Sympathy for the Devil di Baldr (/viewuser.php?uid=343232)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una nuova trama ***
Capitolo 2: *** Bollocks ***
Capitolo 3: *** L'ultimo pisolino ***
Capitolo 4: *** Pensavo fossimo amici ***
Capitolo 5: *** Che pessimo nome ***
Capitolo 6: *** Forse so a chi chiedere aiuto ***
Capitolo 7: *** Botte da orbi e qualche ala lussata ***
Capitolo 8: *** Non ne vedrai l'ora ***
Capitolo 9: *** Al diavolo tutto ***
Capitolo 10: *** Quel muro di sarcasmo e ironia ***
Capitolo 11: *** Tutti assieme appassionatamente ***
Capitolo 12: *** Padre è un manipolatore ***
Capitolo 13: *** Che Michael se lo porti! ***
Capitolo 14: *** Un gatto infuriato ***
Capitolo 15: *** Troppi -el in famiglia ***
Capitolo 16: *** Lo rimarrà per sempre ***
Capitolo 17: *** Il tuo sarà un regno solitario ***
Capitolo 18: *** Sei licenziata ***
Capitolo 1 *** Una nuova trama ***
Odore di cipolle, caffè e sudore.
Decisamente rivoltante. Come facevano gli umani a essere così disgustosi?
Una ragazza in short elasticizzati neri e top color verde mela gli passò di fianco, lanciandogli uno sguardo divertito e interessato, ma proseguì, accarezzandosi uno degli auricolari delle cuffie.
Lo sguardo di quella giovane non fu l'unico divertito che gli venne rivolto.
Michael non impiegò molto a comprendere che era il suo outfit a suscitare quell'ilarità. Era una giornata soleggiata, calda e la spiaggia si stendeva per diverse decine di metri oltre la pista di cemento dove l'angelo si trovava. Un chiosco poco più avanti vendeva hot-dog e, una cinquantina di metri più in là, un cafè ospitava diversi tavoli sulla veranda che si affacciava sulla spiaggia di Manhattan.
Non era la prima volta che scendeva sulla Terra, ma non era mai stato così vicino agli umani. Cosa poteva mai trovarci quell'egoista di suo fratello in quelle scimmie nude?
Samael era tornato all'Inferno volontariamente. Già che quella cosa fosse avvenuta rasentava il ridicolo, ma che lui avesse responsabilmente accettato di farlo per proteggere gli umani era inconcepibile.
Si umettò le labbra, sentendo su di esse il sapore della salsedine portata dalla brezza.
Lucifer aveva ucciso Uriel e nessuno, nemmeno Uriel stesso, aveva previsto quel gesto. Suo fratello Uriel aveva lasciato i cancelli d'argento per scendere sulla Terra e riportare loro Madre all'Inferno. Per farlo, Michael sapeva che aveva minacciato Lucifer di annullare l'accordo che aveva stretto con loro Padre. Aveva impiegato diverso tempo, ma Michael, a differenza del suo egoista gemello, era attento ai dettagli, e aveva capito qual era l'accordo che Samael aveva stretto con Papà.
Fare il bravo in cambio della protezione di Chloe Decker.
Una mortale creata 37 anni prima da Papà per essere immune al fascino sovrannaturale del gemello. Non andava per nulla bene. I risvolti di quel miracolo erano molteplici.
Chloe era stata creata per manipolare Lucifer? Per farlo arrabbiare? Per trastullarlo? Indebolirlo? O per farlo cambiare, farlo maturare e farlo diventare... migliore?
Michael strinse i pugni, poi si incamminò lungo la pista che costeggiava la spiaggia.
Il suo gemello era un egoista, un idiota pieno di sé. Forse poteva ingannare gli altri, poteva ingannare loro Padre, poteva ingannare anche se stesso, ma non avrebbe mai ingannato lui. No, loro erano due facce della stessa medaglia, condividevano la stessa scintilla.
Lui sapeva bene qual era l'intima natura del gemello, era troppo egoista per sacrificarsi. Lucifer era convinto di essere diventato un bravo figlio, ma lui lo avrebbe costretto a gettar la maschera e aprire gli occhi.
Una semplice umana, per quanto creata da loro Padre, restava comunque un'umana.
Se qualcuno avesse seguito le movenze dell'angelo in forma umana, lo avrebbe visto scomparire dietro il tronco di una palma e null'altro. Dove un normale umano sarebbe passato dietro quell'ostacolo tra lui e l'osservatore, scomparendo per un breve istante, prima di riapparire e proseguire lungo il marciapiede, lui scomparì. Non letteralmente, semplicemente aveva spiegato le sue ali ed era volato via, lontano dalla spiaggia.
Agitando le poderose ali si librò sopra la città degli angeli, sorvolò le villette che lasciarono spazio ai palazzi del downtown, individuò il grattacielo che ospitava il Lux e quella che un tempo fu la dimora del suo diabolico fratello.
Si assicurò che non ci fosse nessuno e atterrò sul terrazzo, guardandosi attorno con fastidio.
Lucifer era appena tornato all'Inferno, il che voleva dire che Amenadiel, Maze e i mortali che avevano ronzato attorno al gemello, dovevano essere in una sorta di lutto da separazione. Non lo avrebbero disturbato mentre lui iniziava ad attuare il suo piano.
Era una nuova trama per lui, qualcosa di insolito, che lo avrebbe costretto ad avvicinarsi molto ai mortali. L'anima di Charlotte Richards l'aveva scambiato, seppur per poco, per Lucifer. Con un poco di preparazione ed esercizio, sarebbe riuscito a imitare l'insulso accento del gemello. Avrebbe dovuto lavorare parecchio sulla postura. Con una smorfia di dolore abbassò la spalla destra ed entrò nell'attico, raggiungendo il fornitissimo bar. Le sue iridi scure scivolarono sulle varie bottiglie e, alla fine, l'angelo afferrò con la mano sinistra una bottiglia di gin, limpido e trasparente. Ne versò due dita in un bicchiere, quindi lo afferrò con la mano sinistra e bevve.
Il sapore dell'alcolico era ben più forte che quello che girava in Paradiso. L'angelo mosse la lingua, spostando le bevanda nella bocca, prima di deglutirlo e schioccare la lingua contro al palato. Rimise la bottiglia sul ripiano, quindi si guardò attorno.
«Hello there» ringhiò, cercando di imitare l'accento britannico che contraddistingueva il gemello. Fece una smorfia e scosse il capo. «Dovrò lavorarci parecchio...» si disse, schiudendo le ali, abbandonando l'attico.
Passò il resto della giornata nella sala di controllo del Lux. Come tutti i locali, vi erano telecamere che riprendevano il locale 24/7. Su quelle riprese avrebbe potuto studiare le movenze del suo gemello, mescolato ai mortali.
Dopo due anni di vuoto assoluto, ritorno con una nuova long. La finirò? Non ne ho idea, ma questo Diavolo ha già fatto il miracolo di farmi tornare su EFP, quindi chissà.
Grazie a tutti i lettori.
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Daniela
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Capitolo 2 *** Bollocks ***
Kamar
L'eco dei suoi
passi rimbombava sulle colonne di basalto che si sollevavano
in pilastri esagonali, protendendosi verso il cielo plumbeo.
La cenere scendeva simile a neve e si posava a terra con
delicatezza. Non si scioglieva, ma si riduceva in polvere e
talvolta il vento spazzava i corridoi, sollevando nubi grigio
chiaro, ammucchiando la cenere negli anfratti delle rocce.
Lucifer sollevò lo sguardo verso il cielo cupo. Sospirò,
sforzandosi di non ricordare, per quanto gli fosse impossibile
non farlo.
Una folata alle sue spalle lo avvisò dell'arrivo della sua
nuova segretaria, Ravekeen.
«Mio Signore» esordì la demone, dopo aver ripreso forma umana.
La sua pelle era color caramello con ipnotici occhi blu,
incorniciati da una criniera leonina, riccia, color nocciola.
«Non mi dire...» esordì Lucifer, «il nostro caro amico chiede
ancora di me?» domandò, volgendosi in parte verso di lei, le
mani nelle tasche del completo nero.
Lei aveva il ginocchio destro a terra e teneva lo sguardo
basso e remissivo. «Sì, mio Re.»
Lucifer sospirò, lo sguardo spento, sconfitto. «E sia...»
Cercò di infilare
la spatola di ferro arrugginito sotto la palpebra dell'occhio
destro di quell'anima dannata, ma per quanta forza
esercitasse, quell'occhio non voleva saperne di schizzare
fuori dall'orbita.
Urlò frustrato, fece un passo indietro e scagliò a terra
l'attrezzo, che tintinnò sul pavimento della cella infernale.
«Dannazione! Voglio cavare un occhio! Belios, ti prego, almeno
uno, fammene strappare solo uno!» supplicò affranto Dromos.
Aveva ancora le sembianze di Padre Kinley, Lord Lucifer gli
aveva proibito di riprendere il suo vero aspetto.
Belios non rispose, il demone aveva assunto le sembianze di
una graziosa ragazza. Sbatacchiò le lunghe ciglia,
solleticando la malvagia ossessione che Dromos nutriva per far
schizzare gli occhi delle anime condannate all'Inferno.
La folata di vento, che annunciò l'arrivo del loro Re, fece
però defilare il carceriere.
Dromos rimase solo, nelle tenebre spezzate solo dal cono di
luce che scendeva dall'alto del soffitto. Nella penombra,
impeccabile come sempre, alto, elegante, Lucifer avanzò,
sistemandosi il gemello del polso destro.
L'anello al dito medio catturò per un istante la luce, che
sembrò quasi venir divorata dalla pietra nera incastonata sul
gioiello.
Dromos si inginocchiò, si prostrò in avanti, sfiorando con la
fronte il pavimento, poi raddrizzò il busto, cercando lo
sguardo di Lucifer.
«Mio Re... ho imparato la lezione, ti prego! Sei tu il mio
unico e solo Re, ti servirò lealmente da qui all'eternità!»
giurò supplicante.
Lucifer affondò la mano sinistra nella tasca, mentre con la
destra spazzò via un poco di polvere dal gilet nero che gli
fasciava il torso. Arricciò le labbra. «Prenderò nota delle
tue parole e più avanti valuterò cosa farne di te, Dromos»
disse, sfoggiando poi un sorriso freddo.
Il demone scosse il capo, la speranza sul suo viso si era
tramutata in paura. «No, mio Signore! Ti prego, ho imparato,
ti prego, liberami, rimettimi al lavoro! Stare qui è...»
«Un tormento?» chiese Lucifer, accovacciandosi davanti a lui,
spostando il capo da sinistra verso destra, assumendo
un'espressione divertita. «Sono ormai diversi secoli che ti ho
rinchiuso qui dentro... E ancora speri che ti liberi? Non lo
hai capito, Dromos? Questa è la tua punizione e lo sarà per
l'eternità» sibilò atono.
Il demone distese una mano tremante verso quella del suo
signore, ma Lucifer lo gelò con lo sguardo. «No, ti prego,
Lucifer...» pigolò affranto.
«Cosa? Cosa vuoi chiedermi, Dromos? Pietà? È questo che
davvero desideri?»
Dromos schiuse le labbra, gli occhi umidi di pianto. «Morire.»
Lucifer si alzò in piedi, sorridendo. «Morire sarebbe una
liberazione, Dromos, sai bene che non posso accontentarti. E
poi, non eri tu quello che sosteneva che l'Inferno non stava
andando bene? Guarda invece ora, come i dannati si disperano,
grazie al mio ritorno! Goditi l'Inferno che hai ottenuto»
disse con un sorriso tagliente sulle labbra, mentre una
sinistra luce infernale baluginò nel suo sguardo.
Il Re dell'Inferno si volse e si allontanò, lasciando Dromos
in compagnia dei suoi demoni.
Squee e quasi un centinaio di altri demoni che avevano
partecipato alla ribellione erano già stati liberati, ma
Dromos, no, Lucifer non aveva ancora finito con lui.
Non lasciarmi,
io ti amo!
Aprì gli occhi,
inspirando a fondo, reclinò il capo sino a incontrare il
freddo schienale di pietra del suo trono, che era in fondo
l'unico sollievo in quel luogo dalle temperature torride.
Tornò a serrar le palpebre, sperando che quel peso all'altezza
dello sterno lo abbandonasse. Le iridi si fissarono sulle
turbolenti nubi grigio scuro che vorticavano in lontinanza.
Avrebbe voluto prendersi la testa tra le mani, urlare e
piangere.
Invece era impassibile e lo sarebbe sempre stato. I sentimenti
erano un lusso che all'Inferno non poteva permettersi.
Lui era Lucifer Morningstar, il Principe delle Tenebre, il
Signore di Tutte le Menzogne e avrebbe continuato a mentire a
se stesso. Lo aveva fatto per un'esistenza intera senza
accorgersene, ora almeno ne era consapevole e mentire a se
stesso era un atto dovuto, un atto necessario. Non doveva
pensare a lei. Non avrebbe più potuto vederla. Avrebbe passato
i millenni all'Inferno, prima che lei morisse e la sua anima
sarebbe sicuramente volata alla Città d'Argento, dove lui non
poteva andare. Non l'avrebbe più rivista.
Quella consapevolezza era più devastante che l'aver ucciso
ripetutamente suo fratello Uriel durante la sua precedente
visita in quel luogo di dannazione.
Abbassò lo sguardo e aggrottò la fronte. Le sue dita si
muovevano sui braccioli del trono, come se stesse suonando una
melodia sul suo pianoforte. Un sorriso nostalgico gli increspò
le labbra, sinché non si rese conto che stava stupidamente
eseguendo Heart and Soul.
Strinse le dita con forza sui braccioli, tanto che il basalto
si incrinò, ma il rumore più sordo fu quello che
metaforicamente avvertì dentro al proprio petto.
Ho studiato
musica per tre anni e questo è tutto quello che ricordo.
Lui
non
doveva ricordare!
Digrignò i denti, cambiando posizione sullo scranno.
«Ravekeen!»
Un corvo nero con occhi azzurri come zaffiri arrivò sbattendo
le ali e si posò sull'alto schienale, quasi mezzo metro sopra
la spalla di Lucifer.
«Abbiamo qualche anima interessante? È successo qualcosa di
diverso dal solito? Qualche idiota sta cercando di fuggire?
Dimmi che sta succedendo qualcosa di interessante!» ringhiò
con livore.
«Nulla di interessante, Mylord, sono desolata» rispose il
pennuto con gracchiante voce femminile, planando sul suo
braccio.
«Fucking bollocks» imprecò Lucifer a fil di labbra. Restò a
bocca aperta qualche istante e spostò lo sguardo sul corvo.
«Edwin. Abbiamo un'anima di un certo Edwin, zio della
dottoressa Linda Martin di Beverly Hills?»
Il corvo si pulì il becco sulla manica dell'uomo. «Se è qua,
la troverò!» assicurò, prima di allontanarsi con un frullo
d'ali.
«Fottuti
ragazzini!
Fuori dalla mia proprietà!»
Il boato del fucile preannunciò di una frazione di secondo la
selva di pallini che si abbatté sul terreno, mentre le urla di
bambini e ragazzini si allontanavano veloci.
L'uomo indossava un magliocino color vinaccia con lo scollo a
V e pantaloni di lino color crema, caricò il fucile e si voltò
tornando in casa.
«Anche io detesto i bambini» commentò un intruso dai capelli
mori, ben curati, con un elegante completo di alta sartoria e
dall'accento inglese. Aveva in mano un bicchiere di scotch e
lo sorseggiava con noncuranza, in piedi vicino al mobile bar.
Il padrone di casa imbracciò il fucile e glielo puntò contro.
«Chi diavolo sei? Che ci fai in casa mia?» domandò più
incredulo che spaventato o arrabbiato.
Lo sconosciuto bevve un sorso di liquore e sorrise. «Be', ci
sei già arrivato da solo, no? Io sono il Diavolo.»
L'uomo sorrise beffardo. «Certo, come no. Fuori da casa mia!»
«Questa non è casa tua, mio caro, Edwin. Questo è l'Inferno»
rivelò l'altro con un sorriso amaro.
Con fragore, la porta dell'abitazione venne sfondata.
Edwin si girò e premette il grilletto istintivamente,
ritinteggiando la parete dell'ingresso con le cervella
dell'agente di polizia che era appena entrato.
«Oddio...» mormorò Edwin sorpreso, completamente sopraffatto
da quello che aveva appena fatto. Il primo proiettile sparato
dal collega del poliziotto ucciso, lo colpì alla spalla, il
secondo alla gola.
Il sangue sgorgò copioso, era caldo ed Edwin si stupì
dell'odore ferroso che improvvisamente gli impregnò le narici.
Lucifer
versò
due dita di scotch dentro due tumbler bassi, chiuse la
bottiglia lasciandola sul mobile bar, quindi prese i due
bicchieri e si avvicinò al divano, dandone uno al redivivo
Edwin.
L'uomo aveva i capelli di un biondo più scuro rispetto a
quelli di Linda, ma aveva il viso tondo che a Lucifer gliela
ricordava molto.
L'anima prese il bicchiere e bevve un sorso. «Non volevo...
Non volevo uccidere nessuno...»
Lucifer si accomodò sulla poltrona del salotto e accavallò le
gambe. «Però lo hai fatto e il senso di colpa di tormenta da
quando sei arrivato qui» commentò. «Ma ci sono altre cose che
ti tormentano, vero, Edwin? So che vorresti dirmele, per
alleggerirti la coscienza...» disse con voce suadente e lo
sguardo penetrante fisse sull'uomo.
«Vorrei chiedere scusa a mia nipote...» mormorò l'anima, dopo
un attimo di esitazione.
«A Linda?» domandò Lucifer curioso. «L'hai forse mandata a
quel paese per tutte le volte che ti guarda come se si
aspettasse che arrivassi da solo a capire i tuoi problemi?»
Edwin lo guardò perplesso. «La conosci?» domandò, poi sgranò
gli occhi. «È qui anche lei?» chiese preoccupato.
«No, certo che no» rispose Lucifer, bevendo un sorso di
scotch. Assaporò per un poco il liquore trovandolo così poco
consistente rispetto a quello che la Terra poteva offrire.
Lo zio di Linda sorrise sollevato. «Oh, grazie, Dio» mormorò.
Lucifer alzò gli occhi al cielo. «Come se lui c'entrasse
qualcosa...» borbottò sommessamente. «Allora, Edwin, parlami
un poco di te. Magari anche tu, come tua nipote, ti occupi di
psicologia, sei uno psicologo, forse?» domandò curioso. Gli
mancavano le sedute con Linda, gli mancava potersi confidare
con qualcuno che cercasse di consigliarlo per il meglio.
«Psicologo? Io?» chiese l'uomo perplesso, scuotendo il capo.
«No, sono un broker assicurativo» rispose.
Il Diavolo non celò la sua delusione. «Oh...» Aprì e chiuse la
bocca un paio di volte, poi si abbandonò con le spalle allo
schienale e vuotò il bicchiere dal resto del suo contenuto.
«Quindi mi sei inutile...»
Edwin lo guardò qualche istante. «Non credo che qui
all'Inferno abbiate bisogno di assicurazioni sulla vita,
vero?»
Lucifer sorrise amaramente. «No, temo proprio di no.» Inclinò
il busto in avanti, guardando Edwin. «Perché il tuo più grande
tormento e desiderio è chiedere scusa a Linda?»
Io lo ammetto, non avevo mai visto Lucifer sino al 21
agosto. Poi Netflix m'è la sparata in home e, nonostante il
trailer non mi convincesse, l'ho guardata. Divorata.
L'ho
guardata per un po' in italiano, ma poi ho preferito
decisamente la versione inglese, dove il "buon" Lucy
utilizza variopinti insulti in slang che in italiano li
hanno decisamente... ridotti (non per gravità ma per
varietà, visto che hanno ridotto tutti i sinonimi utilizzati
dal diavolo, in un ristretto numero di corrispettivi
italiani).
Fucking Bollocks non è mai stato usato nella serie ma nei
gag reel della quarta stagione.
Per
quanto riguarda Ravekeen, lo so, non è un nome molto
fantasioso. Ma quando hai avuto un non ben identificato
numero di figli e figlie, non credo che manco Lilith c'abbia
perso molto tempo a trovare nomi diversissimi l'uno
dall'altro. Rave è una contrazione di raven, corvo, visto
che lei si tramuta in corvo infernale e keen, beh, se i
maschi hanno nomi che spesso finiscono io "os", le femmine
potranno avere nomi che finiscono in "keen" XD
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Daniela
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Capitolo 3 *** L'ultimo pisolino ***
Kamar
Il
locomotore,
seguito da un paio di vagoni rugginosi, passò lentamente,
sferragliando lungo il binario.
La detective Chloe Decker chiuse la portiera della macchina, dopo
averla lasciata vicino all'auto di pattuglia lungo Richmond
Street e varcò il cancello che conduceva all'area dove la
Union Pacific Railway Company stava costruendo una nuova area
di deposito con nuovi binari di interscambio. Era una giornata
soleggiata, l'ideale per tenere gli occhiali da sole che
nascondevano le profonde occhiaie e gli occhi arrossati dopo
una notte trascorsa a piangere.
La donna aggirò una pila di traverse di legno ammucchiate
ordinatamente, in attesa di essere messe a dimora, prima delle
posa dei nuovi binari, dopo che un'agente le ebbe indicato
dove dirigersi. Vide Ella, intenta a parlare con Daniel.
«Ehi, ragazzi, cosa abbiamo?» chiese Chloe.
«Buongiorno, Chloe» esordì Daniel, per poi aggrottare la
fronte, guardando l'ex moglie.
«Oh, ciao, Chloe. Non aspettiamo Lucifer per i dettagli?»
domandò la scienziata forense.
Sentire quel nome, così poche ore dopo che lui se n'era
andato, fu un colpo al cuore. Forse avrebbe dovuto darsi
malata, ma se fosse rimasta a casa, non avrebbe fatto altro
che piangere senza risolvere nulla.
No, almeno a lavoro poteva rendersi utile.
«Be'... Lucifer è dovuto partire» esordì, inspirando. Aveva
pensato a cosa dire durante quella notte insonne, a una storia
credibile per giustificare la sua sparizione. «È andato in
Florida per gestire l'impresa di famiglia.»
Ella schiuse le labbra e si accigliò. «Oh...» disse
dispiaciuta. «Spero non sia successo nulla di grave...» disse,
andando a sfilare il telefono cellulare dalla tasca. «Non mi
ha nemmeno avvisato... maldido» bofonchiò
sommessamente, rimettendo l'apparecchio nella tasca dei jeans.
«Allora, vi presento Josh Carrey, 26 anni, senzatetto» iniziò
a spiegare Ella, avvicinandosi al corpo riverso a terra,
vicino a uno dei binari.
«Dov'è la testa?» chiese Chloe.
«È lì» rispose Dan, indicando il capo mozzato a terra tra le
due rotaie del binario.
«Josh era solito dormire qui al deposito, ha qualche
precedente per scasso, perché forzava i lucchetti per poter
dormire dentro i vagoni, almeno durante l'inverno. Ha anche un
paio di furti sulle spalle. Sembra che l'ultimo pisolino gli
sia stato fatale: un treno gli è passato sopra, mozzandogli la
testa» raccontò Ella. «La morte è da fissare tra le l'una e le
due di questa notte. Sto ancora cercando di individuare il
convoglio responsabile» spiegò Ella.
«Sul corpo ci sono segni di colluttazione e una delle
telecamere di sorveglianza del cantiere ha ripreso una persona
correre via in fretta e furia. Ho richiesto un controllo delle
telecamere dei dintorni e vedrò se ci sarà qualcosa di utile»
intervenne Dan.
«Quindi Josh ha lottato con qualcuno, perciò questo è
probabilmente un omicidio» mormorò Chloe, portando il pugno
davanti alle labbra. «Abbiamo qualche altro elemento?»
«Ancora no, purtroppo. Dovrò far analizzare il povero Josh,
prima» ammise Ella, per poi guardare Chloe. «Quanto resterà in
Florida? Intendo Lu'»
«Per sempre» rispose la detective. «Chi ha trovato il corpo?»
«Aspetta...» disse Daniel, guardandola stupito.
«Come per sempre?» intervenne la scienziata. «Lucifer non
tornerà più?»
Chloe chiuse gli occhi e inspirò, trovando, non sapeva nemmeno
lei bene dove, la forza per mantenersi distaccata. «Aveva
delle responsabilità a cui non poteva sottrarsi. Ella, chi ha
trovato il cadavere?»
