i fiori e li poggiò su un tavolino.
«Ho fatto l’errore più grande della mia vita a lasciarti andare. Sono ancora innamorato di te.»
Sveva si sedette sul divano. Asciugò le lacrime e guardò dritta davanti a sé mentre Logan la raggiungeva. «Orami è troppo tardi. E poi, tu stai con un’altra adesso.»
«Non sto con nessuna. Ci siamo lasciati già da un po’. Te l’ho detto oggi, per me non ha significato niente.»
«Niente? Mi hai lasciata dicendomi che ti eri innamorato di un’altra!» sbottò lei, stufa di sentirgli ripetere che la cosa che le aveva tolto la felicità per lui era stata niente.
«Ma non era vero! Ho creduto che fosse così, in realtà mi sono fatto prendere dal panico perché stavamo per sposarci.»
«Oddio, ti prego Logan, non rifilarmi queste stronzate. Con che faccia tosta ti presenti qui a dirmi che vuoi tornare con me quando la tua compagna è incinta?»
Evidentemente non si aspettava che Sveva potesse saperlo. Sbiancò. «Come lo sai?»
«È vero, quindi.»
«Quando me lo ha detto non stavamo più insieme», si affrettò a dire lui, «io voglio te, non lei, lo capisci?»
«Cosa vuoi da me, me lo spieghi? Hai distrutto tutto quello che avevamo per un’avventura, come la definisci tu, e adesso speri di far tornare tutto come prima sapendo di aspettare un figlio da un’altra?  Davvero non capisco cosa speravi di ottenere venendo qui. Hai idea di come mi sono sentita quando mi hai lasciata? Hai idea del dolore che ho provato? Non ti perdonerò mai.»
Lui si passò le mani tra i capelli e un’ombra di dolore calò sul suo volto. «Ho distrutto tutto, lo so. E non hai idea di quanto maledica il giorno in cui ho permesso che tutto questo accadesse. Mi manchi da morire, mi manca vivere con te, abbracciarti, averti in giro per casa, al lavoro, nel letto… non sono neanche sicuro che sia mio, il bambino. Non ho nessuna possibilità? È finita per sempre?»
Sveva non ebbe alcuna esitazione. «È finita per sempre. Ora ho bisogno di dormire. Puoi restare qui stanotte, la casa la conosci.»
Si alzò e andò in camera sua. Chiuse la porta e si distese sul letto. Era stanca, ma non chiuse occhio. Le lacrime scendevano copiose, bagnavano il cuscino e i capelli. Fissava il soffitto mentre la testa era invasa dagli spezzoni della conversazione appena avuta con Logan e da mille altre immagini senza che riuscisse a soffermarsi su qualcosa in particolare. Riuscì ad addormentarsi solo quando ormai il sole era già alto nel cielo.

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Capitolo 11
*** 10 ***


10


A farle riaprire gli occhi fu un rumore fastidioso e ripetitivo che si era insinuato nelle orecchie. Si tirò su a fatica, cercando di mettere a fuoco la stanza e capire che giorno fosse. Aveva come l’impressione di trovarsi in un mondo onirico, dove tutto era indefinito. Poi una fitta le attraversò lo stomaco e ricordò. Logan era lì.
Probabilmente doveva essere lui che continuava a suonare quel maledettissimo campanello. Scese dal letto, i piedi nudi, gli occhi gonfi e la bocca impastata. Si sentiva uno straccio, sia fisicamente che emotivamente, non ce l’avrebbe fatta ad affrontare di nuovo Logan.
Ma davanti a lei, quando aprì la porta, c’era Christian. Sorpresa, Sveva cercò di ricordare il momento in cui gli aveva scritto. Doveva per forza avergli scritto, sennò che ci faceva lì con quell’aria preoccupata stampata in faccia? Eppure non riusciva a ricordarsene.
«Ehi, che ci fai qui?»
Lui la squadrò da capo a piedi ed entrò. «Come che ci faccio? È quasi mezzogiorno, dovevamo andare a pranzo fuori. Stavi dormendo?»
«Oddio, Chri… io me ne sono dimenticata. Vado a prepararmi.»
Parlava e si muoveva come un automa, senza nessuna sfumatura di colore, che fosse cupo o acceso. Christian l’afferrò per un braccio e la costrinse a guardarlo negli occhi.
«Che ti succede? Hai dormito vestita, hai tutto il trucco sbavato e gli occhi gonfi. Hai pianto?»
Solo in quel momento Sveva si rese conto di indossare gli abiti del giorno prima. «È venuto Logan.»
Gli occhi di Christian si infiammarono. «Logan? Che diavolo vuole? Dov’è adesso?»
«Non lo so. Forse starà ancora dormendo… ma che fai?»
Christian era partito in direzione delle camere e Sveva lo sentiva sbraitare frasi tipo “pezzo di merda, vieni fuori”, “dove sei, stronzo”, “che cazzo vuoi ancora da lei”. Fece anche lei qualche passo in direzione delle camere ma in cucina notò il mazzo di rose che le aveva portato Logan. Era stato messo in un vaso e una sola rosa era poggiata sul tavolo. Si avvicinò. Sotto alla rosa c’era un foglio di carta piegato in due. Lo prese, le dita tremavano un po’.

Sveva, amore mio
Quando ho saputo che eri andata via da New York ho deciso di venire a Milano perché volevo che capissi quanto ti amo e che per te farei qualsiasi cosa. Vederti è stato bellissimo, ma mi sono anche reso conto del dolore che ti ho causato.
So che non vuoi più parlare con me e quindi non mi resta che lasciarti queste poche righe.
Ho fatto la cazzata più grande della mia vita e ne pagherò le conseguenze per sempre. Ti ho persa, lo so, ed è solo colpa mia.
Non ti chiederò di perdonarmi e di cercare di recuperare il nostro rapporto, ci ho pensato a lungo e tu hai ragione, meriti di essere felice. È dura per me dirti queste cose e lasciarti andare ma voglio solo che tu stia bene e che non soffra più per un pezzo di merda come me.
Vorrei però che tu sapessi che ti amo e ti amerò per sempre. Ti aspetterò, se un giorno vorrai tornare da me.
Nel mio cuore ci sarai sempre e solo tu, mia dolce e piccola Sveva.

Christian glielo sfilò dalle dita e l’abbracciò. Le baciò la testa mentre con le mani le accarezzava la schiena scossa da nuovi singhiozzi. Per un po’ rimasero così, senza dire niente, Sveva persa nel pianto e Christian che l’avvolgeva come a volerla proteggere da tutto, con gli occhi chiusi, sentendo il dolore come se fosse suo.
«Ti preparo un bagno caldo e poi mangiamo qualcosa, ok?» disse infine.
Sveva si staccò e asciugò gli occhi con le mani. «No. Non voglio che rimani qui.»
«E invece rimango.»
«Sto bene, Christian. Voglio stare da sola.»
Lui si avviò verso il bagno, Sveva lo seguì con passo stanco. Voleva solo chiudere gli occhi e svegliarsi quando tutto quel malessere fosse passato. Christian aprì il rubinetto della vasca e lasciò che l’acqua scorresse fino a quando non divenne calda abbastanza. Mise il tappo, rovistò tra i cosmetici in cerca del bagnoschiuma. Ne versò un po’ nella vasca e l’aroma di lavanda riempì l’ambiente. Sveva lo osservava appoggiata allo stipite della porta. Vederlo così affaccendato la fece sorridere, aveva messo sul ripiano della vasca anche shampoo, balsamo e una spugna. Si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia.
«Grazie. Però davvero non voglio che resti.»
«Sei stata sola troppo tempo lì a New York e adesso che sei qui non lo permetterò. Non voglio vederti così triste mai più.»
Uscì chiudendosi la porta alle spalle.
Sveva si tolse i vestiti e si guardò allo specchio. Era un disastro. Il viso era chiazzato di nero, gli occhi arrossati dal pianto e gonfi da far paura. Chiuse il rubinetto della vasca e si immerse. Quel calore le fece emettere un sospiro di piacere, sentì come penetrava nella pelle e nelle ossa, riportandola al presente. L’annebbiamento mentale scomparve e così anche gran parte del peso che sentiva sul cuore.
L’impatto che aveva avuto su di lei la visita inaspettata di Logan era stato devastante, ma aveva fatto tanto per liberarsi di lui e non poteva permettere di nuovo a se stessa di crogiolarsi nel dolore. Avrebbe tanto voluto rimanere in quella vasca tutto il giorno ma fuori c’era Christian e non voleva che la aspettasse troppo a lungo.
Quando lo raggiunse l’umore era un po’ migliorato. Christian era ai fornelli, si voltò e le sorrise.
«Va meglio, vero?»
Lei annuì. «Grazie per essere rimasto. Che prepari di buono?»
«Sveva, dovresti andare a fare la spesa, nel tuo frigorifero non c’è niente! Ho potuto fare solo un po’ di pasta, aglio olio e peperoncino.»
«Lo so… ma da quando sono arrivata sono stata pochissimo a casa. Enrico mi trascina sempre in giro e ci rimane male se gli dico di no. Dice che dobbiamo recuperare il tempo perso.»
Christian spense i fornelli e scolò la pasta. «Cambiare stile di vita ti fa bene, i cambiamenti sono il carburante che alimenta la vita.»
Sveva lo aiutò a fare i piatti e insieme si sedettero a tavola. Christian aveva messo delle tovagliette di spago color verde acqua e dei tovaglioli colorati, proprio come quando erano fidanzati e si divertivano ad apparecchiare la tavola con i colori delle stagioni in cui si trovavano. C’era tanta primavera su quel tavolo.
Sollevò lo sguardo verso Christian, intento a girare la forchetta negli spaghetti. Lui c’era sempre stato per lei, sempre. Anche quando aveva deciso di lasciarlo per inseguire i suoi sogni. Per la prima volta, a quasi dieci anni dalla loro rottura, Sveva si chiese se non avesse fatto la scelta sbagliata. Probabilmente sarebbe diventata un bravo neurochirurgo anche se fosse rimasta in Italia e in più avrebbe avuto Christian. O forse no, forse sarebbe finita comunque perché non erano destinati a stare insieme come coppia. Lui alzò la testa e incontrò il suo sguardo. Le sorrise e le prese la mano.
«Non ti piace?»
«Chri… e se avessi sbagliato tutto?» abbassò lo sguardo, sentendosi un po’ a disagio. «Se lasciarci fosse stato uno sbaglio? Se io fossi rimasta, probabilmente noi…»
Christian le strinse di più la mano. «Sveva, non dire così… ehi, guardami. Partire è stata la cosa migliore che tu potessi fare, non saresti diventata la magnifica donna che sei adesso altrimenti. Per non parlare di tutte le esperienze che hai potuto fare in campo medico. Ti prego, non farti venire questi dubbi solo per colpa di un cretino. E poi… io sono sempre qua. Sono sempre con te.»
 
Grata per tutto quell’amore incondizionato, Sveva continuò a mangiare e raccontò a Christian tutto quello che era successo con Logan. Lavarono insieme i piatti, si misero sul divano e iniziarono a parlare dei loro ricordi più divertenti. Le ore di sonno arretrate cominciarono a farsi sentire, si accoccolò accanto a lui e chiuse gli occhi, l’ultima cosa che avvertì prima di sprofondare nel sonno fu il calore della coperta che Christian le aveva messo sulle spalle.
Di nuovo fu svegliata dal fastidioso campanello.
Dopo un attimo di esitazione Christian si alzò e andò ad aprire. Era Enrico. Indossava un paio di jeans completamente strappati e un giubbotto di pelle nera, l’aria serena e sorridente. Annunciò di essere stato ad una festa, poi si bloccò sulla porta e guardò Sveva sul divano, con la faccia stropicciata e assonnata; guardò Christian che sembrava anche lui provato.
«Che diavolo sta succedendo qui? Ragazzi che… avete combinato?»
«Niente, idiota!» rispose Christian risentito. «È venuto quel coglione di Logan. Ma adesso tua sorella sta meglio.»
«È venuto Logan? Qui? Ma quando?»
«Ieri.» Sveva fece un breve riassunto della situazione al fratello che intanto si era versato da bere.
«Perché non mi hai chiamato?» Enrico si sedette sulla poltrona accanto al divano.
«Non preoccuparti, sono stato io con lei.»
«Lo vedo.» lanciò un’occhiata penetrante a Christian. Temeva che tra i due fosse successo qualcosa.
«Smettetela, voi due. Come mai sei passato a casa? Non mi dire che avevamo qualcosa da fare stasera. Non penso di farcela a vedere gente.»
Un sorriso a trentadue denti si stampò sul volto di Enrico. «Sono passato per dirti di fare le valigie, domani si parte. Andiamo in Svezia da Kieran.»

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Capitolo 12
*** 11 ***


11.


Il vento soffiava forte per le strade di Goteborg, scuoteva gli alberi e portava con sé l’odore del mare. Kieran, già abituato al caldo dell’Italia, tirò su la zip del giubbotto di pelle.
Si sentiva ancora frastornato dalla sera precedente, non tanto per aver bevuto, quanto per il comportamento che aveva avuto nei confronti di Sveva. Cercava in tutti i modi di non pensare al corpo di lei stretto al suo, ma le immagini si affollavano nella testa, lasciandogli in tutto il corpo un flebile desiderio di lei. Possibile che fosse attratto da Sveva?
Eppure il sentimento che aveva provato sulla terrazza, quando l’aveva vista con Mark, era inequivocabile. Era scappato via, infuriato come non mai, per evitare di commettere qualche stronzata ed era stato costretto a inventarsi una scusa con Enrico per averli lasciati senza macchina, senza preavviso. Quando lo aveva sentito al telefono poco prima di partire gli aveva raccontato di aver rimorchiato una ragazza, quando invece aveva trascorso qualche ora a far ruggire il motore della macchina per le strade di Milano cercando di sbollire la rabbia. Poi gli era venuta l’idea: invitare tutti i compagni qualche giorno da lui, compresa Sveva. Doveva assolutamente farsi passare quella specie di attrazione e trascorrere del tempo con lei gli avrebbe fatto capire quanto fossero lontani e incompatibili. Più ci pensava e più gli appariva un’idea fantastica; il giorno dopo avrebbe fatto un giro di telefonate e organizzato tutto.
Affrettò il passo, mancavano ancora metri alla casa di Helena. Non le aveva detto del suo arrivo, voleva farle una sorpresa, e voleva farla anche a Bjorn e Petter, ai quali era destinata la busta piena di regali che stringeva in mano.
Sorrise, figurandosi nella mente il momento in cui i due piccolini avrebbero scartato i regali. Il sorriso si fece più largo quando nella scena apparve anche il viso di Helena che lo rimproverava di viziarli troppo.
Bussò alla porta. Helena viveva in un quartiere residenziale, in una villetta con un piccolo giardino davanti e il tetto spiovente. Comparve sulla soglia in tenuta sportiva, i capelli biondi raccolti in uno chignon. Gli occhi le si illuminarono e un sorriso radioso le colorò il viso perfettamente truccato. Aveva quarant’anni, ma ne dimostrava dieci in meno.
«Kieran! Quando sei arrivato?» si slanciò per abbracciarlo.
«Sono atterrato un’oretta fa, più o meno.»
Non fece in tempo a mettere piede in casa che Bjorn e Petter, due angioletti biondi come la madre di nove e sei anni, arrivarono dal salone e si fiondarono tra le braccia di Kieran.
«Kieran, sei venuto!»
«Kieran, che bello che sei qui!»
«Vieni a giocare con noi?»
«Stavamo giocando a Battaglia Navale.»
«Ehi, voi due. Lasciate stare Kieran, è stanco dal viaggio.»
La donna cercò di liberarlo, ma Kieran strinse i bambini e annuì. Non riusciva a smettere di sorridere. Era indescrivibile quanta gioia gli procuravano quei due angioletti. Si alzò, raccolse la busta da terra ed esclamò: «Guardate cosa vi ho portato!»
Urletti di gioia accompagnarono Kieran fino in sala, dove si sedette sul divano e iniziò a distribuire i pacchetti. Helena aveva già cominciato la sua paternale.
«Ancora regali, Kieran? Insomma, quante volte te lo devo dire che non voglio che li vizi così?» si mise davanti a loro con le mani sui fianchi. «Fa vedere cosa hai preso stavolta.»
I bambini strapparono in fretta la carta azzurrina che rivestiva il pacco più grande e Kieran osservò soddisfatto le loro facce felici mentre tiravano fuori dalla scatola due visori per la realtà aumentata. Negli altri pacchetti c’erano vari giochi per la consolle e dei Lego. Bjorn e Petter erano fuori di sé dalla gioia, il più piccolo saltellava e faceva vedere i regali alla mamma mentre Bjorn abbracciava Kieran e gli chiedeva di provare tutti i giochi con lui.
Helena, esasperata, scosse la testa. «Ti fermi a cena?» chiese a Kieran, e, dopo un suo cenno di assenso, scomparve in cucina.
Poco dopo la raggiunse anche lui. Aveva spiegato ai bambini come usare il visore e li aveva lasciati a giocare. Si appoggiò al frigorifero e la osservò mentre tagliuzzava verdure.
«Sei soddisfatto, adesso?»
Dalla sala provenivano le voci dei piccoli che provavano il loro nuovo gioco. Kieran sorrise. «Dai, Helena, sai che mi piace fare regali a Bjorn e Petter.»
Lei si voltò e gli sorrise. Che bella che era, anche con qualche piccola ruga in più vicino agli occhi e agli angoli della bocca restava una delle donne più attraenti che avesse mai incontrato. Era anche forte, combattiva e intraprendente e per questo la ammirava tantissimo. Nonostante si fosse separata subito dopo la nascita del secondogenito e nonostante le difficoltà che aveva incontrato sul suo cammino, era riuscita a diventare direttrice di un magazine sportivo e vicedirettore del programma sportivo più famoso e seguito della Svezia.
Helena era una giornalista sportiva. Per anni aveva lavorato come inviata a Stoccolma presso la squadra dove Kieran aveva iniziato a giocare e lì i due si erano conosciuti; la loro amicizia era cresciuta quando lui si era trasferito in Olanda e il capo di Helena l’aveva mandata a seguire quello che tutti ormai definivano come un prodigio del calcio.
Kieran era poco più che un ragazzino e Helena in quegli anni fu per lui una madre, una sorella, un’amica. Aveva preso a cuore quel ragazzo dal carattere spigoloso, irascibile e spesso arrogante. Gli aveva insegnato a essere uomo, a saper gestire il denaro che iniziava ad essere cospicuo, a fare le scelte giuste per lui e la sua carriera. Non era uno sprovveduto, veniva pur sempre dalla strada e si era fatti da solo, ma il suo aiuto fu prezioso in quegli anni.
«Allora? Ho sentito che potresti trasferirti a Parigi l’anno prossimo.»
Kieran alzò un sopracciglio. «Ah, sì? Si dice questo in giro?»
Helena fece un segno con la testa in direzione del computer portatile sul ripiano di pietra della cucina, vicino a lei. Lui si avvicinò e lesse il titolo di un articolo che parlava di un suo possibile trasferimento.
«Si dice anche che da Parigi sono disposti a sborsare un sacco di soldi per averti.»
«Su questo non avevo dubbi.»
«Puoi darmi qualche notizia in anteprima?»
«No. Non mi è arrivata nessuna offerta, per il momento. Sto benissimo a Milano, lo sai. Non sono intenzionato a lasciare la squadra.»
Helena annuì sorridendo. «Eve però non la pesa come te.»
«Eve non c’è più.»
Helena si volò di scatto verso Kieran e lo scrutò, seria. Poi le labbra si incurvarono in un sorriso compiaciuto. «Finalmente! Scusami Kieran, ma non posso certo dire che mi dispiaccia. Quella ragazza non faceva per te.»
Kieran non rispose. Si sedette al tavolo e portò con sé il computer. Stava bene, non sentiva la mancanza di Evangeline, ma non condivideva l’entusiasmo di Helena. Aveva amato quella ragazza per tre anni, c’erano stati molti momenti felici e sentiva di volerle ancora un gran bene. Spulciò tra gli articoli di Helena e le notizie sullo sport in Svezia.
Helena si avvicinò a Kieran e gli cinse il collo da dietro alla sedia. Gli diede un bacio sulla guancia e sospirò.
«Mi dispiace essere stata così dura. Solo che… penso che tu meriti di meglio.» Sciolse l’abbraccio e si sedette vicino a lui. «Che progetti hai per queste vacanze? Quanto tempo resti in Svezia?»
«Stavo pensando di invitare i miei compagni qui per qualche giorno. Perché non vieni anche tu con Bjorn e Petter?»
«Veramente volevo chiederti se ti andava di venire con me e i bambini alle terme questo fine settimana.»
Kieran emise un lamento. «Non sai quanto mi piacerebbe, ma credo di ripartire presto. Sai com’è, devo approfittare di queste poche settimane di vacanza.»
«Già, beato te.»  Helena si alzò, scompigliò i capelli di Kieran e si mise a preparare la tavola.
 
Più tardi, dopo aver letto qualche pagina di un libro di avventure ai bambini e averli messi a letto, Kieran raccontò a Helena come era finita con Evangeline mentre sorseggiavano un calice di vino. Lei lo ascoltò senza commentare, avendo capito che aveva solo bisogno di sfogarsi con la sua amica.
Rimase a dormire da loro.

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Capitolo 13
*** 12 ***


12


L’idea di partire con così poco preavviso non aveva entusiasmato particolarmente Sveva e in un primo momento aveva declinato l’invito del fratello adducendo come scusa il lavoro alla clinica. Ma Enrico sapeva benissimo che, nonostante andasse al lavoro tutti i giorni, lei era in ferie fino a luglio, per cui non aveva voluto sentire ragioni e l’aveva costretta a partire.
Quando, verso ora di pranzo, raggiunse il luogo dell’incontro, scoprì che a essere invitata era stata tutta la squadra. Mancavano solo pochi calciatori, tra cui Christian che aveva impegni con la famiglia. C’erano persino i più giovani. Vederli tutti sorridenti, chiassosi e uniti mise di buonumore Sveva.
Parlò poco durante il viaggio ma si nutrì della gioia e della spensieratezza di quei ragazzi che Enrico considerava una famiglia e a cui lei era molto affezionata. Per diverso tempo l’attenzione fu rivolta verso Serena, una ragazza che fino ad allora nessuno conosceva, fidanzata con Alessio, il più giovane del gruppo, appena diciottenne. Aveva capelli castano scuro, lunghi fino alle spalle e portava la frangetta, indossava un jeans nero che faceva sembrare ancora più magre le sue lunghe gambe e un corpetto a fiori, con sopra un giubbottino di finta pelle nero con le borchie. Era molto vispa e non la smetteva di parlare di Kieran e di quanto fosse felice di poter finalmente incontrare il suo idolo. Sveva aveva notato come la guardava Alessio, innamorato e rapito, anche se in alcuni momenti era arrossito, imbarazzato.
Seduto accanto a lei, più volte Mark aveva fatto commenti poco carini in tedesco, lingua che Sveva parlava abbastanza bene, oltre allo spagnolo e al francese. Probabilmente era stata l’unica a capirlo e l’unica a scoccargli delle occhiatacce. Avevano conversato in tedesco e Mark aveva affermato candidamente di non sopportare quella ragazzina e di considerarla invasata, superficiale e ignorante. Quei giudizi approssimativi e non richiesti l’avevano fatta innervosire ma aveva preferito non replicare.
 
L’abitazione di Kieran era enorme. Arrivati a Goteborg avevano preso dei taxi e percorso le vie della città fino a giungere in una zona periferica, dove avevano imboccato un lunghissimo viale alberato. A destra e a sinistra si estendeva un prato che sembrava sconfinato. La villa era strutturata su due piani, in stile vittoriano e dietro di essa si apriva un bosco di abeti. Al lato destro della casa c’era un’altra piccola struttura, una depandance, in pietra. Una casa da sogno.
Kieran li stava aspettando sul vialetto d’ingresso. I ragazzi si salutarono e si abbracciarono. Sveva si avvicinò, trascinando il trolley sulla ghiaia e sorrise a Kieran. Anche lui fece qualche passo nella sua direzione ma Serena gli corse incontro e lo abbracciò forte. Così non riuscirono a salutarsi fino a quando non furono dentro e Kieran li ebbe sistemati nelle camere. L’interno, se possibile, era ancora più bello. A Sveva toccò la camera col bagno; le pareti erano bianche e i mobili di legno scuro. C’era anche un balconcino dal quale si poteva ammirare la piscina e un sentiero sterrato che si perdeva nel bosco.
«Signorina, la stanza è di suo gradimento?» Kieran era sulla porta, le braccia incrociate al petto e un sorriso sghembo sul volto.
Sveva fece qualche passo per la stanza. «Mio dio Kieran, hai una casa stupenda. Davvero.»
«Beh sai, i soldi… a quanto pare fanno miracoli anche per i cafoni.»
Rimase impietrita e il sorriso le morì sulle labbra. Credeva che avessero superato quel momento, che si fossero chiariti. Scrutò il volto dell’uomo senza riuscire a trovare traccia di humor. Aveva di nuovo quell’odiosa espressione impassibile.
«Kieran, io non intendevo…»
Lui non la fece finire di parlare. «Fai con calma, ci vediamo di sotto.»
Attonita, con il respiro corto e il battito accelerato, si sedette sul letto. Cercò di ripercorrere con la mente tutte le volte che lei e Kieran avevano parlato, per ricordare se avesse detto o fatto qualcosa che lo aveva ferito. L’unica immagine che riuscì a formarsi nella mente fu quella di lei e Kieran che ballavano stretti l’una all’altro.
 
***
 
Kieran sedeva sull’enorme divano angolare grigio perla del salone principale e stava ordinando la cena, tramite app. Voleva che i suoi ospiti si rilassassero a casa quella sera; gli uomini avrebbero potuto giocare a biliardo e le donne fare un bagno rilassante nella piscina riscaldata al piano di sotto, o stare tutti insieme a chiacchierare. Per il giorno dopo invece, aveva in programma di trascorrere la giornata a Goteborg, per le strade, i luoghi storici e i parchi.
Si era ripreso dai pensieri strani. Rivedere Sveva non gli aveva fatto alcun effetto, neanche quando si erano salutati, le loro guance si erano sfiorate e lui aveva respirato il suo profumo. Anche vedere Mark sempre intorno a lei non lo aveva impensierito più di tanto. Anzi, aveva deciso di provocarla un po’ per scatenare qualche reazione. Tutto andava a meraviglia.
Gli ospiti cominciarono a riempire la sala.
C’era quella Serena, la ragazza di Alessio, che non smetteva un attimo di fissarlo e sorridergli, e questo lo metteva un po’ a disagio. Appena arrivata gli era saltata addosso, si era fatta fare una foto e aveva baciato appassionatamente Alessio per averle fatto il regalo di poter incontrare il suo idolo.
Quando furono tutti in salotto Mark iniziò a punzecchiare Alessio sul fatto che non avesse raccontato a nessuno di loro di quella sua ragazza. Alessio era tutto rosso e Serena non sembrava per niente offesa, lei continuava a guardare Kieran.
«Senti Kieran, come mai non sei biondo come tutti gli svedesi?» chiese Serena, interrompendo i discorsi su lei e Alessio.
«Non tutti gli svedesi sono biondi» obiettò qualcuno.
«Ho preso da mia madre. Lei viene dalla Croazia.»
«Ah, perciò ti chiamano zingaro!» e lo disse con un tale candore che anche Kieran si mise a ridere.
«Perché non la vedi la faccia da zingaro?» disse Giacomo.
«Già, guarda che faccia», ribatté Enrico.
«E quando eri piccolo vivevi in una roulotte?»
A quel punto si beccò una gomitata da parte del fidanzato, il quale tutto rosso in volto le sussurrò di smetterla. Serena parve irritarsi. Nel salone i ragazzi ridevano, come se fosse la domanda più assurda che avessero sentito.
Per una frazione di secondo Kieran serrò la mascella e i pugni. Ricordò le giornate trascorse nel suo quartiere, alla periferia della città. Lì la gente era povera, spesso i bambini erano lasciati soli dai genitori drogati o alcolizzati, incapaci di reagire, schiacciati dal peso delle difficoltà, riversi giornate intere su divani sudici o letti sfondati. Kieran ne aveva viste tante di quelle situazioni nel suo palazzo. I suoi amichetti erano quei bambini. Cercavano di arrangiarsi come potevano per non morire di fame. Ricordò sua madre che non c’era mai, che lavorava notte e giorno per permettergli di avere sempre un piatto caldo davanti, e quando c’era era troppo stanca, troppo irritata, troppo triste. La sua casa fredda, umida, piccolissima, che puzzava di muffa. Non era una roulotte, ma la sua infanzia non era stata tanto diversa.
«Non sono un immigrato, Serena. Mio padre è svedese e io sono nato qui.»
Lei fece per parlare ma Kieran si alzò. «Vi va un aperitivo? Vado a prendere da bere.»
Anche Sveva si alzò. «Aspetta, ti do una mano.»
«Anche io!» Serena si precipitò dietro di loro.
Kieran le condusse in cucina dove iniziò a tirare fuori bottiglie di alcolici e stuzzichini.
«Ma è vero che tu e Evangeline Prot vi siete lasciati?»
Kieran richiuse lo sportello del frigorifero e poggiò la Coca sul tavolo. «Sì.»
Sveva stava versando dei salatini in una ciotola, alzò lo sguardo e lo fissò, come se sembrasse sorpresa.
«E adesso c’è qualcuna?»
«No.»
«Serena, perché non porti questo vassoio di là?» Sveva mise in mano alla ragazza un vassoio con i salatini e delle tartine.
«Certo.»
La ragazza scomparve, tutta sorridente. Kieran poggiò lo sguardo su Sveva. Serena cominciava a dargli sui nervi ed evidentemente lei doveva averlo capito.
«Come mai sei così… carina nei miei confronti?»
Sveva aggrottò la fronte. «Non capisco cosa vuoi dire.»
Serena rientrò, interrompendo il loro scambio di sguardi. «E tu Sveva? Ce l’hai il fidanzato?»
Lei abbassò lo sguardo e scosse la testa. «No.»
«Davvero? Non lo avrei mai detto! Sei proprio una bella donna. Insomma, non so quanti anni hai ma…»
«Te lo dico io perché non ha un uomo. È antipatica, ha un caratteraccio.»
Ancora una volta lei lo guardò stranita, senza dire niente, senza ribattere, senza rifilargli qualche risposta pungente.
Serena ridacchiò. «Ma dai, è così dolce.»
La faccia che fece Kieran parlava da sola. Raccolse le bottiglie e se ne andò in sala.
 
La serata trascorse tranquilla e allegra. Si era pentito di essere stato così stronzo con Sveva; per buona parte del tempo lei era rimasta pensierosa e silenziosa. Mark non la mollava un secondo ma non sembrava si stesse divertendo. Quando sorrideva era solo per circostanza e non partecipava molto alle discussioni, nemmeno se chiamata in causa. Si ripromise di parlarle prima di andare a dormire; lei dopo cena uscì in giardino e non la vide più.
 
Diverse ore dopo Kieran si accinse a cercare Sveva. La maggior parte dei compagni era salita nelle camere, qualcuno giocava a carte in salotto. Salì al primo piano, per accertarsi che non stesse dormendo; la sua camera era ancora aperta. Mentre ripercorreva il corridoio in senso contrario notò la porta del bagno aperta e la luce accesa. Si sporse per controllare se ci fosse qualcuno così da poter spegnere la luce ma da dentro sbucò Serena, in canotta di pizzo nero e mutandine coordinate.
Kieran distolse immediatamente lo sguardo dai suoi seni. «Scusa. Credevo non ci fosse nessuno.»
Cercò di chiudere la porta ma Serena fu più veloce e lo afferrò per un braccio. «No, aspetta. Entra.»
Lui entrò e nel momento esatto in cui si richiuse la porta alle spalle capì di aver fatto una cazzata. Lo sguardo civettuolo della ragazza era tutt’altro che innocente, si umettò le labbra e poggiò una mano sui suoi pettorali. La bloccò. Lei si avvicinò fino a sfiorarlo con i seni.
«Serena…»
Avvicinò la bocca alla mano di Kieran e fece scorrere la lingua sul dito senza smettere di guardalo. Lui trattenne il fiato. La allontanò con uno strattone.
«Ma che diavolo stai facendo? Sei impazzita? C’è Alessio di là, vuoi far succedere un casino?»
Uscì in fretta e scese le scale. Si fermò davanti al portone sul retro ed espirò forte. Il sangue pompava veloce nelle vene, quella stupida ragazzina gli aveva fatto un certo effetto. Si passò le mani tra i capelli e fece un passo per uscire, ma si irrigidì non appena si rese conto che c’erano due persone che si stavano baciando.
Erano Mark e Sveva.

