'Es aèi

di Eato
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** eromenos ***
Capitolo 2: *** erastès ***
Capitolo 3: *** la prima volta ***



Capitolo 1
*** eromenos ***


“E’ notte e non posso dormire. Il mio cuore trema, di gioia e di paura insieme. Quello che accade con te mi lascia senza respiro, stordito. Dallo stupore, dalla gratitudine. Penso a come ti sei offerto a me, senza alcuna riserva, incondizionatamente. Come posso meritare tanto? Quanto caro devo essere agli dei?
Teseo, piccolo mio, quasi piango per la commozione di questa gioia che mi pervade e mi confonde. E mi fa sentire investito di una responsabilità tanto forte. Vorrei essere grande per te, capace di offrirti tutto quello che in me speri di trovare. E mi atterrisce il pensiero di scoprirmene incapace.
Ti penso di continuo, con passione. Ti desidero. E allo stesso tempo immaginarti mi provoca una tenerezza infinita, struggente, tanto che vorrei stringerti a me con tutta la dolcezza di cui dispongo e farti sentire al sicuro tra le mie braccia, per sempre. Eppure sono io che mi sento sperduto, turbato. Di fronte a tanta bellezza che non riesco a comprendere, di fronte a tanto abbandono che mi regali immeritato.
Teseo, amato, a un dono come questo non si può non rendere giustizia.”

Mi scendono le lacrime lungo le guance mentre leggo. Quelle parole da lui, scritte proprio per me, mi sembrano inimmaginabili. Devo correre, correre e raggiungerlo. Arrivo da lui, gli busso. Mi vede e sorride, è emozionato. E nei suoi occhi, nel suo sorriso, trapela  tutta la commozione che era in ogni parola della sua lettera.  Non riesco a parlare, a malapena respiro, “Maestro” sussurro tremando. Lui mi prende con il suo abbraccio forte, deciso “Teseo, piccolo mio”. Lo stringo, mi perdo in lui, in quell’abbraccio così grande. E finalmente, stretto così, con la faccia premuta contro di lui riesco a parlare, a dire  “Sono io, sono io, che mi sento onorato ad essere amato da te.  Non pensavo mai che sarebbe potuto succedere davvero. Che avresti voluto proprio me. Ero io a credere di non meritare tanto.”





 

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Capitolo 2
*** erastès ***


Mi sento confuso, mi pare di avere tra le mani un fiore…
Eurimaco mi guarda, come sempre comprende. Hai paura di calpestarlo, per sbaglio, sembra dire.
Sì, è così, Eurimaco, penso, e se solo potessi sapere quanto.
Mi sorride pizzicandosi la barba – Ma non devi temere – Mi rassicura con un guizzo divertito – Proprio tu! Proprio tu che sei sempre capace di delicatezza con tutti, che pensi dieci volte prima di ferire. Come potresti essere maldestro con questo ragazzo? –
Eppure so quanto io significhi per Teseo, quanto potere abbiano su di lui un mio sguardo o un mio silenzio, quale gioia possa procurargli un mio riconoscimento o, al contrario, il dolore che è in grado di causargli la mia disapprovazione. Devo essere attento.  E mai vorrei che si fosse offerto a me per desiderio di compiacermi o per avere il mio affetto e la mia attenzione, cose che già sono sue e che avrebbe comunque da me, sempre.
 
“Ti prego non fermarti”  lo sento  ancora mormorare, come ieri, di fronte alla mia esitazione e mi pare che tanto abbandono, il consegnarsi a me in modo così totale, non possano che essere una scelta. So bene cosa significhi quando un ragazzo si da’ ad un uomo.
 
Vederlo nudo di fronte a me, l’altra notte.  Lui, il mio allievo. Il ragazzino che insieme al suo amico Aristandro marinava la scuola per venire ad ascoltarmi. Che arrivava con dubbi e questioni che solo io avrei potuto sciogliere e che inventava sfacciatamente teorie che sapeva avrei confutato.
 Il ragazzo pensoso e sensibile che in tre anni ho imparato a conoscere a fondo, tanto da saperne quasi leggere lo sguardo, coraggioso, intelligente.
 
