L' ultimo segreto

di Redferne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il sole si stava accingendo a sorgere, all'orizzonte.

Ancora non lo si riusciva a vedere. Per lo meno dall'interno della spessa, alta e solida cinta muraria che racchiudeva e proteggeva il gigantesco castello.

Ma ben presto, là dove un'altra notte in procinto di terminare stava già iniziando a cedere il passo alle rosee striature delle dita dell'ormai incombente aurora...proprio là una sottile linea composta dal bianco più puro, luminoso ed accecante avrebbe fatto la sua comparsa tra poco.

Là, proprio là, in fondo.

Là dove cielo e terra sembravano unirsi in perpetua comunione, fondendosi ed abbracciandosi per diventare tutt'uno come due amanti nel bel mezzo dell'atto più intimo.

Proprio là il sole avrebbe segnato l'inizio del nuovo giorno. E delle consuete attività per chi aveva il privilegio di risiedere e vivere dentro a quel posto.

Allenamenti, allenamenti ed ancora allenamenti.

Battaglie su battaglie, in vista delle battaglie future.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Calmo, leggero ed immutabile come il cielo.

Saldo, solido e stabile come la terra.

Cielo e terra, in un unico essere.

Il tutto.

Stava immobile nell'ampio piazzale, il cui pavimento era composto da una serie di piastrelle rettangolari di marmo perfettamente e finemente lavorate e cesellate.

Si trovava in posizione eretta, con le gambe leggermente divaricate e le braccia stese lungo i fianchi snelli. I pugni ben chiusi e lievemente contratti.

Stava compiendo dei lunghi e profondi respiri, dal ritmo uniforme e regolare. Il suo torace stava seguendo l'andatura ad onda del diaframma, alzandosi ed abbassandosi ad ogni esalazione.

Quello costituiva l'unico segnale di vita proveniente dal suo corpo, in quel momento. Senza di esso lo si sarebbe potuto tranquillamente scambiare per una delle tante statue in atteggiamento marziale e guerresco che adornavano l'ampio cortile in cui si trovava. E con cui condivideva l'armoniosità delle forme e della struttura fisica.

Era a torso nudo. E la muscolatura in evidenza era perfettamente tonica e scolpita.

I pettorali, l'addome, i dorsali, le spalle ed infine le braccia, passando per la coppia di muscoli antagonisti fino a quelli interossei della mano...erano tutti quanti ben definiti e delineati.

Il suo era proprio il corpo virile e vigoroso di un giovane nel fiore dei suoi anni. All'apice e nel pieno del suo sviluppo.

Aveva gli occhi bene aperti, e l'espressione serena e distaccata. Tuttavia...vi si poteva notare un non so che di grave e di severo, nel suo sguardo. Un'impressione che veniva notevolmente accentuata dalla profonda ruga che gli solcava la fronte, proprio nel mezzo.

La pelle rosea era appena imperlata di sudore. Doveva aver fatto alcuni brevi esercizi preparatori e di riscaldamento. Un brivido la percorse, causato dal contatto con l'aria fresca e frizzante.

Sembrava fosse in attesa di qualcosa.

D'un tratto, all'improvviso, una linea dorata apparve sul bordo superiore della cinta muraria. Da essa si irradiò un tenue filo di luce che lo raggiunse e lo colpì in pieno volto.

Socchiuse leggermente gli occhi. Era il segnale che attendeva.

Divaricò ulteriormente le gambe, fino a portare i piedi all'altezza delle proprie spalle. Poi piegò entrambe le braccia ad angolo retto, con i gomiti piazzati a protezione delle ultime file di costole ed i pugni tenuti sempre ben chiusi e stretti, le palme rivolte verso l'alto. Erano talmente serrati che la pelle delle dita era diventata color dell'avorio.

Emise un suono gutturale e cavernoso, dal fondo della gola.

“Hhmmmm....”

A quel punto partì.

Iniziò con una manovra di blocco, alzando l'avambraccio sinistro mentre quello opposto se ne rimase dov'era, tenendo la posizione e rimanendo più che pronto a colpire. Era come se avesse intercettato e stroncato un attacco sferrato alla sua testa. Ad una delle tempie.

Rispose quindi con un diretto destro ad altezza petto, roteando il polso in senso antiorario. Il pugno tagliò e fendette l'aria con un suono secco. Bloccò l'arto giusto un istante prima di fargli raggiungere la massima estensione di cui potesse disporre. Per effetto dell'arresto un paio di gocce di sudore, perfettamente sferiche, gli schizzarono via dalle nocche delle prime due dita come proiettili.

Riportò quindi l'arto alla postazione originaria, ripiegandolo su sé stesso, mentre con l'altro braccio sferrava un un attacco con il bordo esterno della mano, posizionata a taglio, e mirando al pomo di Adamo di un avversario che solo lui riusciva a vedere.

E' il fondamento base, il cardine portante su cui poggiano tutte le tecniche di offesa che si basano sui colpi.

Funziona tutto tramite il principio scientifico delle leve contrapposte.

Il braccio tenuto in guardia deve muoversi nella direzione contraria di quello che viene impiegato per attaccare. E quando si sferra un calcio, il braccio che corrisponde alla gamba deve leggermente allontanarsi verso l'esterno e verso il basso a seconda di quanto in alto la si debba portare, effettuando al contempo il tragitto opposto.

In ogni attacco vi é, vi deve essere una difesa implicita, e viceversa.

Il piede avanzato pigia all'ingiù e in avanti, mentre quello dietro va sollevato fin sulle punte.

Il busto rotea in senso antiorario seguendo e accompagnando la mossa che si vuole eseguire, come il frantoio di un gigantesco mulino le cui pale vengono azionate ed alimentate dal soffiare del vento. O dallo scorrere dell'acqua di un torrente adiacente, nel caso formassero una ruota costruita su uno dei muri laterali.

Si concentra tutto il peso, sommato allo slancio, dell'intero corpo e dell'intero colpo in un punto piccolissimo. Quasi microscopico. Paragonabile ad una capocchia di spillo, o poco più. E non mancando di mirare due metri ed oltre il bersaglio, come a volerlo sfondare da parte a parte.

Come a volerci passare attraverso.

In questo modo si ottimizzano sia la velocità che la forza. E quando si riesce a realizzare la loro perfetta fusione e sintesi...si può ottenere la massima potenza distruttiva.

KIME.

La sensazione che trasmette una corretta esecuzione é quella di un'energia che sale dal terreno, dal cuore del pianeta e che avvolge, come una spirale che sale e sale lentamente. Dal suo e dal nostro centro e poi più su, sempre più su, sempre di più...e che ci attraversa da capo a piedi fino a propagarsi oltre noi, oltre il nostro pugno, oltre il punto d'impatto e persino oltre lo sfidante, estendendosi per miglia e miglia in avanti. Fino a i confini della Terra. Fino ai confini estremi dell'universo.

Si ha come l'impressione di poter percepire qualcosa di ENORME, a dir poco. Se si riesce a provarla, fosse anche solo per pochi istanti...é indice di un buon lavoro.

Ma bisogna provare a farlo aumentare, quell'intervallo. Fino a farlo diventare qualcosa di PERMANENTE. Tramite la pratica continua ed assidua.

Ed era proprio quel che stava cercando di fare.

Colpo di gomito circolare, a traiettoria discendente ed obliqua.

E successivamente un affondo all'indietro, sempre con lo stesso gomito. Con il palmo dell'altra mano a spingere contro il pugno chiuso, come a voler affondare la punta di una lama o di uno stiletto acuminati.

Poi una serie di diretti di destro e di sinistro, ad angolazione ed altezza variabili. Ripetuti e concatenati.

Colpo di taglio verso l'interno e verso il basso.

Ginocchiata verso l'alto.

Calcio frontale di sinistro, dopo aver piegato e raccolto la gamba all'altezza del busto. E quindi calcio circolare alto con l'arto opposto, dopo aver poggiato il piede a terra ed effettuato un mezzo passo in avanti ed in diagonale.

Calcio ad ascia sollevando il proprio tallone fin sopra la testa, per poi abbatterlo di slancio e di schianto su quella dell'avversario effettuando uno scatto secco.

Quando si effettuano le tecniche di gamba con traiettoria a semicerchio prima di scagliarla occorre sollevarla direttamente da terra, senza doverla caricare. In tal modo non si spezza l'esecuzione e non se ne disperde l'efficacia, rispettando la corretta catena cinetica del movimento.

Era uno spettacolo davvero impressionante, da vedere. Si girava in ogni direzione, colpendo per ogni dove. Come se stesse fronteggiando un nugolo di contendenti a dir poco sterminato, in contemporanea.

Un assassino perfettamente addestrato potrebbe tenere testa a dieci nemici tutti in una volta. Ma lui poteva, doveva essere in grado di tenere tranquillamente testa A MIGLIAIA TUTTI INSIEME.

Era in grado di sbaragliare UN INTERO ESERCITO, se occorreva.

Un sicario poteva muoversi facilmente e a dare il proprio meglio, col favore dell'ombra. Lui, con l'aiuto delle tenebre, riusciva a diventare COME IL BUIO STESSO. Totalmente IMPALPABILE ed INVISIBILE. Come un fantasma che si aggira nelle notti di pallido plenilunio tra i resti di un antico palazzo ormai in rovina. Un occupante che voleva rimembrarne i vecchi fasti con la sua insistente presenza, forse.

Diventava sempre più veloce e preciso col passare dei secondi e ad ogni esecuzione, accompagnando ogni colpo con un'espirazione decisa.

“Fuhn! Fuhn! Fuuuhhnn!!”

Rimase quindi in equilibrio su di una sola gamba, esibendosi in una sequenza di ripetuti e velocissimi calci laterali con l'altra. Talmente veloci da risultare quasi impercettibili agli occhi.

Mutò voce, eseguendo una sorta di nota dal tono acuto e squillante, simile al verso o al canto di qualche raro uccello esotico. Di quelli che esistevano prima del cataclisma.

“AATAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAAAHH!!”

Il volume del suo strillo aumentava sempre più, facendosi limpido e cristallino.

Un' esibizione da manuale.

 

HOKUTO SHIN – KEN JU – HA ZAN.

 

Aveva appena eseguito il SACRO COLPO DELLO SFONDAMENTO MORBIDO DI HOKUTO.

Dello stile SHIN – KEN , ad essere precisi.

La Divina Arte di Hokuto. L'arte mortale dei sette astri che compongono la costellazione dell' Orsa Maggiore.

Una disciplina marziale che vantava ben duemila anni di storia e di tradizione alle spalle. Creata con un unico obiettivo. Tra le poche, esistenti al mondo, ideate specificatamente per quel tipo di scopo.

Quello di UCCIDERE.

Quello ne costituiva l'intento finale per cui era stata pensata, progettata e perfezionata nel corso dei secoli.

Una tecnica omicida, il cui fine era la distruzione del corpo dell'avversario. Un processo che partiva ed avveniva al suo interno, concentrando ed incanalando il proprio spirito combattivo in appositi punti vitali posti in corrispondenza ed in prossimità degli organi e dei centri nevralgici più importanti, e denominati TSUBO o PUNTI DI PRESSIONE. Per ottenerne il controllo. Oppure per liberarla da lì verso l'esterno, con conseguenze devastanti.

La tecnica che aveva eseguito, per giunta a regola d'arte, consentiva di ridurre in pezzi qualunque tipo di corazza o di protezione, in modo da lasciare chiunque la indossasse completamente esposto ed inerme. Era il colpo ideale da utilizzare contro nemici piuttosto bardati, o che disponessero di un corpo piuttosto coriaceo, con i punti di pressione situati in profondità e difficilmente raggiungibili. Tramite quella sequenza di calci micidiali si iniziava a martoriare una sua precisa zona o parte, fino a renderla estremamente molle e macilenta. Oppure la si riduceva a brandelli, nel caso di uniformi o armature particolarmente spesse e resistenti. Era possibile danneggiare e mandare in frantumi persino il cemento, la roccia o addirittura l'acciaio con quel tipo di colpo, qualora si decidesse di utilizzarlo su di un'ampia superficie inorganica per scavarsi una breccia o una via di fuga.

Ben fatto. Davvero ben fatto. Ma non era il caso di farsi troppi complimenti per conto proprio. Inoltre...la tecnica non era ancora conclusa. Mancava ancora un passaggio.

Abbassò la gamba tenuta sospesa fino a quel momento a mezz'aria e, non appena il piede toccò terra, scivolo lievemente in avanti e sferrò un diretto basso con il braccio arretrato, mentre l'altro correva immediatamente a proteggere il corpo ed il viso.

“ATAH!!”

La corretta esecuzione di quel colpo, specialmente se eseguita su di un avversario umano e vivente, prevedeva che una volta terminata la sequela di calci si sferrasse un colpo di pugno risolutore. Mirando agli tsubo ormai completamente scoperti e resi vulnerabili.

Rimase fermo in quella posizione, assumendo una posa plastica. E intanto, ne immaginò mentalmente gli effetti.

Aveva appena affondato il suo braccio nell'addome del contendente, passando attraverso le pareti del suo intestino tenue e raggiungendo in pieno uno dei punti di pressione segreti che vi si trovavano annidati lì nel mezzo.

Era piuttosto facile intuire cosa sarebbe accaduto di lì a poco, se l'avversario fosse stato reale.

Gli tsubo del torso era quelli più devastanti, e dal maggior impatto distruttivo.

Nel giro di una manciata di secondi il suo ventre sarebbe esploso, schizzando e riversando i visceri sul pavimento ed in ogni direzione, e riducendo il resto ad un ammasso di carne sanguinolenta.

Rimise entrambe le braccia lungo i fianchi e si ricompose, rimettendo entrambi i piedi all'altezza delle spalle.

Si rilassò, compiendo una lunga espirazione.

“Fuuuhhh...”

L'esercitazione era finita. Almeno per quel momento.

Poteva concedersi una breve pausa.

D'un tratto sentì chiamare il proprio nome. Si voltò in direzione della voce.

Eseguì un nuovo sospiro, ma questa volta di evidente sollievo.

Aveva terminato giusto in tempo.

Meno male.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti!!

E' la mia prima volta, da queste parti.

Solitamente opero in un altro fandom. Ma alle volte, come é già accaduto in passato...non disdegno qualche escursione in altre sezioni. Specie se riesco a buttare giù una storia che ritengo degna di venire pubblicata e raccontata.

Questa la tenevo nel cassetto da mesi. E, a dirla tutta...sono molto curioso di vedere cosa ne verrà fuori.

Perché qui stiamo parlando di un'opera che ha letteralmente MARCHIATO A FUOCO LA MIA INFANZIA.

Per il sottoscritto Ken, ai temi della sua prima messa in onda, ha rappresentato un 'autentica RIVOLUZIONE.

Non esagero nell'affermare che prima del suo arrivo sui teleschermi...NON SI ERA MAI VISTO ASSOLUTAMENTE NULLA DEL GENERE.

Noi piccoli telespettatori eravamo già abituati alla violenza, per carità.

Ci eravmo fatti le ossa con L' UOMO TIGRE e i cartoni a base di robottoni.

Ma con Ken...era DIVERSO.

Era un tipo di violenza NUOVA.

CRUDA. REALISTICA. Con gente che FINIVA UCCISA SUL SERIO.

E con il SANGUE.

Già. IL SANGUE.

Ma in Ken non c'era solo quello. C'erano anche la lealtà, lo spirito di sacrificio, l'amicizia, il coraggio e l'eroismo. E personaggi e situazioni epiche A PACCHI.

Non esagero nel dire che Ken, Raoul, Toki, Rei, Shu, Fudo e compagnai bella...MI HANNO DAVVERO INSEGNATO QUALCOSA.

Bene, per ora é tutto. Spero vi piaccia.

Se ci riesco, salvo intoppi...pubblicherò con cadenza più o meno mensile.

Alla prossima, e...

 

See ya!!

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La giornata stava per giungere al tramonto. Le prime stelle stavano iniziando a far capolino nella parte più blu della volta celeste. Quella che sta per sopraggiungere e che guadagna sempre più spazio col passare dei minuti, incurante degli ultimi strati dalle tonalità e dalle sfumature accese del rosso, del giallo e dell'arancio che proprio sembra non ne vogliano sapere, di cedere il passo.

YUGURE, il crepuscolo. Così veniva chiamata quella fase particolare.

Oppure TASOGARE – DOKI, se proprio si aveva l'intenzione di considerarne tutti gli aspetti e le derivazioni. Comprese quelle di stampo più religioso, spirituale ed animistico. Soprattutto quelle.

Il crepuscolo. Il momento della sera o della mattina in cui non é più giorno ma nemmeno ancora notte. Oppure l'esatto contrario. Il momento in cui il mondo così come lo conosciamo pare dissolversi, anche solo per un breve attimo. Ed il momento in cui si può incontrare qualcosa di non propriamente umano.

E' un solo attimo, e come un solo attimo dura. Almeno per noi. Per altri...si può dilatare fino a poter durare anche all'infinito. E' l'attimo in cui due o più mondi si possono incrociare o sovrapporre, poiché i confini che li delimitavano scompaiono. Il momento in cui, se si ha la fortuna o la disgrazia di trovarsi nel posto giusto al momento giusto o nel posto sbagliato al momento sbagliato, si può passare da un piano all'altro.

Il crepuscolo. L'ora in cui gli spiriti possono vagare fianco a fianco con gli uomini, anche se questi ultimi non sempre possono vederli. Oppure possono, a patto di possedere la giusta predisposizione mentale e correttezza d'animo.

Ma ammettere ed accettare la loro presenza ed esistenza é già una buona cosa. Un buon punto di partenza. Perché se si vuole iniziare a superare i limiti imposti dalla propria condizione di mortali...un saggio inizio é rappresentato dal fatto di comprendere che esistono cose che i nostri occhi non sono in grado di vedere o scorgere.

L'interno del tempio era immerso nella semioscurità. L'unica fonte di luce era costituita dal crepitare di una grossa fiamma sprigionata da un ampio braciere di forma circolare, i cui riflessi sembravano far tremolare le colonne poste lungo i lati ed adibite a sorreggere la vetusta struttura. Il braciere in questione si trovava sopra ed al centro di una sorta di piano rialzato, raggiungibile mediante una triplice fila di scalini.

Un intenso odore di resina di pino mescolata con incenso impregnava l'intera zona, fino alla più piccola fenditura e crepa di ogni mattone del pavimento e piastrella delle pareti. Una fragranza accompagnata a braccetto dall'intenso crepitare della legna da ardere che doveva contenere ampie tracce di entrambe le odorose sostanze.

A prima vista ricordava una di quelle are o di quegli altari che, in tempi remoti, venivano impiegati dai sacerdoti o dagli sciamani per il loro riti propiziatori. Oppure per i sacrifici, talvolta anche umani. Per ingraziarsi gli Dei, e sperare così di ottenere i loro favori. Dei a cui, di sicuro, dovevano appartenere le due figure che si trovavano ai lati del focolare. Ed anch'esse soggette al suo curioso effetto, al punto di sembrare vive ed animate.

Erano due statue, alte fin quasi al soffitto. E raffiguravano i due numi tutelari della lotta, che da sempre proteggevano il casato che li ospitava. E l'arte che gelosamente custodiva.

AH e UHM. Le due divinità guardiane che simboleggiavano le due fasi del combattimento e i due possibili approcci all'esistenza. Rappresentavano sia la battaglia che la vita, e parevano suggerire i due unici quanto corretti modi per proporsi ed affacciarsi ad entrambe. Gli unici validi.

Le due parti di un tutto. Yin e Yang, bianco e nero, luce e tenebre, uomo e donna, bene e male.

Erano entrambi in posizione ed assetto marziali, con le gambe leggermente piegate e all'altezza delle spalle e le braccia spalancate, come in procinto di sferrare un attacco. Il loro braccio arretrato era caricato oltre la spalla corrispondente, contratta nello sforzo di sorreggerlo, e dietro il capo. Sembravano davvero sul punto di scagliare un attacco. Furioso quanto portentoso e possente.

Lo sguardo di ambedue era severo e concentrato, ed il cipiglio feroce. Le sole cose che li differenziavano erano minime, ma sostanziali.

L'atteggiamento. Il modo in cui tenevano le mani, aperte a mostrare i palmi in uno e chiuse a pugno nell'altro. Quest'ultimo aveva la bocca chiusa, con le labbra e le gote enfiate fin quasi sul punto di scoppiare, da un istante all'altro. Quello che si sarebbe potuto definire senza alcuna paura od eventuale timor di dubbio come il suo perfetto quanto identico gemello ed opposto, invece, aveva la bocca spalancata come a voler emettere un grido. Un urlo spaventoso e terrificante, che avrebbe di sicuro potuto mettere in fuga chiunque vi si sarebbe trovato di fronte o avesse potuto anche solo udirlo. Che si trattasse di un sol uomo oppure di un intero reparto o guarnigione.

Il primo reprimeva, il secondo esprimeva.

Repressione ed espressione. Gli unici due modi esistenti e conosciuti dall'universo intero di impiegare l'energia che lo permea e che avvolge al contempo ogni singolo elemento e particella che lo compone, come una membrana trasparente ed invisibile. Ma reale, solida, concreta.

Gli unici due modi di cui dispone, dall'alba dei tempi. Insiti nella sua natura quanto l'energia stessa che produce e che lo alimenta, tenendolo in vita e facendolo muovere e vibrare.

Rivolgerla verso sé stessi per accoglierla, accettandola. Oppure respingerla e rivolgerla verso gli altri, rifiutandola. Queste erano le due uniche scelte disponibili, da sempre.

Yin e Yang. Le due polarità contrapposte in perenne conflitto. Ma che non possono fare a meno l'uno dell'altra. Poiché é grazie proprio alla loro battaglia che ha origine il tutto.

Se uno dei due dovesse morire o scomparire, anche l'altro finirebbe col seguirlo subito dopo, e condividerne la stessa sorte. E proprio per tale motivo si fondono, si annullano e poi rinascono all'interno, nel grembo del proprio contendente e metà, inglobandosi e rigenerandosi in una continua, incessante e frenetica danza di vita, morte e rinascita. Il ballo che crea e mantiene ogni cosa. Ogni cosa che esiste e che si conosce. Ma anche quel che non si conosce, e che quindi non dovrebbe esistere. Ma che però C' E'.

Al mondo esistono anche cose che un essere teoricamente perfetto e dalle potenzialità enormi quanto infinite come l'uomo, che in virtù di esse rappresenta il massimo grado di evoluzione delle specie presenti sulla terra in quanto può coniugare sia l'istinto che la ragione fino a realizzarne una perfetta sintesi, non é in grado di comprendere o capire.

Ed é proprio per questo, per tale motivo, che é stata ideata la Divina Arte di Hokuto.

Ed é sempre per lo stesso motivo che essa può essere insegnata e tramandata ad un solo individuo per ogni generazione. Un individuo che deve fare sfoggio, oltre che di abilità assolutamente uniche ed eccezionali, anche delle giuste doti di rettitudine e della più assoluta correttezza ed integrità dal punto di vista morale.

La Divina Arte di Hokuto, in mani sbagliate, può tramutarsi in un'arma micidiale in grado di causare e di arrecare danni a dir poco enormi. Ma se utilizzata nella giusta maniera, essa si tramuta in un mezzo che il successore nonché depositario impiega per condurre i propri simili e l'intero genere umano alla salvezza.

Perché gli anni, i secoli e le ere passano, e tutto scorre e cambia.

Ma come esiste una cosa, deve esistere il suo perfetto opposto. Per completarla.

Come esistono il lago o il fiume dall'acqua corrente, limpida e pulita, esistono anche l'acquitrino o la pozzanghera dall'acqua ferma, stagnante e putrida.

Tutto scorre e cambia. Ma esiste anche una cosa che non cambia mai, proprio per via della sua natura immobile.

IL MALE.

Il male non muore mai. Altrimenti non potrebbe esistere nemmeno il bene.

Hokuto rappresenta la parte oscura del mondo, così come Nanto ne é la parte chiara. Nel caso del divino pugno della stella del Sud, chiunque può attingere senza paura o timore in quella luce. Ed é proprio per questo motivo che quell'arte ha finito col suddividersi e frazionarsi in innumerevoli scuole e discipline diverse. Dove ognuna di esse ha preferito specializzarsi in poche, specifiche tecniche.

Per contro il bagaglio, l'eredità del divino pugno della stella del Nord é qualcosa di incommensurabile, di immenso. E solo un prescelto alla volta può affondare entrambe le mani in tutto quel buio denso come la pece. Per brandire la sacra spada con cui scacciarlo ed annientarlo.

Un'altra cosa in cui di i due colossi di pietra sembravano accomunarsi erano i loro occhi. Tutti e quattro puntati sulla solenne figura posta al centro della stanza.

Il vecchio monaco sedeva con le ginocchia incrociate nella tipica posizione del fiore di loto, in contemplazione. Le sue braccia poggiavano sull'interno delle cosce e le mani erano giunte, con le dita intrecciate le une nelle altre. La loro posizione ricordava una di quelle utilizzate dagli sciamani e dai sensitivi durante le loro invocazioni. Ed erano situate all'altezza dell'ombelico. Un paio di dita più sotto, in verità.

In corrispondenza di un punto ben preciso dell' HARA, il ventre. Il punto dove si trova e risiede l'origine di tutte le energie spirituali di un individuo. Ed il punto dove esse si concentrano e confluiscono, per poi espandersi fino ad abbracciare l'intero cosmo.

Il punto che mette in comunione l'uno, il singolo, con il tutto. Con l'intero creato.

Il TAN – TIEN.

Nonostante i suoi occhi fossero aperti e ben spalancati al pari di quelli delle due gigantesche statue, ne condividevano una pari vacuità ed immobilità.

Il suo sguardo stava andando praticamente alla deriva. Non si stava focalizzando su nulla in particolare, eppure osservava tutto. Osservava ogni cosa senza lasciarsi sfuggire nulla, nemmeno il più piccolo ed insignificante dettaglio. Perché sono proprio le cose che un essere umano definisce insignificanti e prive di valore a costituire la realtà. La SUA realtà.

Poter essere in grado di vedere ovunque senza fissarsi su niente. Questo é il vero atto del GUARDARE.

Lo stesso stava facendo con i suoi pensieri. Li lasciava avvicinare quel tanto che bastava loro per giungere fino alla soglia della sua attenzione, per poi lasciarli fluire ed allontanare. Li stava trattando alla stregua di tante bolle d'aria, piccole e grandi, che risalivano alla superficie dal fondale di un torrente dopo aver rimosso e smottato una grossa pietra che vi era adagiata da anni. Da secoli, forse.

Perché quello erano, e nulla più. Nient'altro che bolle, nonostante alcune fossero a dir poco enormi.

Molte gocce d'acqua tutte insieme finiscono col formare e potare la pioggia. E il cielo viene perennemente solcato da nubi che vano e che vengono. Cumuli, nembi, cirri e strati.

Ma la pioggia non é nemmeno una di quelle gocce d'acqua che la formano e la compongono. Così come il cielo non é nessuna di quelle nubi. Per il semplice fatto che si trova AL DI SOPRA delle nubi. Il suo azzurro rimane immutato.

Il cielo é al di sopra. Al di sopra di tutto. Sempre uguale.

Per la mente é lo stesso. Mille e mille pensieri si affacciano, in continuazione. Senza sosta alcuna. Alcuni belli, alcuni brutti. Altri divertenti, altri tristi. Altri ancora piacevoli, altri ancora sgradevoli, e così via. E poi immagini, suoni, colori, odori, ricordi. Ma la mente non é nessuno di essi.

La mente, il cielo e la pioggia non sono nemmeno uno dei suoi pensieri.

Li stava scrutando uno ad uno, uno alla volta mentre passavano, con estrema calma ed attenzione. Scartando quelli che non riteneva degni del suo interesse, ed in ogni caso senza lasciarsi minimamente sfiorare o coinvolgere, da nessuno di essi. Né dal contenuto, e nemmeno da ciò di cui trattavano o si occupavano. Li faceva entrare nella sua dimora e gliela faceva attraversare per intero, per poi rimetterli alla porta dal versante opposto della propria magione.

WU – WEI. Il non opporsi. Il non interferire. Il lasciar fluire.

Consisteva nel far tornare l'uomo alla sua funzione primaria. Quella per cui era stato creato, sin dal principio. La sola che lo differenziava dalle piante, dagli animali e da qualunque altro essere vivente. E quella di cui aveva finito col dimenticarsi dal momento in cui aveva deciso di rimanere invischiato nelle faccende del mondo.

Quella di essere un semplice osservatore. Un puro e semplice osservatore, e basta.

Non c'entrava nulla l'intelletto. E neanche la fede. Era soltanto la capacità di osservare e contemplare sé stessi. L'opportunità che l'universo, che Dio aveva concesso all'uomo per guardarsi, e per auto – guardarsi tramite esso.

Sia dentro, sia fuori. Con l'essere umano che, mediante la sua coscienza e la sua consapevolezza, si tramutava nella soglia, nel punto di contatto ed insieme di separazione tra questi due emisferi.

Dentro e fuori. Yin e Yang, di nuovo.

E di nuovo un pensiero si affacciò su quella soglia. O, meglio, si riaffacciò. Fece ritorno.

Perché gli invitati e gli ospiti sanno e possono essere piuttosto ostinati ed invadenti, alle volte. E continuare a ripresentarsi anche dopo che li é si é fatti allontanare, invitandoli a cambiare aria. Più e più volte.

Ma tutto ciò non deve certo confondere, o disorientare. Non bisogna mai cambiare atteggiamento, o abitudini, poiché ciò equivarrebbe a cedere. Equivarrebbe a farsi condizionare, dominare da quel pensiero. A riconoscere la sua gravità, e a dargli importanza. Ed energia.

Occorre continuare a fare ciò che si é fatto in precedenza, fino a quel momento. Li si fa entrare, li si conduce per le stanze e poi li si fa uscire. Ancora e poi ancora. Tutte le volte che occorreranno. Tutte le volte che sarà necessario. Con solerzia, fermezza, pazienza e perseveranza. Fino a che l'ospite gradito deciderà di non ripresentarsi mai più.

Nient'altro. Puro e semplice.

Devono essere i pensieri a stancarsi per primi, non colui che li sta pensando.

Ma quel pensiero che era tornato a bussare alla sua porta era da tutto il giorno che vagava senza quiete né pace nel vuoto. Nel suo vuoto meditativo, cercando disperatamente di segnalare ed i reclamare la sua presenza.

Ogni pretesto era buono. E questa volta scelse come appiglio una considerazione che non era né bella né brutta. Né divertente, né triste. Né piacevole, né sgradevole. Solo sciocca.

Si. Una considerazione stupida. Persino frivola, si sarebbe potuto affermare senza ombra di dubbio alcuno.

Una considerazione che riguardava i suoi vestiti. Il suo attuale abbigliamento.

Indossava un saio color dell'ambra, egualmente ripartito in due tonalità. Una più chiara ed una più scura. La parte più interna del tessuto, per la precisione quella che provvedeva ad avvolgere la zona attorno al suo collo, era invece bianca.

Bianca come il latte. O come le nuvole. O come la spuma ribollente delle onde del mare.

Intorno ad essa vi era un monile che ricordava un enorme rosario. Di quelli usati dai praticanti buddhisti o Chan – Zen nel corso dei loro rituali ascetici o purificatori.

Con ogni probabilità doveva esserlo. Ed in quanto tale, lo componevano dei grossi grani marrone scuro tenuti insieme da una corda sottile. Di seta, e sempre bianca.

Bianco, ambra e marrone. E poi di nuovo bianco.

Nubi dal cielo e spuma dal mare. Le prime, mediante la pioggia che portano in pancia, fanno precipitare la vita dall'oceano sospeso per aria in cui si trovano e galleggiano sulla terra. E da lì la fanno germogliare. Il secondo la fa nascere all'interno delle sue viscere per poi farle riemergere in superficie, trasportate dalle creste dei flutti.

Ma la pioggia e la spuma non sono nessuno di questi pensieri. Non sono la vita. La conducono, e basta. Ma proprio come essa, vanno e vengono.

Pioggia e spuma. Ma anche latte. Latte materno. E liquido amniotico, e placenta ed altri vili, caldi e viscosi umori associati al travaglio, al parto e alla nascita, se si volevano prendere in considerazione gli altri due restanti componenti di quella variopinta triade.

Tutti simboli che stanno ad indicare una vita che viene al mondo. Anzi...che TORNA al mondo.

Una vita nuova. Perché la vita non é affatto una sola, anche se a prima vista tende ad apparire proprio come tale.

Un individuo, OGNI individuo, può morire e rinascere molte volte, nel corso della sua intera esistenza. Migliaia di volte. Infinite volte. Anche nello stesso giorno.

Ma non é questo, ciò che conta davvero. I più lo fanno senza neanche accorgersene.

Occorre REDERSENE CONTO. Esserne CONSAPEVOLI. Di ogni volta che accade.

Dare una nuova vita. Uccidere per poi aiutare a risorgere. Lasciare che avvenga la rinascita, non impedire che ella giunga. Non é forse questo il compito di un SENSEI? Di un GURU?

Non é forse questo il compito di un MAESTRO, nei confronti di tutti quanti i suoi allievi? Di ogni suo allievo?

Accogliere i discepoli nel proprio grembo, come farebbe una madre con i suoi figli e una femmina coi suoi cuccioli. Per poi distruggerli, innanzitutto.

Per demolirli. E demolire, insieme ad essi, tutte le loro certezze. Tutto ciò che conoscono o che hanno la presunzione di credere di conoscere. E' fondamentale. Anche se talvolta può essere doloroso. Assai doloroso.

E da lì iniziare a svezzarli ed educarli, proprio come farebbe un padre, insegnando loro tutto quel che gli occorre. Per costruirli e plasmarli a propria immagine e somiglianza.

Solo a quel punto, quando l'addestramento é finalmente completo ed il cerchio si é chiuso...solo allora é possibile farli ritornare al mondo. O provvedere ad eliminarli definitivamente, qualora si rivelassero inadatti ed indegni dei suoi precetti.

Padre e madre. Uomo e donna. Yin e Yang.

Tutto torna. Torna sempre a quello, invariabilmente.

Non aveva figli naturali. La natura non gli aveva concesso quella possibilità. Non aveva voluto donargli quello che costituisce in simultanea il più gran privilegio e la più grande gioia, per un essere vivente.

Aveva quindi preso con sé quattro ragazzi. Essi si erano affidati totalmente a lui, con somma fedeltà e devozione. E lui, in cambio, gli aveva cresciuti ed allevati come se fossero suoi discendenti naturali.

Con tre di loro ci era riuscito. Con il quarto, purtroppo, aveva definitivamente perso qualunque speranza a riguardo. Le febbri e i fantasmi della follia gli avevano ormai divorato più di mezzo cervello, ed erano ormai in procinto di prosciugargli anche la parte rimanente. Privandolo di quel poco di senno e di ragione che gli erano ancora rimasti.

Tre papabili candidati. E tutti quanti promettenti. Molto promettenti. Ma uno solo era il predestinato. Ed uno solo sarebbe stato il prescelto, tra loro.

Colui che avrebbe dovuto ricevere il lascito.

Ereditare l'arte. Per poi tramandarla a qualcuno di altrettanto degno.

E presto sarebbe giunto il momento di prendere la decisione definitiva.

Quello era il suo compito.

Perché lui era RAMON KASUMI.

L'ultimo tassello di una lunga e gloriosa linea di discendenza diretta che ad ogni generazione aveva regalato un solo ed unico rappresentante.

Ultimo esponente sia della sua famiglia che del suo nobile casato, da sempre depositari della leggendaria tecnica della sacra scuola di Hokuto – Shinken.

Ramon Kasumi.

Ma quello era il suo nome di un tempo. Di quando era un ragazzo spensierato, seppure fosse già un abile e temibile combattente, già dotato di capacità al limite del sovrumano.

Quando per lui le arti marziali erano un modo come un altro per tentare vincere la noia ed il tedio dell'esistenza. Alla pari di decine di altri lavori, discipline, passatempi e divertimenti impiegati dal resto delle altre persone per i medesimi motivi.

Questo prima di accorgersi che esisteva qualcosa di più profondo. E che per raggiungerlo era necessario, fondamentale rinunciare ed abbandonare i desideri terreni. Ma solamente dopo aver ben compreso che essi sono privi di qualunque importanza e rilevanza. Altrimenti...si finisce solo col condannare sé stessi. E poi gli altri, a ruota.

E' un passo obbligato, prima di scegliere ed abbracciare la vita monastica.

Solo a quel punto, solo allora si può rinunciare al proprio nome, insieme alla vita passata che rappresenta.

Un nuovo nome, che diventerà quello di battaglia. Proprio come il grado o un numero di matricola di un generale o di un soldato.

E lui lo aveva fatto. Aveva fatto tutto questo, per poi scegliersi un nuovo nome.

Il SUO nuovo nome.

RYUKEN.

IL BONZO RYUKEN.

Maestro ed attuale reggente della Divina Arte di Hokuto.

Il SESSANTATREESIMO, per la precisione.

Ed in quanto tale, a lui e lui soltanto spettava la scelta del successore.

Udì dei rumori in vicinanza e all'esterno del portone d'ingresso.

Rumori di passi, lenti ma decisi.

Qualcuno si stava avvicinando. Ed il vecchio ben sapeva di chi si trattasse.

Questo perché, nonostante la veneranda età, poteva disporre ancora di un udito sopraffino. Lo aveva già sentito sopraggiungere da lontano, ancor prima che si avvicinasse all'uscio dell'ampio salone.

Ma non solo. Ormai aveva memorizzato e conosceva a menadito il modo di camminare di ognuno dei suoi figli. Il solo incedere gli permetteva di identificarli ancor prima che entrassero all'interno del suo campo visivo, ed ancor prima che riuscisse a distinguerne le sagome, i contorni, l'aspetto. Ancor prima di arrivare a poterne scorgere il bianco degli occhi.

Uno dei due battenti, quello di sinistra, si mosse ed iniziò a spalancarsi lentamente. La figura che l'aveva aperta stazionò al suo fianco dopo averlo aperto, come in attesa.

Ryuken sorrise. La sua lunga e candida barba tremolò e parve muoversi lievemente, assecondando l'incresparsi delle labbra in prossimità degli angoli.

“Ti stavo aspettando” gli disse con voce gentile, mentre si alzava lentamente in piedi. “Entra pure, KENSHIRO.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

E proseguiamo con la storia. In questo episodio viene introdotto un personaggio a dir poco fondamentale, almeno nella parte iniziale di questa vicenda.

Ryuken. Il padre adottivo dei tre discepoli più potenti che la Divina Arte di Hokuto abbia mai avuto il privilegio di possedere tra le sue fila di praticanti.

Allora, che ne pensate?

Mi ha sempre affascinato, la sua figura.

Devo confessarvi che ho sempre ritenuto i maestri presenti all'interno del cartone (e del manga) come delle figure di assoluto spicco.

Lo stesso Ryuken, appunto. Oppure Ogai, il maestro della tecnica della Fenice Immortale ed istruttore di Souther. Oppure Fugen , il maestro dello stile dell' Aquila Solitaria e padre di Shin. Visto nel film LA LEGGENDA DEL VERO SALVATORE.

O Jukei, nonostante gli errori che ha commesso.

Forse hanno fatto scelte anche discutibili, nel corso della loro vita. Ma vedendo quel che avevano tra le mani, li si può forse biasimare?

Spesso l'essere il sommo depositario di una tecinca così potente obbliga a decisioni estreme.

Chi non mi é piaciuto per niente é stato Rofu, il maestro di Rei nel manga LA LEGGENDA DEL LUPO BLU.

Fosse solo quello il problema, lì. Se si sorvola sulla presenza abbondante di poppe, culi e donnine ignude che manco in un doujinshi...

Insomma...il maetro di Rei, almeno per come la vedo io, NON PUO' ESSERE UN CRETINO DEL GENERE.

A tempo debito gli renderò giustizia.

Intanto occupiamoci di Ryuken. Ho cercato di trasmetterne tutta la solennità e la grandezz, in questo episodio. Ma anche nei prossimi.

Spero vi piaccia.

Passiamo all'angolo dei ringraziamenti, ora.

Un grazie di cuore a Plando, Devilangel476 e Kumo no Juuza (a te complimenti anche per la tua, di storia. Davvero molto bella!) per le entusiastiche recensioni al primo capitolo.

Grazie ancora e...

Alla prossima!

 

See ya!!

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il giovane parve esitare, a fronte di quella richiesta. E per un solo quanto breve istante decise di rimanersene fermo sulla porta.

Poi obbedì, raggiungendo il vecchio maestro con passo deciso.

“Mi dispiace” gli riferì anzitutto quest'ultimo. “Probabilmente devo averti costretto ad interrompere il tuo allenamento mattutino, anche se per poco.”

Subito dopo quell'osservazione rimase a fissarlo in silenzio, come in attesa della sua probabile replica.

Il ragazzo portava una casacca color grigio scuro. Quella che solitamente veniva usata in allenamento durante i confronti diretti. E nelle occasioni di rappresentanza, specialmente con i praticanti di altri stili e discipline, visto che era l'uniforme che da sempre contraddistingueva gli allievi della divina scuola. Il capo era poi impreziosito da un paio di spalline di metallo lucido e ben levigato, che emanavano riflessi arancioni alla luce tremolante della fiamma prodotta dal grosso braciere.

“Non preoccupatevi, padre” gli rispose Kenshiro. “Non fa nulla.”

“Invece no” lo corresse il monaco. “E' un allenamento molto importante. La fatica che si ottiene é ancora fresca, dato che ci si trova all'inizio della giornata. Ed il benessere che si ottiene in cambio é enorme. Sia per il corpo che per lo spirito.”

“E poi...” aggiunse poco dopo, “...so che é il tuo preferito.”

“Avete ragione, padre” ammise l'altro. “Amo la quiete ed il silenzio che regnano a quell'ora. Mi sembra di stare...di stare al riparo.”

Ryuken lo guardò incuriosito. E leggermente divertito.

“Al riparo, dici?”

“Si, padre. Mi sembra di poter stare al riparo dalla confusione. Dal frastuono e da tante chiacchiere inutili. E' come...come se quell'attimo fosse per me. Solo per me.”

“Molto bene” rispose compiaciuto il vecchio. “Continua sempre ad addestrarti. La costanza é fondamentale nelle arti del combattimento. Ma non solo. Mano a mano che gli anni scorrono, e che se prosegue con la propria esistenza, si riesce a comprendere che é tutto ed unicamente una questione di costanza. La costanza é tutto, figliolo. E' quello che ci fa andare avanti, giorno dopo giorno.”

Gli poggiò la mano destra sulla spalla corrispondente, e gliela picchiettò ripetutamente in segno di saluto. Sembrava davvero felice di vederlo.

“E' molto più importante di quanto tu creda” gli confidò nel mentre. “Cerca di comprenderlo ora che ti trovi in una parte della vita meravigliosa come la tua, nel fiore dei tuoi anni. Non aspettare di arrivare a divenire un vecchio come me, prima di capirlo.”

“Lo farò, padre.”

Il maestro sospirò sconsolato.

“Eh...é un assurdo controsenso che si ripete puntuale ad ogni passaggio di generazione. Sembra proprio che non se ne possa fare a meno. Dovremmo poter scorgere gli errori che fa chi arriva prima di noi, ed invece...non facciamo altro che ripeterli a nostra volta. Nessuno impara mai nulla. Pare proprio che ci tocchi commettere il nostro buon numero di sbagli, prima di iniziare a fare le cose per il verso giusto. Com'é triste, la condizione umana. La nostra condizione, Kenshiro. Perché siamo e rimaniamo umani, nonostante tutto. Nonostante tutto ciò che possiamo fare.”

“Padre, non...non dite così. Voi...voi non...”

“Non ci badare” lo interruppe Ryuken. “Sono solo vaneggiamenti di un povero vecchio, come ti ho detto. E agli anziani come me piace riempire la testa di ciarle alla gente che si vuol prendere la briga di starli a sentire. So bene che sai quel che devi fare. Ne sono più che certo. Così come so che stai lavorando davvero sodo. Fai bene. Di questi tempi ogni minuto di allenamento é prezioso. E non va né sprecato né sottratto, in alcun modo. Ti chiedo ancora perdono.”

“Non preoccupatevi, padre” ribadì Kenshiro. “Come vi ho detto poco fa, non c'é alcun problema. E' solo che...”

“Solo che?”

“A voler essere sinceri...non capisco il motivo di tanta premura. Non c'era...non c'era certo il bisogno di farmi convocare per una vostra udienza con così largo anticipo. Anche se mi aveste fatto chiamare questa sera stessa, sarei corso subito da voi. Immediatamente.”

“So bene anche questo, ragazzo mio. Ti conosco fin troppo bene, ormai. Sei sempre stato molto diligente su queste cose, nonché puntiglioso. Senza dubbio saresti venuto all'istante. Ma...avevo bisogno di riflettere. Ed inoltre...volevo che riflettessi anche tu. Per questo ho ritenuto opportuno farti mettere sull'avviso sin da questa mattina.”

Kenshiro rimase a scrutarlo a lungo, senza dir nulla.

Ryuken sembrò leggermente incupirsi, a quella reazione.

Certe volte non sapeva proprio come interpretarle, quelle lunghe occhiate provenienti dal più giovane dei suoi quattro figli adottivi. Ed accompagnate spesso da ancor più lunghi quanto enigmatici silenzi. Erano sguardi profondi e penetranti che lasciavano intravedere una saggezza, un acume ed una lungimiranza che mai ci si sarebbe potuti aspettare da un uomo di così tenera età. Ma la cosa veramente singolare era che Kenshiro sembrava esserne perfettamente al corrente, di questo.

Si. Ne era perfettamente a conoscenza, di questa cosa. Ed era come se avesse persino paura di parlare o di esprimersi, certe volte. Come se fosse consapevole di avere dentro di sé qualcosa che non gli apparteneva fino in fondo. E che non sentiva completamente suo.

Di qualunque cosa si trattasse, dava tutta l'impressione di essere lei a possedere lui, quando si manifestava. E non il quantomeno lecito contrario.

Un enigma, davvero. Non vi poteva essere parola più adatta ed indicata per definirlo.

Quel ragazzo aveva da sempre costituito davvero un enigma, per il suo tutore ed insegnante. Per quanto si sforzasse, in quei momenti non riusciva proprio a capire a cosa pensasse. Che cosa gli passasse per la testa di preciso. Mentre a lui, invece, bastava puntare gli occhi per un semplice attimo per comprendere al volo quel che provava o sentiva colui che gli stava davanti in quel momento. Tutto quel che risiedeva o ristagnava nel cuore di una persona.

Quegli occhi...quegli occhi ti scavavano dentro. Fin nel fondo dell'anima.

Ryuken, nel corso della propria vita, aveva conosciuto solamente un'unica persona capace di fare altrettanto. Una sola persona i cui occhi erano altrettanto lucenti e limpidi. Due porzioni di specchio in cui ti ci potevi riflettere. In cui, alla fine, non vedevi altri che te stesso.

La persona più grande e magnifica che avesse mai conosciuto. Possibile...

Era davvero possibile che il più piccolo tra i suoi allievi e discendenti fosse...

Era davvero possibile?

Doveva scoprirlo. Ad ogni costo.

“Kenshiro” gli disse, “come tu ben saprai...tra non molto verrà il momento in cui mi ritroverò a compiere la fatidica scelta.”

“Padre...voi...”

“Proprio così, figlio mio” lo interruppe di nuovo il maestro. “Dovrò scegliere il successore della nostra prestigiosa scuola.”

Il ragazzo sembrò trasalire, a quelle parole. Ed il vecchio, vedendolo sussultare a quel modo, abbozzò un sorriso. La sua espressione gioviale si fece ancora più marcata.

“Che ti succede?” Gli chiese. “Pensi forse di non essere all'altezza?”

“Non...non é questo, padre” rispose lui. “Il fatto...il fatto é che...”

Dava l'impressione di esitare, per qualche strana ragione.

“Coraggio” lo esortò Ryuken. “Lasciamo perdere le gerarchie e le formalità, almeno per questa sera. Ti chiedo di non pensare a noi due come insegnante e studente. E nemmeno tra padre e figlio. Per una volta...per una volta immagina che la nostra sia una sorta di amichevole chiacchierata tra conoscenti. Tra due conoscenti che non si vedono da lungo tempo. Non avere remore. Sentiti libero di esprimerti e dire ciò che vuoi. Anche il tuo parere potrebbe contare, e sappi che ci tengo a conoscerlo. Ci tengo molto.”

“Ecco, padre...se mi é permesso, in tutta onestà ritengo che che mio fratello Raoul sia molto più forte ed esperto di me. E pur vero che ha sviluppato sia un animo che un temperamento alquanto...impetuosi, di recente. Ma a voler essere sinceri...credo li abbia sempre avuti. E credo che la Divina Arte di Hokuto abbia finito per accentuare ulteriormente queste sue peculiarità. Ma resta il fatto che dal punto di vista della forza e delle conoscenze non abbia rivali.”

Ryuken annuì, in silenzio. Almeno inizialmente.

“Mh” fece. “Mi pare corretto. E poi? Continua.”

Kenshiro obbedì.

“E poi...” proseguì, “...e poi ci sarebbe Toki. Di lui...su di lui preferirei non esprimermi. Per il semplice fatto che non potrei nemmeno parlare. Cosa...cosa posso dire sul suo conto senza correre il rischio di apparire inadeguato? Ha la stesse capacità di Raoul. E addirittura lo supera dal punto di vista della tecnica, visto che...visto che é semplicemente perfetta. E a differenza di nostro fratello maggiore possiede un'indole mite, umile e gentile. E altruista. Sarebbe il candidato ideale, dal mio punto di vista.”

“Mh. Trovo che anche questo sia corretto. Ma...di te che mi dici?”

Kenshiro lo guardò.

“Di...di me, padre?”

“Si” gli confermò Ryuken. “Dici che tuo fratello Toki é di animo umile. E credo che lo sia almeno quanto lo sei tu.”

“I...io?”

“Si, figliolo. Anche tu. Anche tu lo sei. Ed infatti non ti sei voluto mettere nemmeno a confronto, con i tuoi due fratelli più grandi. Dal tanto che li ammiri...hai rinunciato praticamente da subito a farlo. Modesto come sempre.”

“Padre, io...”

“Lascia perdere. Non ti devi certo giustificare. Come ti ho detto in precedenza...la nostra non si tratta altro che di una chiacchierata informale tra vecchi amici. Ma, piuttosto...noto che non hai menzionato o voluto menzionare Jagger.”

Questa volta il tono della sua voce appariva leggermente sarcastico.

“Non...non voglio certo mettermi a voler sminuire l'abilità di qualcuno” spiegò il giovane. “Così come non voglio assolutamente mancargli di rispetto. Ma nel caso di mio fratello Jagger...forse sarebbe opportuno che qualcuno ponesse il sigillo sulla sua tecnica, prima che possa fare del male a qualcuno. Oppure a sé stesso. O che si possano verificare entrambe le cose.”

Si schermì, subito dopo aver pronunciato quelle parole. Forse doveva aver giudicato un po' troppo audace il suo ultimo e più recente commento.

Ryuken comprese il suo stato. E nel tentativo di rincuorarlo, decise di appoggiare in pieno la sua esternazione.

“Hai perfettamente ragione” puntualizzò. “Su Jagger, intendo dire. Forse lo farò, uno di questi giorni. Prima che possa mettersi ad andare in giro a far danni e a compiere delle scelleratezze. Dovrò davvero decidermi a farlo. O magari...chissà, forse é un compito che potrebbe spettare a TE.”

Kenshiro assunse nuovamente un'espressione stupita.

“Padre, io...”

Il monaco gli si fece ancora più vicino, e per la seconda volta una delle sue mani si andò a poggiare su di una spalla. La stessa mano e la stessa spalla di prima.

“Ritengo che la tua sia stata un'ottima analisi. Kenshiro” commentò. “Esaustiva ed esauriente. Tuttavia...devo confidarti che hai commesso un errore.”

“Un...un errore, dite?”

“Proprio così, figliolo. Hai scelto di non considerare la forza, come punto di partenza. E questo gioca a tuo favore. Devi sapere...devi sapere che molto tempo fa, i maestri detentori di tutti gli stili da combattimento e delle principali arti marziali caddero in un disdicevole quanto grossolano equivoco. Iniziarono a ritenere che la pura forza fosse tutto, per ciò che praticavano. Che fosse la risposta a tutti i quesiti e ai problemi. Le loro tecniche diventarono potenti. Ma anche rozze, grezze e brutali. E fu proprio allora che arrivò un uomo. Un uomo che aveva impiegato tutta la sua vita a perfezionare e forgiare una propria disciplina, basandosi su dottrine poco note. Al punto che oramai erano cadute in disuso e dimenticate. Un povero vecchio mezzo ingobbito dall'età e dagli acciacchi, eppure dallo spirito limpido e che ardeva più di un sole. Ebbene...quel vecchio lì sfido e li affrontò. E li sconfisse, uno dopo l'altro. Era sfuggente come l'aria e l'acqua. Non riuscivano a colpirlo, e nemmeno a toccarlo. Si muoveva ad una velocità innaturale, sovrumana. Un attimo prima era fermo, immobile come una statua. E l'attimo dopo...era capace di spostarsi di svariati metri nell'arco di pochissimi decimi di secondo. Chiunque osava fronteggiarlo ed era convinto di batterlo...finiva per mancarlo, sbilanciandosi e rovinando al tappeto. E mettendosi fuori combattimento praticamente da solo. Dimostrò a quella gente che si stavano sbagliando. Tutti quanti. Che la respirazione, il controllo assoluto dei movimenti, del proprio corpo e delle energie interne e la padronanza del ritmo, del tempo e dello spazio contano molto ma molto più della forza e dei muscoli.”

Il ragazzo lo ascoltava, come rapito. Adorava quelle storie. In esse vi era tutta l'essenza e la sostanza di quel mondo di cui anche loro facevano parte, se pur posti ad un gradino infinitamente più alto.

Perché per poter praticare e riuscire nella Divina Arte di Hokuto, é necessario oltrepassare tutti i livelli delle comuni arti marziali ed entrare in una sfera di coscienza superiore.

Quei racconti erano comunque gocce rare, perle preziose. Tesori nascosti nel profondo blu di un immenso mare. Di cui anche loro facevano parte. Perché era pur vero che paragonati agli altri si trovavano ad un livello completamente differente, come già detto in precedenza. Ma anche se occupavano un piano infinitamente diverso e distante...facevano tutti parte della stesa casa. Dello stesso palazzo. Le fondamenta erano le medesime. E questo non va mai dimenticato.

Esistono gocce più azzurre, più lucenti e più preziose. Ma condividono lo stesso oceano di tutte le altre loro compagne e sorelle. E tutte insieme ad esso danno vita, moto e anima.

Senza le une, non possono esistere nemmeno le altre. Non può esistere nulla.

E' IL TUTTO. Questo é il tutto.

“Forse l'esempio che ascolterai tra poco ti apparirà stonato e fuori posto” proseguì il maestro. “Persino io stesso lo considero tale. Ma é innegabile che viviamo nell'era della tecnologia, Kenshiro. E gli insegnanti devono adattare le loro conoscenze alle epoche in cui vivono, in modo che non diventino dogmatiche. Perché ogni volta che si forma un dogma...esso diventa LETTERA MORTA, figliolo. STATICA. E una cosa morta non serve più a nulla e a nessuno. La si può solo rimembrare e rimpiangere. Bisogna guardare avanti, invece. Rivedere i propri concetti, anche alla luce dei più recenti progressi scientifici. Perché...il Buddha lo si può trovare in un fiore solitario che spicca in un verde prato come nei circuiti e negli ingranaggi ben oliati e dalle linee pressoché perfette di una macchina. Il fine ultimo dell'essere umano é INNALZARSI, Kenshiro. Elevarsi al di sopra delle cose terrene. Questo lo puoi vedere in ogni cosa. Così come puoi percepire la voce di Dio nel fragore della cascata quando grida, o nel placido scorrere di un fiume quando sussurra. O come puoi vedere i suoi occhi nelle gemme dei frutti che ancora devono nascere e svilupparsi, o nelle stelle che ricoprono la volta celeste. Esistono tanti modi, al giorno d'oggi. Per quale motivo gli ingegneri e i carpentieri costruiscono palazzi e grattacieli sempre più alti e maestosi? Te lo sei mai chiesto? Per lo stesso motivo per cui un monaco come me, il grande Bodhidharma o chiunque altro abbia scelto ed appreso la via della trascendenza passa e ha passato ore, giorni, mesi e anni con la schiena contro le pareti di una grotta buia o il tronco di un albero nella parte più fitta di un'enorme foresta, sino a lasciarci l'impronta del corpo impressa sopra. Lo scopo di fondo é identico. Ma ti chiedo scusa, ho preso a divagare. Come ti stavo dicendo...tornando al discorso della forza, un popolo può costruire e possedere il più potente ordigno nucleare di questo mondo. E può usarlo per tenere sotto scacco e minacciare gli altri paesi. E può arrivare addirittura al punto di usarlo se si sente attaccato da qualche territorio limitrofo, o anche solo per pura e semplice rappresaglia. Ma ora io ti chiedo...che cosa accadrebbe se quest'ordigno venisse installato su di un missile, e al momento del lancio il laser di un minuscolo satellite ne colpisse la testata durante il conto alla rovescia?Accadrebbe che il missile finirebbe con l'esplodere ancora prima di partire. E che quella nazione di stolti verrebbe cancellata dalla faccia di questo mondo. Distrutti dalla loro stessa arma, ed ancora prima di riuscire farla entrare in funzione.”

“Raoul é davvero molto forte” disse il vecchio. “Ma sta commettendo un grosso sbaglio. E la cosa peggiore é che non se ne sta minimamente rendendo conto. Lui ritiene che la forza sia tutto. Che sia la risposta esauriente e definitiva ad ogni problema e ad ogni quesito. Ma non é così. Continuerà ad affannarsi per cercare e raggiungere la potenza massima, ogni volta di più. Senza accorgersi che essa é effimera, come la perfezione. E che più tenterà di avvicinarvisi, più essa gli sfuggirà da sotto al naso e si farà via via più lontana ed inafferrabile.”

“L – la forza, dite?!” Esclamò il ragazzo. “Ma padre...lo avete visto anche voi, nell'ultima prova a cui ci avete voluto sottoporre entrambi. Raoul...il mio fratello maggiore Raoul ha decapitato una tigre gigantesca, alta il doppio di lui! E lo ha fatto con le sue sole forze! Con...con una sola mano! Lo avete visto anche voi! Eravate anche voi, lì presente!!”

“Lo so, Kenshiro. Me lo ricordo bene, quel che dici. Ed é stato...davvero impressionante. Ma non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze. Mai. Non commettere lo stesso sbaglio di quell'idiota di tuo fratello Jagger. Non devi seguire ciecamente tuo fratello Raoul, né tanto meno prenderlo ad esempio. Tu non hai affatto bisogno di diventare forte quanto lui. La tua forza...quella di cui disponi adesso é più che sufficiente. E' molto, ma molto più importante capire come e quando impiegarla, sull'avversario, scoprendo i suoi punti deboli. C'é un momento...vi é un momento in cui il tuo avversario raccoglie tutte le sue energie, e si appresta a sferrare il suo attacco decisivo. Ecco...quello é il momento. L'attimo in cui si passa dalla difesa all'attacco. In quel breve, infinitesimale istante il tuo contendente...chi sta attaccando si ritrova con le proprie difese totalmente abbassate e sguarnite. Ecco. Quello é l'esatto momento in cui tu dovrai intervenire. Userai la tua forza e la sommerai a quella di chi ti sta di fronte, in modo da ritorcergliela contro. In questo modo...in questo modo stroncherai il suo attacco sul nascere. Lo colpirai prima che abbia la possibilità di portarlo a termine. Lo raggiungerai in pieno e di fatto gli impedirai di arrecarti danno. E ti assicuro che la quantità di forza da dover applicare é davvero minima. Non conta la quantità, Kenshiro. Conta la qualità, prima di ogni altra cosa. Realizzare il massimo tramite il minimo. Il massimo risultato col minimo dispendio di energie. Tutto il resto...non é altro che pura quanto semplice mediocrità. E' un arte mediocre, quella che si riempie di inutili fronzoli. Tieni bene a mente questo, e potrai sconfiggere qualunque rivale. Anche se é più potente di te.”

“Ma...come ti dicevo prima” puntualizzò poco dopo, “Tu parti dal presupposto che la scelta del successore derivi unicamente dal fattore tecnico, o dalla preparazione. O dall'esperienza. Oppure...dalla pura e semplice forza, giusto per ritornare al discorso che ti ho fatto in precedenza. O magari...dalla simpatia, anche.”

Ryuken sorrise.

“Ebbene...si” ammise. “Possiamo ritenere che l'ultima affermazione sia veritiera, almeno in parte. Ma lascia che ti spieghi meglio. La questione é molto più ampia di quanto si possa credere. E molto più complessa, anche se in realtà...é davvero semplice, una volta che si comprende come effettuare la valutazione corretta e si giunge alla tanto agognata soluzione. Tieni prima di tutto presente che la scelta non é solamente dovuta ad una pura questione di forza. Ma nemmeno di abilità. E neppure di tecnica. Quando ci si ritrova a dover scegliere un erede...si va prima di tutto ad intuito, in un certo qual senso. Contanto molto le intuizioni, le sensazioni...le impressioni. E conta soprattutto il cuore, figliolo. Le doti fisiche ed intellettive non bastano per ponderare la scelta del successore. Non sono sufficienti. La designazione non può avvenire unicamente attraverso il freddo calcolo. Se il tutto si riducesse ad una mera analisi scientifica delle capacità di un individuo, beh...sarebbe ben misera cosa, credimi. Anche la parte emozionale ed empatica riveste la sua importanza. Sto parlando dei sentimenti, ragazzo mio. La scelta del successore...deve essere per prima cosa spontanea. Deve venire dal cuore, come ti ho detto in precedenza. E' ovvio raccogliere tutti i dati relativi ad un candidato, ogni dato possibile. Anche quello é fondamentale, perché serve a farsi un'idea. Ma poi...bisogna trovare il coraggio di rompere gli schemi. Decidere in base alla situazione, o agli avvenimenti. O addirittura seguire l'impulso, il capriccio del momento. Perché il successore della Divina Arte di Hokuto é come il monarca. Come l'imperatore. E' il cielo a designarli, Kenshiro. Ed il cielo é più grande di noi tutti. Troppo grande. Fa parte di un processo enorme, immenso. Troppo immenso perché la nostra mente limitata di esseri umani possa sperare di comprenderlo o capirlo.”

“Come ti ho già detto prima” gli confidò poi, “Trovo che tu sia davvero molto onesto e sincero, figlio mio. Sappi che apprezzo molto queste tue qualità. E sei anche molto, molto umile. Forse un po' troppo, per i miei gusti. Ti ho già detto e ripetuto più e più volte che non dovresti sottovalutare e sminuire in tal modo le tue capacità. Sei molto più forte di quanto tu stesso possa pensare. E di quanto tu stesso sia disposto ad ammettere. Devi imparare ad accettarlo. Devi imparare a riconoscere la tua abilità, una buona volta. Devi convincertene. E' importante, se vuoi mantenere una condotta degna del ruolo che potresti trovarti a dover ricoprire.”

Kenshiro lo guardò attentamente, con un'espressione che stava a metà tra la sorpresa ed un lieve sbigottimento. Una leggera smorfia gli comparve sul suo viso, e le sue sopracciglia si inarcarono in modo appena percettibile.

“Suvvia” si schermì suo padre. “Ti stavo solamente prendendo un po' in giro, tutto qui. Nient'altro. Cosa vuoi farci...a noi vecchi piace ridere di tutto. Specie della serietà di voi giovani. Prendete tutto così maledettamente sul serio...per voi ogni cosa diventa una questione di vita o di morte. Ma vi capisco, é perfettamente normale. Combattete per difendere ciò in cui credete, e per quel che ritenete davvero importante. Ed é giusto, sacrosanto che sia così. Vi sentite...vi sentite il fuoco nelle vene. Avete addosso un'energia enorme, di cui spesso avete l'impressione di non sapere come utilizzare appieno. Con l'unico risultato che finite per disperderla. In mille rivoli ed in miriadi di direzioni, senza controllo, fino ad esaurirla del tutto. Ma voi...voi non ritenete che la cosa costituisca un problema. Ed é naturale. All vostra età...vi sentite potenti, e di possedere risorse illimitate. Ma ricorda che...nulla é infinito, a questo mondo. Nulla dura per sempre, o in eterno. E' meglio, molto meglio, che lo capiate sin da ora. Non aspettate di diventare vecchi come me, per comprenderlo. Sarebbe un grosso, grossissimo peccato. Puoi credermi sulla parola.”

“E comunque, non preoccuparti” aggiunse, col chiaro intento di tranquillizzarlo. “Non é tempo. Non ancora. Il momento non é giunto. Non ho certo intenzione di designare il successore oggi. Piuttosto...ti ho fatto chiamare perché nutro un piccolo dubbio.”

“Un...un dubbio, padre? Un dubbio, avete detto?”

“Esattamente, Kenshiro. Avei un piccolo dubbio che vorrei chiarire a tutti i costi. E credo...credo che tu possa darmi una mano a risolverlo, una volta per tutte?”

“I – io?!”

“Proprio così. Vorrei che tu mi aiutassi a trovare la soluzione. La risposta al pressante interrogativo che mi assilla.”

Detto questo, Ryuken si diresse con passo deciso verso una porticina laterale situata lungo le mura della stanza.

“Seguimi” gli disse, soltanto.

Il ragazzo obbedì e gli andò dietro, senza esitare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Come promesso...eccomi con un nuovo capitolo!!

Non vi nascondo che é un periodo...piuttosto complicato. Per motivi che ben immaginerete, ragazzi. E su cui non starò certo a dilungarmi, poiché non é certo questa la sede.

Con la cara famigliola a casa, il tempo a disposizione per scrivere é piuttosto esiguo.

Ma é proprio in momenti come questi che non bisogna venire meno coi propri impegni.

La COSTANZA...é FONDAMENTALE.

E' TUTTO.

E quindi...non potevo certo mancare col mio aggiornamento.

Si sta a casa, e nel mio specifico caso...ci si muove solo per lavoro.

Opero nella farmaceutica, e non ci si può assolutamente fermare.

Produco componenti per flebo, siringhe, contenitori per farmaci, flebo e sacche di sangue.

Mi piace pensare che col mio lavoro posso salvare una vita in più.

Quindi...mascherina, guanti e AL LAVORO!!

Ma lascio il merito a medici ed infermieri, che di sicuro stanno faticando e rischiando ben più di me.

Voglio solo dirvi una cosa, ragazzi. Poi chiudo.

RISPETTATE IL PROTOCOLLO SANITARIO.

State a casa. Uscite solo per lo stretto necessario.

Qui da me, a Milano...tanta, troppa gente non lo sta facendo. Non si capisce se per stupidità o incoscienza. O semplice menefreghismo.

TANTO NON SUCCEDE A ME.

E' questo ciò che pensano, evidentemente.

Ma se porti in giro il morbo, pur non ammalandoti...di fatto PUOI UCCIDERE UN' ALTRA PERSONA.

Lo tengano bene a mente.

Ma passiamo al racconto.

Dopo due capitoli di religioso silenzio...qui si inizia a parlare. Ed é importante, dato che ritengo che é mediante I DIALOGHI che si delinea sia il CARATTERE che la MORFOLOGIA di un personaggio.

Spero vi piaccia.

Ancora una cosa: il maestro a cui accenna Ryuken é una persona realmente esistita.

Si tratta di MORIHEI UESHIBA, il fondatore dell' AIKIDO.

Una figura a dir poco mitica, leggendaria. A cui fecero riferimento persino dei grandi maestri di altri stili come il grande Karateka Shigeru Egami.

Si dice che vedesse gli attacchi dell'avversario sotto forma di scie di luce, prima ancora che egli li potesse effettuare.

E che quando combatté come soldato per il proprio paese, durante la guerra, con questa sorta di VISIONE EXTRA – SENSORIALE, riuscì persino ad evitare un proiettile sparato nella sua direzione, per poi disarmare e neutralizzare il nemico.

E che fosse in grado di spostarsi per svariati metri nel giro di una frazione di secondo.

Pare fosse davvero un individuo dotato di capacità sovrumane.

Leggende o meno...attuò comunque una rivoluzione importantissima, ai tempi. Fu indubbiamente vero che nelle arti marziali in generale cominciarono a dare un'eccessiva importanza alla forza muscolare e all'allenamento fisico, complice l'apertura all'occidente.

Ueshiba dimostrò che non va affatto trascurato l'allenamento sull'armonia del movimento, l'equilibrio ed il lavoro sull'energia interna.

Prima di concludere...arriviamo all'angolo dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore a Kumo no Juuza, vento di luce (a lei un grazie “retro – attivo” anche per la recensione al primo episodio), e l'amica e sempre presente Devilangel476 per le recensioni al capitolo precedente.

Ai primi due complimenti anche per le loro opere, che ho iniziato a leggere.

E come sempre anche un grazie a chiunque leggerà la mia storia e se la sentirà d lasciare un parere.

Mi raccomando, ragazzi.

Teniamo duro. Passerà anche questa.

E...STATEMI SANI, mi raccomando.

 

Alla prossima, e...

 

 

See ya!!

 

 

 

 

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 4

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La piccola porta conduceva direttamente all'interno di un chiostro alquanto ristretto e con i contorni dalla forma vagamente rettangolare. L'intera zona era circondata da spesse ed alte mura, identiche in tutto e per tutto a quelle utilizzate per la cinta.

Una sorta di piccola nicchia ricavata e situata nel lato destro del maniero.

Una posizione ed una direzione che risultavano entrambe piuttosto infauste. Perché coincidevano con il punto cardinale dell' Est.

Nessun mastro costruttore o esperto di architettura si sarebbe mai azzardato o a costruire una struttura rivolta verso quel punto, neppure in sogno. Neppure in quelli più arditi e spregiudicati.

E nemmeno negli incubi e nei deliri più nefasti.

E sia i brahmini indù che i monaci buddhisti evitavano con cura di far sorgere dei templi che guardarssero verso quell'orizzonte. Poiché...esso era maledetto.

Verso oriente. La porta da cui passano ed entrano i demoni.

Nulla di buono può arrivare da lì. Mai. Soltanto brutte cose.

Ma una simile disposizione era voluta.

Che venissero pure, i demoni. Da quel luogo ameno sarebbe dovuto sorgere il nuovo successore della Divina Arte dell' Hokuto Shinken, da lì a poco. Che avrebbe fatto strage di loro.

Perché il maestro della Divina Scuola di Hokuto non li teme, i demoni.

Ci convive e li affronta, giorno per giorno. Giorno dopo giorno.

Demoni dai molti nomi e dalle molte teste, che da sempre affliggono l'umanità tutta. E che l'uomo stesso ha creato, per sconfiggere un nemico ancor più orribile che crede si possa trovare ovunque.

E che invece non si annida dentro nessun altro posto che non sia sé stesso.

Demoni che hanno i volti e le fattezze dei sentimenti più bassi e delle sensazioni più spregevoli.

L'uomo teme di voltarsi nel buio. Teme che vi siano una zanna o un artiglio che brillino, lì nel mezzo di tutte quelle tenebre. Lorde e scintillanti di sangue, e pronte a ghermirlo e sbranarlo, per ridurlo a brani.

Teme che gli si possa posare sulla spalla la mano dell'assassino. Un assassino che fino ad un momento prima aveva osato chiamare fratello. Mentre nell'altra stringe il pugnale o lo stiletto pronto a tagliargli la gola, o a spaccargli il cuore.

Ma gli unici assassini e belve feroci che esistono sono quelle che l'uomo porta dentro il suo animo.

E che finisce per trascinare con sé, dovunque vada. Che lo voglia o no.

Demoni come rabbia, paura, odio, rancore, intolleranza, invidia, sete di vendetta.

Il successore di Hokuto é chiamato ad ergersi sopra a tutto questo. E a tutti questi.

Per sconfiggerli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si trovavano di nuovo l'uno di fronte all'altro.

Insegnante ed allievo. Padre e figlio.

“Ecco fatto” disse Ryuken. “Qui nessuno verrà a disturbarci. All'apparenza sembrerà anche a te un po' angusto, ne convengo. Ma trovo sia l'ideale.”

In efffetti non aveva tutti i torti. Quelle mura che circondavano su di ogni lato, così a ridosso ed in uno spazio così ristretto...davano una sensazione a dir poco opprimente.

Sembrava dovessero venire giù e crollare sulle teste di chi vi stava sotto, fino a seppellirlo per sempre. Fino a nasconderne in eterno le spoglie e le bianche ossa.

Anche Kenshiro si era sentito come schiacciare e soffocare, mentre dava una rapida occhiata intorno allo scopo di prendere subitaneamente conoscenza e confidenza con quel luogo nuovo ed inesplorato.

Quella porticina, all'interno del salone principale, l'aveva notata da sempre. E lo aveva particolarmente incuriosito, non sapendo dove potesse portare.

Ma che esistesse un luogo simile all'interno della dimora dove era nato e cresciuto, e dove aveva passato praticamente tutta la sua infanzia e giovinezza...no, questo non lo avrebbe mai potuto immaginare.

Aveva quindi cercato di raccogliere più informazioni possibili dal punto di vista prettamente visivo, nella breve frazione di minuto che lui e suo padre avevano impiegato per raggiungere il centro del minuscolo cortile di pietra. Ed il tutto senza dare nell'occhio o rischiare di apparire anche solo leggermente turbato agli occhi del suo tutore.

Piccole, tipiche deformazioni professionali da parte di chi si allena da una vita intera. E da chi spende un'altrettanto intera vita per la lotta e per le arti marziali.

Si sviluppa l'inevitabile tendenza a considerare ogni ogni casa, ogni luogo in cui ci si trova a passare o a frequentare, anche per pura casualità od evento fortuito, come un potenziale campo di battaglia.

Un campo dove si sta per svolgere un combattimento mortale.

Un combattimento che ci riguarda personalmente.

E quindi, la prima e in assoluto migliore cosa da fare, rispetto ad ogni altra...é memorizzare la conformazione dell'arena che ci ospita.

Si studiano le possibili vie di fuga, i punti dove possono sopraggiungere eventuali nemici o attacchi da parte di essi, le peculiarità da poter sfruttare ed i possibili pericoli da cui doversi guardare.

Si sentiva davvero sciocco, a comportarsi così. Ma non poteva proprio farne a meno, neanche se avesse voluto. Per via di uno strano, stranissimo presentimento.

Aveva come l'impressione che, nonostante i modi alquanto affabili ed amichevoli, suo padre lo avesse fatto convocare e portato lì con delle intenzioni ben precise. Che non erano certo quelle di chiacchierare o di intrattenersi in una conversazione.

No. Lo scopo della chiamata era di sicuro ben altro.

Doveva essere ben altro. Anche se era difficile, molto difficile, da poter credere.

Eppure lo sentiva. Lo aveva percepito chiaramente. Fin troppo chiaramente.

Aveva sentito l'aura combattiva del vecchio maestro iniziare ad espandersi, sin dal momento del suo arrivo. Iniziare ad aumentare di intesità e di volume, gradatamente ma inesorabilmente. Sempre di più.

Lui, per contro, non aveva ancora iniziato a farlo. Anche se era ben conscio che stava commettendo una leggerezza di quelle che potevano costare caro. Molto, molto caro.

Avrebbe dovuto farlo anche lui, come minimo. Per farsi trovar pronto, e non correre il rischio di farsi cogliere impreparato o beccare in contropiede.

Ma era perfettamente inutile. Non se la sentiva.

Possibile che il grande Ryuken...fosse sul punto di attaccarlo da un momento all'altro?

Possibile che suo padre, o colui che considerava tale...l'uomo che lo aveva cresciuto ed allevato come e meglio di quello che avrebbe potuto essere il suo genitore autentico, avesse delle intenzioni omicide nei suoi confronti?

Possibile che volesse davvero...che lo volesse veramente ucc...

“Padre!!” Gli disse. “Cosa...cosa avete intenzione di fare?”

La domanda gli era uscita spontanea. Prima che il dubbio, e nella fattispecie QUEL DUBBIO, iniziasse a farsi starda nella sua mente. Per impedire che si potesse dipanare oltre.

“Come ti ho detto in precedenza...apprezzo molto l'onestà e la sincerità” rispose il vecchio monaco. “Ed é proprio per questo che non riesco a capire il tuo comportamento. Devo vederci chiaro, figlio mio. Una volta per tutte, o non sarò in grado di prendere una decisione definitiva.”

“Il...il mio comprtamento, dite?”

“Esatto. Vedi, Kenshiro...io ho un sospetto. Ho il forte sospetto che tu mi stia nascondendo qualcosa.”

“Che...che cosa intendete dire, padre?”

“E' proprio così. E' come ti ho detto prima. Credo proprio che tu non me la stia contando giusta. Ma proprio per niente.”

“Io...io non capisco. Vi giuro che non vi capisco.”

“Ma capisco io, invece. E fin troppo bene. Sarò anche vecchio, ma non sono certo stupido. E nemmeno rimbambito. La verità...la verità é che tu sei molto più potente di quanto sembri. E di quanto tu sia disposto a voler ammettere. Ma anche più di quanto tu sia disposto a voler far credere, aggiungo. Perché sembra che...si, certe volte ho come l'impressione che tu stia facendo di tutto per mostrare e dimostrare l'esatto contrario. Quando hai affrontato Jagger, ad esempio. Ti sei limitato semplicemente a toccare gli tsubo che gli avevo contrassegnato sul petto, causandogli un livido su ciascuno di essi. Ma ce lo avevi in pugno, sin dal primo scambio. E quell'imbecille osava persino ridere, alla fine del duello! Come se davvero avesse potuto pensare di esser lui, ad avere vinto! Sarebbe bastato solo che tu avessi colpito i suoi punti segreti di pressione un po' più forte di quanto hai fatto, e...lo avresti fatto a brandelli. Lo avresti potuto ridurre a pezzi, senza il benché minimo sforzo, riducendo il suo intero corpo ad un ammasso di carne sanguinolenta. Ti sarebbe stato sufficiente concentrare una minima quantità del tuo spirito combattivo all'interno di essi, per ottenere ciò. Perché glieli avevi danneggiati, tutti quanti. Me lo ricordo con estrema esattezza.”

Kenshiro si limitò ad osservarlo, senza profferire verbo alcuno.

“Vuoi che continui?” Lo punzecchiò il maestro. “Visto che lo hai tirato in ballo poco fa...quando tu e Raoul vi siete ritrovati a fronteggiare quella gigantesca tigre che avevo fatto appositamente catturare per voi, ebbene...sappi che tuo fratello si é sbagliato, Kenshiro. E di grosso, anche. Quella gigantesca belva non aveva affatto rinunciato ad attaccarti perché non ti considerava un valido avversario. Tutt'altro, se mai. Si é comportata a quel modo perché era praticamente pronta a morire, contro di te. Ha riconosciuto la tua indiscussa superiorità. Al punto che ha finito col sottomettersi docilmente, in attesa del colpo di grazia. Contro Raoul, invece...anche nel caso di Raoul aveva paura, ma ha trovato lo stesso la forza ed il coraggio di attaccare. Gli animali, ed in particolar modo quelli feroci...agiscono per istinto, figliolo. Conoscono ed intuiscono per istinto il mestiere e l'arte dell'assassinio. E quando si imbattono in un nemico che li sovrasta sia per forza che per capacità...all'inizio possono tentare la fuga o rimanere paralizzati dal terrore. Ma nel momento stesso in cui si debbano rendere conto che si ritrovano con le spalle al muro, e senza più alcuna via di fuga disponibile, si lanciano a testa bassa contro la minaccia incombente e non esitano a giocarsi il tutto per tutto. E se mai si dovessero trovare di fronte a due avversari che gli sono entrambi superiori, lo sai cosa fanno? Si scagliano contro quello che valutano come il più debole tra i due, ecco cosa fanno. E questo cosa mai dovrebbe significare, secondo te? Rispondimi, te ne prego.”

“Hmm, no.” proseguì, davati all'ostinato e reiterato silenzio da parte del più piccolo tra i suoi figli adottivi. “Non c'é bisogno che tu mi risponda, in effetti. Quel giorno la tigre mi ha dato una risposta già di per sé più che eloquente. Aveva riconosciuto subito chi fosse il più forte, tra voi due. Da subito. Eppure, nonostante questo...le volte che lo hai affrontato te ne sei sempre rimasto lì inerme, a farti massacrare di colpi senza opporre la minima resistenza.”

“E adesso te lo voglio proprio chiedere: PERCHE'?!” Gli fece. “Perché mai ti comporti in questa maniera? Perché mai continui a fare così?!”

Kenshiro seguitò a non dire nulla. Ma in quel suo silenzio vi era ben più di un'ammissione, oltre a un vago senso di consapevolezza mista a colpevolezza. Non poteva fare altro.

Si. Si sentiva colpevole, disonesto.

Ciò che aveva appena affermato suo padre Ryuken corrispondeva a verità. Alla più pura verità.

Era la verità sacrosanta, quella che era appena fuoriuscita per bocca del vecchio insegnante.

“Non puoi certo continuare in un modo simile” gli raccomandò quest'ultimo. “Se tu credi che sia un gioco, oppure uno svago...sappi che non é così. Non é affatto così. Questo non é un gioco, figlio mio. Siete ancora tutti e tre candidati. Tu, Raoul e Toki. Siete ancora tutti e tre in lizza per la successione. Ed é una battaglia senza esclusione di colpi. Non esiste altro posto all'infuori del primo. E non c'é un podio per chi arriva secondo. Chi non ce la fa...troverà l'oblio, ad attenderlo.” “Arrendersi alla realtà dei fatti” gli spiegò. “Oppure...morire. La pietà, la cortesia e le premure non sono ammesse, in nessun caso. Raoul stesso non esiterebbe ad ucciderti, se un simile atto dovesse servirgli ad ottenere e garantire la supremazia. Lo farebbe senza la minima esitazione, e non verserebbe nemmeno un lacrima sulle tue spoglie. E ti posso assicurare che per Toki sarebbe uguale, anche se a prima vista non sembrerebbe. Su quel punto é risoluto almeno quanto suo fratello maggiore, se non di più. Non ci penserebbe due volte, se si ritrovasse costretto a farlo. Persino Jagger lo farebbe, anche se non é minimamente alla vostra altezza. Ma é così pazzo e scriteriato che lo farebbe lo stesso, pur di ottenere il titolo. In particolar modo con te. Quello...quello ti odia, Kenshiro. Ti eliminerebbe con le sue stesse mani, se solo potesse. E se solo ci riuscisse. Ma sta pur certo che se gli capitasse anche solo un'occasione, non se la lascerebbe di certo sfuggire. E' disposto a tutto, pur di impedirtelo. A te più di chiunque altro. Potrà suonar strano, ma pare che sia proprio questo il vero motivo per cui cel'abbia così tanto a morte. L'origine del suo smisurato rancore. Sembra che sia ben conscio di non poter competere con i suoi due fratelli più grandi, sia dal punto di vista dell'abilità che della tecnica. E che quindi abbia deciso di rivalersi in ogni modo nei tuoi confronti per compensare il suo terribile complesso d inferiorità. Probabilmente pensa che se non é superiore almeno a chi gli sta sotto per età anagrafica, la sua vita valga meno di zero.”

“E' proprio il discorso che ti ho fatto in precedenza” precisò. “Quando un animale si trova con le spalle al muro attacca l'avversario che considera più debole, a suo giudizio. Anche se non é certo questo il tuo caso.”

Niente. Anche quest'ultimo sermone non aveva sortito alcun effetto, e non solo quello sperato.

L'ultimo dei suoi figli aveva deciso di perdurare a rimanersene trincerato dietro quella coltre di ostinato mutismo. Talemente risoluto da risulatre persino illogico, allo sguardo di un eventulae prossimo.

Anche Ryuken, dall'alto della sua mirabile placidità ricavata dalla saggezza, iniziò a spazientirsi.

Quella condotta stava iniziando a dargli davvero sui nervi.

“Kenshiro!!” Gli urlò contro. “Ti informo che io non vi sto allevando per passatempo o per puro compiacimento, sappilo! Ho addestrato voi tre, ed ognuno dei miei discepoli con lo scopo preciso di trovare tra voi il successore! E' questo, l'unico motivo per cui vi ho preso con me. Io non me ne faccio nulla di figli che vogliono soltanto fare i figli e basta! Non mi serve, tutto questo. E' chiaro? Non mi serve a nulla! E non posso tenere con me un figlio che non dimostra alcun interesse per quel che gli voglio tramandare! Se non ti importa nulla, dei miei insegnamenti...te ne puoi andare, anche subito. Non mi servi, così. Non mi servi!!”

“Ed ora...” lo esortò, “...sbrigati a rispondere a quanto ti ho chiesto. Dì, qualcosa! Ora! Oppure...vattene da qui, subito.”

“Padre” gli disse il ragazzo, senza minimamente scomporsi. Ma decidendosi finalmente ad aprire bocca. “Quel che avete appena detto...é tutto vero. E lo so bene. Sono a perfetta conoscenza, di come stanno le cose. Anche tra me e i miei fratelli maggiori. So tutto.”

“Ma, allora...” mormorò il vecchio, apparentemente confuso. “...Allora perché...perché continui a fare così. Ti stai forse...”

“No” fece il giovane. “Assolutamente. Non é come pensate. Non é assolutamente come state pensando. A dirla tutta...non saprei spiegarvelo con certezza, il perché io faccia così.”

“Forse...può essere semplicemente per pudore” rivelò subito dopo. “Forse può essere solo per questo. O magari perché, inconsciamente, temo di poter fare del male ai miei compagni di addestramento. Ed io...non voglio rischiare di ferirli o menomarli. Non voglio assolutamente che ciò accada. Proprio come ho detto io, e voi prima di me...sono e restano pur sempre vostri figli, proprio come me. E sono anche i miei stimati fratelli. I miei fratelli maggiori. Mi vi posso...vi assicuro che...”

Si prese una breve pausa, come a voler scegliere per bene le parole da dire, sotto agli occhi attenti e severi del suo anziano tutore. E la sfruttò per mettersi in ginocchio al suo cospetto.

Saggia decisione la sua, per certi versi. Aveva il sentore che da ciò che avrebbe sia detto che fatto da lì a poco sarebbe dipesa la sua permanenza dentro all'accademia.

Sarebbe dipeso il suo intero futuro. E forse...non solamente il suo.

“Vi posso assicurare che non era certo mia intenzione volervi ingannare, se é ciò che avete pensato. E se per caso l'ho fatto...scusatemi.”

La sua gamba destra si piegò, fino a toccare il pavimento con l'esatto punto in cui faceva angolo. Vi poggiò quindi sopra la mano corrispondente, in segno di pentimento e penitenza.

Non che avesse qualcosa di cui pentirsi o fare ammenda, ma in certi casi...meglio fare il primo passo per primi, onde evitare equivoci. Anche se si sa benissimo di non essere in torto di alcunché.

“Vi chiedo perdono” disse, con voce contrita.

“Rialzati, Kenshiro.”

Queste furono le parole di risposta, da parte del vecchio.

Il ragazzo si rimise in piedi.

“Rispondimi solo ad una domanda” gli fece Ryuken.

“Vi ascolto, padre.”

“Dimmelo con sincerità. Vuoi diventare il nuovo successore della Divina Arte di Hokuto?”

“Padre, io...”

“Vuoi diventare il sessantaquattresimo maestro dell'invincibile tecnica della nostra famiglia? Dimmelo, Kenshiro. Ora. Voglio sentirlo pronunciare direttamente dalla tua bocca.”

“Io...io...”

“Vuoi diventarlo ad ogni costo? Anche se questo potrebbe significare mutare e compromettere sia il mio destino che quello di tutti gli altri miei figli, nonché dei tuoi fratelli?”

“Padre, ma cosa volete dir...”

“Silenzio! E rispondi a ciò che ti ho chiesto. Vuoi diventarlo? Anche se il nostro destino cambierà? Anche se il destino di noi tutti potrebbe cambiare, e di conseguenza anche il tuo? Lo vuoi?”

“Io...si, padre. Lo voglio. Lo desidero con tutto me stesso. Come...come potrei non volerlo? Come potrei non desiderarlo con tutte le mie forze? Come potrei non desiderarlo più di qualunque altra cosa al mondo? Ci sono cresciuto, con i vostri insegnamenti. Alle volte...alle volte ho come l'impressione di esseci addirittura nato, in mezzo. Ho imparato la vostra tecnica sin da quando ero fin troppo piccolo per poter capire. Ma ho accettato tutto, senza battere ciglio. Anche se ammetto che non sempre ne comprendevo l'utilità. Rinunciare...Rinunciare al titolo significherebbe rinnegare tutto quello che ho vissuto fino ad ora! Sarebbe come...equivarrebbe a rinnegare la mia stessa vita, capite? Non posso fare a meno, di volerlo. Esattamente alla pari di tutti gli altri. Esattamente come il resto dei miei fratelli! Non ho altra scelta, padre! Non ho altra scelta oltre che questa, ormai!!”

Nel corso di queste ultime parole il giovane si era come infervorato. Ma, d'improvviso...recuperò la calma mostrata fino a quel momento.

“E comunque...so che non dipende da me” concluse. “Mi rimetto alla vostra volontà, padre mio. Confido nel vostro giudizio, e non ho modo di dubitare. E sappiate che rispetterò la vostra scelta, qualunque essa sia.”

Ryuken rimase a squadrarlo, con l'espressione ancora impassibile.

“Alzati, figlio mio” lo esortò, dopo qualche istante.

Il giovane si rimise in piedi.

“Riguardo a quel che hai detto prima...ti posso giurare che non l'ho mai pensato, neppure per un secondo” gli confidò. “Ma il tempo stringe, purtroppo. Ed io...non credo di averne più molto a disposizione, ormai. Ho bisogno di risposte, figliolo. Di risposte certe.”

Kenshiro lo fissò, sorpreso.

“Padre!” Gli disse. “Ma che...”

“Voglio finalmente conoscere la reale portata della tua forza” osservò Ryuken, interrompendolo. “Voglio saperlo. A tutti i costi. E se tu non vuoi mostramela di tua spontanea volontà...vorrai dire che sarò costretto ad utilizzare le maniere forti. Vorrà dire che lo chiederò direttamente al tuo corpo. E al tuo spirito.”

“Ed ora...attaccami” gli fece.

“Come...come dite?!” Gli domandò il ragazzo, sblordito da quell'inaspettata quanto fulminante richiesta.

“Coraggio...attaccami!” Ribadì il vecchio, usando un tono ancoe più insistente.

“Ma...ma padre, io...”

“Esiti, dunque? E va bene. Allora ciò vorrà dire che...ti attaccherò io. In guardia, Kenshiro. E tieniti pronto.”

“Ma...padre!” Obiettò suo figlio. “L – la vostra malattia...il cuore...voi...voi n – non potete...”

“Non pensare a quello, ora” gli ordinò perentorio il maestro. “Bada a te, piuttosto. E stà molto attento.”

Spalncò entrambe le braccia ed iniziò a muoverle, facendole roteare in senso contrapposto con gesti molto ampi, lenti e quasi solenni, tracciando una serie di cerchi nell'aria. Poi, dopo averle unite al centro del proprio corpo e per la precisione all'altezza del petto, le estese in direzione di colui che aveva di fronte.

E a quel punto, nell'istante immediatamente successivo a quell'esecuzione...accadde una cosa alquanto strana, a dir poco bizzarra. Per non dire assurda.

L'attimo dopo la sua figura sembrò sbiadire.

Si, fu proprio così. Sbiadì. Non vi era altro modo, per definire quel singolare fenomeno.

Fu come se la sua pelle, i suoi abiti, i suoi colri, i suoi contorni e persino i suoi lineamenti avessero di colpo perso qualsiasi consistenza e sostanza.

Ci si sarebbe potuto guardare persino attraverso, volendo. Proprio come se ci fosse potuti trovare alle prese con un'apparizione o un fantasma. Sempre ammesso e non concesso che avessero potuto realmente esistere.

Ma un vero maestro e custode della leggendaria tecnica di Hokuto deve imparare a non stupirsi mai e più di nulla. Poiché sono in verità ben poche le cose che un uomo impara fondo, nel corso della propria vita e prima di morire. E tra di esse...

Tra di esse c'é che TUTTO E' POSSIBILE.

Da quell'immagine quasi evanescente iniziarono da subito a dipanarsi una serie di duplicati sia a destra che a sinistra di essa, pressoché identici, che cominciarono a scorre per ogni dove in un moto continuo ed incessante.

Era incredibile. Sembrava una magia.

Sembrava davvero una magia. O un sogno.

