8 miliardi di persone.

di benedetta_02
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Io non ti conosco. (Carla) ***
Capitolo 2: *** Perchè te lo sto chiedendo io. (Carla) ***
Capitolo 3: *** Mi sarebbe piaciuto conoscerti ai tempi. (Carla) ***



Capitolo 1
*** Io non ti conosco. (Carla) ***


Gaetano- Calcutta https://www.youtube.com/watch?v=hzfz82wyPFs
 
Quando mi chiedono cosa voglio fare dopo il diploma, onestamente ancora mi ritrovo con un incertezza non indifferente. All’alba del mio quinto anno, sono felice del dover lasciare la scuola e dover lasciare Roma, ma sono rammaricata, perché non so che cosa fare della mia vita. Oltre a fare schifo, ovviamente. Suona la sveglia, come ogni mattina. Mi sposto dal letto, come ogni mattina. Guardo il panorama ancora buio dalla finestra della mia camera, come ogni mattina. Mi faccio la doccia, mi metto i soliti quattro vestiti e prendo lo zaino, come ogni mattina. Aspetto mia sorella per fare colazione, come ogni mattina. Ed ora è qui che vi aspettate la storia della ragazza perfetta, con un ragazzo fighissimo, una famiglia super ricca e generosa, che va a ballare ogni sabato con le sue amiche e che è conosciuta in tutta la sua scuola. E invece, mi dispiace deludervi, ma non è esattamente così. Mia madre pulisce i cessi pubblici di Tiburtina di notte, fa da badante ad un vecchio di mattina, il pomeriggio prova a dormire qualche ora ma poi deve risvegliarsi perché attacca al ristorante sotto casa come cameriera. Questo per mantenere me,mia sorella minore Emma, mio fratello maggiore Andrea e il mio fratellino piccolo Mattia.
 
“Buongiorno.” A riprendermi dai miei pensieri è mio fratello Andrea che è appena rientrato a casa.
“Andrè.” Cerco di non fare rumore nel chiamare Andrea per non svegliare Mattia ed Emma.
Lui si affaccia appena dalla porta della cucina e gli faccio cenno di sedersi alla sedia di fronte a me e lui anche se scocciato lo fa.
“Dimmi mamma.” Dice Andrea con un tono quasi ironico.
“Devi finirla con questa storia.”
“Ma quale storia Cà? Senti.” Si alza e viene dietro di me per farmi un massaggio alle spalle che però mi fa solo male. “Tu, da quando papà se n’è andato, non vivi più la tua vita. Hai saltato tutti i tuoi anni precedenti. Ai tuoi 18 anni abbiamo comprato la pizza, come se fosse una cosa eccezionale.Vivi, Carla e stai tranquilla.”
“Sarebbe più semplice per me vivere e stare tranquilla, se avessi un po’ di collaborazione da parte vostra.”
Andrea stacca le mani dalle mie spalle e si toglie la giacca che ancora aveva indosso per posarla con delicatezza sulla sedia. Poi si risiede sulla sedia di fronte a me e si accende una sigaretta e me ne porge una che accetto volentieri.
“Carla che cazzo vuoi?” Parla con una tranquillità immane, come se mi avesse appena chiesto ‘Carla come stai?’.
“Come che cazzo voglio? Voglio aiuto, Andrè, quando papà si è dato alla latitanza, abbiamo detto che mamma non avrebbe fatto tutto da sola e che noi ci saremmo stati per lei.”
“E perché non ci siamo per lei?”
“Andrè, ma che cazzo dici?” Sbatto la mano sul tavolo quasi come se volessi romperlo. “Tu esci ad orari improponibili, torni ad orari improponibili e dormi una giornata intera. Chi ti vede? Non lavori, non studi, non fai un cazzo se non fumarti quei due soldi che guadagni e non si sa nemmeno come li guadagni. Emma, invece, credere di vivere ai Parioli, compra, compra, compra. E mamma per non dirle di no, la accontenta. Mattia è un bambino che non può avere colpe. Avevamo stabilito che tu lo avresti accompagnato a scuola, visto che io ed Emma usciamo prima,ma tu te ne sei fregato ancora una volta.Andrea basta così.”
“E tu che cazzo fai invece?”
“Io? Io sono l’unica che non chiede mai un cazzo. Se i tuoi vestiti sono puliti e stirati ringrazia me. Se abbiamo qualcosa in frigo ringrazia me che vado a fare la spesa. Se trovi sempre tutto in ordine ringrazia me. Se Mattia fa una vita più o meno simile ai suoi compagni ringrazia me. Se mamma non è ancora morta dallo stress, devi ringraziare me. Solo me. E nessun altro in questa cazzo di famiglia.” Sto urlando, me ne sono accorta. Ma vedere la faccia dispiaciuta di Andrea è una sensazione unica ed inspiegabile. Sapeva perfettamente che avevo ragione, sapeva che io e mamma avevamo bisogno di una mano ma non so per quale assurdo motivo, continuavano a non fare nulla.
“Mi avete svegliata.” Emma varca la soglia della cucina con una faccia da principessa ancora assonnata che non ha potuto completare il suo sonno di bellezza. Si dirige direttamente verso il frigo per prendere il latte.
“Emma, bevi il succo, lascialo il latte. L’ho conservato per Mattia.”
“Non ne abbiamo altro?”
“No Emma, non ne abbiamo altro. Devo comprarlo.”
 

Daniel Powter - Bad Day https://www.youtube.com/watch?v=gH476CxJxfg

 
“Lo prenderò io dopo aver accompagnato Mattia.” Andrea forse ha capito il concetto. Mi prende la mano e me la stringe forte. Ma quando durerà questa sua generosità? Ma non voglio rovinare nulla. Per un momento voglio godermi l’aiuto dei miei fratelli, anche se effimero.
Prendo le cose di Emma e gliele metto nella  borsa che usa per andare a scuola. È l’unico modo per non arrivare in ritardo al mattino. Le piace perdere tempo nel vestirsi bene, nel sistemarsi i capelli e truccarsi. A differenza mia che basta un jeans, una felpa, delle scarpe comode ed un cappello nelle giornate in cui ho i capelli sporchi e non ho avuto il tempo di lavarli. Ed oggi è un giorno di quelli.
 
