The Definition of Home

di SSnape
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A Sip in the Park ***
Capitolo 2: *** Good Morning, Hell ***



Capitolo 1
*** A Sip in the Park ***


Note dell'autore: si parlerà un po' dell'abuso dei Dursley, ma non si entrerà molto nel dettaglio. Si svolge subito dopo il disastro nell'Ufficio Misteri. (Le note della traduttrice si trovano alla fine del capitolo).

 

Capitolo 1, A Sip in the Park

Era una piccola sveglia di Topolino, che Dudley aveva portato da Disney Land, a Parigi, in un'estate di tanto tempo fa, quando Harry era rimasto bloccato con la signora Figg. Aveva smesso di funzionare dopo qualche anno ed era stata gettata nella seconda camera di Dudley insieme a tutti gli altri giocattoli rotti, e ad Harry c'erano volute tre ore per ripararla quando aveva dieci anni.

Tutto per niente però, dal momento che Harry l'aveva ridotta in mille pezzi venti minuti prima.

Il battere forte della pioggia contro la finestra in un pomeriggio di inizio estate, unito al forte ticchettio della sveglia, aveva fatto venire un tic nervoso ad Harry, mentre due parole battevano nel suo cuore ad ogni ticchettio.

Ce-dric. Si-rius. Ce-dric. Si-rius. Ce-dric. Si-rius.

Sapeva che al piano di sotto Dudley, sua zia e suo zio erano seduti insieme a guardare i loro soliti programmi televisivi del giovedì. Stavano probabilmente condividendo anche un'enorme confezione di popcorn, mentre ridevano per quegli stupidi show. Avevano ignorato Harry per gran parte dell'estate in cui era stato a casa, preferendo lasciargli tenere il broncio nella sua camera. Zio Vernon lo chiamava “tenere il broncio”; zia Petunia, invece, “piangersi addosso”. Ma qualunque cosa fosse, pretendevano entrambi che finisse presto e che ricominciasse a trasportare il proprio peso in giro per la casa.

Harry fissò la sveglia che aveva rotto per la rabbia, la quale si era placata solo un po'. Il numero due sulla lista, sbuffò Harry a se stesso. Le Cinque Fasi del Dolore. Per la rabbia aveva camminato in cerchio per molto tempo.

Si sedette sul suo letto fissando un pezzo di carta che era passato così tante volte fra le sue mani, da diventare morbido. Dale street, a Stockport, in Inghilterra – era un indirizzo che aveva trovato in uno dei vecchi scatoloni di sua zia nella mansarda. Il giorno in cui era tornato da Hogwarts per la prima volta, aveva passato quattro ore a rovistare tra quegli scatoloni, alla ricerca di qualsiasi cosa lo mettesse in contatto con la sua vera famiglia, con i suoi genitori. E tutto quello che aveva in mano era un indirizzo.

Alzandosi dal letto, Harry si diresse con determinazione verso il proprio guardaroba e tirò fuori uno zaino. Che rimangano pure a ridere di sotto, la loro famigliola! Lui sarebbe andato a Stockport e avrebbe trovato la sua. Harry mise alcuni vestiti di ricambio nella sua borsa e tirò fuori la sua bacchetta da sotto un'asse del pavimento. Anche il mantello dell'invisibilità era stato messo nella borsa, e aveva liberato Edvige, dicendole di volare fino alla Tana e restare lì per qualche tempo.

Dopo aver controllato la sua camera per assicurarsi di non aver dimenticato nulla di importante che potesse essere danneggiato dai Dursley, Harry indossò velocemente una felpa con cappuccio e scese le scale con passo pesante. Dudley, com'era da aspettarsi, era incollato alla televisione. Zio Vernon era seduto al suo fianco e ignorava ancora l'esistenza di Harry. Si diresse verso la cucina, dove sapeva che sua zia stava ripulendo lo sporco che Dudley e zio Vernon avevano lasciato.

Lei diede uno sguardo alla sua borsa e incrociò le braccia con sguardo malevolo.

“Dove credi di andare, ragazzo?”

“Stockport”, replicò Harry con un tono simile, godendo dello sguardo sorpreso sul volto della zia. Di tutte le risposte, sapeva che la risposta che meno si aspettava era proprio quella.

Petunia si accigliò e lanciò nel lavandino lo straccio che stava reggendo.

“Non capisco perché vorresti andare in quel postaccio!”

“Per vedere dove è cresciuta mia mamma”, rispose Harry, tenendo sotto controllo la propria rabbia. Zia Petunia era ancora la sua tutrice, quindi il permesso per andare era piuttosto necessario.

Petunia lo stava studiando, e non le era sfuggito che Harry stesse muovendo la sua mano sulla manica sinistra della felpa, dove immaginava fosse nascosta la sua bacchetta.

“Devi rimanere in casa, per le protezioni o per qualche sciocchezza simile”. Era una debole scusa, ed Harry sapeva che a Petunia non importava molto che partisse.

“Sto andando nel luogo dove mamma è cresciuta. Credo che sarò al sicuro là”, replicò Harry, nel suo tono più sarcastico. Anche Piton ne sarebbe stato orgoglioso.

“Bene”. Si voltò per prepararsi uno spuntino, congedando di fatto suo nipote.

Lui si diresse lentamente verso la porta, ma si fermò al richiamo della zia.

“Harry, non tornare fino a lunedì. Staremo fuori tutto il fine settimana”. Non si era presa il disturbo di guardarlo, né aveva chiesto dove sarebbe stato. L'affermazione significava semplicemente che lui avrebbe dovuto comportarsi abbastanza bene da evitare che qualsiasi gufo fosse loro inviato.

 

 

Harry prese il pullman per Londra, viaggiando alla maniera babbana per evitare di essere riconosciuto sul Nottetempo. Una volta giunto a Londra, passeggiò intorno alla stazione dei treni per un po', prima di raccogliere abbastanza coraggio per avvicinarsi a Tesco e prendere una confezione da sei lattine di birra. Acquistò anche delle patatine e un tramezzino preconfezionato per il viaggio in treno. Il cassiere di vent'anni aveva esaminato la sua carta d'identità piuttosto energicamente, ma Harry sapeva che era perfetta. Aveva impiegato un paio d'ore a scuola a modificare la data per farsi più grande, ma era piuttosto orgoglioso del risultato.

La sua borsa era leggermente più pesante ora. Harry acquistò un biglietto di sola andata e attraversò i binari di King's Cross, infilandosi tra la folla dei turisti estivi. Le sue gambe sembravano essere in pilota automatico e, silenziosamente, attese che il treno arrivasse al binario 7. Harry chiuse gli occhi mentre famiglie rumorose si riunivano attorno a lui come una tempesta in attesa. I suoi piedi si erano diretti inconsciamente verso l'ingresso del binario 9 ¾ .

Il treno arrivò dieci minuti più tardi e Harry salì su velocemente. Guardò storto chiunque guardasse verso la sua direzione, assicurandosi così che nessuno si sedesse vicino a lui mentre il treno iniziava a muoversi verso il cambio alla stazione di Euston. Il biglietto per Manchester era più costoso di quanto avesse pensato, e nonostante avesse pianificato il proprio viaggio molto meglio di quando era fuggito dopo aver gonfiato zia Marge, Harry si ritrovò a contare attentamente le proprie monete. Forse al ritorno avrebbe dovuto prendere il Nottetempo, che era più economico e più veloce da chiamare.

Harry mise un paio di cuffie nelle orecchie e accese il proprio lettore Cd o, meglio, quello vecchio di Dudley. La musica riempì le sue orecchie e lui si appoggiò contro il sedile. Pioveva ancora a Londra, e la pioggia batteva contro i finestrini del treno. Harry rabbrividì al ricordo del viaggio in treno verso Hogwarts durante il suo terzo anno. Si ritrovò a guardare verso il corridoio, a cercare Remus perché lo proteggesse di nuovo dai dissennatori, di cui non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione.

Ma Remus non c'era. Invece vide un riflesso acqueo nella finestra, ed Harry si disse che non era il volto di Sirius quello che stava vedendo.

Negazione.

Per un momento Harry volle spaccare la finestra, volle distruggere quel riflesso immaginario che lo derideva. Harry sapeva che la sua rabbia cresceva facilmente, dopo aver passato l'ultimo anno ad essere pungolato da Voldemort, ma almeno la rabbia era qualcosa che poteva provare.

Chiuse gli occhi e aumentò il volume della musica, sperando di trovare qualcosa di meglio a Stockport.

 

 

Il pullman da Manchester a Stockport era stato pieno di adolescenti fastidiosi, animati dall'eccitazione di uscire la notte. Erano già le sei di sera quando Harry era arrivato, e quando il pullman aveva scaricato lui e la sua borsa nel centro del paese, la prima cosa che aveva fatto era stata fermarsi per un altro boccone.

Tuttavia, ora che si trovava di fronte alla casa d'infanzia di sua madre, Harry desiderò non aver mai mangiato nulla per cena. Il suo stomaco si stava agitando, e il suo semplice tramezzino di pollo non stava troppo bene. Quella degli Evans era una casa a schiera ben tenuta sulla lunga strada, di mattoni rossi con bianche rifiniture attorno alle finestre e un piccolo giardino decorato da una dovizia di fiori. Il nome sulla cassetta delle lettere era cambiato, ma Harry suppose che la casa fosse ugualmente invitante quando sua madre aveva vissuto là.