Kenshiro guardò di sfuggita le immagini illusorie mentre gli stavano avanzando lungo entrambi i lati, a cortissima distanza. Si stava sofrzando con ogni mezzo di apparire pressoché impassibile, ma si vedeva fin troppo bene che era chiaramente confuso e disorientato.

Non poteva che essere un'allucinazione.

DOVEVA ESSERLO. Per forza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Come ve la passate?

Spero bene, tutti quanti.

Pare che pian piano il Lock – down si stia iniziando ad allentare.

E direi, aggiungo.

Posso portare giusto il mio esempio, ma in questi due mesi abbiamo continuato a lavorare, nel rispetto del protocollo di sicurezza sanitario. Con mascherina e quant'altro. E di contagi non ne abbiamo avuti.

Perciò, se ce l'abbiamo fatta noi...

Scherzi a parte, almeno tornare a lavorare é importante. E non solo per tenere impegnata la gente.

Se non ci si dà una mossa...molte imprese rischiano di chiudere, dopo un blocco così prolungato. E per sempre.

Rischiano di non riaprire mai più. E potrebbe scatenarsi un'emergenza ancora maggiore di quella con cui abbiamo fatto i conti fino ad ora.

Poi, una volta che si avrà riaperto tutto...starà a noi, gente.

Occorrerà responsabilità.

Se ci riversiamo tutti in strada come e peggio di prima ricomincerà tutto da capo.

Vedendo alcune immagini sui TG...dove si vedono animali a passeggio che parevano scomparsi da tempo...mi é venuto un pensiero assurdo.

Sarebbe bello se imparassimo a rispettarli. E a donare anche a loro un poco di spazio.

E di non costringerli più ad andare in giro di notte, quando l'uomo non c'é.

Ma mi rendo conto che é un'utopia.

Cambierà davvero qualcosa, nel nostro modo di porci rispetto al mondo e al resto degli altri esseri viventi?

Ne dubito. Tornerà tutto come prima, a mio giudizio.

Nessuno impara mai nulla, purtroppo.

Ma veniamo al capitolo.

Allora? Che ve ne pare? Vi sembra abbastanza stuzzicante, come idea?

Ma presumo che molti di voi, già dall'episodio scorso, avessero già capito dove si stesse andando a parare.

Ho voluto mostravi quello che nella serie non é mai accaduto. Ma che forse tutti avremmo voluto vedere, almeno per una volta.

Un bel combattimento tra Kenshiro e Ryuken.

Sono curioso di sapere che ne pensate.

Ed ora veniamo all'angolo dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore a Kuumo no Juuza e vento di luce per le recensione all'ultimo capitolo.

E una menzione particolare (e d'onore) ad una stimatissima collega, collaboratrice nonché amica (di penna) e musa ispiratrice per quanto riguarda una mia vecchia ed ancora oggi apprezzatisssima storia. La prima long che ho finito, da quando ho cominciato a scrivere su EFP.

Parlo di innominetuo, che ha deciso di fare il suo graditissimo ritorno e di recensire i primi tre capitoli.

A lei un grazie davvero tutto speciale.

Bene. Direi che é tutto.

Grazie ancora a tutti e...alla prossima!

 

 

See ya!!

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 5

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ryuken appariva divertito, a quella sua reazione.

Anzi...i TANTI Ryuken, visto che il venerabile maestro aveva scomposto sé stesso in decine e decine di immagini speculari, al punto da apparire perfettamente indistinguibili l'una dall'altra. E che andavano e procedevano senza sosta in ogni direzione.

Non si riusciva più a percepire la sua presenza, all'interno del piccolo cortile.

Sembrava sparito. Come svanito, oppure dissolto. O magari poteva aver iniziato ad espandersi fino al punto di abbracciare e circondare l'intero universo.

Pareva esser dappertutto. Ma anche in nessun luogo, al contempo.

Era una cosa inspiegabile.

Sorrisero tutti, all'unisono.

“Sei sorpreso, non é vero?” Disse, rivolgendosi probabilmente al ragazzo. Ma in quelle condizioni era difficile stabilire con chiarezza persino quello.

La sua voce echeggiava tutt'intorno, fino a far tremare e rimbombare le alte pareti. Ma dava anche l'impressione di provenire da un luogo sconosciuto, remoto. Da un luogo che non facesse parte di quel mondo, di quella realtà.

Sembrava giungere addirittura da un'altra dimensione.

“Consideralo un onore” continuò. “Il gesto di massimo rispetto che avrei potuto effettuare nei tuoi confronti. Un segno con cui voglio riconoscere appieno la tua abilità ed il tuo valore. Devi sapere che é una delle tecniche più potenti di cui posso disporre. Forse la più potente, in assoluto. E ho deciso di offrirtela. L'ho rivelata apposta per te. Si chiama HOKUTO SHINKEN SHICHISEI TENSHI.”

“Schichisei...tenshi?” Ripeté Kenshiro. “M – ma...ma é...”

“Si” Gli rispose il vecchio, precedendolo nelle parole. “E' una delle ultime tecniche della nostra scuola. Uno degli ultimi tesori, tra i meglio riposti. LA POSIZIONE DELL' ATTACCO AL CUORE SEGRETO DELLE SETTE STELLE. Il movimento che viene generato durante l'esecuzione di questo colpo é molto simile al moto ondoso dell'oceano. Di conseguenza é totalmente casuale quanto imprevedibile. Pur sforzandoti al massimo...non potrai in alcun modo intuire da quale direzione giungeranno i miei assalti.”

Era vero. Gli spostamenti sia delle gambe che dei piedi delle copie erano praticamente impercettibili. Era come se stesse scorrendo direttamente sul pavimento. Sembrava fluttuarci sopra.

Era pazzesco. Persino inquietante.

Il giovane guardò per una frazione di secondo verso il cielo. Come se lassù ci potesse essere una via di uscita. O come se da quel luogo, dagli spazi celesti potesse arrivare un insperato aiuto o una soluzione valida.

“Mh. Stai pensando di metterti in una posizione sopraelevata per meglio capire i miei spostamenti?” Gli chiese Ryuken. “Non funzionerà. Ho scelto volutamente questo luogo proprio per le sue dimensioni ridotte. La tecnica che sto usando dà il suo meglio negli spazi ristretti. Non ti potrai allontanare da me, e nelle condizioni in cui ti ritrovi non puoi neanche mettere un minimo di distanza. E se ti azzardi a tentare di saltare...ti intercetterò e ti colpirò non appena proverai a farlo. Non te ne darò nemmeno il tempo.”

“E' tutto inutile” aggiunse. “Non puoi fuggire.”

Aveva previsto tutto. Ogni cosa. O forse no.

Se davvero Kenshiro aveva avuto l'intenzione di fare quella mossa...doveva averla abbandonata da subito, rendendosi conto che non era assolutamente attuabile.

Né in quel momento, né in quel contesto.

“Perdonate la franchezza, padre” disse, con tono calmo. “Ma riguardo al fuggire...dovete sapere che non ne ho mai avuta l'intenzione. Nemmeno di fronte a voi. Piuttosto la morte. Raoul e Toki...i miei due fratelli maggiori non sono certo gli unici, a voler combattere ad oltranza e ad ogni costo.”

“Neanche io” annunciò. “Neanche io la conosco, la ritirata.”

Fece un respiro profondo e si piegò lievemente sulle proprie ginocchia, come a volersi rannicchiare su é stesso.

Lasciò quindi che il suo sguardo perdesse ogni punto di riferimento, fino a sfocarsi. Fino a far finire sullo sfondo ogni elemento che si trovasse dentro al suo campo visivo. E concesse alla sua mente di vagare libera, senza concentrarsi su nulla.

I suoi occhi stavano puntando decisamente verso il basso, in direzione di un punto pressoché imprecisato del terreno.

Non stava degnando il suo maestro della benché minima attenzione.

Appariva quasi presuntuoso a concedersi un simile lusso, nonostante il fare da parte di lui nei suoi confronti fosse dichiaratamente ostile.

La sua era un'esuberanza che poteva costargli caro. Parecchio caro.

Come ebbe malauguratamente ad accorgersi e a vedere pochi istanti dopo, quando notò che una delle immagini illusorie di Ryuken si stava dirigendo verso di lui con uno scatto fulmineo. E tentando un affondo con le dita della mano aperta.

Lo evitò per un soffio, con un breve balzo all'indietro.

Questa volta ne aveva chiaramente percepito l'intenzione assassina. Inoltre...stava mirando direttamente ai suoi punti segreti di pressione.

Non c'era più alcun dubbio, questa volta. Se mai ve ne fosse stato in precedenza.

Suo padre stava colpendo per uccidere. Per ucciderlo.

“I miei complimenti, Kenshiro.”

Le parole del suo maestro sembravano provenire anch'esse da un punto totalmente imprecisato del cortile. Al ragazzo parve di avere l'impressione di sentirla vibrare all'interno della propria testa.

“E' proprio come immaginavo” continuò la voce, imperturbabile. “Sei il primo che riesce a sfuggire a questo attacco. Tra i miei innumerevoli avversari...tutti coloro che tra essi hanno avuto l'onore di ricevere questo colpo sono morti al primo tentativo. Senza nemmeno riuscire a schivare.”

“Ma da te non mi aspettavo certo di meno” gli rivelò. “Solitamente, l'imprevedibilità di questa tecnica genera ansia e terrore in ogni nemico che si ritrova a fronteggiarla.”

Come dargli torto, dopotutto. Chiamare tecnica una cosa del genere era quantomeno riduttivo. Sfiorava l'insulto, a volerla dir tutta.

Un prodigio, ecco quello che sembrava. Un vero e proprio prodigio.

“Colui che la subisce si ritrova già sconfitto in partenza” continuò il vecchio, quasi intuendo lo stato d'animo che albergava nel corpo del giovane. “Il terrore lo assale, ed egli abbandona rapidamente ogni velleità di vittoria. Possiamo dire che si ritiene già morto ancora prima di finire ucciso per mia mano. Ma tu...nonostante il momento difficile riesci a mantenere la calma ed il sangue freddo. Nonostante la situazione sia per te critica. Questo é bene. E dimostri di possedere anche una notevole abilità strategica. Hai analizzato e saputo valutare istantaneamente ogni fase, ed hai scelto la contromisura che ritenevi più indicata. Anche se le tue conoscenze sono di sicuro inferiori alle mie, almeno per ora. Hai fatto di necessità virtù.”

“Bravo” commentò. “Bravo davvero. Sai usare i tuoi punti deboli a tuo vantaggio. Non é da tutti.”

Aveva ritenuto opportuno congratularsi con lui. Così come quest'ultimo aveva in egual modo ritenuto opportuno mettere bene ed ancora in chiaro un certo concetto.

“Ve l'ho già detto, padre” gli ribadì. “Non so sicuro che ciò che sto usando possa servire a qualcosa. Ma se davvero avete intenzione...se davvero avete intenzione di uccidermi, non me ne rimarrò qui ad attendere passivamente la fine. Combatterò e mi opporrò con tutti i mezzi di cui dispongo.”

“Una giusta osservazione, figlio mio. Devo darti ragione, anche se a malincuore. Perché mi duole dirti che la tecnica del COMBATTIMENTO SENZA PENSIERO non ti potrà essere di aiuto a lungo.”

HOKUTO SHINKEN MOUHSOOUH HINSATSU.

IL COLPO VINCENTE ALL'OMBRA SENZA PENSIERI.

Il suo anziano maestro ci aveva preso in pieno.

I COLPI SENZA PENSIERO. Una risorsa estrema. La sola ed unica possibilità contro contro un avversario di pari abilità, capacità e valore. Se non addirittura superiore.

Contro combatttenti di tale calibro era perfettamente inutile cercare di seguire le loro mosse con lo sguardo.

Erano troppo precise e troppo veloci. Al punto che, nel momento stesso in cui le si riusciva a scorgere, esse erano già andate irrimediabilmente a segno. Con effetti letali, nella maggior parte dei casi.

Era quindi più opportuno evitare di guardarli direttamente o di fissarli dritti negli occhi, nel tentativo di intuire i loro propositi.

Non si sarebbe ricavato né ottenuto nulla. Se non il solo rischio di far smascherare i propri, nel caso l'altro si fosse dimostrato altrettanto esperto.

Era meglio lasciar andare sia lo sguardo che l'attenzione alla deriva, concentrandosi piuttosto sulla propria aura combattiva e su quella del contendente. E al momento in cui sarebbero entrate inevitabilmente in contatto ed in conflitto, ascoltando e prestando orecchio ad ogni loro minima e possibile variazione.

Anche in questo caso, chiamarla tecnica era alquanto riduttivo.

Utilizzandola si entrava in una modalità di combattimento alquanto peculiare, e propria solo a chi praticava la Divina Arte di Hokuto ed aveva iniziato ad addentrarsi nei suoi segreti.

E tra questi segreti, appresi e sviluppati nel corso di duemila anni di storia e tradizione...vi era anche la convinzione che lo spirito vince e trionfa sempre, sulla materia.

Consisteva nel sentire, piuttosto che nel vedere.

Ma con la propria coscienza interiore, piuttosto che con i propri organi sensoriali.

Con l'anima, piuttosto che con il corpo. Che in quel modo finiva col reagire e rispondere in automatico a qualsiasi stimolo esterno. Specie a quelli comprendenti una qualunque minaccia.

I pugni, i calci, i blocchi e le schivate non erano più manovre elaborate e ragionate, ma reazioni istintive in replica ad una sensazione di imminente pericolo. Che poteva sostanzialmente provenire da qualunque cosa e da qualunque direzione.

Ogni indizio era utile. Che si trattasse di uno spostamento d'aria, una vibrazione delle membra o dell'epidermide, una goccia di sudore che cade al suolo, un improvviso mutamento o turbamento delle energie spirituali o anche solo una semplice quanto subitanea intuizione e basta.

In tale modalità non si spendeva nemmeno la frazione di secondo necessaria a prefigurare mentalmente il gesto. I tempi tra la sua elaborazione e la successiva risposta venivano praticamente azzerati.

Ci si affidava più alla memoria muscolare, che a quella del cervello, durante l'esecuzione di tali tecniche.

Un animale si comporta esattamente nella medesima maniera, pur con le dovute differenze.

Una preda si accorge immediatamente di un predatore, quando quest'ultimo invade il suo territorio. Eppure seguita a restare dov'é, placida ed indisturbata. Decide di rimanersene tranquilla, nonostante l'aggressione sia ormai imminente. E nonostante tutt'intorno a lei stia già scendendo un sinistro presagio di morte, accompagnato da un altrettanto sinistro quanto funereo silenzio.

In realtà non sta decidendo proprio nulla. E' il suo istinto, che sta agendo tramite lei.

L'erbivoro continua a brucare, anche se il cacciatore gli é ormai prossimo. Solo ogni tanto alza lo sguardo, per controllare che tutto proceda bene. Ma in realtà...nulla sta andando bene.

In cuor suo lo sa. Sa che là in fondo c'é qualcosa. Qualcosa che brama la sua carne viva e pulsante ed il suo sangue caldo.

Sa che laggiù...potrebbe esserci la sua fine. Che viene verso di lui, a larghe ed inesorabili falcate.

Sta per arrivare. Ma ancora non ha raggiunto la distanza critica. Il punto di non ritorno, oltre il quale la fuga verso la salvezza diventa impossibile. Persino il solo tentativo.

Una volta oltrepassato quel limite...non cé più scampo. Non si può nemmeno provare a scappare senza venire ghermiti e divorati all'istante.

Vita e morte in natura giocano su quel filo sottile. Più fragile della bava di un rospo o del filo di un'intricata ragnatela.

Lo fanno da sempre. Da quando esiste il mondo.

Ed anche per l'uomo era uguale. Nemmeno egli poteva costituire un'eccezione, al normale ordine delle cose.

Si narra ancora oggi che i primitivi, all'età della pietra, fossero dotati di capacità sovrumane.

Come il sollevare svariati quintali di peso con un solo braccio. Oppure riuscire a riconoscere la presenza di una belva feroce prima che questa apparisse. O a scattare rapidamente al sopraggiungere di qualunque fiera o nemico.

Se rimanevano sul posto anche un solo paio di secondi in più, avrebbero finito col soccombere. Alla pari di qualunque altro essere vivente che il creato aveva voluto designare come cibo a favore di altri ben più grossi e potenti.

L'uomo ha sviluppato un'intelletto sorprendente, nel corso dei secoli. E ha saputo piegare l'ambiente ai suoi scopi, obiettivi e desideri. Ma ha dimenticato una cosa importantissima.

L'uomo ha dimenticato il fine per quale é nato.

L'uomo domina il pianeta. Ma si tratta di un ben misero regno. Perché, nel profondo...

Perché nel profondo l'uomo nasce come PREDA.

E, dentro di sé...lo sa. Ne é perfettamente consapevole.

E forse il suo primo pensiero, nato nel nel momento stesso in cui si rese conto di aver ottenuto la capacità di formularli...fu proprio quello di AVERE PAURA. Mentre il secondo, originatosi nel momento immediatamente successivo, fu quello di avere bisogno di qualcosa con cui potersi DIFENDERE. Da solo, senza l'aiuto di nessuno.

Fu da quel preciso momento che nacque la lunga e gloriosa storia delle arti marziali. Un percorso durato quasi due millenni. Quasi quanto la storia stessa di colui che le ha ideate, ovvero l'uomo.

Un percorso che é iniziato nel medesimo istante in cui il genere umano ha iniziato a raccontare delle sue gesta ai propri simili, nel tentativo di tramandarle e conservarle. Un percorso che finisce e culmina con la Divina Scuola dell' Hokuto Shinken.

Era proprio questo ciò che si raccontava, quando si parlava di quegli antichi popoli ormai scomparsi. E da cui ha avuto origine l'uomo moderno e contemporaneo.

Razze completamente estinte. Ma non certo dimenticate. E comunque, mai del tutto.

Stirpi che ormai non calcavano il suolo terrestre da tempo ormai immemore, ma che non avevano smesso di esistere. Almeno nell'immaginario e nei ricordi collettivi delle genti. E ciò grazie anche alle innumerevoli leggende che avevano finito col sorgere sul loro conto, e sui miti che ne narravano le gesta.

Erano argomenti buoni per una novella da ascoltare mentre si stava seduti, rannicchiati ed in cerchio attorno ad un focolare, rimanendo al contempo gradevolente soggiogati dal chiarore e dal tepore della fiamma. Ma che erano in grado di lasciare ancora il segno. E di impressionare chi voleva, chi se la sentiva di prestare ancora il suo orecchio.

In fin dei conti...non ci si stanca mai di sentire una buona storia.

Questo si diceva, su quegli esseri incredibili. Che all'alba dell'umanità i suoi primi rappresentanti potessero far sfoggio di caratteristiche a dir poco fuori dal comune, eccezionali. Che fossero in grado di spostare pesi enormi usando un briciolo della loro reale forza. Che potessero sollevare una massa decine di volte più grande e pesante della loro. Esattamente come si dice che facciano le formiche, messe ad equivalente quanto debita proporzione.

Anche se un uomo dovrebbe valere sicuramente di più di una formica, pur mantenendo tutto il dovuto rispetto per ogni essere vivente.

Oppure che riuscissero a fiutare e capire quando un animale affamato della loro carne si fosse messo sulle loro tracce, in modo da poterlo evitare o seminare. Oppure di coprire vaste distanze nel giro di una frazione di secondo mediante una rapida corsa o un altrettanto rapidissimo balzo, verso l'alto od in lungo. Ed il tutto poco prima che potesse sopraggiungere qualunque calamità, in modo da raggiungere una posizione sicura dall'imminente pericolo. E proprio un istante prima che esso potesse apparire o palesarsi. O spesso addirittura nell'attimo stesso in cui faceva la sua comparsa. Ma a quei tempi persino un misero attimo poteva fare una differenza fondamentale. Perché avrebbe potuto costar loro la vita.

Quell'esitazione, quell'incertezza di troppo a causa della quale sarebbero inevitabilmente morti.

Tra le altre cose si diceva che non avessero bisogno di medicine, medicamenti o farmaci, visto che non erano ancora in grado di produrli.

La farmacologia, a differenza delle pratiche guerriere, non aveva iniziato a muovere nemmeno i suoi primi passi.

Le loro conoscenze scientifiche in tal merito erano scarsissime, per non dire inesistenti. Eppure, si raccontava che alcuni tra loro potessero addirittura guarire ferite, traumi, escoriazioni e malanni con il semplice tocco o imposizione delle proprie mani.

Tra i vari scopi per cui venne creata la Divina Arte di Hokuto c'era anche quello di recuperare queste funzioni primitive, arrivando così a sviluppare e ripristinare l'intero potenziale di un individuo.

Perché non si trattava certo di dotare le persone di facoltà o di poteri mistici, niente affatto.

Niente di tutto questo. Ma piuttosto di recuperare quelle antiche capacità che erano andate perdute con la civilizzazione e con l'avvento dell'era moderna.

Capacità che si trovano dentro ogni essere umano. E che sono e restano sempre presenti, anche quando sopite. Perché fanno parte della sua stessa essenza, e non può fare a meno di possederle.

Giuacciono come addormentate, sul fondo e nel profondo dell'inconscio.

Il potenziale che viene sfruttato dall'essere umano é, in generale, molto al di sotto delle sue vere possibilità.

La maggior parte della gente, nel corso della sua più o meno lunga esistenza, riesce ad impiegare circa il trenta per cento delle sue capacità reali. Ma i predestinati, mediante le tecniche del Divino Pugno dell' Orsa Maggiore, possono farlo.

Tramite questa disciplina é possibile arrivare ad impiegare anche le capacità latenti, fino a coinvolgere interamente anche il restante settanta per cento.

Quando, nel corso della storia, arriva un'epoca buia dove sorge una potenza oscura in grado di spazzare via vite, affetti, amicizie, popolazioni intere, qualunque cosa...un uomo deve essere in grado di ergersi sopra a tutti gli altri, per riportare l'ordine e la pace.

Per riportare la luce.

Perché il male...non muore mai.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ryuken tentò un altro affondo, e Kenshiro lo schivò ancora per un pelo. Questa volta compiendo un balzo di lato verso la parete di destra del muro.

Vi poggiò sopra un piede e vi si rannicchiò leggeremente contro con l'intera sua figura. Poi diede una breve ma piuttosto decisa spinta e, sfruttando i vecchi mattoni come un vero e proprio trampolino, si lanciò verso il basso per cercare di raggiungere quel piccolo lembo di cortile non ancora occupato dalle copie del suo avversario.

Non che gli ci sarebbe voluto molto, di questo passo. Le sue immagini si stavano continuando a sdoppiare e moltiplicare senza sosta fino ad invadere ogni spazio disponibile. E ben presto...ci sarebbero senz'altro riuscite, a farlo.

Non importava. Quel che contava davvero era di guadagnare almeno un attimo. Sia per respirare che per riflettere.

Un attimo che un simile frangente doveva risultare prezioso almeno quanto l'oro. O come l'acqua di un'oasi nel pieno deserto dopo una traversata lunga un'intera giornata.

Sentì qualcosa di estremamente caldo e denso colargli lungo la parte sinistra della fronte.

Era sottile. Doveva essere un rivolo. Ed era facile immaginare cosa lo componesse.

Prese a tastarsi ripetutamente in quella zona con le prime due dita della mano corrispondente.

Alcune gocce di uno scarlatto vivo sulle punte dei polpastrelli.

Suo padre lo aveva mancato davvero di un niente, anche questa volta. Ed il solo sfiorarlo di striscio era bastato a lacerargli la pelle.

Ma lo aveva messo in conto. Anzi...pensava peggio. Quel balzo di prima non lo aveva eseguito con l'unica intenzione di sfuggirgli. Lo scopo primario era un altro.

Voleva, doveva vederci assolutamente chiaro. E almeno in questo ci era riuscito, anche se aveva l'impressione che non sarebbe servito a migliorare la sua situazione. Né a modificarla.

Neppure di una virgola.

In ogni caso...aveva potuto osservare il suo maestro dall'alto, anche se solo per una frazione di secondo. E aveva fatto una scoperta interessante.

Si sentiva come un naufrago a bordo di una misera zattera in procinto di venire inghiottita da un gorgo gigantesco.

Può scegliere tra una fine rapida oppure lunga. Può scegliere se mollare la presa e affogare, oppure rimanere aggrappato e finire a schiantarsi contro la cintura di scogli sul fondale. Ma intanto che decide...può scoprire di possedere una terza scelta, anche se applicabile ad un periodo di tempo alquanto ristretto.

Può decidere di colpo di smetterla di concentrarsi sulla propria pelle e su quel che ancora gli rimane della propri esistenza, per rivolgere la sua totale attenzione al vortice stesso. Per scoprirne di più. Per scoprirne il più possibile nel breve tempo che gli resta, pur sapendo che non potrà mai condividere le sue scoperte con nessun altro.

Forse, in tal modo...potrebbe anche arrivare a salvarsi, addirittura.

Chissà.

Ritenere di essere già morti e di non avere più nulla da perdere. Magari, a decidere di voler fare così...la si potrebbe anche scampare.

Guardò le decine di copie in movimento dell'anziano monaco.

“E'...é come immaginavo” gli disse, semplicemente. “E' proprio come immaginavo. Il vostro...non é affatto un movimento casuale.”

“I miei complimenti, figliolo” fece Ryuken. “Mi sorprendi sempre di più. E mi stai rendendo sempre più orgoglioso di te, ad ogni istante che passa. Avevo ben ragione, io...avevo ben ragione di ritenerti così forte. Come ti ho detto prima...sei molto di più di quello che tu stesso pensi. E di quanto ti ostini a voler dare a vedere. Ti é bastato un attimo. Un solo attimo, per comprendere al volo ogni cosa.”

Il moto dei suoi duplicati sembrò rallentare, anche se impercettibilmente. Ma la cosa non sfuggì al suo giovane allievo, che parve rilassarsi leggermente.

Era come se sapesse di non dover temere altri attacchi. Almeno nell'immediato.

“Stà tranquillo” annunciò suo padre. “Non ci corre dietro nessuno. La lotta...la lotta é come una danza, Kenshiro. Come una tempesta. Hai suoi momenti di frenesia e di quiete. E queste due fasi si alternano e si mescolano, lasciandosi il posto l'una con l'altra. Continuamente.”

Frenesia e quiete. Tempesta e sereno. Reprimere ed esprimere. Bianco e nero. Luce e tenebre. Uomo e donna.

La danza dello Yin e dello Yang.

Sempre lì si torna.

Al mutamento. Che é origine di tutte le cose.

“Non ci corre dietro nessuno” gli ripeté. “Il nostro non deve per forza essere un combattimento furioso che dura pochi secondi. Si può anche prendere una pausa, e parlare. Ed é proprio ciò che faremo, tra poco. Ci sono alcune cose che voglio raccontarti, prima di continuare.”

Si prese un breve, brevissimo attimo. Poi riprese col discorso.

“Ciò che sto per dirti é il segreto sulla nostra arte di cui nessuno ti aveva ancora parlato. Devi sapere che i sette astri che costituiscono la nostra costellazione tutelare vengono anche definite LE SETTE STELLE DELLA MORTE. Da tempi immemori si vocifera che le stelle di Hokuto governano la morte. Ma non é questo l'unico motivo. Ve n'é altro, più recondito. Le sette stelle dell' Orsa Maggiore sono state scelte sin dal primo momento in cui fu creata e perfezionata la nostra arte prodigiosa perché rappresentano una cosa fondamentale. Sono state scelte perché si ricollegano agli angoli morti di un combattente.”

“Gli...gli angoli morti, dite?”

“Si, Kenshiro. Le sette stelle di Hokuto rimandano agli angoli morti che ogni individuo istintivamente mostra mentre si ritrova impegnato in un combattimento per la vita. E questa cosa vale per tutti. Sia per un guerriero che per una persona comune. Ogni mossa, ogni movimento che effettua in quel preciso momento contiene in sé sette angoli morti. E quando si é conoscenza di questo aspetto...si può essere in grado di ammazzare ed eliminare qualunque avversario. In altre parole...le sette stelle si possono trovare sia in cielo che sul corpo di chi stiamo affrontando. Sono le pietre miliari, gli ostacoli insuperabili che bloccano il nemico e lo invitano alla morte, vanificandone sia l'offesa che la difesa!!”

Il vecchio parve sul punto di infervorarsi, per un solo attimo. Poi tornò immediatamente calmo e compassato al pari di prima, se non di più.

“La nostra costellazione protettrice presiede e governa la morte” gli spiegò. “E di conseguenza anche chi pratica l'arte marziale di cui sono il simbolo, l'egida. Vengono chiamate anche le sette stelle della sventura. E con tutta probabilità, é proprio così che stanno le cose. Ti ho detto che ogni uomo, inconsapevolemente o meno, possiede i propri angoli morti. Essi rappresentano il punto, il momento in cui le sue barriere sono completamente abbassate e sguarnite. Ciò avviene di norma quando la paura lo costringe a reagire. La paura di venire uccisi, per l'appunto. Il desiderio di sopravvivere e la volontà combattiva diventano troppo forti perché si possa continuare a trattenerle. E si finisce quindi con l'attaccare impunemente, sprigionandole tutte quante in un colpo. O magari si cerca di proteggersi. Oppure si decide di schivare, o addirittura fuggire. E' indifferente. Indipendentemente da quel che si decide di fare...quel che conta prima di ogni altra cosa é la reazione. Poiché essa induce alla distrazione. Ci si fissa su di un'unica cosa e ci si dimentica di tutto il resto. In quel breve, infinitesimale attimo ci si ritrova totalmente e contemporaneamente sguarniti in sette punti diversi. E quello...quello é il momento proprizio. Il momento decisivo che noi di Hokuto sfruttiamo per piazzare le nostre tecniche micidiali. In particolar modo quelle rivolte direttamente agli Tsubo. I sette angoli morti si tramutano nei portali di accesso dove convogliare la nostra forza spirituale, dopo averla raccolta, concentrata e guidata all'interno del nostro stesso organismo. Le direzioni cardinali dove indirizzarla. Poichè é proprio da lì, da quegli angoli morti che la inviamo ai punti segreti di pressione collegati ai meridiani del corpo umano. E correlati ai principali centri nervosi ed organi vitali. Grazie ai quali possiamo controllare o distruggere le membra dell'avversario, a seconda della nostra volontà. Hai capito, ora?”

La lezione doveva essere terminata. Infatti, non appena ebbe finito di parlare, le sue copie ripresero a spostarsi e a muoversi per ogni dove fino ad occupare l'intero chiostro. Fino ad occupare anche le ultime zone rimaste libere, in modo da precludere e bloccare ogni possibile via di fuga.

E forse era proprio questo, ciò che doveva avere in mente. Soprattutto vedendo ciò che iniziò a fare subito dopo.

Gli assalti ripresero particamente all'istante. E se mai fosse possibile iniziarono a farsi sempre più frenetici ed intensi, cominciando a provenire da più direzioni in simultanea.

Non si fermava più. E non si sarebbe più fermato, con tutta probabilità. Almeno fino a quando...

Almeno fino a quando non lo avrebbe fatto giacere a terra morto, come minimo.

Ormai la sua volontà di uccidere era più che evidente. Gliela si poteva percepire con chiarezza negli occhi, negli spostamenti impetuosi, nei movimenti serrati e nei colpi che sferrava.

Kenshiro era sempre riuscito ad evitarli di un nulla, fino ad adesso. Ma era l'unica contromisura che poteva apporre, e che aveva saputo escogitare.

Cercare di difendersi, arretrando e spostandosi di lato. Non poteva fare altro, in quel momento.

Non gli riusciva di capovolgere i fronti. E nemmeno di prendere l'iniziativa. E l'offensiva da parte del suo maestro si stava facendo via via sempre più incisiva ed incalzante col trascorrere dei secondi e dei minuti. Entrambi talmente lenti ed eterni da sembrare ore.

Suo padre aveva perfettamente ragione. Non sarebbe durato a lungo, così.

Doveva fare assolutamnete qualcosa, o per lui sarebbe stata la fine.

Ma...cosa?

Cosa avrebbe potuto fare?

Come si può colpire un avversario, quando l'avversario stesso NEMMENO ESISTE?

“E' tutto inutile” lo avvertì Ryuken, che dovette percepire con estrema chiarezza il suo sconforto. “Non potrai riuscire a schivarli in eterno. Ti informo che la quintessenza della tecnica che sto usando consiste proprio nel portare l'avversario nelle condizioni di esporre automaticamente i propri angoli morti. Inutile chiederti se hai badato ai movimenti sia miei che dei miei doppi, visto che te ne sei già accorto e me ne hai dato pronta conferma tu stesso.”

Il ragazzo annuì, senza parlare. E continuando a non guardare.

“Bene” gli fece il vecchio. “Hai già notato per conto tuo che i nostri spostamenti stanno formando la costellazione dell' Orsa Maggiore. E che stanno seguendo la disposizione delle sette stelle che la compongono. Senza rendertene conto...stai seguendo un percorso obbligato. Sin da quando é iniziata la nostra sfida. E ti ho di fatto costretto io, a seguire questo percorso. Una volta che un avversario si ritrova coinvolto in questo tipo di attacco, non ha praticamente più alcuno scampo. A maggior ragione se si tratta di uno appartenente alla nostra scuola. Perché, visto che si sta parlando di tecniche di Hokuto...sappi che il colpo che sto utilizzando trae la sua massima efficacia proprio in situazioni come questa. Si dimostra ancora più efficace se applicato contro uno che pratica la Divina Arte. Perché noi, in battaglia, tendiamo a muoverci disegnando nello spazio il gruppo di stelle che ci rappresenta. E che ci é proprio.”

Seguirono quindi altri due fulminei affondi. Col secondo che strappò di netto al discepolo una ciocca dei suoi capelli nero corvino.

“Non c'é niente che tu possa fare. Per quanto tu ti possa sforzare, il tuo istinto verrà irresistibilmente attratto dalla tua costellazione di riferimento. Che é proprio quella che sto tracciando io, col mio corpo, insieme a tutte le altre mie immagini illusorie. Il SHICHISEI TENSHIN é stato ideato proprio per questo. E' la tecnica segreta che i maestri detentori dello stile Hokuto Shinken usavano per punire gli allievi ribelli o scomunicati, qualora utilizzassero il Divino Pugno in modo indebito o indegno. O nel caso continuassero ad usarlo, nonostante gli fosse stato imposto il veto. E sempre con questo colpo liquidavano i successori o aspiranti tali che non si dimostravano all'altezza. E' la tecnica che la Divina Arte di Hokuto ha creato per DISTRUGGERE SE' STESSA, in caso ve ne fosse il bisogno o la necessità.”

Nonostante la gravità delle parole appena enunciate e nonostante la furia dei due precedenti attacchi, il tono del monaco rimaneva pacifico e conciliante. Sembrava avesse ripreso la lezione interrotta in precedenza.

Il sermone non era ancora terminato, dunque. Ma lo sarebbe stato ben presto, senza alcun dubbio. E allora...

Allora sarebbe stato ben facile intuire come sarebbe andata a finire.

“E' così che stanno le cose” asserì, dando pienna conferma di quello che ormai doveva apparire come l'esito più che scontato di quello scontro. “E' proprio come ti ho appena detto. Una volta accerchiato e messo sotto assedio, l'avversario che subisce questo colpo non può fare altro che dirigersi inavvertitamente al punto designato, dove svelerà i suoi angoli morti. E tu...tu sai bene qual'é il punto di cui parlo, non é vero?”

Il viso del ragazzo rimase impassibile ancora per qualche istante. Poi assunse un'espressione sorpresa e sbigottita al tempo stesso.

Sembrò quasi sul punto di sbiancare, come in preda ad una subitanea quanto sconcertante rivelazione.

“La...la stella...” balbetò convulamente. “...P – padre, v – voi intendete dire l – la stella...la stella della...”

“E così, figliolo. Guarda il cielo, ora.”

Kenshirò esitò.

“Cosa ti prende?” Gli domandò suo padre. “Coraggio, fallo. Non sfrutterò di certo il tuo attimo di distrazione per attaccarti, se é questo ciò che temi. Ti do la mia parola.”

I tanti Ryuken estesero il braccio destro e puntarono il dito indice verso l'alto, in un eloquente invito. Ed il giovane decise di obbedire.

Guardò a sua volta, seguendo con gli occhi la direzione mostrata dalle molteplici dita.

Eccola.

Eccola là. Era già apparsa con l'avvicendarsi delle prime ombre che indicavano l'ormai imminente sopraggiungere della notte.

ALCOR.

LA STELLA DELLA MORTE.

Così veniva chiamata. E con reverenziale quanto ancestrale timore. Sia a nominarla che a sentirla nominare.

La piccola luce che brillava vicino al penultimo astro del Grande Carro. Due stelle talmente appaiate da sembrare una sola. Ma che una sola non lo erano affatto.

Purtroppo.

La stella che di consueto, secondo un'antichissima leggenda, viene adibita a segnalare una dipartita imminente.

Quella che di solito vedeva chi era destinato, per un motivo o per l'altro, a lasciare molto presto questo mondo.

Il suo trapasso, dal preciso momento in cui egli riusciva ad avvistarla, poteva avvenire in qualunque istante. Entro la fine dell'anno, del mese o della settimana corrente. O addirittura entro la fine della stessa giornata. Nessuno, nemmeno tra i più grandi sensitivi o indovini, era in grado di poterlo stabilire con chiarezza.

Una sola cosa era certa, quando diventava visibile.

Più che certa, quando accadeva che la penultima stella finiva con non essere più una, ma risultavano due ben distinte.

E cioé che la sua comparsa equivaleva ad avere il proprio destino irreversibilmente segnato.

No vi era ne vi poteva essere alcun più futuro, per lo sventurato in questione.

“La trappola é ormai scattata” sentenziò l'anziano maestro. “Non ti resta che una cosa sola, da poter fare.”

Kenshiro seguitava a ad evitare i suoi occhi. Dovunque si trovassero in quel momento, sparsi tra le innumerevoli repliche. Ma le su orecchie rimanevano ben tese e all'ascolto, pronte a captare il più flebile suono o rumore.

“Sappi che esiste una sola tecnica, in grado di contrastare il mio attacco.” gli disse suo padre.

“E...e quale sarebbe?” Gli chiese il ragazzo.

“Non posso rivelartela” gli confidò il vecchio. “Dovrai arrivarci da solo. Io non posso aiutarti in alcun modo. E nemmeno posso insegnartela. Dovrai arrivarci per conto tuo.”

L'espressione di suo figlio si fece stupita.

“C – cosa?!” Esclamò, incredulo.

“Ci devi arrivare per conto tuo. Ti ho posto in una situazione senza alcuna via di uscita. Ma se sarai capace di venirne fuori...allora forse potrai acquisire una consapevolezza nuova. Qualcosa che ti sarà molto utile, in futuro. E quello di cui ti sto parlando...é proprio la tecnica con cui si può sconfiggere LA POSIZIONE DELL' ATTACCO AL CUORE SEGRETO DELLE SETTE STELLE.

Ma nessuno può mostrartela. Neanche io. Devi trovarla da te. Osservando quel che sta succedendo dentro e intorno a te, e scavando nel profondo del tuo essere. Devi attingere alle tue risorse più recondite. Ma se non ce la farai, e non riuscirai a capire quel che che vedrai e scoprirai...allora non ti spetterà che la morte. Devi farcela, altrimenti...per te sarà la fine. Riuscire, o morire. Non avrai una terza possbilità.”

“Ma stà molto attento” lo ammonì. “E qualunque cosa tu decida di fare...cerca di farla in fretta. Molto in fretta. La mia danza sta per volgere al termine. E' giunta alla conclusione.”

Non appena ebbe concluso con le parole i suoi doppi scattarono tutti in avanti contro l'avversario, con un movimento estremamente rapido e perfettamente simultaneo, scagliandoglisi addosso.

Kenshiro si rattrappì su sé stesso, preparandosi all'impatto e cercando di offrire la minor superficie vulnerabile possibile.

Ma il ripetutivo quanto angoscioso interrogativo continuava a turbinare e vorticare senza pace dentro alla sua mente.

Che cosa mai avebbe potuto fare?

In quale modo avrebbe mai potuto reagire, se nemmneo sapeva da quale direzione sarebbe sopraggiunto il colpo assassino?

Cosa poteva risultare anche solo efficace , in simili condizioni? Quale tecnica?

Come poteva opporsi?

Poi, d'un tratto...un brivido.

Una sorta di acuta scossa elettrica gli attraversò la zona compresa tra il retro del padiglione auricolare destro e la parte più sotto del collo, proprio di fianco alle prime due vertebre cervicali per arrivare fino alla base della nuca.

Alle sue spalle.

Ora.

“ATAH!!”

Mollò un violentissimo colpo di rovescio, effettuato col dorso della mano, e girandosi di quasi centoottanta gradi con l'intero corpo per imprimere una potenza ancora maggiore.

Non poteva fallire. Eppure...

Eppure non colpì che l'aria.

Il suo pugno era andato a vuoto. Anche se...

No, non era così. Non aveva fallito. Anche se quella era stata la sua prima e chiara impressione.

Non sentiva più alcuna minaccia provenire da dietro di lui.

Aveva sventato l'attacco.

“Davvero incredibile.”

Si voltò di nuovo in avanti.

Le copie del suo mestro continuavano a muoversi, a spostarsi e a fondersi tra loro per poi ricrearne di nuove.

“Mi voglio congratulare con te” gli fece. “Sei il primo, che resiste a questa tecnica. Ma nessuno ha la stessa fortuna due volte. Farai meglio a prepararti, perché il mio prossimo colpo andrà a segno.”

Kenshiro emise un sospiro, profondo e prolungato.

“Allora...” disse, “...farò in modo di non impedire che avvenga.”

Abbassò completamente il braccio sinistro, che si trovava in posizione avanzata, fino a portare la mano all'altezza della coscia. Poi, dopo aver arretrato quello opposto insieme a tutto quanto il fianco corrispondente, lo caricò fin dietro la testa, chiudendolo a pugno e tenendolo pronto a colpire.

Un attacco preparato. Premeditato.

Telefonato, sarebbe venuto da dire. Peccato che non era buona nemmeno come battuta.

Non faceva nemmeno ridere, visto cosa e quanto vi fosse in ballo.

Un'autentica idiozia, ecco ciò che stava facendo.

Una mossa assurda. Stava di fatto dichiarando apertamente le proprie intenzioni ad un contendente di cui non era in grado di intuire le mosse. Men che meno di contrastarle.

Un vero e proprio suicidio. O, peggio ancora...una presa in giro.

L'intero esercito di Ryuken spalancò i propri occhi, con fare stupefatto.

“K – kenshiro!” Esclamò. “T – tu...tu stai esponendo volontariamente i tuoi angoli morti!!”

“Si, padre” fu la risposta.

“T – tu...tu ti rendi conto di quello che stai facendo? Sei...sei uscito di senno, forse?!”

“Affatto. Ma mi rendo conto di non essere riuscito a trovare la tecnica di cui parlavate. Non ho idea di che cosa si tratti. So di avervi deluso. Ma voglio ugualmente vincere, nonostante tutto. E se non metto in gioco la mia vita...non potrò riuscirci.”

“...Capisco. Ammiro il tuo coraggio. E anche la tua forza di spirito. Ma mettere in gioco la tua vita non ti basterà. Rinunciarvi non é sufficiente, per sconfiggere il mio colpo. Bisogna andare oltre la vita stessa!!”

“Cosa...cosa volete dire, padre?”

“Basta parlare, figlio mio. Ora ti attaccherò di nuovo. E questa volta non ti lascerò scampo. Non mi sfuggirai.”

“E allora attaccatemi, forza. Io non rinuncio. E non fuggo.”

Gli fece un cenno con le prime due falangi della mano chiusa a pugno, dopo averla girata su sé stessa.

Sono qui che vi aspetto” lo invitò. “Fatevi sotto.”

I duplicati ricominciarono a fluttuare e a slittare sul pavimento, per poi confluire verso un unico e comune obiettivo. Per l'ultima volta.

Decine e decine di mani esplosero in una miriade di colpi.

Il giovane allievo se le sentiva già su di sé. Sul punto di piombargli addosso come le gocce di pioggia di una tempesta di proporzioni a dir poco ciclopiche.

Ma non le stava guardando. Non osava farlo.

Volgere lo sguardo su di esse non avrebbe significato che una sola cosa. Una soltanto.

La morte. Certa ed inevitabile.

Doveva attendere. Resistere e pazientare.

E fu proprio allora che lo sentì. Lo percepì in modo chiaro e limpido, Fin troppo.

Una nuova, pungente scossa.

Di nuovo quel brivido. Questa volta nella zona compresa tra il petto e la sua carotide, entrambi pulsanti.

Fece un rapidissimo mezzo quarto di giro in quella direzione, e...

La vide.

O, meglio...le vide.

Non c'era tempo da perdere. Non c'era davvero più tempo.

Fece partire il suo destro. Di puro impulso. Senza mettersi a sprecare nemmeno mezzo secondo per ragionare e mirare.

Così. Di puro istinto. Che era la sola cosa che gli era rimasta, e su cui poteva fare affidamento.

“ATAH!!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le punte delle quattro dita erano posizionate in verticale e a perpendicolo, rispetto al terreno. Ed erano conficcate in pieno sterno, all'altezza del plesso solare. Ed in corrispondenza di uno degli tsubo più letali.

Il colpo affondato da suo padre lo aveva raggiunto nel torace, immergendosi in esso fino a toccare il punto segreto di pressione collegato al centro vitale in prossimità del cuore.

Non una sola goccia di sangue era stata versata, o ne era scaturita fuori.

E con tutta la probabilità non sembrava aver provato il benché minimo dolore. O forse, più semplicemente...non aveva fatto nemmeno in tempo a sentirlo, o ad aver modo di rendersene conto.

Seguì con gli occhi le quattro lunghe falangi, fino alle loro attaccature. Fino al preciso pu to in cui confluivano nel dorso. E fu allora che si accorse che il suo palmo sinistro vi era poggiato sopra.

Doveva aver eseguito quel movimento basandosi unicamente sui propri riflessi, senza nemmeno guardare. Ed era quasi riuscito a bloccare l'attacco da parte di colui che era suo tutore e maestro.

Soltanto quasi, però. Non del tutto, malauguratamente.

Risalì quindi con la vista lungo tutto il braccio, vino ad incrociare di nuovo il volto del vecchio. Ed i suoi occhi, finalmente.

Li fissò a lungo.

Era...strano. Il monaco appariva visiblmente stupefatto.

A Kenshiro bastò spostare le pupille e mettere a fuoco la parte sinistra del suo volto, appena sopra la candida e folta barba, per rendersi immediatamente conto del motivo di tale smarrimento.

Il suo braccio destro.

Il diretto che aveva sferrato lo aveva sfiorato sulla guancia. Causandogli uno sfregio lungo tutta la guancia, da cui fuorisciva una copiosa stilla color rosso acceso.

Oltre a questo, le immagini illusorie sembravano totalmente scomparse.

“Padre...” gli disse, con un filo di voce.

“K – Kenshiro...” gli rispose Ryuken, visibilmente sconvolto. “T – tu...tu avevi...tu avevi escogitato tutto quanto di puro proposito, non é cosi? Era...era questo che avevi...che avevi in mente sin dall'inizio, dunque?”

“...E'...é esatto, padre. Perdonatemi, se potete. Ma...vi devo correggere. Non ho esposto volutamente i miei angoli morti. Ne ho creato uno solo. Li ho fatti confluire in un unico angolo morto.”

“T – tu...tu lo hai fatto apposta! Ma certo! Come...come ho fatto a non capirlo prima?”

“Ho creato un corridoio, un passaggio obbligato che vi ho costretto a percorrere. Se volevate raggiungermi e colpirmi, potevate passare solo da lì. Ed io...io vi ho atteso al varco. Non sono riuscito ad interpretare adeguatamente i vostri movimenti, e nemmeno ad intuire da quale direzione potessero provenire i vostri colpi. Ma una cosa...una cosa l'ho capita. Nel momento stesso in cui avete attaccato, siete uscito allo scoperto. Per riuscire a portare a segno il colpo decisivo...dovevate per forza esporvi. Non avevate altro modo. Ed io...io ho voluto puntare tutto su quell'unica occasione. Sapevo che non ne avrei avute, di ulteriori.”

“E'...é davvero incredibile” ammise il suo insegnante. “Ti...ti voglio rinnovare i miei complimenti, figliolo. Non solo sei il primo ad essere sopravvissuto alla mia tecnica, ma...ma sei anche l'unico che sia riuscito a restituire un colpo. Non hai potuto intuire le direzioni degli attacchi che ho eseguito mentre ero impegnato con questa mossa, eppure...sei riuscito a scamparla. Nessuno era mai riuscito a ferirmi, mentre utilizzavo il Shichisei Tenshin. Ed inoltre...inoltre lo avevi quasi sventato. Ma...mi dispiace per te. Come ti dicevo prima...non é stato sufficiente. Mi dispiace davvero.”

Già. Era vero, purtroppo. Non era bastato.

La sua mano sinistra aveva deviato l'attacco di pochissimi millimetri, rispetto alla direzione originaria. Giusto quel margine infinitesimale necessario a salvargli la vita. Se non fosse stato per quello, sarebbe morto sul colpo. I suoi organi interni sarebbero finiti in pezzi, causando un'emorragia letale.

Così facendo aveva attenuato gli efffetti. Ma senza riuscire a bloccarli del tutto, però.

Dopo pochi istanti percepì un tenue calore irradiarsi ed espandersi nella gabbia toracica, tra le costole. Il segno inequivocabile che l'energia spirituale del maestro, dalle dita che erano penetrate dentro di lui per alcuni millmetri, si stavano facendo strada dentro al suo corpo, fino a raggiungere il punto segreto di pressione per poi attivarlo.

Cercò di concentrarsi su quella sensazione, su quel'energia che scorreva, in modo da tentare di assoggettarla e controllarla.

Era la cosiddetta tecnica di emergenza, da utilizzare in casi estremi e quando ci si trovava in pericolo di vita. Ma non era detto che funzionasse. Non se l'avversario che stava provando a danneggiare in modo permanente i suoi tsubo era il sommo Ryuken. Oppure uno dei suoi fratelli maggiori. Ma da solo non era certo un buon motivo per desistere.

Dopotutto...cosa gli era rimasto da fare?

Cosa aveva da perdere?

Mai abbandonare. Mai arrendersi. Neanche lui conosceva la ritirata.

Cerco di connettere quella corrente impetuosa che sentiva dentro di sé alla propria, di entrarci in sintonia. Cercò di sintonizzarsi sulla stessa frequenza di vibrazione, e di ridurre l'impetuoso fiume che era in procinto di travolgere ogni cosa ad un semplice affluente, un pigro rigagnolo.

Voleva, doveva deviarlo, controllarlo. Cercando di interferire il meno possibile, perché era un'operazione la cui delicatezza e fragilità equivaleva a quelle impiegate di norma per disinnescare un ordigno ad orologeria.

Aveva una bomba, dentro. In procinto di esplodere da un momento. E in casi come quello...bisogna saper scegliere e tagliare i fili corretti.

Intervenire direttamente sul flusso significa farlo scatenare seduta stante. Con tutte le tragiche conseguenze del caso.

Lo seguì con la mente, cercando di farlo passare senza permettergli di stazionare in un punto ben preciso. E prestando attenzione anche al dolore che iniziava a far capolino e che iniziava ad aumenteare di più, sempre di più, altrimenti non sarebbe riuscito a sopportarlo.

Doveva portare il tutto verso il punto di fuga. Lo stesso usato dalle onde elettromagnetiche per fuoriuscire dall'organismo dopo essersi immesse dal lato destro, seguendo l'asse di inclinazione e rotazione terrestre del globo terracqueo, ed averlo attraversato per intero.

Non vi riuscì, purtroppo. E se ne rese conto con estremo rammarico. L'energia del suo maestro era troppo potente perché potesse riuscire a neutralizzarla.

Un velo nero e pesante gli cadde sulle palpebre mentre sentiva le gambe farsi molli per poi diventare subito di dopo della consistenza del piombo solido, insieme al resto delle membra.

Non ce la faceva più a reggersi in piedi.

“P...padre...” mormorò.

Fu la sua ultima parola. Stramazzò a terra disteso, senza emettere più un solo suono o lamento.

Aveva perso i sensi. Ma farlo nel bel mezzo del combattimento equivaleva ad una condanna capitale. Senza la benché minima possibilità di appello.

Nonostante fosse rimasto privo di conoscenza, Ryuken riprese a discorrere.

“Il nostro é un combattimento all'ultimo sangue” specificò, con un sospiro. “E quindi solo la morte lo concluderà. Lo stabilisce il codice. Un duello come il nostro deve per forza terminare con la dipartita di uno dei due contendenti. Chi muore ha perso, Kenshiro. Perciò...ora ti attaccherò di nuovo. Il fatto che tu sia svenuto non ha alcuna rilevanza.”

“Spero...prego che tu sia riuscito a sentirmi ugualmente.” concluse.

Prese a scindersi e a sdoppiarsi di nuovo. E quetsa volta i suoi replicanti, veri o fittizi che fossero, puntarono tutti quanti decisi verso il corpo esanime del ragazzo senza alcuna esitazione, nenabche minima.

Non c'era più nulla, a trattenerlo o bloccarlo.

Le sue molteplici mani gli calarono sopra come quelle di un guaritore o di un taumaturgo in procinto di effettuare un'imposizione di stampo miracoloso. O quelle di un sacerdote sul punto di rivolgere l'estrema unzione.

Ma non vi era nulla di munifico o benefico, in ciò che stavano e che stava facendo il suo legittimo proprietario. E nemmeno di magnanimo.

Stavano per dare il colpo di grazia. Il colpo decisivo ad una persona inerme.

Nessuna pietà. E' la legge.

Da sempre. E ciò che stava accadendo non costituiva certo un'eccezione. Non poteva costituirla.

Nemmeno quello. Anzi...a maggior ragione quello.

Quel che andava fatto doveva essere fatto.

Fino in fondo.

Fino alla fine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Come va? Spero bene.

La fase di Lock – Down si é ammorbidita un poco, anche se sia la regione che la città dove vivo io rimangono sorvegliate speciali.

Rispettivamente Lombardia e Milano, nella fattispecie.

Sembra che il peggio sia passato. Poteva essere gestita meglio? Sicuramente, a parer mio.

Adesso molto dipende da noi. Ma le avvisaglie sono tutt'altro che buone.

E poi abbiamo il coraggio di fare la morale ai paesi del Nord Europa, che ci criticano.

E fanno bene, gente. Dovremmo solo chiuderci la bocca, quando parliamo di loro.

Perché non ne siamo degni, ecco la verità.

Amo il mio paese, ma ritengo che molti di noi lo vedono come unica realtà possibile,

Danno per scontato che sia così in tutto il resto del mondo.

Quando tutto sarà finito...provate a fari un giro in Belgio, in Olanda, in Danimarca o in Svezia, se potete.

Basta poco. Il biglietto di un treno.

E rendetevi conto di cosa significa vivere in un paese che é anni luce davanti al nostro. Dove tutto funziona e arriva in orario, si rispetta l'ambiente e le città in cui si vive ma soprattutto la propria nazione, e i cittadini seguono le regole senza lamentarsi o trovare scappatoie per aggirarle.

E' tanto difficile seguire le regole? Pare di si. Almeno per noi.

Ma non dispero. Un giorno ci riusciremo a rendere questo paese vivibile.

Siamo un grande popolo. Lo dimostra il fatto che siamo ancora qui, e abbiamo resistito a tutto.

Anche se stavolta é dura. Si prospetta una crisi senza precedenti, che metterà in ginocchio migliaia di persone.

Ma ce la faremo.

Però...ricordiamoci che non si può passare la vita intera a resistere e basta.

Bisogna anche VIVERE, prima o poi. Bisogna imparare a farlo.

Ora veniamo all'episodio.

Qui avviene finalmente il combattimento che forse tutti noi avremmo voluto vedere, almeno una volta. Ma che per ovvie ragioni non si é mai svolto.

Kenshiro vs Ryuken.

Ovviamente, la cosa mi ha gasato all'inverosimile e mi sono scatenato.

Ed é stato davvero emozionante, lasciate che ve lo dica.

I combattimenti sono il mio pane. Scriverei solo di questo!!

Mi esaltano, queste cose. E se avete letto la mia storia su Joe, ve ne sarete senz'altro accorti.

Qui ho riprovato le medesime sensazioni.

E cioé di trovarmi in prima fila ad assistere a un duello sensazionale, di cui avevo l'onore di fare la telecronaca.

Ho anche cercato di fornire una spiegazione scientifica del funzionamento degli Tsubo, almeno secondo l'ottica della Divina Arte di Hokuto.

Mi sono basato sul Dim Mak e sul Qin – na, le discipline cinesi che sfruttavano i punti vitali del contendente per effetuare colpi micidiali e dagli effetti letali.

Ed infine ci ho aggiunto un pizzico di farina del mio sacco.

Spero vi piaccia, insomma. Ma ancora non é finita, sappiatelo!

Come farà Kenshiro a salvarsi?

Da come la vedo io...esiste un solo modo. Immagino sappiate già quale.

Veniamo ora al consueto angolo dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore a Kuumo no Juuza, vento di luce e Innominetuo per le recensioni all'ultimo capitolo.

Ed un grazie ed un bentornato anche a Devilangel476 per la recensione, oltre che del quarto, anche dell'episodio precedente.

Bene, credo sia tutto.

Un grazie ancora a tutti e alla prossima!!

 

See ya!!

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 6

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il suo bolide a due ruote, sette marce, quattro tempi, duemila di cilindrata e più di quattrocento cavalli si trovava lì poco distante ad attenderlo, rombante.

Il motore in folle ed a basso regime stava emettendo una sorta di borbottio sommesso dal ritmo regolare ed uniforme.

Più una moto pareva una bestia feroce in procinto di scatenarsi. Bastava solamente scegliere l'attimo giusto per slegarla.

In quel senso sia lei che il suo proprietario erano simili, molto simili. E se é vero che una animale sceglie il suo degno padrone, una volta addomesticato...

Quel ronzio era il segnale, comunque. Meglio affrettarsi a rispondere.

Jagger si avvicinò con l'intento di girare la manopola di destra per dare gas.

La sua mano destra, coperta come la collega da un guanto nerissimo con quattro borchie di titanio in corrispondenza delle nocche ed una feritoia rettangolare all'altezza del dorso, si precipitò al manubrio. Lo strinse deciso dopo averlo afferrato e lo torse in avanti, con un lento ma costante movimento in senso orario.

Per tutta risposta la moto emise un rombo possente, simile ad un ruggito, mentre una grossa e densa fumata grigiastra fuoriuscì dalla coppia di tubi di scarico gemelli posti sul retro quasi in simultanea. Quasi a voler accompaganare sia il gesto che il rumore.

Sogghignò soddisfatto.

Un gioiello. Un vero gioiello.

Ne era valsa la pena, dopotutto.

Ne era valsa davvero la pena spaccare la gran testaccia di cazzo di quel fesso del suo precedente padrone.

Era avvenuto durante l'ultima grande battaglia tra bande rivali, per decidere il dominio ed il possesso del distretto di Gunma, nella regione del Kanto.

In realtà, fatta eccezione per i capi e cioé i pezzi di calibro veramente ma veramente grosso, al resto degli uomini che si ritrovavano coinvolti in quei sanguinosi tumulti non fregava proprio nulla della conquista del territorio altrui. Men che meno della difesa del proprio.

I sottoposti li lasciavano fare, quei tronfi coglioni. E parlare. Lasciavano che si facessero una bella sega mentale al suono della loro voce, delle loro pose e dei loro gesti, con cui credevano di arringare e caricare a dovere la folla ed il loro esercito.

E i vari scagnozzi e tirapiedi glielo lasciavano credere.

A loro interessava solo il bottino. I trofei di guerra. Tutte quelle rappresaglie, quei tafferugli così ben pianificati ed organizzati altro non erano che razzie.

Razzie belle e buone mascherate da spedizioni di stampo e a carattere a dir poco militaresco.

Ma a lui, e a quelli come lui, quelle cose interessavano ben poco. La vittoria o la sconfitta in seguito ad una battaglia non avevano alcun valore materiale o morale. Erano solo dettagli, punti di vista. Di cui non si curavano affatto.

L'esito non interessava a nessuno.

I luogotenenti responsabili di piccoli gruppi e guarnigioni bramavano solamente una cosa, anzi due.

Vivevano unicamente per lo stupro ed il saccheggio.

Quelli componevano il loro unico credo. Perché erano si guerrieri, ma prima ancora erano predoni.

Moto. Armi. Cibo. Liquori. Donne.

Cos'altro importava, nella vita?

Cos'altro gli importava, a quelli come loro?

Tra poco sarebbe arrivata l'era della violenza. Dove avrebbe contato la forza, la forza soltanto, per conquistare tutto. E colui che ne avesse avuta tanta ma proprio tanta, avrebbe potuto prendere ed ottenere tutto ciò desiderava, senza più alcun limite. E chi avesse avuta anche solo a sufficienza...avrebbe potuto comunque sopravvivere, in qualche maniera. Anche se gli sarebbe toccato vivere di avanzi piuttosto che di primizie. Ma era meglio di niente, tutto sommato.

Lui si stava già dando da fare. Stava stringendo amicizie e preziose alleanze. Per poter rientrare a pieno diritto nella prima categoria. Ma anche se fosse finito nella seconda...se la sarebbe fatta bastare.

In fin dei conti...era uno che si contentava di poco.

L'importante era cavarsela, in qualche modo. E lui ce l'avrebbe senz'altro fatta.

Si. L'avrebbe senz'altro scampata. Sarebbe entrato anche lui dentro nella nuova era che già si stava profilando all'orizzonte. Un orizzonte rosso scarlatto, del colore del sangue più vivo e pulsante.

Il colore del sangue che sarebbe stato versato. E che sarebbe sgorgato dalle ferite e dai tagli di molteplici gole. E teste. E corpi.

Una nuova era che avrebbe accolto solo i più forti. E che avrebbe inghiottito senza alcuna pietà i deboli e gli midollati privi di qualunque spina dorsale, a cui non sarebbe rimasto altro che la schiavitù e la morte.

Assoggettarsi, o morire. E assoggettarsi fino a morire. Per mano dei propri signori e padroni.

Stava arrivando l'epoca dei lupi. Meglio mettersi sulla buona strada, ed iniziare a comportarsi come tali.

Divorare, arraffare e fottere. Per una belva non contava altro.

Girò di nuovo la manopola. Ed in risposta ottenne un'altra sonora e possente sgasata.

Normalmente l'acceleratore di un motociclo funziona in maniera inversa. Naturalmente se ci si sale a bordo con la sola intenzione di guidare, e basta. Ma se oltre a fare quello in sella ci si deve anche combattere, allora...il discorso cambia, e di parecchio.

Anzi...cambia completamente.

Proprio per questo aveva fatto modificare appositamente il meccanismo. Piegare il polso all'indietro disperdeva la potenza. Specialmente se con un mano si era impegnati a tenersi in equilibrio mediante la presa sullo sterzo, mentre con l'altra si era impegnati a vibrare un colpo con un'arma contundente.

Proprio come la doppia canna in acciaio temprato della sua doppietta a canne mozze. Che aveva usato per fracassare il cranio dell'ex – proprietario della bellezza che aveva di fronte, e che lo stava invitando a montarci sopra per concedersi una bella cavalcata sui suoi fianchi.

Gli aveva spaccato, frantumato completamente le ossa, sparpagliando il suo cervello per ogni dove.

E mandando quel poco di materia grigia posseduto dall'energumeno in questione a far compagnia ai sassi e alle sterpaglie che componevano il desolato territorio su cui era avvenuta la singolar tenzone.

Con una sola, unica mossa aveva esposto le sanguinanti frattaglie cerebrali del suo acerrimo rivale alla torrida aria estiva. E li aveva mandati a brillare sotto la fioca luce lunare, in spasmodica attesa che il sole cocente del giorno successivo li facesse friggere, frollare e macerare. Per poi farli ben puzzare, dopo averli fatti cuocere e putrefare a puntino. Sempre ammesso che gli insetti, i vermi o qualche cane randagio o altra bestia selvatica non ne facesse spuntino, per poi passare a banchettare col resto della salma.

Nel frattempo, mentre si trovava nella spasmodica attesa di conoscere la loro sorte, si era fatto tutto un altro genere di cavalcata.

Con la sua donna.

Nel senso che era quella appartenente allo stronzo appena morto. Allo stronzo che aveva appena seccato.

Aveva avuto la malaugurata idea di portarsela dietro, l'idiota. E di piazzarla sul posto destinato ai passeggeri. Perciò...tanto valeva approfittarne.

Giusto perché non potesse dimenticare la consistenza del cazzo. Visto che di quello che di solito prendeva non avrebbe più potuto usufruirne, da ora in avanti.

Era opportuno tenergli la memoria allenata. Specie a livello fisico.

Se l'era scopata a neanche un metro di distanza dal cadavere, che ormai iniziava a riversare i suoi umori ancora caldi sul terreno, fino ad inzupparlo.

Se l'era chiavata davanti, di dietro e di sopra. Entrambi immersi nel sangue di quell'imbecille, sino all'altezza delle ginocchia.

E aveva goduto, la troia. Eccome se aveva goduto. Fino allo sfinimento. E poi...

E poi le aveva spezzato il collo, di netto. Non se n'era nemmeno accorta, a momenti. Tutta presa com'era a muovere, dimenare e spingere i fianchi nel tentativo di farsi infilzare come un tordo.

Di prenderne il più possibile, del suo uccello.

Con nullità simili non é nemmeno necessario utilizzare le tecniche tipiche del Sacro Pugno dell'Orsa maggiore. La forza fisica che si sviluppa tramite gli intensi quanto massacranti allenamenti, tramite i quali e possibile apprendere quest'incredibile disciplina, sono più che sufficienti per avere ragione di un comune individuo. Per quanto preparato possa essere.

Si é in grado persino di frantumare la pietra più dura, usando le sole mani nude. Quindi, se si tratta di ossa umane...diventa facile come rompere un insieme di fuscelli.

L'aveva mandata all'inferno mentre aveva ancora in bocca il sapore del pardiso. Meglio di così...

Le donne parlano troppo. Hanno la lingua lunga. E a meno che non la usino per avvolgerla intorno mentre lo succhiano...non é che serva poi a questo granché.

Parlano troppo. Urlano troppo. Strepitano troppo. E...pensano troppo.

Meglio le moto.

Quelle non pensano. E alzano la voce solo quando glielo si concede.

La fece sgasare ancora. E poi ancora. E ancora.

Perfetto.

La piccola era calda. Si stava iniziando a bagnare quel tanto che bastava.

E anche lui.

Si passò la punta della lingua sulle labbra, in preda all'eccitazione.

Si stava già pregustando la prossima razzia che lo attendeva, e non poteva fare a meno di pensare e ripensare alla più recente che aveva compiuto. E a quel che ne aveva ricavato, sia in termini materiali che di soddisfazione personali.

Quelle erano le gioie della vita, per uno del suo stampo.

Così si divertiva un lupo di razza.

Ma non poteva perdere ulteriore tempo insimili fantasie. E nenche a continuare a rimirare senza sosta il suo mezzo.

D'un tratto, alcune urla accompagnate da un ripetuto strombazzare di avvisatori acustici.

Era il segnale. Occorreva muoversi.

I suoi uomini lo stavano aspettando.Tutti impazienti alla pari di lui, se non di più.

Era giunta l'ora di effettuare un'altra nuova, bella scorribanda. Non era poi trascorso tanto, dalla precedente. Ma aveva lo stesso come l'impressione che fosse da un pezzo, da un bel pezzo, che non si scatenavano più come dovevano.

Sembrava passata davvero una vita, un'eternità.

Ce ne voleva proprio una. Una di quelle memorabili, all'insegana degli eccessi senza remore e della violenza più sfrenata.

Scorrazzare e folleggiare in lungo ed in largo per tutta quanta la notte, fino all'alba. Lui in testa e tutti gli altri che componevano il suo plotone dietro. A formare, al suon dei loro fari abbaglianti spianate, come un enorme dargo luminescente e scintillante.

Un drago di luce bianca accecante che si faceva largo tra i gangli nervosi e vitali ed i vasi sanguigni, composto dalla miriade di strade, statali e superstrade dell'intera regione.

Una rete a dir poco enorme, talmente fitta ed intrecciata da parer quasi non aver mai fine.

Un drago abbagliante che si faceva largo tra le vene del Kanto, per azzannarne e lacerarne gli organi più importanti.

Addentarne i reni, il fegato, i polmoni. Per poi passare, infine, diritto al cuore.

Come sempre. Come tutte le notti. E, almeno in quest'occasione, con qualcosa in più.

Si, perché questa volta...c'era da festeggiare. Da far bisboccia e perdersi nei bagordi, sino al sopraggiungere del mattino.

Mancava davvero poco, pochissimo. Ben presto sarebbe giunto il momento decisivo.

Suo padre Ryuken era ormai prossimo alla decisione finale. Avrebbe svelato il nome del futuro successore della Divina Arte di Hokuto. E Jagger non aveva il benché minimo dubbio su chi sarebbe potuto essere.

LUI, ovviamente.

Sapeva fin troppo bene che la scelta di un erede, specie nel campo delle arti marziali, non é unicamente dovuta ad un mera questione di forza O di abilità. O di tecnica.

Non é frutto di freddi calcoli o ragionamenti.

Quando va scelto un successore...si va ad istinto, in un certo senso.

Si prediligono le intuizioni, le sensazioni, le impressioni. E...

E conta soprattutto il cuore.

Le capacità individuali e la preparazione sono importanti solo fino ad un certo punto.

E Jagger...sapeva di avere un posto speciale, dentro al cuore del suo padre adottivo. Altrimenti...

Altrimenti perché lo rimproverava sempre e non era mai soddisfatto di lui?

Per quale altro motivo si comportava così?

Perché voleva che migliorasse costantemente e diventasse in tal modo il più abile di tutti, ecco perché. Era fin troppo ovvio.

Solo così si sarebbe dimostrato degno del titolo che stava per affidargli.

E poi...ultimamente, non gli diceva addirittura più nulla. Nemmeno si fermava più a guardarlo o ad osservarlo, quando era intento ad allenarsi.

Si allontanava senza profferire alcuna parola o verbo.

Probabilmente doveva essere giunto ad un livello tale da non aver più bisogno di nulla. Né di consigli né di rimbrotti.

Suo padre era in grado di riconoscere il vero talento, quando gli appariva davanti agli occhi.

E nel suo specifico caso...era solo questione di tempo, prima che iniziasse a sprigionarsi e a venire fuori. Com'era giusto che fosse.

Ma non per questo doveva certo riposarsi sugli allori.

Lui era già forte. Era il migliore di tutti. Ma non bastava.

Per diventare il nuovo rappresentante del Sacro Pugno della Stella del Nord avrebbe dovuto diventarlo ancora di più.

Ma poteva farcela. Ne aveva i requisiti, ed il talento necessario.

Sarebbe stato un gioco da ragazzi. E nelle sue abili mani, lo stile della sua famiglia, la famiglia Kasumi, sarebbe diventato ancora più potente.

Lo avrebbe portato al massimo della sua gloria e del suo splendore.

Sarebbe diventato il più grande maestro che si fosse mai visto, in tutti i duemila anni di storia e tradizione.

Suo padre Ryuken riponeva la massima fiducia, nei suoi confronti. E la prova evidente la costituiva ciò che gli aveva tramandato.

L' HOKUTO RAH – KHAN GEKI.

IL COLPO DEL RE GUARDIANO RAH – KHAN DELLA DIVINA ARTE DELLA SCUOLA DI HOKUTO SHINKEN.

Una tecnica davvero micidiale, dalla potenza distruttiva assolutamente ineguagliabile. E lui ne era il solo ed unico custode e depositario.

Suo padre l'aveva insegnata solamente a lui. Dopo avergli fatto giurare e spergiurare che non l'avrebbe mai condivisa con nessuno.

Solo a lui.

Jagger.

Il nuovo e futuro reggente della Divina Scuola di Hokuto. Con un esponente di tale calibro, essa avrebbe potuto raggiungere livelli di potenza mai visti.

I suoi due fratelli maggiori, Raoul e Toki, avrebbero dovuto farsene una ragione. Ma non c'era alcun problema neanche per questo.

Non si sarebbero opposti. E non avrebbe avuto nemmeno bisogno di combatterci contro, per riuscire a convincerli.

In cuor loro...erano già consapevoli di tutto questo. Sapevano già che sarebbe andata a finire così.

Si erano già rassegnati, anche se non volevano darlo a vedere.

Per fierezza, era chiaro. Per puro orgoglio.

Non cercavano la lite o la polemica fine a sé stessa. Una scelta sia di atteggiamento che di condotta davvero ammirevoli.

Anche a costo di dispiacergli enormemente...avrebbero accettato di buon grado la sua nomina.

Non potevano rimanadare o cancellare l'inevitabile. E poi...forse non gli importava poi più di tanto diventare i successori. Del resto, entrambi avevano già i loro piani a cui badare.

Il secondogenito, una volta terminato l'apprendistato, avrebbe senz'altro inseguito il suo sogno di diventare un dottore, e di applicare le tecniche dell' Orsa Maggiore e degli tsubo alla medicina, nel tentativo di guarire i pazienti da quelle malattie incurabili contro cui non esiste rimedio.

Tsk. Che idiota. Che POVERO IDIOTA.

Con tutto il rispetto, visto che ne ammirava sia la tecnica che le capacità. E quelle di suo fratello Toki erano a dir poco stratosferiche.

Proprio per questo non riusciva in alcun modo a capire quella sua decisione così assurda.

La medicina. Che sciocchezza.

Che razza di sciocchezza. E che spreco inaudito.

Con la bravura di cui disponeva, non aveva saputo trovare proprio niente di meglio.

Il massimo a cui riusciva ad aspirare era di aiutare i malati, i moribondi e i pezzenti.

Che scempiaggine. L'unica cosa che conta nelle arti marziali, l'unica cosa che conta davvero...é la forza.

La violenza. Bisogna sconfiggere ed uccidere il nemico. Sempre e in ogni caso.

E poi...a quale scopo lo faceva, si poteva sapere?

Riportava, restituiva alla vita delle autentiche nullità che tanto non sarebbero sopravvissute all'epoca che stava per arrivare. Le salvava solo per farle finire ammazzate da qualcun altro, in maniera ancora più cruenta e dolorosa.

Avrebbe salvato un uomo da un cancro al fegato solo farlo finire aperto in due da un colpo di sciabola.

Avrebbe salvato una misera donnicciola da un'emorragia solo per farla finire stuprata fino alla morte. Con l'emorragia che le sarebbe scoppiata da un'altra parte.

Dalla fica, dopo che gliel'avrebbero sfondata fino a consumarla del tutto.

Avrebbe salvato un cencioso e lurido moccioso solo per farlo finire come schiavo. O come giocattolo sessuale. O tutte e due le cose insieme.

Che povero illuso. Un uomo senza ambizioni. Senza desiderio e tenacia. Tutto il contrario di lui e di suo fratello maggiore Raoul.

Già. Raoul.

Il più anziano tra i fratelli di Hokuto, il più grande tra i figli adottivi della famiglia Kasumi.

In quanto al primogenito, beh...era risaputo. Le sue intenzioni erano ben note, e già da tempo.

Raoul mirava al cielo. E non si curava certo di nasconderlo.

Lo aveva sempre detto. Lo sbandierava ai quattro venti, incurante delle conseguenze e di quel che il loro vecchio padre pensasse a riguardo. E ultimamente non pensava ad altro.

Bene...che si accomodasse pure. La cosa non lo disurbava affatto, così come non intralciava in alcun modo i suoi intenti.

A Jagger non interessava affatto conquistare il mondo, o sfidare Dio in persona.

Voleva solamente essere considerato il degno e legittimo successore di Hokuto, ecco tutto.

Anzi, una volta ritenuto il giusto riconoscimento...avrebbe potuto persino decidere di aiutare il primo tra i suoi fratelli nelle sua impresa. Nella sua opera di conquista del globo.

Dopotutto...non si dice forse che il maestro del sacro colpo dell' Orsa Maggiore é al totale servizio dell'imperatore?

Tra i suoi compiti rientra anche quello. Lo stabilisce la tradizione.

Proprio come la costellazione che lo rappresenta, la Divina Arte é il grande carro armato che scende il guerra per volere di colui che governa su tutto quanto il mondo.

Per proteggerlo. E per mantenere ed estendere i suoi domini.

Perciò, se Raoul aveva veramente l'intenzione di diventare tale...avrebbe avuto sicuramente bisogno di lui. Magari glielo avrebbe pure chiesto!

E lui si sarebbe offerto, senza pensarci due volte. Perché aveva capito, e da tempo, che loro due viaggiavano entrambi sulla stessa lunghezza d'onda.

Anche Raoul riteneva che la vera essenza di un individuo risiedesse nella sua forza e nelle sue abilità. E nella violenza.

Queste erano le caratteristiche fondamentali per sopravvivere. Per guadagnarsi il diritto a continuare a calpestare questa terra, la terra che abitano. Ed il suo sogno era di costruire e dare vita ad una società dove queste caratteristiche potessero finalmente venire riconosciute ed apprezzate. Ed avere lo spazio e la considerazione che meritavano.

Un mondo ideato e realizzato per i più forti. E dove solo i più forti avrebbero avuto tutto ciò che desideravano.

Il loro giardino di delizie dove avrebbero potuto raccogliere a piacimento tutti i frutti che desideravano. I migliori, i più fragranti e i più succosi.

Un paradiso per i forti. E un inferno per tutti gli altri, in particolare per i deboli. A cui non sarebbe rimasta altra scelta e possibilità che la morte. O la sottomissione, sempre fino alla morte.

Rassegnarsi ad abbandonare la propria libertà e consegnarla nelle mani dei propri signori e padroni, aspettando la propria fine senza nemmeno provare o pensare di potersi ribellare od opporsi.

Una fine che poteva sopraggiungere per fatalità. O per capriccio, non importava. Perché tanto quella persona non apparteneva più a sé stessa. Non era più padrona del proprio destino, e quindi...tutto poteva terminare in un solo istante.

Quello era il nuovo mondo che sarebbe arrivato, grazie a Raoul. E lui avrebbe avuto senz'altro un posto di rilievo, di prim'ordine dentro a quel mondo, visto che era forte.

E a proposito di deboli...

I suoi due fratelli maggiori non lo avrebbero certo ostacolato. No di certo.

Non loro, almeno. Ma qualcun'altro...

Qualcun altro SI.

Quel verme miserabile di suo fratello minore. Di cui aveva schifo anche solo a pronunciarne il lurido nome.

Non lo avrebbe mai accettato né riconosciuto. Perché era invidioso della sua superiorità, del suo talento e della sua bravura.

Si sarebbe opposto con tutte le sue forze alla sua investitura. Perché non era altro che un infame leccapiedi ed un vigliacco. E non valeva nulla.

Un pusillanime, e basta. Quella volta che si erano affrontati lo aveva dimostrato fin tropppo chiaramente, al loro padre e maestro. Era stato lampante.

Lo aveva letteralmente massacrato, con una delle sue tecniche preferite.

Il SENJU SATSU.

L' ATTACCO DELLE MILLE MANI ASSASSINE.

Lo aveva fatto finire a terra, pesto e malconcio.

Quell'incapace aveva raggiunto e colpito i suoi tsubo sul petto grazie ad un puro colpo di fortuna.

Aveva approfittato di una sua semplice disattenzione, e lo aveva attaccato a tradimento. Proprio come fanno i codardi. Ma non aveva sfruttato l'occasione.

Non ci era riuscito. Non era stato nemmeno buono di attivarli.

Per il semplice fatto che non ne era capace. Perché la verità era che quell'imbecille non era in grado di usare ed applicare le tecniche di Hokuto, a differenza sua.

Si allenava giorno e notte, senza sosta nel disperato tentativo di eguagliarlo, ma si vedeva chiaramente che non poteva reggere il passo. E nemmeno il confronto.

Che essere inutile. Davvero insignificante.

Calciò la nuda terra che aveva di fronte, in un improvviso quanto acceso impeto di rabbia. Sollevando una nuvola di polvere, sabbia e sassi.

Decise in quello stesso momento che non poteva assolutamente permettergli di rimanere vivo.

Non appena suo padre Ryuken lo avrebbe nominato nuovo successore, si sarebbe subito precipitato da quel bastardo e lo avrebbe affrontato di nuovo. E questa volta...

Questa volta lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani.

Avrebbe danneggiato i suoi punti segreti di pressione in maniera irreversibile, per poi far saltare il suo corpo in mille pezzi. Cancellando così ogni traccia del suo passaggio su questo mondo.

Dopotutto, tra non molto, il nuovo maestro sarebbe stato lui. E nella posizione che si sarebbe trovato a dover ricoprire, avrebbe potuto praticamente fare ogni cosa. Avrebbe potuto fare finalmente tutto quel che voleva, e che avrebbe ritenuto più opportuno.

Del resto, si sa. Lo si sa fin troppo bene. Chi detiene la Divina Arte di Hokuto...detiene il mondo.

Avrebbe potuto fare tutto, e senza dover minimamente rendere conto ad anima viva delle sue scelte e delle sue azioni. Tra cui eliminare tutte le potenziali minacce ed i possibili attentatori al legittimo e più che meritato ruolo, per prima cosa.

E quell'insetto non avrebbe mai smesso non avrebbe mai smesso di continuare ad usare l'arte per i suoi loschi ed infidi scopi, ne era certo. Era più che pronto a scommetterci.

Doveva eliminarlo, ad ogni costo. Era un pericolo.

O magari...la sua vendetta sarebbe stata ancora più feroce.

Avrebbe potuto ricorrere alle pene capitali che da sempre si utilizzano nella sacra scuola, per punire gli allievi irriconoscenti ed inadempienti. O che si rifiutano di ammettere la superiorità da parte del successore e quindi non accettano di auto – sigillare le proprie abilità e conoscenze.

Gli avrebbe fato esplodere entrambe le mani, si. In modo da condannarlo all'invalidità pressoché perpetua.

Non sarebbe stato più capace nemmeno di pulirsi il cuolo da solo dopo aver cagato, con i suoi cazzo di moncherini che si sarebbe ritrovato.

O magari poteva cancellargli completamente la memoria. E con essa quelle quattro, insulse tecniche da strapazzo che aveva a malapena imparato, pensando assurdamente che fossero più che sufficienti a far di lui un maestro.

Oppure avrebbe potuto annullargli completamente la volontà, in modo da ridurlo per sempre ad un vegetale.

O anche tutte e tre le cose, perché no. Ed in perfetta successione, una dietro all'altra. Per godersi tutta quanta la rabbia, la frustrazione, la disperazione ed il senso di impotenza che gradatamente avrebbero preso possesso di ciò che sarebbe rimasto del suo misero corpo e della sua anima corrotta, non appena gli avesse fatto capire coi fatti cosa stava accadendo. E come stavano veramente le cose.

Lentamente, inesorabilmente.

Una alla volta. Fibra dopo fibra, goccia dopo goccia, stilla dopo stilla.

E poi, alla fine...lo avrebbe ammazzato. Oppure lo avrebbe graziato e lasciato pure in vita, chissà.

Dopotutto, continuare a vivere rimanendo conciati a quel modo é un destino ben peggiore del finire uccisi.

Ancora non aveva deciso. Ma non c'era fretta. Stava a lui, stabilirlo.

La vita di quel verme sarebbe stata completamente nelle sue mani. Avrebbe potuto pensarci con tutta calma. Con tutta la calma ed il tempo di questo mondo, anche se non era affatto male portarsi un po' avanti coi propri progetti. E mettersi a fantasticare un minimo, ogni tanto.

Doveva comunque sincerarsi di potergli riservare la fine adatta, perfetta per simile incapace.

Dolorosa ed umiliante al punto giusto. La fine più dolorosa ed umiliante che si sarebbe potuta anche solo immaginare.

Era il giusto e sacrosanto destino riservato agli sconfitti. Ed a coloro che si dimostravano indegni.

Non si meritavano altro. Non si meritava altro, quello.

Al diavolo. Ora basta, però.

Si disse che non era più tempo, almeno per ora.

Basta, basta continuare a pensare ossessivamente a quel pezzo di imbecille.

Meglio, ma molto meglio, concentrarsi sul radioso futuro che lo attendeva.

Il futuro gloroso di un MAESTRO.

Si. E adesso, per celebrare l'avvenire, ci voleva proprio una bella corsa a trecento miglia orarie.

A rotta di collo e a perdifiato.

Sentire il vento tra i capelli avrebbe spazzato via tutte le brutte sensazioni. E le nebbie rosse che aleggiavano nella sua mente, che ultimamente vedeva sempre più spesso. E all'interno delle quali riusciva a scorgere solo del sangue da versare, e le crudeltà più efferate da compiere.

E poi c'erano le voci.

Bisbigli. Sussurri. Appena percettibili. Che gli suggerivano di trucidare, uccidere, fare a pezzi.

Voci che gli martellavano le tempie senza sosta, facendogliele pulsare.

Erano...inebrianti, però. E faceva sempre più fatica a resistere, e a non dargli retta.

Faticava sempre di più, a resistere.

Avvinghiò entrambe le mani alle estremità dei manubri ed alzò di slancio la gamba sinistra per scavalcare la sella del mezzo e sedervici sopra. Ma proprio quando fu sul punto di mettersi a cavalcioni con un bel balzo, qualcosa di inaspettato lo costrinse ad interrompere bruscamente la propria manovra.

Aveva percepito qualcosa.

Già. Era proprio così. Persino un cervello tarato e bacato quale era il suo non aveva potuto fare a meno di accorgersene. Era...

Si trattava di un'ondata di energia a dir poco spaventosa. Di una portata e di una potenza assolutamente inaudite. E proveniva...

Proveniva dal palazzo. Dal palazzo dove vivevano.

Alzò lo sguardo, voltandosi d'istinto nella direzione in cui era avvenuta quella sorta di autentica esplosione di forza spirituale. E la vide.

Vide l'antico tempio al centro della struttura. Con l'aria tutt'intorno che friggeva, come se qualcuno avesse posto l'intero luogo sopra ad un braciere o ad una grossa quanto rovente graticola.

Era come se stesse emanando un'aura. Che da immobile e completamente invisibile aveva preso di colpo ad agitarsi e a divampare, rabbiosa. Arrivando al punto di farsi scorgere persino ad un occhio nudo e non allenato, da totali profani in materia.

Aveva fatto giusto in tempo a girarsi. Poi le gambe gli si fecero di gelatina e crollò rovinosamente all'indietro, terminando seduto e con le sole braccia a fargli da sostegno. Tremanti e piegate ad angolo retto all'altezza dei gomiti, come fisionomia naturale prevedeva.

Una grossa macchia scura gli si formò all'istante tra le gambe, completamente aperte ed anch'esse piegate, anche se ad un angolo lievemente maggiore.

La chiazza gli era comparsa all'altezza dell'inguine, inzuppandogli i pantaloni, mentre la sua faccia aveva con temporaneamente assunto un'espressione stravolta dal terrore. Terrore puro.

Subito dopo ai suoi occhi il monastero si ammantò di una luce bianca ed intensa. Sembrava provenire dall'interno stesso dell'edificio, dal suo cuore.

Dava l'impressione che le sue fondamenta racchiudessero il più splendente tra i corpi celesti.

Jagger non ci crdeva. Non riusciva a crederci, di assistere ad un simile spettacolo.

Ma che diavolo stava succedendo, là dentro?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Come ve la passate? Spero bene.

Diciamo, come ho già annunciato la volta scorsa, che il peggio sembra essere alle spalle.

Ma non va affatto abbassata la guardia.

Ma veniamo al nuovo episodio.

Allora? Che ne dite? Sorpresi?

Abbiamo lasciato Kenshiro e Ryuken per soffermarci su di un altro personaggio.

Ken non sarà l'unico ad essere coinvolto, in questa storia.

Ci sarà spazio anche per altri, tra cui i suoi fratelli.

E direi di incominciare dal più controverso dell'allegra famigliola.

Su Jagger se ne sono dette di ogni.

Senza dubbio é il più scarso, ed é totalmente instabile dal punto di vista mentale.

Ma...uno spin – off come JAGI – IL FIORE MALVAGIO, realizzato da quel pazzoide di Shinichi Hiromoto (solo l'autore di quella FOLLIA ORGANIZZATA col nome di FORTIFIED SCHOOL, che ho letto ormai anni fa, poteva decidere di cimentarsi on un simile personaggio)...ha dimostrato che persino uno psicopatico simile può avere qualcosa da dire.

Senza contare che di tutti gli spin – off realizzati in quel periodo, é forse quello che mi é piaciuto di più.

Avrete senz'altro assistito ad un leggero cambio di tono.

Diciamo che ritengo di cavarmela abbastanza bene, nel tratteggiare i maniaci.

Sono curioso di sapere che ne pensate.

Bene, ed ora tiriamo un po' le somme.

Ho intenzione di pubblicare ancora un capitolo, per la fine del prossimo mese.

Ho deciso, insieme alla mia famiglia, di concederci una vacanza. Pur prendendo tutte le cautele necessarie e del caso.

D'altra parte...credo di aver bisogno di staccare un po'.

Prima di chiudere, passiamo al consueto angolo dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore a Kuumo no Juuza, Devilangel476, vento di luce e innominetuo per le recensioni all'ultimo capitolo.

E non potendo farlo dall'altra parte (visto che é conclusa...) ringrazio Devilangel476, Plando e innominetuo per le recensioni (entusiaste, aggiungo!) al racconto RE SENZA CORONA(VIRUS).

Direi che é tutto. Ci risentiamo tra un mesetto!

 

Alla prossima, e...

 

See ya!!

 

 

 

 

Roberto

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 7

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Toki si trovava a gambe incrociate nella posizione del loto, seduto su di un costone di roccia nei pressi della grande cascata.

Si narrava un'antica leggenda, su di essa. Che in principio quel maestoso getto d'acqua a precipizio provenisse direttamente dalle stelle. E per la precisione dalla costellazione che proteggeva e tutelava lui e tutti gli altri adepti che si erano susseguiti nel corso dei decenni e dei secoli della lunga e gloriosa tradizione della loro scuola.

La costellazione del Grande Carro. L' Orsa Maggiore. La Divina Arte dell' Hokuto Shinken.

Gli piaceva molto rimanersene lì in totale raccoglimento ed in meditazione. Quando non aveva niente di meglio da fare, s'intende.

Cercava di farlo ogni qualvolta ne avesse l'occasione, o un poco di tempo libero a disposizione.

Stare ad osservare e contemplare tutto quello che un uomo con le sue capacità, dalle capacità così vaste e smisurate quale era lui era in grado di poter contemplare senza interferire in alcun modo.

Fino a dove il suo sguardo poteva spaziare, ed anche di più.

Perché ormai era ben allenato. Ed aveva affinato sia il procedimento che la propria tecnica a tal riguardo, mediante l'applicazione assidua dell'apposito metodo.

Infatti non gli bastavano che pochi minuti di quella pratica per riuscire a perdersi, e ad entrare in sintonia con tutte le cose. Con ogni cosa del creato.

E a quel punto, gli occhi non gli servivano più. E nemmeno le orecchie.

Ogni oggetto, ogni pianta, ogni creatura ed ogni astro aveva una sua vista, un suo udito ed una sua voce.

E lui poteva percepire ognuna di quelle immagini, ognuna di quelle parole, ognuno di quei suoni.

E senza alcuno sforzo o fatica, ormai.

Sapeva come fare, ormai aveva imparato.

Semplicemente...succedeva. E lui si dovev a limitare solamente a non fare nulla per impedirlo.

Nulla che potesse ostacolare o ritardare oltremisura il processo.

Meditare...é una condizione naturale dell'essere umano, alla pari di qualsiasi altro essere vivente.

Guardava coi loro occhi, parlava con le loro bocche, sentiva con le loro orecchie.

Poteva espandere la propria energia e sfera di coscienza fino ad abbracciare l'intero mondo. Fino a giungere agli estremi confini del cosmo, dell'universo senza doversi nemmeno muovere da lì.

Non ne aveva, non ne sentiva particolarmente il bisogno.

Perché, quando ciò accadeva e gli accadeva...di colpo si rendeva conto di quanto poco valesse.

Di quanto fosse misera e di poco conto la sua stessa esistenza.

Meditare é una condizione naturale dell'essere umano alla pari di qualunque altro essere vivente, si é detto. Peccato solo che l'uomo sia l'unico essere in tutto quanto il creato a dimenticarsene.

La natura é lì presente. Perché l'uomo non é altro che uno dei suoi figli, fratelli ed allievi.

Né migliore, né peggiore. Soltanto il più incosciente, irriconoscente e scapestrato.

Non é una questione di abilità, il problema che lo affligge. Ma di condotta, di comportamento.

Non serve a nulla essere il discepolo più dotato, intelligente e meglio preparato se poi si é il più maleducato ed indisciplinato di tutta quanta la scolaresca.