Non avevo mai pensato a lui in questo modo. Ma alcune settimane fa, un pomeriggio, è passato da me, per riportarmi dei libri. Era diverso dal solito, inquieto, sembrava appesantito da qualche pensiero. In casa mia c’era Eurimaco che era venuto a trovarmi. Insieme lo abbiamo fatto sedere sedere e gli abbiamo chiesto cosa lo preoccupasse. All’inizio ha lasciato cadere il discorso, ha detto che non era importante. Poi di fronte alla nostra insistenza ha ceduto. Si trattava di un corteggiatore, ha spiegato con una punta di pudore. Melagro, uno degli uomini più ricchi della città si era invaghito di lui. Proprio quel giorno gli aveva mandato un cesto di fichi. Non era la prima volta che gli mostrava delle attenzioni ma in quell’occasione gli aveva inviato un dono a casa, di fronte a tutta la famiglia. Faceva sul serio. Doveva rifiutarlo ma non sapeva come. Era un uomo potente e gli metteva soggezione. Aveva paura di offenderlo e di creare problemi alla sua famiglia. In più temeva di deludere i suoi parenti che certamente reputavano la migliore delle possibilità che un uomo come Melagro –che in tutta la città aveva fama di essere retto e nobile- gli facesse da guida. Aveva visto lo sguardo compiaciuto di suo padre quando quattro servi avevano portato il cesto.
- Ogni volta che mi parla mi sento a disagio.-
Mentre raccontava ho provato a ricordarmi come dovevo essermi sentito alla sua età, in quelle situazioni. Non che fossi pieno di corteggiatori, all’epoca. Era Eurimaco quello che faceva strage di cuori. Nessuno resisteva di fronte ai suoi riccioli biondi e al viso gentile, ancora così glabro. Ma lui sapeva tenere testa a tutti con grande eleganza. E riusciva sempre a farsi ricoprire di regali. Quanto avevamo riso di questo suo talento.
Io no. Ero timido. E le abitudini di quella città in cui abitavo da qualche anno ancora dovevo conoscerle meglio.
E poi l’unico uomo che avrei desiderato lo avevo lasciato sulla mia isola. Uno stravagante, diverso da tutti. E lo avrei ritrovato solo diversi anni dopo.
Sia io che Eurimaco abbiamo detto a Teseo che non doveva preoccuparsi. Che aveva tutto il diritto di fare ciò che sentiva. Anche se avesse dato disappunto alla sua famiglia, certamente poi avrebbero capito.
E se avesse avuto bisogno di aiuto, ho assicurato, glielo avrei dato. Poi per alleggerire ho preso in giro Eurimaco per il suo passato da rubacuori impenitente. E lui subito si è prestato a fornire consigli su come dare un due di picche con grazia e ironia ai corteggiatori sgraditi, senza rovinare i rapporti.
 
Abbiamo riso. Ho visto il volto di Teseo distendersi. Mi dispiaceva che si fosse sentito così. Per un attimo i nostri sguardi si sono incrociati e ho colto nei suoi occhi l’ombra di un pensiero. Perché quell’immaginario amoroso di uomini e ragazzi che era entrato nei nostri discorsi, non poteva in fondo avere a che fare anche con me e lui. Sarebbe stato così naturale. Eppure, io non ci avevo mai pensato. Non ci pensavo mai, con i miei allievi. Nemmeno con le allieve ci avrei pensato, se non fosse stato per i pettegolezzi.
 
E lui invece?
 
Ma poi ha distolto lo sguardo. O forse sono stato io.
 
E tutti e tre, abbiamo parlato d’altro.

