La sfida delle sale comuni

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***
Capitolo 3: *** Parte 3 ***



Capitolo 1
*** Parte 1 ***


(In questi tempi difficili, ho avuto voglia di scrivere una storia divertente analizzando una parte della storia di Hogwarts di cui si sa “poco”, ovvero come esattamente i fondatori hanno creato e incantato il castello. Ho voluto creare così un siparietto comico in cui racconto quella che è stata, secondo me, la creazione delle varie entrate delle sale comuni; anche se conosco Harry Potter e sono stata su pottermore ammetto di essermi staccata dal fandom dopo l’ultimo libro, quindi forse non sono aggiornata – anche se ormai molte uscite della Rowling sembrano più deliri che altro – e quindi potrebbero esserci delle imprecisioni. Ho cercato comunque di rinfrescarmi di notizie e storia di Hogwarts per scrivere questo racconto al meglio. Ci tengo a dire che non è una parodia. Immagino solo che questi quattro maghi, per quanto saggi e potenti, ogni tanto avessero i loro momenti di “svago” e di “goffaggine”. Spero che anche con le sue imperfezioni, questa storia possa essere di vostro gradimento :) )
 
Godric Grifondoro non si svegliò subito. Era immerso in un sonno profondo, steso su un divano davanti al camino acceso, quando Salazar Serpeverde riuscì a introdursi nella torre, che sarebbe presto diventata la sala comune per la casa che avrebbe portato il suo nome.
E trovandolo addormentato, Salazar non si azzardò a svegliarlo.
Si accomodò su una sedia con le braccia incrociate, in paziente attesa.
Passarono pochi minuti prima che la percezione di una presenza estranea nella stanza facesse breccia nella mente del mago, spingendolo ad aprire gli occhi.
La siluette di Salazar,  nella penombra della sala, si delineò completamente dopo diversi battiti di ciglia.
Solo allora Godric saltò su tirando fuori la bacchetta.
Sorridendo sornione, Salazar alzò le mani, in segno di resa.
“Se avessi avuto io una bacchetta e la voglia di uccidere, sareste già morto.” Sentenziò calmo il purosangue.
Godric abbassò la bacchetta.
“In cosa ho sbagliato?”
“Avete fatto lo stesso errore di Priscilla. Il vostro Signore Grasso parla un po’ troppo. Non l’ha fatto di proposito, è stato merito delle mie abili doti di conversatore, comunque ha indirettamente suggerito la parola segreta per entrare. Inoltre mi pare di capire che sia particolarmente misogino, quindi è normale che anche Priscilla con la sua arguzia non sia riuscita come ho fatto io.”
Godric sbuffò: “Mi toccherà sostituirlo con la Signora Grassa.”
Salazard inarcò un sopracciglio: “Sono stati incantati insieme, non credete che potrebbero fare gli stessi errori?”
“No. La Signora Grassa è di tutt’altra pasta.  L’avevo inizialmente esclusa perché per il carattere che ha credevo avrebbe rischiato di tenere fuori anche gli stessi studenti. Ma non possiamo permetterci il contrario.” Conclusa la sua spiegazione, Godric esibì un inchino “Molto bene, Salazar. Siete entrato anche nella mia casa. Vi manca solo quella di Tosca e avrete vinto la sfida.”
“Già. E credo che coronerò questa vittoria proprio stasera. Ditemi Godric, avreste voglia di assistere al mio grande successo?”
 
