Caratteri d'inchiostro

di SkyDream
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


~ Caratteri d'inchiostro ~




Tobio si alzò dal suo futon e sgattaiolò fuori dal dormitorio, il giardino interno si presentò davanti, pieno di grilli saltanti e di piccole lucciole. Era notte, una notte piena di stelle e lì sulle montagne attorno al Nagi-san di Tottori non potevano che vedersi nitidamente.
Alzò le braccia verso l’alto, nel tentativo di sgranchirsi un po’ e cominciò a camminare lungo il corridoio di legno, alla sua destra il prato verde era leggermente scosso dal venticello estivo. Seppur fosse luglio inoltrato, tra quelle montagne si sentiva quasi fresco.
Tobio notò con la coda dell’occhio un vecchio pozzo circondato da erbacce, pensò fosse l’ideale per starsene un po’ tranquillo a riflettere.
D’altronde nel futon non poteva fare altro che rigirarsi e cercare di tapparsi le orecchie per non sentire Noya e Shoyo russare come trattori.
Si mise comodo sul coperchio in legno che chiudeva il pozzo, ormai evidentemente in disuso da tempo, e si perse a contemplare il panorama che gli si parò davanti: erano lunghe, lunghissime distese di pianure e monti ricolmi di alberi dalle diverse sfumature che risplendevano sotto la luce della luna. Era un gioco infinito di ombre.
Era stato Suga a proporre un raduno lì, diceva che un posto simile avrebbe aiutato a temprare lo spirito e, a quelle parole, Tanaka non aveva perso tempo prenotando i dormitori e il campetto d’allenamento.
Peccato che anche la squadra femminile del Nekoma avesse avuto la stessa, brillante idea.
Insomma, si erano ritrovati ad allenarsi e provare su una montagna sperduta con delle ragazzine ancora alle prime armi che li guardavano da dietro le staccionate che separavano i due campi. Tobio avrebbe anche riso se tutto quel trambusto non avesse causato una continua distrazione per alcuni membri della Karasuno.
Come Tanaka e Noya, giusto per citarne due.
Shoyo invece, almeno durante gli allenamenti, sembrava quasi totalmente immune alla loro presenza, continuava a chiedergli di sollevare la palla per schiacciarla. Come sempre d’altronde.
Nonostante ciò, aveva come la sensazione che una delle giocatrici della Nekoma avesse un debole proprio per Sho. Se n’era accorto durante gli allenamenti, quando quella ragazzina era rimasta per ben tre ore di fila a fissarli mentre riprovavano sempre la stessa mossa.
Serviva per migliorare, senza dubbio, ma quale poteva essere lo scopo di rimanere a fissare tutto il tempo la stessa coppia di giocatori? Non erano nemmeno in competizione.
Un fruscio lo ridestò dai suoi pensieri. Non fece in tempo a voltarsi.
«Fa freddo!» Shoyo gli portò una felpa sulle spalle, sbadigliò ampiamente prima di sedersi accanto a lui sull’asse di legno.
«Che ci fai qui?! Non dormivi?» Gli chiese Kageyama quasi infastidito, finalmente aveva trovato un po’ di pace e solitudine e lui  gli ripiombava addosso.
«Mi sono girato nel futon e non ti ho più trovato, ho pensato che fossi andato ad allenarti e sono venuto a cercarti.» Sho sbadigliò ancora, accucciandosi nella sua felpa e tirando su il cappuccio.
«Allenarmi? E’ notte fonda, idiota, avrei svegliato tutti!» Tobio gli rivolse un’occhiata scocciata seppur non riuscisse a trattenere un mezzo sorriso. Quel ragazzo era davvero incredibile.
Sho per tutta risposta fece spallucce e si perse, proprio come lui, a contemplare il paesaggio.
«Allora cosa sei venuto a fare qui? Ti preoccupa qualcosa?».
«Volevo starmene un po’ da solo, e poi tu e Nishinoya russate parecchio!».
Shoyo rise e portò le ginocchia al petto nel tentativo di scaldarsi, era più piccolo di Kageyama e soffriva decisamente di più il freddo rispetto a lui.
Quest’ultimo, notando il suo amico che continuava ad accoccolarsi fino a sparire nella felpa, allungò un braccio per poggiarlo sopra le sue spalle.
Sho si ritrovò con la guancia sul petto di Tobio, da sotto il pigiama si sentivano i rapidi battiti del suo cuore, quel suono gli piacque.
Gli piacque tantissimo.
«Perché volevi startene da solo? Non ti piace passare le giornate del raduno con noi? Se siamo in tanti è più divertente.» Shoyo sbadigliò per l’ennesima volta, tornando a poggiarsi contro il petto del suo compagno.
Kageyama ringraziò il cielo che Sho non potesse vederlo in faccia, sentiva di essere arrossito fino alla punta delle orecchie e piuttosto che rabbrividire per il freddo, cominciò a sentire quasi caldo.
«Non credo tu possa capire il bisogno di rimanersene un po’ in disparte ed in silenzio.» Kageyama sospirò pesantemente prima di abbassare lo sguardo.
Nessuna risposta.
«Shoyo? Sei sveglio?».
Ancora nessuna risposta, sembrava proprio aver trovato comoda la posizione e il tepore emanato dal suo compagno era proprio l'ideale per schiacciare un pisolino.
Kageyama si sfilò la felpa e la poggiò sulle spalle dell’altro, preoccupandosi che non prendesse freddo. D’altronde, averlo così vicino e stretto a se, bastava per fargli ribollire il sangue.
 
-
 
«Che diamine succede?!» Shoyo si alzò di botto ritrovandosi Nishinoya e Tanaka piegati in due dalle risate con dei secchi ormai vuoti in mano. Lui, invece, era completamente zuppo dalla testa ai piedi, anche il suo futon era ormai diventato un materasso ad acqua.
«Così impari a non sentire la sveglia la mattina!» Sottolineò Daichi ridendo dietro la porta. Shoyo notò come tutti fossero già in piedi e vestiti, sembrava essere rimasto l’ultimo in pigiama.
«Potevate svegliarmi anche prima!» Urlò mettendosi in piedi e cercando degli abiti asciutti per cambiarsi.
«Sbrigati a fare colazione, tra quindici minuti cominciamo con il riscaldamento mattutino. Ti aspettiamo in giardino, faremo anche una bella corsa, preparati!» Daichi fece segno a Tanaka  e Noya di seguirlo, Sho rimase solo in stanza.
Si prese un momento per guardarsi attorno, il futon di Kageyama era sistemato come al suo solito. La felpa che la sera prima gli aveva portato era piegata sopra il cuscino.
Ricordava di essere andato da lui fino al pozzo, ricordava bene anche il freddo e poi nulla. Aveva un vuoto.
“Che mi sia addormentato?” Si chiese. D’altronde, se davvero fosse stato così, qualcuno doveva averlo portato fino al dormitorio. Realizzò ciò che probabilmente era successo e deglutì arrossendo lievemente.
Kageyama era suo amico, non aveva motivo di arrossire.
Decise che fare una doccia fredda lo avrebbe aiutato ulteriormente.
 
