Miasma - la dinastia del peccato

di Antocharis
(/viewuser.php?uid=1094344)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La rocca del drago - Iris ***
Capitolo 2: *** La rocca del drago - Iris (II) ***
Capitolo 3: *** La città fantasma - Elpìs ***



Capitolo 1
*** La rocca del drago - Iris ***







PARTE I

COME TUTTO INIZIÒ E COME TUTTO FINÌ

 

1
IRIS
IL VIAGGIO DI NON RITORNO


 
E allora i Cecropidi (miseri!) costretti
a scontare le pene di settanta corpi di figli all'anno:
l'urna sta estraendo le sorti
(Eneide, VI)
 
All’impazzata.
Tum, tum; tum, tum.
Il rumore della pioggia, incessante, come mai ad Aterk, era sovrastato dal ritmo del mio cuore.
Tum, tum; tum, tum.
Eppure ero stata io ad avere l’idea, eppure adesso, che più passava il tempo, più ci avvicinavamo alla rocca del drago, il mio corpo non si reggeva in piedi.
Ero innanzi a tutto il resto del mio villaggio, mi voltai cercando di ricevere il coraggio necessario da mia madre e dal suo compagno, ma non riuscii neppure a scorgerla per quanto vasta era la folla dietro di me, per quanto annebbiati fossero i miei occhi privi di coraggio.
Tum, tum; tum, tum.
Il mio compagno, proprio accanto a me, stava immobile e sembrava così sicuro e audace, nel modo di camminare, di guardare l’orizzonte davanti a sé. Aveva le sottili labbra serrate e le sopracciglia e il volto tesi come non lo avevo mai visto prima.
Sentii il mio passo rallentare, forse stavo indugiando troppo nell’osservarlo, forse tentennavo perché avevo troppa, troppa paura.
«Che razza di idioti, non funzionerà mai!» qualcuno urlò alle mie spalle, ridendo e sbeffeggiando la mia idea. Notai altre osservazioni che davano corda a quella voce, molte altre risate si unirono alla sua, pochi altri inneggiarono al silenzio. Qualcun altro piangeva.
Nausicaa stava dietro di noi. Ogni tanto mi perdevo a scrutarla, cercando di non farmi osservare. I lunghi capelli bruni le percorrevano tutta la curva della schiena, gli occhi buoni, dolci, si perdevano nell’ampio spazio del bosco. E la mano, tremante, tentava di afferrare quella del mio compagno, ma, forse per paura, non giungeva mai a destinazione.
Yzarc non aveva idea di tutto quello che stava accadendo attorno a lui, sembrava sordo ai richiami del nostro villaggio, agli sguardi languidi di lei, al mio cuore che batteva all’impazzata.
Eppure cercavo di rimanere in silenzio, non volevo, assolutamente non volevo che la mia paura traboccasse fuori dal mio respiro.
Eccola, eccola lì! Riuscivo già a vederla di fronte a noi, nascosta solo da qualche albero pieno di foglie. Ci facemmo largo tra i rami e i rovi, ma prima che potessimo continuare il cammino, Jead mi bloccò una spalla.
«Ragazzi», disse con tono profondamente grave.
Notai che anche Yzarc si era fermato e mi raggiunse, anche lui serissimo.
«Siete giunti a destinazione, oltre questi alberi, come potete vedere, si trova la rocca del drago». La pioggia aveva reso i suoi lineamenti ancora più sottili e più tristi. Il suo sguardo, però, pur essendo tanto mesto sembrava star guadagnando serenità.
«Voglio dirvi una cosa», io e Yzarc restammo immobili, tum, tum; tum, tum, «qualsiasi cosa dovesse accadere, voi sarete gli eroi di Aterk. Che queste parole possano darvi coraggio.»
Io e il mio compagno calammo la testa, ognuno di noi stava per prendere parte al proprio destino, muovendo i passi, ma un urlo troppo familiare ci immobilizzò, di nuovo.
«Figlia mia! Non devi! Non andare!» mia madre era arrivata davanti il villaggio portando con sé tutte le sue lacrime. «Jead, perché li lasci andare? Perché? Sono due bambini! Non... perché!»
Jead rimase impassibile di fronte alle accuse.
Provai a difendere la mia decisione, ma il Capo mi precedette. «Aidès», forse la chiamò per nome per calmarla, «se oggi non lascerai andare i tuoi figli nell’incertezza, domani potresti perderli con certezza. So che non sappiamo se questa bislacca idea potrà funzionare, ma io ho fiducia in loro. Io voglio provare. E se anche perdessero la vita, c’è la possibilità che comunque ne salvino migliaia e migliaia in più. Immagino che il dolore possa essere atroce, ma non soffrire adesso, che non c’è ancora nulla da piangere. Non sono morti. Sono ancora vivi.»
Mia madre scoppiò in un singhiozzo disperato. «Perché sei così buona, Iris mia? Perché?» mi abbracciò, bloccando ogni respiro.
«Madre... » cercai di svincolarmi dalla presa. Sentii un’altra mano cingermi le spalle. Era Yzarc.
«Madre, non piangere. Iris non morirà, perché io e lei, insieme, siamo invincibili. E vivremo per sempre.»
Riuscii a farmi sbocciare una lacrima, per quanto tentassi di nascondere la mia paura e la mia emozione. Mia madre, invece, si mise a ridere. «Vi voglio tanto bene, amori miei. Anche tu, Yzarc, anche senza legame di sangue, è come se fossi figlio mio.» Ci perdemmo in un abbraccio che sembrò durare un’eternità, o tutta la vita che forse non avremmo mai più vissuto.
Non appena lasciammo la presa, smise di piovere e dalle fronde degli alberi sbucavano fiochi raggi di sole. Gli uccellini ci rassicuravano col loro canto.
«È ora» disse Jead, rompendo la magia.
Annuii, guardai per l’ultima volta mia madre,  il suo compagno Drev rimasto un po’ più indietro, il Capo, voltai le spalle a loro e ricominciai il viaggio. Anche Nausicaa era con noi.




