La Bella e la Scimmia

di LuciaDeetz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Acconciature ***
Capitolo 2: *** Peccati di gioventù ***
Capitolo 3: *** Super saiyan, super rinculo ***
Capitolo 4: *** Similitudini ***
Capitolo 5: *** Laura e la sua aura ***
Capitolo 6: *** Baseball ***
Capitolo 7: *** Pausa caffè ***
Capitolo 8: *** Parenti molesti ***
Capitolo 9: *** Parassita nero ***



Capitolo 1
*** Acconciature ***


Colore: verde.
Note: nessuna.

Acconciature

La brezza di metà settembre è una piacevole carezza sul viso.
«Più veloce, papà!»
Una spinta col ki e si alza un vento che oppone resistenza. Rinfresca la pelle e asciuga un po' troppo gli occhi, ma si rimedia con un battito supplementare delle ciglia.
«Più in alto, papà!»
Dopo un lampo che tinge la vista di blu e un rombo di tuono a ciel sereno, il mondo al di sotto della pancia scorre indefinito come un fiume in piena e l'orizzonte giace appena al di là del braccio teso.
Bra emette gridolini deliziati. Quando a nord-est si profila la sagoma spigolosa di un aereo appena decollato, lei si dimena e saluta a casaccio.
Lo esorta: «Più veloce, più veloce!».
E il genitore esegue.

Una circumnavigazione del globo più tardi, Bra scarica la cartella sul divano del salotto e, rincorsa da un rosario di proteste ("Lascia in ordine, signorina, o domani l'allungatoia te la scordi!"), si precipita al piano da basso dove spalanca la porta del laboratorio.
«Mamma mamma, guarda!»
Bulma si volta.
«EEEH?!» Quando solleva gli occhiali di protezione, le casca per terra il cacciavite con un sonoro cling clang.
«Guarda, ho gli stessi capelli di papà!» esclama la sua bambina.
Ma - la squadra con tanto d'occhi - siamo proprio così sicuri che sia lei?
Ignorando i cristalli di ghiaccio che le si stanno squagliando fra le ciocche sparate in aria, la piccola Brief ride orgogliosa del suo nuovo taglio da urlo.

~fin~



Angolino d’autrice:
Dopo quasi un decennio trascorso a sbavare sulle divinità norrene di casa Marvel, scopro l'esistenza della collana Dragon Ball Full Color e regredisco a una vecchia ossessione della scuola media. Ho almeno una decina di altre flash in cantiere, a vari stadi di completamento. Potrebbe scurirsi il rating in base ai capricci della musa, ma mai oltre l'arancione.
Spero vi piaccia! Non siate parchi di lanci di frutta marcia, alla bisogna...

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Capitolo 2
*** Peccati di gioventù ***


Colore: verde.
Note: nessuna.

Peccati di gioventù

«Papino, mi aiuti con i compiti di scienze?»
Per percorrere il tragitto dalla camera gravitazionale al frigorifero in cucina, Vegeta si affida unicamente agli automatismi della memoria muscolare e all'olfatto del suo appetito. Perciò, quando nel suo subconscio s'infila un'insolita interferenza che si ritaglia uno spazio tra bolle fluttuanti di costine di manzo, il saiyan avanza per inerzia di un altro paio di passi prima di decifrare il segnale radio e riagganciare i nervi ottici alla centralina del cervello.
Si blocca, si volta e nota Bra: gomiti sul tavolo, gambe penzoloni dalla sedia. Una papermate in equilibrio tra le dita e occhietti che lo interrogano in attesa di un improbabile "sì".
«In questa materia tua madre è più ferrata di me. Fatti aiutare da lei o da Trunks» le risponde, poi rientra in carreggiata. Due metri al traguardo dello sportello del frigo. Dita che si serrano su una maniglia d'acciaio e lingua sommersa di saliva. Nutrimi!, intima lo stomaco.
«Uffa, daiii!»
Interessati!, comanda la figlia.
Si volta, di nuovo. Bra, piccata, gonfia le guance per la stizza.
Vorrebbe gonfiarsele anche lui così: di cibo.
Scolla le dita a fatica, inghiotte un sorso di bava e di pazienza, si aggiusta l'asciugamano sulle spalle e le si avvicina. Allunga il collo sopra la sua testa per leggere dal libro aperto sul tavolo.
«Nane gialle?» Pere dolci. «Giganti rosse?» Arance succose. Si ferma quando scambia quella che la didascalia identifica come la nebulosa Testa di cavallo per un trancio di fungo in salsa. «Io non so niente di questa roba, Bra.»
«Non qui... qui!»
La piccola peste picchia l'indice sul quaderno a righe, in corrispondenza di una frase vergata da mano adulta a biro rossa nella parte alta della pagina.
Intervista un alieno. Descrivi una sua giornata tipo.
Come Vegeta legge la consegna dell'esercizio, la sua mente compie un salto temporale di vent'anni nel passato e le sue labbra si plasmano in un nostalgico sorriso da squalo.
, si dice, per una volta può spodestare Bulma dalla sua cattedra monoposto. In via del tutto eccezionale, beninteso, ché la scuola sarà anche palestra di vita, ma lui e il suo tempo sono ligi a tutt'altro tipo di allenamento.
Gli occorrono cinque viaggi per racimolare il necessario a comporre l'antipasto. La montagna di cibo sfiora il lampadario e getta un'ombra sul materiale scolastico ora relegato a un misero angolino del tavolo.
«Raccontami una storia, papà» dice Bra, la punta della biro già a contatto con la carta.
Vegeta si siede accanto a lei e azzanna un involtino. Ne osserva il troncone smozzicato che tiene fra le dita: epidermide croccante di pangrattato, ripieno di tacchino, midollo osseo di filante mozzarella.
Restiamo pure in tema...

***

«… teneri e deliziosi.»
«Oooh! Davvero?»
«Ma certo.»
Nel transitare per il corridoio carica di uno scatolone di pezzi di ricambio, Bulma getta un'occhiata distratta in cucina e si sente avvolgere da un tepore che si diffonde fino alle dita dei piedi.
La straordinaria immagine che ha davanti si frappone al ricordo di un Trunks cresciuto autodidatta da una madre in carriera per necessità e un padre assente per libera scelta. Ci vorrà tempo per sciogliere la dolorosa patina di ghiaccio che vela queste e altre memorie ogni volta che le tornano a galla come iceberg nella mente, ma Bulma pensa alla perseveranza della goccia d'acqua che erode la montagna e sorride rinsaldando la presa sullo scatolone.
«Ehm, papà... come si scrive "deliziosi"?»
«Di e elle i zeta i...»
A pensarci bene, però, tanta partecipazione è sospetta. Fino a ieri è stata lei, della famiglia, a borbottare sulle pagelle e a vestire i panni di figura educatrice della bambina, un ruolo dal quale Vegeta, che nei numeri riconosce solo un conveniente sistema di misura dell'energia nemica, si è sempre tenuto alla larga. Se non basta il suo improvviso entusiasmo a farle trillare un campanello d'allarme nella tempia, ci pensano le sue scelte di vocabolario a trattenere Bulma un attimo ancora sulla soglia.
«E poi? E poi?»
Poi si dice: Abbi fede.
E prima ancora che lui risponda, Bulma torna beata al suo lavoro.