Il castello era finito. Era perfetto.
Avevano costruito anche i dormitori.
In quattro punti diversi e con entrate diverse.
Presto però era nato il dubbio: come si potevano chiudere le sale comuni e i dormitori annessi? Di sicuro con qualcosa di magico, qualcosa che sarebbe rimasto a custodia solo di chi avrebbe fatto parte della casa stessa.
Niente chiavi o altri oggetti non magici; troppo facili da perdere, da rubare, da copiare.
Anche se all’inizio avevano creduto di poter tenere gli allievi tutti insieme, si erano resi conto che la pratica sarebbe stata troppo rischiosa e dispersiva.
Avevano deciso che i ragazzi dovevano essere divisi nelle case non solo per garantire una gestione migliore nei grandi numeri, ma anche per valorizzare al meglio i punti di forza di ciascuno.
Ma anche se le case tra loro sembravano compensarsi, era indubbio che si sarebbero create invidie, lotte e scontri tra le stesse. Esattamente come stava succedendo tra i quattro fondatori durante quell’ambizioso progetto.
Tutti e quattro ci credevano, ma ciascuno in modo diverso. E se all’inizio era stato un punto di forza del progetto, non v’erano dubbi che si stava gradualmente trasformando in qualcosa di molto più oscuro…
Comunque la decisione fu presa e tutti furono d’accordo: ogni casa avrebbe avuto un accesso magico diverso, la cui conoscenza sarebbe stata concessa solo ai componenti delle case stesse.
Ogni fondatore avrebbe deciso il suo personale ingresso e a decisione presa avrebbe sfidato gli altri a entrare nella sua sala comune nottetempo, per verificare quanto fosse sicura.
Nacque così la “sfida delle sale comuni”.
La prima sfida era stata lanciata da Priscilla Corvonero.
Per accedere alla sua casa si dovevano affrontare i terribili indovinelli di un batacchio incantato in bronzo a forma d’aquila.
L’incantesimo, per quanto potente, non aveva funzionato molto bene in un primo tempo: il batacchio finiva per intrattenere conversazione con i suoi interlocutori, arrivando in alcuni casi a rivelare la risposta all’indovinello e sia Godric che Salazar erano riusciti ad introdursi nella sala.
Priscilla incantò nuovamente il batacchio, rendendolo ancora più arguto e enigmatico (oltre che più silenzioso) e questa volta i due maghi non riuscirono a rientrare.
La sala comune di Corvonero, con quel nuovo incantesimo, sarebbe rimasta sigillata ai non appartenenti alla casa per oltre un millennio.
Salazar Serpeverde era stato il secondo ad annunciare di aver creato un ingresso sicuro per la sua casa. Tosca e Godric riuscirono tuttavia ad entrare nella sua casa qualche giorno dopo.
Era stato facile: Godric si era reso silenzioso con un incantesimo, mentre Tosca aveva mandato uno dei suoi fedelissimi elfi domestici; seguito di nascosto Salazar nel sotterraneo, avevano ascoltato la sua parola d’ordine, pronunciata contro un muro con statue di serpente ai lati.
Salazar, tuttavia, aveva deciso di non cambiare metodo.
“La parola d’ordine cambierà ogni due settimane.” Sentenziò una sera agli altri tre fondatori “E già che ci sono aggiungerò qualcosa per spaventare gli intrusi.”
Godric decise di verificare le parole del purosangue; attese due settimane, poi andò personalmente davanti al muro e pronunciò la prima parola d’ordine sentita. Le due state si animarono immediatamente e parvero assalirlo, spingendolo alla fuga.
Anche Godric aveva pensato alla parola d’ordine come metodo d’accesso, ma non poteva certo mettere una statua (troppo simile a Priscilla) o una porta (troppo simile a Salazard).
Alla fine aveva optato per un quadro incantato. Aveva due scelte, due quadri incantati nello stesso giorno, due ritratti “fratelli”: un uomo molto grasso e una donna molto grassa.
Aveva scelto l’uomo e non era stata la scelta giusta.
Almeno lo aveva confermato Salazar quella sera. Quella stessa sera in cui anche Tosca aveva annunciato di aver chiuso la sua “tana” e lanciato la sua sfida.
 
“Che cosa intendete Salazar?”
Il mago purosangue ghignò.
“Anch’io so usare l’incantesimo che rende i passi silenziosi. Questa sera, subito dopo cena, ho seguito Tosca e ho capito come entrare nella sua sala. È semplicissimo, proprio la cosa che sceglierebbe chi mette gentilezza e pazienza come valori della sua casa.”
Godric si irrigidì. Aveva sempre saputo che Salazar aveva un carattere altezzoso e difficile, ma non gli piaceva per niente il modo in cui parlava o di Tosca o di Priscilla.
“Sono valori che si coniugano perfettamente con la magia. Sono validi quanto coraggio, ambizione e intelletto!”
Salazar scosse la testa: “Sono valori adatti per i nati babbani. Ammesso sempre che alla fine decidiamo davvero di farli entrare nel castello.”
La questione dei futuri allievi era ancora in alto mare. Godric sperava di poterla posticipare il più possibile. Soprattutto perché già sapeva che sarebbe stato il più acceso terreno di scontro con Salazar.
“Venite al dunque: quale sarebbe questo metodo tanto semplice?”
“Bussare un certo numero di volte su uno dei barili in una sala attigua alla cucina.”
Godric non disse nulla. Ma nella sua testa, qualcosa scattò: conosceva Tosca, era umile e gentile, ma non certo stupida e comunque, quando voleva, sapeva fare delle magie potenti; se aveva usato una “chiave” così semplice per entrare nella sua sala comune, doveva esserci sotto qualcosa.
“Beh? Volete rimanere lì imbambolato a pensare o procediamo!?” lo incitò Salazar mentre si avviava verso il quadro per uscire.
 