 
Note d'Autrice: non ho molto da dire adesso che siamo all'inizio! Spero che abbiate apprezzato questo primissimo capitolo, spero anche che, qualsiasi cosa ne abbiate pensato, decidiate di lasciarmi un commento! Soltanto grazie al dialogo si può crescere e migliorare,
Grazie mille per l'attenzione e la fiducia,
A.C.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La rocca del drago - Iris (II) ***






2
LA ROCCA DEL DRAGO
IRIS



 
"Se potè Polluce riscattare il fratello con alterna morte,
e percorre e ripercorre quella via ogni volta."
-Eneide VI
 


  La rocca del drago si ergeva maestosa, brutale e crudele. Sembrava che tutto intorno fosse permeato di oscurità.
  Nausicaa indietreggiò, tremando dalla paura. Yzarc cercò di tranquillizzarla sussurrandole qualcosa all’orecchio che io non riuscii a sentire. Ed io sentii qualcosa all’altezza dello stomaco che non era paura. Lui prese entrambe le mani di lei, la guardò con i suoi occhi di nebbia e avanzò.
  «Andiamo, Iris. È il nostro momento quaggiù.» Io annuii e smisi di esitare, di pensare.
  Non fu molta la strada, la rocca era altissima, ma piuttosto stretta, per contenere un drago. Non riuscivamo a vederlo e lo sconforto mi sopraffece.
  Piansi. Mi rannicchiai sulle mie ginocchia, mi sentivo sola, angosciata, abbandonata. Eppure era stata una mia, mia idea, eppure...
  Yzarc in fretta si allontanò da Nausicaa per sedersi accanto a me. Mi accarezzò la nuca e mi guardò con un sorriso raggiante di luce. «Iris, amica mia, non devi piangere.»
  Alzai gli occhi rossi per il pianto e lo osservai con tutta la rabbia che, ingiustamente, sentivo di provare per lui.
  «Non piango perché ho paura di morire.»
«Lo so.»
  «Piango perché adesso non saremo più insieme!» urlai all’improvviso, poi mi addentrai all’interno della rocca, correndo all’impazzata, da sola. Sentivo che Yzarc mi stava alle calcagna, ma cercavo di seminarlo il più possibile. Ma non appena arrivai alla parte opposta della rocca il drago non si palesò e Yzarc riuscì a raggiungermi. «Iris! Perché sei corsa via?»
  Mi voltai, non riuscivo a dire nulla, niente. Sentivo solo una profonda rabbia. Una profonda angoscia che non riuscivo a spiegare. A capire.
  «Se muori tu, io non posso vivere, Iris», sentivo che si stava avvicinando, ma non osai girare lo sguardo. Incrociai le braccia, i miei occhi si inumidirono ed erano pronti a piangere, di nuovo.
  «Ma se moriamo insieme... ecco, forse lo accetto, forse lo farei volentieri.»
  «Che cosa?!» mi voltai di scatto e subito dopo mi ritrovai il corpo del mio amico attaccato al mio, mi stringeva profondamente in un abbraccio caldo e rassicurante.
  «Hai capito bene, Iris. Se siamo insieme, io non ho paura di morire. Io...» non riuscì a concludere la frase, sentii però il suo viso scaldarsi tanto e anche il suo cuore cominciò a tamburellare. E poi, dolce, nascose il volto sul mio petto.
  Nausicaa, invece, era rimasta indietro, che ci osservava impietrita.
  Mentre mi cullavo tra le sue braccia, notai che un vento innaturale si stava alzando e al centro della rocca si disegnava la figura maestosa e imponente di un drago. Eppure non avevo più paura.
  Mi scostai da Yzarc quel tanto che bastava per guardarlo, lui fece lo stesso, poi, d’impulso, gli afferrai una mano.
  Il drago ruggì e finì per essere completamente visibile ai nostri occhi. «Voi umani, perché siete in tre? E come pensate di uccidermi senz’armi?»
  «Non vogliamo farti del male» biascicai, mentre stringevo forte la mia mano tra quella di Yzarc.
  Il mostro rise, o almeno, sembrava proprio che lo stesse facendo.
«Dicono tutti così. E sono morto un’infinità di volte che voi umani nemmeno potete contare, ma nessuno, nessuno può opporsi alla Legge, nemmeno la morte»
  «Ma noi non vogliamo ucciderti, devi crederci!» urlò Yzarc, spazientito, «Noi vogliamo−»
  «Come ti chiami, drago?» lo interruppi.
La creatura mi guardò, avvicinandosi strisciando come un serpente. Mi puntò gli occhi di fuoco, grandi ciascuno quanto era grande la mia intera testa. «E a te che t’interessa, umana puzzolente?»
  «Ehi! Lei non puzza!»
  Il drago rise di nuovo, ma prima che ci potesse parlare di nuovo, io gli risposi: «Vorrei conoscere il nome di colui che mi ucciderà.»
  «Nausicaa sei tu, dunque? E hai lasciato che i tuoi migliori amici ti accompagnassero nel tuo ultimo respiro?»