Occorre correggersi. E regolarsi. Ma soprattutto...sapersi regolare.

In questo consiste la vera libertà. Non assoggettarsi alle regole quanto sapersele dare. E sapersele imporre per proprio conto, prima di ogni altro.

La natura ci offre il meglio che ha da donarci. E lo fa gratuitamente, senza obbligarci a portare nulla in cambio.

Con lei...basta chiedere, per avere. Ed alle volte...non serve nemmeno chiedere.

Ci dà quello che può, tutto quel che può, senza che noi dobbiamo nemmeno prenderci la briga di sprecare tanto fiato e parole.

Da sempre ci offre il meglio, e noi quotidianamente disdegniamo quello spettacolo.

Ci offre il meglio e noi lo rifiutiamo. E nemmeno ce ne accorgiamo, di quel meglio.

Essa dà vita a spettacoli a dir poco meravigliosi, ma che in fondo non valgono nulla.

Non hanno alcun valore o valenza di tipo materiale. Sono solamente l'offerta spontanea di una cosa BELLA.

Se noi vogliamo dei frutti...essa ce li dà. Se vogliamo delle perle, o dei minerali preziosi...essa ci dà anche quelli, senza risparmiarsi.

Lei non distingue. Non fa alcuna differenza. Mette tutto e tutti sullo stesso piano.

Un'alba, un tramonto, un bosco rigoglioso o un prato fiorito di primavera o d' estate. Oppure spogli e brulli di autunno e di inverno. Ma ugualmente espressivi, anche se non altrettanto vivaci.

Ci offre delle cose a dir poco stupende, che noi quotidianamente e regolarmente disprezziamo ed ignoriamo con la nostra inguaribile alterigia e superbia.

Quanto é indietro, l'uomo. Eppure, dall'alto del presunto piedistallo della sua ignoranza...dall'alto di quel misero piedistallo sopra cui ci si é praticamente piazzato da solo e per proprio conto si permette di fare la vittima e di sputare sempre sentenze su tutto e tutti.

Siamo pressoché incapaci di porre un freno alla nostra arroganza ed ambizione senza limiti.

La meditazione ne é un esempio lampante. Ore passate a faticare, a farsi venire un gran mal di testa, nel tentativo di svuotarla, per raggiungere quello stato che a ben guardare é proprio di qualunque elemento che componga il tutto. Che sia animale, vegetale, o minerale.

Persino una roccia, una foglia, una goccia d'acqua o un gatto riuscivano e riescono ad essere più meditativi dell'uomo.

Bastava prendersi, concedersi un istante di pausa e rimanersene lì ad osservarli per rendersi conto di quanto fossero pladici, quieti, rilassati. Completamente a loro agio ed immersi nel fiume dell'esistenza.

Un fiume che può scorrere tranquillo, oppure gonfiarsi in seguito ad un'improvvisa piena o burrasca e travolgere tutto quanto,ogni cosa. Ma basta affidarsi a lui, e non temere nulla.

Non si deve avere paura. La natura...é benigna. E' l'uomo ad incattivirla. A renderla e a vederla come tale. E lei reagisce semplicemente a quel che percepisce come una minaccia.

Attacca solo se viene attaccata.

Attaccala, e verrai attaccato.

Ma se prosegui dritto per la tua strada e le rivogli un cenno di saluto, essa ti ricambierà il saluto e seguiterà per la sua. Proprio come stai facendo tu.

Affidarsi alla corrente, ecco il segreto.

Da quando aveva iniziato a meditare, si sentiva di somigliare più ad un gatto che ad un essere umano. All'apparenza così sornione, lento, pigro. Ma capace di passare all'azione nel giro di un solo istante. Di compiere balzi e scatti a dir poco prodigiosi, più veloce di un fulmine. E di avventarsi e ghermire con ferocia inaudita una preda, o chiunque possa anche solo pensare di minacciare i suoi cuccioli. Per poi tornarsene a crogiolarsi al sole subito dopo, agitando appena la punta della propria coda.

Come i fiori di cui si parlava poc'anzi. Che crescono rigogliosi ai margini di un prato o di un campo coltivato tra libellule blu, verdi ed azzurro lucente.

Non si preoccupano di tessere, di filare o di lavorare. O di nutrirsi o abbeverarsi.

Semplicemente...esistono, e basta.

Certo l'uomo si può porre delle domande, a differenza di loro che invece non si chiedono mai nulla.

Poiché non siamo che canne al vento. Ma pur sempre PENSANTI.

Si pone continuamente delle domande, l'uomo. Così come può anche tentare di fornire delle risposte, a quelle domande. E ciò rappresenta indubbiamente un vantaggio, a patto di saperlo utilizzare nella maniera corretta.

Bisogna sapere quali sono queste domande. O meglio, sapersi porre le domande giuste. E per poterci riuscire...bisogna anzitutto smettere di porsele, queste domande.

Guardare. Tutto qui.

Riuscire a guardare tutto senza soffermarsi a guardare qualche cosa di particolare, o qualcosa in particolare.

Questo é il GUARDARE. In questo consiste il VERO ATTO del guardare.

Basta fare così. E le domande giuste verrano fuori da sole.

Affioreranno, sgorgheranno direttamente dal flusso della coscienza. Così come le risposte.

Seguire il flusso. Rimanendo viglie ed attento ad ogni suo mutare.

Osservare. Ed osservarsi.

L'universo ci ha dato questa magnifica, meravigliosa opportunità. Di osservarsi attraverso noi, e di rimando osservarci attraverso di lui.

Occorre solo coglierla, questa possibilità. E sfruttarla sempre al massimo, ogni volta che ci viene concessa.

Suo fratello maggiore Raoul stava sbagliando tutto.

Anche lui, a suo modo, aveva sviluppato domande. A cui cercava di dare delle risposte.

E' quello che facciamo tutti. Quello che cerca di fare chiunque.

E' il nostro istinto stesso che ci porta a fare ciò. Quello che deriva dal nostro ruolo.

Quello che ci é stato affidato, e che ci appartiene.

Di semplici osservatori. Nulla più.

Ma suo fratello partiva da una premessa errata. Sbagliatissima.

Aveva commesso un gigantesco, madornale errore di valutazione. Ed ora ci si stava perdendo, in quel tragico errore.

L'errore di considerare sé stesso come un eccezione in un mondo, un universo totalmente banale.

Un mondo realizzato per puro caso, forse addirittura per sbaglio. Forse sviluppatosi contro la volontà stessa di chi lo aveva ideato e creato. E in direzione contraria ai suoi voleri e progetti.

E lui, che era l'unico...si riteneva l'essere perfetto e chiamato al compito di rimettere a posto l'intero universo ed i suoi sistemi. E di dichiarare guerra persino al suo creatore, se avesse deciso di opporsi al suo volere ed ai suoi propositi. Poiché nemmeno il grande architetto, nella sua ignoranza ed imperfezione, si stava rendendo conto dei suoi sbagli.

O magari non lo voleva nemmeno ammettere. Di non avere altre capacità, talenti o poteri in particolare, fatta eccezione per quello di dare vita ad ogni cosa esistente.

Aveva originato il mondo, e tutte quante le creature che lo abitavano. Ma subito dopo aveva perso il controllo. E la situazione, tutto quanto gli era ben presto sfuggito dalle mani.

Forse proprio per questo Dio non si sentiva responsabile di ciò che aveva fatto. Ma la sua restava comunque una colpa imperdonabile.

La colpa di non aver riconosciuto la propia fallibilità ed incapacità.

E Raoul, che era l'essere perfetto generato da un divinità imperfetta...avrebbe insegnato a Dio stesso come realizzare un mondo perfetto, a regola d'arte. E poi lo avrebbe punito per il suo misfatto.

Per questo, proprio per questo, voleva ascendere al cielo dopo aver conquistato la Terra intera.

Era così che si considerava, suo fratello. Era così che riteneva di essere. Quando, in realtà, era vero tutto il contrario.

Non un essere unico in un mondo qualsiasi. Ma un essere qualunque in un universo unico ed ineguagliabile.

Solo così si poteva diventare un messia. Non sapendo di esserlo. Rifiutandosi di esserlo.

Nell'osservazione dei loro tomi e scritture sacre, i Giudei si aspettavano ed attendevano l'arrivo di un Re.

Ma Gesù Cristo non si riteneva affatto migliore dei derelitti e dei diseredati da cui si recava per fornirgli aiuto e conforto.

Non si riteneva migliore di loro in nulla. Nemmeno degno dell'ultimo tra gli ultimi.

La gente si aspettava un sovrano magnifico, un condottiero glorioso. E invece si ritrovò davanti un uomo che considerava sé steso come lurida feccia. All'esatto pari del peggiore criminale in circolazione.

In questo consisteva la sua forza. Anche se fu la sua rovina.

La gente non lo capì. E gli si rivoltò contro.

Ma la sua fu l'attitudine corretta. Così deve fare, un autentico salvatore.

E' così che ci si deve comportare.

Un uomo, un vero uomo, combatte la sua battaglia da solo. E procede diritto per il suo sentiero. Il sentiero che si é tracciato da solo. Anche se in realtà...non é stato lui a tracciarlo, anche se non se ne rende conto.

Altri lo hanno tracciato per lui. E a lui non resta che percorrerlo, fino in fondo.

Poco importa. Ciò che conta davvero é fare ciò che si può per cominciare a percorrerlo al meglio, quando esso decide finalmente di rivelarsi.

Questo conta. Nient'altro.

Farlo, quando giunge il momento. E farlo per sé stessi, non per gli altri.

Farlo anche se si va contro alle loro aspettative. Anche se si andrà incontro alla morte.

Si farà questo ed anche altro, se sarà necessario per portarlo a compimento.

Lo scopo dell'uomo é di sbocciare, come un fiore.

Che errore.

Davvero un grave e grossolano errore, quello che stava commettendo suo fratello maggiore.

Ma la cosa peggiore era che Raoul sapeva benissimo di sbagliare, perché non era certo uno stupido.

Era solo ottuso. Ed incredibilmente orgoglioso. Al punto di non voler riconoscere di avere intrapreso la strada errata.

Sarebbe stato meglio, molto meglio, ma soprattutto più onesto verso i suoi confronti capire l'errore. Per poi fermarsi, tornare indietro e ricomnciare da capo. Scegliendo la strada giusta, questa volta.

La strada PIU' GIUSTA.

Era ancora in tempo, per comprenderlo. E per farlo.

Ma Raoul non era solo testardo. Era anche furbo.

La gente voleva un condottiero? Un Re? E lui...glielo avrebbe dato.

Gli avrebbe dato il sovrano più terribile ed insieme magnifico che si fosse mai visto. Che il mondo intero avesse mai incontrato o conosciuto. Ma stava sbagliando.

Pensava di diventare il monarca, in tal modo. L'imperatore. Ma così non avrebbe fatto altro che diventare uno schiavo a sua volta. Come e più degli altri, di tutti quanti gli altri. Se non peggio.

Si stava limitando solo a dare alla gente quel che la gente voleva.

Ma lui, in fondo...cosa voleva, davvero?

Toki aveva idea che non lo sapesse con certezza, nonostante si mostrasse sempre così spavaldo e sicuro di sé.

Stava soltanto ricalcando, copiando ad immagine e somiglianza un'immagine artefatta che si era costruito, modellandosela e cucendosela addosso.

Non stava facendo altro che recitare un ruolo, indossare un abito.

Stava ingannando solamente sé stesso. Nel disperato tentativo di compiacere il prossimo.

Voleva controllarlo. Assoggettarlo e dominarlo tramite il terrore ed il timore.

Ed invece ne veniva controllato da esso. Ed a sua completa insaputa, per giunta.

Voleva ottenere solo approvazione e consenso. Da gente che era ben disposta a cedergli tutto quanto il potere nelle sue mani. Ogni singola oncia. Per tramutarsi in schiavi pronti a combattere, sacrificarsi e morire unicamente per soddisfare le sue aspirazioni, le sue ambizioni ed i suoi interessi.

E per quale motivo, di grazia?

Oh, é molto semplice in realtà.

Lo fanno, fanno questo per non dover mai avere l'incombenza o sostenere il peso di dover prendere decisioni. Alle volte anche impopolari. Alle volte anche gravi.

Meglio lasciare il comando nelle mani di un tiranno, per poi maledirlo e lamentarsi nei suoi confronti. Piuttosto che decidere con la propria testa ed il proprio cuore.

Anche a costo di fare errori. E di commettere sbagli.

La libertà, quella vera, fa paura. Più paura di un sanguinario e crudele despota.

Si possono sopportare l'umiliazione, i patimenti, la sopraffazione. Danno sempre qualche garanzia, anche se nel peggiore dei modi.

La libertà non dà garanzie, o sicurezze di sorta. Proprio per questo va accettata, ed abbracciata.

E invece no. Meglio tanti schiavi nelle mani e tra le grinfie di un altro schiavo.

Povero Raoul.

Che stolto, che era.

Dà retta alle persone ed inizieranno a tirarti ed a trascinarti in mille e mille direzioni diverse, fino a farti a pezzi. Per poi accorgersi solo allora di non essere andati da nessuna parte.

Sembrerà di muoversi, ma in realtà...non si fatto altro che rimanere fermi.

Un triste destino, quello di suo fratello. E un gran peccato.

Ma forse non tutto era perduto.

Forse c'era ancora una speranza.

Questi erano i motivi che lo spingevano a recarsi in quel luogo. Alcuni tra i tanti che lo tormentavano, di recente.

Erano queste, le cose su cui rifletteva. Queste e tante altre insieme. Nella paziente attesa che i pensieri stessi defluissero e si indebolissero, fino a scomparire del tutto.

I pensieri sono paragonabili alle gocce d'acqua.

Molte gocce sono la pioggia. Oppure una cascata, per l'appunto. Ma una cascata o una pioggia non sono nessuno dei pensieri che di norma riempiono una testa fino ad intasarla.

Una volta compreso questo le nubi e la tempesta si diradano per proprio conto, senza fatica.

Ma é necessaria una comprensione profonda. Anche se é piuttosto semplice, una volta che lo si é capito.

Aveva deciso di andare lì tutte le volte che poteva. Tutte le volte che arrivava qualche patema d'animo ad affliggerlo.

Capitava anche a lui, talvolta. Anche se non si considerava incline alla tristezza per natura.

Anzi, per propria indole cercava di vedere il lato buono e confortevole di ogni cosa.

La parte più luminosa, che a malapena affiorava al pelo della superficie di un mare color pece e tenebra. Sempre più a fatica, mano a mano che passava il tempo.

Alle volte non aveva nemmeno una ragione particolare, per sentirsi così.

Non c'era nulla che si potesse fare a riguardo. Proprio niente di niente.

Sembrava proprio che il cordoglio senza limiti e senza fine facesse parte della condizione umana a prescindere.

Si poteva essere tristi anche senza un motivo preciso.

L'esistenza stessa ne era il motivo, dunque.

Era l'esistenza stessa, a generare sofferenza.

Una triste condizione. Davvero.

Soffro, quindi esisto.

Si soffre perché si esiste.

Si esiste perché si soffre.

Ripensò agli allenamenti che sia lui che gli altri suoi fratelli avevano effettuato, sotto a quei flutti gelidi che gli si paravano davanti.

Quante ore, che avevano trascorso là sotto. Nella medesima posizione in cui lui si trovava ora. E dire che cose come quelle, all'apparenza così difficili, non rappresentavano altro che le basi dell'addestramento.

Le basi delle basi, a voler essere sinceri.

Grazie alla potenza e alla violenza di quel getto d'acqua era possibile indurire il propro corpo oltremisura e lo si fortificava. E si finiva col rendere la pelle durissima e resistente ai colpi. Ed al contempo la si rendeva estremamente reattiva e sensibile. Al punto che diventava in grado di percepire ogni minima variazione da parte delle correnti d'aria circostanti.

Ed inoltre, suo padre Ryuken aveva sempre sostenuto che si trattasse di un autentico toccasana, per la salute.

In ogni caso...se si falliva l'unica alternativa comportava il morire assiderati.

Ed un uomo normale, sottoposto ad un simile trattamento, sarebbe caduto in stato di ipotermia dopo pochi minuti. Se non addirittura secondi.

Lo sbalzo di temperatura era davvero troppo forte ed impetuoso, per poter sperare di resistere.

Si diceva inoltre che si potessero affinare le proprie percezioni al punto di poter persino scorgere la presenza di un oggetto che stesse precipitando lungo l'arco della cascata. Basandosi soltanto sulla variazione della corrente e del flusso d'acqua registrati attraverso l'epidermide, mentre questi la lambivano. In modo da interpretarne sia la provenienza che la direzione dell'oggetto in questione, ancor prima che esso iniziasse la sua fase di caduta lungo la parte finale del fiume. Ancor prima che potesse colpire chi vi si trovava sotto. In modo da poterne conoscere l'esatta posizione, e così evitarlo.

Poteva essere qualunque cosa fosse in grado di cascare nei flutti e nei gorghi, per poi venirne trascinata e trasportata dal loro tumulto e fragore.

Un sasso, un ramo, una foglia. Davvero qualunque cosa.

Anche un tronco d'albero. E pure grosso e bello nodoso, come se non bastasse.

Proprio come quello che un giorno fu sul punto di travolgere suo fratello minore, il piccolo Kenshiro. Per poi spezzargli la schiena. E magari anche la testa ed il collo, come se non fosse già abbastanza.

Rendendolo in tal modo invalido a vita. O addirittura un fresco cadavere se lo avesse martoriato con il corretto quantitativo di forza e di furia d'impatto, e la giusta angolazione.

Il più piccolo tra i suoi tre fratelli aveva davvero corso un bel rischio, quella volta. Mentre si trovava alle prese con l'esercizio di indurimento, resistenza e stimolazione sensoriale in simultanea descritto in precedenza.

Ma il suo fratellino era ancora alle prime armi, a quel tempo.

Ancora giovane e inesperto. E non aveva ancora sviluppato l'attitudine, la forza di volontà e la disposizione d'animo necessarie a reggere a condizioni così estreme. E non solo a quelle, purtroppo.

Stava letteralmente morendo di freddo.

D'un tratto si ricordò che lo aveva brevemente e bonariamente schernito, per quel fatto. Ed al contempo aveva anche cercato di fornirgli qualche dritta dall'alto della sua maggiore esperienza, essendoci già passato.

 

“Ehi, Kenshiro! Come andiamo? E' dura, eh? Fatti coraggio, queste che stai affrontando non sono che le basi. Anzi...le basi delle basi, a volerla dir tutta. Se ciò ti può consolare...l'addestramento vero e proprio sarà ancora peggio.”

 

Il ragazzino aveva risposto con una smorfia, senza nemmeno girarsi a guardarlo. Sembrava rigido ed immobile come una statua.

 

“Lo vuoi un consiglio, piccolo? E' più facile se respiri con calma e ti rilassi. Ti senti come se le lame e le punte di mille spade ti stiano trafiggendo, dico bene? Non é così, forse?”

“S – si.”

“Bene. La conosco perfettamente, la sensazione che stai provando. Anche per me, quando ho iniziato, era grossomodo la stessa cosa. Cerca di fare come ho fatto io. La sensazione di cui ti ho appena parlato, Kenshiro...cerca di isolarla. E poi concentrati su di essa, altrimenti non riuscirai a sopportarla. Osservala e basta, piuttosto che cercare di bloccarla. Solo così la riuscirai a controllare a piacimento.”

“V – va bene, Toki. L – lo farò. G – grazie.”

 

Suo fratello Kenshiro era un allievo diligente, coscienzioso ed obbediente. Sin da quando era bambino.

Ma a quell'età non lo si poteva definire sufficientemente avvezzo ad una pratica così impegnativa e spossante. E non aveva di certo sviluppato l'abilità necessaria ad affrontarla e superarla con l'adeguata scioltezza e disinvoltura.

E proprio quel giorno un vecchio albero mezzo marcio, malandato e roso dagli insetti, dagli uccelli e dai parassiti, a causa anche della piena dovuta all'ultimo alluvione, aveva ben pensato di staccare le proprie radici dalla loro sede naturale e di percorrere l'intero torrente passando per le rapide fino alla grande cascata. E da lì proseguire ancora.

Chissà. Forse voleva solo vedere dove andava a finire tutta quell'acqua. O forse voleva vedere anche lui com'era fatto questo dannato mare di cui parlavano tanto i merli, i corvi, i pettirossi, le cinciallegre e tutti gli altri uccelli che componevano la fauna volatile di quella zona. Quando udiva i loro discorsi ed il loro chiacchiericcio sotto forma di insistiti e ripetuti cinguettii, tutti belli presi a narrarsi le loro più recenti scoperte effettutate nel corso dei più recenti ed ultimi viaggi.

E così, tutto preso dall'entusiasmo per essere finalmente riuscito a partire...non si rendeva conto che con la sua considerevole mole avrebbe potuto urtare, ferire o danneggiare qualcosa o qualcuno.

Allo stesso modo in cui Kenshiro non si era accorto di nulla. Nemmeno quando ce lo aveva ormai sospeso sopra a pochi, pochissimi metri di distanza, minaccioso ed incombente.

Ma per fortuna Toki, che era lì vicino, lui si che se n'era accorto.

Se n'era accorto eccome, accidenti. Così come aveva capito, al volo e nel giro di un solo attimo, com'era tutta la dannata situazione. E sul come comportarsi per potervi porre rimedio, anche se in extremis.

Non ci aveva nemmeno provato, ad avvertirlo o a metterlo in guardia. Il fragore della cascata stava coprendo tutto. E poi...era troppo tardi. Anche se lo avesse sentito e avesse capito quel che gli stava dicendo, quel tronco era davvero troppo vicino. Non si sarebbe mai spostato per tempo, e non ce l'avrebbe mai fatto ad evitarlo.

Non c'era proprio più il tempo di poter fare nulla. Niente di niente. A parte...

Non rimaneva che una cosa, da fare. E lui l'aveva fatta, senza la benché minima esitazione.

Gli si era gettato sopra e lo aveva abbrancato, coprendolo con la sua stretta di braccia e mettendolo al riparo.

Gli aveva fatto da improvvisato scudo con il suo stesso corpo.

Allungò una mano verso il dorso e la usò per grattarsi la grossa cicatrice che aveva sopra di esso, formatasi dopo il tremendo impatto.

Un uomo normale di solito sarebbe morto, dopo essere rimasto esposto ad una corrente così impetuosa e gelida per un tempo più o meno prolungato. Ma a lui non gli aveva fatto né caldo né freddo. Quando era arrivato il suo turno, tempo orsono, aveva affrontato la tremenda prova senza battere ciglio e allo stesso modo l'aveva superata in massima scioltezza e naturalezza.

E un uomo normale di solito sarebbe morto, dopo essere stato travolto da un tronco di quel peso e di quelle dimensioni. Ma a lui quel vasto e lungo sfregio che si estendeva per quasi tutto l'intero dorso, con particolare conivolgimento della zona centrale e l'asse della colonna vertebrale, al massimo causava un fastidioso prurito. E talvolata anche qualche lieve fitta di dolore, specie nei giorni di grande umidità o quando era in procinto di cambiare il tempo.

E fu proprio allora, mentre si passava le unghie sulla pelle secca e leggermente squamata in modo da donarsi per proprio conto un momentaneo quanto soddisfacente sollievo...fu proprio allora che lo poté percepire.

All'esterno e alle sue orecchie non gli era sembrato altro che una sorta di sibilo, per giunta alquanto sommesso. Poco più di un sussurro. Una libellula, una vespa, un'ape, una zanzara o qualunque altro genere di insetto volante e più o meno molesto avrebbe di sicuro generato un rumore assai più marcato, ronzando o pigolando. Ma dentro di lui la musica fu ben diversa. Lo sentì chiaramente esplodere con la forza ed il fragore di un tuono lontano che preannunciava l'arrivo delle nubi nere, gonfie e cariche di pioggia che gli avevano dato vita. Oppure di un'onda anomala provocata al largo dell'oceano da un terremoto sottomarino.

Sorrise. E guardò il cielo. Le stelle dell' Orsa maggiore gli sembravano più splendenti e luminose del consueto. Più fulgide che mai. Anche quella vicino, di fianco alla penultima.

Si, purtroppo. La vedeva, anche se non aveva fatto parola con nessuno. A parte un'unica eccezione.

Riusciva a vederla anche lui.

LA STELLA DELLA MORTE.

La vedeva anche lui. Ed era il motivo per cui si era recato di persona da Ryuken, suo padre adottivo nonché maestro, qualche giorno addietro. E senza una convocazione ufficiale da parte sua. Anche se, come il vecchio monaco avrebbe avuto tutta la premura di fargli scoprire subito dopo il suo arrivo al tempio, tale convocazione era prevista ed imminente.

Inutile immaginarsi a che che cosa potesse essere dovuta. Era fin troppo ovvio.

Tutti si aspettavano che fosse, che dovesse essere senza alcun dubbio lui l'erede designato della Divina Arte dell' Hokuto Shinken.

Persino Jagger.

Persino suo fratello minore Jagger che di solito era così tronfio, così pieno di sé, così invidioso e così vanaglorioso da rifiutarsi ostinatamente di riconoscere uno più forte di lui anche a costo di ritrovarselo di fronte agli occhi, nel suo specifico caso era stato costretto a doverglielo concedere.

Aveva ammesso la sua inferiorità, addirittura davanti al suo cospetto. Sia dal punto di vista della forza, che di quello della tecniche. Sia praticate che conosciute.

E stranamente per una volta tanto non aveva fatto tante storie o posto troppi problemi, a riguardo.

Forse per il semplice fatto che Toki era più grande di lui, e quindi lo considerava perfettamente legittimo.

Quello schizoide non aveva nulla contro i suoi due fratelli maggiori. Non nutriva alcun rancore nei suoi confronti, o in quelli di Raoul. Provava una sorta di ammirazione mista ad estremo timore reverenziale.

No. L'unico verso cui provava un odio esecrabile, quanto irrazionale ed immotivato...era Kenshiro.

Il più giovane e piccolo del quartetto.

Ironia della sorte...proprio l'unico che gli concedeva un minimo di attenzione e di considerazione.

L'unico che cercava di comprenderlo, di capirlo. E persino di aiutarlo, in qualche modo.

Perdonandogliele sempre e praticamente tutte. E chiudendo spesso un'occhio e pure l'altro sugli sgarbi, sulle vessazioni, sui maltrattamenti e sulle continue ingiurie sia fisiche che verbali a cui lo sottoponeva ormai con assidua quanto sconcertante regolarità.

Ken era l'unico. L'unico a cui importava ancora qualcosa di Jagger.

L'unico che cercava ancora di aiutarlo, nonostante fosse una battaglia pressoché persa.

Sia lui che Raoul che Ryuken, il loro padre e maestro...ci avevano rinunciato da un sacco di tempo.

Perché era inutile. Totalmente inutile.

Jagger avrebbe dovuto essergli grato. Infinitamente grato. Ed invece...

Invece lo odiava con tutte le sue forze. Lo odiava talmente tanto da volerlo vedere morto.

Era un bel problema, dunque. Davvero un gran bel problema.

Durante quell'inaspettato colloquio, con suo padre Ryuken aveva parlato chiaro e messo le proprie carte in tavola sin dal principio.

Gli aveva riferito senza mezzi termini che non sarebbe stato disposto ad accettare l'eventuale incarico di nuovo reggente. E di tenerlo cortesemente fuori dalle ultime fasi dei giochi, sin dal principio.

E alla domanda da parte del vecchio maestro sul perché avesse ponderato una simile quanto grave decisone...aveva vuotato direttamente il sacco, senza alcuna remora da parte sua.

Non poteva. Non poteva perché...

Perché lui vedeva la Stella della Morte. E quindi il suo destino era già segnato.

Non si poteva dedurre con certezza quando e come sarebbe successo, ma...la strada del suo destino era già tracciata, putroppo. E uno che é destinato a morire già in partenza non può diventare il nuovo maestro della Sacra Scuola di Hokuto. Nella maniera più assoluta.

La sua dipartita improvvisa creerebbe un vuoto di potere, da subito. E gli altri allievi inizierebbero una guerra senza esclusione di colpi, pur di ricevere un tale e prestigioso mandato.

Oppure, nella peggiore delle ipotesi, l'arte stessa finirebbe con lo scomparire. Si estinguerebbe, una volta priva di un successore ufficialmente riconosciuto o di un adeguato e degno rappresentante.

In ogni caso l'intero mondo sprofonderebbe nelle tenebre più fitte, tramutandosi in una confusa bolgia di perpetui e caotici scontri e conflitti all'ultimo sangue.

Il cielo non lo si può dividere. Il cielo, almeno quello...va mantenuto unito. Per il bene degli uomini.

Per il bene di tutti.

E sempre per la medesima ragione...Hokuto deve continuare ad esistere. Perché il male non muore mai.

Ryuken, a quella risposta dolente, aveva scosso il capo ed emesso un lungo ed altrettanto sconfortato sospiro. E aveva detto che era proprio un peccato.

Suo padre sapeva. Ma non sapeva tutto.

Lo sapeva, allo stesso modo in cui lo sapevano i suoi fratelli.

Ma c'era dell'altro.

In passato si era già sacrificato una volta, per proteggere Kenshiro in tenera età. Ma tempo dopo aveva ripetuto lo stesso, medesimo gesto. Anche se con modalità e in un contesto totalmente differenti.

Quando, durante un bombardamento a tappeto a base di armi atomiche da parte di una nazione nemica, aveva spinto Kenshiro e Julia dentro al rifugio per poi serrare le grosse porte isolanti e corazzate in piombo e acciaio dall'esterno, con le sue sole forze.

Il bunker era strapieno fino all'orlo di donne, vecchi e bambini. Ed il dispositivo di chiusura automatizzato e a tempo si era guastato. E loro due, Ken e Julia...

No, loro non dovevano morire. Non poteva permettere che morisssero.

Non c'era più il tempo di fare niente. Non c'era più il tempo di fare nient'altro. E lui, Toki...

Lui aveva fatto la cosa giusta. La cosa che riteneva più giusta.

Era rimasto chiuso fuori. E le polveri del fall – out radioattivo sollevate dalle esplosioni lo avevano investito.

Ovviamente era sopravvissuto. Ma nemmeno un combattente di Hokuto, nemmeno un essere dalle capacità come le sue poteva rimanere completamente indenne da un contatto così prolungato con delle sostanze altamente tossiche.

Da quel giorno il su destino fu segnato.

Era come se dentro, dentro di sé fosse invecchiato di molti, moltissimi anni in un colpo solo. I suoi organi interni erano ormai contaminati ed irreversibilmente danneggiati.

Grazie alla Divina Arte avrebbe potuto sopravvivere molto più a lungo rispetto ad una qualsiasi altro essere umano, ma...non avrebbe saputo dire con certezza se si trattava di una grazia oppure di un'implacabile condanna.

Lo avrebbero aspettato anni di atroci dolori e sofferenze, trattandosi di mali incurabili. Con le cellule tumorali che si sarebbero propagate per ogni dove, all'interno del suo corpo. E che, presto o tardi, avrebbero finito col mangiargli e divorargli inesorabilmente la carne, i muscoli e le ossa.

Tutto.

Questo era ciò che sapevano tutti. Suo padre e i suoi fratelli. Ma...

Ma non era la verità. Era solo una parte, della verità.

Il suo declino fisico era già iniziato molto prima. Ed il cancro non era altro che un peso, un ulteriore fardello in più che si era ammassato sulla gigantesca croce che si trascinava appresso già da qualche anno.

Il Sacro Pugno dell' Orsa Maggiore lo aveva completamente consumato.

Chi pratica questa tecnica ha accesso ad un potenziale pressoché illimitato, arrivando ad impiegare facoltà e poteri che nel resto degli altri individui giacciono sopiti. E che nei più e nella quasi totalità tali rimangono, per tutto il resto delle loro più o meno inconsapevoli esistenze.

E proprio per questo motivo...non é alla portata di tutti.

Si tratta di prendere a prestito un'energia enorme. Ed il prezzo da pagare in cambio é altissimo.

Ed é il genere di prezzo che si paga, e che si é disposti a dover pagare, per diventare l'uomo più forte sulla faccia dell'intero pianeta.

L'uomo più forte del mondo intero. E nella storia del mondo intero.

Una candela che arriva a bruciare il doppio o addirittura il triplo del normale...inevitabilmente si consuma nella metà o in un terzo del tempo rispetto alle altre.

Ed in casi come questi...bisogna saper scegliere.

Occorre saper valutare e stabilire con estrema accortezza ed attenzione da quale parte far bruciare la fiamma. Visto che sei tu la fiamma che sta bruciando.

Visto che sei TU, quello che brucia.

Solo i prescelti sono in grado di usare la Divina Arte di Hokuto senza risentirne.

Kenshiro era il discendente diretto del ramo principale della Dinastia di Hokuto. Mentre lui e suo fratello Raoul erano gli eredi della famiglia Ryu, il casato che di norma fornisce i candidati alla successione nel caso il posto spettante all'eletto del ramo principale rimanga vacante.

Ma il primogenito, in quanto più anziano, era Raoul. Non lui.

Era come se Raoul avesse ricevuto tutti i geni dominanti, mentre a lui erano toccati quelli recessivi.

Anche con il suo anziano tutore e maestro era accaduta una cosa simile, in passato.

In teoria, ai tempi...visto che lui era poco più che un ragazzino, il posto di reggente sarebbe dovuto toccare a suo fratello maggiore. Ma quest'ultimo vi rinunciò, per motivi personali. Ed allora...toccò a lui.

Svolse il suo compito al meglio delle proprie forze e conoscenze. Ma anche a lui quel tremendo potere fini col minargli la salute, e si ammalò di cuore.

Glielò spiegò, dunque. E solo allora...solo allora suo padre aveva capito.

Gli aveva rivelato il mistero. Il secondo tra i suoi figli adottivi era arrivato a comprendere persino ciò che lui aveva sempre ignorato, nel corso di tutti quegli anni.

O, meglio...che aveva finto di ignorare.

Era tutto chiaro, dunque. Ecco spiegato il motivo di tutti i suoi timori. E per cui, almeno in principio, era stato così restio e titubante ad insegnargli le sue conoscenze e a sottoporlo all'addestramento. E non certo perché lo considerasse troppo debole, timido o timoroso.

Aveva già potuto scorgere, ed in ben più di un'occasione, sotto quella sua superficie così calma e placida...un fuoco che divampava pari a quello che animava Raoul e la sua furia. Senza contare il talento e le doti innate, presenti in egual misura a quelle di suo fratello. Se non in dosi ed in quantità persino maggiori e superiori.

Aveva deciso di non farlo perché sapeva a quali rischi lo avrebbe mandato incontro.

Ma Raoul stava diventando davvero troppo forte. La sua potenza aveva raggiunto livelli esagerati. Se fosse finito fuori controllo, in futuro...qualcuno doveva essere in grado di fermarlo.

Lui non era certo di riuscirci. Ma Toki, forse...forse Toki ce l'avrebbe fatta, prima di...

Prima di fare la sua stessa fine. Prima di finire corroso dalla malattia. E dalla Divina Arte stessa.

In cuor suo sapeva. Sapeva a quale triste e terribile sorte lo stava destinando. Perché c'era già passato.

C'era passato anche lui. E per primo.

Non c'era niente da fare. Non c'era proprio niente che si potesse fare, a tal riguardo.

Solo i discendenti in linea diretta di sangue della dinastia principale e della famiglia Ryu potevano praticare quell'arte così splendida ed insieme terribile senza subirne conseguenze. Essendo i frutti di un'accurata selezione naturale iniziata quasi duemila anni fa.

In quelle due famiglie...si generavano GUERRIERI.

Gli uomini lo diventavano. E le donne li partorivano.

Perché solo chi é un assassino da quando nasce e viene al mondo...anzi, da prima ancora di nascere e di venire al mondo può ricevere la suprema arte dell'assassinio.

Così era. Così era sempre stato. Ed era così che sarebbe sempre stato.

Tuttavia...

Tuttavia era e restava comunque un grosso peccato. Ed il sommo Ryuken aveva ben motivo di ribardirlo e di continuare a pensarla così, visto che sapeva bene cosa significassero quelle parole. Soprattutto per la sorte dei suoi tre restanti fratelli e compagni di addestramento. E naturalmente, nuovi ed unici aspiranti.

Raoul era dotato di un'abilità a dir poco eccezionale. Ma di recente stava assumendo una china ed un'attitudine alquanto preoccupanti. Di recente non si riusciva più a capire cosa di preciso gli frullasse nella testa ed avesse preso di colpo ad agitarglisi nel profondo del cuore. L'unica certezza era che stava diventando davvero troppo, troppo ambizioso per essere il depositario di una tecnica tanto potente.

In quanto a Jagger...era soltanto rozzo, incauto e stupido. E pertanto estremamente pericoloso.

Non lo si poteva nemmeno prendere in considerazione, sotto quell'aspetto.

Non rimaneva quindi che una sola scelta, da fare. Così come non rimaneva che un unico candidato disponibile.

Ma non si trattava di una decisione priva di dubbi e timori. Soprattutto perché era dettata dall'urgenza. E da influenze esterne. Anche se poteva essere il destino, ad aver voluto che andasse così. E se c'é una cosa che il destino insegna...é che nulla accade mai per caso o per pura e semplice sfortuna.

C'é sempre un motivo. Ed il motivo, in quel momento, Toki ce lo aveva ben chiaro davanti ai propri occhi. E dentro alle proprie orecchie. E dentro al proprio cuore.

L'ultimo, il più giovane dei suoi quattro fratelli...era ancora inesperto. E anche avventato ed impulsivo, come tutti i ragazzi. Inoltre...era troppo sensibile. E questo non costituiva affatto come punto a suo favore.

Un vero maestro di Hokuto deve saper accogliere dentro di sé anche la bontà, oltre che la furia. Ma quando sopraggiunge il momento decisivo...deve saper mettere da parte la pietà, ed agire senza la benché minima esitazione. In caso contrario...durante l'attacco finale potrebbe bloccarsi.

Potrebbe esitare, e proprio mentre si trova in procinto di vibrare il colpo fatale. Potrebbe esitare un attimo, un istante di troppo. E questa sua titubanza finirebbe quasi certamente con il costargli la vita.

Per il nuovo successore non sarebbe stato facile. Ma proprio per niente. Perché se le cose avessero preso la piega che aveva previsto...ben presto il suo compito gli sarebbe stato rivelato. E ancora prima del previsto.

Si sarebbe ritrovato a fronteggiare i suoi fratelli maggiori. E a sconfiggerli. E forse addirittura a doverli uccidere.

Due di loro tre, quasi sicuramente. Poiché mai e poi mai avrebbero ceduto, e riconosciuto il suo ruolo. Equivaleva ad ammettere la propria inferiorità nei suoi confronti, e ritagliarsi una posizione di assoluti subordinati.

E questo non avrebbero mai pouto accettarlo. Erano troppo orgogliosi, e convinti della loro forza e delle loro capacità. Inoltre...sapevano essere entrambi spietati.

Ma il destino di un maestro, del nuovo maestro...é quello di annichilire tutti i suoi rivali, se questi tentano di opporsi a lui. Persino i suoi stessi compagni o fratelli, usando le tecniche che loro stessi gli hanno insegnato.

Lo hanno preparato con lo scopo apposito di venire sconfitti per sua mano, un giorno.

E' quello che accade, che deve accadere, se lui dimostrerà di essere il vero erede e depositario.

Kenshiro aveva l'animo troppo tenero. Ma era anche posato, cauto e riflessivo. Molto più di quel che normalmente ci si aspetta da uno della sua età. E si sa che i giovani hanno il bruttissimo vizio di parlare e agire senza prima mettersi a riflettere.

Guai, se non fosse così. Non sarebbero giovani.

Ma Ken era dotato di una presenza mentale e di una forza di spirito non comuni. E questo lo faceva ben presagire. Ma...dal punto di vista dell'abilità?

Beh, da quel punto di vista...la prova del suo indiscusso talento gliela stava fornendo proprio ora, in quel preciso momento.

Si. C'era ancora.

Poteva esserci ancora una speranza, dopotutto.

“Finalmente si é rivelato il degno e legittimo successore” mormorò tra sé a voce bassa, senza smettere di sorridere.

Ed in quel momento la sua mente, completamente spoglia da un qualsiasi pensiero mondano, venne attraversata da un'immagine alquanto curiosa.

Tornò a quella mattina, quando aveva accompagnato Julia in periferia, nell quartiere che ospitava la comunità cristiana. Vi si recava talvolta a fare del volontariato, ed in quell'occasione non se la sentiva di recarsi fin laggiù da sola.

Gli aveva chiesto cortesemente d accompagnarla. E lui si era offerto di farlo ancor prima che lei gli potesse rivolgere la richiesta. E lei, con un gran sorriso entusiasta, lo aveva ringraziato di cuore e gli aveva assicurato che si sarebbe divertito un mondo.

Quella ragazza aveva una dote particolare, un potere tutto suo.

Già era bella. Molto bella. Ma quando sorrideva...sembrava illuminarsi, circondarsi di un'aura splendente. E non solo.

Sembrava illuminare qualunque cosa si trovasse tutt'intorno a lei. Sembrava illuminare il mondo intero.

Erano stati accolti da un nugolo di bambini schiamazzanti, urlanti e felici. Usciti all'unisono come l'acqua di un ruscello in aperta campagna. Che d'improvviso irrompe dentro ad un lotto coltivato per irrigarlo.

Julia aveva avuto ragione. Quei bimbi erano davvero adorabili. Toki aveva giocato un po' con loro, e poi li aveva aiutati a mettere in ordine e a fare pulizie nel cortile situato dietro alla vecchia chiesa. Ed infine, durante la pausa per lo spuntino mattutino, non appena era corsa la voce che fosse un praticante di arti marziali aveva mostrato loro qualche mossa e qualche forma di movimenti e colpi concatenati mentre erano intenti a rifocillarsi.

I bambini avevano osservato tutti quanti seduti, composti ed in perfetto silenzio. Qualcuno di loro lo aveva asservato trattenendo il fiato, come rapito dall'eleganza delle sue movenze. Persino Julia ed il parroco, che fino ad un attimo prima si trovavano lì nelle vicinanze a discorrere del più e del meno.

Poi uno dei ragazzini aveva indicato una delle immagini sacre sul muro della parrocchia e gli aveva detto che somigliava tantissimo a Gesù. E un altro gli aveva chiesto se erano fratelli. E un altro ancora gli aveva domandato se sapeva combattere anche lui, e perché non aveva preso a botte i soldati che erano venuti nell'orto di Getsemani per arrestarlo, processarlo e metterlo sulla croce.

Il resto della combriccola era scoppiato a ridere di gusto. Il tutto sotto lo sguardo sorpreso e anche un poco sconcertato del sacerdote, che non sapeva più in che direzione guardare. E di quello ilare di Julia.

I bambini sanno essere molto ricettivi e perspicaci. Alle volte dimostrano dei flussi di coscienza a dir poco incredibili.

Toki gli si era avvicinato e lo aveva accarezzato sulla testolina, scompigliandogli la piccola zazzera di capelli nero corvino. E gli aveva spiegato che Gesù era una persona molto coraggiosa, aveva il coraggio di un leone. Perché ci vuole un gran coraggio, ma molto molto, per perdonare chi ci vuol fare del male senza motivo invece di aggredirlo e fargli del male a nostra volta.

Si. E' necessario un gran coraggio, per prendere senza ridare.

Per prenderle e basta, senza reagire. Se non per offrire l'altra guancia, addirittura.

Ci vuole un gran coraggio.Ancor più che per ridarle indietro.

In effetti, però...quello di quel ragazziono era stato un paragone divertente, per quanto temerario. E molto più azzeccato di quanto si potesse pensare.

Perché i bambini, oltre ad essere incredibilmente perspicaci...dicono sempre tutto ciò che pensano.

I bambini sono la voce della verità. Perché parlano e vedono con la voce e gli occhi del cuore.

Per loro il Re é nudo, anche se indossa oppure finge di indossare il più costoso e sfarzoso dei vestiti.

Lui e Gesù Cristo avevano davvero molto in comune.

Anche lui si sarebbe sacrificato. Anche lui, ben presto, sarebbe morto per il bene e la salvezza dell'intera umanità.

Ed esattamente come il figlio di Dio...anche nel suo caso, prima di allora, ci sarebbe stato un compito molto importante da portare a termine.

C'era ancora del lavoro, da fare. C'era un mucchio di lavoro ad attenderlo, da qui fino all'ora della sua fine.

Ma più che a Gesù Cristo avrebbe preferito paragonarsi a Giovanni Battista.

Secondo il più recente dei tomi che compongono la Bibbia, il libro sacro per tutti i cristiani...costui era ultimo profeta inviato al popolo d' Israele dal Signore, mandato per preparare il terreno alla venuta del Nazareno. E morto per causa e colpa della bella Salomé.

Giustiziato in seguito ai suoi complotti, intrighi e macchinazioni.

Ucciso per un suo puro capriccio. Come premio per aver eseguito una danza leggiadra al cospetto del sovrano reggente nonché suo zio, Erode Antipa.

In realtà si tende a non colpevolizzarla troppo. La si ritiene un semplice strumento della volontà divina, indipendentemente dalle azioni che avrebbe suggerito e consigliato di propria spontanea iniziativa.

Giovanni Battista aveva esaurito il suo compito. Doveva semplicemente ascendere al cielo e tornare al Padre Suo, tutto qui.

Non gli rimaneva altro, da poter fare.

Ma un vero uomo di fede non accetta tutto passivamente senza contestare, no.

Il vero uomo di fede scompone, osserva, analizza, commenta ma soprattutto chiede.

Ha il coraggio di chiedere, invece di prendere tutto per buono evitando di fare domande. E, cosa ancora più importante...non giudica.

Forse le sacre scritture non raccontano tutta la verità.

Forse la bella Salomé era attratta dal Battista. Senz'altro più maturo di lei, ma con una saggezza e un'esperienza che lei non avrebbe trovato un nessun altro baldo giovane. Guerriero, principe, comandante o semplice soldato che fosse.

Forse il Battista la ripudiò. Magari la corte da parte di lei non l'aveva lasciata indifferente, ma ormai aveva consacrato la propria vita ad un amore ancora più grande. Il più grande che si potesse mai immaginare. Il più grande che potesse mai immaginare una mente limitata quale era quella dell'essere umano.

Forse aveva tentato di spiegarglielo. Ma una donna respinta può non conoscere ragioni. Nel qual caso non cerca conforto con le lacrime e la rassegnazione, ma col sangue.

Lui non aveva accettato i suoi sentimenti, magari anche apprezzandoli. E lei si era vendicata. Se quell'uomo non poteva essere suo...non sarebbe stato di nessun'altra.

Di nessun altro. Nemmeno di Dio.

Una donna o un uomo furenti per un rifiuto ricevuto possono arrivare ad affrontare anche Dio.

E suo fratello maggiore avrebbe potuto aggiungere qualcosa, a riguardo. Avrebbe ben potuto dire la sua, in tal merito.

O forse poteva darsi che il Battista avesse deciso di ricambiare il suo amore. Ma il loro idillio non poteva durare. Si trovavano entrambi in una posizione compromettente, per il ruolo che occupavano.

Lei era figlia di nobili mentre lui era un plebeo. Per quanto profeta, e i regnanti d' Israele preferivano tenerseli buoni i profeti e non inimicarseli. Erano pur sempre gli inviati sulla Terra del signore, e l' Altissimo parlava per loro bocca e vedeva coi loro occhi. E, fattore non meno importante quanto decisivo...vere o non che fossero le dicerie nei loro confronti, quando intervenivano con i loro sermoni la gente si fermava ad ascoltarli.

Avevano quindi il potere di guidare le persone. Di radunarle. Di soggiogarle.

Di sobillarle.

Il Battista restava quindi una figura di spicco, da tenere di conto. Ma sarebbe scoppiato uno scandalo, che li avrebbe travolti.

La loro relazione, se mai iniziò, dovette rimanere segreta. Ma quando non fu più possibile mascherarla al resto del popolo,e della famiglia reale...dovettero rientrate brutalmente nei ranghi. Recitando un'ultima, atroce commedia.

Fu il Battista a sacrificarsi. Accusò e biasimò la madre di lei per la relazione adulterina col cognato, e quest'ultimo lo fece imprigionare. Poi la nipote, soffocando il dolore, completò l'opera.

Chiese al Re suo zio la testa del Battista.

Perché fu proprio il profeta, a decidere di sacrificarsi?

Fu ingannato e persuaso dalle sue moine, forse? O lo fece perché Salomé era una principessa mentre lui era poco più che un cencioso mendicante da quando aveva iniziato a predicare la parola del Signore, pur proveniendo da una famiglia di sacerdoti ed eruditi per quanto modesta?

O forse...decise così perché avrebbero messo a morte anche lei, ed invece Salomé doveva a tutti i costi sopravvivere?

E se così era...per quale motivo doveva sopravvivere?

Forse per quella dote innata che le donne posseggono ancor prima di venire al mondo? Per via di quella capacità che é di loro esclusivo appannaggio, e che solo loro posseggono? E che di fatto determina il loro ruolo nel mondo?

E cioé la facoltà di poter essere madri? Di accudire, allevare e crescere un discendente?

Salomé attendeva forse un figlio, dal Battista?

Del resto...non sarebbe affatto la prima volta.

Qualcosa di simile ed altrettanto crudele avvenne anche con la nascita del fondatore della Divina Arte, Shuken.

Fu un tacito accordo tra due sorelle, di cui una era sua madre. Shume e Ouka.

La volta in cui l'amore si manifestò in una delle sue forme più meravigliose ed insieme terribili.

Ma nel caso di Salomé e del Battista la verità si perde nella notte dei tempi, ed é finita col venire inghiottita dal lato oscuro della storia.

Se Toki si vedeva davvero come il Giovanni battista, allora...Julia doveva essere senza dubbio la sua

Salomé. Ma non l'avrebbe condotto alla rovina, anzi.

Della bella principessa della Giudea, Julia condivideva giusto la straordinaria quanto struggente bellezza. Ed inoltre disponeva di un animo buono, generoso e magnanimo. E di questo Toki poteva star più che certo. Poiché la conosceva bene, la frequentava e stavano insieme sin da quando erano bambini. Mentre sul carattere di Salomé le voci e le fonti risultano spesso contraddittorie.

Una cosa era certa, indipendentemente da come fosse andata a finire e per quale motivo.

I sentimenti, e forse l'amore che il Battista nutriva per la bella ragazza se li sarebbe portati con sé, una volta asceso al cielo. E sarebbero stati solo suoi.

Per sempre.

Amava Julia, con tutto il suo cuore. Ma non si sarebbe mai dichiarato. Non lo avrebbe mai fatto. L'immagine di un futuro con loro due insieme non esisteva. Anzi...non era mai esistita.

Ma aveva scoperto, grazie alla meditazione e alla trascendenza, che esisteva anche la pura e semplice contemplazione del proprio amore.

Il potersi semplicemente godere la presenza, il ricordo della persona che si ama. Anche se essa non ricambierà mai quel che si prova per lei.

Chissà...forse anche per il Battista era così. Gli bastava solo pensare alla bella Salomé, o ai suoi sentimenti.

E proprio come lui, se li sarebbe fatti bastare.

E poi...Julia aveva già fatto la sua scelta.

Aveva scelto il più giovane tra i suoi fratelli.

Aveva scelto Kenshiro.

Se il più piccolo tra i candidati fosse sopravvissuto...avrebbe trovato senz'altro un ulteriore terreno di scontro, con suo fratello maggiore.

Kenshiro e Raoul si sarebbero dovuti affrontare anche per questo motivo, oltre che la lotta alla successione.

Come carattere ed aspirazioni personali non avebbero potuto essere più differenti. Ma almeno in questo erano molto simili. Più simili di quanto loro stessi potessero o volessero essere disposti ad ammettere.

In fondo erano entrambi due passionali. A loro non sarebbe rivolgersi e rifugiarsi all'interno di sé stessi per limitarsi semplicemente a constatare e riconoscere l'esistenza di quel tenero sentimento.

Loro...lo volevano anche soddisfare, quel sentimento.

Cercavano una figura che fosse anche una sostanza visibile, tangibile, pemanente, Da poter associare a quel che provavano.

Non solo amavano Julia. La volevano, anche.

La desideravano, con tutte le loro forze.

Si. Anche Raoul non era rimasto indifferente alla sue grazie. Ed una volta stava persino per giungere alle vie di fatto. E proprio in quella diocesi dove si erano recati in mattinata.

Non aveva avuto il coraggio di dirglielo. Ma era quello il motivo, il vero motivo, per cui aveva deciso di chiedergli di andare con lei. Ed il motivo per cui lui aveva deciso di seguirla e scortarla senza nemmeno pensarci su due volte.

Temevano entrambi che Raoul ci volesse riprovare.

Se la ricordava molto bene, l'ultima volta. Suo fratello maggiore era piombato lì come una furia, in mezzo ai bambini, senza preoccuparsi minimamente di spaventarli o terrorizzarli.

Come un vero e proprio animale, guidato solo dai più biechi e ciechi istinti primordiali. Come un'autentica bestia.

Non guardava nulla, non considerava nulla. Sembrava un toro furioso davanti ad un drappo rosso che gli veniva continuamente agitato e sbatacchiato davanti agli occhi iniettati di sangue.

Non faceva caso a niente, a parte il drappo. Ed il drappo lo costituiva Julia.

L'aveva presa tra le braccia e stretta fino a farla gemere di dolore, intimandogli che doveva amare solo lui. Come una cosa, un oggetto inanimato. E poi stava per portarla via.

Meno male che lui si trovava nei paraggi, e lo aveva fermato.

Suo fratello Raoul, pur pensando e ritenendo di essere il più forte, in minima misura aveva dimostrato di temerlo ancora. E forse non riteneva che fosse il momento propizio per uno scontro diretto tra loro due. Anche se Toki gliele avrebbe suonate ben volentieri, vista la condotta a dir poco vergognosa ed oltraggiosa che aveva dimostrato.

Un comportamento davvero indegno, sia per un guerriero che per un uomo.

Almeno lì, in quell'occasione, avrebbe voluto tanto rifilare una bella ridimensionata al suo ego ipertrofico e smisurato.

Suo fratello maggiore era un combattente davvero eccezionale. Ma sui rapporti con le persone in generale e con particolare riferimento alle esponenti dell'altro sesso aveva dimostrato in ben più di un'occasione di essere ai livelli di un carvernicolo, o giù di lì.

Un vero, autentico e rozzo troglodita appena uscito dalle caverne.

Tanto abile con le arti marziali quanto ignorante con gli uomini. E con le donne.

Quella volta, con quella povera fanciulla...si era davvero superato in termini di crudeltà, brutalità e barbarie.

C'era mancato solo che la tramortisse con un colpo di clava sulla testa. Per poi caricarsela sulle spalle, rapirla e poratarla dentro la sua grotta. Ed infine possederla con la forza e contro la sua volontà.

Che tanto, giunti a quel punto...che lei fosse d'accordo o meno non avrebbe importato più nulla.

Era al livello di un bambino che vuol a tutti i costi qualcosa. E che arriva persino a rubarlo, anche con la violenza, quel qualcosa.

E che una voltascoperto, piuttosto che ammettere lo sbaglio e ridarlo indietro preferisce ROMPERLO, quell'oggetto.

L'avrebbe meritata per davvero una bella lezione, una volta o l'altra. Come gli scapaccioni o le sculacciate ben date che si assestano ed appioppano ad un ragazzino maleducato ed insolente.

Ma per quelli come lui non serviva.

Per un bufalo o un somaro le busse non servono. Finiscono col fare il callo anche alle bastonate più dure. Gli rendono solo la pelle più aspra e gli fanno chiudere ancora di più sia la mente che il cuore.

Suo fratello maggiore aveva desistito, quella volta. E se l'era battuta in ritirata.

Ma non avrebbe mai rinunciato. Né a lei, né al cielo.E nemmeno al titolo di successore.

L'esito di quella battaglia era già scritto, e presto o tardi si sarebbe rivelato.

Toki avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere, pur di preparare Kenshiro al suo arduo compito. Ed in quanto a ciò che nutriva nei confronti di Julia...se lo sarebbe portato con sé.

Dentro di sé, nascondendolo al resto del mondo. Fino alla tomba. E anche in un'altra vita o nella prossima vita, se mai ve ne fosse stata una.

Per sempre.

Era compito di Giovanni Battista battezzare e preparare Gesù Cristo, il nazareno. Con l'amore per la bella e giovane Salomé serbato nel profondo della propria anima, insieme a quello che provava per Dio.

Per l'eternità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Come va?

Spero bene.

E siamo giunti ad Agosto, dunque.

Tempo di ferie e di vacanze. Ma...

Ma NON PER IL SOTTOSCRITTO, in un certo senso.

Intendiamoci...le mie due settimane di pausa dal lavoro me le daranno come sempre. Ma...

NIENTE MARE, per quest'anno.

Era già tutto pronto, ma purtroppo...dei gravi problemi di salute da parte di un mio parente stretto lo hanno costretto ad un improvviso ricovero.

Diciamo solo che ha rischiato davvero grosso. E lo hanno preso giusto per un pelo.

Di conseguenza...TUTTO ANNULLATO.

Si resta a Milano, per quest'anno. A casa.

Oh, beh...in passato, da ragazzino, quando non c'erano i soldi per partire, ho trascorso un mucchio di estati qui nella metropoli. E a memoria mia...me la sono spassata lo stesso. E mi sono riposato ugualmente.

Mi spiace solo per la mia piccola: un po' di mare le avrebbe fatto bene.

Però...non ce la siamo sentita di fare le vacanze separati.

Penso...pensiamo che l'importante, quel che conta davvero, é di stare TUTTI INSIEME.

Ma ce la caveremo alla grande lo stesso, dai. Specie se consderiamo il fatto che, almeno quest'anno, non fa poi questo gran caldo esagerato.

Non come gli anni scorsi, almeno.

Merito degli strascichi del Lock – Down, della chiusura forzata?

Era davvero tutta colpa dell'inquinamento? Ed ora, visto che si muove meno gente e molti lavorano da casa...si produce meno smog?

Difficile stabilirlo. Indubbiamente mi sembra di essere tornato alle care, vecchie estati di decenni or sono.

Faceva caldo anche lì, certo. Ma non così tanto da impedirti di inforcare la bicicletta e partire alla ventura a suon di pedalate!

Ma veniamo a quest'ultimo episodio.

Allora, che ne dite?

Siamo passati all'analisi di un altro dei cari “fratellini” del protagonista.

Uno dei miei personaggi preferiti, tra l'altro.

Dopo i toni crudi, volgari e persino oltraggiosi dello scorso capitolo siamo tornati alle atmosfere precedenti. Anzi...di più.

In questo capitolo Toki, nella sua descrizione, é quasi circondato da un'aura di sacralità.

Sembra quasi un santo. Un apostolo. Un angelo delle schiere celesti, addirittura.

Certo, qualcuno potrebbe trovare il paragone con LUI un po' azzardato.

Persino BLASFEMO, a dirla tutta.

Ma non potevo fare altrimenti.

Come dicevo, Toki é e resta uno dei miei personaggi preferiti in assoluto.

Non IL PREFERITO. Quelli rimangono a pari merito Rei e Shu.

Il primo per aver donato alla donna che ama ( e a noi spettatori) la più grande dichiarazione mai fatta in punto di morte. E con cui le ha letteralmente cambiato il destino.

Senza contare il modo in cui si é ritagliato una fine da autentico eroe, nonostante la sorte tragica che lo attendeva al varco. E che era ormai imminente quanto inevitabile.

L'unico rammarico...l'unica cosa che mi é spiaciuta é che lui e Mamiya (il mio personaggio femminile preferito, di Ken. Una donna coraggiosa e per certi versi moderna, che ha saputo reagire e riscattarsi da un passato di violenze e abusi. Ma che non ha rinunciato alla sua fragilità) avrebbero potuto avere un figlio, prima dell'ora fatale...

Riguardo al grande Shu...voglio solo citare una frase.

 

Giuro che in vita mia non avevo mai visto un uomo morire così.”

 

Augh. Parole sante, Maestà.

Puro Vangelo.

A proposito...manca il buon Raoul, all'appello.

Oh, non temete. Arriverà anche lui, tra poco. E sono curioso di sentire il vostro parere.

Del resto un assaggino su come la penso lo avete avuto nella mia storia auto-conclusiva RE SENZA CORONA (VIRUS).

Ok, non arriveremo a quelle punte di demenzialità.

Ma di sicuro considero il maggiore tra i fratelli di Hokuto come un uomo caparbio e risoluto. Ma anche terribilmente ottuso e testardo.

Intanto...torniamo a Toki.

Allora...a detta dei due autori, il paragone non sarebbe affatto fuori luogo.

Loro stessi per primi, hanno ammesso di essersi ispirati alla più grande figura della cristianità.

E in effetti di punti in comune ne ha parecchi.

Oltre alla bontà e al desiderio innato di fare del bene al prossimo possiamo dire che il secondo tra i figli adottivi di Ryuken, nel corso della sua vita, ha avuto pure lui un bel carico di croci da portare.

Tra malattie e sfighe tra le più svariate...si é sparato il suo Golgota personale. Che non era mica male, tra l'altro.

Per farla breve...vuoi che ai tempi ero in ballo col catechismo, ma quando ho visto in tv Toki per la prima volta, con quei capelli e quel volto...

Insomma, impossibile non fare paragoni.

Sono rimasto FOLGORATO, a dir poco.

Ed infatti mi sono chiesto:

Ma chi é? GESU'?!”

E in effetti se il Gesù di cui parlano i Vangeli fosse stato un po' più simile a QUELLO IPER-POMPATO CON LA FACCIA DA ROBERT POWELL, per dirla alla ZeroCalcare...

Insomma, forse non lo avrei trovato così noioso (parere personale, eh).

Anzi...mi sarei divertito un sacco.

Vedere Gesù che viene arrestato e portato via tra botte, calci e spintoni per venire condotto alle prigioni e alle torture l'ho sempre trovato molto, molto triste.

Ma d'altra parte...era il suo destino. E lo sapeva.

Ma se per una volta avesse fatto come Toki, e dopo aver cercato di convincere inutilmente i suoi aguzzini avesse iniziato a gonfiare i bicipiti e a distribuire schiaffazzi e cartoni a centurioni e farisei vari...beh, sarebbe stata un'altra storia, non vi pare?

Ma vi confesso che l'ho immaginato, ogni tanto.

Va beh, diamoci un taglio con le fesserie. Che a toccare con leggerezza certi argomenti si corre sempre il rischio di offendere qualcuno.

Si fa per ridere, eh. Nessun rancore.

Prima di concludere, passiamo al consueto angolo dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore a Kuumo no Juuza, Devilangel476, innominetuo e vento di luce per le recensioni all'ultimo capitolo.

Ci sentiamo presto. Intanto, che si parta o meno...

 

Buone vacanze a tutti!!

 

E fate attenzione, mi raccomando.

 

Alla prossima, e...

 

 

See ya!!

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 8

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Raoul si trovava ritto in piedi, di fronte ad una fitta foresta di pioppi.

Gli alberi erano perfettamente allineati ed ordinati. I tronchi bianchi e screziati di nero erano disposti in fila come un battaglione di tanti bravi soldati, pronti a serrare i ranghi al primo ordine ricevuto per bocca del loro comandante.

Pronti a muoversi.

Pronti a scattare.

Pronti a partire. Per la guerra o rappresaglia che fosse.

Sogghignò, almeno dentro di sé.

Era senza dubbio un pensiero frivolo, perché un generale non ha il tempo di occuparsi di cose come questa. Di cose che non c'entrino o non riguardino la battaglia, sia direttamente che indirettamente.

E nemmeno di pensarle, anche se in un certo senso lato sono comunque inerenti ad essa. Però...

Però la gradiva, l'idea.

Come pensata gli piaceva decisamente.

Un giorno, il giorno che avrebbe finalmente fondato un esercito, il suo esercito, che lo avrebbe aiutato a conquistare il mondo...

Ebbene, quell'esercito avrebbe dovuto proprio essere così.

Se davvero lui avrebbe dovuto, se davvero era destino che lui doveva essere la quercia secolare, il grande albero che avrebbe raccolto tra le proprie fronde il mondo con tutto quanto il suo intero peso, allora tutti quelli che si sarebbero ritrovati a lottare sotto la sua egida avrebbero dovuto essere così.

Come tanti alberi.

Come un'intera foresta.

Ben piantati al suolo con le radici che vi affondavano dentro, erette a solide ed indistruttibili fondamenta.

Stabili come una montagna e con i rami protesi verso la volta celeste, dato che quello costituiva l'obiettivo.

Inferiori nell'aspetto, nelle dimensioni e nella possenza. Poiché in una nave che salpa verso una nuova terra nulla può eguagliare l'albero maestro, il sostegno principale.

Ma eguali nella forza.

Non potevano superarlo.

No. Non avrebbero potuto osare un simile affronto. Ma potevano tenere ugualmente il passo. Anzi...avrebbero dovuto tenerlo.

Li avrebbe obbligati a farlo. In caso contrario ci avrebbe pensato lui stesso a sradicarli.

Un ramo o un albero malato o debole possono far morire tutto quanto, se non li si provvede a potare per tempo.

Rimase ancora per qualche istante come in raccoglimento ed osservazione, senza staccare gli occhi di dosso da quelle piante. Come se stesse riflettendo o rimuginando su ciò che avrebbe compiuto da lì a poco.

Inspirò quindi profondamente, forzando l'aria a scendere nel suo vasto petto fino a riempire il più possibile i polmoni.

Una volta che fu quasi al termine dell'operazione una smorfia gli si disegnò sul viso, come se da dentro gli si fosse propagata all'improvviso una sensazione che doveva essere alquanto fastidiosa. E dolorosa.

Lo sapeva.

L'espressione sul suo volto era dolente, e lui la sentiva.

Sulla fronte e proprio nel mezzo di essa gli si doveva essere formata una ruga per lo sforzo.

Una ruga talmente scura e profonda da poter essere tranquillamente scambiata per una ferita, oppure una piaga. Senza alcuna ombra o possibilità di dubbio o di fallo.

Riusciva a percepirla con estrema chiarezza.

Le tecniche della Divina Arte posseggono una potenza a dir poco incommensurabile.

Ma chi le usa, colui che si ritrova per destino o per caso fortuito ad utilizzarle...per quanto allenato e fortificato dalla disciplina, rimane pur sempre un essere umano.

E compiere quelli che a tutti gli effetti appaiono come prodigi, come atti ed opere di stampo e di origine ultra – terrena...non rientra nella natura umana.

E' incredibile quel che riescono a fare gli esseri umani, con un minimo di costanza e di allenamento. Ma, nonostante quello...

Nonostante ciò, essi sono e restano limitati.

Si può soltanto prendere a prestito un'energia enorme, e per un tempo assai breve e circoscritto.

E alla fine, nonostante il fisico colossale e temprato dai duri addestramenti, anche lui in fondo non era altro che un uomo.

Per il momento.

Per riuscire a realizzare ciò che aveva in mente avrebbe dovuto arrivare a trascendere i limiti imposti dalla sua stessa condizione.

Superare le barriere e gli ostacoli che di norma finivano col bloccare l'avanzata di ogni misero mortale.

Doveva farcela.

Anche lui avrebbe dovuto farcela, ad ogni costo.

Non aveva altra scelta. E quel che si accingeva a fare era un altro passo, un ulteriore passo in quella direzione.

Irrigidì in contemporanea tutti quanti i muscoli del suo enorme corpo, mentre iniziò a far roteare entrambe le braccia in senso contrapposto l'una all'altra. La destra in senso orario e la sinistra in modo speculare rispetto ad essa, con entrambe che compivano traiettorie molto ampie e circolari.

Le immagini residue delle sue mani in movimento lasciavano una scia nell'aria, e avrebbe potuto riuscire a scorgerle con i suoi stessi occhi.

Le fece roteare ancora un paio di volte e poi le raccolse portandole all'altezza delle proprie anche, da cui partivano le gambe leggermente piegate e divaricate.

Tenne i gomiti lievemente flessi, e poi chiuse i pugni lasciando le penultime nocche in evidenza e ben rivolte verso l'alto.

Inspirò di nuovo, questa volta in modo molto più prolungato, e a seguito di ciò i suoi muscoli già tesi sino allo spasimo sembrarono gonfiarsi di colpo ed aumentare considerevolmente di volume.

Quella sua posa dava un'immagine alquanto singolare.

Persino inquietante, si sarebbe detto.

Ad un osservatore neutrale e capitato da quelle parti per puro caso avrebbe regalato l'impressione di raccogliere ed assorbire qualche sorta di misterioso fluido dalla terra, dal vento e dall'ambiente circostante, per poi raccoglierlo e concentrarlo dentro al proprio organismo. Ed infine riversarlo all'esterno, una volta raggiunta la soglia massima di contenimento.

E così era, infatti.

Era come una cisterna sul punto di traboccare, di esplodere.

Emise un verso gutturale, molto simile ad un mugghiare.

“Hhhhmmmm!!”

Pochi istanti più tardi allungò di nuovo le braccia protendendole in avanti, alla massima escursione di cui poteva disporre. E subito dopo spalancò le mani, estendendo le dita come tanti mirini puntati su di un unico e comune bersaglio.

“OOOAAARRRGGGHHH!!”

Lanciò un urlo profondo, mentre eseguiva quei movimenti.

Dai palmi bene aperti fuoriuscì una gigantesca massa d'aria simile ad un tifone, che si abbatté sulla foresta davanti a lui con la furia e la potenza di un bordata effettuata tramite un pesantissimo maglio di acciaio.

Gli alberi vennero letteralmente spazzati via. I tronchi sradicati di netto dalle loro sedi insieme alle basi nodose e frastagliate, finendo completamente smembrati.

E la medesima sorte la subirono le appendici superiori cariche di foglie, polline ed inflorescenze primaverili, che vennero in men che non si dica ridotte a brandelli e poi in briciole via via sempre più piccole, mano a mano che l'intensità del colpo aumentava. Per poi venire scagliate verso l'immensità del firmamento stellato, a quell'ora della sera buio almeno quanto era infinito.

Sembrava non fermarsi più. Sembrava non esaurirsi mai.

La scaricò tutta quanta, completamente. Ed una volta giunto al termine dell'esecuzione riabbassò le braccia, riportandole ben lunghe e distese in prossimità dei fianchi.

Raoul guardò ancora davanti a sé, verso la foresta. O meglio, nel punto dove fino ad un atttimo prima vi era stata una foresta.

Ora non vi era più nulla. Al suo posto vi era sorto uno spiazzo vuoto e desolato. Un deserto.

Ridacchiò compiaciuto.

Ce l'aveva fatta, finalmente.

Aveva ottenuto una delle ultime tecniche della Divina Scuola.

Uno degli ultimi segreti.

 

HOKUTO SHINKEN TEN – SHO HONRETSU.

 

L' ONDA DELLA CORRENTE IMPETUOSA DELLA VIOLENZA DEL DOMINATORE DEI CIELI.

 

Non poteva esserci nome più appropriato, per definirla.

Così come per chi la stava padroneggiando, anche. Visto che in futuro sarebbe stato destinato ad ottenerli e a stringerli entrambi nel palmo della propria mano.

Sia la tecnica, che il cielo di cui essa parlava ed a cui faceva riferimento.

Sia il mondo, che il pugno.

Grazie a questo colpo era possibile concentrare la forza spirituale nei palmi e nelle falangi degli arti superiori per poi espellerla in una volta sola, in modo da raggiungere il corpo dell'avversario anche a decine di metri di distanza.

Oppure era possibile utilizzarla per generare un possente turbine in grado di abbattere, devastare e ridurre in cenere qualunque cosa. E forse avrebbe potuto arrivare ad attivare e danneggiare gli tsubo vitali senza nemmeno doverli toccare, con la giusta pratica.

Certo, era appena agli inizi. Ma in ogni caso si trattava di una tecnica dalle capacità distruttive assolutamente uniche.

Dove passava...niente restava più come prima.

Sul serio.

Narrava una leggenda che una volta l'antico Egitto era una landa verde e rigogliosa. E che fu un maestro di Hokuto nel tentativo di dare un freno alla smisurata ambizione del Faraone a ridurla ad un territorio sterile, coperto di sabbia arida e perennemente bruciato dal sole. E proprio grazie a quel colpo.

Era il colpo adatto ai Re. Agli Imperatori. E a lui.

Il colpo micidiale che gli avrebbe permesso di sistemare qualunque potenziale fastidio o minaccia senza nemmeno doversi sporcare le mani. Senza nemmeno dover scendere da cavallo.

Un monarca abbandona la propria cavalcatura ed il proprio destriero solo quando ha la fortuna, l'onore ed il privilegio di trovarsi davanti ad un avversario che giudica degno, o di pari valore.

In caso contrario...non é nemmeno tenuto a scendere in campo.

Un Re non può, non deve mettersi allo stesso livello della feccia.

C'era ancora tanto, da fare. Ma c'era anche di che potersi ritenere più che soddisfatti, almeno per un poco.

Si. Gli si addiceva proprio, quella tecnica.

Era la tecnica creata apposta e su misura per uno che era destinato al comando. Ed averla acquisita altro non era che una prova ulteriore.

Un passo in più verso la supremazia. Un passo in più mosso verso la conquista del mondo. E successivamente del cielo.

Una passo e una tecnica alla volta. E passo dopo passo, tecnica dopo tecnica, un giorno sarebbe diventato sufficientemente abile. Da ottenere tutti e due.

Da ottenere tutto quel che desiderava con la sola forza delle proprie mani.

E dei propri pugni.

Poi, tutto ad un tratto...sentì fischiare lievemente e all'improvviso le proprie orecchie.

Fu una sorta di sibilo, breve ma acutissimo. Seguito a ruota da un brivido che dalla nuca gli si dipanò lungo tutto quanto l'arco dell'intera colonna vertebrale.

“Ma che...” esclamò.

Stava accadendo qualcosa. Lontano da lì.

O meglio, quel qualcosa era appena accaduto. E ciò che gli era appena giunto a portata di nervi e di timpani non era altro che un'eco remota. Paragonabile alla luce emessa da certi astri componenti o facenti parte di questa o di quella galassia. E che dai più profondi recessi del cosmo giunge fino agli abitanti della Terra facendogli pensare quanto sia grande, luminoso e potente. Quando in realtà la stella che l'ha emanata é morta da innumerevoli decenni.

O da secoli. Da eoni, persino. Ed é ridotta ad un corpo spento e freddo che fluttua nel vuoto siderale, mentre gli spettatori delle sue ormai misere spoglie nemmeno se ne rendono conto.

E Raoul reagì nel medesimo modo.

Quello che aveva percepito era accaduto lontanto, ma allo stesso tempo vicino.

A colpirlo e a sorprenderlo maggiormente non fu tanto quel che aveva appena percepito, quanto cio che era avvenuto dentro di lui come diretta conseguenza di quella percezione. Le sensazioni che essa aveva generato.

E ne fu talmente preso, talmente rapito che finì col concentrarsi più sulla sensazione in sé che sulle cause scatenanti.

Fu come se il suo cervello avesse perso, saltato un passaggio fondamentale.

Dedicò ogni singola stilla della propria attenzione al suo stato d'animo, quando forse sarebbe stato più opportuno per lui mettersi a riflettere su quel che lo aveva originato.

Ma invece se ne dimenticò completamente e decise di preferire il primo aspetto di tutta quanta la vicenda.

Magari perché lo aveva giudicato maggiormente degno della propria attenzione, visto che era quello che lo coinvolgeva maggormante dal punto di vista emotivo.

Era...strano.

Sentiva come un peso opprimergli la parte centrale del suo vasto e muscoloso petto, in prossimità del cuore. Ed il brivido che gli era scaturito dalla zona encefalica si era esteso fino alle ginocchia, che sembravano aver preso la consistenza del burro.

Non riusciva più a muoverle. Sembrava che di colpo non rispondessero più alla sua volontà.

Ma...ma cosa poteva essere, dannazione?

Che cosa poteva essere, per la miseria?

Non si era mai sentito così. E non aveva mai provato assolutamente nulla del genere.

In realtà non era proprio così. Non le aveva mai assaporate ma non gli erano nuove.

Non le aveva mai provate ma le aveva viste. In genere negli occhi e nelle membra atterrite di coloro che fino ad adesso avevano avuto la sventura di pararglisi davanti e di incrociare il suo cammino.

In genere avversari e contendenti affrontati in allenamento, o nelle lotte avvenute per la successione o nei confronti con altri stili e scuole.

Che fosse...anzi, che si trattassero proprio di quelle due tipiche e precise reazioni che si provano quando ci si trova davanti ad un nemico che si teme, e che automaticamente si tende a considerare più forte?

Oppure quando ci si ritrova a dover affrontare una battaglia all'ultimo sangue, senza avere nemmeno il conforto donato dalla certezza di poterne uscire vincitori ma soprattutto vivi?

Le conosceva bene, quelle sensazioni. Ma le aveva sempre riconosciute negli altri, mai in sé stesso.

A parte una volta.

Ryuken, il suo padre e maestro, gliene aveva parlato molto tempo fa. E proprio durante quell'occasione.

Anche se il primo dei suoi figli adottivi non se ne faceva nulla.

Né del suo intervento, né del suo contributo in merito.

Aveva deciso di non farsene più nulla, di quel vecchio, delle sue parole e dei suoi insegnamenti.

Aveva deciso di non farsene più nulla, di suo padre. E da tempo, ormai.

Se li ricordava benissimo entrambi, quei due stati d'animo. Così come se la ricordava benissimo, quella volta.

E come al solito...ci era riuscito benissimo da solo, e senza l'aiuto di nessuno.

Come con ogni cosa. Come con ogni altra cosa.

Era così che aveva deciso di continuare a vivere da un bel po' di tempo, dopotutto.

Di non contare più su nessun genere di aiuto che non fosse quello proveniente e derivante direttamente da sé stesso.

I sentimenti che in quel preciso momento lo stavano attanagliando in una morsa senza sosta, né pace né pietà alcuna...li aveva provati entrambi quand'era appena ragazzino, dopo essersi trovato di fronte all'autentica impersonificazione di un orco.

Al Diavolo in persona.

A Satana stesso che doveva aver deciso di farsi di carne e sangue e di scendere in mezzo agli uomini, quella volta. Per fare ciò che sapeva fare meglio, si da quando esisteva.

E cioé spargere viscere, morte e distruzione.

Quella volta, al castello...quella volta era arrivato il Diavolo. Nella loro stessa dimora.

Era arrivato il Diavolo a fare il lavoro del Diavolo.

Avevano abbassato la guardia, e dalla porta di oriente erano entrati i demoni, violando e profanando il tempio, il dojo e la loro stessa casa.

E lui lo aveva visto in azione, mentre col suo corpo mastodontico, titanico e gigantesco e la sua ghigna feroce aveva compiuto un vero e proprio massacro facendo strage di tutti i giovani allievi della scuola di Hokuto. Per poi fare successivamente razzia di soldi, cibarie e provviste.

Come se nulla fosse. Come se nulla fosse successo.

E quando suo padre Ryuken gli aveva domandato quasi con calma serafica ed innaturale che cosa significasse per lui la vita umana, quel mostro se n'era venuto fuori con una risposta da far gelare il sangue dentro alle vene.

Gli aveva replicato che non gliene importava nulla, della vita degli altri. Che non aveva mai conosciuto né suo padre, né sua madre. E quindi, per quel che gli riguardava...tutti gli uomini non facevano altro che venire fuori dalle viscere della terra come i vermi, quando nascevano. E come tali li considerava.

Fudo.

Questo era il nome di quel demonio.

Fudo. Era così che si chiamava, quel mostro fatto di muscoli e di fattezze a dir poco gargantuesche.

Fudo.

La montagna.

Appartenente ai Cinque Astri in Cerchio della Sacra Scuola di Nanto.

Protettori e difensori assoluti e fedelissimi dell' Ultimo Grande Condottiero della Sacra Costellazione del Cielo del Sud.

E comandante di una delle cinque armate al servizio di Rihaku, il Mare. Capo supremo dei Cinque Astri.

Anche se ai tempi aveva rinnegato sia la propria vita che la propria anima, dato che non era ancora consapevole del suo destino. E non era altro che un lurido predone. Ed in quanto tale interessato unicamente al credo delle uccisioni, degli stupri e dei saccheggi.

Raoul non aveva potuto fare altro che rimanere ad osservarlo, in ginocchio col volto e le membra impietrite dal terrore. Ma una cosa aveva potuto farla, anche se solamente dentro di sé e solo col pensiero. Ed in silenzio.

Si era promesso e ripromesso che mai più, nel corso e per il resto della sua intera vita, si sarebbe fatto ridurre in un simile stato.

Mai più si sarebbe ritrovato così atterrito ed inerme per colpa di una minaccia.

Mai più. Da anima morta o viva.

Eppure...eppure sembrava proprio che...

No. Non eppure.

Stava accadendo, invece.

Stava accadendo, maledizione.

Stava accadendo di nuovo. E lui...

Lui lo aveva lasciato accadere.

Aveva lasciato che accadesse. Ancora una volta.

Aveva abbassato al guardia. E adesso...

Erano tornate.

Che fossero...che fossero proprio loro?

Che fosse proprio ciò che da quel fatidico giorno aveva cercato di bandire, dal proprio animo e dal proprio corpo con ogni mezzo e con tutte le proprie forze?

Ma certo che erano loro.

Le aveva riconosciute subito, anche se non lo voleva ammettere.

Avrebbe preferito morire, piuttosto che accettare una cosa simile.

In ogni caso...meglio fugare ogni dubbio.

Digrignò i propri denti, assumendo un espressione furente e rabbiosa.

Un istante dopo si accovacciò, poggiando un ginocchio a terra. E poi, dopo averlo alzato fin sopra la propria testa, scaglio un tremendo pugno contro al suolo.

Sembrava che avesse voluto tirare un enorme cazzotto contro tutta la terra. Ma in realtà lo aveva tirato idealmente contro lui stesso, come punizione e biasimo per quanto gli era appena successo.

Per quanto aveva appena fatto, e compiuto.

Causò nel punto d'impatto una profonda voragine, di mezzo metro almeno sia di diametro che di profondità, da cui si diramò tutt'intorno una fitta rete di crepe simili ad una ragnatela ben intessuta.

Era impressionante, a dir poco.

La sua forza era aumentata in maniera addirittura spropositata, nel corso degli ultimi anni.

Era diventato potente oltre ogni immaginazione, in modo esagerato.

Ma un sol uomo, per quanto forte e potente possa essere o diventare, non può mettersi contro la massa dell'intero pianeta senza subire delle conseguenze.

Le vene di tutta quanta la sua parte destra, quella che aveva impiegato nel caricamento e nell'esecuzione dell'attacco, per effetto dello spaventoso contraccolpo iniziarono a gonfiarsi vistosamente fino ad affiorare sottopelle.

Un istante dopo da esse da esse iniziarono a sprizzare e zampillare una miriade di minuscoli fiotti di sangue, lacerando la pelle e i tessuti in più punti.

Quando l'emorragia ebbe termine, una metà esatta di lui somigliava ad un'unica grande ferita, rossa e grondante. Ma la cosa non lo impensieriva affatto, e nemmeno contribuì a far placare la sua ira.

“Non so...non so cosa ti sia capitato” intimò con tono minaccioso, guardando verso i suoi piedi. “Ma...non lo fare mai più.”

Era davvero pazzesco, anche il solo pensarlo. Eppure...eppure lo stava facendo sul serio.

Si stava rivolgendo al suo stesso corpo.

Alla sue membra. Alla sua carne. Ai suoi muscoli. Alle sue ossa.

Si. Stava dialogando con sé stesso, per quanto potesse essere assurda e strampalata, come idea.

“Mi hai capito?” Aggiunse, proprio come avrebbe fatto un insegnante alle prese con un allievo svogliato oppure duro di orecchi. O di comprendonio. O entrambe le cose. Se non addirittura ritardato vero e proprio.

“Mi hai capito?” ribadì ancora, con un timbro sempre più inferocito. “Non ti azzardare a rifarlo ancora. Non ti azzardare a rifarlo mai. Mai più. Non tollero...non tollero simili scherzi, da parte tua. Non da chi ha il compito...da chi avrà il fiero compito di sostenere e far muovere colui che un giorno dominerà sia i cieli che la terra. Sappi che...che se accadrà ancora, te la farò pagare.

“Mi hai...mi hai sentito?!” Specificò una terza volta, nel caso il messaggio non fosse e non avesse potuto risultare più sufficientemente chiaro di così. “Se risuccederà...se oserai farlo risuccedere ancora, Sappi che la farò pagare. E molto cara, anche.”

La voce gli tremava, persino. Ma era giusto. Era giusto così. Più che giusto.

Il suo era il corpo di un futuro leader. E quindi...per prima cosa avrebbe dovuto accettare tutto ciò che avrebbe proposto la sua mente e i suoi pensieri da leader.

Avrebbe dovuto garantirgli il pieno appoggio, insieme ad una resa totale ed incondizionata.

Su di lui avrebbe dovuto imparare ad avere il pieno controllo, e da quest'ultimo avrebbe dovuto ottenere il completo appoggio e fiducia.

Se non lo avesse fatto lui...se non lo avesse fatto lui che di fatto condivedeva il suo stesso essere e la sua stesa essenza, nessun altro lo avrebbe mai fatto. Nessun altro.

Doveva avere la sua obbedienza. Da lui prima che da chiunque.

E per meglio chiarirgli il concetto, sferrò un altro colpo. Sempre col medesimo braccio, allargando ancora di più la buca e cavando da sé un altro abbondante getto del proprio fluido vitale.

“Anf...anf...non lo fare mai più, mi hai sentito?” disse, mentre prendeva ad ansimare.

“Non...non lo fare mai più” ripeté. “Altrimenti...altrimenti ti ammazzo. Giuro che ti ammazzo.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Allora? Passate bene, le vacanze?

Beh...beati voi, ragazzi. Per il sottoscritto, come ho già avuto modo di raccontarvi in occasione dello scorso episodio...quest'anno non sono mai cominciate.

D'altra parte ritengo che se qualcuno sta male o ci sono dei problemi grossi, non si può fregarsene bellamente e partire lasciandosi tutto alle spalle come se nulla fosse.

Le vacanze vanno fatte a mente libera e sgombra. E con la consapevolezza di non doversi preoccupare di niente.

In caso contrario...meglio soprassedere. E rinviare.

Alla fine, come vi dicevo...ho trovato il modo di spassarmela ugualmente. Complice anche l'estate più fresca che si sia vista a Milano, da vent'anni a questa parte.

No, sul serio. Mi é sembrato di tornare ai tempi in cui ero un pischello. Dove si, faceva caldo.

Ma non quel caldo esagerato ed assurdo come in queste ultime estati, dove come minimo ti beccavi un'insolazione o un colpo di calore se soltanto ti azzardavi a mettere piede fuori di casa nelle ore più calde.

Praticamente ad ogni ora della giornata in cui il sole splendeva bello alto.

A quei tempi con un berretto calato in testa ed in sella ad una bici il caldo lo si poteva sfidare, volando sulle ali del vento.

E in effetti era proprio quel che si faceva, quando non c'erano soldi per andare al mare e a Ferragosto si stava a casa. E pure gli altri giorni, fino all'inevitabile ritorno a scuola.

Ce la si sciallava alla grandissima lo stesso, in un modo o nell'altro.

C'era un'altra mentalità, ragazzi. E non vi sto parlando del dopoguerra, eh.

Le vacanze erano un lusso, non una necessità irrinunciabile come vengono interpretate dalla maggioranza della gente oggigiorno.

Se si poteva...bene. Altrimenti pace. E nessuno faceva scenate o piagnistei di sorta.

Nel frattempo, ho ripreso a lavorare. E giusto l'altra settimana me n 'é capitata una davvero bruttissima.

Per farla breve, a momenti rischiavo davvero di NON POTER SCRIVERE MAI PIU'.

NON CON LE BRACCIA, almeno.

Ero lì che stavo per riprendere il lavoro dopo un breve pausa, quando...mi sono visto crollare mezzo stampo davanti agli occhi.

Quattro tonnellate di peso per trecento gradi di temperatura. E giusto un istante prima di metterci sotto le mani.

A quelle condizioni, qualunque cosa avrei infilato là sotto in quel momento...l'avrei PERSA, gente. E non sto scherzando.

Ho ancora adesso la strizza, se ci ripenso. E nonstante tutto, sono tornato a lavorare.

Un po' perché non posso permettermi di stare a casa. E poi perché il modo migliore per farsi passare la paura di dosso é di affrontarla.

Chiodo schiaccia chiodo.

O come direbbe il Grande Re...

SE NON COMBATTI, LA PAURA NON TI PASSERA'!!”

Eh. Ho capito, Maestà. Ma io ogni tanto me le vedo ancora sotto, le mie mani.

Comunque...l'ho scampata bella.

Il Dio degli scrittori e dei fanwriter ha guardato di sotto, per fortuna.

Ovviamente, essendo la mia una ditta grossa...il giorno successivo conciliabolo con capi e meccanici. Dove mi é stato detto che E' LA PRIMA VOLTA CHE CAPITA UNA COSA SIMILE IN CINQUANT'ANNI.

Davvero. Non era neanche contemplato in casistica, l'incidente che ho rischiato io. Al punto che hanno smontato e spedito via il pezzo rotto (dato che si é trattato di un cedimento strutturale. Dovuto all'usura, molto probabilmente) ai tecnici per studiarlo.

Particamente dovranno riscrivere i manuali, dopo quel che é accaduto. Perché semplicemente NON ESISTEVA, un simile caso.

Non si era mai verificato. E quindi...NON DOVEVA NEANCHE SUCCEDERE.

Oh, ma che bello. Peccato che non mi senta sollevato per nulla. Ma proprio per niente.

E ti pareva. Dovevo arrivarci io, no?

A casa mia...l'esperienza mi insegna che dove esiste un pezzo che può essere sostituito o smontato ( e di fatto hanno messo un pezzo nuovo di zecca, ed il macchinario é già operativo)...esso si può ROMPERE.

E' semplice, gente. E non é che bisogna aver studiato, per arrivarci.

Ma mi fa specie che non ci siano arrivati fior di ingegneri, meccanici e specialisti.

Evidentemente é il destino degli scrittori. Che in genere sono degli SFIGATI PAZZESCHI.

Nel senso che gli capitano cose assurde.

D'altra parte...se vuoi raccontare qualcosa, ti deve accadere qualcosa.

Al di là di quel che puoi vedere, leggere, sentire e giocare, conta l'esperienza vissuta.

Anche se la prossima volta ne faccio volentieri a meno, grazie.

E 'tacci loro.

Ma veniamo al capitolo, ora. Che mi sono dilungato anche troppo, con le fregnacce.

Allora? Che ne pensate di Raoul? E del ritratto che ne ho fatto?

Qulche anticipazione l'avevo già fornita con la mia storiella auto – conclusiva, su come la pensassi sul conto di questo personaggio.

Certo, lì era tutto da ridere. Ma anche se é cambiato nella forma...la sostanza rimane identica.

Il buon vecchio Raoul continua ad essere ottuso come e peggio di un comodino.

Continua a pensare che la forza bruta sia la soluzione a tutto, ad ogni cosa.

Capirà ben presto quanto si sbaglia.

E prima di chiudere, veniamo al consueto angolo dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore a Kumo no Juuza, Devilangel476, vento di luce e innominetuo per le recensioni all'ultimo capitolo.

Bene, credo di aver messo tutti.

Grazie ancora a tutti, di cuore. E...

Alla prossima!!

 

 

See ya!!

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 9

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il vecchio maestro era immobile, in una posa plastica. Col braccio destro e la gamba sinistra entrambi in posizione avanzata rispetto al resto del proprio corpo.

Come se si fosse bloccato all'improvviso dopo aver sferrato un attacco, decidendo di rimanere fermo al termine della sua esecuzione invece di ritirarsi subito in posizione di guardia, come sarebbe stato più saggio ed opportuno fare.

Sul pavimento alla sua sinistra le piastrelle in cemento erano in frantumi. E proprio nel punto in cui, fino ad un istante prima, si trovava Kenshiro. Completamente svenuto.

Il giovane, in quel momento, si trovava alle sue spalle. Fermo in una postura più o meno simile alla sua, con l'unica differenza che le braccia si trovavano ambedue protese in avanti, anziché una sola.

I suoi occhi erano ancora completamente chiusi, ed i lineamenti del viso sereni e distesi. Chiari indici di una calma e di una compostezza che all'interno di quel preciso contesto figuravano quasi innaturali, visto che anch'egli sembrava aver appena fatto qualcosa.

Anche lui aveva tutta l'aria di chi aveva appena sferrato un colpo o una tecnica. E di averla portata pienamente a segno.