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Capitolo 14
*** 13 ***


13



Era stata una sensazione sgradevole quella che aveva provato quando le labbra di Mark si erano poggiate sulle sue. Eppure non si era mossa, non aveva opposto resistenza e lo aveva assecondato. C’era la sensazione di vuoto lasciata da Logan, c’erano le voci provenienti dall’interno e i passi di qualche animale nel sottobosco, c’era il frusciare lento delle foglie, lo scricchiolio del divano di vimini sul quale erano seduti. Ma non c’era il trasporto, non c’era l’attrazione, non c’era la chimica.
Mark le infilò la mano dietro la nuca e si fece ancora più audace. La lingua si insinuò nella bocca, in cerca della sua, ma proprio non riusciva a farselo piacere quel bacio. Sveva si divincolò in fretta, mormorò delle scuse e salì in camera.
Sotto il getto d’acqua calda della doccia si chiese cosa le stesse passando per la mente; quasi non si riconosceva più. A tormentarla di più era la vergogna per aver baciato un uomo sposato e sperò con tutta se stessa che nessuno li avesse visti. Con Mark avrebbe chiarito tutto l’indomani.
Il letto non riuscì a darle il conforto che sperava e, stanca di rigirarsi, verso l’alba si vestì e scese in giardino.
L’umidità della notte pervadeva ancora l’aria, le punte dei pini cominciavano a chiazzarsi d’oro e il contrasto col cielo che si rischiarava andava via via addolcendosi. Si appoggiò alla ringhiera di legno della veranda. Gli uccellini cinguettavano allegri, giocavano tra i rami e nei cespugli delle aiuole. La piscina di fronte a lei era immobile, così come il resto della casa, all’interno stavano tutti dormendo.
Anche lei si sentiva tranquilla, e forse era proprio questo a tenerla sveglia. Sentiva che il dolore che aveva portato dentro per tanto tempo era ormai scomparso, nessuna traccia, neanche una piccola fitta allo stomaco se riportava alla mente Logan e il loro ultimo incontro. Era servito davvero, quell’ultimo incontro. Sveva aveva chiuso definitivamente quel capitolo della sua vita. Ma la leggerezza dello spirito, la nuova sensazione di libertà che avvertiva dentro, la faceva sentire spaesata e confusa. Quasi come se le mancasse quell’alone di sofferenza che si era trascinata dietro per diversi mesi. L’ignoto davanti a lei la terrorizzava.
La porta alle sue spalle si aprì e lei si voltò di scatto. Kieran, con indosso pantaloncini corti e maglietta a mezze maniche, si fermò sul portico e la fissò.
«Ciao. Buongiorno» disse lei.
«Ciao. Che fai qui fuori?»
Aveva l’aria stanca e l’atteggiamento arrogante che tanto aveva odiato di lui. La guardava in modo strano, come se non la sopportasse. Anche la sera prima aveva avuto la stessa sensazione, eppure era stato lui a invitarla lì.
«Non riuscivo a dormire.»
«Come mai? Il letto non era di tuo gradimento?»
«Tu invece perché sei già sveglio?»
«Sto andando a correre.» Fece dei passi in avanti, poi si voltò un attimo prima di scendere i gradini e la guardò. «Ti consiglio di farti una passeggiata nel bosco. È l’ideale per schiarirsi le idee.»
Corricchiando costeggiò la piscina e si diresse verso il sentiero sterrato, scomparendo subito dalla vista.
«Grazie del consiglio» mormorò a se stessa.
Era ufficiale: Kieran ce l’aveva con lei. Ma proprio non riusciva a capire a cosa fosse dovuto quel rinnovato astio. Si incamminò anche lei, seguendo la sua scia. Cosa aveva voluto dire con la frase schiarirsi le idee? Dallo sguardo che le aveva lanciato le era sembrato che potesse esserci un significato preciso e non una frase detta a caso. Un brivido corse lungo la schiena. Che l’avesse vista baciare Mark? Sentì le guance infiammarsi e rallentò, a metà tra il sentiero e il giardino. Era pronta a fare dietrofront ma se lo ritrovò davanti prima ancora di riuscire a impartire l’input al cervello.
Si fermò di fronte a lei, poggiando le mani sui fianchi e traendo un profondo respiro.
«Già finito?» chiese lei, cercando di mascherare il suo imbarazzo. Il pensiero che lui potesse averla vista…
«Senti Sveva, non ce l’ho con te. Scusami se sono stato scortese. Vuoi… fare una passeggiata con me?»
Sveva avvertì tutto il corpo rilassarsi. Annuì mentre vedeva spuntare finalmente un sorriso sulle labbra di Kieran.
«È per via della rottura con Evangeline che sei così scontroso?»
Kieran si mosse verso il folto del bosco e lei lo seguì. Grossi pini costeggiavano il sentiero buio, illuminato qua e là dai raggi di sole ancora troppo deboli. Il freddo penetrava nelle ossa e Sveva rabbrividì.
«Con Eve non andava già da un po’» girò la testa verso di lei. «Mi stanno succedendo delle cose… che non so definire.»
Anche Sveva lo guardò. Negli occhi brillava una luce diversa.  «Che tipo di cose?»
«A te non è mai capitato di trovarti all’improvviso a vivere qualcosa che non ti saresti mai aspettata e non riuscire a capire cosa accade perché è tutto veloce? Come se fossi travolta da una valanga di sensazioni a cui non sai, o forse non vuoi, dare un nome? È così che mi sento in questi giorni.»
Sveva sembrò rifletterci un attimo. «Anche io ho chiuso una storia importante da poco. Da sei mesi. Credevo che non sarei mai riuscita a superarla e invece è successo. Così, all’improvviso. Mi sono svegliata ieri mattina e il macigno che mi portavo dietro non c’era più, svanito completamente. E mi sono sentita stordita, mi sento ancora stordita, per questo non sono riuscita a dormire stanotte. È come se non mi riconoscessi più. Forse… forse è quello che sta succedendo anche a te. Forse la fine della tua storia ti ha messo davanti a nuove prospettive e ti senti disorientato.»
Kieran guardò dritto davanti a sé e Sveva fissò per un po' il suo profilo. C’era qualcosa di delicato in quei lineamenti duri.
«Già. Forse sono solo disorientato.» Era come se lo stesse dicendo a se stesso più che a lei. Smise di fissare l’orizzonte di tronchi e rivolse di nuovo lo sguardo su Sveva. «Come mai proprio ieri mattina?»
Ma lei non rispose, aveva un altro quesito che le premeva. «Sono davvero così antipatica secondo te?»
Lui fu preso alla sprovvista. Aggrottò la fronte, perplesso. «Cosa? No, non… Ah. È per quello che ho detto ieri sera? Era solo una battuta, Sveva. Non lo penso veramente. Non lo penso più.»
«Non sembrava una battuta.»
«È proprio questo il tuo problema: la totale mancanza di senso dell’umorismo.»
«Sei tu ad avere un senso dell’umorismo strano.»
«No, Sveva. Te la prendi subito, sei permalosa.»
«Come? Ma non è vero!»
Intanto avevano iniziato a percorrere il sentiero a ritroso.
«Invece sì. Ricordi quella sera al locale di tuo fratello?»
«Certo che ricordo. Hai insinuato che senza mio fratello non sarei stata in grado di comprare un vestito. Non ti è passato per la mente che se mi trovavo in quella boutique evidentemente potevo permettermi quei vestiti? Non era una battuta, quella era una frecciatina di cattivo gusto.»
«E invece era una battuta ma come sempre tu non sei stata in grado di coglierla e te la sei presa. Perché sei permalosa. Vedi come ti stai innervosendo anche adesso?»
Sveva trasse un respiro profondo. Kieran aveva ragione, lui si stava divertendo a stuzzicarla perché aveva capito che lei se la sarebbe presa. Avevano quasi raggiunto la casa e stavano passeggiando a bordo piscina.
«Mi innervosisco perché quella sera sei stato davvero maleducato.»
Kieran si fermò. Sveva alzò gli occhi su di lui, i tiepidi raggi del sole si infrangevano sulla piscina e riflettevano nelle sue iridi marroni.
«Sono fatto così, sono maleducato e tu sei antipatica.»
Accadde tutto in un attimo. Sveva sentì le mani di Kieran sulle sue spalle, una leggera pressione e l’equilibrio che vacillava, i piedi non più piantati a terra e l’impatto con l’acqua ghiacciata.
«Sei impazzito!» urlò quando riuscì a prendere fiato. I capelli bagnati le si erano appiccicati al volto. Li scostò e vide Kieran piegato in due dalle risate. «Che ci trovi di tanto divertente?»
«Lo vedi quanto sei pesante?» rispose lui, continuando a ridere.
Raggiunse il bordo e cercò di issarsi ma i vestiti inzuppati e le scarpe la facevano scivolare. «Giuro che se ti prendo…»
«Non urlare! Stanno dormendo, sveglierai tutti!» aveva quasi le lacrime agli occhi per quanto rideva.
Sveva raggiunse la scala e uscì dalla piscina. Kieran corse verso la casa, lei lo inseguiva schizzando acqua dappertutto e rischiando in continuazione di cadere.
«Fermati, Kieran! Dove credi di andare!»
Lui aprì la porta e si fermò. Aveva il sorriso più grande e bello che Sveva gli avesse mai visto. Si precipitò dentro, dritta tra le sue braccia.
«Ti ho preso!»
Kieran la strinse forte. Risero, fino a perdere il fiato. Lui le scostò i capelli bagnati dal visto e lei si strinse ancora di più a lui.
«Sei completamente fuori di testa.»
Ma Kieran ora non rideva più, continuava ad accarezzarle il viso con entrambe le mani e con lo sguardo. E lei era rapita dalle sue labbra rosee, si avvicinavano, sentiva il respiro di Kieran così vicino...
«Ehi ragazzi, che fate?»
I due si staccarono e guardarono verso la scala che portava alle camere. C’era Mark.
«Sveva aveva voglia di fare un bagno in piscina» rispose Kieran ridendo. «Che fai già sveglio? Vieni a fare colazione.»
Si incamminò verso la cucina. Mark scese e sorrise a Sveva. Lei salì. Chiuse la porta della camera e ci si appoggiò contro. Il cuore, lo stomaco, le viscere, era tutto in subbuglio.
Stavolta l’aveva sentita, la chimica.

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Capitolo 15
*** 14 ***


14


Kieran scese dall’auto e si incamminò verso l’edificio bianco che aveva di fronte. Inforcò gli occhiali da sole; un sacchetto di carta marrone gli penzolava dalla mano, dentro c’era una sua maglietta autografata che stava per consegnare a un bambino di nome Matteo, ricoverato in quella clinica.
Era rientrato a Milano la sera prima, insieme a tutti gli altri. I tre giorni trascorsi a Goteborg erano stati pazzeschi, carichi di energia positiva ed emozioni intense.
Sveva. Aveva solo lei nella testa e l’aveva avuta per tutto il tempo che erano stati insieme. Dopo quell’episodio della piscina, quando era stato sul punto di baciarla, non era più riuscito a trattenersi e non era nemmeno stato capace di inventarsi qualche scusa per spiegare l’attrazione che sentiva. Quel giorno a Goteborg tutti si erano accorti di come ricercava avidamente la sua compagnia. Avevano parlato tanto, loro due da soli, sempre un po’ appartati rispetto al gruppo e sempre sotto lo sguardo attento di Serena e Mark. E durante quelle loro conversazioni Sveva gli aveva raccontato di un bambino, Matteo, che era ricoverato nella clinica dove stava lavorando e che era un suo fan sfegatato. Così Kieran aveva deciso di fare una sorpresa al bambino, ma in realtà quella era solo una scusa per rivedere Sveva.
Voleva invitarla a cena, magari a casa sua per non dare troppo nell’occhio.
Si aggiustò i capelli specchiandosi nella vetrata dell’ingresso e varcò la soglia. Come avrebbe fatto a dirle qualcosa che persino lui faticava ad accettare? Sveva, la ragazza più antipatica che avesse conosciuto, ingessata, bacchettona e miss so tutto io gli era entrata dentro come mai nessuna.
Non era possibile. Eppure il solo pensare a lei gli faceva spuntare un sorriso sulle labbra e quando erano insieme non faceva altro che guardarla, spinto da un’attrazione totale a cui non sapeva resistere. Era ammaliato da tutta la sua figura, ogni volta che la guardava scopriva particolari che lo facevano impazzire, come il modo in cui inclinava la testa quando prestava attenzione o come si scostava i capelli dal volto con le dita affusolate e delicate. Avrebbe voluto scostarli lui, quei capelli. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sfiorarle la pelle, smarrirsi nei suoi occhi e assaporare finalmente le sue labbra carnose. Quel desiderio di averla, di stringerla tra le braccia e respirare il suo odore, era così forte da fare male.
Si avvicinò allo sportello informativo e chiese della dottoressa Sveva Romanini. Terzo piano, corridoio di destra, gli fu indicato dalla signora con un marcato accento del sud. Salì le scale a due a due, imboccò il corridoio di destra e la vide subito. Veniva con un altro dottore nella sua direzione, indossava il camice bianco e sotto un paio di jeans. Era molto presa dalla conversazione e si accorse di lui quando erano ormai a pochi passi di distanza. Gli sorrise, sul volto l’espressione di stupore e felicità più bella che Kieran avesse mai visto. All’improvviso non sapeva più cosa dire né perché si trovasse lì. Sorrise come un ebete.
«Ciao, Sveva.»
«Kieran! Professore, lui è Kieran Blom, un compagno di squadra di mio fratello.»
«Certo, lo conosco! Molto piacere, Mario Turriani.»
Lo svedese strinse la mano al dottore. «Sono venuto a portare la mia maglia a Matteo, il bambino di cui mi hai parlato l’altro giorno.»
«Ne sarà felicissimo» rispose il professore.
«Che bel pensiero. Ti accompagno nella sua stanza.»
«Io vi lascio. Sveva, ci vediamo dopo.»
Il professor Turriani si allontanò.
«Non mi aspettavo di vederti. Non avevi da fare con Enrico stamattina? Mi ha detto che dovevate organizzare la festa a sorpresa per il compleanno di Valentina.»
Kieran non riusciva a pensare a nient’altro che alle labbra di Sveva. Sì, aveva un appuntamento con Enrico, ma lui poteva aspettare. Si decise a chiederle di uscire a cena con lui. Una sola cena, per capire tutto. «Lo raggiungo tra poco. Ascolta, stasera…»
«Dottoressa.»
Un’infermiera si era fermata accanto a Sveva. Le consegnò alcuni fogli. «Questi sono i risultati delle sue analisi. E il dottor Minno dice se può raggiungerlo un attimo nella sua stanza.»
Lei raccolse le carte e congedò la ragazza. «Digli che arrivo subito. Kieran, puoi aspettarmi solo un secondo? Puoi andare nel mio ufficio, verso la fine del corridoio, c’è scritto il mio nome sopra. E poggiami queste sulla scrivania.»
Kieran prese le analisi e si incamminò. Che diamine, il dottor Minno doveva rompere proprio in quel momento? Lesse i nomi sulle targhette vicino alle porte chiuse fino ad arrivare davanti a quella di Sveva. Girò la maniglia e accese la luce. La stanzetta era piccola e bianca, troppo bianca. Un computer portatile era chiuso sulla scrivania, un lettino con un paravento bianco si trovava in fondo alla stanza. Si richiuse la porta alle spalle. Poggiò il sacchetto di carta su una sedia e le analisi sul tavolo, ma lo sguardo gli cadde su una scritta. Test di gravidanza.
L’infermiera aveva detto che quelli erano i risultati delle analisi di Sveva. Con la voce della coscienza che gli gridava di non farlo, aprì il foglio.
Esito: Positivo. Richiuse in fretta il foglio e lo posò sulla scrivania assieme agli altri. Si lasciò cadere sulla sedia.
Sveva era incinta. Ma di chi era? Di Mark? Impossibile, si conoscevano solo da qualche settimana e poi lei non aveva mostrato un qualche interesse per Mark nonostante le sue continue avances. E allora chi? In Svezia gli aveva detto che aveva chiuso una storia sei mesi prima. Probabilmente aveva avuto un’altra relazione in quell’ultimo periodo.
Questo cambiava tutto.
Meglio così, si disse. Lei era intelligente, colta, raffinata; lui, al contrario, era ignorante e rozzo. Non potevano essere più diversi. Non avrebbe funzionato, quella attrazione non li avrebbe portati da nessuna parte. Si sarebbe consumata tra le lenzuola nel giro di qualche settimana, come un fuoco di paglia.
Meglio così. Avrebbero evitato di creare situazioni imbarazzanti per il futuro. Si alzò e prese la busta con la maglia proprio nel momento in cui si apriva la porta. Sveva entrò raggiante e Kieran avvertì una stretta allo stomaco.
«Eccomi.»
«Devo andare, scusami.»
Un’espressione mortificata le colorò il viso. «Ti ho fatto fare tardi?»
Kieran si avvicinò alla porta. «Ho ricevuto una telefonata.»
«Ok, se vuoi posso portargliela io la maglia e poi quando sarai più libero potrai passare a salutarlo.»
«Che maglia?»
«La maglia per Matteo.»
«Ah, sì, giusto. La maglia.»
Annuì e diede il sacchetto a Sveva che lo stava fissando in modo strano. Si sentiva a disagio ma anche un po’ incazzato. Era incinta e se ne andava in giro a baciare uomini come se niente fosse.
«Beh, allora ci vediamo. Passa quando vuoi.»
Eppure in quel bellissimi occhi blu non scorgeva nessuna traccia di preoccupazione. Erano due profonde pozze di mare calmo in una meravigliosa giornata assolata.
Un ultimo sguardo prima di andare. «Riguardati.»


 

Ciao a tutti!
Volevo ringraziare voi che continuate a leggere la storia e inserirla tra i preferiti/seguiti/ricordati. Siete tanti e questo non può che farmi felice. Questo capitolo è stato scritto stamattina, tutto difretta perché ieri era il mio compleanno e tra una telefonata e un cazzeggio non sono riuscita a scrivere neanche una riga. Spero che vi sia piaciuto lo stesso!
Fatemi sapere, potete trovarmi anche sulla mia paginetta facebook
Essenzadirose o sul mio profilo Danila Cobain o anche su Instagram.
Vi abbraccio!
Danila

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Capitolo 16
*** 15 ***


15


Sveva chiuse la porta della sua stanza e si sedette dietro la scrivania con un sorriso radioso e una tremula felicità nel cuore. La visita di Kieran era giunta inaspettata e altrettanto inaspettata era stata la sorpresa per Matteo. Il piccolo era fuori di sé dalla gioia quando gli aveva portato la maglia autografata di Kieran Blom. Un peccato che fosse dovuto andare via.
Si mordicchiò il labbro inferiore mentre pensava ai giorni appena trascorsi in Svezia insieme a lui. Ripensò alla sensazione delle mani calde di Kieran sui suoi vestiti fradici e sul viso, al modo in cui si erano guardati, come se quello che stava per succedere dipendesse da un bisogno urgente e incontrollabile.
Da quel momento non aveva più potuto fare a meno di lui. C’era qualcosa che la spingeva a cercarlo con lo sguardo quando non lo vedeva accanto a sé o non percepiva la sua presenza, qualcosa che li aveva portati a parlare ore e ore senza mai stancarsi.
Kieran le piaceva. E chi lo avrebbe mai detto. Non riusciva neanche a individuare il momento esatto in cui la trasformazione era avvenuta perché se si soffermava a pensarci le pareva di essersi sentita attratta da lui da sempre. Si crogiolò in quei pensieri, gli occhi fissi sulla parete di fronte e le labbra tese in un sorrisetto.
Voci e rumori in corridoio la fecero ripiombare nella stanza. Si ricompose, e radunò le analisi davanti a lei. Aprì il primo foglio e lesse il risultato.
Cavolo. Non aveva pensato che potesse essere una possibilità concreta quando aveva portato i campioni in laboratorio, quella mattina. Rovistò nella borsa, tirando fuori il cellulare.
Mezz’ora dopo era seduta al tavolino di un bar poco lontano dalla clinica. Il caldo permeava l’atmosfera, attenuato solo da un filo di vento che faceva sollevare il lembo del foglio poggiato sul tavolino davanti alla bellissima ragazza che aveva di fronte.
Valentina lo richiuse e lo mise in borsa. La mano delicata, con le unghie smaltate di rosso, si poggiò sul bicchiere di acqua tonica. Non aveva detto granché e Sveva stava rispettando il suo silenzio. Era abituata a dare notizie ben peggiori ai suoi pazienti, con lei non c’era nemmeno bisogno di cercare di alleggerire l’impatto traumatico. Anche se, a dirla tutta, l’espressione del suo volto parlava di una certa agitazione.
«Grazie Sveva, davvero. Volevo solo chiederti di non dire nulla a Enrico… non so quando glielo dirò. Devo riflettere.»
«Non c’era neanche bisogno di chiederlo.»
Valentina annuì in segno di gratitudine e portò il bicchiere alle labbra. Sveva le sorrise. Poteva capire le riserve della ragazza, il legame con Enrico era ancora acerbo e un figlio era una cosa seria, un impegno importante. Probabilmente entrambi non erano ancora pronti a metter su famiglia, anche se a Sveva non sarebbe dispiaciuto diventare zia. E poi Valentina le piaceva, suo fratello era felice con lei.
«Ti va di uscire insieme stasera?» chiese la ragazza dopo aver bevuto.
A dire il vero aveva proprio bisogno di una serata per conto suo, per coccolarsi un po’ e fare il punto della situazione, ma annuì. «Molto volentieri.»
 
***
 
Kieran fece il suo ingresso nel locale seguito da un gruppo di ragazzini che gli chiedeva una foto. Sorrise agli obiettivi delle loro fotocamere che lo accecavano con i flash, dando qualche pacca sulla spalla qua e là.
Si guardò intorno. Anche quella sera il Serotonyn era pieno, le note che si diffondevano nell’ambiente mescolandosi alle voci e alle risate erano piacevoli. Si sedette accanto a Enrico, sullo sgabello davanti al bancone.
«Ohi.»
Stava bevendo un campari. Lo aveva chiamato all’ora di cena chiedendogli se potesse passare in serata perché aveva bisogno di parlare con un amico. Forse stava avendo ripensamenti sulla festa a sorpresa che stavano organizzando per Valentina o forse si trattava di altro, Kieran non aveva la minima idea e questo lo aveva incuriosito al punto da mollare gli amici con cui era uscito a cena e raggiungere il bar prima dell’orario previsto.
«Kieran. Vuoi da bere?»
Scosse la testa. «Che succede?»
«Devo dirti una cosa bella. Credo. È bella ma è anche spaventosa.»
Kieran guardò l’amico. Era felice, si capiva dagli occhi che emanavano scintillii nelle iridi azzurre. In quel momento ebbe la sgradevole sensazione che stesse per parlargli della gravidanza di Sveva. Cos’altro poteva esserci di bello e spaventoso allo stesso tempo se non l’arrivo di un bambino?
Come se avesse pronunciato il suo nome ad alta voce, lei comparve, in compagnia di Valentina, accanto a loro.  
Kieran accennò un sorriso e continuò a guardare dall’altra parte. Sveva gli si accostò mentre Valentina e Enrico si scambiavano effusioni.
«Matteo oggi era felicissimo! Grazie ancora per avergli fatto quel regalo.»
«Bene» rispose lui senza voltarsi. Congiunse le mani sul bancone, fissando i movimenti meccanici del barista che preparava i cocktail.
«Io vado… a sedermi.»
Doveva averla messa un po’ in imbarazzo ma non gli importava nulla. Voleva togliersela dalla testa nel più breve tempo possibile.
Quando anche Valentina se ne fu andata voltò appena la testa per guardare l’amico. «Allora, dicevi?»
Ma non lo ascoltava per davvero. La sua testa era un fiume in piena di pensieri di ogni tipo. Il profumo delicato di Sveva che gli era entrato nelle narici quando si era avvicinata, quegli occhi ipnotici e lui che non aveva potuto avere neanche un assaggio delle sue labbra. Sveva, Sveva, e solo Sveva.
«Valentina aspetta un bambino.»
Sveva, Sveva, sempre Sveva. Ma che diavolo gli aveva fatto quella donna?
«Congratulazioni, stai per diventare zio.»
«Zio? Padre, sto per diventare padre.»
Kieran sollevò di scatto la testa. «Quindi Sveva non è incinta?»
Enrico era frastornato. «No. Che c’entra Sveva?»
Si sentì improvvisamente bene, privo di un peso che gli si era messo sullo stomaco da quella mattina. Girò la testa dall’altro lato e la cercò con lo sguardo. Lo fissò sul suo corpo, sul suo viso.
«Ho capito male.»
«Ma tu e Sveva non vi stavate antipatici?»
Kieran finse indifferenza. «Sì.»
«E oggi sei andato da lei in clinica.»
«Solo per portarle un regalo per un bambino malato…»
«Certo. Ti sto parlando di una cosa seria e tu metti in mezzo mia sorella. La guardi e ridi. Nemmeno mi ascolti. Ho capito quello che sta succedendo tra voi.»
Kieran diede un colpo sulla spalla di Enrico. «Ti sto ascoltando. Hai detto che Valentina è incinta. Che volete fare? Lo tenete?»
Di nuovo l’impulso di girarsi a guardare Sveva prese il sopravvento e non riuscì a controllarsi. Ora rideva. E lui aveva la strada libera. Quanto era bella, dio.
«No. Abbiamo deciso di regalarlo.»
«Ottima scelta.»
«Kieran! Sparisci per favore.»
La spinta alla spalla fu abbastanza forte da farlo scivolare dallo sgabello. Cercò di mascherare l’aria colpevole.
«Vai da Sveva, per cortesia. Non vedi l’ora di raggiungerla.»
«Non so di cosa parli.»
Ridevano entrambi.
«Lo so io. Vai, vai.»
Non ebbe neanche un secondo di esitazione, non ce la faceva più ad aspettare. Percorse la sala fino ad arrivare al tavolo delle ragazze e guardandola negli occhi le disse:
«Puoi venire un attimo con me?»
Lei invece esitò. Doveva sembrarle un pazzoide bipolare, visto che neanche dieci minuti prima le aveva a malapena rivolto uno sguardo. Sveva si alzò. Mentre la guidava verso il giardino non osò guardarla, ma sentiva il calore emanato dal suo corpo e le sfiorò la mano più volte. Fece scattare la porta, la lasciò passare e se la richiuse alle spalle. La serata era di quelle perfette, l’aria tiepida carica del sapore dell’estate ormai prossima, le lucciole che danzavano tra le aiuole ancora in progettazione.
«Che succede?» chiese lei con la sua aria dolce e decisa.
Kieran fece alcuni passi verso di lei, braccandola fino a che non fu con le spalle contro la parete. Poggiò le mani ai lati della sua testa, il muro era fresco e ruvido sotto i suoi palmi. Lei capì. Le pupille si dilatarono un poco e il respiro le si fece più corto. Aspettava, aspettava solo lui. Il fuoco divampò dentro simile ad un incendio violento e improvviso appiccato dagli occhi consapevoli di lei che gli chiedevano di farlo.
Si abbassò e premette le labbra su quelle di Sveva. Un attimo dopo la stava schiacciando con tutto il corpo contro la parete. Infilò la lingua ad esplorarle la bocca. Lingua contro lingua in una danza prepotente. Le mani di Sveva percorsero la sua schiena, gli accarezzarono la nuca e si intrecciarono ai suoi capelli. Ricambiava il bacio con la sua stessa urgenza, ansimando un poco, portandolo al limite.
Fece scorrere una mano sotto la sua gonna, fino a raggiungere il triangolo delle sue mutandine. Sveva si irrigidì un poco.
Kieran si staccò. Stordito e ebbro, non aveva pensato al fatto che fossero in mezzo alla strada. In un giardino privato, per il momento ancora interdetto agli avventori del bar, ma pur sempre all’aria aperta. Probabilmente lei non si sentiva a suo agio ad andare un po’ oltre in quel luogo.
Si accostò di nuovo, mordicchiandole il labbro inferiore. Lui stava impazzendo, aveva tutto il corpo teso e pulsante. Altri due minuti avvolto da quel profumo e non sarebbe più riuscito a controllarsi.
La lasciò libera per permetterle di sistemarsi la gonna; lui stesso cercò di ritrovare un barlume di lucidità, si passò le mani tra i capelli.
«Buonanotte, Sveva.»
E aprì la porta.

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Capitolo 17
*** 16 ***


16


Buonanotte?!
Sveva mosse qualche passo verso Kieran, per metà già dentro al bar.
«Dove credi di andare?»
Infilò le dita nei capelli per smuoverli e sistemarli. Quel bacio…dio, era stato fantastico. Urgente ma allo stesso tempo delicato, l’aveva avvolta come un’ondata d’acqua calda che cadendo su di lei aveva sciolto tutte le riserve. E ne voleva ancora, sebbene si fosse fermata perché stava letteralmente perdendo il controllo.
Kieran si bloccò e fece un passo indietro. Richiuse la porta e respirò profondamente mentre la accarezzava tutta con gli occhi lasciandole una scia di fuoco sottopelle. Lo sguardo era quello di un predatore pronto ad attaccare la sua preda.
«Mi stai facendo perdere la testa, Sveva…»
Capiva bene di cosa stesse parlando ma lei non aveva apprezzato molto il suo modo di fare quando era arrivata al bar.
«Poco fa mi hai a malapena salutata e adesso questo» si umettò le labbra, sentendo ancora il sapore di Kieran in bocca. «Che ti prende?»
Kieran spostò lo sguardo di lato, sorridendo per qualcosa che solo lui poteva capire. Sorrise anche lei, di riflesso, perché il suo viso era così bello quando lo faceva e si sentì piena di un’emozione forte che stringeva nello stomaco.
«Niente, è solo che…»
Sembrava essere in imbarazzo. «Solo che?» lo incalzò. Incrociò le braccia al petto. Non se la sarebbe cavata tanto facilmente, ci era rimasta malissimo.
Lui avanzò di un passo, l’arpionò per le braccia e le sue labbra morbide e calde furono di nuovo su di lei. Le mani grandi e forti le accarezzarono la schiena, lente e sensuali, fino ai glutei, schiacciandola contro la sua erezione. Non voleva reagire così, ma il suo corpo la pensava diversamente. Il suo corpo desiderava essere riempito da Kieran. Calore e piacere si sprigionarono dal ventre verso tutto il corpo. Gli mordicchio il labbro.
«Kieran…»
«Andiamo a casa mia.»
Sveva fece scorrere le dita sul suo volto cesellato alla perfezione. Sì, le urlava il suo corpo; no, le diceva la testa. Voleva sapere che cosa gli passasse per la testa, tutto il resto poteva aspettare.
«A casa tua, se preferisci. Basta che andiamo via di qua.»
«Prima rispondi.»
Kieran sospirò e la lasciò andare. «Possiamo parlare dentro, per favore? Qui non riesco a controllarmi.»
Sveva annuì ed entrarono, Kieran si teneva dietro di lei, distanziato di qualche passo. Trovò un divano libero e si sedette; lui prese posto dal lato opposto, il corpo teso nello sforzo di restare immobile nel suo cantuccio. Accavallò le gambe e scostò i capelli da un lato, lasciando scoperto il collo. Kieran osservava rapito ogni suo movimento e questo la eccitava, sentiva di avere il completo controllo della situazione.
«Stasera hai deciso di mandarmi al manicomio.»
«Magari dopo.»
Lo scintillio negli occhi del calciatore le fece capire che aveva apprezzato molto quella risposta.
«Allora, che ti è preso prima?»
Kieran si guardò intorno, arrabattando una risposta che, era chiaro, lo metteva a disagio. «C’è stato un fraintendimento. Ho creduto che tu fossi incinta.»
Sveva strabuzzò gli occhi. «Io? Da dove è venuta fuori questa credenza?»
Sapeva che Valentina aveva già dato la notizia a Enrico, perché voleva affrontare la situazione con il suo supporto, ma, se anche suo fratello glielo avesse già detto, come aveva fatto a fraintendere? In quel momento il volto di Kieran divenne serio.
«Stamattina, nel tuo ufficio, ho guardato le analisi. Credevo fossero tue.»
«Hai guardato le analisi? Kieran, sei impazzito? Sono documenti privati e riservati!» sbottò lei, sentendo la rabbia montarle dentro. Come si era permesso di leggere delle analisi che non erano sue?
«La ragazza aveva detto che erano tue, e quando ho visto Test di gravidanza mi sono incuriosito e ho letto il risultato.»
«Anche se fossero state mie, sarebbero state riservate lo stesso.»
Lui allargò le braccia. «Lo so. Non sono riuscito a fermarmi.»
Sveva prese un respiro profondo cercando di calmarsi. «Kieran, hai fatto una cosa gravissima.»
«Ok, lo so, ho sbagliato. Adesso però non cominciare con questo atteggiamento da perfettina, bacchettona che non fa mai errori. Ero venuto per chiederti di uscire a cena con me, stasera. Anzi, volevo invitarti a casa mia.»
L’irritazione di Sveva crebbe a dismisura quando udì le parole “perfettina” e “bacchettona”, ma calò bruscamente quando la sua mente registrò la frase “invitarti a casa mia” e le implicazioni che comportava. Tutta l’eccitazione che si era spenta dopo la sua confessione eruttò con prepotenza. Inarcò un sopracciglio, le spalle che cominciavano a rilassarsi di nuovo.
«E poi? Quindi non hai ricevuto nessuna telefonata, hai visto le analisi e sei scappato.»
A ricordarsi bene, Kieran aveva il volto cinereo quando l’aveva salutata e una gran fretta di andarsene. Non ci aveva badato solo perché era stata felicissima della sua visita.
Kieran annuì. «Ero infuriato.»
«Per quale motivo?»
«Non so se lo hai capito, ma mi piaci.»
«Se fossi stata incinta non ti sarei piaciuta più…»
«No, non è quello. Non saresti stata libera, saresti stata con un altro uomo. Ma» la sua mano scivolò sul divano fino a raggiungere quella di lei. Sfiorò le lunghe dita morbide con i polpastrelli «è stato solo un fraintendimento e adesso ti sto invitando a casa mia per un drink.»
Sveva guardò le loro mani, poi lui, mordicchiandosi il labbro. Si sporse nella sua direzione. «Un drink potresti offrirmelo anche qui. Ma adesso si sta facendo tardi e domani mattina devo andare al lavoro.» Portò il viso a pochissimi centimetri da quello di lui. «Buonanotte, Kieran.»
«Aspetta, te la sei presa perché ho visto le analisi? È una stupidaggine, dai.»
Kieran la tallonava mentre lei percorreva la sala diretta verso Valentina ed Enrico. Si voltò.
«Non è una stupidaggine, ma per questa volta faccio finta che non sia successo niente.»
Lui avvolse le dita attorno al polso di Sveva. I suoi occhi stupendi la catturarono e l’odore intenso muschiato le riempì le narici, a ricordarle che poco prima quelle mani l’avevano accarezzata nei posti più nascosti, quegli occhi l’avevano mangiata e quel profumo le aveva fatto perdere la ragione. Ebbe la tentazione di gettarsi tra le sue braccia.
«Lo bevi un drink con me, qui, adesso?» con lo sguardo la supplicava di restare.
Sorrise e fece schioccare la lingua tra i denti, mentre scuoteva il capo. Il gioco cominciava a piacerle parecchio. Fece per andarsene ma Kieran la trattenne, applicando una leggera pressione con la mano.
«Almeno mi permetti di passare a prenderti per la festa di Valentina domani sera?»
«Permesso accordato.» si alzò sulle punte e poggiò la bocca sulla guancia di Kieran, a un soffio dalle sue labbra. Un solo piccolo movimento verso sinistra e si sarebbero incontrate di nuovo. Vi impresse un bacio con un movimento lento e sensuale. «A domani.»