  Scossi la testa.  «Io mi chiamo Iris. Io e Yzarc siamo venuti a sacrificarci. Oh, drago senza nome! Se anche hai un po’ di cuore nel tuo corpo gigante, risparmia la vita di un’innocente e prendi noi al posto suo!»
  Lui non rise più. Anzi, sembrò farsi serio serio e anche più piccolo. «Non ho un vero nome. Potete chiamarmi  Sangue».
  «D’accordo, Sangue», continuai, sentendomi improvvisamente sicura di me come non mai, fiera di me stessa e della mia idea. Il mio corpo non sembrava più appartenermi e non mi sentivo più una bambina, e neppure un’adulta. Mi sentivo, se possibile, proprio come si sentirebbe un drago.  «Accetti questo accordo? Devi mangiarci entrambi, però. Noi due al posto di Nausicaa. Prometti che la lascerai stare dopo averci mangiato?»
  «Mi stupisco che i vostri superiori vi abbiano condotto da me così, senza preoccupazione. Avrei potuto papparvi in un sol boccone tutti e tre».
  «Ma la legge dice uno solo, vero?» era Nausicaa, che, presa di coraggio, si avvicinò a noi.
  Sangue annuì.
Per un attimo osservai la ragazzina di sbieco. Notai che l’espressione, per quanto tesa e preoccupata, nascondeva dentro un piccolo, fastidioso e terribile ghigno.
  «Nausicaa ha ragione. Non penso che ci saranno problemi se anziché mangiare Nausicaa mangerò uno di voi. Ma non posso mangiarvi entrambi, questo è fuori dalla Legge.»
  «Allora...» irruppe Yzarc, un po’ timoroso, «allora non sei tu che controlli la Legge?»
  Il drago sembrò oscurarsi, e, se possibile, diventò triste più della tristezza in sé.
«No, scarti di umani. Non controllo nulla. Sono un servo come tutti quanti voi. Anche se io sono forte e voi siete deboli. Siamo tutti, tutti uguali, di fronte alla Legge.»
  «Ma scusami, Sangue,» non riuscivo a capire, non avevo mai capito davvero questa cosa, «non puoi, tu che sei così forte, disubbidire? Non puoi fare quello che vuoi tu?»
  «Iris... com’è strano chiamare voi bestie maleodoranti per nome. Iris... io sono vecchio più del tuo villaggio, io sono vecchio più di Fiordland stesso. E tu davvero, pensi, che non abbia provato a disubbidire? Sciocca umana! È impossibile!»
  «E perché non provi?» lo incalzò Yzarc, «che ti costa?»
  «Forse nulla, forse tutto.» Il drago chiuse i suoi fari luminosi, una forte ondata d’aria ci fece svolazzare i capelli e i vestiti, e tutto tornò nell’oscurità.
  «E se, vedendo che tutto va male, torni di nuovo qui... le cose non possono tornare come prima?» chiesi ingenuamente. 
«Il prezzo potrebbe essere più alto di quanto pensi. Di quanto tutti noi pensiamo» disse il drago, aprendo gli occhi di scatto.
  «Allora mangiami, ti supplico» gli dissi.
  «No! Mangia me, risparmia lei», si oppose Yzarc, ponendosi dinanzi a me.
«Giocate a fare gli eroi, ma siete solo bambini. Mi dispiace.»
  «Ti dispiace? Allora... » ero così entusiasta di tutto quello che stava accadendo, non mi rendevo conto di come stavano realmente le cose. «Allora tu sai provare sentimenti, come noi. Sangue, io... io amo Yzarc. E non potrei mai sopportare di vederlo triste. Nausicaa è la sua più cara amica, non riuscirebbe a sopravvivere, se tu la mangiassi. Ma so, ne sono certa, che se io mi sacrificassi per loro, si aiuterebbero, l’un l’altro, e tutto andrebbe per il verso giusto. E poi, sai, a me non è mai piaciuta l’idea di crescere, diventare grande...»
  Può un drago, una creatura così grande e maestosa, mettersi a piangere? Perché non potevano essere altro che lacrime, quelle righe luminose che risplendevano al buio.
  Ma io mi resi conto di quello che avevo appena detto solo quando notai il volto di Nausicaa rivolto per terra e la bocca di Yzarc spalancata, mentre le guance si coloravano di un rosso infuocato. Arrossii anch’io.
  «Ti amo, sì», ripetei, «anche se sono una bambina. Ti amo, Yzarc.»
  «A-anche io» pianse. Non credo lo avesse mai fatto, neanche quando lo trovai, cinque anni fa, nascosto dietro l’angolo di una taverna, scalzo, a elemosinare cibo, tutto sporco, neppure in quel momento stava piangendo. Così, presa di un coraggio ancora più forte di quello che vince la paura della morte, vinsi la paura dell’amore, e gli diedi un bacio.
  Il drago aprì la bocca e... percepii la saliva. Disgustosa, liquida, appiccicosa saliva. Tutto era buio. Ma non durò molto, sentii qualcosa, al di fuori delle sue fauci, che si opponeva e urlava; poi vidi la luce e sentii dei passi.
  «Moriremo insieme», sussurrò.
 