Le finestre erano coperte parzialmente, ma Harry poteva vedere attraverso la vetrata principale che una famiglia si stava giusto sedendo per cena. La luce che ne veniva fuori era di un giallo caldo, e Harry vide che al piano di sopra la luce era rimasta accesa anche nella camera da letto. Pigramente, si domandò se fosse stata la stanza di sua madre.

I suoi pensieri furono interrotti da un colpo di tosse, e Harry si voltò per vedere che una macchina si era accostata al suo fianco. Harry mantenne un atteggiamento disinvolto, non volendo apparire alla polizia come uno che fosse colpevole di qualcosa. Non sembravano pensarla così, comunque, da quello che si poteva capire dal loro tono annoiato.

“Sulla tua strada allora, giovanotto?”, l'autista lo osservò con curiosità, ed Harry lo interpretò come un avvertimento a non indugiare di fronte alle case degli estranei.

“Sto tornando a casa”, replicò Harry, raccogliendo lo zaino e avviandosi, salutando amichevolmente gli ufficiali. Il suo sorriso svanì mentre girava l'angolo. Sentendosi un completo idiota. Giovedì sera al freddo, e non aveva un posto in cui stare. Harry si incamminò lungo la strada verso il parco che aveva visto prima, facendosi largo fra gli alberi e evitando le persone che portavano a spasso i cani la sera. Stava seguendo qualcosa, un tocco magico lievemente accogliente che riusciva a sentire. Harry aveva provato qualcosa del genere in passato, un piccolo conforto che era stato lì quando aveva affrontato Voldemort nel cimitero.

Per il sentiero verso il campo da calcio, Harry seguì la sensazione amichevole, fermandosi finalmente davanti a una fitta vegetazione ricca di arbusti dall'aspetto minaccioso intorno ai tronchi degli alberi. Harry puntò la bacchetta contro i cespugli, curioso di sapere perché sembrasse giusto essere lì. Dopo averli finalmente messi da parte, Harry vide che lì c'era un vecchio albero cavo, largo abbastanza da contenere una o due persone piccole. Con un sorrisino si sistemò dentro la cavità, con una coperta sopra le gambe e con una confezione di birra vicino.

Usando una torcia che aveva preso da Privet Drive, Harry ispezionò l'interno del suo nuovo rifugio, comprendendo improvvisamente perché gli fosse sembrato giusto essere finito lì. Sopra l'entrata Harry poteva leggere, graffiato nella corteccia, il nome di sua madre. Qualcos'altro era scritto sotto il nome “Lily” in grassetto, ma Harry non poteva leggerlo poiché qualcuno l'aveva reso illeggibile. Tracciò lentamente il dito sulla scritta prima di sedersi. Harry si avvolse nelle coperte che aveva portato, e tenne alta la birra in onore del nome di sua madre, facendo un breve brindisi prima di bere tutto quello che poteva in un sorso.

Un'ora dopo, nello stesso paese, quando un mago rientrò a casa sentì il lieve suono di un allarme in una camera inutilizzata nel piano più alto. L'allarme venne studiato, poi maledetto, e infine il mago lasciò la casa, chiudendo con violenza la porta d'ingresso dietro di lui e partendo a passo svelto.

 

 

“Piccolo idiota”. L'uomo raggiunse la cavità dell'albero e afferrò quello che c'era al suo interno. Strappò via Harry e lo resse in piedi, ma il ragazzo era come un peso morto nelle sue mani.

“Alzati, Potter”.

Harry si ritrovò ad essere tirato fuori dalla piccola cavità dell'albero da braccia forti. Erano coperte da uno spesso materiale nero, e per un secondo pensò che la polizia fosse ritornata per lui. Dopo essere stato tirato in piedi, fu finalmente in grado di vedere la faccia arrabbiata e silenziosa di fronte a lui, occhi neri scintillavano di rabbia alla luce del lampione.

“Oh merda, è Piton”, disse ridacchiando, sebbene la presa di Piton sul suo braccio fosse diventata piuttosto dolorosa.

“Perché sei ubriaco?”, gli chiese Piton, calciando una lattina di birra ai piedi di Harry.

Harry gli lanciò uno sguardo buffo, prima di crollare un po' sulla presa di Piton.

“Sirius mi ha fatto ubriacare. E Cedric”, singhiozzò Harry, finalmente libero dal desiderio di ridere. Un lampo di qualcosa che Harry non aveva mai visto prima comparve negli occhi di Piton, ma prima che Harry potesse verificare se fosse preoccupazione, il corpo di Piton si irrigidì mentre guardava dietro le spalle di Harry. Qualcuno si stava avvicinando, e nel farlo stava facendo un po' di rumore. Piton raccolse dall'albero lo zaino di Harry, e con uno sguardo di gran fastidio condusse Harry verso l'entrata del parco.

Harry inciampò un bel po' di volte, mentre cercava di tenere il passo di Piton, perdendosi irrimediabilmente mentre Piton lo conduceva lungo alcuni piccoli vicoli e finalmente si fermava davanti ad una vecchia porta nera di legno. Harry vide che la piccola strada era pulita, ma malmessa, e che la piccola casa a schiera davanti alla quale si trovavano appariva completamente anonima e parzialmente inabitata. Piton aprì la porta con una chiave e mise una mano sulla spalla di Harry per spingerlo avanti.

“Dentro”, ringhiò l'uomo, davanti all'evidente riluttanza di Harry.

La confusione della mente ubriaca di Harry lo lasciò abbastanza a lungo da fargli ricordare che lui odiava Piton, non importa quanto calda sembrasse la casa paragonata alla fredda serata all'esterno.

“Neanche per idea! Proverà ad uccidermi, come ha fatto con Sirius”, farfugliò Harry a voce alta, spingendo la mano contro lo stipite della porta.

“ Bellatrix Lestrange ha ucciso Black, e se non entri in casa nei prossimi cinque secondi, Potter, ti lancerò una maledizione e ti spingerò dentro io stesso”.

Harry fece per aprire bocca di nuovo, ma la bacchetta nera di Piton fu improvvisamente puntata tra i suoi occhi e la mano nella sua schiena divenne forte come l'acciaio. Harry entrò nella casa con riluttanza ed entrò nel piccolo atrio. Deglutì di fronte alle anguste scale e lanciò a malapena un'occhiata all'ufficio alla sua destra mentre veniva spinto attraverso una piccola entrata e finiva in una stanza circondata da libri. Harry suppose che questa, originariamente, doveva essere la sala da pranzo, perché la cucina era in fondo alla stanza, con il telaio della porta del tutto aperto a collegarle.

Piton lo spinse su una vecchia sedia nella cucina, e Harry prese il bordo della sedia dove il materiale negli angoli si stava staccando. Piton era occupato a riempire un ampio bicchiere d'acqua, e spaventò Harry quando sbatté rumorosamente il bicchiere sul tavolo scheggiato della cucina.

“Bevilo, se desideri mantenere una mediocre operatività domani”

Harry strinse gli occhi guardando Piton, che era appoggiato sul piano di lavoro giallo sbiadito.

“Non ha una pozione per i postumi della sbornia? Sa, si beve, si dimentica, niente dolore”, disse Harry, agitando una mano durante la spiegazione. L'altra mano avvolgeva il bicchiere, ma non fece nessun movimento per bere l'acqua.

“Quando bevo, lo faccio per soffrire, Potter”, rispose Piton, dopo un momento di riflessione.

Harry penso di aver visto un atteggiamento di sfida dietro la dura occhiata di Piton, e decise di bere l'acqua. Aveva sete, ma immaginava che chiedere un'altra birra probabilmente non sarebbe stata la cosa migliore da fare.

“Spiega come sei arrivato al parco”, chiese Piton in tono pratico, dopo che Harry aveva ingoiato due enormi sorsi d'acqua.

“Ho preso un pullman”, rispose velocemente Harry, sulla difensiva. Questa volta bevve l'acqua per il fastidio.

“Perché hai preso il pullman fino a qui, Potter?”, l'enfasi sull'ultima parola fece sobbalzare Harry.

“Conosce la definizione di casa?”

Piton si fermò e fissò Harry, cercando di seguire la conversazione. “Un luogo in cui una persona vive in un momento preciso”. La risposta di Piton venne lentamente, e attese di vedere cosa Harry ne avrebbe fatto.

“No, non è quello che sto cercando”. Harry scosse tristemente la testa, urtandola quasi sul tavolo. Riguardò in alto quando Piton tamburellò sul tavolo.

“Perché, Potter”.

“Volevo vedere dove mia mamma era cresciuta”, disse Harry, cercando di focalizzare i due Piton sfuocati che erano improvvisamente apparsi di fronte a lui. Un'espressione acida apparve sul volto di entrambi.

“Missione compiuta. Quando sarai sobrio, prenderai il pullman e ritornerai da dove sei venuto”, disse Piton con tono di scherno, facendo schioccare le dita di fronte al viso di Harry per attirare l'attenzione del ragazzo.