 

Ciao a tutti!
Come state? Come vanno le cose? Volevo dare a chi segue la storia una piccola informazione di servizio. Ho creato una pagina INSTAGRAM interamente dedicata alla storia, con immagini dei personaggi, estratti e altre novità. Seguitemi (ovviamente ricambio!) a @essenzadirose_. Inoltre ho ripreso a pubblicare sul blog, anche lì con curiosità riguardanti la storia e me. Mi trovate a questo indirizzo
Fatemi sapere sempre cosa ne pensate della storia, le vostre opinioni sono importanti per me. 
Vi voglio bene!

Danila 

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Capitolo 18
*** 17 ***


17


Un’ultima spazzolata ai capelli, le dita passate attorno al contorno labbra per togliere eventuali sbavature del rossetto color prugna metallizzato, due gocce di profumo.
Sveva fece un sorriso al suo riflesso nello specchio. L’abito attillato beige, dalla generosa scollatura, si poggiava aggraziato sulle sue curve, coprendola fino a metà coscia. Raccolse lo scialle poggiato sul letto, infilò il cellulare nella borsetta ed era pronta per la serata.
Ad aspettarla c’erano Christian e sua moglie Francesca. Kieran l’aveva chiamata nel tardo pomeriggio dicendole che aveva avuto un contrattempo col suo agente e che l’avrebbe raggiunta alla festa.
Si aspettava tanto dalla serata. Non aveva dormito molto a causa della forte eccitazione che le mani e la bocca di Kieran le avevano lasciato addosso. Aveva fantasticato di averle in ben altri posti ed era rimasta così accaldata per gran parte della giornata. Si chiedeva, sorridendo al pensiero, se avrebbero resistito fino alla fine della festa o sarebbero scappati via prima.
Francesca era una donna bellissima dalla carnagione olivastra, i capelli neri lucenti e gli occhi scuri. Con Sveva aveva un rapporto amichevole che era andato costruendosi nel tempo; erano partite da un’iniziale antipatica di Francesca per Sveva, preoccupata del fatto che tra lei e Christian potesse esserci ancora qualcosa, ad una crescente ammirazione, trasformatasi poi in affetto reciproco.
Le due donne entrarono nel locale chiacchierando del lavoro e delle due figlie di Chirstian e Francesca, due graziose bamboline di sette e quattro anni. C’erano ancora pochissimi invitati; Enrico sarebbe arrivato con la festeggiata solo dopo averla portata a una esposizione privata su un artista contemporaneo di Berlino che Valentina amava moltissimo, anch’essa organizzata da lui all’insaputa della fidanzata. Quel genere di cose erano proprio da Enrico, faceva sentire speciali le persone che amava.
Sveva prese posto vicino al bancone, e se ne stette un po’ lì da sola, con l’impaziente desiderio di rivedere Kieran. Salutava le persone che le passavano vicino, qualche discorso gettato lì senza impegno, sorrisi di circostanza mentre sorseggiava un cocktail alla frutta color pesca e spostava in continuazione lo sguardo verso l’ingresso, facendo dondolare meccanicamente il piede, unico evidente segnale della sua irrequietezza.
«Chi aspetti?» le chiese Christian, accostandosi.
«Cosa?» Fece finta di non capire. Passò in rassegna mentalmente i segnali che l’avevano smascherata agli occhi di Christian, al quale non sfuggiva mai nulla.
Non poteva e non sapeva tenere nascosto qualcosa a Christian troppo a lungo, lui la conosceva probabilmente anche meglio di come credeva di conoscere se stessa. Le si parò davanti con un sorriso furbesco e l’espressione di chi la sa lunga.
«In macchina c’era Francesca e non ti ho chiesto niente, però adesso me lo puoi dire per chi ti sei messa in tiro. Guardi in continuazione verso la porta e il tuo piede ha le convulsioni.»
Ah, il piede. Lo bloccò immediatamente. «Siamo ad una festa, Chri. Dovevo venire in tuta da ginnastica?»
«No. Ma per me non ti sei mai fatta così bella.»
Sveva scoppiò a ridere. «Sai benissimo che non è vero. Mi sono sempre fatta bella anche per te.»
Lui cercò di mantenere un tono semiserio, ma gli occhi tradivano un certo divertimento. «Sono offeso Sveva, stai frequentando qualcuno e non mi dici niente?»
«Ma ti pare! Quando avrei avuto il tempo di cominciare a frequentare qualcuno?»
«Beh, sai, le cose possono accadere all’improvviso. Anche in Svezia, per esempio.»
A Sveva andò di traverso il cocktail. Tossì, proprio nel momento in cui una mano si poggiava sulla sua spalla. Si voltò con gli occhi pieni di lacrime per lo sforzo di evitare un secondo colpo di tosse. Davanti ai suoi occhi c’era Serena. Lanciò un’occhiataccia a Christian che rideva soddisfatto, come se avesse ottenuto le risposte che cercava.
«Ciao Serena.»
«Ciao Sveva! Hai un vestito super bello, sai? Come stai?»
Sentì l’alito caldo di Christian solleticarle l’orecchio. «Tranquilla, quando ti vedrà rimarrà stecchito», poi le labbra lasciarono un bacio sulla guancia, e lei lo vide allontanarsi.
«Sto bene, grazie. Sei venuta con Alessio?»
La ragazza si sedette sullo sgabello accanto a lei. «Oh, no. No, no, ci siamo lasciati.»
«Cavolo, mi dispiace» disse Sveva, anche se Serena non sembrava particolarmente abbattuta.
Lei fece un gesto con la mano dalle lunghe unghie nere. «Tranquilla, c’è già un altro… uomo.»
Accentuò l’ultima parola con lo sguardo fisso verso l’ingresso.
«Davvero?» chiese Sveva, per poi voltarsi a vedere cosa avesse catturato l’attenzione di Serena.
E in quell’istante tutto cessò: la sua impazienza, la sua noia, la testa piena di pensieri. Persino il cuore sembrò mancare diversi battiti. Kieran era appena entrato, fermato da un gruppo di amici, e faceva saettare lo sguardo tra la gente fino a quando non incontrò il suo. Si sorrisero, e il sorriso di Kieran era carico di promesse peccaminose.
Indossava una camicia bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti, i primi due bottoni aperti e i capelli lasciati sciolti, con alcuni riccioli che si infilavano nel colletto. Capì che anche Serena stava guardando nella sua stessa direzione.
«Kieran? Non è troppo grande per te?»
Serena attorcigliò una ciocca di capelli al dito. «Forse un po’, però quando eravamo a casa sua mi ha fatto capire che…»
Sveva cominciò ad avvertire del disagio. La gola divenne improvvisamente secca. «In che senso?»
Serena si fece più vicina. «Non lo dire a nessuno, però noi in Svezia ci siamo baciati.»
Doveva aver assunto un’espressione davvero strana, come il macigno che improvvisamente le era piombato sullo stomaco, poiché Serena cercò subito di giustificarsi.
«Lo so, io stavo con Alessio, ma è stato più forte di noi, capisci?»
Cercò di curvare la bocca in un sorriso ma ne venne fuori una smorfia informe. «E quando è successo di preciso?»
Prima o dopo il loro momento davanti alla porta d’ingresso? Prima o dopo la bellissima giornata trascorsa a Goteborg? L’ombra di un passato non troppo remoto cominciava a estendere i suoi scuri tentacoli nell’animo di Sveva. I tentacoli dell’insicurezza.
«La prima sera, nel suo bagno.»
Non ascoltò coscientemente, aveva già afferrato la borsa pronta ad andarsene. Ma era troppo tardi, lui le aveva raggiunte.
 
***
 
Kieran si liberò in fretta degli amici che lo salutavano e si diresse da Sveva. Era molto rammaricato del fatto che non fosse potuto passare a prenderla, ma quel dannatissimo agente gli aveva sottoposto alcune offerte importanti da parte di club prestigiosi e ne avevano dovuto parlare per forza, poiché la società ne stava prendendo in considerazione una. Il prospettarsi di un possibile cambio di squadra di lì a qualche settimana lo aveva messo in uno stato di forte agitazione. Non voleva andare via, soprattutto non ora che nella sua vita era arrivata lei.
Le circondò i fianchi con un braccio e dovette trattenersi per non baciarla sulle labbra. Poggiò invece le labbra sulla sua guancia morbida che profumava di lei, di quel suo odore che gli era rimasto impresso per tutta la notte.
Quando Sveva alzò gli occhi verso i suoi, però, capì che c’era qualcosa che non andava. Non brillavano più di felicità come poco prima, erano spenti, quasi risentiti. Aggrottò la fronte in un invito silenzioso a spiegarle cosa le stesse succedendo, e avvertì la mano di Serena che si chiudeva sul suo braccio.
«Kieran, puoi venire un attimo con me? Devo dirti una cosa.»
«Che vuoi, Serena?» disse brusco, non riuscendo a trattenere il moto di stizza che teneva dentro. Aveva capito che la ragazzina c’entrasse qualcosa con l’improvviso cambio di umore di Sveva.
«Vai pure.» Sul volto di Sveva c’erano i segni della tristezza che stava avanzando. La vide scendere dallo sgabello e andare via, senza più guardarlo.
«Cosa c’è?» ripeté ancora alla ragazza, senza più nessun controllo sul suo cattivo umore, anche se lei non fece una piega. Anzi, lo sguardò da sotto le ciglia, col fare civettuolo, e gli accarezzò di nuovo il braccio.
«Non qui.»
Non aveva mai incontrato una ragazza tanto sfacciata come Serena, men che meno qualcuno che non si intimidisse quando tirava fuori la sua natura aggressiva. Se non l’avesse accontentata non se la sarebbe mai tolta dalle scatole. Le fece segno di incamminarsi.
Si diressero verso l’uscita laterale, infilandosi nello stretto passaggio tra le persone che sostavano lì. Serena continuò a camminare fino a che non furono gli unici due a percorrere quel vicolo.
«Serena…» Kieran cominciava ad averne abbastanza.
Lei scostò la lunga chioma, a scoprire tutta la schiena, e guardò Kieran da sopra la spalla. «Siamo quasi arrivati.»
Fermo nel vicolo, le mani in tasca, Kieran chiuse gli occhi e abbassò la testa sospirando. Non doveva dirgli proprio un bel niente, le intenzioni di Serena erano ben altre. Anche lei si fermò e tornò indietro, piazzandosi a un soffio da lui.
«Ho lasciato Alessio.»
«Non sono affari che mi riguardano.»
«Mi sembrava di aver capito che fosse l’unico impedimento.» Le mani corsero sulla sua camicia a slacciare un bottone.
«Ferma» disse lui, scostandole. «Serena, io non ho intenzione di fare niente con te.»
Lei ridacchiò e portò le mani più giù, sulla patta dei suoi pantaloni. «Nel tuo bagno non sembrava proprio così.»
Kieran afferrò il polso di Serena e strinse forte. Il fatto che quella ragazzina avesse potuto rovinare la sua serata con Sveva per giocare a fare la donna di mondo lo mandò su tutte le furie.
«Che cosa hai detto a Sveva?»
«Le ho detto di noi.»
In un altro momento le avrebbe dato una lezione di quelle che non avrebbe scordato più. Voleva giocare col fuoco? Non aveva neanche idea di quanto potesse bruciare e fare male. In un altro momento le avrebbe fatto vedere come reagivano certi uomini a quel tipo di provocazioni. Strinse fino a che non vide scomparire dal suo viso quell’odioso sorrisetto sfrontato per lasciar posto alle prime avvisaglie di paura.
«Ragazzina, non giocare in questo modo con gli uomini o finirai per farti male.»
La lasciò andare e partì a grandi falcate verso il locale. Varcò la porta proprio nel momento in cui si spegnevano le luci e Valentina faceva il suo ingresso. Uno scoppio di grida, le luci che invadevano di nuovo l’ambiente e le casse che sputavano fuori una musica dance. Il caos. C’erano i coriandoli, la calca degli invitati verso la festeggiata e lui che scansava la gente senza nessuna accortezza per poter raggiungere Sveva. Ma dov’era?
Non poteva essersene andata, doveva parlarle, spiegarle il malinteso. Tirò fuori il cellulare, ma poi la vide e preferì che fosse andata a casa: era con Mark. Se ne stava seduta a ridere e flirtare, mentre lui le diceva cose all’orecchio. Immobile, Kieran rimase a fissarla, non potendo credere a ciò che stava vedendo.
Si agitavano in lui rabbia e gelosia, e stava per perdere quel briciolo di lucidità che gli era rimasta, pronto a prenderla di peso e portarla via di lì, quando notò che Sveva si rivolgeva a qualcun altro, coperto alla sua vista dalle persone in piedi lì davanti.
Era Alina, la moglie di Mark. Sentendosi già più sollevato, li raggiunse.
Ma niente, Sveva non lo degnava di uno sguardo. Non volendo risultare troppo oppressivo, decise di lasciarla stare, anche perché si sentiva molto agitato e sapeva che in quello stato d’animo avrebbe solo peggiorato le cose. Con la scusa di voler salutare la festeggiata si allontanò e rimase da solo per tutta la festa, osservandola da lontano mentre lei si impegnava a far finta che non esistesse.
Il fatto di non sapere cosa avesse detto Serena a Sveva lo mandava in bestia. Le ho detto di noi, ma che cosa di preciso? Il film che si era costruita nella sua testa o quello che realmente era accaduto?
Che poi, la risposta a tutto era niente. Non era successo niente di niente. Ma come avrebbe spiegato a Sveva che si era trattato di un enorme, stratosferico malinteso e che era stato solo il frutto dell’immaginazione di una ragazzina?
Fu solo quando la vide andare via che decise che l’avrebbe raggiunta a casa, per spiegarle ogni cosa.

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Capitolo 19
*** 18 ***


18


«Sveva.»
Dallo sportello di una Ferrari nera sbucò la testa di Kieran. Scese dall’auto e a grandi falcate la raggiunse, mentre lei guardava allontanarsi il suv nero di Christian.
«Che ti è preso stasera?»
Negli occhi, un po’ arrossati, c’era qualcosa di molto simile alla tristezza. Sveva lo fissò per qualche secondo, poi entrò nel portone. Non gli chiese di andarsene, tanto non lo avrebbe fatto, e lasciò che la seguisse. Quella visita inaspettata la stava costringendo a fare subito i conti con una domanda che l’aveva tormentata per tutta la sera: cosa c’era tra lei e Kieran?
«Perché non mi parli?»
Sveva camminò svelta fino all’ascensore e schiacciò il pulsante. Non aveva nessuna intenzione di iniziare una conversazione nell’atrio del palazzo in piena notte. Le porte si aprirono e la sua immagine, insieme a quella di Kieran dietro di lei, si riflesse nello specchio. Abbassò subito lo sguardo, evitando di incrociare quello di lui che riusciva a sentire fisso su di sé, ma i suoi occhi scuri, selvaggi, non le davano scampo, attirandola come un’improvvisa fonte di luce nel buio più profondo.
Eppure continuava a chiedersi che senso avesse, quale significato dovesse attribuire al loro bacio. A quanto pareva era stato speciale solo per lei, mentre lui se ne andava in giro a baciare chiunque, e non si era lasciata alle spalle una storia dolorosa per vivere altri drammi o complicazioni. Senza accorgersene si era creata delle aspettative troppo alte, aveva lasciato fantasticare troppo la sua mente e adesso pagava lo scotto del ritorno alla realtà.
Kieran la scrutava, giocherellando con la chiave della macchina. «Ti facevo una persona più matura, Sveva. Ti stai comportando come una ragazzina.»
Uscirono sul pianerottolo. «Non è così che ti piacciono?»
Udì il sospiro sonoro di Kieran mentre apriva la porta e entrava, voltandosi poi a guardarlo.
«Cosa ti ha detto Serena? È di questo che si tratta, vero?»
Lei scosse la testa. Serena le aveva soltanto fatto aprire gli occhi. «Kieran, tra me e…»
Lui coprì la distanza che li separava, adirato per la piega che stava prendendo quel discorso. «Sveva, che cosa ti ha detto Serena?»
L’indignazione che covava dentro esplose. «Come hai potuto fare una cosa simile a un tuo amico? Hai baciato la sua ragazza! E per di più mentre erano tuoi ospiti.»
Un sorrisetto amaro comparve e scomparve in fretta sulle sue labbra mentre scuoteva il capo. «È questo che ti ha detto? Non ho baciato nessuno.»
«L’hai illusa. Lei ha creduto che tra voi potesse esserci qualcosa e invece tu volevi solo divertirti.»
Le sopracciglia di Kieran schizzarono in alto. «Se avessi voluto divertirmi avrei fatto ben altro quando me la sono ritrovata mezza nuda nel mio bagno. Credimi, mi sono comportato fin troppo bene con lei.»
«Ma è una ragazzina Kieran, non hai un po’ di buonsenso?»
«Sai che c’è, Sveva? Tu non sei nella posizione di fare la morale a me, visto che proprio a casa mia hai baciato un uomo sposato.»
Sveva si irrigidì, arrossendo violentemente come non le succedeva da tempo. «Come…?»
«Vi ho visti» sentenziò Kieran.
Pur vergognandosi, riassunse un’aria decisa e lo guardò dritto negli occhi. «Questo non cambia il fatto che tra me e te non è successo niente e che non è necessario prendersela o discutere di queste faccende. Facciamo finta che quel bacio non ci sia mai stato.»
«Quindi è questo che fai, ti piace baciare le persone e poi fare finta che non sia successo. Scommetto che hai detto la stessa cosa a Mark. Lo fai perché ti senti sola e ogni tanto hai bisogno di affetto o solo perché ti piace provocare?»
C’era del risentimento nella sua voce, e dall’espressione beffarda del suo viso si rese conto che per lui non era stato solo un bacio e sapere che Sveva considerava l’accaduto meno di niente lo stava ferendo. Ma che doveva dire? Lei era terrorizzata dalla situazione che si stava creando, voleva soltanto proteggere se stessa da un’altra possibile delusione. Sbuffò e si passò le mani tra i capelli. «Non è come credi.»
«E allora com’è?»
«Stiamo discutendo per una cosa insignificante.»
Si rese conto di aver peggiorato la situazione nel momento stesso in cui la frase aveva oltrepassato le sue labbra ma ormai era troppo tardi, Kieran era partito come una furia, a pochissimi centimetri dal suo volto. «Ieri però non ti sembrava così insignificante mentre ti baciavo , ti toccavo, e con gli occhi mi imploravi di scoparti!»
Lo schiaffo fu talmente forte da risuonare nella stanza e bruciarle il palmo della mano. Kieran rimase impassibile, serrò le labbra e guardò in basso, traendo un respiro lento e profondo.
«Vattene. Immediatamente.» La sua irriverenza aveva raggiunto livelli che non era più disposta a tollerare. Anche se lei lo aveva ferito lui non aveva nessun diritto di dirle certe cose e di rivolgersi con quel tono.
Quando Kieran alzò di nuovo lo sguardo su di lei era furente. Girò sui tacchi e spalancò la porta, mentre Sveva rimaneva in piedi, le braccia incrociate al petto e la rabbia mischiata a vergogna e senso di colpa che scorreva violenta nelle vene, pompata dal battito furioso del cuore.
Ma non uscì. Richiuse la porta con uno scatto forte, facendo tintinnare gli oggetti poggiati sulla colonnina lì vicino, e si voltò.
«Ho avuto una giornata di merda, oggi, ma ero felice perché sapevo che avrei trascorso la serata con te. Era l’unica cosa che volevo, Sveva, ma tu hai preferito credere a una ragazzina e rovinare tutto.»
Sveva lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e sperò con tutta se stessa che Kieran non si avvicinasse o lei lo avrebbe baciato mandando in frantumi tutti i suoi propositi. Quella passione e quella furia erano qualcosa di incredibilmente affascinante. Non fiatò, incantata dalla figura impetuosa che riempiva tutta la stanza pur rimanendo immobile vicino alla porta.
«Possibile che tu sia sempre così razionale? Hai avuto il coraggio di dire che il bacio di ieri è stato insignificante, ma io so che non è così. Per me non è stato così. È stato bellissimo, incredibile, e come vedi non ho paura di dirtelo, non mi sto tirando indietro solo perché la ragione mi potrebbe dire che sto per fare una grandissima cazzata. Io seguo l’istinto, seguo quella cosa nello stomaco che mi spinge a osare. Se non lo avessi fatto non avrei mai provato la sensazione delle tue labbra sulle mie, non avrei mai sentito quello che ho sentito ieri sera, e che hai sentito anche tu. Vuoi vivere una vita arida? Prego, accomodati pure, ma non definire mai più quel bacio insignificante, perché di insignificante non aveva proprio niente.»
La stava mettendo di fronte alle sue debolezze e alle sue paure. Aveva ragione, era stato incredibile, ma la testa la spingeva a riconsiderare tutto, le ricordava che certe cose potevano fare davvero male. Abbassò gli occhi per nascondere a Kieran quel terribile tormento, scelte ragionate o impulsi del cuore, della carne che desiderava soltanto il contatto con quel burbero uomo sanguigno che aveva di fronte. Era l’opposto di lei, viscerale e poco incline ad assecondare i pensieri razionali, e la faceva sentire nuda e vulnerabile sotto al suo sguardo di braci ardenti.
Kieran la raggiunse e le alzò il viso tenendole due dita sotto al mento. «Avrei voluto solo farti stare bene, mi dispiace che sia andata così.»
Ma non poteva andare via, lei non voleva che se ne andasse.
Si slanciò verso Kieran nel momento esatto in cui le dita di lui lasciarono la sua pelle, e lo baciò come se da quel gesto dipendesse tutta la sua vita. Aveva visto affievolirsi quel fuoco nei suoi occhi che la faceva sentire viva e si era aggrappata a lui con disperazione, un’urgenza, un bisogno impellente di sentire col cuore.
Kieran si lasciò andare, affondando le mani nei suoi capelli e riempiendole la bocca con la sua lingua, esplorandola, divorandola, affamato quanto lei.
«Stavolta non me ne vado», sussurrò al suo orecchio, poggiando le labbra all’angolo dietro di esso.
Sveva gettò la testa all’indietro. «E se io non volessi?»
Kieran si tirò indietro per guardarla negli occhi. Sveva gli slacciò i pantaloni, liberando il suo sesso turgido e pronto per poi stringerlo tra le dita. Lui trattenne il fiato.
«Stronza» sibilò, afferrandola per le gambe, strappandole il vestito che cominciò ad allargarsi sulla coscia.
Sveva si aggrappò a lui. «Andiamo in camera.»
«Dopo.»
Kieran l’adagiò sul divano, le tirò su la gonna e fece scorrere le mani lungo le sue gambe liberandola dalle mutandine. Sveva cercò di sbottonargli la camicia mentre lui si incuneava tra le sue pieghe, riempendola tutta con delicatezza, lasciando che il piacere prendesse il posto del desiderio, e a quel punto la danza dei loro corpi e gli ansiti si mischiarono ai baci, ai morsi sul collo e agli occhi incollati negli occhi fino al grido liberatorio dell’orgasmo, intenso e rapido, che li lasciò tremanti, sudati e ancora affamati.

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Capitolo 20
*** 19 ***


19


Kieran poggiò le labbra sulla spalla di Sveva, per poi aprire la bocca e mordicchiarla, imprimendo un segno sulla sua pelle rosea e morbida. Spostò la massa bionda di capelli dal collo e vi premette le labbra, lasciando una scia umida con la lingua mentre scendeva giù per la schiena e con la mano scostava le coperte per accarezzarle il fianco e intrufolarsi tra le gambe.
Il gemito che fuoriuscì dalle labbra di Sveva gli mandò una forte scossa di desiderio nelle vene, lei si mosse un poco permettendo alla sua mano di scivolare ancora più giù. Le dita la accarezzarono leggere nel punto più sensibile, la lingua percorse l’insenatura tra le natiche.
Sveva aprì gli occhi e sorrise a Kieran mentre la faceva girare e risaliva con la bocca verso i suoi seni. Durante la notte erano stati molto focosi e adesso lui voleva essere lento, assaporare ogni centimetro della sua pelle. Ma già sentirla agitarsi sotto di lui lo stava mandando fuori di senno. Smise di accarezzarla e infilò le dita in profondità, sentendola calda, scivolosa, già pronta per lui. Rubò il gemito che stava per uscire impadronendosi delle sue labbra. Lei si contorse un poco contro la sua mano, gli occhi socchiusi, portò le mani tra i capelli di Kieran per poi passare le dita sul volto, sugli occhi, sulle labbra di lui, giù lungo il collo. Kieran aumentò il ritmo, titillando con la lingua il capezzolo turgido, sentendola ormai sul punto di raggiungere il culmine.
Il suono del suo cellulare riempì la stanza. Kieran decise di ignorarlo, ma la consapevolezza di conoscere il mittente di quella telefonata lo fece fermare, piombando sulla sua eccitazione come una doccia gelata. Sveva gli bloccò la mano.
«No. Non ti fermare.»
«Mi dispiace, è importante.»
Scese dal letto, trovando il suo pantalone, insieme alla camicia e ai vestiti di Sveva, gettato sul pavimento. Frugò tra le tasche fino a trovare il cellulare che emise un ultimo suono e si zittì. Non si era sbagliato, era davvero il suo agente che lo chiamava. Lanciò un’occhiata a Sveva raggomitolata sotto alle coperte stropicciate che lo osservava con un broncio appena accennato sulle labbra. La voglia di infilarsi nel letto e sostituirlo con un sorriso di soddisfazione era tanta, ma schiacciò comunque il tasto di richiamata e uscì dalla camera.
Il freddo del pavimento servì a tenerlo bel saldo nei suoi propositi. Entrò in bagno e si guardò allo specchio mentre il suo agente rispondeva.
«Kieran, buongiorno, dove sei? A casa tua non c’è nessuno.»
«Ho dormito fuori. Dimmi.» Passò una mano tra le ciocche, sistemandole dietro le orecchie.
«Allora vedi di tornare a casa e renderti presentabile. Fra un’ora abbiamo un incontro con la società.»
«D’accordo.»
Strinse il telefono nella mano e chinò il capo, espirando forte. Aveva la sensazione che non ne sarebbe venuto fuori niente di buono, niente che rientrasse nei suoi reali desideri. Tornò in camera e raccolse i suoi vestiti. Sveva si era voltata di schiena e aveva chiuso di nuovo gli occhi. Le posò un bacio delicato sulla guancia. Le lunghe ciglia chiare tremolarono e poi si alzarono, scoprendo le bellissime iridi blu.
«Stai andando via?»
«Ho un appuntamento con il mio agente. Che ne dici se stasera andiamo a cena sul lago? Così poi potrò finire quello che ho iniziato poco fa.»
Gli angoli della sua bocca si sollevarono in un sorriso malizioso. «Mi piace questa idea.»
«Ottimo.» La baciò sulle labbra. «Ti mando la colazione a casa.»
E se ne andò, mentre si abbottonava la camicia, lasciando in quella stanza una buona parte della sua testa.
 
***
 
Era appena uscita dalla doccia quando il campanello di casa suonò e un cameriere comparve sulla soglia della sua porta. Aveva in mano un vassoio abbastanza grande da contenere la colazione per una settimana, notò. Lo posò sul tavolo della cucina mentre sul display del suo cellulare compariva il nome di Christian.
Si aspettava la sua telefonata dopo l’occhiata che le aveva scoccato quando aveva visto la macchina di Kieran fermarsi dietro alla sua, la sera precedente. A dire il vero si stava domandando perché non avesse ancora chiamato. Poggiò il dito sul vivavoce e la voce allegra del suo amico si propagò nell’ambiente.
«Ehilà, Sveva! Non è che per caso mi vuoi raccontare qualcosa?»
Lei sorrise mentre toglieva la carta argentata dal vassoio e scopriva ogni ben di dio. Kieran le aveva mandato una colazione all’americana, con tanto di pane tostato, bacon, uova, pancakes, frutta fresca e succo d’arancia.
«Nulla» rispose, «hai già fatto colazione?»
«Speravo di farla con te, così avresti potuto dirmi che ci faceva ieri sera Kieran Blom sotto casa tua.»
Il telefono mandò la notifica di una seconda chiamata, di Enrico. «Allora vieni da me, ti aspetto. Devo chiudere adesso, mi sta chiamando Enrico.»
«Arrivo tra dieci minuti.»
Sveva rispose al fratello. «Enrico, buongiorno.»
«Sveva sei a casa?»
«Sì, perché?»
«Ti va di venire a fare colazione con me e Valentina? Siamo dalle tue parti.»
Lanciò un’occhiata a tutto quel ben di dio che aveva sul tavolo. Le mancava fare una colazione all’americana completa e il pensiero di Kieran era stato carino. Lì ce n’era in abbondanza per tutti e poi aveva già dato appuntamento a Christian.
«Perché non salite da me? Ho già la colazione pronta» disse, e poi si fiondò a vestirsi quando il fratello rispose in maniera affermativa.
 
Christian prese una manciata di mirtilli e li infilò in bocca. «Quando hai preparato tutta questa roba?»
«Non l’ho preparata, me l’ha mandata Kieran.»
Tirò uno schiaffetto sulla mano dell’amico, già pronto ad afferrare qualche altra cosa. Lo aveva informato dell’arrivo del fratello e della sua ragazza e stavano aspettando loro per iniziare a mangiare. Dalla finestra della cucina arrivava un venticello caldo e carico del profumo dei fiori, che faceva svolazzare i tovaglioli sul tavolo. Sveva decise di chiuderla.
Christian sollevò le sopracciglia, osservandola mentre compiva l’operazione e sistemava il tavolo. «E che avete fatto ieri sera?»
«Niente, abbiamo parlato.» Cercò di assumere l’aria innocente. Con Christian non aveva mai avuto remore di nessun tipo, parlavano liberamente di tutto ma ancora non sapeva che significato attribuire a quello che stava vivendo e preferiva non sbilanciarsi troppo.
«Prima, durante o dopo avergli tolto i pantaloni?»
Sotto lo sguardo interrogativo di Sveva, indicò un punto ai piedi del divano, dove giaceva, come un serpente che se ne sta tranquillo al sole, la cinta nera di Kieran.
Sveva andò a raccoglierla e si mordicchiò il labbro inferiore, sorridendo al ricordo di quello che era successo sul divano.
«Prima» sospirò. «E, nel caso te lo stessi chiedendo, ha dormito qui.» Finì di arrotolare la cinta e la poggiò sull’appendiabiti.
«Ma tu non eri quella che “è un idiota, è un cafone, lo odio”?» fece lui, improvvisando un’imitazione della sua voce e scostando con la mano una ciocca di capelli immaginaria.
Gli puntò il dito contro, ridendo. «Non ho mai detto che lo odiavo.»
«Vieni qui.» Christian la circondò con le braccia e le diede un bacio sulla testa. «Sei felice?» Lei annuì, tenendo gli occhi chiusi e sentendo il battito regolare del cuore di Christian mentre lo stringeva. «È l’unica cosa che conta, adesso.»
 
Enrico suonò al campanello e Christian andò ad aprire. «Finalmente.»
«Ma tu sei sempre qua? Non ce l’hai una casa?» scherzò Enrico, entrando e salutando l’amico con una sonora pacca sulla spalla. «Sveva, ma si è trasferito qui?»
Lei salutò Valentina con due baci sulle guance. La ragazza stava benissimo, aveva un’aura luminosa intorno a sé e sprigionava felicità come una di quelle palle da bagno che sfrigolava serotonina al posto del sapone. Osservò il fratello, anche lui felice e rilassato e riuscì a percepire il vero significato del nome del suo locale. La sua Serotonyn era Valentina.
Sollevò le spalle in un gesto di scuse. «Avevo invitato prima lui.»
Si sedettero al tavolo, il buffet posizionato al centro.
«Cavolo, hai fatto tutta questa roba per Christian?» chiese Enrico, afferrando un toast.
Valentina si servì dei pancakes e Christian un po’ di tutto.
«Non l’ho preparato io.»
«Ah, mi sembrava strano, questa roba è squisita» si rivolse a Valentina, «devi sapere che mia sorella non sa cucinare.»
«Ma non è vero» provò ad obiettare lei.
«Mi dispiace ma devo dare ragione a tuo fratello» asserì Christian.
«Dove l’hai preso, il buffet? Al bar dietro l’angolo?»
Sveva cercò di ricordare il nome del bar che aveva visto sulla carta che avvolgeva il vassoio. Era quello all’angolo? O forse era quello sulla strada di fronte. «A dire il vero non lo so. Me lo ha mandato Kieran» disse infine, nascondendo il viso dietro al bicchiere di succo d’arancia per evitare lo sguardo del fratello.
«Ah, Kieran. Manca solo lui, in effetti. Dov’è?»
«Lo ha chiamato il suo agente e se ne è andato.»
«Era qui anche lui? Sveva ma che combini in questa casa?»
«Ci ha passato la notte» disse Christian in tono soave.
Sveva deglutì rumorosamente e rifilò un calcio alla gamba di Christian, e Valentina rimase con le posate a mezz’aria. Enrico ghignò.
«Non avete perso tempo.»
«Che c’è? Guarda che ce ne eravamo accorti tutti che tra te e lui stava nascendo qualcosa.» Christian si massaggiò lo stinco. «E poi siamo tra di noi, in famiglia.»
«Tu e Kieran? Wow, io non mi ero accorta di niente.» Valentina rivolse un sorriso caloroso a Sveva. «Mi fa tanto piacere, sai? Kieran è davvero una bella persona.»
«Sì, sì, bellissima» la interruppe Enrico «però noi siamo venuti perché volevamo dirti una cosa importante, Sveva, e visto che anche Christian è di famiglia, come ha appena sottolineato, vi comunichiamo che abbiamo deciso di tenerlo.»
«Che cosa?» chiese Christian stralunato; lui non era al corrente del bambino.
Sveva invece scattò in piedi e si gettò tra le braccia del fratello. «Oddio, è bellissimo!» esclamò, sentendo le lacrime calde bagnarle le guance.
E solo dopo che Christian fu messo al corrente poterono continuare quell’allegra e felice colazione in famiglia.