 
“Emma sono le 7:35, fra esattamente 5 minuti passa l’autobus. Io ti lascio qui.”
“No vai. Stamattina viene Giovanni a prendermi. Non te lo avevo detto?”
“Che cosa?”
Prendo le mie cose velocemente e mi dirigo a passo svelto verso l’uscita di casa, ma prima controllo che Mattia abbia tutto apposto e in ordine. Mentre sto uscendo mi ferma Andrea per un braccio.
“Chi è Giovanni?”
“Ed io che cazzo ne so.” Mi libero dalla sua presa e corro giù per le scale cercando di non perdere il pullman. Ma detto fatto. Il pullman mi passa davanti gli occhi. Arriverò in ritardo il primo giorno di scuola.
Inizio ad incamminarmi verso scuola,metto le cuffiette nelle orecchie e accendo la musica. Parte Bad day di Daniel Powter. Direi che è un segno. Continuavo a camminare riflettendo su quanto la mia vita fosse sempre così difficile da affrontare e quanto dovessi sempre guadagnarmi tutto e mai nulla mi venga davvero regalato. Sono infelice. Non triste, non depressa, ma infelice. Vorrei solo che la mia famiglia stesse bene, che mia madre non debba cadere malata per riuscire a garantirci un tetto sulla testa, del cibo nella dispensa ed una vita mezza mediocre.
Noto qualcosa di strano vicino a me, percepisco la presenza di qualcuno ed ecco quando sento il suono di un clacson che inizio ad accelerare il passo, ma attraverso il mio intuito vedo la macchina che mi segue, fin quando non inizio a correre ma l’auto è sempre più vicina a me. Fin quando la macchina non mi supera ed accosta un po’ più avanti per poi fare retromarcia e mi rendo conto che io quella macchina la conosco. È Aurora.
 
Sfera Ebbasta- Tran Tran https://www.youtube.com/watch?v=tU_KbOs8w2o
 
Aurora è la mia migliore amica da quando eravamo due bambine. Ha vissuto insieme a me tutti i miei successi e le mie disgrazie e non mi ha mai abbandonata. Vive nel mio stesso quartiere, ma quella fuori posto lì in realtà sono io.
Se la ride, con il braccio ancora teso sul volante e l’altro braccio piegato e poggiato sul finestrino. “Dai sali.”
Io, invece, ero ancora poggiata al palo della luce che stavo riprendendo fiato. “Ma vaffanculo.”
Salgo in macchina e saluto Aurora come si deve.
“Ma come sapevi che non avrei preso il pullman?”
“Andrea.”
“Andrea?”
“Si, mi ha chiamato. Mi ha detto che stavi correndo come una folle per le scale perché avevi perso il pullman e mi ha chiesto se potevo passarti a prendere, ma che sicuramente eri già per strada.”
“E perché non mi hai chiamata?”
“Perché non mi avresti fatto venire.”
“Vero anche questo.”
“Ma Andrea sveglio alle 8 meno un quarto?”
“Eh si sciocca tutti.”
“Ma non ha ancora trovato lavoro?”
“Auro la situazione è diversa. Andrea nemmeno lo cerca il lavoro.”
“Va beh dai mi dispiace.”
“A me no.”
“Tu sei troppo cinica con tuo fratello.”
“Cinica? Aurora, ha 27 anni sarebbe ancora che si trovasse qualcosa da fare.La verità è che tu lo guardi con altri occhi perché lo ami da morire.”
“No..cioè potrebbe essere.”
“Ma diciamo anche di si, dai.”
Arriviamo ‘All’angolo’, ossia il nostro bar di fiducia ormai da 4 anni. Ci andiamo la mattina prima delle lezioni, il pomeriggio quando dobbiamo studiare e la sera per prendere il caffè quando non abbiamo voglia di far nulla. Come noi, anche tutti gli altri studenti del Leopardi, il nostro liceo, perché è l’unico bar, che non sembri una bettola, più vicino a scuola.
Io ed Aurora scendiamo dalla macchina, prendiamo gli zaini e andiamo al tavolino dove Giulia ed Alice ci stanno aspettando. Giulia ed Alice sono le altre due nostre amiche ed insieme facciamo il nostro magico gruppo di sfigate. O meglio, noi ci definiamo tali, ma di certo non siamo stra fighe. Erano vicinissime con le sedie e stavano osservando con attenzione qualcosa al cellulare di Alice.
“Ma che state facendo?”Dice Aurora prendendo la sedia ed avvicinandosi al tavolo.
“Buongiorno.”Alzò il capo prima Giulia per salutarci e poi Alice fece lo stesso.
“Regà, ncs. Non ci siamo proprio per niente.”Dice Alice girando lo schermo del telefono verso di noi.
Ci fa vedere le storie in evidenza del profilo instagram di Beatrice De Angelis, la tipa più figa della scuola, che si bacia e si ribacia con Leonardo Spata, dicono, il tipo più stronzo della scuola.
Io ed Aurora non notando particolare interesse per la questione presentata da Alice, ci guardiamo e ridiamo.
“Che ridete? È una tragedia.”Dice Alice spegnendo il telefono e poggiando la faccia sul tavolo.
“Per quale motivo?” Risponde Aurora continuando a ridere.
“Perchè così non potrò mai conquistare il cuore di Lorenzo Belli.”
“Alice, perdonami.” Le dico io sollevandole la testa. “Chi è Lorenzo Belli?”
“Il migliore amico di Leonardo.”
“E cosa centra Lorenzo con quella storia?”
“Perchè se una di voi ci avesse provato con Leonardo, io ora sarei tra le sue braccia.”
“E questo era nella prima o nella seconda parte del film mentale che ti sei fatta?” Le dice Aurora, e tutte iniziamo a ridere compresa Alice.
 