Continua…

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Capitolo 2
*** Parte 2 ***


“Perché ci tenete tanto che venga anch’io?”
“Perché è sempre meglio avere un testimone. In più credo che Tosca non sia in questo momento nella sua sala.”
Salazar e Godric scesero le scale (già incantate e in movimento) verso la Sala Grande da cui poi avrebbero avuto accesso alle cucine.
Le pareti erano completamente vuote.
I ritratti incantati sarebbero stati appesi di lì a poco e il loro numero sarebbe cresciuto negli anni.
Ma questo nessuno dei due maghi ancora lo sapeva.
“Perché dici che Tosca non è nella sua sala?” domandò Godric
“Perché l’ho vista mentre salivo da te.” Spiegò Salazar “Dopo averla seguita, stavo per arrivare alla tua sala, per poter dire di averne conquistate due nella stessa notte, ma prima volevo essere sicuro di ricordare quanto ascoltato. Sono corso verso la mia sala e ho preso nota del numero dei colpi dato. Tornando indietro e risalendo alla sala grande ho visto Tosca che svoltava l’angolo, anche lei per salire da qualche parte. In verità credevo l’avrei trovata davanti al tuo ritratto. Ho atteso un po’ prima di salire, ma lei non c’era. Il ritratto mi ha poi confermato che ha tentato ieri ma senza successo.”
“Dove può essere andata a quest’ora della notte?”
“Non ne ho idea, Godric. Ma ha davvero importanza?”
Godric non rispose ma certo era strano.
Tosca non avrebbe rinunciato a un buon sonno senza motivo. E di solito i motivi di Tosca erano sempre collegati alla sua personalità materna e laboriosa: un lavoro da finire o qualcuno da soccorrere.
“Che si sia sentita male Priscilla? Non sarebbe la prima volta che Tosca le offre il suo aiuto e le conoscenze mediche che ha acquisito negli anni. È brava a preparare pozioni anti-vomito quanto a cucinare. In più Priscilla non chiederebbe mai aiuto a noi…” pensò Godric mentre continuava a seguire Salazar verso la sua meta.
In un punto un po’ nascosto, c’erano delle scale che scendevano e conducevano a un corridoio lungo che portava verso le cucine. Il muro del corridoio era invaso di enormi botti di legno, chiuse con tappi di sughero e impilate l’una sopra l’altra per tutta l’altezza dello stesso.
La loro grandezza rendeva il passaggio molto più stretto di quello che Godric ricordava.
Salazar si fermò all’improvviso con gli occhi sgranati. Fissava intensamente la parete delle botti.
Godric non ci mise molto a capire qual’era il problema.
“Avete sentito che batteva su una botte, ma non sapete quale…” mormorò il mago sorridendo.
Salazar lo fulminò con lo sguardo.
“Non ci vorrà molto a ritrovarla, sono pieno di risorse, io!”
“Pieno di arroganza semmai…” pensò Godric.
Salazar fece avanti e indietro per la lunga fila con sguardo torvo per qualche secondo, prima di fermarsi finalmente davanti a una delle botti. La quarta della terza fila verso le scale.
Si avvicinò con la faccia ad essa e poi la indicò con un ghigno.
“Tombola!”
“Cosa vi fa pensare sia quella?”
“C’è un segno nel legno, vedi?”
Godric notò che c’era effettivamente un segno nel legno.
“Potrebbe essere un segno del tempo.”