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Capitolo 21
*** 21 ***


21


A Goteborg l’aria si stava riscaldando. Nella villa di Kieran Sveva si era distesa a prendere il sole in piscina mentre lui faceva delle telefonate seduto con i piedi in ammollo e gli occhiali scuri, per proteggere gli occhi stanchi dal sole cocente di mezzodì. Lei osservava quel fisico scultoreo e quella bellezza rude, dai tratti marcati, quasi duri.
Se solo un mese prima le avessero detto che si sarebbe trovata in Svezia, a prendere il sole in una villa bellissima con un uomo altrettanto bello e virile lei non ci avrebbe mai creduto. E non era la persona di Kieran che le destava più incredulità, bensì il fatto stesso che fosse con un uomo e che provasse qualcosa per lui.
Kieran la faceva sentire di nuovo donna, dopo un lungo periodo in cui aveva dimenticato di volersi bene e di apprezzarsi. Aveva risvegliato la sua femminilità con la voglia insaziabile che aveva di lei. Il sole che le bruciava la pelle non era caldo come i baci che le dava Kieran e non la faceva sentire accaldata come le occhiate che le lanciava lui. Ma limitarsi alla chimica e all’attrazione fisica che c’era tra loro sarebbe stato riduttivo, Sveva ci teneva davvero tanto a lui e avrebbe voluto costruire un rapporto più solido. Si rendeva conto, però, che lui stava per partire e con le storie a distanza non era mai stata brava.
«Perché non vai a prepararti?» fece Kieran dopo aver chiuso la telefonata con Tony, l’agente. «Andiamo a pranzo fuori.»
 
La parte antica della città si ergeva su una piccola collina ed era fatta di stradine piene di ristorati e pub. Strabordava di vita. Giovani di ogni età che passeggiavano, formavano gruppetti davanti ai locali di street food, in un vociare continuo e gradevole. Kieran la portò in un ristorante che aveva dei tavolini fuori, in un piccolo spiazzo davanti all’ingresso, sotto a degli ombrelloni marroni. Lui si avvicinò ad una donna bionda e la baciò sulla guancia, come se avessero un appuntamento.
Sveva rimase ferma sulla strada, non sapendo se Kieran stesse solo salutando una conoscente e in ogni caso non volendo disturbare quel momento. La donna si alzò e lo abbracciò. Qualche parola in Svedese e lui si voltò a guardarla.
«Sveva, vieni, ti voglio presentare Helena.»
Helena la osservò mentre si avvicinava a loro. Sveva poté vedere che era una donna bellissima. Minuta, i capelli le scendevano sulle spalle in fasci mossi e voluminosi, gli occhi avevano una forma allungata che rendevano lo sguardo seduttivo e profondo ed erano azzurri.
«Helena non parla italiano, ma conosce l’inglese quindi non avrete problemi a comunicare.» Kieran pronunciò le parole in inglese, a beneficio di entrambe.
«Molto piacere», la donna prese la mano di Sveva e la strinse. Poi si rivolse a Kieran. «Sono felice che tu mi abbia invitato a pranzo, ma non sapevo dovessi raccontarmi una cosa del genere.»Iindicò Sveva e le rivolse un sorriso di sincera sorpresa. Il suo inglese era buono, sebbene con un accento svedese abbastanza forte.
Kieran lanciò un rapido sguardo a Sveva. «Non devo raccontarti niente, infatti. Lei è Sveva, la sorella di Enrico Romanini. È mia ospite in questi giorni. E, Sveva, lei è Helena, una mia carissima amica.»
Anche a lei non era stato detto che avrebbero pranzato con qualcun altro ma questo non la disturbò. Anzi, era molto felice di poter conoscere qualcuno della vita di Kieran lì, in Svezia.
Helena si rivelò una donna molto intelligente e simpatica. Kieran l’aveva invitata a pranzo per darle in anteprima la notizia del suo trasferimento e rivelarle alcuni dettagli contrattuali, affinché potesse scrivere un articolo per il suo giornale. Lei invece raccontò a Sveva degli anni in cui con Kieran erano diventati amici e di come fosse scapestrato lui da giovane. Come quella volta in cui si era reso conto di aver lasciato le chiavi di casa nel ristorante dove erano stati a cena mentre erano a passeggio per la città di Amsterdam e aveva rubato una bici per andare a recuperarle perché “tanto poi la riporto, Helena, la prendo solo in prestito senza il consenso del proprietario. Non ho bisogno di rubare questa bici quando potrei comprarmi la fabbrica intera.” E lo aveva detto cercando di imitare la voce di Kieran, ed era stata buffissima ma ci era andata molto vicina, a riprova del fatto che lo conoscesse davvero bene.
Dopo pranzo Helena non rimase con loro, aveva del lavoro da fare, ma si salutarono con la promessa di rivedersi presto. Pronunciò una frase in svedese a Kieran mentre lo salutava e i tre si separarono.
«Che ti ha detto?» la curiosità era tanta, anche perché aveva intuito che si stesse riferendo a lei.
«Ha detto che le piaci.»
Non che le servisse l’approvazione di qualcuno ma le fece piacere e sorrise.
«Anche a me piaci» Kieran la baciò sulle labbra e si sorrisero mentre si scambiavano qualche altro bacio. «Adesso ti porto in un posto bellissimo.»
«Dove?»
«Nel quartiere dove sono cresciuto.»
 
Di bellissimo quel posto non aveva molto. Si potevano vedere qua e là gli interventi delle politiche di recupero del quartiere periferico: qualche facciata tinteggiata di nuovo, i parchi per i bambini rimessi in sesto. Per il resto si percepiva nell’aria un senso di povertà e degrado. Dalle finestre dei balconi venivano fuori melodie di ogni parte d’Europa che non riuscivano a coprire le grida di donne infuriate coi figli o con i mariti. I bambini correvano per strada con i vestiti logori e i visi sudici. Sveva non era estranea a realtà di questo genere, a New York e a Milano la situazione era identica in alcune zone, ma non per questo vederlo era meno straziante. Soprattutto se considerava la vita che conduceva lei e tutti quelli che le stavano vicino, tra parenti e amici. Una vita fatta di agi, di lussi e a volte di sprechi.
Però sul viso di quei bambini c’era sempre la gioia.
Kieran si fermò davanti a un palazzo molto alto, grigio smorto, simile agli altri che lo circondavano.
«Vedi quel balconcino in alto a destra con la tendina verde attorno alla ringhiera? Lì abitavo io.»
«Per quanto tempo sei stato qui?» chiese Sveva dopo aver lanciato un’occhiata nel punto che le aveva indicato lui.
«Fino a quando non sono partito per l’Olanda, a giocare ad Amsterdam.»
«Eri felice come questi bambini?» per una qualche ragione nascosta alla sua mente conscia, lei voleva sapere che anche se aveva vissuto in quelle condizioni precarie era stato felice nella sua infanzia.
«Sì» ammise lui, e un sorriso dolce gli incurvò le labbra. Si incamminò lungo la strada. Un campetto di pallone si intravedeva a poche centinaia di metri. «Per me vivere qui era bellissimo. Alcuni miei amici vivevano in condizioni più misere delle mie, ma a noi importava solo poter uscire a giocare e avere un tetto sulla testa quando era ora di dormire.»
Sveva intrecciò le dita alle sue; Kieran portò la mano di Sveva alle labbra e poi la lasciò andare subito, infilando le sue in tasca.
«Ovviamente sono sempre stato ambizioso e il mio sogno di diventare un calciatore famoso non l’ho mai abbandonato. Quando giocavo nelle giovanili del Goteborg ci allenavamo tre volte a settimana e la domenica giocavamo la partita. Mamma non aveva la macchina e papà spesso era fuori per lavoro, quindi io andavo a piedi. Facevo una ventina di kilometri al giorno, andata e ritorno, anche se pioveva o nevicava. E ogni tanto rubavo qualche bici, quando ero troppo stanco per camminare» si girò e le sorrise. «Qui non c’era niente, questo campetto l’ho finanziato io per permettere ai ragazzi di giocare vicino alle loro case. Infatti porta il mio nome.»
Sveva notò una targhetta dorata vicino al cancelletto di ingresso al campo. «Un bel gesto per la tua comunità.»
«Peccato che questi ragazzini non siano per niente ambiziosi. Guarda me, io sono il classico esempio di come la determinazione e l’impegno costante possano portare ai risultati voluti.»
«Magari loro hanno altri sogni. Magari vogliono diventare medici.»
Si guardarono e si sorrisero. Kieran aveva però lo sguardo assente, forse perso nel ricordo della sua infanzia tra quei palazzi. Guardò lontano, oltre il campetto e la recinzione, oltre la fessura tra i due blocchi di cemento freddi da dove si poteva scorgere il sole che cominciava la sua discesa.
«E se ti chiedessi di venire con me in Inghilterra?» piantò gli occhi scuri in quelli di Sveva.
Lei si sentì gelare in tutto il corpo. Stava andando tutto così bene, lei era felice, Kieran si stava aprendo e le stava raccontando della sua vita, perché proprio quella domanda? Sapeva già che era impossibile, perché fargliela?
«No.»
Lui alzò un sopracciglio. «No? Senza pensarci neanche un attimo?»
«Ho un impegno di sei mesi all’università di Milano con il professor Turriani che non posso disdire, e poi credo che tornerò a New York. Non posso mollare tutto e venire con te in Inghilterra.»
«Con me non avresti bisogno di lavorare.»
«Ma io amo il mio lavoro, Kieran. Non ci rinuncerei mai. Prima hai parlato di sacrifici per raggiungere un obiettivo… beh, anche io ne ho fatti tanti per arrivare dove sono e di certo non mando tutto all’aria per…» si trattenne, non riuscendo a trovare la parola più adatta per definire la loro situazione.
«Per?» la sfidò lui.
«Per qualcosa che potrebbe non avere futuro. Siamo due persone adulte e razionali, sappiamo entrambi che non funzionerà. Tu andrai a vivere in un’altra nazione, non ci vedremmo mai e questa storia è appena nata…»
Kieran serrò la mascella ed estrasse il cellulare. Scrisse diversi messaggi, di cui uno a Sveva, che lesse sul suo schermo un indirizzo.
«Prendi un taxi e fatti portare a quell’indirizzo. Lì troverai il mio aereo privato che ti riporterà in Italia, ho appena dato disposizioni.»
Sveva deglutì. «Kieran, parliamone.»
«Sparisci, tu e la tua razionalità del cazzo.»
Si voltò. Sveva valutò se inseguirlo o meno. Dio, quanto odiava la sua impulsività! Era sicura che a mente fredda le avrebbe dato ragione, però in quel momento sarebbe stato inutile qualsiasi tipo di discorso. Non ci stava a vedere conclusa la loro storia in quel modo, e non aveva voluto sminuirla con il suo ragionamento, ma erano pur sempre delle persone adulte ed essere chiari non avrebbe dovuto scatenare una reazione del genere. Si incamminò tenendo sempre d’occhio la figura di Kieran davanti a sé. Magari gli sarebbe passata e ne avrebbero parlato con più calma.
Si accorse che aveva attirato l’attenzione di un gruppetto di bambini. Le si avvicinarono e le parlarono in svedese, probabilmente volevano dei soldi, come quei mendicanti alle stazioni che non ti mollavano fino a quando non lasciavi loro qualche spicciolo. Distrattamente frugò nella borsa in cerca del portafogli, non voleva perdere di vista Kieran e dunque doveva liberarsi di quei bimbi il prima possibile. Non fece in tempo a tirarlo fuori che quello era già sparito, tra le mani di uno di loro che iniziò a correre.
Sveva si maledisse mentalmente e partì all’inseguimento, ben conscia che non ce l’avrebbe mai fatta. Tutti i suoi documenti, le sue carte di credito e i soldi che le servivano per pagare il taxi stavano per essere perduti per sempre. Quella che doveva essere una vacanza per stare con Kieran e godersi gli ultimi giorni insieme si stava rivelando un disastro.

 

Buonasera gente! 
Volevo solo avvisarvi che da venerdì ho iniziato a pubblicare sul mio blog (danilacobain.wordpress.com) dei mini capitoli dedicati a Sveva e Christian e alla nascita della loro relazione quando erano adolescenti. So che molte di voi mi hanno mostrato apprezzamento per la figura di Christian e volevo dedicargli un piccolo spazio per conoscerlo meglio. Spero vi piaccia! Cercherò di aggiornarlo ogni venerdì. 
Mi piacerebbe tanto sentire i vostri pareri, a questo punto della storia. Che ne pensate? Chiariranno o lei sarà costretta a tornarsene in Italia? 
Vi abbraccio, 
Danila

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Capitolo 22
*** 20 ***


20


Per la serata al lago aveva scelto un’auto sobria, uno dei suoi SUV neri che pur essendo di lusso poteva passare tranquillamente inosservato. Dapprima Kieran aveva pensato di prendere la Porche, ma poi si era detto che non aveva bisogno di far colpo su Sveva, non era quel tipo di ragazza eccentrica che amava lo sfoggio del lusso. Le auto potenti erano un’altra sua grande passione e gli piaceva andarsene in giro per Milano esibendo le sue Ferrari esclusive a edizione limitata o l’ultimo modello della Maserati che aveva acquistato di recente. A che serviva essere uno dei calciatori più pagati al mondo se poi non poteva togliersi qualche piccolo sfizio?
Per quella sera però aveva intenzioni diverse, voleva dedicarsi una serata tranquilla, senza attirare troppo l’attenzione su di sé. Era stata un’altra giornata infernale, sentiva avvicinarsi sempre di più la sua partenza da Milano e tutto stava avvenendo così in fretta che non aveva avuto neanche il tempo di pensare a quanto invece stesse accadendo di bello nella sua vita.
Sveva era l’emozione positiva che bilanciava quella più cupa dovuta alla frustrazione e alla totale impotenza. E non poter avere il pieno controllo della sua vita lo mandava in bestia. Abbassò il volume della radio quando la vide uscire dal portone del palazzo. Era bella, incredibilmente bella. Aveva raccolto i capelli in una coda alta che le lasciava scoperto il viso delicato e le dava un aspetto elegante, raffinato. Il sorriso che gli rivolse mentre si accomodava sul sedile del passeggero gli fece quasi male. Presto si sarebbero dovuti separare, ma non era quello il momento di pensarci.
L’abitacolo si riempì del suo profumo e Kieran si sporse per baciarla.
«Come è andata la giornata?» chiese lei, i suoi occhi blu scintillavano sotto le luci a intermittenza dei lampioni.
«Avrei preferito rimanere a letto con te», lei sorrise. «Invece a te come è andata?»
«Sono rimasta a casa, ho letto dei saggi e preparato una bozza di un articolo per una rivista americana di medicina.»
«Scrivi spesso questi articoli?»
«Pubblico le relazioni sui miei studi in laboratorio, qualche articolo di approfondimento su alcune tematiche specifiche. Però preferisco lavorare in sala operatoria piuttosto che rimanere nell’ambito teorico.»
«A Milano però sei venuta ad insegnare, mi pare di aver capito.» Kieran voltò un secondo lo sguardo verso di lei mentre procedeva lungo la strada che li avrebbe portati al lago di Como.
«Sì, all’università. Il mio mentore, il professor Turriani, me lo chiedeva da anni e questa volta ho deciso di buttarmi e sperimentare anche l’insegnamento.»
«Io già immagino quei poveri studenti terrorizzati da te.»
«Perché dici così?»
«Perché sei esigente, Sveva, e non dire di no.»
«Ma nella nostra professione bisogna essere molto preparati. C’è in gioco la vita delle persone.»
Kieran le afferrò una mano e se la portò alle labbra. «Lo so, volevo solo prenderti un po’ in giro. Lo vedi? Prendi tutto sul serio, dovresti rilassarti di più.»
Sveva aprì la bocca per ribattere. Sapeva già cosa stava per rispondere, così inarcò un sopracciglio per sottolineare il fatto che lui avesse ragione e che lei non sapesse scherzare. Lei richiuse la bocca, trattenendo malamente un sorriso. Avrebbe voluto baciarla, ma si accontentò di sentire sulle labbra la pelle morbida della mano. La strinse ancora un po’, lasciando poi che scivolasse via dalla sua presa.
«Dove stiamo andando?»
«In un ristorante dove vado spesso, ha una terrazza che si affaccia sul lago ed è piccolo e riservato.»
Kieran adorava quel posto, soprattutto il terrazzino era molto intimo. C’erano solo quattro tavoli e il proprietario teneva le luci esterne abbassate per rendere l’atmosfera più suggestiva. Il mormorio del lago e l’odore tipico dell’acqua piena di vita contribuivano a creare un ambiente calmo e godibile, perfetto per rilassarsi dopo una giornata pesante. E poi si mangiava bene; ci era andato spesso con gli amici e qualche volta con Eve. Di sicuro sarebbe piaciuto anche a Sveva.
«Oggi ho ricevuto una telefonata da parte di tuo fratello», continuò lui, «voleva sapere come procedono le cose tra di noi.»
Lei rise ma probabilmente avrebbe voluto avere davanti Enrico per poterlo prendere a schiaffi. Poggiò il gomito sullo sportello e lasciò cadere la testa sulla mano aperta. «Voi non sapete proprio che cosa significhi la parola riservatezza.»
«Sei stata tu a dirglielo, non io.»
«È stato Christian in realtà.»
«E a Christian chi lo ha detto?»
«Ti ha visto ieri sera sotto casa. E poi lui è il mio migliore amico, gli racc…»
«Solo?» la interruppe lui, più duro di quanto avrebbe voluto. «Siete soltanto amici?»
Voleva vederci chiaro perché quel rapporto tra lei e Christian gli aveva sempre destato qualche sospetto di troppo e lo rendeva nervoso.
«Che vorresti dire? Quando ci siamo lasciati siamo rimasti amici e il nostro rapporto si è consolidato così.»
«Ah, quindi siete stati insieme!»
«Da ragazzi, siamo stati insieme cinque anni ma credevo che lo sapessi. Lui è stato il mio primo amore.»
«È chiaro, ora si spiega tutto.»
«Si spiega tutto cosa? Mi stai facendo sentire sotto accusa e non ne capisco il motivo.»
«Ho notato che tra te e lui c’è molta intesa e ho notato che lui ti tocca come se fossi di sua proprietà.»
Sveva arricciò il naso. «Proprietà, che parola orribile hai usato.»
«Dico solo quello che ho visto.»
«La prossima volta guarda meglio. Christian non era possessivo nemmeno quando stavamo insieme, pensa se può esserlo adesso.»
Credeva di averla fatta incazzare ma quando spense il motore della macchina e si voltò a guardarla lei sorrideva tranquilla. Le accarezzò il volto. Possibile che quella ragazza antipatica fosse diventata così importante in così poco tempo per lui? Si protese verso di lei per baciarla.
«Sei geloso di Christian?» chiese lei prima che le loro labbra potessero incontrarsi.
«Non sono geloso di nessuno» ma il bacio che seguì dimostrò il contrario. Fu come se le volesse imprimere il suo marchio personale, qualcosa che le facesse pensare che lui fosse l’unico uomo sulla terra che lei potesse desiderare di volere al suo fianco.
 
Più tardi, verso la fine della cena, Sveva tirò fuori il solo argomento che non voleva affrontare e che aveva cercato di evitare in tutti i modi. Mentre si puliva gli angoli della bocca dopo aver mangiato l’ultimo boccone di trota lacustre e prendeva il calice di vino gli chiese come mai la sera precedente le avesse detto di aver avuto una pessima giornata.
In realtà le aveva detto di aver avuto una giornata di merda, ma lei era stata tanto carina da non ripetere la parola. Scrutò la ragazza che aveva di fronte, poi decise di sputare il rospo.
«Sto per partire. La società ha deciso di vendermi. Ho cercato in tutti i modi, in questi giorni, di convincerli a lasciarmi rimanere, ho anche proposto che mi dimezzassero lo stipendio ma a quanto pare ci guadagnerebbero di più vendendomi ad un altro club e loro hanno bisogno di soldi da reinvestire.»
Si rese conto che era la prima volta che lo diceva a qualcuno, nemmeno con Helena si era lasciato sfuggire nulla. Forse perché sperava di riuscire a risolvere la situazione in modo da poter restare, ma dopo l’incontro di quel giorno aveva capito che non c’era più nulla da fare. Gli restava solo da scegliere una destinazione, tra le offerte arrivate alla società, che potesse permettergli di esprimersi ancora ai massimi livelli.
Sveva sorseggiò il suo vino, imperscrutabile. «Dove ti trasferisci?»
Già, dove? Bella domanda. Poteva andare in America, ma a trent’anni un giocatore non poteva ancora considerarsi finito, lui di sicuro non si considerava tale, e per vincere qualcosa di importante doveva continuare a giocare in Europa. C’era la Francia, Parigi, che sarebbe stata disposta a pagare tantissimo ma il campionato non lo stimolava molto. E infine c’era l’Inghilterra, parecchio stimolante dal punto di vista calcistico ma poco per tutto il resto. Si sistemò i capelli dietro le orecchie e comprese che in quel momento aveva deciso dove andare.
«Inghilterra. Manchester.»
«Non è molto lontano da qui. Potresti tornare dai tuoi amici più spesso di quanto immagini.»
Si stava riferendo anche a loro e alla loro relazione o intendeva davvero riferirsi solo agli amici?
«Enrico ancora non lo sa, vero?»
«No. Non lo sa nessuno.»
«Quando ti trasferisci?»
«È questione di giorni.»
E quella frase gli si scaraventò addosso con tutta la violenza della cruda realtà. A giorni avrebbe lasciato Milano, e Sveva. Un’idea gli balenò per la testa e la buttò fuori prima che la ragione potesse frenarlo.
«Ascolta Sveva, ti va di venire con me in Svezia per qualche giorno? Non voglio metterti pressioni di alcun tipo però mi farebbe piacere. Se parto poi non so quando potremo rivederci.»
Gli attimi di silenzio che seguirono furono interminabili. Lei abbassò lo sguardo però poi tornò subito a fissarlo.
«Sì. Magari questa volta mi porti a vedere l’aurora boreale.»
Kieran sentì ogni muscolo del suo corpo rilassarsi. «Non è il periodo giusto per l’aurora boreale, ma vedrò cosa posso fare.»
 
Dopo cena Sveva volle fare una passeggiata. Rimase ad ammirare il lago appoggiata a un parapetto di pietra e Kieran per un po’ rimase ad ammirare lei. Aveva voglia di fare l’amore. L’aria fresca la fece rabbrividire e lui la circondò da dietro. Con la bocca le accarezzò l’orecchio mentre con la mano scendeva dentro al pantalone di lei.
«Voglio continuare quello che ho iniziato stamattina.»
«Kieran, siamo in mezzo alla strada.» Sveva cercò di bloccargli la mano ma lui la infilò più giù, tra le sue labbra umide.
«Rilassati, non ci vede nessuno.»
Seguirono altre deboli proteste ma lui continuò ad accarezzarla, stuzzicarla e riempirla fino a quando le spalle di lei si rilassarono contro il suo petto e chiuse gli occhi, mordendosi le labbra per non fare rumore mentre raggiungeva l’apice del piacere. Kieran la sorresse mentre il corpo veniva squassato dall’orgasmo, anche lui col fiato corto per l’eccitazione che gli aveva procurato vederla così abbandonata a lui e sentirla così calda. Quando lei riaprì gli occhi lui si impossessò delle sue labbra; era stato solo un piccolo antipasto di quello che la aspettava.
«Adesso tocca a me» disse lei con gli occhi ancora pieni del piacere che aveva provato.
L’occhiata che gli scoccò non lasciava dubbi su quello che aveva intenzione di fargli, sentì i pantaloni tendersi e farsi ancora più stretti tra le gambe. Si lasciò guidare verso la macchina pensando a quanto fuoco ardeva sotto quell’apparenza di ghiaccio.
 

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Capitolo 23
*** 22 ***


22


Kieran era infuriato. Come aveva potuto innamorarsi di una ragazza tanto fredda e razionale e che per di più aveva preso tutto come un gioco, un’avventura? Perché era proprio così che si sentiva: innamorato. Lungo i marciapiedi alcune persone diedero segno di averlo riconosciuto ma nessuno osò avvicinarsi, era evidente la sua rabbia.
Due bambini sfrecciarono ai lati delle sue gambe, seguiti poi da altri. Capì in un istante cosa fosse successo. Anche quei bambini lo avevano riconosciuto e gli bastò fare un fischio perché tutti si fermassero e tornassero indietro verso di lui. Prese il portafogli dalle mani di uno di loro.
«Kieran!»
«Che stavate facendo?»
«Noi vogliamo diventare come te.»
«Questo non dovete farlo, se volete diventare come me.» Agitò il portafogli davanti ai loro occhi e cercò di fare la faccia più dura che gli potesse venire, ma era difficile con una dozzina di occhioni che lo osservavano sognanti.
Sveva li raggiunse qualche attimo dopo, tutta trafelata, con i capelli un po’ spettinati e la faccia rossa. Malgrado tutto, Kieran sorrise. I bambini, non appena la videro si affrettarono a scappare ma Kieran li richiamò. Li mise a semicerchio.
«Ascoltate bene. Questa signora non vi farà niente, ma dovrete chiederle scusa e promettere a me che non lo farete più.»
Sei teste annuirono, spostando gli occhi da lui a Sveva. «Ho un sacco di amici, qui, che possono dirmi tutto quello che fate. La prossima volta che torno, se vi siete comportati bene, vi porto un regalo.»
Sapeva che il vero problema di quei bambini era l’esempio che la maggior parte di loro riceveva dai genitori, immischiati a loro volta in cose poco lecite, o, nel migliore dei casi, il totale disinteresse per le loro sorti. Sapeva bene che quei bambini avrebbero continuato a farlo, ma sperava almeno di poter smuovere qualcosina in quei loro piccoli cuori induritisi troppo presto.
I bambini si rivolsero a Sveva e si scusarono. Lo fecero in svedese ma lei capì. La guardò di sottecchi, ancora troppo agitato per poterla affrontare apertamente, e notò il sorriso dolce che le incurvava le labbra. Quella maledetta stronza era così bella mentre mostrava la sua empatia nei confronti di quei bambini. Non un minimo accenno di fastidio, non un sentore di stizza.
Lasciò che ognuno di loro lo abbracciasse e poi si voltò verso Sveva. «Tieni. Stai più attenta la prossima volta.»
Lei richiuse le dita delicate attorno al portafogli di pelle marrone e lo ripose nella borsetta. «Kieran…»
«Lascia stare, Sveva, non dire niente.»
Fece per andare ma lei lo trattenne. «Non voglio che ci separiamo in questo modo.»
«E io non ho voglia di giocare. Posso avere tutte le donne che voglio per una scopata. Io a te ci tengo davvero.»
«Anche io ci tengo a te!» La ragazza allungò una mano per toccargli il braccio ma lui si ritrasse.
«Ma?»
«Ma stai per partire.»
«Non è un vero impedimento. Si possono trovare delle soluzioni, ma è chiaro che tu non vuoi.»
Sveva chiuse per un attimo gli occhi e buttò fuori lentamente l’aria dal naso. Kieran scosse la testa.
«Hai un aereo che ti aspetta, è meglio se vai.»
«Per favore, Kieran… torna anche tu.»
«No. Voglio stare da solo.»
«Va bene. Ma quando torni mi chiami?»
«Forse.»
Raggiunsero insieme la strada principale e Kieran fermò un taxi. Lei rimase sospesa, forse sperando ancora in un suo cambio di pensiero. Si guardarono negli occhi. Kieran non riusciva a vedere niente al di fuori della propria delusione. Voleva che se ne andasse, si sentiva preso in giro.
Sveva salì in macchina. «Allora… ci vediamo a Milano» disse prima di chiudere lo sportello.
Lui rimase qualche istante fermo, con le mani in tasca a fissare il taxi che si perdeva nel traffico, come Sveva che così come era arrivata nella sua vita se ne stava andando, tra la confusione di emozioni che aveva in testa, le luci a intermittenza dei fanalini posteriori delle macchine e il suono dei clacson.
 
La sua autovettura sgusciò veloce tra i vicoli secondari della città che stava percorrendo per evitare di rimanere incastrato nel traffico della sera. Ad ogni curva, ad ogni incrocio, sentiva sempre più il bisogno di fare qualcosa. Forse era stato troppo duro con Sveva, forse non avrebbe dovuto mandarla via. Ma cos’atro avevano da dirsi? Lui voleva costruire qualcosa, lei voleva un’avventura. Si fermò a un semaforo rosso e si passò le mani tra i capelli, aggiustandoli poi dietro le orecchie. Improvvisamente Goteborg gli appariva grande e dispersiva, un dedalo di strade che non conducevano da nessuna parte, in nessun posto che potesse dargli conforto. Allo scattare del verde partì a razzo, lasciando dietro di sé una scia di fumo bianco.
 
Parcheggiò sul vialetto di ingresso della casa di Helena. Lei non c’era ma l’avrebbe aspettata. Meglio lì che a casa sua; c’erano tutte le cose di Sveva e probabilmente il letto sapeva ancora di lei e di quello che avevano fatto appena arrivati. Ancora non riusciva a capacitarsi come potesse contenere in sé caratteristiche così opposte: fredda nei ragionamenti e calda, caldissima, nell’intimità.
Helena giunse verso ora di cena. Aveva in mano diversi fogli pinzati e busta della spesa. Kieran si offrì di aiutarla.
«Che ci fai qui? Dov’è Sveva?» chiese lei mentre gli dava un bacio sulla guancia. Aveva l’aria davvero stanca.
«È tornata in Italia.»
«Avevo capito che si sarebbe trattenuta qualche giorno» armeggiò con le chiavi vicino alla serratura.
«Abbiamo discusso.»
Helena sollevò le sopracciglia. «Di già? Cosa è successo?»
Entrarono e Kieran poggiò la busta sulla penisola della cucina. Senza i due bambini la casa sembrava vuota e triste. Sbuffò. «Lasciamo perdere.»
La donna roteò gli occhi al cielo e si portò le mani sui fianchi. «Sei rimasto qui fuori ad aspettarmi, è evidente che ne vuoi parlare…»
«Non posso semplicemente avere voglia di stare da solo con la mia amica a bere birra e guardare la tv?»
«Kieran. Vuota il sacco.»
Quando lo guardava in quel modo era impossibile non obbedirle. «Le ho chiesto di venire con me in Inghilterra e ha detto di no.»
Helena era silenziosa e impassibile. Forse aspettava che lui continuasse, che le raccontasse altro ma era tutto quello che era successo. Si era infuriato perché lei gli aveva detto di no, perché aveva preferito il suo lavoro a lui. Messa così, adesso, cominciava a pensare di aver esagerato. Lei batté le palpebre un paio di volte.
«Da quanto tempo vi frequentate?»
«Non lo so, un paio di settimane, più o meno.»
«Un paio di settimane. E pretendi anche che una donna come lei molli tutto e venga a stare con te in Inghilterra dopo sole due settimane che andate a letto insieme? Mi stupisce che sia venuta qui con te.»
Kieran si sentì punto sul vivo. «Perché ti dovrebbe stupire? Tra di noi c’è qualcosa di più di una semplice attrazione.»
«Sei innamorato?»
«Sì, penso di sì. Ma lei no.»
«No, lei no e non lo sarà mai se continui così. Io l’ho capita subito, dal modo in cui mi ha stretto la mano, è molto simile a me. Quella lì è una donna che ama la sua indipendenza e che accanto vuole un uomo che la rispetti per questo. Hai forse dimenticato cosa è successo quando il mio ex marito voleva che stessi a casa a fare la casalinga  e ad occuparmi dei bambini perché pensava che lavorando non potessi essere una brava madre? L’ho lasciato. E tu hai fatto la stessa identica cosa del mio ex.»
«Non puoi mettere sullo stesso piano il tuo matrimonio con la mia relazione.»
«Infatti. Io ho chiuso un matrimonio con due bambini e lei non potrebbe chiudere una relazione di poche settimane?»
«Lei non è come te, lei è peggio di te. È più stronza.» Nel momento in cui lo disse, era già pentito di averla mandata via. In fondo Helena aveva perfettamente ragione. Nessun essere umano senziente avrebbe lasciato le proprie sicurezze lavorative per una storia appena nata, probabilmente neanche lui, se la situazione fosse stata invertita. Se non fosse stato così idiota da farsi prendere dalla rabbia forse ne avrebbero potuto parlare e raggiungere altri tipi di compromessi. La giornata era stata bellissima, il giro nel suo quartiere gli aveva fatto rivivere emozioni particolari e aveva avuto paura di non poter più trascorrere altre giornate così intense con lei.
«Non è stronza, è una donna che si è fatta da sola e non permetterà mai a nessuno di controllare la sua vita.»
«Ho fatto una cazzata» ammise lui dopo pochi secondi, «e adesso?»
«E adesso» fece Helena spingendolo per un braccio verso il divano mentre sorrideva, «se ci tieni davvero a questa ragazza, ti siedi e mi ascolti.»