Il cielo nella stanza- Salmo https://www.youtube.com/watch?v=HbfFG15Xd9U
 
Nonostante potessero esserci delle evidenti differenze tra di noi, io amavo le mie amiche alla follia. Avevamo passato le vacanze estive lontane e quindi nessuna di noi era stata insieme all’altra. Io, che poi, le avevo passate a Roma.Ora è arrivato il momento di recuperare il tempo perso.
Guardo verso la porta del bar per controllare se ci fosse qualche cameriere, ma vedo l’unica persona che non avrei voluto rivedere. Tommaso.
“C’è Tommaso.” Dico alle altre, nella speranza che lui non mi abbia vista.
“Eh?”Dice Giulia.
“Vai a parlarci. Gli devi una spiegazione.”Alice mi consiglia di fare l’unica cosa che non avrei mai voluto fare in quel preciso momento. Non sono una persona che non affronta le situazioni, ma non ero capace di piantare in asso le persone e lasciarle andare via, specialmente dopo papà. Poi quando le situazioni si sovrappongono diventa sicuramente più difficile.
“Carla, ascoltami.” Aurora mi prende la mano e mi accarezza il braccio. “Mi duole dirlo, ma sono d’accordo con Alice. Lo hai lasciato in quel parchetto da solo senza dirgli nulla e senza potergli dare un modo per aiutarti. Eri in una situazione difficile, lo so. Ma ora l’estate è passata e conoscendo Tommaso se non vai tu, ti cercherà lui.”
“Sono d’accordo.” Mi dice Giulia con quel suo viso angelico e buono. Credo che non sia capace di fare male nemmeno ad una mosca.
“Va bene, vado.”
Mi dirigo verso la posizione di Tommaso che era circondato dai suoi compagni di classe. Mi nota immediatamente e il suo viso da felice, diventa quasi arrabbiato.Non fingo un sorriso, niente di niente, anche io ero stranita da quella situazione, ma lo facevo anche per lui. Mi faccio strada tra i suoi amici e mi piazzo davanti a lui.
“Ciao.” Gli dico con un filo di voce.
“Non qui.” Mi prende per la mano e mi porta un po’ più fuori dal bar. Poi si ferma e mi guarda intensamente. “Dimmi.”
“Tommaso...mi dispiace.”
“Ti dispiace?”
“Si.”
“Carla, io ho cercato di capirti, ce l’ho messa tutta. Mi sono anche offerto di aiutarti. Ma se io trovo un muro, non posso abbatterlo. Capiscimi.”
“Ti capisco, ma io non ce l’ho con te.”
“E allora perchè mi hai lasciato lì da solo e te ne sei andata quel giorno?”
“Non lo so.”
“Perchè non mi hai mai risposto quest’estate? Avrei preferito stare qui a Roma con te piuttosto che stare in Sicilia con i miei, credimi.”
Stavo zitta. Non sapevo che dirgli. Aveva ragione, su tutto.
“Carla,ascoltami. Io sono pronto ad iniziare qualcosa di veramente serio con te, ma solo se tu...”
“Aspetta, fermati. Tommaso io non voglio illuderti. Io non voglio una storia con te, non l’ho mai voluta.”
“Ma se abbiamo fatto sesso, più e più volte. Mi hai usato?”
“No, non ti ho usato. Io provavo qualcosa per te, era un bene sincero, quando stavo con te, stavo bene. Non pensavo che mio padre era stato portato via, che ci stavo pignorando tutto, che la mia famiglia era sul lastrico. Ma poi la situazione è peggiorata ed io dovevo stare con mia madre.”
“Ma io non ho mai voluto prendere il primato.”
“Lo so, anzi. Ma non potevo avere distrazioni e anche ora, non posso.”
“Va bene e allora che vuoi? Vuoi scopare ancora e basta?”
“Possiamo uscire qualche volta, non dobbiamo ignorarci.”
“Si, tu forse non ti ricordi le nostre uscite com’erano. Volevi andare a ballare, ubriacarti e poi finivamo nella mia macchina a scopare come due animali. Io non voglio più questo Carla.”
“Io non sono più così. Posso essere una brava amica, posso provare a volerti più bene di prima, ma non so se posso essere altro.”
“Ci devo pensare Carla.” E se ne va.
Aveva ragione, ero diventata una persona orribile, ma ormai ero pronta a lasciarmi alle spalle tutto. Ero cambiata, avevo cambiato ottica, avevo cambiato tutto. Ero stanca.
 
Franco 126- Brioschi https://www.youtube.com/watch?v=XH-lwBknoiA
 
Entriamo in classe. Le solite facce del cazzo, le solite pareti distrutte, i soliti muri pieni di buchi e sul mio banco c’è ancora l’incisione ‘C-T’. Che romanticona che ero. Le professoresse sono sempre le stesse solite rompipalle. Già alla prima ora la professoressa di italiano ci aveva lasciato un saggio da scrivere ‘Come dovrò essere alla fine dell’anno?’. Ed io cosa ne so. Lo scopo di questo saggio era prefissarsi degli obiettivi ben specifici, scriverli qui ed essere motivati nel portarli a termine entro la fine dell’anno scolastico. Va beh, pausa sigaretta.
“Prof posso uscire?”
“Veloce Gargano.”
Esco dalla classe velocemente e senza neanche il tempo di aprire la porta per le scale di emergenza, estraggo il mio pacchetto di Camel Blu dalla tasca della felpa. Mi siedo al primo scalino che dava le spalle alla porta e  guardo il panorama terribile sul cortile della mia scuola. Sento la porta sbattere, qualcun altro avrà avuto la mia stessa necessità.
Eccolo che lo vedo, l’uomo più commentato e ricercato della mia scuola. Leonardo Spata. Capello riccio e castano da vero bad boy, occhi castani perennemente socchiusi, leggera barbetta. Ma l’outfit è quello che più mi lascia perplessa: camicia blu leggermente aperta sul petto, e se noi ragazze mettiamo la canottiera ci cacciano, pantalone beige non troppo elegante dai e le birkenstock ai piedi. Nemmeno se fossi Padre Pio. Ma che ci troveranno tutte? Giro lo sguardo verso il cortile che risultava più interessante.
“Scusa.”
Ecco, mi sta parlando.
“Dimmi.” Mi giro verso di lui. Aveva la sigaretta tra i denti e mi faceva segno dell’accendino con le mani e allora lo prendo con fare scocciato dalla felpa e glielo porgo.
“Grazie.” Non gli rispondo e ritorno a guardare il cortile.
“Sei nuova?”
Oh no, che palle.
Mi giro nuovamente verso di lui. “No, non sono nuova.”
“Non ti avevo mai vista.”
“Nemmeno io ti avevo mai visto.” Bugia.
“Difficile.”
“Che cosa?”
“Che tu non mi abbia mai visto?”Oddio.
“E perchè?”
“Perchè sono rappresentante degli studenti e perchè mi conoscono tutti.”
“Allora mettila così. A me non interessa delle feste che organizzate voi rappresentanti, quindi non vi calcolo. E non ti conosco, quindi non proprio tutti.”
Mi guarda con un’espressione divertita.
“Come ti chiami?”
“Carla.”
“Piacere.” Mi allunga la mano e gliela prendo. “Leonardo.” Lo so.
Stacco la presa e mi alzo, gettando la sigaretta in cortile.
“Mi fai passare?” Dico a Mr.Birkenstock che si era piazzato al centro.
“Altrimenti?”
“Altrimenti niente. Spostati.”
“Ok. Ciao Carla.”
Ciaone amico.  

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Capitolo 2
*** Perchè te lo sto chiedendo io. (Carla) ***