“No. L’ha sicuramente tracciato Tosca per ricordarsi quale fosse la botte giusta.”
Detto quello, Salazar aprì la piccola pergamena dove aveva preso gli appunti e battè per sei volte contro il legno.
Non accadde nulla.
Godric si lasciò sfuggire un sorriso.
“Ebbene, vi siete sbagliato…”
“Shhhh!” Lo zittì il purosangue “Ascoltate!”
In effetti nello stretto corridoio iniziava a riecheggiare uno strano e profondo rumore.
Poco dopo i due maghi si accorsero che le botti stavano tremando tutte quante.
Salazar sfoderò un sorriso vittorioso convinto che ben presto l’ingresso della Sala comune di Tassorosso si sarebbe aperto rendendolo vincitore della sfida.
Ma non andò così: all’improvviso da una delle botti saltò il tappo di sughero che lo colpì dritto sulla testa pelata, seguito da un violento getto di quello che si rivelò essere, al gusto, aceto.
Così accadde anche con un’altra botte. Godric riuscì ad evitare il tappo ma non il getto.
Ben presto da tutte le botti saltò via il tappo e l’intero corridoio fu inondato di aceto.
I due maghi, già a terra, tentarono di alzarsi ma scivolarono sui loro stessi piedi. Tenevano gli occhi chiusi perché l’aceto di certo non era una bella sostanza con cui bagnarli e tossivano perché nella sorpresa ne avevano ingerito parecchio.
Quando riuscirono a mettersi seduti e a stropicciarsi gli occhi, un altro suono attirò la loro attenzione: il suono di due fragorose risate femminili.
Priscilla Corvonero e Tosca Tassorosso erano in cima alle scale a ridere come matte sorreggendosi l’un l’altra.
Tosca indossava i suoi soliti abiti, mentre Priscilla era coperta da una pelliccia e aveva i capelli avvolti in un panno di lino, come per asciugarli.
Godric, il primo che riuscì ad aprire gli occhi, osservò le due donne sorpreso e anche un po’ umiliato, ma quando si girò verso Salazar e vide la sua testa pelata ancora grondate d’aceto e la sua barba completamente bagnata appiccicata al petto, non riuscì a resistere: dopo pochi secondi scoppiò a ridere anche lui.
Dal canto suo, Godric aveva i capelli appiccicati alla testa mentre la barba si era “allungata” come quella che di solito Salazar teneva quando era asciutto, facendolo sembrare un gatto bagnato.
Quando Salazar riprese la vista si rivolse subito alle donne: “CHE COSA AVETE DA RIDERE!? NON C’È NIENTE DA RIDERE!!!” poi vide Godric che rideva tutto bagnato d’aceto. Alla fine non resistette e anche lui si lasciò andare a una risata, sebbene più composta e trattenuta di quella degli altri tre.
Nel frattempo Tosca, sempre ridendo, era scesa per andare ad aiutarli.
Aggrappati a lei, i due maghi salirono le scale e raggiunsero Priscilla che continuava a ridere furiosamente.
“Dovrebbero farvi un ritratto!” esclamò la maga.
“Non ci pensate nemmeno!” sbottò Salazar che fu il primo a calmarsi.
“Se può consolarvi, questa sera ho avuto anch’io l’onore di fare un bagno nell’aceto.” Disse Priscilla.
Mentre la maga aiutava i due a rimettersi in piedi, Tosca fece un incantesimo che riportò aceto e tappi ai rispettivi barili.
Lei sorresse Godric, Priscilla sorresse Salazar e insieme andarono verso la sala grande.
 