«Oh, scusa...» rispose Ella, chinando il capo, ancora
scioccata da quella notizia. «Marvin O'Neil, è uno degli
operai della Union Pacific incaricato di aprire il cantiere»
aggiunse. «Non mi ha nemmeno salutato...» mormorò incredula,
mentre gli occhi le si inumidirono.
Chloe si incamminò verso l'uomo che Ella le aveva indicato, ma
la mano di Daniel l'afferrò per un braccio.
«Ehi!»
«Dan...» Non aveva voglia di parlarne, non aveva la forza di
affrontare quell'argomento.
«Stai bene?» chiese l'ex, fissandola.
Lei annuì, umettandosi le labbra. «Certo.» Daniel inspirò,
guardandola scettico e Chloe chinò lo sguardo, poi alzò una
mano ad afferrare gli occhiali da sole e li tolse, sollevando
le iridi chiare sul suo volto.
Lui si passò la mano sulle labbra, inspirando rumorosamente.
«Chloe, forse dovresti prenderti il giorno libero...»
Lei scosse energicamente la testa, inforcando nuovamente gli
occhiali. «No, Dan, assolutamente no. Ho bisogno di lavorare.
Non impedirmelo, io ti ho supportato quando Charlotte...»
Abbassò di nuovo lo sguardo, quando vide il lampo di dolore
negli occhi dell'ex marito.
Daniel Espinoza si mise le mani sui fianchi, fissando il
terreno, poi annuì. «D'accordo, ma se hai bisogno di qualsiasi
cosa, sai che puoi contare su di me.»
Chloe sorrise debolmente, gli posò una mano sul braccio e
annuì. «Grazie.»
«Signor
O'Neil,
sono il detective Decker. A che ora è arrivato ad aprire il
cantiere?»
L'uomo era sui quarant'anni, aveva capelli fulvi e una barba
vecchia di un paio di giorni, l'incarnato rivelava che doveva
passare molto tempo all'aria aperta, il volto infatti era
abbronzato e presentava i segni di troppe ore passate sotto al
sole della California. «Erano le cinque, alle sei iniziano ad
arrivare gli operai. Sono arrivato, ho parcheggiato la mia
auto vicino agli uffici» spiegò indicando il prefabbricato a
un'ottantina di metri. «Ho indossato le protezioni e ho
cominciato il giro di perlustrazione. Mando via i senzatetto
che si infilano nel cantiere o nel vicino deposito, prima
dell'arrivo dei ragazzi.»
«Conosceva Josh?»
«Chi?» chiese perplesso.
«La vittima» spiegò la donna.
L'uomo annuì.«Non di nome. Lo avevo già visto, non era la
prima volta che si infilava nel cantiere.»
«Ha mai dato problemi?» domandò Chloe, graffiando con la
grafite della matita il foglio di carta del taccuino.
Marvin esitò, inspirando con una lieve smorfia. «Non più di
tanto, però qualche volta lui o gli altri barboni hanno
spaccato la serratura dei prefabbricati e talvolta è sparito
del materiale» raccontò.
«Ha visto qualcun altro?»
L'uomo annuì. «Sì, ho incrociato Lanny, uno dei due
macchinisti che formano i convogli che erano di turno questa
notte.»
Chloe spostò lo sguardo sui binari del deposito adiacente.
«Come mai il cantiere non è separato dal deposito?»
Marvin si strinse nelle spalle. «Il terreno appartiene tutto
alla Union Pacific, presumo che per loro bastasse proteggere
solo il perimetro.»
La donna annuì. «Conosce i cognomi dei due macchinisti o dove
posso trovarli?»
«Certo!»
Chloe
parcheggiò
lungo West Elmyra Street, all'altezza del Nick's Cafè, un
decadente edificio a un piano, di una decina di metri per
lato, un piccolo parcheggio e una distesa esterna decisamente
contenuta. Era un locale frequentato dai dipendenti della
Pacific Union e Marvin aveva assicurato che Bart Cullen e
Lanny Parker lo frequentavano.
Gli agenti le avevano comunicato che secondo i familiari i due
erano andati al bar, quindi la detective aveva preso l'auto e
si era allontanata, anche per evitare Ella. La ragazza aveva
provato a telefonare a Lucifer e quando aveva scoperto che il
telefono non era raggiungibile si era decisamente arrabbiata,
lasciando andare a una colorita sequenza di espressioni
latinoamericane. Si era risentita dal fatto che Lucifer se ne
fosse andato senza nemmeno salutarla e lei non aveva la forza
per dirle che non avrebbe potuto salutare nessuno. Non poteva
di certo dirle che Lucifer era davvero il Diavolo e che aveva
spiegato le sue candide ali ed era volato via, dritto
all'Inferno, lasciandoli. Lasciandola sola.
Osservò il sedile del passeggero tristemente vuoto, il
silenzio dell'abitacolo le sembrò più assordante che mai e
sentì di nuovo le lacrime pizzicare dietro le palpebre. Sfilò
gli occhiali e si passò il palmo della mano sinistra sugli
occhi, poi afferrò il volante, sforzandosi di non cedere.
Doveva essere forte.
Ma come poteva essere forte, quando parte di quella forza era
volata via?
Indossò gli occhiali, scese dal veicolo e chiuse le portiere
con il telecomando, quindi si diresse lentamente verso il
locale dalle pareti un tempo bianche, ma che ora erano
ingrigite dallo smog. Le iridi si soffermarono un istante sul
nome del locale scritto in caratteri cubitali con la vernice
rossa sulla parete, prima di raggiungere la porta, scivolando
poi all'interno.
Un'attempata cameriera era dietro al bancone, masticando con
poco garbo una gomma da masticare. «Cosa le porto, Ma'am?»
Chloe alzò il distintivo. «LAPD, sto cercando Bart Cullen e
Lanny Parker.»
La donna guardò un tavolo, dove due uomini stavano seguendo la
televisione, godendosi una birra.
«Grazie» rispose Chloe, riagganciando il badge alla cintura e
dirigendosi al tavolo.
«Bart Cullen e Lanny Parker?» domandò nei pressi dei due,
tenendo una mano sulla cintura, in modo che il distintivo
fosse ben visibile.
«Ah, ecco la polizia» commentò quello pelato con i baffi neri
che seguivano la linea del pizzo, senza però unirvisi, sui
trent'anni di età. «Mia moglie mi ha avvisato che mi avete
cercato. Io sono Lanny Parker.»
«E io sono Bart Cullen» disse quello un poco più giovane,
lunghi capelli corvini, non molto puliti, legati a coda di
cavallo, un berretto blu con cucita la Q dei Rancho Cucamonga
Quakes, una squadra di baseball della Minor League. «Prego, si
accomodi, agente.»
«Detective» lo corresse Chloe, prendendo posto. «Volevo farvi
alcune domande in merito alla morte di Josh Carrey.»
Lanny annuì. «Che storiaccia. Morire sotto un treno non lo
auguro a nessuno» commentò con espressione dispiaciuta.
«Lo conoscevate?»
«Certo, si imbucava spesso nel deposito» rispose Bart.
«Lo avete visto ieri notte?»
I due si scambiarono un'occhiata, Bart scosse il capo e Lanny
si rivolse a Chloe. «No, ma non è che era lì tutte le
notti...»
La donna studiò i volti di entrambi per qualche istante.
«Sapete se qualcuno poteva avercela con lui?»
Lanny si strinse nelle spalle. «Ma'am, quello stava sulle
palle alle guardie di sicurezza e ai sovraintendenti, perché
per infilarsi nel deposito faceva saltare i lucchetti o
tagliava la recinzione, ma non è mica il solo senzatetto a
farlo.»
«Ieri notte eravate sullo stesso locomotore?»
«No, detective. Ognuno dei noi ha delle tabelle di marcia
differenti e prepariamo diversi convogli ogni notte» spiegò
Bart.
«A che ora avete staccato?»
«Alle sei» rispose Lanny.
«Attacchiamo a mezzanotte e stacchiamo alle sei» gli fece eco
Bart.
«Non vi siete accorti di nulla?» domandò alternando le iridi
chiare sui volti dei due interlocutori.
«I binari erano sgombri, Ma'am. Se ci fosse stato uno sdraiato
sopra l'avremmo visto» assicurò Bart.
«Non avete sentito nulla?»
«Niente» confermò Lanny.
Chloe spostò lo sguardo su Bart, il quale parve esitare.
L'uomo sorrise timidamente. «Durante il turno tengo le cuffie
e ascolto musica...» ammise imbarazzato. «Se anche ci fossero
stati dei rumori, non avrei sentito nulla...»
«Capisco. Posso avere una copia del vostro programma di
lavoro?»
Bart prese il cellulare dalla tasca della giacca e aprì la
galleria delle immagini. «Eccolo qua, c'è anche quello di
Lanny» spiegò indicando la tabella.
Chloe guardò l'immagine. «Posso?» chiese, prendendo il
telefono che Bart le lasciò. La detective inviò il file al
proprio contatto e rese il telefono all'interlocutore. «Avete
visto qualcuno nel deposito o nel cantiere adiacente durante
il vostro turno?»
«Be' stavo per staccare quando ho incrociato Marvin» rispose
Lanny.
«Già, l'ho visto pure io quando stavo movimentando i container
per il porto, ma era al cantiere, stava controllando
l'escavatore assieme a un tizio, penso un operaio» aggiunse
Bart.
Chloe assottigliò lo sguardo e osservò il programma di lavoro
sul display. «Quali sono i container per il porto?» chiese.
Bart glieli indicò. «Sono i primi in lista... a che ora li ha
preparati?»
«Come sono arrivato. C'ho messo un'oretta a raccoglierli
tutti. Il penultimo era stoccato vicino al cantiere, è stato a
quel punto che ho visto Marvin. L'ho anche salutato mentre
agganciavo il vagone ma non credo se ne sia accorto.»
La donna si umettò le labbra. Prese quindi due biglietti da
visita e li appoggiò sul tavolino. «Se dovesse venirvi in
mente qualcosa, chiamatemi. Grazie per il vostro aiuto.»
Lasciò quindi il locale e raggiunse l'auto.
Mentre saliva, le suonò il cellulare.«Decker.»
«Sono Ella, hanno trovato il vagone, o meglio i vagoni, che
hanno decapitato Josh. Erano agganciati al locomotore 2109
guidato da...»
«Bart Cullen» l'anticipò Chloe.
«Ah, allora già lo sai...»
«Ho appena parlato con i due macchinisti e lui mi sembrava il
più probabile» rispose Chloe. «Hai scoperto altro?»
«Josh aveva subito un brutto trauma alla testa. Probabilmente
era privo di conoscenza quando è stato travolto dal convoglio.
Inoltre sulla scena del delitto ci sono tracce che fanno
pensare che Josh sia stato trascinato al binario, ma qualcuno ha cercato di cancellarle.»
Chloe agganciò la cintura di sicurezza e controllò lo
specchietto retrovisore. «Perfetto. Torno al...» Si ammutolì,
fissando la figura nello specchietto retrovisore.
Si voltò di scatto. «Lucifer!» mormorò scrutando oltre il
lunotto, ma lui non c'era. Eppure era convinta di averlo
visto, anche se era vestito in maniera sciatta rispetto al suo
solito, era sicura fosse lui. Sganciò la cintura e scese
dall'auto, per controllare meglio.
Sentì una voce in lontananza e si rese conto che non aveva
ancora chiuso la comunicazione con Ella. «Sì, scusa, sto
tornando al distretto» mormorò scossa, interrompendo la
telefonata.
Ed ecco che entra in gioco anche Chloe che sgancia la bomba
in merito alla partenza di Lucifer.
Grazie a tutti i lettori.
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Daniela
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Capitolo 4 *** Pensavo fossimo amici ***
Kamar
Chloe
lesse
le informazioni che le interessavano e aprì la porta della
sala per gli interrogatori.
Seduto al tavolo c'era un ragazzo appena maggiorenne, Adam
Kier, senzatetto, arrivato da appena due settimane a Los
Angeles. Dan era risalito a lui grazie alle telecamere di
sorveglianza e, dopo aver ottenuto il mandato, gli agenti
erano riusciti a rintracciarlo mentre cercava di salire su un
autobus diretto in Nevada, dopo aver rubato una borsa e il
documento di viaggio contenuto in essa.
«Perché stavi scappando, Adam» chiese la donna, accomodandosi
sulla sedia, dopo aver lasciato cadere la cartellina chiusa
sul ripiano di metallo del tavolo.
Il ragazzo la guardò spaurito. Doveva aver pianto parecchio
anche lui e sembrava sinceramente spaventato, eppure non emise
fiato.
Chloe aprì la cartella, passò in rassegna i vari fogli in essa
contenuti, quindi estrasse una delle foto del cadavere di
Josh, mettendola sul tavolo di fronte ad Adam, il quale
sbiancò e distolse lo sguardo.
«Sappiamo che eri al deposito, ieri notte, le telecamere ti
hanno ripreso mentre scappavi.»
Il giovane alzò lo sguardo titubante sulla detective, per poi
riportarlo su quella macabra foto. «Non ho fatto... Josh era
mio amico, quando sono arrivato a L.A. non avevo più nulla...
lui mi ha aiutato...» mormorò, con voce tremante, mentre le
lacrime iniziarono a scendere lungo le gote sporche.
«Cos'è successo, Adam? Sei scappato dal deposito, stavi
cercando di lasciare la città. Cos'hai visto?» disse con tono
paziente Chloe.
«Josh mi stava facendo vedere dove dormire. Siamo arrivati al
deposito dei treni e siamo passati sotto la recinzione, poi ci
siamo diretti ai vagoni. Josh diceva che ce n'era uno che non
spostavano ormai da due anni...» iniziò a raccontare,
distogliendo lo sguardo dalla foto.
«Abbiamo tagliato per il cantiere, ma ci siamo fermati, perché
c'erano due uomini che discutevano animatamente. Uno aveva una
pistola e stava rimproverando all'altro di essere in ritardo,
che aveva dovuto recuperare da solo la roba a causa sua...»
«Li hai visti in faccia? Di che roba parlavano?»
Adam annuì. «C'era un faro che illuminava l'area. Quello con
la pistola aveva i capelli rossi, la barba, l'altro era un
uomo... era... forse messicano. A un certo punto, si sono
accorti che c'era qualcuno, hanno nascosto un borsone vicino a
un buldozzer» disse ancora. Si interruppe, fissando senza
vederlo realmente un punto del pavimento. «Non so di cosa ci
fosse nella borsa.»
«Poi cos'è successo?»
Adam alzò lo sguardo su Chloe, come se la vedesse solo in quel
momento. Fece una smorfia, iniziando a piangere copiosamente.
«È tutta colpa mia...» singhiozzò affranto.
«Cos'è successo, Adam?»
Il ragazzo alzò le mani e si coprì il volto. «Il locomotore
vicino si è messo in moto, era uno di quelli a motore e ha
fatto una gran puzza di... diesel e io... io...» Boccheggiò,
chinandosi sul tavolo, prendendosi la testa tra le mani. «Ho
starnutito. Loro si sono accorti di noi, di quanto eravamo
vicini. Siamo corsi via, con loro che ci inseguivano, poi Josh
è inciampato in un binario... Io ho continuato a correre e mi
sono trovato davanti un convoglio in lento movimento. Andava
così piano che ci sono passato sotto e ho continuato a correre
come se avessi il diavolo alle calcagna.»
Chloe contrasse la mascella sentendo nominare il Diavolo.
Espirò lentamente, non poteva lasciarsi destabilizzare da una
semplice parola. «Manderò un agente a raccogliere la tua
deposizione. Ti tratterremo per il furto che hai commesso,
così sarai al sicuro sino a quando non concluderemo
l'indagine» disse, alzandosi. Prese la cartella e lasciò la
stanza, dirigendosi in quella adiacente, nascosta dietro lo
specchio falso.
«Il suo racconto non è molto credibile, non ha alibi...»
l'accolse Dan.
«Ma quello che ha detto combacia con la testimonianza di
Bart...» replicò Chloe, incrociando le braccia sotto al seno.
«Ovvero Marvin O'Neil era al cantiere ben prima dell'ora in
cui afferma di essere arrivato.»
Daniel fece una smorfia. «O'Neil ha detto il vero. Ho il video
delle ultime 24 ore della telecamera di sorveglianza di casa
sua e sua moglie conferma che è stato a casa tutta la notte.»
«Magari è uscito da una finestra e la moglie lo sta coprendo»
ipotizzò Chloe giocherellando con il labbro inferiore,
afferrandolo tra indice e pollice. Inspirò sconsolata. «Domani
andrò a parlare con lui» decise infine, tornando a casa.
«Grazie,
Olga,
buonanotte» disse, rivolta all'anziana babysitter. Chloe
chiuse la porta di casa a chiave.
Beatrix era ancora alle prese con i suoi compiti, seduta sullo
sgabello del bancone della cucina.
«Com'è andata a scuola, tesoro?» chiese alla figlia,
avvicinandosi a lei, cingendole le spalle e posandole un bacio
sulla chioma castana.
«Bene, abbiamo parlato della cacciata di Lucifer dal Paradiso
e devo fare un tema su questo. Ho provato a chiamare Lucifer,
sicuramente avrebbe reso il racconto meno noioso, ma non
risponde al telefono» disse imbronciandosi. «Forse è
arrabbiato con me?»
Per Chloe fu come ricevere un pugno alla bocca dello stomaco.
Non seppe nemmeno lei, dove trovò la forza di sorridere alla
bambina. «No, scimmietta, sono sicura che non è arrabbiato con
te. Solo che credo sia molto impegnato e... non potrà più
passare a trovarci...»
Trixie appoggiò la biro sul quaderno e si voltò a guardarla,
incredula. «Cosa?»
Chloe stese le labbra, ma l'espressione che le uscì fu
decisamente triste. «È dovuto partire... non ha avuto nemmeno
il tempo di salutare tutti» le disse, cercando di farsi forza.
Trixie strinse le labbra, riempiendosi di rabbia. Scese dallo
sgabello. «Non è giusto!» urlò. «Pensavo fossimo amici! Che
fosse mio amico!» tuonò, scappando in camera, chiudendosi la
porta alle spalle.
Chloe avrebbe voluto correrle dietro e consolarla, ma non ne
aveva la forza. Fu costretta ad appoggiarsi al bancone e si
coprì il viso con una mano, singhiozzando sommessamente.
Inspirò poi a fondo, asciugandosi le lacrime, quindi si
sciolse i capelli, avviandosi verso le scale. Fece la doccia e
si butto nel letto, abbracciando uno dei cuscini in cerca di
un poco di conforto.
Era passato un solo giorno ed era stato un vero inferno.
La
radiosveglia
sul comodino segnò le tre di mattina. L'abbaiare di un cane
giunse ovattato da oltre la finestra aperta, ma era così
lontano che non riuscì a strappare Chloe dal sonno che era
riuscito a fermare le sue lacrime.
L'ombra si mosse nella stanza, aggirando lentamente il letto,
fermandosi di di fianco alla donna distesa sul materasso,
scrutando quel volto pallido, dagli occhi ancora gonfi e
arrossati.
Michael spostò il capo da una spalla all'altra, osservando
perplesso quell'umana. Quindi quella era Chloe Decker, la
donna creata da Papà per chissà quale scopo. Se c'era una cosa
che aveva imparato durante la sua esistenza era che i piani di
suo Padre erano così complicati, che in più di un'occasione
aveva pensato che in realtà non ne avesse affatto, che
lasciasse semplicemente che le cose accadessero così come
venivano. Sì, qualche volta ci metteva lo zampino, inviava
Amenadiel, Gabriel o qualcun altro dei suoi fratelli sulla
Terra a portare un messaggio, ma con il passare dei secoli i
suoi segni erano diventati sempre più impercettibili, come se
ormai Papà avesse perso interesse per il genere umano.
Quindi perché prendersi la briga di creare quella donna che
non sarebbe dovuta esistere? Innumerevoli coppie afflitte
dalla sterilità pregavano con fermezza eppure Papà non aveva
ascoltato le loro preghiere, ma si era scomodato invece per
Penelope Decker, che ormai aveva perso le speranze e aveva
smesso di rivolgersi a Lui.
Cos'aveva mai di così speciale?
Strinse le labbra e allungò una mano titubante, sfiorando una
ciocca di capelli della donna. Gliela spostò delicatamente,
prima di accarezzarne una gota con il dorso dell'indice.
«Lucifer...» mormorò la ragazza nel sonno, girandosi nel
letto.
Nella stanza non vi era più nessuno a parte lei.
Le
chiavi
sferragliarono nella serratura, la porta si aprì e Michael
entrò nello studio. Si chiuse l'uscio alle spalle e si guardò
attorno. Qualche insulso quadro alle pareti, la laurea,
qualche diploma di aggiornamento, un divano, un tavolino
basso, una poltrona, una scrivania e una sedia. L'ufficio di
Linda Martin non sembrava nulla di particolare. Dalle
veneziane filtrava la luce dei lampioni e di qualche macchina
che sfidava le strade di Beverly Hills in quella notte senza
luna.
L'angelo individuò l'archivio, attraversò la stanza e lo
raggiunse. Provò ad aprirlo, ma era chiuso. Michael sorrise
beffardo, infilò la mano sinistra nella tasca della giacca
marrone e ne estrasse una piccola chiave. Aveva dovuto
aspettare il momento giusto per rubarla alla dottoressa,
approfittando dell'assenza di Amenadiel. Non voleva che il suo
integerrimo fratellone si accorgesse della sua presenza. Non
era ancora il momento.
Inserì la chiave nella serratura, aprì lo schedario, accese la
lampada sulla scrivania e iniziò a passare in rassegna i nomi
impressi sulle varie cartelline. Poi l'occhio cadde su quella
più voluminosa di tutte. «Bene, bene, bene» mormorò
soddisfatto, andando a controllare il nome. Sfilò il
voluminoso plico e lo appoggiò sul tavolo, scostò la sedia e
si accomodò, aprendo la cartella sulla quale era impresso il
nome Lucifer Morningstar.
Sorrise divertito. «Fratello, sei sempre stato così pieno di
te, ma con tutto questo materiale, mi stai proprio invitando a
nozze» commentò, iniziando a leggere gli appunti a cominciare
dalla prima seduta avvenuta due anni prima.
Se quello che aveva scoperto era vero, Lucifer aveva confidato
alla dottoressa Martin ogni cosa. In quei fogli, doveva
esserci quindi tutto il necessario per poter conoscere la vita
che il suo gemello aveva vissuto in quegli anni sulla Terra.
L'indagine
prosegue, mentre Michael sfodera tutte le sue doti da creepy
stalker. Grazie a chi mi ha fatto notare l'errore di uno dei
capitoli precedenti. Ho corretto la parola in slang.
Grazie a tutti i lettori.
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Capitolo 5 *** Che pessimo nome ***
Kamar
Edwin
mise
la freccia e accostò al marciapiede. Una ragazza di
diciassette anni, bionda, occhiali con la montatura scura,
salì dal lato passeggero, sistemandosi sul sedile anteriore.
Lucifer rise divertito. «Uh, una giovane Linda, ma guardala
che bel bocconcino» commentò dal sedile posteriore, poi la sua
espressione si incupì, si aggrappò alle sedute anteriori e si
sporse verso Edwin. «Zio Edwin, dimmi che non hai molestato
tua nipote...» disse con tono cupo e una punta di
preoccupazione nella voce.
«Cosa?» berciò quello, girandosi in parte, per poi osservare
il Diavolo riflesso nello specchietto retrovisore. «Non le ho
fatto nulla!» assicurò.
«Allora perché le devi chiedere scusa?» chiese Lucifer
scettico, mentre spostava lo sguardo sull'edificio ospedaliero
dal quale Linda era uscita.
Edwin si immise nel traffico, impegnato in una vivace
conversazione telefonica, l'auricolare del cellulare ben
piantato nell'orecchio.
«Proprio per non aver fatto nulla, vorrei chiederle scusa»
esordì, guardando la nipote, seduta accanto a sé. Sembrava
così piccola, fragile, schiacciata da un peso che pareva
volerla annientare. «Mi telefonò, chiedendomi di passarla a
prendere in ospedale. Io ero in zona, quindi lo feci... ma non
le chiesi mai cos'avesse, però, col senno di poi... C'era
qualcosa che non andava. Non disse una parola per tutto il
tragitto, io mi limitai a parlare di affari al telefono, però
penso che forse avesse bisogno di aiuto e io sono stato così
cieco da non accorgermene...» disse rammaricato. «L'ho capito
solo anni dopo, era tormentata, ma... non ho mai cercato di
capire quale ne fosse la causa» mormorò preoccupato. «Con gli
anni, il dubbio di non aver prestato la dovuta attenzione è
cresciuto e mi ha divorato. Era solo una ragazzina di 17
anni...»