  Riaprii gli occhi e mi ritrovai ancora alla rocca del drago. Non ero morta, no. Accanto a me stava Yzarc, anche lui stava dormendo. In piedi, più spaventata di prima, Nausicaa si accorse che mi ero svegliata. Dove avesse trovato una torcia non lo sapevo.
  «Che è succeso, Na’?»
  «Il drago vi ha sputato, poi è scappato via. Non so dove sia andato, ma... non sembrava molto felice. Però, una volta uscito dalla caverna, è tornato invisibile.»
  «Sangue ci ha risparmiati...»
  La bambina annuì. «Credo che... gli abbiate fatto tenerezza...»
Sorrisi, l’idea di aver sconfitto un drago per via della mia tenerezza mi sembrava così buffa!
  «Comunque...» ma lei non sembrava affatto così contenta e felice come lo ero io. «Anche io lo amo.»
  La guardai, sentendomi in colpa. Non risposi nulla.
«E ho anche più diritto di te, di amarlo. Perché ero io che gli davo da mangiare, quando mio padre lo cacciava a bastonate dalla taverna. Ero io che gli ho salvato la vita. Tu gliela stavi solo togliendo.»
  Non so come lei riuscii a convincermi, eppure sentivo che aveva ragione. Feci un passo indietro.
  «Lui stava morendo per colpa tua, Iris. Io non te lo perdonerò mai. Se davvero lo ami, come dici, avresti dovuto proteggerlo.»
  Ero troppo piccola, troppo insicura, e quei pochi anni di differenza forse rendevano Nausicaa più furba e più crudele, oltre che più grande di me.
  Tum, tum; tum, tum.
  «D’ora in poi, io e te, saremo nemiche.»
Mi alzai, lei si abbassò. Mi allontanai e lei si avvicinò a Yzarc fino a sfiorargli il volto. Gli accarezzò i capelli, io tremavo.
  Gli diede un bacio, sentii il principio del suo risveglio e, così confusa, stordita e tremante, fuggii via.