“Andrò ora, dal momento che sono un tale fastidio”, sputò Harry, prima di fare per alzarsi. Scoprì improvvisamente di non riuscirci, poiché Piton lo aveva incollato alla sedia con un incantesimo aderente. “Che diavolo significa?”, borbottò Harry, tirando i jeans sulle sue gambe.

“Sobrio, Potter. Non ti farò vagare, da ubriaco, per l'intera Inghilterra. Domani i tuoi parenti potranno andare a prenderti alla fermata del pullman”. Le sopracciglia di Piton si erano ristrette e Harry poteva vedere che teneva in mano la bacchetta senza stringerla troppo.

Harry iniziò a ridacchiare nuovamente. “Questa è bella!”.

Il sopracciglio di Piton si alzò ulteriormente e sembrava che stesse ponderando qualcosa.

“Qual è il tuo numero di telefono, Potter?”. Si mosse sul lato dell'armadietto della cucina, dove un piccolo telefono babbano era attaccato alla presa della corrente sulla parete. Harry lo guardò come un pesce che fosse appena stato intontito.

“Come fa a sapere cos'è un telefono?”

“Sono un uomo misterioso”, rispose Piton, con un'espressione imperturbabile. Era una dichiarazione che Harry trovò assurdamente divertente. Dopo aver smesso di ridere, gli diede il suo numero e, nella sua mente, cercò di immaginare Piton che teneva un telefono, mentre sapeva che Ron non gli avrebbe mai creduto.

Non ci fu nessuna risposta al numero, e Harry sapeva che non ci sarebbe stata, così riposò la testa sul tavolo mentre Piton riempiva un altro bicchiere d'acqua.

“Sono una scocciatura. Lei mi ha detto di non tornare fino a lunedì”. Harry stava parlando alle sue mani, sentendosi improvvisamente molto stanco.

“Di che cosa stai parlando adesso, Potter?”, chiese Piton, con esasperazione nella sua voce.

“Sono andati via per il fine settimana. Mi hanno detto di non tornare”. L'acqua venne spinta nelle sue mani, ma si sentì improvvisamente pieno, troppo pieno. Piton lo stava osservando attentamente, ma Harry non avrebbe potuto mentire neanche se avesse voluto, e sospettava che Piton lo sapesse. Ad ogni modo, tutto quello che adesso voleva fare era dormire, e non gli importava che il suo nemico tanto detestato si trovasse nella stessa casa.

“Hai quindici anni. Vai a casa e aspetta finché non ritornano”, disse Piton, stando attento alla reazione di Harry.

“Non mi hanno mai dato una chiave”, disse Harry, come se fosse una cosa ovvia. Il volto di Piton rimase impassibile, quindi Harry alzò appena le spalle. Questo si rivelò essere un errore, perché la stanza iniziò ad assumere un'inclinazione insolita.

“La smetta! Gira tutto”, protestò Harry. Si ritrovò ad essere duramente tirato su dalla sedia da un professore di pozioni molto silenzioso, spinto attraverso la libreria nella stanza e fatto salire su una serie di scale di legno traballanti. Nel piccolo secondo piano Piton lanciò lo zaino di Harry dalla porta di una camera prima di condurlo verso il bagno.

Harry iniziò a protestare sotto la presa di Piton, da una parte per il desiderio di controllare i propri passi, dall'altra perché sentiva di stare per rimettere a causa delle vertigini. Ciononostante, venne spinto nel bagno prima di aver avuto l'occasione di guardare l'oscuro corridoio del piano superiore attraverso cui erano passati.

Il bagno non era migliore comunque, visto che era dipinto dello stesso colore cupo del corridoio, e Harry fissò la vecchia porcellana color crema delle rifiniture della vasca da bagno. Se il bagno fosse stato blu chiaro, Harry avrebbe giurato di essere finito in una di quelle orribili vecchie riviste di decorazione d'interni dagli anni settanta di sua zia Petunia. Il mobile del bagno era un vecchio specchio con uno scaffale dietro di questo, e stranamente Harry trovò che l'oggetto più sconcertante nella stanza fosse la vista dello spazzolino di Piton all'interno di un bicchiere. Piton, il suo crudele professore e mangiamorte, si lavava i denti ogni notte, come le persone normali. Harry si sentì turbato.

La sensazione, con lo spazzolino, non durò a lungo. Harry notò appena quando questo venne spostato nella camera, o da qualche parte fuori dal bagno, prima di essere improvvisamente travolto dall'odore di cipolle fritte. Guardando follemente indietro nella direzione di Piton, che stava in piedi all'entrata con una bolla d'aria piccolissima attorno al naso e alla bocca, Harry sentì che il suo stomaco iniziava a contrarsi per l'odore. Cadde sulle sue ginocchia e ignorò lo sguardo disgustato di Piton mentre tutto ciò che aveva bevuto quella sera veniva improvvisamente fuori un'altra volta. La testa di Harry aveva iniziato a pulsare, e non capiva se stesse per svenire o continuare a rimettere, e all'improvviso aveva iniziato a pentirsi di aver mangiato qualsiasi cosa quel giorno. Sembrava che il suo stomaco avesse una capienza più ampia di quanto avesse mai pensato, e dopo dieci minuti i suoi occhi lacrimavano e il suo naso pizzicava, proprio accanto alla gola.

Pareva che anche Piton pensasse che fosse abbastanza, perché all'improvviso Harry scoprì che l'odore di cipolle era scomparso, e che Piton aveva aperto la finestra del corridoio. Tuttavia l'odore nel suo naso era orribile e, invece di un fazzoletto, Harry si stava sforzando di trovare la carta igienica per soffiarsi il naso. Sapeva che Piton lo stava guardando, e Harry ignorò la vocetta nella propria testa che gli stava ricordando come questo episodio fosse senz'altro un suo errore.

Dopo essersi seduto sul coperchio del water ed essersi ripreso per un momento, Harry saltò quando sentì che il rubinetto della doccia aveva iniziato a far scorrere l'acqua. Piton era ancora nell'entrata, ma non aveva detto una parola da quando Harry aveva iniziato a ripulirsi.

“Dentro la doccia, Potter”. La voce di Piton era fredda e imperiosa, con lo stesso tono che Harry aveva sentito con regolarità allarmante durante le punizioni.

La testa di Harry scattò in alto, cosa di cui si pentì all'istante. “Non voglio fare una doccia!”. Le parole “mentre lei sta lì” rimasero sottaciute, ma Piton le sentì ugualmente e lo schernì.

“Non mi importa se vuoi affogarti. Puzzi, e farai una doccia. Lascia i tuoi indumenti intimi se sei tanto pudico”.

Piton fece un passo verso Harry e alzò la bacchetta, arrestando il movimento quando Harry saltò su e si tolse la felpa.

“D'accordo! Non capisco perché a lei, fra tutti, dovrebbe importare...”, bofonchiò Harry, cercando di slacciare le scarpe, senza avere però tanta fortuna. Tutte le volte che si piegò per toglierle, finì quasi per sdraiarsi a terra sulla pancia.

“Ti dispiacerebbe elaborare quel commento, signor Potter?”. Il tono di Piton era pericoloso e all'improvviso Harry si ricordò dell'udito eccezionale dell'uomo.

“Non sono così ubriaco”, replicò Harry, socchiudendo gli occhi e tirando finalmente via le scarpe con fatica. Essendo ancora infastidito, si alzò in piedi con un ondeggiamento poco dignitoso e si abbassò i jeans, lasciandosi i boxer. Con un sorrisetto compiaciuto, andò a sbattere il piede sul bordo della vasca prima di entrare e posizionarsi sotto lo spruzzo dell'acqua, tenendosi con le braccia sulle piastrelle di ceramica della parete per restare vivo. Oltre la tendina del bagno poteva sentire i movimenti di Piton, che stava togliendo qualcosa da un pacco.

Harry chiuse l'acqua, dopo esserci stato sotto per qualche minuto, e per poco non si fece togliere la testa da un asciugamano quando riaprì la tendina. Gliel'aveva lanciato Piton, ma Harry lo aveva solo fissato stupidamente mentre si librava in aria e lo colpiva in faccia. Intontito, Harry aveva combattuto contro l'asciugamano come se fosse un Letalmanto*, realizzando finalmente di doversi asciugare con questo dopo averlo minacciato e non aver ottenuto nessuna risposta dal materiale di cotone.

“Affascinante”, osservò Piton ironicamente, osservando Harry mentre rabbrividiva nell'asciugamano e nei suoi boxer bagnati. “Informerò il Signore Oscuro che per metterti fuori combattimento deve solamente acquistare asciugamani per il bagno. Lavati i denti dopo, e poi vieni verso la porta accanto che troverai aperta”.

Dopo queste parole lasciò la stanza, e Harry vide uno spazzolino nuovo all'interno di un secondo bicchiere sopra il lavandino.

Dopo essersi lavato e risciacquato i denti, Harry si avviò goffamente verso la porta della camera dove vide Piton frugare nel suo zaino, apparentemente alla ricerca di qualcosa.