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Capitolo 3
*** la prima volta ***


“Non mi dire non mi dire!”
Abbiamo finito di allenarci per la corsa e Teofilo non mi dà pace. “Lo sapevo che succedeva prima a te. Lo sapevo! Sembri un’acqua cheta, e poi invece”
Non riesco a non sorridere mentre finisco di allacciarmi i calzari.
“Dimmi chi è. Subito.”
Continuo a sorridere ma il nome non lo dico. Non ancora.
Sono corso da Teofilo col cuore in gola, oggi, solo per raccontarglielo. Eppure non mi escono le parole, come se volessi conservarle dentro di me. Come se avessi paura che dicendolo non sia più vero, tanto mi pare un sogno. Sono tutto in subbuglio.
Mai avrei sperato. Mai… non ci avevo neppure mai pensato, tanto mi sembrava fuori dalle possibilità. Ai banchetti, quando servivo il vino con Teofilo, li guardavo tutti gli uomini. Ne ero attratto eppure intimorito. Avevo sempre saputo che a qualcuno avrei ceduto prima o poi. Eppure quando uno di loro mi dedicava qualche attenzione, l’idea poi di ritrovarmici solo mi metteva a disagio.
Con lui invece non avevo temuto un solo istante.
“E’ Melagro?”
 
Scuoto la testa
No no.
 
“Anteo, il soldato! L’ho visto che vi guardavate!”
“Non ci arriverai mai!”
 
“Allora chi?”
 
Esito.
 
“Pantoo”
 
“No! Il tuo maestro?”
Faccio segno sì.
“E non mi dici niente? … da quando ti corteggia?”
 
A pensarci non è che ci sia stato un vero corteggiamento. E’ successo diversamente da come lo immaginavo. Da come di solito vanno queste cose.
 