 
Note d'Autrice: Buongiorno, carissimi lettori! In questo secondo capitolo -in realtà unico, perché ho deciso di spezzare in due i capitoli per comodità qui su efp- abbiamo fatto la conoscenza di alcuni importanti personaggi di Fiordland. Iris, Yzarc (si pronuncia "izarc") e Sangue. Sono molto curiosa di sapere cosa ne pensate e se avete deciso di leggere questa storia vi prego di scrivermi un commentino, piccino piccino: soltanto attraverso il dialogo avrei la possibilità di migliorare.
Con affetto e speranza, in attesa di un vostro riscontro,
A. C.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La città fantasma - Elpìs ***






2
ELPÌS
LA CITTÀ FANTASMA


 
"Noi non ereditiamo la terra dai nostri antenati,
la prendiamo in prestito dai nostri figli."
-Proverbio indiano


 
 
  Zero. Un’unica parola per esprimere uno stato d’animo. Il mio, anzi, il nostro stato d’animo.
  Sono sola. Il mare sporco mi accarezza i piedi nudi. Seduta sul ponte delle imbarcazioni, osservo per quel che posso il mio mondo. Efiliph: la città fantasma. Un leggero tremolio percorre la mia schiena, mi stringo ancora di più alla mantellina nera, calda. L’unica cosa calda in quel mondo gelato.
  Il freddo è così forte che mi sembra di poterlo toccare, come un guanto aderisce alle mani. Non le sento più. 
  Il mare è immobile, come sempre. Come tutto, del resto. Sento solo il mio fiato, i miei pensieri a farmi compagnia. Nessun senso di vita, né l’infrangersi delle onde.
  Dei passi familiari mi fanno voltare. Hermàs cammina sempre velocemente, come se avesse perennemente qualcosa da fare. Non appena mi vede gli sfugge un sorriso, i neri baffi si muovono soffiati dal tepore del suo respiro.
  «Buongiorno, Elpìs».
  «Buongiorno, Hermàs. Quali misteri devi scoprire oggi?»
Lui ride un po’, ma non mi risponde, non lo fa mai. E io ci sono abituata. Siamo tutti un po’ strani, qui ad Efiliph.
  La sensazione di essere prigionieri di questa cupola c’ha intrappolato l’anima.
  L’uomo rimane ancora un po’ di tempo ad osservarmi, ma poi slega la sua barca con tale velocità da non sembrare umano, finché non scompare dalla mia vista, navigando lontano. Rema su e giù e i miei occhi seguono quei movimenti.
  Con tutte quelle barche, un tempo il porto non doveva essere la discarica che adesso è diventato. Un tempo, certo, ormai molto e troppo lontano.
  E noi, invece, siamo i sopravvissuti. Sopravvissuti a cosa, però, nessuno sa rispondermi.
  Non capisco che ore siano, non sono mai stata in grado di capirlo in base alla luce del generatore. Non è come il sole che scaldava il vecchio mondo: tu potevi guardarlo sorgere e tramontare ogni giorno, nascendo e scomparendo inghiottito dal mare. Noi invece abbiamo solo quel vecchio aggeggio, tutto arrugginito e sempre più spento. La luce è debole e fioca e per questo viene risparmiata il più possibile. Potrebbe essere mattina o notte, il cielo nero non sarebbe cambiato.  Cosa succederà quando anche il generatore non funzionerà più?
  Ma è inutile soffermarsi su questi pensieri: mia madre si potrebbe preoccupare, perciò è meglio affrettarsi per tornare a casa.