-
 
«Sei arrivato finalmente, stavamo per andarcene senza di te.» Noya alzò le braccia per fargli segno di sbrigarsi, poi sorrise guardandolo meglio: Sho aveva ancora i capelli umidi e cercava di sistemarsi la maglietta della divisa mentre teneva in bocca una fetta biscottata.
Nel complesso lo trovò molto esilarante.
«Partiremo da qui e faremo dieci scatti fino alla cima della collina qui a fianco, dopo di che faremo dello stretching e poi altri dieci scatti in discesa. Siamo pronti? Mettiamoci in fila.» Daichi prese fischietto e cronometro, l’allenamento sarebbe stato duro quanto fruttuoso, ne era certo.
Shoyo e Kageyama si misero uno a fianco all’altro, come era loro abitudine, eppure non scambiarono nemmeno una parola.
Tobio cercò il suo sguardo con la coda dell’occhio, ma Sho sembrava più interessato a fissare la pista che da lì a poco avrebbero dovuto percorrere. Si disse che forse era meglio così, non sapeva se sarebbe stato in grado di sostenere i suoi occhi, probabilmente sarebbe arrossito o avrebbe spostato lo sguardo finendo per sentirsi ancora più stupido.
Si morse un labbro.
Daichi fischiò, i due cominciarono a correre come forsennati.
Veloci, sempre più veloci, Tobio non potè evitare di paragonare Sho ad un uccello che sta per spiccare il volo. Correva così veloce che sembrava quasi l’aria lo sollevasse da terra, la maglietta troppo larga gli svolazzava dietro dando l’impressione che avesse delle ali pronte per essere spiegate.
“Devo superarlo, devo superarlo!” Kageyama fece uno scatto più veloce, sentì i piedi distaccarsi dal terreno e poi vide Shoyo prima accanto e poi dietro di se.
«Non pensare di lasciarmi indietro, stupido Kageyama!» Gli urlò prima di portare le braccia avanti e darsi la spinta per un ulteriore scatto.
I due superarono i loro compagni che stavano cominciando lo stretching, continuando la loro sfida lungo le strade ricolme di alberi del monte Nagi. Si fermarono solo quando i polmoni di entrambi cominciarono a chiedere pietà.
L’aria era sicuramente più rarefatta e se da un lato duranet gli allenamenti li avrebbe resi più resistenti, dall’altro non potevano pretendere di riuscire a correre come sempre.
Si sedettero per terra, sotto la fronda di un pino.
Non dissero una parola, ma sorrisero entrambi. Volevano rimanere così, a sfidarsi e insultarsi bonariamente senza alcun imbarazzo.
Decisero, con un solo sguardo, che non avrebbero mai parlato di ciò che era accaduto la sera prima.
«Ci tocca scendere, o Daichi andrà avanti con l’allenamento senza di noi.» Shoyo si sollevò in piedi, ancora col fiato corto, e porse una mano al suo amico per farlo rialzare.
Kageyama accettò, stringendo la mano e approfittandone per darsi lo slancio e cominciare a correre senza aspettarlo.
«Non fare le partenze a sorpresa!» Shoyo riprese a correre, scattando come un matto.
«Dove state andando?!» Sugawara si era appena rialzato dalla sua sessione di stretching sulla cima della salita quando si vide passare di fronte, veloci come furie, i suoi due compagni. «Dovete fare lo stretching o finirete per avere i crampi!».
 
-
«Ehi, Mel, stiamo per cominciare il riscaldamento, andiamo?» Una ragazzina uscì dal dormitorio e raggiunse la sua amica che, seduta sugli scalini della porta, sembrava aspettare che arrivasse qualcuno dalla discesa della collina.
«Arrivo, arrivo. Se dovessi fare tardi, la sensei finirebbe per richiamarmi ancora».
Prima di rientrare, però, Mel si voltò un’ultima volta.
“Ci vedremo più tardi, Tobio Kageyama”.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


~ Caratteri d'inchiostro ~


«Dormitori in corridoi separati, campi d’allenamento separati, sala da pranzo in comune ma tavoli separati. Parlare con uno dei ragazzi della Karasuno è praticamente una missione impossibile.» Mel alzò il pallone portando con grazia le mani verso l’alto, al contrario della squadra maschile - che sembrava costantemente su un campo di guerra - loro somigliavano a delle danzatrici provette.
Mel, seppur giovane, era ormai una veterana della pallavolo ed era considerata uno dei membri più facoltosi della squadra. Da qualche anno, già alle medie, aveva stretto amicizia con Yui trascinandola con sé dentro il campo di pallavolo, ormai era diventata un ottimo libero, riuscendo a sollevare la ricezione della squadra.
Yui provò a schiacciare il pallone, poi a riceverlo e rimandarlo indietro, andavano avanti da quasi un’ora ma la loro sensei continuava a far cenno di non smettere.
«Potresti provare ad intrufolarti nella loro stanza stanotte, magari con il favore del buio…» Yui per tutta risposta si beccò una pallonata in piena  faccia, cadde a terra con un tonfo e non riuscì a trattenere una risata. Mel era diventata tutta rossa e si era voltata dall’altro lato stringendo il prossimo pallone tra le braccia.
Gli occhi le caddero per l’ennesima volta su Sho e sui suoi sbarazzini capelli rossi, sorrideva spontaneo e solare, come sempre, illuminando l’intero campo con la sua presenza.
«Finirai per consumarti la vista se continui così, scema!» Il tono di Yui era buono, come quello di un’amica vera. Tirò uno dei codini di Mel verso di se, costringendola a voltarsi e a ritornare anche con la mente sul suo campo.
 