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Capitolo 24
*** 23 ***


23


Il volo in aereo non era stato piacevole e neanche la nottata, trascorsa quasi interamente insonne. E Si chiedeva se forse avesse esagerato, se fosse stata troppo dura. Certo non si sarebbe aspettata una reazione del genere da parte di Kieran. A dirla tutta, non le era piaciuto il modo in cui l’aveva trattata ed era anche risentita. Mandarla via così, senza discutere su una questione di fondamentale importanza per il prosieguo del loro rapporto, era servito solo a farle capire il vero carattere di Kieran: Fumantino e quando si inalberava diventava davvero difficile farlo ragionare.
Non che lei ci avesse provato più di tanto, questo lo sapeva, ma era rimasta senza parole, incapace di comprendere cosa avesse potuto scatenare una reazione tanto forte. Più ci ragionava e più non capiva, perché la richiesta di Kieran era una richiesta assurda che avrebbe rifiutato chiunque nella sua posizione.
Si liberò dal lenzuolo attorcigliato intorno ai piedi e scese dal letto. Voleva chiamarlo, sapere come stava e soprattutto sentire la sua voce, quel suono cupo dal forte accento straniero che le mancava molto. Che strano quel sentimento, pensò. La notizia dell’imminente partenza di Kieran aveva stroncato sul nascere qualsiasi tipo di aspettativa su loro due, eppure ne sentiva già la mancanza. Forse per il modo in cui si erano separati.
Afferrò il cellulare: nessuna chiamata, nessun messaggio.
Doccia, colazione, lavoro. Tenersi in movimento, con la testa occupata per scrollarsi di dosso la sensazione di stare sbagliando qualcosa. Era fastidiosa come una pietruzza in una scarpa che ad ogni passo le ricordava che c’era, era lì, e doveva essere tolta. Ma cosa avrebbe dovuto fare, chiamarlo? Le aveva detto che voleva stare da solo. E poi per dirgli cosa? Di certo non aveva cambiato idea.
Al lavoro non c’era molto da fare. Trascorse la mattinata nel reparto a chiacchierare con quei pochi pazienti rimasti e a passeggiare con loro nei corridoi. Non vide suo fratello, né sentì Christian, in vacanza con la famiglia, anche se raccontargli della situazione le avrebbe fatto bene.
Andò a pranzo da sola, nella mensa dell’ospedale, ma non mangiò granché. Si limitò a spostare la pasta da un lato all’altro del piatto, con le palpebre pesanti e il cuore sempre più triste.
A casa accese il computer e rilesse l’ultimo articolo che aveva scritto. Le parole scorrevano davanti agli occhi prive di senso, non capiva come avesse fatto a scrivere un obbrobrio del genere. Premette con insistenza sul tasto backspace fino a quando la pagina del foglio fu completamente bianca: dieci pagine di lavoro andate, perse per sempre, solo il cursore a lampeggiare in alto a sinistra. Chiuse il pc con uno scatto e prese un libro. Narrativa generale, niente di particolarmente impegnativo, eppure le risultò difficile afferrare il tema principale. Sbuffò e lanciò il libro dall’altro lato del divano. Si passò le mani sugli occhi e poi ai lati delle tempie.
Accese la tv, magari poteva guardare un film leggero. No, forse era meglio un programma di intrattenimento. Si distese, provò a chiudere gli occhi, con le voci provenienti dallo schermo come sottofondo. Non le davano fastidio, era il lavorio incessante della sua mente che non le dava tregua e le impediva di concentrarsi su qualsiasi cosa. Aveva caldo, sudava anche se restava immobile, i vestiti le si attaccavano alla pelle e la pelle si attaccava al divano divenuto bollente.
Dopo un po’ di tempo, esasperata, si alzò. Una passeggiata al parco, al fresco, l’avrebbe rimessa a nuovo. Raccolse la borsa, le chiavi e aprì la porta proprio nel momento esatto in cui Kieran poggiava il dito sul campanello. Lui rimase interdetto, poi la squadrò.
«Kieran!»
Il volto di Sveva si illuminò. Era sul punto di abbracciarlo ma la sua espressione la trattenne. Aveva il viso stanco, sorrideva ma gli angoli della bocca erano sollevati di poco e il sorriso non arrivava agli occhi, i quali rimanevano seri.
«Stavi uscendo?» in mano aveva il borsone di Sveva, quello che aveva lasciato a casa sua in Svezia.
«No, no. Vieni, entra.»
«Sono venuto solo a portarti questo.»
Sveva prese il borsone. Si spostò per farlo entrare ma lui rimase sulla soglia e non dava segno di volerla oltrepassare.
«Ti va di entrare?»
Kieran esitò il tempo di un respiro, poi fece due passi dentro casa, richiudendosi la porta alle spalle. Sveva poggiò il borsone a terra.
«Sei rientrato oggi?»
«Poco fa.»
«Hai fame? Vuoi che ti prepari qualcosa?»
«No. Non mi trattengo molto.»
La delusione si fece strada dentro al suo cuore. Era in imbarazzo come poche altre volte nella vita e capì che niente sarebbe tornato più come prima tra loro due. Si sedette sul divano accanto a Kieran, piegando le gambe sotto al suo corpo.
Lui si umettò le labbra e prese a giocare con l’elastico per capelli. «Senti Sveva, io voglio chiederti scusa per come mi sono comportato. Non avrei dovuto mandarti via.»
«Kieran, anche io volevo…»
«Aspetta, fammi finire» si voltò a guardarla negli occhi. «Mi scuso per averti mandata via in quel modo, ma non per il resto. Ci sono rimasto male quando mi hai detto di no, non per il rifiuto in sé, quanto per il modo. Credevo che tra noi stesse nascendo qualcosa di più di una semplice avventura e invece mi hai fatto capire che per te non è così.»
«Non ho mai detto che per me non è così. Forse anche tu hai posto la domanda in maniera sbagliata. Lasciare tutto e partire con te all’improvviso per me è impossibile.»
«Sono impulsivo, sono fatto così, dovresti saperlo. Se mi soffermassi a pensare ogni volta che l’istinto mi dice di fare qualcosa non vivrei le emozioni del momento. Invece tu avevi già deciso che la nostra storia non avrebbe avuto futuro poiché sto per andare in Inghilterra, senza neanche darci una possibilità.»
Lei chinò la testa. Kieran aveva ragione, non aveva dato nessuna possibilità di sopravvivenza alla loro storia. «Non sono brava con le storie a distanza.»
«Solo perché hai avuto un’esperienza negativa non significa che tutte le altre storie debbano andare male. E poi hai sottovalutato un sacco di cose. Magari io non potrei venire tutte le settimane a Milano ma ho un aereo privato e tu potresti raggiungermi ogni volta che lo desideri. Anche solo per due ore.» Scrollò le spalle, gli occhi che vagavano dalle sue mani a quelle di lei. «Il problema è che non abbiamo dato lo stesso valore a questa cosa.»
Sveva avvertì un fremito in tutto il corpo quando si rese conto che Kieran stava per andare via. Non poteva lasciarlo andare così, senza avergli dato un bacio, senza avergli detto quello che realmente sentiva, e cioè che da quando aveva lasciato la Svezia si era sentita di nuovo sola e che non appena lui aveva messo piede in casa sua tutto il suo essere era tornato a splendere e a pulsare di vita.
Passò una mano tra i capelli di Kieran. Lui chiuse per un attimo gli occhi e poi li riaprì puntandoli nei suoi. Ma non riusciva a pronunciarle, quelle parole. Guidata dall’istinto si chinò fino a poggiare le labbra sulle sue.
«Non andare via, resta un altro po’.»
Kieran la baciò, afferrandola per i capelli. «È solo questo quello che vuoi?»
«Non lo so, Kieran, non lo so. So solo che mi sei mancato tanto.» Si mise a cavalcioni su di lui, racchiudendo il suo viso tra le mani. Lui sorrise, mentre le grandi mani si insinuavano sotto al vestito e risalivano la schiena.
«Anche tu. Anche tu.»
Le bocche si incontrarono di nuovo, per mangiarsi le labbra, le lingue, la pelle del viso. Lei armeggiò con i pantaloni di lui e lui le strappò le mutandine, troppo eccitato per aspettare che se le sfilasse. Sveva lasciò andare un gemito quando lo sentì dentro, in tutta la sua potenza. Mosse i fianchi piano, guardando ogni più piccola espressione del volto di Kieran, baciando le sue labbra rosse fino a quando entrambi non riuscirono più a controllare l’impeto del sangue che ribolliva sotto la pelle lucida. Lei si mosse più veloce, Kieran spinse più forte fino a colmare la stanza delle loro urla di piacere.

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Capitolo 25
*** 24 ***


24


Kieran finì di sistemarsi i pantaloni e si alzò. Non aveva previsto di finire a fare l’amore con lei, quando aveva deciso di passare a portarle le sue cose.
Helena era stata molto chiara: se voleva instaurare un rapporto serio con Sveva doveva lasciarle i suoi spazi e i suoi tempi. Ma lui non era più tanto convinto di volerlo. Sì, forse era stato anche troppo impulsivo, ma lei era stata troppo calcolatrice e questo non gli piaceva affatto. In più, il suo tempo a Milano era finito davvero. Aveva sentito il suo agente, la trattativa si era conclusa.
Eppure, quel loro momento aveva rimescolato per un attimo tutti i punti fermi di Kieran, facendolo vacillare un poco. Lo faceva diventare matto quel suo forte contrasto: fuoco nel corpo e ghiaccio nella mente. Lei rimase semidistesa sul divano.
«Vai già via?»
«Domani ho delle cose da fare.»
La guardò di sottecchi. Un lieve sorriso le incurvava le labbra ancora gonfie dei loro baci. «Stavo pensando che nel pomeriggio potremmo…»
«Cos’è tutta questa voglia di stare con me, adesso?» la interruppe lui, più duro di quanto avesse voluto in realtà.
«Io pensavo che… prima che tu parta…»
L’aveva messa in imbarazzo, si era seduta e lo guardava con un’aria strana, come se tra loro fosse tutto come prima e Kieran improvvisamente avesse cambiato atteggiamento. Non era stato lui a cambiare, non per primo.
«Parto domani. Ho la firma del contratto e altre cose da sistemare.»
«Ah.» Il suo viso aveva perso ogni traccia di rilassatezza e felicità.
«Per favore, non fare finta di esserne dispiaciuta. Per te questa è stata un’avventura fin dall’inizio, no? Ti ho dato quello che volevi.»
Non era arrabbiato, anche se le parole erano abbastanza taglienti da dimostrare il contrario; era solo consapevole. Provava un’attrazione fuori controllo per quella donna e il tempo con lei era stato così inaspettatamente bello, così dannatamente bello che una parte di lui non voleva partire. Il destino però lo stava chiamando altrove, e forse era così che doveva andare.
«Non farmi passare per quella che non sono. Questa cosa è andata bene anche a te, o sbaglio?»
Un lento sguardo ad accarezzarle tutto il corpo. «Più che bene. Ci vediamo in giro, Sveva, e non lavorare troppo.»
Le strizzò l’occhio e a grandi passi si diresse verso la porta, senza lasciarle neanche il tempo di replicare.
Senza neanche darle un ultimo bacio, una carezza, un abbraccio, pensò mentre scendeva le scale del palazzo. Aveva ancora appiccicato il suo odore addosso. Lo inspirò con gli occhi chiusi una volta in macchina, conscio del fatto che gli sarebbe bastato ripercorrere quei pochi metri al contrario per annegare di nuovo in quel profumo, mischiarsi ancora con quella carne candida e morbida.
Girò la chiave e accese il motore. Nuove emozioni si formarono nello stomaco prima ancora che sotto la pelle. Stava per iniziare un nuovo capitolo della sua vita, una nuova sfida era lì ad attenderlo e lui si sentiva più che pronto. In fondo, viveva di questo.
 
In casa la luce era accesa. Kieran pensò di averla lasciata lui, ma subito si rese conto che c’era qualcuno. Dalla stanza da letto provenivano dei rumori. Circospetto e cercando di fare meno rumore possibile, si avvicinò fino ad arrivare alla porta.
«Eve!» esclamò, vedendo la ragazza intenta a frugare nell’armadio.
«Kieran!» Lei gli andò incontro e lo abbracciò. Aveva tagliato i capelli e le stavano bene, le davano un’aria più giovane e fresca. «Pensavo fossi in Svezia, altrimenti ti avrei chiamato. Sono venuta solo a prendere le mie ultime cose e a lasciarti le chiavi. Come stai?»
«Bene. E tu?»
«Benissimo. Il film va alla grande e Los Angeles è sempre bellissima.»
Proprio come lei, pensò Kieran. Ora la riconosceva, la donna di cui si era innamorato. Lo sguardo e il sorriso luminosi, piena di vita. Non provò nostalgia di lei e del loro tempo insieme, solo tanta gioia nel vederla finalmente rinata.
«Come facevi a sapere che ero in Svezia?»
«Sono uscite delle foto, di te e quella ragazza bionda che vi baciavate. Me le ha fatte vedere un mio amico prima che venissero pubblicate.»
«E tu ne hai approfittato per venire qui mentre non c’ero… non avevi voglia di vedermi?»
Lei gli sorrise e con un dito percorse la linea della sua mascella. «No, sciocchino. Sono arrivata adesso, ho un paio di servizi fotografici e una sfilata domani. Se ti va possiamo pranzare insieme, se alla tua nuova fiamma non da fastidio.»
Si rabbuiò. «Non c’è nessuna nuova fiamma. È la sorella di Enrico, abbiamo trascorso dei piacevoli momenti insieme ma niente di più. E non posso venire a pranzo con te, domani, solo perché parto. Sto per trasferirmi in Inghilterra.»
Parte del sorriso scomparve dalle labbra e volto di Evangeline. «Wow. Mi avevi detto di non avere nessuna intenzione di andare via da qui.»
«Infatti non è dipeso da me.»
Lei scrollò le spalle, come se dentro di lei si fosse ripresentato il fantasma del loro vecchio rapporto e lei vo avesse scacciato. «Be, se non ti dispiace stanotte dormo qui. Prendo l’altra stanza.»
«Fa come vuoi» disse lui mentre si dirigeva in bagno, «dopotutto questa è anche casa tua.»
 
Il mattino arrivò troppo presto per Kieran che era riuscito a prendere sonno molto tardi e aveva dormito poco bene. Fece colazione con Eve e poi si salutarono. Lui aveva un appuntamento con l’agente ma prima doveva parlare con i suoi amici. Nessuno ancora sapeva dell’imminente partenza, o per lo meno, nessuno ne aveva la certezza, perché ormai le voci si rincorrevano da un po’.
Gli sembrava di aver vissuto un anno intero in pochi giorni. Sveva, le trattative inaspettate, la Svezia, tutto si mescolava e si fondeva in un unico giorno senza fine. Voleva solo chiudere gli occhi, inspirare a fondo l’aria pura e mettere a posto tutti i pensieri.
C’era quasi la squadra al completo ad aspettarlo. Aveva inviato loro un messaggio la sera prima, chiedendogli di vedersi da Enrico. Quando si erano ritrovati tutti lì avevano capito e non appena Kieran mise piede nel locale lo abbracciarono tutti. Insieme, come una grande e bella famiglia, si sorrisero, scherzarono e gli augurarono ogni bene.
Era quasi una prassi per i calciatori, le squadre si potevano cambiare di frequente e Kieran ne aveva cambiate diverse, eppure lì stava lasciando un bel pezzo di cuore.
«Non pensate di esservi liberati di me» disse infine, dopo averli salutati, «la settimana prossima torno e vi porto tutti su uno yatch in Costa Smeralda.»

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Capitolo 26
*** 25 ***


25


Un’altra notte confusa, sonno a singhiozzi e risveglio agitato.
Sveva non riusciva a capire se le facesse più male il pensiero che Kieran stesse partendo o il modo in cui l’aveva salutata, lasciandola come se fosse stata l’avventura di una notte.
Ormai lui credeva questo, era convinto che per lei non avesse avuto importanza la loro brevissima relazione. Invece l’aveva avuta e l’aveva. Ma non potevano mettersi in situazioni che li avrebbero resi infelici, comportarsi in maniera avventata come dei ragazzini. Lei ci era passata, sapeva: le relazioni a distanza portavano solo sofferenza.
Si rendeva anche conto, però, che le emozioni che aveva vissuto con Kieran erano forti, tutt’altro che superficiali e passeggere. Non avrebbe visto più quel visto spigoloso dallo sguardo dolce e sincero, non avrebbe più udito il marcato accento straniero, non avrebbe più assaporato l’attesa di vederlo e le sue labbra, non avrebbe più sentito quelle mani grandi e perfette sul suo volto, sulla sua pelle, e non sarebbe più stata stretta dalle braccia forti di lui.
La violenza con cui quel pensiero la colse fu tale da farle perdere l’equilibrio e dovette fermarsi e aggrapparsi al lavabo per riprendere fiato, mentre usciva dalla doccia.
Dopo Goteborg, una parte di lei aveva sperato di risistemare tutto. Fare l’amore con lui aveva segnato il punto di non ritorno per lei, lo sentiva nelle viscere. Era stato diverso dalle altre volte, tutto quello che era racchiuso nel cuore, protetto da una piccola barriera fatta di convinzioni e paure, era venuto fuori come lava incandescente lungo il pendio di un vulcano dopo un’eruzione. Era scoppiato forte, scosso dagli occhi di Kieran nei suoi, che dicevano più di quanto avesse mai immaginato, e poi con lentezza meticolosa aveva iniziato a spargere sentimenti nel corpo, ricoprendo gli organi, le ossa, fino a riempirle il cervello.
Nel giro di cinque minuti lui era passato dalla dolcezza al distacco totale, scaricando su di lei tutta la colpa per quel comportamento. E aveva ragione, la colpa era sua e questa era l’unica cosa a cui riusciva a pensare mentre tirava fuori la macchina dal garage e usciva nel caldo afoso della mattina.
Aveva rovinato tutto.
Le rimaneva un’ultima cosa da fare; c’era la possibilità che lui fosse ancora a casa, e a quel punto lei avrebbe potuto spiegargli tutto, tutto quello che sentiva, e dirgli che non era pronta a lasciarlo andare così. Ma dove cercarlo? Non conosceva l’esatta ubicazione della casa di Kieran, sapeva solo la zona. Avrebbe chiesto ai portieri di ogni palazzo se fosse stato necessario, sebbene in cuor suo sperava di trovarlo presto, e soprattutto sperava di trovarlo. Correva per le strade di Milano, con gli occhi sbarrati, scrutando i marciapiedi da entrambi i lati in cerca di qualcosa che potesse darle un indizio. Rallentò solo quando credette di essere arrivata nella strada giusta. Prestò attenzione alle macchine parcheggiate sotto l’ombra degli alberi del viale, anche se supponeva che Kieran le tenesse in garage.
Ad un tratto, dal portone di un palazzo poco più avanti, una figura alta, somigliante in tutto e per tutto a Kieran uscì, insieme ad una figura femminile. Sveva avanzò piano, osservando Kieran che abbracciava la sua ex fidanzata e le dava un bacio sulla guancia. Sembrava felice, di sicuro molto più rilassato della sera precedente. Accarezzò la guancia della ragazza, la quale gli riservò un sorriso complice e raggiante.
Sveva batté le palpebre più volte per evitare che le lacrime che stavano affiorando fuoriuscissero; non era possibile che avessero fatto pace la sera precedente. Kieran era stato con lei, avevano fatto l’amore, non poteva essere.
Fece ritorno a casa, ancora più arrabbiata e confusa. Si era detta che non avrebbe mai più permesso a se stessa di ridursi come quando Logan l’aveva lasciata e ora eccola di nuovo a quel punto, a provare dolore per colpa di un uomo.
No. Per colpa sua. Era stata lei la prima a distruggere tutto. I suoi schemi mentali rigidi, la sua voglia di pianificare ogni cosa con anticipo e considerare attentamente tutti i pro e i contro. L’aveva frenata l’ignoto, la paura di fare cazzate; lei non aveva ancora avuto il tempo di farsi delle domande e di scrutare dentro di sé sulla natura di quel nuovo rapporto con Kieran. Nonostante il suo essere razionale si era buttata vivendo giorno per giorno, godendosi la felicità del momento, avventurandosi in quella relazione completamente libera dai suoi rigidi schemi mentali fino a quando non si era prospettata una complicazione. Kieran l’aveva accusata di essere stata superficiale ma non era vero, ci aveva messo il cuore. Più di quanto avesse immaginato.
 
Christian passò in clinica. La notizia della partenza di Kieran lo aveva raggiunto solo qualche ora prima, quando il suo compagno di squadra ne aveva dato annuncio a tutti, e subito dopo aveva cercato l’amica per sapere come l’avesse presa.
Male. L’aveva presa davvero male. Sperava di poter avere più tempo per sistemare le cose. Seduta sulla sedia girevole dietro la scrivania ascoltò Christian con una parte della mente che infastidiva l’altra attraverso un mormorio incessante e deleterio. Colpe, frustrazioni e pensieri negativi.
«È un peccato che non sia riuscito a vedervi insieme neanche una volta.» L’amico sorseggiò il caffè e poggiò il bicchierino di plastica sulla scrivania. Sorrise appena. «Andiamo, Sveva, perché non ammetti semplicemente che ti dispiace che sia finita?»
Sveva aveva trascorso i minuti precedenti a raccontare a Christian come si erano svolti gli ultimi giorni, a grandi linee, fingendo indifferenza per la partenza di Kieran e per la loro rottura.
«Si può dire che non sia mai iniziata.»
«Come se non avessi notato il cambiamento che hai avuto da quando hai iniziato a frequentarlo. Eri più solare e felice.»
«Non ti hanno mai insegnato che non bisogna far dipendere la propria felicità da un’altra persona?» rispose piccata, infastidita dall’affermazione dell’amico. Lo sapeva benissimo che era stata felice, ma adesso le cose stavano diversamente.
Lui la osservò, serio. «Perché non mi dici qual è il vero problema? E non mi dire la distanza anche stavolta.»
«La distanza, infatti.»
A quel punto accadde qualcosa di singolare. Christian, la persona che conosceva meglio di tutti, la sorprese scattando in piedi e cominciando ad alzare la voce. Nel giro di qualche secondo il viso aveva cambiato espressione, passando dalla solita pacatezza a un’ira mai vista prima, che cercava a stento di controllare.
«Un’altra volta, Sveva? Un’altra volta con la storia della distanza? Ma non ti accorgi di quanto sei incentrata su te stessa? Tu, tu, esisti solo tu e la tua carriera e non ti accorgi quanto male fai agli altri» tuonò lui.
«Christian, ti prego, abbassa la voce. Stiamo parlando di me e te, adesso?»
«No. Stiamo parlando di te e delle stronzate che continui a fare» le puntò un dito contro, per poi abbassarlo e premerlo contro la scrivania «sono stufo di vederti sempre a pezzi perché non riesci a fare una scelta col cuore invece che con la testa, una volta tanto.»
«È questo che pensi delle mie scelte? Che siano tutte stronzate? Ti chiedo scusa se ti ho ferito sei anni fa. È stata dura anche per me e lo sai! Non ho preso quella decisione a cuor leggero ma non me ne pento.»
Fissò gli occhi infuocati di Christian. Quasi non lo riconosceva più. E davvero non capiva se si trattava di risentimento mai espresso per la fine della loro relazione o perché, come aveva detto lui, voleva solo aprirle gli occhi su quello avrebbe potuto perdere.
«Ma adesso hai raggiunto il tuo scopo, sei una donna in carriera. Quale altro motivo ti spinge a rinunciare a questa storia?»
«Mi spieghi perché stai prendendo così tanto a cuore la mia storia con Kieran? Tra l’altro lo conosco appena.»
Christian non rispose, fece il giro della scrivania, afferrò la sedia per i braccioli e la spinse contro il muro, incuneandosi tra essa e il tavolo dietro. Si chinò su di lei. C’era qualcosa in quegli occhi che le fece venire un brivido dietro la schiena.
«Se ti baciassi adesso, cosa faresti?»
«Sei impazzito.»
Lui si avvicinò di più. Sveva premette le mani contro il suo petto per allontanarlo. «Siamo stati insieme per tanto tempo, ci siamo già baciati miliardi di volte, che ci sarebbe di strano?»
«Christian, smettila, mi stai facendo sentire a disagio» spinse forte con le mani, la scrivania scricchiolò appena e non si mosse. Che intenzioni aveva? Non poteva volerla baciare davvero. C’era qualcosa che le faceva dubitare che si trattasse dello stesso Christian che conosceva ormai da tutta una vita, lui non avrebbe mai osato metterla in quella situazione.
Christian avvicinò il viso e le labbra al collo di Sveva. Lei strinse gli occhi, continuando a esercitare pressione con le mani, sentendosi impotente e vulnerabile, non capendo perché Christian le stesse facendo quello. Sentì il fiato caldo sul collo, sotto l’orecchio, sulla guancia.
Di scatto Christian si allontanò, con un sorriso di gelido trionfo sulle labbra. «Sei innamorata di lui, altrimenti avresti ceduto.» Raccolse le chiavi dell’automobile e si avviò verso la porta.
«Ma che diavolo ti è saltato in mente? Non ti avrei baciato in nessun caso.»
«Invece sì, mi avresti baciato.» Uscì, richiudendosi la porta alle spalle con uno scatto forte.
Sveva si portò una mano tremante tra i capelli. Un paio di respiri per cercare di calmarsi. Anche se aveva scelto il modo peggiore per farglielo capire, Christian aveva ragione.

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Capitolo 27
*** 26 ***


26


“Non ti accorgi di quanto male fai agli altri”.
Quella frase continuava a martellarle in testa. Non si era mai ritenuta una ragazza egoista, né mai nessuno l’aveva apostrofata così prima di quel momento. Senza dubbio Christian aveva esagerato nel modo di fare e lei non lo aveva mai visto così prima, né così incazzato, né così strano. Aveva provato a baciarla! Va bene che erano stati insieme tanto tempo ma la “passione” tra loro era finita da anni, mai più era saltato per la testa di entrambi di fare una cosa del genere, mai, nemmeno nelle condizioni più estreme.
Che Christian stesse ancora rimuginando sulla loro separazione? Impossibile. Non le aveva mai dato avvisaglie di quel tipo.
Che Christian fosse convinto che Kieran potesse essere l’uomo giusto per lei? Possibile, ma lo stesso non capiva perché accanirsi tanto sulle decisioni prese da lei. Paragonare la loro storia con questa non aveva senso, erano completamente diverse. Christian e lei avevano alle spalle quattro anni di relazione quando aveva deciso di partire per l’America; quattro anni d’amore, di intesa, di complicità. Lei e Kieran a malapena si conoscevano.
Le parole di Christian le avevano fatto tanto male. Non poteva essere considerato sbagliato voler mettere la propria realizzazione in cima alla lista delle priorità. Per Sveva si trattava di qualcosa che doveva essere fatto sempre, in ogni caso, da tutti. Mettere se stessi prima degli altri non era egoismo, era un atto d’amore profondo, soprattutto per una donna. La società era ancora così chiusa nei confronti dell’emancipazione femminile. Kieran ne era stato un chiaro esempio, quando le aveva detto che non avrebbe avuto bisogno di lavorare se fosse stata la sua compagna.
Costruirsi una carriera le era costato tanto ma non avrebbe potuto fare una scelta migliore. Lei era libera, la sua vita non dipendeva da un uomo che le pagasse i vestiti o le spese per la casa.
Accese il pc davanti a sé. Aveva programmato una videochiamata con Charlotte, la sua amica americana. Con lei aveva un rapporto speciale, era stata una delle prime ragazze che aveva conosciuto a New York, avevano fatto l’università insieme, si erano specializzate insieme, seppure in ambiti diversi, e poi erano finite a lavorare nello stesso ospedale.
Charlotte non era a conoscenza dei nuovi sviluppi, non sapeva niente di Kieran e Sveva sentiva la necessità di fare due chiacchiere con lei, soprattutto riguardo alla questione dell’essere egoisti. Charlotte era sempre stata molto schietta e non si sarebbe fatta problemi a dirle cosa pensava. Aveva bisogno proprio di questo, della verità nuda e cruda.
Il volto dell’amica sul computer le mise subito il buonumore. Di una bellezza naturale, corti boccoli castano chiaro e occhi dello stesso colore, Charlotte appariva molto serena. Un’ora di ragguagli, durante la quale Charlotte mostrò un particolare interesse per Kieran. In fondo, in America Kieran Bloom era molto conosciuto per via della sua relazione con Evangeline Prot. Charlotte le disse che circolavano voci sulla loro rottura ma niente di definitivo, fino a quella mattina, quando erano uscite delle foto che ritraevano Kieran in atteggiamenti intimi con una ragazza bionda. Charlotte non aveva prestato attenzione alle immagini, avendo visto solo di sfuggita quella notizia mentre sfogliava i giornali sul tablet.. Dopo, però, mentre stavano parlando era andata a ricontrollare e aveva inviato a Sveva una copia dell’articolo in questione.
Sveva guardò le foto che la immortalavano abbracciata a Kieran per le vie di Goteborg. Entrambi erano sorridenti e felici, entrambi non immaginavano che di lì a qualche ora sarebbe finito tutto, quei sorrisi si sarebbero spenti e il risentimento avrebbe sostituito la spensieratezza.
«Chi l’avrebbe mai detto che saresti finita sulle riviste di gossip» fece Charlotte, schiacciando dei tasti e facendo scomparire le immagini dallo schermo di Sveva.
«Beh, non ne sono felice. Queste foto potrebbero uscire anche qui in Italia e non vorrei avere problemi.»
«La rivale in amore di Evangeline Prot» continuò l’amica con tono ilare. «Questo Kieran si dà da fare. Ti prego, raccontami com’è a letto, ho sempre pensato che…»
Il rossore che colorò le guance di Sveva fu solo il segno visibile del fuoco che le scoppiò dentro al pensiero di lei e Kieran mentre facevano l’amore. «Charlotte! Non ho intenzione di raccontarti niente di tutto ciò.»
Charlotte sbuffò, roteando gli occhi al cielo. «Sveva, sei sempre la solita guastafeste.»
Sveva si rabbuiò. Tutte le cose negative che aveva pensato di se stessa e che tanto l’avevano fatta stare male dopo Logan vennero di nuovo a galla. Non aveva mai avuto particolari insicurezze da ragazza, lei era diventata insicura dopo Logan. Si era fatta troppe domande, si era lasciata andare all’autocommiserazione.
Ma il vero, reale, problema era solo uno: lei non era coraggiosa. Amava la sicurezza, lavorava per raggiungere la stabilità e non considerava minimamente la possibilità di cambiare i programmi in corso d’opera. Il coraggio, l’avventura, l’ignoto. Senza programmi lei non si muoveva.
«Charlotte, pensi che io sia egoista?» chiese d’un tratto, seguendo il flusso dei suoi pensieri.
«Perché mi fai questa domanda? Te lo ha detto Kieran?»
«Me lo ha detto Christian, ma forse tra le righe anche Kieran.»
«Tesoro, non era certo una scelta facile. Non credo che tu sia egoista, però credo che tu sia troppo rigida. Dovresti imparare ad allentare le maglie che ti sei costruita intorno al cervello. Devi imparare che a volte le deviazioni conducono a percorsi meravigliosi. Anche se, se proprio vuoi sapere la mia opinione, non credo che con Kieran sarebbe durata. Insomma, non ti ci vedo con uno così.»
«Così come?»
«Uno che ostenta troppo la sua ricchezza. Insomma, la sua vita è costantemente sbattuta sui giornali, hai visto con che macchine va in giro?»
Sveva sorrise. «Le macchine sportive sono la sua passione.»
«Ma tu non sei così, Sveva, sei molto più sobria, elegante.»
«Lui non è solo questo, Charlotte. Si fa sempre in quattro per gli altri, ha un cuore grande, è premuroso, è gentile, è anche romantico a modo suo e…»
«E allora cosa stai aspettando? Vattelo a riprendere! Ricco e bravo, quando ti ricapita più» provò a scherzare l’amica.
Ma in quella interruzione simpatica Sveva ci lesse dentro la volontà dell’amica di farle notare il modo in cui parlava di lui.
Non era difficile capire quanto fosse presa da Kieran considerando come lo stava descrivendo. Charlotte, poi, la conosceva bene e conosceva i suoi gusti, era vedo che Kieran rispetto a lei era molto più stravagante ma era anche vero che tutte le caratteristiche che aveva elencato erano le uniche cose che contavano per lei in un uomo che potesse essere al suo fianco.
«Non posso» disse poi, dopo aver riflettuto. «Adesso è a Manchester e stamattina l’ho visto con Evangeline»
«Fai una cosa, Sveva. Vai al mare, tu che puoi farlo! Stai per conto tuo una settimana e poi, se ancora senti qualcosa per lui, non ci pensare più di tanto e parti. Voglio dire, sei una donna in carriera, guadagni abbastanza per poterti permettere gesti di questo tipo. Male che va, potrai sempre raccontare ai tuoi nipoti di quella volta in cui hai preso un aereo solo per andare a salutare il famosissimo calciatore Kieran Blom.»
Lei sospirò e sorrise. «Farò così.»
«Ora ti devo lasciare ma scrivimi presto, capito?! Non farmi aspettare così tanto per avere tue notizie.»
Sveva chiuse la comunicazione con il cuore più leggero. Prese il cellulare e scrisse un messaggio a Christian. Il modo il cui si erano lasciati non le piaceva per niente. Restava ancora la questione del bacio ma l’avrebbe accantonata perché in fondo aveva capito con che spirito era stata fatta.