***

«Bra, tu invece chi hai intervistato?»
«Il mio papà!»
Alla signorina Swindle scattano le sopracciglia verso l'alto.
Dopo aver patito un'ora d'inferno ad ascoltare di sedicenti alieni dalle antenne verdi e i piedi palmati che sproloquiano su quanto la loro patria sia caustica (venusiani), desolata (marziani) o gassosa (gioviani e saturniani), senza soffermarsi troppo sul sudore dei rinsecchiti mercuriani e i complessi d'inferiorità dei nanetti plutoniani, la signorina Swindle accoglie la sfacciataggine della giovane Brief come acqua un naufrago nel deserto.
«Vieni pure alla lavagna» le dice.
La bambina scatta in piedi come una molla sovraccarica, le treccine azzurre che dondolano strette da fiocchi rossi mentre copre a balzelli la distanza che la separa dalla cattedra. Con il quaderno tra le mani e negli occhi la scintilla fiera e un po' superba di chi sa di tornare al banco con un voto a doppia cifra, si gira a fronteggiare la classe drizzando la schiena e sollevando il mento. Dunque, con medesima sicurezza nella voce, attacca a leggere il suo elaborato.
«Prima di giungere sulla Terra, mi trovavo di stanza insieme al mio collega più anziano sul pianeta Wyvern. All'epoca, il pianeta era abitato da creature dalla pelle coriacea, dedite a una vita di sussistenza...»
Pelle coriacea? Sussistenza?
«Bra, ti ha aiutato qualcuno a fare i compiti?»
La piccola Brief alza gli occhi dal foglio per fissarli nei suoi. «No, maestra, ho fatto come ci aveva detto: ho intervistato un alieno.»
«Tuo papà.»
«Sì!»
Si compiace nel definirlo un alieno a un'età in cui dovrebbe essere il suo supereroe, pensa desolata la signorina Swindle. Tempo che arrivi l'alba dell'adolescenza e a questo povero Cristo cresceranno, come minimo, un porro al naso e una lingua biforcuta.
«Vai avanti.»
«Non senza incontrare resistenza, portammo la civiltà tra i nativi. Nel giro di due settimane, favoriti dalle due lune che ancora oggi gravitano notte e giorno attorno al pianeta, spianammo parcheggi ed erigemmo monti. Ci tirarono sassi, ci ringhiarono addosso. Ma, una settimana più tardi, non c'era un solo nativo che non fosse rimasto accecato dalla luce della civiltà.»
Tanta - vagamente inquietante - originalità le varrà un otto. All'atto pratico di astronomia c'è ben poco, e per esserci lo zampino di un adulto lo scritto pecca pure di scarsa consequenzialità, ma deve dare merito alla fantasia della sua alunna e alla dedizione del suo genitore.
Genitore che, fra le altre cose, a scuola non si è mai presentato.
«L'ultima sera del nostro soggiorno i nativi decisero, senza scambiarsi una sola parola, di ricompensare la nostra opera di civilizzazione condividendo con noi una cena a base dei frutti delle loro braccia. Ci dividemmo il pasto, io e Nappa: i frutti si rivelarono molto teneri e deliziosi.»
La signorina Swindle approva con lente oscillazioni verticali della testa. È questo che bisogna insegnare a scuola: condivisione reciproca e accettazione del diverso! Un dieci non glielo leva manco la preside.
Poi, la chiusa.
«Alle loro dita mancava giusto un po' di sale.»
E sulla classe soffia un silenzio di tundra.

***

La sera stessa, davanti a un piatto di involtini primavera riscaldati nel microonde, Vegeta ricorda.
«Com'è andato il compito di scienze, Bra?»

***

«Benissimo, papà, ho preso dieci!»
Momento, momento, si dice Bulma. Da quando Vegeta si informa sulle performance accademiche dei figli? Trunks, imminente laureato, sempre in giro con un tomo appresso, da settimane riceve solo osservazioni sulla sua nuova flaccidità di studente sedentario.
Poi Bulma si rigira la domanda del marito nella testa e corruga più a fondo le sopracciglia. Da quando è diventato il referente per i compiti di scienze?!
Chiede: «Di che compito stiamo parlando?».
Ricorre al plurale, perché Vegeta si è rifornito le ganasce di cibo e sembra intenzionato, a giudicare dalla lentezza con cui si lavora il bolo nella bocca, a non apportare alcun altro contributo alla conversazione.
È Bra, infatti, a concretizzare le sue peggiori paure: «Dovevo intervistare un alieno».
Oh, no. Il mutismo di Vegeta, ancora più selettivo del consueto, le ispira un brutto presentimento.
Abbi fede. Abbi fede.

***

Vegeta le sfila la fede dal dito, ci sputa sopra, ci fa a cazzotti e dopo averne calpestato i resti ammaccati la riduce a pezzettini con un bagliore di ki blast. La vera fede, Bulma vorrebbe stampargliela con un pugno sulla faccia.
«Tu le hai detto COSAAA?!»
In calce al foglio teso fra dita illividite, un dieci a biro rossa e un invito a presentarsi a udienza.
«Ci vai tu» spara Bulma. Alieno. Brutta scimmia!

***

Dal divano sul quale si appresta a passare la notte, Vegeta para il proiettile e restituisce il colpo: «Certo, e mi riservo il diritto di andarci a modo mio».
In volo, senza passare dalla porta ma affacciandosi direttamente alla finestra dell'aula insegnanti. Nel caso nutrissero ancora dei dubbi sull'autenticità dei suoi natali.
Bulma sfiata come un drago.
Quando Bra fa capolino dalla base delle scale, attirata dalle voci e forse in cerca di una seconda buonanotte, Vegeta scambia con lei un occhiolino d'intesa.

~fin~



Angolino d’autrice:
Vegeta non ha una figlia, ma una complice.

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Capitolo 3
*** Super saiyan, super rinculo ***


Colore: giallo (per turpiloquio).
Note: nessuna.

Super saiyan, super rinculo

«Come sarebbe a dire, anche tutti i conviventi
«Sono le direttive del Ministero, Vegeta.»
«Si fotta il Ministero!»

***

Tre settimane fa, Malcolm Huner ha appeso la pergamena al chiodo. La sua lucente laurea in Infermieristica è l'orgoglio di famiglia e il coronamento di sei anni d'afflizione.
Come giovane laureato insoddisfatto, mera proiezione dell'ambizione paterna, Malcolm anela già alla pensione ancor prima che a un tempo indeterminato. Tuttavia, la sua discesa lavorativa sta per inserire la retromarcia: il nolente tirocinante non sa ancora, infatti, che stasera sgancerà il quadro dal muro, ne sfonderà il vetro e ne demolirà la cornice. E che, sotto allo sguardo sbigottito del padre in eterno colletto inamidato, gioirà alla vista del contenuto in cellulosa che imbrunisce e si accartoccia nella fiamma del camino...

***

«Vegeta Prince!»
Quando lo chiamano dall'ultima porta in fondo alla corsia, Vegeta si avvia verso la fonte della voce con l'incedere indolente e le mani caparbiamente affondate nelle tasche. Sa che così prolungherà l'agonia, sperperando secondi che potrebbe altrimenti schiacciare sotto al peso di un'accelerazione a 300G, ma non sia mai che il principe dei saiyan si sottometta festante a certi protocolli terrestri come un cane che dimeni la coda. Che lui, la coda, non ce l'ha più da anni.
Ispessisce il grugno che gli rabbuia la faccia ormai da ventiquattr'ore a questa parte. Mentre sotto allo sguardo degli astanti batte il corridoio a passo di marcia, si ripete che è determinato a dar sfoggio della versione peggiore di sé permessa dalla legge.
A metà strada si incrocia con Trunks, l'ultimo di ritorno dal test. Gli basta uno sguardo dall'alto in basso per giudicarlo sconfitto con disonore: aria pesta e remissiva da cane bastonato, occhi acquosi da sopra l'orlo della mascherina e un disgustoso risucchio dal naso. Ventun anni di vita e lacrime che traboccano come se ne avesse tre.
«Tsk!»
Che rammollito!

***

«Non farne un dramma apocalittico, Vegeta, sarà solo una sfregatina alla gola!»
«Chi gli dà il diritto di violare la mia gola?!»
Nella mente di Trunks risuona ancora l'eco dell'alterco che ha imperversato ieri sera attorno al tavolo della cena. Bra, da giorni allettata dalla febbre, non ha avuto occasione per cantare, e forse è meglio così, perché mamma ha glissato su un insignificante quanto scabroso particolare per amore di serenità famigliare.
Dietro al suo paravento con protezione FP2, mentre papà sembra ripudiarlo con uno sguardo di fuoco à la Super Saiyan God, Trunks atteggia le labbra in un ghigno molto poco filiale e dà un'altra teatrale aspirata alle narici.
Oltre quella soglia, il suo orgoglio riceverà una batosta da orbi che lo coglierà totalmente impreparato.
Che sprovveduto!

***

«Indietro con la testa. Apra la bocca.»
Celato com'è dai riflessi della visiera trasparente, Vegeta intravede l'infermiere a malapena. Non che faccia differenza: ora come ora, qualsiasi viso, lì dietro, sarebbe un'istigazione alla violenza.
La sua voce, però, gli giunge alle orecchie senza sconti e gli ispira strane immagini per la testa: un elenco telefonico, un elettroencefalogramma piatto; un istinto alla vita calpestato a ogni passo come un chewing-gum appiccicato sotto la suola d'una scarpa.
Mentre pensa a queste e altre visioni, Vegeta rimane fermo, la testa all'insù a contemplare la vacuità del soffitto, la bocca aperta come un uccellino spennato che attenda un pasto di vermi rigurgitati.
Vermi! Questa sì che è una brutta immagine.
Rabbrividisce.
«Stia fermo!»
Ma l'infermiere sbuffa, e prima ancora che Vegeta abbia placato le sue orride fantasie, quel farabutto di un terrestre gli caccia lo stecchino bianco in bocca. È un'intrusione così aggressiva e repentina che al saiyan sfugge un gorgoglio umidiccio insieme a un conato da gallina strozzata. Bulma ne ha fatto una descrizione molto meno traumatica. Gli ha rifilato una sporca bugia!
I riflessi sono troppo lenti e i pensieri troppi: l'assalto alla gola si conclude proprio quando Vegeta comincia a meditare di rifilare all'infermiere un pugno dritto allo stomaco.
«Ora guardi davanti a sé.»
Vegeta deglutisce mentre riporta la testa in posizione orizzontale, obbedendo suo malgrado. La gola brucia, è secca, protesta per il trattamento nient'affatto delicato a cui è stata sottoposta. E a proposito di gole... Vegeta si scopre a far scivolare gli occhi sopra al bavero del camice dell'infermiere. Che bel collo esposto, si dice. È proprio lì, a portata della flessione delle dita d'una mano. Basta una leggera pressione dei polpastrelli per spedire il suo proprietario a mettersi in fila da Re Enma. Forse, in linea col suo apatico atteggiamento verso la vita, a sbriciolargli le ossa della cervicale gli concede pure un favore...
No, si ripete, che poi la donna s'incazza e chi li ripara i droni con cui ti alleni?
È finita, può tornare a casa. Finalmente!
Rinfrancato da questo pensiero, Vegeta scosta la sedia e fa per alzarsi.
«Dove sta andando? Non ho ancora finito!»
Manaccia guantata di lattice che scatta in avanti e che, contravvenendo ad almeno dieci regole per il contenimento della diffusione del virus che sta dilagando fra i terrestri, lo abbranca per la spalla destra e respinge il suo tentativo di rimettersi in piedi.
E Vegeta si lascia ricadere sulla sedia.