Di qualunque cosa si trattasse, o qualunque cosa avesse fatto, dava proprio l'impressione di essersi trattato di un contrattacco. E ben riuscito pure, visto che almeno dal punto di vista fisico il ragazzo appariva perfettamente incolume.

Ne era uscito miracolosamente illeso. E sembrava avesse pure risposto a dovere.

Ma c'era dell'altro. C'era di più.

Il ragazzo, non si sa come, si trovava a torso completamente nudo.

La parte superiore della sua divisa non c'era più.

Essa era sparita. Come volatilizzata, dato che nemmeno ne si poteva trovare traccia in nessun angolo o anfratto del minuscolo cortile, neanche ad aguzzare sino allo spasimo la vista per tentare di cercare con la massima attenzione di cui si poteva disporre.

Ma dove poteva essere finita?

Sembrava davvero essersi disintegrata. Tramutata in polvere.

Ryuken si ricompose, lentamente. Riallineando i piedi e le gambe e riportando le braccia lungo i fianchi.

Si voltò verso Kenshiro e lo raggiunse, con passi lenti e cadenzati.

Gli pose quindi una mano sulla spalla, con molta delicatezza. Come a voler guidare un sonnambulo fino alla sua camera da letto per rimetterlo poi sotto alle lenzuola, al sicuro. Senza nemmeno provare ad interrompere il suo sonno poiché potrebbe essere estremamente pericolosa, come manovra.

“Risvegliati, figliolo” gli sussurrò.

Le palpebre di suo figlio tremolarono lievemente, a quel richiamo. Ma seguitarono a rimanere chiuse.

“Risvegliati, forza” insistette l'anziano maestro, sempre con dolcezza.

Il giovane riaprì finalmente gli occhi.

“...Mh?!”

Aveva un'espressione a dir poco sorpresa. Come se non riuscisse a capacitarsi minimamente né del luogo in cui si trovava, né del perché il suo corpo si trovasse disposto in quel modo. E nemmeno pareva ricordarsi di ciò che aveva fatto l'istante prima.

Per quanto fosse incredibile a dirsi, dava proprio l'aria di essersi appena destato. Di essere reduce da un lungo, lunghissimo assopimento.

Il suo era il comportamento di un animale selvatico reduce dal consueto letargo stagionale.

Abbassò entrambe le braccia, e si girò verso il suo vecchio maestro.

“Padre” gli disse, con stupore. “Io...io...ma cosa...”

Ryuken gli posò di nuovo la medesima mano sulla medesima spalla. Ma questa volta mettendola leggermente più in basso, in prossimità del punto in cui essa confluiva nel braccio. E impiegandoci un poco in più di forza, arrivando fin quasi a stringerla.

“Sei stato...sei stato bravo, figlio mio” proclamò, con vistoso orgoglio. “Hai superato la prova. Hai...superato l'esame, e a pieni...a pieni voti. Sono...sono fiero di te. Davvero fiero di te.”

“Padre! Ma voi...voi...”

La preoccupazione da parte del ragazzo era più che giustificata e legittima. Nonostante la contentezza che lasciava trasparire dall'espressione e dalle parole in entrambe vi si poteva scorgere un'evidente nota di sofferenza, nonostante l'anziano tutore stesse cercando di occultarlo in tutti i modi.

Si, il vecchio appariva visibilmente in stato di affanno.

“Non...non preoccuparti per me, figliolo” gli rispose quest'ultimo, tentando prontamente di rassicurarlo. “Ed ora...ora và. Adesso và via, per favore. Ho bisogno...ho bisogno di stare da solo.”

Cercava di far finta di nulla, ma era fin troppo chiaro che ogni farse del discorso che stava imbastendo gli doveva costare sforzo.

Una gran sforzo. Ed infatti il giovane, a quella richiesta, fece tanto d'occhi.

“M – ma...ma padre!” insistette, alzando pure la voce. “Voi...voi mi sembrate...mi sembrate piuttosto affaticato, forse...f – forse dovreste...dovrei...”

“Sto bene” intervenne Ryuken, troncando di netto l'accenno di discussione. “Ho detto di non preoccuparti. Ed ora và. Voglio stare da solo, devo riflettere. Lasciami qui per conto mio, te ne prego.”

Il ragazzo parve indugiare ancora per un istante, poi...

“V – va bene, padre” disse, esitante. “Come desiderate. Volete...volete forse che vi mandi...che vi faccia chiamare qualc...”

“No” lo interruppe prontamente il vecchio. “Ti ho detto...ti ho appena detto che voglio stare da solo, per conto mio. Non mi serve l'aiuto di nessuno. E adesso...adesso và.”

“Ma...”

“Và, Kenshiro” insistette il suo maestro. “Forza.”

E per meglio chiarire il concetto appena espresso gli rifilò una decisa pacca all'altezza delle scapole, per incitarlo ad allontanarsi. E con una certa sollecitudine, anche.

Suo figlio, con un sospiro sconsolato, decise di eseguire l'ordine. Se pur a malincuore.

Non era tranquillo, nonostante le continue rassicurazioni.

No. Proprio non gli riusciva di esserlo.

Raggiunse lentamente la piccola porta da cui erano sopraggiunti. Ne afferrò la maniglia e, dopo averla riaperta, si fermò ancora per un attimo ad osservare suo padre con lo sguardo ricolmo di preoccupazione e senza proferire più una sola parola.

Subito dopo proseguì, richiudendosi la porta alle proprie spalle e scomparendo definitivamente alla vista del vecchio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Era di nuovo da solo. Non c'era più anima viva a tenergli gli occhi puntati addosso.

Perciò...non doveva più trattenersi. Non aveva più alcun motivo per farlo.

Ryuken si portò la mano destra all'altezza del cuore.

Si artigliò quindi il pettorale sinistro che lo racchiudeva e proteggeva, come se avesse di colpo deciso di strapparselo di dosso per proprio conto.

Come se volesse tirarselo via di sua iniziativa, e successivamente afferrare sempre da solo il muscolo cardiaco ed iniziare a pomparlo furiosamente in una sorta di sincopato auto – massaggio a torace aperto.

Si accasciò al suolo, mentre stava facendo tutto questo.

Lo sapeva. Lo sapeva che sarebbe potuto accadere, ne era più che consapevole.

Sapeva fin troppo bene che sarebbe potuta finire così.

Era troppo malato. Le precarie condizioni in cui versava il suo cuore malridotto non gli consentivano di sostenere la tensione di una battaglia. Specie se era all'ultimo sangue come quella che aveva appena finito di affrontare.

Così come non gli permettevano certo di sprecare le poche energie residue, quelle che ancora gli erano rimaste, per impiegarle nell'esecuzione delle tecniche più potenti e micidiali. Ma anche più dispendiose, dal punto di vista psico – fisico.

Aveva corso un grosso rischio ad utilizzare quel colpo, malandato com'era.

Usando il SHICHISEI TENSHI, era quasi giunto sul punto di ammazzarsi particamente con le sue stesse mani.

Ma non gli importava. Doveva...VOLEVA sapere.

E cosa può essere mai...che cosa potrà essere mai la vita di un sol uomo, fosse anche il sommo depositario e reggente della più grande arte marziale mai concepita sulla faccia della terra?

Cos'era mai la sua vita, paragonata ALLA RISPOSTA?

ALLA RISPOSTA DI TUTTE LE RISPOSTE?

Terminò la sua rovinosa caduta bocconi e sulle ginocchia, riuscendosi a sorreggere all'ultimo istante sulla mano che gli era ancora rimasta libera.

Ad occhi estranei avrebbe potuto persino apparire come una scena piuttosto buffa. Sembrava un vecchio rimasto vittima di qualche improvviso ostacolo che lo aveva appena portato ad incespicare.

E poi...accadde tutto insieme.

La sua tunica coi colori del bianco e dell'ambrato si lacerò e si strappò in più punti. Proprio come se una miriade di attacchi invisibili ed impalpabili lo avessero raggiunto tutti quanti nel medesimo istante, e senza che lui avesse potuto minimamente rendersene conto.

L'istante successivo toccò al grosso rosario di legno marrone scuro.

Il voluminoso ornamento si spezzò di netto, e i grani si frantumarono in una pioggia di schegge acuminate simili a pietruzze puntute.

In contemporanea, a meno di un metro dal punto del pavimento in cui si trovava fino ad un attimo prima, e da cui si era mosso, partirono una serie di fitte crepe che presero ad avanzare intrecciandosi ripetutamente tra di loro. A guisa di molteplici e rabbiose spire di un nido o di un groviglio di serpenti che si ritrovavano a strisciare, per puro caso oppure per precisa scelta di volontà, nella medesima direzione.

Ma la cosa singolare la costituiva il puntodi partenza, di origine di quella sorta di micro – sisma tellurico.

Era alla sua destra. Nella zona opposta e corrispondente a quella dove, fino al momento precedente alla sua mossa, il più giovane e piccolo tra i suoi allievi e figli giaceva sdraiato e ventre a terra. Giusto un istante prima di decidere a muoversi e fare qualcosa.

Già. Ma...cosa?

Cosa diavolo aveva fatto, di grazia?

Zolle e ciottoli si alzarono, lungo quella scia.

Pareva uno smottamento in miniatura provocato da una talpa di dimensioni alquanto insolite, che avesse preso di colpo a scavare come una forsennata al di sotto di esse.

La striscia di devastazione proeseguì in linea perfettamente retta, nonostante le molteplici traiettorie zigzaganti ed irregolari delle varie crepe che la componevano, per poi arrestare prevedibilmente la sua corsa contro lo spesso muro verticale che aveva di fronte. O almeno all'apparenza.

Perché non appena la saetta di pietra e terra smosse di fresco entrò in contatto con la parete la sbrecciò al volo e la fece esplodere, gettandone i resti tutt'intorno.

Una vera e propria pioggia di cemento e calcinacci che si riversò in tutta la zona circostante, imbiancando e ricoprendo le varie superfici a disposizione come e quanto avrebbero potuto fare i fiocchi di un'abbondante nevicata. O i lapilli di una spaventosa eruzione vulcanica. O le ceneri di un fall – out radioattivo con conseguente inverno nucleare.

Ammantarono tutto quello su cui poterono riuscire a posarsi. Comprese le vesti dell'anziano monaco. O almeno quanto ne era ancora rimasto.

Infine, al culmine di tutto quello sfacelo, Ryuken vomitò una copiosa boccata di sangue, imbrattando le piastrelle che si trovavano ai suoi piedi.

E fu fin troppo chiaro che ad avergli causato quella cascata, quello sversamento improvviso ed abnorme di liquido ematico non era stata certo la malattia, anche se stava minando il suo fisico da ormai parecchio tempo.

Era stata piuttosto la stessa cosa che aveva appena ridotto in frantumi una consistente porzione sia di pavimento che di muraglia.

Era stato colpito.

Eppure...nonostante il dolore che gli stava torcendo ed infiammando sia il petto che le viscere, e nonostante i rivoli rosso acceso che gli scendevano uniformi da entrambi gli angoli della bocca, il vecchio sorrideva.

Stava davvero sorridendo. E non gli riusciva proprio di smettere.

Stava sorridendo di cuore. Per suo figlio.

Ed era felice, nonostante la sofferenza.

Era felice per lui.

Ce l'aveva fatta.

Si, ce l'aveva fatta. Kenshiro ce l'aveva fatta.

Aveva trovato la contro – tecnica adatta a neutralizzare LA POSIZIONE DELL'ATTACCO AL CUORE SEGRETO DELLE SETTE STELLE. E così facendo gli aveva dimostrato coi fatti di essere in possesso dell'ultimo segreto di Hokuto.

Gli aveva dimostrato di custodire dentro di sé la tecnica definitiva. Lo stadio finale di coloro che si addentrano nei misteri della millenaria arte marziale protetta dalla costellazione dell' Orsa Maggiore.

Non era dunque solamente orgoglioso del più giovane tra i suoi eredi, ma anche di sé stesso.

Dunque ci aveva visto giusto. Anche se le cose erano andate un po' diversamente da come le aveva pianificate.

Ancora non sapeva spiegarsi con certezza il perché di certe scelte e di certe azioni.

Aveva davvero fallito quel primo attacco contro Kenshiro, o lo aveva deviato di proposito?

Non sapeva proprio rispondersi se con quel colpo che gli aveva inflitto in pieno petto avesse voluto soltanto metterlo in condizioni di incoscienza, invece di volerlo veramente uccidere.

Oppure se avesse davvero avuto l'intenzione di attivare lo tsubo letale animato da reale ed autentico intento omicida, e solamente per puro caso Kenshiro era stato in grado di spostare impercettibilmente la sua traiettoria. Almeno di quel poco sufficiente per mitigarne le gravissime conseguenze.

O magari era stato lui stesso a modificare inconsciamente la potenza e la direzione del suo attacco.

Ma per quale motivo?

Forse per pietà improvvisa. O per altrettanto improvvisa misericordia.

Forse gli aveva fatto semplicemente pena.

Gli aveva fatto pena a vederlo così. Svenuto ed inerme, senza alcuna possibilità di contrattaccare o di potersi difendere. Ecco la verità.

O forse lo aveva fatto addirittura per amore.

Era un maestro, indubbiamente. E sommo depositario della Sacra Tecnica dell' Hokuto – Shinken, la più micidiale tra le tecniche di combattimento. Ma...

Ma prima di tutto, prima di ogni altra cosa era pur sempre un padre.

Forse non lo era sempre stato.

Forse, almeno all'inizio, era il più rigido, inflessibile e spietato dei tutori. Ma anche se non lo era dal principio...per certe cose aveva dovuto giocoforza calarsi in quel ruolo, anche se non sentiva di esservi particolarmente portato.

E a forza di esercitare quel compito quotidianamente...aveva fintio col diventarlo sul serio.

Un padre.

Aveva giurato sul buon nome del suo casato e su quello dei suoi illustri predecessori che li avrebbe allenati fino a portarli ad un passo, un solo passo dalla morte.

Qualunque cosa, pur di poter riuscire a tirare fuori il massimo delle capacità da ognuno di loro.

Così come aveva giurato e spergiurato di eliminarli uno ad uno, con le proprie mani, nel caso avesse fallito nell'impresa. O nel caso si fossero dimostrati inadatti o indegni delle sue speranze ed aspettative.

Ma adesso, solo di recente, aveva capito che non se sarebbe stato capace.

Un tempo, fosse stato quello di tanto tempo addietro, lo avrebbe fatto senza pensarci su due volte. Senza la benché minima esitazione, e senza mostrare il minimo rimorso.

Ma ora...adesso come adesso...

Ora non ne era più capace.

Non sarebbe stato più in grado di farlo, nemmeno se lo avesse voluto. Nemmeno se vi fosse stato costretto.

Si era affezionato, ecco tutto. E non poteva davvero desiderare la morte di nessuno di quei quattro ragazzi che ormai considerava a tutti gli effetti come figli suoi.

Era un segno di debolezza, ne conveniva.

Si stava senza alcun dubbio ammorbidendo. Ma sentiva di non poter più fare altrimenti.

Persino gli ultimi suoi allievi che aveva scartato nel corso della sua spietata selezione, persino quelli...si era limitato a metterli alla porta, a scacciarli per sempre dalla sua dimora.

Proprio come aveva fatto con il giovane Kim, tanto tanto tempo fa.

Lui era stato il primo, ad inaugurare il nuovo corso. Il primo, tra i tanti rifiutati, ad uscirsene dal suo dojo con le proprie gambe anziché disteso. Se non addirittura completamente ridotto a pezzettini, coi resti raccolti mediante una pala e messi dentro ad un apposito secchio di legno. Di quelli che di solito venivano usati dagli allievi al termine delle lezioni insieme ad un'abbinata composta da uno spazzolone unito ad uno straccio, per lavare e tirare a lucido le listarelle di legno della pavimentazione della palestra.

Alle volte si chiedeva cosa ne avrebbero pensato i suoi illustri predecessori, di un simile cambio di rotta. Se per un attimo, come per una sorta di magia avessero comparire davanti ai suoi occhi, magari lo avrebbero biasimato con i loro sguardi severi. E gli avrebbero detto con sommo disprezzo che più che affezionato si era intenerito troppo. O che si era addiritura rammollito.

E avrebbero avuto ragione, a dirgli così. Ragione piena, ad accusarlo.

Per la prima volta, nel corso, della lunga e millenaria tradizione di Hokuto, aveva contravvenuto alle regole. Che di norma contemplavano e prevedevano il sopprimere gli studenti che non si dimostrassero abbastanza capaci. E senza alcuna eccezione di sorta.

La tecnica di cui la famiglia Kasumi era depositaria era sin troppo potente e pericolosa.

E proprio per tale motivo non poteva, non doveva assolutamente finire in mani sbagliate.

Così come non si poteva permettere di praticarla a chi non fosse dotato della sufficiente abilità. O che non avesse ricevuto la benedizione, il benestare da parte del precedente depositario.

Proprio come facevano una volta nell'antica Cina, quando il monastero di Shaolin ancora esisteva e solo chi otteneva il permesso da parte del supremo abate del tempio poteva usare gli stili che venivano impiegati, insegnati e tramandati al suo interno.

Così si era sempre fatto, prima di lui.

Ma, nel suo specifico caso e con i suoi studenti...si era accontentato dell'abiura.

Coloro che non riuscivano nemmeno a terminare l'apprendistato dovevano rinnegare le loro conoscenze. Dimenticarsi di quanto avevano appreso, persino di quel poco.

Avevano dovuto auto – imporsi un sigillo, sulla loro arte. Per quanto di infimo e misero livello fosse. Pena la vita, con esecuzione immediata.

Ma anche così, il rischio rimaneva. Vi era comunque il pericolo che non prestassero fede all'obbligo, per quanto avessero giurato e spergiurato pur di salvarsi.

Indubbiamente era cambiato, nel corso degli anni.

Non aveva avuto nemmeno la forza di uccidere nemmeno uno come Jagger, dopotutto. Nonostante fosse l'unica soluzione attuabile, per uno ridotto nelle sue condizioni.

Persino con Kenshiro aveva deciso di agire diversamente, quella volta. Quando lo aveva sottoposto alla prova di ammissione alla Sacra Scuola, facendolo precipitare nel profondo di una rupe per poi costringerlo ad uscire da lì affidandosi alle sue sole forze di bambino.

Con Raoul non aveva fatto una sola piega. Era pronto ad abbandonarlo, quando aveva visto che tardava a risalire. Men che meno per Toki, nonostante avesse una gamba schiacciata e maciullata a causa della frana che aveva provocato con uno dei suoi calci, facendo crollare l'intero costone di una montagna.

Ma proprio quando Toki si era gettato nel crepaccio senza pensarci due volte per aiutare il più piccolo tra i suoi fratelli, lo aveva lasciato fare. Limitandosi ad ammonirlo per aver disobbedito, e mettendolo semplicemente in guardia. Sul fatto che ogni compagno o fratello che salvava oggi sarebbe stato un avversario, un rivale in più che si sarebbe ritrovato nel domani sulla strada per diventare successore.

Ma forse era proprio per merito di Toki che aveva deciso di cambiare. Per via della risposta che gli aveva dato.

E cioé quando gli aveva detto, con la massima semplicità e naturalezza di questo mondo, che per lui in quel luogo non esistevano rivali o avversari da sconfiggere e togliere di mezzo. Ma solo fratelli. Fratelli da aiutare.

In quel momento...in quel preciso momento, il più dotato tra i suoi studenti gli aveva rivelato un piccolo barlume della sua più intima essenza. Gli aveva dato un saggio della sua infinita grandezza.

Ryuken era il maestro, lì. Ed era il padre di tutti quei ragazzi. Ma il secondo dei suoi figli adottivi gli aveva impartito una lezione memorabile.

Toki non voleva diventare il migliore. O, meglio, lo voleva diventare. Ma non per essere l'unico ed il solo, che era ciò che invece desiderava suo fratello maggiore Raoul.

Voleva diventarlo per aiutare tutti gli altri a diventare migliori a sua volta. Subito dopo, come se fosse quasi un'ovvia quanto la più scontata delle conseguenze.

Lì aveva capito, per la prima volta. Aveva capito che la forza può non risiedere solamente nella durezza, o nella severità. Ma anche nella magnanimità e nella solidarietà. Nell'empatia.

Aveva capito che simili barbarie come quelle compiute dai precedenti maestri non erano più necessarie.

Tutto si evolve, tutto cambia. Sempre in meglio. Per via di quella spinta al miglioramento continuo e progressivo che si trova insita nella natura stessa delle cose. E dell'essere umano.

Anche il Buddha lo aveva compreso, ad un certo punto. Che non erano più necessarie le pratiche ascetiche, le privazioni e le punizioni e le mortificazioni corporali.

Contava molto di più la tranquillità, lo spirito di gruppo, ed il mettere a proprio agio ed in sicurezza sia sé stessi che gli altri.

La fiducia la si dona con la comprensione, non con le minacce.

Non si può ottenere nulla col ricatto. L'allievo deve decidere di obbedirti e di seguirti per scelta spontanea, non per imposizione.

E non solo.

Aveva capito anche un'altra cosa molto importante.

Aveva capito che era Toki, quello giusto.

Suo figlio Toki aveva colto in pieno lo spirito della Divina Arte dell' Hokuto – Shinken.

La Divina Arte intesa come mezzo per far migliorare e progredire l'uomo. Mettedo a capo di esso un'insegnante, un maestro, piuttosto che un condottiero o un generale.

Una nuova visione della Divina Arte. Moderna, evoluta e al passo coi tempi. Ma che non dimenticasse le radici in cui sprofondava, e da cui aveva avuto origine. Ed il motivo per cui quelle radici erano state piantate nel fertile terreno della storia.

Ed in tal modo Toki aveva dimostrato di aver assimilato anche l'essenza della filosofia che sta alla base della Sacra Tecnica dell' Orsa Maggiore.

Un'arte che fosse duttile ed adattabile, in modo da poter sopravvivere e permettere di sopravvivere a chiunque la pratichi. In ogni situazione e circostanza che si possa venire a creare.

Perché potesse dare frutti fecondi che l'uomo potesse raccogliere.

Frutti luminosi provenienti dritti dritti dall'albero della conoscenza. Con cui saziare la propria fame e sete, ed uscire finalmente dalle tenebre dell'ignoranza.

Toki, una volta guadagnato il titolo di successore, sarebbe diventato il maestro dell'umanita intera.

Se solo non avesse deciso di rinunciare di proposito, mettendosi da parte per proprio conto dalla lotta per la candidatura...e tutto per via di una semplice stella.

Ma anche se era solo un astro...gli astri, e di conseguenza il loro volere, non vanno mai presi sottogamba. Specie uno, in particolare. Quello che affianca la penultima stella del gruppo del Grande Carro.

No. Quello era un genere di astro di cui non era lecito prendersi gioco.

Stava divagando. E tutto perché non riusciva a trovare una risposta. Anzi, delle risposte.

Sia al comportamento di Toki che al suo comportamento. Così come a quello del giovane Kenshiro.

Nel suo modo di fare in generale, nel suo specifico caso. Non solo alla condotta tenuta durante i combattimenti.

Il vecchio maestro trovava ancora estremamente nebulosi il motivo, i motivi che lo avevano spinto a scegliere di fare così. Di risparmiarlo.

Difficile dirlo. Era difficile stabilirlo con chiarezza.

Indipendentemente dalle proprie abilità e dalle proprie capacità di valutazione...uno scontro rimane per sempre uno scontro. E quindi di natura per sé imprevedibile, nonostante i grandi saggi e strateghi al soldo e al servizio dei signori della guerra sostenessero che esso é deciso e stabilito sin dal principio. E che conoscendo tutte le variabili e le possibili diramazioni e svolgimenti é possibile, persino naturale riuscire a prevederne e persino ad anticiparne l'esito.

Ma la sua conclusione resta e continua a rimanere sfuggente. Per sua stessa natura.

Dicono che il finale sia una pagina già scritta ancor prima che la si cominci a leggere. E che la vittoria finisca per arridere a colui che é abbastanza saggio ed avveduto da aver soppesato nel modo adeguato ogni evoluzione, mutamento ed eventualità che ci si possa trovare davanti.

Ciò é sicuramente, indubbiamente vero.

Forse le cose stanno così. Ma solo fino ad un certo punto.

Alla fine, é e resta una mera questione di fortuna. Ma non nel senso di buona sorte.

Nel senso che il finale é si già scritto, ma da qualchedun'altro.

Non possiamo essere noi a scriverlo, di nostro pugno. Mai.

E forse non lo possiamo nemmeno prevedere, visto che esso ci rimane celato fino all'ultimo.

Di conseguenza l'unica, vera abilità del comandante é costituita dal riuscire a prendersi per sé i meriti nel caso di trionfo, ed affibbiare e scaricare le colpe sugli altri in caso di sconfitta o di disfatta.

Meriti e colpe che in realtà non appartengono a nessuno.

Ma perciò...chi lo decide, l'esito?

Chi é che decide tutto?

Ma forse il vero punto non é tanto il combattere. Quanto il riuscire a capire perché, per qual motivo si combatte.

Non il duello in sé, quanto le ragioni che ci hanno spinto a volerlo intraprendere.

E, almeno da quel punto di vista, Ryuken poteva dire di aver raggiunto in pieno il suo scopo.

Aveva voluto mettere Kenshiro alle strette per costringerlo a tirare fuori la sua vera forza, la ve abilità di cui poteva disporre e di cui era capace. Ed in un modo o nell'altro...

In un modo o nell'altro ci era riuscito. Anzi...

Forse era scritto anche quello.

Forse era scritto che suo figlio dovesse perdere i sensi e rimanere privo di conoscenza. Perché era stato proprio grazie a ciò che il suo maestro aveva potuto intuire una cosa fondamentale. La cosa fondamentale di cui adesso, a volerci ripensare, era così felice.

La cosa di cui era tanto orgoglioso.

Era accaduto tutto quanto in un solo istante. In meno di un istante. Nel lasso di tempo che normalmente si impiega per respirare o per effettuare un battito, un unico battito delle proprie ciglia. In occasione del suo secondo attacco.

Nel corso della seconda volta in cui aveva fatto ricorso alla sua tecnica omicida. E questa volta, a differenza della precedente appena trascorsa, niente e nessuno lo avrebbe fermato o distolto dai suoi propositi.

Sarebbe andato fino in fondo, costi quel costi. Avrebbe fatto ciò che andava fatto.

Le sue dita erano ormai in procinto di immergersi nelle membra del suo avversario per vibrare l'affondo decisivo. Ed erano ormai a meno di un palmo di distanza dalla base della sua nuca e del suo collo, dove risiedevano alcuni tra i punti segreti di pressione più letali e micidiali. E poi...

E poi, proprio quando era sul punto di toccarne uno, il più prossimo, per porre fine alla sua esistenza...il corpo era misteriosamente sparito.

Proprio così. Kenshiro non c'era più.

Svanito. Dissolto.

Nell'arco di pochissimi secondi lo aveva visto progressivamente sbiadire e perdere sempre più consistenza, fino a scomparire del tutto. Così come la sua energia combattiva.

Invece di lui, la punta delle sue quattro falangi esclusa quella opponibile avevano finito con l'incontrare il pavimento. E, ancora più sotto, il nudo terreno. Mandandoli entrambi in minuscoli pezzi col solo spostamento dell'aria.

Erano carichi, pregni di forza spirituale. Pronta per essere concentrata e diretta in un punto vitale per poi, una volta lì dentro, scatenarsi e causare la massima potenza distruttiva possibile. Lacerando muscoli, tessuti e vasi sanguigni e dare il via ad un'emorragia letale.

Invece...nulla. Niente. Aveva colpito il niente.

Il corpo di suo figlio non si trovava più lì. Sembrava lo avesse inghiottito l'aria circostante, di colpo e senza alcun preavviso. Ma...

Ma com'era possibile?

Com'era stato possibile, tutto ciò?

Ma proprio mentre Ryuken si stava formulando da solo e dentro di sé queste domande senza alcuna possibilità di risposta, qualcosa aveva catturato la sua attenzione e lo aveva di fatto obbligato ad interrompere la sua catena di ragionamenti e deduzioni.

Una sensazione.

Aveva sentito una scossa lungo la parte destra. A metà tra la parte anteriore del fianco e la schiena, nella striscia di porzione che separa le due zone corporee e dove tuttavia esse quasi si fondono.

Si era voltato. E a quel punto aveva quasi spalancato gli occhi e a momenti anche la bocca, per o stupore. E la fronte gli si era imperlata di una patina di sudore ghiacciato.

Quasi non aveva creduto, a quel che aveva visto.

Aveva visto Kenshiro ritto in piedi, proprio nelle direzione in cui il vecchio aveva percepito quel brivido freddo e raggelante. Ma non si era spostato. Non fisicamente, almeno. Non con le sue gambe.

Si era come rimaterializzato, quasi alle sue spalle. Ma i suoi occhi erano ancora chiusi, segno tangibile che non si era ancora ridestato. Non del tutto, per lo meno. Ma non per questo aveva deciso di rinunciare all'azione. Cosa che aveva deciso di volergli dimostrare sin da subito, dato che si era immediatamente messo in posizione di guardia.

Ma la cosa più pazzesca era quella che era avvenuta subito dopo quel movimento.

Non aveva nemmeno fatto a tempo a trascorrere una mezza frazione di secondo. Nemmeno quella.

Dietro di lui...dietro al corpo del ragazzo aveva cominciato a comparire una sorta di alone simile a quello prodotto dalla nebbia quando circonda le abitazioni, i boschi, le auto o gli oggetti e le cose più disparate.

Una sottospecie di foschia, di ammasso di vapore acqueo che mutava e cangiava in maniera a dir poco continua ed incessante.

Pareva agitarsi e ribollire senza pace e sosta alcuna.

Poi, poco a poco ed inesorabilmente, quella sorta di bruma serale o mattutina aveva cominciato ad assumere una forma parzialmente definita. Anzi...un insieme di forme parzialmente definite. E di aspetto vagamente umanoide.

Si. Era proprio così, per quanto assurdo che fosse.

Alle spalle di Kenshiro c'era qualcuno. C'erano delle persone. Un gruppo di gente era giunto in suo aiuto e soccorso, per impedire che gli venisse fatto del male.

E le figure avevano cominciato ad acquistare mano a mano sempre più spessore, contorno e colore.

Rimanendo comunque impalpabili, e mantenendo un certo grado di incosistenza.

Sembravano eteree, evanescenti, pur dimostrando una certo grado di presenza e fisicità.

Sembravano...erano come fantasmi.

Fantasmi. Ecco quello che sembravano. Fantasmi. Però vivi. Viventi.

Ombre che vivevano e che forse addirittura respiravano, alla pari di un normale organismo perfettamente sano e funzionante. E vitale, non andava certo dimenticato.

Perché i loro sguardi, le loro espressioni ed i loro occhi erano vividi e accesi, tutt'altro che simili a quelli delle anime o degli spiriti persecutori appartenenti ad individui già trapassati a miglior vita. Se non fosse...se non fosse che quelle persone che avevano fatto improvvisamente cerchio e capannello attorno a Kenshiro trapassate lo erano per davvero. E da tempo immemore, per giunta.

Eppure da quegli occhi incavati essi lasciavano intuire, a chiunque avesse potuto riuscire a scorgerli in quel preciso e dato momento, che fossero per davvero dotati di pensieri. Di intenzioni. Di emozioni.

Anche se non erano altro che ombre. Spiriti, e basta.

Spiriti che però stavano rivivendo in Kenshiro.

Era come se Kenshiro li avesse evocati. Permettendo loro di tornare per un breve, brevissimo attimo. E usando il suo stesso corpo come soglia, come tramite. Come un punto di transito o di passaggio. Un ponte di collegamento tra questo e l'altro mondo.

Una testa di ponte tra il regno dei vivi e quello dei morti.

Gli aveva prestato il suo corpo. Concesso la propria carne e il proprio sangue per trovare un nuovo e temporaneo alloggiamento alle loro anime, e dar loro l'opportunità di fare ritorno. Fosse anche solo per un breve lasso di tempo.

Era come un sogno.

Sembrava un sogno. Però effettuato a mente sveglia, lucida e ad occhi bene aperti.

Ryuken li aveva potuti riconoscere uno ad uno, mentre le loro figure e sembianze diventavano via via più nitide e definite.

I suoi maestri. I suoi predecessori.

Il primo fu Riyusho.

Il sessantaduesimo reggente, quello antecedente a lui.

Il suo diretto precettore, che lo aveva iniziato ai reconditi misteri ed alle strabilianti tecniche della Divina Arte.

Lo aveva identificato subito, per via del rapporto che li aveva indissolubilmente legati nel corso degli anni della giovinezza.

Era stato il suo tutore, lo aveva tenuto con sé ed allevato come un vero e proprio figlio. E come tale lo aveva sempre trattato e gli aveva voluto bene. Oltre ad addestrarlo e prepararlo lungo la perigliosa e difficile via del Kenpo, delle arti da combattimento.

Colui che era succeduto al suo vero e reale padre, Tesshin Kasumi.

Ryuken ci avrebbe davvero tenuto. Lo voleva davvero tanto.

Avrebbe desiderato prima e sopra ad ogni altra cosa di ricevere l'investitura direttamente da suo padre, una volta completato il duro e rigoroso addestramento.

Ma Tesshin era ormai troppo vecchio, e spesso poco lucido a causa dell'età.

Aveva fatto giusto a tempo ad insegnargli i primi rudimenti. Ma per la parte finale, la più avanzata e complessa, aveva ritenuto più saggio e conveniente incaricare il più esperto e valente tra i suoi discepoli.

Dopo averlo nominato reggente, s'intende. Anche se per breve tempo.

Tesshin non aveva nemmeno fatto a tempo a trasmettergli il colpo che aveva ideato personalmente e di cui si vantava in ogni occasione, specie dopo un'abbondante libagione a base di liquore di riso che soleva distillare lui stesso, per diletto e per far passare il tempo quando non aveva nulla di meglio di cui doversi occupare.

L' HOKUTO SHINKEN HI – SHO KEI – KOH.

IL BALZO ISTANTANEO. Che permetteva di giungere a ridosso o alle spalle del proprio avversario con una velocità paragonabile a quella della luce, in modo da potergli raggiungere i punti segreti di pressione senza che se ne potesse minimamente rendere conto. E senza che potesse in alcun modo difendersi.

La cui spinta durante l'esecuzione era talmente possente da imprimere l'impronta del piede sulla superficie che veniva impiegata come improvvisato ma provvidenziale trampolino. Fosse stata anche d'acciaio.

Quella tecnica, suo padre se la portò con sé nella tomba senza insegnarla più a nessun altro.

Perché vi fu un'eccezione.

Solamente una persona riuscì a carpirgliela. E la perfezionò, addirittura. Arrivando ad effettuarla persino con le mani, se occorreva.

E a seguire aveva potuto scorgere tutti gli altri. Coloro di cui aveva letto gli scritti, e visto le immagini. E che aveva anche solo sentito nominare, dato che la loro esistenza risaliva a quando la parola scritta nemmeno era stata inventata. E nemmeno era un'idea presente nella mente degli uomini, dato che si provvedeva a tramandare le cose affidandosi unicamente al metodo orale.

Shen Long, il primo successore a non essere giapponese, sia di nascita che di origine, dato che era un discendente diretto dei gloriosi Ming. E che portò la Divina Arte nel suo paese, mettendosi a servizio della famiglia reale.

Il grande filosofo e dotto Huo Kuo, consigliere diretto dell' Imperatore. Che tentò senza successo di far uscire la Divina Arte di Hokuto dal continente per riportarla da dove era venuta, dato che la situazione da quelle parti si era fatta fin troppo caotica e turbolenta dopo l'invasione delle tribù mongole e l'instaurazione delle dinastia Qing. Sfavorevole ed ostile per principio a tutte le arti marziali autoctone, figuriamoci a quelle straniere.

Il prode Kukai, che invece vì riuscì sotto diretto incarico di Huo Kuo, suo maestro.

Detto anche Kobodaishi, quando mise piede sul suolo dell'arcipelago. E quando decise, proprio come avrebbe fatto lui secoli dopo, di abbracciare la fede buddhista.

E poi Kei, Keiji, Ryuhsei, Gouken, Gouki, Aiken...e da lì a ritroso, in una sorta di immaginifico viaggio fino agli albori del tempo. Fino agli inizi della Sacra Scuola. Fino ad arrivare...

Fino ad arrivare al capostipite. A colui il quale i monaci custodi della splendente arte primigenia avevano affidato il prestigioso incarico di dare vita ad un nuovo, terribile ma al contempo magnifico stile marziale.

Il Divino Pugno di Hokuto.

Colui che da bambino, secondo la leggenda, era stato salvato dall'amore tragico e sconfinato di due donne, Shume ed Ouhka.

Che erano insieme sorelle e madri, entrambe sventurate.

Il suo nome era Shuken.

Ryuken aveva visto Shuken in persona, al fianco di suo figlio Kenshiro.

Lui e i suoi discendenti erano i rappresentanti diretti del ramo prescelto della dinastia principale. Erano i predestinati, scelti in ogni luogo ed in ogni tempo per rappresentare al resto dell'intero mondo quel virtuoso quanto glorioso casato.

Erano il frutto, il risultato di un'attenta, scrupolosa quanto spietata selezione.

Erano il fiore all'occhiello della dinastia nonché dell'intero ordine. Ne incarnavano le mete, gli ideali, gli obiettivi e le aspirazioni.

Erano le trasfigurazioni viventi di un'utopia che si era fatta uomo. E a misura d'uomo.

E poi, in mezzo a quella moltitudine...vide anche chi non si sarebbe mai aspettato di vedere, dato che le cronache ufficiali riguardanti la storia della successione non ne narrano minimamente.

Una persona che aveva finito per appartenere al lato oscuro della storia, e che da esso aveva finito col lasciarsi inghiottire, in modo che non potesse rimanere più nulla di lui. Nonostante fosse il più forte. E nonostante fosse il più grande.

Nessuno se ne ricordava più. Nessuno ne parlava più. Ma per Ryuken era impossibile dimenticarlo.

L'unica persona che suo padre Tesshin aveva fatto a tempo a preparare personalmente, prima di rimbambirsi del tutto.

Ed il cielo solo sa se la sua scomparsa ed il suo allontanamento volontario non avessero inevitabilmente influito, sulla perdita progressiva delle sue facoltà mentali.

L'intontimento può essere una forma di difesa come un'altra dal dolore, dopotutto.

Per non sentire più il male che ci divora si può arrivare a scegliere e a preferire di diventare ciechi, muti e pure sordi. E si arriva a chiudere persino il proprio cuore ed il proprio cervello.

Qualunque cosa, pur di non percepirlo ancora. Perché si soffre troppo.

Ma nonostante ciò, nonostante tutto non gli serbava il benché minimo rancore, a quell'uomo.

Non avrebbe mai potuto farlo.

Non avrebbe mai potuto arrivare ad odiarlo, perfché gli doveva tutto. Gli doveva qualunque cosa.

Si trattava della persona che, almeno in principio, avrebbe dovuto prendere il posto che adesso era suo.

E niente sarebbe stato più giusto, dato che quel titolo gli apparteneva di diritto. Poiché era il più forte ed abile. E molto ma molto più di quanto non fosse lui, nonostante da ragazzino fosse già in grado di battere gli allievi adulti ed i compagni di allenamento più anziani.

L'uomo che avrebbe dovuto ricevere il titolo di maestro, di sessantatreesimo reggente. Ma che invece aveva deciso di abdicare e di consegnargli tale riconoscimento. Per poi lasciare l'arcipelago e tornare nel continente, a Shangai, per aiutare i propri amici fraterni e mettersi in cerca del grande amore della sua vita. Rimanendo così coinvolto in una guerra tra mafie e tra scuole di arti marziali che si appoggiavano ad esse, tre delle quali discendevano nientemeno che dalla dinastia principale del clan di Hokuto e avevano dato vita alla Divina Arte, una volta che i suoi discendenti avevano deciso di varcare i confini della Cina per fare scalo in Giappone.

Tre scuole la cui origine risaliva ai tempi in cui la Divina Arte apparteneva e risiedeva negli sconfinati domini del Celeste Impero, che come già accennato era stato governato prima dalla dinastia Ming o poi dai Qing, di origine mongola.

La scuola Sun, la scuola Cao e la scuola Liu.

Tre scuole, come tre erano i grandi regni prima una spaventosa, sanguinosa e sconvolgente guerra li portasse ad una sofferta ma necessaria quanto fondamentale riunificazione.

L'uomo che aveva fatto a ritroso il viaggio compiuto secoli addietro dai suoi antenati, per regolare i conti una volta per tutte con le altre tre scuole, per sancire e stabilire una volta per tutte la supremazia della sua disciplina marziale. L'unica e la sola che doveva ancora esistere.
L'uomo conosciuto come IL RE DELL' INFERNO.

L'uomo da cui il ragazzo che aveva di fronte sino ad un momento fa aveva ereditato il nome, oltre che il colore degli occhi.

E guarda caso, per una curiosa quanto bizzarra coincidenza era apparso in contemporanea con lo spirito di Tesshin, suo padre. Quasi come se avesse voluto ripresentarlo al suo cospetto, dopo un così lungo ed interminabile periodo di assenza.

Dopo che gli era stato così lontano. Sia dagli occhi che dal cuore.

Quasi come se quei due si fossero finalmente potuti ricongiungere e riappacificare. Da qualche parte ed in qualche modo a lui ignoti.

Kenshiro.

L'uomo che era suo fratello maggiore.

Che era stato suo fratello maggiore, e che dentro di lui lo era tuttora.

Colui che, secondo la leggenda, aveva superato per ultimo il RITO DEL DONO CELESTE.

La suprema prova ancestrale al termine della quale si diceva che la Dea Madre in persona discendesse dal cielo per consegnare al vincitore della singolar tenzone con il campione, il prescelto tra il più potente dei tre stili di Hokuto di origine cinese. E che di conseguenza diventava l'unico, il solo ed autentico successore della Divina Arte delle Sette Stelle e del ramo supremo della dinastia principale. Quello a cui donare il suo lascito finale.

Il testamento comprendente tutte le parole promulgate dalla gloriosa stirpe degli Hokuto. Sin dal giorno della sua fondazione ed origine, con tutto quel che ne era conseguito negli anni a venire.

Un'eredità immane.

Non doveva, non poteva assolutamente distrarsi. Specie in un simile momento. Ma...

Ma non poteva fare a meno di pensarlo.

Forse...forse era quella.

Forse era davvero quella, la prova che cercava. Come se tutte le altre presenze non fossero già da sole più che sufficienti.

Un segno del destino.

E se é vero che il destino di un uomo sta nel suo nome, allora suo figlio...

Era accaduto un miracolo. Ed era stato affascinante e terribile al tempo stesso, come un insetto o una rana in fondo ad un pozzo avrebbero potuto pensare del mare o dell'oceano, messi di fronte alla sua vasta e sconfinata immensità.

Una cosa bellissima e spaventosa.

Per un attimo, un solo ma lunghissimo attimo...Ryuken era regredito, davanti a quella visione.

L'uomo più forte del mondo si era ridotto al rango del più miserabile dei bifolchi, costernati all'apparizione di un santo o di un'analoga entità divina. Talmente atterriti da potersi solo prostrare per poi mettersi a pregare, in silenzio.

Resi stupefatti ed inermi da qualcosa di talmente grandioso che la loro mente limitata e gretta non può certo pretendere o sperare di concepire. Tanto meno capire o comprendere.

Aveva compreso la sua inferiorità. E come gli animali davanti a qualcosa di più grande e forte di loro...in simili frangenti possono solo fuggire. O attaccare alla cieca, come disperati. O rimanere completamente paralizzati. O gettarsi a terra per fingersi morti o implorare pietà e clemenza.

Per un istante Ryuken aveva provato vergogna ed imbarazzo. Si era vergognato di sé stesso, e della sua vigliaccheria e viltà.

Poteva forse cedere il passo ad un suo allievo, per quanto forte?

No, assolutamente. Forse Kenshiro era davvero quello designato a succedergli. Ma questo era ancora tutto da dimostrare.

Per quanto suggestive, quelle non erano altro che apparizioni illusorie. E se quel ragazzo doveva davvero diventare il nuovo reggente, era coi fatti che avrebbe dovuto dimostrarlo.

Col suo pugno e con la sua forza, non certo coi miraggi e gli artifici. Per quanto ben fatti che fossero.

Alla fine il suo vecchio istinto di guerriero aveva avuto la meglio sulla paura che attanagliava le sue stanche e malate membra.

Aveva fatto ricorso di nuovo al suo colpo segreto. LA POSIZIONE SEGRETA DELL' ATTACCO AL CUORE DELLE SETTE STELLE.

Si era scisso quindi per la terza volta in innumerevoli, impalpabili copie di sé stesso. E poi si era scagliato di nuovo all'attacco, con l'intento di sferrare il colpo risolutore e decisivo.

Ma questa volta...

Questa volta Kenshiro non si era limitato a difendersi.

Era partito all'attacco a sua volta, con il chiaro intento di contrastarlo.

Un improvviso moto di orgoglio scosse il maestro. Dandogli una stilla di calore, una sensazione benefica in mezzo a tutto quel mare di acuto dolore.

Suo figlio aveva capito al volo. Ed aveva applicato i suoi consigli alla lettera e alla perfezione. E dire che ne avevano parlato non più di qualche minuto fa.

Colpire l'avversario proprio nel momento in cui egli si fa sotto per attaccare. Perché e proprio in quell'istante, proprio nell'attimo in cui sta per far partire la sua tecnica, che é maggiormente vulnerabile.

Colpirlo, ed al contempo impedire che il suo attacco andasse a segno. Anzi...impedire proprio che si possa anche solo svolgere.

Questa é la vera, autentica essenza e via del COLPO CHE INTERCETTA.

Colpire senza essere colpiti. Non sprecare un solo grammo di forza di energia in più rispetto a quelle che sono necessarie a raggiungere il proprio scopo, ottenere il proprio obiettivo. Perché solo gli sciocchi o quelli con una preparazione precaria, carente e mediocre si attaccano e fanno sfoggio di inutili stilismi.

Conta solo l'efficacia in battaglia, non certo il bel vedere o l'appagamento in chi osserva.

Ottenere il massimo col minimo. E senza nemmeno versare una sola goccia di sangue in più di quello che serva.

La Divina Arte dell' Hokuto Shinken é un'arte mortale, omicida.

Ma la sua essenza più intima non risiede affattto nella violenza, contrariamente a quanto si possa credere e a quanto si narra sul suo conto. E contrariamente all'impareggiabile potenza che riesce a sviluppare e che sviluppa in coloro che la praticano assiduemente e con profitto.

Non bisogna uccidere l'avversario. Ma solo costringerlo alla resa, privandolo e disinnescando tutte le sue armi. E neutralizzando ogni sua risorsa.

Metterlo con le spalle al muro. E solo allora, se non si decide a riconoscere la superiorità di chi ce lo ha messo, e di conseguenza la propria inadeguatezza ed inferiorità...solo allora lo si può privare della vita concedendogli una morte onorevole.

La Divina Arte di Hokuto...é uno specchio che mette a confronto sé stessi. E chi ci sta davanti.

Le sette stelle della costellazione dell' Orsa Maggiore sono da sempre associate alla morte. E tramite essa tirano fuori i timori e le ansie più intime e recondite di un individuo. Per poi superarle, e migliorarsi. Oppure...accogliere la fine.

Evolversi, o morire. Tramite la suprema arte da combattimento nata direttamente sui campi di battaglia, dove adattarsi al contendente e capire il suo modo di lottare, di ragionare, persino di esistere...é fondamentale per sopravvivere. Almeno tanto quanto il rispondere ad una minaccia.

Nella tecnica di Hokuto le tecniche passive, di attesa e difensive sono importanti tanto quanto lo sono quelle attive basate sul movimento, l' offesa e i colpi.

E solo quando le due cose riescono a coincidere e collimare, solo quando le si sublima facendole combaciare alla perfezione...si ottiene la tecnca definitiva.

Suo figlio Kenshiro aveva capito. E aveva reagito. E, cosa ancor più inaudita, si era diretto da subito nella direzione in cui si trovava per intecettarlo prontamente.

Era riuscito a percepire la sua presenza. E al volo, anche. E a quanto sembrava senza nemmeno il bisogno di dover guardare, visto che aveva continuato a mantenere le palpebre serrate.

Davvero assurdo. Quando usava quel colpo, l'anziano maestro riusciva a cancellare ed annullare ogni traccia di sé. Il suo corpo reale diventava come invisibile per come veniva protetto, nascosto e mascherato da decine e decine di impalpabili copie e cloni illusori. Eppure...

Eppure il ragazzo ci era riuscito. Lo aveva trovato, neanche si fosse messo a fiutare il suo odore nell'aria come il più abile dei segugi.

Forse ne aveva percepito lo spirito combattivo, e si era basato unicamente su quello per scovarlo e stanarlo.

Ma poco importava. Non per questo il vecchio si era arreso.

Non era bastato nemmeno quello, a fermarlo. Nonostante fosse l'ennesima quanto schiacciante riprova che il Kenshiro che aveva di fronte...non era certo il Kenshiro di poco più di cinque minuti addietro.

No, non era più lui. Ma c'era davvero troppo, in gioco.

Niente lo avrebbe fatto cedere o desistere. Niente.

Aveva quindi adottato l'unica opzione ancora disponibile, l'unica che gli era ancora rimasta.

Proseguire il proprio assalto. Portare a termine la tecnica con cui gli si era lanciato addosso e prenderlo così d'anticipo in modo da stroncare e rendere vane le sue intenzioni sul nascere, di qualunque genere esse fossero.

Dopotutto...anche il più potente colpo di questo mondo diventa inefficace, se non si dà il tempo a chi lo sta effettuando di poterlo portare a compimento.

Avrebbe dovuto essere molto veloce, e fare in fretta. Ma proprio a quel punto, mentre stava effettuando l'affondo vincente...

A quel punto era accaduto qualcosa di ancora più assurdo. E poi un'altra cosa ancora.

Per un attimo, un solo attimo...aveva auto come l'impressione che il corpo di suo figlio avesse iniziato ad espandersi.

Le braccia, il collo ed il torace avevano preso a contrarsi, con i muscoli che gradatamente avevano cominciato ad acquistare sempre più diametro e volume. I due tendini ai lati della gola erano comparsi in modo vistoso, dandogli un aspetto quasi taurino. Anche i bicipiti, così come i muscoli appena più sotto che viaggiavano in coppia ad essi, si erano gonfiati fin quasi a raggiungere il doppio delle loro consuete e normali dimensioni. E lo stesso aveva fatto il torace, con la stoffa della giubba che aveva iniziato a sfigolare e a gemere, mentre si lacerava ormai in più punti sotto a quella pressione a dir poco tremenda, cercando ormai di ritardare l'inevitabile.

Ancora una manciata di secondi e l'intera parte superiore della divisa era esplosa, finendo in mille brandelli tutt'intorno. E poi...

E poi Kenshiro si era finalmente mosso. E gli era...

Gli era sembrato assurdo. E gli sembrava assurdo anche adesso che ci stava ripensando. Ancora non riusciva a crederci. Eppure...

Eppure era proprio così che erano andate le cose.

Kenshiro gli era...

Gli era PASSATO ATTRAVERSO.

Proprio così. Per quanto assurdo, non esisteva altro modo per meglio descrivere ciò che era accaduto. E che gli era accaduto.

Si. Kenshiro gli era passato attraverso. Sia al suo colpo che al suo corpo. Era come se fosse diventato improvvisamente intangibile, a sua volta completamente privo di qualunque massa e spessore.

Impalpabile ed inconsistente come un'ombra. Come le ombre che fino all'istante prima si agitavano e ribollivano senza sosta al suo fianco.

Anch'esse. Anche loro lo avevano attraversato, e proprio subito dopo colui che le aveva generate. Una dietro all'altra.

In quel momento aveva percepito solamente una sorta di tocco lieve, e nulla di più.

Un tocco che gli si era esteso dalla punta dei piedi sino alla sommità del capo. Ma quel semplice tocco era stato più che sufficiente a riempirlo di colpi devastanti, in ogni angolo delle sue vetuste membra.

Sembrava che Kenshiro fosse riuscito a raggiungerlo contemporaneamente in tutti i settecentootto tsubo conosciuti.

Sembrava che le cellule, lo spirito, se non addirittura l'anima di suo figlio fosse entrata in comunione con la sua, fino a fondersi completamente per poi rilasciarla. Ma ciò che aveva rilasciato non era più quello che aveva preso giusto l'istante precedente. Non era più uguale a prima.

Doveva averlo per davvero raggiunto in ogni sua singola particella.

In ogni singolo, minuscolo atomo.

Aveva usato una tecnica a dir poco terrificante, spaventosa. Una tecnica che colpiva l'avversario fin nel profondo del suo essere, fino a scuoterlo dalle fondamenta più intime e recondite.

I segni erano più che eloquenti. Già solo il fatto che i grandi maestri del passato avevano fatto la loro inaspettata se pur breve e temporanea ricomparsa su questo mondo, e che gli erano giunti in aiuto schierandosi a sua difesa, era di per sé una prova inconfutabile.

La prova del suo lignaggio. Tutti quei grandi uomini provenivano dal ramo principale della grande dinastia di Hokuto. E quindi...quindi anche l'ultimo tra i suoi figli adottivi ne faceva parte.

Le loro ombre altro non erano che gli echi, i riverberi del suo sangue glorioso. Che appena poco prima si era risvegliato, anche se solo per il lasso di tempo necessario ad emettere un soffio di fiato, o che intercorre tra un battito e l'altro delle ciglia. O del cuore.

Ma non era solamente quello.

La stella della morte. Quella che aveva preso a sovrastare Kenshiro nella parte finale del loro duello. E che si trovava proprio sopra alla sua testa fino ad un istante prima che suo padre avesse deciso di vibrare il suo attacco più letale. Giusto un attimo prima, mentre il suo affondo era stato quasi sul punto di andare a segno, e di porre fine alla sua giovane esistenza.

Gli astronomi sia antichi che moderni la chiamavano ALCOR.

Proprio quella che sta accanto alla penultima stella che compone il Grande Carro. Denominata invece MIZAR.

Alcor e Mizar.

Ma c'é una cosa che non tutti sanno. E cioé che Alcor e Mizar, in realtà...sono stelle DOPPIE.

Stelle GEMELLE. Che si rubano le ripettive energia e la propria luce a vicenda, in alternanza continua.

Sono in perenne conflitto. Danno sempre l'impressione di volersi esaurire, spegnere, uccidere l'un l'altra. Ed invece...invece si sostengono reciprocamente. Perché é proprio quella loro lotta così accesa ed accanita a farle esistere, anche se non lo sanno.

E' così, anche se loro stesse lo ignorano per prime.

Le loro esistenze sono congiunte. Senza la prima non può esistere la seconda, e viceversa.

Mizar e Alcor. Alcor e Mizar.

Morte e vita. Yin e Yang.

Morte, vita e rinascita.

Yin, Yang e Tao.

Il ciclo continuo del mutamento. E dell'evoluzione mediante esso.

E se Alcor rappresentava da sempre la stella della morte, incarnava la morte stessa...allora si poteva dichiarare senza timore che, per contro...Mizar era la stella che incarnava LA VITA.

Ryuken alzò lo sguardo e lo rivolse al cielo stellato, come colto da una fulminea ispirazione. O forse voleva più che altro trovare riscontro e conferma alle sue deduzioni.

Trasalì. Era proprio come pensava.

Adesso era lui a trovarsi sotto l'ombra mortifera proiettata da Alcor. Mentre Mizar...Mizar si trovava proprio nel punto esatto in cui Kenshiro si era fermato dopo aver risposto al suo attacco. Ed eseguito la sua misteriosa quanto potentissima tecnica.

Il ragazzo si era ritrovato ad un passo, un solo passo dal precipizio. Ad un solo soffio dalla morte incombente.

Se fosse rimasto lì dov'era, sarebbe andato incontro ad una ben triste e misera sorte. Sarebbe piombato nel burrone e il nero demone dell'oltretomba dallo sguardo spento e dagli occhi fiammeggianti lo avrebbe inghiottito tra le sue fauci. Dopo averlo soffocato col suo alito di fetido gelo ed averlo straziato coi suoi acuminati artigli di ghiaccio. E invece...

Invece aveva compiuto quel passo in più. Aveva trovato il coraggio, e lo aveva fatto senza tentennamenti di sorta o la benché minima esitazione.

Aveva scelto la vita.

Si era spostato dalla morte alla vita. Si era spostato da Alcor a Mizar. Era riuscito a tornare dal luogo da cui, di solito, nessuno torna.

Nessuno di quelli a cui la piccola stella dalla bianca luce che orbita attorno all' Orsa Maggiore decide di imprimere il suo marchio.

Ci era riuscito. Aveva scampato il pericolo.

Era risorto dall'oblio in cui aveva rischiato di finire confinato. E di rimanerci per sempre, in eterno. Ed aveva quindi fatto ritorno all'esistenza. Ed essa lo aveva accolto e riabbracciato. Ridonandogli tutto il suo profumo ed il suo tepore.

E quale miglior modo, qual miglior dono poteva esistere per celebrare al meglio ed in maniera degna tale rinascita se non...ottenere l'ultima tecnica?

Kenshiro gli aveva dimostrato di aver acquisito appieno la mossa finale e definitiva della Divina Scuola di Hokuto.

L' HOKUTO – SHINKEN MOUHSOOUH TENSEI.

LA TRASMIGRAZIONE DEL CORPO E DELL' ANIMA TRAMITE LA RIGENERAZIONE LIBERA DA OGNI PENSIERO.

Poter ottenere una vita nuova. Riuscire a ricreare la vera, autentica vita tramite il SATORI, il vuoto. Poiché nulla é più potente del vuoto, nell'intero universo.

Il vuoto contemporaneo sia della mente, che del corpo che dell'anima. Che insieme si annullano completamente, muoiono e poi rinascono. Ancora e ancora e poi ancora. In una ripetizione senza fine che dura fino a che l'intero creato esisterà, e respirerà. Ma accelerato a disimisura, con pochissimi secondi che intercorrono tra un ciclo e l'altro. Fino ad esaurirsi,e ad ottenere il NIRVANA.

L'assenza e la presenza di ogni cosa. Tutto e niente nel medesimo istante. Nello stesso tempo e nello stesso spazio.

Yin e Yang che finalmente smettono di combattere, muoversi e danzare. E che d'improvviso si ricongiungono, si abbracciano. Si fondono in un unico essere, in un'unica realtà. Con le ere che smettono di scorrere. E i secondi che si fermano, guardano ed infine vedono...

Il Mouhsoouh Tensei rappresenta la tecnica ultima proprio per questo motivo.

Chi la ottiene giunge alla fine del percorso. Di quel carico opprimente di sofferenza e cordoglio che sembrano stare alla base, che compongono la stessa esistenza umana. Va al di là di esse. Va oltre. Per non fare mai più ritorno. Per non essere mai più ciò che era prima.

Egli ora E', grazie a quella tecnica. Ed insieme...NON E' PIU'.

E' quello di prima, ma non é neanche più quello di prima.

La scienza sostiene che non si possa ricavare e trarre energia dal nulla. Va contro le più elementari regole della natura e della vita stessa. Ma il Mouhsoouh Tensei rende ciò possibile.

Il Mouhsoouh Tensei rende possibile l'impossibile. Poiché solamente nel vuoto, nel nulla interiore ed insieme cosmico che si genera la massima potenza distruttiva.

Solo un corpo completamente svuotato della vita si può riversare un'intera vita. Un'altra vita. Decine, centinaia, migliaia, milioni, miliardi di vite. Di altre vite.

Poter colpire senza essere in alcun modo colpiti.

E' il principio che costituisce la tecnica perfetta, definitiva. E Kenshiro l'aveva acquisita.

O meglio, l'aveva portata alla luce. Perché, in realtà...in realtà non aveva acquisito proprio un bel niente di niente.

Esiste una prerogativa che é propria della arti omicide di grado superiore. E che le differenza in modo sostanziale da tutti gli altri stili di combattimento.

A vantarsi di questa caratteristica così unica sono solo quelle discipline che si possono foggiare delle conoscenze e delle origini più profonde. Quell che si possono ottenere solo dopo aver oltrepassato tutti i gradi delle comuni arti marziali per elevarsi quindi ad un livello superiore.

Come la Divina Scuola di Hokuto, per l'appunto. O il Sacro Pugno di Nanto. O la Sublime Arte di Gento, la tecnica imperiale dai prodigiosi poteri. Che si dice che un tempo fosse addirittura superiore al pugno dell'Orsa Maggiore e della Stella del Nord.

Si tratta della conoscenza per trasmissione diretta.

E quel che di norma avviene con tutti coloro che sono destinati a diventare grandi maestri.

Sono il talento naturale, le doti innate a distinguerli dal resto degli altri praticanti.

Conoscere sin dal principio ciò che gli altri sono costretti a guadagnare dopo anni di durissimi addestramenti.

Conoscerlo per puro istinto, senza alcun bisogno di insegnamenti, precetti o interferenze esterne. E ciò vale soprattutto per la Divina Arte di Hokuto. Più che per qualunque altra scuola che tramanda tecniche di stampo omicida.

E' la dote che la rende unica ed inimitabile al mondo.

Le tecniche di Hokuto non si imparano. E nemmeno vanno insegnate.

Giacciono come addormentate, sepolte sul fondo e nel profondo della coscienza e della conoscenza dei prescelti, dei predestinati.

Il successore della Sacra Scuola di Hokuto...non diventa un assassino. Lo é da quando nasce. Lo é ancora prima di esser nato.

Quindi non si tratta tanto di interiorizzare, quanto di riscoprire. Di riportare alla luce. Estraendolo da sé stessi, come si potrebbe fare con un tesoro prezioso che giace sepolto nelle viscere e nei meandri della madre Terra. O un forziere di analogo valore, recuperato dagli abissi marini.

E questa qualità risaltava maggiormente in coloro che erano i discendenti, gli eredi diretti per linea di sangue della gloriosa dinastia tutelata dalle sette stelle del Grande Carro.

Certo, la strada era ancora lunga.

Kenshiro aveva dimostrato di possedere la tecnica finale, dentro di sé. Ma sul fatto che un giorno avrebbe potuto risvegliarla e padroneggiarla appieno...questo, purtroppo, era ancora tutto da vedere. E da stabilire.

Aveva dovuto perdere i sensi, per poterla utilizzare. E non che per pochi istanti.

Da quel che aveva potuto vedere Ryuken, il più piccolo tra i suoi figli non era ancora in grado di usarala in maniera volontaria e cosciente. Però...

Però ce l'aveva. Era con lui. Era dentro di lui.

E questo era più che bastante, ai suoi occhi. Era ciò che gli occoreva per riconoscerlo come legittimo pupillo del grande e glorioso casato degli Hokuto. E come destinatario dell'immenso patrimonio e testamento, con relativo lascito, composto dal Divino Pugno dell' Hokuto Shinken.

La TRASMIGRAZIONE DEL CORPO E DELL' ANIMA TRAMITE LA RIGENERAZIONE LIBERA DA OGNI PENSIERO lo aveva ampiamente dimostrato, del resto.

E glielo aveva ampiamente dimostrato. Lui compreso.

In un duello basato sulle tecniche di Hokuto, la tecnica segreta con cui aveva attaccato il giovane poteva venire sconfitta solo dall'ultimo segreto della loro scuola.

Solo la tecnica finale era in grado di annullare e vanificare il colpo speciale che aveva appena usato.

Era proprio a questo, che serviva. Lo scopo per cui era stato ideato.

La POSIZIONE DELL' ATTACCO AL CUORE SEGRETO DELLE SETTE STELLE veniva impiegata con l'unico compito di accertare se chi si aveva di fronte fosse dotato o meno dell'ultimo segreto.

Se colui che la subiva era in grado di usarla...aveva una possibilità di uscirne incolume.

In caso contrario...non gli rimaneva che soccombere.

Ma era anche un colpo estremamente potente, se lo si decideva di adoperare pure in battaglia. Un colpo che non aveva né temeva rivali, a cui era difficile se non addirittura impossibile riuscire a sfuggire.

E lo era anche il suo altro colpo preferito.

L' HOKUTO – SHINKEN SENSHI RAIDAN.

IL TUONO DELL' AURA FULMINANTE DELL' EREMITA SOPRANNATURALE.

L'attacco decisivo con cui, molto tempo addietro, aveva sconfitto e messo fuori combattimento il depositario di un pugno a dir poco maledetto.

Si trattava nientemeno che di Jukei. Il successore dell' HOKUTO – RYUKEN, il PUGNO DEMONIACO DELL' ARCANA ARTE DI HOKUTO.

Con un solo, rapido e preciso colpo di fendente alla testa e per la precisione alla base della nuca, aveva disperso il suo spirito combattivo diabolico ed era riuscito ad ammansirlo, riconducendolo alla ragione.

In quell'occasione decise di non sigillare le sue abilità. In quanto lo rispettava troppo e ne riconosceva l'indubbio valore e l'animo onesto, nonostante praticasse un'arte innominabile. Ma riuscì comunque, tramite la pressione di un apposito tsubo segreto, a cancellare qualsiasi traccia all'interno del suo corpo di quell'energia così malvagia, che sfuggiva a qualunque tentativo di controllo.

Jukei avrebbe ancora potuto combattere, ed addestrare. Ma mai più avrebbe potuto attraversare l'ingresso che conduceva al regno degli inferi.

Era stato necessario. Dopo che, a causa di essa, Jukei aveva finito col perdere la ragione e si era trasformato in un autentico mostro. In un diavolo scatenato e assetato di sangue.

Lo aveva salvato. Anche se purtroppo era intervenuto troppo tardi. E non aveva potuto in alcun modo sventare la quasi totale distruzione dell'accademia dove insegnava, e nemmeno la brutale uccisione di decine e decine di allievi innocenti. Così come non aveva potuto impedire che il maestro dell' Arcana Arte di Hokuto lordasse le proprie mani, usandole per trucidare la propria moglie ed il proprio figlio in un impeto di rabbia e follia omicida portate all'estremo.

Era proprio vero, dunque.

Quando te ne finisci nel regno di Satana e vendi la tua anima al suo oscuro signore e padrone, che regna incontrastato su ogni angolo di quegli oscuri domini...presto o tardi devi ripagarlo per il dono che ti dà. Per tutto il potere che ti offre.

E lui, quando viene a riscuotere...lui vuole il tuo stesso sangue.

Devi essere costretto a ripagarlo col sangue e con la vita delle persone che ami e che ti sono più care.

E' il nefasto principio, l'atroce contrappasso su cui si fondano gli stili di combattimento basati sull'odio, sul rancore e sulla vendetta.

Le pulsioni, i sentimenti negativi si basano sul dolore e sulla disperazione. Ma anziché accoglierlo, per tramutarlo così in compassione...ce ne si nutre.

Non lo si elabora, e lo si lascia a stagnare. Illudendosi di poter assorbire forza da esso.

Ma la forza che si può trarre da quella fonte...é esigua. Molto esigua. Tanto quanto quella dell'ambizione.

E a quel punto...il fuoco va ravvivato. Gettandoci dentro altre vittime sacrificali. In modo che la crepa che scorre all'interno del proprio cuore, e che lo spacca letteralmente in due...si allarghi ancora di più, sempre di più, fino ad inghiottire e trascinare a fondo tutto quanto. Compreso l'artefice di tale odio, e di un meccanismo tanto perverso e malato.

Davvero una tecnica infame.

I suoi due colpi segreti più rinomati avevano davvero una potenza incommensurabile. Questo era fuori da ogni dubbio.

Ma al confornto dell'ultima tecnica segreta, della RIGENERAZIONE LIBERA DA OGNI PENSIERO...sparivano del tutto. Totalmente.

Non potevano reggere il benché minimo confronto.

A paragone non erano che delle pallide imitazioni, delle copie malriuscite.

Delle ombre, nulla di più.

Quella tecnica cosituiva lo stadio finale. Quello a cui può aspirare soltanto l'unico e degno successore di Hokuto. E Kenshiro...

Kenshiro lo era.

Certo, non era ancora in grado di utilizzarla in maniera volontaria e cosciente, visto che l'aveva usata praticamente da svenuto. Ma il giorno in cui avrebbe finalmente imparato a padroneggiarla secondo il suo volere, non avrebbe più avuto alcun rivale in grado di ostacolarlo.

Avrebbe avuto tra le proprie mani l'arma con cui riportare e mantenere la pace e l'ordine nel mondo.

Ryuken non aveva più alcun dubbio su chi scegliere, a quel punto. Ma...

Ma si era reso ben conto, e sin da subito, che non si trattava certo di una decisione facile. E che avrebbe finito con lo scatenare una serie di conseguenze e di reazioni a catena. Difficilemente valutabili, e ancor meno governabili. E di sicuro potenzialmente infauste.

Kenshiro era il predestinato. E su questo non aveva mai avuto alcun dubbio.

Lo aveva sempre saputo. Lo aveva sempre sospettato. Ma di questo, purtroppo, ne era al corrente solo e soltanto lui.

Agli occhi degli altri suoi figli, nonché fratelli maggiori del prescelto, e di due in particolare...egli non era altro che il più giovane, ingenuo, inesperto e sprovveduto tra tutti i quattro allievi del sacro pugno.

Di sicuro con Toki non ci sarebbero stati grossi problemi. Con lui aveva già parlato. Ed avrebbe senz'altro accettato di buon grado la sua decisione e le sue volontà. In fin dei conti lui e Kenshiro erano molto simili, più di quanto immaginassero e più di quanto fossero disposti ad ammettere. Erano due spiriti affini, di eguale bontà e di identica indole generosa, caritatevole e compassionevole. Che si capivano e comprendevano a vicenda senza che vi fosse il bisogno di tante parole e spiegazioni inutili e superflue.

Ma Raoul...no, c'erada ritenere che Raoul non avrebbe accettato di buon grado questo verdetto. Per niente.

Lui era convinto di essere il candidato ideale. Da sempre. Da quando era bambino. E poi...

E poi vi era anche Jagger. Che odiava Kenshiro, con tutte le sue forze. Al punto che, per giustificare la tremenda invidia che nutriva per lui, era arrivato addirittura a non volerne assolutamente riconoscere il valore pur di non comprendere ed accettarne la manifesta superiorità.

Jagger non era alla sua altezza ed al suo livello, non di certo. Ma se non poteva competere da quel punto di vista...avrebbe potuto comunque giocare una gara al ribasso. Cercando di superarlo in campi dove suo fratello minore non avrebbe mai avuto il coraggio o la follia di avventurarvisi. O magari per una pura questione di decenza, poiché possedeva troppa dignità per decidere di mettervi piede.

Come qualunque altro essere umano che si potesse definire normale.

Di certo avrebbe covato un enorme rancore, nei suoi confronti. E solo il cielo sapeva cosa avrebbe fatto, pur di sfogare quel rancore.

Solo il cielo poteva sapere di cosa sarebbe stato capace. Visto che ogni giorno che passava stava diventando sempre più pazzo, scriteriato e fuori controllo.

No, quei due non avrebbero mai sentito né voluto sentire ragioni, in tal proposito. E si sarebbero opposti in ogni modo alla sua scelta, senz'altro. E quindi...

Quindi spettava al loro padre adottivo, che era ancora l'attuale reggente, rimetterli al proprio posto.

Riportarli sulla retta via, e restituirgli il loro giusto ruolo. Che era quello di coadiuvare, supportare ed aiutare il nuovo e futuro maestro. Ed in caso contrario...

In caso contrario li avrebbe eliminati. Avrebbe dovuto farlo. O avrebbe dovuto porre sotto sigillo le loro abilità e facoltà, per il resto dei loro giorni.

Avrebbe dovuto farlo.

No, invece.

Doveva farlo. Perché era il loro padre e maestro. Anche se era ormai vecchio. Ed il suo povero cuore stava diventando sempre più malandato ed indebolito.

Doveva riuscirci, ad ogni costo.

Kenshiro era il predestinato, ma non era ancora pronto.

Doveva ancora affinare le proprie abilità e capacità, ed acquisire le tecniche più segrete, potenti e letali. E nonostante disponesse di un'attitudine sensibile e votata alla pietà e alla comprensione, non era tuttavia ancora riuscito a trasformare quelle doti in rabbia.

Non aveva ancora saputo completare il cerchio.

La tristezza e la rabbia estreme sono la quintessenza, costituiscono i pilastri su cui si fonda la meravigliosa e mortale arte dell' Hokuto – Shinken. Componenti fondamentali di quel cordoglio senza fine che é la summa di tutte le afflizioni e i patimenti che può sperimentare un individuo, nel corso della sua vita. E che per certi versi rappresenta la condizione stessa dell'esistenza umana.

Il rammarico, il dispiacere, la tristezza senza fine da cui si origina l'ira che dalla terra sale fino ai cieli, per poi farli tremare.

Fino a far rabbrividire di timore e spavento persino gli Dei.

Quei due sentimenti erano gli elementi che creavano il Kenpo perfetto di Hokuto.

Il Kenpo di Raoul, invece, si fondava solo sull'ira e sullo sdegno. Rafforzati dalla pura ambizione. E ben presto, nonostante l'apparente possenza ed imponenza, avrebbe col mostrare impietosamente tutti i suoi limiti e contraddizioni. Specie se messo ad un confronto diretto con quello di Kenshiro. Ma occorreva tempo. Ed il tempo non era certo un lusso che ci si poteva permettere, specie in un momento simile.

Avrebbero potuto passare interi lustri, prima che loro due arrivassero ad incrociare i pugni in singolar tenzone. E fino ad allora...fino ad allora Raoul avrebbe potuto compiere anch'egli innumerevoli danni, se lasciato libero di agire.

Era quello, il suo compito. Il compito che ancora gli rimaneva.

Doveva troncare i rami corrotti, ribelli e malati dell'albero. Altrimenti, avrebbero finito col far morire l'intera pianta.

Se così non avesse fatto, inimmaginabile sarebbe stato il dolore che il minore tra i suoi quattro figli sarebbe stato costretto a dover patire e sopportare.

Lo avrebbe atteso il peggiore degli inferni, e proprio su questo mondo. E da cui non si poteva sapere con alcuna certezza se ne sarebbe uscito ancora saldo ed in forze. Ma soprattutto vivo.

Ma forse...

Forse anche quello faceva parte del destino del successore.

Solo attraversando da solo quell'inferno ed uscendone incolume, contando unicamente sulle sue sole e proprie forze, Kenshiro avrebbe potuto trasformare e plasmare la sua tristezza per forgiarla e tramutarla in rabbia.

Sarebbe diventato il crogiuolo ardente da dove sarebbe colato fuori il prezioso metallo con cui poter riportare finalmente il sorriso a quell'epoca, ed alla gente che la abitava e che la viveva.

Alla fine...si nuota pur sempre tutti nello stesso, medesimo mare. E si percorre lo stesso, eguale sentiero. E come i fiumi e i mari, ogni fiume ed ogni mare, confluisce nello stesso oceano, tutti sentieri dell'esistenza conducono al medesimo luogo. Chi per la via più stretta, chi per la via più larga. Chi per quella più corta, chi per quella più lunga.

Ma se per davvero si fosse avverata la peggiore e più lugubre tra tutte le ipotesi...il cammino del nuovo maestro rischiva di essere oltremodo periglioso e tormentato. E almeno questo...

Almeno questo avrebbe voluto risparmiarglielo. Avrebbe voluto tanto.

Voleva evitargli un ulteriore, supplementare martirio. Almeno quello.

Doversi ritrovare a combattere e forse anche uccidere i suoi stessi fratelli, l'uno dopo l'altro.

Voleva risparmiargli tutto questo. Almeno quello. Soltanto quello... sempre ammesso che fosse stato possibile.

Dopotutto, quante scuole maggiori avevano subito nel corso dei secoli la medesima, triste sorte dell'ARTE LUNARE DI SEITO, dell'antica tribù e stirpe degli YEH – ZHIN?

Sterminata, distrutta in una sola notte. Dall'ultimo degli allievi al sommo maestro. In quanto custodi di una prodigiosa arte della digito – pressione e della manipolazione degli tsubo, da cui poi avrebbero estrapolato la tecnica offensiva tipica del Sacro Pugno della Stella del Nord?

Quante, avevano fatto la stessa fine?

Quante erano state cancellate o inghiottite nelle tenebre e nel lato oscuro della storia umana proprio per opera del divino Shuken, il capostipite, per carpire la loro essenza ed i loro segreti in modo da poter dare vita all'invincibile tecnica di cui era ideatore e depositario?

Una tecnica che, almeno agli albori, aveva un potenziale di crescita e sviluppo pressoché infiniti. Ma era tutt'altro che infallibile, specie per quanto concerneva la parte dedicata all'attacco.

Decine, centinaia di tecniche vennero assorbite per colmare le evidenti lacune, dalla prima all'ultima.

Ma una volta che le si era rubate, una volta che ci si era impossessati di quei colpi, essi non potevano più venire condivisi o spartiti con nessun altro. Nemmeno con coloro che li avevano inventati.

Andavano tolti di mezzo. Ne doveva rimanere soltanto uno.

Anche il Dio guerriero della Divina Arte dell' Hokuto – Shiken, terribile ed insieme misericordioso...non doveva esitare a sporcarsi le mani di sangue. A lordarsene da capo a piedi immergendosi in un mare rosso fin sopra la testa se necessario, pur di garantire un futuro all'intero genere umano.

Era questo, il destino di Kenshiro. E non ci si poteva far nulla.

Ma forse, almeno una volta, almeno per questa volta...almeno qualcosa si poteva fare.

Almeno qualcosa, se pur piccola, la si sarebbe potuta cambiare.

Era l'unico sollievo che avrebbe potuto donare a colui che era chiamato a dover governare la morte.

L'ultimo dono di un padre nei confronti di un figlio obbligato ad assolvere il compito più gravoso che fosse mai esistito, e che avesse mai potuto esistere. E che avrebbe dovuto caricarsi sulle proprie spalle il peso del mondo intero.

E non esistono spalle abbastanza forti per poter essere in grado di sorreggere un carico simile. Non tra gli uomini.

Solo un Dio, può farlo. Oppure un uomo che decide di diventare tale, per la salvezza e la salvaguardia di tutti. Ma, in ogni caso...ogni scelta comporta qualcosa da pagare.

E qui, la tariffa...rischiava di essere fin troppo alta. E salata.

Doveva tentare.

Ad ogni costo. E a qualunque prezzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Come va? Spero bene.

Purtroppo l'incubo é ricominciato.
Temo proprio che tra non molto avremo di nuovo restrizioni e paletti di ogni genere. Che da una parte forse impediranno al virus di dilagare, ma dall'altro daranno il definitivo colpo di grazia ad un'economia già precaria.

Qui la vera tragedia non é più tanto il virus, quanto ciò che verrà dopo.

C'é gente che davvero rischia di finire in mezzo a una strada, dopo anni e anni di sacrifici.

Come ai tempi della guerra, proprio.

Certo, dopo é arrivata la ricostruzione con il boom economico.

Ma i primi anni i sopravvissuti se la sono vista davvero brutta.

Chi riusciva a scampare a bombe e pallottole rischiava di finire ammazzato dalla fame e dalla carestia.

Io mi ritengo fortunato, dato che opero nella farmaceutica e la mia azienda produce articoli strettamente legati ai farmaci anti – Covid.

Di cretinate e sbagli ne ho fatti tanti, ve lo assicuro. Almeno sul posto di lavoro (quando non rischi di perdere le braccia, come vi raccontavo la volta scorsa) l'ho azzeccata.

E adesso, al confronto di tanta altra gente...quasi mi sento un miracolato.

E' il caso di dirlo, ragazzi...NON ABBIAMO CAPITO NIENTE.

E non mi riferisco certo a voi, eh. Tranquilli.

So che qui su EFP ci sono persone assennate e di buon senso.

Mi permetto di unirmi anch'io, al gruppetto.

Ma proprio perché mi ritengo una perosna di buon senso non mi piace cercare scuse o giustificazioni di sorta.

Certo, la colpa é principalmente da attirbuire a chi se n'é infischiato ed ha continuato a fare i propri comodi senza badare alle conseguenze.

Ma evidentemente...spiace dirlo, ma anche noi persone di buon senso non siamo state in grado di farci capire.

Ma adesso come adesso il virus non é più fuori controllo come sei mesi fa.

Ora, se lo pigli...é TUTTA COLPA TUA.

Dal canto vostro, ragazzi...mi raccomando. Tutti voi sapete già quel che dovete fare, per evitare problemi e proteggervi.

Continuate a farlo, e non avrete nulla da temere.

Ma ora veniamo al capitolo.

Allora? Che ve ne pare?

Il duello tra Ryuken e Kenshiro é terminato...ed il nostro Ken ha avuto la meglio, uscendone vincitore!!

E come molti tra voi avevano già ipotizzato...non esisteva che un colpo, per avere la meglio sull'invincibile tecnica dell'anziano maestro.

Il Mouhsoouh Tensei.

La Rigenerazione Libera da Ogni Pensiero.

A quanto pare, Ken possiede già questa tecnica.

Solo, non é in grado di usarla in maniera cosciente.

Almeno per ora.

Come già vi dicevo in passato, ritengo che Kenshiro fosse fortissimo anche da giovane. E perfettamente in grado di competere con Raoul.

Ma prima di un duello diretto ne passerà, di tempo. E nel mezzo succedono tante di quelle cose...

Ma c'é un problema, perfettamente evidenziato da Ryuken. E cioé che il giovane ancora non é in grado di controllare pienamente il proprio potenziale.

E poi...ne ho approfittato per elaborare una teoria su come gli adepti di Hokuto riescono ad imparare le tecniche.

In fin dei conti...dove cavolo avrebbe imparato Ken dei colpi come la stessa rigenerazione, oppure l' HOKUTO SHINKEN TEN – HA KASSATSU, ovvero IL SACRO MOVIMENTO DEL POTERE ASSASSINO DISTRUTTORE DEI CIELI?

Non credo che Ryuken abbia fatto a tempo ad insegnargliele, prima di morire...

E allora, com'é possibile?

La mai idea é che a differenza delle tradizionali arti da combattimento, dove le tecniche vengono tramandate mediante la ripetizione e l'imitazione da parte di un allievo nei confronti del proprio maestro...nelle arti mortali le cose funzionino in maniera un po' differente.

Forse un po' meno nelle tecniche di Nanto, dove lo spirito combattivo e l'aura non vengono utilizzate poi molto, dato che i colpi si basano sull'eccezionale agilità e velocità dei movimenti, che permettono di spiccare balzi di incredibile altezza e di muoversi a mezz'aria come se si stesse fluttuando. Senza tralasciare il fatto di riuscire a generare un vuoto d'aria in grado di tagliare ogni cosa.

Forse l'unica eccezione la costituisce la Scuola della Fenice Immortale di Souther, visto che si tramanda ad un unico discendente. Però lui non era il figlio naturale di Ogai...

Per Hokuto e per Gento le cose sono un po' diverse. Almeno credo.

Dato che usano spesso l'energia spirituale (Gento per agire direttamente sull'avversario, Hokuto sugli tsubo e su sé stessi per aumentare le proprie capacità), immagino che la trasmissione delle tecniche avvenga soprattutto dal punto di vista del sangue.

Nel manga e nell'anime non lo dicono, ma penso che il predecessore di Falco fosse suo padre.

E questo discorso vale soprattutto per gli esponenti di Hokuto che derivano dal ramo principale della dinastia.

Non va dimenticato che lo scopo era quello di dare vita al guerriero perfetto, definitivo.

Ne consegue che sia stato fatto in modo che i vari discendenti potessero diventare ad ogni generazione sempre più forti, mediante (scusate il termine un po' schietto) incroci ed accoppiamenti mirati tra uomini e donne appositamente scelti.

Era una sorta di allevamento e di selezione indirizzata.

Perciò, ho modo di ritenere che le tecniche, oltre a venire apprese all'esterno dal proprio maestro, fossero già presenti nel profondo della coscienza dell'individuo che veniva sottoposto ai rigidi addestramenti.

Come una sorta di corredo genetico, non so se mi spiego.

Dopotutto...si dice che un essere umano possegga nel suo DNA tutte le tracce relative agli esseri viventi che sono esistiti prima di lui, no?

Addirittura si sostiene che essendo l'uomo il tassello più recente dell'evoluzione (sul fatto che sia quello finale non ci metto la mano sul fuoco), dentro al suo DNA contenga le tracce di tutti gli esseri nati ed apparsi prima di lui.

In realtà é palusibile, se si considera l'evoluzione della vita come se partisse da un'unica matrice sviluppatasi nel corso delle ere.

Quindi dentro di noi dovremmo avere tracce dei pesci, degli anfibi, dei rettili, degli uccelli e dei vari mammiferi, fino a giungere ai primati.

Non abbiamo forse noi il DNA dei nostri genitori, dei nostri nonni, dei nostri bisnonni fino a risalire ai nostri avi?

In altre parole, il discendente della dinastia principale nel suo DNA possiede tutte le tecniche della Divina Arte di Hokuto. E con l'allenamento assiduo poco a poco le riporta alla luce.

Non si tratta dunque di apprendere qualcosa che non si ha, quanto di riportare in superficie qualcosa che GIA' SI POSSIEDE, ma che non si é ancora in grado di usare.

Se uno apprendeva la Divina Arte di Hokuto...era molto probabile che un suo ipotetico figlio, se si rivelava sufficientemente dotato, potesse già praticarla di natura.

Guardate Ryu, ad esempio.

Si, il figlio di Raoul.

Ken non gli insegna nulla, a parte mostrargli la rabbia e la compassione.

Per il semplice motivo che Ryu possiede lo stesso sangue di suo padre, e di conseguenza la sua tecnica. Ed essa si risveglierà da sola una volta che lui raggiungerà l'età adulta.

Prima di concludere, chiedo scusa per il leggero ritardo a pubblicare, ma é un periodo alquanto incasinato.

Più del solito, aggiungo.

E passiamo all'angolo dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore a innominetuo, vento di luce, Kumo no Juuza e a Devilangel476 per le recensioni all'ultimo capitolo.

Bene, per questo mese credo di aver finito. Conto di pubblicare ancora una volta prima di Natale.

Grazie ancora per tutto e alla prossima!!

 

See ya!!

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 10

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'ampio salone era immerso totalmente nell'oscurità, questa volta.

L'enorme braciere situato sulla parte rialzata ed adibito all'illuminazione, che di consueto ardeva senza sosta ad ogni ora del giorno con particolare predilezione per quelle serali ma che anche durante le fasi diurne manteneva accesi i lapilli, questa volta era spento.

Non vi era alcun odore o fragranza di incenso, legno o di altre profumate ed inebrianti essenze. Eppure...eppure l'aria riusciva ad essere egualmente satura.

Qualcosa la stava impregnando lo stesso.

La tensione combattiva di chi la occupava, insieme alle tenebre più fitte.

Nonostante ciò, non la si poteva considerare completamente buia. Non in modo perpetuo, almeno. Di tanto in tanto e ad intervalli nient'affatto regolamentari la rischiarava un lampo o una saetta, a cui faceva subito seguito un tuono. Piuttosto lontano, ma che però riusciva ad essere comunque bello fragoroso.

Il chiaro indice di una tempesta incombente. Che ancora era ben lungi dallo scatenare la sua furia, ma che ben presto si sarebbe abbattuta in tutta quanta la sua possenza e violenza anche su quei luoghi.

Non li avrebbe certo risparmiati. Insieme a tutte le cose e le persone che vi avrebbe trovato.

Una tempesta che si stava agitando anche nei cuori, nelle menti e negli animi di chi stava risiedendo all'interno di quel locale.

In formato senz'altro ridotto e più piccolo, certo. Ma egualmente devastante. Cosa che avrebbe ben presto dimostrato nel momento stesso in cui avrebbe fatto sfoggio di sé stessa, riversandosi all'esterno.

Non era cambiato poi molto, dal solito a cui si era abituati da tempo. Lo spazio del salone era pieno e gravido come sempre, sotto ad un certo punto di vista.

A cambiare era stato solo il contesto.

Un puro quanto semplice dettaglio, nulla più. Un dettaglio che però era fondamentale e decisivo.

Basta modificare anche un unico ingrediente per modificare in modo irreversibile il sapore di una bevanda o di una pietanza. Per trasformarla da squisita a cattiva.

Ed era proprio ciò che era l'atmosfera lì dentro, in quel momento ben preciso.

Cattiva.

Non vi era nulla di famigliare, confidenziale o conviviale tra quelle pareti, quella sera. Ma piuttosto qualcosa di sinuoso.

Di viscido. Di serpeggiante. Di infido. Di strisciante. E di subdolo.

Un groviglio di serpenti verdi e neri che rodono i pensieri e che corrompono i sentimenti.

Serpenti che nella loro bellezza venefica e scintillante possono risultare persino affascinanti ed attraenti. Anche se, in verità, non vi può essere nulla di bello nell'infinitamente tossico. E nulla di bello o di buono può portare a chi vi ci casca dentro e ne rimane invischiato tra le sue soffocanti spire.

L'invidia ed il risentimento sono mostri dagli occhi lucenti di smeraldo e di onice, che si fanno beffe di coloro che si nutrono. Mentre la vittima, inebetita ed ammaliata, li fissa con occhi trasognati e sguardo estatico. Senza mai smettere un solo attimo.

Qualcosa di pericoloso.

La figura che di norma occupava il suo posto tra le due statue delle divinità guardiane era esattamente dove avrebbe dovuto essere. Ma questa volta era ritta in piedi. Ed anche in questa occasione vi era qualcuno a colloquio.

Quest'altra figura in questione era lievemente defilata, ed era enorme. I lampi che filtravano saltuariamente dalla finestrella sopra di lui ne risaltavano ed accentuavano i contorni, facendone risaltare l'enorme mole e la prestanza fisica.

Ma non stava di fronte a colui che doveva averlo chiamato a colloquio ed udienza.

No. Gli stava dando le spalle, piuttosto. Dal suo atteggiamento non traspariva la minima traccia di rispetto, timore e riverenza. Come sarebbe stato lecito aspettarsi da uno studente o da un allievo nei confronti del proprio precettore e maestro.

Da quella persona trasparivano unicamente arroganza e tracotanza, unite ad un profondo disprezzo.

Lo dava da notare pur rimanendosene completamente immobile. E a volerla dir tutta, non stava facendo nemmeno nulla per nasconderlo.

I lineamenti e le membra erano tese, dure e contratte.

La figura tra le due statue sospirò. E prese la parola. Non vi era più tempo a disposizione per indugiare.

“Raoul, figlio mio...” disse. “Noi due dobbiamo assolutamente parlare. Ora. Adesso.”

“Ah, si?” Domandò l'interpellato, quasi con tono sarcastico e di scherno. “E di cosa dovremmo parlare, secondo te? Spiegamelo, avanti.”

“Almeno fino a che avrò l'intenzione di starti a sentire” aggiunse poi.

Il messaggio era chiaro ed eloquente.

Lo aveva chiamato a riferire. Gli aveva ordinato di presentarsi. Ed ora gli aveva concesso il lusso ed il privilegio di ascoltarlo.

Che si rendesse conto di chi aveva davanti. E che facesse alla svelta, dunque. Ma soprattutto...che badasse a misurare bene e come si doveva le parole.

“Lo sai fin troppo bene, di cosa.” disse Ryuken.

“E allora é perfettamente inutile che io e te rimaniamo qui a perdere tempo a discutere” gli rispose l'altro. “Non vi é proprio nulla di cui io e te dobbiamo parlare. Non vedo alcun motivo per cui io e te dovremmo intraprendere un qualsivoglia discorso. Di alcun genere. E non ho la minima intenzione di perdere tempo a chiacchierare con te. Ho un mucchio di cosa da fare, che mi aspettano.”

“Se ci tenevi davvero avresti dovuto imbastire questo colloquio già molto tempo fa” continuò. “E per tutt'altre ragioni che non siano quelle di una mera giustificazione. Ormai é tardi. Decisamente tardi per aggiungere qualunque parola. Non servirebbe. Non serve più a nulla, adesso. E' inutile, non ha più alcuna importanza, giunti a questo punto. Non importa più.”

Se vuoi chiaccherare con qualcuno” gli consigliò sprezzante, “parla col muro, vecchio. Mettiti a parlare con questi muri che hai attorno, e che ti circondano. Loro ascoltano, sai. Lo faranno per tutto il tempo che ti aggrada. E non c'é rischio che possano replicare. Saranno davvero degli ottimi compagni di conversazione, vedrai.”

Il maestro sospirò ancora, sconsolato.

“Dunque dicevi sul serio” annunciò. “Hai già preso la tua decisione, a quanto vedo.”

“Puoi giurarci, che l'ho presa” gli confermò Raoul. “E già da tempo, anche. E come tu ben sai...la mia parola é una sola, come la mia volontà. E non ho la benché minima intenzione di cambiarla.”

“Hai dunque intenzione di andartene da qui?” Lo incalzò il monaco.