Chri, non voglio che tra di noi ci siano incomprensioni. Se il discorso che mi hai fatto prima si riferisce anche a noi due e a quello che ti ho fatto quando ho deciso di partire sappi che mi dispiace. Mi dispiace di averti fatto male, ne ho fatto anche a me, ma non mi dispiace di essere una donna che ha voluto realizzarsi e crearsi una carriera che ama. Le tue parole mi hanno ferito; tu sai come sono fatta, mi spiace se hai pensato che fossi egoista. Per quanto riguarda Kieran, sarà il tempo a stabilire che ne sarà di noi. Sai che non ho mai creduto troppo nel destino, ma questa volta sento che se siamo destinati troveremo il modo di ritrovarci. Non ti arrabbiare, ma non voglio più parlare di questa storia con te. Se mai avessi bisogno di un consiglio sarò io stessa a chiedertelo.

Rilesse il messaggio un paio di volte. Forse alla fine era stata troppo dura ma davvero aveva bisogno di starsene tranquilla. Sentirsi dire continuamente che aveva fatto le scelte sbagliate non era certo il massimo per capire. Le scelte potevano anche essere state sbagliate ma non aiutava avere vicino persone che glielo ricordavano continuamente. Come se fosse stato l’errore più grande della sua vita e di lì in poi non avrebbe avuto più la possibilità di essere felice o di incontrare qualcun altro. Come se l’intera esistenza di una donna venisse giudicata positivamente solo se al suo fianco c’era un uomo.
Aveva sempre desiderato una famiglia, magari anche dei bambini, ma non per questo si sarebbe accontentata. Certo, se pensava a Kieran non aveva nessun motivo di considerarlo una scelta di ripiego, anzi. Lui sarebbe stata una scelta fatta col cuore in tutti i sensi. Era una persona molto forte, quasi come lei e far combaciare i loro caratteri avrebbe richiesto uno sforzo continuo da parte di entrambi e solo l’amore avrebbe dato loro la voglia di continuare a cercare punti d’incontro.
Lui la stimolava. La metteva costantemente di fronte ai suoi limiti e la costringeva ad affrontare le cose in maniera diversa, ad uscire dagli schemi, a superarli.
Era la persona giusta? Non lo sapeva e purtroppo per il momento si sarebbe dovuta accontentare dei ricordi. Forse Eve era ritornata nella sua vita o forse no, non contava granché in quel preciso momento. Lui era comunque lontano, in procinto di iniziare una nuova vita, lei lì a Milano, forse pronta a dire per sempre addio alla sua cara e vecchia amica chiamata zona di comfort.
 
Dopo aver fatto un giro tra i pazienti e aver chiacchierato con il professor Turriani, Sveva decise di seguire il consiglio di Charlotte e di partire qualche giorno per il mare.
Forse la Sardegna era quello che faceva al caso suo: mare cristallino, spiaggette riservate e poco caotiche da raggiungere con la barca, molto tempo per meditare e posti piani di turisti se avesse avuto voglia di vedere qualcuno.
Uscì dalla clinica nel primo pomeriggio e si infilò nella prima agenzia di viaggi che incontrò lungo la strada.

 

Ciao lettori!
Perdonate il ritardo con cui è stato pubblicato questo capitolo, ma ieri si è laureato mio fratello e quindi... 
Che ne pensate di questi ultimi risvolti? Grazie a chi continua a leggere la storia e grazie anche a chi sta seguendo la mini su Christian e Sveva sul mio blog. 
Grazie grazie grazie! 
Per quasiasi cosa, sapete dove trovarmi.
Un abbraccio

Danila

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Capitolo 28
*** 27 ***


27


Kieran Blom era ufficialmente un nuovo giocatore del Machester. Seduto nella sala delle conferenze del club ascoltava i dirigenti parlare del grande onore che era per loro averlo in squadra e tutti i progetti ambiziosi che intendevano raggiungere alla fine della stagione. Accanto a lui sedeva una ragazza esile e sorridente, sarebbe stata anche graziosa se non avesse avuto indosso un vestito ampio, che era obsoleto persino per sua madre, e il volto troppo truccato. Kieran la guardò di sottecchi. Era la sua interprete, sebbene lui sapesse parlare inglese molto bene.
La società aveva insistito affinché rimanesse al suo fianco durante a conferenza stampa e inoltre gli aveva comunicato che la ragazza sarebbe stata una specie di assistente per lui, per aiutarlo ad ambientarsi meglio in città; sarebbe stata a sua disposizione per tutto il tempo necessario. La ragazza aveva i capelli biondi lunghi fino alle spalle, più corti di quelli di Sveva e molto meno belli. Kieran pensò ai capelli setosi di Sveva, alla loro lucentezza e al loro inebriante profumo. Gli spuntò un sorriso sulle labbra quando si accorse che si stava eccitando. Anche se deluso e ancora molto incazzato, il pensiero di lei gli suscitava sempre una particolare emozione.
Chissà se era lo stesso per lei. A giudicare da come si schiudeva al suo tocco la ragazza reagiva a lui allo stesso modo in cui lui reagiva a lei. Kieran si schiarì un poco la voce e si accostò di più al tavolo, poggiando i gomiti sul piano di metallo scuro poiché l’eccitazione adesso cominciava a essere visibile.
Ma lei era lontana e aveva sicuramente già archiviato tutto. Come uno sciocco, si era aspettato un messaggio da parte sua. Una qualsiasi stupidaggine, anche solo un augurio per la sua nuova sfida, ma non era arrivato nulla. Si stupiva ancora di come fosse riuscita ad entrargli dentro, così, con una facilità disarmante.
Sveva era la donna più strana e bella che avesse mai incontrato. Come tutte le donne, aveva delle fragilità più o meno evidenti ma era il suo carattere che lo faceva impazzire. Molto probabilmente, se lei avesse accettato di partire con lui, poco dopo si sarebbe scocciato. L’avrebbe considerata una delle tante che professano la propria indipendenza e alla prima occasione si fiondano nelle braccia di un uomo che assicuri loro un futuro radioso, e in questo aveva ragione Helena che più volte aveva rimarcato tale aspetto. Sveva invece si era inalberata di brutto. Aveva difeso la sua indipendenza a spada tratta, senza neanche preoccuparsi di ferirlo. E in fondo in fondo, Kieran lo aveva adorato. Sveva era proprio quel genere di donna che avrebbe saputo tenergli testa.
Cercando di concentrare il massimo dei suoi pensieri in quello che stava accadendo intorno a lui, focalizzò l’attenzione su un paio di giornalisti seduti di fronte. Uno in particolare aveva un viso familiare e tipici lineamenti svedesi: alto, biondo chiaro e fisico asciutto. Kieran pensò ad Helena, era sicuramente un dei suoi inviati. Lo aveva chiamato quella mattina, appena atterrato in Inghilterra, per augurargli buona fortuna e per sapere come stava, se avesse visto Sveva, se avevano avuto modo di chiarire. Avevano avuto modo di avvinghiarsi, di unirsi carnalmente, questo sì. Ma parlare era troppo complicato. Kieran non aveva voglia di sentire un altro rifiuto da quelle labbra. Non quella sera.
Helena e Sveva erano molto simili. Al di là della similitudine nei colori, entrambe bionde e di carnagione chiara, avevano qualcosa nel carattere che le accomunava. La voglia di farcela da sole, lo spirito combattivo con cui affrontavano la vita e le sfide. Che poi, era fatto così anche lui. Forse per questo a volte sembrava così inconciliabile il loro carattere. Non erano poi così diversi, e il conflitto era sempre dietro l’angolo.
Kieran prese la parola. L’emozione in quel momento era inesistente e la sua testa altrove, ma si sforzò di sorridere e rispose a tutte le domande con il suo caratteristico senso dell’umorismo, dispensando battute anche abbastanza pungenti e provocando risate in tutta la sala. Forse poteva avere un futuro come comico, pensò, mentre guardava quelle facce nuove e si preparava mentalmente alla sua nuova vita lì. Nel pomeriggio avrebbe incontrato i nuovi compagni e poi sarebbe stato libero per tutta la sera e il giorno successivo. Magari avrebbe fatto un giro per cercare un appartamento che potesse soddisfarlo, avrebbe esplorato la città, si sarebbe rilassato giocando alla play.
 
Nella stanza d’albergo c’era solo il suono della televisione, sintonizzata su un canale sportivo. Si parlava di lui, scorrevano a ripetizione le immagini delle sue prime parole, ma lui non guardava. Era disteso sul letto e stringeva in mano il cellulare. Ci aveva sperato ancora, fino a quel momento, ma niente. Sveva non si era degnata di mandargli neanche un semplice messaggio. Niente di niente.
Se era l’indifferenza che stava cercando aveva trovato pane per i suoi denti. Kieran era molto bravo in questo gioco, poteva anche soffrire come un cane bastonato, ma non le avrebbe mai più dato la soddisfazione di farglielo vedere o di esternare i suoi sentimenti come era accaduto in quei giorni.
Il suono improvviso del campanello riscosse Kieran dal torpore dei cattivi pensieri. Si alzò e andò ad aprire. La sua era una suite composta da due stanze, un salottino e una camera da letto, e un bagno molto grande con due vasche, di cui una a idromassaggio, e una doccia ultramoderna. Attraversò il salotto con la tappezzeria di un colore verde chiaro molto rilassante ed aprì la porta. Annelie, la sua assistente/interprete, gli sorrise.
«Buonasera signor Blom, sono passata a vedere se aveva bisogno di qualcosa.»
«Buonasera. Vuoi entrare?»
Lei fece qualche passo timido all’interno della stanza e rimase impalata al centro. «Ha già mangiato, signor Blom? Altrimenti se vuole posso consigliarle dei ristoranti.»
Kieran sorrise. Annelie era bassina, molto magra ma ora che indossava dei jeans e una camicetta colorata sembrava un po’ più giovane. «No, non ho cenato ma non ho voglia di uscire.»
«Posso ordinarle qualcosa in camera.»
«Questo posso farlo anche da solo, Annelie.»
Lei arrossì un poco. «Beh, sì, mi scusi. È che sono pagata per fare questo.»
«Non ti scusare e per favore smettila di darmi del lei e di chiamarmi signor Blom. Chiamami Kieran.»
«D’accondo, Kieran. Allora se non c’è nulla che posso fare per te, andrei. Se hai bisogno chiamami in qualsiasi momento» si avviò verso la porta.
«Aspetta» Kieran infilò le mani in tasca. Aveva fame, ma non voleva proprio stare da solo. L’apatia e l’abbrutimento che lo avevano colpito da quando era ritornato in albergo non gli piacevano affatto. «Perché non rimani a cena con me? Faccio portare qualcosa dalla cucina.»
Annelie esitò. Le si erano arrossate leggermente le gote. Si cacciò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Va bene.»
Kieran la fece accomodare e chiamò alla reception.
Mezz’ora dopo stavano sorseggiando del vino rosso e mangiando un hamburger. Kieran ascoltava la ragazza che gli raccontava della sua vita, dei suoi studi e di come fosse finita in Inghilterra. Era svedese di nascita, poi si era trasferita lì per amore, dopo aver conosciuto un insegnante di matematica di Manchester ad una festa a Stoccolma. Tra loro era stato amore a prima vista e dopo un periodo di conoscenza lei aveva deciso di trasferirsi.
«Devi farmelo conoscere, Annelie.»
Lei si irrigidì un attimo, poi tornò a rilassare le spalle ma negli occhi era comparsa una venatura di tristezza. «Non posso, Kieran. Lui… non c’è più. È morto in un incidente d’auto l’anno scorso.»
Kieran poggiò la forchetta nel piatto e alzò lo sguardo verso Annelie. Non immaginava una cosa del genere, e sentiva di dover fare qualcosa, di dover porre rimedio alla sua mancanza di tatto. Le prese la mano. «Scusami, non volevo renderti triste.»
Lei scosse la testa. «Non potevi saperlo», ritrasse la mano e la nascose sotto al tavolo. «E tu invece che mi dici della tua vita amorosa?»
Kieran mostrò un sorriso a trentadue denti. «Al momento sono libero.»
«Oh mio dio, non vorrei essere al tuo posto» ridacchiò Annelie.
«Perché, scusa?»
«A meno che tu non sia il tipo di ragazzo a cui piace essere circondato da donne, la tua vita sarà un inferno. Orde di ragazze inferocite che cercheranno di attirare la tua attenzione…»
Peccato che l’attenzione di Kieran fosse già rivolta verso una persona. «Un po’ di divertimento non ha mai fatto male a nessuno» rispose lui, fingendo leggerezza e spensieratezza.
In fondo la sua nuova vita era appena iniziata e doveva darsi da fare per viverla al meglio, come aveva sempre fatto.
«Se è il divertimento che cerchi, ti posso consigliare delle discoteche o dei club che possono fare al caso tuo.»
Kieran la guardò divertito, sollevò gli angoli della bocca e si leccò le labbra. «Sai che non sembri proprio una tipa da club o discoteche?»
«Come mai pensi questo?»
«Beh, per come ti vesti. Sembri una che se ne sta a casa a lavorare a maglia o a fare l’uncinetto.»
Lei strabuzzò gli occhi, evidentemente risentita. «Mio dio, Kieran, allora quello che si dice di te in giro è vero.»
«E che si dice di me?»
«Che sei un tipo senza peli sulla lingua. Però su di me ti farò ricredere. Domani sera?»
«Andata.»
 
Quando Kieran si mise a letto fu felice di aver invitato Annelie a restare, da solo avrebbe pensato soltanto a Sveva ne era certo.
Le dedicò comunque gli ultimi istanti di pensiero cosciente prima di sprofondare nel sonno.

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Capitolo 29
*** 28 ***


Sveva respirò a pieni polmoni l’aria salmastra. La brezza tirava forte e le scompigliava i capelli, facendoli finire sul volto e sugli occhi; non si curò nemmeno di aggiustarli. Dall’alto del promontorio su cui si trovava si godeva di una vista mozzafiato. Non era la prima volta che visitava la Sardegna, ma la trovava sempre affascinante e bellissima. Era l’opposto di lei, la Sardegna. Impervia, misteriosa, avventurosa e imprevedibile. Lei invece era un libro aperto, scontata e monotona. O almeno era così che si sentiva.
Partire da sola era stata una decisione avventata ma saggia e tra l’altro non lo aveva comunicato a nessuno, neanche a suo fratello. Aveva inserito la modalità non disturbare sul cellulare e aveva deciso che lo avrebbe utilizzato solo in caso di necessità.
La casa che aveva affittato era situata su quel promontorio. Abbastanza isolata dal centro cittadino, con una spiaggetta privata alla quale si accedeva tramite una scalinata impervia tra le rocce ed era in comune con altre due case, poco distanti da lei. Non poteva desiderare posto migliore per trascorrere un week end all’insegna del relax più assoluto. Si staccò dalla balaustra di legno e iniziò a scendere per raggiungere la spiaggia.
Sotto c’erano un paio di persone, un uomo e una donna, potevano avere all’incirca una cinquantina di anni, lei una donna molto elegante, aveva un costume intero nero satinato e un cappello dello stesso colore molto ampio, grossi occhiali da sole scuri. Lui indossava un costume blu scuro e una camicia con stampe di palme dello stesso colore del costume, aperta sul davanti. Scrutava il mare, come se fosse in cerca di qualcosa che dovesse comparire all’orizzonte. La signora si voltò verso di lei e salutò.
La sabbia era finissima e così chiara da sembrare bianca. Calda e morbida sotto ai piedi. Sveva si mise distesa a prendere il sole. Poco dopo, una barchetta arrivò fino a riva e caricò i due signori e lei rimase completamente sola. Il sole del pomeriggio era caldo ma la brezza mitigava i suoi effetti. Fece un bagno. L’acqua così limpida da specchiarcisi dentro, ghiacciata, corroborante.
Chissà Kieran che stava facendo in quel momento, chissà se si trovava bene a Manchester, con i nuovi compagni. Avrebbe voluto mandargli un messaggio il giorno in cui era partito, ma poi il ricordo di lui con Evangeline sotto casa l’aveva fatta desistere. In fondo Kieran le aveva detto chiaramente che tra loro era finita. E andava bene così.
In realtà lei sentiva la sua mancanza. Era una mancanza feroce, che la mordeva di continuo, senza lasciarle un attimo di tregua, ma la relegava in un angolo della sua mente e cercava di proseguire con la sua vita. Che doveva fare? Non ce la faceva a prendere quella decisione. Non la frenava tanto il fatto di un possibile rifiuto da parte di Kieran, quanto la paura di come sarebbe poi cambiata la sua vita se invece Kieran avesse deciso di provarci.
Sotto al sole, anche la mancanza di Kieran sembrava farsi più leggera e mentre iniziava a calare dietro la linea dell’orizzonte lei si addormentò, cullata dal rumore del vento e delle onde che si infrangevano sul bagnasciuga. A svegliarla furono le voci dei due signori, ritornati sulla spiaggia dopo il giro in barca. Si mise sedere mentre la signora le si avvicinava.
«Signorina, lei ha preso in affitto la casa vicino alla nostra?»
«Sì, solo per questo week end» rispose Sveva.
«Oh, questo posto è magnifico, io e mio marito ci veniamo ogni anno. Senta, le va di venire a cena da noi, stasera? Se non ha impegni. Facciamo una festicciola e ci raggiungono alcuni amici, sono su uno yatch qui vicino», indicò il mare aperto e una delle grandi barche che si vedevano al largo.
«La ringrazio, è gentile da parte sua ma…» Sveva si trattenne dal rifiutare. Una cena non le avrebbe fatto male, conoscere gente nuova men che meno. Perché no? In fondo era andata lì per capire, per liberarsi di certi schemi e quale modo migliore se non una cena con perfetti sconosciuti?
«Non si faccia problemi, a noi farebbe tanto piacere» continuò la donna. Anche l’uomo sorrideva e asseriva a tutto quello che diceva sua moglie.
«A che ora devo venire?»
«Quando vuole! Vada a casa, si prepari e venga, così ci conosciamo un po’. Sono felice che abbia accettato.»
 
Indossò dei pantaloni ampi di lino e un top di seta leggermente sblusato. Sandali con la zeppa di paglia e un trucco molto leggero. Percorse il vialetto costeggiato da siepi e fiori selvatici che divideva le due abitazioni e raggiunse la villa dei signori. Molto più grande della sua casa, era sviluppata su due piani e davanti aveva un bellissimo porticato di legno, in quel momento illuminato da una serie di lanterne a corrente elettrica che pendevano dal soffitto. Un dondolo, un divanetto in vimini con tavolino e delle poltrone si affacciavano ai lati dell’ingresso verso la scogliera e la distesa blu del mare. Dall’interno proveniva un sottofondo di musica blues.
Alla porta comparve la signora della spiaggia. Una donna davvero molto bella e curata, con i capelli neri portati corti a caschetto, come quelli di sua madre, dei pantaloni a vita alta e un top largo pieno di pietre scintillanti lungo tutto il decolté. Truccata anche lei leggera, ad eccezione delle labbra, di un rosso fuoco. Aveva un sorriso radioso, tipico delle persone che sono in pace con se stesse e che non desiderano nient’altro dalla vita.
Nel salone c’erano vari divani e sedie, disposti a semicerchio con al centro un tavolino e di fronte una vista mozzafiato sulla scogliera e il mare infinito. Sembrava un quadro tanto era bello e poetico. La signora la invitò ad accomodarsi. Si chiamava Sandrina e aveva cinquantacinque anni. Suo marito si chiamava Eugenio, si affaciò un attimo per presentarsi e salutarla, poi tornò in cucina, dove stava finendo di preparare la cena. Era un imprenditore veneto trasferitosi poi con lei a Milano. Sandrina invece si occupava per lo più delle associazioni di beneficenza di cui era membro attivo, per le quali organizzava varie serate di raccolte fondi o eventi più informali. Era una donna molto elegante e piena di fascino, parlare con lei era fonte di grande interesse per Sveva. Quando Sandrina seppe che stava anche lei a Milano sembrò illuminarsi di gioia.
«Devi assolutamente venire a qualche mio evento, Sveva. E magari potresti diventare socia anche, abbiamo bisogno di donne come te.»
Sveva le aveva raccontato brevemente la sua vita e Sandrina aveva mostrato apprezzamento per la scelta di formarsi all’estero.
Sorrise alla sua nuova conoscenza. Era una donna così piena di entusiasmo e di vita che non si poteva non provare lo stesso standole accanto. Si ritrovò a dirle di sì, con un trasporto sincero. D’altronde il problema dei bambini schiavizzati dalla malavita in Italia esisteva e la toccava le coscienze di tutti. O almeno, di tutti quelli che ne avevano una.
«Quanti saremo stasera?»
«Aspettiamo una decina di persone, un caro amico con sua moglie, i suoi due figli di cui uno scapolo che potrebbe fare al caso tuo e…»
«Oh, ma io non sono in cerca di un compagno, per il momento» si affrettò a dire Sveva, arrossendo per l’enfasi con la quale aveva pronunciato la frase.
«Mia cara, sei bella, sei intelligente e in gamba, dovresti saper cogliere le occasioni al volo quando ti capitano. Non sarai giovane e bella per sempre, purtroppo.»
Il suo viso si incupì, per poi tornare sereno. Forse per un attimo si era persa nei ricordi della sua vita da giovane.
«Sandrina, ma tu sei favolosa, sei ancora incredibilmente bella. E poi io ho una persona…beh c’è una persona che mi piace. Non so come andranno a finire le cose tra di noi, ma credo di… credi di volerci provare.»
Lo stupore di quella rivelazione la colpì. Stava annunciando per la prima volta anche a se stessa le sue intenzioni.
«Oh, se è così Sveva allora sono felice. E chi è? Cosa fa? Parlami un po’ di lui. Come vi siete conosciuti? Adoro ascoltare le belle storie d’amore.»
Sveva sorrise. Il cuore e lo stomaco erano in subbuglio. Doveva fare qualcosa, doveva prendere in mano la situazione. Ormai aveva capito, non c’era più tempo da perdere. Doveva tornare a Milano, partire per l’Inghilterra. Doveva…
Dalla porta entrarono i primi ospiti. Sveva dentro ribolliva di agitazione e la sua mente lavorava frenetica per programmare tutto. Strinse delle mani, conversò con tutti, ma non era totalmente presente.
Si sentiva a suo agio in mezzo a quelle persone, dopotutto era il suo mondo. Anche la sua famiglia era benestante, era cresciuta in mezzo a cene tra persone di spicco, discorsi sulla politica, sul femminismo, sull’arte. Era cresciuta osservando donne belle e intelligenti struggersi e rovinarsi per uomini che non valevano neanche la metà di loro, osservando come l’amore potesse rendere ciechi e stupidi, e aveva promesso a se stessa che niente mai l’avrebbe ostacolata dal raggiungimento dei suoi obiettivi. La madre aveva anche amiche forti e indipendenti e a loro si era voluta ispirare per costruire la sua vita. Donne dal carattere tosto, donne in carriera, donne che erano riuscite lo stesso a trovare l’amore, ma un amore vero, non malato o ossessivo. Sveva sapeva che tutte le sue precedenti relazioni erano state vere e serie, non poteva recriminare niente a se stessa, aveva vissuto proprio la vita che aveva desiderato. A parte gli imprevisti, che bisognava solo imparare ad affrontare con più coraggio.
I calici venivano riempiti e svuotati, il cibo era ottimo, lei si sentiva felice e ubriaca. Il ragazzo di cui le aveva parlato Sandrina era seduto accanto a lei, era carino e simpatico. Sguardo intelligente e l’aria di chi dalla vita aveva avuto tutto senza dover lottare. Kieran invece tutto quello che aveva se lo era guadagnato col sudore e i sacrifici, come lei. Se fosse stato lì in quel preciso momento gli avrebbe detto che era innamorata di lui e che voleva viverlo. A distanza, solo una volta al mese, o di più, non le importava. Voleva lui, voleva Kieran Blom col suo carattere indomabile, col suo sorriso radioso e la lingua impertinente, con i suoi capelli che si mischiavano a quelli biondi di lei quando facevano l’amore, e con tutte le conseguenze.
«Perché domani non vieni in barca con noi, Sveva? Ho sentito dire che è appena arrivato anche Kieran Blom con i suoi compagni di squadra. Potremmo sicuramente incontrarli» le chiese il ragazzo.
Sveva rimase bloccata col calice a mezz’aria. «Cosa? Kieran è qui?» domandò, quasi come se non avesse udito bene o se avesse confuso la conversazione che stava avvenendo con lui con quella che invece stava avendo con se stessa nella sua testa.
«Sì, è a Porto Cervo in questo momento. Personalmente non l’ho visto ma girava questa voce. Lo conosci?»
«Sì, sì certo. È un compagno di squadra di mio fratello.»
Kieran era lì, proprio nel momento stesso in cui c’era anche lei. Un chiaro segno del destino. Si illuminò tutta. «Accetto volentieri il vostro invito.»
Quella risposta fu accolta dall’approvazione di tutti e da un altro brindisi. Dallo sguardo furbetto che le rivolse Sandrina Sveva capì che la donna aveva già intuito tutto.

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Capitolo 30
*** 29 ***


29


Era in uno stato di fibrillazione. A bordo dell’auto che aveva noleggiato stava raggiungendo il porto per trascorrere una giornata in barca con i signori Vittorini e Sandrina e suo marito. I vetri aperti, il vento che le faceva svolazzare i capelli dappertutto; respirava ansia e felicità. Aveva scelto di andare con la sua macchina perché in testa aveva in mente di parlare con Kieran se lo avesse visto. Magari poi sarebbe rimasta sul suo yacht.
I turisti affollavano il molo, chi per salire sulle diverse barche che li avrebbero portati a fare un giro della costa, chi semplicemente per ammirare le barche di lusso attraccate nel porticciolo.
Sveva esplorò i negozietti di souvenir in attesa degli altri. Si erano dati appuntamento all’ingresso del molo e mancava ancora una buona mezz’ora. Una foto di Kieran in prima pagina sullo scaffale dei giornali attirò la sua attenzione. Si parlava del suo trasferimento, di tutte le cifre dell’operazione e alcune curiosità. Aprì il giornale e cominciò a leggere l’articolo. Non si era mai interessata di calcio, ne aveva sempre capito molto poco ma guardare le foto di lui le dava una sensazione di calore e benessere. Voltò un’altra pagina e trovò quella foto: Kieran e Eve che si abbracciavano, proprio come li aveva visti lei quella mattina. La didascalia diceva che forse tra i due ci poteva essere stato un ritorno di fiamma, anche se di recente lui era stato avvistato con la sorella dell’ex compagno di squadra Enrico Romanini. Seguiva una foto molto più piccola di lei con Kieran, la stessa che le aveva mostrato Charlotte. Erano così felici in quell’immagine…
Sveva per poco non accartocciò il giornale. Lo richiuse, riponendolo nel ripiano con molta meno cura di quanto avrebbe fatto in un'altra situazione.
«Sveva!»
Sussultò al suono di quella voce. Si voltò, incontrando il volto dall’espressione piuttosto sorpresa del suo amico Christian. Non si erano più parlati da quando lui era stato in clinica e al messaggio che gli aveva mandato non aveva mai ricevuto risposta.
«Christian» fece lei, altrettanto sorpresa. Subito dietro di lui stava sopraggiungendo suo fratello. Indossava dei ridicoli pantaloni di lino a strisce colorate, a petto nudo e un cappello di paglia sulla testa. «Che ci fate qui?»
«Sveva! Ma quando sei venuta?»
«Sono venuta ieri, ma non sapevo ci foste anche voi.»
«Ci ha invitati Kieran, una festa tra vecchi compagni…»
Christian continuava a fissarla. «Sei venuta da sola?»
«Perché non si può?» rispose fredda lei.
«Dove alloggi? Perché non mi hai detto niente?» continuò il fratello, dopo aver scoccato un’occhiata a entrambi.
«È stata una cosa improvvisa» mentì lei. In realtà erano trascorsi tre giorni da quando aveva avuto quella brutta discussione con Christian e aveva prenotato la vacanza. «Dove state andando? Tu dove vai conciato in questo modo?»
Enrico sfoderò un sorriso radioso e fece una piroetta su se stesso, allargando le braccia. «Perché, non ti piace? Stiamo andando a fare rifornimento, tra poco salpiamo. Perché non vieni con noi?»
Quella sarebbe stata l’intenzione di Sveva ma proprio mentre il fratello diceva quelle parole Kieran aveva fatto capolino tra la folla e i loro sguardi si erano incrociati. Quello che aveva visto le aveva fatto fare marcia indietro, perché era chiaro che lui non fosse molto felice di vederla. Riluttante, si stava avvicinando, tenendo le mani nelle tasche del costume fluorescente e la testa bassa.
Sveva a stento trovò la voce per rispondere. «Non credo che sia il caso.»
«Scusa ma dove andrai adesso? Se sei sola puoi unirti a noi.»
«In realtà è una cosa per soli maschi.»
La voce di Kieran suonò dura. Enrico e Christian si voltarono verso il nuovo arrivato. Kieran sollevò gli occhiali da sole e guardò la ragazza. Fu una specie di ispezione, con gli occhi che scesero dal viso lungo tutto il corpo, in quel momento fasciato solo dal copricostume leggero.
«Kieran ma è sola…» provò a dire Enrico, ma senza entusiasmo e senza sortire nessun effetto nell’animo dell’amico, che rimase impassibile.
«In realtà non sono sola. Sto aspettando delle persone che ho conosciuto ieri sera, vado in barca con loro.»
«Bene» rispose Kieran, «allora buon divertimento.»
«Anche a voi.»
Christian sorrise beffardo, scoccando un’ultima occhiata a Sveva. «Vado al bar.»
Enrico guardò la sorella. Cercava nei suoi occhi la risposta al comportamento strano di Christian. Sveva scosse la testa.
«Sì ma chi sono queste persone con cui vai in barca? Voglio dire, hai detto che le hai conosciute ieri sera.»
Kieran non era andato via. Rimaneva lì, lo sguardo altrove, ad ascoltare la conversazione tra lei e suo fratello. «Enrico, stai tranquillo, non sono una sprovveduta.»
«Va bene» fece il fratello abbracciandola. «Ma mi chiami stasera, quando rientri?»
Lei sorrise, scoccandogli un bacio sulla guancia. «Sì.»
Enrico se ne andò. Ma Kieran rimase lì. Non diceva niente. Sveva avrebbe voluto dire tante cose, tante di quelle cose che temeva non sarebbero bastati due giorni interi. Eppure anche lei continuava a rimanere in silenzio. Sentiva una connessione pazzesca. Il semplice guardarsi negli occhi stava scatenando un uragano di emozioni dentro di lei. Sentiva tutte le parti del suo corpo vive e anche se non dicevano niente sapeva che i loro corpi e le loro menti si stavano dicendo tutto. Sarebbe potuta rimanere in silenzio per un tempo infinito, lì in mezzo alla confusione che poi era un semplice fruscio in confronto alla potenza e al frastuono di quella connessione, di quella tacita conversazione. Kieran sollevò in angolo della bocca, spezzando per un attimo quella magia, lasciando nelle sue membra ancora una scia di quella sensazione.
Era come se i loro occhi avessero fatto l’amore.
«Dove sono i tuoi nuovi amici?»
«Sono al molo» disse balbettando. Non si aspettava quella domanda. In realtà non sapeva neanche lei cosa si aspettava.
Proprio in quell’istante, qualcuno in lontananza chiamò il suo nome. Guardò tra la gente fino a vedere un ragazzo che si stava sbracciando per farsi vedere. Era Gionny Vittorini, il ragazzo che le aveva presentato Sandrina. Sveva alzò la mano per salutarlo e fargli capire che lo aveva visto. Anche Kieran si era girato a guardare. Quando voltò di nuovo la testa verso di lei fu come se la lama di un coltello stesse penetrando nel suo stomaco, lenta e sadica.
«Bene, vedo che non hai perso tempo.» Contrasse la mascella, gli occhi che fiammeggiavano pieni di qualcosa di molto simile al disprezzo. Fece per andarsene. «Ciao.»
«Non è come credi» intervenne lei quasi alzando la voce. Kieran la guardò di sbieco, con metà corpo già pronto ad andare. «Ci sono anche altri, saremo in parecchi. Kieran io ho…»
«Domani sera sarò a Milano. Se non sei troppo impegnata.»
Lui bloccò il suo tentativo di spiegare tutto. Stava per dirgli che aveva accettato solo per poterlo incontrare, solo per poterlo rivedere e magari avere una conversazione migliore di quella.
«Dove?» Chiese lei quasi prima che terminasse di parlare.
«A casa mia. Dopo cena. Ti aspetto.» Abbassò di nuovo gli occhiali da sole, a celare gli occhi che tanto avevano emozionato Sveva. Un sospiro e si voltò, mischiandosi alla folla.
Sveva prese un bel respiro e si incamminò a sua volta. Quando Kieran l’aveva guardata dopo aver visto Gionny si era sentita morire. Doveva pensare delle cose davvero brutte di lei. E in effetti l’aveva tacciata di superficialità l’ultima volta che erano stati insieme. Però subito dopo le aveva dato un appuntamento e questo compensava in minima parte il gelo che l’aveva oppressa. Dunque quello sarebbe stato il momento in cui avrebbe confessato i suoi veri sentimenti a Kieran e gli avrebbe chiesto di darsi una possibilità.
Con lo stomaco maciullato dall’ansia, andò incontro ai suoi nuovi amici.
 