Geolier- Moncler
Un’altra giornata esattamente identica alle altre. Vestiamo e prepariamo Mattia per la scuola, aiuto Emma a scegliere cosa mettere la mattina e le preparo la borsa, nel frattempo aiuto Andrea, che finalmente ha deciso di darmi un mano al mattino, a fare le faccende più grandi come la spesa, pagare le bollette e quant’altro.
Mamma ha perso il lavoro al ristorante e adesso ha più tempo per stare con noi, ma non riesce a vivere tranquillamente come prima, cerca continuamente un lavoro e Andre, fa altrettanto.
Mi guardo in uno specchio prima di uscire di casa e onestamente sono soddisfatta della persona che sono diventata. Sono diventata responsabile e più matura, anche questa è una vittoria personale, o almeno penso. Mi rendo conto che alla mia età può essere difficile accettarsi e anche per me non è stata una passeggiata, ma credo siano fasi scorrevoli che arrivano anche prima che tu te ne possa accorgere. Quando capisci di stare quasi bene con te stessa, vuol dire che si è cresciuti, e non ci si guarda più solo con criticismo. Ho detto addio al passato e sono felice così.
Io e mia sorella saliamo velocemente sull’autobus, linea 75. Ricordo la prima volta che la presi, ero già classificata tra le ragazze della Roma fallita. Mi ricordo che una ragazza mi sfotteva con le amiche perché mio padre aveva fatto quel casino in azienda, raccontando ovviamente bugie su bugie sul mio conto ed Emma, che non riusciva a reggere il tracollo economico della nostra famiglia e successivamente la latitanza di mio padre, la prese dai capelli e le sbatté la testa contro il finestrino dell’autobus ed io, Aurora, una croata squilibrata e un ragazzo mezzo addormentato cercammo di staccarle. Ero spaventata ma allo stesso tempo, ero fiera di mia sorella.
“A che pensi?” Mi dice mia sorella toccandomi una gamba.
MI giro verso di lei e la sorrido. “A quando hai mezzo ucciso una tipa sull’autobus.”
Si mise a ridere e io dietro di lei. Poi la abbraccio. Con Emma è così, sebbene siamo diverse sotto molti punti di vista, siamo comunque sorelle, sarà sempre un pezzo di me ed io un pezzo di lei. Rimarrà sempre e comunque la mia sorellina minore e il mio dovere è farla stare bene e difenderla dalle ingiustizie del mondo.
“Ma con Tommaso?” Tira fuori quell’argomento come se stesse parlando della colazione.
“Niente Emma, cosa vuoi sapere?”
“Avete chiarito?”
“Non mi va.”
“Non lo ami più?”
La guardo e le faccio cenno di no con il capo. E lei mi abbraccia, come se quella che ci stesse male per questa storia fossi io. A me dispiace un sacco di Tommaso, ma non posso farlo soffrire e non devo soffrire nemmeno io.
Scendiamo dall’autobus come due gazzelle e io vado direttamente dalle mie amiche che erano sedute al muretto fuori dai cancelli di scuola.
“Buongiorno.” Arrivo con una felicità inattesa. Abbraccio forte Aurora, do un bacio sulla guancia a Giulia e altri due ad Alice, che era stranamente triste.
“Ti abbiamo preso il caffè ‘All’angolo’. “ Mi dice Aurora dandomi un bicchierino di plastica. Lo afferro come se mi avesse dato l’elisir dell’eterna giovinezza. Lo bevo tutto ad un sorso, rigorosamente amaro. E poi mi accendo una sigaretta. Giulia mi imita.
“Ma che c’ha quella?” Dico a Giulia riferendomi ad Alice.
“Fattelo dire da lei.” Mi dice Giulia ridendo.
“Alice.” Mi avvicino a lei e le tocco i capelli. Lei alza lo sguardo. Stava piangendo. “Che hai? Che è successo?” Mi guardo intorno cercando la collaborazione delle mie amiche che però ridevano sotto i baffi.
“Carla non puoi capire.” E mi abbraccia, quasi facendomi cadere la sigaretta.
“Eh ma se tu non spieghi.”
“Lorenzo si è fidanzato.”
Mi allontano dalla sua presa, guardo lei. Poi guardo Aurora e poi guardo Giulia. Poi poso di nuovo lo sguardo su Alice.
“Tesoro. Chi è Lorenzo?” Le dico, provocando le risate, che non vedevano l’ora di uscire, delle mie amiche.
“Ma come chi è Lorenzo?” Dice Giulia con fare sorpreso ed ironico.
“Dai Cà, è il ragazzo più bello della Via Lattea.” Continua Aurora imitando la voce di Alice.
Alice scende dal muretto e fa per andarsene, perché infastidita da noi, ma faccio in tempo ad afferrarla dal cardigan color cammello che indossava quella mattina e la abbraccio forte. Spiegandole, ridendo, che la stavamo solo prendendo in giro. E anche Giulia ed Aurora fanno lo stesso, così da farla tranquillizzare. E si risiede sul muretto.
“Dai raccontami come hai fatto a saperlo e chi è questa donna impura che dobbiamo distruggere.” Dico ad Alice continuando a ridere.
“Ancora una volta è colpa vostra. Lei è Anna Lati, una delle più fighe della scuola. E sapete come l’ha conosciuta?”
“Perché è amica di Beatrice.” Mi dice Aurora.
“Esattamente. Ma ti rendi conto? È una tragedia.”
“Ma scusate.” Dico io che stavo iniziando a capirci poco. “Non vedo il nesso tra Beatrice, Anna e Lorenzo.”
“Ma come no?” Mi dice Alice. “Lorenzo e Leonardo sono come il gatto e la volpe, esattamente come lo sono Beatrice ed Anna.”
“Sarebbe comico se Alessandro, l’altro loro amico, e Martina, l’altra loro amica, si mettessero insieme.” Dice Aurora divertita.
“Ma perché dovrebbero?” Esclama Giulia tutto ad un tratto.
“Sto ipotizzando.” Le risponde Aurora.
Milky Chance-Stolen Dance
Nel frattempo, suona la campanella e noi ci incamminiamo verso il cancello colmo di ragazzi di tutto il Liceo Classico “G.Leopardi”. Mi piaceva la mia scuola, sebbene fosse abbastanza popolare a Roma, la sentivo comunque tranquilla. Entriamo in classe e ci posizioniamo ai nostri banchi. Fila sinistra lato finestra. Io ed Aurora banco centrale, Giulia ed Alice ultimo banco. La nostra posizione era ovviamente tattica: Aurora genio della scienza, un asso nella manica durante le verifiche di fisica e matematica; Giulia la dea della traduzione, le versioni di latino e greco non erano più un problema; Alice il top in inglese, non avevamo più di che preoccuparci; e poi c’ero io, memoria di ferro e ottimi spunti di riflessione durante i compiti in classe di italiano.
Iniziamo, prima ora lezione di latino. Seconda ora, lezione di storia, Terza ora, chimica. Ricreazione, barretta al cioccolato gentilmente offerta dalla macchinetta, caffè e sigaretta nel sottoscala.
“Ciao.” Leonardo Spata mi si avvicina con la sua gang. Il magico Lorenzo Belli, effettivamente bello. E Alessandro Corsi, anche lui molto carino. E loro dovrebbero essere i miei rappresentanti? Mentre mi saluta e si avvicina, vedo Aurora che li sorride in maniera educata, Giulia che li guarda stranita e Alice che era diventata tutta rossa e aveva gli occhi sbarrati.
“Ciao.”
“Come stai?” Continuava a fissarmi con un blocchetto di fogli in mano.
“Bene. Ti serve l’accendino?”
“No, oggi ce l’ho.”
Gli guardo i piedi istintivamente. “Ah hai tolto le Birkenstock.”