-
 
«Prendo una boccata d’aria e arrivo, vedi di farmi trovare la doccia libera quando torno!» Mel le fece una linguaccia prima di prendere la borraccia e l’asciugamano e dirigersi verso la sala pranzo. Da quella stanza si apriva una porta che dava sul giardino interno, dove poteva rimanere un po’ da sola e in silenzio. Era esattamente al centro tra i due dormitori, il suo era a sinistra e quello della Karasuno a destra.
Guardò rapidamente l’orologio, poi si accasciò sugli scalini cercando di riposarsi un po’, non si sentiva più le braccia.
«Il segreto è nello stretching durante le pause, anche durante i time out, e anche alla fine così il sangue non ristagna e il muscolo non si indolenzisce. Per noi alzatori è fondamentale.» Kageyama richiuse la porta alle sue spalle e, anziché sedersi accanto a lei sugli scalini, preferì poggiarsi al muro.
Forse per sentirsi più alto, almeno avrebbe avuto la sensazione di avere tutto sotto controllo.
«Grazie, Kageyama-san, farò tesoro del tuo consiglio.» Mel gli sorrise senza nascondere un accenno di sorpresa.
Che fosse stato il destino a mandarle proprio Kageyama?
«Come ti chiami?» Tobio arrossì, perdendo lievemente quell’aria autoritaria che lo contraddistingueva.
«Melody Miyoko, ma puoi chiamarmi Mel.» La ragazza sollevò gli occhi azzurri su di lui, cercando di scrutare le sue intenzioni. Calò un silenzio imbarazzante che fu interrotto solo dopo qualche infinito secondo proprio da Tobio, che prese a schiarirsi la gola.
«Ecco, Mel, non vorrei sembrarti indiscreto, ma ho visto che in questi giorni hai osservato attentamente gli allenamenti della Karasuno. Hai per caso intenzione di cambiare scuola?».
Kageyama si vergognò di sé stesso, disapprovando in pieno l’inverosimile giro di parole che stava attuando per scoprire se – come sospettava – Mel fosse realmente interessata ad Hinata.
Nella sua mente avrebbe dovuto aprire la porta e urlare qualcosa come “Smettila di fissare Hinata in modo così insistente, mi distrai!”, ma nella realtà dei fatti quella faccia tosta gli mancava.
Almeno per queste cose.
«Oh, mamma! Sì è notato così tanto che osservavo te e Hinata-san?» Mel aveva portato le mani al volto tentando di coprirsi le guance e sprofondando nell’imbarazzo più totale.
Kageyama si sentì ancor di più a disagio, quella ragazzina bionda seduta ai suoi piedi aveva il tipico atteggiamento da innamorata.
«Sì, per me che sono il setter e sono abituato a tenere tutto d’occhio è stato molto evidente. Ma non c’è nulla di male a studiare una scuola in cui vorresti entrare, no?» Kageyama si schiarì nuovamente la gola, distogliendo lo sguardo.
«Non voglio cambiare scuola, anzi, il Nekoma mi piace parecchio e ci sto bene. Solo che vorrei passare più tempo con lui, conoscerlo meglio… » Mel prese a giocare con uno dei codini biondi, senza staccare gli occhi da terra.
«A chi ti riferisci?» Il tono utilizzato era solo vagamente curioso, anzi, quasi alla ricerca di conferma.
«So che ormai lo hai capito, Kageyama-san!» Mel sospirò pesantemente senza abbandonare il rossore che le colorava le guance.
«Parli di Shoyo, non è vero?».
Mel, per tutta risposta, annuì con la testa.
Kageyama sentì qualcosa che gli sfarfallava nello stomaco, si disse che doveva essere colpa della stanchezza, del sangue che cominciava a raffreddarsi. Si poggiò al muro e scivolò fino a sedersi sul parquet a terra. Al pensiero di Mel insieme al suo amico, provò un vago senso di nausea.
«Posso sapere come vi siete conosciuti?».
 
“C’è qualcuno?” Pensò Shoyo mentre scendeva lentamente giù dalle scale con uno zainetto tra le braccia. Finì nella sala comune dell’hotel dove le sue compagne di classe e qualche professore parlavano tra di loro davanti delle tazze fumanti di cioccolata. Il suo stomaco brontolò.
“Stupido! Non è il momento di pensare a mangiare!” Si disse mentre continuava a scendere gli scalini, quando arrivò in fondo decise di nascondersi dietro una pianta ornamentale, per poi scivolare sotto il pianoforte e raggiungere la porta dello sgabuzzino che, per fortuna, si trovava dietro un angolo poco illuminato.
Entrò dentro facendosi luce con la torcia dell’orologio da polso, impilò un paio di scatole e, prima di salire, si assicurò di avere il cappuccio ben ancorato in testa.
Aprì la piccola finestrella dello sgabuzzino e si infilò dentro cercando di far passare per primi i piedi. Spiccò un salto.
L’atterraggio tra i sacchi della spazzatura fu più puzzolente del previsto ma – si disse – poteva decisamente andargli peggio.
Era riuscito a scappare dall’hotel dove stavano organizzando un ritiro per tutti i ragazzi dei club di pallavolo delle varie scuole medie. Non era male come risultato considerando l’enorme numero di docenti addetti alla sorveglianza.
Uscì dalla pattumiera e affondò le scarpe nella neve, sentendo dei piccoli brividi alle caviglie, diede un colpetto all’orologio da polso che riprese ad illuminargli la strada.
Era una distesa di bianco infinita, interrotta a tratti solo da arbusti spinosi e tronchi di pino, aveva qualcosa di inquietante e affascinante allo stesso tempo.
Shoyo deglutì. Non aveva pensato ai lupi, sicuramente lì nel bosco dovevano esserci.
Battè il piede tre volte a terra, cercando di darsi coraggio, e cominciò a camminare.
Tra gli alberi bisognava stare attenti alle radici che si sollevavano e alle zone ghiacciate dove si scivolava, i rami colmi di neve si piegavano su di lui quasi a volerlo afferrare. Rabbrividì.
«Eccolo!» Esclamò d’un tratto recuperando il suo solito entusiasmo, riprese a correre affondando ancora nella neve e, quando finalmente arrivò al traguardo, si accorse di aver preso un abbaglio.
Quella che credeva essere una rientranza di un albero, era solamente una ragazzina seduta e poggiata ad un tronco.
Shoyo le illuminò il viso, scoprendolo rigato di lacrime. La ragazza fu accecata dalla luce e portò le mani davanti gli occhi per proteggersi.
«Chi sei?!» Esclamarono contemporaneamente. Shoyo abbassò il polso permettendo alla ragazza di guardarlo meglio.
Non gli sembrava di averla mai vista, aveva delle trecce bionde e un paio di occhi così azzurri da risultare insoliti.
«Mi chiamo Miyoko Melody, e tu?» disse lei strofinando le ultime lacrime che le correvano ancora sulle guance.
«Io sono Hinata Shoyo, che cosa ci fai qui?».
«Volevo cercare un posto bello dove fare  delle foto ma mi sono persa e si è fatto buio.»
Hinata ne rimase un po’ sorpreso, poi si offrì di riaccompagnarla in albergo, ma solo dopo aver ultimato la missione. La ragazzina si ritrovò una mano guantata davanti al viso, la afferrò e cominciò a camminare al suo fianco, come se lo conoscesse da una vita.
Melody sentì le guance diventarle sempre più rosse a causa di quel contatto, ma non disse nulla. Non riuscì nemmeno a chiedere ad Hinata dove stessero andando.
All’improvviso, proprio di fronte a sé, scoprì un albero enorme con una rientranza. Il ragazzo le lasciò la mano per poter afferrare lo zaino e uscirne due sciarpe morbide che posizionò proprio dentro la rientranza.
«Sono dei cuccioli di volpe, questo freddo deve rendere la vita difficile anche a loro, non credi?» Mentre spiegava alla sua nuova amica, uscì un fazzoletto con degli avanzi di cibo e lo lasciò lì dentro, i piccoli cuccioli lo cercarono appena con gli occhi prima di mettersi a mangiare con grande voracità.
«Perché li hai aiutati?» Chiese Melody incuriosita e affascinata da quel comportamento.
«Un piccolo gesto potrebbe farli sopravvivere, forse la madre non può più occuparsi di loro. Li ho visti per caso questa mattina, ma i professori non avrebbero di certo capito le mie intenzioni».
Hinata si voltò con un sorriso così grande e luminoso che, per anni, sarebbe rimasto impresso nella memoria della ragazza.
 