“E tu? Da quant’è che pensavi a lui? Perché non mi hai detto niente?”
Perché no. Non ci pensavo. Non osavo pensarci. Mi ero sempre sentito fortunato a poterlo seguire. Ricordo la gioia che avevo provato quando mi aveva parlato la prima volta. Andavo ancora a scuola e avevo convinto Aristandro a fare filone con me, per andare ad ascoltare questo matematico samio dalla mente geniale, uno che aveva viaggiato in lungo e in largo, aveva appreso le scienze degli egizi, degli astronomi caldei, degli zoroastriani persino, e le aveva fatte sue.
Eppure a sentirlo parlare era semplice, chiaro, prendeva d’incanto.  Aveva un brillio negli occhi profondi, emanava grandezza, ma senza mai farla pesare. E mai l’ha fatto, da che lo conosco, nemmeno una volta. Anche quando la sua mente vede anni più avanti di quanto riesca la tua, ha sempre la pazienza di aspettarti, di porsi al tuo livello, senza condiscendenza, rispettandoti.
Io e Aristando quel giorno eravamo i più giovani e inesperti di tutti. Due ragazzini fuggiti dalla scuola. Non con poca impudenza, che di solito non mi appartiene, andammo a parlargli di una nostra improbabile teoria. Avevo le guance imporporate per la vergogna, ma lo facemmo lo stesso. E lui si fermò a discutere con noi, come fossimo suoi pari. Con un sorriso divertito, apprezzò i nostri ragionamenti pur definendoli in alcuni punti bizzarri, lo disse così con un eufemismo gentile e un po’ ironico.
“Tornate domani!”
Quel “tornate domani” mi diede una gioia che faccio fatica descrivere.
Tornammo ancora e ancora, ogni volta che riuscivamo a marinare la scuola. Inventavamo qualsiasi cosa per fermarci a parlare con lui.
Quando poi radunò intorno a sé un piccolo gruppo di allievi, noi due fummo i primi di cui si ricordò.
Ma dopo solo un anno Aristandro andò via, quando Eato entrò a far parte del nostro gruppo. Disse che era una vergogna costringerci a studiare insieme ad una donna, un’indecenza.
Ma Pantoo sosteneva che nei suoi viaggi aveva conosciuto donne molto sapienti, da cui non aveva avuto che da imparare, quindi non c’era motivo di lasciarle fuori dalla conoscenza. E se quasi su tutto era disposto all’ascolto, su questo punto aveva fatto capire chiaramente che non ci sarebbe stata discussione. Chi non poteva accettare di condividere il lavoro con Eato, era invitato ad andarsene. L’unico a prendere la porta fu Aristandro. Tutti gli altri, decidemmo di restare, tenendoci per noi le nostre perplessità. Che nel lavoro fossi uno dei suoi favoriti lo sapevo. Col tempo mi aveva permesso di entrare in confidenza con lui, avevamo un rapporto di fiducia. Mi affidava i compiti più complicati, tante volte mi sceglieva per accompagnarlo nei lavori che gli affidavano in città o nelle sue ricerche personali. Vedevo i suoi occhi brillare nel notare i miei progressi, nello scoprirmi sempre più autonomo nel cercare, più ardito nelle strade da battere . E io mi sentivo libero di esporgli dubbi e questioni, anche di contraddirlo. Su questo era sempre stato apertissimo. Chiunque di noi sentisse di esporre un pensiero divergente dal suo trovava sempre spazio per esprimerlo. Lui ogni volta ascoltava le nostre argomentazioni con molta pazienza , prendendole sul serio, anche quando erano fragili o arroganti. Sapeva molte cose della mia vita ormai, frequentavo la sua casa, avevamo imparato a conoscerci, con stima e affetto. Con me spesso scherzava o mi prendeva in giro in modo bonario, il nostro legame si era fatto stretto. Io tenevo molto a lui. Ma mai mi aveva fatto pensare ad altro. Mai lo avevo visto dedicare attenzioni galanti a qualcuno fra noi, né a nessun altro ragazzo in città. Ignoravo persino se lo avesse mai amato un ragazzo o se lui, a sua volta, quando era adolescente, fosse stato amato. Sapevo di alcune donne che erano state importanti nella sua vita. Ma di giovani amati non avevo notizia. Alle cene mondane lo si vedeva si rado. E i pettegolezzi su di lui erano pochi. Lo scandalo che riguardava sua moglie o se avesse davvero rapito Eato, così come era stato accusato o ancora, la vera natura dei suoi rapporti con le tre belle ragazze che istruiva alle scienze, come fossero uomini. Roba vecchia, di cui nessuno chiacchierava neanche più. Cose che gli venivano perdonate, stranezze di un uomo geniale. Solo quel pomeriggio a casa sua, quando ero in angoscia per i doni di Melagro, Eurimaco, che gli è amico da quando erano ragazzi, ha cominciato a raccontare di loro adolescenti. E’ stato Pantoo , a spingerlo “Dovresti farti dare consigli da Eurimaco” ha detto “ Era un esperto in materia!” Eurimaco rideva “Sì si, dice tanto di me ma pure lui ne aveva di pretendenti. Però lo sai com’è fatto, non se ne accorgeva nemmeno. Un disastro.” Ho visto un velo di pudore sulle sue guance “E a qualcuno hai ceduto mai?” Gli ho chiesto Ha annuito “Ma è stato più tardi, quando sono tornato a Samo.” Per tutto il pomeriggio abbiamo parlato di amori, Eurimaco soprattutto. E io ho immaginato per un istante, se invece che da Melagro, avessi avuto la fortuna di essere corteggiato da lui, Pantoo, che fortuna inimmaginabile mi è parsa. Eppure no. Perché proprio io? Fra noi allievi ce n’erano di belli e lievi come giovani dei. Pasio, volto dolce come Ganimende, Demostene occhi di mare, Lisandro dai riccioli come giacinti. Non si era invaghito di loro, avrebbe mai potuto avere attenzioni per me?

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