 
Incontrare Sveva era l’ultima cosa che avrebbe immaginato potesse accadere quel giorno ma non se ne era stupito più di tanto, l’aveva pensata talmente forte che l’aveva fatta materializzare davanti a lui. Immaginare che se ne potesse andare in barca con quel tizio a fare chissà cosa gli faceva ribollire il sangue nelle vene. D’altronde, se lui non si fosse opposto con così tanta veemenza, forse in quel preciso momento lei sarebbe stata a bordo con loro.
Ma era giusto così, era meglio per tutti, soprattutto per lui. Voleva stare con gli amici, non con lei. Non trascorrere l’intera giornata a guardarla o a cercare il suo contatto, come era sicuro avrebbe fatto. Però se continuava ad indugiare su quei pensieri avrebbe trascorso comunque la giornata con la testa altrove, magari a solcare il mare in cerca di lei. Dannazione, perché doveva essere così bella? Perché doveva sentirsi come un pesce lesso ogni volta che si trovava in sua presenza?
Mentre lo yatch si staccava lentamente dalla banchina e virava verso il mare aperto diede uno sguardo sulle barche vicine, per cercare di individuarla.
«Posso?»
Voltò leggermente il capo per vedere Christian che si accomodava accanto a lui, sulla prua. «Certo.»
Per un po’ rimasero in silenzio a rimirare lo spettacolo che avevano davanti. Le barche a poco a poco guadagnavano il largo, su alcune si sentiva della musica, altre erano molto più sobrie e silenziose, eleganti dame che scivolavano pigre sul mare.
«Ascolta, so che non sono affari miei ma volevo parlarti di Sveva.»
Kieran sospirò piano, prima di voltarsi di nuovo verso il suo interlocutore. «Posso chiederti per quale motivo è finita la vostra storia?»
«Per lo stesso motivo per cui non è iniziata la vostra» rispose laconico Christian.
Un sorrisetto amaro comparve sulle sue labbra rosee. «Siete ancora molto uniti…»
«Sì, ma sono stato io a far si che le cose andassero così. In fondo lei aveva fatto la sua scelta e se io avessi deciso di non rivolgerle più la parola lei lo avrebbe accettato.»
Kieran a quel punto sollevò un sopracciglio e guardò Christian dritto negli occhi. «Mi stai forse dicendo che dovrei lasciarla andare, che non cambierà mai idea? Perché l’ho già fatto.»
«Al contrario. Vi ho visti prima e ho visto lei. È molto presa da te.»
«Te lo ha detto lei?» A lui non sembrava affatto.
«No, ma la conosco meglio di chiunque altro. Ci è rimasta male per come sono andate le cose tra di voi»
«È rimasta così male che non è riuscita neanche a mandarmi un messaggio quando sono partito» sbottò Kieran; si portava dietro ancora del risentimento.
Christian fece passare qualche minuto di silenzio. «Ti ha mai parlato di Logan?»
«No. È il suo ex?»
«Beh, non spetterebbe a me dirtelo, ma sono convinto che questa volta la distanza c’entri molto poco, sono quasi certo che lei abbia paura di prendere un’altra batosta.»
Guardò verso il mare, verso la lunga scia bianca che si stavano lasciando alle spalle. «Come mai si sono lasciati, se posso saperlo?»
Christian sembrò restio, forse stava solo cercando le parole. «Perché lui l’ha tradita con una ragazza più giovane e glielo ha confessato a pochi mesi dal matrimonio.»
Kieran chiuse gli occhi e abbassò la testa tra le spalle, scuotendola impercettibilmente. «Christian, io apprezzo quello che stai cercando di fare, ma se mi stai chiedendo di darle certezze, io non posso. Posso dirle che mi piace, che è favolosa che desidero averla al mio fianco notte e giorno ma non posso assicurarle che staremo insieme per sempre perché non lo so se sarà così. La paura che si porta dietro è una cosa che deve risolvere con se stessa.»
«Che fate qui? Perché non venite a fare colazione?» Enrico apparve dietro di loro.
Christian si alzò, scambiò un’occhiata significativa con Kieran, lasciandogli una pacca sulla spalla. «Stavamo facendo due chiacchiere», e raggiunse gli altri per la colazione, lasciando i due da soli.
Enrico prese il posto di Christian. «Ehi, tutto bene? Ho visto che non hai voluto far salire Sveva a bordo… scusami, non avrei dovuto invitarla.»
Kieran sorrise e fece un gesto con la mano. «Ma smettila. E poi sono sicuro che starà bene anche senza di noi.» sentì una punta di gelosia pizzicargli lo stomaco.
«Ma tu capisci che saremmo potuti diventare cognati oltre che migliori amici?» Enrico colpì più volte la spalla di Kieran con dei pugni, facendolo ridere.
«Smettila o ti butto giù.»
L’ultimo pugno si trasformò in una specie di carezza, che poi scivolò per tutta la lunghezza delle spalle, fino a circondarlo. «Non ti ho ancora chiesto come stai.»
Kieran guardò l’amico. «Devo essere onesto? Penso a lei continuamente, ma con le sue convinzioni non è facile avere a che fare e non credo potremmo mai trovare un punto di incontro.»
«Io ultimamente non la riconosco più. Anche questa storia che è partita senza dire niente… secondo me sta cercando di superare la cosa. Sai che lei tende ad essere molto razionale, a ragionare anche sulle emozioni e a volte non ci riesce e si sente soffocare e poi sta male. Ma sono sicuro che lei ci tiene a te e che sta soffrendo.»
«Ma io non posso farci niente, se non voleva soffrire poteva decidere diversamente.» sbottò Kieran. Tutti a dirle che Sveva stava male ma era stata lei a decidere tutto. «Comunque, domani sera abbiamo un appuntamento.» Lanciò un’occhiata fugace ad un sacchetto di carta bianco adagiato sul divano alla sua destra.
«Davvero?» gli occhi di Enrico si illuminarono. «Beh, allora io faccio il tifo per voi. Cognatino, dopotutto, suona bene. No?»
Kieran si alzò ridendo. «Sì, suona bene.»

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Capitolo 31
*** 30 ***


30


Sveva si tormentata le unghie, mentre a bordo della sua automobile ripercorreva la strada che solo diversi giorni prima aveva decretato nella sua mente la fine definitiva della sua storia con Kieran. Adesso invece tutto poteva essere riscritto. Si sentiva tranquilla, ma agitata, felice, ma ansiosa. Stava per rivedere Kieran ma allo stesso tempo temeva questo incontro.
Riuscì a trovare un parcheggio nei pressi del portone dal quale aveva visto uscire Kieran. Chiese al portinaio se potesse indicarle l’appartamento di Kieran Blom, che avevano un appuntamento e quello le disse di salire al quinto piano.
Nell’ascensore si aggiustò i capelli e sistemò bene il top nel pantalone. Più per mascherare il tremore alle mani che per reale necessità. Si era guardata allo specchio altre cento volte prima di uscire e aveva impiegato tre ore per prepararsi. Sapeva di non avere niente fuori posto. Questo in genere le dava un po’ di tranquillità in più ma quella sera non fu così.
Si sentiva come un condannato che andasse ad ascoltare la sentenza da cui sarebbe dipesa la sua vita futura. E le toccava anche l’arringa finale, senza nessun avvocato a farla per lei.
Kieran la stava aspettando in tuta. Aveva un paio di pantaloncini neri e una maglietta dello stesso colore. Piedi scalzi e capelli sciolti. Imponente e magnifico come sempre. Le sorrise.
«Bevi qualcosa?»
Lei fece segno di sì con la testa. Si guardò intorno mentre Kieran si avvicinava ad un tavolino con delle bottiglie di alcolici e faceva tintinnare dei bicchieri. La casa era molto grande. Nell’ambiente in cui si trovavano loro c’era un grande televisore con divani in pelle nera e pareti dipinte di grigio perla. Quadri colorati davano un po’ di luce ad un ambiente altrimenti molto scuro. Sul soffitto c’erano dei faretti a led che in quel momento mandavano una luce più bassa del normale e creavano un’atmosfera quasi dolce e sognante. Sveva si accomodò sul divano. Il pavimento di marmo scuro lucido rifletteva i suoi vestiti chiari.
«Come è andata la vacanza?» chiese, per spezzare il silenzio tra loro.
«Benissimo. Tuo fratello si è divertito molto.» Kieran si sedette accanto a lei e le porse un bicchiere.
«E tu?»
Lui bevve un sorso. Dalla televisione provenivano le immagini di un film e le luci si riflettevano sul suo viso, cambiando le ombre come una danza. «E tu?» ribatté. «Con il tuo nuovo amico, ti sei divertita?»
Sveva esitò. Stava per ribattere che era stufa di quelle insinuazioni ma non sapeva se Kieran fosse geloso o se la stesse accusando di giocare con gli uomini. La seconda ipotesi le faceva decisamente male. «È andata bene» rispose alla fine. Osservò Kieran bere ancora, un sorso molto più grande, mentre lei non aveva neanche portato il bicchiere alle labbra. Forse era agitato tanto quanto lei. Da quando era entrata in casa non l’aveva ancora guardata negli occhi.
«E a Manchester, invece?»
In quel momento però voltò la testa di scatto verso di lei, come un uccello rapace che individua la sua preda. «Ti interessa veramente?» La voce suonava cupa e quasi risentita.
«Certo che mi interessa.»
«Eppure non mi hai mandato neanche un messaggio, neanche una telefonata.»
«Pensavo…» beh pensava che a lui non avrebbe fatto piacere sentirla ma era chiaro che non fosse così. Abbassò la testa per sfuggire al suo sguardo. «Lo so. Avrei dovuto.»
Lui si alzò e si riempì di nuovo il bicchiere. «Come mai sei venuta qui, stasera?»
«Per vederti, per parlarti.» Sentì il cuore accelerare. Era giunto il momento.
«E allora parla. Cosa c’è che mi vuoi dire?»
Ma quel tono la frenava. Kieran aveva di nuovo quello strano atteggiamento della sera che si erano visti a casa sua. Sembrava triste, amareggiato e incazzato.
«Perché mi hai invitata? Pensavo ti facesse piacere ma adesso non mi sembra così.»
Lui rimase in piedi, appoggiato al tavolino con un fianco, le gambe incrociate. «Mi faceva piacere, ma adesso non lo so più.»
Lei abbassò la testa e si ritrovò a guardare il bicchiere che stringeva tra le mani. Il liquido si era già riscaldato quando lo sentì sulla lingua e poi giù, lungo la gola, una scia di fuoco che ebbe l’effetto di aumentare la sensazione di disagio piuttosto che allentarla.
«Allora forse è meglio che vada.»
«Non essere sciocca. Adesso sei qui. Parliamo. Vuoi sapere di Manchester? Va tutto bene. Il club non è niente male, le persone sono gentili, mi danno un sacco di soldi e mi trattano come se fossi un leader, cosa che ritengo abbastanza appropriata.»
«Perché non vieni a sederti?» chiese lei. Vederlo lì in piedi che la scrutava e che continuava a bere cominciava a metterla in ansia.
«Così puoi saltarmi addosso come hai fatto l’ultima volta?»
La prima reazione di Sveva fu quella di indignarsi. Poggiò con forza il bicchiere sul piccolo tavolo di vetro accanto al divano e fece per alzarsi, pronta ad andare via. Poi però si rese conto che la sua era solo una strana reazione a quella situazione. Probabilmente anche lui era a disagio e voleva scaricare così le emozioni. «Va bene, hai deciso di insultarmi stasera. In un certo senso me lo merito, te ne do atto.» Fece una pausa, domandandosi se buttare fuori tutto in quel preciso momento fosse la cosa giusta o se dovesse aspettare di ristabilire una sorta di calma. Fissò Kieran, che con aria interrogativa la guardava dall’alto dei suoi due metri.
«Mi dispiace. Mi dispiace per tutto. Anche per il messaggio che non ti ho mandato. Ci ho pensato tutto il giorno, sono stata a chiedermi se ti avrebbe potuto dare fastidio, se non volevi più avere niente a che fare con me, e alla fine ho scelto di non fare niente. Però mi interessa, certo che mi interessa di te…»
Lui si portò una mano tra i capelli, sistemandoli dietro alle orecchie. «Vedi come fai? Sempre lì a pensare e ripensare… però non mi pare che tu ci abbia messo tutto questo tempo per decidere se andare in barca con quel tizio oppure no, ieri. Se non sbaglio hai detto che lo avevi conosciuto la sera prima.»
«Cosa c’entra questo, adesso? Ho accettato un invito in barca, niente di più. Sinceramente mi offende che tu continui ad insinuare che tra me e quel ragazzo sia successo qualcosa. C’erano tante altre persone lì sopra.»
«Che cosa avete fatto tutto il giorno?»
«La stessa cosa che avete fatto voi. Abbiamo preso il sole, mangiato, chiacchierato… ma non capisco perché ti sto dicendo queste cose, quando non…»
«Quando non ho nessun diritto di sapere? È questo che stai dicendo?»
«Beh, sì. Non hai nessun diritto di trattarmi in questo modo. Te lo chiedo un’altra volta, Kieran. Perché mi hai invitata a casa tua stasera?»
«Perché volevo passare del tempo con te» vuotò il bicchiere e si diresse verso di lei che nel frattempo si era alzata e aveva messo la borsetta sulla spalla. «Ma mentre ero qui e ti aspettavo mi sono chiesto che senso potesse avere continuare a tormentarmi in questo modo, quando è chiaro che le cose tra di noi non potranno mai andare bene.»
«Non è vero che non potranno andare bene.» Lo guardò negli occhi, tentando di trasmettergli tutti i sentimenti che provava e cercando il coraggio di continuare.
Lui scosse la testa «Tu lo hai capito prima di me che siamo troppo diversi.»
«Kieran, ascolta, io sono venuta qui per dirti che non è affatto così, che possiamo far funzionare le cose.»
«Io ti desidero notte e giorno, Sveva. La notte appena chiudo gli occhi ti sogno e di giorno il tuo pensiero non mi da tregua. Desidero la tua pelle, bramo il tuo profumo e le tue labbra. Sono ossessionato da te.»
Le accarezzò la guancia, con una delicatezza tale da far vibrare il cuore di Sveva, oltre a provocarle un misto di voglia di stringerlo a sé e un desiderio molto più sottile e carnale.
Sveva chiuse gli occhi per un secondo. Sentire quelle parole era strano. Di solito le sue relazioni non erano mai stare così rapide, non si era mai innamorata di qualcuno dopo soli pochi appuntamenti. Con Christian ci erano voluti mesi di corteggiamento e con Logan la frequentazione era stata altrettanto lunga. Invece con Kieran sentiva questa inspiegabile pulsione, questo ardente desiderio di lui e ne aveva paura. Lì davanti a quel ragazzo, sotto al suo tocco delicato, si sentiva indifesa. Sentiva tutta la sua vulnerabilità, sentiva che si sarebbe potuta fare molto, molto male. Deglutì, sospirò e aprì gli occhi.
Sì, decisamente si sarebbe potuta fare male ma stavolta voleva rischiare perché vivere di nuovo una vita senza quel tipo di emozioni non le sembrava più giusto. Non era più quello che voleva per se stessa, per la nuova se stessa.
«Kieran, io credo che…»
«Sveva, io credo che tu debba andare via.»
Lei rimase impalata, col cuore che si gelava piano piano, come se la consapevolezza di quelle parole entrasse dentro di lei a piccole gocce.
«Come, scusa?»
Lui le voltò le spalle. «È meglio così. È meglio per tutti e due.»
«Kieran, no. Non è vero. Anche io ti penso continuamente, anche io ti desidero notte e giorno, anche io…»
«Smettila!» Si girò di nuovo a guardarla. Gli occhi infuocati, la faccia un’espressione di rabbia e desiderio, furia e passione, stava combattendo una battaglia durissima con se stesso. Le parti più istintive di lui, in lotta. Sveva gli sfiorò un braccio e poi gli prese una mano.
«Kieran. Sediamoci e parliamo. Ho delle cose da dirti.»
«Ma non lo capisci che se rimani altri due minuti in questa stanza finiremo per fare l’amore? E io non voglio, non voglio svegliarmi domani mattina e non trovarti al mio fianco, non voglio pensare che per te il fatto che io sia dall’altra parte d’Europa sia un peso troppo grande. Non ce la faccio, Sveva. Mi dispiace.»
Si arrese. Trasse un profondo respiro e lasciò andare la mano di Kieran. Non c’era altro da aggiungere.
«Va bene. Me ne vado.»
Fece qualche passo verso la porta. La mente una poltiglia di sensazioni. Possibile che per una volta che fosse riuscita a mettere tutti i suoi blocchi da parte lui non avesse voluto nemmeno ascoltarla? Ce l’aveva con se stessa, per non essersi liberata prima, di quei blocchi, per essersi fatta scivolare dalle mani una occasione di felicità.
«Aspetta» Kieran la raggiunse. «Devo darti una cosa.»
Lei era troppo sommersa dalla malinconia per proferire anche solo una parola. Rimase in attesa mentre lui entrava in un piccolo corridoio che immetteva nelle altre stanze della casa e compariva subito dopo con un pacchettino in mano. Era una scatola avvolta da un nastrino rosso. Sveva la prese in mano, incapace di provare un’emozione positiva.
«Cos’è?»
Lui accennò il primo vero sorriso della serata. Le labbra si sollevarono dolci e negli occhi comparve un luccichio. «Aprilo.»
Sveva sfilò il nastrino e sollevò il coperchio. Dentro adagiato su un cuscino di bambagia rivestito di raso grigio perla c’era un bracciale d’argento con un ciondolo. Lo prese in mano. La maglia era delicata e sottile e il ciondolo raffigurava il viso di una leonessa. Bella e fiera nel suo sguardo da predatrice. Sollevò gli occhi verso quelli di lui e prima che potesse dire qualcosa lui cominciò a parlare.
«Io ti ammiro, Sveva. Sei una donna incredibile, non ho mai conosciuto nessuna come te. Sei super intelligente, sai un sacco di cose, sei caparbia, forte, indipendente, e anche testarda» sorrise, facendo sorridere anche lei. «Assomigli tanto a una leonessa. Volevo che avessi un ricordo di me. Se non ti piace…»
Prima che potesse finire di parlare Sveva lo stava baciando. Si accarezzarono con le labbra, dolcemente, con la passione del sangue che spingeva in cerca di qualcosa di più primitivo, più fisico. Poi lei si allontanò, trattenendo a stento le lacrime. Quando parlò la voce era incrinata.
«È stupendo» lo porse a Kieran, «mi aiuteresti a metterlo?» Mentre lui glielo agganciava al polso aggiunse: «anche le parole che mi hai detto sono stupende. Kieran, io… avrei voluto che tra noi andasse diversamente.»
La mano salì verso la sua guancia, ad accarezzarla dolcemente, con le dita che scorrevano piano sulla sua pelle leggermente abbronzata.
Lui si divincolò. «Ora vai» le disse. L’accompagnò alla porta e non aspettò che scendesse per richiuderla, quasi come a voler cancellare al più presto l’immagine di lei.
Sveva scese le scale piena di tristezza. Se solo avesse dato ascolto alla ragione, probabilmente si sarebbe risparmiata quel tormento. Ma d’altro canto, per dare ascolto alla ragione aveva lasciato andare una persona così bella come Kieran.
 
***

Kieran poggiò la testa contro la porta e guardò il soffitto. Non ci poteva credere che l’avesse lasciata andare. Non ci poteva credere che l’avesse fatto anche dopo aver sentito le parole di lei. Era andata da lui per chiedergli di provarci, gli aveva detto che anche lei pensava a lui continuamente, eppure…
Eppure stavolta era stato lui ad avere paura. L’idea del regalo l’aveva avuta al porto, subito dopo averla vista. Era entrato nella prima gioielleria e si era lasciato guidare dall’istinto, trovando poi proprio quello che faceva al caso suo. Sapeva che sarebbe successo qualcosa durante il loro incontro, aveva visto nello sguardo di Sveva qualcosa di molto diverso rispetto alla sua solita reticenza. Questo lo rendeva felice, felice come non mai.
Poi era arrivato Christian e gli aveva raccontato quella storia sulla distanza. E quell’altra sull’ex fidanzato. Kieran si era sentito senza via di scampo. Una storia con Sveva con lui che si trovava a Manchester sarebbe finita inevitabilmente male. E non di certo per colpa sua, non perché non si sentiva in grado di portare avanti una storia così. Sveva non avrebbe retto.
Mandarla via era stata la cosa più difficile che avesse mai fatto. Perché oltre ad essere stupenda era anche piena di sentimento per lui. Ne era così piena che i suoi occhi blu risplendevano proprio come il mare nel quale entrambi avevano nuotato il giorno prima, cristallini e bellissimi. E il suo viso scintillava come se dentro di lei ci fosse una fonte di luce fortissima che riusciva ad uscire dai pori. E quella fonte di luce era il sentimento che nutriva per lui. Per lui e solo per lui.
Dio, l’avrebbe mai superata? Già era stato difficile quando credeva che a lei non importasse niente di lui, ma adesso, a queste condizioni, sembrava impossibile.
Era destinato a pentirsene per tutta la vita. Ma lui non era tipo da rimpianti. Nessuna più sarebbe stata come lei ma doveva andare avanti.

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Capitolo 32
*** 31 ***


31


Erano trascorse due settimane dal loro ultimo incontro. Sveva aveva cercato di metabolizzare la separazione e continuava a condurre la sua vita in una parvenza di normalità. Aveva fatto pace con Christian. Un pomeriggio lui l’aveva chiamata e l’aveva invitata a cena a casa sua, con la moglie e le bambine. Avevano chiarito la situazione, parlato anche di Kieran ma solo in maniera superficiale. Christian era una figura importante della sua vita. In quei giorni tristi, sapere di avere un conflitto anche con lui non l’aveva aiutata e si era spesso ritrovata a isolarsi, a starsene per conto proprio. Il più delle volte a rimuginare su Kieran, rigirandosi tra le dita il ciondolo a forma di leonessa attaccato alla catenella d’argento che non toglieva mai.
Sorrideva sempre quando pensava alle belle parole che le aveva detto. Era felice che almeno la apprezzasse e che non fosse rimasto con un ricordo di lei che non era veritiero.
 
Quel pomeriggio faceva terribilmente caldo. Sveva indossava canotta e pantaloncini stava guardando la televisione sul divano. Non era il suo passatempo preferito e in verità aveva del lavoro da sbrigare ma quel giorno Kieran avrebbe giocato la sua prima partita con il Manchester e lei non voleva perderla. Aveva anche sentito che si trattava di una partita piuttosto importante, una finale di qualcosa che non aveva afferrato appieno, e che per lui c’era la possibilità di vincere il suo primo trofeo con la nuova maglia.
Tutte le inquadrature erano per kieran Bloom, il nuovo arrivato. C’era tanta aspettativa e i commentatori in tv non facevano altro che elencare tutte le sue qualità calcistiche, il numero di reti segnate nella sua carriera, i titoli vinti. Numeri impressionanti, forse, per chi ne capiva. L’unica cosa che vedeva Sveva era il suo volto teso ma sorridente, le sua grinta e le espressioni buffe che faceva mentre tirava o andava in contrasto con un avversario. Si muoveva con un’agilità incredibile e i muscoli creavano un’armonia con tutto il resto.
Neanche a dirlo, Kieran segnò il goal decisivo e portò a casa la partita e il trofeo. Lei rimase a guardare fino alla fine, anche i festeggiamenti. Sorrideva da sola davanti allo schermo ogni volta che lui sorrideva. Era felice, si sentiva come se stesse provando essa stessa l’emozione di aver ottenuto un ottimo risultato.
Prese il cellulare, doveva scrivergli un messaggio. Anche se in quel momento era impegnato con i festeggiamenti, lo avrebbe potuto leggere con calma. Non si erano più sentiti; lei ogni volta aveva represso la voglia di prendere il cellulare e chiamarlo, non sapendo lui come l’avrebbe presa e credendo che forse era meglio lasciar perdere.
Si chiedeva spesso, però, come se la passasse in Inghilterra, anche se qualche foto la vedeva sui giornali. Era felice per lui, perché sembrava stare bene.
-Ho appena visto la partita, volevo farti i miei complimenti per il nuovo trofeo.
Lasciò il cellulare sul divano e andò a fare una doccia. Doveva prepararsi per la cena che l’attendeva la sera, una specie di rimpatriata con amici di vecchia data.
Non si aspettava di trovare una risposta così veloce. Quando uscì dal bagno sul suo cellulare trovò due messaggi, tutti e due di Kieran, inviati a distanza di tre minuti l’uno dall’altro. Nel primo c’era un semplice ringraziamento, con allegato la sua foto con il trofeo in mano. Lei sorrise mordicchiandosi il labbro inferiore. Kieran sprizzava felicità da tutti i pori.
Il secondo messaggio, però, le fece fermare il cuore per un attimo. C’era scritto:
-So che non dovrei dirtelo, ma vorrei che fossi qui.
Sveva rispose di slancio: -E se venissi?
-Se venissi ti porterei a festeggiare.
La risposta arrivò immediata. Sveva rifletté. Se fosse andata davvero? Il cellulare suonò, un altro messaggio.
-Appena torno a Milano ti chiamo.
-Ti aspetto.
Ma oramai non riusciva più a contenere quella nuova emozione che le aveva fatto accendere di nuovo la fiammella della speranza. Non riusciva a mettere un freno a quella pulsione improvvisa di prendere il primo aereo e correre da lui. C’era Milano, la cena, l’apatia. E poi c’era Kieran, Manchester e il cuore che le batteva forte e tornava a sentirsi vivo. Fermarsi a riflettere non era più contemplato.
Decise.
 
 
Kieran era ubriaco. Di ritorno dalla festa che c’era stata con i compagni in un locale in centro città, si era fermato con Annelie a bere ancora e in quel preciso momento stava tentando invano di inserire la chiave magnetica nella porta della sua stanza d’albergo. Annelie era accanto a lui e rideva, tentando di strappargli la chiave dalle mani.
«No» diceva Kieran, «ci devo riuscire io!»
Quando finalmente entrarono lei si gettò sul divano. «Che festa pazzesca. Voi sì che vi sapete divertire.» Accennò un sorriso malizioso a Kieran «Tu sei uno che non molla, eh! Hai bevuto senza sosta.»
«Già.» Kieran rise e si sedette accanto alla sua giovane assistente, come l’aveva rinominata lui.
Parlare con Sveva quel giorno gli aveva fatto bene. Anche se aveva appena vinto e portato a casa un altro trofeo, Kieran non si sentiva completamente felice. Aveva quella fastidiosa sensazione che mancasse qualcosa, un pezzo che lo avrebbe completato. Ricevere un suo messaggio lo aveva riportato al presente, lo aveva reso consapevole del fatto che, in quel preciso momento e sebbene lo stesse nascondendo a se stesso, voleva condividere quella sua vittoria solo e soltanto con lei. E quando le aveva detto che la voleva lì aveva fatto una cazzata, perché sapeva benissimo che era inutile alimentare dei sentimenti che non dovevano esistere. Però quanto si era sentito bene quando lei gli aveva detto che lo avrebbe raggiunto… una cosa detta così, un gioco, un’illusione, ma era stato per un momento sulla luna ed aveva ammirato la vastità dell’universo, per poi tornare con i piedi ben saldi a terra.
E lì, nello spogliatoio c’erano i suoi nuovi compagni, lo champagne, le risate, i festeggiamenti. Verso tarda sera li aveva raggiunti anche Annelie, che ormai lo seguiva ovunque e della cui presenza Kieran cominciava a sentirne un bisogno morboso. Anche solo per stare in compagnia quando non aveva gli allenamenti.
Lei aveva un carattere folle, non si tirava mai indietro, qualsiasi cosa le proponeva; gli aveva ampiamente dimostrato che si era sbagliato su di lei la prima volta che l’aveva vista. Era uno spirito libero, viveva alla giornata, senza farsi troppe domande o troppi scrupoli. Gli aveva confessato che dalla morte del suo compagno le pianificazioni e i progetti la terrorizzavano. Per questo aveva cambiato la sua filosofia di vita e ogni giorno per lei si trasformava in un meraviglioso inizio e seguiva il flusso degli eventi senza pensare.
Kieran ne aveva bisogno. Solo quella sana follia di Annelie poteva distoglierlo dal pensiero di aver fatto la più grande stronzata della sua vita a lasciare andare Sveva. Ora ne aveva fatta una ancora più grande, le aveva detto che presto si sarebbero rivisti. Stava alimentando dentro di lui ancora quel sentimento.
«Sai che sei proprio forte? Ho guardato la partita oggi e mi hai impressionata.»
La voce strascicata di Annelie lo riportò con la testa nella stanza d’albergo. «Evidentemente non ti intendi molto di calcio, perché altrimenti avresti già dovuto sapere che sono il più forte in assoluto.»
«Come sei modesto.»
Kieran scoccò un’occhiata a Annelie. Era più ubriaca di lui, il vestito già corto le si era spostato ancora più su lasciando scoperte le cosce magre ma toniche, la pelle bianca sembrava di porcellana sotto la luce soffusa della stanza. Kieran si chiese perché l’avesse invitata a salire in camera sua. Era notte fonda ed entrambi erano ubriachi.
Anche lei lo stava guardando e seguì lo sguardo di lui sulle sue gambe. Si mise a sedere più composta e tirò giù la gonna.
«Che stai facendo?» chiese. Ma era evidente che le piaceva essere guardata.
Kieran aveva voglia di giocare a quel gioco, di stuzzicarla un poco. «Ti guardo le gambe», rispose «Hai una bella pelle.»
Lei sollevò le sopracciglia «Una bella pelle, dici. Vuoi toccarla?»
Allungò una gamba verso di lui, poggiandola sulle sue. Kieran lasciò scivolare le dita sulla pelle, effettivamente molto morbida e bella al tatto. Sentì che Annelie ridacchiava. La guardò. Aveva gettato la testa all’indietro e si era portata una mano sul volto, come a voler coprire la sua risata.
«Che c’è?»
«Tutto questo è assurdo.»
«Tutto questo cosa?»
Si drizzò sulla schiena e prese la mano di Kieran e se la portò tra le gambe. «Kieran, le tue mani mi fanno impazzire, hai delle mani stupende, ti prego toccami.»
Kieran sentì il battito accelerare mentre la mano sfiorava la pemme calda dell’interno coscia della ragazza. «Annelie…»
«Non dire niente, fallo e basta.»
Si spostò su di lei, che chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire un gemito. Kieran la baciò, senza la delicatezza che avrebbe usato se la situazione fosse stata diversa. Lei gli strinse le mani attorno al busto mentre le lingue si scontravano. Annelie lasciò vagare le mani sul corpo di Kieran, ancora avvolto dalla camicia, fino a giungere alla cintura dei pantaloni. A quel punto Kieran si fermò. Tirò indietro la testa.
«Annelie, non dovremmo.»
A lui piaceva la compagnia di quella ragazza, a lui piaceva lasciarsi distrarre dalla sua esuberanza e freschezza ma non voleva complicare le cose, non aveva bisogno né voglia di un’altra situazione ambigua nella sua vita. Però era così eccitato in quel momento e lei così calda sotto di lui… neanche pensare a Sveva in quel momento poteva fargli scemare quella cosa.
Pensava solo al fatto che forse, se fossero andati fino in fondo, le cose si sarebbero potute complicare.
Lei lo attirò di nuovo a sé. «Qualsiasi cosa tu stia pensando, non è il momento adesso. Ci penseremo domani.»
Kieran chiuse gli occhi e sospirò, calando di nuovo la bocca su quella della ragazza.
 

Sveva scese dal taxi e osservò l’edificio che aveva di fronte. Sorrise, pesando a Kieran che alloggiava in quell’hotel di lusso. Non si sarebbe aspettata niente di meno da lui, sapendo quanto a volte gli piacesse ostentare la sua ricchezza. L’indirizzo glielo aveva fornito suo fratello, al quale aveva dovuto per forza dirgli dei suoi piani. Aveva bisogno di sapere precisamente dove alloggiasse Kieran per potergli fare una sorpresa, ma in fondo voleva anche una specie di approvazione da parte delle persone che aveva intorno. Perché l’avventatezza non aveva mai fatto parte di lei e quel gesto era estremamente avventato.
Sull’aereo, mentre le ruote si staccavano da terra e cominciava il decollo, aveva avuto un attimo di smarrimento e si era detta che stava facendo una stupidaggine grossa quando una montagna ma oramai la città sotto di lei cominciava a diventare un ammasso indistinto di luci e non si poteva più tornare indietro.
Era quasi l’alba. A Manchester faceva freddo, sebbene fosse estate. Entrò e senza chiedere informazioni alla reception si infilò in ascensore e premette il pulsante n. 6.
L’ansia cresceva. Più che altro era curiosa di vedere che faccia avrebbe fatto Kieran vedendola lì. Era più che sicura che non si sarebbe mai aspettato un gesto simile da lei, sperava solo che la reazione fosse positiva. Ma d’altronde era stato lui a dirle che sentiva la sua mancanza, quindi perché non avrebbe voluto vederla? Le porte si spalancarono con un sonoro “plin” che sembrò diffondersi lungo tutto il corridoio illuminato e silenzioso. I passi di Sveva erano attutiti dalla moquette rossa mentre avanzava in cerca del numero di stanza di Kieran.
C’era. Eccolo lì, il numero cinquecentosei. Inspirò profondamente, espirò e premette il dito sul campanello.

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Capitolo 33
*** 32 ***


32

 

Dopo qualche secondo apparve Kieran, petto nudo e pantaloni sbottonati. La guardò come se non la riconoscesse o come se credesse che la mente gli stesse giocando un brutto scherzo. Batté le palpebre.

«Sveva?! Che… che ci fai qui?»

Lei sorrise, incerta. Aveva come l’impressione che Kieran si fosse aspettato qualcun altro. «Sono venuta per te.»

Improvvisamente si sentì a disagio. Kieran non aveva neanche sorriso, solo incredulità e stupore dipingevano il suo volto. Non sembrava avere tutta questa voglia di vederla, come invece le era sembrato al telefono. Strinse il borsone che aveva in mano. «Scusami, forse avrei dovuto avvisarti.»