“Hey, quello è mio!”, farfugliò Harry, lasciando cadere le scarpe ai piedi del letto.

“Hai idea di come si fanno i bagagli, Potter?”, chiese Piton, non preoccupandosi di riconoscere quello che Harry aveva detto.

“Dormo con i miei vestiti”, disse Harry, ancora un po' brillo per sembrare veramente indignato. Piton scosse a malapena la testa, lanciando ad Harry la sua miglior occhiata per dargli dell'idiota. Poi si alzò e spalancò l'armadio nell'angolo, dando uno sguardo ai vestiti che erano appesi, prima di tirar fuori una maglia lunga fino alla coscia e lanciarla ad Harry.

“Indossa questa”. Piton gli lanciò un'occhiata tagliente.

“Non mi guardi mentre mi sto cambiando”.

“Non hai niente che io voglia vedere, Potter. E credimi, sei ubriaco. Non ricorderai niente domani mattina”.

Harry incontrò il suo sguardo e avrebbe potuto giurare di aver visto divertimento in quegli occhi. Come risultò poi, aveva avuto bisogno di aiuto dopo esser quai caduto sul suo sedere tentando di cambiarsi i boxer. Quasi sul punto di perdere la pazienza, Piton aveva accostato la camicia da notte alla testa di Harry, borbottando sottovoce quanto tempo avrebbe impiegato per strangolarlo con questa.

“Perché mi ha fatto rimettere?”, biascicò Harry, salendo sgraziatamente sul letto che si trovava contro la parete.

Piton fece un incantesimo asciugante sull'asciugamano e sui boxer bagnati di Harry, prima di sistemarli sopra la sedia della scrivania che si trovava sull'altro lato della piccola stanza. Si voltò a guardare Harry, che era restio a sdraiarsi sulla schiena e così si era seduto puntellando la propria testa su un angolo scomodo della testiera. Gli occhi di Harry si stavano sforzando di restare aperti, e stava borbottando sottovoce.

“Strozzarti col tuo vomito nel bel mezzo della notte è un modo poco dignitoso di morire, Potter. Sono certo che anche tu puoi essere più creativo di così”. Piton alzò dal letto la coperta e la sistemò con delicatezza sopra Harry, facendo apparire anche un secchio da mettere di lato al letto sul pavimento.

“Ha ha. Perché le interessa?”, borbottò Harry, non pienamente consapevole di quello che stava dicendo. “Non è come se lei fosse mio babbo, comunque. Hah. Harry Pitooooon. No, Harry Piiiiiiton. Come un serpente.**Qualcuno l'ha mai chiamata Serpente da bambino?”.

“Potter”, disse Piton, con tono severo, “Se io fossi tuo padre, tu saresti stato sulle mie ginocchia non appena fossimo arrivati a casa stanotte”.

Gli occhi di Harry si allargarono dallo shock quando ne comprese il significato, e la sua mente corse con una raffica di pensieri mentre tentava di convincersi che no, il suo professore non poteva sculacciarlo.

“Non sono un bambino!”, farfugliò Harry, facendo una mossa per fuggire dal letto. Ma il suo corpo era fiacco e si sforzò per mettersi a sedere completamente.

“Il tuo comportamento è atroce, indipendentemente dalla tua età”, rispose Piton, posando una mano ferma sulla spalla di Harry, spingendolo completamente indietro sul letto in una posizione supina. Quando la sua testa toccò il cuscino, Harry venne sopraffatto da una sensazione spiacevole dovuta al movimento e per pochi secondi il panico attraversò il suo volto mentre cercava di combattere l'urgenza di rimettere di nuovo. Invece, si tenne forte al materasso come se fosse un'ancora di salvezza e svenne.

Piton scosse la testa e si raddrizzò di nuovo, rimuovendo gli occhiali dal viso di Harry e appoggiandoli sul comodino. Chiuse le tende nella stanza e si guardò intorno, ricordando tutte le notti in cui era rimasto sveglio in quella stessa stanza, evitando gli effetti che l'alcool aveva sugli altri. Domani avrebbero avuto una lunga discussione, che Potter lo volesse o meno.

Piton si fermò di nuovo accanto al letto, appoggiando la mano su una di quelle di Harry e mormorando un basso incantesimo con voce melodiosa. La bacchetta pulsò contro il suo palmo, e dopo pochi minuti lasciò andare Harry. Le protezioni erano state sistemate, il ragazzo sarebbe stato invisibile per tutte le carogne che avessero osato visitare Spinner's End.

Dall'entrata, Potter sembrava piuttosto giovane e perso mentre si raggomitolava sul fianco e piagnucolava nel sonno. Piton lanciò un incantesimo veloce su di lui per assicurarsi che se si fosse sentito male durante la notte, lui avrebbe sentito l'allarme. Non aveva senso lasciare che il moccioso si facesse fuori da solo, dal momento che la predica che il preside gli avrebbe fatto sarebbe stata troppo lunga e piena di affermazioni colpevoli che avrebbero colpito la sua coscienza.

Dopo aver spento la luce, Piton si diresse verso la porta del bagno per esaminare il caos che il ragazzo aveva lasciato.

 

*Il Letalmanto o Velo Vivente è una creatura oscura e molto rara, che abita unicamente nei climi tropicali.

**Piton è la traduzione di Snape. Nell'originale Harry dice “Ssssssnape”, notando la somiglianza del suono iniziale con quello del serpente. Per questo Harry chiede a Piton se qualcuno l'abbia mai chiamato serpente.

 

 

 

 

 

Note della traduttrice: ciao a tutte e a tutti. Come avrete già capito, questa storia non mi appartiene, come non mi appartengono i personaggi e il mondo descritti al suo interno. Mi appartiene unicamente la traduzione. Per leggere la storia originale – “The Definition of Home” di oliver.snape – dovete andare su fanfiction.net o su AO3. Questa è la mia prima traduzione, quindi perdonatemi per gli errori che troverete; ho cercato e cercherò di fare del mio meglio. Ho deciso di tradurla perché è una delle storie più belle che io abbia mai letto su Severus e Harry e perché vorrei condividerla con chi non è in grado di capire bene le storie scritte in inglese. Questa prima parte consta di quattordici capitoli, così come la seconda (The Definition of Family), mentre la terza e ultima parte (The Photo Album) è composta da quattro capitoli. Vi invito a leggere tutte le storie di questo autore, incentrate sempre su Harry e Piton (alcune sono slash, per chi fosse interessato).

Buona lettura!

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Capitolo 2
*** Good Morning, Hell ***


Capitolo 2, Good morning, Hell

Harry non ebbe bisogno del secchio durante la notte, ma la mattina successiva poté giurare che Piton gli avesse dato la peggior cura per il dopo sbornia mai conosciuta. Si era svegliato in una camera strana, devastato dal mal di testa e con una visione completamente nuova sul roteare giornaliero della terra. La testa di Harry la stava imitando perfettamente. I colpi di qualunque cosa fosse proprio sotto la camera non stavano aiutando affatto, ma Harry sospettava fortemente che Piton ne fosse consapevole.

Si trovava in un lettino singolo, e anche se al di sopra di questo c'era una coperta ruvida e rigida, le lenzuola interne e il piumone erano sorprendentemente confortevoli. Le pareti erano dipinte di una tonalità opaca di blu marino, che Harry trovava piuttosto piacevole. Un colore molto forte, ma non troppo acceso. Sulla parete vicino al guardaroba Harry poteva vedere uno stendardo sbiadito tenuto appeso da puntine da disegno, con sopra un vecchio stemma di Serpeverde che Harry riconobbe dalle fotografie degli studenti delle generazioni passate che si trovavano a scuola. C'era un piccola scrivania di legno vicino al letto, e Harry poteva vedere alcune scanalature sul bordo anteriore e macchie d'inchiostro sulla parte superiore. Il guardaroba era stato lasciato aperto, e Harry poteva vedere al suo interno alcuni indumenti neri appesi.

Sentì un rumore stridente provenire da qualche parte nel corridoio, ma lo ignorò, preferendo il conforto del letto. Si trascinò in una posizione seduta e improvvisamente riconobbe il letto e la stanza. Però questa volta non c'era nessun adolescente annoiato seduto sul letto e nessuna mosca veniva abbattuta. Invece ora la versione matura di Piton si trovava nell'entrata e indossava i suoi normali pantaloni e vestiti neri, ma non quelli da insegnante.

“Buongiorno, signor Potter”, annunciò Piton in tono freddo e divertito al tempo stesso. Le sue labbra si contrassero leggermente quando vide Harry trasalire.

“È una splendida mattinata estiva fuori. Il sole splende, gli uccellini cinguettano, come puoi vedere”, continuò Piton, agitando la bacchetta in modo da aprire le tendine e far entrare la luce del sole.

Harry gemette e si lasciò cadere di nuovo, tirando le coperte fin sopra la sua testa. Sperò, con pensieri poco coerenti, che Piton vaporizzasse alla luce del sole, ma Harry sapeva che questo non sarebbe successo. Ed ora era sicuro di sapere quale fosse la voce della morte. Quella di Piton.

“Fuori dal letto, Potter”, ringhiò Piton, avvicinandosi ad Harry.