Lucifer sbuffò divertito. «Linda è una donna sorprendentemente
forte, è riuscita a gestire... be'» sorrise sornione, «me»
concluse, muovendo le mani a mostrare se stesso.
Edwin si fermò al semaforo e si voltò a guardarlo. «In che
senso?»
Lucifer sorrise. «Oh, in molteplici sensi. Vedi, per gli
esseri umani è difficile credere a me, crederci per davvero.
Anche le persone di fede, per quanto io non abbia mai nascosto
la mia identità, la mia natura, non ci hanno mai creduto.
Almeno sino a quando non l'hanno vista» spiegò, con un velo di
malinconia nello sguardo. «Linda è stata la prima umana con
cui io mi sia aperto e... ho rischiato di perderla per questo.
Ma lei è forte. Si è ripresa ed è diventata... un'ottima
amica.»
L'uomo fissò la ragazza seduta al suo fianco, lo sguardo perso
oltre al finestrino, le cuffie del walkman nelle orecchie. Il
semaforo scattò, quindi Edwin premette l'acceleratore, la
macchina si rimise in marcia, mentre il cambio automatico
aumentava le marce. «Linda, amica del Diavolo...» commentò
divertito, scuotendo il capo.
«Sembri felice...» commentò Lucifer, scrutandone il riflesso
nello specchietto.
«Non dovrei? Se è tua amica, non la porterai qua, no?»
Lucifer schiuse le labbra, i denti candidi fecero capolino per
un breve istante, prima che stringesse le labbra in
un'espressione dura. «Non dipende da me. Io non decido chi va
all'Inferno o chi va in Paradiso.»
«Cosa? E allora chi è a decidere? Dio?»
Lui sbuffò divertito. «Mio Padre non c'entra, vi ha creato, vi
ha dato il libero arbitrio, e vi ha lasciato liberi di
scegliere. I responsabili delle vostre scelte siete soltanto
voi umani.» Si sistemò le maniche della giacca, per poi
riportare lo sguardo sulle iridi riflesse di Edwin. «Siete voi
che decidete se andare all'Inferno o in Paradiso, sono i
vostri sensi di colpa a divorarvi o la loro assenza a
elevarvi.»
Edwin mise la freccia e accostò. Linda sganciò la cintura e
scese dall'auto. «Ciao, Linda, salutami i tuoi!» le disse,
agitando una mano al suo indirizzo, prima di tornare a posarla
sul volante. «È assurdo...»
Lucifer scosse il capo. «Non lo è. Le porte delle vostre celle
non sono chiuse a chiave, ogni anima è libera di aprirle e
andarsene, ma nessuna lo fa. Ogni anima tormentata non riesce
a perdonare i propri errori e continua a rimuginarci sopra e a
ripeterli per l'eternità» assicurò, guardandosi la mano,
mentre sentì un brivido corrergli lungo la schiena, quando
ricordò il calore del sangue di Uriel e il suo ultimo
sussurro. Non era stata colpa sua, Uriel non gli aveva
lasciato scelta. Uccidere lui o perdere Mamma o Chloe. Aveva
seguito il cuore, non aveva visto nessuno dei suoi fratelli
per eoni interi, il rapporto che aveva sviluppato con la
detective era speciale, qualcosa a quel tempo a lui ignoto.
Ora, che le aveva detto addio, capiva il perché. Non aveva mai
pensato a nessun altro che se stesso e lo aveva fatto anche
quel giorno: Chloe era troppo importante per perderla.
Inspirò. Se solo Uriel non fosse stato così testardo...
«Sì, ok, questo ha senso... ma ci sono uomini che non hanno
scrupoli di sorta. Conoscevo uno, un mio compagno del liceo,
che si divertiva a picchiare i barboni. Si divertiva, capisci?
Non aveva alcun rimorso, lo faceva perché gli piaceva.»
«E quando morirà, ci sarà una stanza tutta per lui quaggiù»
rispose Lucifer, con espressione serafica.
«Lui è già morto. Una volta tentò di dare fuoco a un
senzatetto, ma ci fu un ritorno di fiamma, la bottiglia
d'alcol che aveva in mano esplose e pure lui bruciò. Morì dopo
una lunga agonia in ospedale. Quando se n'è andato... ho
provato sollievo. Quel tizio mi metteva a disagio...»
raccontò, scuotendo il capo. «Non provava rimorso. Una volta
cercai di capire perché lo facesse, di dissuaderlo, ma per lui
era naturale farlo, non gli causava nessun rimorso, nessun
dubbio... Era qualcosa che doveva fare.»
«Oh, Eddy, nessuno di voi è immune ai sensi di colpa. Dimmi
come si chiama questo tizio: lo troverò e te lo saluterò» gli
assicurò il Re dell'Inferno.
«Michael Simmons» rispose Edwin.
Lucifer arricciò un poco il naso. «Che pessimo nome...»
«Ravekeen»
mormorò
Lucifer, camminando per le lugubre gole dell'Inferno, «trovami
l'anima di Michael Simmons. Sulla Terra sono passati più di
quarant'anni dalla sua morte, quindi sarà nostro ospite da
diversi millenni oramai. È morto ustionato, mentre dava fuoco
a un senzatetto» spiegò, dopo che il corvo dagli occhi azzurri
era planato sulla sua spalla.
«Obbedisco» gracchiò il corvo, sbattendo le ali e
allontanandosi verso il cielo plumbeo.
Le
iridi
scure del Re scrutavano il proprio regno. Demoni strisciavano
tra le ombre, in lontananza, cercando di sottrarsi al suo
sguardo, invano. Dall'alto del suo trono, nulla poteva
sfuggirgli. Lui poteva vederli e Ravekeen era le sue orecchie,
riportandogli i sussurri che scivolavano sulle pareti di
roccia.
Sembrava che ormai ogni velleità di ribellione fosse
completamente spenta. Erano secoli che nessun demone alzava
più la cresta o metteva in discussione il suo operato.
Quando era tornato, non era stato tutto così facile. La sua
vacanza a Los Angeles aveva lasciato dietro di sé un forte
malcontento che aveva lentamente avvelenato gli animi dei
figli di Lilith, che si erano sentiti abbandonati per la
seconda volta.
Lo sguardo di Lucifer colse un movimento e si focalizzò sulla
macchia scura che si avvicinava rapidamente. La forma delle
ali nere si delineò tra la cenere e, quando il corvo fu
abbastanza vicino, compì un paio di cerchi attorno al trono,
prima di planare sullo schienale e poi sul bracciolo.
«Ravekeen, era ora. Va bene che una donna dovrebbe farsi
attendere, ma un mese spegnerebbe qualsiasi desiderio, persino
il mio» ironizzò.
«Ne dubito, mio Re. Voi siete l'incarnazione del Desiderio,
nulla potrebbe privarvene» rispose suadente.
«Solo perché non hai conosciuto i bambini umani, sono i
migliori dissuasori del mondo» replicò lui, inspirando a
fondo. Si ritrovò a pensare alla piccola Trixie e si stupì nel
domandarsi come stesse. Inevitabilmente i ricordi andarono
alla madre della giovane monella.
Lucifer sbuffò, si schiarì la voce, poi riportò lo sguardo sul
corvo. «Portami da questo Michael Simmons.»
L'uccello arruffò le penne e chinò il capo. «Non è qua... L'ho
cercato ovunque, ho trovato un paio di anime che lo hanno
conosciuto in vita, ma lui non è qua» garantì. Si irrigidì,
sentendo su di sé lo sguardo furente del proprio Signore.
«Vattene» ringhiò il Diavolo. Ravekeen non se lo fece ripetere
due volte, si tuffò nel vuoto, allontanandosi rapidamente.
Lucifer distese le gambe, posando le suole cremisi sul pianale
del trono, strinse i braccioli tra le dita, poi fece forza
sulle braccia e si alzò in piedi. Scrollò le spalle,
schiudendo le ampie ali candide. Le piume ondeggiarono,
accarezzate lievemente dalla brezza, nell'attimo in cui lui si
inclinò in avanti e si lasciò cadere. Spiegò le ali al
massimo, l'aria calda premette sulla superficie piumata e lo
sollevò verso l'alto, quindi Lucifer spostò il peso verso
sinistra, iniziò a battere ritmicamente ciò che suo Padre gli
aveva donato e si diresse verso il punto più luminoso del
cielo, quello attorno al quale le nubi cariche di cenere
ruotavano costantemente.
Torniamo
a guardare cosa accade al nostro Diavolo. Intanto ci sono
già altre 11 pagine word da uploadare, per un totale di
altri quattro capitoli e mezzo pronti (da ricontrollare per
evitare di non collegare correttamente gli eventi).
Grazie a tutti i lettori.
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Daniela
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Capitolo 6 *** Forse so a chi chiedere aiuto ***
Kamar
Chloe
chiuse
l'auto col telecomando, guardando la casa di fronte a sé. Era
una piccola villetta, adeguata a un piccolo nucleo familiare,
in linea con il tenore economico della famiglia O'Neil.
La detective voleva parlare con la moglie di Marvin, Laura,
perché c'erano delle discrepanze nei racconti dei testimoni,
quindi voleva cercare di capire se la donna stesse coprendo il
marito o meno.
Era quasi ora di pranzo, Chloe aveva passato la mattinata ad
analizzare i file che Dan ed Ella le avevano lasciato sulla
scrivania e, come si era liberata, aveva cercato la signora
O'Neil, che risultava avere un piccolo negozio di merceria, ma
quello era il giorno di chiusura, quindi si era diretta alla
sua abitazione nella speranza di trovarla.
Salì i gradini che separavano il giardino dal piccolo portico,
suonò il campanello e attese. Non ottenendo risposta, provò a
bussare. «LAPD, aprite» esordì, spostandosi poi verso la
finestra che si affacciava sul giardino, sbirciando oltre i
vetri.
Il rumore di un'auto, che entrava nel vialetto, la fece
voltare. Le iridi della donna scivolarono sulla Ford argento
metallizzato, guidata da una donna. Sul sedile posteriore
c'era un bambino che doveva avere la stessa età di Beatrice.
La donna tirò il freno a mano, scese dall'auto, lanciò
un'occhiata verso di lei. «Buongiorno» esclamò, andando poi ad
aprire la portiera posteriore, prendendo lo zainetto del
bambino. «Su, vai in casa» lo esortò, avvicinandosi al
portico.
«Signora O'Neil?» chiese Chloe, mostrando il distintivo,
scostandosi per far passare il ragazzino che aprì la porta di
casa, scomparendo all'interno. Quando la donna annuì, si
presentò. «Sono il detective Chloe Decker, devo farle alcune
domande in merito all'incidente che c'è stato al cantiere.»
«Certo, prego, detective, entri pure» rispose Laura, facendole
strada nel piccolo ingresso. Le indicò il salotto sulla
sinistra. «Mi può aspettare un secondo? Ralph non sta molto
bene e sono andata a prenderlo a scuola» spiegò.
Chloe annuì e la donna si allontanò su per le scale che
portavano al piano superiore. L'ufficiale si guardò attorno,
studiando la stanza. La padrona di casa doveva essere
un'amante dell'uncinetto, visto che c'erano centrini di cotone
su ogni superficie orizzontale. Anche le tende erano
realizzate con quella tecnica e sembravano fatte a mano.
C'erano diverse foto di famiglia, c'era persino un grande
cornice che contenva una consueta foto natalizia di chissà
quanti anni prima, il ragazzino lì non pareva avere più di
quattro anni. Le iridi celesti di Chloe scivolarono sulle
varie cornici: ve n'erano d'argento, di legno, di plastica, di
vetro e persino diverse in avoriom ognuna con una foto che
ritraeva la famiglia riunita, o uno o più membri della stessa.
C'era anche una foto del matrimonio, Laura era bellissima in
abito bianco, di fianco al marito. Si erano sposati giovani.
Poi la detective aggrottò la fronte, scrutando i volti dei
vari invitati.
«Eccomi, Detective, mi scusi ancora. Come ho già detto al suo
collega, mio marito è stato qui tutta la notte» assicurò.
«Ho letto che suo marito ha un fratello» esordì Chloe,
prendendo la foto del matrimonio. «È questo?» chiese indicando
un uomo dai capelli fulvi, di fianco allo sposo.
Laura sorrise. «Sì, quello è Dorian, il fratello di mio
marito.»
«Sono gemelli... ma sui documenti risultano nati in anni
diversi» disse confusa.
«Dorian è nato il 31 dicembre 1978, Marvin il primo gennaio
1979. Mio marito è sempre stato un ritardatario, ha impiegato
sei ore per uscire dopo Dorian» raccontò abituata allo stupore
degli interlocutori.
«Sa se Dorian è in città?» domandò.
«Che io sappia, no. L'ultima volta è stato qui a marzo... Vive
in Arizona» rispose la donna.
«Ho capito, la ringrazio, signora O'Neil.»
Mentre
tornava
verso il distretto, Chloe chiamò Dan. «Sono io, senti, mi devi
controllare Dorian O'Neil, dovrebbe avere il domicilio in
Arizona. Controlla se è a Los Angeles. Io vado a parlare con
Marvin.»
«Sto
cercando
Marvin O'Neill» disse Chloe, rivolgendosi a un operaio. Quello
con spiccato accento messicano gli indicò il prefabbricato che
ospitava gli uffici e la detective si avviò.
Bussò ed entrò. All'unica scrivania trovò un uomo di meno di
trent'anni e aggrottò la fronte. «Mi scusi, cercavo il signor
O'Neil, sono il detective Decker» spiegò, mostrando il
distintivo attaccato alla cintura.
«Ah, è sulla gru! Venga, glielo chiamo» rispose l'uomo,
alzandosi in piedi. Prese un elmetto di protezione appeso alla
parete, se lo infilò, poi afferrò una ricetrasmittente
appoggiata sopra la scrivania. Sorrise a Chloe. «Mi segua»
disse, avviandosi verso l'esterno.
Chloe gli andò dietro, non era difficile capire dove si stesse
dirigendo: c'era una sola gru nel cantiere.
«Marv, scendi» disse l'uomo alla ricetrasmittente, fermandosi
ai piedi della gru. Dopo qualche istante, Marvin arrivò,
scendendo i gradini di metallici della scala a pioli che
collegava la cabina di controllo al suolo.
«Detective Decker, buongiorno» salutò, sfilandosi l'elmo, per
detergersi il sudore dalla fronte con l'avambraccio.
«Sapeva che suo fratello Dorian è in città, signor O'Neil?»
esordì Chloe, studiandone la reazione di genuino stupore che
gli si disegnò sul volto.
«No, non mi ha avvisato.»
«Suo fratello aveva le chiavi del cantiere?» chiese la donna.
Marvin aggrottò la fronte e sorrise beffardo. «Certo che no,
solo i responsabili hanno una copia, rischierei il posto se la
facessi avere ad altri» la informò.
«Quando è stato l'ultima volta che ha visto suo fratello?» lo
incalzò lei.
Marvin aggrottò la fronte e si umettò le labbra. «Aspetti, non
starà mica pensando che mio fratello sua coinvolto...»
«Le domande le faccio io, signor O'Neil, risponda.»
Marvin inspirò a fondo, raccogliendo i ricordi. «A marzo.»
«Cosa avete fatto?»
L'uomo allargò un poco le braccia. «Una cena in famiglia, l'ho
portato a vedere il cantiere...»
«Perché?»
Lui la guardò perplesso.
«Perché lo ha portato qui?» lo incalzò lei.
«Ero stato nominato Responsabile, ero felice, volevo che
vedesse quello che avevo ottenuto dopo tanti sforzi, poi dopo
siamo andati a festeggiare» rispose lui.
«Dorian ha mai avuto le chiavi in mano?» chiese ancora.
Marvin scosse il capo. «No, è stato con me tutto il tempo...»
Esitò, schiudendo le labbra, rammentandosi di qualcosa.
«È sicuro?»
Marvin si portò una mano alle labbra. «Ci siamo fermati in un
pub, al ritorno dal cantiere. A un certo punto mi ha chiesto
le chiavi della macchina per recuperare le sigarette che aveva
dimenticato ed è rimasto fuori a fumare... Cinque minuti... ma
le chiavi del cantiere erano nel cruscotto.»
«Grazie» disse Chloe, congedandosi.
«L'avete
trovato?»
domandò la detective, entrando nel laboratorio, dove Ella
stava controllando qualcosa al microscopio e Daniel passava in
rassegna alcune foto.
«Non immaginavo che un antiquario fosse così difficile da
individuare» commentò Daniel, guardando alcuni tabulati.
«L'ultima volta che ha usato la carta di credito, era in un
motel in Wilmington, ma ha lasciato la camera sei giorni fa.
Questa è l'ultima foto che abbiamo di lui, risale al giorno
dopo l'omicidio. Era a Koreatown» commentò, porgendo la stampa
a Chloe.
«Sei chilometri dal luogo del delitto» rifletté, guardando la
foto. «Si è rasato...» constatò la donna, confrontando
l'immagine con quella dei documenti della motorizzazione.
«Ella, hai qualcosa?»
«Vicino all'escavatore sono stati trovati dei mozziconi di
sigaretta» rispose la scienziata. «Il DNA era quello di Marvin
O'Neil...»
«Ci sono differenze tra il DNA di due gemelli?» chiese Chloe.
«Tra omozigoti no. Cambiano le impronte digitali, il timbro
della voce...» rispose lei.
«Quindi a fumarle potrebbe essere stato Dorian.»
«Magari anche Marvin fuma» ipotizzò Daniel.
Chloe scosse il capo. «Non ha traccia di nicotina su indice e
medio, in casa sua non c'è un solo posacenere, nemmeno sul
portico esterno, dove c'è un dondolo, ma bisognerà
assicurarsene. Intanto però dobbiamo trovar Dorian: idee?»
«Abbiamo un mandato e le pattuglie lo stanno cercando, ma non
abbiamo riscontri, per ora» l'avvisò Dan.
Chloe si appoggiò al tavolo, tamburellando con le dita. «Forse
so a chi chiedere aiuto.»
Le
indagini proseguono. Voglio ringraziare Inf4nity che ha
lasciato una piccola recensione, che essendo più breve di
dieci parole mi è sata recapitata tramite pm dal sistema.
Grazie anche a Kathe93 che ha messo la storia nei preferiti
e a LadyOscar1620 per averla messa nelle seguite.
Grazie di cuore <3
Grazie
a tutti i lettori.
Se la storia vi piace, per cortesia, mettetela nei
preferiti/seguiti/ricordati per darle visibilità.
Per chi fosse
interessato, può passare a trovarmi presso il mio gruppo
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Daniela
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Capitolo 7 *** Botte da orbi e qualche ala lussata ***
Kamar
Il clima era torrido, la luce così
forte da costringere a socchiudere gli occhi.
Lucufer oltrepassò l'anello di fuoco ruggente dal quale si
generava la cenere che ricadeva sull'Inferno e il caldo
aumentò ulteriormente, ma l'ambiente mutò drasticamente. Un
silenzio innaturale lo circondò e ogni punto di riferimento
scomparve.
Attorno a lui vi era una distesa candida che sembrava non
avere fine. Non esisteva l'orizzonte, poiché non si
distingueva cosa fosse cielo e cosa terra. L'aria tremolava a
causa del calore così intenso che, quando Lucifer posò i piedi
a terra, poté avvertirlo chiaramente attraverso le suole delle
scarpe italiane.
«Hello!» salutò gioviale, sbottonando un paio di bottoni della
camicia, sbuffando. «Maalik, avanti, lo so che sei qua in
giro...»
Una colonna di fuoco si innalzò verso il cielo, a una
cinquantina di metri di distanza e Lucifer si incamminò in
quella direzione, mentre le fiamme si estinsero. Al loro posto
rimase una sagoma umana, sebbene le ali dalle piume che
variavano dal rosso al dorato, ricordando le fiamme. Il sesso
era maschile, la pelle era nera come le colonne di basalto
dell'Inferno e all'apparenza doveva avere la stessa
consistenza. Sembrava una statua, se si escludevano le ali e
gli occhi, che lanciavano lampi fiammeggianti, iridi d'oro
fuso e sclere rosse.
Lucifer sorrise. «Maalik, che bello rivedere i tuoi sorrisi
smaglianti, però dovresti fare qualcosa per questa tua
nudità...» commentò, ottenendo un grugnito in risposta. «Sei
consapevole che Amenadiel è più gioviale di te, vero?»
aggiunse, di fronte all'espressione impassibile del fratello.
«E almeno lui si veste. Non che mi dispiaccia la nudità e
posso capire che qui sul perimetro dell'Inferno il caldo sia
davvero... caldo. Però, insomma, così fai tanto Bronzi di
Riace, anche se riconosco che sei più dotato» aggiunse con un
sorriso tra il malizioso e il divertito.
Maalik era uno degli angeli che lo aveva appoggiato durante la
ribellione, quindi era stato cacciato dal Paradiso a sua
volta, ma la loro punizione era quella di non potersi
incontrare mai. «Padre ci ha vietato di vederci. Il tuo
compito è governare l'Inferno, il mio quello di sorvegliarlo!»
ringhiò.
Lucifer sorrise, si sistemò il polsino e poi aggrottò la
fronte. «Ma davvero? Papà mi punirà senz'altro, pensi potrebbe
cacciarmi all'Inferno!?» domandò ironico, per poi ridere
divertito. «Inoltre, lasciatelo dire, come guardiano lasci un
po' a desiderare. La lista degli evasi che ti son passati
sotto il naso è imbarazzante, fratello» commentò, posandosi
l'indice della mano destra su quello della mancina. «Malcom
Graham» menzionò, per poi toccare il dito medio, «Mamma» si
toccò l'anulare, «e Abele...»
Maalik lo fissò duramente e si limitò a incrociare sul petto
muscoloso.
«Credo il tuo impegno lasci molto a desiderare, sai?» continuò
Lucifer, tendendo il braccio per dare un paio di pacche sulla
testa del fratello, l'angelo più basso del Creato, non
arrivava nemmeno al metro e settanta.
Il guardiano ringhiò furente, fece un passo indietro, mentre
le ali si curvarono e andarono a toccarsi per un istante alle
sue spalle, prima di avanzare rapidamente, creando una potente
folata di vento infuocato, che respinse Lucifer di diversi
metri indietro.«Ho lasciato passare anche te e l'essenza di
mamma è passata due volte, se proprio vuoi fare il pignolo!»
Il Diavolo fu costretto a proteggersi con le proprie ali, sino
a quando il vento non si placò e a quel punto controllò lo
stato del suo completo, sollevato nel non trovare danni. «Ehi,
fai attenzione. Questa è lana italiana, all'Inferno non ne
fanno di completi come questi!» commentò, alzando e abbassando
le mani per indicare la giacca di Armani, per rendere evidente
di cosa stesse parlando. «Quindi riconosci i tuoi errori, la
mia terapista direbbe che è un buon inizio!»
«Brutto...» ringhiò Maalik.
«Sicuramente non stai parlando di me» ironizzò il Diavolo,
posando il mento sul dorso delle dita stese, con le punte
rivolte verso la gola. «Potrei capirlo se ti stessi mostrando
la mia devil face, ma questa non la si può sicuramente
descrivere come brutta, credimi. Forse sei rimasto isolato un
po' troppo...»
Il fratello chiuse gli occhi e si prese l'attaccatura del naso
tra le dita, facendo una smorfia, sforzandosi di mantenere la
calma. Inspirò a fondo, prima di tornare a guardare Lucifer.
«Sei andato via per molto, molto tempo, fratello» esordì.
«Sulla Terra il tempo è volato» ammise lui.
«Mentre qui è passato l'equivalente di
migliaia e migliaia di vite» rispose severo. «E due delle
anime che hai menzionato sono state prese da angeli...
quella di Mamma è l'unica che m'è sfuggita... e se anche
l'avessi intercettata, come pensi avrei potuto fermare la
Dea della Creazione?» domandò allargando le braccia.
«E comunque mentre eri via, di anime ne sono fuggite diverse
decine» aggiunse cupo, stringendo i pugni lungo i fianchi.
Il sorriso scomparve dalle labbra di Lucifer. «Non dirmi che
son tornate sulla Terra...»