Kageyama prese a giocare con un ciuffo di capelli durante il racconto. Lo faceva spesso quando qualcosa lo tormentava.
Ricordava quel ritiro delle medie, non era durato più di due giorni e aveva nevicato talmente forte da rendere inagibili i campi da pallavolo, così i vari club avevano finito per passare due giorni a chiacchierare in compagnia e giocare con la neve.
Si era annoiato a morte.
Ma, riflettendoci, nei suoi ricordi era rimasto impresso un ragazzino dai capelli rossi e dal cappuccio verde che era tornato mano nella mano con una bambina dopo essere scappato. I professori si erano allarmati e perfino i docenti delle altre scuole si stavano per mobilitare nelle ricerche, non era stata avvertita anche la Polizia solamente perché quei due erano tornati in tempo.
Kageyama sentì qualcosa di viscido salirgli allo stomaco, quella piccola avventura non era solo l’ennesimo segno di quanto Shoyo fosse buono come il pane, ma aveva anche indissolubilmente legato quei due, anche se per poche ore.
Melody raccontava di quell’esperienza con così tanta intensità da poter vedere, attimo per attimo, ogni suo ricordo.
Tobio chiuse gli occhi e deglutì.
L’invidia era amara. Amarissima.
«Kageyama, sei qui? Ehi!» La voce di Suga risuonò prima nella sala da pranzo e poi fuori, fino agli scalini dove erano seduti loro.
Il diretto interessato scattò in piedi, pronto a rientrare e raggiungere i suoi compagni. Una mano, però, gli afferrò il lembo della felpa, costringendolo a voltarsi.
«Kageyama-san, pensi che riuscirò a rimanere altrettanto impressa nel cuore di Hinata-san?» Le parole le uscirono di bocca così cariche di sentimento e speranza che Tobio non se la sentì di contraddirla.
Il pensiero che realmente avrebbe voluto esprimere mal si accordava con il suo carattere, così preferì mordersi un labbro e rientrare senza dire nulla.
“No, non puoi!” Avrebbe voluto urlarle, “Shoyo non ha mica tutto questo tempo da perdere dietro delle ragazze, è troppo impegnato ad allenarsi!”.
Quel pensiero prese forma in modo incompleto.
Il cuore avrebbe voluto aggiungere un “Ad allenarsi con me, per inciso!”.
Suga lo incrociò a metà strada, sorprendendosi di come le sue guance avessero assunto una tonalità di rosso insolita, anche il suo labbro inferiore - malamente tormentato dai denti - era stranamente arrossato e gonfio.
«Ehi, Kageyama, tutto bene?» Gli chiese portando la testa leggermente di lato, con fare preoccupato.
L’altro annuì, raggiungendo la sua stanza senza dire nient’altro.
 
Melody fece scorrere l’acqua calda su di sé strofinandosi i capelli energicamente e facendo scivolare via il sudore dal suo viso.
Aveva impresso davanti gli occhi il movimento della bocca di Kageyama nel pronunciare quel nome.
Lei non ci era mai riuscita, non aveva mai trovato il coraggio di dirlo a voce alta.
Inspirò e per la prima volta assaggiò quelle lettere sulla sua bocca bagnata.
«Shoyo…».

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 
~ Caratteri d'inchiostro ~



Shoyo guardò il tavolo imbandito con la bava alla bocca, davanti a lui si stendevano lunghe pirofile di carne, ramen e verdure.
Poi lo vide. Gli occhi di tutti erano puntati sullo stesso piatto colmo di tempura.
Il sensei stava continuando a motivarli con frasi auliche e complesse, mentre i loro stomaci reclamavano il pranzo.
“Si può sapere dove si è cacciato Kageyama?” Shoyo spostò lo sguardo verso la sedia vuota a fianco a sé. Il suo amico era entrato in camera e si era infilato sotto la doccia senza dire nient’altro, come se avesse appena ricevuto una notizia sconvolgente.
«Bene, adesso ricostituiamo il nostro corpo e prepariamoci per il prossimo allenamento! Itadakimasu!».
Tutti si avventarono sul cibo ancora caldo mangiando con grande gusto, Hinata - tra un pezzo di sushi e l’altro - riuscì a portare qualcosa anche sul piatto di Kageyama, lasciando per il suo amico tutti i gusti della tempura che preferiva.
Se lo immaginava proprio tutto contento mentre mangiava quelle zucchine in pastella.
Passarono i minuti e Shoyo, quando lo stomaco fu riempito per bene, cominciò a preoccuparsi e a chiedersi che fine avesse fatto. Guardò l’orologio, l’ora di inizio pranzo era passata da un pezzo e di Tobio non vi era l’ombra.
 
-
 
L’acqua calda lo avvolgeva totalmente riscaldandolo. Nonostante fosse estate, su quel monte Nagi le temperature erano appena primaverili.
Una doccia calda non poteva fare altro che rilassarlo e dargli le energie giuste per affrontare la situazione in cui si era cacciato.
Avrebbe dovuto aiutare la ragazza a conquistare Hinata? Sul serio?
Il solo pensiero lo disturbava, credeva davvero che il suo amico non fosse interessato ad avere una ragazza, era sempre preso dagli allenamenti però…
“Però Hinata sarebbe felice di condividere con qualcuno tutta quella gioia e quell’energia che ogni giorno lo fanno saltare qua e là. Condividere gli esiti delle partite e degli allenamenti. Forse gli farebbe bene”.
Sospirò pesantemente continuando a strofinarsi i capelli.
Gli era passata anche la fame.
Come poteva aiutare quei due ad incontrarsi? E se non fossero nemmeno andati d’accordo?
Si detestò per essersi cacciato in quel guaio e, per un istante solo, si detestò anche per aver conosciuto quell’idiota di Hinata.
Qualcuno bussò alla porta del bagno.
«Ehi, Kageyama! Sei lì dentro?» Urlò qualcuno fuori. Non ci mise molto a riconoscerlo.
Tobio aprì la porta del bagno con solo un asciugamano appeso alla vita, i capelli grondavano d’acqua finendo per bagnare anche il pavimento.
Shoyo sollevò gli occhi e si perse un momento tra quelle piccole gocce che scivolavano sul viso, sul collo e sul petto del suo compagno.
«Boke! Che hai da guardare?» Tobio era arrossito - così come Hinata - ma si sforzò di ignorarlo e di arrivare dritto al sodo.
«Ka-kageyama, ero preoccupato per te! E’ da ieri che ti comporti in modo strano, sembra quasi che tu mi stia evitando, oggi dopo l’allenamento sei scappato anziché tornare con noi in camera e adesso è più di mezz’ora che sei sotto la doccia e il pranzo è quasi finito. Stai bene?» Hinata abbassò la testa, sia per nascondere l’imbarazzo che per fissarsi i piedi, non sapendo dove poggiare gli occhi.
«Eri preoccupato per me?».
Kageyama si chiese se qualcuno, oltre i suoi genitori e sua sorella, si fosse mai preoccupato per lui. Non ricordava nessun particolare amico fidato, né una ragazza interessata al punto da chiedergli “stai bene?”.
«Tobio, per caso cerchi di evitarmi a causa di quel fatto dell’altra notte? Se è così, ecco-» L’altro non lo lasciò finire.
Tobio uscì dal bagno e si avvicinò alla sua valigia per pescare i vestiti da mettersi addosso. Inizialmente sembrò ignorarlo, troppo intento a litigare con la maglietta pulita, poi si voltò con le sopracciglia aggrottate e un tono quasi infastidito.
«Non è per quello, idiota! Figurati se mi scandalizzo perché ti sei addormentato su di me, in autobus sarà capitato almeno un milione di volte!».
Deglutì. Quello che aveva detto era solo parzialmente vero, le altre volte Hinata non aveva dormito sul suo petto, ma sulla sua spalla, e non ricordava una sola volta in cui avesse mantenuto quel sorrisetto felice sul volto.
«Allora cos’è che ti preoccupa?» Hinata, seduto sul suo futon, portò la testa di lato con fare curioso e leggermente preoccupato.
Kageyama legò i lacci delle scarpe.
«Non è nulla che ti riguardi, non direttamente almeno».
«Che hai detto?! L’ultima frase l’hai a malapena sussurrata!» Hinata si avvicinò al suo amico per ascoltare meglio, ma quello decise di non ripetere nessuna delle parole appena pronunciate, gli tirò un piccolo pugno in testa e aprì la porta.
«Andiamo in sala pranzo piuttosto!».
 