***

Da tre settimane, Malcolm Huner non fa che sognare rivoli di muco e caccole frantumate attorno a batuffoli di cotone compresso. Se mai un tampone usato dovesse sfiorargli un guanto, è certo che appiccherebbe fuoco all’intero reparto. Poi darebbe fuoco anche alla mano, dopo averla tranciata di netto dal polso.
È disgustoso!
Malcolm è al limite della sopportazione.
Non bastano i bambini che strillano a ultrasuoni, quelli che "A casa è così bravo!" ma che, giunti nel raggio d'azione dell'uomo bianco con il casco in testa e la fialetta nella mano, vanno incontro a metamorfosi e si trasformano in belve assatanate e incontenibili, per cui si rende necessario l'intervento di entrambi i genitori, tre membri dello staff e non meno di due dosi di sedativo perché il tampone oltrepassi anche solo la barriera dei denti da latte, no, adesso bisogna fare i conti anche coi capricci degli adulti.
450 zeny al mese di indennità, e guai a lamentarsi, per tollerare questa porcheria!
Dalla tasca, Malcolm estrae l'astuccio che contiene il secondo tampone.
No, bellimbusto, tu ora ti siedi e mi lasci finire questo schifo di lavoro.

***

Il terrestre ha osato toccarlo. Imprigionato dai muscoli atrofizzati per lo shock, Vegeta pensa che il terrestre ha osato toccarlo. Ai tempi dell'esercito di Freezer, taluni sono rimasti secchi per molto meno, tipo per averlo additato.
La vera onda anomala, però, deve ancora abbattersi a riva, e purtroppo Vegeta è convinto che lo tsunami si stia già ritirando dalla spiaggia del suo orgoglio.
I riflessi allenati da decenni di combattimenti, infatti, non gli risparmiano la madre di tutte le vergogne. Mezzo secondo, solo mezzo secondo, e il saiyan si ritrova un'altra orribile asticella, lunga il doppio della precedente, ficcata su per la narice sinistra.
Prima vede le stelle: filamenti di luce cadente che attraversano il suo campo visivo.
Poi passa oltre: la mano guantata che si muove a un soffio dai suoi denti - chi ha detto che le scimmie non mordono? - e che, con un movimento collaudato di sfila e infila, gli affonda lo stesso bastoncino su per l'altra narice.
Neanche Freezer l’ha mai seviziato così.
Se Vegeta non gli scardina il braccio dall'articolazione e non solleva il terrestre sopra la testa con l'intenzione di offrirgli l'ebbrezza di un volo panoramico e senza paracadute fuori dalla finestra, è solo perché i muscoli si rifiutano ancora di collaborare. Tranne quelli facciali, s'intende, perché un attimo dopo si sorprende a imprecare, e la rara, rarissima imprecazione è una valvola di sfogo e la misura del suo sconvolgimento: «Brutto pezzo di merd---».
Ma l'ultima vocale cade nel vuoto, inghiottita da un diaframma che si contrae a tradimento.
Aaa…
Dita incompetenti che rigirano il tampone nel naso, nervi del naso che inviano al cervello segnali d'allarme.
Aaaaaa...
Segnali che vengono interpretati dal cervello come violazione di domicilio, polmoni che incamerano aria per sbarazzarsi del corpo estraneo.
Aaaaaaaa...
Una mano guantata di bianco al centro della traiettoria di tiro.
«AAAAAAAAAH-»

***

«TCHPFUUU!»
La porta in fondo al corridoio vibra sui cardini come colpita da un'onda d'urto.
Nella sala d'attesa, tutte le teste si girano in sincrono nella stessa direzione, poi Trunks, in piedi di fronte alle macchinette del caffè, cerca i suoi occhi. Bulma fa altrettanto e basta uno scambio di sguardi col figlio per farle salire la risata sulla rampa di lancio.
Gesundheit!

***

A Malcolm Huner trema la mano.
La mano imperlata di saliva.
La visiera trasparente gli ha preservato l'integrità del viso, ma la sua superficie è costellata di goccioline e gli sembra quasi d'aver guidato sotto la pioggia coi tergicristalli malfunzionanti.
Poi i suoi occhi registrano qualcosa di inquietante. Cos'è quella roba?!

***

Da dietro la porta in fondo al corridoio, si leva un urlo belluino.
Poi una voce maschile esclama: «No vabbè, basta, io esco!».
Fedele alle sue parole, Bulma lo vede uscire: due braccia che strappano un casco da una faccia color porpora, visiera che rotola a terra, scuotimenti vari col torace per disincastrarsi dal camice che viene gettato sul linoleum in un mucchietto bianco e informe insieme a un paio di guanti di lattice. Una vena in rilievo sulla tempia e un «Il mio tirocinio finisce qua!» che rimbalza su tutte le pareti del reparto.
Il ragazzo avanza fino all'altro capo del corridoio con l'aria di un bufalo impazzito, calpestando il pavimento come se volesse prendere a calci il mondo. Giunto a un metro dall'uscita di scena, si esibisce in una brusca frenata e in un testacoda che lo porta a ripercorrere i propri passi fino all'erogatore di gel disinfettante che è stato installato sul muro a beneficio dei visitatori. Qui, sotto gli occhi esterrefatti di pazienti e personale medico di ruolo, dà l'assalto al dosatore spremendo ogni goccia di gel contenuta nel tubetto, fino ad accumulare, sul palmo aperto della mano, una quantità di disinfettante utile a sterminare ogni traccia di vita batterica sul pianeta. Bulma lo osserva mentre prende a frizionarsi le mani con la lena di chi vuole esfoliare la pelle fino all’osso. Infine se ne va, lasciando nell'aria un penetrante odore d'alcool e sul pavimento una scia di gel che luccica come bava di lumaca.
Dalla porta dello studio che ha lasciato spalancata, esce suo marito con le mani perennemente in tasca.

***

In piedi nella nicchia laterale che accoglie le macchinette degli snack, Trunks, la mascherina abbassata sul mento e la lattina alla bocca, guarda suo padre sfilare per il corridoio con il cipiglio più fosco di un cumulonembo. Altro che Super Saiyan Blue: appena tornati fra la privacy garantita della Capsule Corp., lo vedranno transitare per tutti i colori dell'arcobaleno.
Poi lui lo supera, dandogli le spalle, e Trunks scende con gli occhi.
Ma che cazz…?
«Pffft...»
Dalla gola gli esplode una risata. La bevanda gli va di traverso, erutta dal naso e gocciola per terra. Trunks tossicchia sputacchiando mentre si percuote il petto, poi si piega in due come una sedia a sdraio quando gli accessi di risa gli lasciano a malapena il tempo di riprendere fiato. In men che non si dica si è creato un vuoto attorno, ché la saliva di questi tempi è assimilata a materiale radioattivo. Ma non è lui lo spettacolo del giorno, no.
Trunks si asciuga gli occhi col dorso della mano e guarda suo padre fermarsi a metà del corridoio. Il dito medio che per tutta risposta gli rifila da oltre la spalla dà l'abbrivio a una nuova sequela di risate spasmodiche.