Harry strinse forte le coperte che lo coprivano, e notò un odore familiare. Salvia, sempreverde e un altro ingrediente di una pozione forte che non riusciva ad identificare. La coperta venne tirata via e Harry chiuse gli occhi.

“Questa è la sua stanza, signore?”, biascicò, avvertendo troppo vicina la presenza di Piton per sentirsi a proprio agio.

“Alzati, Potter.”, ripeté Piton, ignorando la domanda di Harry. La bacchetta dell'uomo venne improvvisamente puntata contro il viso di Harry e ci fu un leggero sbuffo quando Harry per poco non si cavò un occhio saltando giù dal letto.

 

 

Dopo aver trascinato i piedi fino al bagno e aver passato alcuni minuti nel limbo chiedendosi se avrebbe svuotato ulteriormente lo stomaco o no, Harry scese con attenzione le scale. Si era ricambiato indossando i vestiti del giorno precedente, dal momento che non riusciva a trovare il suo zaino e non osava entrare nell'altra stanza del secondo piano.

Trovò Piton seduto al tavolo della piccola cucina, mentre leggeva la Gazzetta del Profeta e beveva il caffè. Ad aspettarlo c'era un piccolo piatto sul tavolo, con due fette di pane tostato, un uovo fritto e un bicchiere di succo. Harry scivolò sulla sedia, consapevole di essere seduto troppo vicino a Piton.

“Mangia”, ordinò l'uomo, indicando il cibo. “Direi che hai espulso abbastanza sostanze nutritive ieri notte”.

“Io, uh...mi dispiace”, farfugliò Harry, dando un morso al pane secco. L'uovo sembrava leggermente unto, cosa che soddisfaceva il suo stomaco e, al tempo stesso, disgustava le sue papille gustative. O forse il contrario – no, il suo stomaco voleva certamente il grasso. La sua bocca invece minacciava la ribellione se solo Harry avesse osato mangiare qualcosa con quella consistenza dopo la sua sbronza. Oggi si sarebbe fatto andar bene solo il pane tostato, era la scommessa più sicura. Harry prese il suo tempo per ingoiare il pane tostato, bevendo il succo per aiutare la sua bocca secca. Fece vagare lo sguardo per la piccola stanza in cui si trovavano: un'area rettangolare aperta, la quale sembrava che fosse stata aggiunta alla casa originale molto tempo fa. Alla luce del giorno la cucina di Piton non sembrava affatto migliore rispetto alla notte precedente – era logora e sembrava avesse perso tutta la gioia almeno una decina d'anni prima. Sembrava che agli armadietti color crema servisse un buon lavaggio e Harry notò alcune ragnatele nell'angolo della finestra macchiata. E c'era – .

“Potter, cosa diavolo ti ha tanto affascinato della mia cucina?”

Harry deglutì e disse la prima cosa che gli venne in mente. “La maniglia di quel cassetto è rotta”.

“E allora?”, ringhiò l'uomo, avvicinandosi ad Harry e assottigliando gli occhi.

“Perché non l'ha ancora riparata? Lei è un perfezionista. E perché il resto della casa è così antiquato? È come se lei volesse tenere questo posto tetro e schifoso”.

Si portò la mano alla bocca, ma seppe subito che era troppo tardi per salvarsi dall'ira del suo professore. Stupida sbornia! Una mano scattò e all'improvviso Harrry provò dolore nella parte inferiore dell'orecchio, dove la presa delle dita di Piton era estremamente forte.

“Stai attento, Potter, hai già abusato della mia pazienza”.

“Ahia! Non intendevo dirlo, professore!”, Harry sussultò e girò la testa per cercare di diminuire un po' la pressione sul suo orecchio. Piton lo lasciò andare dopo un minuto e Harry si massaggiò con cautela l'orecchio.

“Risparmiami le tue bugie e tieni solo la bocca chiusa”. Piton ritornò al suo giornale e ignorò apertamente il ragazzo.

“Non si preoccupi, finisco questo e me ne vado”, rispose Harry, improvvisamente stanco e arrabbiato con Piton.

“Piantala di fare scenate”. Piton non alzò lo sguardo, perdendosi così l'occhiata furente che Harry gli stava lanciando.

“Il preside chiamerà attraverso il camino all'una e allora potrai spiegare il tuo brillante piano di attraversare metà Inghilterra e bere fino allo stordimento”.

Harry spostò l'avanzo dell'uovo sul suo piatto e si rifiutò di alzare lo sguardo. Fra tutti, doveva imbattersi proprio in Piton nel suo fine settimana libero. E, ad ogni modo, che diavolo ci faceva la casa di Piton così vicino a quella di sua mamma? Harry controllò l'orologio e si rese conto che mancavano quattro ore e mezza alla chiamata di Silente, quattro ore e mezza in cui sarebbe rimasto bloccato con Piton.

“Cosa farò fino ad allora, signore?”, chiese Harry incapace di tenere fuori dalla sua voce il sarcasmo. “I compiti?”.

“Oh no, Potter”. Piton aveva un sorrisetto stampato sul viso e lo stomaco di Hary si contorse. Quello sguardo non portava mai a niente di buono. “Dal momento che hai una così salda opinione sulla mia cucina, potrai trascorrere il tempo a pulire il piano di lavoro e le credenze. E ricorda che ti trovi nella mia casa, Potter. Nessun Grifondoro verrà a salvarti qui”.

Piton fece cadere un grosso libro sul tavolo della cucina prima di tornare a sedersi e parve sorridere mentre il suono riecheggiava nella sua testa come quello di un gong. L'eco era molto forte nella piccola cucina e Harry immaginò che Piton se ne stesse approfittando. Il ragazzo si guardò attorno e vide i vecchi banconi, le credenze consumate e la maniglia rotta del cassetto. Non c'era nessun microonde, tostapane o bollitore moderno, ma la cucina aveva un forno adatto. Harry suppose che quel forno si trovasse lì da quando Piton era piccolo, a giudicare dall'aspetto.

Non sarebbe stato difficile pulire la cucina, ma in effetti sarebbe stata una sfida vedere se Harry sarebbe riuscito a far sembrare il piano d lavoro un po' più splendente. Ma non era quello il punto.

“Non pulirò la sua cucina”. Harry incrociò le braccia e si risedette sulla sedia, lanciando un'occhiataccia al suo professore. Si chiese se fosse ancora un po' ubriaco dalla notte scorsa, visto che l'occhiata che Piton gli stava lanciando gli avrebbe normalmente fatto salire il cuore in gola.

“Oh, ma veramente?”. Piton spinse indietro con forza la sua sedia, i cui piedi grattarono il pavimento; Harry trattenne il respiro e sussultò.

La sua testa stava pulsando e sapeva che Piton stava pianificando di farlo soffrire. “Non credo che tu abbia una scelta, Potter. Hai quindici anni, sei scappato da casa, ti sei penosamente ubriacato, hai ignorato completamente la sicurezza che ti è stata garantita dal sacrificio dei tuoi genitori...”.

“Non sono scappato!”, sputò Harry, rabbrividendo a causa del volume. In qualche modo gliela avrebbe fatta pagare a Dudley -il mal di testa non valeva assolutamente la gioia del bere di cui Dudley parlava sempre. “Zia Petunia sapeva che stavo venendo qui”.

“Certo che lo sapeva”. Un sopracciglio venne alzato e Harry fu trafitto dal sarcasmo. “E sapeva anche che non avevi un posto in cui stare una volta arrivato qui?”.

“Non le interessa”, brontolò Harry, cercando di concentrarsi unicamente su Piton.

Aveva difficoltà negli scontri verbali con Piton nel suo stato ottimale, figuriamoci adesso che si sentiva come se avesse vagato per un deserto tutta la notte mentre veniva inseguito da un ippogrifo.

Piton lo derise. “Potter, non fare lo stupido”.

Un secchio d'acqua calda e sapone apparve sul tavolo della cucina accanto a Harry, e lui lo ignorò volutamene.

“Non sono stupido. Mi ha dato il permesso per venire qui, Piton”. Harry si diresse verso il lavandino e prese il bicchiere che aveva usato la notte prima, riempendolo rabbiosamente d'acqua. Che vada a quel paese. Harry aveva sete.

“È professor Piton per te. E ti ha comprato anche la birra, non è vero?”, disse Piton con tono di scherno, spedendo il secchio sul bancone accanto al lavandino.

“No”. Harry rise aspramente. “L'ho comprata io”. Subito dopo sentì tutta la sua faccia arrossire. Aveva appena ammesso, davanti a Piton, di aver infranto la legge.

“Maledizione!”, imprecò Harry, rifiutandosi di voltarsi verso il lavandino.

“Esattamente. Ed è questo il motivo per cui devi pulire la cucina, Potter”, disse Piton in tono basso e pericoloso.

Un paio di guanti per le pulizie apparvero dal nulla e Piton li sbatté sul tavolo, facendo saltare Harry.