Tobio notò che i suoi amici stavano finendo di pranzare, le pirofile erano quasi tutte vuote, quella della tempura era stata ripulita per benino.
Ci rimase male.
Hinata poi gli indicò il suo piatto dove, in bella vista, della tempura e degli onigiri lo aspettavano, con un contorno di filetto ben cotto.
“Proprio quello che piace a me.” Pensò aprendo involontariamente la bocca in un’espressione di stupore.
Era quasi tentato di ringraziare Hinata - era sicuramente opera sua - ma per fortuna non ce ne fu bisogno. Nishinoya lo aveva rapito per mostrargli l’ultimo numero di Fly Volleyball, tenendolo occupato per un po’.
Tobio si sedette e mangiò in silenzio. Mai pranzo gli era sembrato così gustoso.
 
Dall’altro lato del tavolo, Sugawara e Daichi sospirarono pesantemente.
 
-
 
«Asahi, prova ad alzarla più in alto, okay?» Shoyo saltellava davanti la rete dell’allenamento, Ukai li aveva fatti mettere tutti in fila per farli allenare nelle alzate e -a turni - per farli allenare nelle schiacciate.
Come c’era da aspettarsi, Shoyo non poteva essere più felice. Tutti i suoi compagni sollevavano per lui e lui solo poteva schiacciare.
Si vedeva proprio come, nella sua mente, si sentisse il re indiscusso dell’allenamento.
“Sembra così felice quando gioca, così vivo, che nessun altra cosa al mondo potrebbe renderlo altrettanto felice”.
Arrivò il suo turno, Kageyama sapeva perfettamente cosa l’altro si aspettasse, così preparò la palla per una veloce che riuscì senza la minima sbavatura.
«Woooh! L’hai vista? Doveva esserci un intero pubblico a vederla, ragazzi l’avete vista?» Urlava così tanto e saltava così in alto da raggiungere quasi la cima della rete.
Trascinò i suoi compagni in una risata collettiva, nessuno riusciva calmarlo.
Le alzate dopo, anche se nemmeno lontanamente simili a quella di Tobio, gli diedero modo di sfogare la sua voglia di schiacciare.
Dall’altro lato del campo, dietro una delle assi di legno, Mel guardava Shoyo con un sorriso sincero. Le guance le si erano colorate di un tenue rosso e i suoi occhi lucidi seguivano ogni movimento dello schiacciatore.
Era ammaliata e, si disse Tobio, lo sarebbe stato chiunque.
Hinata era come una brutta malattia, era contagioso e non passava più.
E, soprattutto , non vi era cura.
Solo che, anziché ucciderti, ti riempiva di vita.
Se la meritava una ragazza al suo fianco che lo sostenesse e lo ascoltasse, che lo amasse in modo genuino, proprio come faceva Melody. E tutto dipendeva solo da lui.
«Ehi, Kageyama, tocca di nuovo a te!» Daichi gli passò il pallone che finì tra le sue mani, pronte a sollevarlo in aria con la traiettoria di cui aveva bisogno. Hinata scattò, pronto a volare.
E lì, vedendolo con il corpo che violava ogni legge di gravità, con lo sguardo concentrato e il cuore a mille, Tobio prese la sua decisione.
 
«Voglio renderti felice, Shoyo. E giuro che lo farò».
 
-
«Ehi, ti è venuto mal di pancia?» Shoyo saltellava mentre aspettava il suo turno per alzare a Daichi, momentaneamente addetto alle schiacciate per l’allenamento.
Kageyama portò una mano allo stomaco, come a dare ragione al suo amico.
«Sono sicuro sia solo un po’ di indigestione, con un antiacido andrà subito meglio, non preoccuparti!» Si sforzò di sorridere e sperò che dalla sua espressione non trapelasse l’immensa bugia che aveva appena pronunciato.
Seh, l’indigestione.
Diede una rapida occhiata a Melody che, come sempre, si stava allenando proprio sull’estremità del suo campo che permetteva un’ottima visuale della Karasuno.
La ragazza non se lo fece ripetere due volte. Con una scusa chiese alla sua sensei di rientrare e seguì Kageyama.
Si incontrarono sugli scalini che portavano alla mensa, dove si erano visti la prima volta. Entrambi avevano il volto arrossato e grondante di sudore a causa dei duri allenamenti, le maglie delle loro squadre ciondolavano leggermente sui fianchi.
Melody approfittò di quel momento per legarsi i codini biondi, che a causa dei movimenti si erano spettinati.
«Hai deciso cosa fare?» Chiese poi cercando gli occhi dell’altro palleggiatore. Kageyama quasi si sentì inferiore mentre veniva esaminato da quelle iridi azzurre.
«Ti aiuterò, Shoyo merita qualcuno che lo ami e che gli stia accanto, ma devi promettermi una cosa.» Tobio prese un respiro profondo. Sentì il sangue scorrergli tra le tempie, la testa quasi gli vorticava.
Mel chinò il capo di lato con aria interrogativa.
«Promettimi che non gli farai del male, Melody, che non lo ferirai, perché non potrei mai perdonarmelo né riuscirei a perdonare te».
La ragazza spalancò gli occhi e impallidì, suonava come una minaccia bella e buona, soprattutto perché lo sguardo del ragazzo si era fatto deciso e quasi intimidatorio.
Non importava.
Mel era sicura di ciò che provava, così annuì.
«Giuro che rimarrò al suo fianco qualunque cosa accada, sarò lì a festeggiare con lui quando vincerà e lo sosterrò quando perderà, io provo per lui davvero qualcosa che non puoi neanche immaginare!».
Kageyama non digerì quelle parole.
Lo immaginava, eccome se lo immaginava! Provava esattamente quello che provava lei, l’immenso desiderio di rimanergli accanto.
Ma non poteva dare a Hinata quello che poteva dargli Mel, un amore sconfinato e la dolcezza di una carezza.
Al massimo una spalla su cui dormire, o un petto in cui il cuore batteva forte quando ci si addormentava di sopra.
Solo questo non avrebbe potuto renderlo davvero felice, ne era certo.
«Bene, voglio crederti sulla parola. Scrivigli una lettera, ci penserò io a fargliela trovare. Soprattutto evita di parlargli in modo diretto per il momento, potrebbe emozionarsi e…».
«E svenire?».
“… e andare in bagno” Kageyama pensò non fosse esattamente l’espressione più idonea, anche se Mel avrebbe scoperto presto la verità.
«E svenire, sì.» Mentì mentre portava due dita agli occhi massaggiandoli, quella situazione cominciava a renderlo nervoso.
Più di prima.
Mel portò i pugni al petto in un’espressione tenera, gli occhi sognanti lasciavano presagire una lettera carica di sentimenti e romanticismo.
«Allora gli scriverò una lettera!».
 