***

Ma insomma, che cosa prende a quei due?
Bulma, seduta qualche metro più avanti, si chiede perché Trunks rida come un ebete e perché Vegeta lo abbia appena mandato a quel paese. Condivide un'occhiata con Mai, seduta accanto a lei, e legge nella ragazza la stessa sua perplessità.
«Mamma...»
C'è un bambino che scuote il braccio di una donna e addita in direzione di Vegeta.
Lei gli schiaffeggia l'indice: «Sssh, Teo, è maleducazione puntare il dito!».
Be'? Che c'è da puntare? Mai visto un alieno?
Ma il bambino non è l'unico a mostrare segni di interesse. Mentre Vegeta ripercorre il corridoio privo della sua caratteristica baldanza, i più mormorano (Trunks: «Ahahahahahahahahah!») e si gettano l'un l'altro sguardi inquieti. Gli occhi puntano troppo in basso per essere attirati dalla sua curiosa capigliatura a porcospino, o dai muscoli delle braccia che la maglietta lascia in evidenza.
Insomma, gli stanno guardando il culo. Bulma non sa se esserne gelosa o se, invece, come le suggerisce l'istinto, cominciare a sudare freddo.
Infine, Vegeta le si para davanti: le mani ancora nelle tasche e la testa stranamente incassata nelle spalle.
«Possiamo andare?»
Una richiesta che suona come la preghiera di un disperato.
«Ma che è success---oh.»
L'oggetto del suo imbarazzo è una coda di scimmia. Una coda di scimmia nata dal rinculo di uno starnuto, che gli emerge da dietro le gambe mentre frusta l'aria come il braccio di un pendolo marrone, peloso e flessuoso. Vegeta la scruta a braccia conserte, ora: il sopracciglio alzato promette il divorzio al primo accenno di ilarità.
Bulma deve racimolare tutto il suo autocontrollo per non scoppiargli a ridere in faccia. E si rifugia nello schermo del cellulare, accampando scuse sulla necessità di dover controllare il calendario lunare.

***

Ha strappato il suo paio di pantaloni preferito, maledizione!
«Signori, aspettate!»
Un'infermiera caracolla verso di lui.
Basta! Vegeta ha già l'aura divina pronta a esplodere. «Se si tratta di un altro tampone, giuro che---»
«No, no!» si affretta a rispondere lei. Ha capito l'antifona: il principe dei saiyan non è cavia da laboratorio.
«Mi occorre solo sapere...»
La lista di coloro che sono stati nelle vicinanze della piccola Bra Brief nell'ultima settimana. Tutti quelli che riesce a ricordare.
Vegeta sbuffa, ma collabora.
Un dio della distruzione, l'angelo suo custode, un namecciano, uno smidollato con una cicatrice sulla guancia, un androide, un maiale e un gatto antropomorfi, un sedicente campione del mondo e…
Pur incazzato come solo un saiyan può essere, Vegeta trova l'animo di sogghignare.

***

A centinaia di chilometri di distanza, il saiyan di nome Goku, conosciuto anche come "«KAKAROOOTH!»", starnutisce.

~fin~



Angolino d’autrice:
Questa shot non era prevista, ma come ho fatto il test è venuta l'ispirazione...

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Capitolo 4
*** Similitudini ***


Colore: verde.
Note: nessuna.

Similitudini

Non accade spesso che Bulma si allacci il grembiule alla vita. Nelle rare, rarissime occasioni in cui le pulsa la vena culinaria, la scienziata ha col cibo la stessa reazione di un bambino alla prima nevicata dell’anno. L’acqua che bolle nella pentola o il sale che si scioglie al calore della costata: anche questa è scienza.
Ha già affettato tre carote, due pomodori e miracolosamente neanche un dito della sua mano quando sotto al filo della lama transita la capocchia verde e viola di un carciofo. Allora, come se fosse un manufatto alieno e non un tipo di verdura terrestre acquistabile al banco dell’ortofrutta sotto casa (ma che ne sa, lei, ché a far la spesa ha sempre spedito Trunks?), Bulma si blocca e alza il gambo all’altezza degli occhi.

Lo sta ancora contemplando quando di lì a dieci minuti Vegeta compare in cucina a prelevare una bibita dal frigo. Bulma storna l’attenzione verso di lui, verso il suo collo avvolto da un asciugamano e la sua sempiterna chioma a porcospino. Le dà le spalle, perciò non può vederla mentre sovrappone la testa del carciofo alla sua fino a farle combaciare alla perfezione.
«Bulma, qui c’è odore di bruciato...»
Irto di spine, eppure dal cuore tenero. Sapore dolceamaro nascosto sotto a una corazza che all’occhio sembra impenetrabile. Simili in tutto, fuori come dentro.
«Bulma, che diamine stai facendo?!»
Quando l’interpellata ritocca terra, si ritrova in una stanza avvolta in una nuvola di fumo, con Vegeta che spalanca la finestra, accorre a togliere la piastra dal fuoco e cerca di scollare il pezzo di carbone in cui la bistecca si è trasformata.
E anche stasera take-away sia.

~fin~



Angolino d’autrice:
Miss Cena al Microonde e Papà Carciofo. Che coppia.
P.S. Sono viva e vègeta! Yupee!

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Capitolo 5
*** Laura e la sua aura ***


Colore: verde.
Note: nessuna.

Laura e la sua aura

Super Saiyan Trunks sfodera la Super Saiyan Sword e mena fendenti obliqui alla volta del luogotenente Zarbon! La spada sibila e descrive parabole nell’aria di Namek! Incalzato da una raffica di attacchi ravvicinati, lo scagnozzo di Freezer cede finalmente terreno! Super Saiyan Trunks sfrutta la breccia nella difesa dell’avversario per scattare in avanti e affondare la lama fra le costole del nemico! Zarbon è a terra, ripeto, Zarbon è a terra e dal suo torace gronda sangue tossico di mostro! Ma non c’è respiro per Super Saiyan Trunks! Dodoria gli tende un agguato alle spalle! Costretto ad agire d’istinto, con la spada ancora bloccata nel petto del mostro, Super Saiyan Trunks compie una giravolta su se stesso, richiama il ki sui palmi delle mani e con un blast catapulta in aria quella palla di grasso rosa! Mentre l'avversario si puntella per rialzarsi, Super Saiyan Trunks vola a sfilare la lama dallo squarcio aperto nelle budella di Zarbon! Ne impugna l’elsa con entrambe le mani, l'alza alta sopra la testa e il sangue di cui è intrisa gli cola lungo i polsi, poi con un urlo adrenalinico che gli erompe dalla gola si avventa sul nemico e...
«Trunks, saresti così gentile da girarti verso la lavagna e dirci come parafrasare questo verso?»
L’impatto col mondo reale è improvviso e piacevole quanto un pugno sul naso.
La biro che era una spada scricchiola nella mano destra stretta a pugno, il braccio teso e levato in aria sopra la testa e pronto ad abbattersi sull’astuccio rosa sul banco.
Io lo odio, mamma, quell’astuccio.
Rientrato alla base da un viaggio di anni luce di fantasia, Trunks si getta un’occhiata attorno, conta ventitré facce perplesse, e tenta di fare mente locale sulle materie del giorno.
A che lezione siamo arrivati?
Soprattutto… Che giorno è oggi?
Sulla lavagna, una melensa poesia che non sa come decifrare e, sulla pedana che sorregge la cattedra, l’insegnante in attesa.
«Ehm… ehm...»
Trunks incassa la testa nelle spalle mentre scocca a beneficio della professoressa quello che spera sia un sorriso smagliante. Poi, azzarda: «Laura si trasformò… in Super Saiyan?»

***

In un che?!
Preferisce non indagare.
A corto di parole, la signorina Swindle chiude gli occhi e si massaggia la tempia.

~fin~



Angolino d’autrice:
Erano i capei d'oro a l'aura sparsi... :P

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Capitolo 6
*** Baseball ***


Colore: verde.
Note: nessuna.

Baseball

«Oh insomma, Vegeta, ci saremo tutti, anche Goku! È la finale di campionato!»
«E a me dovrebbe interessare partecipare perché...»
«Perché ci tengo che tu mi faccia compagnia.»

***

Eccolo seduto fra le tribune, infognato in mezzo a tangheri puzzolenti di birra. Trecentossessanta gradi di fischi e schiamazzi e braccia sudate che si levano ad alzare striscioni dalle scritte oscene.
Cosa ci trovano gli esseri umani in un passatempo tanto volgare? Che sia la prima e ultima volta che si fa trascinare a guardare dei gonzi che si rimbalzano una palla a forza di mazzate!
Quella donna sa sempre dove piantare le sue spine, maledizione.

***

Oh, che sorpresa, c’è anche Vegeta.
Pensa Yamcha, in una pausa fra due strike, individuando la capigliatura azzurrina di Bulma sugli spalti.
Il saiyan siede rigido come una brutta scultura di granito: braccia conserte, gambe accavallate e il viso arcigno che potrebbe far inacidire il latte.
E sciàllati un po’!
Manca giusto un minuto al time-out quando gli sovviene un’idea per scioglierlo da tutte le inibizioni.
Hai rubato la mia bicicletta. Ora pedala, bello.