“Ovviamente” gli confermò il colosso. “Ora che hai designato il successore, la mia presenza é superflua. Hai stabilito che Kenshiro é il nuovo reggente della Divina Arte di Hokuto, e perciò non vi più alcun motivo perché io debba rimanere qui. Ho i miei progetti, e non ho assolutamente tempo da perdere. Abbandonerò il tempio ed il castello. Ogni secondo trascorso qui é completamente sprecato, ed é un secondo rubato alle mie aspirazioni.”

“E'...questa é forse la tua risposta definitiva, Raoul?”

“C'é forse bisogno che io te lo dica, padre?”

Il volto di Ryuken si fece severo.

“Allora...allora sai quel che c'é da fare.”

“A dirla tutta...non me lo ricordo tanto bene” replicò suo figlio. “Rispiegamelo tu, se ne hai voglia. E se ne hai il coraggio, soprattutto.”

“E' semplice, figlio mio. Se vuoi davvero andartene...devi abbandonare la strada del pugno. Devi rinunciare alla Divina Arte di Hokuto.

Raoul ridacchiò.

“Uh uh uh...starai scherzando, mi auguro.”

Il monaco apparve quasi sorpreso, da quelle parole. Anche se, in realtà...non lo era affatto.

Se l'aspettava. Ma decise comunque di metterlo ugualmente alla prova.

“Ma...cos'hai in mente, dunque?”

“Hmph. C'é forse bisogno di dirtelo? Io credo che tu lo sappia già, il perché. Sai perché ho intenzione di uscire da qui. Te lo dissi molto tempo fa, e non credo proprio che tu te lo sia scordato. Io miro al cielo, vecchio. E prima di afferrarlo...passerò per il mondo. La Terra, questo piccolo ed insignificante pianeta insieme a tutti i suoi miseri abitanti...sarà mio. Insieme a tutti i tesori e le ricchezze che potrà offrirmi. Tutti...tutti dovranno inchinarsi dinnanzi a me. Tutti si inchineranno e si prostreranno, dinnanzi al mio cospetto.Tutti dovranno farlo, di fronte al mio sapere e alla mia forza. E da lì...da lì inizierò la mia ascesa verso il regno celeste. Combatterò contro Dio, e lo sconfiggerò. E una volta che lo avrò battuto...mi sostituirò a lui. Prenderò il suo posto, e creerò un universo a mia immagine e somiglianza. Un universo dove solo i forti avranno spazio. Dove solo coloro che sono forti potranno vivere, e ai deboli non spetterà che la morte!!”

“Me lo ricordo bene, quel che mi hai detto. E mi ricordo anche quel che ti dissi io.”

Si concesse una pausa.

“Ti dissi che ciò andava contro le regole divine, Raoul. E che Dio non ti avrebbe permesso, di farlo.”

“Tanto meglio, padre. Tanto...ho intenzione comunque di regolare i conti con lui, presto o tardi. Anzi...il prima possibile. Prima si deciderà a venire al mio cospetto, prima mi disferò della seccatura, e potrò riprendere il mio cammino glorioso.”

Ryuken scosse la testa.

“Assurdo...” commentò, sconcertato. “Tutto ciò é assurdo. Stai sbagliando, figlio mio. Non é per questo, che ti ho addestrato ed allevato.”

“Non é affatto per questo” ripeté.

“Ecco, bravo” gli rispose il gigante. “Non é per quel che dici. Se fosse solo per quello...se fosse solo per quello me ne sarei andato tanto tempo fa, da questo posto. Non sarei rimasto qui a dividere il mio tempo ed il mio spazio con te. Ho scelto di farti da erede solo perché sapevo che avrei potuto avere in cambio qualcosa di utile. Sapevo, me lo sentivo che avrei potuto ottenere qualcosa che avrei potuto sfruttare per i miei scopi. Solo per questo motivo sono rimasto qui a sopportare le tue prediche, i tuoi sermoni, tutti i tuoi vaneggiamenti e i tuoi allenamenti disumani. E così é stato. Rallegrati, vecchio. A qualcosa sei servito. Grazie a te ho avuto l'arma che mi permetterà finalmente di conquistare tutto!!”

“E poi...” proseguì, “Potrei anche accontentarti, ed eseguire la tua volontà. Potrei decidere di rimanere qui con te, a farti compagnia. Se non fosse...se non fosse per il fatto che il discorso che mi hai fatto non é valido per tutti noi.”

“...A chi ti riferisci?”

“Lo sai. Lo sai a chi mi riferisco, vecchio. Parlo di mio fratello Toki. Anche lui...anche lui ha manifestato l'evidente volontà di andarsene. Eppure...eppure non mi risulta che il divieto di abbandonare la tua dimora lo riguardi. Ho sentito che a lui...a lui concederai di andarsene per il mondo. Dunque ora io ti chiedo...perché, vecchio? Perché mai a Toki si, mentre a me no?”

“Dunque ne sei a conoscenza...e va bene, ti risponderò a dovere. Per tuo fratello...per Toki é diverso. Lui...lui ha riconosciuto l'investitura di Kenshiro, e l'ha accettata. Ha deciso di sigillare il suo pugno di propria spontanea volontà, e di rinunciarne all'utilizzo marziale. Non userà...non userà mai il suo Kenpo per ferire o uccidere la gente. Ma solo per scopi benefici. Applicherà la Divina Arte di Hokuto alla medicina. Per guarire, aiutare e far stare meglio la gente. E solo Dio sa quanto ce n'é e ce ne sarà di bisogno, nei tempi che stanno per arrivare.”

“Mph. E tu...tu ci credi? Ci credi per davvero?”

“Si, Raoul. Ci credo. Conosco bene tuo fratello, ben più di quanto forse lo conosca tu. So di potermi fidare di lui, e so che farà quel che mi ha detto. Manterrà quel che mi hai promesso. Ma nel tuo caso...nel tuo caso é troppo pericoloso. Tu, sei troppo pericoloso. Con te in circolazione l'intero mondo rischia di tramutarsi in una bolgia di caotici scontri. Ed é l'ultima cosa che deve accadere, dopo l'olocausto nucleare. Non serve un ulteriore conflitto. L'ultimo che abbiamo subito ha già causato sufficienti disastri.”

“Si che serve, invece. Se aiuta a creare e stabilire un ordine nuovo. Tutto, persino i sistemi più organizzati e perfetti...nascono dal caos, padre. Lo sai anche tu.”

“E' proprio come supponevo, Raoul. Vedi...da tempo nutrivo forti dubbi, su di te. E le parole che mi hai rivolto fino ad ora non hanno fatto altro che confermare i miei sospetti e i miei timori sulla tua tenuta e sulla tua stabilità. Sia morale che mentale. Non posso proprio lasciarti uscire di qui, mi spiace.”

“E allora prova a fermarmi!!” Gli disse il colosso, girandosi verso di lui e mostrandogli il pugno destro tenuto ben chiuso. “Dopotutto...é per questo motivo che mi hai chiamato e convocato qui, no? Ma sappi che non prendo più ordini da nessuno, io! Ne da té, ne dagli Dei! Non ne ho più bisogno! Mi sono fatto tenere a bada e al guinzaglio fin troppo, capito? Ora basta! Farò quello che voglio!!”

“In realtà...in realtà ti ho chiamato qui anche per un altro motivo.”

“...E sarebbe?!”

“So che hai una predilezione per le arti marziali, e che ti piace molto combattere. Riconosco che al di là di tutto, la tua passione é sincera. Perciò...perciò volevo farti una proposta. Presto...presto morirò, Raoul. Lo sai anche tu che il mio cuore é malato. E' troppo vecchio e stanco. Non reggerà ancora a lungo. Dopo la mia morte, questo luogo rimarrà abbandonato e cadrà in rovina. Potresti...potresti rimanere qui, e subentrare a me dopo che io non ci sarò più. Puoi...potresti diventare il nuovo custode di questo posto. In tal modo...in tal modo non dovrai rinunciare alla tua arte. Potrai continuare a praticare il Divino Pugno di Hokuto. Ma solo entro queste mura, e non oltre. Diventerai un monaco tutelare. In fin dei conti, il Kenpo ha anche bisogno di figure simili, per non scomparire del tutto. Di qualcuno che lo preservi e tramandi.”

“Allora?” Gli propose. “Che ne dici?”

Si trattò di un'offerta inaspettata, che quasi colse di sorpresa suo figlio. Ma che non ottenne purtroppo l'effetto che il vecchio maestro sperava.

Davanti ad un animo esacerbato ed invelenito come quello che ormai animava il primo e più anziano tra i suoi discepoli, la nobiltà di quell'offerta scemò e svanì, andando totalmente perduta e sprecata.

Era troppo, troppo debole. Come la voce e la vita di colui che l'aveva appena formulata.

Fu come mettersi ad agitare un drappo rosso davanti agli occhi iniettati di sangue di un toro infuriato.

“Starai scherzando, vecchio” gli fece, con voce sprezzante. “Mi vuoi pigliare in giro, forse? Non stai proponendo che pochi, miserrimi spiccioli ad uno che ha appena trovato un miniera d'oro!!”

Era ora di finirla, dunque. Non vi era né vi poteva essere più alcun margine di trattativa.

Ryuken dovette prenderne atto.

L'espressione dei suoi occhi mutò, facendosi di ghiaccio.

“Pare proprio che tu non voglia più ascoltarmi” gli disse. “Ma almeno potrò dire di averci provato fino all'ultimo con te, pur di convincerti.”

“Mi dispiace” annunciò. “Ma pare proprio che tu non voglia lasciarmi altra scelta. Fino ad ora ho voluto...fino ad ora mi sono ostinato a volerti parlare da padre. Da adesso in poi tornerò ad agire come tuo maestro, e come reggente della Divina Arte di Hokuto. Farò quel che devo, e ciò che deve essere fatto. Sigillerò i tuoi pugni, per sempre.”

La mano chiusa di Raoul si aprì, ed il suo dito indice gli puntò contro.

“Ma davvero?!” Gli intimò, con voce di sfida. “Per farlo...se vuoi davvero sigillare il mio pugno dovrai colpire i miei tsubo. Ma ti posso assicurare che mai più ti permetterò di raggiungerli o di toccarli! Avanti! Fatti sotto, padre. E vediamo se davvero ci riesci!!”

Si mise in posizione di guardia.

“Vuoi avere la definitiva conferma che sono io il solo, degno ed unico successore?” Gli domandò. “Bene...vorrà dire te la darò, vecchio. Qui ed ora. Ma non con tante parole inutili, bensì...con i miei colpi! Ti sconfiggerò con le miei mani, e mi prenderò da solo il titolo di reggente che mi spetta! Tu non hai voluto darmelo? E allora me lo piglierò per conto mio, così ti dimostrerò di essere il più forte! Preparati!!”

Da gelida che era, la faccia dell'anziano tutore divenne decisamente contrariata.

“Dio mio...” disse. “...Che razza di animo perverso, il tuo. E'...é disgustoso. Semplicemente disgustoso. Solo adesso...solo adesso mi rendo conto di aver soltanto dato vita ad un mostro. Pensavo di aver creato il migliore degli allievi, ed invece...invece scopro di aver allevato una serpe in seno.”

Non vi era più la benchè minima traccia di esitazione, sia nelle sue parole come nei suoi gesti.

“Ora morirai!” Dichiarò. “La tua vita finirà per mano mia!!”

Spalancò e mosse le braccia, tracciando ampi cerchi nell'aria.

“Ecco a te il SHICHISEI TENSHI! LA POSIZIONE DELL' ATTACCO SEGRETO AL CUORE DELLE SETTE STELLE!!”

Subito dopo il suo corpo sbiadì e si scompose in decine e decine di copie, che si dispersero sia a destra che a sinistra del corpo originale. Al punto che questi aveva finito col perdere la propria consistenza, diventando indistinguibile dalle versioni illusorie.

Raoul impallidì.

“...M – ma...ma che?!” Disse, confuso. “N – non...non sapevo...non sapevo che p – potesse esistere una tecnica simile, nella nostra scuola!!”

Le copie di Ryken aumentarono improvvisamente di numero, ed iniziarono a scorrergli intorno, lungo entrambi i suoi lati, mettendolo alle corde per impedirgli ogni possibile via di fuga.

L'allievo era in preda allo sconcerto più totale. Non riusciva a seguirli tutti. Non riusciva neanche ad interpretarne le intenzioni. E nemmeno i punti da cui avrebbero potuto provenire eventuali attacchi.

Non sapeva che fare. Non sapeva proprio che pesci pigliare.

Subito dopo otto di quelle copie si staccarono dal flusso incessante che aveva ormai occupato lo stanzone, e gli piombarono addosso da ognuna delle otto direzioni cardinali. Sia le quattro principali che le altre quattro derivanti dalle loro combinazioni intermedie.

Sembrava proprio che Ryuken, con quella mossa, stesse realizzando un Ching. Uno di quei simboli sacri che vengono usati nella divinazione cinese per prevedere i mutamenti.

Lo stava realizzando tramite il proprio stesso corpo. Mediante gli otto duplicati impegnati nell'esecuzione di quella incredibile tecnica.

Ognuno di loro formava un trigramma che confluiva verso il centro della figura. Ed al centro di essa, dove secondo lo schema doveva risiedere il Tao con il suo incessante ribollire e la sua frenetica danza...vi era il bersaglio. Costituito dal suo figlio ribelle, indisciplinato ed irriconoscente. Che altro non aveva potuto fare se non rinchiudersi goffamente a guscio e rannicchiarsi pateticamente su sé stesso, incrociando le braccia per cercare di offrire la minor superficie esposta possibile agli attacchi. E agli ovvi quanto inevitabili danni che ne sarebbero conseguiti.

Yin e Yang. Uomo e donna. Luce e buio. Bene e male.

Tutto cambia, in sostanza. Per non cambiare mai, fino in fondo.

Tutto torna, dunque.

Ogni tentativo di difesa e di resistenza furono pressoche inutili.

“Aaargh!!”

Il sangue sprizzò fuori dalle membra di Raoul, in ogni parte del suo corpo. Ed egli venne sbalzato in aria e all'indietro dalla violenza dell'impatto.

Non era riuscito a vedere dove l'avesse colpito. E nemmeno come o in quale punto di pressione lo avesse raggiunto.

Fu un attimo. Nel giro di un battito di ciglia si ritrovò ricoperto di ciò che, fino all'attimo precedente, circolava rinchiuso ed al sicuro nell'interno delle sue vene.

Finì a terra. Il calore ed il vischioso che gli ricoprivano la pelle erano fastidiosi, insopportabili.

“N – non...non riesco...” balbettò. “...N – non riesco...n – non riesco a c – capire dove si t – trovi quello vero!!”

Alzò gli occhi. E la vide. Vide la mano del suo maestro, con le quattro dita tese come le punte di minuscole quanto micidiali lance, venirgli incontro.

Doveva evitarla. Ad ogni costo.

Con la forza della disperazione effettuò un colpo di reni e balzò verso l'alto compiendo una capriola.

Mentre si trovava ancora in volo guardò d'istinto verso il basso. E vide che il movimento incessante dei cloni aveva dato origine ad una figura ben precisa. Fin troppo riconoscibile, almeno per lui.

“M – ma quello...” disse, “...q – quelle sono le sette stelle dell' Orsa Maggiore, dannazione!!”

Atterrò un paio di metri più indietro. Le gambe gli cedettero per il dolore e la fatica e finì su di un ginocchio.

Sentì una presenza dietro di lui,e sbirciando con la coda dell'occhio vide che il suo maestro gli era giunto alle spalle.

Di più: sembrava addirittura essersi volatilizzato, per poi ricomparire lì. Come per magia.

Si lasciò scappare un gemito. Di rabbia e impotenza.

“Ah!!”

“Sei finito” sentenziò Ryuken.

Gli diede una manata tra la base della nuca e la spalla, a palmo aperto. Ed il corpo di Raoul si ritrovò squassato un'altra volta con una nuova, scarlatta quanto copiosa ondata che gli fuoriuscì dai vasi sanguigni già lacerati e martoriati dal precedente attacco.

“Uuurrgghh!!”

Rimase al suolo, inerme e ricoperto di ulteriore sangue.

Il vecchio monaco gli si avvicinò. Aveva preso a sudare copiosamente, ed il suo respiro aveva preso ad essere alquanto affannoso. Il suo colorito era pallido, come quello di un autentico cadavere.

“Anf...anf...meriteresti la morte, per quello che hai fatto” gli disse. “Meriteresti mille volte la morte. Ma...ormai ti considero a tutti gli effetti mio figlio, Raoul. Ed un figlio rimane pur sempre un figlio. Anche se stupido, presuntuoso ed arrogante. Rimani pur sempre mio figlio, anche se ormai non sei più quello di un tempo. Anche se ormai sei completamente corrotto e malvagio.”

Raoul gli lanciò un'occhiata carica di un odio a dir poco insopprimibile.

“Grr...”

Stava ruggendo come un'autentica belva in gabbia,

Una bestia feroce sul punto di venire giustiziata e soppressa, per via della sua pericolosità ed aggressività estreme.

“Non ti ucciderò” gli confidò il suo maestro. “Non voglio farlo, nonostante le leggi di Hokuto me lo impongano. Ma...ma conosco il metodo per poterti privare lo stesso della tua tecnica, per sempre. Farò in modo di impedirti di poterla usare, da qui in avanti.”

Allungò la mano destra verso la fronte di lui.

Non intendeva colpirlo ancora. Voleva solo concentrare la sua forza spirituale dentro all'arto che aveva appena esteso, e da lì proiettarla in avanti fino a farla confluire in uno degli tsubo situati all'interno del cervello. Uno di quelli preposti al corretto funzionamento della memoria.

Non appena lo avrebbe stimolato, tutti i suoi ricordi relativi alle tecniche che gli aveva insegnato ed impartito sarebber finiti annullati. Cancellati.

Definitivamente.

Ma, se si poteva...voleva evitare di toccarlo direttamente.

Non voleva lasciargli sul volto segni, sfregi o cicatrici visibili di sorta che avrebbero finito col deturparlo.

Voleva evitare di sfigurarlo, almeno fino a che gli fosse stato possibile.

Come aveva avuto modo di ribardire poco prima, persino al diretto interessato...pur stupido, violento ed arrogante che fosse era e rimaneva pur sempre suo figlio.

Non voleva rovinarlo. Non del tutto. Solo e non più del necessario.

Voleva solamente fermarlo, e renderlo inoffensivo. Non certo ucciderlo.

“Se puoi...perdonami, Raoul” gli disse, con tono dolente. “Ma...ma mi ci hai costretto tu.”

“T – ti...converrebbe uccidermi, i – invece” gli raccomandò l'altro. “T – ti conviene farlo, finché sei in tempo. E finché sei ancora in grado di poterlo fare.”

“Taci, per favore. Hai...hai già parlato sin troppo.”

“E...e comunque, i – il tuo caro allievo prediletto non vivrà, vecchio. Non vivrà abbastanza da potersi vantare del suo titolo. S – se ci tieni...se ci tieni proprio a saperlo, neanche Jagger ha accettato la sua investitura. A – ancor meno d – di q – quanto lo abbia...d – di quanto lo abbia a – accettato io. E adesso...a – adesso sta andando a regolare i conti con Kenshiro, esattamente come io...come io ho voluto...ho v – voluto fare con te.”

“Se é questa la tua preoccupazione, figlio mio...allora stà pure tranquillo” gli rispose suo padre. “Kenshiro...Kenshiro é molto più forte di quanto tu creda. Jagger...Jagger non ha alcuna possibilità di sconfiggerlo. Kenshiro lo ucciderà. E quando anch'io...anch'io avrò finito con te, nessuno oserà mai più attentare o minacciare il nuovo successore. Tutto...tutto sarà come deve essere.”

Inspirò profondamente, mentre una sensazione dolorosa gli si fece largo dentro di lui.

Era più che pronto ad eseguire il colpo.

Tentò. Ma...non vi riuscì.

Nello stesso momento una fitta lancinante lo trafisse da capo a piedi.

Si inginocchiò, portandosi la mano al petto e stringendo forte all'altezza del cuore. Quella stessa mano con cui avrebbe dovuto distruggere la mente del suo discepolo, e che ora...ora stava cercando di usare per tenersi dentro di sé quell'ultima scintilla vitale che ancora gli era rimasta. E che adesso gli stava fuggendo via così tanto brutalmente.

“N – no...” disse mentre si accasciava, cercando di sorreggersi con l'altro braccio.

Una smorfia di sgomento gli si disegnò sul volto.

“No...” ripeté. “N – no...proprio...proprio adesso...”

Il suo cuore lo aveva tradito. Giusto un istante prima del momento decisivio, fondamentale.

Non riusciva più a muoversi. Per via del malore aveva perso il controllo sul suo corpo, ed ormai non lo governava più.

Raou colse l'occasione, ed un sorriso maligno gli compave sulle labbra.

Si rialzò, buttando altro sangue dalle ferite. Ma quella poca forza che gli era rimasta gli fu sufficiente per riprendersi. E gli sarebbe senz'altro bastata per compiere e portare a termine quel che aveva deciso di fare già da qualche minuto.

Era malconcio, ma non certo in fin di vita. Ryuken non aveva infuso abbastanza potenza, nei suoi affondi.

Voleva cercare di risparmiarlo, e ciò gli era stato fatale.

“Eh eh eh...ah ah AH AH AH AH!!”

Si era lanciato in una risata sfrenata quanto isterica.

“Ah ah ah...hai visto, vecchio?” Disse, trionfante. “E' proprio come pensavo. Dio...Dio é dalla mia parte! E lo sai il perché, eh? Lo sai? Perché la verità é che Dio...Dio vuole combattere contro di me! Ah ah ah!!”

Si avvicinò al vecchio, ormai in fin di vita.

“Mi auguro solo che tu non ti aspetti clemenza dal sottoscritto” gli raccomandò, mentre caricava il pugno portandoselo fin dietro la spalla corrispondente. “Sappi che non avrò riguardi di sorta, nei tui confronti. Hai appena cercato di ammazzarmi, e pertanto...ora ti ripagherò con la stessa moneta, sappilo!!”

Ryuken neanche gli badava. Sapeva di avere la sorte segnata. Ed almeno su quello non si stava facendo certo illusioni di sorta.

Tutto quel che voleva, che desiderava...Era solo una stilla.

Ancora una stilla. Di forza. Di vita. Una singola stilla, nulla di più. Non certo per batterlo, visto che ormai era impossibile. Ma almeno...almeno per poterselo portare via con sé. Per il lungo viaggio che li avrebbe attesi una volta lasciate le povere e mortali spoglie.

“D – Dio...” implorò. “Dio, t – ti prego...concedimi a – ancora un istante! Un istante soltanto! Non...non chiedo altro! Un solo...un solo istante!!”

Un lampo squarciò il cielo. Più luminoso, abbagliante e violento degli altri. Più di tutti gli altri messi insieme.

La mano del gigante si abbatté come un colpo di maglio su colui che era stato suo maestro. Ma che anche stato, prima ancora di tutto e di qualunque altra cosa...

Su colui che era stato suo padre.

E che ora era solo un nemico.

Il nemico.

L'ostacolo al suo sogno.

Un ostacolo che ormai andava soltanto abbattuto. E rimosso.

Il prima possibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Finalmente ce l'ho fatta!!

Ma prima di tutto, voglio fare tanti auguroni di buon Natale e di felice anno nuovo a tutti i miei colleghi e lettori.

Si, lo so. Sono in un ritardo a dir poco bestiale. E spero di non essere fuori tempo massimo.

Ma sapete come si dice, no?

Gli auguri sono sempre ben accetti!!

Battute a parte, spero che questo 2021 possa portare ad ognuno di noi quel che più desidera.

Ma voglio raccomandare a tutti quanti di non abbassare ancora la guardia, che purtroppo non ne siamo ancora fuori. E avrete senz'altro capito a cosa mi riferisco.

Non ritengo ve ne sia il bisogno, perché qui su EFP ci troviamo tutti tra persone responsabili e di buon senso.

Ma si dice anche che il saggio ascolta una parola e ne comprende due.

Non pensiamo che con l'arrivo del nuovo anno (e dei vaccini) ci sveglieremo una bella mattina scoprendo che é tutto magicamente finito, e che ogni cosa é tornata alla normalità.

Sarebbe un grosso, grossissimo errore.

Tornando al capitolo...questa volta ho sforato col limite di trenta giorni che mi sono auto-imposto ormai da parecchio tempo. E me ne scuso.

Purtroppo sono reduce da un periodo a dir poco allucinante. E sono in ballo tuttora.

Voi come ve la siete passata? Spero bene.

Magari con un numero di invitati un po' meno numeroso del solito. Ma spero che almeno per quanto riguarda le abbuffate e i regali non vi siate fatti mancare nulla.

Dal canto mio, a parte il 25, il 26, il 31, il primo dell'anno e oggi sono stato praticamente sempre al lavoro.

Il fatto é che sono arrivati vaccini, come dicevo prima. E la mia ditta fornisce le componenti a due delle sei aziende coinvolte nella relaizzazione dei farmaci.

Anzi...tre, da poco.

C'é da lavorare, quindi. E parecchio.

Ho avuto poco, pochissimo tempo a disposizione da dedicare alla scrittura. E quel poco che avevo ho preferito (giustamente) dedicarlo alla mia famiglia.

Ma non mi sono fermato. E poco a poco, ce l'ho fatta.

Ho sforato col limite di tempo, lo ammetto. Ma se consideriamo che é il primo ritardo dopo ben quattro anni passati a sfornare un episodio al mese (anche due, quando facevo la long su Rocky Joe) direi che non é poi così male.

Perciò...rieccomi qua. Pronto a ricominciare, finalmente.

Allora, che ne dite?

Qui non siamo alle prese con una parte inedita, questa volta.

Anzi direi che il frangente in questione ben lo conosciamo, visto che riprende un momento ben noto sia del manga che dell'anime.

Ma diciamo che l'ho leggerissimamente riveduto e corretto secondo la mia ottica e visione.

Spero vi piaccia.

Ed ora passiamo al consueto angolo dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore a innominetuo, Kumo no Juuza, Devilangel476 e vento di luce per le recensioni al mio ultimo capitolo.

Con l'occasione porgo i migliori auguri anche a loro.

E come sempre, un grazie a chiunque leggerà il mio racconto e se la sentirà di lasciare un suo parere.

E prima di chiudere, lasciatemi dire una cosa.

E' bello essere tornati ed essere di nuovo qui.

Con tutti voi.

Auguri ancora a tutti, e...alla prossima!!

 

 

See ya!!

 

 

 

 

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 11

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Fratelli! Fratelli miei! Non avete sentito la notizia? E' accaduta una cosa terribile!!”

L'allievo era in piedi, sulla soglia d'ingresso della sala dove si trovavano i suoi compagni di addestramento più anziani.

Ma questi ultimi due, seduti al centro del locale uno di fianco all'altro e a gambe incrociate, non stavano facendo una sola piega. Stavano mantenendo il massimo atteggiamento impassibile ed imperturbabile di cui potessero disporre.

Tutto il contrario di colui che aveva appena parlato. Anzi, gridato. Che continuava a muoversi forsennatamente avanti e indietro e a gesticolare come un matto, e talvolta afferrandosi i lunghi capelli tirati all'indietro con entrambe le mani per poi mettersi a strattonarli vigorosamente e con forza.

Sembrava volesse addirittuta strapparseli a manciate dal cranio.

“Allora?!” Ribadì loro, con tono furibondo. “Mi volete rispondere? Vi decidete a rispondermi o no, una buona volta? Kensh...”

Si bloccò di colpo, prima di terminare il nome.

Pareva che gli facesse persino schifo o ribrezzo anche il solo pronunciarlo. Anche il solo doverne essere costretto.

“Q – quel...quel pusillanime buono a nulla é stato nominato successore della nostra scuola! E'...é stato nominato successore al posto nostr...”

“Al posto nostro?!” Lo interruppe la figura di sinistra, che dal punto di vista fisico era decisamente il più grande, con un lieve ghigno appena pronunciato. “Stavi davvero per dire questo? Allora credo proprio che tu sia incappato in un madornale equivoco, fratello. Credi forse che il titolo di successore si possa dividere, forse? O che lo si possa utilizzare in comune? Qui non siamo in una cooperativa o in un consorzio, nel caso tu non te ne sia ancora accorto.”

L'allievo si ritrasse impaurito, come inibito da quell'improvviso intervento. Anche se il tono di voce era stato chiaramente ironico.

“M – ma....ma...” balbettò convulsamente.

“E comunque é inutile che continui” gli disse la figura di destra, quella vicino al gigante. “Ciò che dici lo sappiamo già. Ne siamo ben al corrente, Jagger.”

“Coosa?” Fece allibito quest'ultimo. “C – che...che cosa hai detto, Toki? Che cos'é che hai appena dettoo?!”

“Allora...allora lo sapete!!” Continuò. “Allora lo sapevate già! E avete intenzione di rimanere qui a far niente e a far finta di niente, come se nulla fosse?!”

“Mi meraviglio di voi!!” Annunciò.

“E mi meraviglio soprattutto di te, Raoul!!” Disse, puntando il dito contro il diretto interessato. “Sei...sei tu il più forte!!” Dichiarò. “Sei sempre stato tu il più forte, e questo lo sanno tutti! E sfido chiunque a sostenere il contrario! E pur sapendo ciò...vuoi fargliela passare liscia? Vuoi davvero fargliela passare liscia, a quell'incapace?!”

“Eppure...eppure lo sapete!!” Spiegò. “Lo sapete benissimo, quel che accadrà! Siete anche voi a conoscenza di quel che succederà ora!!”

Raoul e Toki non replicarono.

“Le regole della Divina Scuola di Hokuto parlano fin troppo chiaro!!” continuò il loro fratello minore. “Quel bastardo sarà l'unico che verrà legittimato ad impiegare la tecnica dell' Orsa Maggiore, e l'unico a poterla utilizzare! Mentre a noi tre, che siamo ben più forti ed esperti di lui...ci verrà proibito di usarla! Lo sapete meglio di me cosa prevede la tradizione a tal riguardo! Dovremo sigillare i nostri pugni, e se ci rifiuteremo di obbedire ci toccherà la stessa sorte di quelli che si sono ribellati prima di noi! Ci distruggeranno le mani o ci cancelleranno la memoria per impedirci di usare l'arte!!”

I suoi due compagni si ostinarono a rimanere rintanati dietro alla loro coltre di mutismo. Un atteggiamento che mandò Jagger letteralmente fuori di sé e dalle grazie di Dio.

“D – dannazione!!” Imprecò.

Strinse il pugno destro e mollò un colpo con l'avambraccio contro la metà più vicina del colossale portone d'entrata, facendolo schiantare su di esso.

Lo divelse completamente. Ed il suono della tremenda botta rimbombò per tutto quanto il locale.

“Maledizione!!” Imprecò ancora. “Non lo sopporto questo vostro silenzio! Non lo sopporto il vostro silenzio, fratelli! Non lo sopporto propriooo!!”

“Come potete accettare tutto questo, fratelli miei?” Chiese. “Giuro che non vi riconosco più! Siete diventati forse dei vigliacchi?!”

“Beh...allora andate al diavolo!!” Urlò. “Andatevene pure all'inferno, tutti e due! Se non avete intenzione di sistemare le cose, allora...allora vorrà dire che lo farò io, mi avete sentito? Se a voi sta bene una cosa simile, siete padronissimi di farlo! Ma io...io non lascerò che uno più piccolo e debole di me possa decidere di me! Non lascerò che quel pezzo di merda sigilli i miei pugni e la mia tecnica, capito? Non prendo ordini e non mi faccio comandare da nessuno, tanto meno da lui! Mai e poi mai! Lo dsitruggerò con le mie stesse mani, così dimostrerò coi fatti che non vale nulla! E poi restituirò il titolo di successore a chi se lo merita! Me lo guadagnerò sul campo!!”

Guadagnò l'uscita. Ma trovò il tempo di voltarsi ancora una volta.

Un'ultima volta.

“N – non...non é ancora finita, mi avete sentito?” Li avvertì. “Non é ancora finita!!”

E corse fuori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Raoul e Toki erano rimasti soli. E per un po' seguitarono a non dir nulla.

Sembrava non sapessero bene che dire, o cosa fare.

In realtà, lo sapevano benissimo. Sapevano da tempo che quel giorno sarebbe arrivato, con tutte le sue ovvie conseguenze.

Solo che davano l'impressione di avere paura.

Si, paura. Di muoversi o di aprire soltanto bocca. Perché erano consci che chi lo avrebbe fatto avrebbe dato inizio a un qualcosa di inesorabile e di impossibile da fermare.

Era un processo atteso da tempo. Ed inevitabile, come già detto. Ma restava solo da stabilire chi doveva decretare l'inizio. E quindi...prendersi la responsabilità di tale scelta e decisione. Perché é questo quel che fa di un uomo e basta un VERO uomo.

La responsabilità.

Ogni gesto, ogni parola, ogni movimento...comporta degli effetti. Pertanto non va eseguito a caso o con leggerezza.

Nella vita, e nel mondo...tutto ha un peso.

Qui si stava per decidere il fato. Di alcune persone, e di rimando di moltissime altre.

Qualcuno doveva pur farlo. Ma nessuno dei due voleva assumersene l'onere.

Nessuno dei due voleva prendersi la colpa.

Nessuno dei due voleva diventare il principio di tutto.

Alla fine, fu Raoul a muoversi per primo.

Fu una cosa più che naturale, per lui. La più ovvia, per uno così.

Non era mai stato un tipo riflessivo e pacato, per indole.

Era votato all'azione e alla reazione.

L'attesa, lo stare ad aspettare...non facevano per lui. Non avevano mai fatto per lui.

Del resto...per ciò che aveva in mente di fare, e per metterlo in pratica...ne sarebbe dovuta morire, di gente.

Ne sarebbero dovuti morire in tanti. Tantissimi. E per opera sua.

Tanto valeva prendersene la reponsabilità da subito, senza nascondersi. E senza mettersi a far finta di nulla, come gli ipocriti. O i politici.

La responsabilità. E' questo, ciò che fa di un uomo un capo.

E lui avrebbe dovuto instaurare un regno. Non certo un governo.

Un regno che sarebbe durato mille anni, com minimo. E forse anche di più.

Liberò e mosse una gamba, sciogliendola dalla posizione in cui era imbrigliata. Poi, poggiandola a terra, la usò come perno per issarsi in piedi.

“No” disse. “Jagger si illude. E si sopravvaluta eccessivamente. Per quanto si sforzi, non riuscirà mai a battere Kenshiro. La differenza tra loro due é fin troppo marcata. Ed evidente.”

Toki lo osservava. Sapeva bene che l'intervento non era ancora finito. E che a quelle parole ne sarebbero seguite altre.

Purtroppo.

“Ma...” aggiunse subito dopo il colosso,“...di questi tempi, e per come stanno messe le cose...nemmeno Kenshiro potrà battere Jagger.”

“Lo sconfiggerà, questo é certo” precisò. “Jagger non ha alcuna speranza. Ma quando si tratterà di infliggergli il colpo di grazia...nostro fratello minore esiterà. Perché gli vuole ancora bene, in fondo. E continua a nutrire affetto nei suoi confronti, anche se chi ha di fronte lo odia con tutte le sue forze e lo vorrebbe vedere morto. E non esiterebbe ad ammazzarlo con le sue stesse mani, se solo potesse.”

“Kenshiro é fatto così” sentenziò. “E non ci si può fare nulla. E' abile e ben preparato, questo é sicuro. Ma ha un atteggiamento fin troppo compassionevole, ed il suo stile é troppo morbido. Ha lo sguardo troppo limpido, per poter essere il successore.”

“Anche con te non c'é niente da fare” gli disse Toki. “Continui a non ritenerlo all'altezza, dunque.” “Eppure...” continuò, dopo una brevem brevissima pausa che sembrava studiata e piazzata ad arte. “Eppure Ken ha fatto di tutto. E sta facendo di tutto, pur di convincerti dell'esatto contrario. E sappi che lo sta facendo soprattutto per te. E' per te che sta diventando ogni giorno più forte, nel caso tu non lo abbia notato.”

“Ah, si?” Gli fece Raoul. “Beh...allora ti rispondo che é perfettamente inutile. Deve sporcarsi un po', se vuole arrivare alla mia altezza e cominciare ad impensierirmi. E' ancora immaturo. E' ancora troppo ingenuo e sensibile, e ha troppa fiducia nei suoi simili. Nutre ancora troppa fiducia, nelle persone. Il suo sguardo deve diventare torbido, segnato dalla violenza esattamente come il mio. Solo così potrà reggere ciò che lo aspetta. Solo così potrà diventare il degno erede di Hokuto. Il vero, autentico e legittimo successore non deve avere paura di lordarsi le mani. Non deve temere di immergersi in un mare di sangue, se occorre!!”

“Nostro padre ha sbagliato” disse. “Ha sbagliato, nella scelta della succesione.”

“Tu dici?” Gli domandò Toki.

“Certamente” gli replicò lui, voltandosi nella sua direzione. “Così facendo...ha decretato la fine di tutto. E' la fine della Divina Scuola di Hokuto, fratello! E' la fine di tutto quanto, e di come lo conoscevamo! E' la fine del nostro mondo!!”

Si diresse verso l'uscita a sua volta.

Toki alzò lo sguardo.

“Raoul...dove stai andando?” gli domando. Anche se aveva un estremo timore di voler conoscere la risposta.

Più che altro timore di saperla già, e fin troppo bene.

“Mph. Secondo te?” Gli domando a sua volta suo fratello.

“Vuoi andare anche tu a domandare a nostro padre il perché della sua decisione, forse?”

“Affatto, Toki. Assolutamente. Nel modo più categorico. Lui non é tenuto a fornirmi i motivi della sua scelta. Così come io non ho alcun bisogno che da parte sua mi fornisca delle giustificazioni. La Divina Scuola di Hokuto ha la sua strada, da dover seguire. E nostro padre Ryuken, in quanto custode dell'arte...ha anche lui la sua strada, da dover seguire. Ed in quanto a me...io seguo, devo seguire la mia. E ti informo che quelle due strade, la mia e la sua, ormai sono divergenti. Da tempo la mia strada procede su di una direzione differente. Ma ti posso assicurare sin da ora che la mia va ed andrà fino in fondo, a differenza della sua e di quella di Hokuto.”

“La Sacra Scuola del Pugno della Stella del Nord non ha alcun futuro” sentenziò, lapidario. “Non ha più alcun futuro!!”

E si incamminò.

“Aspetta” lo chiamò suo fratello minore.

Raoul si arrestò.

“Mh?” disse, quasi incuriosito mentre lo guardava di sbieco, voltando appena il voluminoso collo all'indietro. “Vuoi ancora aggiungere qualcosa? Hai ancora qualcosa da volermi dire, prima che io me ne vada?”

“Io...”

Toki sembrò tentennare, anche solo per un istante.

“...Si.” gli rivelò. “Ti ricordi quello che ci siamo promessi io e te, Raoul? Quello che ci siamo detti da piccoli, tantissimo tempo fa?”

“Certo che me lo ricordo, fratello. La mia memoria é ancora buona, che io sappia.”

“Dunque...te lo ricordi. Lo rimembri ancora.”

“Mph. Naturale. Visto che fui io stesso, a dirtelo.”

“E allora ripetilo” lo esortò suo fratello.

“...Devo proprio, Toki? Mi pare che tu riesca a riportarlo alla mente benissimo senza alcun bisogno del mio aiuto.”

“...Non ti fa piacere ricordarlo, forse?”

“In verità non mi fa né caldo, né freddo.”

“E allora dillo, forza. Qui. Adesso. Proprio davanti a me, se hai il coraggio.”

“Sicuro che ce l'ho, il coraggio. Posso ridirtelo per filo e per segno. Come se fosse ieri. Ti dissi che se avessi preso la strada sbagliata, o se tu ti fossi reso conto che avrei iniziato ad incamminarmi dove non dovevo...tu avresti dovuto intervenire per fermarmi. Anche con la forza, se necessario. Anche uccidendomi, se io ti avessi costretto a farlo.”

“Già. Ti ricordi anche questo, a quanto pare. Anche ad ucciderti, se vi fossi stato costretto.”

“Piuttosto...levami una curiosità. Perché stai tirando in ballo questo discorso proprio ora? Trovi forse che io stia percorrendo una cattiva strada, forse? Davvero pensi questo?”

“Davvero lo pensi?” Gli richiese Raoul.

“...Ecco. Tu lo hai detto, fratello. Tu stesso. Non io.”

“In tutta sincerità, Toki...io non ritengo affatto di stare per prendere la strada sbagliata. Ma se tu la pensi così, e ritieni che sia davvero tale...sentiti libero di provare a fermarmi. Sentiti libero di farlo come e quando vuoi. Vieni pure ad affrontarmi come e quando ti pare.”

“Allora...dovremo farlo per forza, Raoul?” Gli domandò. “Davvero? Davvero siamo giunti a questo? Non vi é proprio altra soluzione?”

“No” dichiarò suo fratello maggiore. “Non vi é proprio altro modo. Nessun altro modo, direi.”

“E' quel che accadrà se deciderai di ostacolarmi” continuò. “In qualunque modo tu decida di farlo. A meno che...”

“...A meno che?”

“A meno che tu non decida di stare dalla mia parte, e di percorrere il mio stesso sentiero. Con me, Toki. Al mio fianco.”

Si girò verso di lui. E gli tese la mano.

“Vieni con me, Toki.”

Quest'ultimo rimase immobile dov'era.

“...Credi davvero che io possa farlo? Che io possa accettare un simile proposta, da parte tua?”

Raoul ritrasse il braccio. E non si dimostrò affatto sorpreso, da quel rifiuto.

“Mph. In effetti no. Non mi aspettavo niente di diverso, da te. E niente di meno. Sapevo che non avresti accettato. Perché in fin dei conti, per quanto tu possa obiettare...niente cancella la verità. E la verità...é che nelle tue vene scorre il mio stesso sangue. E in quanto tale, non accetti in alcun modo di stare sotto a qualcuno o a qualcosa. Non vuoi riconoscere l'autorità di chicchessia.”

“Sbagli. So riconoscere l'autorità, quando la vedo. Riconosco l'autorità di nostro padre, ad esempio. E rispetto il suo volere e le sue decisioni. Così come rispetto i comandamenti e le tradizioni della Sacra Scuola.”

“Già” commentò Roul, beffardo. “Però per seguire me dovresti essere pronto a cedere, ad arretrare di un passo. Dovresti abbassarti a riconoscere la mia superiorità. E questo...questo non sei disposto a farlo, vero?”

Toki non disse nulla, di nuovo. E perciò...suo fratello parlò per lui.

“Già. Proprio come immaginavo” aggiunse. “Nemmeno tu. Nemmeno tu conosci la ritirata.”

Per un attimo sembrò quasi orgoglioso, di quella constatazione.

“Beh...se proprio non vuoi darmi una mano, almeno vedi di non starmi tra i piedi” lo avvertì. “Vorrà dire che a me basterà anche così. Me lo farò bastare, in mancanza di meglio. Resta fuori dalla questione, e una volta fuori...rimanici, capito? Stammi alla larga. Rimani pure tranquillo lì dove deciderai di stare, e resta pure a guardare. Resta pure a guardarmi mentre conquisterò e dominerò la Terra intera, e da lì ascenderò fino a raggiungere ed impossessarmi del cielo! Fino ad affrontare Dio! Rimani pure a goderti lo spettacolo!!”

“Farò in modo di donartene uno di quelli davvero memorabili, te lo garantisco” gli giurò, mentre gli dava ancora le spalle. “Sarà meraviglioso. E ne varrà assolutamente la pena, credimi. Ma non provare a guastarmelo, o te ne pentirai! Non avrò pietà di te, nemmeno se abbiamo lo stesso sangue!!”

“Piuttosto...levami una curiosità” concluse, mentre usciva. “Ho sentito che vuoi impiegare le tue conoscenze per guarire e salvare la gente, giusto?”

“Così é” gli rivelò Toki, lapidario.

“Beh...ti faccio tanti auguri per la tua missione, allora. Mi sa tanto che ne avrai un gran bisogno. Vuoi ostinarti a sprecare il resto della tua vita a guarire le ferite e le malattie di gente debole e inerme, solo per farli finire in pasto ad una morte ancora più orribile e atroce! Non capisci che gli risparmierai un mucchio di sofferenze, a lasciare che la la vita stessa se li porti via! Se muoiono...vuol dire che non servivano. Non servivano a nulla.”

“Sbagli anche questo. Ogni vita conta. E ogni morte é una perdita.”

“Liberissimo di pensarla così, se ti pare. Ma renditi conto che non potrai salvare tutti, anche se ti sforzi al massimo. La tua é una vera battaglia persa, a differenza della mia. I deboli che non sanno combattere e non si possono difendere non avranno più alcun diritto di esistere! Non ci sarà più alcun posto per loro, nel mondo che sta venendo alla luce!!”

Detto questo si allontanò, sparendo ben presto dalla vista della persona con cui, fino a pochi istanti prima, aveva diviso la stanza dove risiedeva. Insieme agli ultimi, fatidici istanti di meditazione e di pace. Ed insieme alle ultime e preziose riflessioni e confidenze.

O almeno così era, per colui che era stato ad ascoltarlo. E a sopportarlo.

Non ci sarebbe stato più un solo attimo di pace, da quel momento in poi.

Toki era rimasto da solo. Sempre in silenzio.

Due lacrime gli sgorgarono dalle palpebre inferiori e gli rigarono le guance.

Un pianto che sapeva di sconfitta. Ma anche di rabbia e di frustrazione.

Un pianto di pura impotenza. Nato dall'amara consapevolezza di chi ha appena assistito alla genesi di un'imminente tragedia. Ed insieme di un'immane catastrofe.

E di non esser riuscito a fare proprio nulla per poter impedire che ciò avvenisse. Nonostante un ultimo, disperato e velleitario tentativo.

Era già tardi. Troppo tardi.

La bufera stava arrivando.

Meglio prepararsi. E mettersi al riparo, per il momento.

E se possibile, soprattutto.

Quello contava.

Se da lì in avanti sarebbe davvero stato possibile, potersi riparare in qualche modo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti!!

Rieccomi qua!!

Come va? Spero bene.

Questa volta credo di aver rispettato i tempi previsti, senza sgarrare.

Si, lo so.

Molto probabilmente sarete rimasti un po' sorpresi. Per non dire perplessi.

Dal punto di vista narrativo abbiamo fatto un piccolo salto indietro. Riproponendo un'altra scena chiave ed arricchendola con qualcosa di mio.

Diciamo che la mia storia non segue una linea temporale ben definita. Ogni tanto ci sarà qualche “balzo” che fungerà da antefatto, e che permetterà di comprendere meglio alcuni risvolti decisivi della vicenda.

Qui ci troviamo davanti alla famosa sfuriata da parte di Jagger, ormai sempre più fuori controllo.

Un preludio ad una bella quanto generosa dose di mazzate da parte del suo “caro” fratellino.

Era una soddisfazione che doveva togliersi da tempo. Ma che purtroppo gli porterà una serie pressoché infinita di guai.

In un certo qual senso...si può dire che é cominciato tutto quanto da lì.

E poi al momentaneo addio tra Raoul e Toki.

Non si vedranno più, almeno lì dentro.

Raoul vorrebbe andarsene, e basta. Ma ovviamente non può farlo. E quindi non gli rimarrà da fare altro che regolare i conti col suo padre e maestro, mentre Jagger si occuperà di Kenshiro.

Ma non tutto andrà come previsto...

Prima di chiudere, passiamo al consueto angolo dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore a Devilangel476, Kuumo no Juuza e a vento di luce per le recensioni all'ultimo episodio.

E come sempre, un grazie di cuore a chiunque leggerà la mia storia e se la sentirà di lasciare un parere.

Grazie ancora di tutto e alla prossima!!

 

See ya!!

 

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 12

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ryuken giaceva a terra, disteso.

In degna compagnia della coppia di densi rivoli che gli scendevano dagli angoli delle labbra, la linfa vitale gli stava sgorgando e fuoriuscendo a fiotti dall'orrenda ferita che gli era stata inferta sulla schiena fino a formare una pozza scura nella quale galleggiava.

Uno squarcio talmente grosso e profondo da sembrare un'oscena bocca ghignante. Che irrideva sguaiata e senza alcun rispetto sia lui che il suo inutile sforzo appena compiuto. Insieme a tutte le sue aspirazioni, alle sue velleità e alle sue speranze.

Ma trovò comunque la forza di alzare la testa e di guardare la porzione di cielo che filtrava dalle ampie vetrate situate nell'ultima e più alta parte della parete, quella che confinava col soffitto prima di cedere giustamente il suo spazio e confluire naturalmente in esso, come ingegneria architettonica prevedeva.

Non vi erano stelle, quella notte. Non ne brillava nessuna, nel firmamento.

Spesse nubi nere si erano addensate mettendo una spessa, fitta ed oscura cortina tra lui e loro.

Non si riusciva nemmeno a vedere la costellazione che era insieme loro madre e guida.

L' Orsa Maggiore.

Non vi era nulla da temere, dopotutto. Così come il sole, anche la luna e le stelle continuano ad esistere nonostante non si riesca a scorgerle.

I nembi possono solo coprirle. Ma non possono cancellarle.

Dietro al temporale, o alla pioggia...sopra di essi é e continua a esservi ed a rimanervi sereno.

E se così é...allora non importa per quanto possa durare il brutto tempo. Prima o poi, vi faranno ritorno.

E' destino.

Anche l'acqua del fiume o del torrente più torbidi, per quanto inquinanti possano essere, a furia di scorrere e di lasciarli scorrere senza interferire finiscono col tornare limpidi e puliti.

Ma occorre tempo. Anche parecchio tempo, alle volte. Ed i problemi arrivano proprio durante quel lasso di tempo. Durante quelle tenebre.

Fino a che la perturbazione rimane e persiste...in quel buio si agitano ed imperano i mostri. Quelli che di solito la luce riesce a scacciare, riducendoli in polvere e cenere di cenere. Ma che in certi frangenti, approfittando della di lei assenza, sono liberi di aggirarsi e di vagare per il mondo facendo danni. Al mondo stesso ed al prossimo che vi abita.

Ed uno dei più feroci e pericolosi, in quel preciso momento...ce lo aveva proprio davanti.

Anche l' Orsa Maggiore, alla pari di tutti gli altri astri, continuava ad esserci. Ma anche lei...anche lei in quel momento aveva deciso di non mostrarsi. E di girarsi, voltarsi e guardare da un'altra parte, anziché in giù come faceva di solito e di consueto.

In giù, verso la sua prole e stirpe. Verso i suoi discendenti ed i suoi figli.

E senz'altro infausto é quel giorno in cui le sette stelle decidono di rinunziare al loro ruolo di faro per l'intera umanità. Poiché essa, privata e rimasta senza la sua luce guida, finisce per smarrire la strada e perdere la via maestra. E sperduta com'é, finisce per diventare solo vittima dei demoni.

Cibo per le belve. Per le bestie.

La Terra intera si tramuta nel luogo dove si cibano gli animali. Soprattutto quelli a due zampe.

Non vedeva neanche la stella che di solito si trova a fianco di Mizar, la penultima.

Alcor. La Stella della Morte.

Nemmeno lei, si vedeva.

Non riusciva a vedere nemmeno quella. E dire che lui avrebbe senz'altro dovuto riuscirci.

Lui più di chiunque altro, visto le condizioni ormai disperate in cui versava.

Visto che ormai era pressoché prossimo alla dipartita.

Gli era stata negata anche quella consolazione. Di avere una degna compagna di viaggio, che gli indicasse ed illuminasse per bene la via per giungere all'aldilà, nel regno dei morti.

Ogni tanto dalle finestre brontolava il tuono, e subito dopo un fulmine lacerava la coltre in cui era appena avvenuto il fenomeno. Anche se forse avrebbe dovuto essere l'esatto contrario, e forse era davvero così.

Ma era difficile tenere a mente anche le nozioni fisiche più elementari, a causa dell'acuto dolore che gli squassava e membra. E che, di rimando, gli annebbiava ed onubliava i sensi.

L'ultima e più forte tra quelle saette arrivò ad illuminare la stanza intera, facendo risaltare nell'oscurità la monumentale figura che gli si trovava poco distante.

Era Raoul.

Si teneva il fianco con una mano, e respiarava in modo greve e con estremo quanto evidente affanno.

Si sentiva stremato ed era visibilmente sofferente, col sangue che ancora gli sprizzava da ogni parte del corpo. E che interamente lo ricopriva.

Del sangue gli stava colando e sgocciolando anche dalla dita. Ma quello non era affatto il suo.

Non tutto, per lo meno.

Gli si era infatti mescolato il sangue del suo tutore, genitore adottivo nonché maestro. A cui aveva appena inflitto con tutte le sue energie residue un colpo micidiale quanto fatale.

Lo aveva colpito a morte, con tutte le forze di cui ancora poteva disporre. Dopo essere stato per un attimo, un solo attimo, sul punto di finire ucciso a sua volta.

Era alquanto malconcio, e piuttosto malridotto. E pure malfermo sulle gambe, visto che si reggeva in piedi a stento.

Ma era vivo.

Per un attimo la sua anima era stata sul punto di abbandonare il corpo.

Per un solo istante...aveva visto l'inferno, davanti agli occhi.

Il posto dove doveva finire. E dove sarebbe dovuto finire una volta che la sua vita, avanti ma molto più avanti, si fosse conclusa ed avesse avuto giusto termine. Se non fosse che cominciava seriamente a pensare di essere divenuto immortale, vista la mirabolante impresa di cui era appena stato artefice.

Sconfiggere l'uomo più forte del mondo. Non é certo un gesto alla portata di tutti.

L'inferno...il posto da evitare a tutti i costi. Ad ogni costo.

Il posto che non c'entrava nulla, con lui. Che non lo riguardava, in quanto era ormai divenuto un Dio.

I demoni stanno a bruciare all'inferno. Il posto di Dio, degli Dei...é nei CIELI.

E lui l'avrebbe raggiunto il cielo, un giorno.

Presto. Molto, molto presto.

Era ridotto male. Ma...

Ma era vivo.

Ancora vivo.

Purtroppo.

Era ancora vivo. Ed era l'unico che sarebbe rimasto ancora tale, lì dentro.

Era, doveva essere una questione di pochi, pochissimi minuti.

Non doveva mancare poi molto.

Ryuken ci aveva provato.Ma aveva fallito. Proprio mentre stava per dargli il colpo di grazia, quello finale il suo cuore...

Il suo cuore aveva ceduto. Di schianto.

Il suo cuore aveva deciso di gettare la spugna, e di mollarlo proprio nel momento determinante e decisivo.

“Anf, anf...é finita, vecchio” annunciò con fatica il gigante. “Stai...stai morendo.”

“T – ti ho...ti ho b – battuto” proclamò tronfio. “E...e hai...hai p – perso. Ciò s – significa...tutto ciò significa che s – sono...che sono io, il più forte!!”

Non era vero. E lo sapeva anche lui. Lo sapeva fin troppo bene.

Aveva vinto e l'aveva scampata solo grazie ad un colpo di fortuna.

Ma in cuor suo riteneva che non vi fosse nulla, di cui rammaricarsi. Aveva sempre pensato che il combattimento in sé fosse qualcosa di totalmente imprevedibile e casuale. E che quindi, proprio per via di questa sua natura, anche la fortuna rientrava tra gli elementi che potevano giocare a favore oppure contro.

E questa volta aveva decisamente giocato a suo favore.

Si dice che non si debbano mai cercare scuse, giustificazioni o attenuanti in una sconfitta immeritata. Questa é roba che fanno i deboli.

Roba buona giusto per loro.

Di conseguenza...coluia cui arride la vittoria non ha motivo di dispiacersi o di angustiarsi, se essa é altrettanto immeritata quanto lo potrebbe essere uno smacco.

Aveva vinto, punto e basta. Solo questo contava.

Solo e soltanto questo.

Ryuken lo guardò in silenzio, per un istante.

Ansimò un poco, forse con l'intento di ritrovare un soffio di fiato utile ad esperimere ancora qualche parola.

“...P...p – perché...” balbettò. “...perché...”

“Perché, mi chiedi?” Lo interrogò suo figlio. “Davvero mi chiedi il perché, vecchio? Potrei essere io, a rivolgerti questa domanda. Anzi...dovrei essere io a fartela!!”

Il vecchio sembrò stupito.

“P – perché...perché mi dici...perché mi dici questo?”Gli chiese.

“Mph! E me lo domandi, anche?” Gli fece Raoul, quasi risentito. “Hai pure il coraggio e la faccia tosta di domandarmelo, vecchio? Quanto ti sta accadendo...la colpa di tutta quello che ti sta accadendo é tua, padre. Solo e soltanto tua. Hai sbagliato, ecco la verità. Hai agito male, e in modo avventato. Non hai saputo riconoscere chi meritava davvero, e chi fosse veramente degno. Ed ora...ora rimani lì. Restatene pure lì, a raccogliere e contemplare i frutti del tuo misfatto!!”

“R – Raoul...” balbettò il maestro. “...T – tu...tu...”

“Sì. Hai sentito” lo interruppe il colosso. “Voglio...voglio che tu sappia una cosa. Voglio che tu sappia una cosa, prima di andartene all'altro mondo. Ciò che ti é appena avvenuto, quello...quello che ti ho appena fatto, c – che mi hai costretto a fare...beh, sappi che é solo ed esclusivamente colpa tua.”

“E' colpa tua” ripeté. “Solo...solo e soltanto colpa tua. Te lo sei...te lo sei meritato. E...e sappi che ci tengo a dirtelo.”

“Colpa...colpa mia, dici?” Esclamò Ryuken, quasi sorpreso.

“Sì” afferò Raoul, puntandogli contro il dito indice in segno di accusa. “Hai udito bene. E' colpa tua. Per tutta la vita...per tutta la mia vita non hai fatto che riempirmi la testa di sogni. Di sogni, di illusioni e di fandonie. Sin da quando mi hai adottato. Sul fatto che avrei ereditato tutto il tuo lascito, e che avrei appreso interamente la tecnica di Hokuto per poi diventarne il successore. E sul fatto che tramite essa sarei diventato il più forte combattente al mondo. Ma non era vero. Non é mai stato così, giusto? La verità...la verità é che non ho mai potuto diventarlo per davvero. Sia io che Toki non abbiamo mai veramente avuto questa possibilità. Non abbiamo mai avuto la possibilità di diventare successori. Mai, sin dal principio.”

Il vecchio si limitò ad osservarlo.

Non che potesse fare altro. Aveva in sé talmente poco fiato, così poco sangue, così poca essenza vitale che il minimo movimento eccessivo avrebbe rischiato di farglieli perdere per sempre. E senza nemmeno accorgersene, a momenti.

E non poteva assolutamente permetterselo. Vi erano ancora delle cose. Restavano ancora delle cose da dire e da fare, e da ascoltare. Nonostante il tempo a disposizione fosse ormai chiaramente esiguo.

Ogni istante era estremamente prezioso, vista la situazione e le condizioni disperate in cui ormai versava.

Stava risparmiando le energie. Stava cercando di farlo, nonostante tutto. Ormai ogni minuto, ogni secondo era da considerarsi guadagnato.

Se non addirittura regalato.

“E' così, maestro”continuò suo il suo figlio più grande. “E non azzardarti a negarlo! Credi...credi forse che non ne sia al corrente, forse? Quel posto era da sempre stato riservato a Kenshiro. Sin dall'inizio. Perché é lui, il diretto discendente del ramo principale della dinastia di Hokuto. Io ed il mio fratello di sangue Toki apparteniamo ad una stirpe cadetta. Siamo quelli che un tempo chiamavano le Stelle Neglette dell' Orsa Maggiore.”

“R – Raoul, a – ascolta...n – non...non é così semplice come tu pensi. I – io...io n – non...”

“Stà zitto, vecchio!!” Reagì furibondo Raoul. “Lo so bene che le cose stanno così. Ho indagato per mio conto, e ho scoperto le nostre origini. Ma ti informo che sta per nascere una nuova era. Un nuovo corso é alle porte. Un'epoca libera da ogni precetto e vincolo. Un'epoca dove il sangue, il titolo, il rango ed ogni possibile legame che essi comportano non conteranno più nulla. Non avranno più alcun diritto di cittadinanza, qui. E nemmeno ragione di esistere, chiaro? Conterà solo ed unicamente la forza. E solamente chi ne disporrà in maniera sufficiente potrà sopravvivere. Ed il più forte di tutti potrà ottenere facilmente tutto quel che vuole e che desidera, senza alcun limite! E vuoi sapere chi sarà a dare vita a tutto questo, per poi trionfare su di esso? Lo vuoi sapere, eh?!”

Si concesse un attimo di pausa. Di quelli che di consuetudine vengono impiegati per creare suspence durante una conferenza, poco prima di una grande rivelazione o dell'arringa e del discorso finale e conclusivo.

“Sono io, padre!!” Annunciò orgoglioso. “Io sono il più forte! E te l'ho appena dimostrato! Sarò io a cavalcare il caos della nuova epoca che verrà, così come sarò sempre io a domarlo!!”

“A dirla tutta...mi rincresce solo una cosa” confidò subito dopo. “Sai qual'é il lato più tragico, in tutto questo? Il fatto che tu non abbia voluto scegliere me come giusto e legittimo successore. Ed il fatto che tutto questo si sarebbe potuto benissimo evitare, se soltanto tu avessi avuto più coraggio e determinazione. Almeno tanta quanta ne ho avuta io.”

“C – cosa?!” Disse Ryuken, ormai al colmo dello stupore.

“Proprio così, vecchio. Poco fa mi volevi uccidere. Poi hai tentato di cancellarmi la memoria. Ma non hai mai capito...non hai mai voluto capire che sarebbe bastato molto meno. Ti sarebbe bastato molto meno, per fermarmi. Se tu mi avessi dato ciò che mi spettava legittimamente...se tu mi avessi insignito del ruolo di successore, forse, non sarei comportato in questo modo. Non avrei dovuto comportarmi in questa maniera. E non avrei dovuto fare quel che ho fatto. Non ci sarei stato costretto. Avrei interpretato la tua scelta come giusta e corretta. Poiché nessuno era più degno di me, di diventarlo. Ma tu non hai voluto. Equindi...ci sono stato costretto. Mi ci hai costretto tu, sappilo.”

“Il titolo di successore. Ciò avrebbe...avrebbe significato molto per me, ottenerlo” gli confidò. “Avrebbe significato vedere adeguatamente premiati e riconosciuti i miei meriti e sforzi. E solo per questo che non me ne sono andato via prima, da qui. E' solo per questo che ho sopportato tutte le botte, le ferite e i tuoi allenamenti e addestramenti disumani. E che ho retto alle tue continue vessazioni ed angherie. Perché pensavo di ottenere la giusta e corretta ricompensa, prima o poi. Ho sperato fino all'ultimo che tu aprissi gli occhi e che ti rendessi conto di come stavano veramente ed effettivamente le cose. E invece...invece tu hai voluto rimanere fedele alla tradizione, e seguirla come un cieco burattino. Ecco perché da quando é arrivato Kenshiro, e ha messo piede qui tra noi, tu non hai detto più nulla. Ecco perché prima mi stavi sempre dietro e mi mettevi sotto torchio, e in seguito hai comnciato a limitarti giusto a due o tre consigli buttati lì per puro caso. Perché sapevi che con la sua comparsa ed il suo arrivo i giochi erano già belli che fatti, e sin dall'inizio. La selezione tra noi allievi é stata una truffa bella e buona. Non era altro che una colossale presa in giro. Io...io nutrivo una gran fiducia in te, una volta. Ma ti sei dimostrato solo una sciocca marionetta incapace di uscire dagli schemi. E allora...allora lo sai cosa ti dico, vecchio? Che io non ci sto! Non posso accettarlo! Volevi che diventassi il più forte solo per essere il guardaspalle, il galoppino di mio fratello minore. Del più piccolo tra i miei fratelli! Per intervenire qualora non si rivelasse all'altezza, e sopperire alle sue incapacità ed alle sue mancanze! Ma...te lo puoi scordare, mi hai capito? Te lo puoi scordare! E' necessario superare certe cose. Superare ed abbattere dogmi e preconcetti che non hanno più alcuna ragione di esistere, se non nella testa di vecchi testardi ed ostinati come te!!”

“Aveva ragione Jagger” proclamò. “Aveva ragione lui, una volta tanto. Avresti dovuto essere più obiettivo.”

“O...obiettivo, d – dici?”

“Sì, vecchio. Il mio traguardo é il cielo. E' e sarà quello, il mio solo ed unico limite. E mi sarebbe piaciuto, prima di partire alla sua conquista...si, avrei voluto tanto ottenere il tuo benestare. Ma stando così le cose...ho deciso che non me ne faccio più nulla, del titolo di successore. Posso farne anche a meno. Posso farne benissimo a meno. Raggiungerò ed afferrerò il cielo, anche senza la tua benedizione. Volevi una prova della mia forza? Bene, eccotela servita. L'hai avuta, ora! Ho sconfitto te che sei l'attuale reggente della Divina Arte di Hokuto, e ciò vuol dire...vuol dire che sono io, il più forte di tutti!!”

Ryuken scosse la testa.

Il maggiore e più anziano tra i suoi discendenti doveva essere ormai in preda al delirio.

Stava vaneggiando. L'ambizione e la smania di potere e di dominio doveva avergli definitivamente dato alla testa.

Ma non era certo uno stupido. E nemmeno così accecato dalla brama di comandare e di governare da non rendersi conto pure lui che le cose non stavano affatto così.

Lo sapeva benissimo anche Raoul, che le cose non stavano affatto come aveva appena detto.

Poco prima, quando si erano fronteggiati l'uno contro l'altro...egli non aveva potuto praticamente nulla contro il suo colpo migliore, LA POSIZIONE DELL' ATTACCO AL CUORE SEGRETO DELLE SETTE STELLE.

Anche se non voleva ammetterlo in quanto troppo orgoglioso per poterlo riconoscere...si era ritrovato in sua completa balia.

Era in mano sua. Non aveva saputo imbastire, organizzare né proporre la benché minima difesa.

Se solo quel suo maledetto cuore non avesse ceduto, e non gli fosse sopraggiunto quell'improvviso quanto inopportuno collasso...suo figlio a quest'ora sarebbe già stato bello che morto. Oppure privato sia dei ricordi che delle tecniche.

Kenshiro, invece...

Kenshiro, anche senza ricorrere alla tecnica finale della Divina Scuola, LA TRASMIGRAZIONE DELL' ANIMA MEDIANTE LA RIGENERAZIONE LIBERA DA OGNI PENSIERO...era riuscito a tenergli testa fino all'ultimo. E contando sulle sue sole conoscenze. E per di più era quasi riuscito a sventare la sua mosse per poi colpirlo a sua volta, addirittura.

Poteva...poteva pur darsi che fosse Raoul, quello maggiormente esperto e preparato. Nonché forte.

Era pienamente disposto ad accettarlo, almeno questo. Ma dal punto di vista del talento naturale e delle doti innate...

Almeno sotto quei due aspetti Kenshiro gli era nettamente superiore.

La forza e l'abilità non sono tutto, nelle arti marziali. A maggior ragione se si parla di un'arte micidiale come quella di Hokuto.

Raoul aveva occhi che non vedevano. E che non volevano assolutamente vedere.

Era suo figlio ad essere cieco, e non lui. Accecato da quel che ormai era diventato.

Un autentico tiranno, consumato e divorato dalle proprie fissazioni ed ossessioni.

Ma lui, Ryuken...lui ci aveva visto giusto, però. E non era stato certo il solo.

Anche la tigre.

Anche quella gigantesca tigre che aveva scelto come loro avversaria, per metterli alla prova, ci aveva visto giusto.

Si era scagliata d'istinto contro al maggiore tra i suoi allievi e figli adottivi, perché proprio per istinto aveva percepito quale fosse il più debole tra i due.

Un animale, davanti ad un nemico o ad una minaccia che in genere considera troppo forti, in genere preferisce e predilige la fuga. Ma se é essa é impossibile da attuare, oppure il nemico lo insegue e riesce a raggiungerlo...quando la preda si rende contro di non avere più alcuna via o possibilità di scampo, allora decide di giocarsi il tutto per tutto.

Sopravvivere, anche a costo della sua stessa vita. E se gli avversari sono più di uno...si getta su quello meno forte. Per crearsi una possibilità. Un diversivo.

Sceglie il più debole. Quello contro cui, forse, può farcela.

E quella tigre...quella tigre aveva scelto Raoul.

Con Kenshiro aveva chinato la testa e si era consegnata, docile e rassegnata. E pronta a farsi uccidere.

Con Kenshiro era praticamente pronta a morire. Aveva abbandonato sé stessa. Cosa che invece non aveva fatto con suo fratello maggiore.

Con Raoul aveva comunque trovato la forza di attaccare, nonostante la paura ed il terrore.

Era proprio vero.

Bisogna sempre affidarsi alla natura, quando si hanno dei dubbi o si é incerti.

Bisogna sempre rivolgersi ad essa. Perché la natura, nella sua semplicità...non sbaglia mai.

La voce del suo allievo lo distolse dalle sue considerazioni. Ma decise di non badarci e di non ascoltarla, qualunque cosa avesse pronunciato. E decise subito dopo di prendere lui la parola, interompendolo.

“No, Raoul...” lo corresse. “Ti sbagli. E di grosso, anche. Tu...tu non puoi afferrare il cielo. Perché il successore di Hokuto agisce per conto di esso. Il Maestro della Divina Arte viene scelto per eseguire la volontà di Dio. Diventà il nume tutelare preposto alla morte, ed il suo braccio armato e possente! Se ottieni i poteri di Dio...é perché devi obbedire al suo volere, e non per sostituirti a lui!!”

“In tempi normali, vecchio” obiettò l'altro. “Quel che dici accade di consueto in tempi normali. Ma i tempi cambiano. Le cose cambiano. Tutto cambia. E nulla sarà più normale, da adesso in poi. Da ora...nulla sarà mai più come prima! Dio ha abbandonato l'uomo per i suoi molteplici peccati. E' troppo lontano, ormai. Ed é diventato completamente sordo a qualsiasi invocazione e supplica. E visto che lui ha deciso di non occuparsene più, delle sue creazioni e creature predilette...vorrà dire che me ne occuperò io, da ora in poi. Prenderò il suo posto! E se lui me lo vorrà impedire...sarà libero di venire a farlo, in qualunque momento! Combatterò anche contro di lui, e ti giuro che non vedo l'ora di farlo! Non ne vedo proprio la dannatissima ora!!”

“A proposito di Jagger...” gli buttò poi lì, con tono sibillino. “Le cose sono proprio andate come dici.”

“C – cosa?!”

“Quel che ti ho appena detto. Jagger ha già affrontato Kenshiro, per regolare i conti. Ed é stato sconfitto. Kenshiro lo ha colpito in un punto vitale. E lo ha completamente sfigurato, arrivando a deformargli persino le ossa del cranio. Ma...”

“...M – ma?”

“Ma non lo ha ucciso, però. Non ne é stato capace. Non ha voluto, o forse non ha saputo affondare a sufficienza negli tsubo letali. E non ha avuto il coraggio di infliggergli il colpo di grazia.”

“Ecco. Lo vedi, vecchio?” Aggiunse. “E' come dicevo io! E' proprio come ti ho detto io! Kenshiro é un debole. Non ha la forza di fronteggiare o di uccidere uno dei suoi stessi fratelli! Di fronte all'attimo decisivo, ha esitato. Lo ha risparmiato, e lasciato andare. E così farà anche la prossima volta. Anche se non ce ne sarà una prossima. Jagger non gli lascerà un'altra occasione. Non può combatterlo direttamente, ma al giorno d'oggi esistono mille modi per sbarazzarsi di un nemico. Senza doversi scomodare ad affrontarlo faccia a faccia. Anzi, scommetto che il caro Jagger sarà già senz'altro dietro a macchinare ed architettare qualcosa...e prima o poi Kenshiro finirà vittima di qualcuno dei suoi intrighi e tranelli. Perché é troppo sensibile e ingenuo. E' un povero stupido che si fida del prossimo, e di tutti.”

“E ora? Sei contento, adesso? Hai fatto proprio una bella scelta, complimenti! Per colpa tua il posto di successore sarà destinato a rimanere vacante!!” Lo accusò. “Ma non temere. Ci penserò io. Come sempre, del resto. Porrò rimedio anche a questo problema. Ti ho detto che ho fatto delle ricerche, no? Ebbene...ho scoperto anche dell'altro. E ti assicuro che si tratta di roba molto, molto interessante. Ho scoperto che la famiglia mia e di Toki, la famiglia Ryu, era si una appartenente al ramo cadetto. Ma in modo del tutto speciale. Quando la tecnica di Hokuto veniva praticata nel continente, in Cina...da essa fuoriuscivano i candidati ideali per il ruolo di successore della Divina Arte di Hokuto. Era niente di meno che la mia famiglia, a fornire i prescelti! E i prescelti ed i primogeniti della dinastia principale che volevano asprirare al ruolo di reggenti e depositari...dovevano prima sconfiggere i prescelti della mia stirpe. E se non ci riuscivano...erano i membri della famiglia Ryu a ricevere il prestigioso incarico!!”

“Lo capisci, ora?!” Esultò. “Tutto torna, dunque. Ed ogni cosa tornerà al suo posto, come sempre! Non hai nulla di cui doverti preoccupare, vecchio! Sarò io, a continuare e a perpetuare la grande e millenaria tradizione della Divina Scuola di Hokuto! Noi del clan Ryu siamo nati e siamo stati creati per questo scopo! Per sostituire l'eletto della dinastia principale, qualora non si rivelasse degno come successore! E dato che Kenshiro non lo é affatto...dato che ha dimostrato coi fatti di non esserlo, vorra dire che il successore sarò io! Proprio come avrebbe dovuto essere, sin dall'inizio! Prenderò il suo posto, come é giusto che sia. Ed in quanto a Kenshiro...quell'inetto di mio fratello é destinato a finire in niente! Non é altro che un pusillanime buono a nulla! Non sopravviverà all'epoca che sta per arrivare! Non ha alcuna possibilità di farcela a restare vivo!!”

“E' deciso” annunciò, come a concludere il suo lungo quanto accalorato sermone. “ I giochi ormai sono fatti, vecchio. Mi sto solo riprendendo ciò che é mio. Mi riprendo finalmente quel che mi spetta. E di pieno diritto, anche!!”

Ryuken sospirò.

“N – no...” disse. “T – ti...ti sei sbagliato di nuovo, Raoul. T – ti stai...ti stai sbagliando anche questa volta. E'...é assurdo. Quel che stai dicendo é...é semplicemente assurdo. A – anche...anche se in parte ti posso dare ragione, perché corrisponde a verità. Entro...entro una certa misura. E'...é pur vero quando affermi che gli esponenti della tua famiglia hanno sempre affrontato in duello i discendenti del ramo principale della dinastia per garantire il passaggio di consegne. E per assicurarsi che essi, i candidati alla successione, fossero sufficientemente abili. Ma...ma nessuno, a memoria d'uomo...ti posso garantire che nessun esponente della tua famiglia, il clan Ryu...nessuno tra voi é mai riuscito ad uscirne vincitore, da quei combattimenti. Nessuno di voi ha mai potuto invertire la tendenza. E nessuno ha mai potuto mutare il destino che da sempre lo accompagna. Per il semplice fatto...per il semplice fatto che voi siete stati creati solo per essere dei degni e validi avversari. Dei banchi di prova per testare le capacità del successore, null'altro. Dovete affrontarli solo per spingerli al limite massimo, e basta. Tutto qui. E'...é solo per questo, che voi Ryu esistete. E anche questa volta...anche questa volta le cose non andranno in maniera differente.”

“E' così, rassegnati” lo avvisò. “Faresti meglio a fartene una ragione. Tu esisti solo per portarlo oltre il limite estremo. Per tirare fuori il meglio da lui. Così come io esisto solo per prepararlo ed addestrarlo a dovere. E solo questo, il motivo per cui esiste la mia famiglia e la tua. E' quella, la sola ragione per cui esistono i Ryu e i Kasumi. Per quanto forti e potenti possiamo diventare, rimaniamo pur sempre uomini. La nostra arte é ideata e pensata dagli uomini per gli uomini. Ma la Divina Arte di Hokuto...la Divina Arte di Hokuto é pensata ed ideata per gli Dei. La Divina Arte di Hokuto appartiene agli Dei, Raoul! E' l'uomo...l'uomo non può e non potrà mai porsi davanti a Dio, o cercare di eguagliarlo! Mettitelo bene in testa, una buona volta! L'uomo non deve sfidare direttamente Dio, non può azzardarsi ad osare o anche solo pensare una cosa simile! Mai! T – tu...tu non puoi prendere il posto di Dio, e nemmeno quello del successore! E la Divina Arte di Hokuto é...é destinata...può essere destinata solo ai discendenti del ramo principale della nostra dinastia! A...a coloro nelle cui vene scorre il sangue degli Dei! Lo...lo stesso sangue dei numi celesti!!”

Una serie di spasmi e di violenti colpi di tosse lo assalirono e lo squassarono, costringendolo a bloccarsi.

L'anziano maestro si accasciò, sputando una nuova boccata di sangue.

Raoul pareva visibilmente infastidito e decisamente scocciato da tutte quelle chiacchiere che doveva giudicare oltremodo insulse.

Ma quanto ci metteva a morire, quel maledetto?

La stava tirando davvero troppo per le lunghe. Ancora un po' di quei vaneggiamenti ed avrebbe finito col perdere quel poco di pazienza che gli era ancora rimasta, e lo avrebbe colpito di nuovo riducendo il suo corpo misero e rinsecchito a pezzi ed in poltiglia.

Peccato solo...peccato soltanto che non era molto sicuro di essere nelle condizioni di riuscirci, almeno per il momento.

Anche se cercava di non darlo a vedere...ne aveva risentito parecchio anche lui. Sia dello scontro che dei colpi subiti. Dava tutta l'aria di reggersi male in piedi, e di rimanerci a malapena.

Decise comunque di approfittarne, ma non certo per finirlo.

Doveva ancora ottenere qualche informazione. Poi lo avrebbe lasciato pure libero di crepare in pace e di andarsene al creatore a ricongiungersi con i propri antenati della famiglia Kasumi.

“Ah, sì?” Fece, spavaldo. “Vorrà dire che io sarò il primo, allora. Te l'ho detto prima, vecchio. E mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro, a riguardo. E' giunto il tempo di rivoluzionare le cose anche all'interno della Divina Arte di Hokuto. E di superare tradizioni, schemi e concetti ormai vetusti.”

Inspirò, prendendosi una brevissima pausa. Come a voler riordinare le idee.

“Padre...”

Il tono sembrava leggermente cambiato, adesso. Da canzonatorio ed arrogante che era sembrava aver preso tutto ad un tratto una parvenza di etichetta e di rispetto.

“...Prima che tu muoia ho una richiesta da porti.”

“Voglio farti un'ultima domanda” gli ribadì. “C'é un'ultima cosa di cui voglio essere messo al corrente. Dato che io sono il migliore, e farò le veci del successore...voglio sapere tutto sull'ultimo segreto.”

Ryuken alzò di nuovo il capo. Sembrava che una scossa elettrica lo avesse improvvisamente investito e rianimato.

“L'ultimo...l'ultimo segreto?” Bofonchiò.

“Sì” gli confermò Raoul. “L'ultimo segreto della nostra scuola. Si tratta di quella che viene considerata la tecnica finale. Ho sentito parlare di un colpo chiamato MUHSOOH TENSEI. Detto anche LA TRASMIGRAZIONE DELL' ANIMA MEDIANTE LA RIGENERAZIONE LIBERA DA OGNI PENSIERO. Si dice anche che sia infinitamente potente, e che grazie ad essa sia possibile sfuggire a qualunque attacco avversario. Di che si tratta, per la precisione?”

“Voglio saperlo!!” Tuonò, impaziente. “Ora! E tu devi dirmelo. Qui! Adesso!!”

“Forza!!” Lo sollecitò. “Parla! Voglio saperlo, ho detto!!”

Il vecchio mosse ripetutamente la bocca, come a cercare di riprendere il discorso.

“E'...é perfettamente inutile che io te lo dica, Raoul. Mi dispiace, ma...ma non ti serve a nulla saperlo. Per il semplice motivo che non potrai mai essere in grado di usarla.”

Raoul se ne rimase in silenzio. E subito dopo prese a fissarlo, stupito.

“Che...che cosa...che cos'é che hai detto?!”

“Hai capito” gli disse il suo maestro. “Hai capito bene, figlio mio. “T – tu...tu sei forte. Sei già molto forte, e...e lo diventerai ancora...a – ancora di più. M – ma...ma se continuerai sulla strada che ti sei scelto...se ti ostinerai a proseguire lungo quel cammino, quella tecnica ti sarà sempre preclusa.”

“P – preclusa, hai detto? M – ma...”

“Proprio così, Raoul. E nel caso t – tu...nel caso tu non avessi ancora compreso, sarei disposto a ripertelo per altre mille volte. E altre mille volte ancora, fino a che avrò fiato. Non riuscirai ad utilizzarla. Mai e poi mai, per quanti sforzi tu possa fare.”

“S – se...se vuoi farcela...” continuò, seppure con enorme fatica, “...se vuoi riuscire ad acquisirla devi essere tu a dover cambiare il modo di vedere le cose, Raoul. E smetterla di pensare di avere sempre ragione su tutto. Così come dovrai smetterla di ritenere che il tuo modo di vivere sia l'unico possibile. P – per quel genere di tecnica...per quella tecnica sappi che la tua abilità e la tua forza fisica, per quanto grandi possano essere e diventare...non contano nulla.”

“C – cosa?!”

“E'...é così. Non hanno la benché minima importanza. P – perché...perché in quel caso si tratta di distruggere la propria vita e ricrearla, nella sua forma più pura e autentica, mediante il nulla. Ed é proprio per t – tale motivo...proprio per tale motivo la chiamano anche RINASCITA NEL VUOTO.”

“Distruggere e ricreare la vita ripartendo dal nulla...” gli ribadì, ripetendo il medesimo concetto se pur usando parole lievemente differenti. “...perché non esiste nulla di più p – potente del nulla, a questo mondo. S – solo in...soltanto in un organismo totalmente svuotato della vita la vita stessa si riversa dentro ad esso, come un fiume in piena...per poi colmarlo fino all'orlo. E scatenare la massima potenza distruttiva, come un torrente o un mare in burrasca dentro ad un ruscello o ad un golfo rimasti in secca per tanto, troppo tempo. M – ma per ottenere tale stato...p – per ottenere ciò, occorre affrontare e riuscire a sostenere un dolore che va al di là di ogni comprensione e accettazione. Per poi trascenderlo e superarlo.”

“I – il dolore é...il dolore é la chiave” spiegò, con un anelito di voce. “Solo...soltanto un animo incredibilmente e terribilmente ferito ed afflitto, che é stato in grado di accogliere ed assorbire dentro di sé il dolore e la sofferenza in tutte le sue possibili forme e piaghe, p – può...può riuscirci. Ma...ma posso assicurarti che nessuno ci é mai riuscito, nei quasi duemila anni di storia di questa scuola. Nessuno FINO AD ORA, almeno.”

Raoul, a quell'improvvisa confidenza, si fece scuro e carminio in viso. I suoi lineamenti si alterarono, in preda all'ira.

“C – cosa...che cosa vorresti dire, vecchio?!” Sbottò. “Vuoi...vuoi dire...stai forse insinuando che qualcuno tra noi si é già impadronito di questa tecnica, forse?!”

Ryuken non disse nulla. Ma...appariva persino divertito, a quella sua reazione.

Stava davvero dando l'impressione che, nella sua ultima ora, si fosse arrogato il sacrosanto diritto di prendere in giro suo figlio tenendolo sulla corda fino all'ultimo.

Era suo pieno diritto, in fin dei conti. Si poteva dire con certezza che se lo fosse guadagnato.

Ed in pieno, anche.

“Allora...allora dimmi chi é!!” Gli chiese l'allievo, con veemenza.

“Si...si tratta forse di mio fratello Toki?” Buttò lì. “E'...é di Toki che stai parlando, non é vero? Rispondimi!!”

“Rispondi, dannazione!!” Imprecò. “Rispondimi, vecchio! Voglio saperlo! Mi hai capito, padre? Io devo saperlo! Ad ogni costo!!”

Era incredibile. Lo aveva chiamato di nuovo padre, una volta tanto.

Per l'occasione aveva recuperato e rispolverato un appellativo rispettoso, invece di quell'altro vocabolo intriso di disprezzo e noncuranza.

Sembrava che lo stesse addirittura implorando, nonostante fosse lui ad averla scampata. E nonostante si trovasse ai suoi piedi.

Ryuken era quello morente. Ormai prossimo a spirare. Ma...per quanto pazzesco potesse essere, il gioco lo stava conducendo ancora lui.

Non c'era niente da fare. Proprio niente da fare.

Anche se aveva perso, complice il fatto che chi aveva appena finito di fronteggiare era più giovane, possente e forte...e senza tralasciare il fatto che non aveva più potuto contare sulla salute, visto il cuore ormai vecchio, stanco e malandato che si ritrovava...

Anche se aveva perso, grazie ai suoi argomenti e alla forza di essi seguitava a rimanere in vantaggio. E questa cosa, al suo carnefice...quetsa cosa non andava proprio giù.

Gli stava fecendo vedere tutto rosso dalla rabbia. E ne era felice, di ciò.

Un po' di sano patimento gli toccava pure a quell'altro.

Rise, in cuor suo. In quel suo petto ormai così sciancato, malridotto e claudicante.

Si sa...i vecchi, con l'avanzare inesorabile dell'età...oltre che noiosi, barbosi e chiacchieroni e rimbambiti diventano anche cattivi. Ed antipatici. E maligni.

Alle volte persino STRONZI, tanto per utilizzare un epiteto poco gentile.

Invidiano la gioventù. E quando si possono levare una soddisfazione alle sue spalle e alla faccia sua, tutte le volte che ne hanno o gli si presenta l'occasione...non se la lasciano sfuggire.

Forse é per questo che é meglio che muoiano, ad un certo punto. E che non sopravvivano ad un'eventuale prole e a chiunque in genere viene dopo di loro.

Ad un certo punto fanno solo danno, se restano oltre misura. Arriva il tempo in cui figli e nipoti devono imparare a cavarsela da soli e per proprio conto. E camminare con e sulle loro gambe.

“P – posso...posso solo dirti una cosa ancora, Raoul” gli rispose. “T – tu...tu prega soltanto che nessuno riesca a padroneggiarla appieno. Non hai...non hai che da fare questo. Non ti rimane altro, da poter fare. T – tu...tu devi solo pregare che nessuno ci riesca, p – perché altrimenti...altrimenti il tuo unico destino é di venire sconfitto da colui che la userà!!”

“Cosa?!”

“Sì, Raoul. E'...é quel che ho detto. Cadrai per mano sua. E per mano della tecnica che può appartenere solo al legittimo successore, e al discendente diretto del ramo principale della Sacra Dinastia degli Hokuto! Finirai ucciso da lui! Perché di fronte alla tecnica finale della nostra scuola...tutto il resto non é che niente. Non é altro che polvere. Davanti allo stadio ultimo della Divina Arte delle sette stelle dell' Orsa maggiore, dell'Hokuto Shinken...non rimane altro che la morte!!”

A quelle gravi parole appena emesse il vecchio sembrò poter rialzare il busto da terra per qualche millimetro. E così fece.

Estese quindi il braccio destro verso il suo carnefice ed uccisore, come a voler rinforzare la validità delle sue convinzioni. E della sua funesta profezia.

“T – ti...ti ucciderà!!” Gli urlò. “Lui...lui ti ucciderà! E forse, poco prima di morire a tua volta...forse poco prima di morire, almeno allora capirai l'inutilità di tutti quanti i tuoi vani sforzi. E di quanto tu abbia miseramente e inutilmente sprecato la tua vita...”

“Ed é un peccato, figlio mio...” confessò, con una punta di evidente e malcelato rammarico. “Davvero un gran peccato...che tu debba finire così, con un talento come il tuo. Ma se hai già deciso, allora non sei e non resti altro che un povero miserabile. E t – ti toccherà fare...ti toccherà fare una fine da miserabile, putroppo. M – ma...ma tu lo hai voluto...”

“T – tu...tu lo hai voluto, R – Raoul...” ripeté, come in una stanca cantilena. “T – tu...tu lo hai voluto...”

Non appena ebbe pronunciato quelle parole, si accasciò a terra adagiando e poggiando mollemente e dolcemente testa e torso.

Esalò ancora un flebile respiro, e poi...non si mosse più.

Aveva definitivamente reso l'anima. Anche se non si sarebbe potuto dire con certezza a chi, a quel punto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Raoul era e restava piuttosto turbato, nonostante la vittoria. E non solo per il fatto che fosse risultata quasi inattesa, considerando che razza di persona aveva dovuto combattere.

Non la smetteva di fissare il cadavere, che ormai stava già iniziando a perdere calore.

Non ci riusciva, a smettere. Non poteva farne a meno.

Aveva avuto la vita appesa ad un filo, davvero. Un filo sottilissimo e prossimo a spezzarsi da un momento all'altro.

Ce l'aveva fatta davvero per un pelo, ad uscirene fuori ed incolume.

Ma anche la fortuna faceva parte del destino. O almeno era quello che stava continuando a ripetersi da solo, forse nel tentativo di auto – convincersi. E di trovare il prima possibile un senso ed una spiegazione a quanto era appena avvenuto.

Suo padre aveva avuto un mancamento giusto l'istante prima di infliggergli il colpo di grazia. Ma non era forse questo il segnale, il chiaro segnale che Dio lo aveva scelto e preso in considerazione?

Che lo aveva scelto come suo unico e legittimo avversario?

E non poteva essere altrimenti, visto che lui intendeva raggiungere ed afferrare il cielo con le sue sole forze.

Ben presto si sarebbero dovuti affrontare. Gli Dei ed il titano, in un duello all'ultimo sangue e senza esclusione di colpi.

Un duello da cui ne sarebbe uscito soltanto un unico vincitore.

Forse non era il caso di starsi a preoccupare così tanto, e più del necessario.

Forse suo padre aveva semplicemente preso a delirare. Cosa più che comprensibile, in fin dei conti.

Dopotutto, era ormai alla conta finale. Prossimo e ad un passo dalla dipartita definitiva.

Le sue parole anzi, i suoi sproloqui erano più che logici. E legittimi, in un simile momento.

Probabilmente non era più lucido. La sua mente era ormai persa e sconvolta dal dolore e dalla morte imminente. Di sicuro non sapeva nemmeno con certezza quel che stava dicendo.

O magari lo aveva fatto pure apposta. Il suo era stato solo uno stupido e sciocco sberleffo. Una burla. Un tentativo meschino di vendetta postuma atta ad intorbidire le acque. E ad instillare il dubbio in lui, per rivalersi della sconfitta.

Neanche suo padre aveva mai voluto conoscere la ritirata, in fondo. E quindi, nemmeno avrebbe mai accettato di perdere.

Aveva ben appreso da lui, dopotutto. Era stato proprio il vecchio, ad insegnarglielo. E il primo tra i suoi figli ed allievi aveva appreso tale concetto alla perfezione, arrivando addirittura a superarlo.

Tutta farina del suo sacco. Avrebbe dovuto esserne orgoglioso di tale risultato, non certo lamentarsi.

E nel caso avesse avuto qualche rimostranza...avrebbe dovuto biasimare sé stesso.

Chi causa é del suo male, come sostiene il famoso adagio...

Era stato il suo maestro a plasmarlo così, e a farlo diventare ciò che era diventato.

Il suo maestro era il diretto responsabile. Il frutto delle sue scelte non aveva alcuna colpa.

Nell'aldilà il vecchiaccio avrebbe avuto tutto il tempo di dispiacersi, e di rammaricarsene.

Avrebbe dovuto pensarci prima, ecco tutto.

Idiozie. Idiozie belle e buone. Non erno altro che fesserie senza senso.

Cosa gli importava dell'ultimo segreto, in fondo?

Se nessuno aveva mai ottenuto quella dannata tecnica in duemila anni, quale motivo c'era di stare in ansia?

Non c'era riuscito il grande Ryuken, che era l'uomo più forte e potente che avesse mai conosciuto in vita sua.

E non c'era riuscito nemmeno lui, il grande Raoul.

E se non c'era riuscito nemmeno lui che era il più forte in assoluto, persino dell'ultimo ed attuale reggente, chi altri mai avrebbe potuto farcela?

Nessuno. Ecco tutto. Ecco la risposta.

Nessuno. Se l'avrebbe avuta lui non l'avrebbe avuta nessun altro, punto. E se non fosse riuscito ad acquisirla...

Se non la acquisiva lui stava solo a significare che non era una tecnica degna di essere acquisita. Tanto meno di venire tramandata.