Maalik scosse il capo. «No, io e gli Zabaniyya
siamo riusciti a impedirlo, anche se ci è costato
molto caro...» ammise, chinando lo sguardo.
«Botte da orbi e qualche ala lussata?» chiese
Lucifer beffardo.
Le iridi dorate, cariche di astio, si posarono su di lui,
spegnendo ogni vago divertimento che il Diavolo avvertiva.
«Sono rimasto solo io, fratellone. Gli altri sono
morti...»
Lucifer si fece attento. «Non è possibile! Erano angeli,
erano nostri fratelli, siamo immortali!» protestò
incredulo.
Maalik scosse il capo. «Lame forgiate all'Inferno possono
uccidere anche un angelo...»
«No! Ho gettato la spada di Azrael in un'altra dimensione
e Maze ha portato sulla Terra tutte le lame forgiate qua!»
sbottò l'altro.
Le ali del guardiano si abbassarono sino a sfiorare con le
remigranti il suolo immacolato, come se il peso della
vergogna fossero un fardello troppo gravoso da sopportare.
«Devono averne forgiate altre... Rimane il fatto, Lucifer,
che con l'ultima battaglia sono rimasto solo. Come si
riorganizzeranno, non sarò in grado di fermarli. Non
possono minacciare il Paradiso...»
«Ma possono arrivare sulla Terra» mormorò sconcertato il
maggiore. L'altro si limitò annuire rassegnato. Lucifer lo
guardò e gli mise la mano sulla spalla. «Chi sono queste
anime? Dove sono?»
«Si nascondono all'Inferno» rispose il minore,
sostenendone lo sguardo.
L'altro scosse il capo, ridendo istericamente. «Oh, no,
no, no! All'Inferno ci sono stato, lo sto tenendo sotto
controllo, e ti assicuro che vedo tutto» replicò deciso.
Maalik lo guardò. «Sei stato assente per molto tempo
Lucifer. Alcuni demoni hanno cercato assumere una sorta di
leadership mentre eri via e hanno avuto millenni per
prepararsi al tuo ritorno» disse, per poi avvicinare il
viso a quello di Lucifer, che si era chinato su di lui.
«Dromos ha scatenato una rivolta, è vero, ma forse ti sei
concentrato solo su quello che saltava all'occhio. Ti
giuro, non li ho lasciati passare, devono essere ancora
all'Inferno.»
Le iridi di Lucifer baluginarono di rabbia. «Li troverò e
stroncherò qualsiasi loro intenzione» ringhiò furente.
Stava per andarsene, quando Maalik lo afferrò per un
polso. Lo guardò con fastidio.
«Fa' attenzione, fratello. Non dovrebbero essere in molti,
perché avranno anche ucciso 19 dei nostri fratelli e
sorelle, ma ne abbiamo obliterati tanti... Abbiamo ridotto
molte anime ribelli in briciole. Quelle abbiamo imparato a
frantumarle... ma i demoni sono duri a morire... Ma quello
che mi preoccupa di più, sono le anime dei nostri fratelli
e delle nostre sorelle...»
Lucifer fece una smorfia, poi abbassò lo sguardo, quando
vide la lama che Maalik gli stava porgendo. La lama era
nera, fin troppo familiare, ma era più grande dei pugnali
di Maze. «Bloody Hell, cos'è?»
«Un kukri forgiato all'Inferno. Dovevamo pur difenderci,
così ci siamo armati. Ti ho pestato un paio di demoni per
farne realizzare qualcuno» rispose Maalik.
Lucifer prese l'arma, saggiandone il bilanciamento, poi
alzò lo sguardo sul fratello. «Vieni con me. Chi meglio di
te può conoscere gli Zabaniyya?
Se davvero le loro anime sono all'Inferno, io non ho idea
di come si frantumino!»
L'altro si mostrò stupito, abbandonando l'espressione
corrucciata che aveva di default. Si diceva che Papà non
avesse dato la capacità a Maalik di sorridere. La sopresa
durò poco, il guardiano dei cancelli dell'Inferno tornò
alla sua cupa espressione. «Mi è proibito entrare
nell'Inferno. Il mio posto, la mia punizione, è rimanere
qui.»
Lucifer lo guardò incredulo. «Oh, ma dai! Di venti
guardiani sei rimasto solo tu! Non posso farcela da solo!
Non se devo combattere contro le anime dei nostri
fratelli!»
Maalik fece un passo indietro e fissò il maggiore con
sospetto.
«Che c'è?» domandò il Diavolo perplesso.
«Sei... cambiato» azzardò l'altro.
Lucifer
alzò gli occhi al cielo. «Oh, povero me!» esalò
riportando lo sguardo sul guardiano. «Sono il Diavolo,
sono il cambiamento, ricordi?»
Maalik scosse appena il capo. «Lo ricordo, ma ti ho
osservato per millenni e non sei cambiato... non così
insomma. Quanto tempo hai passato sulla Terra?»
Lucifer si schiarì la voce, combattendo con la malinconia.
«Sette anni...»
Maalik inclinò la testa verso una spalla e incrociò le
braccia al petto. «Dovevi prendertela prima la vacanza.
Sei maturato parecchio... Se durante la ribellione ti
fossi fatto aiutare, forse avremmo vinto noi, invece ti
sei fatto fregare da tuo fratello come un idiota.»
Lucifer arricciò le labbra, sapeva perfettamente a quale
fratello si stava riferendo l'altro. Studiò Maalik per
qualche istante. «Lo prenderò come un complimento, ma
lavoraci perché è impostato in maniera terribile. Allora,
andiamo?» domandò battendo le mani una volta.
Maalik scosse il capo. «Non posso. Il mio posto è qui, mi
spiace.»
Un piccolo guizzo sulla gota del Diavolo ne tradì la
delusione. Sbuffò divertito e sorrise. «Vuol dire che mi
divertirò da solo e vendicherò i nostri fratelli»
assicurò.
«Buona fortuna, fratellone, e ricorda: sei il Re
dell'Inferno.»
Torniamo
a Lucifer che è andato a trovare un fratello. Maalik e gli Zabaniyya
sono angeli guardiani dell'Inferno dell'islamismo. In questa
religione si occupano anche di punire le anime dannate, ma
visto che nella serie non è così, mi sono inventata il loro
esilio di periferia, modello guardiani di una prigione di
massima sicurezza.
Grazie
a tutti i lettori.
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interessato, può passare a trovarmi presso il mio gruppo
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Daniela
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Capitolo 8 *** Non ne vedrai l'ora ***
Kamar
Michael
si sentiva potente in quel luogo, anche se era consapevole
fosse solo colpa della suggestione. Doveva riconoscere ai
mortali che, quando si impegnavano, erano capaci di creare
opere di un certo rilievo. Le iridi scure scivolarono
sulla parete affrescata, dove la tinta prevalente era
l'azzurro cielo.
«Non è meraviglioso?» chiese la turista al suo fianco, una
corpulenta signora di San Francisco.
Michael la guardò con fastidio. Aveva volutamente ignorato
quel gruppo di americani troppo pieni di colesterolo, ma
trovavano comunque il modo di infastidirlo. Sospirò
sconsolato. «Un vero peccato che Michelangelo sia
all'Inferno.»
La donna rise gioviale. «Sciocchezze, un artista di questo
calibro sarà sicuramente finito in Paradiso.»
«Se fosse arrivato in Paradiso, me ne sarei accorto»
replicò lui. «No, è andato sicuramente nell'Underworld...»
replicò scontento. «Quell'idiota di mio fratello
riuscirebbe a rovinare chiunque, lui e i suoi stupidi
favori» soffiò.
La signora aggrottò la fronte poi, pensando di trovarsi di
fronte a uno squilibrato, decise di allontanarsi.
Michael tornò a concentrarsi sulla parete dietro l'altare
della Cappella Sistina, inspirando a fondo. Si staccò dal
gruppo di turisti con i quali era entrato e si diresse
verso il cuore degli archivi del Vaticano.
«Ehi...»
L'angelo si fermò, voltandosi a guardare l'umano che gli
si era rivolto a quel modo. Indossava una divisa, forse un
custode. Quello gli disse qualcosa in italiano e Michael
alzò gli occhi al cielo. Non potevano usare il latino? Era
solo felice che Dante stesse bruciando all'Inferno, per
aver codificato quella nuova lingua.
La guardia gli si rivolse finalmente in inglese. «Questa
area non è aperta ai turisti, deve uscire.»
Michael sorrise. «Ah! Capisco, sono mortificato per
l'errore. Mi dica, è davvero la mia presenza qui a
spaventarla? È davvero questa la sua più grande paura?»
domandò, fissando intensamente gli occhi del custode.
Quello schiuse le labbra, rimanendo incatenato a quegli
occhi che parevano mettere a nudo la sua anima. Quello
sguardo gli stava scavando dentro e l'uomo deglutì a
fatica, sentendo il dolore emergergli dal petto. «Ho paura
di morire... mi hanno trovato un piccolo polipo e temo di
avere un tumore. Mio padre è morto dello stesso male!»
L'espressione di Michael si fece contrita. «Oh, mi
dispiace, è terribile. Perdere il proprio tempo qui,
costretto a badare a questi indisciplinati turisti, quando
la vita potrebbe essere così breve e terminare in maniera
così dolorosa, tramutandoti nell'ombra della persona che
eri...» Sorrise. «Ma dovresti essere felice: quando
arriverà a quel punto, non avrai più paura di
morire, anzi, non ne vedrai l'ora» spiegò sorridendo.
La guardia lo fissò, fece un passo indietro, mentre sentì
la paura dilagargli nel cuore. Il dolore, non aveva
pensato al dolore. Suo padre aveva perso quaranta chili
prima di morire, il tumore lo aveva ridotto a pelle e ossa
e nemmeno la morfina riusciva a placarne la sofferenza.
Scosse il capo, si voltò e iniziò ad allontanarsi. Il
passo si fece sempre più svelto, sino a tramutarsi in
corsa.
Michael lo guardò scomparire lungo il corridoio e scosse
il capo divertito. «Umani...»
Oltrepassò una porta, trovandosi nella navata laterale di
una chiesa. Iniziò a camminare sul marmo rosso del
pavimento, quando udì dei passi e vide un prete in abito
talare avvicinarsi. Doveva essere di recente nomina, data
la giovane età. Gli si rivolse in italiano.
Perché diamine davano tutti per scontato di trovarsi
davanti a qualcuno che parlava quella stupida lingua? Non
era la lingua più parlata sulla Terra, potevano
abbandonare quel fastidioso pregiudizio! Bei tempi, quando
il latino lo parlavano tutti o quasi!
«Mi scusi, Padre» lo interruppe Michael. «Sto cercando
Padre Kinley» disse in inglese, sorridendo gentilmente.
«Padre Kinley non è qui» rispose il giovane pretucolo.
«Non tornerà, è stato scomunicato» spiegò.
Michael alzò le sopracciglia e si mostrò davvero
dispiaciuto. «Che cosa infelice... Avevo così bisogno del
suo aiuto, ma forse lei può aiutarmi. Vede, Padre Kinley
mi aveva giurato di avere trovato la soluzione al problema
che mi affligge. Mi disse che aveva trovato un antico
libro in merito...»
Il prete annuì. «Capisco... ma non saprei come aiutarla.
Penso che il libro di cui parla sia ancora negli uffici di
Padre Kinley, non sono ancora stati vuotati, ma non la
posso portare lì» spiegò accomodante.
Michael fece un passo avanti, sovrastando di tutta la
testa il ragazzo. La luce delle candele davanti alle varie
nicchie dava una strana luce allo sguardo dell'angelo.
«Padre, è proprio sicuro? Non le capita mai di avere paura
di essere mancante in qualcosa, di non fare mai abbastanza
per servire Dio Onnipotente?»
Il giovane si perse in quegli occhi scuri che parevano
trafiggerlo da una parte all'altra. «Ho...» si umettò le
labbra. «Ho paura di non essere abbastanza forte, di non
essere in grado di resistere alle tentazioni... di
fallire... di non poterlo servire come dovrei...»
«Non è forse dovere di Santa Romana Chiesa aiutare il
prossimo?» rispose Michael. «Non aiutarmi, equivale a
rifiutare l'aiuto a un devoto figlio di Dio...» E
sicuramente lui, in quanto angelo, era un figlio ben più
vicino a Lui, che qualsiasi altro essere umano, se si
escludeva Adamo, che era stato creato direttamente da suo
Padre.
Il giovane prete chinò il capo, annuì. «Ha ragione... Mi
segua!» lo esortò quindi, facendogli strada sino
all'ufficio che un tempo era appartenuto a Padre Kinley.
Era decisamente angusto, pieno di tomi polverosi. Su un
tavolo c'era anche un mortaio, un alambicco e qualche
fiala.
«Non voglio farle perdere altro tempo, Padre. Vada pure»
mormorò l'angelo.
L'altro annuì, schiuse le labbra ma preferì tacere. Forse
avrebbe dovuto dirgli di non toccare nulla, soprattutto di
non prendere nulla, ma quell'uomo gli metteva ansia.
Sorrise imbarazzato e lasciò la stanza.
Michael si avvicinò alla scrivania ingombra di fogli e
libri sparsi in maniera disordinata. Fece una smorfia,
sollevando qualche incartamento, poi sollevò le
sopracciglia, adocchiando qualcosa di interessante. Spostò
la sedia e si accomodò, sfilando da sotto alcuni fogli un
fascicolo dove spiccava una foto di Chloe Decker a spasso
per Roma in compagnia di una bambina. Lesse il fascilo, ma
non conteneva nulla che già non sapesse. Aprì i cassetti.
Uno era chiuso a chiave, nulla che potesse impedire a un
angelo di far saltare la serratura. All'interno trovò un
diario. Lo prese e iniziò a sfogliarne le pagine. Dopo
quasi un'ora trovò un indizio di quello che stava
cercando. Lesse il nome del libro indicato, quindi si alzò
e iniziò a cercarlo sulla libreria. Non tutti avevano il
titolo scritto sulla costa e fu costretto a sfilarli per
leggere la copertina, alcuni dovette persino aprirli, ma
non riuscì a trovare il testo che gli serviva.
«Dannazione» ringhiò. Non era in quell'ufficio. Aveva di
nuovo bisogno del giovane prete. Sospirò sconsolato
all'idea e si avviò verso la porta.
Saltiamo
da un gemello all'altro, ritroviamo Michael mescolato tra i
turisti in visita alla Cappella Sistina, ma pare che il suo
viaggio a Roma celi qualcosa.
Intanto vorrei ringraziare LadyOscar1620 per aver recensito
la storia lasciando il suo feedbeck, cosa che fa enormemente
piacere a ogni autore, perché abbiamo un ego.
Ho altri due capitoli pronti, ho avuto meno tempo per
scrivere, devo darmi da fare :D
Grazie
a tutti i lettori.
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interessato, può passare a trovarmi presso il mio gruppo
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Capitolo 9 *** Al diavolo tutto ***
Kamar
«Sei
sicura che sia qui?» domandò Chloe, scrutando l'oscurità
del porto che avvolgeva l'auto, interrotta da qualche
lampione e qualche faro solitari. «È passata quasi una
settimana, avrà già lasciato la città, se non lo stato...»
Mazikeen aveva le caviglie incrociate sopra il cruscotto.
«No, è ancora a Los Angeles. Se avesse cercato di
andarsene, avrebbe dovuto usare i canali ufficiali e
l'avremmo pizzicato subito» rispose annoiata. «Fidati, le
mie fonti mi hanno assicurato che partirà questa notte.
Salirà sulla MSC Maxine, diretta a Mombasa. Che dovrebbe
essere da qualche parte in Africa» aggiunse.
Chloe prese il cellulare e fece una rapida ricerca,
strinse le labbra. «È una nave mercantile... I tuoi
informatori sanno in che giri è invischiato?»
«Importa avorio illegalmente» rispose il demone.
La detective ricordò le diverse cornici in avorio a casa
O'Neil, le pareva di aver visto anche altri soprammobili
di quel raro materiale, ma non sapeva dire se fosse avorio
importato legalmente o no.
Un movimento attirò lo sguardo di entrambe. Da dietro uno
dei magazzini, una figura con una giacca a vento e un
berretto ben calato sulle tempie era sbucato sul molo. Era
solo un'ombra in mezzo alla foschia che stava arrivando
dalla baia. Se si fosse comportata come suo solito, nel
giro di un'ora si sarebbero ritrovati con un muro di
nebbia, uno dei primi segni della fine dell'estate.
Scesero dall'auto e iniziarono a seguirlo. Quando furono
abbastanza vicini, Chloe riuscì a scorgere il colore fulvo
della barba dell'uomo, mentre passava sotto alla luce di
uno dei fari all'ingresso di un magazzino.
«Dorian O'Neil, LAPD, fermo!» ordinò Chloe.
L'uomo voltò il capo, ma come sentì nominare il
dipartimento di polizia, iniziò a correre nella direzione
opposta.
Mazikeen allargò le braccia e guardò la detective
incredula. «Perché li avvertite ogni volta? Volete proprio
che scappino?»
«Perché c'è una procedura da seguire, se non vogliamo
vederci annullare l'arresto da un giudice» rispose lei,
mettendosi a correre.
La demone sorrise divertita. «Be', meglio. Mi diverte
correre dietro ai questi rifiuti» disse, per poi iniziare
a correre a sua volta.
«Qui è l'unità 831, ho bisogno di un paio di pattuglie al
porto a controllare che nessuno salga a bordo della MSC
Maxine» spiegò Chloe al telefono, continuando a correre.
Non si curò della risposta, infilò il cellulare nella
tasca della giacca di jeans e curvò a destra, correndo
dietro al fuggitivo. Si ritrovò davanti al deposito di
container del porto, un dedalo di metallo ideale per
nascondersi o per un agguato.
Raggiunse una delle pareti di acciaio verniciato, vi posò
contro le spalle ed estrasse la pistola dalla fondina.
Rimosse la sicura e si sporse un istante oltre lo spigolo,
per poi tornare a nascondersi. Provò di nuovo, stavolta
scrutando la gola articiale più a lungo. Non vide alcun
movimento tra ombre che i container gettavano a terra. Si
infilò lungo il sentiero e avanzò a passo svelto, sino al
primo incrocio. Si avvicinò al limitar della parete,
tenendo la pistola con entrambe le mani, poi fece capolino
tendendo l'arma verso un vicolo chiuso. Fece una smorfia e
proseguì sino all'incrocio a T che trovò più avanti. Lì,
la luce della gru illuminava il percorso, se si fosse
buttata avanti, sarebbe stata un bersaglio facile. Se
fosse andata a sinistra, avrebbe avuto la luce alle
spalle, luce che era abbastanza bassa per dare noia agli
occhi nel caso fosse andata a destra. Se Dorian era
abbastanza disperato, avrebbe tranquillamento potuto
spararle. Forse non era così esperto da tenersi la luce
alle spalle, ma lui e il suo complice avevano ucciso un
uomo tramortito a sangue freddo, non poteva escludere che
avesse un minimo di addestramento. Tenne quindi le spalle
contro la parete destra, scrutando la via a sinistra, fin
dove lo sguardo riusciva ad arrivare senza sporgersi. Si
umettò le labbra e si sporse puntando l'arma verso destra.
La luce l'acceccò per un istante, sentì l'esplosione, il
colpo impattò contro il metallo alla sua destra, rimbalzò
colpendo la parete opposta. Chloe rispose al fuoco e tornò
a nascondersi.
Sentiva il cuore martellarle nel petto e rimbombarle tra
le orecchie. Un po' più a sinistra e il proiettile
l'avrebbe colpita. Sarebbe potuta morire. Se fosse morta,
forse avrebbe potuto raggiungere Lucifer. Per poco non si
buttò nel corridoio, sparando all'impazzata, inseguendo
quella folle idea, ma a fermarla fu il pensiero di Trixie.
Non poteva abbandonare sua figlia. Strinse il calcio della
pistola tra le dita, avvicinandosi nuovamente all'angolo,
quando udì un clangore metallico ovattato, seguito da un
gemito, un altro sparo, un urlo e poi silenzio.
Si sporse titubante, nulla accadde. Quindi si immise sul
sentiero e raggiunse l'estremità del container dietro al
quale trovò Mazikeen che troneggiava sul loro sospettato,
il cui braccio destro era piegato in maniera innaturale. A
quella vista, Chloe incassò la testa tra le spalle e provò
dolore per il malcapitato, ma si avvicinò, mentre Maze
giocherellava con la pistola sottratta al fulvo.
«Dorian O'Neil, la dichiaro in arresto» sentenziò Chloe,
ammanettandolo nonostante i versi di dolore del ragazzo.
Chloe
raggiunse
la propria scrivania e si sedette, inserendo la password
per accedere al computer.
Mazikeen la seguì e si accomodò in parte sul tavolo.
«Quindi abbiamo preso il cattivo, giusto?»
«Così sembra, ma dovrò prima interrogarlo, solo che lo hai
conciato così male che dovrà stare in ospedale per la
notte. Dovrò aspettare domani» rispose lei, iniziando a
compilare il rapporto.
«Non è colpa mia, voi umani siete così fragili...» rispose
la demone. Arricciò le labbra annoiata, si guardò le
unghie smaltate di nero e poi guardò Chloe. «Quindi ora
che fai?»
«Devo stilare il rapporto dell'operazione e poi andrò a
casa.»
«Ti guardi un film con Trixie?» chiese l'altra.
Chloe scosse il capo, mentre le dita si muovevano sulla
tastiera del computer come quelle di un pianista. «Sono le
due passate» rispose con un sorriso divertito. «Il
finesettimana lo passa con Dan» aggiunse assorta.
Maze schiuse le labbra. «Ah... vero. Quindi, ti va di
andare a festeggiare, dopo che hai finito con le
scartoffie?»
«Il caso non è ancora chiuso. Devo prima scoprire il
movente, capire perché Josh è stato ucciso.»
«Ma abbiamo preso il killer!» replicò Maze. «Poi è ovvio
che è stato ucciso perché aveva visto o sentito troppo,
no?»
«Troppo riguardo cosa?» chiese Chloe, fissandola con le
labbra tirate in una sorriso sarcastico.
La donna scrollò le spalle. «Non lo so, chi se ne frega!»
esordì, poi sbuffò. «Dai, Chloe... Linda è presa da
Charlie e ho bisogno di distrarmi» mormorò, assumendo
un'espressione dura.
Lucifer era tornato all'Inferno, lasciandola lì. Eve se
n'era andata, in cerca della sua strada, lasciandola lì.
Finiva per restare sempre sola, tutti l'abbandonavano. Era
la storia della sua vita, sin da quando era nata.
La detective ne scrutò il volto. A quelle parole, il cuore
le aveva mancato un paio di battiti. «D'accordo» concesse
infine.
La
musica picchiava nelle casse, le luci brillavano
seguendone il ritmo.
«Potevi cambiarti» commentò Mazikeen, scendendo i gradini
del Lux. Era rivestita di pelle, tutto il suo essere era
un invito che poteva far fantasticare anche il più santo
degli uomini.
Chloe indossava un paio di jeans, una camicetta blu e un
giubetto di jeans; lo stesso outfit con il quale aveva
lasciato il lavoro dopo l'operazione al porto e le
mansioni d'ufficio. «Ormai il Lux starà chiudendo e tu hai
insistito troppo per venire qua...» Non era contenta di
quella scelta. Quel posto gli risvegliava dolorosi
ricordi.
Maze si diresse al bancone, sorridendo sorniona. Fece un
cenno al barman, prendendo posto sullo sgabello. «Whisky.»
«Anche a me» disse la detective sedendosi accanto a lei.
Il barista preparò i due bicchieri davanti a loro e li
riempì. Mazikeen sorbì il proprio lentamente, poi si voltò
a guardare Chloe. «Dobbiamo ballare!»
Lei scosse il capo. «No, mi spiace, io proprio...»
«Dai! Dobbiamo festeggiare, non puoi essere sempre così...
Chloe, lasciatelo dire: sei penosa. Si vede che piangi di
notte, per cosa? Per un uomo che se n'è andato? Tsk! Vuoi
continuarti a struggerti? Ascolta me, al diavolo tutto!
Noi siamo qua, noi abbiamo diritto di divertirci» ringhiò,
svuotò il bicchiere e ancheggiando si diresse verso la
pista da ballo.
Le parole della demone erano state una coltellata, Chloe
era sul punto di rimettersi a piangere. Chiuse gli occhi,
posando la fronte contro il dorso della mano che sosteneva
il bicchiere. L'odore dell'alcolico le invadeva le narici.