“Fantastico! Una cavolo di punizione durante l'estate”, mormorò Harry, rovesciando un po' d'acqua mentre afferrava il secchio. Indossò i guanti e allungò la mano dentro il secchio per prendere la spugna. La strizzò forte per far uscire l'acqua, fingendo che fosse Piton quello che stava strizzando fino alla morte. Harry spruzzò un po' d'acqua sul bancone e si mise a sfregare, mentre Piton faceva levitare fino al lavandino i pochi piatti che erano sul bancone. C'era un ampio mortaio di marmo e un pestello, e Harry lo guardò fluttuare nell'aria fino al tavolo. Ebbe l'immediato desiderio che la pesante ciotola di marmo si schiantasse a terra, preferibilmente sul piede di Piton, ma si sentì inspiegabilmente male per quel pensiero. Piton, dopotutto, l'aveva fatto restare la notte prima e gli aveva dato un posto caldo in cui smaltire la sua stupida ubriachezza. Per non parlare del fatto che l'uomo gli aveva salvato la vita più volte di quante Harry potesse contarne.

C'era silenzio nella stanza mentre Harry strofinava la superficie color crema, allontanando la secchezza della sua bocca. L'odore del sapone non stava aiutando la leggera nausea nello stomaco di Harry, ma era piacevolmente sorpreso di riconoscerlo; era il comune detergente Ajax, che aveva usato migliaia di volte dai Dursley.

Harry flesse le dita mentre lavorava, raccogliendo il vecchio telefono a disco e pulendo sotto di esso. Rimise giù il telefono e poi prese un piattino pieno di penny, falci e zellini. Nella scodella c'era anche una scatola di fiammiferi di un pub di Stockport; tra la ciotola e la parete era infilato un menù di pizza da asporto piegato. Harry fece un sorrisetto davanti a quello, chiedendosi che tipo di pizza disgustosa potrebbe piacere a Piton. Probabilmente qualcosa con acciughe e funghi o con olive e pesce.

Improvvisamente comparve nella sua testa l'immagine dei Mangiamorte che ordinavano un sacco di pizze per uno dei loro incontri e Harry iniziò a ridacchiare, immaginando un mucchio di uomini coperti da maschere discutere sul condimento da ordinare.

“Qualunque sia il pensiero depravato per cui stai ridendo, ti suggerisco di rimuoverlo dalla tua mente prima che lo faccia io”, disse una voce annoiata alle spalle di Harry, che si spaventò a morte.

Harry si accigliò e si mosse per iniziare a strofinare le credenze. “Non posso neanche ridere per qualcosa?”.

Piton prese il suo pesante atlante della Bretagna e guardò apertamente verso Harry prima di stendere le braccia a lato del tavolo e far cadere il libro. Sbatté intensamente sul pavimento, facendo saltare Harry e sibilare al suono. Imprecò e versò acqua su se stesso, qualcosa che Piton avrebbe potuto vedere quando si fosse girato rabbiosamente.

“Troppo forte, Potter?”. Piton gli fece un sorriso beffardo e fece cadere un altro libro sul tavolo. “Non riesco a immaginare perché ti faccia male la testa in questo momento”.

Harry si voltò verso le credenze della cucina e le attaccò con rinnovato rigore.

“Onestamente credo che a lei piaccia provocare dolore alle persone”.

“Così dicono le voci”, replicò Piton tranquillamente. “Personalmente lo considero un bonus quando insegno una lezione”.

“Quale lezione?”, lo derise Harry. “È estate, signore”.

“Sì, beh, pur essendo restio a pensare che tu possa imparare qualcosa durante l'estate, dopo il tuo comportamento dell'ultima notte sembra che tu abbia bisogno di chiarimenti sul modo responsabile di bere, Potter”.

Piton aprì un altro atlante e iniziò a scrivere delle note.

“Quindi, sto pulendo la cucina perché l'ho insultata e perché ieri mi sono ubriacato”.

Harry si mosse verso gli armadietti più bassi, prendendo un panno pulito e fresco per loro.

“È anche una punizione per aver curiosato nel mio Pensatoio, poiché, come Merlino sa, non riceverò mai delle scuse per quello”. Piton lo guardò di traverso, richiamando per lui una scopa per il pavimento.

Harry era abbastanza intelligente da non commentare quella piccola disavventura o il fatto che quella volta Piton gli avesse lanciato un barattolo di scarafaggi in testa.

Harry asciugò l'acqua sporca delle ante dell'armadietto inferiore, pensando alla situazione in cui era finito. Ubriacarsi la notte prima non aveva sicuramente risolto niente e Harry non era completamente certo di quale fosse il motivo del bere in quel modo. Dudley si era vantato spesso di come lui e i suoi amici non potessero ricordarsi nulla dopo una notte di bevute, ma Harry ricordava la sua notte abbastanza bene.

Troppo bene, in realtà, e si maledisse mentre un rossore aumentava sul suo viso. Non solo Piton l'aveva visto ubriaco, ma l'uomo l'aveva anche visto rimettere l'anima, avere una doccia umiliante e svenire nel letto.

D'altra parte era stato Piton a farlo rimettere.

Almeno, comunque, stare intorno a Piton gli assicurava di ricevere risposte sincere. Nonostante tutto il suo sarcasmo e le sue osservazioni odiose nei confronti di Harry, Piton gli diceva le cose esattamente come stavano, nel modo più schietto possibile.

Harry si alzò per risciacquare le mani nel lavandino e dovette aggrapparsi rapidamente al bancone, visto che si era alzato troppo velocemente e sentiva di star per svenire. Continuò a dare le spalle al tavolo però, visto che era sicuro che Piton avrebbe commentato in modo sarcastico il suo viso pallido. Sentì una lieve risata comunque, e si rese conto che Piton se n'era accorto. Piton si accorgeva sempre di tutto.

“Ha intenzione di rimanere seduto là e rendere la mia mattinata il più orribile possibile?”, borbottò Harry, facendo scorrere l'acqua sulle mani e portandosele alla fronte.

Piton spostò la sua bacchetta verso i piatti sul lavandino, facendo sbattere fra loro i bicchieri e i piatti di ceramica, producendo così una cacofonia notevolmente fastidiosa.

“L'hai fatto tu stesso, Potter. Io sto solamente incrementando i suoi effetti”, replicò Piton, con le labbra alzate in un ghigno soddisfatto mentre Harry gemeva.

 

 

“Perché eri ubriaco ieri notte, signor Potter?”, chiese Piton mezz'ora dopo, sfogliando quella che ad Harry sembrava una guida turistica babbana sull'area di Londra.

Harry non rispose, ma spazzò con più vigore. Sul pavimento la sporcizia e la polvere si nascondevano negli angoli e nelle fughe delle piastrelle, contro le quali Harry stava ostinatamente combattendo per riuscire a spazzarle via. Gli andava bene pulire fino a quando Silente non avesse chiamato, a patto che non dovesse pensare troppo. Sfortunatamente, Piton sembrava dell'umore giusto per una conversazione unilaterale e Harry era il suo bersaglio.

“Avevi voglia di imitare Potter padre? Anche lui passava le sue estati ad ubriacarsi e a perdere tempo”. Piton aveva un sorriso beffardo sul viso, e Harry impiegò tutte le sue forze per non rispondere a tono.

“O forse volevi soltanto irritarmi ulteriormente?”.

Harry sbatté la scopa contro il bancone, ma non si voltò a guardare Piton.

“Non avevo idea che lei abitasse qui”, disse, mentre la sua testa pulsava per il mal di testa.

“Hai viaggiato per oltre centocinquantacinque miglia per arrivare qui, Potter. Non mentirmi”.

“Non sto mentendo! Credevo che lei restasse nei sotterranei tutto l'anno”, sputò Harry, non curandosi più di usare i titoli onorifici.

“Molto fantasioso”, replicò Piton con un tono canzonatorio.

“Gliel'ho detto la notte scorsa, volevo vedere la casa di mia mamma”. Harry si tolse i guanti e li lanciò nel lavandino, lanciando un'occhiataccia all'uomo.

“È da molto tempo che non vivono più in quella casa”, replicò Piton, con una punta di amarezza nella voce. Era in piedi ora, e si stava avvicinando a Harry.

“Lo so”, Harry estrasse la sua bacchetta e la puntò verso la maniglia del cassetto che l'aveva tormentato tutta la mattina. “Reparo! Volevo solo vedere che tipo di casa fosse”.

“Potter”, ringhiò Piton, mentre Harry si girava in direzione della porta. “Hai qualche riguardo per il Decreto sulla restrizione delle Arti Magiche tra i minorenni?”.

Harry scosse rabbiosamente la testa mentre camminava con passo pesante attraverso la libreria verso le scale. Piton diede un colpetto con la bacchetta e chiuse con forza la porta della libreria, lasciando Harry frustato e irrequieto.

“Questa è casa mia, Potter. Non puoi andare via, infuriato, ogni volta che hai uno scatto d'ira”.

Harry non si girò; invece, iniziò a contare nella sua testa, cercando di controllarsi. Silente avrebbe chiamato fra un'ora, e allora Harry sarebbe fuggito dalla casa del suo odioso professore.

“Mi scusi, signore”, disse Harry alla fine, voltandosi. “Vuole che rompa di nuovo la maniglia per lei?”