***

Secondo round della partita di cavernicoli che prendono una palla a randellate.
Venditore di bibite ambulante a ore nove.
«Birraaa! Birraaa!»
No, non la voglio la tua stupida birra!
Vegeta potrebbe mollare un cazzotto a Kakaroth per la noia. Guardalo, quel lavandino senza fondo, mentre s’ingozza di popcorn! A lui la frustrazione ha solo chiuso lo stomaco.
Poi, una mano dal tocco delicato gli sfiora un braccio.
Bulma, occhi luminosi da cerbiatto che lo contemplano da sopra a un paio di labbra carnose e sporgenti.
Di fianco a lei, nella fila, Trunks e Mai attentano alla pubblica decenza con un bacio da sommozzatori. Chi siede loro attorno saluta l’atto osceno con un furioso battere di mani.
Ma che diavolo…?
È quando spazia con lo sguardo, allora, che Vegeta lo nota: il maxi schermo fissato a un’impalcatura di metallo. Una cornice adorna di cuoricini rosa e la telecamera che indugia a inquadrare il primo piano del suo viso color prugna.
Non sa che interpretazione debba dare a quel «Limonataaa! Limonataaa!» che giunge or ora da un punto imprecisato in alto sugli spalti, ma sa che domani qualcuno di familiare si ritroverà beneficiario di un necrologio in bianco e nero fra le pagine del giornale.

***

Giù in campo, Yamcha sperimenta atroci dolori al muscolo del diaframma.
Bulma, riscosso un fugace quanto impacciato bacetto sulla guancia condito dai buuu! di delusione dei tifosi più allupati, siede compita di fianco a un Vegeta Super Saiyan Blu che promette un minaccioso Ci vediamo all’uscita.
Sarà meglio girare lontani dalla Capsule Corp, per un po’ di tempo.

~fin~



Angolino d’autrice:
1 a 0 per Kiss Cam vs Vegeta.

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Capitolo 7
*** Pausa caffè ***


Colore: giallo (per turpiloquio).
Note: nessuna.

Pausa caffè

«Emily, giusto?»
L’interpellata distoglie lo sguardo dal blocchetto degli appunti adagiato sul tavolino per fissarlo poco più in alto, su dita dalle unghie smaltate di rosso e ben sagomate. Lo fa scorrere ancora un po’ più su: alla mano tesa in sua direzione fanno capo una manica di tailleur perfettamente stirata e un visino spruzzato di lentiggini che si intona a una chioma dai riflessi mogano.
E il visino parla ancora, senza attendere risposta alla prima domanda.
«Mi chiamo Rossana, sono della divisione contabilità. Piacere di conoscerti!»
Emily si morde l’interno della guancia. Osserva quelle costellazioni color ruggine sul volto della donna e pensa che se fossero un gioco di "unisci i puntini" andrebbero a comporre la scritta MANAGER.
Lesta, approfittando del riparo offerto dalla superficie del tavolino, si sfrega via il sudore del palmo sulla stoffa dei jeans e stringe l’offerta di pace di fronte a lei. Ricambia i convenevoli con un: «Il piacere è tutto mio, signora».
Oddio, troppo informale? Le ha stretto la mano troppo piano, da pusillanime, o troppo forte, suggerendo aggressività? E ora che penseranno? Che voglia fare le scarpe a qualcuno? Si è già bruciata l’assunzione post-stage universitario?!
«Posso sedermi?»
Emily sussulta. «Ma certo!» esclama, recitando la parte della ragazza disinvolta mettendo su un sorriso più falso di una moneta da tre zeny.
Oddio, oddio, oddio.
Mentre Rossana si liscia le pieghe della gonna e scivola sulla sedia di fronte a lei con un unico movimento ipercollaudato, Emily si affretta a sgombrare il ripiano dai suoi appunti e li caccia di malagrazia dentro alla borsa a tracolla che penzola dal suo schienale.
Guarda Rossana appoggiare un bicchierino sul tavolo. La donna rimesta il caffè con movimenti circolari dello stecchetto in plastica prima di portarsi il bastoncino alla bocca e ripulirlo della schiuma marroncina con uno schiocco delle labbra. Dunque, decide che è ora di sfoderare la scure e scuoiare la preda.
«Allora, ti piace lavorare alla Capsule Corp?»
Domanda prematura: è il suo primo giorno di lavoro! Ma Emily non può peccare di maleducazione, non se non vuole essere la fortunata vincitrice di un biglietto di sola andata in direzione dell’uscita.
Allora risponde: «Molto!». E sfodera di nuovo i denti in un sorriso più artificiale dell’aspartame, finché non si ricorda che nel regno animale il sorriso può essere talvolta equivocato e scambiato per una manifestazione di aggressività e un tentativo di prevaricazione sull’avversario, e allora sente le labbra afflosciarsi e si scervella in cerca di uno spunto su come continuare la conversazione perché ora come ora è vagamente consapevole di star facendo una figura da pesce lesso.
Ti terrorizza l’ambiente? Molto!
Emily vorrebbe che la sua ansia sociale fosse una presenza tangibile per poterle tirare in faccia due sberle.
«Ross, stai già tormentando i nuovi arrivi?»
Dal fondo dell’area ristoro sopraggiunge la voce della salvezza: tailleur con gonna fino al ginocchio, tripudio di boccoli rossi domati con flaconcini di balsamo, un block notes formato A4 tenuto fermo davanti al petto da un braccio sul cui polso luccica un orologio che a una stima sommaria costa quanto un piccolo aereo privato.
La nuova arrivata si accosta al tavolino e pretende un contributo sociale con il braccio libero teso verso di lei. Insieme alla mano si alza anche una nuvoletta di colonia da un milione di zeny a spruzzata. Altro che voce della salvezza, è un altro chiodo sulla bara.
«Mi chiamo Alessandra, sono della divisione sostenibilità ambientale. Piacere di conoscerti, Emily!»
Gli occhi di Emily saettano da viso a viso in un gioco di "trova le differenze".
Sì, Rossana e Alessandra sono gemelle. Sì, sono entrambe manager.
«Molto piacere» mormora Emily, leggermentissimamente in soggezione.
Afferrare l’ansia sociale per il collo. Affondarle la testa nell’acqua. Ridere sguaiatamente delle bolle d’aria che salgono in superficie a ritmo sempre meno serrato.
Sta vagliando qual è la scusa migliore e meno pregiudicante per svignarsela da lì e tornare al suo cubicolo, al suo silenzioso e solitario e sacro cubicolo, quando Alessandra si rivolge alla sorella con sguardo corrucciato.
«Volevo chiederti, hai per caso visto Bulma?»
«No. La cercava anche Luke.» Rossana intercetta l’orologio sulla parete. Si acciglia pure lei. «In effetti, stamattina è molto in ritardo.»
Segue, tra le sorelle, un silenzio animato solo dal ronzio di sottofondo dei distributori automatici di bevande e dalle chiacchiere indistinte degli altri colleghi.
Poi le gemelle si guardano, si squadrano, accennano un ghigno di chi la sa lunga, e sembrano giungere simultaneamente allo stesso, illuminante pensiero. Due voci in una.
«È tornato a casa.»

***

«Lasciami all’ingresso, Vegeta, lasciami all’ingresso!»
«Ma perché…?»
«È disdicevole per una signora entrare dalla finestra, quante volte te lo devo dire?! E cos’è quel sorrisetto, adesso?»
«Riuscirai stavolta a fare tutte quelle rampe di scale, donna?»
«Prenderò l’ascensore!»
«Non l’hai ancora riparato, ricordi?»
«Cazzo.»
Stupida, stupida idea, dislocare il reparto logistico della Capsule in un’altra parte della città.