Con un movimento agile e repentino, Kieran si slanciò verso di lei e la strinse forte, così forte che a stento riusciva a respirare. Il borsone cadde a terra e lei tentò di ricambiare l’abbraccio, con la mobilità ridotta dalla pressione delle braccia di lui.

«Sei qui. Sei qui» ripeté lui più volte, con il viso affondato tra i suoi capelli.

Sveva percepì odore di alcool e una leggera nota femminile. Quando lui si staccò gli accarezzò il volto. «Ti ho svegliato?» lo scrutò «o forse sei tornato adesso.»

Lui finalmente sorrise. Era un sorriso dolce, gli occhi lucidi, le pupille dilatate, in stato di alterazione, e le labbra arrossate. «Sono rientrato poco fa. Vieni dentro.»

Nella stanza c’era la camicia di Kieran abbandonata sul divano. Lui la notò e si affrettò a prenderla. «Abbiamo festeggiato fino a tardi, credo di aver bevuto troppo.» 

Sveva si sentiva confusa. Kieran era contento di vederla ma stranamente in difficoltà per qualcosa. Pensò che forse era perché aveva bevuto e che era solo la sua fervida immaginazione a farle pensare cose poco piacevoli.

«Ho bisogno di una doccia, ti lascio sola per pochi minuti.»

Le strizzò l’occhio e andò in bagno. Sveva fece un giro per la suite; gli arredi erano molto belli, eleganti tonalità pastello davano un tocco retrò alla stanza. Sul tavolino accanto al divano c’erano due bicchieri vuoti. Due. Il cuore cominciò a battere veloce, così come cominciarono a correre i suoi pensieri. Se c’erano due bicchieri era evidente che Kieran avesse avuto ospiti in quella stanza, quella sera stessa. E con ogni probabilità si trattava di una donna. Ecco che cosa era quell’odore addosso a lui. Ecco perché le labbra erano arrossate. Si sentì mancare la terra sotto ai piedi. Ma riacquistò subito la lucidità.

Si disse che lei e Kieran si erano lasciati e che se lui avesse avuto delle avventure non doveva starci male. Si ripeté queste parole come un mantra fino a quando lui non ricomparve nella stanza, con solo un asciugamano attorno alla vita e i capelli ancora gocciolanti.

Stava meglio. La doccia aveva fatto scomparire quasi del tutto la sbronza. Sembrava davvero felice, adesso.

Scosse la testa, mentre la fissava e si avvicinava a lei, rimasta in piedi accanto alla finestra. «Sei pazza. Non avrei mai immaginato che potessi venire qui oggi stesso. Usciamo, ti va? Andiamo a fare colazione.»

«Dovresti riposare un po’. Non hai dormito per niente.»

«Non ho sonno, ho solo voglia di stare con te.»

Le accarezzò la guancia. Ma Sveva aveva quel pensiero che la stava tormentando e non ce la fece a fare finta di niente. Abbassò lo sguardo. «Kieran, c’era un’altra donna con te qui stasera?»

Lui lasciò cadere la mano lungo il fianco. «Sì.»

«E…?»

Scosse la testa «È soltanto la mia interprete e assistente personale. Non è come credi. E se ne hai voglia, dopo te la farò conoscere.»

Sembrava molto sincero. «No. Non voglio conoscerla perché non voglio doverti dividere con nessuno. Se non hai altri impegni, vorrei trascorrere il tempo solo con te.»

Kieran sorrise. «Non ho nessuna obiezione da fare al riguardo.»
 

*** 

 

Kieran infilò la maglietta e si diede una sistemata ai capelli. Era scampato al disastro per un pelo. Si sentiva in colpa nei confronti di sveva per averle mentito ma non lo aveva fatto su una cosa grossa. Aveva mentito solo sul fatto che non fosse successo proprio nulla nulla. Qualcosa era successo ma per fortuna alla fine si erano fermati e non erano andati fino in fondo. Annelie aveva capito la situazione, Kieran era legato ad un’altra donna e non era ancora pronto per un’avventura. Era stato lui a fermarsi, di nuovo, ma lei non aveva insistito più e dopo aver bevuto un bicchiere di acqua era andata via. Lo aveva fatto solo pochi minuti prima che arrivasse Sveva. Era incredibile come la tempistica avesse fatto in modo che le due non si incrociassero. Già così era stato difficile spiegare a Sveva che ci facesse una donna nella sua stanza a notte fonda, figurarsi doverlo spiegare con lei davanti. Sarebbe stato oltremodo imbarazzante.

E tutto quello gli aveva impedito di capire appieno la portata del gesto di Sveva. Era andata lì, da lui, senza nemmeno avvisarlo, per fargli una sorpresa, per dimostrargli che a lui ci teneva. Kieran fu felice di non essere andato fino in fondo con Annelie.

Ritornò nel salottino dove c’era Sveva, adesso molto più raggiante di quando era arrivata. La luce del giorno cominciava ad entrare dalle finestre. Aveva gli occhi un po’ stanchi, ma lo guardava con una gioia che gli dava un calore che non sapeva spiegare.

Che c’era da spiegare? Erano innamorati, tutti e due. Lui ormai non aveva più dubbi. Lei neanche. Era lì, lì per lui. Non avrebbe potuto scegliere momento migliore.

«È davvero incredibile che tu sia qui» disse, prendendole la mano e portandosela alla bocca. «Allora ti va di uscire?»

Lei fece un cenno di assenso. Era come se le emozioni che provava parlassero per lei. Non c’era bisogno che dicesse alcunché, si leggeva tutto nel suo sguardo cristallino e nel suo sorriso radioso. Bella, bella oltre ogni immaginazione, più bella ancora dell’ultima volta che l’aveva vista. Kieran l’attirò a sé e la baciò. Era il primo bacio che le dava da quando era arrivata.

Stranamente aveva avuto timore di baciarla, credeva che non fosse quello che lei voleva. Aveva un certo imbarazzo, due persone che erano state insieme ma non si vedevano né sentivano da un po’, non si erano lasciate in maniera molto amichevole e improvvisamente se l’era ritrovata davanti, nel momento più impensato.

Lei si accostò a lui e ricambiò il bacio con trasporto, quasi come se quello fosse il loro primo bacio. In effetti era bello quasi quanto il primo. Solo che Kieran allora era affascinato e attratto all’inverosimile dalla donna che stringeva tra le braccia, in quel momento invece provava per lei un trasporto profondo, qualcosa che partiva dal centro del petto e non solo dallo stomaco o da altre parti del corpo. Si sentiva irradiato dal calore di lei e del suo stesso corpo.

Si presero il tempo necessario per assaporarsi, per ritrovarsi dopo tanto pensarsi. Atri baci, altre carezze, altri sorrisi divorati da labbra impazienti ma lente.


La mattina era ormai giunta e le strade di Manchester cominciavano a popolarsi di gente che andava al lavoro.

Qualche gatto pigro al di là dei cancelli delle case, chi portava il cane a spasso, chi rientrava dal turno di notte, reprimendo sbadigli e cercando di tenere aperti gli occhi ancora qualche minuto. La città prendeva vita e con lei anche Kieran e Sveva, che si erano riuniti. Lui si infilò in un primo bar che trovò lungo la strada e si sedettero ad un tavolino appartato.

«Dimmi che resterai qualche giorno», fece lui poi.

«Vorrei tanto dirti di sì ma non ho portato nulla e poi è stato un gesto talmente improvviso che non ho avvisato nessuno al lavoro.»

Kieran le prese la mano. «Scommetto che nessuno avrà obiezioni da fare se resti.»

«A proposito», fece lei tirando fuori il cellulare dalla borsetta. «Devo scrivere a Enrico. Non vorrei che si preoccupasse.»

«Perché non lo chiami? Così lo saluto anche io.»

Sveva lanciò un’occhiata all’orologio bianco appeso alla parete dietro al bancone. «È ancora troppo presto, starà dormendo.»

«Svegliamolo.» Kieran le tolse il telefono dalle mani e avviò una videochiamata. Poi tirò la sedia sulla quale c’era Sveva verso di sé, facendola grattare sul pavimento grigio.

Pochi squilli e dallo schermo nero si udì la voce roca di Enrico. «Sveva. Ah, c’è anche Kieran. Ma avete idea di che ore sono?»

«Avanti non fare la femminuccia». Rispose Kieran

Lo schermo divenne via via più luminoso e si riuscì a distinguere il viso assonnato di Enrico che camminava per le stanze fino a raggiungere il divano. Accese la luce dell’abatjour e sorrise ai due.

«Scusa Enrico, Kieran ha insistito per farti una chiamata.»

«Vale sta dormendo, ma avete fatto bene a chiamarmi. Dove siete?»

«In un bar», rispose lei.

«Quanto siete belli» fece lui di rimando. Li guardava e sorrideva. Gli occhi semichiusi ma estremamente inondati di gioia.

Kieran volse lo sguardo verso la ragazza che aveva affianco. Anche lui pensava che fossero belli insieme, che in un certo modo si completassero a vicenda. Anche se a volte riteneva che Sveva fosse troppo raffinata per lui, si rendeva conto che lei gli forniva quel tocco di eleganza che a volte mancava nella sua vita e lui le forniva quel pizzico di avventatezza che mancava in quella di lei.

Per il resto non potevano essere più simili. Testardi sicuro. Determinati, anche. Anche Sveva si voltò a guardarlo e lui le rubò un bacio.

«Deduco quindi che avete appianato le divergenze» continuò Enrico.

«Per adesso» risposero i due all’unisono.

Tutti e tre scoppiarono a ridere. «Sono contento di vedervi così. Ora vi lascio alle vostre cose, vado a dormire. Ci sentiamo dopo. Mandatemi qualche foto!»

«Va bene. salutaci Valentina.»

Attaccarono e nello stesso momento arrivò anche la colazione che avevano ordinato.

L’odore del caffè non riuscì a cancellare quello dolce che proveniva da Sveva. Agitò il cucchiaino nel liquido marrone osservando di sottecchi la ragazza. «Sveva, dopo torniamo in albergo.»

Lei alzò lo sguardo dal cornetto che stava spezzando con le dita affusolate. «Sei stanco, vero? Non hai dormito per niente.» Un’ombra di apprensione comparve sul suo volto così bello e delicato.

«In realtà è il contrario. È che ho troppa voglia di fare l’amore con te.»

Sveva arrossì di colpo. Abbassò lo sguardo un secondo, mentre sorrideva in imbarazzo. Quando lo guardò negli occhi lui non ebbe dubbi sul suo desiderio. Grande quanto il suo, probabilmente. Anzi, ne era certo. 

 

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Capitolo 34
*** 33 ***


33

 

Kieran giaceva nel letto; il lenzuolo stropicciato gli avvolgeva parte dei glutei e una gamba, mentre la schiena era scoperta. I tatuaggi che la ricoprivano erano un insieme di intricati motivi che Sveva in quel momento stava percorrendo con le dita.

Lui si era addormentato subito dopo aver fatto l’amore, sfiancato dalla nottata insonne. Anche lei era stanca ma non riusciva a prendere sonno. In realtà quasi non riusciva a credere che si trovasse lì.

Si sentiva come se finalmente avesse il pieno controllo di se stessa anche se tutta la sua vita in quel momento, tutta la vita che aveva sempre pianificato con cura, stava aleggiando sospesa in una bolla. Si sarebbe potuta schiantare al suolo e frantumarsi in mille pezzi o innalzarsi verso vette mai conosciute e esplorate prima. Non era mai stata così bene.

Si alzò dal letto. I pensieri negativi e sconfortanti si affacciavano nella sua testolina ma le bastò lanciare di nuovo un’occhiata a Kieran per scacciarli. Le stavano dicendo che presto sarebbe tornata in Italia, che presto sarebbe iniziata la mancanza, i momenti per vedersi sempre più pochi. Ma era lì e non avrebbe permesso a niente di turbare quel momento. Era vero, presto sarebbe tornata a Milano ma non ci avrebbe pensato. L’ansia del dopo sarebbe servita solo a rovinarle il momento e lei si era ripromessa di vivere con più leggerezza.

Fece una doccia. Il sorriso non abbandonò mai le sue labbra. Si immaginò sola, a Milano, a rimuginare sul fatto che Kieran non fosse con lei, a rimpiangere tutto, se la sera prima non avesse avuto il coraggio di prendere il primo volo e partire, senza neanche sapere come avrebbe reagito lui.

Certo, il rischio era stato grande. L’ultima volta che si erano visti c’era stata una chiusura netta da parte di Kieran. Era stato lui a dire che le cose non avrebbero mai funzionato. Però, quel messaggio, quel mi manchi, aveva riaperto tutto nel cuore di Sveva.

Non poteva essere più felice di così. E in effetti sarebbe stata felice in ogni caso, perché aveva avuto il coraggio di fare qualcosa che non avrebbe mai fatto prima. Si era messa alla prova e aveva superato i suoi limiti. Era stata folle e sconsiderata, eppure l’energia vitale che sentiva dentro in quel momento era impareggiabile.

Quando uscì dalla doccia lui era sveglio e stava parlando al telefono, in svedese. Le sorrise e subito dopo chiuse la conversazione.

«Era Helena. Le ho detto che sei qui.»

Sveva accennò un sorriso e si sedette sul letto accanto a lui. «Avrà pesato che sono fuori di testa.»

«In effetti ha detto che non se lo sarebbe mai aspettata da te ma forse con questo gesto l’hai conquistata ancora di più. Mi hai reso felice e lei mi vuole bene.»

La attirò a sé facendo sì che l’accappatoio scivolasse, e una porzione abbondante di pelle della spalla e del collo vennero alla luce. Le diede un bacio, mentre le dita accarezzavano la parte scoperta, con la chiara intenzione di insinuarsi più giù.

«Quindi sei felice…» fece lei, sorridendo sulle sue labbra.

«Tu no?» Kieran le scostò i capelli dal volto e fissò gli occhi in quelli di lei. Sveva non aveva mai provato un trasporto tanto grande per un uomo. Bastava davvero un solo sguardo di Kieran per farla sciogliere completamente.

«Sì, io sì.»

Si baciarono per un po'. Kieran cercò di toglierle completamente l’accappatoio ma lei faceva di tutto per non lasciarglielo fare. Solo per giocare, per non dargliela vinta. E fu proprio in quell’istante che si chiese che tipo di vita avrebbero vissuto insieme se lei si fosse trasferita lì. Non ci stava pensando davvero. O forse sì?

«Lo sai, hai avuto un tempismo perfetto» disse lui spezzando i suoi pensieri, mentre le mordicchiava un lobo e glielo solleticava con la lingua. «Oggi ho un appuntamento per vedere alcune case. Così possiamo sceglierne una insieme.»

Sveva prese il volto del ragazzo tra le mani e si tirò indietro sul letto per poterlo osservare meglio. Sembrava averle letto nel pensiero.  «Kieran, scegliere una casa insieme è un passo molto importante. Sei sicuro di volerlo fare? Non devi sentirti obbligato solo perché in questo momento sono qui e tu sei preso dall’euforia.»

«Sveva, pensavo avessi capito come sono fatto. Pensavo di piacerti proprio per questo. Dico e faccio solo quello che voglio, e voglio che scegliamo una casa insieme. Se sei tu a non sentirtela…»

«No, io voglio.» rispose subito. Come se avesse paura che lui potesse cambiare idea, come se avesse paura lei stessa che quella magia potesse finire.

Kieran la strinse, affondando il viso nell’incavo del suo collo. «Sono un uomo fortunato.»

In quel momento, qualcuno bussò alla porta.

 ***

Kieran a malavoglia abbandonò il tepore del corpo di Sveva stretto al suo. Infilò un paio di pantaloncini e andò ad aprire la porta. Non aspettava nessuno, e non aveva idea di chi potesse cercarlo. In genere se c’era qualcuno per lui la reception lo avvertiva sempre prima.

La persona che si trovò davanti era l’ultima che avrebbe voluto vedere in quel preciso istante. Annelie.

«Kieran. Stai ancora dormendo?» Lei fece per entrare ma lui non si mosse. Annelie si morse il labbro e lo fissò. «Che succede?»

«Avevamo un appuntamento?» Chiese lui.

«No. Ma sono passata per portarti a pranzo fuori. E per parlare di quello che è successo stanotte. Non mi fai entrare?»

Kieran si irrigidì e lanciò un’occhiata dentro, verso la camera da letto dove c’era Sveva. «Sono con una persona adesso, non posso.»

Annelie strabuzzò gli occhi. «Mi hai mandata via per chiamare una escort? Fammi entrare, non mi scandalizzo mica.» Sembrava risentita.

«Ma che dici, quale escort? Sono con la mia ragazza.»

«La tua che? Non mi hai mai detto di avere una ragazza.» Fece ancora un passo verso la porta, ma Kieran rimaneva immobile. Percepì dei movimenti nella stanza e con la coda dell’occhio scorse Sveva che si aggirava nella camera da letto.

«Annelie, ora non è il momento. Ti chiamo dopo, va bene?»

«No che non va bene!» Il tono di voce si era fatto più alto e dall’occhiata che gli stava lanciando ora sembrava in collera, come un’amante tradita.

Kieran dovette fare un profondo respiro per calmarsi. L’atteggiamento di Annelie era incomprensibile ai suoi occhi e di certo non aveva intenzione di trattarla male ma se Sveva…

«Chi è?»

Kieran spostò lo sguardo di lato. Sveva si era vestita e gli sorrideva. Lui scosse la testa, gli occhi che tradivano la colpa. Non poteva certo sbattere la porta in faccia alla sua assistente, così si scostò per lasciarla entrare, tenendo lo sguardo fisso in quello di Sveva. E lei passò dall’essere serena e felice a diventare seria e chiusa quando vide entrare Annelie.

Lui era infuriato con se stesso per aver permesso alla ragazza di entrare così tanto in confidenza da essere irriverente e voler per forza entrare in quella dannata stanza. Le due ragazze si studiarono per pochi secondi. Fu Annelie a parlare per prima.

«Ciao, io sono Annelie.»

Le spalle di Sveva sembrarono rilassarsi. «Oh. Ciao. Kieran mi ha parlato di te.» Allungò una mano verso di lei. «Io sono Sveva, molto piacere.»

Annelie sollevò un sopracciglio. Non fece un passo e incrociò le braccia al petto. «Ah, ti ha parlato di me? Strano, perché a me invece non ha detto una parola su di te.»

«Annelie era passata per vedere se avevo bisogno di qualcosa, ma sta andando via.» Lo sguardo che lanciò alla ragazza avrebbe fatto paura a chiunque e non ammetteva repliche.

«Non vedo perché avrebbe dovuto parlartene», rispose Sveva. Qualsiasi cosa stesse pensando non trapelava nulla dal suo sguardo calmo. Kieran la guardò ammirato e ammaliato. Possibile che fosse così perfetta? Evangeline avrebbe aggredito verbalmente Annelie in meno di due secondi, magari anche qualche altra ragazza se la sarebbe presa, invece lei manteneva un controllo e una classe da fare invidia. Si aspettava comunque che le chiedesse delle spiegazioni sul comportamento di Annelie.

Un comportamento assurdo, per quanto potesse vedere Kieran. Assurdo perché non capiva tutto quell’astio nei confronti di Sveva. O forse si sentiva solo tradita da lui per non essere stata messa al corrente della sua relazione. Kieran però non aveva tradito nessuno, perché fino a qual momento non aveva avuto nessuna relazione.

«Beh dice che sei la sua ragazza mentre fino a ieri era single.»

«Già.» Sveva lo guardò e sorrise. Un sorriso intimo e complice. «Fino a ieri era single. Sei la sua assistente, giusto? Io sono Sveva Romanini, non so se hai presente il calciatore Enrico Romanini. È mio fratello. Prima che Kieran partisse abbiamo avuto una storia ma è durata poco. Per questo non ti ha parlato di me. Non c’era niente da dire.»

«Non è vero che non c’era niente da dire. Solo che ho preferito tenerlo per me.» Kieran guardò Sveva, cercando invano di sfiorare la sua mano. Forse ci era rimasta male. Di sicuro ci era rimasto male lui quando l’aveva sentita pronunciare l’ultima frase. Se le stava facendo del male in quel momento doveva saperlo.

«Beh, non so cosa dire. Scusatemi tanto per l’interruzione. Scusami Kieran, magari ci sentiamo. Se avete bisogno, chiamatemi.»

«Aspetta un attimo» fece Kieran. La ragazza aveva il viso imbarazzato, quasi come se si stesse vergognando della reazione che aveva avuto di fronte a quella situazione. Kieran seppur infastidito non voleva lasciarla andare così. Era pur sempre una sua amica.

«Sveva, ci puoi lasciare un attimo da soli?»

E sapeva benissimo che avrebbe dovuto fare i conti con lei dopo, ma meglio affrontare tutto subito. Sveva accennò un sorriso a Annelie, la salutò, e scomparve in camera, chiudendo la porta per lasciare loro maggiore privacy.

 

Ciao a tutti! 
Volevo solo informarvi che la prossima settimana pubblicherò due capitoli, il 34 e l'epilogo. 
Sì, la storia giunge al termine... Grazie veramente di cuore a tutti voi che state leggendo. Lasciatemi un commento, se vi va, facciamo qualche supposizione su come andrà a finire! 
Un abbraccio grande

Danila

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Capitolo 35
*** 34 ***


34

 


Kieran guardò la ragazza che aveva di fronte. Si tormentava le mani, segno che era agitata. Lui invece cercò di mantenere un tono di voce calmo. Non gli era piaciuto il comportamento di Annelie, soprattutto perché oramai era convinto che Sveva credesse che tra loro ci fosse qualcosa di più. Doveva usare diplomazia, però, cosa che non gli riusciva mai facile.

«Annelie, mi dispiace per questa situazione che si è venuta a creare.»

Lei fece un gesto con la mano. «Non ti devi preoccupare, è stato un malinteso. Io non dovevo comportarmi così, non ne avevo diritto.»

«In effetti non ne avevi diritto» le lanciò un’occhiata penetrante. Non c’era bisogno di aggiungere altro. «Spero che adesso sia tutto a posto.»

Lei mosse la testa in senso affermativo. «Solo una cosa: possiamo dimenticare quello che è successo stanotte? Ero venuta anche per dirti questo. Non voglio che la nostra amicizia si rovini per una cosa da ubriachi. Mi piaci molto come persona, non voglio perderti.»

Kieran si irrigidì un poco, sperando con tutto se stesso che Sveva non stesse ascoltando. «Sono assolutamente d’accordo con te. È tutto come prima, non preoccuparti.»

«Bene, allora me ne vado. Buona giornata.»

Kieran richiuse la porta e si passò le dita tra i capelli. Sorrise al destino beffardo che già il primo giorno di riconciliazione con Sveva li aveva messi di fronte al motivo principe per il quale molte relazioni a distanza fallivano: i possibili tradimenti.

Lui non l’aveva tradita, questo lo sapeva, ma in quel momento si sentiva come se lo avesse fatto. Non era stato sincero riguardo a Annelie. Aprì la porta della camera e la trovò intenta a truccarsi davanti allo specchio.

«Sveva…»

Lei allontanò il rossetto dalle labbra e batté le palpebre una sola volta. Si voltò appena. «Ci sei andato a letto?»

«No. No.»

Sveva lo osservò per un tempo infinito senza dire una parola. Anche Kieran non se la sentiva di parlare. Aveva paura di aver rovinato tutto. Conosceva la storia di Sveva con il suo ex, sapeva quanto avesse sofferto per una persona che non era stata fedele e non voleva che pensasse una cosa del genere di lui. Gli si potevano attribuire gli aggettivi più disparati, ma non che fosse una persona infedele. D’altronde lei però aveva assistito ad una vera e propria scenata di gelosia da parte di Annelie.

«Come ti ho detto, Annelie è la mia assistente, abbiamo passato insieme molto tempo in queste settimane ma non ho mai avuto nessun interesse per lei, mi devi credere.»

«Però lei sì, a quando pare.»

«No, Sveva, neanche lei. Ci è rimasta male perché non le ho parlato di te. E l’unico motivo per il quale non l’ho fatto era perché...»

«Perché volevi dimenticare.»

«Perché mi faceva male» fece dei passi verso di lei. «Mi faceva troppo male sapere che non avrei mai più potuto accarezzarti e non avrei mai saputo che cosa potesse significare la nostra storia, dove saremmo potuti arrivare. Quando ti ho detto che eri una persona superficiale che voleva solamente un’avventura estiva io lo pensavo davvero. Eri così fredda e distaccata mentre mi dicevi che le cose non potevano funzionare, era come se nella tua testa non ci fosse mai stata una possibilità per noi. Invece io ci avevo creduto quasi fin dal primo momento. Perché tu mi fai provare delle cose bellissime e questo genere di cose non si provano per chiunque. Tu mi fai venire voglia di proteggerti anche se so che sei forte e ce la puoi fare benissimo da sola.

Poi ho capito che in realtà era solamente un tuo meccanismo di difesa. Ho capito che avevi soltanto paura di farti male di nuovo. Io non so come andranno le cose tra di noi ma ti prometto che non ti tradirò mai e che di me ti potrai sempre fidare.»

«Non fare promesse che non puoi mantenere.» Sveva si divincolò dalle sue braccia che cercavano di stringerla.

«So del tuo ex, ma non ti sembra riduttivo pensare che tutti gli uomini siano così?»

«Sai del mio ex?»

«Sì, me lo ha detto Christian.»

Lei accennò un sorriso, ma non era uno dei suoi soliti bei sorrisi radiosi, era spento. «Beh hai ragione, non siete tutti uguali. Almeno lui ha avuto il coraggio di dirmi la verità.»

Kieran si irrigidì. Quindi non credeva a quello che le aveva raccontato. Non credeva che Annelie fosse una semplice amica. «Ti ho detto che non ci sono andato a letto, Sveva. Per favore, non facciamoci rovinare questo momento da una stupidaggine. Cosa devo fare per dimostrarti che ti sto dicendo la verità? Dimmelo, per favore.»

Sveva si sedette sul letto. «Sai una cosa? Hai ragione, io non volevo farmi male di nuovo e hai ragione anche sul fatto che quello che c’è tra di noi non è superficiale, non è soltanto fisico. Io… io sento di essere innamorata di te, Kieran. Altrimenti non sarei mai venuta qui nel cuore della notte solo per vederti perché mi mancavi e perché anche tu hai detto che ti mancavo. E non sto dicendo che ti biasimerei se tra te e Annelie fosse successo qualcosa, non avevo nessun diritto su di te, eri libero, potevi fare quello che volevi. Quindi, ti prego, dimmi solo la verità. Se dobbiamo provarci sul serio, se dobbiamo stare insieme anche a chilometri di distanza io devo sapere che mi dirai sempre la verità qualunque essa sia. Non vedermi come una persona fragile, non vedermi come una persona che non può più soffrire. Se un giorno succederà qualcosa di spiacevole, qualcosa che potrebbe ferirmi, tu non devi esitare a dirmelo.»

Lo guardò negli occhi con fissità inespressiva. «Kieran, devi promettermelo. Non devi promettermi che non mi tradirai mai, ma che mi dirai sempre la verità. Questo è ciò che voglio.»

Kieran si accovacciò davanti a lei, le prese entrambe le mani e se le portò alle labbra. «Te lo prometto. Ma lo sai che lo faccio già. Nel bene e nel male sono una persona schietta.»

«Sì ma questo è diverso. A volte si mente per paura di ferire o per cercare di mandare avanti delle cose. Io non voglio questo, voglio che ci sia completa chiarezza e fiducia tra noi. Altrimenti non vedo come possiamo gestire questa storia.»

«Hai ragione. Quindi non hai cambiato idea?»

E finalmente lei rise, e il suo sorriso illuminò la stanza. «Non ho fatto tutta questa strada per niente.» Gli prese il viso tra le mani. «Kieran, ti ho appena detto che sono innamorata di te, voglio stare con te.»

«Già», fece lui alzandosi in piedi e tirandola tra le sue braccia. «Lo hai detto davvero.»

 

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Capitolo 36
*** Epilogo ***


Epilogo

 


Sveva e Kieran si tenevano per mano. La calura del giorno stava lasciando il posto al venticello ristorativo della sera. La sabbia fina e il mormorio del mare facevano da cornice alla loro felicità. Kieran era tornato in Italia dopo due settimane intense di preparazione e finalmente lui e Sveva si erano concessi qualche giorno di vacanza insieme.

E insieme era la parola che più preferivano usare in quei giorni. Non si erano separati neanche per qualche minuto da quando erano partiti per la Grecia. Sveva preferiva non fare progetti per il futuro lavorativo, aveva imparato che a volte seguire il flusso della vita poteva essere più emozionante e addirittura più soddisfacente che stare sempre a pianificare ogni cosa e portare a termine tutti gli obiettivi. Di obiettivi ne aveva ancora tanti e li stava raggiungendo, ma senza più ansia del risultato. Solo lo scorrere della vita, con tutte le emozioni che regalava ogni giorno.

Kieran dal canto suo aveva cominciato a chiedere a Sveva se ci fosse una qualche possibilità per lei di lavorare per conto proprio, magari aprire uno studio privato a Manchester per continuare a fare il lavoro che amava e stare più vicina a lui. Solo una soluzione temporanea, visto che lei l’anno successivo sarebbe tornata a vivere a New York. Quello era un problema un pochino più grande perché volare dall’altra parte dell’oceano non era una cosa che si poteva fare spesso come in quel momento; si trattava di un paio di ore di volo a fronte delle dieci per arrivare in America.

Ma avevano deciso di non pensarci assolutamente. Se lo erano imposti tutti e due, niente progetti a lungo termine che potessero andare oltre l’anno. Le cose tra di loro andavano a meraviglia, ma la vita era imprevedibile e Sveva aveva imparato sulla sua pelle quanto potesse essere devastante aggrapparsi a progetti importanti fatti nel lungo termine, se poi questi venivano meno.

Kieran le lanciò un’occhiata di sbieco «Sai cosa stavo pensando? Che potresti andare da Giorgio a scegliere il vestito per il gala della settimana prossima.»

Kieran era stato invitato ad un gala calcistico per ritirare un premio riguardante la stagione appena conclusa in Italia. Lui aveva intenzione di portare anche Sveva, una specie di uscita ufficiale per loro due. Lei si era mostrata restia ma alla fine aveva accettato.

Sollevò un sopracciglio. «Sul serio? Da Giorgio? Non sono più andata da lui dopo quel giorno.»

Kieran sorrise. «Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe finita in questo modo.» Con il pollice accarezzò la mano di Sveva, ripercorrendo con la mente gli istanti del loro primo incontro. Sembrava un’altra vita. «Potresti andare da lui; ha davvero dei bei vestiti e quello rosso che indossavi alla festa di tuo fratello ti stava benissimo.»

«Ah, quindi quella sera hai notato il mio vestito…»

«E non solo.» Kieran la baciò sulle labbra mentre sorrideva «Poi ovviamente puoi lasciarlo sul mio conto. Passo io a pagare. Te ne voglio regalare uno.» Sollevò le mani in aria in segno di difesa avendo notato lo sguardo dubbioso di lei. «Ho detto regalare, Sveva. Lo so che puoi comprarti quello che vuoi.»

Anche lei rise. «Va bene, a patto che vieni con me e mi aiuti a sceglierlo.»

Kieran guardò verso il cielo. «Non basta se ti lascio la mia American Express nera?»

«No…»

Le diede un altro bacio. «E va bene, vengo con te. Dove tutto ha avuto inizio.»

Le prese di nuovo la mano e continuarono a camminare sulla sabbia. «Dove tutto ha avuto inizio», disse lei.

 

E quante cose erano successe da allora, cose a cui faceva fatica a pensare, perché ancora non si riconosceva in questa nuova versione di sé. Le sembrava che a vivere in quei giorni fosse stata un’altra persona, che lei avesse dormito, fosse rimasta sopita in un angolo, mentre una nuova sé si faceva spazio a forza, reclamava il suo diritto di libertà e di vita.

Era felice che la nuova versione di Sveva avesse preso il sopravvento sulla vecchia. Si sentiva rinata, quasi come se finalmente la sua vera natura libera e appassionata fosse venuta fuori. Era in pace con se stessa. E amava Kieran. Il sentimento era reciproco, lo sentiva, lo percepiva nel profondo dello stomaco. Ma quello che provava lei era nuovo. Qualcosa di inspiegabile tanto era potente. Non era un amore egoista, né un bisogno, era la forma di amore più puro che avesse mai sperimentato. Era la costante voglia di vederlo stare bene, era la sensazione che niente avrebbe potuto spezzare quel legame, niente di esterno. Erano protetti dall’amore reciproco. Non aveva più bisogno di pianificare gli aventi per poi vederli realizzati e sentirsi in pace, non aveva bisogno di prevedere cosa sarebbe successo tra di loro, viveva ogni giorno come una continua benedizione e un regalo prezioso e così sarebbe stato sempre. Perché finalmente si erano trovati e difficilmente si sarebbero lasciati andare.

 

Siamo giunti alla fine di questa avventura. Spero che vi sia piaciuta e che vi abbia fatto emozionare. Io voglio ringraziare di cuore tutti voi che l'avete letta. Siete davvero tanti, e sono così grata di avervi avuto qui! Grazie, grazie, grazie. 
Sappiate che sto iniziando a scrivere una nuova storia e appena mi sentirò pronta inizierò a postarla qui. 
Spero mi seguirete anche nelle prossime avventure. 
Nel frattempo, se avete voglia e se vi fa piacere, mi potete trovare in giro per i social. Vi lascio i link.


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Un abbraccio e un bacio affettuoso,
Danila

P.S.: Ieri ho pubblicato sia il capitolo 34 che l'epilogo ma mi sono accorta che molti di voi leggevano sono quest'ultimo. Per cui l'ho cancellato e ripubblicato stamattina. Se non lo avete già fatto, andate a leggere il capitolo 34, aggiunge un pezzettino fondamentale per comprendere l'epilogo. Grazie infinite! <3

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