Continua…

 

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Capitolo 3
*** Parte 3 ***


Seduti ad uno dei grandi tavoli, avvolti in stretti e caldi asciugamani, i due maghi e Priscilla attesero pazientemente il ritorno di Tosca dalla cucina.
La donna si fece attendere un po’, ma la pazienza fu ricompensata: arrivò infatti con un vassoio contenente quattro tazze fumanti da cui sporgevano bastoncini di cannella.
“Vin brulè!” esclamò Tosca poggiando il vassoio “Scalda il cuore di ogni mago e babbano esistente.”
In silenzio, i quattro fondatori bevvero il caldo e dolce liquido rosso scuro contenuto nelle tazze.
Tosca era probabilmente la miglior cuoca che il mondo magico avesse mai avuto (fino a quel momento almeno) e probabilmente ciò si doveva al fatto che usava anche ricette babbane.
Il vin brulè rientrava tra quelle, ma Salazar non aveva mai avuto il coraggio di rifiutare il vin brulè di Tosca e non lo fece neanche quella sera.
“Perché ci avete messo tanto?” borbottò il mago oscuro dopo aver bevuto mezza tazza tutta d’un fiato.
“Ho controllato se l’aceto era arrivato anche in cucina. Come temevo, è accaduto. Forse dovrei diminuire il numero dei barili.” Spiegò Tosca.
Priscilla nel frattempo si stava toccando l’asciugamano in cui aveva avvolto i capelli.
“Credo siano asciutti, ormai.” Disse rivolta a Tosca.
“Se l’incanto ha funzionato, direi di sì.”
Priscilla si tolse l’asciugamano e lasciò cadere la lunga chioma, ormai asciutta, sulle spalle.
Salazar guardò altrove, mentre Godric l’osservò ammirato.
“Hai incantato l’asciugamano per asciugare prima i capelli?” domandò.
“Una prova. L’ho fatto anche con i vostri comunque.” Rispose Priscilla sorridendo “In ogni caso mi sono dovuta far aiutare da Tosca per lavare via bene l’aceto.”
“Ecco perché Salazar aveva visto che non eravate in sala!” esclamò allora Godric “Stavate andando ad aiutare Priscilla!”
Salazar, in silenzio, liberò la barba dal telo che l’avvolgeva: era ancora un po’ umida, ma non bagnatissima come quando, per togliersi l’odore dell’aceto, si era fatto versare da un elfo domestico una secchiata di acqua gelida del lago. E poi un’altra, e poi un’altra…
“Complimenti Priscilla. I miei complimenti davvero.” Disse Salazar accennando un sorriso.
“Credo che sarà utile per ragazzi e ragazze. Gli inverni qui sono molto freddi. È meglio stare all’asciutto.”  Disse Tosca “Vi riempio di nuovo la tazza Salazar?”
“Dovete tornare in cucina?”
“Direi proprio di sì. Non ho ancora perfezionato l’incanto per far comparire il cibo qui. Rischiamo che invece di riempire la tazza, il vin brulè ti finisca in testa.” Spiegò Tosca.
“Ah no! Pure il vino no! E per lavarlo un’altra secchiata fredda non la tollero!” sbottò il mago.
“Vi basta per un brindisi il vino che avete, Salazar?” chiese Priscilla.
“Credo di sì… A cosa volete brindare?”
“A Tosca Tassorosso! La vincitrice della sfida delle sale comuni!” Fece Priscilla alzando la sua tazza.
“COSA?!” Salazar quasi saltò sulla sedia.
“Mi dispiace Salazar ma vi è andata male. E inoltre, credo che eravamo così presi a entrare l’uno nella casa dell’altro che abbiamo dimenticato che l’importante era non fare entrare nessuno nella nostra. In questo Tosca è riuscita perfettamente e ha anche inventato un metodo non solo per cacciare gli intrusi, ma anche per rintracciarli. La puzza di aceto non passa certo inosservata, no?”
Fece Priscialla sorridendo.
Tosca arrossì: “Beh, io ho solo preso esempio dai vostri errori…”
“Non sminuitevi, siete stata bravissima!” esclamò Godric entusiasta. Sapeva che Tosca, pur essendo molto brava, raramente aveva avuto riconoscimenti nel mondo magico, forse anche per colpa della sua riservatezza e dell’umiltà eccessiva con cui si poneva; e anche se quella sfida sarebbe rimasta il loro piccolo segreto, era comunque qualcosa che meritava almeno un brindisi.
Salazar sbuffò.
Poi però si alzò in piedi e alzando la tazza esclamò: “A Tosca Tassorosso.”
“A Tosca!” gli fecero eco, Priscilla e Godric tintinnando le loro tazze.
Alla fine anche Tosca brindò con loro, rossa in volto, ma con un sorriso enorme.
Subito dopo aver bevuto il loro vino, i quattro maghi discussero su come perfezionare ulteriormente i loro ingressi ed eventualmente costruirne altri magici.
Nel frattempo, l’alba sorgeva scacciando via la nebbia della notte e illuminando di luce rosata le mura di quello strano castello che un giorno sarebbe stato il teatro di tante straordinarie avventure.
 
FINE

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