«Chloe?»
La voce di Amenadiel la prese di sorpresa. Sollevò lo
sguardo e l'osservò per un istante. «Oh, Amenadiel,
ciao...» disse, sorridendo. Alzò le sopracciglia stupita e
ammirata. «Accidenti, come sei elegante...»
Amenadiel indossava un completo d'alta sartoria grigio, un
gilet scuro, probabilmente nero o blu, ma all'interno del
locale non si capiva bene, una camicia bianca e una
cravatta intonata con il gilet. «Grazie» rispose lui,
sedendosi al fianco dell'amica. «Non ti ho più visto, mi
stavo preoccupando e pensavo di venirti a trovare.»
Lei scosse il capo, portandosi una ciocca di capelli
dietro l'orecchio con una mano. «Va tutto bene, non
preoccuparti. Mi sono tuffata nel lavoro...» rispose.
Amenadiel la guardò con quell'intensità che solo lui
possedeva. Lucifer era magnetico, mentre il fratello
era... sembrava lo sguardo di Dio, pieno di amore e
comprensione.
Chloe si schiarì la voce e finì il proprio drink. «Quindi,
ora il Lux lo gestisci tu?»
L'angelo portò le iridi scure sulle persone che ballavano,
sorrise. «Mi sembrava l'unica cosa giusta da fare. Non
voglio che tutto quello di buono, che mio fratello ha
fatto, vada sprecato.»
Lei annuì, dando le spalle al bancone. Era giusto, Lucifer
teneva così tanto a quel posto. Ricordava con quanta
tenacia aveva lottato per non farlo demolire, meno di due
anni prima. «È giusto... sarebbe un peccato che il Lux
chiudesse...» ammise con voce malinconica. Non riuscì a
nascondere l'emozione nel tono di quelle parole.
Amenadiel riportò lo sguardo su di lei. «Ti rialzerai,
Chloe. Sei una donna forte, hai tutta la vita davanti...»
Lei puntò le iridi lucide nelle sue. «Mi ha lasciato. L'ho
supplicato di non andare, ma è andato via lo stesso»
disse, con la voce rotta. Strinse le labbra, chiuse gli
occhi e inspirò a fondo. «E ogni giorno mi dico che è
l'unica cosa che poteva fare, che dovrei essergli
grata...» Inspirò di nuovo e appoggiò il bicchiere vuoto
sul bancone. «Ma non ci riesco. Penso solo a tutto il
tempo che gli ho taciuto i miei sentimenti... se non ne
fossi stata così spaventata, Eve non avrebbe spinto
Lucifer nella direzione sbagliata, i demoni non sarebbero
venuti sulla Terra e non avrebbero rapito Charlie...»
disse, asciugandosi il viso con le dita, recuperando il
contegno. «È colpa mia se se n'è andato...»
Amenadiel le mise una mano sulla spalla. «Non è colpa tua,
Chloe. Fa male anche a me sapere che mio fratello è
tornato in quel luogo a scontare la sua punizione...
Punizione che ora non trovo più giusta. Lucifer è
cambiato, non merita più di stare là... Ma sono così
orgoglioso di quello che ha fatto» asserì con quella voce
angelica che rasserenava i cuori.
La donna scese dallo sgabello, sottraendosi al suo tocco.
«Non voglio parlarne. Non voglio pensarci. Vorrei
dimenticare tutto, Amenadiel. Mazikeen ha ragione, devo
festeggiare e lasciar perdere il resto...»
«Ascoltami, Chloe. So quello che stai passando, ma non
puoi tenerti tutto dentro. Parlane con Linda...» le disse
preoccupato.
Chloe deglutì, inspirò a fondo e scrollò le spalle. «Ho
cose più importanti...» mormorò, dirigendosi verso la
pista da ballo. Si affiancò a Maze e iniziò a danzare,
lasciando che i bassi delle casse le vibrassero nel petto,
nella testa, sino ad allontanare i pensieri. Prese uno
shot da uno dei vassoi di una cameriera che passava vicino
e bevve. Non voleva pensare, non voleva ricordare.
Sembra
che il caso sia chiuso e Chloe, per non farsi travolgere dai
ricordi, si avvia lungo la strada di alcol e balli nella
quale l'abbiamo trovata nel primo episodio della quinta
stagione. Ottundere la mente per dimenticare pare essere la
sua aspirazione.
Grazie
a tutti i lettori.
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preferiti/seguiti/ricordati per darle visibilità.
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Daniela
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Capitolo 10 *** Quel muro di sarcasmo e ironia ***
Kamar
«Non riesco a trovare le
chiavi dell'ufficio.» La voce di Linda giunse ovattata dal
salotto.
Amenadiel stava dando il biberon al piccolo Charlie e alzò
lo sguardo verso l'arco che separava i due ambienti. «Devi
andare a lavoro?» chiese perplesso.
«No, solo che non riesco a trovarle.»
«Le avrai appoggiate dove non le metti di solito. Per questo
non riesci a trovarle» ipotizzò l'angelo, cullando il
figlioletto.
Linda entrò in cucina, con la vestaglia a coprirne il corpo
ancora testimone della recente gravidanza. «Probabilmente è
così...» mormorò nervosa. Odiava quando capitavano simili
contrattempi. Era andata nello studio per cercare alcuni
documenti che doveva inoltrare al comune per poter mandare
avanti le consuete pratiche che ogni madre doveva far
registrare all'arrivo di un figlio e si era accorta che le
chiavi dell'ufficio a Beverly Hills non erano al loro posto.
Aveva avuto così tanto da fare, prima dell'arrivo di
Charlie, che probabilmente le aveva appoggiate da qualche
parte e ora non si ricordava dove. Aprì il frigo, prese la
bottiglia del latte e si riempì una tazza, per poi riporre
la bottiglia nel frigorifero. Si sedette al tavolo, fissando
con nostalgia la tazza di Amenadiel.
«Cosa non darei per un po' di caffè...» mormorò, bevendo un
sorso di latte.
«Non puoi berlo?» domandò perplesso l'angelo.
«Mmm» mugugnò lei, deglutendo il sorso, poi le leccò il
labbro superiore. «Non vorrei che la caffeina finisca nel
latte di Charlie...» spiegò.
«Credo che qualche strappo potresti farlo. Hai sentito il
medico?»
Lei fece una smorfia. «Lo sai che sono...»
Amenadiel sorrise. «Iperprotettiva?»
La donna arricciò il naso. «Giusto un pochino» commentò,
sbuffando divertita.
«Non me n'ero assolutamente accorto!» scherzò lui, mettendo
il biberon vuoto sul bancone della penisola, per poi
appoggiare Charlie sulla spalla e dargli qualche lieve
colpetto sulla schiena, sino a quando il neonato non fece un
ruttino. A quel punto lo sistemò sulla sdraietta a dondolo
che ormai dominava il tavolo della cucina. «Hai per caso
sentito Chloe?» chiese con voce sommessa, per non disturbare
il piccolo che, dopo il pasto, stava per addormentarsi.
«No, perché?»
«Ieri è venuta al Lux, in compagnia di Maze...» esordì lui.
«Al Lux? Non me l'aspettavo» disse lei stupita.
«Perché?» domandò Amenadiel andando a sedersi vicino a lei.
«Il Lux era la casa di Lucifer e Chloe era molto legata a
lui. Molte persone non riescono a frequentare luoghi così
pieni di ricordi dopo una separazione dolorosa come deve
essere stata questa» mormorò, senza nascondere la tristezza
nella voce. In fondo, Lucifer era anche suo amico, le era
affezionata e non aveva avuto modo di salutarlo ma
soprattutto di ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto
per suo figlio.
«Lucifer non è morto» provò a sdrammatizzare l'angelo.
«Per te è diverso. A te basta aprire le ali per volare da
lui, se solo lo volessi. Mi domando perché tu non lo
faccia...» mormorò. «Per Chloe, per me, per Maze è diverso,
non abbiamo ali per fare avanti e indietro dall'Inferno. E
se anche fosse possibile... con questa sorta di...» di
umettò le labbra, cercando la metafora adatta, qualcosa per
esprimere quel concetto, «fuso demoniaco è tutto più
complicato!»
«Non posso portare un umano vivo all'Inferno» sottolineò
l'altro.
Lei agitò una mano a mezz'aria. «Appunto! Lucifer se n'è
andato, sono sconvolta io che non l'ho nemmeno salutato o
ringraziato, Chloe deve stare passando qualcosa di peggio.
Il loro rapporto era speciale, particolare e ora è finito.
Kaput!» spiegò agitata. «Non era un rapporto semplice, ma
sembrava finalmente arrivato a un punto di svolta... eppure
Chloe si è trovata davanti a un muro» mormorò, bevendo
ancora un poco di latte. «Anche per Lucifer non deve essere
facile. Stava finalmente iniziando a tirare fuori le
emozioni più profonde, quelle che ha sempre nascosto dietro
a quel muro di sarcasmo e ironia per tenere fuori gli
altri...»
Amenadiel aggrottò la fronte. «Tenere fuori gli altri?
Lucifer?» Il tono era decisamente sarcastico, visto la
promiscuità del fratello.
Lei annuì, mandando giù l'ennesimo sorso. «Era una difesa,
Amenadiel. Lucifer è incapace di relazionarsi con i suoi
veri sentimenti, non ha fatto altro che seppellirli per...
eoni! Finalmente aveva iniziato a grattare la superficie, ad
abbassare un poco quelle gigantesche mura che si era
costruito attorno. Metaforicamente parlando» sottolineò,
guardando l'espressione assorta di Amenadiel.
«Forse dovresti parlare con Chloe» propose l'angelo.
Lei scosse il capo. «Deve essere lei a cercare qualcuno con
cui parlare. Deve superare questo periodo con le sue forze.
È una donna equilibrata, lo supererà, ne sono certa... ma ha
bisogno dei suoi tempi e dei suoi spazi. Se la incontri,
comportati normalmente.»
Lui alzò le sopracciglia, ragionando su quelle parole, poi
sospirò. «Sei tu la psicologa...» concluse.
«Dorian O'Neil, sono il
detective Chloe Decker. Mi sto occupando del caso relativo
alla morte di Josh Carrey» la solita frase introduttiva,
solo che il luogo era insolito. Il sospettato aveva subito
un trauma cranico, oltre alla frattura dell'omero, quindi
era ancora ricoverato sotto osservazione, piantonato da un
agente all'ingresso della stanza.
L'uomo aprì gli occhi, verdi come quelli del gemello, e
fissò la donna, la quale non poté fare a meno di deglutire
impercettibilmente.
Gemelli. Non le era mai capitato di incontrarne una coppia e
la cosa la disturbava, o forse era più l'idea che uno dei
due avesse usato la somiglianza con il fratello per avere
dei vantaggi e, peggio, l'avesse sfruttato e ingannato per
il proprio tornaconto.
Chloe si schiarì la voce e aprì il proprio block notes.
«Abbiamo rintracciato i suoi conti, anche i tre all'estero.
Abbiamo le prove che importava illegalmente avorio. Abbiamo
abbastanza materiale per incriminarla e farle scontare molti
anni di prigione. Abbiamo anche una testimonianza che la
colloca sul luogo della morte di Josh Carrey all'ora in cui
è stato ucciso, presenza confermata anche dal suo DNA
rinvenuto sul luogo del crimine. Se ci mettiamo anche che
avrebbe potuto uccidermi, rischia l'ergastolo, Dorian. Se ci
aiutasse a determinare con esattezza i fatti, potrebbe
ottenere uno sconto di pena.»
Lui si umettò le labbra, quello inferiore era ancora gonfio
e tumefatto, proprio nel punto nel quale Mazikeen glielo
aveva spaccato. «Ho importato l'avorio, è vero, ma non ho
ucciso nessuno...» esordì con voce roca. «Lo stavo
inseguendo, poi quello è caduto a terra e sono corso dietro
a un ragazzo che era con quell'uomo. Non so cosa aveva
visto, non potevo rischiare...»
«Voleva uccidere anche lui?»
«No!» rispose senza esitazione Dorian. «Senta, io non ero
solo. Io mi occupo di far entrare l'avorio e consegnarlo a
chi lo piazza poi sul mercato nero. Quella sera mi ero
incontrato con Pedro Hernandez, lui è arrivato dannatamente
in ritardo. È stato lui a mettere quel poveretto sui binari
mentre il convoglio si muoveva, quando me ne sono accorto,
sono corso indietro per fermarlo, ma era troppo tardi»
confessò con una smorfia, ricordando lo spettacolo che gli
si era parato davanti agli occhi.
«Perché stava minacciando Pedro con una pistola?» chiese
Chloe.
«Come le ho detto, era in ritardo. Più tempo rimanevo in
quel posto, più c'era rischio che qualcuno potesse
vedermi... Doveva essere uno scambio veloce, lo avevo già
fatto diverse volte e non c'erano mai stati problemi»
assicurò.
«Può darmi qualche dettaglio, per determinare la genuinità
della sua storia?»
Dorian chiuse gli occhi, strinse le labbra in una smorfia.
«Quell'uomo... Josh...» Esitò. Era tutto così difficile ora
che quel poveretto aveva un nome. «Josh stava correndo
diversi metri davanti a me. È caduto a terra e l'ho visto
mugugnare a terra, quindi ho proseguito dietro all'altra
persona che era con lui, lasciando Josh a Pedro. C'era un
convoglio che si muoveva, ma era così lento che quello che
correva si è chinato e c'è passato sotto. Ho esitato, ma
dovevo fermarlo e l'ho seguito. Mentre passavo oltre, mentre
ero ancora chinato, ho visto Pedro trascinare... Josh fino
al convoglio e metterlo sulla rotaia. Non sono riuscito a
fermarlo» disse, piangendo. «Sono ripassato sotto ai vagoni,
ma era troppo tardi. Il treno è passato sopra il collo di
quel poveretto, il sangue è schizzato addosso a Pedro. Mi ha
chiesto dov'era l'altro ma ero così scioccato da non
riuscire a rispondergli. Lui si è guardato attorno, s'è
tolto la giacca e l'ha usata per pulirsi il viso, poi ha
preso il borsone con l'avorio e se n'è andato. Sono scappato
anche io... Ce ne siamo andati via divisi» assicurò.
Chloe lo fissò annuando. «Un'ultima domanda: perché? Perché
mettersi a trafficare avorio? Lo ha fatto per denaro?»
Lui scosse il capo. «Sono sempre stato la pecora nera...
Anche quando ho studiato arte per fare il restauratore e poi
sono diventato antiquario, nessuno mi ha mai preso sul
serio» disse con uno sbuffo. «La mia è una famiglia dove
tutti hanno la testa sulle spalle mentre io...» scosse il
capo. «Io non mi sono sposato perché viaggiavo spesso per
lavoro e per i miei era un punto di demerito anche quello.
Un giorno, mentre ero a Zanzibar per l'ennesimo viaggio di
lavoro, mi si avvicina uno e senza troppi giri di parole mi
ordina di portare dell'avorio negli USA. Quando ho detto no,
ha messo sul tavolo una foto di Marvin e la sua famiglia e
una della sua casa. Disse che se non lo facevo, li avrebbero
uccisi tutti, che lo avrebbero fatto anche se fossi andato
alla polizia...» disse, puntando le iridi in quelle di
Chloe. «Lei cosa avrebbe fatto?»
Il ricordo di quando Malcom aveva rapito Trixie riaffiorò
nella mente della detective. Aveva rubato un borsone con il
denaro sequestrato durante la fuga di Malcom, si era recata
da sola a incontrarlo, sapendo che era una trappola, ma
doveva farlo per salvare sua figlia. Quel giorno Lucifer era
quasi morto. Deglutì.
«Non lo so» rispose.
Il
cerchio pare che si stia chiudendo!
Grazie
a tutti i lettori.
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interessato, può passare a trovarmi presso il mio gruppo
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Daniela
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Capitolo 11 *** Tutti assieme appassionatamente ***
Kamar
Aveva sorvolato l'Inferno più
volte, aveva percorso i suoi lugubri corridoi sino a
consumarsi le scarpe, eppure non aveva trovato un solo
indizio che lo portasse ai rivoltosi dei quali suo fratello
aveva parlato.
La cosa stava iniziando a diventare noiosa, ma se aveva
passato del tempo fermo in un'auto senza fare sesso, poteva
sopportare anche quello. Era chiaro che a quel punto degli
eventi fosse necessario approcciarsi al problema in maniera
più discreta, come avrebbe fatto lei.
Lucifer sospirò al ricordo. Quanto tempo era passato sulla
Terra? Magari lei aveva ripreso la sua vita come sempre,
occupandosi della piccola parassita che non contribuiva
all'affitto, il detective Douche le avrebbe coperto le
spalle. Sicuramente al distretto le avevano già assegnato un
nuovo partner che la proteggesse, non che lei ne avesse
bisogno, ma lui preferiva pensare fosse al sicuro. Se le
fosse accaduto qualcosa, se lei fosse morta...
Si accarezzò le labbra, meditabondo a quel pensiero, e alzò
lo sguardo alle nubi vorticanti sopra la sua testa. Lui era
stato bandito dal Paradiso, non l'avrebbe mai rivista, ma
avrebbe preferito così, piuttosto che vederla all'Inferno,
dove sarebbe stato costretto a torturarla e no, quello non
l'avrebbe sopportato.
Chloe era fastidiosamente buona e altruista, non sarebbe
potuta finire all'Inferno, ma era anche fastidiosamente
umana, aveva fatto degli errori, ma li aveva fatti a fin di
bene, era pronta a sacrificarsi per la piccola umana,
sottrarre prove non ne avrebbe intaccato la morale e
l'etica, non l'avrebbe fatta finire lì.
Un movimento attirò il suo sguardo. Il Diavolo sorrise. Sino
a quel momento si era sempre comportato a modo suo, ovvero
palesando tutto il suo potere per tenere buoni i suoi
sudditi, ma era chiaro che non fosse l'approccio adeguato.
Era ora di mettere lanciare la propria esca.
Il demone si muoveva furtivo,
cercando di tenersi nascosto alla vista dell'alto trono del
Signore Oscuro. Si guardò attorno circospetto, per poi
aprire la porta di una delle celle e scivolare al suo
interno. Non si accorse delle iridi di zaffiro che lo
fissavano gelidamente.
Il corvo planò silenziosamente, atterrando davanti a quella
porta, riassunse le sue sembianze umane e, dopo aver
controllato di non essere osservata, entrò a sua volta.
I contorni della realtà sfumarono, assumendo un altro
aspetto e Ravekeen si ritrovò in un parco, circondato da
edifici. Una grossa insegna sul lato del viale riportava il
nome del luogo: University of Southern California.
Ravekeen aveva torturato abbastanza umani per sapere cosa
significasse un luogo simile. Mutò il suo aspetto, per
assomigliare a una studentessa che aveva interpretato in
passato in un altro loop infernale e attraversò il campus.
Sotto a un grande albero diversi demoni stavano inveendo
contro un'anima dannata.
La demone entrò in uno degli edifici e percorse il
corridoio, incrociò un paio di studenti che limonavano
davanti agli armadietti. Stupidi demoni lavativi che si
divertivano invece che tormentare le anime. «Datevi una
regolata» ringhiò con disprezzo. Fece una smorfia ed entrò
nell'aula, una stanza imponente con una cinquantina di
studenti seduti nell'emiciclo e diversi professori sul palco
in fondo, che facevano lezione di fronte alla lavagna. Uno
di loro però era vestito in maniera differente, sembrava uno
studente, che si stava divertendo accendendo e spegnendo uno
zippo.
La porta alle spalle di Ravekeen si aprì; evidentemente i
due lavativi si erano decisi a fare qualcosa di utile.
«Le nostre ferite si sono ormai rimarginate, ancora qualche
giorno e ci muoveremo» disse uno dei professori.
Uno studente alzò la mano per porre una domanda. «Lucifer è
tornato, non sarà un problema?»
«Ne parleremo a tempo debito» rispose il professore.
«Ah!» un'esclamazione alle spalle di Ravekeen attirò lo
sguardo degli insegnanti e di diversi studenti, che si
alzarono. La demone stessa si voltò, trovandosi Lucifer alle
spalle, vestito come uno studente... come lo studente che
limonava nei corridoi.
«Io vorrei proprio sapere la risposta, in realtà e credo che
sia il momento adatto per spiegare...» esordì il Diavolo,
continuando a scendere le scale. Additò il piromane in erba,
sorridendo estatico. «Michael Simmons, presumo!»
Il ragazzo si era alzato e guardava confuso gli insegnanti
accanto a sé, incerto su cosa fare.
«Non essere timido! Sei una specie di un unicorno, un'anima
dannata che nonostante sia all'Inferno non sta venendo
punita come si deve, anzi!» esclamò Lucifer, guardando i
professori. «Credo mi dobbiate spiegare diverse cose...»
disse, assumendo tono cupo e un'espressione mortalmente
seria. «Asmodeus» aggiunse, mentre un ghigno sarcastico gli
si disegno sulle labbra. «Magari vuoi illuminarmi?»
A partire dal nominato, i demoni assunsero il loro aspetto
originale, umanoide, eppure mostruoso, qualcuno con le carni
marcescenti che lasciavano vedere le ossa, altri simili a
corpi mummificati. Asmodeus era differente, biondo,
avvenente, indossava un completo due pezzi color sabbia, con
camicia nera. Peccato per gli occhi con la pupilla
orizzontale come quelle delle capre e i denti affilati come
rasoi, ma fortunatamente in quel momento non stava
sorridendo.
Il povero Michael Simmons non era evidentemente preparato a
quella carrellata di orrori e iniziò a urlare di puro
terrore, finché a un cenno della mano di Asmodeus, due
demoni non lo trascinarono via.
Asmodeus era chiaramente il leader di quel gruppo di demoni.
Avanzò verso Lucifer, affondando le mani nelle tasche dei
pantaloni di velluto. Sorrise, scoprendo la dentatura
ferina. «Mio Signore, è bello riaverti qui» esordì, chinando
il busto in avanti in segno di rispetto.
Lucifer si voltò di scatto, fermando la mano armata di
Ravekeen, prima che la lama demoniaca gli affondasse nel
collo. Con un movimento rapido e aggraziato della mancina,
afferrò il pollice dalla demone, le torse il polso con la
mano destra, strappandole un gemito di dolore e l'arma, per
poi far roteare il pugnale in mano, dopo aver infilato
l'indice destro nell'anello all'estremità dell'impugnatura.
«Sembra che l'esempio di Dromos non sia stata una lezione
sufficiente» disse Lucifer, fissando severamente Asmodeus.
«Sono stato paziente, Ass-modeus...» disse con un ghigno
furente sulle labbra.
Il demone inclinò la testa verso la spalla sinistra e
strinse le labbra in un'espressione mortificata. «Tu,
paziente? Tu ci hai abbandonato, noi eravamo la tua famiglia
e poi sei tornato... per cosa? Forse perché ti preoccupava
di queste anime dannate? O di noi?» Scosse il capo. «La tua
unica preoccupazione è stata proteggere la Terra. Persino
quell'idiota di Dromos alla fine ha capito che non eri più
degno di guidarci... Perché, da quello che si dice, il primo
angelo caduto sembra che ora abbia a cuore una mortale»
commentò il demone, per poi fare fissare Lucifer con
disprezzo. «Non c'è posto per i teneri di cuore qui
all'Inferno, non c'è più posto per te.»
Un movimento sul limitare del campo visivo attirò
l'attenzione del Re dell'Inferno, il quale si volse di
scatto ma non vide nulla. Una risata argentina,
fanciullesca, gli fece salire i brividi lungo la schiena. Si
girò in cerca della fonte di quel suono, ma i suoi occhi non
incontrarono nulla, però si accorsero dei demoni che stavano
fuggendo dalla porta dove era scomparsa anche l'anima di
Michael Simmons.
Stava per partire all'inseguimento, quando sentì chiaramente
una vocetta infantile.
«Fratellone...»
Il timbro era così simile a quello della progenie di Chloe,
ma Lucifer sapeva che non si trattava di Trixie. Si voltò e
lo vide, un bambino di non più di dodici anni, i biondi
capelli a caschetto, splendevano come il grano maturo,
mentre gli occhi azzurri erano gelidi come i ghiacciai
alpini.
Indossava una camicia bianca e il lederhose, ovvero i
pantaloncini in pelle della tradizione bavarese.