“Ti dispiace?”
“No in realtà mi facevano cacare.” Vedo gli amici ridere sotto i baffi e sento le mie amiche dietro di me ridere di gusto, ma non percepisco la risata di Alice. Anche lui sorrideva. “Anzi, sai cosa?”
“Cosa?”
“Mi domandavo: ma se le mette perché gli piacciono o è una penitenza?”
“Simpatica.”
“Grazie.”
“Devo chiederti un favore.”
“No.”
“Ma non sai nemmeno cosa devo dirti.”
“Sarà sicuramente una stronzata e non mi va, perché io sono stra impegnata e non c’ho voglia di stare dietro a te.”
“Ma prima fammi parlare.”
Getto la sigaretta e mi piazzo davanti a lui.
“Senti. Io non lo so a che tipo di ragazze tu sia abituato. Ma ti posso assicurare che a me non me ne frega niente, ma di niente. Non me ne frega niente chi sia Leonardo Spata e non me ne frega niente chi sono i tuoi amici, la tua famiglia, la tua ragazza.”
“Io non ho la ragazza.”
“L’opinione pubblica dice il contrario, rivediti il pubblico Spata. E ricordati che Carla Gargano non sta alla tua mercé. ”
E me ne vado, seguita dalle mie amiche. Non mi sono mai sentita più forte e cazzuta prima di quel momento. Rientriamo in classe. Ci aspettavano due ore intensissime di filosofia , con una vecchia strabica che avrebbe spiegato Kant per due ore intere. Voglio spararmi insomma. L’unica nota positiva è che avrei preso le mie cuffiette ed avrei ascoltato musica fin quando Aurora non mi avrebbe toccata per farmi capire che dovevamo andare via. Parte “Stereo Hearts” di Adam Levine. Poggio la testa sul banco e aspetto la fine delle due ore. Questa canzone mi rilassava un sacco, mi faceva tenere la mente offline per un momento, ma in generale tutta la musica. Io e le mie amiche saremmo dovute andare al concerto di Gazzelle prima di Natale, ma ancora non avevamo prenotato nulla.
Improvvisamente mi arriva una notifica. Stacco la musica e chiamo sottovoce Aurora per farle vedere. Giuseppe Spata mi aveva inviato la richiesta di amicizia su Instagram.
“Tu devi raccontarmi.” Mi dice Aurora sottovoce. “Vai su Whatsapp.”
Aurora a Carla: Che cosa è successo?
Carla a Aurora: Ma tra chi?
Aurora a Carla: Tra te e Spata.
Carla a Aurora: Ma niente, sei pazza. Semplicemente ieri è uscito fuori sulle scale d’emergenza quando c’ero anche io e non abbiamo nemmeno chiacchierato, ci siamo soltanto presentati. Non so che film si sia fatto, ma l’ho stroncato in partenza.
Aurora a Carla:Bah, potevi dirlo ad Alice che lo conoscevi, ora sicuramente è incazzata.
Mi giro per guardare Alice ed effettivamente non stava ascoltando la lezione, guardava soltanto fuori dalla finestra, alla ricerca di qualcosa di più interessante da fare. Le tocco una mano, ma lei infastidita mi da uno sguardo di ghiaccio e torna a guardare il nulla.
Aurora a Carla: Visto?
Carla a Aurora : Ma io non lo so. Nemmeno lo calcolo, poi le voglio bene ma non penso che Lorenzo la abbia notata.
Aurora a Carla: Si ma ci sta che reagisca così.
Carla a AuroraVabbe si, ma...
Mi arriva una notifica, Leonardo Spata vuole inviarti un messaggio. Così inizio a seguirlo anche io e apro il direct che mi ha inviato, mi ha risposto ad una storia. Era una mia foto di stamattina con Aurora mentre beviamo il caffè.
Leonardo a Carla: Se fossi più gentile potremmo berlo anche noi un caffè così:)
Ma questo è pazzo. Evito di dirlo subito ad Aurora, vorrei che la situazione venga gestita tranquillamente, senza troppi scandali. Decido di rispondergli. Ma non per dargli adito o fargli credere che possa provarci con me come fa con tutte le altre. Semplicemente perchè si vede che come lo ho trattato a ricreazione non gli è bastato.
Carla a Leonardo: Nemmeno fra un milione di anni.
Leonardo a Carla: Sei ingiusta.
Carla a Leonardo: E tu sei pesante.
Leonardo a Carla: Forse un pochino ahaha
Carla a Leonardo: Ma cosa ti ridi?
Leonardo a Carla: Mi aiuti?
Carla a Leonardo: No.
Leonardo a Carla: Sicura?
Leonardo a Carla: Oi?
Leonardo a Carla: Va bene, l’hai voluto tu.
Mahmood-Barrio
‘Va bene, l’hai voluto tu.’ Ma chi si crede di essere? Anzi per quanto mi riguarda, vale meno di zero. Ma cosa deve fare? Non parla, provoca e basta. Io non ho pregiudizi cattivi su di lui però non posso sopportarlo se fa così. Improvvisamente bussano alla porta, la prof smette di parlare e un coro urla ‘avanti’.è lui. Non ci credo.
“Buongiorno prof, posso dire una cosa alla classe?” Leonardo con un sorriso da bravo ragazzo, si poggia alla porta e quando la prof gli fanno cenno di sì con la testa, entra definitivamente in classe seguito dai suoi amici. “Grazie. Allora regà, visto che è appena il secondo giorno di scuola, stiamo organizzando la festa più figa del mondo. L’ultima prima festa del Leopardi. Come da tradizione, organizziamo la festa al Byte, e anche quest’anno il locale ha dato la sua disponibilità, ma visto che il comitato studentesco si è sciolto, ne abbiamo formato uno nuovo e tra queste persone c’è anche la vostra compagna Carla.”
Volevo sprofondare. Lo guardavo impietrita. Mentre le mie amiche mi fissavano incredule che non gli avessi detto nulla. Lui fa partire l’applauso e i suoi amici lo seguono a ruota e così anche il resto della mia classe. Ma come è potuto succedere?
“Quindi Carla vi dirà tutto prima ancora che venga pubblicato sulla pagina instagram della scuola. State tranquilli che la festa sarà un successo come tutti gli anni e ovviamente se Carla riuscirà a vendere tot biglietti, qualcuno di voi potrebbe entrare gratis.”
I miei compagni iniziano a bisbigliare tra di loro e a ridere felici ed emozionati della festa di merda a cui mi avevano costretta a partecipare.
“Prof posso uscire un attimo?” Dico io ormai imbarazzata e frustrata da quella scena patetica. La prof per fortuna acconsente, e mentre lo scanso brutalmente, esco fuori dalla porta e vado sulle scale di emergenza. Ovviamente Spata mi segue.
“Ti è piaciuta la sorpresa?” Lo sento arrivare alle mie spalle e la sua voce non lo tradisce.
“Tu sei pazzo.”
“Un po’.”
“Ma cosa ti dice il cervello? Come puoi mettermi in mezzo a cose che non voglio fare?”
“Ok, ritirati.”
“Si ma va a cacare. Lo sai meglio di me che se non partecipo a queste attività una volta iscritta perdo il credito.”
“Appunto, hai le mani legate.”
“Sei uno stronzo e sei pazzo.”
“Devi aiutarmi per forza ad allestire tutto. Facciamo venerdì alle 9?”
“Scordatelo che ci vediamo di venerdì sera per organizzare una festa di merda alla quale nemmeno verrò.”
“Esci con me Carla.”
“Come?”
“Usciamo insieme, ti prego.”
Tutto questo bordello per chiedermi di uscire? Ma questo è davvero pazzo.
“Perché dovrei?”
“Perché te lo sto chiedendo io.”
“Spata.”
“Sì?”
“Ma vaffanculo.”
Apro la porta della scala di emergenza e torno dalle mie compagne ormai più allibite di me da quello che era appena successo. 