Kageyama tornò in campo, non si era accorto affatto del time out indetto dal suo capitano. Daichi e Suga, infatti, lo avevano seguito e avevano finito per origliare la conversazione, capendo più del diretto interessato.
Sul campo del Nekoma, intanto, Yui aveva raggiunto la sua amica senza farsi vedere.
Al contrario di Mel, accecata dai suoi sentimenti per Shoyo, Yui aveva letto per bene ciò che si nascondeva nello sguardo di Kageyama, provando per lui un’immensa compassione.
Era innamorato e non sapeva dirlo nemmeno a se stesso.
Mentre Tobio si avvicinava alla rete, seguendo i salti di Shoyo con la coda dell’occhio, pensò che ciò che stava facendo era giusto.
Anche se faceva male.
E si chiese in fine, prima di abbandonare quei pensieri, come dei semplici caratteri d’inchiostro potessero sconvolgere così tante vite.


Angolo autrice:
Ciao a tutti! Il prossimo capitolo sarà quello conclusivo e, non potendolo spezzare in due parti, sarà un po' più lungo del solito.
Spero che la storia vi stia incuriosendo! Alla settimana prossima <3

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


~ Caratteri d'inchiostro ~



«Andiamo!» Shoyo afferrò Kageyama per un polso trascinandolo fino al campo d’allenamento. L’altro non si oppose, d’altronde aveva bisogno di distrarsi e dedicarsi a delle alzate perfette sarebbe stato un ottimo metodo.
Shoyo gli lanciò la felpa e infilò la sua, già pronto per il primo giro di corsa prima di cominciare a saltare.
Adorava quei momenti dopo cena, tutti i loro compagni si dedicavano allo stretching, al riposo o alle strategie da adoperare.
Loro no, potevano godersi il loro campo vuoto e darsi da fare con delle schiacciate fenomenali. Tobio lanciò la prima, la seconda, la terza volta.
Shoyo non faceva che caricarsi sempre di più, come un pupazzo a molla. Sorrideva così tanto da brillare di luce propria, l’altro cominciò ad imitarlo emozionandosi ogni volta che il pallone andava esattamente dove volevano e con la potenza massima.
Alla decima volta si batterono il cinque guardandosi dritti negli occhi.
Erano in piena sintonia, sapevano esattamente come si sarebbe mosso il corpo dell’altro, in che istante e con che potenza.
Si ritrovarono a sorridere, soddisfatti dei risultati ottenuti.
Ma i loro cuori dicevano “di più! Possiamo fare di più!” e andavano alla ricerca della perfezione, di altri piccole escamotage che avrebbero permesso a quella tecnica di non essere prevista e di avere un tasso di efficienza altissimo.
Andarono avanti per due intere ore, la luna era ormai alta in cielo e l’aria fresca cominciava ad infastidire i visi inumiditi dal sudore.
«Per oggi direi che abbiamo finito!» Urlò Daichi dalla finestra della loro camera comune, i due si voltarono grattandosi il capo e cominciando a raccogliere i palloni che rotolavano per tutto il campo.
«Sei stato grande, Kageyama! L’ultima schiacciata è stata proprio…».
«Woosh?» Lo anticipò l’altro sapendo già dove sarebbe andato a parare.
Hinata scosse la testa come per annuire, poi raggiunse gli scalini e tracannò l’intera borraccia in un solo sorso.
Kageyama si avvicinò alla borsa, vi era qualcosa che usciva dalla cerniera interna. La afferrò.
Era un foglio di carta ripiegato con una graffetta rossa, non aveva bisogno di aprirla per sapere cosa fosse.
Sentì un pallone dentro lo stomaco che rimbalzava, grazie alla vitalità di Hinata aveva totalmente dimenticato la storia in cui si era cacciato, finendo per immergersi solo nell’allenamento.
“Dovrei leggerla?” Si chiese mentre la stringeva tra le dita e continuava a fissare quella graffetta rossa.
Shoyo si spinse verso di lui per guardare meglio, portò la testa di lato con aria interrogativa e indicò la lettera.
«Cos’è?» Chiese con tono curioso, Kageyama non riuscì immediatamente a rispondere. Era ancora indeciso.
Però vi fu un momento, non seppe dire quale, in cui capì che nel momento in cui avrebbe aperto quella lettera, tutto sarebbe andato in fumo.
Si sarebbe opposto a Mel e ai suoi sentimenti, privando Shoyo dell’amore di una ragazza buona come lei.
Sarebbe stato parecchio egoistico e alla prima occasione in cui avrebbe visto Shoyo abbattersi, avrebbe pensato a Mel e a come avrebbe potuto sostenerlo.
No! Doveva farlo per lui!
«Kageyama? E’ per me?» Shoyo era sbiancato e aveva portato il dito davanti il suo viso, indicandosi. Le pupille si erano rimpicciolite fino a diventare due spilli neri.
Tobio ci mise un paio di secondi a capire, sentì il sangue affluirgli al viso.
«Boke, Hinata! Non l’ho mica scritta io! Ti sembro tipo da scrivere letterine d’amore?!» Kageyama gli tirò almeno tre pugni in testa prima di fargli scivolare il foglio tra le mani. Shoyo sollevò la testa e il relativo bernoccolo.
«Come fai a sapere che si tratta di una lettera d’amore se non l’hai scritta tu?» Chiese l’altro ancora più confuso ma, stranamente, più sereno.
«Lo so e basta, smettila con le domande e leggila».
Hinata fissò il suo amico per qualche minuto, poi tolse la graffetta e aprì il foglio. Lo girò al contrario sulle ginocchia e cominciò a frugare dentro il borsone alla ricerca di qualcosa.
Il suo amico lo fissò di sbieco, senza capire.
Hinata tirò fuori un asciugamano e lo tirò all’altro, aggiungendo un «Prendi freddo.» detto quasi sottovoce.
Cominciò a leggere.
 