Non era una tecnica degna di lui, tutto qui.

Ben presto si sarebbe impadronito di ogni stile e di ogni arte omicida esistente.

Anche lì avrebbe ribaltato ed abbattuto ogni limite, ogni gerarchia.

Non sarebbero state le tecniche, a definirlo. Sarebbe stato lui a decidere quali valevano, e quali no.

Se non era destinato ad essere suo...l'ultimo segreto della Divina Arte dell' Hokuto Shinken avrebbe avuto l'oblio sempiterno, come unico destino possibile.

Sarebbe finito dimenticato, inghiottito dalle pieghe del tempo. Affondato per sempre negli abissi della storia.

Discorso chiuso. Era perfettamente inutile rimanere a rimuginarci ulteriormente sopra.

Il primo mattone era stato posato, finalmente. Il primo mattone dove far scorrere la strada lastricata del suo sogno.

Il primissimo mattone. E per malta aveva usato ogni goccia del sangue di suo padre, fino all'ultima.

Restava soltanto da capire quanto altro sangue avrebbe dovuto versare, per costruire e cementare la sua futura fortezza.

Non che gli importasse.

Da quel momento in poi non si sarebbe mai più fermato.

Avanti, avanti. Sempre avanti. Non gli sarebbe più interessato di quanti cadaveri erano caduti, di quanti ne cadevano e di quanti ne sarebbero caduti lungo il cammino che lo attendeva.

Il suo cammino. Non costruito dal destino, ma che si era costruito per conto proprio.

Aveva grandi progetti, per sé. In quanto alla sua famiglia o meglio, a ciò che ne rimaneva, con particolare riferimento ai suoi fratelli superstiti...avrebbero fatto meglio ad adeguarsi al nuovo ordine. O sarebbe stato peggio per loro.

Molto, molto peggio.

Jagger era praticamente già dalla sua parte. Lo ammirava, ed in virtù di ciò era facilmente manipolabile.

Scarso con la tecnica, ma di una ferocia e di un rancore senza pari. Sarebbe senz'altro potuto tornare utile, in qualche modo.

Pensò che avrebbe potuto arrivare a cedergli persino il titolo di nuovo successore, giusto per tenerselo stretto e buono. E per quel che gliene fregava.

Il futuro Grande Re Conquistatore del Cielo non se ne faceva nulla di titoli, attestati, riconoscimenti o benemerenze. Ogni merito, ogni qualifica...si sarebbe guadagnato ogni cosa direttamente sul campo, con le sue mani.

Ma al secondo tra i suoi fratelli adottivi nonché compagni di addestramento giusto quello, interessava.

Il titolo. Il titolo e basta.

Solo quello.

Rifilandogli una panzana del genere, quello gli avrebbe giurato come minimo fedeltà eterna. E lo avrebbe seguito ovunque, fedele come come un cagnolino. A costo di finire fino sul fondo dell'inferno.

Restava Toki.

Ecco. Lui era la sua spina nel fianco.

Suo fratello minore lo eguagliava, in abilità. E dal punto di vista dello stile, della grazia e dell'armonia dei movimenti addirittura lo superava.

Però lui disponeva dell'esperienza. Del resto era per merito suo se aveva imparato a combattere così bene.

Gli aveva insegnato tutto. Ogni cosa. Conosceva tutte le sue mosse, una per una.

Fratelli di sangue o no che fossero, lo avrebbe ammazzato come un cane rognoso.

Lo avrebbe ucciso senza la benché minima pietà se avesse osato mettersi in mezzo per tentare di ostacolarlo.

Toki avrebbe fatto meglio ad approvare, in un modo o nell'altro. Sarebbe stato senz'altro la decisione più saggia, e si sarebbe evitato un mucchio di problemi.

Un gran, bel mucchio di problemi. Almeno per lui.

E se proprio non si fosse ritrovato d'accordo col suo operato ed il suo modo di fare...avrebbe potuto sempre voltare la testa dall'altra parte e far finta di nulla. E a fare altro.

Ad esempio il medicastro da strapazzo, come sognava. Aiutando i malati a guarire e gli infermi a riprendere a camminare. Per poi finire trucidati da qualcun'altro.

Tsk. Che facesse pure quel che voleva, se proprio era contento così.

Quello si, che era un lavoro inutile. Fatica sprecata e tempo perso. Per salvare gente che non avrebbe avuto comunque nessuna speranza di sopravvivere, nel nuovo mondo che stava per nascere.

Avrebbe finito solo con l'allungare le loro sofferenze, invece di alleviarle.

Lo aveva avvertito, e messo in guardia. Che non si venisse a lamentare nemmeno lui, quando si fosse accorto del suo tragico quanto madornale errore. Il giorno in cui avrebbe capito che era sbagliato sia quel che diceva, che quel che faceva.

Gli aveva sempre raccomandato di intervenire, se avesse intrapreso una brutta strada o una via sbagliata. Anche con le maniere forti, se necessario.

Ma questo non stava certo a significare che gliel'avrebbe lasciato fare senza battere ciglio.

Se Toki riteneva di avere il diritto di agire, e lui di morire...glielo avrebbe concesso.

Gli avrebbe offerto una possibilità. Poi sarebbero state le loro capacità a decidere chi sarebbe dovuto perire e chi rimanere in vita.

Solo le loro capacità. Non il destino, il cielo, Dio o chi per essi.

Solo quel che erano in grado di fare.

Ma non era detto che Toki avesse voglia di farlo. Di impegnarsi fino alla spasimo e di mettere tutto in gioco in un duello tra fratelli di sangue.

In ogni caso, era pronto anche per lui. Se erano grane che cercava, gliele avrebbe date. E se era la morte, che voleva...gli avrebbe dato pure quella.

Bisogna stare attenti ma molto, molto attenti a quel che si desidera. Specie se tale desiderio arriva dal profondo del proprio cuore. Perché potrebbe avverarsi, prima o poi.

Ne restava uno.

Ah, già.

Quello.

Visto che Ryuken, giusto poco prima di crepare, aveva tirato in ballo il discendente legittimo del ramo principale della Dinastia di Hokuto, era probabile che si stesse riferendo a lui.

Impossibile. Era pressoché impossibile. Assurdo.

Kenshiro non era nemmeno da prendere in considerazione.

Il glorioso sangue degli Hokuto si era seccato. Doveva essersi tramutato in acqua, all'interno delle sue vene.

Non era mai stato all'altezza del compito che gli era stato assegnato e non lo sarebbe stato mai.

Non sarebbe sopravvissuto alla nuova era. Non avrebbe vissuto a lungo, nemmeno abbastanza da vedere la nascita ed il prosperare del suo impero.

Tutto tornava al suo posto, dunque. Il legittimo erede si era dimostrato un incapace, totalmente inadeguato al ruolo.

Non c'erano candidati ideali, da parte della Dinastia Principale. Toccava al degno sostituto.

Tocccava al discendente della famiglia Ryu. Anche se ben presto i titoli non avrebbero contato più alcunché.

E Kenshiro ne era l'esempio lampante, della sua teoria. Il fatto di essere il prescelto dalla nascita non lo rendeva invincibile. E nemmeno perfetto.

I legami di sangue non contavano. Contava solo la forza, e l'intelligenza.

Solo con quelle lui avrebbe dominato il mondo, e poi il cielo. Non con la discendenza.

Era ora di andare, dunque.

Di mettersi in marcia. E di vedere fin dove lo avrebbero portato i suoi pugni.

I suoi pugni, uniti alla sua mente ed al suo cuore.

E al desiderio. E alla volontà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Come va? Spero bene.

Chiedo venia per l'enorme ritardo, ma sono reduce da un periodo abbastanza complicato.

Purtroppo nell'ultimo periodo le scuole (e parlando di Hokuto...sempre scuola, é!)hanno richiuso di nuovo, e i docenti sono stati costretti a reintrodurre ancora una volta la famigerata didattica a distanza.

E per forza di cose...la mia piccola ha monopolizzato il PC.

Me la sono cavata recuperando un vecchio carcassone della mia dolce metà che ormai svernava nello sgabuzzino.

Un povero catorcio (ma non insultiamolo, via. Il suo dovere lo ha fatto anche stavolta) che ormai non chiedeva altro che di rimanersene seppellito da qualche parte. E che ad ogni accensione mi sembrava di sentire una vocina implorante che supplicava “Uccidimi...”.

Non si collega neanche più in rete, da quanto é vecchio. Serviva solo per scrivere (e neanche con Word, OpenOffice o qualche altro programma. Col vecchio Wordpad!!).

Bastava.

Si torna alle origini, come direbbe il buon vecchio Apollo Creed. O all'analogico, come direbbe invece Tony “Iron Man” Stark.

Beh...la necessità aguzza l'ingegno.

E' pur vero che il lavoro ha subito rallentamenti, e me ne scuso. Ma ho lavorato con una grinta ed un energia che non vedevo e sentivo da mesi.

Proprio vero che quando vieni messo con le spalle al muro, rendi di più.

E certe volte ho come l'impressione che mi serva, tutto questo.

Come se uno non ha già abbastanza menate...

Che volete farci, ragazzi. A me le scelte facili e le soluzioni semplici non sono mai piaciute.

Se non mi complico la vita non sono contento.

Ma non ho mollato. E quindi...rieccomi qua!!

Allora? Come vi sembra?

Qui si conclude lo scontro tra Raoul e Ryuken.

Lo so, detta così sembra strana. Ma per la prima volta, forse giusto perché si trova in punto di morte...il vecchio padre e maestro tira fuori il suo lato più guascone e canagliesco.

Sembra quasi che si diverta un mondo, a vedere Raoul con le balle girate.

Eppure...é proprio in momenti come questi che si nota.

Cosa? Beh...il fatto che il nostro Raoul nonostante l'ambizione, tutta la sua buona volontà e i grandi propositi é destinato a fallire.

Non importa quanto in alto andrà. Prima o poi cadrà e precipiterà.

E' una questione di destino.

E' Ken, il prescelto. Non lui.

Certo, il fatto che si sia messo di traverso complica la faccenda. E non di poco.

Piuttosto...ridendo é scherzando, non mi sono accorto che é già più di un anno, che sto pubblicando questa storia!

Mi sono dimenticato di festeggiare la ricorrenza, pensa te.

Un po' per impegni e grattacapi vari, e un po' perché sono in ballo con l'altra mia long (quella su Zootropolis) che questo mese raggiunge il traguardo dei CINQUE ANNI.

Una bell cifretta, niente da dire.

Passiamo all'angolo dei ringraziamenti, ora.

Un grazie di cuore a Kumo no Juuza, Devilangel476 e vento di luce per le recensioni all'ultimo capitolo.

E come sempre, un grazie anche a chiunque leggerà la mia storia e se la sentirà di lasciare un parere.

Grazie ancora a tutti.

 

Alla prossima, e...

 

 

 

See ya!!

 

 

 

 

Roberto

 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


 

 

 

 

 

CAPITOLO 13

 

 

 

 

 

 

 

La stanza era fiocamente illuminata dai raggi del sole che penetravano dalle finestre, opportunamente regolati e filtrati dalle file orizzontali di forellini in comune dotazione a quel tipo di persiane. Che in quel momento giacevano lievemente serrate ed in posione semi – abbassata.

C'era, o meglio c'era una volta una grossa lampadina ad incandescenza posta al centro del soffitto.

E che proprio da lì scendeva, sorretta da un solitario intreccio di due fili elettrici, fino a fermarsi a circa un metro e mezzo di distanza dal suolo.

Solo una grossa lampadina mezza opaca e dal vetro sudicio, senza neanche lo straccio di un misero paralume che le facesse da complemento, guarnizione o che provvedesse quantomeno ad abbellirla o arricchirla.

Il più delle volte non veniva nemmeno usata. Questo fino a che qualche pezzo di stronzo non aveva deciso di spaccarla.

Grazie al preciso lancio di una sassata o con l'ausilio di qualche altro oggetto di tipo condundente, sempre gettato. O magari di un bastone o di una spranga.

Vallo tu a sapere, il perché.

Qualche pezzente che era in sbronza dura e che pensava di riuscire a smaltirla a quel modo. O che forse semplicemente era in fase di scazzo cronico e acuto o si annoiava, e riteneva che fosse un altrettanto valido metodo per farsela passare.

Vai tu a capire cosa frullasse nella zucca marcia e ripiena zeppa fino all'orlo di merda putrida che si ritrovavano certi coglioni.

I coglioni mischiati ed incrociati con gli scarti e coi cazzoni che in genere bazzicavano da quelle parti. E di cui lui spesso si circondava. Anche perché non gli era rimasto molto altro, purtroppo.

Doveva avere la calamita, cazzo.

Doveva proprio averci una specie di calamita interna, dentro.

Una stra – cazzo di calamita interna perennemente sintonizzata sulle frequenze di quei rifiuti, per attirarseli adosso così bene.

Una meraviglia, proprio.

Doveva avercela proprio la fissa per certa gentaglia, a quanto sembrava.

Tsk. Razza di idioti e di mongoloidi semi – analfabeti. Che non servivano e non gli servivano a niente, se non quand'erano belli che morti. E forse...nemmeno in quel caso.

Che a farne a pezzettini e brandelli i cadaveri per poi spargerli nei campi non ci si poteva nemmeno riuscire a concimarli.

Con tutto il veleno che avevano in corpo c'era da scommettere che non sarebbe venuto su nulla.

Qualunque cosa si sarebbe potuta seminare...sarebbe morta ancora prima di nascere. Ancora prima di far fuoriuscire le sue gemme dal terreno.

A quella gente le radiazioni gli avevano preso il sangue. Il loro sangue le aveva assorbite per intero.

Se solo si provava a cremarne i cadaveri, tra quello e tutto l'alcool da quattro soldi che tenevano in pancia ed in corpo, bruciavano nel giro di un istante.

Andavano in combustione che era una bellezza.

Gentaglia. Feccia. Buoni solo ad uccidere. E basta.

Talvolta non ci provava nemmeno più gusto, quando ogni tanto si decideva a farne fuori qualcuno.

Nulla gli dava più gusto, ormai. Solo...

Solo il sapore del sangue. Del sangue che versava e che faceva scorrere. E che di tanto in tanto persino trangugiava, in maniera più o meno consapevole.

Perché al punto in cui era e stava qualunque cosa bevesse, mangiasse, assaggiasse...o che si fumava o che si scopava sapeva di sangue.

Solo di quello, e basta. Nient'altro.

Aveva l'impressione che persino quel che ascoltava e vedeva, o quello di cui parlava...sapesse di sangue.

Sangue, sangue, sangue.

Da una parte li capiva, a quel branco di pezzenti.

Lo comprendeva benissimo, il fatto che non avessero una ragione o un motivo ben precisi per squartare e trucidare. Neanche lui, in fondo...

Neanche lui ce l'aveva una ragione, quando lo faceva.

Nenache lui ce l'aveva quando faceva anche lui quel che loro facevano.

La stessa cosa.

AMMAZZARE.

Non ce l'aveva nemmeno lui, un motivo. Se non che prima di farlo lo pigliava all'improvviso quell'istinto, quell'impulso irresistibile ed irrefrenabile di tagliare, e mutilare. E di distruggere.

Era un istinto irrinunciabile quello che lo prendeva, quando lo prendeva. A cui non sapeva mai resistere.

Gli piaceva, ecco la verità.

Almeno quasi quanto quello che ora lo stava spingendo a fare quello che stava facendo ed in cui era impegnato a fare adesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La moto si trovava proprio nel mezzo della suddetta stanza, proprio sotto alla salma della fu lampadina, defunta da un pezzo. Al termine di neanche mezzo secondo di onorato servizio.

Due cocci rimasti attaccati al bordo inferiore del perno filettato da avvitare per assicurarla alla base.

Che vi fosse o non vi fosse stata...nessuno se ne sarebbe accorto.

Proprio come avrebbe potuto dire di certi, inutili individui.

Di UNO, in particolare.

Ma questo non valeva di certo per il suo amato bolide, con l'apposita stampella laterale tenuta ben estesa a sorreggerla. Bella dritta, e lievemente inclinata verso l'interno di qualche grado.

Il telaio era completamente smontato in ogni sua componente, e così il blocco motore che lo racchiudeva e che lo proteggeva dagli ammaccamenti di fortuiti e possibili urti e dall'erosione degli agenti esterni.

I vari pezzi giacevano sul pavimento, ma nient'affatto sparpagliati.

Erano disposti secondo un ordine ben preciso, che rispettava in pieno la sequenza di montaggio.

Lo stesso ordine che avrebbero avuto una volta rimessi al loro posto e recuperata la loro posizione originaria. Così non si sarebbe confuso.

Un libretto di istruzioni sulle parti, meccanismi ed ingranaggi interni di un vano motore non avrebbe saputo fare e mostrarli meglio di così.

Un autentico lavoro da manuale. Davvero.

Il pulviscolo si alzava dai vari punti in cui giacevano, essendo la parte inferiore del locale composta dalla nuda terra, e basta. Una volta sollevato, veniva messo in evidenza dalle stille e dagli spiragli della luce del sole che in quel momento era giunto quasi a tre quarti della sua corsa quotidiana, essendo pieno pomeriggio.

Piccle scintille luminose, che splendevano esattamente come chi le illuminava. Peccato solo che...

Peccato solo che non gliene importasse nulla.

Non si curava, non si interessava di queste cose. Era come cieco, quando veniva messo dinnanzi ad esse.

La bellezza...era inutile. Alla pari di certi esseri umani.

Di UNO, in particolare.

Era già la quarta volta che lo rifaceva, quel giorno. Aveva appena finito anzi, non aveva fatto a tempo a finire che già era bello che pronto per ricominciare. Un'altra volta.

Nemmeno aveva voluto prendersi il giusto tempo per fermarsi a rimirare il bel lavoro svolto, a momenti.

Un'altra volta. L'ennesima.

Smontava il corpo centrale del suo mezzo in ogni sua parte, le metteva giù e una volta completata l'opera passava a pulirle. Con uno strofinaccio dall'aria alquanto lisa e sudicia.

Ma la cosa non costituiva poi questo grosso problema, in fondo.

Con quel che usava lui, per nettare e lustrare...andava bene qualsiasi cosa. Qualunque.

Persino della carta igienica, in mancanza di meglio. E pure usata.

Era il liquido, a contare. Non quel che si usava per nettare.

Il liquido che si era preparato apposta, e da solo, era a dir poco eccezionale.

La soluzione, con la quale aveva provveduto a riempire fin quasi all'orlo una piccola tanica dalla forma tipica, era una mistura a base di gasolio, lubrificante per motori e trielina purissima.

Un prodotto assolutamente eccezionale, a dir poco.

Davvero ottima, per lucidare. Ma anche per riempirci le bottiglie incendiarie, all'occorrenza.

Una volta appicciate e lanciate, quando si spaccavano addosso all'imbecille di turno, la roba che contenevano gli si attaccava ed appiccicava alla pelle che era una meraviglia. E una volta che prendeva fuoco gli smangiava le carni fino all'osso.

Meglio di qualsiasi altro fluido infiammabile usato in guerra o in guerriglia.

Quasi meglio del napalm, a momenti. E meno male, visto che ormai era pressoché impossibile da recuperare.

Dopo l'ultima guerra qualche ricordino, qualche residuato e rimasuglio lo si poteva ancora trovare in giro, nei ventri e negli scheletri di qualche palazzo, anfratto o percheggio sotteraneo. Sotto forma di qualche bastardo appartenente alle truppe d'assalto o sterminatrici. Ancora in casco e tuta ignifuga e ad ossigeno, dotato di lanciafiamme e col serbatoio ancora bello pieno.

Ai tempi si credeva che fosse un'arma efficace. E lo era, finché si trattava di rastrellare e di passare al setaccio la zona dopo averla conquistata. Per disinfettarla da eventuali superstiti.

Per STERILIZZARLA DAI BACILLI, così si soleva dire.

Già. Proprio così. Peccato solo che...peccato solo che i bacilli in questione fossero germi a DUE GAMBE.

Arrostirli sotto agli occhi di tutti poteva servire da crudele monito per chiunque fosse riuscito a sfuggire all'attacco. Per fargli vedere quale sarebbe stato il suo destino, in ogni caso. Sia che avesse voluto riprovarci oppure no, a combattere e a fronteggiare di nuovo il nemico.

Ma alle volte capitava che qualcuno rimaneva. Qualche cecchino piuttosto coraggioso e temerario, oppure completamente pazzo. Ognuno decida di interpretarla a suo modo e come meglio ritiene e preferisce.

In genere qualcuno impazzito per la rabbia e il dolore di aver visto i propri cari e la propria famiglia finire brutalizzati e trucidati. Non necessariamente in quest'ordine.

E ci tenevano a sparare le loro ultime cartucce, prima di raggiungere i loro cari estinti a loro volta dopo esser stati crivellati dai colpi per aver rivelato la loro presenza in maniera così inopportuna quanto improvvida.

Ma se prima di morire gli riusciva di piazzare il classico colpo fortunato...allora diventava un autentico gioco da ragazzi.

Bastava un buco. Un semplice foro sulla tuta ignifuga. Era più o meno l'equivalente di un buco fatto sul costume di un palombaro mentre si trovava alle prese con un'immersione nelle profondità degli abissi.

Bastava un buco. Nient'altro che quello. L'ossigeno fuoriusciva, faceva reazione con le fiamme allo stato liquido causate dal fluido infiammabile sparato dalla canna dell'apposita pistola pressurizzata e...i tizi in tuta finivano bruciati vivi. All'interno delle loro stesse tute, quelle tute che almeno in teoria avrebbero dovuto proteggerli. E che a quel modo si trasformavano in una trappola letale. Che garantiva la più atroce delle morti.

Lentissima e molto, molto dolorosa, come tutte le morti per ustioni. Ma se erano abbastanza fortunati...forse nemmeno se ne accorgevano, in alcuni casi.

Dipendeva tutto dalla velocità di propagazione.

L'ossigeno puro, a determinate condizioni, é una delle cose più infiammabili che esistano.

Una volta che prende e lo si riesce a far incendiare...sviluppa delle fiamme bianchissime.

Delle fiamme al calore e di colore bianco accecante, da decine di migliaia di gradi in scala Celsius, che inceneriscono di colpo e all'istante qualunque cosa avvolgano.

E dipendeva anche dalle dimensioni della vittima.

Chissà...forse, se eri abbastanza grosso, riuscivi ad accorgerti di quei due o tre secondi in cui stavi morendo. Almeno quanto se ne doveva rendere conto una panciuta e pelosa falena fritta dalle barre azzurrognole di una lampada insetticida.

Ogni tanto ci pensava. Immaginava le grida di quei tizi mentre si carbonizzavano dentro alle loro divise. E l'idea lo eccitava.

Valeva anche per le falene. Anche di loro si immaginava i flebili urletti. E a dirla tutta...quella scena, oltre a farlo godere, gli metteva sempre anche un certo qual appetito.

Anche se abbrustoliti a morte, quei tizi potevano risultare comunque utili. Almeno in apparenza.

Le loro tute erano ignifughe, si era detto. Una volta che nel rivestimento interno non era rimasto più nulla da bruciare, si rivolgevano e tornavano verso l'esterno. Dove il tessuto a base di amianto ed asbesto faceva il suo sporco lavoro, soffocando il fuoco e spegnendolo nel giro di pochi, pochissimi istanti.

Quel che vi era dentro veniva ridotto ad una purea nera di zolfanelli. Ma in tal modo il contenitore portatile con tanto di cinghie e di bretelle ascellari, pari a quelle di uno zaino, rimaneva pressoché intatto.

Così quel che ancora conteneva lo si poteva recuperare. E riutilizzare.

Ma le cose non é che andassero proprio così come la si racconta.

Erano passati tanti anni. Il liquido infiammabile aveva perso tutti i suoi ottani, ed era divenuto esausto.

Era ridotto ad una scoria, ormai. Nient'altro che una scoria.

Inutile ed inservibile. Nemmeno buono per scaldarci la zuppa.

A ritmi regolari prendeva la piccola tanica per il manico piazzato sopra alla parte superiore, la inclinava in avanti e ne versava un fiotto sul panno che teneva nell'altra mano, fino ad inzupparlo.

E poi riprendeva a sfregare con cura ed attenzione certosina il pezzo che stava lucidando, fino a renderlo lucente e a farlo splendere come uno specchio su cui si stava riflettendo un qualsivoglia genere di sorgente luminosa.

Non la lampadina, visto che era rotta. E non quella generata dal sole, visto che i raggi che penetravano lì dentro erano si troppo deboli e fiochi. Appena sufficienti da rischiarare quel posto, che aveva deciso di adibire a sua officina privata e personale.

Ci si poteva riflettere, dal tanto che li rendeva lindi. Quasi ad un passo dal farli diventare trasparenti, anche se non erano certo di vetro.

Faceva la stessa cosa che stava facendo a quel pezzo con ogni singolo pezzo che si trovava lì.

Ogni biella. Ogni pistone. Ogni cilindro. Ogni ingranaggio. Ogni rotella. Ogni cuscinetto.

E una volta finito...rimontava tutto. Per poi rismontare di nuovo e ricominciare tutto quanto da capo.

Era già la quarta volta che lo rifaceva, quel giorno.

Avrebbe potuto andare avanti fino all'indomani, come minimo. Fino a dopodomani. Fino alla settimana o anche fino al mese prossimo. Fino all'anno venturo, persino.

Fino all'infinito, addirittura.

Ogni tanto i suoi sottoposti gli lanciavano qualche occhiata strana, intanto che di sfuggita lo osservavano mentre era tutto preso ed assorto in quella sua sorta di strano quanto bizzarro ed inusuale rituale.

Ma nessuno si degnava di dirgli qualcosa. Perché era e restava il loro capo, in fin dei conti. E poi...

E poi chi mai oserebbe, farlo? Chi mai potrebbe osare, con uno come lui?

Chi mai potrebbe osare dire qualcosa, al grande e leggendario Jagger?

Però, alle volte...qualche volta persino lui pensava che quel che stava facendo non fosse altro che una grossa, grossissima, emerita stronzata. Ma nonostante questo...

Nonostante ciò non poteva farne a meno. Non poteva assolutamente fare a meno di continuare.

Di farlo e di rifarlo. E di rifarlo ancora. E ancora, e ancora e ancora. E poi ancora.

Tsk. Che pensassero pure quel che volevano e che meglio gli pareva, quel branco di imbecilli.

La maggior parte degli idioti e dei babbei che dispongono di una moto si limitano a guidarla, e basta.

Sanno solo farla scorrazzare avanti e indietro lungo le strade polverose, deserte ed assolate. Nient'altro che quello. Ma se si presentava un problema o qualche grana...non sapevano assolutamente cosa farci.

Non sapevano proprio che razza di pesci pigliare, ecco la verità. E quindi...non rimaneva loro altro da fare che rivolgersi a qualche meccanico specializzato.

La vecchia mentalità che se non si é capaci di fare qualcosa, basta pagare. E che é suffciente trovare qualcuno che é capace di farlo, o che é quasi sicuramente più capace di noi, e che metterà le sue capacità al nostro servizio in cambio del giusto compenso e della corretta remunerazione per il lavoro svolto.

Più o meno impeccabile che fosse, verrebbe da aggiungere. Perché non sempre si dimostravano in gamba come asserivano. Anzi...

Spesso il risultato ottenuto contraddiva la bontà del loro lavoro.

Aveva ragione.

Suo fratello maggiore Raoul aveva pienamente ragione.

Stava per nascere un mondo nuovo, ed occorreva prepararsi per poterlo affrontare al meglio. E crearsi così delle buone e soddisfacenti opportunità e prospettive.

Bisognava abbandonare, superare certe idee preconcette.

Proprio comel'idea di pagare per ottenere, per l'appunto.

Tutto questo faceva parte di una mentalità ed una logica che ormai iniziavano ad essere vecchie ed obsolete. Proprio come certi concetti sulla successione e sull'assegnazione dei titoli e del patrimonio famigliare, nonché delle eredità ad esso annesse.

Col mondo che stava per arrivare, che aveva già iniziato a fare capolino...ben presto di gente che ne capisse qualcosa di moto, macchine e di motori in generale, di gente che ne capisse PARECCHIO, di quella roba, ne sarebbe rimasta in giro ben poca. Quasi nessuno.

Occorreva imparare ad arrangiarsi da soli.

Riuscire, essere in grado di riparare e di effettuare un'adeguata manutenzione sullla propria moto e sul proprio veicolo sarebbe risultato altrettanto importante dell'essere abili a guidarla e manovrarla.

Tenere il proprio mezzo in ottime condizioni conta tanto quanto saperlo usare.

Se si affida un bolide a un cretino, le sue prestazioni saranno sempre ridotte al minimo. Non c'é niente da fare.

Lui, dal canto suo...della sua moto se ne occupava da solo. Non permetteva a nessuno, proprio a nessuno, di metterci le manacce sopra.

Gliele avrebbe mozzate di netto, a chiunque si fosse anche solo permesso di provarci.

La sua moto. L'unico essere di cui si fidasse appieno.

L'unico essere che non lo avrebbe tradito mai.

Per quante volte la si potesse smontare, per quante volte la si potesse rompere, per quante volte la si potesse distruggere...

Per quante volte la si potesse UCCIDERE...la si poteva sempre ricostruire.

Si fosse potuta fare la stessa cosa con gli umani...

Gli uomini non davano le stesse soddisfazioni. Non gli davano lo stesso genere di soddisfazione.

Una volta uccisi, non li si poteva più rimettere insieme.

Un vero peccato.

Già. Proprio un vero peccato.

Si dice che gli uomini vivano dstruggendo. E ad un mondo come questo...un potere che consentirebbe e permetterebbe di ricostruire tutto daccapo e come nuovo sarebbe davvero la cosa più bella che possa esistere.

Ricostruire qualcosa. Per poi poterlo nuovamente distruggere. E poi ancora, e ancora e ancora. E poi ancora.

Ma sembra proprio che quando una vita se ne vada, niente e nessuno la possa riportare indietro da dove va a finire. Ma forse...

Forse il successore può.

Forse il successore della Divina Arte della Scuola dell' Hokuto Shinken può riuscirci.

Per il successore, che conosce e governa gli tsubo, tutti gli tsubo dell'organismo umano...nulla é impossibile.

Forse può arrrivare addirittura a sconfiggere la morte.

Perché no? Dopotutto, ricevendo il Sacro Pugno dell' Orsa Maggiore, é come se ricevessero i poteri del Dio della morte. I suoi stessi poteri.

E se ciò é vero...allora poteva darsi che avrebbe potuto arrivare ad uccidere la morte stessa.

Essere in grado di dispensare dalle sue mani la vita e la morte a proprio piacimento. Far rivivere per poi uccidere di nuovo. E ancora, e ancora e poi ancora. In una spirale senza fine. E senza più nemmeno l'inizio, a quel punto.

Era proprio quello che avrebbe tanto voluto scoprire. E che avrebbe senz'altro scoperto, una volta diventato il nuovo ed ultimo reggente.

E non vedeva l'ora di farlo. Di scoprirlo.

Intanto...andava avanti a pulire, lucidare e lubrificare.

Gli piaceva farlo. Avrebbe potuto andare avanti per delle ore.

Tenere una moto in perfette condizioni richiedeva una pratica assidua e costante.

Quasi quanto l'allenarsi nelle arti marziali. Se non di più, addirittura.

E ultimamente, forse, dedicava più tempo a quello che all'addestramento. Ma ormai aveva raggiunto una maestria tale nelle tecniche della Divina Scuola di Hokuto da non rendere più necessario quel continuo e tedioso ripetersi di mosse su mosse.

Decine, centinaia, migliaia di volte al giorno. Sino a crollare a terra esausti.

In realtà non esistono segreti, nelle arti marziali.

Non c'é nessuna tecnica segreta, ma solo la normale e quotidiana preparazione portata sino all'estremo.

Anche se quelle mortali come l' Hokuto Shinken, progettate per avere come unico scopo il totale annientamento dell'avversario, ne possedevano.

Tecniche dimenticate e celate.

Segrete, per l'appunto. Dalla forza distruttiva e devastatrice assolutamente unica, al punto che una volta usate nulle rimaneva più come prima.

Tecniche in grado di distruggere cose e persone mediante il tocco di un solo dito su pochi millimetri di superficie vulnerabile ed esposta. O persino senza che vi fosse alcun bisogno di sfiorare il bersaglio designato.

Tecniche che venivano tramandate e rivelate unicamente a chi si rivelava degno.

Al successore. E quindi...

A lui.

Non appena sarebbe diventato il reggente, quelle mosse segrete sarebbero diventate sue. Tutte sue.

Solo e soltanto sue. E di nessun altro.

All'improvviso...udì dei passi.

Gente che sopraggiungeva. Gente in avvicinamento.

Andò avanti a pulire, affettando indifferenza.

Non ci teneva a rendere pubbliche e visibili le proprie emozioni, anche se dentro era a dir poco in tumulto.

Si sentiva ribollire e fremere di gioia e di impazienza.

“Signor Jagger!!”

Ecco la conferma. Ed era arrivata proprio con quella voce. Il fatto che lo stessero chiamando era già di per sé fin troppo eloquente.

Erano lì per lui.

Chiunque stesse arrivando...stava arrivando da lui.

Dovevano essere quegli imbecilli dei suoi uomini. Aveva raccomandato loro di non disturbarlo assolutamente, mentre era assorto nel suo lavoro. A meno che non vi fossero notizie o novità importanti o di rilevanza assolutamente fondamentali e non rinviabili.

Era stato tassativo. E chiunque non rispettava gli ordini pagava pegno.

Con la propria vita.

Questa era la legge. La SUA legge.

“Signor Jagger!!”

Di nuovo. Ormai non vi era più alcun dubbio, e nemmeno aveva più motivo di doverne nutrire.

Il fatto, già il solo fatto che stessero mettendo deliberatamente a repentaglio le proprie miserabili ed inutili vite sfidando uno dei suoi stessi diktat esplosi con concitata veemenza, e a cui aveva fatto seguire i fatti per farlo meglio capire a tutto l'interlocutorio massacrando con le sue stesse mani il coglione di turno che aveva osato disobbedirgli...

Tutto questo non poteva che significare una cosa.

Era fatta, ormai.

Suo padre doveva essersi deciso, finalmente. Ed aveva deciso, quindi.

Aveva preso finalmente la solenne e sacrosanta decisione. Quella che stava aspettando da settimane. Da mesi. Da una vita intera, forse.

Da quando lo aveva adottato ed aveva preso ad allevarlo.

L'unica decisione possibile. E adesso...

Adesso i suoi uomini stavano venendo a comunicargli la lieta novella.

Non stava davvero più nella pelle, e sentiva letteralmente mancargli il terreno sotto ai piedi.

Non poteva proprio più attendere.

No, non ce la stava facendo proprio più a rimanersene lì fermo ad aspettare.

Era quasi sul punto di alzarsi in piedi e andargli incontro lui stesso, quando il portone si spalancò e i suoi uomini fecero irruzione nel locale, con aria trafelata.

“Signor Jagger!!”

“Signor Jagger!! E' successa una cosa terribile!!”

“Purtroppo é accaduto quel che temevamo!!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

No.

Non era possibile. Non poteva essere.

Non poteva essere successo davvero.

Non poteva essere accaduto un simile disastro. Perché quello, era.

Un autentico disastro. Una tragedia. Una catastrofe.

Non poteva essere vero. Come...

Come diavolo aveva fatto? Come aveva potuto?!

Come aveva potuto fare una cosa del genere?!

Come aveva potuto? Proprio suo padre, per giunta!!

Proprio lui, che era suo padre!!

Come aveva potuto fargli una cosa simile? Come aveva potuto fargli un affronto del genere?!

A lui!!

Proprio a lui!! Che era il suo figlio prediletto ed il suo allievo più forte!!

Era mai possibile che non capisse?!

Era davvero possibile che non si rendesse conto di quel che stava facendo? Di quello che aveva appena fatto?!

Forse aveva sopravvalutato suo padre. Aveva confidato troppo nelle sue capacità di giudizio.

Dopotutto...si dice che l'età che avanza ed il tempo che passa facciano dell'uomo, di ogni uomo, un saggio.

Molto nobile, si. Certo. Peccato solo che la realtà sia ben diversa, e che contrasti completamente con quell'immagine così epica ed edificante.

L'uomo in sé...non é poi questo gran che. Fatta debita e dovuta eccezione per l'Imperatore. E per il successore di Hokuto chiamato a difenderlo e a proteggerlo.

La verità é un'altra. E ben altra.

L'età che avanza ed il tempo che passa non fanno dei saggi. Fanno solo dei disgustosi e putridi vecchi. Annebbiano ed offuscano la presenza e la lucidità mentale.

Capita a tutti, presto o tardi.

Tutti si rincoglioniscono, prima o poi.

E suo padre, che ormai stava imboccando il viale del crepuscolo e del tramonto della vita, e che di fatto aveva rinunciato al ruolo di reggente decidendo di abdicare e di consegnarlo al successivo depositario...ormai non era più l'uomo più forte del mondo. O almeno così come lui se lo ricordava, ed era abituato da sempre a vederlo.

Aveva smesso di esserlo. Ormai stava tornando, era tornanto ad essere un uomo normale.

E pertanto...nemmeno lui era un'eccezione. Non la costituiva più, l'eccezione. Aveva smesso di esserlo, ormai. E...

Aveva sbagliato.

AVEVA SBAGLIATO.

Aveva sbagliato anche lui. O forse...

Forse la colpa non era sua. Non era sua la colpa di quanto stava accadendo e di quanto era accaduto, ma di qualcun'altro.

Di quel bastardo.

Quel lurido bastardo infame. Quello stronzetto infernale.

Aveva ragione. Aveva ragione a odiarlo.

Aveva avuto ragione ad odiarlo e disprezzarlo così tanto. Da sempre. Dal momento in cui aveva messo piede nel maniero, e all'accademia.

Non lo aveva mai sopportato. E non gli era mai piaciuto. Dal primo istante in cui lo aveva visto.

Se lo sentiva. Se l'era sentito. E lo aveva sempre saputo.

Lo sapeva che da quell'infido moccioso non sarebbe mai potuto venire fuori nulla di buono. E che avrebbe portato solo una gran sfortuna.

Da quel figlio di puttana sarebbero venute solamente disgrazie, e basta.

Solo quelle, e nient'altro. Ed infatti...

Infatti ne erano venute. E ne stavano venendo. E ne sarebbero venute ancora. E ancora. E poi ancora.

A lui, e a tutta la sua famiglia. Ai suoi due fratelli e a suo padre.

Hai capito, lo stronzetto. Con quella sua aria da innocentino che gli dava così tanto fastidio, e che lo urtava oltre ogni dire.

L'aria da finto innocentino che però la sapeva lunga. Molto, molto lunga. E adesso...

Adesso il ragazzino tanto ingenuo e candido aveva finalmente gettato la maschera, e mostrato il suo vero volto. E le sue reali intenzioni.

Voleva spodestarli, e prendersi tutto quanto per sé.

Voleva esautorare suo padre. I suoi due fratelli maggiori.

LUI.

Chissà cosa gli aveva detto, al suo maestro. Chissà che razza di discorsi gli aveva fatto.

Doveva avergli riempito la testa di un mucchio di stronzate del cazzo, a furia di insulse ed inutili chiacchiere.

Se l'era lisciato, arruffianato ed oliato per benino. E alla fine...ci era riuscito.

Doveva essere riuscito a tirarselo dalla sua parte. Magari approfittando di un suo momento di scarsa lucidità e presenza di sé.

Mentre lui, Raoul e Toki si spaccavano la schiena a suon di allenamenti massacranti, quel piccolo e ignobile pezzettino di merda era solo buono di stargli dietro alle sottane del suo saio a leccargli i piedi e il culo.

Ed ecco il bel risultato.

Avrebbe dovuto ammazzarlo, quella carognetta.

Avrebbe dovuto farlo fuori quando ne aveva avuto l'occasione. E gliene aveva fornite già tante di quelle volte, quel buono a nulla. Perché la differenza tra loro due era fin troppo evidente.

Poteva liquidarlo come e quando avesse voluto. Però...

Però non lo aveva mai fatto. Perché...

Perché ci godeva troppo a pestarlo, umiliarlo, maltrattarlo e torturarlo tutte le volte. Ogni volta.

Ma, sul più bello...

Proprio sul più bello esitava. Finiva sempre, invariabilmente con l'esitare, al momento decisivo.

Aveva esitato. Ed aveva compiuto un errore imperdonabile.

Ai serpenti bisogna schiacciargli ben bene la testa, quando li si cattura. Altrimenti...potrebbero mordere di nuovo.

Avrebbe dovuto ucciderlo già da tempo. Non lo aveva fatto. Ma...

Ma poteva sempre rimediare adesso.

Ed era proprio per questo motivo, che ora si stava dirigendo a passo spedito dove ben sapeva di trovare quell'imbecille e inetto del più piccolo tra i suoi fratelli adottivi. Di cui non voleva nemmeno pronunciare il nome, per evitarsi un travaso di bile.

Al solo pronunciarlo...si sentiva inquinare la bocca. Come se lo avessero immobilizzato e costretto con la forza ad inghiottire una manciata di sterco molle e fumante.

Pesante, da masticare. Ancor più da digerire.

Si dovevano essere tutti quanti rimbambiti.

Si erano tutti rincoglioniti, ecco la verità.

Suo padre Ryuken. Raoul. Toki. Tutti quanti.

Avevano perso il senno.

Suo padre ad insignire quel minuscolo frammento di vomito di verme di un onore così grande, e per giunta in maniera totalmente immeritata.

Un onore e un compito fin troppo grandi, per capacità così infime e scarse.

Un onore che non avrebbe retto. Che non avrebbe potuto mai reggere, e che avrebbe finito per schiacciarlo e farlo morire sotto al suo stesso peso.

Tsk. Che crepasse pure, per quel che gli importava di lui.

Ma la Divina Arte di Hokuto...no, la Scuola di Hokuto non poteva morire.

Non poteva finire così. In simili mani...

In mani tanto disgraziate sarebbe finita in modo ben misero.

Sarebbe stata la fine, per la sua tecnica.

Non doveva, non poteva succedere.

Suo padre doveva essere ammattito. Il male al cuore gli doveva essere arrivato fino al cervello.

O forse, visto che ormai non doveva restare poi molto...aveva finito per contrarre la classica demenza senile.

Nulla di cui meravigliarsi. Capita anche ai grandi.

Ma in quanto agli altri due...Beh, gli altri due non avevano la benché minima attenuante che potesse giustificarli, a tal riguardo.

Si era recato al piccolo tempio da Raoul e da Toki, suoi fratelli maggiori, per convincerli a fare qualcosa. E per portarseli dietro, costringendoli a seguirlo nella sua spedizione punitiva.

Niente. Era stato tutto inutile.

Quei due non avevano mosso un solo dito.

Non avevano fatto altro che rimanersene entrambi a gambe incrociate e a mani in grembo, in posizione meditativa.

Totalmente immobili ed impassibili. Ed permeabili a qualsiasi stimolo o esortazione.

Che si fottessero.

Che andassero a farsi fottere, tutti quanti.

Suo padre. Raoul. Toki. E pure QUELLO LA'.

Che se ne andassero al diavolo. All' Inferno. E a fare in culo, già che c'erano.

Si dovevano essere rincoglioniti. Si erano rincoglioniti tutti quanti, senza alcun dubbio.

Ma lui...beh, lui no.

NO.

Lui ci vedeva ancora chiaro. Ed aveva saputo intuire l'estremo pericolo che si stava profilando all'orizzonte.

La Scuola di Hokuto, di questo passo, non aveva alcun futuro.

Non avrebbe avuto più nessun futuro.

Ma non tutto era perduto.

Spettava a lui, provvedere.

Glielo avrebbe ridato lui, un futuro.

L'incarico del successore é di rimettere le cose in ordine e a posto.

E lui, che tra i candidati selezionati era il più palpabile...

Lui che era il predestinato a diventarlo poiché nessun altro, nessuno più di lui era degno di ereditare la tecnica più potente dell'intero pianeta...la sapeva bene, quel che c'era da fare.

Avrebbe dovuto pensarci lui. Era il suo compito, in quanto futuro reggente.

E ci avrebbe pensato lui.

La Tecnica dell' Hokuto Shinken stava per finire nelle mani sbagliate. E toccava a lui sigillare quelle mani e quei pugni, prima che fosse troppo tardi.

Troppo tardi per tutto.

Avrebbe risolto lui, la situazione.

Che si fottessero tutti.

Lui sapeva cosa doveva fare, a questo punto.

Erano tutti convinti che sarebbe dovuto essere quello là, il nuovo successore?

Nessun problema. Che lo diventasse pure. Non restava soltanto che da vedere quanto sarebbe durato.

E lui avrebbe fatto in modo di farlo durare ben poco Il meno possibile.

Che se andassero tutti a farsi fottere.

Lui sapeva cosa doveva fare. Lo sapeva benissimo.

E, cascasse il dannato mondo...lo avrebbe fatto.

A qualsiasi costo.

Non c'é niente da fare.

Se si dà un bolide, la miglior moto in circolazione ad un emerito cretino...la sue prestazioni saranno sempre ridotte al minimo, visto che non é assolutamente capace di usarla.

Non restava altro da fare che togliere di mezzo il cretino. E rubargli la moto.

Semplice.

Tutto qui?

Tutto qui. Davvero tutto qui.

Nient'altro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Come va? Spero bene.

Mi voglio scusare per il ritardo a dir poco ENORME, questa volta.

Si, é vergognoso. E non ho attenuanti.

E di solito nemmeno ne cerco.

Solitamente ritengo che non vadano mai cercate scuse o giustificazioni, alle proprie mancanze.

Ma diciamo che...ho avuto un periodo alquanto incasinato.

La solita solfa, dirà qualcuno. E forse ha pure ragione.

Tra impegni vari ho fatto anche la prima dose di vaccino (Moderna, per la precisione). E tanto per cambiare due giorni dopo la puntura mi ha letteralmente steso, costringendomi a letto.

Ora va meglio. E speriamo che con la seconda dose non sia uguale.

Oltre a questo, la mia piccola si é quasi fratturata un braccio (quasi, per fortuna). E anche lì...corri a destra e a manca.

E poi la gente si chiede da dove uno tragga ispirazione per quel che scrive. Nel mio caso...da tutto quel che mi accade nella vita reale e autentica, che già basta e avanza!

Sul serio, non ho proprio bisogno di andarmi a cercare avventure.

Proprio vero quel che diceva qualcuno (forse il grande Charlie Chaplin, credo).

E cioé che qualunque cosa ti possa capitare nella vita, bella oppure brutta che sai, non puoi proprio fare a meno di viverla. Nemmeno se non vuoi.

Alla fine, ritengo che scrivere sia un buon modo per esorcizzare certe disavventure miste a sfighe.

Relativizzare, questo conta. Se nessuno si fa male o ha niente di rotto, e ce la si cava con un gran spavento e basta...forse trovare lo spunto per una buona storia può servire a farsi passare la paura di dosso. O qualcos'altro. O tutto il resto.

Può servire, insomma.

Allora?

Che ve ne pare?

Vi confesso che sono sorpreso.

M é una delle scoperte che sta venendo fuori con la seconda e definitiva stesura al pc di questa long.

Un altro capitolo incentrato su Jagger.

Eh, già. Inizialmente doveva essere un personaggio marginale, e a parte la sua scorsa incursione nona vremmo dovuto vederlo particamente più.

Ed invece, in questa versione 2.0...sta iniziando a reclamare spazio. E io glielo sto pure dando, perché ho scoperto che mi sto divertendo un mondo a caratterizzarlo.

E' un tipo folle, sconclusionato, imprevedibile. E proprio per questo interessantissimo.

E andiamo. E' il più sfigato del quartetto, suo padre non se lo é mai filato di pezza.

Eppure...non si arrende. E' convinto (a torto) di essere lui, il numero uno.

E' incredibile come non si renda conto che le sue aspettative non combacino assolutamente con la realtà dei fatti.

Comicissimo. A me fa morire dal ridere.

Non c'é niente da fare. Io con gli psicotici mi trovo a meraviglia. E la cosa mi preoccupa un po', a dirla tutta...

Mi sento come uno psicologo che cura i nevrotici perché il primo nevrotico é lui.

Comunque...sono curioso di sapere che ne pensate.

Scherzi a parte, prima di chiudere vorrei aggiungere una cosa.

Ci tengo molto.

Ormai più di due settimane fa ci lasciava il maestro KENTARO MIURA.

Si. L'autore di BERSERK.

Dissezione aortica, stando al referto medico.

Stroncato da un infarto a 54 anni.

No, dico.

CINQUANTAQUATTRO ANNI. Ci rendiamo conto?

Ma facciamo un passo indietro.

Ripensare al suo manga mi dà una strana sensazione.

Mi fa ritornare con la mente ad un periodo in cui leggevo fumetti a quantità industriale, mi sparavo sessioni ai videogames della durata di interi pomeriggi e mi spaccavo letteralmente in due in palestra a furia di allenamenti, tra Thai – boxe e pesi.

E la sera uscivo. TUTTE LE SERE. E poi la mattina presto al lavoro.

Una macchina. Vivevo al 101% e a trecento miglia orarie.

Già lavoravo. E spendevo praticamente TUTTO, per soddisfare le mie passioni.

Questo prima di metter su famiglia e diventare papà.

Ma ritengo che non avrei mai avuto le ispirazioni giuste per scrivere, se non avessi vissuto quel periodo.

Ricordatevelo, ragazzi. Le passioni...NON SONO MAI INUTILI. E priam o poi ti ripagano sempre in qualche modo, per la dedizione e l'amore che si dedica loro.

Per usare una frase bellissima pescata in rete...ERAVAMO IN UN PICCOLO MONDO FATTO DI MOSTRI, DRAGHI, GUERRIERI CON IN MANO PEZZI DI FERRO TROPPO GRANDI E PESANTI PER ESSERE CHIAMATI SPADE, GUERRIERI METAFISICI, ALIENI BIO – CORAZZATI E MAGHI CHE PER FARE GLI INCANTESIMI CITAVANO PEZZI DI CANZONI DEI CELTIC FROST.

Di sicuro Berserk ha fatto parte della mia vita. Meno rispetto ad altri manga (LE BIZZARRE AVVENTURE DI JOJO su tutti, quello a parer mio rimane un'opera inarrivabile), ma ci metto anche lui.

Ricordo quando lo lessi la prima volta.

Era appena nata la Planet Manga della Panini, e tra le prime pubblicazioni c'erano BATTLE ANGEL ALITA di Yukito Kishiro (che sono stato ben felice di ritovare. E di leggere fino alla fine, questa volta), e poi proprio Berserk.

Ne avevo già sentito parlare, ed ero curioso. Ma nulla avrebbe mai potuto prepararmi a quel che vi ho trovato.

Un mondo fantasy. Ma non quello pieno di elfi, aitanti spadacini, ragazze bellissime e altre creature maestose in stile LODOSS WAR.

Uno quando pensava ai manga di genere fantasy immaginava quello.

Ma in Berserk non c'era niente del genere.

Era un mondo cupo e medievale, con fortissime influenze di artisti come Bruegel e Bosch. Bravissimi nel rappresentare mostri, demoni e inferni.

Un mondo fatto di miseria, sporcizia, storpi, deformi e poveri. Di bambini trucidati e brutalizzati in ogni modo, sin dalla più tenera età. E di soldataglia rozza, brutale e sanguinaria. E di estrema violenza. E ignoranza.

Un mondo di pezzenti oppressi e di nobili arroganti, caratterizzato dall'assoluto spregio, disprezzo e mancanza di qualsivoglia rispetto per la vita umana.

Un mondo davvero orribile. Una fotografia perfetta di quella che ritengo essere una delle pagine più buie ed oscure della nostra storia.

Non ci sarebbe stato neanche bisogno di mettere delle creature mostruose, che già faceva schifo così. Eppure...c'erano anche quelle.

Ed erano veramente una roba orrenda e ripugnante. Presa di peso dalle visioni di altri due grandi artisti dell'orrido che corrispondono ai nomi di H. R. Giger e Clive Barker. Rispettivamente gli ideatori dello xenomorfo di ALIEN e dei supplizianti di HELLRAISER.

Ed in mezzo a tutto questo si muoveva un tizio di nome Gatsu.

Un guerriero con degli evidenti problemi psichici, e di una cattiveria ai limiti del sadico.

Un uomo a cui doveva essere accaduto qualcosa di davvero orribile.

Il fumetto, fino ad un certo punto, é un autentico capolavoro.

Poi nell'ultima parte, almeno a parer mio, si é ammorbidito un po'. Un po' troppo, tradendo lo spirito iniziale.

A tutto questo aggiungiamo alcune scelte piuttosto discutibili, e...si, non é che recentemente mi convincesse molto. Mi sembrava giunto ad un punto morto.

Ma sono convinto che Miura stesse lavorando sodo per riuscire a districare la matassa. Così come credo che dentro di lui sapesse dov'é che la storia stesse andando a parare.

Ma un autore deve aver tempo, per sviluppare un racconto. E anche calma, pace e tranquillità. E invece spesso si ritrova con accordi, contratti, tempi di consegna e date di scadenza che non hanno alcuna considerazione della fatica che un autore compie per cercare di rispettarli.

Leo Ortolani (l'autore di RAT – MAN) diceva che il terrore più grande di un fumettista é di non vivere abbastanza a lungo per riuscire a raccontare ai lettori tutto quel che ha in mente.

Qui, purtroppo, é successo.

Come andrà a finire...non lo sapremo mai. Non lo sapremo più.

Forse qualcuno continuerà la sua opera, ma...non sarà la stessa cosa.

Fa impressione, comunque.

Stroncato da un infarto a 54 anni.

Ora, io ritengo che ognuno di noi abbia una data di scadenza. Una chiamata, un appuntamento a cui non può assolutamente mancare e a cui non può rifiutare, nemmeno volendo.

E se é stato quello il caso...non ci si può fare niente.

Ma poi sono ben conscio della realtà editoriale e lavorativa nel paese del sol levante, e non posso fare a meno di pensarci.

Del resto le note che lasciava a margine negli ultimi periodi, a margine, a rileggerle col senno di poi trasmettono un messaggio a dir poco agghiacciante.

Mostrano una persona che era sul punto di scoppiare da un momento all'altro, che dormiva sì e no quattro ore a notte e che sempre di notte lavorava perché faceva più fresco. E che per non perdere tempo teneva la coperta per dormire sotto al tavolo di lavoro. E che diceva di non vedere la luce del sole da mesi. E che aveva MEZZA GIORNATA DI FERIE ALL' ANNO.

MEZZA. GIORNATA.

E' inaudito.

Consumato dalla macchina produttiva. Dalle creature a cui lui stesso aveva dato vita. E da mostri ben più reali e pericolosi che affollavano il suo mondo.

Inghiottito, masticato e digerito dal sistema. Come una vittima sacrificale davanti ad un apostolo del suo fumetto più celebre.

E stiamo parlando di uno degli autori più rinomati di questi anni!

Ma come si é potuti arrivare a questo?

Un grosso sbaglio, secondo me, é stato di serializzare i manga.

La cosa bella dei manga e dei cartoni giapponesi in generale era che finivano.

Un tempo contava l'autore, non l'opera.

Un Toriyama finiva DR. SLUMP E ARALE e magari cominciava un DRAGONBALL.

Uno Tsukasa Hojo finiva OCCHI DI GATTO e partiva con CITY HUNTER.

E la Takahashi? E' partita con LAMU', poi ha fatto MAISON IKKOKU, poi RANMA ½ e poi ancora INUYASHA.

Non ci si fossilizzava su di un personaggio o su di un'opera, contrariamente a quanto fanno in America coi comics o qui da noi.

Oggi si é invertito il processo. Basti vedere opere come NARUTO (che grazie al cielo é finito) o ONE PIECE.

Per non parlare di autori come gli stessi Hojo e Toriyama (anche se lui ha affidato il lavoro a un assistente), Araki, Kurumada o Hara che hanno deciso (o dovuto, peggio ancora) riprendere in mano i loro personaggi più famosi, per mungere la fanbase.

Senza che ce ne fosse assolutamente bisogno, aggiungo.

Continuare a spillare quattrini proponendo mille versioni trite e ritrite della stessa zuppa, ecco cos'é.

E aggiungiamo che per me é semplicemente folle far durare un manga decenni, considerando i ritmi di lavoro infernali che ci sono da quelle parti.

E' da pazzi.

Di questo passo li uccideranno tutti.

Sarei curioso di sentire anche il vostro parere, se ve la sentite di fornirlo.

Senza obbligo né impegno, naturalmente.

Intanto...non so se questo sia uno dei miei capitoli migliori, o più riusciti. Ma penso che al maestro Miura sarebbe piaciuto. Lo vedo in linea con lo spirito dei suoi primissimi lavori, senza voler essere troppo presuntuosi.

Pertanto...voglio dedicarglielo. Di cuore.

Addio, sensei Kentaro.

Ha dato tanto. Ha dato tutto. Anche di più. Ed ora é giusto che si riposi.

Anche se ne avremmo fatto tutti qaunti volentieri a meno, maledizione.

Ho sentito di un mucchio di gente che ora vuol vendere la sua collezione di Berserk per il semplice fatto che, non avendo più un finale, di fatto per loro equivale a carta straccia.

Dal canto mio...giammai.

Da ora in poi la leggerò con ancor più rispetto e da ttenzione. E la custodirò ancor più gelosamente. Perché la considero un lascito.

Un lascito prezioso. Anche se le questioni tra Gatsu, Grifis e Caska saranno destinate a rimanere così, molto probabilmente.

Irrisolte.

Addio, senpai. E grazie di tutto.

Un giorno ci rivredemo.

Nel frattempo...non la dimenticherò.

E ora un grazie di cuore a Kumo no Juuza, Devilangel476 e vento di luce per le recensioni all'ultimo capitolo.

Grazie ancora a tutti e...alla prossima!

 

See ya!!

 

 

 

 

 

Roberto

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 14

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si trovava a testa all'ingiù, col proprio corpo messo a perpendicolo e perfettamente in asse rispetto alla retta costituita dalla pavimentazione. Al punto da poter tranquillamente formare il lato verticale di un angolo retto di canonici novanta gradi.

Oppure la classica linea mediana che ne divide uno piatto in due parti precise e simmetriche, giusto per utilizzare un altro paragone di stampo geometrico.

Diritto come una candela. Come le tante che si potevano trovare dentro ad uno degli altrettanti alloggiamenti ricavati a loro volta in uno dei numerosi piedistalli che venivano ad esse dedicate, all'interno di una struttura dedicata alla preghiera ed al raccoglimento spirituale. Che si potesse trattare di una chiesa di paese, una santuario o una chiesetta diroccata sperduti nel bel mezzo di una campagna oppure una gigantesca ed antichissima cattedrale di una grande città o metropoli.

Era uguale. Indifferente.

I posti ideati e creati per permettere ai fedeli ed ai pellegrini di mettere ognuno la propria, dopo averla accesa. E dopo aver formulato ed espresso, mentalmente oppure a voce sommessa, un voto alla divinità o al santo a cui volevano richiedere ausilio ed aiuto.

In un certo qual senso la figura del successore della Divina Arte della Scuola di Hokuto – Shinken ricorda molto quelle mitiche rappresentazioni ed immagini, per certi versi o sotto alcuni aspetti.

Ma lui...lui non avrebbe dovuto né potuto rimanere immobile, al contrario di quelle.

Non se ne sarebbe certo rimasto fermo al suo posto come tutte le statue e quei personaggi raffigurati nei dipinti e nei mosaici.

Buone solo per ispirare e confortare. Ed aiutare a meglio sopportare, di tanto in tanto, quando la disperazione superava ed oltrepassava i normali livelli di guardia e le giornate diventavano più lunghe e peggiori del solito passando dal grigiume al nero.

Gli sarebbe toccato correre, e anche tanto.

Lo aspettatava ed attendeva al varco un mucchio di duro lavoro.

Ogni tanto la vedeva.

Gli capitava talvolta di scorgerla, durante le sue sessioni di meditazione. E suo padre Ryuken gli diceva che simboleggiava il suo possibile destino. Il suo futuro ed imminente destino. Ed era indice di una grande fortuna. O sfortuna indicibile a seconda dei casi, del proprio punto di vista e di come la si interpreta o la si vuole e si preferisce interpretare.

Vedeva una figura aggirarsi e vagare sola, per un deserto sconfinato. Vestito solo di stracci ed abiti laceri, polverosi e consunti. E con la schiena gravata da un peso che appariva insostenibile al resto degli individui. Alla maggioranza, per lo meno.

Quelli normali. Quelli che non erano lui, perchè lui...non era normale.

Lo era, all'inizio. Nato da uomo e da donna, anche se gli risultavano entrambi dispersi. Ed ignoti. Ma poi aveva abbandonato progressivamente il suo stato comune. Per diventare non comune.

Un uomo normale che si fa Dio per il bene ed in nome della benevolenza verso gli altri uomini. Tutti gli altri uomini. E i vecchi, le donne e i bambini.

Solo così avrebbe potuto riuscire a reggere quel peso. Il peso costituito dal dolore, dalla sofferenza e dall'afflizione dell'umanità intera.

Perchè quel che la figura provava...era come se lo provasse anche lui, di rimando.

A sorreggerlo solo un nodoso bastone, mezzo ricurvo e pieno di gobbe. Almeno quanto lo era chi lo stava portando. Ed usando.

Il bastone della pietà e della compassione. L'unico genere di aiuto consentito, per quella lunga marcia e per quel viaggio che apparivano a dir poco interminabili.

Eppure era...era bello. Gli sembrava bello.

Era proprio questo il bello, infatti. Il bello di tutto ciò.

Nonostante quel macigno tremendo ed invisibile che gli stava poggiato sulla schiena, ed il volto piagato all'altezza della fronte da una così profonda ruga, talmente scavata da poter essere confusa e scambiata per una ferita...la figura sorrideva.

Non poteva vederla, nascosta com'era dal cappuccio di quel voluminoso e spesso pastrano.
Non poteva vederla, celata com'era da dietro le falde. Eppure...

Eppure quell'uomo sorrideva. Stava sorridendo.

Kenshiro lo sapeva. Ne era certo. Più che certo.

Lo sapeva perché anche lui sorrideva.

Anche lui stava sorridendo. E le sue sensazioni, i suoi pensieri ed i suoi sentimenti erano gli stessi, i medesimi di quell'uomo misterioso.

E nonostante la fatica immane dovuta all'eredità che stava trasportando, e che gli era stata affibbiata...si sentiva le spalle leggere.

Incredibilmente leggere. Leggerissime, come piume in volo lievemente accarezzate, sospinte e tenute sospese dal vento. Da una brezza fresca, frizzante e dolcissima.

In quel modo anche il più arduo e difficile dei compiti si tramutava in un immenso piacere.

Persino l'inferno, il peggiore degli inferni può diventare gradevole, se si sgombera la mente e l'animo dai residui e dalle scorie delle cose terrene e mondane.

Forse era per quello che se ne stava da quasi un'ora in quella stramba quanto ardua posizione.

Stava già facendo pratica e prendendo la giusta e dovuta confidenza con quanto gli sarebbe toccato e spettato. Anche se nessuna disciplina, nessuna pratica o regime ascetico e nessu tipo di mortificazione o supplizio fisico può preparare adeguatamente al destino del successore della Divina Arte della Scuola dell' Hokuto – Shinken.

Si fanno, si ideano e si preparano simulazioni su simulazioni di tutti i tipi, a decine. A centinaia. A migliaia, persino. Per prevenire ed abituarsi a fronteggiare tutte le situazioni che possono accadere e presentarsi in un contesto verosimile. Per prepararsi con l'immaginazione al reale.

Ma nulla é come il reale. Nulla poteva prepararlo ad una simile realtà. Alla realtà in cui presto sarebbe cascato dentro mani e piedi e con tutte e due le scarpe. A quella che da ora in poi sarebbe stata la sua realtà. Il suo mondo.

La sua nuova realtà ed il suo nuovo mondo.

Nuovi e definitivi. Per sempre.

Ma non per questo bisogna smettere di allenarsi,e di fare pratica. Perché anche se essi non sono tutto...non sono mai inutili.

L'imaginazione non può preparare completamente al reale. Però ci si può avvicinare di parecchio.

E tanto più gli si avvicina...tanto più sarà efficace.

Conta la realtà. E lo starle il più possibile affiancati.

Ormai avrebbe potuto tenere quella spossante quanto estenuante postura a volontà e a seconda del suo desiderio e del suo volere. E per tutto il tempo che avrebbe giudicato necessario.

Aveva avuto ragione suo padre Ryuken prima e suo fratello maggiore Toki in seguito quando gli avevano annunciato che presto sarebbe stato in grado di farlo. Ma che soprattutto non avrebbe fatto altro PER TUTTO IL GIORNO.

Per tutto il santo giorno. E a volerla dir tutta...gli avevano raccomandato anche dell'altro.

 

E' più facile se ti rilassi, Kenshiro. E se ti concentri.

 

Aveva fatto tesoro, di quei loro consigli. E li aveva fatti suoi, ed interiorizzati.

Gli avevano detto entrambi la stessa cosa, se pur in tempi e con modi e parole diverse.

Erano entrambi giunti alla stessa conclusione, ed in simultanea.

A conti fatti, suo padre e suo fratello Toki erano molto simili. Quasi identici. Ed era proprio per tale motivo che dopo il suo anziano tutore, Kenshiro aveva eletto il secondo tra i suoi compagni e fratelli di addestramento come la sua figura di riferimento ideale.

Si, era proprio così. A ben pensarci, era sempre stato Toki il suo modello di ispirazione. La persona a cui avrebbe voluto sempre somigliare. Anche se persino lo stesso Toki, in ben più di un'occasione, gli aveva detto di non prenderlo ciecamente ad esempio, e che se voleva e ci teneva a diventare oltre avrebbe dovuto persino superarlo, un giorno. Andare oltre. Persino oltre lui.

Perché suo fratello, per quanto grande che fosse grazie alle sue incommensurabili doti di umanità, umiltà e magnanimità, non poteva essere meglio di quanto era. Ma suo fratello minore, se voleva avere qualche possibilità...avrebbe dovuto diventare e far meglio persino di lui.

E Toki aveva anche aggiunto che poteva farcela, se voleva. Che avrebbe potuto farcela, e che ce l'avrebbe senz'altro fatta.

Poteva darsi. Però ogni parola, ogni discorso, ogni secondo trascorso con lui ed in sua compagnia...Kenshiro si era abbeverato, aveva assimilato senza sosta ognuno di quei momenti ed i quegli attimi preziosi ed unici.

Sapeva, lo sentiva per istinto che gli sarebbero serviti in futuro, al momento giusto e quando il tempo sarebbe stato propizio.

Del suo fratello più anziano Raoul ne ammirava la possenza, la forza, la tenacia e la determinazione, nonché l'esperienza.

Non andava e non aveva certo dimenticato che tra loro era quello che praticava la Divina Arte da più tempo.

Raoul era stato il primo. E per certi versi e sotto certi aspetti, ancora il migliore ed ineguagliato. Ed imbattuto.

Ma sia suo padre che Toki gli avevano intimato di non seguire il suo esempio, anche se era facile farsi e lasciarsi ammaliare da tutto quello sfoggio di prestanza fisica e di abilità.

Ma solo gli stupidi, i tardi e i tonti, le persone in genere poco e meno brillanti finiscono col venire irretiti e conquistati dall'apparenza. Per diventare maestri bisogna andare al di là del futile aspetto esteriore e dell'ostentazione, per giungere fino al cuore e alla vera ed autentica essenza delle cose.

Raoul era fortissimo. Ma a detta degli altri membri della sua famiglia, o per lo meno quelli che lui aveva deciso di tenere in rilievo ed in considerazione, così come di tenerne da conto sia il giudizio che le opinioni...il suo fratello più anziano si stava incamminando su una gran brutta, bruttissima strada.

Aveva scelto un percorso arduo e parecchio periglioso. E pericoloso.

Kenshiro ne ignorava tuttora le ragioni, di tale decisione. Ma se ne dispiaceva, e ne provava profondo rammarico, nel vedere cosa era diventato Raoul.

Suo fratello doveva essersi corrotto. Era finito imbrigliato, invischiato e reso schiavo dal suo stesso potere. Un potere senza limiti che presto o tardi avrebbe finito col corroderlo e consumarlo del tutto, fino a lasciare solo la bianca cenere. E forse nemmeno quella.

Perché solo gli uomini che danno completamente tutto di sé stessi fino all'ultimo, bruciando al fuoco e alle fiamme delle loro passioni ma mantenendo un animo sgombro da rimpianti e da rimorsi, alla fine del loro percorso lasciano dietro di loro una scia luminosa e splendente come quella di un astro, di una stella.

Una stella che può essere vista da qualcuno. Da qualcuno che potrebbe decidere di seguirla, un giorno. E di proseguire per la via che quegli uomini hanno tracciato, partendo dal loro esempio ed imitando le loro azioni, i loro pensieri e le loro parole.

Nella speranza che un giorno possano riuscire a raccogliere il testimone, la bandiera che stanno cercando disperatamente e con tutte quante le loro forze di passare.

Da sempre quei grandi uomini indicano il sentiero. A chi sta sotto ed indietro a loro.

Non resta che seguirli, dunque. Non serve né occorre fare altro.

Questo, tutto questo rappresenta il DO.

La strada.

La VIA.

E' così, che si vive.

E' proprio così che si deve, che si dovrebbe vivere. Ed é così che si dovrebbe governare.

Dovrebbero, dovremmo capirlo molto più spesso. Tutti quanti noi.

Ma chi non riesce a lasciarsi dietro tutto questo, chi non é in grado di lasciarsi alle spalle le proprie debolezze finisce solo con l'esplodere, generando una supernova.

Dà vita ad una luce a dir poco accecante, bianca oltre ogni dire ed oltre ogni limite. Ma...

Ma una volta esaurito quel bagliore a dir poco magnifico...non rimane più nulla.

Solo frammenti.

Frammenti neri, spenti, freddi e vuoti.

Frammenti, corpuscoli che non si vedono. Che non illuminano. Che non riscaldano. Ma che soprattutto non guidano. E non portano né possono portare da nessuna parte.

E questa appena illustrata non é che la migliore, tra le opzioni e le ipotesi possibili.

Nel caso peggiore...rimane il nulla. Il vuoto.

Un vuoto ed un nulla in cui le micro – particelle compresse e rarefatte si addensano e si aggrumano su sé stesse fino a creare una zona di super -gravità in grado attrarre a sé qualsiasi cosa per poi ridurla e tramutarla in polvere.

Un buco nero. Che attira qualunque cosa per poi trascinarla a fondo, compreso sé stesso. Ed i malcapitati che gli giungono a tiro o che hanno la sfortuna di passare e di transitare attorno alla loro orbita.

Qualunque cosa. Persino la luce. La luce del sole e delle stelle.

La tenebra. La tenebra più fitta ed oscura. Dove nemmeno gli astri più fulgidi possono sperare di scamparla o di sopravvivere. O di uscirne, tutti interi e completamente indenni.

Suo fratello stava finendo in quel buco nero. Stava per precipitare dentro a tutta quella tenebra, ed una volta dentro...lì ci si sarebbe perso. E definitivamente.

Gli rincresceva, e sinceramente. Perché aveva e disponeva di un talento a dir poco infinito. Ma il suo animo, il suo cuore e la sua mente avevano finito col diventare troppo impetuosi ed instabili.

Avrebbe voluto tanto parlargli. Anche uno di questi giorni, ed anche se ormai era troppo tardi visto che i giochi erano già fatti.

Avrebbe voluto tanto fragli capire, e convincerlo a cambiare idea e a mutare atteggiamento. Se non per ottenere il titolo di successore, visto che ormai era già stato assegnato...almeno per salvarsi.

Per salvare sé stesso. Almeno in quello non era e non doveva essere già troppo tardi.

Almeno...almeno in quello, non tutto era da considerarsi ancora perduto. Ma...

Ma ormai Raoul dava l'impressione di non ascoltare e di non dar retta più a nessuno.

Seguiva solo la sua, di voce. E tutto ciò che essa gli suggeriva e gli bisbigliava. Sia all'orecchio che direttamente dentro di lui.

Che peccato. Un grande, grandissimo peccato. Nessuno meglio di lui, meritava quel titolo e quell'onorificenza.

Suo fratello praticava da molti più anni di lui. Già si allenava da quando lui era in fasce.

Lo faceva pure mentre lui si trovava ancora a nuotare e galleggiare nel grembo e nel ventre di sua madre, immerso in un liquido viscoso ed in un sonno profondo. Ma già non privo di sogni.

Sin da quando era un feto se ne ricordava. Aveva ben chiara memoria.

Si vedeva come un giovane, o talvolta come un vecchio. Ma sempre dotato di una straordinaria abilità nel combattere, nel colpire e nel calciare.

Da ragazzo con i muscoli che guizzavano e si contraevano colmi e zeppi di impeto e di gioia, fin quasi a gonfiarsi e a sembrare di esplodere. E da ottuagenario in grado di effettuare tecniche ancora, potenti, vigorose, agili e spettacolari anche se dava ed aveva tutta l'aria di essere in imminente punto di morte, da un momento all'altro.

Eppure non era possibile. Non poteva esserlo.

Non sarebbe dovuto accadere. Un feto, un embrione non dovrebbe avere memoria dei primi istanti di vita. Men che meno di quel che sogna, sempre ammesso e non concesso che fosse e che potesse essere per davvero in grado di farlo.

Eppure...Kenshiro se lo ricordava.

Se lo ricordava bene, fin troppo bene. E si ricordava TUTTO.

Ogni cosa.

Perché sono ben poche le cose che un uomo impara ne corso della propria vita, prima di lasciarla e di abbandonarla. E tra queste ve n'é una.Anzi, due.

Nulla é impossibile. E tutto é possibile.

Improbabile, forse. Impossibile, mai.

A conti fatti...tre sono le cose, a volerci ben pensare. O forse anche quattro.

Proprio vero. Nulla é mai come lo si calcola. E come lo ci si aspetta. O si crede di aspettare.

Il destino segue vie e cicli imperscrutabili.

Ma al di là di quelli...il suo fine, anche se non lo si può intuire, é già bello che scritto.

Esiste un unico traguardo, uno solo e soltanto. Indipendentemente dalla strada o dalle strade che si decide e che ci si ritrova a percorrere.

Spesso sono le più lunghe, accidentate, dissestate e tortuose.

E rischiose. Ma l'arrivo...é sempre il medesimo. Identico.

Sempre lo stesso. Per tutti.

Ed intanto che aspettava che il suo destino, il suo fato si rivelasse, stava facendo le prove generali come meglio poteva. E come suo padre e i suoi fratelli gli avevano inseganto.

Proprio come aveva imparato ed assorbito da loro, vedendoli ed assistendo alle loro esibizioni.

Aveva rubato ogni singolo secondo, ogni singolo attimo.

Era l'essenza della Divina Arte dell' Hokuto Shinken. Nel suo atteggiamento si poteva riconoscere il principio fondamentale della sua scuola.

Immagazzina tutto. Ogni cosa. E poi tieni ciò che é utile.

Tutto ciò che ti é utile, o che può esserlo. E scarta tutto il resto.

Tieni il buono. La polpa. E butta la buccia. La scorza.

La Divina Arte di Hokuto, a differenza di tutte le altre tecniche mortali sviluppate nel corso del tempo e della storia umana, é una tecnica in divenire.

Non é né si mantiene né statica né dogmatica. E nemmeno rimane fissa o immobile ed immutabile nelle ere, ma resta sempre al passo.

Tiene il passo. E poi, infine...lo detta lei, il passo.

Di tutti i colpi micidiali che componevano il suo immenso e sterminato bagaglio, non erano poi molti quelli che si potevano vantare di definirsi autoctoni, o auto - prodotti.

Alcuni derivavano dal retaggio del glorioso casato di Hokuto, in particolare dal ramo della dinastia principale.

Altri, invece, costituivano l'eredità delle altre scuole legate alla costellazione dell' Orsa maggiore che erano venute alla luce, affacciate ed avvicendate alla luce e alla ribalta anno dopo anno, decennio dopo decennio.

Perché l' Hokuto Shinken, la Divina Arte, non era stata l'unica scuola di Hokuto a venire ideata dagli esponenti e dai discendenti di quella famiglia, divenuta ormai mitica e leggendaria.

Ma le tecniche di quelle altre scuole di Hokuto avevano finito col confluire nel più recente ritrovato, nella sua ultima e più potente versione e reincarnazione. Quella definitva.

Le tecniche che si erano dimostare più valide e meritevoli, ovviamente. Ed oltre a loro...

Ad esse si erano ben presto aggiunte tutte quelle ricavate dalle altre scuole e discipline marziali. Specie quelle avversarie e rivali. Dopo combatttimenti cruenti, spietati e all'ultimo soffio vitale.

Quanti morti. Quante vite, quanti uomini straodinari andati totalmente distrutti e perduti, insieme a quello che custodivano gelosamente come un tesoro.

Un vero fiume di sangue. Dove, una volta immersi...ci si sarebbe potuti persino affogare.

Occorreva un uomo di stato, di statura e di rango e levatura superiori. Che andasse oltre, ben oltre quanto poteva andare e quanto sarebbe mai potuto andare qualunque altro individuo o essere vivente, per quanto abile fosse.

Tanto di quel sangue...in virtù ed in nome di un bene superiore. Contro al quale nessuna vita é e può essere al di sopra.

Il bene del mondo e dell'umanità intera.

Per un simile obiettivo...si può, si deve essere disposti a sprecare, a perdere un valore, un patrimonio che può essere e risultare immenso, incommensurabile. E a pagare un prezzo che può equivalere a quello della Terra intera, e forse anche di più.

Le tecniche di coloro che sono stati sconfitti, battuti ed uccisi dal maestro e successore della Divina Arte dell' Hokuto Shinken, e che da egli non sono state incorporate nel suo stile...é perché non erano degne di venire salvate. E tramandate.

E' perché lui stesso, che é il più grande e forte combattente al mondo...lui stesso ha deciso che non erano valide. Che non servivano a nulla. E che avrebbero potuto essergli di alcuna utilità.

Donare le proprie conoscenze al maestro della Divina Scuola di Hokuto é un grande onore. Il più grande onore.

Significava contribuire alla salvezza del futuro. Del domani.

Non esiste merito o riconoscenza più eccelsa. Ed il modo migliore, nonché l'unico di rispettare e rendere omaggio a quei morti, a tutti quei morti...é di proseguire lungo la propria strada senza rimorsi, rimpianti o esitazioni.

Lungo la strada che il destino gli ha preparato. Lungo la strada che conduce il prescelto dalle sette stelle dell' Orsa Maggiore verso il proprio scopo ed obiettivo.

Diventare il Dio della morte. Il Dio della morte che si é fatto uomo. E che cammina sulla Terra insieme agli altri uomini.

Solo così la loro scomparsa non sarà stata vana. Altrimenti, in caso contrario...

In caso contrario sarà stato tutto inutile.

Ma nessuna morte, nessuna scomparsa deve essere inutile. Anche se, nonostante si siano impiegate tutte le proprie forze nel tentativo di impedirla o scongiurarla...non la si é potuta impedire.

Nessuno muore inutilmente. E nessuno deve morire per niente.

Nessuno.

In quella posizione che stava tenendo, il peso del suo corpo tenuto all'insù e a rovescio era il peso del mondo. Il peso del mondo intero.

Ne era un valido sostituto e surrogato, in attesa di ricevere quello vero. Ed il bastone...

E a fare le veci del bastone vi erano le dita tese del braccio destro, anch'esso completamente esteso e tenuto rigido come un palo di legno.

L'intera sua figura era sotenuta e poggiava per intero sui polpastrelli delle punte di due sole falangi.

L'indice ed il medio, con il pollice che invece si trovava piegato a racchiudere e a tenere fermi l'anulare ed il mignolo, facendo da rinforzo e da puntello.

La classica posizione della MANO A PUNTA DI SPADA O DI SCIABOLA, tipica del Kung – Fu cinese.

Per quanto poteva essere assurdo pensarlo...era proprio il pollice messo a quel modo che evitava alle due dita coinvolte ed impegnate in quello sforzo a dir poco tremendo di spezzarsi come due stecchini, per via dell'enorme e quasi insostenibile pressione a cui la stazza del suo stesso fisico le stava sottoponendo.

Gli venne da sorridere, al'idea.

Forse all'inizio.

Giusto all'inizio, sarebbe potuto succedere. Quando era ancora alle prime armi, e non ancora addentro ai più reconditi segreti dell'arte.

Perché adesso, al punto in cui era giunto e si trovava, una simile eventualità era da considerarsi più che remota. Per non dire inverosimile, addirittura.

Ora come ora, per uno come lui una cosa del genere era roba da niente. Un autentico gioco da ragazzi.

Le sue falangi, dal punto in cui si attaccavano al resto della mano fino all'ultimo millimetro delle estremità delle unghie, grazie ai lunghi ed intensi allenamenti a cui si era sottoposto e le aveva sottoposte avevano acquisito una durezza ed una consistenza senza pari, a dir poco incredibili.

Con le sue dita sarebbe stato in grado ed avrebbe potuto perforare un cranio o un torso umano come uno scherzo, ed in men che non si dicesse.

Come la punta di una lancia o di uno stiletto. O quella di diamante di un trapano di precisione.

Le avrebbe potute utilizzare per farsi strada attraverso le ossa, i muscoli e i tendini per raggiungere le zone vitali e le parti molli e sensibili ben conosciute dagli esperti di ATEMI WAZA, o dell'agopuntura e dello Shiatsu orientali. E da lì raggiungere, colpire, danneggiare e stimolare gli Tsubo, i punti segreti di pressione caratteristici della sua gloriosa scuola e che ormai ne costituivano il loro tipico marchio di fabbrica. Da ben milleottocento anni.

Gli tsubo. Con cui era possibile manipolare e controllare sia il corpo dell'avversario che i suoi meccanismi fisiologici rappresentati dai principali organi interni, ognuno con il suo funzionamento.

Premendoli ne si poteva alterare, potenziare, diminuire o adirittura bloccare i naturali processi. Si poteva persino arrivare a distruggerli, facendoli addirittura lacerare ed esplodere.

E la cosa a dir poco incredibile era che non ci sarebbe voluto niente, a farlo. Solo un minimo di concentrazione e di giusta presenza mentale.

Con le sue dita poteva ridurre in pezzi la roccia, facendo franare il costone e l'intera fiancata di una montagna. O anche una spessa parete di acciaio, di titanio, di kevlar o di super – lega.

Poteva anche sbriciolare e ridurre in frantumi il brillante o smeraldo più duri.

Con la sua abilità e le sue conoscenze era in grado di addensare e condensare tutta la forza del suo intero corpo in un punto piccolissimo, dopo averla fatta aumentare a disimisura, decuplicandola o elevandola in maniera esponenziale.

Oppure avrebbe potuto fare la stessa cosa con la sua energia combattiva e spirituale, in modo da ottenere un tipo di penetrazione molto più leggero e morbido, ed altrettanto efficace. E micidiale. Ma che però non lasciava segni, buchi, fori, tagli o graffi.

Avrebbe potuto immergerle in cose e persone come si fa con un coltello o un cacciavite, resi opportunamente incandescenti, mentre ci si trova alle prese con un panetto di burro caldo. In modo da non far rimanere tracce. Nessuna traccia che fosse riconducibile a lui, a parte quelle rimaste dopo l'uso delle sue tecniche mortali.

E' il segreto dell'arte suprema dell'assassinio. Tecniche nobili, antichissime e dimenticate per il più basso, infimo ed infame degli impieghi.

Perché l'omicidio non é come uno scontro o una mischia che avvengono su di un aperto campo di battaglia.

E' un lavoro sporco. Dove ci si deve annidare e muovere nell'ombra, e non bisogna assolutamente farsi riconoscere o venire identificati da anima viva.

O da quelle rimaste ancora vive per poterlo fare, per lo meno.

Non si deve lasciare alcun marchio del proprio passaggio, a parte la firma. Come ogni killer e sicario che si rispettino. In questo caso composta dalle salme e dai cadaveri dilaniati e sparsi per ogni dove.

Circolava da sempre una battuta di grana grossa, tra gli allievi del suo stile. Ed ogni tanto suo padre Ryuken non mancava mia di tirarla fuori, dirla e ripeterla. Ancra, ancora ed ancora.

Così, giusto per farsi due risate e stemperare saltuariamente la tensione.

 

“Ricoratevi, figli miei. Ricordatevelo sempre e tenetelo bene a mente. Quando si ha a che fare con un combattente esperto di Hokuto l'unica cosa di cui ci si deve preoccupare, al termine dello scontro...é di dover PULIRE TUTTO QUANTO. E BENE!!”

 

Risatine e qualche sorriso appena accennati, da parte di tutti loro. Ogni volta. Più che altro per farlo contento, visto che era molto vecchio. E anche malato, ultimamente.

Pare che ad aver coniato questo strambo detto fu nientemeno che il fratello maggiore del suo maestro. Colui che, stando almeno alle garanzie e rassicurazioni sue, tempo addietro avrebbe dovuto ereditare il ruolo di successore e di reggente in quanto discendente pienamente legittimo del ramo principale della dinastia. Ma a cui poi aveva deciso di abdicare e di rinunciare per motivi e faccende tutte sue.

Pare che, prima di levare definitivamente le tende, avesse detto a suo fratello più piccolo di avere delle faccende urgenti da sbrigare nel continente per conto di un gruppo di suoi carissimi amici. E che inoltre gli avesse raccomandato, casomai si fossero presentati dei momenti ardui o difficili, di alzare sempre la testa verso il cielo e di guardarlo.

E di non mancare di sorridere.

Mai.

Quello di cui, da quel momento successivo in poi, sul suo suo conto si avevano sempre ricavato notizie alquanto fumose, frammentarie e sfuggenti.

Quello di cui non si é saputo più nulla. Che a un certo punto é sparito e nessuno lo ha visto più.

Quello da cui pare avesse ricevuto il nome che portava sin dalla nascita. Che gli era stato affibbiato sin dai primi, primissimi istanti che era venuto al mondo. E che sempre avrebbe portato, per tutta la propria vita e per tutto il corso ed il resto di essa, fino alla tomba.

E con un certo qual orgoglio, andava aggiunto.

Anche se nessuno lo avrebbe mai potuto scrivere sull'effige della sua polverosa lapide, un giorno.

Tsk. Erano cambiati i tempi. Dovevano essere proprio cambiati i tempi.

Una volta non sarebbe stato permesso né concesso ironizzare su un'arte marziale, nemmeno da parte chi la conosceva a menadito e la praticava con assiduità. Men che meno su quella che a tutti gli effetti doveva essere la più grande e potente arte marziale dell'intero mondo. La migliore.

Una scelta prevedibile, e persino condivisibile. Ed in pieno, anche.

Spesso le arti marziali venivano custodite e tramandate solo attraverso una schiera ed una cerchia ristrettissima di eletti. O addirittura nell'ancor più esclusivo ambito e rango prettamente familiare.

Si svolgeva tutto di nascosto. Nella segretezza più completa, riservata ed assoluta.

Immersi nel buio e nel silenzio. Senza parlare o chiacchierare. E senza spiegazioni. Nel retro di una bottega o o sottoterra, in una cantina.

O tra le fronde di un'oscura foresta. O nei pressi di una spiaggia illuminata e rischiarata dalla sola luce della luna, e col fragore dell'oceano a coprire i suoni. Traendo energia e nutrimento da quel moto che sembrava perpetuo ed incessante, con le maree e le correnti governate dal pallido pianeta che era insieme anche satellite, e presente dall'alba e dagli albori dell'universo stesso.

Come gli immortali del To – De di Okinawa, i cui spiriti nelle notti di plenilunio ancora aleggiano sul confine perfetto tra mare, cielo e terra. Tra sabbia e acqua.

Perché il mare é calmo e placido solo in apparenza.

Sotto la superficie quieta ed immota...é in tumulto.

Un sommovimento in grado di spaventare ed atterrire chiunque si avventura in esso, guidato dalla presunzione e dall'ambizione di volerlo svelare, conoscere e scoprire. Per poi morirci dentro come un insetto. Senza capirci nulla.

Il mare é un mostro dormiente che si sveglia solo al momento di un inatteso ma gradito pasto. E che si richiude su di esso e su sé stesso, dopo aver spalancato le proprie immense fauci. Come se nulla fosse o vi fosse accaduto, sopra e dentro di lui.

Non si spiegava. Non si chiacchierava. Non ci si scambiava nozioni, pareri od opinioni. Si obbediva, si eseguiva e basta. Senza fiatare.

Si imitavano le mosse e i movimenti l'un l'altro, cercando di passarseli di mano in mano e di occhio in occhio. E cercando ogni volta, ogni giorno, ad ogni lezione di imparare qualcosa in più.

Perché erano tecniche potentissime e micidiali, e non andavano prese o trasmesse alla leggera. Ma soprattutto...non dovevano finire nelle mani dei miscredenti o dei forestieri. O degli eretici.

Si doveva far meno rumore possibile. Tacere, perché il nemico era o poteva essere in ascolto, dato che spesso in tempi di guerra ci si ritrovava occupati o sotto il giogo di una potenza straniera.

Da quelle riunioni, da quegli incontri segreti...dal basso, dalle viscere della terra e dal lato oscuro del mondo sarebbe un giorno arrivata la rivincita. La ripresa. La rivalsa. Non si poteva permettere che il nemico se ne appropriasse indebitamente.

Le arti marziali costituivano il tesoro, la gemma inestimabile, il fiore all'occhiello di una stirpe o di una setta.

E questo valeva persino per la Divina Arte di Hokuto. Anzi...a maggior ragione, per lei.

Un tempo sul suo conto circolavano detti ed aforismi ben più temibili.

Del tipo che affrontarla equivaleva a trovarsi davanti a settecentootto frecce scagliate tutte contemporaneamente contro di sé ed il proprio corpo. E tutte intrise di un veleno mortale o micidiale come quello di certe razze di serpenti o di scorpioni.

Settecentootto frecce. Almeno tante quante lo erano gli tsubo conosciuti nell'uomo. Anche se si vociferava che ne esistessero ben di più, addirittura il doppio.

Ma cose come queste si perdono nella notte dei tempi, ad agli uomini di oggi non é dato né concesso saperle, o saperne di più. E poi, secondo il pieno rispetto ed osservanza della logica e della legge opportunistica e relativista della Divina Arte...se una cosa non esisteva più, era perché non serviva. E pertanto, non poteva essere utile.

No?

Settecentootto frecce avvelenate. Se te ne sfuggiva una, era la fine. E riuscire ad evitarle tutte era pressoche impossibile, persino per il più esperto e navigato dei combattenti.

Ecco perché la Divina Arte dell' Hokuto Shinken era considerata e da considerarsi assolutamente invincibile ed imbattibile. Proprio per via e per merito degli tsubo. Erano loro a fare la differenza sostanziale e determinante, una volta giunto il momento cruciale.

Il momento di uccidere.

Poter togliere la vita con il solo tocco delle dita. Col tocco di un solo dito.

Usarli per privare l'avversario delle proprie armi, dopo avergliele rubate ed assimilate. E per sigillare per sempre le sua caratteristiche, capacità ed abilità, rendendolo di fatto inabile al combattimento e al duello. Perché una volta che si sono padroneggiate le sue tecniche peculiari, al mondo non vi é bisogno di due maestri ad occupare il medesimo tempo e lo stesso spazio.

E solo allora, solo a quel punto, dopo aver umiliato difinitivamente ed in modo irreversibile il suo orgoglio e la sua anima...solo a quel punto lo si poteva privare anche dell'esistenza, cancellandola dalla faccia del pianeta. Mediante la distruzione completa del suo corpo.

Disperderla per ogni dove, per ogni angolo dell'universo insieme al suo sangue, alla sua linfa vitale che sprizzava e fuoriusciva in tutte le direzioni.

Come il polline dei fiori. Anch'esso sarebbe finito trasportato dalla brezza e dal vento. E prima o poi, avrebbe potuto senz'altro risorgere e rinascere da qualche altra parte. In qualche altro posto.

Questa era la procedura. La prassi. Ma non era detto che bisognava rispettarla per forza.

Non spettava al successore di Hokuto decidere, in tal senso. Ma al suo avversario.

Se si arrendeva e riconosceva la sua superiorità, avrebbe potuto risparmiarsi tutte le fasi e i passaggi più sanguinosi, trucidi e dolorosi del rito. Fino alla sua altrettanto cruenta, crudele, terribile e tragica conclusione.

Un epilogo spaventoso ma inevitabile visto che non si trattava di una contesa, ma di un sacrificio. Oppure evitabile, a seconda dei casi e della situazione.

Poteva finire in qualunque momento, quel supplizio. Dipendeva dalla forza di volontà, dalla disperazione e dall'ostinazione della vittima prescelta e designata.