 

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Capitolo 3
*** Mi sarebbe piaciuto conoscerti ai tempi. (Carla) ***


D’improvviso-Lorenzo Fragola
Quando l’autunno accenna ad arrivare te ne accorgi subito. Aldilà del colore delle foglie che sinceramente trovo fantastiche, il mutamento da uno stato vivo e acceso come le foglie verdi d’estate al lento passaggio di colore sulle sfumature dell’arancione o del marrone per poi esaurirsi in un nulla d’inverno. Si sente forte l’inizio della monotonia autunnale, il tempo piatto, quasi spento. Faccio fatica ad alzarmi con questo tempo, ma devo farlo per forza. Mi sveglio ce mi incammino verso la cucina quasi sbiascicando, trovo Emma ed Andrea in cucina. Emma, seduta al tavolo, sta versando tutte le lacrime che ha in corpo quasi come una bimba a cui hanno rubato la sua bambola preferita mentre Andrea sta al telefono posato sul vetro del balcone, ma non dice nulla. Mi avvicino immediatamente ad Emma toccandola quasi per attirare la sua attenzione e lei appena mi vede mi abbraccia iniziando a piangere sempre più forte e anche Andrea si accorge della mia presenza.
“Devo andare, ci aggiorniamo” dice Andrea al suo interlocutore dall’altro capo del telefono. Chiude subito la telefonata, premendo più volte sul tasto di chiusura come se quella telefonata non volesse terminare mai.
Mi guarda preoccupato. Andrea non è mai preoccupato. Si porta un mano in viso, facendola passare poi nei capelli ricci ancora con il telefono in mano. Poi il vuoto. Lancia il telefono contro il pavimento e urla.
“Finirà mai questa tortura?” Urla Andrea con tutto il fiato che aveva in gola.
Io ero in un palese stato di confusione, ma non osavo fare nemmeno una domanda o chiedere spiegazioni. Non avevo la forza, le parole non riuscivano ad uscire. Avevo già un brutto presagio, ero diventata una campionessa nel campo delle tragedie. In cuor mio potevo solo immaginare quale sarebbe stata la prossima sventura.
“Emma vai a sistemare Mattia per scuola.” Sussurra Andrea a mia sorella, ma lei non osava staccarsi da me. Avevo perso la sensibilità al braccio per quanto me lo stesse stringendo forte.
“Emma, ti ho detto di fare una cosa, cazzo!” Urla ancora Andrea.
Sia io che Emma sussultiamo quasi all’unisono e le prendo il viso in mano come a rassicurarla che tutto sarebbe andato bene, non sapendo nemmeno cosa sarebbe potuto succedere da lì ai prossimi 5 minuti. Emma nutrendo una forte fiducia in me , mi guarda con segno di paura e mi fa un mezzo sorriso, ovviamente finto. Conosco i miei fratelli, mi basta scrutarli anche solo di passaggio per capire il loro stato d’animo. Emma allora si alza e va per svegliare Mattia.
L’aria che si respirava in cucina era gelida. Anzi, siberiana. Non osavo guardare in faccia Andrea, sapevo che da lì a poco avrebbe parlato lui. E così fu. Si avvicina con le sue solite movenze da sfaticato e inizia a farmi quei suoi soliti massaggi tremendi che fanno solo male.
“Carla, mamma è in ospedale” Dice tutto ad un fiato con voce tremante.
Mamma è in ospedale. Perché? Troppo lavoro? Troppo stress? Si è sentita male? Hanno trovato papà in malo modo e mamma è andata a prenderlo? Si è ferita? È andata a trovare qualcuno? Cosa è successo?
“Stanotte è stata aggredita a Tiburtina.” Continua Andrea, ormai piangendo. “Mi ha detto Monica, la sua collega, che stavano facendo i soliti giri di pulizie. Si erano fermate davvero 5 minuti per prendere una cosa alla macchinetta. Non so poi cosa sia successo. Dice che dei tizi le hanno aggredite, le hanno tirato qualcosa in testa, mentre era di spalle.”
Andre si ferma, non credo ce la facesse più a proseguire il racconto o probabilmente non sa davvero nulla oltre a questo. Non avevo parole. Ero sveglia da 20 minuti e ancora non avevo detto neanche mezza parola.
“Dobbiamo andare”. Andrea proferisce l’ultima frase e si stacca bruscamente dalle mie spalle correndo verso il bagno.
“Io porto Mattia dalla signora Lucia.” Vedo la sagoma di Emma con in braccio Mattia che mi si palesa davanti la porta della cucina. Non le dico nulla. Acconsento solo con la testa.
Volevo vedere solo mia madre, volevo parlarle, vedere che stesse bene. Vado a mettere le prime cose che trovo e mi dirigo immediatamente fuori casa e avviso Aurora che non mi avrebbero dovuto aspettare perché tanto non sarei andata da nessuna parte, tantomeno a scuola. Prendo il bus che portava al Santo Spirito in Sassia e metto subito le cuffiette. Andrea continua a telefonarmi perché avrà capito che cosa ho intenzione di fare e ovviamente se lui non dà l’ok ultimamente in questa casa nessuno ha più capacità decisionale.
Rondini al guinzaglio- Ultimo
Man mano che l’autobus si avvicinava all’ospedale sentivo sempre di più una strana forma di ansia e una sensazione tremenda che si insinuava in ogni molecola del mio corpo. Persino fin sotto la pelle sentivo che qualcosa non stesse andando bene. Ma la mia forza interiore, mi diceva che la mamma stava bene, che era viva, che mi avrebbe vista e come se niente fosse mi avrebbe detto “ma si, so’ due graffi”.
E per la prima volta nella mia vita speravo con tutto il mio cuore che non mi stessi sbagliando, che il mio sesto senso non mi avrebbe tradita, che non mi avrebbe mai lasciata da sola.
Arrivata alla fermata, scendo come una gazzella inseguita da un leone affamato e con tutta l’adrenalina che avevo in corpo inizio a correre come mai avevo fatto verso l’entrata dell’ospedale nella speranza che tutto stia andando come deve andare. Ricevo subito le indicazioni che mi servono e continuo a scappare in giro per le scale di quella struttura gelida. Quando finalmente arrivo nel corridoio giusto e incrocio lo sguardo di Monica, la collega di mia madre con un collare al collo e delle garze in testa, lei inizia a correre verso di me e mi abbraccia come se avesse visto la Madonna.
“Dov’è la mamma? Posso vederla?” Dico io finalmente dopo una mattinata in silenzio.
“No tesoro, non puoi. Non è orario adesso. Torna stasera, sappi che la mamma sta bene. È stata miracolata, ha qualche angelo in paradiso.” Mi dice Monica con le lacrime agli occhi, sorridendomi.
E allora inizio a piangere anche io, come se avessi finito una maratona e finalmente avessi visto la meta. Inizio ad incamminarmi verso casa, non volevo prendere il bus, volevo camminare, godermi un po’ l’atmosfera. E poi prima sarei tornata e prima Andrea avrebbe potuto rompere le palle.
Drops of Jupiter- Train
Mentre camminavo, non sapevo nemmeno io dove stessi andando. Un lato di me era ancora in pensiero per quanto successo, mentre l’altra me avrebbe solo voluto vivere una vita senza nessun tipo di preoccupazione, esattamente come vivevo prima. Ma tutti sapevamo benissimo che non sarebbe più tornato nulla come prima. Papà non c’era più, ormai non lo vedevo da troppo tempo, e la mia più grande paura è poter dimenticare i tratti del suo volto, le sue grandi mani e la sua voce che seppur calda sempre tenera e dolce nei nostri riguardi. Se lui fosse stato qui con noi in questa situazione, avrebbe sicuramente preso la macchina e sarebbe andato girovagando per Roma a trovare un presunto colpevole del maledetto che aveva distrutto sua moglie e la aveva ridotta in quelle condizioni. Poi sarebbe tornato da noi, ci avrebbe abbracciati tutti e 4 insieme come era solito fare e avrebbe detto “i Gargano si piegano ma non si spezzano”. Guardaci ora papà, come siamo messi. Siamo quasi polvere. Io non ho mai creduto nemmeno per un attimo che mio padre potesse essere colpevole di estorsione o quelle cose lì, non che io ci capisca poi più di tanto. Ma ho sempre rifiutato anche solo l’idea lontana che questa possa essere la realtà dei fatti, non ho mai nemmeno lasciato che si potesse avvicinare alla mia mente. Spesso vorrei che però lui fosse morto, o quel giorno o chissà in quale angolo di mondo. Sarebbe più semplice da concretizzare. Invece no, mi ha lasciata con la speranza che un giorno lo veda arrivare dal portone di casa con la solita borsa della palestra, con le braccia spalancate e urlano “Carletta di papà!”. Io non posso nemmeno immaginare dove tu sia, ma Carletta è scomparsa da un bel po’.