  Non tornare, Elpìs, non tornare.
Mi scuoto e mi alzo, mentre l’acqua nera mi scivola sotto i piedi e sulle caviglie. Meglio rimettersi subito gli scarponi per non rischiare una febbre.
  Ma già mentre percorro i primi passi, subito mi fermo: le gote arrossate. Non ho ancora invitato Hermàs e Antèros alla festa di mezza estate. Sì, certo, ormai do per scontato che ci siano tutti, ma se poi Antèros se ne dimentica? Come potrei a quel punto confessargli il mio segreto? No, no. È meglio parlarne subito con Hermàs, alla svelta.
  Ma i secondi non passano mai quando aspetti qualcosa che potrebbe cambiare la tua vita, o la tua morte, nel mio caso.
  Il nero totale in cui piomba il mondo appena fuori dalla cupola protettrice mi impedisce di scorgere null’altro al di fuori del mio naso e della mia torcia, che con cura avevo poggiato accanto a me.
  Un puntino bianco all’orizzonte: è Hermàs, finalmente di ritorno. Quando giunge di nuovo al ponte, mi guarda con le sopracciglia aggrottate, cercando di capire forse cosa ci faccia io ancora lì.
  «Ho dimenticato di chiederti se questa sera tu e Antèros ci sarete... »
  Hermàs si fa improvvisamente serio e, abbassando lo sguardo, annuisce. «Verrà anche una sua nuova amica, Leena».
Una fitta alla spina dorsale. Leena? Chi diavolo è questa Leena?  E soprattutto, perché sembra essere spuntata fuori all’improvviso?       Non è certo grande questa città. Gli unici bambini che si trovano siamo noi, da dove viene lei, invece? E soprattutto, perché Hermàs ha improvvisamente cambiato espressione?
  «Dunque?» insisto io, che non posso ritornare a casa dopo essere scappata dalle ore di “prigione di studio mattutino” senza aver ottenuto nulla dal mio giro di perlustrazione.
  «Che cosa, piccola Elpìs?» il suo tono sembra celare una forte impazienza, quasi fastidio nei miei confronti, nascosto dietro la voce cortese e gentile con cui si è rivolto.
  Non ho intenzione di discutere con Hermàs, neppure mi parrebbe giusto, dato che è stato mio complice per tanti anni ad aiutarmi a trovare i nascondigli per scappare dalla cupola.
  «Dunque... che hai trovato?» cerco di deviare il discorso, ma, a quanto pare, la mia domanda sembra centrare un punto molto più oscuro di quel che avevo pensato talmente il volto dell’uomo si fa cupo.
  Sempre col volto abbassato, Hermàs borbotta un: «Nulla di importante» ma più abbassa il tono di voce, più si fa serio, più c’è qualcosa di cui sono rimasta all’oscuro. Chissà se Antèros saprà qualcosa...
  Lui sa, sa per forza e non ti ha detto nulla.
  Non mi va più di rimanere a osservare quel mare buio e silenzioso, così sordo ai miei richiami; voglio tornare a casa.
E qual è la tua casa?
  «D’accordo... ci vediamo stasera, allora». Io cerco di sorridere, ma l’ambiguità delle sue parole mi ha lasciato troppo perplessa perché possa concedergli un sorriso. Non aspetto nemmeno una sua risposta, subito scappo via, camminando veloce. Con la coda dell’occhio cerco di vedere con che sguardo mi stia osservando, ma Hermàs sembra anche lui essersi dileguato in fretta e l’unica cosa che noto è la sua torcia in mezzo al buio.