O dal suo destino, che era scritto. E su cui non si poteva affatto decidere o avere riserve, al contrario di quanto si crede.

Davvero una tecnica possente e temibile, questa Divina Arte di Hokuto. E questo non va mai omesso. Non bisogna mai trascurarlo o dimenticarlo, quando se ne tratta.

Quando passa il successore...gli uccelli smettono di colpo di cantare e pigolare, gli insetti di volare e poggiarsi sulle corolle variopinte e profumate e sia i fiumi che l'aria di scorrere. Così come i neonati di vagire e di frignare. Al suo transito il mondo intero e tutti gli esseri suoi abitanti trattengono il respiro in attesa della loro sorte. E confidando e sperando nel fatto che non sia l'ultimo.

Quante esagerazioni. Ma tutto ha uno scopo, e persino iperboli come queste concorrono a formare, creare e dare vita a una leggenda.

Una leggenda che fa tremare, e trasalire.

Però...si diceva anche che i grandi maestri del passato erano in grado di ridere, anche.

Si, ma ridere di cosa?

Beh...di qualunque cosa.

Di ogni cosa. E prima di tutto e prima ancora di sé stessi.

Il grande Bodhidarma, il creatore dello stile Shaolin Ch'u Han da cui si sarebbe dipanato ogni stile di Kung – Fu e successivamente ogni arte marziale esistente, era un tizio imprevedibile e stravagante nonostante la saggezza e la lungimiranza pressoché infinite e sconfinate.

Pare che quando ricevesse visite di ogni genere e da parte di qualunque persona, che fosse o si trattasse di un principe, di un Re, di un cortigiano o di un consigliere, dell'abate maggiore o di un monaco di qualche tempio o addirittura dell' Imperatore in persona...egli si facesse trovare sempre con una scarpa o un calzare al piede, dove doveva ed avrebbe dovuto trovarsi.

E l'altro in testa, sulla cima del capo. Dove non doveva e non avrebbe affatto dovuto trovarsi.

E alle domande che gli ponevano gli ospiti e visittatori, visibilmente sgomenti e sconcertati per via del fatto che un grand'uomo come lui, di presenza di spirito così tanto elevata, dovesse farsi trovare conciato a mortificarsi a quel modo così tanto ridicolo, visto che dava tutta l'aria di averlo voluto fare pure di proposito...egli rispondeva che non considerava affatto la sua testa più importante del suo piede.

E sorrideva.

Al'improvviso sentì qualcosa scorrergli lungo la guancia.

Una goccia di sudore solitaria e raminga era partita da appena sotto al punto preciso ed esatto in cui la sua cintura stringeva e sosteneva i pantaloni, avvolgendoglisi attorno ed entrando attraverso gli appositi passanti. E proprio da lì aveva iniziato a scendere lungo la sua schiena nuda, dapprima seguendo il morbido avallamento centrale ove risiedevano la colonna ed il midollo spinale, per poi svoltare bruscamente in base alle linee tracciate dalle fibre muscolari contratte sino allo spasimo eppure ugualmente così armoniose.

Perfette.

Ed infine gli era giunta lì. A far visita al lato destro del suo viso.

Non l'aveva sorpreso, comunque.

Se n'era già accorto, ed aveva seguito con la mente, con la pelle e con le sensazioni tutto il suo peregrinare, accompagnandola lungo il suo intero tragitto fin quasi al suo termine.

Centimetro dopo centimetro. Millimetro dopo millimetro. Fino a quella che doveva essere la sua naturale conclusione.

Il pavimento.

Che strana quanto singolare allegoria. C'era sicuramente di che rifletterci e di stare a fantsticarci adeguatamente sopra. E così fece.

Chissà se anche una singola, miserrima gocciolina come quella, che fosse di sudore oppure di pioggia o di che altro, era soggetta alla sorte come tutto il resto degli esseri viventi.

Messa sul lato prettamente e puramente scientifico, ed analizzata secondo quell'unico punto di vista...essa non appariva altro che una sottospecie di ione negativo allo stato liquido.

Null'altro che quello.

Inanimata. Completamente priva di vita.

Ma se si voleva considerare quell'aspetto...allora anche le particelle, e gli atomi col loro nucleo di protoni e neutroni circondati da elettroni che gli roteavano attorno e li circumnavigavano senza alcuna sosta erano da ritenersi inanimati. Eppure...

Eppure erano loro, proprio loro a generare, formare e comporre la vita.

Costituivano la vita. Particamente erano LORO, la vita.

Danno origine ad ogni struttura e ad ogni essere vivente, con le loro interazioni a base di forze magnetiche interconnesse. Quindi...

Quindi era possibile, era davvero possibile che fossero anche loro resi soggetti e schiavi alle immutabili leggi del fato?

Esiste un motivo, una ragione per cui una goccia di sudore o di pioggia prenda una direzione anziché un'altra? Perché scenda, o decida di scendere a destra anziché a sinistra?

Davvero hanno anche loro, nel proprio piccolo, una capacità di analisi, di ragionamento, di discernimento e di libero arbitrio? O non fanno altro che obbedire a una volontà comune e di rango superiore che tutto controlla, domina e governa?

La volontà dell'universo stesso. Che permea ogni cosa con una pellicola trasparente, sottile ed invisibile. Ai più, almeno.

A malapena percettibile, ma tutt'altro che incorporea.

Si può riuscire ad interpretare, a prevedere il loro moto ed il loro movimento? E leggere le loro intenzioni?

Si possono stabilire con un qualche calcolo di stampo analitico o matematico? Oppure mediante opportune operazioni e formule di chimica o di fisica?

E' una cosa che avviene in maniera del tutto casuale? Oppure l'ha già preposta il destino?

Si svolge davvero tutto in maniera caotica, oppure é già scritto? Dietro al disordine non vi é nulla, oppure in mezzo a tutti quegli sconvolgimenti continui vi é davvero un ordine insito nella natura stessa delle cose, fin dalla loro nascita ed apparizione su questo mondo?

Mentre era perso in queste elucubrazioni la goccia di sudore, intanto, aveva appena attraversato per intero il bordo della mandibola per concentrarsi ed addensarsi in prossimità della punta del mento.

La sentì ingrossarsi ed acquistare volume, per effetto della forza di gravità e del conseguente peso che la stavano inesorabilmente trascinando verso il basso.

Non si era ancora formata del tutto. Ma nel momento stesso in cui avrebbe riacquisito e riottenuto la sua forma originaria e completa non avrebbe avuto più alcun bisogno o necessità di rimanersene attaccata alla sua epidermide.

Si sarebbe sganciata, proprio come avrebbe fatto un cucciolo di pipistrello o un pulcino di volatile alle prese rispettivamente col riparo offerto dal sottotetto adiacente ad una grondaia o facente parte di qualche soffitta. Ormai cresciuti, pasciuti, adulti e pronti a spiccare il volo negli spazi aerei.

Stava per finire il tempo di rimanersene a testa all'ingiù o belli comodi, al caldo, nel proprio giaciglio.

O forse ancora no.

Concentrò tutta la sua attenzione su quella minuscola, microscopica goccia.

Riversò interamente la sua coscienza in essa. Per un istante Kenshiro immaginò di diventare, di essere quella goccia.

Anzi, no. ERA quella goccia, adesso.

Era come se l'intero creato avesse collassato al suo interno. Per poi, nell'attimo immediatamente successivo, espandersi di nuovo per riabbracciare ogni cosa fino ai confini estremi del conosciuto e dello sconosciuto, e anche oltre. Fin dove l'occhio, il cervello ed il cuore umano possono arrivare, ed anche al di là.

Era stato l'equivalente di levare di colpo ed i botto tutti gli spazi tra una particella e l'altra. Che fatte le dovute quanto debite proporzioni possono essere a dir poco enormi, per chi ne mastica e se ne intende nel campo dell'infitesimamente insignificante.

Se si prende a ragionare nei termini di quello specifico campo...una volta che viene annullata e tolta la distanza messa a separare i corpuscoli, una megalopoli quale era Tokyo prima del conflitto nucleare avrebbe potuto starsene tutta sulla cima della capocchia di uno spillone.

E lui aveva appena fatto la medesima cosa.

Aveva ridotto tutto il cosmo in un singolo punto. E poi da lì lo aveva fatto deflagrare all'infuori, come un ordigno ad alto potenziale caricato ad idrogeno.

Come Nagasaki. Che era stato ancora più potente e devastante di Hiroshima, anche se spesso si tende a dimenticarlo.

Sentì la goccia inigigantirsi ancora. Poi, giusto un istante prima che potesse precipitare dall sua epidermide e dare inizio al suo tuffo suicida, ne arrestò la caduta. E da lì la fece risalire, facendole percorrere a ritroso il porprio percorso che aveva appena effettuato. Questo almeno nella parte finale, visto che quando arrivo al bivio tra la gola, l'orecchio e la mascella decise di farla procedere dalla parte opposta e totalmente differente.

La fece avanzare lungo l'attaccatura del padiglione sinistro per poi spingerla su, sempre più su, fino a farla finire nella propria chioma che la riassorbì, facendola scomparire.

Aveva fatto tutto col solo pensiero.

Chissà se si trattava davvero di telecinesi, come dicevano alcuni.

Pare che alcuni membri della Scuola di Hokuto, in passato, fossero dotati di tale capacità insieme alle altre di tipo innato come la resistenza alla fatica o ai veleni. E stando alle leggende che si narravano sul conto della sua tecnica, pare che i praticanti e i discepoli di una disciplina tra quelle addirittura antecendenti alla Divina Arte per creazione ed ideazione la padroneggiassero con una tale abilità da averla inclusa nel loro bagaglio di mosse. Al punto che arrivarono a costruire una cospiqua e considerevole parte del loro stile su di essa.

Non sapeva se fosse vero, o se si trattasse unicamente di fantasie ed invenzioni.

Quelle scuole erano paragonabili a prototipi. Erano versioni talmente antiche e vetuste di cui era ormai rimasta minima traccia in quella odierna e che veniva praticata oggigiorno. Si era arrivati persino a dubitare, della loro reale esistenza.

Ma anche nei miti vi é un fondo di verità. E in ogni caso...tutte le arti marziali cambiano, col passare del tempo e delle ere.

Il Karate ed il Kung Fu che venivano insegnati poco prima che scoppiasse il conflitto nucleare non erano gli stessi delle origini. Non erano più quelli delle origini.

E nemmeno la Scuola di Hokuto poteva sotrassi a questo destino. E nemmeno voleva farlo.

Alcuni indefessi tradizionalisti sostengono che inevitabilmente qualcosa va perduto per sempre. Altri ben più aperti, illuminati e meno dogmatici ritengono che non si tratti affatto di una perdita, ma di una semplice evoluzione. Come quella che regola la vita stessa sul pianeta e gli esseri che la compongono, in un certo senso.

Tutto cambia, tutto muta. Niente rimane uguale a sé stesso. E detto in altri termini...

Ciò che cambia, significa che é vivo. Ciò che resta sempre identico...muore.

Il successore, ad ogni passaggio di testimone e di generazione, ci deve aggiungere qualcosa pur mantenendo il tutto intatto. Ed inalterato.

Il più possibile, almeno.

Cambiare affinché nulla cambi.

Ciò che é vivo...si impone. E' una legge di natura, e vale per tutti e chiunque.

Se una cosa non viene tramandata e non rimane...vuol dire che era inutile. Semplicemente non serviva, tutto qui.

Ciò era indubbiamente vero. Ma poteva essere vera anche un'altra cosa.

Si diceva che il successore di Hokuto, presto o tardi, avrebbe unificato tutte le tecniche di arti marziali esistenti al mondo sotto ad una sola egida.

Le tecniche di ieri, di oggi e di domani. Per il domani.

Ma se le cose stavano così...ciò stava a significare che avrebbe messo le mani anche su quelle tecniche perdute e ormai dimenticate, prima o poi. Perché gli spettavano di diritto.

E a maggior ragione, visto che era l'ultimo ed attuale discendente del ramo principale della dinastia.

Ma dove avrebbe mai potuto trovarle, visto che ormai non esistevano più? Visto che non c'erano più da nessuna parte?

Ci avrebbe pensato il destino, un giorno. Forse.

Bisognava confidare nel destino.

Un uomo, in fondo, impara ben poche cose nel corso della propria vita. E tra queste vi é senza alcun dubbio che TUTTO E' POSSIBILE.

Quel che sapeva era che spesso gli capitava, durante gli esercizi quotidiani, di riuscire a muovere gli elementi come la terra e l'acqua.

Nient'altro che piccoli frammenti di roccia e ristrette quantita d'acqua, se si trovava nei pressi di qualche fiumiciattolo e rigagnolo. Oppure a raccogliere, far muovere e turbinare l'aria attorno a sé quando decideva di scatenare il proprio spirito combattivo.

Ma il tutto in maniera totalmente involontaria ed inconsapevole, senza alcun controllo. Almeno fino ad ora.

Il fatto che dimostrasse questi poteri significava che qualcosa delle vecchie arti doveva essere rimasto, in lui. O meglio, doveva essere ancora presente.

Forse ce le aveva nel sangue, esattamente come le micidiali tecniche dell' Orsa maggiore. Almeno stando a quanto gli aveva sempre narrato e confidato il suo anziano padre e maestro.

E se erano destinate a risvegliarsi allo stesso modo, grazie e mediante alla pratica assidua e alla crescita della maturità e dell'esperienza...avrebbero potuto fare anch'esse la loro comparsa, più avanti.

Di sicuro quel che aveva appena fatto con la goccia di sudore stava a dimostrarlo chiaramente.

Fino a qualche settimana addietro non ne era assolutamente in grado.

Indipendentemente dal fatto che potessero esistere o meno, si stavano affinando sempre più. Alla pari della sua potenza, della sua velocità e della sua maestria.

E meno male. Perché per poter controllare il corpo degli altri e dei propri avversari, e manipolarlo a propria volontà e a piacimento...occorre prima di tutto saper fare altrettanto con il proprio, di corpo.

Avere il massimo ed ottimale controllo su di esso, e sulle proprie funzioni.

Dal primo all'ultimo respiro. Su ogni fiato e battito. Che sia del cuore o delle ciglia.

Su ogni vibrazione, movimento e sussulto muscolare. E si, anche su ogni goccia.

Di qualunque genere essa sia. Fosse di sudore da fatica o di lacrima di pianto. Che possa essere di dolore o di gioia.

Sono tutti soggetti alle trame e alle decisioni del destino. Nessuno escluso. Nemmeno il maestro di Hokuto. Eppure...egli é contemporaneamente al di là, del destino stesso.

Egli é il destino stesso. E' esso stesso il destino, sotto un certo aspetto.

Da una parte nemmeno il successore di Hokuto può sfuggire al destino. Al proprio destino. Ma dall'altra...

Da un altro punto di vista che poi sotto sotto é sempre il medesimo, egli agisce per conto del destino.

Non può scappare,ma nemmeno ci tiene a farlo.

Lo accetta, semplicemente. E lo affronta. Come dovrebbe fare qualunque altro uomo sulla faccia di questa terra. In quanto anche lui é un uomo. Anche lui fa parte della stessa razza e condivide la stessa stirpe dei mortali.

L'uomo di Hokuto é un uomo come un altro. Ma a differenza di tutti gli altri é consapevole del suo destino. Non può conoscerlo appieno, ma si lascia guidare e alle sue correnti si affida dolcemente.

Percorre senza esitazione né ripensamenti la strada che gli hanno preparato, che gli é stata fatta trovare pronta. Anche se non sa dove può condurre, e vorrebbe tanto sapere la direzione da percorrere.

Il destino guida e muove il suo cuore, la sua mente, il suo spirito e la sua mano. Egli sente, parla, pensa, agisce e colpisce in suo nome.

E' il destino che lo manovra, lo consiglia, lo ispira e lo conforta.

E' il destino che gli suggerisce, mentre procede lungo rotte, tratte e binari oscuri, bui e sconosciuti.

L'uomo di Hokuto non decide il destino. Ma lo realizza.

Egli percepisce la sottile pellicola che permea tutti gli elementi del creato, del cosmo e dell'universo.

Non può intervenirci direttamente, su di essa. Non se il destino non lo consente o non lo permette. O non lo stabilisce e determina.

Ma se invece il destino acconsente e concede...l'uomo di Hokuto lo fa.

Se ottiene il permesso e viene autorizzato da chi ben sa...l'uomo di Hokuto provvede.

Provvede a tagliare, a recidere, a distruggere. A troncare quel cordone, quel legame che unisce il bersaglio, il condannato al resto dell'insieme in cui sono raggruppati tutti gli altri potenziali condannati.

Egli corre e va sulla terra veloce ed impetuoso come il vento, per rispondere all'appello di chi lo invoca. E non é mai sordo, nei confronti di chi lo chiama. Che si tratti di forte oppure di debole, di carnefice o di vittima.

L'incombenza, il ruolo, il destino del successore di Hokuto é di compiere il destino di tutte le altre persone. Di compiere la volontà del destino.

Si dice che tutti noi veniamo dalle stelle, e che dopo morti torneremo da loro e con loro ci fonderemo di nuovo come era all'inizio dell'inizio dei tempi. E forse ancora prima.

Ed infatti sono proprio gli astri, le stelle a decidere e regolare il nostro fato. E quello del successore della Divina Arte é regolato dalla costellazione del Grande Carro.

Dell' Orsa Maggiore.

Delle stelle che un tempo, nelle epoche antiche, si diceva che governassero la MORTE.

Ripensò alle parole del vecchio maestro, udite qualche ora addietro. E pronunciate proprio nell'istante successivo a quello in cui lo aveva investito dell'incarico.

 

Sia ben chiaro, Kenshiro. La Divina Arte di Hokuto dispone di una potenza distruttiva assolutamente unica ed ineguagliabile, senza pari al mondo. Ed é proprio per tale motivo che fa parte e rimane da sempre nel lato oscuro della storia. Ed é sempre per lo stesso motivo che nel corso delle ere e per ogni generazione viene tramandata ad un unico e solo erede e discendente. Se finisse o terminasse in mani o persone sbagliate, si correrebbe il serio rischio di portare il genere umano verso la scomparsa e l'estinzione definitiva. Non dimenticarlo mai.”

Ti avevo detto nel corso del nostro ultimo incontro che la prossima volta che ti avrei eventualmente convocato ad udienza, sarebbe stato per insignirti del titolo di nuovo reggente. Credo quindi che sia inutile spiegarti il motivo per cui ti ho fatto chiamare, giunti a questo punto. Avrai capito senz'altro da solo, perché ti trovi qui.”

P – padre! Volete...volete dire forse c – che...che...”

Esatto, Kenshiro. Proprio così. La voce del cielo mi ha parlato. E si é espressa anche con estrema chiarezza, a riguardo. Io, Ryuken, rinuncio all'incarico e lo passo a te. Da questo momento in poi sei tu, sarai tu IL NUOVO REGGENTE DELLA DIVINA ARTE DELLA SCUOLA DI HOKUTO SHINKEN. A pieno titolo e con pieni poteri.”

M – ma...”

Che cosa c'é, Kenshiro? Non sei convinto, forse? Vorresti...vorresti forse rinunciare?”

N – no, padre. Se questa...se questa é la vostra precisa volontà, n – non...non la voglio certo contraddire. Se avete deciso così, e se é questo ciò che volete, io non mi opporrò. E non posso che accettarlo di buon grado. E cercare di dimostrarmi all'altezza delle vostre aspettative. Io...io mi fido di voi. Ho fiducia in voi, e nelle vostre scelte. Solo che...”

Che cosa ti turba, figlio mio? Sei libero di confidarti con me. Credi di non esserne in grado?”

Non...non dico questo, padre. Solo che...solo che mi chiedo se sia giusto. I miei due fratelli maggiori...Raoul e Toki, almeno al momento, sono molto più forti, esperti ed abili di me. Siete...siete sicuro di aver preso la decisione giusta, padre? Siete davvero sicuro che sia la scelta migliore?”

Obiettivo come sempre, eh? Ma dovresti avere più fiducia in te stesso. Almeno quanta io ne ho e ne nutro in te. Comunque é vero. In questo momento la tua abilità non é nemmeno paragonabile a quelle dimostrate dai tuoi due fratelli. Ma anche se sia Raoul che Toki sono migliori di te...ti assicuro che tu possiedi qualcosa che loro non hanno. E che potrebbe renderti a loro persino SUPERIORE, un giorno.”

...Cosa?!”

Proprio così, Kenshiro. Credo che tu abbia qualcosa di speciale, che sotto un certo aspetto, ti renda migliore di loro. E che col tempo ti renderà addirittura superiore a loro, come ho appena finito di dirti. E voglio scoprire se é vero. Si tratta di una scommessa, per certi versi. Anche se può apparire estremamente azzardata. Anche se qualcuno potrebbe dire che é folle. Ma come ti ho detto non molto tempo fa...la ragione non é tutto, nella scelta del successore. Bisogna seguire l'istinto. Bisogna essere saggi ed avveduti. Ma anche folli e spregiudicati. La Scuola di Hokuto non si basa solo sull'intelletto, ma anche sulle sensazioni. Come quando si effettua un attacco o si tira un pugno per colpire l'avversario. Se ci si sofferma a pensare all'esecuzione della tecnica si é morti, in certi frangenti. Il tempo sprecato ad elaborarla ci fa consumare un attimo di troppo, che potrebbe risultare fatale. All'inizio é normale ragionarci ed elucubrarci sopra, specie quando uno si impratichisce. Ma una volta che apprendiamo a fondo le tecniche, dopo averle fatte e ripetute tante, tante ed infinite volte...esse dovranno sgorgare e fuoriuscire direttamente dall'inconscio. Apparentemente, la scelta che ho fatto...scegliendo te posso dare l'impressione di aver fatto un investimento a perdere. Ma che, tuttavia...sono intimamente convinto che porterà a dei buoni, buonissimi frutti. Proprio come fa il contadino, l'agricoltore quando pianta le sementi nel suolo senza sapere se esse germoglierannp e cresceranno. Può solo sperare che esse diano vita ad un raccolto rigoglioso, un giorno.”

Vedi, figlio mio...ho avuto modo di parlarne anche con i diretti interessati. Ho voluto chiedere ai tuoi fratelli cosa pensano di te.”

C – come?!”

Si, Kenshiro. E loro stessi mi hanno esternato gli stessi dubbi che attanagliano me. Per loro due rimani un mistero, sotto molti aspetti. E nel caso di Raoul...sappi che addirittura ti disprezza. Ma non mi stupisce affatto. E' il suo modo di fare. Purtroppo é diventato il suo modo di agire e di pensare, purtroppo. Non gli interessa più comprendere, ormai. Perché tutto quello che non capisce, lo distrugge. Proprio come fanno le orde di barbari che un tempo infestavano il continente e l'arcipelago. Non ha, non sente il bisogno di capire perché condanna e basta. E chi condanna non vuole conoscere. Non vuole conoscere altri punti di vista che non siano il loro, o che siano diversi da quel che pensano. Ha la sua visione, ed é totalmente preso ed assorbito da essa. E distruggerà tutto quello che non rientra nella visione che ha di sé e del mondo, del suo mondo. O che non appartiene al suo ordine di idee.”

E...e Toki?”

Tuo fratello Toki la pensa come me. Lo incuriosisci, e sotto sotto ammira le tue inclinazioni. Vorrebbe cercare di capirne di più, ma...ma al momento non ci riesce. Fa molta fatica ad inquadrarti. Ci sono molti lati del tuo carattere e della tua personalità che lo spiazzano, che lo lasciano basito. E non gli do torto. Io stesso stento a riconoscere e ad interpretare la tua vera natura. Ed inoltre non approvo il tuo operato. E nemmeno lo accetto. Non posso farlo, semplicemente.”

C – come...come dite?!”

Esatto, Kenshiro.Tu sei giovane. Il più giovane tra i miei figli. Sei ancora inesperto, impulsivo, sognatore. E sei anche un illuso. Un povero idealista senza speranza, perché le tue vellleità potrebbero rivelarsi effimere, alla lunga. Una pura utopia. Tuttavia...”

...Tuttavia?”

Tuttavia ciò é molto buono. E' una buona cosa. O almeno...credo che lo sia. Io credo che sia tale, o almeno é cosi che la voglio vedere. Ho deciso che voglio vederla così, indipendentemente da tutto. Perché, in fondo...é una questione di FEDE, figlio mio. Devi sapere che le sette stelle dell'Orsa Maggiore governano la morte. E colui che agisce sotto il loro segno ed influsso, sotto la loro egida...il successore della Divina Arte dell' Hokuto – Shinken riceve gli stessi, medesimi poteri del Dio della morte. E pare che debba essere umano, nella sua natura più intima. Con tutti i suoi difetti, le sue tare ed i suoi limiti. Ed é giusto che sia così.”

Poco fa ti ho detto che non ti capisco. Ma io non posso capirti, non ne sono in grado. Sono diverso da te. Inferiore.”

I – inferiore? Padre, non dovreste dire una parola simile. Come...come potete dire una cosa simile? Proprio voi!!”

E' così, invece. Ed é naturale che sia così. Perché il successore della Divina Arte di Hokuto é il prescelto dal cielo, figlio mio. Sono il cielo e gli astri a muoverlo e a governarlo, e solo ad essi lui deve ed é obbligato a rispondere delle sue azioni. Non certo ai comuni mortali. Agirai per conto della morte, ne diventerai l'esecutore ed il braccio armato. E tramite essa...proteggerai e salvaguarderai la vita.”

Ti é stato concesso un grande, enorme potere. Prego che tu sappia farne buon uso. Anzi, sono...sono senz'altro certo che ne farai buon uso. Vedi...Raoul vorrebbe usare la sua arte per salvare solo chi é degno. Solo chi ritiene che sia adatto ad entrare nelle porte del suo regno, del regno che vorrebbe creare. Toki, per contro...vuole aiutare la gente, ma crede che non sia necessario interferire troppo. Fa parte della sua natura purtroppo, e non ci si può far nulla. Probabilmente pensa che non sia giusto modificare il destino di un essere vivente, poiché ciò potrebbe andare contro l'universo stesso e la sua armonia.”

C – che...che intendete dire, padre? I – io...io non credo di capire.”

Toki deve pensare che la morte faccia parte della vita, e del ciclo vitale di ogni individuo che compone il creato. Così come il creato stesso, che tutti gli raggruppa e che tutti li unisce. Non ha la forza né la voglia di poter cambiare o modificare gli eventi, anche se in teoria potrebbe. Ma ti assicuro che non lo farebbe nemmeno se potesse, giunti a questo punto. Per lui...se uno deve vivere, allora vivrà. E se invece é deciso, é scritto che egli oggi deve morire, allora morirà. Perché la sua morte serve all'intero cosmo per realizzarsi e definirsi, esattamente e al medesimo modo in cui il continuare a vivere di un altro serve per lo stesso scopo. Tutto é relativo, e tutto é connesso. Il battito delle ali variopinte generato da una così minuscola e soltanto all'apparenza insignificante farfalla in una precisa parte del mondo potrebbe generare uno spaventoso terremoto o un cataclisma dalla parte totalmente opposta. Così colorate sono le sue ali...e anche così inutili. Ma solo a una prima impressione, come ti ho detto. O all'occhio di una persona poco attenta. Ogni morte é utile all'universo esattamente come lo é ogni vita. E decidere di catturarla così come di lasciarla andare comporta delle conseguenze. Salvare un bambino potrebbe significare salvare la vita di un uomo adulto in un altro luogo, ed in un altro tempo. Ma anche ucciderlo potrebbe contribuire a farlo. Ed é così, proprio così che la pensa il secondo tra i tuoi fratelli maggiori. Salverà più gente che può, ma non ne salverà mai più di quelli che può e che gli potrà riuscire di salvare. Non uno solo di più, perché non lo vede come il suo compito. Esattamente come un uccello a cui i predatori devastano il nido e divorano le uova con dentro i suoi piccoli. Non farà altro che spostarsi, e ricostruire il suo nido altrove, per poi mettersi a deporre e a covare di nuovo altre e nuove uova ricominciando il ciclo da capo. Non gli interessa eliminare il predatore, affinché non possa mai più rifarlo, e nemmeno ammazzare e mangiare più nessuno. Se dovesse salvare una comunità o un gruppo di persone grazie alla sua arte, e poi quelle persone dovessero finire malauguratamente uccise...Toki non farà altro che andarsene in cerca di altre persone da aiutare. Lo ritiene una perdita di tempo, cercare e punire i colpevoli. E in un certo senso...non posso fare altro che dargli ragione piena. Si, sotto ad un certo qual aspetto esso é uno sforzo dispendioso quanto inutile. Ma...non per questo non bisogna almeno provare, o tentarci. Non per questo non ho detto che non vada fatto.”

Padre, io...io continuo a non capire, mi dispiace. Vi confesso che continuo a non capire.”

Ciò é sicuro, Kenshiro. Più che sicuro. E' molto probabile che tu per ora non capisca molte delle cose che ti sto dicendo. Ma stà tranquillo. Non devi avere paura. Quando arriverà il momento giusto...capirai tutto quel che c'é da capire. Le risposte ti arriveranno da sole, e tutto quel che ora ti appare così oscuro ed incomprensibile ti diverrà chiaro. Così, naturalmente. Abbi fede.”

V – va bene, padre mio. Farò come...farò come dite.”

Vedi...tuo fratello Raoul vuole, ma non può. Anche tuo fratello Toki vorrebbe, ma sa di non potere. E almeno in questo si dimostra senz'altro più ragionevole ed illuminato del più anziano tra voi. L'uomo, tutti gli uomini...vogliono ma non possono. Dio non può e non vuole. Io potevo...io avrei potuto, ma non ho mai voluto. Non mi ha mai interessato. Non mi ha mai interessato né coinvolto più di tanto. Ma tu...tu puoi e vuoi, figliolo. Tu, Kenshiro...grazie alla Divina Arte dell' Hokuto – Shinken potrai, e vorrai. E lo farai, anche. Anche se non ci riuscirai, ti avverto.”

C – cosa?”

E' così, purtroppo. Ben presto ti renderai conto di non poterci riuscire. Perché tu non vuoi costruire un nuovo nido o generare dei nuovi pulcini, ma dare la caccia al predatore che ha fatto strage della tua famiglia. E non avrai pace fino a che non lo troverai, e fino a che non lo avrai sterminato con le tue stesse mani. Affinché altri non debbano più soffrire e non debbano mai più subire quello che é capitato a te. Allora, solo allora...soltanto quando avrai fatto piazza pulita di tutti i predatori e di tutte le belve feroci potrai pensare a costuirti una famiglia, e a generare una vita. Solo dopo che avrai ucciso lui, e tutti quelli come lui. Ma quel rapace, quella belva assassina può essere volata e andata chissà dove. E come gli assassini, nemmeno si ricorda più di quel che ha fatto, e del misfatto che ha commesso. Perché per un assassino le sue vittime sono tutte uguali, esattamente come gli assassini si somigliano un po' tutti. Ma tu te ne ricorderai bene, e non smetterai mai di inseguirlo. Anche se ci dovesse volere una vita, per trovarlo ed acciuffarlo. Anche se potrebbe non bastare una vita intera, per riuscire a stanarlo.”

E' proprio questo il punto, figlio mio. Raoul vuol salvare solo chi é degno di venire salvato, almeno secondo lui. Solo chi risulterà degno e meritevole della sua fiducia e del suo rispetto. Toki, invece, alla pari del Buddha ritiene di non dover interferire. O quanto meno di non dover interferire troppo. Ed in ogni caso, il meno che sia possibile. Perché semplicemente ritiene che il destino, ogni destino, il destino di ognuno di tutti noi sia già scritto. E come ogni cosa che é già scritta, esso debba naturalmente compiersi. Per il solo fatto che é inevitabile che esso si compia. Perché é inevitabile che debba accadere. E' così che la pensa lui. E perciò crede anche che non valga la pena di fare qualcosa, in proposito.Che non si debba far nulla per tentare di cambiarlo, modificarlo, mutarlo o anche solo provare ad evitarlo. La vita, ogni vita é unica ed insostituibile, per tuo fratello. Ma lo é anche la morte, ogni morte. Le tratta, le rispetta e le considera entrambe allo stesso modo, e non fa distinzioni di sorta. Poiché ambedue concorrono, rientrano e fanno parte del lungo processo di maturazione, perfezione, espansione e crescita della realtà e dell'universo. Ma tu...tu, come ti dicevo prima, sei diverso.”

D – diverso?”

Sì, Kenshiro. Diverso. Non trovo altro modo, per definirti. Tu, inconsciamente, devi averlo già deciso da tempo. Anche se ancora non te ne rendi, non te ne puoi rendere conto.E nemmeno te ne capaciti, se é per questo. Dentro di te hai già stabilito che non penserai e non ti occuperai di generare una vita, una nuova vita, sino a che non avrai fatto completa piazza pulita di chi, quella vita...di chi la distrugge, la vita. Di chi le vuole distruggere, le vite. Di tutti quelli che vogliono distruggerle, o rovinarle. Di chiunque voglia farlo o abbia anche solo l'intenzione di attentarvi, ad esse ed alla loro prezosa integrità.”

Tu, figlio mio...tu non sei come i tuoi due fratelli maggiori. Tu...tu vuoi salvare tutti. Anche chi ti odia, e ti vuole o ti vorrebbe fare del male. Ma ben presto...ben presto ti accorgerai e ti renderai conto che non potrai farlo, nonostante tutti i poteri di cui disporrai e che ti verranno infusi dalla Divina Arte. Poteri che si sveleranno col passare e col trascorrere del tempo, e man mano che perfezionerai ed affinerai le tue abilità. Ucciderai. Ucciderai tanti, molti uomini. Ma non dovrai provare pena per loro, anche se ora come ora sei riluttante ad infliggere anche la più piccola ferita o taglio. Se dovrai ucciderli, é perché sarà arrivato il loro momento. Lo sarà perché attraverso te te si esprimerà e si manifesterà la volontà celeste. Li ucciderai perché sono malvagi, ed uccidendoli salverai le loro anime. Le manderai all'inferno, dove esse verranno mondate e purificate prima di ascendere al paradiso. E uccidendoli, permetterai ad altri di continuare e di proseguire a vivere. E così facendo creerai la speranza, in loro.Una speranza che essi potranno sviluppare e coltivare. Ma te lo ripeto di nuovo...non potrai riuscirci sempre. Anzi...saranno più le volte che fallirai, che quelle in cui riuscirai. Poiché il male é tanto, troppo grande. Il male, tutto il male che c'é là fuori é troppo enorme e gigantesco da cambiare. E di questo te ne rammaricherai, e te ne dispiacerai. E soffrirai. Ma tu non cedere, e non demordere. Non farlo mai. Ti dovrai sporcare e lordare le mani sangue, perché sta per giungere un tempo nuovo. Un tempo in cui Dio non potrà più starsene a guardare i poveri mortali dall'alto. E non dovrà aver paura di finire in mezzo alla terra e al fango, a mordere e mangiare la polvere. L' Hokuto – Shinken ti condurrà al mare di sangue, ad un vero e proprio oceano scarlatto. La Divina Arte é il mezzo per arrivarci, laggiù. Esso ti sommergerà. Ne verrai travolto fin sopra la testa, e quasi rischierai di soffocare e di annegare. Ma tu non cedere. E ricordati di non cercare di annaspare inutilmente verso la superficie. Verso una superficie che non potrai mai raggiungere. Che giunto a quel punto non potrai mai più raggiungere, nonostante tutti i tuoi sforzi. Punta piuttosto verso il basso. Più giù, sempre più giù. Ancora più giù. E forse, tra le pietre sul fondale, troverai qualche bolla d'aria o di ossigeno che ti permetterà di continuare a respirare, e ad andare avanti. La verità, Kenshiro...é che Dio, anche Dio é imperfetto. Se é vero che ha creato l'uomo a sua precisa immagine e somiglianza...allora vale anche il discorso contrario. Dio non é affatto così onnipotente come noi lo crediamo. Perché lui non ci ha mai detto di esserlo. Non ce lo ha detto affatto. Siamo noi ad averlo creduto tale. Ed é il motivo per cui ci ha creati. Ha usato l'unico, il solo potere che era certo di avere e di possedere per fare qualcosa di concreto e di determinante. Per la prima volta, nel corso della sua esistenza e delle ere. Dio ha creato l'uomo per dare all'universo stesso la possibilità di osservarsi, Kenshiro. Ha creato esseri simili a lui. E come lui dotati di raziocinio, emozioni, pensieri e sentimenti. E di coscienza. L'uomo é l'unico essere al mondo che SA di essere vivo e di esistere. Proprio come colui che lo ha creato. Dio lo ha fatto con la speranza che questi esseri un giorno potessero aiutarlo a migliorare ciò a cui aveva dato vita, corpo e anima. Ha messo una parte di sé in ciò che ha realizzato, affinché potesse gestirlo e controllarlo ancora meglio. Ma quando si é reso conto che ciò non bastava, che neanche quello era sufficiente...ha deciso di inviare un Dio in mezzo a tutti gli altri uomini. Ha stabilito che uno dovesse ergersi al di sopra di tutti gli altri. Ed é per quello che ha affidato la sua sacra spada al capostipite della nostra gloriosa dinastia, nella notte dei tempi. Come Excalibur col sommo Brenin Arthur Gernow Pendragon, Sovrano di Camelot, capitale del glorioso Regno di Britannia. Supremo sovrano e monarca assoluto dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Come Durendal col prode Hruolandus il Carolingio, paladino dei Franchi. E onorato é più valoroso membro tra la cerchia di vassalli detta dei Dodici Pari. O Tizona col grande condottiero Rodrigo Diaz de Vivar, detto anche El Cid Campeador. E' per questo che venne ideata la Divina Arte della Scuola di Hokuto – Shinken. Ha scelto un uomo, che in principio era comune tra i tanti e senza nessun talento particolare e specifico e lo ha investito di una grande, grandissima responsabilità. Ha deciso che avrebbe potuto, che avrebbe dovuto essere lui il Dio della morte, da lì in poi. Ma neanche questo Dio, esattamente come il Dio che lo ha originato, é perfetto. Non potrai salvare tutti, per quanti tu ne possa uccidere. E quelli che non salverai...diventeranno un peso in più che renderà ancora più arduo e difficoltoso il tuo cammino. Ed un pezzo in più della tua corazza. Diverranno un'ulteriore parte, una componente in più dell'armatura che ti si costruirà attorno. E che ti fortificherà e proteggerà, dato che solo il successore più riuscire a sostenere una tale mole senza venire schiacciato. Tempi bui ed oscuri stanno per arrivare e sopraggiungere. Ed é il tempo che la Divina Arte di Hokuto si riveli, e si manifesti. E' rimasta rintanata e nascosta nel ventre di un tempio o di una caverna per troppo tempo, per troppo a lungo. E' sempre stata la sua natura, dato che fa parte del lato oscuro delle cose. Ma é ora che esca allo scoperto, e che si mostri al mondo. Al mondo intero. E' ora che scenda nella mischia la tecnica del campo di battaglia, e dell'epoca delle guerre. E tu...tu sei la persona giusta, Kenshiro. Nessuno, lo é più di te. Nessuno, lo merita di più, te lo posso garantire. Ti posso garantire senza ombra di dubbio alcuno che é così, figlio mio. E' senz'altro così.”

Bene. Ho finito, figlio mio. Ora ho davvero terminato. Con queste mie ultime parole ho definitivamente concluso il mio discorso. Non ho più nulla da insegnarti. Ed io e te non abbiamo più niente da dirci. Anzi...qualcosa mi dice che questa potrebbe essere la nostra ultima conversazione.”

M – ma padre! Volete dire...m – mi state f – forse d – dicendo che...c – che v – voi...voi...”

Ahimé...temo proprio che sia così, ormai. Per quanto...per quanto mi sforzi, e per quanto io possa tenere duro, scopro ogni giorno di più che il mio vecchio e malandato cuore non ce la fa. E' così, Kenshiro. Il mio cuore é davvero troppo stanco. E la mia chiamata verso il regno dei cieli eterni potrebbe avvenire da un momento all'altro. Ed é per questo, proprio per questo, che ci tenevo ad avere un ultimo dialogo con te. A fare un'ultima chiacchierata. Oltre che per insignirti del titotolo di reggente, s'intende.”

Padre, i – io...io non ho parole. Non trovo davvero le parole, per esternarvi il mio cordoglio. E'...é terribile. C – come...come farò io...come potrò mai farcela a...”

Smettila, Kenshiro.”

C – come dite?!”

Sì. Hai sentito. Ti ho detto di piantarla, figliolo. Smettila subito.”

M – ma...”

Kenshiro, tu...tu sei un grosso stupido!!”

C – cosa?!”

Si. Non sei altro che un grosso stupido, se fai così. Non piagnucolare. Perché é per te stesso che ti stai rammaricando, non per me. Anche se tu credi che sia così. Devi sapere che anni fa stavo per avere una moglie. E forse addirittura un figlio, prima di sposarla. Ma...la lasciai. Lasciai ed abbandonai la mia stessa famiglia. Lasciai tutto, ogni cosa, per seguire il mio destino lungo il sentiero di Hokuto. E quando ne diventai il reggente, il cielo non mi concesse di averne altri. E fu per questo motivo che ho adottato ed allevato voi quattro. Ti ho trasmesso tutto, di me. Tutto quel che sapevo. Mi sono spremuto come un limone, fino all'osso. E tu sei il mio risultato. Sei la mia sola ed unica speranza.”

Ora và, figlio mio. Il cielo ha parlato, ed ha espresso chiaramente la sua precisa volontà. Ed io...io mi sono limitato unicamente a riferirtela, per mia bocca. Non ho rimpianti, sappilo. Non ho più alcun rimpianto.”

...”

Prego che tu faccia buon uso di quel che hai imparato. Di tuto ciò che ti ho insegnato e che tu hai imparato da me. E di tutto quel che potrai imparare per tuo conto, nel corso del tuo cammino.”

Padre...”

E' ora che tu parta per la tua strada, Kenshiro. Ti auguro buona fortuna, ed un lieto viaggio del destino. Affrontalo, e goditelo. E che esso ti sia propizio!!”

 

D'un tratto, qualcosa lo distolse dai suoi pensieri.

Che erano perarltro da poco terminati, per una fortunosa quanto bizzarra coincidenza, dato che da qualche istante non gliene erano più rimasti.

Giusto da poco prima non aveva più nulla da rimembrare, e su cui rimuginare.

Anche questo lo trovava assai curioso, però.

Ce l'aveva sempre avuta, questa strana sensazione. Sin da quando aveva cominciato a praticare la Divina Arte.

Ma ora che ne era diventato il successore, quell'impressione si era fatta e gli era diventata ancora più incisiva. Ed evidente.

E cioé che nulla capitasse e gli capitasse per caso.

Non più, almeno.

Ogni cosa, persino la più piccola ed insignificante...aveva di colpo preso ad avere un perchè.

Il suo perché.

Aveva percepito un nuovo tocco sul viso, tra la tempia e la guancia. Nella stessa porzione di prima.

Ma questa volta non era una goccia di sudore, nonostante ne condividesse almeno in parte la forma e la struttura sferica.

Ma questa era troppo perfetta. Era chiaramente opera di mani e di intelletto umano, non certo della natura o di un fisico vivente. Ed inoltre era stata una volontà, un'intenzione ed un progetto a svilupparla, non di certo un processo chimico spontaneo.

L'aveva creata una macchina, uno strumento. Degli attrezzi.

Non la natura.

E poi era fredda. E solida.

Acciaio, non acqua. Acciaio levigato, fuso e temprato.

Era una canna.

La canna di una pistola. Oppure...

Oppure di un FUCILE.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Pensavate che fossi sparito, eh? Che avessi rinunciato, magari?

Ma Redferne non é morto. E' solamente molto impegnato!!

Come tutti, in fondo.

No, dai. Sto ovviamente scherzando, ragazzi.

E mi voglio scusare dell'enorme ritardo nel pubblicare questo nuovo capitolo.

Avrei tanto voluto postarlo prima di partire per le tanto agognate e sospirate vacanze, in modo da poterle augurare anche a tutti voi.

Che si parta o meno. Che in fin dei conti non é quello, a contare davvero.

Conta rallentare un poco e godersi la pace, la tranquillità ed il relax insieme ai propri cari e agli amici.

Che come dico sempre...di tempo assieme se ne trascorre tanto, ma sul viverlo veramente lo si fa davvero poco.

MOLTO poco.

Ci avrei davvero tenuto, lo confesso. Ma...non mi é stato possibile.

Prima della partenza vari impegni si sono accumulati e ho finito per non farcela, purtroppo.

Pazienza. Inutile piangere sul latte ormai versato.

E adesso rieccomi qui, pronto a ricominciare un'altra stagione alla grande. E al meglio delle mie capacità. Che non sono poi molte, a parer mio...

Forse vi sembrerò esagerato, ma...é il segreto per continuare a lavorare bene.

Basso profilo. Sempre.

In questo capitolo ho recuperato quelle atmosfere austere e sacrali delle primissime puntate, dopo quello truzzissimo basato su Jagger.

Che tra l'altro, come si può notare dalle ultime righe, da bravo imbecille é giunto giusto giusto in tempo per rovinare tutto.

Ma non sa cosa l'aspetta, poveraccio...

Prima di concludere, due piccole informazioni di servizio.

Prima di tutto vorrei anticiparvi il fatto che presto questa storia dovrà necessariamente virare sull'arancione.

Una scelta sempre rischiosa, dato che alzarlo potrebbe significare perdere qualche lettore.

Ma diciamo che ci saranno alcune scene che lo renderanno obbligatorio.

E di questo devo ringraziare (o ritenere responsabile) il mio stimato collega Kuumo no Juuza, che con la sua HOKUTO NO LADIES (che vi consiglio caldamente) ha saputo fornirmi qualche piccolo spunto al momento giusto.

Ho imparato che nello scrivere NULLA ACCADE MAI PER CASO.

Probabilmente era ciò di cui avevo bisogno per aggiungere quel tocco in più ad insaporire meglio il tutto e rendere la storia più gustosa, se mi consentite l'esempio culinario.

E poi...un'altra brutta notizia, dopo la dipartita del maestro Kentaro Miura. E che ho appreso qualche settimana fa.

A quanto pare se n'é andato Masami Suda, il realizzatore e character design della serie animata di Ken.

Se Bronson e Hara sono i padri fondatori del fumetto, lui lo si poteva considerare il padre fondatore del cartone che tutti abbiamo così tanto amato.

Inutile negare che mi é spiaciuto molto.

Perché alla fine noi vecchi appassionati é col cartone animato, che siamo cresciuti. Sin dalle primissime volte che é stato messo in onda.

Il manga sarebbe arrivato solo anni dopo. Ad opera della Granata Press prima, e della Star Comics poi.

Chissà se il buon signor Suda si é mai reso conto del terremoto che ha scatenato in un piccolo paese a forma di stivale dall'altra parte del globo.

Perché dopo l'arrivo di Ken, come da sempre ribadisco...nulla é stato mai più come prima.

Ken ha di sicuro avuto un gran successo pure in madrepatria. E di sicuro é pure diventato un classico, visto che se ne festeggiano le varie cadenze e anniversari. E decennali. E ventennali.

Ma qui da noi...si é tramutato in un autentico fenomeno culturale, che ha sconvolto tutti.

Per me é stata una scuola di vita. Mi ha insegnato valori come l'amicizia, la lealtà, il senso del dovere e del sacrificio. Perché sotto a tutta quella violenza...avevo intuito che vi era qualcosa di più.

Sotto al sangue e alle uccisioni...c'erano dei sentimenti. Ed erano quelli, l'anima, il vero cuore pulsante di quel cartone.

I motivi riconducibili a questo fenomeno sono tanti, e non dipendono per forza tutti dalla sua qualità intrinseca.

Bisogna contare che in Giappone escono manga e anime a getto continuo, e i generi di riferimento cambiano in continuazione.

Dai robottoni si é passati agli spokon e poi agli shonen, e poi ancora alle maghette e poi...oggi come oggi esistono decine e decine di validi esponenti per ogni settore.

Da noi, di tutto questo, é arrivata una ben misera parte. Ed oltretutto venivano trasmessi e ritrasmessi a ciclo continuo, repliche su repliche.

Ogni puntata di Ken me la sarò vista almeno trecento volte. Al punto che mi ricordo scne, frasi e dialoghi a memoria!

Grazie di tutto, maestro.

Ormai i nostri miti stanno sparendo uno dietro l'altro.

Il tempo é davvero spietato. Un gran bastardo.

Teneteveli stretti i ricordi, ragazzi.

Chiudiamo coi consueti ringraziamenti di rito.

Un grazie di cuore a Devilangel476, Kuumo no Juuza (andrò avanti a leggere anche la tua, promesso!) e vento di luce per le recensioni all'ultimo capitolo.

E come sempre, un grazie anche a chiunque leggerà la mia storia e se la sentirà di lasciare un suo parere.

E prima di salutarci...lascitemi dire che E' UN VERO PIACERE RITROVARVI QUI.

Spero ve la siate passati bene. Tutti voi.

Alla prossima, e...

 

 

 

 

 

See ya!!

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 15

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il tocco che percepiva sull'epidermide non accennava affatto a diminuire.

Anzi, col passare dei secondi la pressione si fece sempre più insistente ed incisiva. Quasi come se colui o la cosa che la stava esercitando gli stesse chiaramente dimostrando, tramite quei ripetuti colpetti senza mai staccare l'oggetto che la generava dalla porzione di pelle con cui si trovava a contatto, di volere qualcosa da lui. Anche se non sapeva ancora cosa.

Quel che era più che certo era che l'unico risultato che aveva ottenuto con quella sua azione, almeno fino a quel momento, era stata solo di far concentrare ancora di più la sua attenzione sull'oggetto impiegato per infastidirlo. Permettendogli quindi di metterlo maggiormente a fuoco e di cogliere qualche ulteriore dettaglio in più.

Che si trattasse certamente di un fucile era fuor da ogni dubbio e possibile discussione.

Il foro era troppo grosso per trattarsi di quello appartenente ad una pistola. Ma...

Ma non era solo. Non era uno solo.

Non era un solo foro.

Adesso se n'era reso conto, finalmente. Soltanto adesso.

Il lieve e leggero schiacciamento all'altezza dello zigomo si era notevolmente accentuato, in maggior misura di quanto non fosse prima. E adesso era finalmente in grado di percepirne con estrema chiarezza sia i bordi che i contorni.

I buchi erano due. Gemelli, identici e disposti in parallelo. Con due listarelle a sezione rettangolare, piazzate sia sopra che sotto, a tenerli uniti come il resto della coppia di canne di cui facevano parte.

Non era un fucile normale o comune, ma un giustapposto. A condotti congiunti.

Detto volgarmente DOPPIETTA.

Quel genere di arma caricata a cartucce o a pallettoni che in genere, fino a non qualche decennio se non addirittura al secolo prima, veniva utilizzata prevalentemente per la caccia o in analoga attivita di stampo prettamente venatorio. Ma che con il successivo, ripetuto e reiterato utilizzo si era scoperta più che buona a sforacchiare e ad ammazzare pure esseri umani e cristiani.

E anche non, visto che quando si trattava di uccidere la propria fede di appartenenza diventava un discorso totalmente indipendente dall'atto che si stava per compiere.

Indifferente. Secondario. Perché nonostante in chi, in cosa o in tutto quello che si può credere o decidere di credere...l'umanità intera é perduta.

Lo é praticamente da sempre. Si brucia tutti nello stesso inferno, e si é destinati tutti allo stesso inferno.

La morte. La morte é l'unica liberazione da questo inferno. Solo per finirne in un altro, di inferno.

Ed é per questo che esiste la Divina Arte di Hokuto.

Perché la Sacra Tecnica dell' Orsa Maggiore é l'unica cosa al mondo in grado di donare una morte differente.

Una morte che libera. Che libera per davvero, però. E che salva.

E il successore, nonché unico depositario...é l'unico in grado di dispensare quel genere di morte così liberatrice e salvifica.

E non a seconda della sua volontà, ma della volontà del destino, degli Dei e del cielo. Gli unici che possono autorizzarlo a fare ciò che fa, ed in virtù di questo permesso lo proteggono ed al contempo impediscono che possa accadergli qualcosa, qualunque cosa di male.

Perché il successore é l'unico, é il solo che può annullare una vita per portare a farne rinascere un'altra.

Una nuova. Pulita. Immacolata. Pura. Libera dal male.

Liberaci dal male, dunque. Tu che puoi. Tu solo che puoi farlo per davvero.

Il discorso della doppietta poteva essere applicato allo stesso modo anche fino a non molto tempo prima. Per lo meno fino a prima che scoppiasse il conflitto nucleare che aveva spazzato via dal pianeta, e in un sol colpo, più della metà del creato. Razza umana compresa.

Ma adesso, che le armi erano diventate così rare e difficili trovare e rimediare, uno strumento di offesa come quello tornava di sicuro di grande utilità, e faceva di sicuro un gran comodo.

Seghettando e tagliando opportunamente le due canne lo si rendeva facile da trasportare e da equipaggiare. Inoltre tale operazione non ne inficiava e nemmeno ne comprometteva la gittata, visto che anche a dimensioni normali non é che avesse e fosse dotato di chissà quale ampio raggio e portata di colpi. Ed in più, con l'apposito selettore, si poteva modificare persino la capacità di sparo.

Uno alla volta, la destra o la sinistra a seconda della scelta e di dove veniva inclinata l'apposita levetta di selezione. Oppure tutte e due, se si decideva di tenerla nel mezzo.

Un'arma che a distanza corta e ravvicinita era in grado di colpire nel mucchio e più persone in contemporanea, causando e dando vita a vere, proprie ed autentiche stragi.

Sempre ammesso e non concesso che si riuscisse a rimediarne una, beninteso. Che non era poi tanto facile, in quei tempi.

Perché anche se la si recuperava, restava il problema delle apposite munizioni. E di dove dover andare a sbattere la testa nel tentativo di ramazzarne qualcuna da infilarci dentro. Col risultato che spesso molti improvvisavano, fabbricandosi da soli le munizioni o riempiendola alla bell'e meglio con cocci di vetro, sassi, e pezzi di ferro o di metallo raccattattati in giro o chissà dove. Proprio come si faceva una volta con i cannoni, le colubrine o le bombarde costruite e realizzate artigianalmente o in modo rudimentale.

Assai ben poco pratica, come soluzione e rimedio. E persino piuttosto pericolosa, visto che il più delle volte si finiva col farsi esplodere tutto quanto in faccia e sul muso.

Meglio, molto meglio ricorrere dunque alle classiche armi da lancio o da mischia.

Spade, coltelli, pugnali, mazze, bastoni, alabarde, picche, catene, asce e scuri. E archi, balestre e frecce. Si correvano di sicuro meno rischi, dato che li almeno sul muso non scoppiava nulla.

E comunque, almeno da quelle parti esisteva un'unica persona che possedeva quel tipo così particolare e peculiare di fucile. Anzi...l'unico uomo ad esserne dotato.

E a Kenshiro bastò e fu sufficiente spostare lievemente la pupilla all'indietro, oltre i due fori della doppia canna che lo stava tenendo in scacco e sotto tiro, per riuscire a scorgere colui che la stava manovrando, e che lo stava minacciando. E per avere conferma dei suoi peggiori sospetti e timori.

Lo aveva volutamente escluso dai suoi ragionamenti, almeno per ora. Così come lo aveva tenuto fuori dal suo discorso relativo ai suoi fratelli acquisiti, nonché compagni di allenamento e di addestramento.

Non voleva parlare di lui. E non solo perché gli faceva persino pena, facendogli scaturire dal profondo del proprio cuore sentimenti di pietà mista a commiserazione e compatimento. Ma anche per il fatto che, nella sua mente, ogni volta che si ritrovava costretto a figurare ed immaginare quel tizio finiva col generargli al contempo l'effetto speculare ed opposto. E cioé ribrezzo misto al più risentito disgusto.

Non avrebbe mai voluto arrivare a pensare così male di una persona. Ma se doveva, se avesse mai dovuto trovare un modo per definire e valutare quell'uomo, quell'essere, ed avvicinarsi il più possibile a quel che pensava veramente sul suo conto...

Per poterlo giudicare in modo adeguato avrebbe come minimo dovuto scordare e dimenticarsi dell'educazione e delle buone maniere con cui era stato allevato e con cui era cresciuto. E che gli erano state impartite ed inculcate, sin da piccolo e dalla più tenera età.

E non era proprio il caso. Non gli andava di farlo, ecco tutto.

Non ora. Anche se...

Anche se non poteva continuare a tergiversare, purtroppo. E nemmeno seguitare a far finta di nulla.

Prima o poi avrebbe dovuto affrontare la questione. E di petto, per giunta.

A maggior ragione che adesso era appena diventato l'ultimo successore, ed insieme il nuovo reggente e depositario della Divina Arte.

E forse...quel momento tanto a lungo e così tanto rimandato era già arrivato. E prima di quanto avesse potuto pensare.

Era lui. Ce lo aveva davanti.

Jagger.

Era proprio lui, in persona. Che lo stava scrutando dall'alto verso il basso, con quella sua solita aria strafottente e sprezzante. Identica in tutto e per tutto a quella piena e strabordante di alterigia e supponenza dei nobili e dei signorotti locali e feudali quando si trovavano di fronte a qualche povero e sudicio villico. Oppure un analogo e qualsivoglia altro rappresentante della vile plebaglia, sempre pronti ad affliggerli e a tediarli col loro aspetto lurido e miserevole.

In ogni caso le loro posizioni ed il senso di superiorità mostrato da suo fratello maggiore erano tutta apparenza, e non stavano affatto rispecchiando la realtà dei fatti.

Come minimo era Kenshiro quello che avrebbe dovuto guardarlo dall'alto in basso, e non certo viceversa. Anche se il giovane, per sua stessa ammissione ed indole, non ci aveva mai tenuto a porsi proprio sopra anima né morta né viva.

Sopra nessuno, nella sua vita. Tantomeno su di un piedistallo. Ci sarebbe mancato altro.

La differenza tra loro due era stata sempre fin troppo evidente. E col passare del tempo si era fatta ancora più marcata. Tuttavia...Jagger sembrava davvero sicuro di sé.

I casi non potevano che essere due. O era troppo stupido per rendersi conto della situazione, oppure troppo ostinato per volerlo ammettere.

In realtà ve n'era una terza. Vale a dire che era troppo pazzo. Per capirlo e per capire qualunque altra cosa.

Ma non é detto che un pazzo debba essere per forza anche stupido. E' una di quelle cose che per fortuna non debbono escludere per forza anche l'altra.

Forse, con un po' di sforzo, ci si poteva ancora ragionare.

Forse...anche se non era detto.

Ma valeva la pena fare un tentativo. In fin dei conti la situazione era ancora perfettamente sotto controllo.

Kenshiro aveva ancora la piena padronanza della scena e del contesto, anche se a prima vista non sembrava affatto.

“Tsk” fece Jagger, facendo leva sul calcio di legno e spingendo ancor più in affondo ed in direzione dei suoi piedi le canne della doppietta, e premendogliela ancor di più contro alla gota. “E tu saresti il successore della Sacra Scuola di Hokuto? Non ti sei nemmeno accorto che mi sono avvicinato a te, e neanche ti sei reso conto di quando l'ho fatto!!”

Sembrava incredulo.

Ed aveva ben ragione di esserlo. Perché le cose non stavano affatto così, anche se lui riteneva che fossero tali.

Ma non era affatto come stava pensando.

La verità era che suo fratello minore si era già accorto da tempo della sua presenza.

Di più: si era accorto persino del suo arrivo. Aveva percepito il suo sopraggiungere mentre si trovava per la via, ed in mezzo alla strada. Ancor prima che entrasse e decidesse di penetrare all'interno dell'edificio in cui risiedeva, alle prese con i suoi esercizi.

Proprio ne più né di meno di quello che avrebbe fatto un animale selvatico alle prese con un potenziale nemico. O un erbivoro o una preda alle prese con un predatore, con un carnivoro o col loro avversario naturale. Quello che la grande madre che domina tutti gli esseri viventi ha deciso che debba esserlo per lui. Quello che é chiamato a ghermirlo, sbranarlo e a divorarlo.

Ma l'istinto serviva e poteva spiegare solo fino ad un certo punto. Per capire e comprendere come avesse fatto a sentirlo occorreva accantonare e mettere da parte la mera scienza.

Le sue capacità vantavano origini ben più profonde.

Jagger era semplicemente entrato nel suo campo d'aura, tutto qui.

Quella sorta di palla che un essere umano é in grado di formare estendendo le proprie braccia e le proprie gambe sino al limite, per poi farle roteare attorno a sé.

Il confine che riesce a raggiungere e la distanza che lo separa dal suo stesso corpo rappresenta lo spazio vitale di ogni individuo. Sacro ed inviolabile.

E che non può essere né va mai superato. Mai. Poiché un aggressore o un malintenzionato, nel momento stesso ed esatto in cui supera ed infrange quella barriera immaginaria ed invisibile eppure ben presente commette un reato gravissimo.

Non solo attenta alla porzione di spazio più intima di un uomo, ma va contro addirittura l'universo stesso. Entra in conflitto con l'intero universo, le sue leggi, il suo ordine e la sua armonia.

E automaticamente si mette in una posizione di torto e di svantaggio. Dalla quale non potrà che uscirne perdente e sconfitto.

La teoria della SFERA DINAMICA, o del CERCHIO DIVINO DELL' ENERGIA.

I suoi concetti, tanto cari alla discilpina nobile anche se di qualche gradino inferiore quale era L'Aikido, che pur l'aveva ideata e perfezionata, erano ben noti anche ai praticanti della Sacra Scuola di Hokuto. Solo che, nel loro specifico caso...il discorso e gli effetti, nonostante fossero gli stessi e funzionassero pressoché nell'identico modo, andavano moltiplicati per mille ed elevati all'ennesima potenza.

La cosa non costituiva certo una stranezza o un a novità, a volerla dir tutta.

Spesso i praticanti del Sacra Arte della Costellazione dell' Orsa Maggiore riprendevano tecniche semplicissime provenienti da pratiche comuni ed ordinarie, anche se vantavano e disponevano e portavano sulle loro spalle conoscenze dall'altrettanta tradizione secolare e millenaria. E nelle loro mani ne estendevano la validità e l'efficacia a dismisura.

In tal modo un praticante del Pugno della Stella del Nord era in grado di aumentare il proprio campo percettivo, per poi proiettarlo a decine di metri di distanza.

E nel caso del successore e del reggente di tale, meravigliosa tecnica...egli poteva arrivare a coprire decine di chilometri e di miglia. Ed arrivare a sentire quel che si muoveva, succedeva, accadeva entro i confini di un'intero villaggio o città. Di un intero stato o nazione, persino.

Si diceva che un maestro di Hokuto potesse sentire il cadere di una foglia dentro al perimetro di un paese. Che non potesse toccarne il suolo nemmeno una, senza che lui lo sapesse o ne venisse informato e a conoscenza.

Non vi era nulla di strano o di anormale, a riguardo. Anzi...entro certi aspetti la cosa costituiva la normalità, il pane quotidiano per uno come lui.

DOVEVA costituirlo.

Se era vero quanto si diceva sul suo conto e sul conto di quelli come lui, avrebbe dovuto imparare a spostarsi per il mondo veloce come e quanto il vento, non appena la gente e le persone invocassero il suo aiuto o la sua presenza, Fosse anche solo con l'intenzione o col pensiero, senza l'ausilio della bocca e della lingua.

Il Dio della morte sopraggiunge di notte, come un ladro. E compare con la leggerezza di un soffio o di un refolo di brezza, per poi travolgere i malvagi con la forza e la potenza devastatrice di un tornado. Di un uragano.

E' il tifone che tutto abbatte. Ma che colpisce solo chi se lo merita. E che risparmia gli innocenti e gli inermi, perché a loro rivolge il suo sguardo pietoso ed insieme ricolmo d'ira.

E la furia casuale degli elementi che agisce secondo la volontà precisa e razionale dell'uomo. E che dai suoi sentimenti viene spinta.

Era già da un bel po', da un bel pezzo che Kenshiro si era accorto del suo arrivo e della sua imminente comparsa. Ma ciò non sembrava valere per chi aveva davanti, al contrario.

A volerla dir tutta, suo fratello maggiore non dava nemmeno l'impressione di essere in grado di generarlo e svilupparlo, un campo di forza combattiva e spirituale. A differenza di quanto stava facendo e di quanto aveva fatto lui.

“Uh uh uh...” ridacchiò Jagger. “Ma tu guarda che roba...proprio un degno rappresentante, non c'é che dire. Non sei stato neanche in grado di prevedere un attacco a sorpresa! Ti sono piombato alle spalle come un fulmine, e neanche te ne sei accorto!! Ah, ah, ah!!”

Kenshiro glielo lasciò credere.

Gli lasciò tranquillamente credere anche quello.

Aveva deciso di assecondarlo, e di lasciargli credere tutto ciò in cui voleva ed avrebbe voluto credere. Tutto quello in cui seguitava a voler credere a tutti i costi, con ostinata quanto disperata testardaggine, a dispetto di ogni ragionevole logica.

L'asservimento spesso costituisce l'unico rimedio e soluzione, con i pazzi e gli psicotici.

In realtà non vogliono uccidere, a meno che non siano costretti a farlo. E nemmeno vorrebbero fare del male, a meno che non li si metta dichiaratamente in condizioni di compiere ciò e di nuocere al prossimo.

Non sono poi così tanto pericolosi come appaiono, in realtà.

Quel che vogliono non é la morte dell'avversario o di chi gli sta davanti. Ma il totale, completo ed assoluto controllo su di esso. Arrivando persino a fargli del male o a togliergli la vita, se necessario.

Nei casi più estremi, sono disposti a pagare e scontare qualunque prezzo e penitenza. Persino le più amare e salate.

Reagiscono nel peggiore dei modi e delle maniere solo se li si mette con le spalle al muro, come una belva braccata. E allora, giunti a quel punto...se devono scegliere tra il contrattaccare ed il soccombere, in genere prediligono la prima eventualità.

Ma se li si mette a proprio agio...diventano inoffensivi.

Hanno paura di chi stanno cercando di dominare, in realtà. E vogliono principalmente fargli assaporare, dargli un piccolo assaggio e porzione di quel che stanno provando loro. Di quel che la presunta vittima gli sta facendo provare e gli sta causando. E direttamente sulla pelle del principale responsabile.

Quando arrivano ad ucciderlo, lo fanno solo perché temono che egli possa sopraffarli in un'eventuale colluttazione. E che possano avere la peggio in uno scontro diretto.

Da un morto, invece, non devono temere più nulla.

Talvolta lo smembrano e lo fanno persino a pezzi, pur di star sicuri. Perché dietro a questi atti così innominabili e ributtanti si nasconde il terrore di vederli rianimarsi o tornare in vita, o di riaprire improvvisamente gli occhi.

Hanno paura che si risveglino. Hanno paura che li osservino. Ed hanno paura che li giudichino, infine.

Ma Kenshiro non stava reagendo e nemmeno giudicando. Lo stava facendo semplicemente sfogare. E scorrere, come le acque tumultuose di un fiumiciattolo o di un torrente.

Si dice che sia nella natura stessa della natura di riparare da sola i propri danni e di rimarginare le proprie ferite.

Persino il fiume più sozzo ed inquinato torna pulito, se si lascia passare tutta l'acqua torbida senza minimamente interferire.

Occorre solo tempo. Il suo tempo, come il tempo per ogni cosa. Anche se alle volte il processo può essere alquanto lungo, ed oltremodo tedioso.

Lo stava facendo scorrere. E qualunque cosa gli stesse dicendo e facendo, se la stava facendo passare attraverso come se nulla fosse.

Tipico dei matti, dei maniaci e dei paranoici.

Amano sentire il suono della voce. Che sia la loro o quella delle sue prede.

Amano sentire la vittima che li prega, ed implora loro pietà. Oppure che gli chiede e gli domanda come hanno fatto ad imprigionarli e a metterli in trappola. Quasi come se gli stessero rivolgendo un velato complimento nei confronti delle loro abilità, della loro intelligenza e della loro arguzia.

E poi amano così tanto raccontare come hanno sviluppato il loro infallibile piano, con la contentezza paragonabile a quella di un infante che ha appena imparato a muovere i primi passi o a non farsela addosso nelle mutande.

E amano continuare a ripetere di come il mondo é ingiusto ed iniquo e mostruoso. E di come la gente sia gretta, meschina ed insensibile. Al punto di non voler riconoscere il loro genio fuori dal comune.

E, cosa più importante...sono talmente presi a guardare la bocca altrui digrignare i denti ed urlare per il dolore o per le suppliche, oppure ad immaginare la loro che é impegnata a sproloquiare o in un delirante monologo, da non accorgersi di quel che fanno le mani. Specie dell'altro.

Tipo liberarsi, magari. O mettersi in guardia e pronti a difendersi.

Suo padre Ryuken glielo aveva sempre detto.

Bisogna guardare le mani, non la bocca. E fare in modo che l'altro faccia vice – versa. E che guardi la bocca, e non le mani.

E poi gli aveva detto un'altra cosa.

Che le parole, specie se troppe, sono chiaro indice di vanità. E quindi...

Quindi rappresentano una debolezza. Perché la vanità é un sinonimo di ego.

E' solo uno come un altro dei suoi tanti nomi. E come lo si conosce.

Bisogna saper mettere da parte e rinuciare, all'ego. Lasciarlo perdere. Perché porta solo guai e rovina, specie a un guerriero.

Si dà fin troppa importanza alle cose futili. Persino alla morte e alla vita.

Anche loro sono decisamente e largamente sopravvalutate.

Un vero guerriero non si attacca né si aggrappa a nulla.

Accetta tutto, anche quando le cose si dovessero mettere male. E senza mai dimenticare di perseguire il proprio obiettivo.

Rimane calmo. Ma può anche imprecare, se si trova in difficoltà. E quando capisce di non avere più scampo alcuno, và incontro al proprio destino.

Con animo sgombro e sereno. E sorride.

I maniaci non possono fare questo, però. Perché sono intimamente egocentrici.

E Jagger ne stava presentando tutti i tipici tratti caratteriali e comportamentali.

Di un egocentrico congenito e di natura. Praticamente inguaribile.

Ed in quanto tale...Kenshiro lo stava facendo parlare, rimanendosene in silenzio. Proprio come sapeva di dover fare, e come va fatto con i derelitti di quel genere.

Ma doveva stare comunque attento, e non abbassare le proprie difese.

“Uh uh uh..” lo punzecchiò l'altro, rincarando la dose. “Allora? Come ci si sente mentre si sta lì lì per morire, eh? Dimmi, razza di verme...come ci si sente, eh? Come uno che sta per finire dritto dritto dentro a una bella fossa scavata di fresco, vero? Come ci sente, mh? Dimmelo, avanti! Rispondi!!”

Gli stava dando tutto lo spazio e l'attenzione che vanno concessi in casi come questo. Tutti quelli che gli servivano e che gli stava richiedendo, pur senza ordinarglielo direttamente.

Ma se avesse seguitato a rimanersene zitto ancora per un altro po'...la sua strategia avrebbe finito col funzionare a rovescio, ed avrebbe ottenuto l'effetto contrario. L'opposto di quel che si prefiggeva.

Se un maniaco non ottiene risposta, dopo che và avanti per un bel pezzo col suo discorso, si sente sminuito ed estromesso.

Messo da parte, in altre parole.

Jagger avrebbe potuto pensare che lo stesse ignorando, e che non lo stesse prendendo affatto in considerazione. Ed allora...

Allora sì che si sarebbe decisamente infuriato. Ed avrebbe corso il serio quanto concreto rischio di andare decisamente fuori controllo e fuori dalla grazia di Dio. Diventando davvero pericoloso.

Per quel che avrebbe potuto fare. Agli altri ma soprattutto a sé stesso.

Per tenerselo buono doveva dargli ad intendere che lo aveva ascoltato, e che non gli era affatto sfuggito quel che gli aveva appena detto.

Doveva fargli vedere che l'aveva notata, la sua presenza. E che non gli era passato per niente inosservato.

Bastava poco, in fin dei conti. Davvero molto poco, con uno così.

“Jagger...” mormorò con tono sommesso.

Gli diede un'occhiata, subito dopo avergli rivolto la parola. E quella, da sola, fu più che sufficiente per intendersi al volo.

Suo fratello recepì il messaggio al volo, ed arretrò di qualche passo abbassando l'arma.

“Uh uh uh...” disse. “Ho capito. Beh...non mi costa nulla accontentarti, in fin dei conti. Dopotutto...che razza di duello ad armi pari sarebbe se non si esaudisce l'ultimo desiderio di un condannato a morte, non ti pare anche a te? Ah, ah, ah!!”

“Si, hai sentito bene” proseguì, non appena ebbe terminato di ridacchiare. “Perché ormai non ti rimane che morire, dopo aver affrontato me. E visto che te ne devi finire all'altro mondo...tanto vale per te farlo in una posizione comoda! Ah, ah, ah!!”

Kenshiro, questa volta, non disse nulla.

Si limitò a riabbassare le gambe, scaricando su di esse l'intero peso del corpo che sino a quel momento e per tutto il tempo che si era ritrovato a testa in giù era stato ad esclusivo carico delle prime due dita della mano destra , e riguadagnando la posizione eretta.

Perfetto. Ottimo, davvero.

Era riuscito a far comprendere a suo fratello che da lui non stava provenendo la benché minima ostilità, nonostante fosse stato proprio quell'altro ad aggredirlo ed attaccarlo per primo.

Inoltre...quella posizione che aveva tenuto fino ad un istante prima stava iniziando ad essergli oltremodo disagevole e fastidiosa. Senza contare il fatto che la presenza della canna di una doppietta poggiata sulla faccia gliel'aveva resa ancora più scomoda ed indigesta.

Guardò di nuovo Jagger. E di nuovo senza dir nulla.

“Uff...e va bene” gli fece lui, tagliando corto. “Ma sbrigati. La mia pazienza ha un limite, lo sai! E vedi di tentare nulla di strano o di insolito. Bada che ti tengo d'occhio. E sotto tiro!!”

E per meglio farsi comprendere, gli puntò ancora la doppia canna contro e nella sua direzione. Giusto per un attimo.

“Coraggio” lo esortò, intanto che la riabbassava ancora. “Dammi un motivo. Dammi un solo cazzo di motivo per spararti adosso! Ti giuro che non vedo l'ora. Non vedo la stracazzo di ora! E non aspetto altro!!”

Adesso sembrava quasi dispiaciuto di non averlo costretto a starsene ancora un po' in verticale e in posizione ribaltata, a fare ulteriore fatica.

Pareva persino non ricordarsi affatto di averglielo concesso di persona, il permesso di rimettersi in piedi. E dire che le aveva appena pronunciate.

Ma dal tono della sua ultima frase era fin troppo chiaro che doveva essersene già pentito, della sua più recente decisione. E subito dopo averla emessa, per giunta.

Kenshiro tornò a guardare dritto davanti a sé, con gli occhi fissi in avanti e verso un punto invisibile di un orizzonte altrettanto immaginario.

Rimase fermo, come indeciso sul da farsi. Ma per fortuna gli arrivò un pronto quanto rapido suggerimento.

“Grr! Avanti, tu! Muoviti, dannazione!!” Lo esortò ancora Jagger, sempre più irrequieto e spazientito, muovendo il fucile con un ampio gesto di braccio verso l'esterno.

Per ovvi motivi il giovane non aveva potuto vederlo, ma attraverso la sua pelle leggermente imperlata di sudore aveva percepito con chiarezza lo spostamento d'aria provocato dalla grossa e voluminosa arma da fuoco.

Alla miriade di minuscole quanto microscopiche ed infinitesimali goccioline così simili alla rugiada della bruma mattutina che si adagiava sulle foglie e sui bassi cespugli, e che alla pari di essa stazionavano ed attraversavano in mille rivoli i solchi generati dagli altrettanto piccoli pori che componevano, strutturavano e davano vita alla liscia superficie del derma che ricopriva per intero il suo vigoroso corpo...a loro la cosa non era affatto passata inosservata.

Ed essi avevano naturalmente reagito, inturgidendosi e facendosi tutti intirizziti. E causandogli un live brivido.

Breve fin quanto si vuole, ma intenso. Al punto da non poter affatto passare inosservato. E su cui non ci si poteva affatto mettere a sorvolare, pur con tutta quanta la propria buona volontà di cui si dispone.

No, non si poteva far finta di nulla, nemmeno se lo si volesse e desiderasse con tutte quante le proprie forze.

Ma era solo un brivido di freddo, dopotutto. Non certo di paura.

Kenshiro non aveva paura. E soprattutto...Jagger non gli faceva paura.

Non gli aveva mai fatto paura.

Non lui, almeno.

Decise comunque di seguire il consiglio che gli aveva appena elargito.

Dopotutto, quando si prova freddo, da sempre il modo migliore per riscaldarsi a scando di possibili raffreddori o raffreddamenti di sorta lo costituisce il muoversi.

E' il miglior rimedo, da che mondo é mondo. E poi chissà...forse quel pazzoide lo avrebbe interpretato come un gesto ed un segno di magnanimità.

Da parte sua, ovvio. Sarebbe stata la dimostrazione lampante che lo ascoltava, e che teneva in estrema considerazione il suo parere. Su ogni cosa.

Mise le gambe alla medesima distanza tenuta dalle proprie spalle, ed eseguì una serie di diretti alternati sul posto.

Una lunga sequenza di pugni dritti, identici in tutto e per tutto ai celebri e celeberrimi TSUKI tanto noti e cari a qualunque karateka o praticante di qualche KENPOU di OKINAWA o di qualche altra isola del gruppo delle RYU – KYU, da cui si diceva e soteneva che derivasse la decantata tecnica marziale nipponica.

Destri e sinistri. Ripetuti, in successione e senza alcuna sosta. Con l'aria che veniva espirata e buttata fuori con forza ad ogni estensione di arto superiore. Mentre l'altro braccio che non era impegnato a sferrare il colpo veniva piegato ad angolo esattamente retto e portato al fianco a cui stava attaccato, secondo quanto prevedevano i dettami della fisionomia umana.

Come già accennato, a prima vista ricordava davvero un allenamento di KARATE. Oppure di SHORINJI – KENPOU. Principalmente per la forza che i movimenti stavano sprigionando.

Anche se, ad un'occhiata più attenta, la fluidità e il modo flessuoso in cui i pugni si susseguivano l'uno dopo l'altro, man amano che venivano eseguiti, ora stava ricordando molto ma molto di più l'antico WU – SHU o GONG -FU cinese, da cui in seguito si sarebbe sviluppato il KUNG – FU odierno che tutti gli adepti conoscono e praticano.

Anzi, più che susseguirsi i pugni stavano letteralmente confluendo l'uno nell'altro fino a diventare, a rendersi un solo ed unico movimento, complice anche l'altissima velocità di esecuzione.

Dopotutto, si diceva anche che qualunque stile marziale giapponese in fondo derivasse dalla Cina...

Tutto quel che si conosceva e faceva entro l'arcipelago ed i suoi confini tracciati dal mare e dall'oceano derivava dal continente.

Persino Hokuto. Persino la Divina Arte.

Fu la Cina ad idearla. Anche se poi toccò al Giappone portarla al massimo fulgore e splendore.

Ecco. Un combattente esperto ma soprattutto coscienzioso e lucido avrebbe capito tutto, dopo aver assistito ad una simile dimostrazione.

Potenza e velocità insieme, in un connubio perfetto quanto mortale e letale.

A chiunque sarebbe bastato vedere tutto ciò, soltanto questo, per rendersi conto della monumentale differenza che separava chi o quelli che stavano solo osseravando da colui che le stava praticando, quelle mosse.

Ma Jagger no.

Non capiva. Non era in grado di capire.

Non era più in grado di capire, ormai. Non era in grado di capire più nulla.

Più niente.

Non voleva capire più niente. E nemmeno sentire o vedere ragioni.

Mentre proseguiva, il giovane allievo ormai divenuto maestro anche se da poco, pochissimo...egli non poteva fare a meno di rimuginare e riflettere su alcune inevitabili considerazioni.

Poteva farlo, dopotutto. Poteva riuscirci tranquillamente.

Gli era concesso. Il suo corpo, abituato alla pratica continua e costante, in queste situazioni si metteva ad agire e muoversi in automatico.

Correva voce da sempre, tra gli allievi, che i praticanti della Divina Arte della Sacra Scuola di Hokuto non fossero che uomini comuni.

In grado di compiere cose incredibili, sovrumane. Persino dei prodigi, anche.

Persino quella terribile ed insieme meravigliosa capacità che Dio stesso ha concesso all'uomo. Ad ogni uomo.

L'unico dono che Dio gli ha lasciato, e che gli é rimasto. La recondita possibilità di compiere, col giusto aiuto e nelle corrette circostanze, azioni quasi divine.

Quella che viene comunemente chiamata e definita MIRACOLO.

Persino i miracoli. Persino loro.

La Divina Arte di Hokuto rende questa possibilità così remota del tutto tangibile.

Può rendere possibile l'impossibile, se lo si desidera. Se davvero lo si vuole.

Equivale quasi, dal punto di vista scientifico, di creare qualcosa o addirittuta l'energia stessa dal nulla. Che per la fisica moderna ed applicata equivale a pura follia, a mero astrattismo.

Eppure, per Hokuto...é reale.

Con la volontà si può tutto. E si può raggiungere ed ottenere qualunque cosa, qualunque obiettivo.

Una cosa del genere rappresenta il coronamento di ogni sogno e desiderio umano.

Ma gli adepti, i discepoli e i maestri di Hokuto non sono che esseri umani anche loro, in fondo. E hanno i loro limiti.

Perché sarà pur vero che la Divina Arte di Hokuto é stata ideata, pensata e progettata dagli Dei.

Forse deriva davvero da loro. Ma ad usarla, ad utilizzarla sono pur sempre gli uomini.

Devono pur sempre farne uso loro, non le divinità.

E per fare ciò, devono prendere a prestito un'energia a dir poco enorme. E per un tempo variabile, e più o meno prolungato.

Un'energia che deriva dall'intero pianeta. O forse, addirittura dall'intero universo. O, fatto ancora più sconvolegente, da qualche dimensione mistica o ultra – terrena.

Da ALTROVE, insomma. Da dimensioni che, pur essendo e scorrendo in parallelo alla realtà per come la si conosce, vanno oltre qualunque tentativo di spiegazione e comprensione umana.

Da altrove, appunto. Da un altrova che non si sa e che non si conosce.

E che non si vuole conoscere.

Non lo si vuole assolutamente conoscere, perché é meglio non farlo.

Meno si sa, meglio é.

Forse potrebbe addirittura arrivare dall'aldilà. O dall'oltretomba.

Dal paradiso.Oppure dall'inferno.

Ed ovviamente...esiste un MA.

C'é un prezzo ed un conto da pagare, per avere ed ottenere tutto questo. Ed é bello salato, e alla lunga pure amaro. Molto amaro.

E' il prezzo che va pagato. Il conto da riscuotere per ottenere lo stesso potere di DIO.

Poiché nulla si dà per nulla. E non si può creare energia partendo dal nulla.

Anche l'impossibile ha i suoi limiti, dopotutto.

Sarebbe come pretendere di poter generare il moto perpetuo.

Forse un giorno si potrà dare vita ad un movimento che dura all'infinito. Fino all'infinito, ed oltre.

Ma anche facendo questo, dovrà pur sempre e comunque esserci uno che quel movimento lo fa partire.

Un movimento potrebbe anche non finire né morire mai. Ma deve pur nascere, per poter esistere.

L'uso e la pratica assidua, continua e costante della Divina Arte di Hokuto può logorare e causare il progressivo deterioramento fisico e mentale da parte di chi ve ne fa ricorso, fino a consumarlo del tutto. Fino a provocarne il totale annientamento.

E' per tale motivo che chi la pratica si sottopone ad allenamenti a dir poco durissimi, che gli permettano una perfetta quanto ottimale sinergia tra la mente ed il corpo.

Le due forze da sempre contrapposte devono entrare in completa armonia, per elevare al massimo l'anima e lo spirito.

Ma alle volte, potrebbe non bastare.

Nemmeno quello basta, in certe spiacevoli occasioni.

Suo padre Ryuken si era ammalato di cuore, e ormai ogni giorno di vita in più per lui era da considerarsi guadagnato.

E lo stesso discorso valeva per Toki, uno dei suoi fratelli maggiori.

Toki aveva sempre dato da capire di essersi ammalato di cancro dopo essere stato investito dalle polveri tossiche del fall – out radioattivo generato dalle esplosioni dei missili e delle testate nucleari.

Era accaduto quando si era sacrificato, mettendo a repentaglio la propria incolumità, nel tentativo di proteggerlo insieme a Julia, la sua fidanzata. Richiudendo a mani nude e direttamente dall'esterno i portelloni a chiusura elettronica, computerizzata e temporizzata del bunker adibito a rifugio sotterraneo, dopo averceli spinti dentro.

Perché si erano guastati ed inceppati. E se non l'avesse fatto, sarebbero morti tutti.

Lui, Julia, lo stesso Toki, i bambini, i vecchi che stavano badando a loro e che li accudivano...

Tutti. Nessuno escluso.

Il sacrificio di uno per la vita di tanti. Di molti. Di tutti.

Un gesto davvero nobile. Che solo uno come Toki, con la sua innata bontà e gentilezza d'animo, avrebbe potuto compiere così a cuor leggero e senza minimamente badare alle disatrose e catastrofiche conseguenze sulla sua salute. Peccato solo che...

Peccato solo che non lo aveva convinto del tutto.

No, non gli era riuscito di convincerlo al cento per cento, su questo. Non gliel'aveva data a bere, nonostante avesse fatto di tutto per far credere che le cose stessero davvero così.

Kenshiro aveva sempre nutrito il sospetto che Toki fosse già malato prima di allora. E che quella disgrazia non fosse stata altro che un'ulteriore croce in più piombata sulle fragili spalle di un povero corpo già da tempo roso e minato da un'inenarrabile malattia.

Un colpo di grazia che le aveva rese ancora più fragili e incerte di quanto già non fossero, quelle spalle così gracili. Ma che non era da considerarsi come la causa della sua futura morte, un giorno non più tanto lontano. E che via via che scorrevano i mesi sembrava anzi farsi sempre più prossimo ed incombente.

No, non andava affatto considerato tale, in quanto non avrebbe fatto altro che ammazzare un uomo che in realtà era già morto. Già morto da un pezzo.

Che sorte ingrata ed infausta che era, la sua.

Non era giusto.

Non avrebbe mai dovuto pensarlo o azzardarsi a farlo, vista la posizione che adesso ricopriva.

Un uomo facente parte del rango che ora aveva ottenuto, a prezzo di così grandi sacrifici, non poteva concedersi una simile caduta di etichetta. Considerando soprattutto i nobili e glorosi trascorsi di coloro che ne avevano occupato le fila prima di lui.

Ma vedendo il triste destino di quel poveretto...non poteva fare a meno di ritenere che la vita fosse davvero un gran mucchio di merda puzzolente e putrida, certe volte.

In ogni caso...pare che tutti quelli che si addentravano nei meandri e nei misteri della Divina Arte di Hokuto fossero destinati per qualche oscuro motivo ad una vita incerta e travagliata.

Oltre che estremamente breve, inoltre.

Un particolare, quello, che non andava affatto tralasciato.

Una specie di malìa. La malìa di Hokuto, e della costellazione dell' Orsa Maggiore.

Ma anche in quel campo ed in quel senso vi erano le opportune eccezioni. Che forse, come sostiene un vecchissimo adagio, servono soltanto a confermare ancor di più la regola.

Come lui e Raoul.

Per qualche ragione ancora più strana, loro due sembravano essere stato dispensati da tutto questo.

Loro non ci rientravano, in quel discorso. E parevano essere immuni a quella sorta di maledizione che aleggiava sul capo di coloro che praticavano il Sacro Pugno della Stella del Nord.

Anche se, nello specifico caso del più anziano ed esperto tra i suoi fratelli maggiori, l'eccezione la si poteva considerare valida solo fino ad un certo punto.

Suo fratello Raoul non era affatto rimasto immune, da quel maleficio. Anzi...

Forse era rimasto più colpito di chiunque altro.

Da qualche tempo non era più lo stesso.

La malìa gli era penetrata molto più a fondo, fino ad intaccargli l'anima.

E quello era il tipo di contagio più subdolo e pericoloso. Perché non ce ne si accorge, ed in genere quando ci si rende conto di essere malati dentro solitamente é troppo tardi per riuscire a porvi qualche possibile rimedio.

Ci sono rovine che arrivano e giungono all'improvviso, facendo un gran boato e baccano. Come il fragore di un terremoto. Oppure di un maremoto, con tanto di gigantesca quanto monumentale onda anomala pronta a seppellire ed inghiottire tutto quanto sotto galloni e galloni di acqua.

E poi ci sono quelle di tipo più sommesso, silenziose. Come la goccia d'acqua che scava con pazienza ed estrema ostinazione dentro ad una roccia, sino a far crollare un'intera volta o un'intera caverna.

Corrodono, consumano e corrompono. Goccia, dopo goccia, dopo goccia...

Raoul era caduto vittima dell'ambizione, e della sete di potere e di dominio più sfrenate.

Erano diventate per lui un'autentica ossessione, una febbre che distrugge ed avvelena lo spirito.

Pericolosa e inarrestabile almeno quanto lo sono la rabbia, la tristezza, la depressione e la follia per il cervello umano. E visto che si stava parlando proprio di quello...

Anche Jagger era caduto vittima del maleficio insito nella Divina Arte trasmessa dalla Sacra Scuola.

Nemmeno lui era riuscito a sfuggirgli. E a conti fatti, era sempre stato quello che aveva avuto meno possibilità di scamparla.

A lui il morbo lo aveva preso direttamemente alla testa, e ben presto.

Sin da subito. Prima di tutti.

Kenshiro era stato l'ultimo, tra i quattro figli adottivi del sommo e saggio Ryuken, a venire accolto nel monastero. L'ultimo, ad avere la concessione di accedere sia al tempio, alla palestra ed al campo di addestramento.

E quando lo aveva incontrato e conosciuto, Jagger era già così. Sin da quando lo aveva visto per la prima volta.

Instabile. Parecchio instabile.

Già si notava e si scorgeva in lui un certo squilibrio unito ad una notevole dismisura.

Restava solo da capire se fosse impazzito subito dopo aver iniziato gli allenamenti o se lo fosse già di suo. Ancor prima di apprendere la Divina Arte. E che il potere di quest'ultima non avesse fatto altro che accelerare il nefasto processo, peggiorando una situazione già di per sé fin troppo grave.

Difficile stabilirlo con chiarezza.

Una cosa però era più che certa, ed almeno su questo non sussiteva alcun dubbio di sorta.

Raoul era ancora in grado di ravvedersi, se solo lo desiderava davvero.

Perché la strada del dominatore che si stava accingendo ad intraprendere rappresentava una sua libera e spontanea scelta.

Nessuno lo stava obbligando. Poteva fermarsi quando voleva, col suo progetto.

Avrebbe potuto ancora riconvertire il processo. C'era ancora una possibilità per lui, per quanto remota.

Perché non era affatto un bruto, nonostante i modi bruschi e spicci.

Aveva tutte le qualità. Era intelligente, nonché abile.

L'unico problema...era il fatto che era anche testardo ed ostinato. Ed orgoglioso.

Per Jagger, invece, non c'era speranza. Non c'era mai stata speranza.

E qui non c'entrava certo lo squilibrio psicologico. Era una mera questione caratteriale, di indole e di attitudine.

Che fosse pazzo o meno, squilibrato o altro...Jagger era prima di tutto, prima di ogni altra cosa malvagio.

Sì. Malvagio, incauto e stupido.

Una pessima combinazione, specie lì dentro. La peggiore che fosse possibile.

Malvagio, incauto e stupido. Ed assolutamente privo di talento. E di qualsivoglia valore.

E se mai ce lo avesse avuto per davvero, un briciolo di talento...esso era ormai naufragato in mezzo alla tempesta composta dai suoi neuroni resi guasti e avariati.

Perduto per sempre. Come ciò che rimaneva del suo senno.

E uomini simili non fanno altro che approfittarsi in continuazione e ad ogni occasione possibile dell'oncia di potere che hanno.

Se gliene si dona un poco, essi credono di diventare come delle autentiche divinità, in grado di dispensare la vita o la morte dalle proprie mani in base al loro sentimento e capriccio, e di decidere del destino dei loro simili a piacimento.

Credono che Dio abbia messo al mondo i suoi simili per dare ad essi il piacere di tormentarli, e a loro esclusiva volontà.

Suo padre gli aveva detto che andava fermato. E che se fosse diventato lui il legittimo successore, sarebbe stato un suo preciso compito ed incombenza.

Toccava a lui, farlo. E Kenshiro lo sapeva.

Sapeva che sarebbe arrivato questo momento, prima o poi. E a quanto sembrava...