“Puoi pure pensare di essere divertente, signor Potter”, iniziò Piton, avanzando verso il ragazzo e facendogli desiderare di potersi rimangiare quello che aveva detto. “ma mi rifiuto di tollerare il tuo atteggiamento durante la mia estate”.

Piton afferrò il braccio di Harry e lo condusse verso le scale, spalancando la porta. Lo spinse di sopra, indicò la camera e attese fino a quando Harry non vi entrò.

“Rimani nella stanza, non fare rumore e non toccare niente”.

Girò su se stesso e si diresse verso le scale prima che Harry potesse rispondere.

Dopo essere entrato nella stanza Harry si sedette sul letto e vide che Piton aveva riportato il suo zaino nella stanza durante la mattinata. Prese il suo album di fotografie e le guardò attentamente. Stava osservando gli sfondi, cercando di capire se ci fosse qualche posto che sembrasse Stockport. Tre di queste, quelle del matrimonio di sua mamma e di suo papà, erano state scattate di fronte ad una piccola casa di mattoni rossi: era una versione più nuova di quella che aveva visto il giorno prima. Quindi avevano vissuto qui almeno fino a quando i suoi genitori si erano sposati. Anche Piton aveva vissuto qui allora?

Cinque minuti dopo Harry venne spaventato da un piatto di tramezzini e da un bicchiere di succo d'arancia improvvisamente apparsi sulla scrivania. Harry afferrò il piatto, provando un misto di senso di colpa e piacere quando notò che i tramezzini erano al prosciutto glassato: i suoi preferiti. Ma come faceva Piton a saperlo? E da dove venivano i tramezzini? Era quasi al cento per cento sicuro che non ci fossero elfi domestici lì. Comunque era leggermente affamato e il succo avrebbe calmato il suo stomaco un po' più a lungo.

Harry si alzò e camminò lentamente per la stanza, indossando le calze per non fare troppo rumore sul legno duro. Si sentiva subdolo e sporco a camminare furtivamente per la camera da letto d'infanzia di Piton, ma l'uomo gli aveva ordinato di rimanere là, quindi Harry immaginava che non avesse niente da nascondere lì dentro.

Aprendo il guardaroba, Harry trovò alcune camicie da notte uguali a quella che aveva indossato la notte prima, tutte di una differente tonalità di grigio. Erano appese anche alcune camicie color crema e bianche. Nell'angolo era appeso un vecchio set di abiti scolastici, tra i quali c'era la cravatta fuori moda di Serpeverde, che pendeva liberamente dalla gruccia.

Harry spinse di lato i vestiti, trovando diverse paia di pantaloni eleganti nell'ultimo cassetto del guardaroba e uno strano orologio che sembrava essere stato lanciato all'interno dell'armadio.

Sopra la sua testa, su uno dei ripiani, Harry trovò alcuni maglioni fatti a mano di diversi colori neutri, più alcuni blu e verde tenue. Ce n'era anche uno rosso, e Harry notò che si trovava in fondo alla pila. Si mosse verso la scrivania, chiedendosi se avrebbe trovato qualcosa di strano lì dentro o alcuni indizi che Piton avesse conosciuto sua madre.

Il primo cassetto conteneva vecchi pezzi di pergamena pieni di piccoli schizzi di animali che Harry riconobbe essere quelli di Animali fantastici e dove trovarli. Harry era leggermente colpito; non si era mai immaginato che Piton avesse molto talento artistico. Il secondo cassetto era pieno di penne rotte, di vecchio inchiostro e di carta assorbente macchiata.

Nel terzo cassetto, trovò uno schizzo del parco in cui era finito la notte precedente. Alcuni alberi apparivano più giovani, ma si trattava senza dubbio dello stesso parco, e sullo stesso albero cavo si concentrava il disegno. In fondo alla schizzo si trovava una firma molto familiare e il titolo dello schizzo: la Casa di Lily.

Harry si sentì ribaltare lo stomaco e lasciò cadere il foglio sulla scrivania. Aveva un senso; Piton aveva conosciuto il padre e i Malandrini, e sua mamma aveva difeso Piton quando sua padre l'aveva preso di mira.

Si concentrò di nuovo sullo schizzo e notò quanto sforzo era stato messo nel disegno per renderlo il più realistico possibile. Era come se Piton fosse stato molte volte in quel nascondiglio nella sua giovinezza, come se avesse – un momento, era il nome di Piton quello che era stato intagliato sotto quello di sua madre? Il nome era stato grattato via con forza, ma Harry credeva di aver visto una S al suo inizio. E Piton era stato capace di trovare Harry la notte scorsa, anche se era ben nascosto nel parco. Forse c'era qualcosa che lo aveva avvertito che qualcuno si trovava nel piccolo nascondiglio.

Harry prese di nuovo il foglio e ricordò l'immagine dei genitori di Piton che discutevano in questa stessa casa. La cavità dell'albero era un nascondiglio. Harry ricordava abbastanza bene la definizione. Casa, un luogo d'origine o un rifugio.

Venne improvvisamente riportato alla realtà da un rumore al piano di sotto: il ruggito del fuoco che ardeva nel focolare della libreria. Ripose con attenzione lo schizzo tra le pagine del suo album di fotografie e lo infilò nello zaino. Poi prese lo zaino e si infilò le scarpe. Avanzò lentamente per le scale, trasalendo a causa degli scricchiolii del vecchio legno. Harry aveva riconosciuto la Polvere Volante all'interno di un vecchio sacchetto polveroso sopra il mantello, e quando Silente non stava guardando, aveva pianificato di volare verso il luogo dal quale stava chiamando. Harry sperava che la polvere funzionasse in quel modo, non aveva mai sentito di qualcuno che fosse saltato attraverso il fuoco durante una chiamata.

La porta per la libreria era parzialmente chiusa, così Harry attese fuori, cercando di trattenere il respiro il più possibile. Piton stava parlando con Silente e Harry si ritrovò improvvisamente incuriosito dal tema della conversazione.

 

 

“Ho fissato per te un appuntamento con Amy Benson per il prossimo martedì. Confido che tu abbia letto il suo profilo?”.

Piton sembrò sospettoso quando rispose, esitante. “Sì, certamente”.

“Si aspetta che tu la interroghi, e dall'esperienza passata so per certo che sarà riluttante a discutere quello che è successo tanto tempo fa. Sfortunatamente, non possiamo usare la magia attorno a lei”.

Silente stava sorseggiando la sua bibita ed era seduto sopra il divano, e i suoi vestiti color malva stonavano con il materiale dell'ampio sedile.

“A causa di un qualche tipo di incantesimo di monitoraggio?”. Piton aveva il suo caffè che si stava lentamente raffreddando.

“Ritengo di sì. Non sono sicuro di quanto spesso lo controlli, comunque, dal momento che sembra pensare che i suoi piani siano troppo grandiosi per essere svelati da altri”.

Piton guardò il suo mentore con un sopracciglio interrogativo. “Non ha idea che lei sia a conoscenza dell'incidente?”.

“È probabile che il suo subconscio sia consapevole di questa possibilità, tuttavia entrambi possiamo essere d'accordo sul fatto che Voldemort abbia smesso di ascoltarlo molti anni fa”. Silente offrì un sorriso e prese un altro sorso.

“Touché”, mormorò Piton, fissando il fuoco. Distrattamente prese a massaggiarsi il braccio sinistro. “Hai parlato con Amy Benson prima d'ora?”.

“Ah, sì. Oserei dire che fosse leggermente sorpresa per il mio aspetto e turbata di vedermi. Potrei offrire un suggerimento?”. Silente si sedette più in alto contro il divano e i suoi occhi scintillarono.

Piton incrociò lentamente le braccia: i suggerimenti del preside non si risolvevano mai in suo favore.

“Oggi la tua cucina sembra più luminosa, Severus. Ho sempre creduto che un po' di olio di gomito avrebbe riportato la casa ai tuoi standard”. Silente cambiò sensibilmente argomento, ma Piton era ormai esperto in questo, perciò attese semplicemente. Difatti, dopo che l'anziano uomo ebbe esaminato la cucina da dove era seduto, il suggerimento arrivò.

“La signora Benson è stata molto esitante nello scambiare qualunque tipo di informazione. Ha vari nipotini, e come ad alcuni babbani piace dire, la verità esce sempre dalla bocca degli ubriachi e dei bambini. Forse se ti portassi dietro un tuo bimbo...”.

“Assolutamente no”. L'occhiataccia che Piton aveva lanciato a Silente era una delle migliori fra quelle del suo repertorio, usata quando uno dei suoi colleghi Mangiamorte dava un suggerimento eccezionalmente stupido durante un incontro. Silente non sussultò nemmeno.

“Devi andare travestito da babbano, Severus, e considerando il suo ambente, sarebbe più facile per te conoscerla meglio se avessi un figlio di sei anni”. Gli occhi di Silente scintillarono completamente, ma Piton lo notò appena mentre afferrava con presa mortale la sua poltrona.

“Se è stato avvelenato, Preside, devo insistere perché mi informi immediatamente, così che io possa preparare un antidoto contro le allucinazioni di cui sta soffrendo”, disse Piton, imperturbabile, lanciando a Silente uno sguardo che diceva di lasciar subito perdere quella stupida idea.