***

«Sei fortunata, Emily. Succede solo due o tre volte all’anno.»
«Che cos’è che succede?»
«Che il marito della titolare torni a casa.»
«Fa il militare?»
«Chi lo sa? La signora Bulma mantiene il completo riserbo sulla faccenda.»
Emily non riesce a cogliere il nesso tra quello che Rossana le sta dicendo e il fatto che ora metà dei dipendenti in forza alla Capsule Corp sembra essersi data appuntamento davanti alla vetrata panoramica dell’area ristoro, quella che dà sul piazzale d’ingresso del grattacielo e sull’orizzonte di West City.
Sono tutti in piedi, manager, impiegati ordinari e stagisti. Una marea di facce allineate a scrutare il cielo come se da un momento all’altro dovesse piovere un meteorite.
E in effetti, visto da qui sembra quasi una stella cadente.
«Laggiù!»
La marea si volta all’unisono nella direzione indicata dal braccio teso.
Una scia azzurra attraversa il cielo a sinistra, in lontananza. Compie una brusca sterzata, senza perdere quota, e in pochi secondi si è fatta così vicina che sembra in rotta di collisione con il loro edificio. Poi la scia si disperde a mezz’aria, e così anche l’alone blu che sembra ammantare la… cosa che ora sta scendendo in picchiata verso il piazzale di acciottolato dell’azienda. I vetri vibrano come sotto all’impatto di un’onda d’urto.
Emily aguzza la vista. Non è una cosa, quella, ma un uomo che porta in braccio una donna.
Un uomo che atterra leggiadro sulla punta delle scarpe. Una donna dai capelli azzurri che smonta a terra e che, sotto agli occhi del pubblico riunito dietro all’invetriata, tre piani più in alto, si volta di scatto e stampa un bacio fugace sulla guancia del suo singolare mezzo di trasporto.
È scuro di capelli, piccolino ma ben piazzato e lei indossa i tacchi: neanche deve alzarsi sulle punte. Infatti, è così veloce che lui pare preso in contropiede.
«EHI!»
L’esclamazione scandalizzata attraversa i vetri e raggiunge le orecchie di tutti.
L’uomo si ritrae, come scottato. Di sicuro, si è imporporato in viso come un pomodoro molto, molto maturo.
«Mi devi un favore, donna!»
Si sente anche questo.
Dopodiché lui si dà la spinta coi piedi e riparte a razzo, prima di rischiare una seconda aggressione in luogo pubblico, lasciandosi dietro una scia di polvere e foglie vorticanti. Nel giro di pochi secondi, non è che un puntino colorato all'orizzonte.
Alla donna, che dev’essere per forza la signora Bulma, non resta che sistemarsi la tracolla della borsetta attorno alla spalla e sgambettare verso l’ingresso della Capsule Corp in un incedere che è tutt’altro che armonioso.
È a questo punto che si accende il brusio all’interno del salottino.
«Cammina come una papera.»
«Ma perché non passa semplicemente dalla finestra del suo ufficio?»
«Sessione potente, stavolta.»
«Secondo voi sarebbe indelicato farle trovare un bicchiere di paracetamolo sulla scrivania?»
Emily si chiede come possano tutti essere così poco turbati dalla cosa. Quell’uomo stava volando, santo cielo!
«Ha messo su ancora più massa. Ma come diavolo fa?»
«Infilerà più palle nel canestro lui di un giocatore della NBA.»
«Farà colazione a base di steroidi e marmellata.»
«Sbaglio o l’ascensore è ancora guasto?»
«Dite che la sentiremo cigolare su per i gradini?»
«Propongo una raccolta fondi per far installare un montascale.»
Soprattutto, Emily si sente esclusa da quello che dev’essere un inside joke ricorrente all’interno dell’azienda.
Rossana le si accosta. «Ti ci abituerai» dice in tono confidenziale.
Forse è per via dello shock, forse è per via dei commenti assolutamente disinibiti e inopportuni dei suoi colleghi... ma Emily ha un sacco di domande per la testa che le premono sulla lingua. «Succede spesso?» chiede.
«Sempre, quando lui torna a casa.»

~fin~



Angolino d’autrice:
Come si dice? Mr. Hyde on the streets but Dr. Jekyll in the sheets...

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Capitolo 8
*** Parenti molesti ***


Colore: giallo (per leggero turpiloquio).
Note: nessuna.

Parenti molesti

“Ti amo più della mia stessa vita” disse lei alla sua anima gemella e imperitura. E quando gli rivelò di essere in stato interessante, lui la strinse di più a sé, frapponendo tra di loro, tra due cuori furiosi d’amore, come a volerlo proteggere, il frutto della loro unio-
Il saiyan aggrotta le sopracciglia alla forma scura che gli invade l’occhio sinistro e gli impedisce di leggere la fine del paragrafo. Alla sua destra, sua moglie è un fagottino che respira a ritmo regolare e che si indovina appena sotto alle spesse coperte. È in corso una minaccia al loro pianeta? Dovrebbe svegliarla, scappare via?
Ignorando l’inquietudine che deriva dall’ignoto, il saiyan mette da parte il libro elettronico e cerca di concentrarsi, nella penombra della camera da letto, sul segnale interstellare che gli proietta sulla retina i contorni e i parametri vitali di una misteriosa figura.

***

Silenzioso come un predatore notturno, il saiyan si sporge dal materasso per frugare tra il contenuto del comodino.
Brancola con la mano fra pacchetti assortiti di mentine, fazzoletti e preservativi prima di stringere le dita attorno al traguardo del suo rovistare. Lo sfila dal cassetto respirando a zero decibel di rumore, se lo assicura all’orecchio e con l’indice ne preme il pulsante d’accensione sulla scocca.
Quando un beep seghettato graffia l’aria e Bulma si gira verso di lui in un fruscio di lenzuola, a lui sfugge un’imprecazione sottovoce e deve ingoiare l’impulso di scaraventare l’aggeggio e i suoi propositi fuori dalla finestra. Attende, in arresto respiratorio e coi nervi che galleggiano fra perline di sudore.
Bulma non dà altri segnali di veglia.
Scongiurando un’altra reazione da parte sua, ben più esplosiva, se dovesse subodorare i suoi intenti, il saiyan non si permette nemmeno un sospiro di sollievo liberatorio. Armeggia di nuovo con il dispositivo per attivare la fotocamera a infrarossi e si sposta con l’occhio fino a inquadrare al centro del campo scarlatto l’oggetto della sua curiosità, ora visibile in tutta la sua gloria. Non trattiene uno spasmo di stupore che per un attimo gli fa schiudere la bocca, prima di tornare serio.
Un’altra pressione dell’indice, per attivare il rilevatore. Tsk. Sa già come finirà. Lascerà al processore dello scouter tutto il tempo di calcolo che gli occorrerà, sempre che, in via del tutto eccezionale, il rilevatore non gli esploda in faccia per superamento dei limiti di funzionamento… i vecchi modelli, d'altronde, non sono tarati per raccogliere i dati dei combattenti prodigio, progenie di principi guerrieri… Il saiyan si esibisce in un sorrisetto autocompiaciuto subito prima di corrugare un sopracciglio quando il conteggio del dispositivo si ferma, dopo una manciata scarsa di secondi, a 22. Appena a 22.
Sta per strapparselo di dosso - dopo anni di mancato utilizzo, il gingillo è indubbiamente fallato - quando d’un tratto l’obiettivo si agita al centro del fuoco, Bulma si volta ancora, dandogli le spalle, e il valore schizza in alto con un picco di curva rilevato di 1230.
Il saiyan ora sì che rilascia un sospiro. Si spinge a ridacchiare, perfino: è tutto nella norma, se non di più. Stira le labbra in un ghigno, dandosi una metaforica pacca sulla spalla. Ben fatto, vecchio lupo.
Si avvicina alla perfetta rotondità del ventre avvolto dalla coperta e di cui lo scouter coglie tutti i segreti. Nella penombra privata della stanza, si permette di sussurrare dolcezze per cui, se ci fosse qualcun altro in ascolto oltre alla diretta interessata, si farebbe scarnificare vivo. «Ti chiamerò Eschalot.»
Buon sangue non mente mai.
Ma non passa un secondo che il principe dei saiyan vorrebbe rimangiarsi il pensiero, disintegrare lo scouter e, soprattutto, massacrare di botte lui.
«CONGRATULAZIONI, VEGETAAA!»
La voce gli trapana il timpano destro in uno sfrigolio di circuiti. Si scava la strada fino al centro nevralgico del cervello, dove rintrona in onde concentriche che provocano a Vegeta fitte di dolore da liquefargli la faccia e arricciargli le punte dei capelli.
Chiude gli occhi lacrimanti e si preme le dita sulla tempia offesa per massaggiarla, prima di riaprirli - oh, cazzo - su una Bulma che si sta sfregando il torpore dal viso con aria confusa.
«Che… che è stato?» biascica lei, schermandosi la bocca con una mano per coprire uno sbadiglio. «E...» Lo fissa, una scintilla cosciente che si accende negli occhi assonnati nello stesso istante in cui una delle sue mani si allunga sull'interruttore della abat-jour, illuminando il colpevole in flagranza di reato. «Cosa diamine stai facendo?!»
Nello scouter che puzza di bruciato, Tarble borbotta un “Uh oh” e pigola una rapida scusa prima di chiudere la sua estremità del canale di comunicazione e dileguarsi con la coda tra le gambe come la scimmia vigliacca che è sempre stata.
Maledetto! Come ha potuto dimenticare che questi aggeggi infernali possono trasmettersi dati dagli antipodi dell’universo?!
Non servirà a nulla imbastire scuse. Vegeta sa di essere al di là di qualsiasi tentativo di riconciliazione, perché la donna è dannatamente intelligente e non approva certi test prenatali e non c’è difesa che tenga di fronte all’attacco micidiale che sta per arrivare in sua direzione.
«Niente, niente!» esclama, ma non riesce a fermare il calore che gli risale le guance e i palmi aperti che solleva davanti alla faccia, più che un appello alla clemenza, sono un invito a farseli sbranare dall’entità in vestaglia acquamarina che dall’altro lato del letto lo tiene nel mirino con due siluri scintillanti al posto degli occhi. Solo a questo punto Vegeta prende nota di avere ancora quel dannato affare appeso alla tempia, a smentire le sue parole.
Lo scouter finisce nel cassetto a una velocità inversamente proporzionale a quella con cui lo ha recuperato e agganciato all’orecchio. L’acqua sta ancora vibrando nel bicchiere sul comodino quando Vegeta sotterra l’imbarazzo di essere stato sgamato sotto a tre strati di coperte e si risolve a dare a lei la schiena perché teme quello che giungerà a breve e la morte, stasera, a dispetto della sua natura impavida di saiyan, non ha proprio intenzione di continuare a guardarla in faccia.
E la morte parla e ha la voce di sua moglie.
«Tu… stavi… forse... misurando il ki di nostra figlia?»
Quando sente qualcosa stringergli la spalla scoperta, Vegeta non sa dire se siano delicate dita di donna o artigli adunchi di rapace.