  La mia, invece, ha già iniziato a spegnersi: la luce che ne fuoriesce è fioca e davvero non riesco a vedere che a un palmo della mia mano. Rallento, muovendo le braccia come scudo, cercando di tastare forte i piedi sul terreno, per evitare di lasciarmi sfuggire il tombino come una sciocca.
  Il cammino sembra davvero troppo lungo, molto più lungo dell’andata, la luce si fa sempre più leggera e comincio a tremare. Stavolta non per il freddo.
  Passi. Sento qualcosa che si avvicina con insistenza nella mia direzione. Sgrano gli occhi: ho paura. Rimango immobile, i capelli si rizzano sempre di più, così come la mia pelle.
  È evidente che quei passi non siano di Hermàs, lui è troppo silenzioso, mentre questi sono pesanti e non si premurano di nascondersi a me. Mi cercano.
  Riesco a sentire, adesso, persino il respiro di quella figura che mi sta dietro. Devo voltarmi e forse la paura scomparirà, devo... dare un volto al mostro.
  Ma non è un mostro, non lo è affatto. Con la torcia puntata in alto riesco a vederne gli occhi verdi brillanti e languidi, i capelli rossi che mai finora avevo visto e una divisa che riconosco subito: è blu, con sul petto ricamato un rettangolo in cui v’è disegnato un giglio argentato. Quest’uomo che mi sta di fronte è un militare, eppure non è un automa.
  “Guardie militari portano dolori” si dice in giro.
  Mi domando perché, con tutti i giorni che ho vissuto in questi miei quasi undici anni di vita, è proprio adesso che devo incontrare il mio giustiziere.
  Ha sulle mani un fucile.
  «Non dovresti essere qui».
Io non riesco a parlare, apro la bocca, ma le parole rimangono bloccate in gola.
  «È pericoloso, soprattutto per una bambina come te».
  Non mi muovo, non oso farlo. L’uomo mi squadra truce, borbotta qualcosa che non capisco e prosegue il proprio cammino, lasciandomi in pace.
  Esiste un modo per descrivere una sensazione del genere? La delusione, la gioia e il senso di colpa che si prova quando si aspetta una ferita che non arriva? E io, vedendo quell’uomo così forte, fiero e dagli occhi incredibilmente tristi, attendevo dolore.
  Invece niente. Nulla. L’uomo mi ha completamente ignorato, adesso continua ad andare avanti a passo felpato. Il cuore ricomincia a battere all’impazzata. Che cosa sta cercando? Perché non l’ho mai visto da nessuna parte? Perché tutto oggi, all’improvviso?
  Sulle labbra un sorriso. Sembra proprio l’inizio. L’inizio di un’avventura.
E io non posso lasciarmelo sfuggire.



 
Note d'Autrice: Eccoci qui, questa al presente è la parte che più amo scrivere. Avremo quasi esclusivamente Elpìs come pov. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che non abbandoniate la nave solo perché ci sono più punti di vista e cronologie differenti. In effetti, mi rendo conto che si tratta di qualcosa di un po' più complesso, ma che divertimento c'è se non si spremono le meningi?
Infine, vorrei ringraziare anche qui, dal profondo del cuore, l'unica persona che ha avuto il coraggio di commentare fino ad ora, 
Leyazara. Grazie mille!!! 
❤❤❤

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3931829