Una serie di spostamenti d'aria lo avvisò dell'arrivo degli
altri. Le iridi di Lucifer si mossero rapidamente attorno a
sé, individuando tutte e diciannove le figure, dieci
bambine, nove bambini, tutti attorno ai dodici anni e i
maschi con i lederhosen e le femmine con il dirndl, il
classico abito femminile bavarese con grembiule.
Il Diavolo sorrise. «Fratellini e sorelline... Sembrate
pronti per il remake di Tutti assieme appassionatamente...»
esordì Lucifer, adocchiando qualsiasi via di fuga.
Prima della sua ribellione,
gli Zabanyya erano i gemelli più pestiferi di tutto il
Paradiso. Lui era sempre stato convinto che Papà e Mamma
si fossero distratti mentre li creavano o, forse, crearne
19 contemporaneamente non era stata una grande idea
nemmeno per Dio e la suprema Dea. Erano dei monelli
ingrati e disubbidienti e non ascoltavano nessuno, a parte
Maalik. Ancora nessuno si spiegava come quei ragazzacci
inclini al riso avessero fatto a legare così tanto con il
musone del Paradiso ma, se era vero che gli opposti si
attraggono, il legame che c'era tra loro e suo fratello
Maalik ne era la dimostrazione perfetta.
Con movimenti sincronizzati, gli zabanyya estrassero i
pugnali, 19 lame arcuate, forgiate all'Inferno che avrebbero
potuto uccidere angeli o demoni senza alcun problema.
Lucifer sorrise. «Oh, avanti, voi dovreste sorvegliare
l'Inferno. Fatemi passare...» disse con poca convinzione.
Percepì il movimento alle proprie spalle e per un soffio
riuscì a parare e deviare la lama di una delle ragazzine.
«Già, dovremmo sorvegliare il perimetro, mentre tu avresti
dovuto sedere sul trono» sibilò lei.
«Sono tornato» disse serio. Un altro spostamento d'aria.
Spalancò le proprie ali e si alzò in volo, evitando per un
soffio due fendenti, portato da altre due di quelle piccole
pesti. Compì una rotazione e atterrò su uno dei banchi
dell'emiciclo. Si mise rapidamente in posizione di difesa,
portando lo sguardo sui bambini.
Stavano ridendo.
Giocavano con lui come il gatto con il topo. Erano stati gli
angeli più veloci, avevano dato parecchio da fare ai soldati
fedeli a Papà quando erano insorti.
«Sei tornato» commentò una voce alle sue spalle.
Lucifer si voltò di scatto, deglutendo nel trovarsi uno dei
fratelli così vicino.
«Troppo tardi!» commentò quello, sorridendo, prima di
cercare di colpirlo con un montante del pugnale.
Il Diavolo deviò la lama con la propria, poi d'istinto cercò
di contrattaccare, ma il ricordo di Uriel lo frenò. Non
poteva uccidere un altro dei propri fratelli. La punta del
pugnale demoniaco si fermò vicinissima alla gola dello
zabanyya. «Non voglio farvi del male» disse accorato.
Diversi battiti d'ali, gli altri diciotto bambini avevano
schiuso le loro ali e stavano volando all'impazzata. Lucifer
faceva fatica a seguirli con lo sguardo. D'un tratto venne
colpito alle spalle, con una violenza, cadde in avanti,
travolgendo il fratellino, conficcandogli la lama nella
gola.
«No!» esclamò sconvolto, mentre il corpicino sotto di lui si
dissolse. Aggrottò la fronte, mentre gli zabanyya di
fermavano.
Quello che aveva appena ucciso era davanti a lui, illeso.
Il Diavolo lo guardò incredulo.
«Stupito?» chiese quello. «Te l'ho detto: è troppo tardi.
Siamo morti. Non ci puoi uccidere con quella lama, ma noi
possiamo uccidere te. Ti abbiamo seguito nella tua guerra,
Samael, siamo venuti all'Inferno con te e tu? Tu ci hai
abbandonato per cosa? Perché eri stanco? Pensi che noi non
lo fossimo? Credi che sorvegliare il perimetro fosse
divertente? Ti abbiamo seguito perché la Ribellione sembrava
un gioco divertente!»
Attaccarono in quattro, contemporaneamente. Lucifer schivò
due lame, ne deviò una terza, mentre la quarta gli lacerò la
giacca. Guardò il taglio nella stoffa, sorprendendosi che
non fosse arrivato alla carne.
«Basta giocare» disse una delle sorelline.
«No, divertiamoci ancora un poco» rispose uno dei fratelli.
Le lame demoniache vennero piantate all'unisono su banchi,
poi gli Zabanyya aprirono contemporaneamente le loro ali
brune.
Seguì una tempesta di colpi. Lucifer riuscì a schivarne
qualcuno, pararne qualcun altro, ma erano troppi. Si ritrovò
a terra, ogni movimento gli provocava dolore e sentiva in
bocca il sapore ferroso del sangue. Tossendo, si girò su un
fianco, poi sull'addome e si mise in ginocchio, osservando
quelle piccole, letali pesti. Loro erano il motivo per cui
lui odiava i bambini.
Ragazzi e ragazze tornarono a brandire i pugnali. Si erano
stancati di giocare con lui, non riuscivano mai a
focalizzare l'attenzione troppo a lungo su un'unica cosa.
Ecco, doveva riconoscere che un po' ci si rivedeva.
Si umettò le labbra. Non
poteva fermare diciannove lame contemporaneamente.
«Maalik, dannazione, te l'avevo detto che avevo bisogno di
te...» ringhiò alzandosi in piedi, tastandosi il labbro
spaccato con i polpastrelli.
Un momento. Maalik gli aveva detto di ricordare. Lui era il
Re dell'Inferno.»
I diciannove monelli scattarono verso di lui, per porre fine
a quel gioco.
Vi
lascio con il cliffhanger e una brutta notizia: non ho
altri capitoli pronti. Mannaggia, ho dovuto far delle
commissioni che non mi hanno lasciato tempo di scrivere.
Ho solo una misera paginetta pronta... Vedrò
di darmi da fare e spero di poter postare con regolarità.
A questo giro voglio ringraziare Inf4nity, per aver messo
la storia tra le preferite.
Grazie
a tutti i lettori.
Se la storia vi piace, per cortesia, mettetela nei
preferiti/seguiti/ricordati per darle visibilità.
Per chi fosse
interessato, può passare a trovarmi presso il mio gruppo
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Daniela
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Capitolo 12 *** Padre è un manipolatore ***
Kamar
Aveva
scoperto la grappa italiana e non la trovava male.
Michael
era seduto alla scrivania, mentre due pretucoli lavoravano
alacremente con gli alambicchi, seguendo il complicato
procedimento
che serviva a distillare il liquido della purificazione. La
ricetta
era menzionata su alcuni rotoli del Mar Morto e affondava le
sue radici nell'antica Babilonia.
Gli
umani pensavano che fosse un portento divino per esorcizzare
il
Demonio, ma quando gli avevano tradotto i passi delle
pergamene,
l'angelo aveva compreso che quel liquido poteva intossicare
e
indebolire un qualsiasi angelo, mentre era inutile contro i
demoni.
Probabilmente era un ritrovato dei Lilim per poter portare
avanti una
guerra chimica con il Paradiso che, per non si sa quale
motivo, era
finita in mano agli umani. Magari era qualcosa rimasto nelle
menti
degli umani dopo una possessione demoniaca, prima che Papà
ordinasse
a Lucifer di dare regolata ai suoi demoni. In realtà,
nemmeno Michael
poteva sapere come quella ricetta era finita agli umani e,
francamente, non gliene importava poi molto.
Aveva
lasciato ai preti l'incombenza di preparare il distillato,
mentre lui
stava continuando a leggere le annotazioni della Dottoressa
Martin
relative alle sedute con suo fratello.
C'era
qualcosa che Lucifer sembrava aver fatto diverse volte, a
differenza
sua. Appoggiò i fogli sul tavolo, prese il bicchiere con la
mancina
e bevve un sorso di grappa.
«Avete
mai baciato una donna?» domandò, occhieggiando i due
prelati. Uno
era il giovane, l'altro era ormai verso i sessanta.
Quest'ultimo
scosse il capo, mentre il primo abbassò lo sguardo.
«Padre
Vittorio, tu sembra abbia l'aria colpevole» commentò con un
sorriso
compiaciuto.
«Sono
diventato prete dopo una delusione d'amore...» confessò lui.
«Amore»
ripeté atono Michael, sbuffando infastidito. «Quindi hai
baciato.
Come si bacia una donna che si ama?»
Il
giovane si strinse nelle spalle. «Basta seguire il proprio
cuore,
penso.»
L'angelo
alzò gli occhi al cielo. «Per l'amore di mio Padre...»
mormorò,
per poi sospirare. «Devo fare pratica: cosa consigliate?»
«Per
trovare una donna che ti ami?» domandò Padre Henry. Era
originario
del Ghana e aveva un accento particolare, ma parlava
benissimo
l'inglese, meglio che l'italiano.
Michael
sbuffò. «Devo fare esperienza di carnalità. Devo
interpretare un
ruolo molto ostico, la persona che andrò a interpretare è
sempre
stata molto attiva sul profilo carnale, quindi per essere
credibile,
devo capire come funziona» spiegò senza pudore. «Il bacio
soprattutto, è un concetto che mi è totalmente alieno. Sia
chiaro, so come si fanno queste cose, ma solo perché le ho
viste fare.»
«Magari
puoi andare un bar, avvicinare una signora...» esordì Henry.
«Sei una specie di guardone?» domando il giovane Vittorio,
all'occhiataccia dell'angelo si rimise al lavoro. «Trova
una prostituta. Se è solo la carnalità che ti interessa, chi
meglio
di loro» propose.
«Le
prostitute non baciano» commentò Henry. «Almeno così diceva
Julia
Roberts in Pretty Woman.»
Vittorio
rise, poi osservò la fiala e sorrise. «Alleluia! Siamo
riusciti a
riempirla!» disse, chiudendo il piccolo contenitore.
Michael
si alzò, raggiunse il tavolo da lavoro e scansò i due umani
con le
braccia. «Finalmente. Ci avete messo quasi un mese!»
protestò,
prendendo la fiala tra le dita, osservandone il contenuto.
«Signori,
spero di non aver più bisogno di voi» commentò poi,
avviandosi
alla porta, dopo aver fatto sparire l'oggetto nella tasca
sinistra.
Non
appena ebbe lasciato la stanza, i due religiosi si
riscossero. La
presenza di quello straniero li metteva in soggezione, li
faceva
stare sempre sul chi vive, con la sensazione che ogni mossa
potesse
essere sbagliata.
Vittorio
raggiunse il corridoio, per assicurarsi che Michael se ne
fosse
andato e, effettivamente, era così. Lui non era in vista, ed
era
bizzarro: era come se fosse volato via. Vittorio scosse il
capo e
chiuse la finestra che dava sul cortile. Sopra i tetti,
faceva
capolino la cupola di San Pietro.
Uscì
sul balcone, incurante della propria nudità. Si stava
abituando a
mantenere una postura simile a quella del gemello, ma quando
era
sovrappensiero, la spalla destra tornava a sollevarsi,
palesando il
suo inganno.
Le
stelle autunnali brillavano sul cielo romano ed erano molto
più
numerose che nella città delle stelle. Per quanto fosse
grossa, Roma
non era nulla a confronto di Los Angeles. La temperatura era
attorno
ai dieci gradi, ma Michael non ne risentiva. Lasciò
scivolare le
iridi scure sulla cupola della Chiesa di Santa Maria del
Popolo.
L'Italia gli piaceva, aveva tantissime chiese e diverse
erano
dedicate a lui, ospitando affreschi che lo ritraevano mentre
cacciava
Lucifero dal Paradiso.
A
quel ricordo, avvertì una fitta alla spalla destra e si
ritrovò a
sospirare. Si accomodò su una delle poltrone del terrazzo
della
Popolo Suite dell'Hotel de Russie, massaggiandosi la spalla
con la
mancina.
Un
colpo di tosse dall'interno della camera da letto, gli fece
tendere
l'orecchio, ma non avvertì altro. Le sue ospiti non si erano
svegliate. Aveva provato il sesso, sicuramente gradevole, ma
nulla
per cui impazzire. Il desiderio era un campo per il quale
Samael era
tagliato, lui no. Lui era sempre stato quello responsabile,
troppo
occupato a preoccuparsi per il futuro, a pianificare che
tutto fosse
perfetto, per permettersi simili velleità.
Samael
era sempre stato più un tipo d'azione, riflettere non era
nelle sue
corde. Se si fermava a riflettere, le sue insicurezze lo
divoravano.
Linda Martin non aveva scoperto molto di nuovo, rispetto a
quello che
già lui sapeva. Certo, Chloe Decker era un discorso diverso.
Il suo
piano si era ormai delineato, mancavano solo alcuni
dettagli, ma
l'idea era pronta: sostituirsi a Lucifer, strappare al
gemello la
tanto agognata prima volta con quell'insignificante umana,
trattarla
in modo che lei non volesse mai più avere a che fare con
quell'idiota di Samael. Una volta spezzato quel legame tanto
speciale
per il fratello, le insicurezze lo avrebbero sommerso.
Perché
Lucifer non era altro che un bambino petulante in cerca
dell'approvazione di qualcun altro, che fosse Papà, Mamma o,
ora,
Chloe Decker.
Chiuse
gli occhi, riempiendo i polmoni con l'aria fresca di quella
notte
romana.
«Papà,
ci hai creato come soldati, per combattere...»
«Non
è del tutto corretto, Samael» rispose loro Padre, mentre
Michael li
seguiva, qualche passo più indietro.
Samael
agitò una mano, scacciando un'invisibile mosca da davanti a
sé.
«Dettagli» disse. «Però pensavo che darsi pugni e calci da
mattina a sera sia un po' monotono. Non potremmo avere
qualcosa da utilizzare per farlo?
Remiel vorrebbe dare la caccia ai cervi, ma scappano.»
«Quindi
a te e ai tuoi fratelli e alle tue sorelle servono delle
armi?»
chiese Dio, fissando benevolmente il figlio.
Samael
ci rifletté qualche istante. «Armi? Cos'è un'arma?»
Dio
sollevò le mani davanti a sé, i gomiti aderenti al busto, i
palmi
della mano rivolti verso l'alto. Un lampo di luce costrinse
tutti a
socchiudere gli occhi. Quando il bagliore si spense, tra le
mani di
loro Padre vi era uno strano oggetto, aveva un'impugnatura e
una parte
appiattita e appuntita.
«Cos'è
quest'oggetto di forma fallica, Papà?» domandò Samael,
sorridendo divertito.
«Una
lama, sarà la spada di Azrael» sentenziò Dio.
Un
vociare si levò attorno a loro e in men che non si dica, la
nominata
accorse a vedere cosa Padre avesse creato per lei. Dio
le diede l'arma e la ragazza la guardò con curiosità. «A
cosa
serve?» domandò, per poi agitarla.
Papà
le prese un polso delicatamente e le sorrise. «Piano,
figliola. È un oggetto
pericoloso. Se trafiggessi uno dei tuoi fratelli o sorelle,
annienteresti la loro anima. Servirà a scandire la mortalità
dell'esistenza.»
«Cos'è
un'anima?» domandò Amenadiel.
«L'anima
è l'essenza immortale di ogni mia creazione» spiegò il
Padre.
«Nostra»
sottolineò Madre, raggiungendo il marito. «Perché creare
qualcosa
che può annientare i nostri splendidi bambini?» chiese al
compagno.
«Perché
ho un piano e per metterlo in pratica devo creare l'Uomo.»
Un'esclamazione
di stupore risuonò tra gli angeli.
«Che
cos'è?» chiese curioso Samael.
Dio
gli sorrise. «La creazione a cui sto lavorando. Creerò per
lui un
giardino e inizialmente sarà immortale, come voi, figli
miei. Ma lo
metterò alla prova e se fallirà, diventerà mortale» spiegò,
guardando benevolo i proprio figli.
Michael
inclinò la testa verso una spalla, con espressione assorta.
Perché
Papà aveva creato la spada per Azrael? Se l'uomo avesse
superato la
prova, non sarebbe servita... O forse, l'aveva creata poiché
sapeva
che l'Uomo non avrebbe superato quell'impresa. «Quindi
la spada di Azrael, servirà ad annientare l'anima dell'Uomo
se
fallirà la prova?» domandò al genitore.
«No,
Michael. L'anima dell'Uomo sarà immune alla spada, solo la
sua vita
ne verrà influenzata.»
Michael
lo guardò per qualche istante. «Quindi, la spada verrà usata
solo
se l'Uomo fallirà la prova e diventerà mortale.»
Dio
sorrise, annuendo, quindi si allontanò assieme alla Dea
della Creazione, ma gli angeli la videro poi allontanarsi
contrariata.
«Incantevole!»
Michael spostò le iridi sul gemello. «Cosa?»
«Be',
finalmente ci sarà una nuova creatura. Non vedo l'ora di
incontrarla, magari ci sarà da imparare qualcosa di nuovo!»
«Oltre
a masturbarti?» chiese con una punta di divertimento nella
voce.
Samael
rise. «Lo ammetto, ho un po' esagerato, ma la mia è solo
curiosità
su come il mio corpo reagisce. Il tuo no? Non ti chiedi mai
come
siamo nati?»
«Papà
e Mamma ci hanno creati» rispose tranquillo Michael.
«Ma
come?» lo incalzò il fratello.
«Perché
creare qualcosa che può interrompere una vita ma non l'anima
dell'Uomo, a meno che non sia certo che questi fallirà la
prova?» chiese
invece, guardando Samael, il quale aggrottò la fronte.
«Prudenza,
no? Nell'eventualità che l'Uomo fallisse la prova, sarà già
tutto
pronto.»
«A
meno che non abbia già deciso dall'inizio come andranno le
cose e farà
in modo che vadano come vuole lui...» ipotizzò l'altro.
Samael
aggrottò la fronte e sorrise nervoso. «Pensi che Papà
manipolerebbe gli umani?»
Michael
lo guardò cupo. «O forse anche noi» soffiò a fil di labbra,
poi sorrise. «No, sicuramente no! Vorrebbe dire che
nostro Padre è un manipolatore e sarebbe terribile. Ci
sarebbe da
averne paura, non credi?»
Samael
sorrise, ma lo sguardo era preoccupato. Annuì incerto e
Michael
ricambiò il sorriso del gemello.
Quella
fu la prima volta in cui mise il dubbio, il timore, nel
cuore di
qualcuno.
Ieri
mi sono data da fare e ho scritto un poco. È difficile
immaginare la vita degli appena creati Angeli. Cioé mi
immagino il povero Lucifer e la sua insaziabile carica
sessuale... e nessuno con cui sfogarla, visto che le
uniche creature esistenti all'inizio erano solo i suoi
genitori e i suoi fratelli e, abbiamo visto, come
nonostante sia il Diavolo non pratichi
l'incesto.
Grazie
a tutti i lettori.
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interessato, può passare a trovarmi presso il mio gruppo
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Daniela
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Capitolo 13 *** Che Michael se lo porti! ***
Kamar
Tornò
a casa a notte fonda, faticando a centrare il buco della
serratura
con la chiave. Cercò di chiuderla senza fare troppo rumore,
quindi
si mosse furtivamente, attraversando l'appartamento. Si
fermò
davanti la camera di Trixie e sbirciò oltre la porta. La
piccola
dormiva beatamente e Chloe sorrise. Salì le scale, solo una
volta al
piano superiore accese le luci, si infilò nel bagno, si
spogliò ed
entrò nella doccia.
Si
sentiva la testa leggera a causa di tutto l'alcol che aveva
ingurgitato e nelle orecchie sentiva ancora i bassi delle
casse, che
avevano sparato musica a volume sostenuto.
Il
lavoro le teneva la mente impegnata, le serate con Mazikeen
l'aiutavano a non pensare, ma quando tornava a casa,
lentamente la
consapevolezza tornava.
Mentre
l'acqua scorreva sulla sua pelle, le dita della mano destra
andarono
a sfiorare la cicatrice sopra la clavicola sinistra, dove
era rimasto
il segno del proiettile che Jimmy le aveva sparato.
Chiuse
il rubinetto e si tirò i capelli indietro, poi uscì dalla
doccia,
avvolgendo sotto le ascelle un morbido asciugamano di
spugna. Le ci
volle diverso tempo per asciugare la lunga chioma bionda,
non erano
ancora scesi sotto i 15 gradi di notte, ma le giornate si
erano
notevolmente accorciate e la temperatura non era più quella
dell'estate. Si avvicinava Halloween e dopo ci sarebbe stato
il suo
compleanno.
Raggiunse
la camera da letto, indossò il pigiama dai colori scuri,
poi,
sedendosi sul letto, aprì un cassetto del comodino ed
estrasse il
ciondolo, guardandolo con tristezza. Non riusciva più a
indossarlo
da quando lui se n'era andato, le faceva troppo male. La
catena era
sottile, in oro, mentre come ciondolo vi era il proiettile
con cui
lei aveva colpito il Diavolo alla gamba destra. Rise
debolmente,
mentre una lacrima le sfuggì dall'angolo delle ciglia,
scivolando
lungo la gota. Le faceva male, ma ricordava le parole che
Lucifer le
aveva rivolto quella notte. Era il suo compleanno, quello di
un anno
prima.
Strinse
gli anelli di metallo tra le dita, unì le mani in preghiera.
C'era
forse un modo per farsi ascoltare? Lucifer non aveva mai
avuto un
buon rapporto con suo Padre, ma magari a lei l'avrebbe
ascoltata. Si
ritrovava ogni sera a pregare, ma nel momento in cui
congiungeva le
mani, non riusciva ad articolare i pensieri.
Lei
era Chloe Decker, una semplice umana, che si era innamorata
del
Diavolo. Come poteva pregare per riaverlo indietro, per
riaverlo
nella sua vita, senza sembrare arrogante? Mise via la
collanina, poi
si infilò sotto alle coperte e spense le luci.
«Mi
manchi così tanto...» mormorò, rannicchiandosi sotto le
coltri.
«Buongiorno,
Chloe!» esclamò Ella, abbracciandola come al solito. La
scienziata
la guardò in viso e titubante chiese di Lucifer.
Chloe
scosse il capo. «No, mi spiace, non si è fatto sentire.» Non
avrebbe potuto.
«Cavolo!
Posso capire che non risponda alle mie chiamate, ma non
farsi sentire
nemmeno da te... Non è da lui!»
Chloe
sorrise. «Lo conosci... Avrà trovato qualche donna
interessante in
Florida e si starà bevendo qualche drink in spiaggia.»
«Che
Michael se lo porti!» replicò Ella.
La
detective la fisso perplessa. «Come?»
«L'uragano.
Il Centro Nazionale Uragani lo ha appena catalogato come
uragano di
tipo 1, ma sta acquistando potenza. Dovrebbe arrivare sulla
Florida
tra uno o due giorni» spiegò avvilità. «Lo so, la mia è
stata
una battuta infelice, ma sono così arrabbiata con quel
cabron!»
Chloe
la prese un braccio, accarezzandola affettuosamente.
«Tranquilla»
le disse. Ormai era brava a seppellire le sue emozioni.
«Abbiamo
qualcosa su Hernandez?»
«Nessuna
novità. Come già ti dissi, risulta che ha attraversato il
confine
la mattina successiva al delitto. C'è un mandato d'arresto
internazionale sulla sua testa, quindi possiamo solo
incrociare le
dita.»
La
detective annuì. «Quindi, se non arriverà qualche caso,
anche oggi
avrò tempo per sistemare le scartoffie.»
«Godiamocelo,
finché dura!» rispose Ella, dirigendosi verso il
laboratorio.
Chloe
raggiunse la propria scrivania, si tolse la giacca
appendendola alla
sedia, vi prese posto e prese il mucchio di documenti ancora
da
sistemare. Gli ultimi casi ai quali aveva lavorato con
Lucifer, tra i
quali Julian McCaffrey e suo padre, Jacob Tierning. Chiuse
gli occhi
e inspirò, poi si mise al lavoro.
Dan
si avvicinò alla sua scrivania e le mise un bicchierone di
caffè
davanti. «Caffè lungo, senza zucchero, con latte di mandorla
scremato e una spruzzata di caramello, a te» commentò
sorridendo.
Chloe
alzò lo sguardo su di lui, stupita. «Ehi, sei di buon umore
oggi»
disse, ricambiando il sorriso.
«Oh,
sì! Ho finito di leggere alcuni libri che mi ha prestato
Linda e mi
si è aperto un mondo. Ho trovato il modo per superare...»
sospirò,
«sai, Charlotte...»