***

Millecinquecentotrentuno. Millecinquecentotrentadue. Millecinquecentotrenta...
«Vegeta, vieni fuori. Subito.»
Vegeta interrompe l’ennesima serie di flessioni e si rialza da terra con un grugnito, asciugandosi la fronte su un avambraccio. Il volto di Bulma, ingigantito di dieci volte sullo schermo dell’interfono della camera gravitazionale, è cento volte più sinistro e, dopo il terremoto forza nove di ieri notte, con epicentro al terzo piano della Capsule Corp, mille volte più persuasivo.
«Arrivo.»
La raggiunge in giardino. Il primo dettaglio che coglie, prima ancora del vento che gli asciuga il sudore dalla pelle (e che è da imputarsi all’allenamento solo in parte, ma lui stamattina non ammetterà mai di avere particolare soggezione della moglie), è il furgoncino bianco parcheggiato in strada e che getta ombra sul cancello d’entrata della proprietà.
Un furgoncino bianco con il portellone posteriore spalancato da cui salta giù un individuo bassotto e sgraziato, dalla pelle color chewing-gum e dagli inquietanti capezzoli sporgenti sotto a un’attillata tutina verde pistacchio. Il testone di Monaka è nascosto dietro a un pacco enorme che lui regge su braccini scossi da spasmi e che gli piega le ginocchia tremolanti mentre copre incerto la distanza fino al vialetto.
Di pacchi così ce ne sono già a decine sull’erba, constata Vegeta mentre si guarda attorno disorientato. Ne afferra uno, lo solleva, lo scuote. Tintinnio di vetro. Un altro pacco, più leggero, si produce in un fruscio di carta. Su entrambi, su tutti, è stata appiccicata un’etichetta a suo nome: Vegeta, Capsule Corp, Città dell’Ovest, Pianeta Terra, Sistema Solare, Via Lattea, Gruppo Locale, Superammasso della Vergine.
«Spiègati» gli intima Bulma, il corpo ritto come un fuso e due braccia conserte sul petto.
Vegeta ingoia a vuoto. «Io non...»
Quando vede Monaka tendergli una lettera, quasi gliela strappa di mano dall’urgenza di aprirla. All’interno c’è solo un bigliettino. Registra un'infamante macchia rossa, prima ancora del nome.

Per Eschalot
T & G
P.S. Il segreto del tuo cuore tenero è al sicuro con noi! ❤️


Pappe. Pannolini. Biberon. Babbucce. Un passeggino smontabile a levitazione magnetica di evidente manifattura extraterrestre. E poi giochi, per Trunks che è già qui e per lei che è previsto che arrivi fra un paio di settimane.
Vegeta non sa se sentirsi mortificato - dannazione, ha sentito tutto! - o soffocato da quella manifestazione di sentito e sgradito affetto. Nell’aprire l’ennesimo colle gli è sfuggito il bigliettino di mano, bigliettino che ora Bulma stringe fra le dita affusolate. «Cuore tenero
Vegeta si ghiaccia nell’atto di sollevare un pacco per portarlo dentro casa. «Non so di cosa stia parlando» risponde, senza guardarla negli occhi. Tra sé e sé, pensa che prima o poi farà una capatina da Tarble per ringraziarlo e pestarlo, rigorosamente in quest’ordine. Prima il dovere, poi il piacere.
«Ha a che fare con ieri sera, vero?»
Si decide a guardarla, ora, lungo il corridoio dove lei l’ha seguito. Ha assottigliato gli occhi, ma sorride a un angolo della bocca e con una mano si accarezza la stoffa della maglietta di cotone che le copre il ventre prominente. Non potrà sapere (né lui glielo permetterà mai), ma con la sua testolina affilata può benissimo raccogliere gli indizi già per strada e intuire cosa possa essere accaduto, perché lei è l'unica a cui abbia permesso di vedere oltre l'armatura. E lei gli si avvicina quel che basta perché la pancia lo sfiori.
«Insegnale la perseveranza dei saiyan, se lei vorrà» gli dice, sorprendendolo, prima però di alzare un dito ammonitore. «Ma se pensi che ti dia carta bianca per il nome, caro mio, ti sbagli di grosso!»

~fin~



Angolino d’autrice:
Bulma sta già correndo all'anagrafe.

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Capitolo 9
*** Parassita nero ***


Colore: giallo (per turpiloquio).
Note: nessuna.

Parassita nero

«Scratch, no! Giù da lì!»
All'improvvisa esclamazione di Bulma, Beerus contempla le pupille verticali della pelosa creatura che gli è appena balzata sulle ginocchia: occhioni gialli incastonati in un musino tutto nero, un tartufo dello stesso colore che sovrasta le curve armoniche della bocca e lunghe vibrisse che oscillano di curiosità.
«Ciao, micetto!» Lo saluta, mentre la sua mano già affonda a massaggiare il vello morbido sulla schiena dell'animale.
Bulma siede sull’orlo del divano dal lato opposto del salotto con la stessa tensione muscolare di un velocista ai blocchi di partenza e punta il dio con occhi che son grandi come i piattini del servizio da tè sul tavolino di vetro in mezzo alla sala. Dal numero di bocche aperte e forchette che all'improvviso si sono arrestate a mezz'aria, non è l'unica coi nervi in allerta calamità.
Beerus, al centro del mirino, non condividendo il senso di minaccia che d'un tratto ha permeato la stanza, gira uno sguardo disorientato attorno ai commensali ammutoliti: «È solo un gatto!» dice.
Un gatto che, fra l’altro, rileva sotto ai polpastrelli, soffre di scapole sottili come fogli di giornale. Una leggera, leggerissima pressione delle dita e potrebbe spezzarle come quei biscotti secchi che ha intinto poco fa nel tè. Una divinità degna di definirsi tale non si farà incutere paura da un animale così delicato, soffice e assolutamente inoffensivo.
Tenero micio micio micio micio!

***

A suo marito stilla una goccia di sudore dalla fronte.
Bulma guarda il gatto, poi guarda Beerus, poi riguarda Vegeta. C'è una bomba, nella sala, e nessuno che si alzi per neutralizzarla.
Quella stoffa azzurra sembra così fragile e sottilina, come carta di giornale.

***

Vegeta osserva quell'immonda bestiaccia compiere un mezzo giro su se stessa in precario equilibrio sulle gambe rachitiche del dio, alla ricerca di cuscinetti di grasso inesistenti su cui acciambellarsi.
Mentre Beerus seguita a massaggiargli il pelo sulla schiena con languide carezze della mano, il mostriciattolo si scioglie alle premure e attacca una sinfonia di fusa assordante nel silenzio attonito della sala. Compie altre tre giravolte prima di decidere, in quella sua testolina dissennata, che sì, un letto di tiepide fibre muscolari può servire da valida alternativa a un cuscino di stoffa. Dunque, armato di tutta l'arroganza felina di questo mondo, concretizza l'incubo che da un minuto a questa parte ha paralizzato gli arti di tutte le persone riunite in salotto: alza una zampina, poi l'abbassa per sollevare l'altra, e comincia subito a impastare di buona lena per ricavarsi una cuccia sfoderando artigli più affilati di un bisturi.
La bomba perde la sicura.

***

«Iiiiih!»
Beerus sussulta mentre lancia uno strillo da soprano. Il suo sistema nervoso fa appena in tempo a inviare al cervello una nota di acuto dolore, acutissimo dolore proveniente dai quadricipiti femorali, prima che Bulma scatti dal divano e accorra per strappargli di dosso la creatura che gli ha appena perforato la carne delle gambe.

***

Scratch si sente tirare. Scratch non vuole. Scratch si impunta. Scratch si aggrappa.