Silente rise appena sotto i baffi e prese un'altra bibita. Piton combatté il desiderio di ringhiare.

“Parlando del ragazzo, sembra che i parenti del signor Potter abbiano preso una vacanza per un paio di giorni”. Piton era seduto dritto sulla sedia, attento alla reazione di Silente. Notò svogliatamente che anche se Silente era arrivato da dieci minuti, non aveva ancora chiesto niente di Harry.

“Davvero? Di solito Petunia lo lascia da Arabella quando vanno fuori”. Silente sembrava essere sovrappensiero. Piton accolse l'informazione, ma non chiese ulteriormente quale fosse il motivo di ciò.

“Questa volta Petunia l'ha lasciato senza una chiave per accedere alla casa, almeno fino a lunedì. Un malinteso, di sicuro”. Normalmente Piton teneva il suo sarcasmo sotto controllo quando parlava con il preside, ma oggi era un bel giorno e stava fluidamente rotolando fuori dalla sua lingua.

“Certo, solo un incidente. Ma ti ringrazio per averlo accolto per la notte, Severus. Sono sicuro che potrai riportarlo a Privet Drive lunedì sulla tua via per l'aeroporto”. Silente finì la sua bibita e sembrava che stesse per alzarsi.

“Preside? Non potrebbe andare alla Tana per il resto del fine settimana?”. Piton cercò di mantenere la calma, ma il suo fine settimana non era proprio iniziato con il piede giusto.

“Non ho tempo per i Dursley al momento, Severus. E i Weasley non possono prendere Harry ora”. Silente sembrava stanco.

“Grimmauld Place?”, chiese Piton, esalando un sospiro.

“Non c'è nessuno là. Prima o poi Harry potrà andare alla Tana, ma non ora. È troppo pericoloso per i Weasley”. Silente prese un biscotto al cioccolato da una delle sue tasche.

“Prendilo solo per il fine settimana, Severus. È una situazione temporanea, starà bene qui”.

Piton osservò il preside per un momento, guardandolo mentre controllava una sorta di lista che aveva tirato fuori dalla sua tasca. La sua rabbia si sgonfiò mentre rifletteva sui commenti del preside. Neanche il moccioso, che stava origliando dall'ingresso, poteva leggere quelle parole in qualche altro modo.

“Se continua a sbarazzarsi del ragazzo, un giorno non starà più al suo gioco”. Piton parlò piano, ma la sua voce si diffuse in tutta la stanza.

Fuori nell'ingresso, Harry sprofondò e si sedette sull'ultimo gradino delle scale. Sapeva che non avrebbe dovuto origliare, era infatti probabile che sentisse qualcosa che non avrebbe voluto sentire. E anche se non voleva, provò la bizzarra sensazione di chiusura dolorosa nell'origliare il preside mentre cercava di trascinarlo da una parte all'altra come se fosse un pezzo degli scacchi. Sembrava che nonostante Silente sapesse che Piton e la sua famiglia lo odiavano, Harry fosse comunque costretto a restare con loro.

Come un peso.

“Nessuno mi vuole”, sussurrò Harry a se stesso. In qualche modo si sentì un po' più libero, sebbene più solo, dopo averlo ammesso a se stesso. Ora sapeva che posto occupava per i suoi amici e il preside. Gli volevano bene, ma era troppo pericoloso averlo attorno. Il Bambino che è Sopravvissuto non poteva negarlo. E Piton...Piton non aveva mai nascosto il suo disprezzo.

Piton udì uno scricchiolio rivelatore proveniente dall'angolo della stanza vicino alla porta e immaginò che fosse giunto il momento di far entrare il ragazzo. Si sedette sulla sua sedia e con la bacchetta aprì la porta delle scale. “Potter! Entra!”.

Harry entrò con un rossore sul viso, rimanendo vicino alla finestra della cucina. Salutò educatamente il preside, ma si rifiutò di alzare lo sguardo.

“Signor Potter, ti dispiacerebbe informare il preside della tua piccola avventura della scorsa notte?”, Piton sembrava arrabbiato, ma per una volta Harry non era sicuro che la rabbia fosse diretta esclusivamente a lui.

“Professor Silente”, salutò Harry, osservando Piton cautamente. Il suo zaino si trovava proprio davanti alla porta, e Harry capì che non sarebbe stato capace di saltare nel caminetto, visto che in realtà il preside era entrato e si era seduto nella stanza. In ogni caso non voleva più andarsene. Voleva solo salire al piano di sopra, nella stanza che non era sua, e rifugiarsi nelle coperte che non erano ugualmente sue.

“Buon pomeriggio, Harry!”. Il preside sembrava allegro, ma Harry vide fatica negli anziani occhi blu. “Professor Piton mi dice che hai deciso di passare un fine settimana fuori?”. Stava sorridendo felicemente, come se cercasse di convincere Harry che tutto andava bene.

“Si potrebbe dire così, signore”, replicò Harry in un tono uniforme, ignorando lo sbuffo di Piton.

“E i Dursley sapevano che stavi venendo qui, Harry?”. Silente appoggiò il bicchiere sul tavolo e Piton lo allontanò nella cucina.

“Non nella casa del professor Piton, no. Ma zia Petunia mi ha dato il permesso di passare il fine settimana fuori”. Harry spostò leggermente i piedi. Non era proprio una bugia.

“Immagino che sarebbe sorpresa se le dicessi che sei venuto qui”. Silente gli fece l'occhiolino.

“Meno di quanto lo fossi io”, borbottò Harry.

“Potter”. Era una parola di avvertimento; Harry diede un'occhiata all'uomo e notò quanto il maestro di pozioni fosse irritato con lui in quel momento. Non così male, Harry aveva senza dubbio visto di peggio.

“Comunque professore, sono solo un po' confuso. Professor Piton è stato molto gentile ad ospitarmi per la notte. Tornerò a casa questa sera”.

Se Silente non sembrava sospettoso del tono disponibile di Harry, Piton al contrario lo era eccome. I suoi occhi neri rimasero puntati su Harry, mentre guardava le dita del ragazzo sbattere leggermente sul lato dei suoi jeans.

Piton sapeva che stava mentendo su qualcosa, e Harry sperava solo che non dicesse niente. Preferiva non dover discutere i suoi sentimenti con Silente; l'uomo l'aveva fatto patire tanto l'ultimo anno, si era anche allontanato da Harry e l'aveva lasciato a cavarsela da solo. Era riluttante a fidarsi improvvisamente di Silente di nuovo, anche dopo la loro conversazione devastante nell'ufficio del preside.

“Come il professor Silente ha detto, Potter, e sono sicuro che l'hai sentito attraverso la porta, tornerai lunedì”. Le parole erano state pronunciate con tono uniforme, ma Harry sentì anche quelle non dette. Piton non l'avrebbe fatto tornare a casa da solo. Indipendentemente dal suo odio per Harry, Piton avrebbe fatto quello che Silente aveva ordinato.

Ancora una volta, qualcuno era stato costretto ad accoglierlo. Guardando tra Silente e Piton, Harry infine annuì.

“Sì, signore”.

Silente batté le mani e si alzò per dirigersi verso il caminetto.

“Mi fa piacere sentire che sei in accordo. Se hai qualche problema dai Dursley, Severus, potresti considerare l'altra opzione”.

“Che tipo di problema?”, chiese Piton, guardando fra Harry e Silente: Harry sembrava imbarazzato, Silente ignorò la domanda.

“Non ti sei dimenticato di come fosse Petunia, non è vero, Severus?”, Silente sorrise e Harry lo guardò cautamente.

“Non ho dimenticato, e non c'è nessun'altra opzione”. Piton si alzò, raccolse il sacchetto di Polvere Volante dal mantello e lo porse a Silente.

“Meglio così, ragazzo mio. Porterò la pozione domenica, quando chiamerò di nuovo”, disse Silente, stringendo un po' della Polvere. Gli occhi di Harry scattarono verso l'alto, mai in tutta la sua vita avrebbe immaginato qualcuno chiamare Piton 'ragazzo mio'.

“Non è necessario, preside. Non servirà!” disse Piton veementemente, e Harry pensò che la pozione dovesse essere qualcosa riguardante il bimbo per il compito di Piton.

Silente sorrise appena e lanciò un po' di polvere dentro il caminetto. Harry poteva ancora vedere un pizzico di divertimento negli occhi dell'anziano uomo mentre quest'ultimo entrava nel camino. Nel frattempo, Piton si era straordinariamente irrigidito e Harry pensò che nemmeno lui era mai riuscito a causare una tale reazione nell'uomo.

“Mi limiterò a...”, iniziò Harry, ma chiuse la bocca di scatto davanti all'occhiata che ricevette.

“La cena sarà alle cinque. Rimani nella tua stanza fino ad allora”. Piton uscì infuriato dalla libreria, sbattendo la porta dietro di lui.

Harry si riempì un altro bicchiere d'acqua dalla cucina, grato di poter salire al piano di sopra e di potersi riposare. Mentre camminava attraverso la libreria diretto alle scale, sorrise al lapsus di Piton. Doveva andare nella sua stanza.

L'uomo doveva essere matto.

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