Lei
annuì, prese il bicchiere e ne bevve un sorso, godendo del
calore
del liquido scuro. Aggrottò la fronte, notando il bracciale
di
Daniel. «Cos'è?»
«Oh!
Questo? L'ho fatto io. Mi aiuta a sbloccare i miei chakra»
spiegò.
«Grande»
rispose Chloe con convinzione, anche se in realtà non
credeva molto
nell'efficacia della New Age, ma se qualcosa faceva stare
meglio
Daniel ed era innocua, allora andava benissimo.
Si
ritrovò a pensare che l'ex marito era più responsabile di
lei, che
affogava il dispiacere nell'alcol. Non era mai tornata a
casa
devastata, solo perché doveva pensare a Trixie. Lei era il
suo mondo
prima che conoscesse Lucifer e continuava a esserlo.
Ella
arrivò trafelata con un foglio in mano. «Ragazzi, la polizia
di
Tijuana ha preso Hernandez!»
«Ottimo!»
esclamò Daniel. «Ora dobbiamo solo richiedere
l'estradizione.»
La
scienziata forense fece una smorfia. «Ehm...» Fece
schioccare le
labbra. «C'è stato uno scontro a fuoco e Pedro Hernandez
pare sia
rimasto ucciso» spiegò e lasciò il documento che portava sul
tavolo di Chloe. Si trattava di una fotografia, decisamente
sgranata,
probabilmente un frame di una delle bodycam di uno degli
agenti.
Ritraeva una bella villa con aiuole ben curate. Era qualcosa
di
familiare alla detective.
«Questo
è il luogo dove hanno fatto irruzione?» chiese Daniel
perplesso.
«Già,
pare che il traffico d'avorio renda davvero bene» rispose
Ella.
«Cosa
sappiamo della casa?»
La
nerd la guardò perplessa. «Nulla, ho solo l'indirizzo.
Perché?»
«Perché
ho già visto una foto di questa casa e voglio capire perché
il
nostro Pedro era lì, se c'è un collegamento.»
«Dove
l'hai vista?» le domandò Dan.
«A
casa di Marvin O'Neil. C'erano diverse foto che ritraevano
le loro
vacanze e diverse erano in una villa come questa.»
«Dovrò
scomodare qualche amico, ma vedo cosa riesco a scoprire»
commentò
Ella, allontanandosi.
L'uragano
Michael ha colpito gli Stati Uniti nell'ottobre del 2018.
Ho pensato fosse una coincidenza troppo gustosa per non
sfruttarla.
Grazie a Kathe93 che ha deciso di recensire la storia, mi ha fatto molto piacere!
Grazie
a tutti i lettori.
Se la storia vi piace, per cortesia, mettetela nei
preferiti/seguiti/ricordati per darle visibilità.
Per chi fosse
interessato, può passare a trovarmi presso il mio gruppo
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Daniela
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Capitolo 14 *** Un gatto infuriato ***
Kamar
Un
vento infuocato scese dall'alto, fermando l'attacco degli
zabanyya.
Maalik comparve tra le fiamme, atterrando davanti a Lucifer.
I
bambini alati si arrestarono di colpo, fissandolo stupiti,
per poi
scambiarsi occhiate frenetiche.
«Come
osate?!» tuonò il custode. «Attaccare il Re
dell'Inferno, voi dovreste essere al suo servizio!»
I
mini angeli abbassarono gli occhi, assumendo un'aria
mortificata. «Ma
lui ci ha abbandonato! Perché lui può evitare la sua
punizione
quando vuole, mentre noi non possiamo nemmeno giocare e
scherzare con
gli altri?» pigolò una ragazzina.
Maalik
mise le mani sui fianchi e con cipiglio severo la fissò, gli
occhi
parevano ardere come fiamme. «Lucifer ha sbagliato. Non è la
prima
volta che lo fa e non sarà l'ultima. Ma ha imparato, è
tornato.
Avete la fortuna di essere qui, tutti assieme... Sono certo
che anche
se senza un corpo, ora possiate comunque essere utili come
guardiani»
spiegò paziente.
«Come?»
chiese uno dei fratellini.
«Siate
gli occhi e le orecchie di nostro fratello. Non come servi o
prigionieri, ma come fratelli e sorelle. Come amici» rispose
il
custode.
«Occhi
e orecchie...» ripeté una ragazza.
Uno
dei fratelli le sorrise. «Sarà come giocare a Guardie e
Ladri!»
In
una battito di ciglia i 19 zabanyya volarono via, lasciando
solo
qualche piuma a fluttuare leggera nel punto dove poco prima
si
trovavano.
Lucifer
si alzò in piedi, spazzandosi la polvere di dosso e si
tamponò un
labbro sanguinante. «Ben fatto, Squee» commentò Maalik,
mentre le fattezze di Maalik lasciarono posto a quelle
dell'umano che il demone aveva
posseduto durante la sua visita sulla Terra.
Lucifer
era il Re dell'Inferno e aveva dei vantaggi nell'Underworld.
Aveva
fermato quel loop temporale, bloccando i fratellini. Era
corso via
per recuperare il primo demone che gli capitasse a tiro e il
destino
gli aveva messo di fronte Squee, il quale fu ben contento di
rendersi
utile per risalire un po' nella scala di gradimento del
Signore
Oscuro.
Così
Squee aveva interpretato l'unico angelo a cui quelle pesti
alate
davano retta e il piano aveva funzionato.
«Ora
sparisci» commentò Lucifer. «Se capiscono il trucco,
diventeranno
più molesti di un gatto infuriato intrappolato dentro le
mutande...»
aggiunse, guardando con rammarico lo stato del proprio
completo. «Ah!
Porta via quelle lame demoniache» ordinò, indicando i vari
pugnali
rimasti nell'aula. «Distruggile.»
Squee
lo guardò incredulo. «Distruggerle? Ma potrebbero tornare
utili!»
«Basta
uccisioni! Io sono un punitore, voi siete i miei sottoposti.
Questo
inutile vortice di morte deve finire!» ruggì, ripensando ai
fratelli caduti in quella guerra intestina.
«Questo
posto fa proprio schifo!» protestò Four, tenendo la mano di
Lucifer, che cercava di divincolarsi da quel contatto
molesto.
Gli
zabanyya non avevano mai avuto un nome proprio ed erano
tutti così
simili tra di loro che per riconoscerli il Diavolo aveva
affibbiato
loro dei numeri, applicando degli adesivi numerati sui loro
vestiti
tradizionali.
«Già»
le fece eco Six, prima di estrarre l'indice affondato nella
narice e
pulirlo contro i pantaloni del fratellone.
«Ehk!»
Lucifer protestò disgustato e cercò di allontanare i piccoli
monelli. «Dovete proprio starmi così attaccati?» domandò,
proseguendo lungo il corridoio. Era la prima volta che
faceva uscire
delle anime da una delle celle, ma sembrava che anche i
demoni
fossero in grado di farlo. I suoi molesti fratelli
infeltriti avevano
scoperto che Michael Simmons non era più in quella cella.
Gli
avevano anche detto che c'erano altre anime umane in
quell'unica
stanza.
I
demoni avevano quindi imparato a contenere più anime in
un'unica
cella, in modo che i ricordi di tutte quelle anime creassero
un
complicato incastro di sovrapposizioni, rendendo difficile
trovare i
rivoltosi. Ecco perché non torturavano Michael, serviva loro
per
sfuggire alle intenzioni del Diavolo, e non era il solo
umano usato a
quello scopo.
D'improvviso,
Eleven lo abbracciò alle spalle, stringendogli le braccia
attorno al
collo e aggrappandosi a lui come un koala, Four riguadagnò
la sua mano e Six gli si attaccò alla gamba.
«Per
l'amor di Papà!» protestò, scollandoseli di dosso
nell'ilarità
dei minori. «Non statemi così appiccicati, insomma!»
«Ma
Jana dice che ti piace avere gente appiccicata addosso!»
obiettò
Eleven, camminando all'indietro, davanti a lui.
«Jana?»
chiese perplesso.
«L'hostess!»
«Ah!
Jana! È finita qua... poveretta» comprese infine Lucifer,
ricordando come l'assistente di volo
avesse interrotte il suo primo momento con Chloe, prima di
restare
uccisa. «Be'»
esordì, sottraendo la mano al tentativo di presa da parte di
Four. «Mi piace se si tratta di affascinanti donne e non
dell'inquietante fusione di Tutti Assieme Appassionatamente
e Il
Villaggio dei Dannati» obiettò con un sorriso teso.
«Di
qua!» intervenne Six, indicando il corridoio laterale.
«Finalmente...»
Lucifer svoltò l'angolo e si fermò con espressione
perplessa,
guardando il manichino sul quale faceva bella mostra di sé
un
elegante completo di Prada. Attorno a esso vi erano gli
altri piccoli
teppisti biondi.
«Cosa
significa?» chiese sospettoso.
«Sei
il Diavolo! Non puoi mica andare in giro conciato come Adamo
dopo la
cacciata dal Paradiso Terrestre!» obiettò Ten.
Lucifer
abbassò lo sguardo sul proprio vestiario e sollevò le
sopracciglia
per un istante. «Vero... ma questo da dove arriva?»
Tutti
i bambini alzarono la mano all'unisono.
«Io
ho fatto la giacca!»
«Io
il fazzoletto da taschino!»
«Io
i gemelli per i polsini!»
Fu
un susseguirsi di rivendicazioni che lasciarono il Diavolo
interdetto.
Lucifer
li additò con prudenza, muovendo gli indici sui vati mini
angeli
attorno a lui. «Aspettate... In che senso li avete fatti?»
I
bambini si guardarono incerti. «Fatti» sottolineò Twelve,
schioccando le dita. Sul palmo della mano libera gli
comparve una
fiasca di metallo, finemente decorata a bulino.
Seventen
la prese tra le mani e la stappò, mentre Eight unì i palmi
sopra
l'imboccatura e si concentrò per un istante. Un liquido
ambrato
sgorgò dalle sue mani, finendo dentro al contenitore.
Poco
dopo, One consegnò la fiasca a Lucifer, il quale la stappò e
ne
odorò il contenuto. «Non è... urina di angelo, vero?
Dall'odore
non direi...»
Two
lo fissò divertito. «Siamo anime, fantasmi... non possiamo
fare
pipì.»
«O
sudare» commentò Fourten.
«O
sputarci dentro! Non avere un corpo fa schifo!» intervenne
Four.
«È
il nostro potere» spiegò Seven.
Avere
tutte quelle persone attorno che gli parlavano era strano.
Di solito
gli piacevano le orge, ma gli sembrava di essere tornato in
quella
scuola privata con Trixie. «Credevo il vostro potere fosse
la
velocità...»
Diversi
bambini si strinsero nelle spalle. «Be', essere veloci è
figo!»
«Voi...
siete in grado di creare... cioè... avete il potere di
Papà?»
Gli
zabanyya lo guardarono come se avesse bestemmiato. «No!»
rispose
Nine. «Possiamo creare solo oggetti inanimati e non troppo
complicati...»
Lucifer
ridacchiò e gli mosse l'indice sotto il naso. «No, no, no,
tu non
me la racconti giusta. Non vi ho mai visto creare nulla in
Paradiso!»
Nineten
incrociò le braccia la petto. «Sul serio? Samael, tu ci
evitavi
come la peste quando eravamo in Paradiso!»
«E
non ci sei nemmeno rimasto per molto» aggiunse la sorella.
«Comunque»
riprese Nineten, «in Paradiso non era divertente creare
qualcosa,
c'era già tutto!»
«A
parte un Gundam» commentò Sixten.
«Vero,
ma quello non saremmo in grado di crearlo...» rispose
Nineten,
riportando poi lo sguardo su Lucifer. «Allora? Non ti
piacciono i
nostri regali? Insomma, tu ci fai giocare a questa caccia al
demone e
ci sembrava il minimo contraccambiare!»
Il
Diavolo bevve un sorso di alcolico e alzò le sopracciglia
stupito.
«Non male...» mormorò riferendosi al distillato, per poi
portare
lo sguardo sul manichino e sorridere tagliente. «È ora di
cambiarsi
per la festa.»
Insoliti
alleati per il nostro Diavolo che detesta i bambini, ma al
momento ogni aiuto gli serve. In questo capitolo vengono
citati molti film o anime del passato. Tutti assieme
appassionatamente, film disney che penso tutti conoscano.
Il villaggio dei dannati, film horror basato su un
racconto di Stephen King, dove c'erano tutti questi
bambini con il caschetto biondo, decisamente inquietanti.
Gundam, nello specifico il primo, l'RX78, un mecha, ovvero
un robottone pilotato da un uomo. Si tratta di un anime di
quando era bambina, e ne hanno realizzato un modello
dimensioni reali che si muove per davvero per le olimpiadi
di Tokyo 2020, sfortuntamente rimandate causa
Covid.
Grazie
a tutti i lettori.
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Daniela
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Capitolo 15 *** Troppi -el in famiglia ***
Kamar
Amenadiel finì a terra e si
rialzò, sputando a terra un grumo di sangue e saliva.
Michael e Samael si rimisero in posizione di difesa, era
come guardare la stessa immagine riflessa in uno specchio.
«Non mi batterete» ringhiò il maggiore.
«Forza, fratello, non avrai paura di perdere» ipotizzò
Michael, sorridendo sornione. Samael rise divertito a quella
battuta, per poi deviare con un movimento elegante il colpo
di Amenadiel. Contemporaneamente, il gemello si abbassò,
stese la gamba sinistra in avanti, bloccando l'avanzata del
piede del fratello maggiore, il quale si sbilanciò. A quel
punto, Samael colpì con forza la nuca di Amenadiel che finì
nuovamente a terra.
«Bravo, Samael. Sei il migliore di tutto il Paradiso!» urlò
Uriel.
Samael si voltò e sorrise. «Grazie, fratellino! Tu, sì, sei
uno che capisce! Io sono il migliore!» esclamò, allargando
le braccia, mentre gli angeli lo applaudivano.
Michael lo guardò, percependo un nodo alla bocca dello
stomaco. Perché applaudivano lui? Se non avessero
collaborato, Amenadiel avrebbe vinto facilmente. Proprio su
quest'ultimo portò le iridi. Si stava rialzando e sembrava
davvero molto arrabbiato. Istintivamente si irrigidì, pronto
a difendere il gemello, ma si fermò. Samael prendeva sempre
il merito di cose che ottenevano assieme.
«Samael!»
Quando questi si voltò, il gancio destro di Amenadiel lo
colpì sotto al mento. L'angelo venne sollevato di più di un
metro e ricadde a terra, pesantemente.
Michael lo guardò girarsi su un fianco, mentre Uriel si
avvicinò ad Amenadiel, mettendogli una mano sulla spalla.
Samael sbuffò e si accasciò a terra, incapace di rialzarsi.
«Lo sapevo!» esclamò il giovane Uriel. «Lo avevo visto che
avresti vinto.»
«Come sempre, Uri. Sono il guerriero più forte!» sentenziò
Amenadiel. La sua non era proprio arroganza, era un dato di
fatto. Nessuno riusciva a batterlo. Ci volevano Michael e
Samael assieme per metterlo in difficoltà.
«Scusa...» disse mestamente
Michael, tamponando il volto tumefatto del gemello. «Non
l'ho visto rialzarsi...»
Samael sorrise. «Non è colpa tua. Amenadiel è forte come un
toro celeste!» Gli diede una pacca amichevole sulla spalla e
si tastò il sopracciglio spaccato. Poi prese la pezza
bagnata dalle mani del gemello e gli tamponò sopra il
labbro, pulendolo dal sangue. «Ci ha conciato per le
feste... e tutto da solo!»
Michael sorrise e annuì. «Sì, faccio ancora fatica a mettere
a fuoco!» rispose divertito.
«Chissà a che gli serve, a Papà, avere un soldato forte come
Amenadiel...» commentò l'altro.
Ogni allegria scomparve dal volto dell'arcangelo. «Credo
faccia parte del suo piano...»
Samael lo guardò perplesso. «Quale piano?»
Michael scosse il capo. «Non lo so. E non credo ce lo
dirà...»
«Di certo non ora... Da quant'è che è si è nascosto per
lavorare all'Uomo?»
Il gemello si strinse nelle spalle. «Abbastanza da fare
arrabbiare Mamma...»
«Vero» disse con tono duro Samael. «Non è giusto!» protestò
poi, alzandosi in piedi. Si voltò verso di lui e gli puntò
il dito contro. «Sai che ti dico, Michael? Nostro Padre sta
sbagliando!»
Michael sgranò gli occhi e si alzò in piedi, guardandosi
attorno. Portò l'indice alle labbra. «Samael, parla piano!»
«No. È troppo tempo che Papà non ci dà le giuste attenzioni,
i nostri fratelli litigano ogni giorno, Mamma è arrabbiata.
Poi questa cosa del Libero Arbitrio a me piace tantissimo,
ma non sei il primo che dice che Papà ha un piano.»
Michael allargò le braccia. «E se anche fosse?»
«Se anche fosse, vorrebbe dire che noi siamo solo pedine per
lui! Create solo per... gioco. Il suo gioco e lui ci muove
come vuole. Ogni giorno che passa ho sempre più prove di
questa cosa e, allora, sai cosa? Si fottesse! Non sarò più
la sua pedina!»
«Oh, dai, Samael, non...»
«No! Non Samael. Quello è il nome che mi ha dato lui. Voglio
un nome mio!»
Michael lo guardò perplesso. «Tipo... Amenadiel?»
L'altro scosse il capo. «No, no... troppi -el in famiglia»
rispose, per poi fermarsi e sorridere. «Ci sono. Da oggi, io
sarò Lucifer! Lucifer Morningstar, visto che Azrael ha detto
che sono bello come la stella del mattino.»
Il gemello lo guardò preoccupato. «Non saprei, Sam...»
All'occhiataccia del fratello si corresse. «Lucifer. Non
pensi che Papà possa arrabbiarsi?»
«Meglio! È proprio quello che voglio. Solo facendogli capire
che ho capito il suo trucco e che non sarò più una sua
pedina, comprenderà il suo sbaglio! Perdona la
ripetizione...»
Michael fece una smorfia. «Lascia perdere. Papà ora è così
preso che non ti ascolterà nemmeno!»
Lucifer sorrise mefistofelicamente. «Oh, mi ascolterà! Farò
così tanto rumore, che sarà costretto a farlo. E tu,
fratello, mi aiuterai!»
Lui lo fissò interdetto, puntandosi il petto con l'indice.
«Io?»
«Vai a parlare con i nostri fratelli che trovi da quella
parte. Io invece andrò da quest'altra parte. Metti loro un
poco di paura sul comportamento di nostro Padre, così che si
convincano ad appoggiarmi.»
«Appoggiarti in cosa?»
Lucifer gli appoggiò le mani sulle spalle. «Sto per dare
inizio a una rivoluzione, Michael! Se sarà necessario,
tirerò giù Papà dal suo trono e lo costringerò a patire
quello che ha fatto provare a noi tutti!»
Michael deglutì. «Vuoi... spodestare... Papà? Dio? Lucifer,
è impossibile! Papà è l'Onnipotente, non lo puoi battere!»
Lui si incupì e annuì. «Hai ragione. Mi serve un'arma... Vai
a rubare la spada fiammeggiante dal suo armadio.»
Michael strabuzzò gli occhi. «Rubare cosa?»
Il gemello gli sorrise sbarazzino e schiuse le candide ali.
«Hai capito benissimo! Sarà divertente!» Volò via e Michael
rimase a fissare il cielo azzurro. Lo stupore lasciò il
posto a un sorriso velenoso.
«Sarà molto divertente...»
Inizio
ringraziando di nuovo Kathe93 che ha lasciato una nuova
recensione.
Poi posso affermare quasi con certezza che ci saranno
altri tre capitoli che porteranno alla conclusione di
questa long.
Praticamente i prossimi tre capitoli saranno la
conclusione delle tre differenti trame trattate
sinora.
Grazie
a tutti i lettori.
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Daniela
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Capitolo 16 *** Lo rimarrà per sempre ***
Kamar
«È una villa in
multiproprietà, ma questo non è abbastanza per convincere un
giudice. I diversi proprietari potrebbero non essersi mai
visti...» spiegò Dan, in piedi nel laboratorio della
scientifica.
Sul tavolo erano sparsi diversi documenti, atti di
proprietà, mappe catastali, permessi edilizi, relativi alla
villa in Messico, ma anche le informazioni raccolte sui vari
proprietari.
«Eppure il mio istinto mi dice che Marvin è collegato con
Hernandez. È una coincidenza troppo marcata il fatto che sia
lui che la sorella di Hernandez fossero proprietari di
quella villa...» replicò Chloe, rileggendo gli incartamenti.
«Se non possiamo provare che Pedro e Marvin si conoscevano,
non otterremo mai un mandato...» rispose il suo ex marito, scuotendo il capo.
La donna fece una smorfia, frustrata.
«Un momento...» disse Ella, digitando sulla tastiera. La
scienziata aveva seguito lo scambio tra i due ex coniugi
distrattamente, troppo occupata nell'ultimare la sua
ricerca, ben lungi dal terminarla, ma forse aveva trovato
qualcosa.
«Cosa c'è, Ella?» chiese Dan, guardando la foto satellitare
della casa messicana sul monitor del laptop.
«Rammentate il caso Ruiz?»
Chloe annuì. «Eravamo in un vicolo cieco, quando grazie alle
parole di Lucifer ti è venuto in mente di controllare le
foto che i satelliti scattano saltuariamente.»
«Esatto» rispose la donna. «Ho sfruttato un programma di
riconoscimento facciale per collocare Pedro Hernandez nella
villa in Messico e guardate questa immagine» disse eccitata,
digitando alcuni comandi sulla tastiera. Il proiettore a
soffitto ricreò l'immagine del monitor del portatile,
zoomando sul giardino con piscina e riportando la foto sul
telo da proiezione.
«Quello è Hernandez» constatò Dan.
«Esatto. Sfortunatamente le altre persone in foto non sono
riconoscibili, ma sicuramente la donna in foto non è la
sorella di Pedro» spiegò Ella.
«Come fai a dirlo?» chiese Chloe.
«Questa foto è stata scattata ad Aprile del 2015 e in quel
mese lei era in Texas, ricoverata a Houston, presso la
clinica del dottor Nowzaradan» spiegò la scienziata.
«Quello del reality?» domandò Dan. Lei annuì.
«Quale reality?» chiese Chloe.
«Be', c'è questo programma dove il dottor Nowzaradan si
occupa di pazienti con gravi problemi di obesità. Ogni
paziente si sottopone a un anno di trattamento presso la
clinica di Houston. Angela non è mai entrata nello show, ma
era comunque ospite della clinica. Ha pagato l'intero
trattamento e affittato un'abitazione a Houston con i soldi
che le dava il fratello, ho controllato» spiegò Ella.
Chloe portò lo sguardo sull'immagine proiettata sul telo. Si
concentrò soprattutto sulle persone non identificabili.
Sembrava una giornata in famiglia, una bella grigliata nel
giardino di casa, anche se la prospettiva era decisamente
insolita.
«Ella, questo cos'è? Un cane?» domandò una macchia in un
angolo del fotogramma.
Ella si voltò verso il computer, digitò nuovi comandi,
spostando lo zoom sull'area indicata da Chloe. «Sì,
decisamente un cane, bianco e nero, meticcio... Non mi
sembra molto utile...» disse scettica.
Chloe sollevò una mano, muovendola leggermente in aria, come
faceva spesso quando qualcosa le veniva in mente e si
sforzava per trovarle la giusta collocazione.
Raggiunse il proprio tablet, si collegò a Wobble e fece una
rapida ricerca, per poi sorridere e mostrare quanto trovato.
Era un post del maggio 2015, dove Laura O'Neil faceva gli
auguri al figlio per il suo compleanno con una bella foto
che ritraeva il bambino con in braccio un cagnolino bianco e
nero. La didascalia recitava:
“Auguri al mio
piccolo tesoro, che per il suo settimo compleanno ha visto
realizzarsi il suo sogno di avere un cane. Vi presento Togo,
salvato da un canile messicano dove era in attesa di
eutanasia! Adottate, non comprate!”
Dan sorrise. «Adesso ce n'è abbastanza per richiedere un
mandato!»
Nonostante avessero ottenuto
il mandato, Chloe non riusciva a trovare un nesso che
coinvolgesse Marvin O'Neil nel traffico d'avorio.