IL GIORNO DOPO
La banalità del mare- Pinguini Tattici Nucleari
Guardavo le mie amiche che ridevano per un meme della Calossi, la nostra professoressa di filosofia, che i rappresentanti di istituto avevano pubblicato sulla pagina della scuola.
Leonardo aveva continuato a tartassarmi di messaggi nei giorni successivi a quando mi aveva costretta a far parte del comitato studentesco, ovviamente contro la mia volontà. Tutti i messaggi non riceveranno mai una risposta. I ragazzi come Leonardo, sono quei tipici ragazzi che se vogliono una cosa, la ottengono sempre. Io sono certa che Leonardo Spata non voglia uscire con me perché io gli possa anche un minimo interessare o addirittura piacere, credo lo faccia semplicemente mi ha vista come una gran bella sfida da portare a casa come vincitore. Non voglio darli nemmeno la possibilità, anche solo lontana, di potere entrare nella mia vita e poterci giocare in base allo stato d’animo della giornata.
“Tua mamma?” I miei pensieri vengono improvvisamente interrotti dalla voce squillante di Alice.
“Sta meglio. Per fortuna non è stato nulla di che. Ha perso un po’ i sensi, ha avuto qualche graffio, ma ora sta bene. È già tornata a lavorare” Ho detto tutto ad un fiato quasi come se stessi vomitando le parole. Non ne potevo più di raccontare quella storia.
“Va bene.” Mi risponde lei, quasi fredda.
Alice non mi aveva ancora fatto passare il fatto che, almeno apparentemente, io avessi un rapporto fantastico con Leonardo Spata. Infatti non era così. Ma nella sua testa tutto questo era stata dipinto come me, l’amica stronza che non voleva assolutamente farle fare una figura di merda con Lorenzo.
“Ali, che dici se parliamo un po’?” Le propongo io con un sorriso a 32 denti.
Lei mi guarda insospettita. “Dimmi, dai.” Dice lei.
“Ali mi sembra quasi scontato dirti che io e Leonardo non abbiamo nessun tipo di rapporto.”
“Carla, sai qual è la cosa più grave? Che tu hai finto per tantissimo tempo di non sapere nemmeno chi fosse tale Leonardo e adesso vengo a sapere che vi fate le battutine, che sei nel comitato della scuola grazie a lui, che organizzate feste insieme e che lui ti guarda sempre come se fossi nuda!”
Mi coprii istintivamente con il cardigan beige che avevo addosso e le risposi. “ Ma Alice ti giuro che avremo parlato due volte, anzi è già tanto probabilmente.” Poi sospirando forte continuai “Tutto questo sconvolge anche me, credimi. Il signor Spata sa perfettamente che fra me e lui non ci sarà mai niente, per questo continua a torturarmi, perché si diverte. Se vuoi ora che devo stare con loro per sta festa, posso provare a parlare con Lorenzo di te, vedere che ne pensa e se mi perdonerai potrei proporre di sostituire me con te all’interno del comitato. Ah, che dici?”
Inutile dire che con l’ultima battuta avevo conquistato subito Alice. Mi abbraccia fortissimo continuando ad urlare cose incomprensibili accompagnata dalle risate di Aurora e Giulia.
“Regà, sono le 8:25. Siamo in ritardissimo, dai” Dice Giulia, iniziando a raccogliere tutte le cose sul tavolo del bar, aiutata dalle altre . Velocemente ci dirigiamo tutte verso l’ingresso della scuola e prima che possa accorgermene Leonardo mi placca all’ingresso.
“No. No. No. Tu non entri finchè non mi dici perché mi stai evitando così?” Mi dice convinto di aver detto ancora una volta la cosa giusta.
“Ma fra tutte le ragazze che ci sono, tu mi devi spiegare perché io?”
“Perché emani una luce elettrizzante quasi come l’alba.”
Oh Dio mio. “Leonardo Spata inizi a spaventarmi sul serio.” Lui ride ma io vorrei solo ucciderlo. “Mi dici che vuoi ora?”
“Vorrei solo sapere se ci sei stasera alle 21:00 per sistemare il Byte.”
“Ma non hai degli amici con cui fare queste cose?”
“Ovviamente si, ma le tue mani mi sembrano più funzionali. A stasera pupa!” Dice mentre si allontana.
“Eh no, eh. Pupa no!”
Si gira, sorridendomi e per un instante anche io ho dovuto trattenere un sorrisetto.
Dopo la lezione tornai direttamente a casa accompagnata da Aurora. La saluto con il mio solito fare veloce come se il tempo non fosse mai abbastanza per fare tutto. E salgo in casa, dove inspiegabilmente non c’è nessuno. Ne approfitto per mangiare con i miei tempi, studiare con i miei tempi, sistemare casa con i miei tempi. Insomma, un pomeriggio dedicato solo ed esclusivamente alla sottoscritta e poi verso le 20.30 esco di casa per prendere il bus e vado verso il Byte.
Finalmente arrivo con la bellezza di 5 minuti di anticipo e ovviamente non c’era nessuno. “Aspetterò” pensavo fra me e me. Fino a quando da che l’appuntamento era alle 21:00, alle 23:30 non c’era ancora nessuno. Ho anche aspettato troppo. Prendo il mio zaino e decido di andare via a casa, rammaricata di aver sprecato una serata in un locale vuoto ad aspettare un emerito coglione.
“Ok ci sono. Iniziamo.” Dice Leonardo, oltre la tenda che ci divideva.
“Ma io spero che tu stia scherzando.” Dico io intenta ad andarmene. “Io me ne vado.”
“Eh? Ma come te ne vai? Dai, non fare la melodrammatica ho fatto giusto un po’ di ritardo.”
“Un po’ di ritardo?” Sbraito tirando la tenda che ci separava. La faccia di un cane bastonato. Ma che cazzo aveva fatto? “Che hai fatto finora?” dico con voce più rilassata.
“Potrei aver perso la concezione del tempo, avevo promesso a mio nonno una cena veloce ma forse mi sono dilungato” Mi continuava a guardare con fare dispiaciuto.
Ma avevo imparato troppo bene a scrutare le persone. “Sei un cazzaro.” Dico io andando verso l’uscita, seguita da lui. “E sei pure fatto.” Aggiungo ormai in preda alla rabbia. Mi tira per un braccio e mi ritrovo nello stesso punto iniziale rivolta verso di lui.
“Ok hai ragione sono un cazzaro. Scusa.”
“Tutto qui? Voglio la versione vera e integrale.” Dico sedendomi su un tavolo, mentre lui se ne stava al centro di quella che sarebbe stata la pista , guardandomi come un pesce lesso. “Me lo devi” rincaro la dose.
Accenna un sorriso e poi abbassa lo sguardo verso quelle scarpe di merda che aveva messo ancora una volta, poi torna a guardarmi e si avvicina verso di me. “Vuoi la versione intera o tagliata?”
“Intera, Spata.”
“Ok. Ale e Lo mi hanno chiamato verso le 20.00 per un kebab e una cannetta e allora ho pensato ‘vabbe una cannetta e un kebab non hanno mai fatto male a nessuno’. Così accettai la loro proposta.”
“Avete aiutato anche il kebbaro a ripulire o avete menato lo spacciatore e vi siete fumati tutto?”
“No, non è finita. Verso le 21.00 stavo per prendere la macchina, quando mi chiama Beatrice per dirmi che i suoi erano appena andati via, che aveva voglia e allora…”
“E allora sei un porco.”
 