-
 
Kageyama non riusciva a prendere sonno. Shoyo non gli aveva rivolto più la parola da quando aveva letto il foglio scritto da Melody, si chiese anche se la ragazza fosse sveglia come lui.
Sicuramente doveva sentire le farfalle nello stomaco. Sospirò e si voltò dall’altro lato.
Shoyo era sgattaiolato via dal futon subito dopo aver sentito Daichi e Nishinoya russare.
Era stato fin troppo silenzioso per essere il solito Shoyo Hinata, ciò non aveva fatto altro che spaventare Kageyama ancora di più.
Si sedette sul suo futon, strinse i pugni  e tirò la coperta fin sotto le ginocchia.
“Perché diavolo ha reagito in quel modo? Se vuole andare da Melody e parlarle, che lo faccia! Se vuole risponderle con una lettera, che la scriva! Gli do una mano io piuttosto, ma che torni a parlarmi, santo cielo!” Pensò mentre si alzava dal futon e portava la felpa sulle spalle.
Sapeva dove trovarlo, poteva essere in un posto solo.
Shoyo stava seduto sul pozzo con le gambe a penzoloni e la lettera tra le dita, fissava l’orizzonte  e sembrava assorto nei suoi pensieri.
Kageyama pensò che fino a due giorni prima non avrebbe mai immaginato Shoyo in cerca di un luogo appartato dove stare solo e riflettere. Ora si trovava esattamente nella posizione opposta a quella della famosa notte in cui si erano ritrovati così vicini da sentire l’uno il battito dell’altro.
«Stai bene?» Chiese Tobio mentre si faceva spazio sul pozzo.
Shoyo sentì addosso il peso di quella domanda che, quella stessa mattina, aveva rivolto al suo amico. Non rispose, continuò a far ciondolare i piedi e rigirare il foglio tra le mani.
Proprio non riusciva a stare fermo.
Kageyama si spazientì.
«Boke! Rispondimi e non farmi preoccupare!» Esclamò tirandogli l’ennesimo pugno in testa. Prima o poi gli avrebbe sfondato il cranio, ne era certo.
Shoyo gli tirò un pugno sulla spalla e si massaggiò il bernoccolo con aria sofferente. Guardò malissimo il suo amico.
«Sto bene, sto bene. Stavo solo cercando di capire cosa devo fare».
«Per parlare con Melody?».
Shoyo annuì, non sembrava particolarmente entusiasta della lettera ricevuta.
«Le sue parole sembrano così sincere e piene d’affetto e io capisco pure cosa significa!» Esclamò con aria sofferente, non più per il bernoccolo.
Kageyama aggrottò le sopracciglia, confuso.
«Sai cosa significa?».
«Sì! Lei mi ha scritto che quando sta accanto a me il suo cuore batte all’impazzata e che vorrebbe condividere ogni momento felice e ogni momento triste, che vorrebbe sostenermi e passare con me ogni attimo libero, condividere il pranzo e perfino tenermi la mano!» Shoyo era tremendamente serio, Kageyama invece sentiva i denti cariarsi.
Melody si era dimostrata una ragazza molto dolce, ma quelle parole erano davvero tremendamente zuccherose anche per lui.
«E tu sai cosa si prova?» Chiese ancora più confuso, non si immaginava proprio Shoyo alle prese con quei pensieri stucchevoli e mielosi.
«Certo! Io ho già con chi fare tutte queste cose e non voglio cambiare persona, quella che ho al mio fianco va benissimo! Solo che non ho idea di come dirlo, so che la ferirei. A me farebbe male se mi venissero a dire che i miei sentimenti non sono ricambiati.» Shoyo portò le ginocchia al petto e ci poggiò il mento sopra, sospirando.
Ricordava Melody e come si erano conosciuti, da quando erano uno al Karasuno e l’altra al Nekoma era capitato di vedersi durante le assemblee o i raduni di pallavolo misti, a volte si incontravano perfino al supermercato o alle feste di paese.
Si erano sempre salutati e fermati a parlare, ma non immaginava di certo che lei nascondesse una cotta di quella portata.
Kageyama non aveva ancora chiuso la bocca, che si era inevitabilmente spalancata dopo la prima frase. Cercò di darsi un contegno e, per riprendersi, cominciò a scompigliarsi i capelli.
“Okay, calmo. Devo stare calmo.” Si disse mentre guardava Hinata con la coda dell’occhio, l’altro non si era minimamente scomposto e continuava a fissare l’orizzonte con quel cappuccio che gli copriva mezza testa.
«Forse domani mattina dovrei dirglielo in faccia, non sono bravo con le lettere.» Riflettè fissando il foglietto ormai stropicciato.
«Dovresti dirgli quello che provi, boke! Non c’è nulla di male se non ricambi i suoi sentimenti, l’importante è essere gentili e non avrai problemi.» Cercò di rassicurarlo l’altro. Poi però si morse la lingua.
“Non è il momento di chiederlo!” Si disse ancora.
Hinata si voltò verso di lui con gli occhi colmi di speranza.
«Vuol dire che secondo te, se sarò gentile con lei, non mi odierà?».
Kageyama avrebbe voluto spalmarsi una mano in faccia.
“Come credi che possa odiarti se gli parli con quell’espressione da cane bastonato?!” Avrebbe voluto urlargli. Era impossibile odiare Hinata.
«Certo che no, idiota! Sii sicuro di te e digli le cose come stanno. Melody mi sembra una ragazza ragionevole, capirà.» Rispose, e in cuor suo lo pensava davvero. Era una ragazza timida e sentimentale, non la immaginava davvero a perdere le staffe o ferire il suo amico.
Ci sarebbe rimasta male, quello era inevitabile, ma con le parole giuste si poteva evitare di ferirla più del dovuto.
«Menomale.» Aggiunse Shoyo sospirando, sentire Kageyama dire quelle parole lo aveva rassicurato e gli aveva riempito il cuore di speranza. Quasi gli dispiaceva dover aspettare il mattino dopo per poterle parlare, in qualche modo.
«Piuttosto - cominciò Tobio guardando altrove - a chi ti riferivi prima, quando parlavi della persona che ti sta vicino? La conosco?».
Pensò a Yachi, oppure si stava riferendo a quella ragazza della sua classe che ultimam-.
«Dici sempre “Boke” a me, ma sei tu il vero boke!» Esclamò Hinata gonfiando le guance, risentito. Dover sottolineare l’evidenza lo infastidiva.
Anzi, a dir la verità, lo imbarazzava.
Prese fiato e continuò.
«Ogni volta che scendiamo sul campo insieme il mio cuore fa woosh e tutte le schiacciate sembrano fare poof poof! - Shoyo allargò le braccia con fare teatrale - Quando facciamo punto ci guardiamo e io so perfettamente di essere lì con te, quando voglio fare una schiacciata arriva sempre una tua alzata e quando vinciamo so che provi esattamente ciò che provo io. Anche quando perdiamo e io sento la tristezza insieme alla voglia di lottare e mi viene da piangere, poi vedo che piangi anche tu di nascosto e non mi sento più solo».
Shoyo evitò il suo sguardo, Kageyama invece non fece altro che trovarlo quasi tenero.
«Hinata?».
«E quando non ci alleniamo mi piace passare del tempo insieme! Condividere il pranzo o girare le edicole per trovare l’ultimo numero di Fly Volleyball per vedere se siamo finiti nella copertina o andare a inseguire i nostri avversari e spiare i loro allenamenti. Mi piace addormentarmi sul bus e sapere di avere le tue spalle accanto su cui poggiarmi o tornare a casa e ricevere le tue chiamate per sapere se sono arrivato intero. A me basta questo, non ho bisogno di nessun altro accanto.» Shoyo si sentì molto più leggero, talmente tanto che finalmente pensò di poter toccare il cielo se avesse spiccato un salto.
Si immaginò a volare in aria come un palloncino.
Se era riuscito a dire tutto ciò che pensava e provava quando stava accanto a Tobio, sarebbe senz’altro riuscito a parlare con Melody il mattino dopo.
A proposito di Tobio, l’altro non aveva detto nemmeno una parola. Hinata si voltò appena in tempo.
Si sentì afferrare per la collottola della maglia e si ritrovò un paio di labbra fredde contro le sue. Erano fredde e rigide, decisamente inesperte.
Lo stupore fu tale da non permettergli lì per lì di ricambiare. Però fu un bacio risolutivo.
Aiutò entrambi a schiarirsi le idee, anzi, ad accettarle. Sapevano già cosa si celava sotto, avevano solo bisogno di una piccola spinta.
Quando Kageyama si allontanò, non sentì l’esigenza di aggiungere nulla. Portò un braccio sulle spalle di Hinata e lo costrinse a poggiarsi sul suo petto, proprio come qualche sera prima.
Dopo qualche minuto, fu il primo a parlare.
«Come lo chiameresti questo?» Chiese con la voce ancora un po’ in imbarazzo, riferendosi al bacio.
«Tobio».
«Come?».
«Tobio. Voglio chiamarti Tobio.» Scandì come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Kageyama pensò, in effetti, che lui ed Hinata non si erano mai chiamati per nome.
Erano solo “Boke, Hinata!” e “Kageyamaaa”. Non che gli dispiacesse.
«Shoyo?» Provò a chiamarlo lui, non era la prima volta che pronunciava il suo nome. Ma era la prima volta in sua presenza.
«La smetterai di chiamarmi boke?» Chiese speranzoso l’altro, sapendo già la risposta.
Kageyama gli tirò un piccolo ennesimo pugno in testa, a sottolineare che le cose non sarebbero cambiate.
Se non in meglio. In piccolo.
Hinata quella notte non si addormentò sul petto dell’altro, ma rimase a parlare con lui fino all’alba.
 