***

«AAAH!» Beerus emette un altro urlo belluino.
Ora, come il caro lettore forse saprà, esistono due tipi di dolore.
Per quanto il dio sia rimasto sorpreso dall'efficienza con cui il gatto gli ha trapassato la pelle ispessita da migliaia di combattimenti, deve ammettere di aver rimediato ferite ben peggiori di un puntino rosso in campo viola. Beerus, però, divinità misantropa che per secoli ha condotto un'esistenza schiva e solitaria, avvicinandosi alle civiltà più evolute solo per ridurle in cumuli di cenere, non vanta la stessa immunità all'altro tipo di dolore che affligge gli esseri viventi dei dodici universi, quello proprio, ossia, dei fenomeni mentali, delle emozioni che di fisico non hanno nulla ma che spesso infondono il potere di smuovere montagne e scavare crateri.
È questo tipo di dolore tutto psicologico che adesso gli lacera il cuore in due, la risposta spirituale allo squarcio, ben più concreto, che l'animale, ribellatosi a Bulma e ancoratosi con le unghie al suo divin cuscino, gli ha appena aperto nel tessuto dei suoi pantaloni preferiti.

***

E Bulma rimane lì, immobile, col gatto che penzola per le ascelle e le si allunga tra le mani, a specchiarsi negli sguardi sgranati di tutti e a chiedersi cosa sarebbe successo se Rafiki avesse gettato Simba dalla rupe. La ringhiera del terrazzo non è lontana, si dice, e papà può sempre accontentarsi di un peluche.
Poi Beerus si alza dalla poltrona con lentezza solenne. Stringe gli occhi, valuta lo scempio sulla coscia. «Questo gatto mi ha fatto arrabbiare» sentenzia.
La bomba esplode. Da lì in poi, tocca al duo saiyan contenere i danni strutturali all'edificio.

***

«Mrrraoh!»
Due settimane più tardi, Vegeta, grondante acqua, si sta avvolgendo un asciugamano attorno alla vita davanti alla toeletta del bagno quando sente il gatto strusciarglisi contro la pelle bagnata della caviglia. Lo scosta sgarbato col piede, spingendolo verso la porta socchiusa.
«Come sei entrato? Pussa via, parassita!»
Serra la porta a chiave dopo aver silurato la bestiaccia dal territorio privato del bagno, ma nel farlo l'asciugamano si snoda e scivola per terra. Vegeta si china a raccoglierlo con un grugnito, allunga una mano verso il mucchio di stoffa. Qui si blocca, attratto da un elemento insolito che risalta contro le mattonelle bianche del pavimento su cui il gatto è appena transitato.

***

Bulma, alle prese con un bullone capriccioso che non vuole saperne di svitarsi, viene messa in allarme quando dei tonfi sordi di provenienza non identificata fan piovere polvere di calcinacci dal soffitto del laboratorio e scuotono le fondamenta della Capsule Corporation già provate dallo scontro di due sabati prima. Molla tutti gli attrezzi e si precipita al piano di sopra.
Cercando la fonte del rumore, si imbatte in Trunks che corre in preda al panico nel corridoio che collega la camera gravitazionale al bagno personale di Vegeta. Lo interpella, a voce alta per contrastare i colpi: «Trunks, che succede?».
Lui agita le braccia, ha lo sguardo spiritato. «Mamma, papà è impazzito, sta uccidendo il gatto!»
«CHE COSA?!»
Il figlio gesticola e mima col piede l'atto di schiacciare qualcosa. «Ho visto Scratch infilarsi nel bagno poco fa, credo che lo stia pestando sul pavimento, così
Bulma lo fissa con tanto d'occhi. No, non ci voglio credere.
«Perché a ogni colpo sbraita, "Muori! Muori!".»

***

«Crepa, disgustosa bestia!»
TUM TUM TUM.
Bulma attende Vegeta appostata fuori dalla porta del bagno incriminato con una padella stretta fra le mani e una scintilla omicida negli occhi mentre ascolta lo svolgersi del vergognoso delitto oltre il battente chiuso. Quanto ancora vuole infierire sulle spoglie di quel povero animale? Fottuto bastardo senza cuore! Scratch non aveva colpe, come ha osato vendicarsi su una creatura innocente vittima del caratteraccio scostante di una divinità spelacchiata?!
(La donna finge di non ricordare che lei, quella sera, è stata la prima a desiderare il gatto morto e spappolato in giardino a seguito di una caduta non accidentale dalla terrazza del terzo piano. Istinto violento che al momento preferisce disconoscere.)
Scratch, amato Scratch. Il solco della tua anima rimarrà per sempre nei nostri cuori e il tuo pelo nero e soffice per sempre sui nostri vestiti.
Scratch era innocente. Scratch…
«Mrrraoh!»
Bulma abbassa lo sguardo sulla palla nera che le è appena sfilata accanto nel corridoio e che ora si sta grattando con insistenza dietro l'orecchio con la zampina posteriore.
Scratch è vivo.
In quella, mentre la materia grigia di Bulma sta smaltendo il sollievo e metabolizzando la presenza del gatto fuori dal bagno in cui Vegeta si è trincerato e sta combinando, a questo punto, non si sa bene cosa, la chiave gira nella serratura, la porta si apre e il marito, ignaro delle maledizioni e delle accuse di assassinio di cui è stato appena fatto oggetto, esce in perfetta tenuta adamitica tenendo un palmo sollevato verso l'alto.
Bulma lo squadra con un'occhiata integrale, senza salivare come suo solito perché lo sconcerto le ha seccato la bocca: pettorali ansanti, capelli scarmigliati, sudore sulle tempie. Sembra appena uscito perdente da uno scontro con la vasca da bagno, e sulle mattonelle di ceramica alle sue spalle si intravedono diverse crepe come fili di ragnatela là dove ha percosso il pavimento coi talloni.
«Perché giri nudo?» gli chiede, tra altre mille domande con cui desidera bersagliarlo.
Lui rilancia, nella pausa tra un respiro mozzo e l'altro: «Ho caldo. Tu perché brandisci una padella?».
«Pensavo avessi ammazzato il gatto, deficiente!»
Vegeta la scruta in modo strano, per diversi secondi, con occhi neri e serissimi. «È quello che dovremmo fare» dice, timbro cupo e gutturale da predatore assetato di sangue. Non ha reagito all'epiteto gratuito, quindi significa che le sue priorità sono davvero altrove.
«Di che parli? Cosa intendi?» chiede lei, sempre più confusa. Non ha ancora mollato la presa sulla padella.
«Abbiamo un problema, Bulma.»
È solo a questo punto che Vegeta le si avvicina. Bulma, padella ancora alta di fianco alla testa, deve compiere uno sforzo immane per stornare l'attenzione dai muscoli scolpiti dell'addome del saiyan e mettere a fuoco invece il granello di polvere al centro della mano che le porge palmo in su davanti al viso.
E il granello di polvere, all'improvviso, si anima e le balza sul naso.

***

Nel santuario ai limiti della stratosfera, quel guardone di Karin viene percorso da un brivido e si gratta la schiena per solidarietà felina.
Dobbiamo viaggiare per un fantastiliardo di chilometri nello spazio siderale del cosmo, però, fino agli antipodi del settimo universo, per assistere alla scena di un grosso gatto dal pelo viola che si contorce e si morde una zampa a più riprese sbavando saliva come un animale rabbioso.
«Lord Beerus, d'accordo che sono due settimane che non facciamo visita alla Terra e abbiamo esaurito le scorte di ramen più di dieci giorni fa, ma insomma, mantenga un minimo di contegno, sopporti i vizi di gola in silenzio senza cannibalizzarsi!»
Ma quello continua l'opera di autolesionismo, ignorando il biasimo del suo angelo custode: dà l'assalto a un polpaccio, si graffia una spalla, azzanna il dorso di una mano e, dopo aver esagerato con la pressione del morso, conforta la pelle leccandosi la ferita. Subito dopo, colto da un pizzicotto sul fianco, si straccia la tunica dalla disperazione.
«Cos'è 'sta stregoneria?!» grida e si lamenta, rivolto ai pianeti nel cielo.
E la risposta giunge, trascendendo le leggi della fisica che impediscono al suono di propagarsi nel vuoto, con il timbro acuto di una voce femminile molto, molto familiare.
UNA PUUULCEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!

***

In un laboratorio sotterraneo, un vecchio azzimato con i baffi spioventi e una sigaretta alla bocca si gratta una tempia e ridacchia imbarazzato.
«Ops, questo mese mi sono dimenticato di mettergli l'antiparassitario...»

~fin~



Angolino d’autrice:
È impossibile uccidere una pulce per schiacciamento.
Abbozzata a fine 2020. Riesco a terminarla solo ora, e non perché prima mi mancasse l'ispirazione. Dedicata al mio nero pulcioso che ha attraversato il ponte a febbraio 2021.

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