Basket case – Green day
“Io avrei detto pervertito.”
Non riuscivo a smettere di sorridere, nonostante avessi avuto voglia di picchiarlo fino a ridurlo una merda, in quel momento mi faceva solo ridere, ma non so nemmeno perché. Non so se fosse perché effettivamente in cuor mio lo stessi sfottendo, o mi faceva sorridere la situazione e che si fosse scusato con me per essere andato a letto con la sua pseudo fidanzata o perché effettivamente mi piaceva stare lì con lui a parlare come se ci conoscessimo da tempo.
“Beh diciamo che sei perdonato, ma il lavoro più pesante lo fai tu.”
Passammo tutto il tempo a ridere e a scherzare. Avevamo messo a nuovo quel posto. Era da mesi che nessuno entrava più al Byte, ormai si può dire che questo locale vive solo grazie a noi del Leopardi. Infatti all’interno del locale c’eravamo solo noi due, nemmeno il proprietario era venuto. Aveva detto a Leonardo di avvisarlo quando avevamo finito così sarebbe passato a chiudere lui o almeno così credevamo.
“Oh finalmente abbiamo finito.” Esorto io lanciando la pistola per la colla a caldo.
“Si adesso avverto Marcello, così chiude. Noi iniziamo ad andare. Vuoi un passaggio?”
“Si, magari. Anche perché sono quasi le 3 e bus non credo ce ne siamo di qua.”
“Si tranquilla, cominciamo ad uscire.”
Ma il peggio stava per accadere. Marcello ci aveva chiusi dentro. Era stanco di aspettarci e allora verso mezzanotte aveva deciso che noi eravamo andati via senza nemmeno controllare che ci fosse rimasto qualcuno o qualcosa dentro, nonostante avessimo anche una luce abbastanza forte. Dopo vani tentativi di scassinamento, decidiamo che ogni cosa sarebbe stata vana e non ci resta che avvisare che non saremmo tornati a casa. Mi siedo su una sedia nella speranza che qualcuno ci venga a salvare e Leonardo fa lo stesso mettendosi di fronte a me.
“Per fortuna ho questa.” E toglie una canna già girata dal taschino della giacca. Poi mi fa cenno di prenderla e accenderla.
“No, grazie.”
“Ma va’, lo so che ti drogavi.”
All’improvviso un flash. Ma se non mi conosceva, che ne sa che mi drogavo?
Tentenno un attimo mentre lui si accende una canna. E poi mi lancio. “Scusami Leona’.” Lui alza lo sguardo con la canna in bocca “E tu che ne sai che me drogavo?”
Lui mi guarda e sorride mentre butta via il fumo. “Ma come che ne so. Ah Ca’, non è che abitiamo tu a Budapest e io ad Atene. Semo a Roma. Nello stesso quartiere per giunta. Nella stessa scuola per dirla tutta.”
“E allora perché quando ci siamo presentati mi hai detto che non mi conoscevi?”
“E perché me lo hai detto pure tu?”
“Touchè.”
“Carla. Io so tutto di te. So che eri sempre a ballare. So che pippavi nei cessi delle discoteche. So chi era tuo padre e pure che è successo. So chi sono i tuoi fratelli e conosco anche le tue amiche. So pure che te la facevi con Tommasino.”
“Ah , sai il meglio insomma.”
“So quello che raccontavano tutti.”
“E che raccontavano tutti?”
“Raccontavano che eri la regina delle serate. Che non te ne perdevi una manco a morì. Che ti piaceva essere sedotta ma che alla fine la davi solo a Tommaso. O almeno nell’ultimo periodo. Eri sempre fatta ed eri sempre ubriaca. Poi c’è stata una metamorfosi. Dopo il casino di tuo padre ti sei raddrizzata, hai smesso di ballare, hai smesso di bere, hai smesso di tirare e hai anche smesso di darla a Tommaso.”
“Diciamo che è verosimile.”
“Diciamo che ti credo.”
“Diciamo che è così e basta.”
“Mi sarebbe piaciuto conoscerti ai tempi.”
“Meglio ora fidati.”
“Ma anche volendo non  mi sarei mai potuto avvicinare a te, o almeno non fino a metà terzo. Eri praticamente sotto la scorta di Simone.”
“Vabbe Simone…”
“Ma come mai vi siete lasciati?”
“Era diventato opprimente. Mi vedeva come una più piccola e pensava di avere il totale controllo su di me, e io l’ho lasciato ma lui non l’ha accettato subito.”
Leonardo si fa serio. “Purtroppo lo so.”
“In che senso lo sai?”
Lui mi guarda paralizzato. Poi spegne la canna e mi guarda per un po’. “Carla.” Non continuava a parlare e questo iniziava ad innervosirmi ma prima che potessi controbattere lui mi precedette. “L’ho visto anche io il video.”
Il video lo aveva visto anche lui.

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