-
 
Melody mise lo zaino sulle spalle e uscì nel cortile dove gli ultimi raggi del tramonto coloravano l’erba, il primo bus era arrivato e i membri della Karasuno erano già saliti tutti, il loro sarebbe arrivato a breve.
«Sicura di star bene, Mel?» Chiese Yui mentre poggiava una mano sulla spalla della sua amica, quella sospirò e si lasciò coccolare dall’altra.
«Sì, ci metterò un po’ per elaborare il tutto, ma in fondo sono felice così. Avrei dovuto capirlo dall’inizio, ancor prima di parlare con Kageyama-san.» Rispose sollevando gli occhi verso il finestrino, cercandoli.
«Non potevi saperlo, Mel, non fartene una colpa. Hai fatto bene a tentare, o saresti rimasta per sempre con quel dubbio, no?» Yui cercò dei fazzoletti, sapeva che la sua amica sarebbe scoppiata a piangere da un momento all’altro.
La conosceva troppo bene.
«Lo so - singhiozzò l’altra -, ma speravo davvero che ricambiasse, o che almeno mi dicesse che voleva pensarci. Invece lui provava ciò che provavo io, semplicemente non per me, ma proprio per lui. Chissà come deve essersi sentito Kageyama-san mentre gli dicevo tutte quelle cose.» Melody si morse un labbro.
Con i suoi sentimenti credeva di aver ferito sia Shoyo che Tobio, quando invece non aveva fatto altro che farli ritrovare.
Yui le diede un pizzicotto per farla rinsavire, quella la guardò con gratitudine nonostante il braccio le facesse male.
Shoyo si affacciò dal finestrino e alzò un braccio salutandola con grande energia, com’era solito fare.
Mel ne era lieta, avrebbe potuto ancora godere della sua compagnia in quei rari momenti, almeno. La sua vitalità era contagiosa, averlo a fianco avrebbe continuato a farla sentire bene, nonostante tutto.
La ferita sul cuore si sarebbe rimarginata poco a poco, grazie alla pallavolo, grazie a Yui che continuava a consigliarla e sostenerla, grazie alla consapevolezza di non essere la sola a provare le farfalle nello stomaco. Almeno non si sarebbe sentita stupida la prossima volta che l’amore avrebbe bussato alla porta.
«Andiamo dai, finiranno per lasciarci qui!» Yui le prese il polso tirandola verso il bus, Mel si voltò un’ultima volta cercando di nascondere le lacrime.
Dal finestrino potè vedere Kageyama e Hinata tirarsi dei pugni e battibeccare per chissà quale motivo, però, forse solo lei, riuscì a scorgere un piccolo sorriso malcelato sui volti di entrambi.
Il sorriso di chi aveva acquisito consapevolezza di non essere solo.
Si chiese se sul suo volto vi fosse lo stesso sorriso.
 
 

Extra.
Bus della Karasuno, ore 22:00. Arrivo previsto per le 00:00.
«Ehi, Tobio, prova a poggiarti sulla mia spalla, così saremo pari!» Sussurrò Sho indicando la sua spalla sinistra, tutti gli altri membri della squadra dormivano pesantemente, stremati dagli allenamenti di quella settimana.
Tobio provò a mettersi comodo, ma con scarsissimi risultati.
«Boke! Sei troppo basso, guardami sono tutto storto, non riuscirei più a giocare se mi addormentassi così.» Si lamentò guardandolo truce. Entrambi si fissarono per qualche secondo prima di trovare una soluzione.
Kageyama si raggomitolò sul suo sedile, poggiando la testa sulle ginocchia di Hinata che con una mano cercava di fargli da cuscino, l’altra invece l’aveva stesa sulle sue spalle. Andava decisamente meglio.
«Ah-ha! Siamo pari adesso, vedremo chi dei due crollerà più spesso sull’altro, eh Tobio? Tobio?!».
Kageyama non si era mai addormentato con una sensazione di calore e di affetto come quella. Fu la dormita migliore della sua vita.
 
Qualche sedile dietro, Sugawara e Daichi stavano spiando dallo spazietto tra i due sedili per cercare di capire qualcosa in più. Quella notte non avevano dormito niente proprio a causa di quei due tonti, avevano provato ad origliare ma si erano subito pentiti, avevano già violato la privacy di Kageyama durante la conversazione con la ragazza del Nekoma.
Avevano quindi optato per lasciarli soli, salvo controllare di tanto in tanto che non tentassero di ammazzarsi a vicenda. Era stato proprio durante uno di quei controlli che li avevano beccati a baciarsi.
Avevano sospirato entrambi, felici che finalmente quei due avessero trovato il coraggio per dichiararsi, anche se a modo loro.
«Credi che lo diranno mai alla squadra?» Chiese Daichi mentre notava come Kageyama fosse crollato sulle gambe dell’altro.
«Lo diranno quando saranno pronti, intanto continuiamo a fingere di non sapere nulla.» Suggerì Suga mentre tornava sul suo posto.
«Aaah, certo che sono proprio carini!» Sospirarono entrambi, felici di quell’amore che finalmente aveva trovato espressione.

 

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