Sicuramente lui e Pedro Hernandez si conoscevano, ma il
primo sembrava completamente estraneo a quel losco giro di
affari. Gli oggetti d'avorio che erano nella sua casa erano
doni del gemello, non aveva conti segreti, non conduceva una
vita da nababbo, niente faceva supporre che fosse anche solo
lontaneamente coinvolto.
Eppure c'era qualcosa che non tornava, un tarlo che grattava
alle pareti della mente della detective.
Marvin mise il lucchetto
nell'anello della catena e lo chiuse, assicurandosi poi che
il cancello del cantiere fosse bloccato. La giornata di
lavoro era finita, poteva finalmente tornarsene a lavoro.
«Signor O'Neil» esordì Chloe.
Lui si voltò, la guardò e sorrise. «Detective Decker, buon
pomeriggio» commentò.
«Posso scambiare due parole con lei?» chiese la donna.
Marvin annuì, infilandosi le chiavi in tasca. «Mi dica.»
«Sappiamo che lei conosceva Pedro Hernandez» esordì lei e
lui annuì. «Sapeva che era un trafficante d'avorio?»
L'uomo annuì ancora. «Sì, ma non c'ho mai fatto affari.»
«Non lo ha nemmeno mai denunciato.»
«Non avevo prove. Una chiacchierata davanti a una birra non
credo avrebbe molto peso in tribunale» confessò l'altro,
sorridendo candidamente.
«Quello che non capisco è come Pedro e la sua organizzazione
siano arrivati a Dorian, suo fratello» commentò lei.
Marvin annuì, si strinse nelle spalle e le si avvicinò.
«Potrei avergli parlato di mio fratello.»
Chloe lo scrutò in viso. «La pecora nera della famiglia...»
Lui sorrise. «Dorian? Si è solo fatto schiacciare dal senso
di colpa per un errore che ha fatto in gioventù, la realtà è
che era il mio eroe, uno spirito libero, indomabile. L'ho
sempre invidiato quando eravamo ragazzini. Spigliato,
creativo, andava d'accordo con tutti.»
«Che errore?» domandò Chloe.
«Una volta, avevamo sedici anni, eravamo ad Aspin, a sciare.
Una bellissima settimana bianca... Dorian era bravo, ma lo
sci era una cosa dove io riuscivo meglio, solo che lui è
sempre stato più coraggioso e avventuroso di me. Anche più
sconsiderato...» raccontò, infilandosi le mani in tasca.
«Dorian è sempre stato un tipo competitivo. Così quando
alcuni ragazzi del posto ci sfidarono, lui accettò la sfida.
Ammetto di averlo caricato pure io, ma quando si è messo in
testa di scendere da una pista nera ho cercato di
dissuaderlo. Invece alla fine ha vinto lui e siamo scesi. Ma
io mi sono rotto entrambe le gambe e mi sono fatto un anno
in un letto e anni di riabilitazione. Lui non se l'è mai
perdonata, anche se la colpa era un poco mia. Se non lo
avessi caricato, forse non avrebbe mai accettato quella
sfida.» Si accarezzò la barba e strinse le labbra. «Da
allora si è sempre sentito... inadatto, ha sempre cercato di
riabilitarsi ai miei occhi.»
Chloe assottigliò lo sguardo. «Ci è riuscito?»
Marvin sorrise e scosse il capo. «No. Ha cercato di
comprarci con bei regali, ma io so che la sua è tutta una
pagliacciata. Non cadrò più nella sua trappola... Quando lo
avete arrestato, è stata solo l'ennesima prova che è sempre
il solito ribelle che non vuole seguire le regole e che non
si preoccupa per niente e nessuno, se non se stesso.» Si
spostò e si incamminò verso la propria auto, superando
Chloe.
Lei si girò e lo guardò. «Ti rendi conto che forse è finito
in quel giro per colpa tua? Sei tu ad aver parlato di lui a
Pedro. Se gli hai detto che lui si sentiva in colpa per te,
forse Hernandez ha deciso di sfruttare questa sua
debolezza!»
Marvin si fermò e si volse in parte a guardarla,
stringendosi nelle spalle. «Magari, gli ho parlato di Dorian
apposta. Te l'ho detto. Per quanto cercherà di riabilitarsi
ai miei occhi, è un ribelle, lo rimarrà per sempre. Prima o
poi sbaglierà di nuovo.»
«Dorian è entrato nel giro perché i trafficanti hanno
minacciato te e la tua famiglia. Non conta nulla, questo?»
Lui inspirò. «Questo non vuol dire che sia cambiato... La
gente non cambia, Detective. Ho fatto qualcosa di illegale e
mi deve arrestare?»
Chloe avrebbe voluto prenderlo a pugni, ma si ritrovò a
scuotere il capo. «No, ero qui solo per fare due
chiacchiere...»
Marvin sorrise. «Ottimo. Allora le auguro una buona serata,
Detective.» Si voltò, raggiunse la macchina e si allontanò
con essa.
Chloe sospirò avvilita. Lei avrebbe pagato per aver un
fratello con cui litigare durante la sua infanzia ma qui si
trattava di una malsana rivalità tra fratelli e sembrava di
terrificante. Per una volta, ringraziò il cielo di essere
figlia unica.
Inizio
ringraziando di nuovo LadyOscar1620 che ha lasciato una
nuova recensione.
Con questo capitolo si conclude la trama di Chloe. Non ha
preso l'assassino, solo perché è rimasto ucciso, ma ha
scoperto una rivalità tra fratelli gemelli che non poteva
nemmeno immaginare. E che, per chi ha visto la prima parte
della quinta stagione, ricorda quella tra Michael e
Lucifer... o perlomeno spero la ricordi, io ci ho provato
Grazie
a tutti i lettori.
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Daniela
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Capitolo 17 *** Il tuo sarà un regno solitario ***
Kamar
Tutto era luce, come sempre,
ma per una volta c'era silenzio. Nessuna musica vibrava
sulle pareti della grande sala del trono.
Amenadiel spinse avanti Lucifer e lo costrinse in ginocchio,
al centro della sala, poi arretrò, confondendosi tra gli
altri. I loro fratelli urlavano al ribelle che aveva osato
scatenare una rivolta in Paradiso, una parte di loro erano
furenti per quello che era accaduto, una parte zitta,
colpevole, sconfitta, a capo chino e in silenzio. Tutti
erano feriti, ma quello messo peggio, era lui, Michael.
Non aveva ceduto la spada a Lucifer e nella colluttazione la
lama infuocata aveva colpito il gemello di Samael. L'ala
destra penzolava inerte, solo qualche tendine e fascia
muscolare le impediva di staccarsi dal moncherino al quale
era attaccata.
La spada fiammeggiante era un'arma portentosa e terribile.
Le ferite da lei provocate non si rimarginavano. Chi
guardava Michael era ben conscio che non avrebbe più potuto
volare in quello stato.
Lucifer non riusciva nemmeno a guardarlo, teneva lo sguardo
a terra e Michael era certo che fosse furibondo, ma anche
spaventato. Oh, lui la sentiva la sua paura. Sentiva il
timore di tutti in quella grande sala che di solito ospitava
banchetti e concerti.
«Samael...»
La possente voce di Dio rimbombò sulle pareti, facendo
vibrare i vetri.
Michael guardò il gemello, lo vide incassare la testa tra le
spalle, serrare la mascella e alzare lo sguardo su loro
Padre.
«Il mio nome è Lucifer» disse caparbio, per poi sorridere.
«Finalmente ti sei degnato di tornare tra noi» aggiunse
caustico.
«Che cos'hai fatto, Samael?» domandò Dio con tono basso.
Lucifer si alzò in piedi. «Ho cercato di fare quello che
avresti dovuto fare tu, Papà. Prendersi cura di noi, della
Mamma e della nostra casa!» ruggì arrabbiato.
Michael lo guardò impassibile. Suo fratello mordeva per
mascherare la sua paura.
Dio si alzò dal suo trono e Lucifer abbassò lo sguardo,
facendo un passo indietro. L'Onnipotente scese i gradini e
arrivò davanti a Michael, il quale si lasciò cadere sulle
ginocchia.
«Papà...» singhiozzò disperato. «Perdonami. Ho provato a
dissuaderlo» assicurò supplicante. Quella recita non era
difficile. Il dolore all'ala era terribile, lo costringeva a
tenere la spalla destra sollevata, e gli sembrava ancora di
percepire il calore delle fiamme divorare le sue carni.
Dio gli posò una mano sul capo e gli sorrise benevolo.
L'angelo si sentì inondato da un calore che alleviava la sua
sofferenza. Chiuse gli occhi e sorrise estatico, mentre una
lacrima di sollievo sfuggì alle ciglia. Quando il calore si
spense, Michael aprì le palpebre, mentre Papà distoglieva lo
sguardo da lui per portarlo su Samael. Le iridi scure
dell'arcangelo si portarono alla propria ala. Lo squarcio
era scomparso, la ferita anche, ma l'ala non aveva più
l'aspetto di prima. Era... imperfetta, anche se almeno gli
avrebbe permesso di volare ancora.
«Samael» esordì nuovamente loro Padre. La folla trattenne il
fiato, incredula di fronte all'arroganza di quel fratello
che non chinava lo sguardo né si inginocchiava di fronte al
loro genitore.
«Io mi chiamo Lucifer Morningstar!»
«Non è il nome che io ti ho dato!» ruggì Dio, furente. «Così
come non hai ubbidito alle regole che ti ho dato!»
Lucifer chinò lo sguardo, strinse i pugni e digrignò i
denti. «Sono regole ingiuste.»
«Ti credi in grado di stabilire chi fa cose giuste e chi
no?» Dio scosse il capo. «Vuol dire che allora pagherai la
tua arroganza, punendo coloro che infrangeranno le mie
regole, così che tu possa imparare, Samael.»
«Io...» balbettò l'angelo, sentendo lo sguardo di
disapprovazione del Padre su di sé. « Mi chiamo Lucifer»
ripeté ostinatamente. «E sei costretto a fartelo andare a
genio, papà, sei costretto a guardarmi ora!»
«Sei bandito dal Paradiso.»
Per un istante il tempo parve fermarsi. Tutti guardarono
Papà sorpresi, poi spostarono lo sguardo su loro fratello.
Nessuno era mai stato bandito prima.
«Tu e tutti quelli che ti hanno seguito, lascerete
immediatamente la nostra casa e, dato che ti ritieni meglio
di me, governerai l'Inferno, punendo le anime che vi
giungeranno. I tuoi alleati ne sorveglieranno il perimetro,
poiché tutto ciò che vi entrerà, non dovrà uscirne. Non vi è
concesso incontrarvi. Avete cospirato una volta contro di
me, non avrete modo di farlo ancora. Il tuo sarà un regno
solitario, per ora.»
Lo aveva accompagnato alle
porte lui stesso e lo aveva scacciato.
Prima di allontanarsi, Lucifer gli aveva rivolto un'ultima
domanda.
«Perché mi hai tradito? Pensavo fossi dalla mia parte!»
«Io non ti ho tradito. Tu lo hai fatto! Hai tradito me, i
nostri genitori, tutti noi! Ho cercato di farti capire che
sbagliavi, ma tu non facevi altro che darmi del codardo!»
Michael si riscosse dai
ricordi e abbassò lo sguardo sulla culla. Sorrise malevolo
al piccolo infante addormentato. Assomigliava davvero tanto
al suo celestiale padre, anche se il nome che Amenadiel
aveva scelto era davvero misero.
Infilò la mano sinistra nella tasca e ne estrasse la fiala.
La stappò e si chinò sulla culla, avvicinando l'apertura del
contenitore alla bocca del neonato, lasciando cadere una
goccia sulle labbra schiuse.
Il piccolo Charlie si svegliò e iniziò a piangere.
La babysitter entrò nella stanza per controllare, si
avvicinò al piccolo e lo prese in braccio, cullandolo
dolcemente. Si avvicinò alla finestra aperta e la chiuse.
Michael, in strada, rimise il tappo alla fiala e la infilò
in tasca. La prima goccia era andata. Una volta finito di
dare l'intero contenuto al piccolo Chucky, il figlio di
Amenadiel ne sarebbe risultato così indebolito da
assomigliare in tutto e per tutto a un umano. E a quel punto
lui avrebbe fatto la sua mossa finale.
E
anche Michael vede il suo POV giungere al termine. Secondo
me è stato lui a far venire il raffreddore a Charlie e
quindi ho immaginato che fosse ricorso alla sostanza di
Padre Kinley per indebolire il piccoletto. Poi magari non
sarà così, ma lo scopriremo solo nella seconda parte di
stagione. Ah... speriamo i mesi passino veloci!
Il
prossimo sarà l'ultimo capitolo, che chiuderà il POV di
Lucy
Grazie
a tutti i lettori.
Se la storia vi piace, per cortesia, mettetela nei
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Capitolo 18 *** Sei licenziata ***
Kamar
Il
cerchio si era chiuso. Finalmente lui e Asmodeus erano l'uno
di
fronte all'altro. Il demone non era solo, ma quegli altri
due demoni
inferiori non lo preoccupavano.
Lucifer
sorrise maligno. «Devo riconoscere che sei stato abile, ma
questa
cosa di riunire più anime in una sola stanza ed evitare di
punirle
per sfruttare i loro ricordi a proprio uso e consumo deve
finire. Ah, e per quanto riguarda
te...» commentò spostando le iridi su Ravekeen, «sei
licenziata.
Per quanto gli abiti con cui ti presentavi a lavoro mi
intrigassero,
sono stanco delle tue menzogne» ringhiò, mentre i suoi occhi
baluginavano di scarlatto livore.
Ravekeen
sorrise beffarda. «Facciamo che mi licenzio io. Sei troppo
sensibile
per essere il mio capo, così legato agli umani...» rispose,
gettandosi all'attacco, sguainando un pugnale in acciaio
demoniaco.
L'altro
demone si fece avanti a sua volta. Lucifer piegò il busto
all'indietro, schivando la donna, raddrizzò il torso e deviò
il
braccio armato dell'uomo, colpendolo poi alla nuca,
mandandolo al tappeto.
Fece
qualche passo verso Asmodeus e sorrise divertito. «Vedi, c'è
una
cosa che non hai preso in considerazione» gli disse.
L'altro
inclinò la testa verso una spalla, apparentemente curioso.
«Cosa?»
«Io»
esordì Lucifer, «sono il Re dell'Inferno» recitò con un
sorriso
feroce sulle labbra, alzando una mano. I due demoni minori
si
immobilizzarono all'istante. «Tutto quello che appartiene
all'Underworld, è sotto il mio controllo.» Mosse la mano,
come a
cancellare una lavagna e la stanza attorno a sé si sgretolò
e volò
via e al suo posto rimase...
Il
suo attico di Los Angeles?
Lucifer
aggrottò la fronte.
«E
tu hai dimenticato che sei stato via per molto, molto tempo.
Alcune
cose sono cambiate» disse Asmodeus, in piedi davanti al
bancone del
bar. «Ci ha richiesto molti sforzi, molta fatica, ma alla
fine ce
l'abbiamo fatta e abbiamo creato la stanza perfetta per lei,
una
stanza dove tu, mio caro Lucifer, non hai potere. Questa
cella, non è
più l'Underworld. Devo ringraziare la scenografica rivolta
di
Dromos. Mentre lui attirava completamente la tua attenzione,
un
gruppo di miei fedelissimi è andato sulla Terra, ma non a
Los
Angeles. Sono andati dove potevamo recuperare il necessario
per
rendere questa cella immune ai tuoi poteri. Adatta per lei,
appunto.
E per te» spiegò, sorridendo beffardo.
Lucifer
aggrottò la fronte, preso da un improvviso dubbio. «Lei?»
Il
sorriso di Asmodeus si allargò, scoprendo la dentatura
ferina. Il
campanello dell'ascensore suonò, le porte si aprirono e
Lucifer
schiuse le labbra incredulo, scuotendo il capo.
«No...
Non puoi essere finita qui... Detective...» mormorò, mentre
sentiva
un macigno all'altezza del petto. Chloe era morta ed era
finita
all'Inferno. Avrebbe dovuto esserne felice, avrebbe potuto
vederla
per l'eternità, ma la realtà delle cose era che si sentiva
malissimo, anche perché il suo compito era punire i cattivi.
«Tu
non sei malvagia... non puoi essere qui.» Non poteva essere
vero.
Lucifer sorrise e guardò Asmodeus. «Tutto questo è un
trucco, non
mi freghi.»
«Lucifer...
sei tu?» La voce di Chloe gli accarezzò l'udito e il Diavolo
si
voltò a guardarla, la lasciò avvicinare e socchiuse gli
occhi
sentendo il tocco della sua mano sulla guancia,
rilassandosi.
Lei
sorrise e scoppiò a piangere. «Sei proprio tu...»
Samael
sospirò, sollevò una mano e prese il polso della donna tra
le dita,
con il dolore che gli dilaniava il cuore. «Ma tu, non sei
tu...»
Era triste da ammettere, ma non poteva essere lei e una
parte di lui
era sollevato nel saperla viva.
«Dopo
che te ne sei andato... Non mi sentivo più io. Ho fatto
cose...
terribili» mormorò lei, chinando il viso e portandosi la
mano
libera al volto. «Un ladro è entrato in casa, di notte.
Ha... fatto
del male a Trixie. L'ho ucciso ma lei... lei non ce l'ha
fatta»
raccontò affranta.
Il
volto di Lucifer divenne una maschera di dolore e rabbia.
Quella
storia era plausibile. «Troverò l'anima di quel ladro e ti
giuro
che passerà l'eternità urlando di dolore!» ringhiò,
digrignando i
denti. Inspirò, per calmarsi, le prese le mani. «Ma... hai
fatto
quello che dovevi fare. La tua anima non deve essere qui...
Chi ha
fatto del male a... Trixie...» era la prima volta che la
chiamava
per nome e gli fece male, perché non l'avrebbe potuto fare
mai più
con lei. La piccola monella era destinata alla Città
d'Argento.
Chloe
scosse il capo. «Non potevo più vivere, Lucifer... prima mi
hai
abbandonato tu, poi Trixie...» spiegò con gli occhi
arrossati dal
pianto.
Lucifer
la guardò afflitto, schiuse le labbra, incapace per un
istante di
articolare una sola parola. «Oh... Chloe... che cosa hai
fatto?»
disse devastato da quelle parole. Una suicida. I loro loop
erano
tremendi, infinite ripetizioni del dolore che li aveva
portati alla morte. L'abbracciò, stringendo le labbra,
chiudendo gli occhi.
Forse era l'ultima volta che poteva farlo, prima di essere
costretto
a punirla.
«Tu...
mi hai abbandonato...» singhiozzò lei sul suo petto.
«Ho
dovuto. Per proteggere te la tua progenie...» rispose lui,
accarezzandole i capelli. Trattenne il fiato, quando la lama
gli
affondò tra le costole. Mise le mani sulle spalle di Chloe e
la
scostò, abbassando lo sguardo sul pugnale demoniaco che lei
gli
stava affondando nel torace. Alzò lo sguardo incredulo su di
lei.
«Tu
mi hai abbandonato!» disse lei con rabbia, vomitandogli
addossò il
suo disprezzo e una serie di fendenti, alcuni dei quali lo
colpirono.
Il
Diavolo si portò la mano dietro la schiena, sotto la giacca
del
completo, ed estrasse il kukri che Maalik gli aveva dato. Il
contrattacco prese di sorpresa la detective lasciandole
sfuggire il
pugnale di mano.
Istintivamente,
Lucifer caricò il colpo che avrebbe finito l'avversario, ma
fermò
la lama prima che colpisse la gola di Chloe. Non poteva
colpirla. Non
lei... Arricciò le labbra in un'espressione di rabbia. «Tu
non sei
lei!» ringhiò, caricando nuovamente il colpo ma, prima che
esso
colpisse la detective, una lama trapassò Lucifer, colpendolo
alle
spalle, fuoriuscendo da sotto la clavicola sinistra.
«Morirai
senza sapere se era veramente lei» disse Asmodeus,
guardandolo
cadere sul pavimento. Estrasse dalla tasca un fazzoletto e
lo usò
per pulire la lama d'acciaio demoniaco con cui aveva colpito
Lucifer,
una lama dritta, stretta, ben differente da quelle arcuate
dei
pugnali. Quello era più simile a uno stiletto.
Il
sole stava tramontando fuori dalla finestra, il cielo pareva
in
fiamme, mentre Chloe si mise a cavalcioni sul corpo di
Lucifer,
troppo debole per difendersi.
«La
pagherai per tutto il male che mi hai fatto» soffiò
inviperita.
Lucifer
la guardò afflitto. Avrebbe voluto fare una battuta di
spirito,
visto che quella posizione avrebbe dovuto dargli diverse
idee a
livello erotico. «Mi dispiace...» Fu l'unica cosa che riuscì
a
dire, prima che il sole entrasse dalla finestra, centrando
in pieno
Asmodeus. Un getto di plasma incandescente, travolse Chloe,
strappandola dal Diavolo e scagliandola contro la
parete.Lucifer
guardò l'essere infuocato avvicinarsi, le fiamme che lo
avvolgevano
si affievolirono sino a rivelare...
«Maalik?
E tutta la storia di rimanere al tuo posto?» commentò,
appoggiando
la testa al freddo pavimento, esausto per le ferite.
L'attico attorno a lui si dissolse, lasciando il posto a una
cella buia, con un grosso buco sul soffitto scioltosi per il
calore. La cenere entrava leggera, vorticando nella lieve
brezza.
Il
fratello gli si inginocchiò accanto e gli infilò le dita
nelle
ferite. Il calore fu così intenso da costringere Lucifer a
inarcarsi
sulla schiena e urlare, ma così facendo gli cauterizzo la
parte
offesa, bloccando l'emorragia.
«Se non fossi riuscito a fermarli,
loro sarebbero fuggiti e io avrei fallito il mio compito»
rispose
Maalik, con quel tono baritonale che riverberava nel petto.
«Brutto
figlio di... Mamma...» commentò Lucifer, girandosi su un
fianco,
sorridendo divertito. Il sorriso si spense nell'istante in
cui vide i
resti di...
«Chloe...»
mormorò, trascinandosi a gattoni verso la donna. Dove trovò
la forza per farlo, non lo sapeva nemmeno lui, anche se era
certo che Linda avrebbe avuto la risposta.
Le posò una mano
sulla spalla e girò il corpo carbonizzato verso di sé e alzò
gli
occhi al cielo, sollevato, nel vedere quelle iridi di
zaffiro fissare
il nulla.
«Tutto
a posto, fratello?» chiese Maalik.
Lucifer,
si mise a sedere sui talloni, sollevò un angolo delle labbra
e
sbuffò di sdegno. «Insomma... Mi sono fatto fregare come un
idiota. Forse
è vero che a stare con gli umani mi sono rammollito...»
Maalik
lo raggiunge e gli mise una mano sulla spalla. «L'affetto,
fratello,
non rende mai deboli.»
«Ma
ci può ferire... Siamo noi a permettere che le persone
abbiano
potere su di noi...» rispose lui.
Il
fratello gli si inginocchio di fianco. «E che sensazione dà?
Com'è
permettere a qualcuno di entrare dentro di noi, fino ad
avere persino
potere di influenzarci?»
Lucifer
chinò il capo e si posò una mano sul petto, riflettendo per
un
lungo istante, poi sorrise. «È una sensazione tale, che non
vi
rinuncerei per nulla al mondo.»
Tutto era
tornato alla normalità. Niente celle multiple per le anime,
niente demoni scontenti. Le ferite erano guarite, Maalik
continuava
ad ardere all'ingresso dell'Inferno, rovesciando su di esso
quintali
di cenere, gli zabanyya lo sorvegliavano dall'interno, visto
che come
anime non potevano abbandonarlo.
Aveva
dato disposizioni ai suoi sudditi. Dovevano interrogare ogni
anima
che avesse conosciuto Chloe Decker, sia quelle presenti che
quelle
che dovevano ancora arrivare all'Inferno. Voleva essere
sicuro che
stesse bene, esserle vicino e quello era l'unico modo che
aveva. Non
l'avrebbe mai abbandonata.
Ed
eccolo, l'ultimo capitolo di questa long, che arriva a
mettere in pari anche la trama di Lucifer con l'inizio
della quinta stagione.
Visto che era l'ultimo, anticipo l'upload a ora.
Grazie a tutti quelli che hanno seguito la storia, un
ringraziamento speciale a chi l'ha recensita.
Grazie
a tutti i lettori.
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