Il momento fatidico era giunto ancor prima del previsto. Ancor prima di quanto credesse.

Mentre era perso nelle sue elucubrazioni e decideva sul da farsi Kenshiro si accorse che, intanto, almeno una cosa l'aveva portata a termine.

Gli esercizi. Aveva appena concluso gli appositi esercizi di defaticamento.

Portò entrambe le braccia davanti e sé, tenendole ben diritte e parallele al pavimento, con i palmi bene all'infuori.

Le dita erano stese anch'esse, rivolte verso il soffitto, con pollici piegati ad angolo retto.

Espirò. Questa volta più a lungo, in un unico soffio.

Jagger capì che aveva finito e si fece sotto di nuovo.

Alzò ancora la doppietta e gliela puntò in faccia, questa volta appena sotto all'occhio sinistro, in concomitanza del rispettivo zigomo.

“Tsk” ricominciò, col suo solito tono sprezzante. “Lo sapevo. Sapevo che il vecchio si era completamente rincoglionito, tra la vecchiaia e quel mezzo catorcio di cuore malato marcio che si ritrova in quel suo petto rinsecchito. Ma devo dire che stavolta ha superato davvero tutte le mie aspettative!!”

“E' andato davvero oltre ogni limite!!” Ribadì, se pur con termini differenti. “Ma non importa...a tutto c'é rimedio.”

Kenshiro non si scompose neanche stavolta.

Finché Jagger aveva l'intenzione di ferirlo a ingiure ed insulti, poteva andare avanti finché voleva.

Le offese non uccidono nessuno. Vanno paragonate al latrato o all'abbaiare di un cane.

Fino a che si limita a fare quello e basta, e senza passare alle vie di fatto come l'azzannnare o mordere...lo si può lasciare andare avanti fin quanto vuole, e finché lo desidera. Fino a che non si stufa.

Ne avrebbe potute aver da dire fino a saziarsi, e lui lo avrebbe tranquillamente lasciato fare.

Ma se aveva intenzione di fare altro...beh, lui era più che pronto.

Razza di povero, triste, patetico idiota che altro non era.

Era ancora più che convinto di averlo in pugno, quel babbeo. Di tenerlo in scacco, e di avere la situazione pienamente sotto controllo.

Avrebbe potuto disarmarlo e togliergli quel cannone dalle mani quando e come voleva, senza dargli il tempo di fare nulla.

Prima che potesse fare qualunque cosa. Suo fratello non avrebbe avuto nemmeno la possibilità di sparare un sol colpo.

Gliel'avrebbe distrutto prima ancora che potesse far partire anche un solo proiettile.

Era vero che nell'era della tecnologia moderna bastava premere un pulsante, un tasto o un grilletto per distruggere tutto. E le guerre nucleari appena combattute lo avevano ampiamente dimostrato.

Ma prima bisogna arrivarci, al famoso interruttore.

E se quella mano la si spezza, la si fracassa, la si rompe, la si distrugge, la si taglia, la si tronca o addirittura la si fa esplodere...ecco che di colpo quel tasto così vicino diventa irraggiungibile.

E persino un'operazione così semplice diventa impossibile.

“Che...che cosa vuoi?” Si limitò a chiedergli. “Che cosa sei venuto a fare, qui?”

Jagger non rispose. Fece parlare i fatti, al suo posto.

I gesti. Le azioni. Per la prima volta in vita sua.

Davvero incredibile, per uno come lui che era abituato e che si era sempre limitato a minacciare e ad aggredire verbalmente, ma senza mai tentare nulla di davvero concreto.

Quelli della sua risma erano in genere sempre ben pronti a farsi avanti solo quando e se qualcuno si faceva avanti per primo al posto loro. Per poi piazzarsi alle loro spalle per istigarli e per stuzzicarli, sussurrandogli all'orecchio cosa c'era da fare e come avrebbero dovuto fare, in modo che potessero dare il peggio di sé. Liberamente, senza remore.

Era un cospiratore ed un sobillatore di natura. Ma adesso, improvvisamente, sembrava aver perso ogni paura e vergogna.

Doveva aver davvero trovato e preso il coraggio a piene mani, tutto ad un tratto.

O forse...doveva solo essere disperato,

Abbassò leggermente la canna del fucile, e poi la allungò di scatto colpendo Kenshiro al petto e costringendolo ad arretrare.

E poi, solo allora, solo a quel punto si decise finalmente a dire qualcosa.

“Siediti!!” Gli ordinò, con voce secca e aspra.

Kenshiro, per effetto del colpo non così tanto inatteso, assecondò la spinta dell'impatto e fini su di una sedia che si trovava poco distante, alle sue spalle.

Non fece a tempo ad alzare il viso che si ritrovò davanti la faccia di suo fratello.

“Bene, bene...” commentò. “Il nuovo successore...ma guarda un po'. Scommetto che adesso sarai contento, vero? Immagino che tu sia tutto bello tronfio e orgoglioso di ciò, dico bene? Così come immagino che dentro di te tu ti stia facendo delle grandi e grasse risate, alla faccia mia e dei tuoi due altri fratelli, vero? Te la stai godendo in barba a noi tre, giusto? In barba a me, a Toki e a Raoul! Ma adesso, se permetti, sarò io a godermela almeno per un po'!!”

“Sì, sì...” continuò. “Si é trattato proprio di un bello scherzetto. Un bel giochetto, niente da dire. Ma si dice che un bel gioco sia destinato a durare poco. E infatti é ora di finirla, adesso! Ora é giunto il momento di fare sul serio! E' giunta l'ora per noi grandi di riprendere in mano la situazione, e di mandare i mocciosi fuori dai coglioni! Di rispedire i marmocchi come te a casa, a suon di schiaffoni!!”

“Sei ancora in tempo” gli suggerì. “E adesso, ascoltami bene. Ora tu andrai da nostro padre a dirgli una bella cosuccia.”

Suo fratello minore lo guardò, come in attesa di istruzioni.

O magari voleva solo vedere dove stava andando a parare. Anche se, in cuor suo, lo sapeva e se lo immaginava benissimo.

Sin troppo bene.

“Hai capito?!” Insistette Jagger, apparendo sempre più fuori di sé ad ogni parola emessa. “Ora tu andrai dal vecchio, e gli dirai che rinunci all'incarico! Gli dirai che non accetti il ruolo di successore, perché non ne sei in grado!!”

Kenshiro lo osservò, stupito.

“Ch...che cosa?!” Chiese.

“Hai inteso benissimo!!” Aggiunse l'altro. “Vedi di non fare il finto tonto. Ascolta...io lo dico per il tuo bene, credimi. Tu...tu non sei all'altezza, di quel ruolo. Non ce la faresti mai, a reggere l'incombenza. Non ce la faresti, a sostenere un peso simile. Sei il più piccolo e il più inesperto tra noi, e non esiste che tu possa permetterti di sorpassare noi che siamo i tuoi fratelli maggiori. Non esiste!!”

“Non esiste, chiaro?!” Gli ribadì. “Ti é chiaro, in quella tua testina di cazzo? Ti entra, in quella tuta testa di merda? Non esiste che tu ti possa essere messo in quel tuo cervello una cosa del genere. Non esiste! Ma non esiste proprio. Non esiste per un cazzo! A me non interessa se il vecchio te lo sei oliato e arruffianato per benino, in tutti questi anni. Tu non sei degno di essere il successore, hai capito? Non lo sei mai stato! Adesso tu vai lì da lui, e gli dici che rinunci!!”

“Avanti!!” Lo esortò di nuovo. “Che cosa aspetti? Forza!!”

Ma Kenshiro non si mosse, e nemmeno disse nulla. Si limitò a continuare ad osservarlo, con quel suo solito sguardo enigmatico di sempre.

Quello sguardo che voleva dir tutto e che pure voleva dir niente. Proprio quello sguardo che Jagger non sopportava, e che detestava con tutte quante le sue forze. Che aveva da sempre detestato, con ogni singola fibra del suo corpo.

Quei due occhi...con quei suoi occhi ti scavava dentro. Scavava dentro di te, come se fosse alla perenne ricerca di risposte. E come se davvero pensava che fosse lui a dovergliele fornire, quelle risposte.

Bastò. Quello fu sufficiente a far perdere completamente a Jagger i lumi e la ragione. O per lo meno quel poco che gli era ancora rimasto.

Alzò la propria arma fin sopra ed oltre la propria testa e poi la scaglio di tutta forza, rabbia ed impeto contro il ragazzo, abbattendogli la doppia canna in metallo tra tempia, collo e spalla.

Kenshiro stramazzò al suolo per l'impatto, mentre un rivolo denso e rosso scuro iniziava a colargli lungo la parte colpita, a partire dall'attaccatura dei neri capelli.

Non fece a tempo a rannichiarsi per proteggersi che una nuova gragnuola di botte gli piovve addosso per ogni dove.

“D – dannato!!” Urlò jagger, furibondo. “Cos'é quello sguardo, eh? Che cazzo é, quello sguardo? Che cos'hai da guardarmi così? Che cazzo hai da guardarmi così, eh? Razza di stronzo! Che cazzo significano quegli occhi, eh? Si può sapere che cazzo mi dovrebbero significare, quegli occhi? Che cazzo hai da guardarmi così, eh? Non lo sopporto, quando mi guardi a quel modo! Non lo posso sopportare, capito? Non l'ho mai potuto sopportareee!!”

Continuava a massacrarlo, come in preda a una sorta di vero e proprio delirio. Non si fermava più.

“Bastardo!!” Inveì. “Non ti ho mai potuto sopportare, capito? Non ti ho mai potuto soffrire, a te e a quei tuoi occhi languidi da smidollato! Prendi, prendi! Beccati questo!!”

Alla fine si arrestò. Ma più che altro per sincerarsi dell'effetto della sua sonora ripassata che per scrupolo vero e proprio. Se mai fosse stato possibile provare un simile sentimento, per uno come lui.

Kenshiro approfittò dell'attimo di pausa per rialzarsi, mettendosi accovacciato e su di un ginocchio.

Aveva il volto e buona parte del corpo piuttosto tumefatti, per via dei ripetuti urti da oggetto contundente in acciaio temprato. Ma nonostante tutto, sembrava non curarsene né farci troppo caso.

“T – tu...tu usi sempre pistole e fucili” dichiarò. “P – perché...perché almeno una volta...perché non provi ad usare la sola forza dei tuoi pugni, per tentare di sconfiggermi? E il sangue che la Divina Arte ti ha donato, per una buona volta?”

“Che...che cosa hai detto?!” Gli disse Jagger, quasi esterrefatto. “Cosa cazzo...che cosa cazzo stai dicendo?!”

“Lo hai capito, quel che ho detto” gli ribadì suo fratello. “Utilizzi sempre pistole e fucili, quando combatti. Non é forse vero quel che dico, Jagger? Per non parlare degli aghi. O degli attacchi di sorpresa o alla sprovvista. Ma se vuoi combattere contro di me...e se davvero ritieni di essere il degno successore della Divina Scuola, dovresti usare solo i tuoi pugni. Usa solo i tuoi pugni, mi hai sentito? E nient'altro.”

“E vedi di piantarla, di giocare sporco.” aggiunse.

“Stà...sta zitto!!” Sbraitò il diretto interessato di quel consiglio. “Stà zitto, capito? Chiudi quella cazzo di bocca! Cosa vuoi che me ne importi, eh? Che cazzo vuoi che me ne freghi mai, a me?”

“I pugni non sono tutto” proseguì. “Così ragionano i perdenti! E' così che ragionano i perdenti come te! Ed é proprio per quello che muoiono, e che meritano di morire! Ed é proprio per questo, che tu dovrai morire! Devi morire! Non meriti altro che di morire! Quel che conta in un duello é vincere, chiaro? Vincere e essere i più forti, razza di scemo! Ad ogni costo e con qualunque mezzo!!”

Riprese ad avanzare e gli si lanciò ancora contro, portando ancora verso il soffitto le canne della propria doppietta e puntando di nuovo al suo viso.

Voleva frantumarglielo, come minimo.

Era certo di essere in procinto di sferrargli il colpo di grazia, ormai.

“La Divina Arte di Hokuto può donare un'infinita potenza, a chi la pratica!!” Annunciò trionfante, mentre accennava persino una sorta di rincorsa per prendere meglio lo slancio e colpirlo ancora più forte.

Aveva davvero intenzione di chiuderla lì. Una volta per tutte.

“A coloro che sono prescelti può arrivare a dare lo stesso potere di Dio! E proprio per questo, e per via della sua pericolosità può essere trasmessa a un solo individuo per ogni generazione! E questo lo sa anche un idiota incapace come te! E in mano a un imbecille e buono a nulla del tuo calibro, essa non avrà alcun futuro! E' destinata a estinguersi! Mentre in mano mia diventerebbe ancora più grandiosa e potente! Più splendente e gloriosa che mai!!”

Puntò ancora più in alto l'arma, pronto a lanciargli l'attacco decisivo.

“Che tu sia maledetto, razza di bastardo! Diventare il successore era il mio sogno! Il più grande desiderio di tutta la mia vita! E tu ti sei messo in mezzo, tra me e mio padre! Hai rovinato tutto! E non te lo perdonerò mai! Devi morire, capito? Morire! Maledetto! Muori, muori! Io ti spacco il cr...”

Si bloccò di colpo. Qualcosa aveva improvvisamente arrestato la sua mossa, il suo assalto e la sua furia, che ora si era come dileguata.

Si sentiva come se avesse sbattuto contro qualcosa dopo che qualcuno lo aveva disarcionato dalla propria moto. Per poi farlo finire addosso ed in pieno ad un muro di mattoni o di blocchi di cemento. O addirittura una parete realizzata mediante una colata su di un'apposita armatura di ferro o di analogo metallo, altrettanto durissimo e resistente.

Percepì una pressione a dir poco spaventosa attorno al mento.

Abbassò gli occhi, colto da un presentimento a dir poco terribile.

Vide una mano che gli aveva serrato la mandibola fino ai lati, in una morsa d'acciaio da cui era pressoché impossibile sfuggire o liberarsi.

Una spiacevole quanto umiliante sensazione lo pervase.

Una sensazione di sacrilegio, quasi.

Lo avevano svilito, oltraggiato.

Ma chi aveva osato?

Chi poteva aver osato tanto?

La seguì a ritroso fino al braccio, e da lì fino alla spalla per poi risalire fino al busto e alla testa dell'artefice. Del responsabile. Anche se era fin troppo facile intuirlo ed immaginarlo, giunti a quel punto.

Anche se non ci credeva. Nemmeno adesso che era lui stesso a far da testimone.

Era stato quello.

Era stato Kenshiro.

In meno di un decimo di secondo si era rialzato, aveva colmato e chiuso la breve distanza che li separava e lo aveva intercettato, stoppando e stroncando il suo attacco sul nascere. E con un tempismo a dir poco perfetto, sensazionale.

Non l'aveva nemmeno visto muoversi. Ma come diavolo aveva fatto?

 

Grr!!

Lasciami!!

Lasciami, maledetto figlio di puttana!!

Ti ordino di lasciarmi, capito?!

LASCIAMI ANDARE!!

 

Questo fu ciò che avrebbe voluto tanto urlargli.

Ma per sua sfortuna, oppure immensa fortuna, dalla bocca paralizzata dalle dita del suo rivale gli uscì solamente un ringhio sommesso seguito da un gorgoglio semi – indistinto.

“Ghrhrhmfffhh!!”

Gli era andata fin troppo di lusso.

Anche un cretino si sarebbe accorto che il giovane si doveva trovare al limite. E che aveva raggiunto il colmo.

Quel che aveva appena subito avrebbe fatto traboccare di collera persino un santo. E a quel punto gli sarebbe bastato meno di un niente, a chi lo stava tenendo in scacco, per tramutargli tutte le ossa della faccia in poltiglia.

Sarebbe stata sufficiente la minim pressione, per ridurgliele in briciole. E ne avrebbe avuto pure tutte quante le ragioni, per farlo.

Lo aveva aggredito ed attaccato deliberatamente, e senza alcun motivo. E lui aveva tutto il diritto, di doversi difendere.

Tutto quanto il sacrosanto diritto di questo mondo.

Ma il successore legittimo della Divina Scuola di Hokuto deve essere superiore, ad un semplice santo.

Egli deve superare tutti i santi che siano mai esistiti. Persino lo stesso Buddha, se occorre.

Un santo deve sopportare al massimo la sua sofferenza personale, anche se in nome di ciò che venera.

Ma l'erede designato deve sopportare la sofferenza di tutto quanto il mondo intero. E senza poter credere o contare su nulla, se non sé stesso.

Inoltre, Jagger era ben più di un cretino.

Si limito a fargli capire quel che stava provando con un gesto sin troppo eloquente. E che potesse risultargli inequivocabile.

Bastò un attimo. Un respiro. Un battito. Sia di cuore che di ciglia, e Jagger si sentì mancare la terra sotto ai suoi piedi.

Aveva perso il contatto col pavimento.

Suo fratello, che tanto sminuiva e disprezzava con tutte le sue forze, lo aveva sollevato con un solo arto.

Per la sorpresa il fucile gli era caduto a terra, mentre lo issava. E senza il benché minimo sforzo.

“Poco fa hai detto giusto. E ora di finirla, Jagger” gli disse, con sguardo severo ma col tono che tuttavia era rimasto ancora calmo. O che per lo meno si sforzava nel tentativo di trattenersi.

“Ggghhrrrmmffhh!!”

“Hai sentito bene” gli ribadì. “Falla finita. Ti chiedo di farla finita, una volta per tutte.”

“Forse non sarò il miglior successore che la Divina Scuola abbia mai avuto o conosciuto, nel corso della sua millenaria storia” spiegò. “Anche se questo é ancora tutto da dimostrare. E ti confesso che nemmeno lo volevo, il titolo di successore. Anche se anch'io lo desideravo ardentemente. Non ho chiesto io di diventarlo. Quel che so...quello che so per certo é che nostro padre ha preso la sua decisione, e se ha stabilito così avrà avuto le sue buone ragioni. E io non voglio assolutamente tradire la fiducia che ha voluto dimostrare nei miei confronti. Ha fatto la sua scelta, e io voglio essere degno di tale scelta.”

Fece un breve scatto del polso e lo gettò a terra, mezzo metro più avanti.

“E sono sicuro di un'altra cosa” aggiunse. “Che qui, se c'é uno che non merita il titolo di successore, di sicuro quello sei tu. Non sei degno di tramandare la Divina Arte. Perciò é ora che tu la smetta, con questo tuo ridicolo e assurdo atteggiamento. Una volta per tutte.”

“E adesso vattene!” Gli intimò. “Và fuori di qui!”

“T – tu...tu...” balbettò Jagger, ormai fuori di sé e con gli occhi quasi completamente fuori dalle orbite. “Tu...maledetto...”

“Vattene!!” Ripeté Kenshiro, con voce ancora più decisa. “Bada che é il mio ultimo avvertimento, sappilo. Vattene, o sarà tanto peggio per te.”

Detto questo, si voltò e gli diede le spalle.

Jagger stava sul punto di esplodere.

Quel pezzo di merda non lo stava nemmeno più guardando in faccia, dopo averlo lanciato.

Evidentemente non lo stava nemmeno ritenendo degno di incrociare il suo sguardo. E nemmeno di stare al suo livello.

Aveva ragione. Aveva sempre avuto ragione, su tutta quanta la linea.

Lo aveva sempre detto lui, che quella mezza sega non aveva mai avuto i requisiti. E non solo per la scarsa abilità.

Neanché mezz'ora che era stato nominato successore, e già era lì che stava cominciando a montarsi la testa.

Beh...avrebbe provveduto lui a fargliela riabbassare subito, sia la cresta che la cresta. Seduta stante.

A costo di staccargliela di netto dal collo. Così non avrebbe avuto più nulla da alzare o da montare.

Aveva commesso un grave errore, a non dargli il colpo finale. E a girarsi.

Scattò in piedi, e alzò il braccio con l'intento di colpirlo da dietro.

“Bastardo!!” Urlò. “Come osi? Come cazzo hai osato, eh? Io ti ammazzo, capito? Ti ammazzo! E quando sarai mort...”

L'ingiuria gli morì in gola.

Non fece a tempo a poggiare il piede destro per terra che una fitta di dolore gli partì dalla rotula e da lì si propagò in un lampo a tutto quanto il ginocchio, facendogli cedere l'articolazione e sbilanciandolo in avanti.

Cercò di rimanere dritto , ma la testa gli girava e vorticava dandogli un senso di nausea.

Alzò la faccia e vide che Kenshiro si era voltato di nuovo, e questa volta gli stava ancora di fronte.

Solo che...

Solo che la sua espressione era totalmente cambiata.

Era furente, adesso. Le sue nere e folte sopracciglia erano aggrottate, e i denti scoperti e serrati in un ringhio.

Non erano più solo denti. Erano paragonabili a fauci come quelle di un lupo famelico e assetato di sangue e di carne umana.

“Lo hai voluto tu!!” Grido. “ATAH!!”

Sferrò un diretto e lo centrò in piena faccia, tra la bocca ed il setto nasale.

“AHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAH!!”

Una tempesta di pugni investì Jagger in pieno, squassandolo da capo a piedi.

Decine e decine di segni delle prime due nocche e della falange prossimale gli comparvero sugli abiti e sulle parti scoperte della pelle, come un tatuaggio. O come un marchio impresso a fuoco.

“OOH...ATAH!!”

Con un ultimo, terrificante montante Kenshiro lo fece sbalzare dall'altra parte della stanza, facendogliela attraversare in volo.

Il corpo inerte del suo avversario si schiantò contro il muro opposto, scendendo lentamente fino a stramazzare seduto.

“Argh...AARGH!!”

Nenache mezzo secondo più tardi le ossa del cranio iniziarono a deformarglisi, prendendo a contorcersi con un rumore a dir poco raccapricciante.

La testa gli si gonfiò come un palloncino, con lo strato di derma soprastante che ribolliva e si agitava come creta o cera molle.

“AARGHH!!”

La chiara cute del cuoio capelluto iniziò gradatamente a tendersi e a gonfiarsi come e peggio di un tamburo, tirata sino all'inverosimile, coi bulbi e i follicoli che si aprivano e si dilatavano tutti quanti all'unisono.

Buona parte e metà di ciò che vi era impiantato e che vi si trovava sopra si diradò e si sfoltì per poi cadere, mostrando e mettendo a nudo e allo scoperto quel che loro natura erano da sempre chiamati a coprire e celare.

Jagger si afferrò la regione temporale con entrambe le mani, nel tentativo di porre fine o almeno mitigare in parte quel supplizio così atroce e quei dolori così lancinanti.

Senza riuscirci, però. Almeno a giudicare da come si stava agitando, senza sosta e senza pace.

Stava sgambettando come un autentico forsennato. Doveva essere veramente insopportabile.

 

HOKUTO SHINKEN HACHIMON KUDAN.

 

IL COLPO FATALE DELLE OTTO PENE CAPITALI E DELLE NOVE ROTTURE.

 

Detto anche LA TORTURA DELLE OTTO AGONIE E DELLE NOVE LACERAZIONI PERMANENTI.

 

La conoscevano bene entrambi. Sia chi l'aveva usata, sia chi la stava suo malgrado subendo.

Non era una delle tecniche più potenti della Divina Scuola, ma di sicuro era una delle più famigerate. E terribili. Al punto che la si utilizzava solo contro coloro che si erano macchiati di crimini gravissimi, e che avevano usato la Sacra Tecnica dell' Orsa Maggiore per compiere il male. E per uccidere degli innocenti, versando sangue inerme.

Secondo l'anatomia e la medicina cinese, i nervi del corpo umano sono tarati e progettati per recepire otto tipi diversi di dolore.

In altre parole, l'essere umano può arrivare a provare otto tipi di sofferenza differenti.

Perché non sono le azioni di un torturatore, di un boia o di un aguzzino a provocarli. Ma il sistema nervoso centrale.

Il dolore più grande...lo provoca il corpo stesso.

E agendo su particolari e determinati tsubo, diventa possibile far provare questi dolori senza dover mettere sotto torchio o ricorrere a strumenti di offesa o di sevizie.

Venire tagliati dalla lama di una spada o dal filo di un coltello. Oppure trafitti, o impalati dalla punta acuminata di una picca o di una lancia.

Pressati in una morsa fino a finire stritolati. Oppure schiacciati per un arto, una generica parte del corpo se non addirittura per intero da una roccia, da una lastra di pietra o di qualunque altro materiale spesso e duro. E di decine o addirittura centinaia volte più pesante, rispetto a ciò su cui sta abbattendo di schianto.

Oppure una parte del corpo che viene cavata, strappata o asportata mediante l'ablazione violenta per mezzo di un paio di pinze o di tenaglie.

O finire gravemente ustionati dal fuoco più vivo, oppure dal ghiaccio più gelido. O dalla lava. O dall'olio bollente dopo esservi stati immersi. Lentamente, sino a che la pelle non si distacca.

Scuoiati o scorticati, parzialmente oppure interamente. Anche a suon di secche quanto rapide scudisciate o frustate. Fino a rimanere ridotti come un ammasso di carne sanguinolenta, con i tessuti nudi e vivi che bruciano a contatto con l'aria e le ossa che inesorabilmente seccano e diventano aride, ritrovandosi esposte direttamente al sole.

Si narra che sia come ardere vivi senza nemmeno il bisogno di venire buttati direttamente in una pira o in un rogo.

Le stesse fiamme che si provano quando si viene infettati da una febbre altissima di origine virale, oppure dovuta a un'infezione batterica. Con l'unica differenza che ci si sente bruciare dentro.

Come quando si viene dilaniati e divorati da un cancro o da un'altra malattia incurabile, con le membra che si assottigliano sempre più. Come succhiate, masticate ed ingerite da una bestia sempre vorace e mai sazia.

E il venire investiti da una scossa elettrica, o magari colpiti da un fulmine. Con il torace che si paralizza, e con esso vengono bloccati sia il respiro che il battito cardiaco. E così si muore soffocati, d'asfissia, mentre i muscoli si irrigidiscono fino quasi a spezzare il bianco e spugnoso sostegno che avvolgono e contengono tra essi, custodendolo quasi come un tesoro.

Le cronache storiche narrano che alcuni esponenti della Divina Arte delle Sette Stelle, non particolarmente interessati ad utilizzare il proprio pugno per offendere o per ragioni di tipo marziale ma piuttosto per migliorare le loro pratiche ascetiche e contemplative, arrivarono addirittura al punto di utilizzare tale tecnica su sé stessi.

Come suppellettivo e coadiuvante per la propria mortificazione fisica e spirituale. Per avere un aiuto in più, ed insieme una via più semplice e rapida per trascendere.

Arrivavano ad un passo dall'impazzire, e a perdere quasi del tutto il proprio senno, pur di poter raggiungere lo scopo che si erano prefissati.

Perché erano convinti, in cuor e nella mente loro, che se fossero riusciti ad accettare e ad accogliere tutto quell'immane dolore avrebbero potuto raggiungere la soglia. Il breve ma intenso tratto che collegava la terra delle anime a quella degli uomini. Il mondo dei vivi a quello dei morti.

Un assaggio del paradiso. A cosa si arriva e si é disposti a fare, pur di poterlo ottenere.

L'impero cinese decise persino di omaggiare questa tecnica creando l'orrido supplizio del LING – CHI.

La terribile MORTE DEI MILLE TAGLI, che faceva ammutolire solo chi si azzardava a nominarla di sfuggita, zittendoli giusto un istante prima di farla emergere a punta e fior di labbra.

I malcapitati che la subivano arrivavano a non avere nemmeno più la forza di urlare, poco prima che spirassero.

O forse fu proprio la tecnica di Hokuto a trarre ispirazione e spunto da quella pratica così orribile e immonda.

Difficile, stabilirlo con chiarezza. La verità si perde nella notte dei tempi e nelle tenebre dei miti, insieme a tutte le altre storie troppo ributtanti perché valga la pena rievocarle o rimembrarle.

Quel che é certo é che le due cose condividevano lo stesso, medesimo, agghiacciante epilogo.

Dopo aver provato tutti e otto i diversi tipi di dolore, il corpo della vittima era destinato a esplodere smembrandosi in nove parti esatte. Come se nove catene di ferro o di acciaio munite e dotate di ganci o di rostri acuminati penetrassero tutti insieme nelle sue carni, e che subito dopo si mettessero a tirare ognuno nella propria direzione dalla quale era giunto e venuto, fino a farlo a pezzi.

Ma quest'ultimo passaggio non doveva essere per forza consequenziale. Era il maestro o il combattente che l'aveva usata, a decidere ciò.

Era lui a stabilire se la cosa dovesse avvenire in automatico oppure no. Se la tecnica dovesse completarsi da sola e per conto proprio al termine della tortura, o che ci dovesse pensare lui stesso con un ultimo e decisivo colpo. Che giunti a quel punto suonava quasi come un favore, sollevando il proprio avversario da tutta quell'inumana sofferenza.

Si accoglieva la morte come una vera e propria liberazione.

Proprio come facevano quei monaci solitari e anche un poco pervertiti di cui si faceva cenno poc'anzi, dotati e caratterizzati da un'insana passione da una spiccata predilezione per l'auto – lesionismo e il sadismo nei confronti di sé stessi.

Loro si fermavano alle otto sofferenze. Anche se era capitato, se pur di rado, che a qualcuno sfuggisse il controllo. O che venisse tutto preso da un eccesso a dismisura di masochismo.

Provavano piacere in ciò che facevano. E allora andavano fino in fondo, ammazzandosi con le loro stesse mani.

O magari chissà...forse quel che si erano auto – costretti a passare era talmente spossante e stremante che desideravano solo venirne prontamente sollevati, raggiungendo così la pace e l'oblio eterni.

Jagger stava patendo le pene dell'inferno. Ma nonostante stesse seguitando a contorcersi, era ancora vivo.

Kenshiro non aveva fatto ancora ricorso all'ultima parte della tecnica.

Forse voleva riservarsi per sé stesso quell'ultimo, estremo piacere. O forse riteneva che fosse semplicemente giusto così.

Si avvicinò a quella sottospecie di macchia di proto – plasma umano a cui ormai aveva ridotto il più giovane tra i suoi tre fratelli più grandi, e si mise ritto davanti a lui.

“Ooeerghhll...n – no, t – ti pphrreghooohh...” biascicò Jagger, mettendogli le sue mani davanti ed esponendo il ventre in segno diresa, come facevano certi animali selvatici. “Ooglahhh...n – non...mi huc...non mi huccc...non mhi ushidereee, ti schlongiuhroohhh...ah...ahbbih piehtàaaahhh...aahhiuthamiiihh...aahiudahmiiihh, t – ti phhlregooohhh...”

Il ragazzo rimase sordo alle sue suppliche, pur non godendosele affatto. Non quanto avrebbe sperato, almeno.

Non stava provando piacere, a differenza di chi gli stava di fronte se soltanto i ruoli si fossero potuti ribaltare anche solo per un breve, brevissimo istante.

Non voleva vendicarsi. Stava facendo solo giustizia.

Giustizia, e basta, Tutto qui.

“Tu ti sei mai soffermato a sentire le invocazioni di coloro che uccidevi?” Gli chiese.

“C – coohshaahh?!” Fece l'altro, incredulo.

“So che lo hai fatto” gli disse. “Lo so bene. Lo hai già fatto. Ti é già capitato di uccidere, in passato. E di versare anche sangue innocente, in certi casi. Le tue mani ormai ne hanno addosso l'odore, anche quando non ne sono macchiate. Ebbene...gli hai mai dato retta? Hai mai voluto dare retta alle suppliche delle tue vittime, mentre ti imploravano di risparmiare loro la vita?”

“O ti sei mai fermato a udire le mie?” Continuò. “Quante volte...quante volte ti ho detto di smetterla, Jagger? Quante? Quante volte ti ho detto perché mai volessi farmi del male e mi odiassi così tanto, eh? O quante volte mi hai costretto a domandarmi e a domandarti perché mai dovessi sopportare tutte quelle tue angherie, e cosa avessi mai fatto per meritarle? Quante, quante volte mi sono chiesto e ti ho chiesto perché mai tu ce l'avessi così tanto con me, e perché mai tu continuassi a maltrattarmi nonostante io non ti avessi mai fatto nulla?!”

“Quante volte?!” Ribadì. “Rispondi!!”

“I....hio...”

“Io ti ho sempre voluto bene, nononstante tutto” gli confidò. “Perché sei mio fratello maggiore, e ti ho sempre rispettato anche quando non lo meritavi affatto. E nonostante tu non mi abbia dimostrato mai nulla. Ti ho sempre tenuto in considerazione, anche se non mi hai voluto dimostrare la benché minima unghia od oncia di affetto. Forse sono stato l'unico per cui tu abbia davvero contato qualcosa, qui dentro. Nonostante tutto. E nonostante tu mi abbia ripagato in questo modo. Ma ora...ora basta.”

“Ora basta” ripeté. “Non voglio più stare ad ascoltarti. Stavolta sono io, che non ti ascolto più.”

Alzò il pugno destro e se lo portò all'indietro, oltre la spalla, pr caricare il colpo finale.

“Muori” sentenziò.

Lo fece partire, e il movimento e lo spostamento d'aria furono a dir poco poderosi. E portentosi. E spaventosi, pure.

Il braccio fendette lo spazio che separava le nocche dal suo muso, tagliandolo in due, e gli scompigliò quei pochi capelli che gli erano ancora rimasti attaccati tra fronte e nuca.

Jagger chiuse gli occhi. Si vide spacciato, con le ossa della faccia ridotte a frantumi ed in purea.

Non avvenne. O, meglio...si limitò ad accadere all'interno della sua testa. E del suo cervello marcio.

Aveva già visto la sua fine. La sua morte imminente. Ma essa...non arrivò.

Non era avvenuta.

Riaprì gli occhi. E vide il pugno a giusto un paio di millimetri dalla sua fronte.

Il pugno di suo fratello, che si era leggermente rannicchiato per meglio raggiungerlo. E per meglio colpirlo.

L'aria che lo circondava adesso era calma, immota.

A quella distanza gli sarebbe stato sufficiente anche solo liberare ed espandere il proprio spirito combattivo per stimolare ed attivare uno tsubo qualunque situato tra quelli più in prossimità, per farlo scoppiare e ridurlo in pezzi e a brandelli. Ma Kenshiro aveva deciso diversamente.

Aveva deciso di non fare neanche quello. Ma volle avvertirlo e metterlo in guardia ugualmente, sulle sue intezioni. Fosse anche solo per fargli capire come sarebbe andata, e cosa aveva davvero rischiato.

“Saresti già morto...” gli rivelò. “Avrei potuto ammazzarti, se solo avessi voluto.”

Ripiegò la mano e la rimise lungo il fianco, recuperando la posizione eretta.

Adesso era calmo, esattamente come l'aria attorno a lui.

Fece un lungo respiro, esalando a pieni polmoni.

“Sai...” gli confidò, “...nostro padre mi aveva avvertito, al momento della nomina. Mi aveva messo in guardia, e subito dopo aver fatto di me il nuovo reggente. Mi aveva detto che sarebbe potuta finire così. Anzi...che sarebbe finita senz'altro così. Mi aveva rivelato che i primi contro cui avrei dovuto combattere, una volta diventato successore...sarebbero stati proprio i miei fratelli maggiori. Mi aveva prenannunciato che voi sareste stati i miei primi avversari. E che il primo sangue che avrei dovuto versare, per celebrare l'evento...sarebbe stato proprio il vostro.”

“E sai cosa gli ho risposto, io?” Continuò. “Gli ho detto, gli ho promesso che mai e poi mai avrei combattuto contro di voi. E che mai e poi mai avrei combattuto e incrociato i miei pugni o li avrei alzati contro uno di voi, indipendentemente dalla ragione. E che mai e poi mai avrei versato una sola goccia del vostro sangue. Perché lo considero IL MIO STESSO SANGUE, nonostante tutto. Ebbene...tu sei stato il primo che mai ha fatto quasi dimenticare il mio giuramento.”

“Ho detto QUASI” precisò subito dopo.

“E adesso...vattene, Jagger” gli intimò poi. “Sparisci. Via di qua. Non sei degno di tramandare la Divina Arte!!”

Il diretto destinatario di quell'esortazione così accorata era a dir poco incredulo.

L'aveva scampata. Era sopravvissuto. L'aveva fatta franca.

Aveva avuto un vero colpo di sfortuna, ad inciampare. E proprio sul più bello. Solo così quel verme aveva potuto coglierlo di sorpresa e colpirlo a tradimento. Ma...

Ma il cielo non aveva permesso che lo uccidesse.

Era chiaro, adesso. Era fin troppo chiaro.

Era lui. Era lui, il predestinato. Era lui, il legittimo successore. Non quell'insetto.

Dal volto deforme e ancora mezzo riparato dalle mani fuoriuscì una sorta di mugolio convulso. Una specie di breve muggito, di gorgoglio mugghiante che nel giro di una breve manciata di attimi si tramuto in una risata. Una risata di trionfo.

“Mhmhmh...eheheheheh...ah, ah, ah, ah...AHAHAHAHAHAHAHAHAH!!”

Era come pensava. Era proprio come pensava. Come aveva sempre pensato.

Non funzionava. Non aveva funzionato neanche stavolta.

Quell'incapace non era stato in grado di far funzionare la tecnica. Aveva appreso le mosse del Divino Pugno delle Sette Stelle in maniera raffazzonata e superficiale, ma non era ancora in grado di sviluppane e metterne a frutto gli effetti più letali. E non ne sarebbe mai stato in grado.

Perché aveva il cuore troppo tenero, oltre che un'abilità limitata.

La risata divenne omerica.

“AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH!!”

Si rimise in piedi anche lui, senza smettere di tenersi la testa con una mano.

“Ah ah ah...sei un idiota!!” Gli urlò dietro, indicandolo a dito. “No sei altro che un idiota!! Un povero stronzo incapace e buona a nulla, capito? Hai perso l'attimo giusto ancora una volta! Hai sprecato l'unica occasione che avevi per potermi battere! E stà pur certo che non te ne darò mai più un'altra! Ormai conosco le tue mosse, e la prossima volta che ci affronteremo ti ammazzerò, chiaro? Ti ucciderò senza alcuna pietà, sappilo!!”

“Vattene, Jagger” gli ripeté Kenshiro, senza nemmeno più girarsi a guardarlo. “Và via, ho detto. Ti conviene andartene, prima che io cambi idea. Te l'ho detto. Non farmi pentire della decisione che ho appena preso, o altrimenti sarà peggio per te.”

“Ah, ah!! Idiota!!” Ripeté a sua volta l'altro, senza neanche starlo a sentire. “E' come pensavo! E' proprio come pensavo! Tu non hai il coraggio di uccideermi! Tu non hai il coraggio di uccidere tuo fratello! Tu non hai il coraggio di uccidere nessuno dei tuoi fratelli! Non hai il coraggio di fare nulla, capito? Tu non sei degno di tramandare la Divina Arte di Hokuto! Non ne sei degno!!”

Kenshiro non disse più nulla. Era solamente tempo e fiato sprecato. O almeno era questo, ciò che doveva aver dedotto.

“Ricorda queste mie parole, lurido bastardo e figlio di puttana che non sei altro!!” Gli gridò ancora dietro Jagger. “Tieni bene a mente quel che sto per dirti! Un giorno ti ammazzerò con le mie mani, chiaro? Ti ammazzerò sicuramente!!”

E disparve, correndo oltre la porta dalla quale era sopraggiunto, rimasta aperta per tutto quanto il tempo. Rasentando lo stipite per poi urtarlo violentemente, dopo aver percorso il breve tratto che lo separava da esso con passo incerto ed alquanto barcollante. E zoppicando e barcollando in maniera sin troppo vistosa, a più riprese e ad ogni pié sospinto, pur sforzandosi comunque di mantenere lo stesso modo tronfio e supponente di quando aveva messo piede lì dentro.

Il giovane rimase con lo sguardo tenuto fisso sul muro davanti a sé, seguitando col suo silenzio.

Ormai era troppo lontano. Jagger si trovava troppo distante perché potesse attivare l'ultima parte e fase del colpo che aveva impiegato poco prima.

L' HACHIMON KUDAN funziona solo a distanza ravvicinata. Quanto basta ad un essere umano per sentire con chiarezza la voce di un suo simile che gli sta parlando e che si sta rivolgendo a lui. O poco più.

Alzò di nuovo il pugno destro, con un gesto lento e studiato. E lo poggiò sulla parete, proprio nel punto dove sino ad un attimo prima si trovava la testa del suo aggressore.

Sull'uomo che aveva chiamato fratello. E che ancora lo chiamava fratello, visto che nonostante tutto continuava a ritenerlo tale.

Il tocco delle sue nocche fu lievissimo, appena pecettibile. Ma sufficiente ad aprire e generare una fitta ragnatela di innumerevoli crepe che si sparsero tutt'intorno al punto d'impatto.

La rabbia che lo aveva animato e mosso sino a poco fa era totalmente sparita.

Come se fosse evaporata. E aveva lasciato il posto a un'enorme quanto insondabile tristezza.

Era finito in balia del lato peggiore di sé stesso. Facendo l'esatto contrario di quanto avrebbe dovuto fare.

Dovrebbero essere la tristezza e l'afflizione a creare la forza e la furia. Non l'opposto.

Il suo incarico di nuovo reggente cominciava male. Nel peggiore dei modi.

Due lacrime gli scesero dagli occhi, furtive.

“Ha ragione lui” disse, con voce rotta. “Ha pienamente ragione Jagger. Non sono altro che un idiota.”

Era inutile. Non riusciva a odiarlo. Non gli riusciva proprio, di odiarlo. Indipendentemente da quello che gli aveva fatto. E che gli aveva sempre fatto.

Non quanto avrebbe dovuto, almeno. Non quanto gli sarebbe servito per fare ciò che doveva fare.

Ciò che sarebbe stato giusto e corretto fare, nella sua posizione. Nella posizione che ormai occupava e ricopriva.

“E avevate ragione anche voi, padre” continuò. “Non sono che uno sciocco. Nient'altro che uno stupido sciocco.”

“Ma...” aggiunse, “...va bene così. Può andare bene anche così, per ora. Mi avete insegnato che un vero maestro non si deve mai tirare indietro, anche quando non ha alcuna possibilità di successo. Ma un giorno...un giorno riuscirò anche a vincere, ve lo prometto.”

Alzò il pugno stretto e chiuso e se lo portò davanti al proprio viso, serrandolo ulteriormente.

“Può andare anche bene così” ribadì a sé stesso. “Almeno per ora. Ma un giorno vincerò anch'io” proclamò. “Ve lo giuro, padre mio.”

Aveva sconfitto suo fratello. Lo aveva letteralmente surclassato. Eppure...sentiva lo stesso la sconfitta.

Sentiva lo stesso di aver perso. Di non aver vinto. Ma un giorno...

Un giorno avrebbe vinto. Un giorno, in futuro, avrebbe vinto anche lui.

Ne era certo. Più che certo.

Un giorno sarebbe toccato anche a lui, di vincere.

Finalmente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

E' passato un beeeel po' di tempo dalla mia ultima pubblicazione. Ma adesso...Redferne é tornato in pista!!

Ormai suonerà come una scusa, ma ho avuto di mezzo i soliti impegni. Ed oltre a ciò...un piccolo contrattempo. Sempre legato alla mia passione.

In quest'ultimo periodo sono alle prese con una storia che mi sta particolarmente a cuore, la cui stesura é cominciata addirittura a prima del periodo estivo.

E se ci riesco, vorrei riuscire a pubblicarla la sera della vigilia di Natale, dato che di quello si occupa.

Inoltre, riguarda un personaggio che ho amato e che amo molto tuttora. E l'ultima volta in cui mi sono occupato di lui, sono rimasto scottato.

Quasi bruciato, direi. Ma ora é giunto il tempo di riaffrontarlo.

Un paio di mie illustri colleghe (che considero anche carissime amiche) avranno già capito di chi sto parlando.

Di “Rocky” Joe Yabuki, il protagonista di quel capolavoro immortale di ASHITA NO JOE.

E' tornato a farmi visita, dopo una lunga assenza. E ho realizzato una one – shot che vorrei tanto postare la notte del 24 Dicembre.

Ce la farò? Spero vivamente di sì. Anche perché, in caso contrario, mi tocca aspettare il prossimo Natale!!

Mi sono reso conto che per l'argomento trattato, posso postarla solo quel giorno. Anzi, quella notte.

Incrociamo tutte le dita di mani e piedi...

Ma adesso torniamo a questo capitolo.

Finalmente tornano a volare un bel po' di mazzate, com'era prevedibile. Anche se il finale é davvero amaro.

Non sembra che il nostro Ken abbia vinto, nonostante abbia surclassato quell'idiota di Jagger.

Spero vi piaccia.

Inoltre, provo a fornire una spiegazione della follia di Jagger. Che in un certo senso sta alla base anche della follia di Raoul (anche se lì si tratta di corruzione dell'animo, più che del cervello. Ma per alcune filosofie di stampo orientale l'anima ha dignità di organo, quindi...) e della malattia sia di Toki che di Ryuken.

Insomma, padroneggiare la Divina Arte di Hokuto per un mortale non é uno scherzo. E le conseguenze psico – fisiche possono essere devastanti.

Ma non lasciatevi ingannare...Jagger era già pazzo sin dal principio, secondo me!

E la tecnica di Hokuto non ha fatto altro che accelerare ed accentuare un processo già in atto da tempo.

Prima di chiudere, un grazie di cuore a Devilangel476, Kumo no Juuza (presto proseguirò con la tua storia, promesso!) e a vento di luce per le recensioni dell'ultimo capitolo

Ed un grazie speciale ad un'amica che sono stato lietissimo di ritrovare.

Ad innominetuo, per la valanga di recensioni. E per essere tornata da queste parti.

Forse esagero, ma...mi sei mancata.

E come sempre, un grazie di cuore a chiunque leggerà la mia storia e vorrà lasciare un parere.

Grazie ancora a tutti e...alla prossima!

 

See ya!!

 

 

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 16

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Nnngghh...”

Non si era ancora ripreso appieno.

Anzi...proprio per niente.

Gemeva e mugolava ad ogni passo, arrancando vistosamente.

Ogni metro, ogni centimetro gli causava uno sforzo enorme, immane.

Grondava di sudore, e la testa gli doleva in maniera a dir poco insopportabile.

Purtroppo le capacità di cui disponeva e l'allenamento a cui lo aveva sottoposto suo padre avevano fatto sì che non rimanesse ucciso. Ma nemmeno un allievo di Hokuto era esente ed immune dal fuoco incessante del dolore, purtroppo. La arti della Sacra Scuola non potevano donargli conforto e metterlo al riparo da esso. Specie se era stata proprio una delle sue tecniche, a causarlo.

Aveva gli occhi letteralmente fuori dalle orbite, quasi in procinto di uscirsene fuori dalla loro sede naturale da un momento all'altro.

Aveva la vista offuscata. Di rosso. Del rosso acceso e scuro del sangue che con tutta quanta la probabilità gli si stava rimestando nella sottile linea di spazio che separa la materia grigia dall'osso.

E non doveva essercene rimasto poi molto, di quello spazio. Dato che aveva come l'impressione che si facesse via via sempre più stretto, da quelle parti.

Lo sentiva, quello sciabordio continuo così simile alla risacca del fiume o di un torrente.

Lo sentiva eccome. Non sentiva più altro. E non sapeva per quanto tempo avrebbe ancora resistito a quella pressione allucinante.

Da lì a poco gli sarebbe colato tutto quanto fuori dal naso e dalle orecchie. E dai bulbi, dopo averli sradicati con la violenza del suo getto.

I pugni di quel grandissimo pezzo di merda gli avevano quasi fatto uscire il cervello.

La parte sinistra della faccia gli si era tutta gonfiata. Ma adesso che l'effetto stava svanendo, poco per volta aveva finito col riassumere le dimensioni normali. Almeno dal punto di vista esteriore.

Dentro era rimasto tutto uguale. La scatola cranica lo aveva tenuto fermo e al suo posto, ma continuava a spingere. A pulsare. E a schiacciare.

La fronte e la nuca erano come in fiamme. Li sentiva ardere.

Era una sorta di fitta continua, con lampi più acuti in corrispondenza di qualche battito cardiaco più intenso, quando la pressione sanguigna tendeva a farsi più alta con improvvisi quanto acuti picchi.

Proprio come si diceva capitasse ad alcuni cani di razza bastarda ma anche no, quando diventavano anziani. Al punto che bisognava sopprimerli.

Lo sapeva perché glielo aveva spiegato un tizio che aveva conosciuto durante una delle sue scorribande. Uno completamente fuori di testa, in fissa sempre e solo coi cani.

Ogni volta non parlava che di quello. E di quelli che aveva dovuto far abbattere. Con estremo rammarico e con la morte nel cuore, tra un mare di lacrime.

Ogni fottuta volta, perché era estremamente affezionato ad ognuno di loro. E li trattava come e meglio dei figli, dato che sosteneva che un cane sa essere ben più di un figlio. Perché é e resta fedele per sempre, e non tradisce mai.

Non gliene fregava un cazzo, a lui. Quelle stupide bestie dovevano essere tutte bastarde. Dalla prima all'ultima. Morte o vive che fossero.

Quanto lo era il figlio di puttana che gli aveva fatto questo bel regalino. Questa bella croce che adesso si era ritrovato a portare indosso sul groppone.

Il capo gli prese a vorticare, e lo assalì un'ondata di nausea.

Si tenne il volto con una mano, stringendo piano con la punta delle dita in corrispondenza degli zigomi e dei muscoli adibiti alla mimica facciale, mentre distendeva l'altra come a voler fare a tentoni. Alla pari di un cieco o di uno che tenta di avanzare nelle tenebre più fitte e spesse.

Quell'idiota d'un cinofilo s'intedeva di medicina, però. E aveva fatto radunare tutti i migliori veterinari della regione, nella sua banda. O almeno quelli che gli era riuscito di rimediare, o che erano rimasti ancora in vita dopo l'olocausto nucleare.

Non era certo come mettersi a consulto con un medico o un chirurgo, ma in mancanza di meglio...poteva andare.

In fin dei conti quel tizio, Galf o come diavolo all'anima sua si chiamasse, gli doveva un favore.

Un giorno lo aveva coperto durante una rovinosa ritirata, e poi si era diretto al quartier generale della gang rivale e aveva fatto piazza pulita. E da quella volta in poi nessuno si era più permesso di invadere il loro territorio per occuparlo, dato che ormai sia lui che i suoi uomini si potevano considerare sotto la sua diretta protezione.

Sulla ricompensa la questione era rimasta in sospeso. Ma adesso era giunto il momento di riscuotere.

Su ordine del loro capo, quei cerusici per animali da quattro soldi gli avevano realizzato una sottospecie di protesi.

Una maschera contenitiva realizzata con fettucce e pezzi di gomma e caucciù ricavati da coppertoni di auto e camere d'aria di bicicletta. Annodati gli uni alle altre sino a formare un reticolo. E tenuti insieme ed assicurati da apposite fibbie e cinghie sistemate sulle estremità.

Almeno in teoria tutto quell'armamentario avrebbe dovuto permettere al gonfiore di espandersi quanto bastava, e al contempo tenere insieme quel che restava del suo volto. Nella pratica...non stava poi funzionando quel gran che.

Gli avevan spiegato che era roba di fortuna, realizzata in quattro e quattr'otto. Ed in genere applicata ai cani dopo un'operazione interna o ai tessuti molli, per impedire che si formi troppo tessuto di stampo cicatriziale, col rischio di compromettere le funzioni o la mobilità piena della parte interessata.

Ma lui non era affatto un cane. Anche se di recente lo avevano trattato proprio come tale.

Peggio, addirittura.

Pazienza. Non poteva fare altro che resistere, per ora. E pazientare. E anche darsi da fare e riorganizzarsi, che lui non era certo quel genere di persona da starsene a rimuginare troppo a lungo con le mani in mano.

Era in preda alla rabbia, e aveva una gran voglia di sfogarsi su qualcuno.

E al momento, in tal proposito...non faceva distinzioni di sorta. Così come non aveva preferenze in particolare.

Chiunque sarebbe andato bene. Anche il primo che gli fosse capitato.

Quel pensiero contirbuì a consolarlo e farlo sentire sollevato, almeno in parte.

Un uomo normale nelle sue condizioni sarebbe già morto, come minimo. E nel migliore dei casi avrebbe perso per sempre il senno e la ragione. Ma lui no.

Quella era la prova. La prova che cercava. Da tempo.

La prova definitiva.

Che ci provasse, che si azzardasse ancora qualcuno a dire che lui non era il degno successore della Divina Arte dell' Hokuto Shinken.

Chi altri, chi mai avrebbe potuto tollerare e sopportare una tale sofferenza senza avere alcuna sorta di ripercussione dal punto di vista mentale e fisico? Senza dare di matto o entrare in stato catatonico o vegetativo, oppure senza rimanere paralizzato e inerte?

Presto glielo avrebbe dimostrato, a quel bastardo.

A quel figlio di un brutto cane rognoso e di una lurida scrofa.

Ma adesso come adesso non poteva ancora riaffrontarlo, per ottenere la giusta quanto meritata e sacrosanta rivincita.

Non era ancora giunto il momento.

Che si vantasse pure della sua più recente vittoria. Che tanto per essa, contrariamente a quanto potesse pensare, non aveva alcun merito.

Aveva avuto un puro colpo di fortuna, e basta.

Era scivolato. Non era pronto, e quello ne aveva approfittato.

Aveva giocato sporco, come tutti gli schifosi vigliacchi della sua risma.

Che se la tenesse pure, quella convinzione. Non gli costava nulla, lasciargliela.

E che rimanesse pure a crogiolarsi con il suo titolo di successore fasullo e fittizio.

Nell'attesa del loro nuovo duello, che avrebbe decretato senza alcun dubbio ed in modo insindacabile il vero erede di Hokuto e cioé LUI, una volta per tutte...

Nell'attesa di ciò gli avrebbe fatto capire e scoprire che c'era un'altra cosa in cui eccelleva suo fratello maggiore, oltre che l'innata abilità con le tecniche del Sacro Pugno della Stella del Nord.

C'era un'altra cosa, in cui non eveva praticamente rivali e non era scondo a nessuno.

Il rancore.

Se ne sarebbe accorto ben presto. E aveva già un bel paio di ideuzze, a riguardo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si trovava seduto su di una lussuosa poltrona, con lo schienale ed il sedile foderati entrambi in finissimo quanto prezioso velluto color della porpora.

Era pigramente adagiato, con gli arti superiori piegati e poggiati interamente sui larghi braccioli.

Sembrava stesse letteralmente sprofondando, in essa.

Lo stesso discorso valeva per le gambe, piegate anch'esse ad angolo retto e completamente spalancate.

Nel loro mezzo c'era una persona, di spalle e inginocchiata.

Una donna. Una fanciulla. Lo si poteva perfettamente capire dalle spalle piuttosto muscolose e tornite, nonostante i lineamenti morbidi ed affusolati tipici delle femmine.

In un'epoca del genere, per riuscire a sopravvivere, nemmeno le donne potevano fare a meno o rinunciare alla prestanza e alla forza fisica.

Era fuori questione. Anche se dovevano ed erano costrette a mascherare il tutto sotto procaci e formose curve, se volevano risultare appetibili agli avventori e agli esponenti del sesso opposto. E talvolta anche del proprio, se pagavano bene. O se non riusciva a rimediare di meglio, in certe circostanze. Che l'importante, ciò che contava davvero, era di riuscire a riempire la bisaccia o di mettere qualcosa sotto ai denti.

Farsi riempire una spanna più sotto, davanti oppure di dietro. O parecchie più sopra, in modo da riempirsi poi la pancia. O le tasche. Di roba da mangiare o che fosse commestibile, ovviamente. Che col denaro in monete o banconote, nel secondo caso, ti ci potevi giusto pulire il culo o asciugarti la fica, dopo una pisciata o una cagata di quelle belle grosse. Oppure, nella prima tra le due versioni ed opzioni appena previste, usarle come oggetto contundente per sfracellare e spaccare il cranio a qualcuno. Dopo averle raggruppate in un apposito mucchietto per poi avvolgerle e racchiuderle opportunamente in un sacchetto, in un calzino o in uno straccio. O magari come armi da lancio, a mano o con una tirasassi, per centrare dritto dritto in mezzo alle palle degli occhi qualche stronzo.

Farsi farcire. O farsi riempire la bocca per permettersi poi di riempirla con qualcosa d'altro. La propria e quella dei propri cari e dei propri figli. Della rispettiva prole e famiglia.

Non potevano farne a meno e nemmeno potevano concedersi il lusso di sottovalutarlo o sottostimarlo, quell'aspetto.

Non potevano assolutamente trascurarlo o pigliarlo sottogamba. In particolar modo se avevano o sviluppavano l'intenzione di guadagnarsi da vivere a quel modo. Che era spesso diffuso, più diffuso di quanto si pensi. E spesso più preferibile e desiderabile dello starsi a spaccare la schiena e il culo al lavoro nei campi. Al punto che molte, specie se erano giovani, belle e carine, sceglievano quella strada e quella via di proposito, e di propria spontanea volontà.

Non tutte venivano prese e subivano abusi contro al loro volere. Non bisognava credere a tutto quel che si diceva e che si sentiva in giro. Anche se lo stupro era ancora un'attività bella fiorente e diffusa.

Colpa dell'epoca, che sembrava favorire ed incitare gli aspetti più ferini e bestiali dell'uomo.

Ci si accoppiava spesso come gli animali, e senza nemmeno andare in calore o aspettare la stagione riproduttiva e degli amori.

I maschi adulti viaggiavano e vagavano con la testa piena di nebbia e fumo per l'alcool, le droghe e per l'ormone a mille. Con i muscoli, i nervi e i tendini tirati e il cazzo bello duro. E le palle piene.

Con l'adrenalina che scorreva libera nelle vene. E persino nell'uretra e nei dotti collegati ai testicoli, forse. Sempre insoddisfattti e inappagati nonostante avessero appena finito di scannare o trucidare qualcuno, oppure che fossero usciti reduci o indenni da una battaglia o un assalto sanguinario terminato con la morte e lo sterminio sistematico dei nemici. E la successiva decimazione di eventuali superstiti.

Non gli bastava mai. Nemmeno le orge a base di violenza e sbudellamenti a cui erano soliti lasciarsi andare e trasportare. Dovevano anche celebrare la fine di ogni massacro con un'altra orgia. E questa volta a base di sesso.

Vivevano con la voglia ardente e perenne di infilarlo dentro a qualcuno. Che si trattasse di un'arma o di qualche oggetto contundente nelle carni. Oppure del loro membro turgido e virile.

Era come stare in uno stato di copula, di eiaculazione perenne.

La prostituzione spontanea stava tornando lentamente in auge e in voga. Come ogni volta nei tempi difficili e di crisi. E già iniziava a comparire e a fare capolino quella organizzata e industrializzata, persino.

Pienamente comprensibile. Così come gli schiavi per la forza lavoro, anche le puttane andavano salvaguardate e mantenute il più possibile. Non era più concepibile l'idea di ucciderle dopo essersele scopate, come si faceva agli inizi. Altrimenti, presto o tardi, non ce ne sarebbero state più.

Bisognava cercare di farle durare. E più a lungo che si potesse. Ognuna di loro.

L'essere umano é certamente una risorsa finibile. Ma se ben amministrata, non si esaurisce tanto presto.

Certo, fare quella professione e quella vita equivaleva a sprecarsi, a buttarsi via. E coloro che la praticavano e la percorrevano si sarebbero ben presto ritrovate a finire avvizzite e sciupate come e peggio delle vecchie. Perché non era affatto un godersela, contrariamente a quanto si possa credere.

Ma considerando le malattie, la durezza delle condizioni sociali, la fame, la sete, le pestilenze e spesso anche le botte, le denutrizioni e le sevizie pure in ambito strettamente famigliare...forse beccarsi uno che te lo vuol mettere nel culo in cambio di un po' di cibo, di un regalino o della proposta di diventare la sua amante temporanea o permanente non doveva poi essere la cosa peggiore che ti doveva capitare nell'arco di un'intera giornata.

E alla fanciulla in questione stava andando veramente fin troppo grassa.

Le era capitata una di quelle occasioni ghiotte, ghiottissime. E adesso stava a lei sfruttarla al meglio.

Il cliente era uno di quelli esclusivi e selezionati.

Il meglio del meglio. Ricchissimo, importante, e pure bello.

Bellissimo.

Che diavolo...con uno così avrebbe pagato lei, per starci. Se non fosse che di ciò che aveva da parte un bella fetta gliel'aveva data in tangente al suo pappone e di riflesso al magnaccia che stava sopra di lui. E quel poco che aveva avanzato lo aveva impiegato per comprarsi il vestitino che adesso stava sfoggiando, anche se dalla posizione che stava tenendo non é che si vedesse poi questo gran che.

Si era agghindata di tutto punto, per l'appuntamento e per il lavoretto che doveva fare. Anche se il capo doveva essere minimo di quarta o di quinta mano, e la stoffa ad un'occhiata più attenta appariva lisa e consunta in più punti.

Doveva appartenere a qualche sua collega finita morta ammazzata, senza dubbio. Magari perché aveva voluto fare la furba, o aveva provato a ribellarsi perché era stufa.

L'ultima ad averlo indossato prima di lei, s'intende. Perché quel vestito era già passato attraverso parecchie mani, come minimo. E doveva averne avute ben parecchie di proprietarie. Numerose almeno quanto lo dovevano essere i cazzi che aveva preso ognuna di loro, lei compresa.

Aveva messo pure la collana e gli orecchini. Vecchi cimeli appartenenti ai suoi genitori, quando erano in vita.

Paccottiglia di nessun valore, in quel mondo. Ma che contribuiva senz'altro a donarle un aspetto più gradevole.

Quando non li riesumava, cosa che accadeva di rado, se li teneva nascosti nel didietro. Almeno quando non doveva usarlo come pista di atterraggio per uccelli.

Ma in genere transitavano ben poco, da quelle parti. Non dopo che l'ultimo che ci aveva provato e osato si era preso i vermi.

E meno male che le era riuscito di convincere il gorilla fuori dall'improvvisata stanza da letto che quel bastardo voleva farsela ancora una volta. Una in più di quanto avesse pattuito, e per quel che aveva pagato.

Lo avevano accoppato, il figlio di puttana. Giusto un istante prima che facesse la stessa cosa con lei, dopo aver scoperto che bel regalino gli aveva lasciato sulla punta della cappella.

Avrebbe voluto mettergli qualcosa nella parte anteriore, giusto per contraccambiare. Ma non il suo uccello, questa volta.

Una bella roncola. Un gancio di metallo arrugginito, per poi sventrarla dal di dentro. Ecco il bel progettino di quel gran pezzo di merda di un sifilitico.

Mors tua, vita mea. Se i suoi capi avessero scoperto che teneva le larve nel sedere si sarebbe ritrovata lei, a galleggiare in una pozza composta del suo stesso sangue.

Era riuscita ad ingannare tutti, ed era ancora la più richiesta. Ed era per questo che l'avevano scelta.

E lei, ora...stava dando del suo meglio, senza risparmiarsi. Perché le avevano raccomandato che il tipo in questione era davvero molto esigente. E capriccioso.

La sua testa si stava alzando ed abbassando ritmicamente, variando la velocità ed alternando tra l'estremamente lento ed il decisamente rapido.

Cercava di seguire le spinte delle pelvi da parte di chi gli stava di fronte, che in genere col passare dei minuti si facecavo via sempre più insistenti ed insistite. Sempre più continue ed involontarie, mano a mano che andava avanti a succhiare. Fino a che non traboccava, per spurgare e riversare all'esterno tutto il liquido caldo e viscoso appositamente pasturato nelle palle, con una piccola aggiunta proveniente dalla prostata con vescicole seminali annesse.

Era sempre così. Quando raggiungevano l'acme, toccavano il limite, erano come dighe che rompevano gli argini e allagavano tutto il territorio circostante come in un'onda di piena.

In fin dei conti gli stupidi uomini, gli stupidi maschi, erano così semplici da sedurre, far eccitare e far venire.

Potevano diventare violenti, brutali e feroci quanto volevano, ma cedevano sempre di fronte alle arti femminili del sesso. Bastava che glielo prendevi in mano, lo agitavi un attimino e poi, quando diventava bello rigido, te lo cacciavi in mezzo o dentro a qualche parte di te stessa che erano già lì che non capivano più niente. Fosse anche tra le gambe e basta.

Aumentò ancora il ritmo e prese a pompare più forte, stando bene attenta all'imminente reazione.

Quando arrivavano ad inarcare la schiena e a dare un'ultima e profonda spinta di bacino...ecco, quello era il momento. Il momento in cui il cliente cominciava a spruzzare e schizzare come una pistola ad acqua, ed il momento in cui lei in genere si scostava.

Non le piaceva molto ricevere il getto in gola o in faccia. E non lo faceva mai, a meno che non fosse il cliente a volerlo e chiederlo espressamente. Afferrandogli la testa con una o entrambe le mani e costringendola a restarsene dov'era mentre lei cercava di allontanarsi.

Ma qui non era successo ancora nulla. In tutti i sensi.

Le mani del tizio se n'erano rimaste al loro posto, e così il busto.

Da lui non stava provenendo nulla, nonostante si stesse mettendo d'impegno. E al massimo delle sue forze e possibilità, che se riusciva a soddisfar uno così e a diventare la sua preferita, sarebbe stata a cavallo.

Sarebbe stata fatta, e si sarebbe sistemata per il resto della sua vita.

Ma l'impresa si stava rivelando molto più ostica e difficile del previsto. E dire che era partita lanciata e bella convinta.

Nessuno le aveva mai resistito così tanto. Nessuno le resisteva. Né a lei, né alla sua abilità e tecnica sopraffina.

Nei pompini era un'assoluta maestra, tant'era vero che si era messa ad insegnare persino ad un paio di colleghe più giovani, in cambio di una parte dei loro guadagni giornalieri. Anche se non aveva certo insegnato loro tutto, per evitare che le potessero fare troppa concorrenza.

Ma qui...la faccenda non quadrava.

No, c'era decisamente qualcosa che non andava.

Non sentiva un gemito. Non un fremito. E nemmeno un sussulto.

Alzò leggermente la testa. E si accorse troppo tardi del tremendo errore che aveva appena fatto e commesso.

Eppure glielo avevano detto.

Le avevano detto ed espressamente raccomandato di non guardarlo mai negli occhi, neppure per un singolo istante.

Perché secondo lui c'era solo una persona, solo una donna al mondo che poteva permettersi di farlo.

E quello, a detta degli organizzatori del loro incontro intimo, era l'unico modo in cui quel tipo riusciva a provare un minimo di piacere e uno straccio di soddisfazione sessuale.

Il pensare che chi gli stava sotto fosse proprio quella persona. Quella donna. Anche se non lo era, e non avrebbe mai potuto esserlo.

Ma era fondamentale, estremamente ed assolutamente essenziale che i suoi occhi non incrociassero mai quelli della meretrice di turno. Altrimenti...

Altrimenti l'incanto e l'inganno si sarebbero spezzati. La magia e l'incantesimo, sciolti. La breve e fugace illusione, difinitivamente rotta.

Si sarebbe accorto e reso conto che non lo era. Che non era lei.

Che non era quella donna. E che mai avrebbe potuto esserlo.

Abbassò subito il capo, riprendendo a fare di buona lena quel che stava facendo. E tirò un breve ed imprecettibile sospiro di sollievo, dato che la sua bocca era troppo occupata per effettuare quell'azione.

Aveva intravisto poco, pochissimo. Ma quel che aveva notato era stato più che bastante. E sufficiente.

Di solito, durante una pratica sessuale di stampo orale, viene istintivo e naturale alzare la faccia per vedere se quello o quella a cui glielo stiamo ciucciando o gliela stiamo leccando sta godendo. O se sta provando qualcosa. Specie se vediamo che non arriva nessuna risposta, alcun segnale.

E nel loro specifico caso...da un bel po' aveva come la sgradevole impressione di succhiare un ciocco o un pezzo di legno.

E comunque, quel che aveva scoperto con quella fulminea sbirciata le aveva confermato in pieno i suoi sospetti e timori.

Non stava facendo una piega. Un'assoluta piega.

Non faceva altro che rimanersene immobile, con lo sguardo perso e fisso in avanti e verso l'orizzonte a scrutare chissà cosa.

Appariva distratto, pensieroso. Con l'aria completamente annoiata e passiva.

Ma non importava. Era sicura che mancava poco. Ancora cinque minuti e ce l'avrebbe fatta a farlo eiaculare.

Non esisteva, che non ci riuscisse. Ma non esisteva proprio. Ce l'aveva sempre fatta a partare a termine l'incarico e la missione, in quel senso. E neance questa volta sarebbe stato diverso o differente.

Sentì una leggera pressione sulla sommità della nuca.

 

Ci siamo, pensò.

 

Anche stavolta aveva protato a casa il risultato. Punto, gioco e partita. E a quanto pare...

A quanto pare lui era uno di quelli che VOLEVA.

Poco male. In fin dei conti era da tanto che non capitava. Una bella sorsata o innaffiata di sperma caldo ci poteva anche stare.

Avrebbe retto e sopportato lo schifo ed il disgusto, pensando al lauto guadagno che le avrebbe assicurato quel lavoretto eseguito a regola d'arte e così di fino.

Ma le cose non andarono affatto come aveva pensato ed ipotizzato.

La pressione appena sopra l'osso temporale si fece più forte ed insistente. E dopo quache istante, decisamente dolorosa. Ed inoltre non la stava guidando verso il basso, verso il suo membro, ma piuttosto dalla parte esattamente opposta.

“Mhphah?!”

Le scappò fuori quel che stava ingoiando, dopo quel lamento quasi sorpreso. Le aveva privato la bocca del suo più recente e carnoso contenuto. Dell'ultima, intima preda.

La stava costringendo a rialzare la testa. E lei non poté fare altro che obbedire ed assecondare quel movimento, dato che si sentiva la zona compresa tra le tempie e le orecchie andare a dir poco in frantumi. E avrebbe potuto giurare a sé stessa che ci mancava davvero poco. Pochissimo.

Doveva dar retta a quel pazzo. Ma in che razza di bordello si era cacciata?

Tirò su gli occhi, e...lo vide. E capì.

Capì che le cose avevano preso davvero una brutta, bruttissima piega. E che si stavano mettendo decisamente male.

Malissimo.

Non era durato che una manciata di decimi di secondo, il loro scambio visivo. Eppure...eppure se n'era accorto. L'aveva notato.

L'aveva scoperta. Sorpresa a sbirciare.

Il suo volto era lo stesso bellissimo, nonostante fosse alquanto arcigno ed accigliato. Contornato com'era da tutti quei capelli lunghi e biondi, disposti a raggiera che parevano fili e spighe di grano baciati dal sole nascente, talmente brillanti da eguagliare l'oro più puro. Ma la sua espressione era cambiata, adesso.

Da annoiata e piena di ignavia che era, adesso ne aveva assunta una decisamente diversa. Che trasudava sdegno, condanna e riporvazione da ogni poro. E ira.

“Basta” le disse con tono freddo, meccanico ed impersonale. “Smettila. Non c'é bisogno che tu vada avanti oltre. E' inutile. Del tutto inutile!!”

“Ma...”

“Si” le ribadì. “Hai capito bene, sciocca femmina. E' proprio come ho detto. Non mi stai facendo provare nulla. E' noioso. Tanto varebbe che lo ficcassi dentro a una bistecca, o a qualunque altro pezzo di carne. Non vali niente. Nemmeno uno dei miei beni spesi. La tua tecnica fa schifo, semplicemente schifo! Fai vomitare!!”

La ragazza fu colta alla sprovvista, da quell'offensivo commento che insieme voleva essere anche un'amara constatazione.

Nessuno aveva mai osato mettere in dubbio le sue capacità. Per quanto infami, erano l'unica cosa per cui era conosciuta e rinomata nella zona. L'unico motivo di vanto e di orgoglio, per quanto infimo. L'unica cosa per cui la sua inutile ed insulsa vita valesse qualcsa.

E adesso, quello stronzo...quello stronzo le aveva levato pure quello.

Non aveva più nulla, ora.

Si divincolò ripetutamente e si mise ad agitarsi nel tentativo di liberarsi. Dapprima con una serie di rapidi movimenti e scatti del collo, con la coppia di tendini centrali che le si erano irrigiditi facendosi di nerbo, come due fruste nodose. E poi aiutandosi con le mani, afferrando con entrambe quella che la stava tenendo imprigionata.

“Nngh!!”

Niente da fare. Non ci fu nulla da fare. La presa di quel tizio era di ferro. Una morsa d'acciaio.

“So cosa ti stai domandando, sgualdrina” le disse l'uomo. “Con ogni probabilità ti starai chiedendo perché non sto provando piacere, vero? Ti starai chiedendo perché non provo piacere come tutti gli altri clienti che hai avuto prima di me, giusto? Come tutte le altre bestie che hanno approfittato del tuo misero corpo!”

“Vorresti sapere cosa mi farebbe provae piacere, per caso?” Le chiese poi. “Rispondi! Basta che annuisci e che mi fai di sì con la testa. Non serve che parli.”

Le strinse ancora di più il capo con le dita, e la ragazza obbedì prontamente eseguendo l'inquivocabile gesto che le aveva appena richiesto.

“Molto bene” le fece l'uomo. “Vorrà dire che ti accontenterò subito.”

Alzò il braccio rimasto libero tenendo il gomito ad angolo retto e a novanta gradi esatti.

“Hmmm...”

Ne allineò poi le quattro falangi tenendole strette strette tra loro e col pollice quasi a chiuderle, tenuto torto in egual ampiezza e misura del braccio se por in scala ridotta. Quasi come a voler formare la punta perfettamente levigata e triangolare di un grosso quanto puntuto scalpello.

“Uhn!!”

Espirò ed eseguì quindi un gesto rapidissimo, quasi impercettibile. Ed un istante dopo le dita di quella mano si immersero nel corpo tremante della donna, alla base della gola, per fuoriuscire dall'altra parte.”

Crearono e diedero vita ad un foro netto, pulito. Non una sola goccia di sangue era stata versata, o aveva sporcato.

“Dopo un rapporto orale in genere si passa all'amplesso vero e proprio” Commentò sarcastico lui. “Stimolare i genitali con la lingua serve ad eccitare e a prepararli per l'atto finale. Forse avresti voluto che ti penetrassi con qualche altra parte. Con qualcosa d'altro. Ma...devi sapere che a me piace così.”

Ritrasse la mano, subito dopo quel commento. Ed il buco, rimasto libero e sgombro, si riempì subito di rosso rubino liquido a compensare il vuoto, la mancanza. Come una gengiva subito dopo aver subito l'ablazione e la rimozione di un dente cariato, per via chirurgica. Ed in maniera alquanto violenta e brusca, forse perché eseguita da una mano poco sicura ed inesperta.

Gli occhi della fanciulla erano rimasti spalancati e sgranati per l'orrore. Anche se era difficile stabilire con certezza se fosse ancora viva. Non con una ferita del genere ad abbellirla.

La vita doveva esserle stata strappata via nel momento stesso in cui era iniziata la copiosa emorragia.

Dava l'impressione che stesse contemplando la propria morte. La sua stessa morte.

Già da morta, con tutta quanta la probabilità.

“Vuoi sapere cosa mi piace?” le ribadì. “Ecco, quel che mi piace. Vedere lo stupore e la sorpresa sul tuo volto, brutta puttana che non sei altro. Mentre ti rendi conto che le cose non sono andate affatto come avevi sperato. E calcolato.”

La mollò anche con l'altra mano. E come a confermare il sospetto appena enunciato e spazzare via ogni dubbio relativo ed in merito, la fanciulla si accasciò su di un fianco. Riversa. Ed esanime.

Una pozza scarlatta si allargò e si propagò sotto al suo vestito.

“Hm” fece l'uomo, sarcastico. “Alla fine...ti ho comunque penetrata con qualcosa, no?”

Portò davanti a sé la mano che aveva appena terminato di impiegare per compiere quel gesto così efferato.

Era anch'essa intonsa, candida. Quanto lo era la ferita orrenda che aveva provocato nel corpo della prostituta. Almeno sino ad un secondo prima di tirarla fuori da lì.

Il suo volto si incupì, mentre ne osservava con calma le dita ed il palmo. E la tristezza parve assalirlo di colpo, a giudicare dalla smorfia prodotta dai suoi lineamenti e dall'inarcarsi delle sopracciglia a voler formare una volta di estremo disappunto.

Era inutile. Una volta non sentiva che l'odore del sangue, ma adesso come adesso non gli rusciva più di percepire nemmeno quello.

Si sentiva come un guscio vuoto, un contenitore da cui avevano riversato fuori tutto quel che c'era dentro.

Era come se si stesse gradatamente quanto inesorabilmente allontanando dal suo corpo. E così anche dal suo spirito, dall sua anima.

Si sentiva come estraneo, fuoriuscito da sé stesso.

Nessuna riusciva più a soddisfarlo, ormai. Neanche tra quelle più navigate e prezzolate.

Per forza. Una volta che scopri la bellezza di un vero, puro, e autentico diamante...

Una volta che hai la fortuna ed insieme anche la dannazione di scoprire il tesoro più bello che c'é, che vi può essere a questo mondo...tutte le altre gemme e pietre preziose perdono valore e lucentezza.

Non diventano che bassa bigiotteria. Paccottiglia. Pietruzze colorate, e nulla più.

Avesse potuto avere chi voleva, chi diceva lui...

Avesse potuto avere, possedere LEI...

Anche se non vi era affato il bisogno di possederla, per goderne.

LEI era una di quelle, era la sola che lo avrebbe fatto godere unicamente con la sua presenza.

Sarebbe bastato solamente averla vicino e a fianco per sentire l'equivalente di un orgasmo.

Un orgasmo duraturo, perenne, continuo. Senza erezione e senza la necessità di sfograsi eiaculando, come al termine del sesso.

A ormai non poteva più averla. Non era più sua. Non gli apparteneva più.

Anzi...non lo era mai stata, sua. Non gli era mai appartenuta.

LEI doveva servire a scopi ben più alti che a placare il desiderio egocentrico di un solo individuo. Per quanto forte, bello e potente.

LEI doveva servire a riportare l'equilibrio tra le due forze che con la loro danza e battaglia incessante governano e gestiscono l'intero universo.

Udì una voce.

“Sire!! Sire!!”

L'uomo guardò nella direzione da cui l'aveva sentita provenire, per capire di chi fosse e a chi appartenesse. E non dovette passare molto tempo prima che la sua curiosità venisse soddisfatta, al contrario della sua libido.

Quello era un discorso assai più complicato.

“Sire!!”

Uno dei suoi sgherri. Uno di quelli a cui oggi toccava il servizio di sorveglianza e di corveé, invece che di ricognizione e pattuglia.

Funzionava a giorni alterni. Aveva equamente ripartito e suddiviso i ruoli, in modo che ognuno di loro non potesse dare origine e credito a rancori o eventuali rivalità con la scusa di sentirsi escluso e messo da parte. E in modo che si potessero specializzare in ogni cosa, e nelle medesime cose senza fare distinzioni di sorta.

“Sire!!” Urlò ancora il soldato, mentre procedeva a passo spedito verso di lui. “Tutto...tutto bene? Perdonate la scortesia, ma mi é parso di sentire un gran trambust...oh!!”

Si zittì, subito dopo quell'esclamazione di sorpresa, non appena vide il cadavere a terra.

“Questa puttana mi ha deluso” gli disse il suo signore. “Sbarazzatene. Portala via. Non la voglio più vedere. E questa reggia deve rimanere pulita.”

Il sottoposto si mise sull'attenti.

“Si...signorsì, Vostra Maestà!!”

Portalo ai beccai del piano seminterrato” gli ordinò l'uomo. “Che ci pensino loro.”

“A – agli ordini.”

“Solo...” aggiunse, subito dopo. “...Assicurati che non se ne rimangano per conto loro con lei. Quelle bestie non fanno distinzioni da morti e vivi. Per quelli, qualunque cosa abbia fattezze anche solo umane va bene. Anche se non valeva niente da viva e men che meno da morta, i morti meritano comunque rispetto. Non lasciare che nessuno la oltraggi, o ne risponderai direttamente a me! E con la tua vita, sono stato abbastanza chiaro?!”

“S – si, V – vostra Maestà.”

“Solo io posso disporre delle vite e dei corpi di chi risiede qua dentro, e di chi occupa le mie terre” dichiarò il sovrano. “E nessun altro! Tienilo bene a mente!!”

“Si, mio signore.”

Il soldato prese la povera salma con la massima delicatezza di cuii poteva usfruire e disporre un bruto quale era, e se la caricò sulle spalle.

Si mise comunque a digrignare i denti, mentre si allontanava e dava le spalle al suo capo.

Lo temeva, ma non tanto ed abbastanza da non lasciargli la libertà di manifestare il suo feroce disappunto.

Stando bene attento a non farsi scoprire, però.

Guai, a guardarlo dritto e direttamente negli occhi. Soprattutto se si alzava con l'umore di traverso e più nero dei suoi furori. E la luna storta. Per motivi tutti suoi, e che si guardava bene dal rivelare agli altri in modo che potessero per lo meno stare più attenti, e fare in modo di evitare comportamenti che lo potessero irritare in qualche modo e dar libero sfogo al suo istinto omicida.

E quella stupida che adesso portava sulle proprie spalle e sul proprio groppone a peso morto in quanto tale era, doveva aver fatto decisamente quello per fare la fine che aveva appena fatto, e venire ridotta a quel modo.

Sua Maestà quel modo di fare lo mandava su tutte quante le furie. Lo interpretava come un gesto di sfida. Di ribellione. E a memoria sua ne aveva ammazzati tanti da quando lui si trovava e aveva preso posto fisso lì, alle sue dipendenze e al suo servizio. E anche per molto meno di così.

Adesso, poi, da qualche tempo aveva pure preso il brutto vizio di ucciderle brutalmente dopo ogni servizietto o sveltina.

Chissà...forse era il suo modo di eccitarsi. O di venire.

Esistono malati di mente e psicotici che riescono a sborrare solo quando accoltellano, squartano o sventrano qualcuno. Specie se si tratta di una donna. Meglio ancora se bella.

Per loro, evidentemente, equivale a farsi una bella chiavata e ad infilare il cazzo in fica.

Brutto affare, comunque. Almeno, fino a quelche tempo prima, quando Sua Maestà aveva finito di sollazzarsi con la pupattola di turno si limitava ad allontanarla o a cacciarla, disgustato e sdegnato. Spesso dopo averla schiaffeggiata, insultata e picchiata.

Quello era il massimo della violenza che si concedeva. E a lui, e a tutti gli altri che insieme a lui formavano e davano vita al battaglione, uno dei tanti che costituiva il suo pressoché sconfinato esercito, la cosa andava bene così. Più che bene.

Perché almeno le lasciava comunque malconce, ma ancora vive. E quindi...potevano approfittarsene pure loro, mentre le portavano via prima dal castello e poi dal regno.

Se le lavoravano ben bene. Con calma e senza fretta alcuna. Che tanto c'era posto, tempo e spazio per tutti.

E loro ci stavano, uh se ci stavano. Non potevano fare altrimenti. Perché se no se ne finivano sgozzate o passate a filo o a punta di lama.

E tutto sommato, da come la poteva vedere lui...meglio prendersi qualche uccello in più nella bernarda, in culo o in bocca che beccarsi un coltello o un pugnale in gola e nel gargarozzo.

Tra il soffocare per via del proprio sangue o dello sperma d'altri...meglio il secondo. Almeno puoi remprimere lo schifo, ingoiare e mandare giù. Male che vada, puoi vomitare subito dopo.

Lì, almeno, forse ti puoi salvare.

Era come prendere gli avanzi. Loro erano come un branco di iene che si nutrivano e si sfamavano sgranocchiando e spolpando i resti e le carogne che gli lasciava il leone, il Re della foresta.

Però erano resti, avanzi e carogne di prima scelta e qualità.

Ad avercene.

E comunque, la pacchia era finita. Ed era durata ben poco. E proprio quando la cosa iniziava a farsi divertente, e stavano cominciando a prenderci l'abitudine e a farla diventare un sano vizio.

Magari quel gran bastardo del loro signore aveva preso a farlo pure apposta, perché vedeva che si stavano divertendo troppo. E li voleva tutti quanti perennemente repressi ed incazzati almeno quanto lo era lui.

Sempre, vita natural durante.

Ogni volta così, quando ci si metteva a seguire il più forte. E pre forza di cose ci si metteva a sottostare ai suoi capricci.

Ogni volta così, in quell'epoca dannata e maledetta.

Tocca accontentarsi. Ed arraffare quel che si può, finché si può.

Si fotte. Fino a che non si viene fottuti, un giorno o l'altro.

Certe volte stava prendendo a convincersi che Dio, o chi per esso, aveva inventato l'intero universo al solo scopo di pulircisi il suo enorme, sconfinato, vecchio e rugoso culo.

E non poteva che essere così, vissto che aveva la sua stessa età. Anzi...visto che esisteva già da parecchio prima, stando a quanto dice qualche predicatore mezzo suonato che va ancora in giro a voler diffondere il sacro verbo in mezzo alla barbarie, continuando ad essere convinto di stare invariabilmente nel giusto.

Dio ci si dev'essere pulito il culo, con l'universo. E la Terra dev'essere senz'altro la sua macchia, il suo spruzzo di merda marrone più grosso sul pezzo di carta igienica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'uomo dai capelli biondi si decise ad alzarsi dalla lussuosa poltrona.

Nel fare ciò, le sue spalle si infilarono sotto il mantello che stava poggiato sulla parte superiore dello schienale.

Era bianco, quasi perlaceo. Il colore dell'avorio. Ad abbellirlo ed impreziosirlo vi erano tutta una serie di intarsi e ricami dorati.

Era l'unico capo d'abbigliamento che indossava, in quel momento. Per il resto era completamente nudo.

Il lineamenti dei muscoli risaltavano sotto la luce solare e del giorno. Piuttosto sottili e fini, ma perfettamente cesellati e scolpiti.

Rimase ad ammirare il panorama che si estendeva oltre la balconata, ed osservò i suoi possedimenti, i cui confini giungevano ed arrivavano fin oltre la distanza che può raggiungere l'occhio umano. Persino i suoi.

Non aveva limiti. E nemmeno se ne poneva. Eppure tutto gli appriva e gli sembrava vuoto. Inutile. Privo di qualsiasi senso.

Nulla lo soddisfava.

Senza LEI, senza di LEI...nulla aveva senso. Nulla poteva averlo.

Avrebbe dovuto, avrebbe fatto meglio a rassegnarsi. Ma non ci riusciva.

Non riusciva affatto a farsene una ragione, anche se in cuor suo sapeva che era giusto.

Che era giusto così. Che doveva per forza essere giusto così.

Ma la mente non gli obbediva. E csì pure l'orgoglio.

Non obbedivano, a quei precetti. Non ne volevano sapere di quei comandamenti, se pur inviolabili.

Eppure ne era consapevole.

Era conscio che LEI era essenziale per mantenere lo staus quo. Senza il quale l'intero modo sarebbe sprofondato nel caos e nelle tenebre.

L'ultimo grande condottiero ed il prescelto.

La rappresentante vivente, la reincarnazione della natura stessa, della Grande Madre da cui discendono tutti gli elementi e tutte le creature volanti e viventi da cui l'uomo ha attinto, imparato ed appreso per creare e sviluppare tecniche di combattimento invincibili.

E il successore, il reggente e depositario della tecnica assassina più letale che esista. Il frutto perfetto di quasi duemila anni di storia dell'evoluzione umana. Un racconto costellato di sangue e violenze, con ben pochi barlumi di vera intelligenza.

Uomo e natura che si reincontrano e si ricongiungono vicendevolmente.

Il Grande Carro ed il Grande Mestolo.

L' Orsa Maggiore e la Croce del Sud.

Uomo e donna.

Luce e buio.

Il Dio della morte e la Dea della vita.

Yin e Yang.

Hokuto e Nant...

“Mio signore! Mio signore!!”

L'uomo si girò.

Che altro c'era, adesso?

Cos'altro ci poteva mai essere ancora, quel giorno?

Un altro dei suoi soldati. Già prostrato, messo su di un ginocchio e pronto a riferire.

“Che succede?” Gli domandò il Re. “Parla. Ti ascolto.”

“M – maesta!!!” Balbettò il guerriero. “S – siamo...siamo sotto attacco!!”

L'uomo da capelli lunghi e biondi lo guardò perplesso. Un lieve smorfia di stupore comparve sul suo volto impassibile, mentre aggrottava le sopracciglia con aria incredula.

“Mh? Sotto attacco, hai detto?”

“Ehm...s – si, M – maestà!!” Gli conferò l'altro. “S – si tratta d – di...di un...di uomo.”

“Un uomo?”

“S – si, V – vostra M – maestà. U...un uomo. Un uomo solo. Un uomo ha fatto irruzione nei nostri territori. Ha sfondato la barriera di Sud – Est. E'...ha un aspetto d – deforme. S – sembra sfigurato, mio Sire. O – orribilmente! E avanza a fatica. M – ma...ma ha una tecnica micidiale! I...i n – nostri soldati non sono in grado di fermarlo! E...E i miei c – compagni...i miei compagni sono morti! Tutti morti!! C – come se fossero ESPLOSI!!”

“Esplosi, dici?”

“S – si, V – vostra Maestà! V – ve lo giuro! Ve lo p – posso giurare sulla mia stessa vita! E'...é stata una cosa agghiacciante! I – i loro c – corpi...i loro corpi si sono squartati, sventrati per proprio conto! Quell'uomo li ha fatti letteralmente a pezzi! L – li ha...li ha smembrati, uno dopo l'altro! Li ha...li ha fatti tutti quanti a brandelli, come se fossero scoppiati direttamente dall'interno! Come se avessero una bomba dentro alla pancia!! I – io...io sono l'unico ad averla scampata! Sono l'unico sopravvissuto!!”

“Hmm...”

Il sovrano parve riflettere e riordinare le idee per qualche istante. Ma non fece ugualmente una piega. Per il semplice fatto che conosceva bene gli effetti in questione. Così come conosceva cosa era in grado di scatenarli. O meglio...la tecnica che era in grado di scatenarli.

Sapeva fin troppo bene di cosa stava parlando il suo sottoposto. Però...

Però era strano. Anche se ultimamente aveva preferito rimanersene piuttosto defilato e sulle sue per motivi del tutto privati e personali, fino ad adesso non aveva mai avuto problemi con quella scuola. E neppure col suo reggente. Tanto meno coi suoi allievi.

Il maestro di quella disciplina ed il suo, il sommo Fugen, erano pure amici di lunga data.

Lui, dal canto suo, aveva preferito mantenere le distanze e tenere i rapporti piuttosto freddi. Ma non aveva mai dato alcun motivo per giustificare un attacco diretto al suo territorio e ai suoi possedimenti.

Era ora di vederci chiaro.

La voce tremante del soldato lo distolse dalle sue elucubrazioni, e ciò gli dette parecchio fastidio. Anche se decise di non darlo affatto a vedere.

“V – vi prego, V – vostra Maestà!!” Lo implorò quest'ultimo. “N – non...non sarei mai venuto a disturbarvi! N – non...non mi sarei mai permesso, se non fosse una questione della massima gravità e urgenza! M – ma...ma t – temo che solo v – voi, a questo punto...”

“Dici bene” lo interruppe il Re. “Solo io posso fronteggiarlo, chiunque egli sia. Non é decisamente roba per voi. Darò ordine alle truppe in zona di ritirarsi, e di limitarsi ad osservarlo e a contenerne l'avanzata sino al mio arrivo.”

“Ho...ho capito bene, Vostra Maestà?!” Fece il sottoposto. “Avete detto...a – avete forse detto che andrete a dare l'ordine p – personalmente?”

Il suo sovrano aveva deciso di scendere in campo di persona.

Avrebbe dovuto esultare, come minimo. Essere raggiante. Eppure...

Eppure non vi riusciva. Non gli veniva.

C'era decisamente qualcosa di strano, che non tornava. E di decisamente preoccupante.

Non gli piaceva. Non gli piaceva affatto il tono che aveva utilizzato in occasione della sua ultima frase.

E quella successiva non fece altro che confermare i suoi peggiori timori.

“Dici bene anche questo” affermò l'uomo dai capelli lunghi e biondi. “Andrò io, perché tu non uscirai vivo da qui. La tua strada termina dentro a queste mura!!”

“S – Sire!!” annunciò il destinatario di tale spietata sentenza. “M – ma...ma perché?!”

“Perché, mi dici? Hm. E me lo chiedi, anche? Osi pure chiedermelo? Non hai proprio un briciolo di decenza, razza di lurido animale! Credi che non lo abbia capito, il motivo per cui sei qui a riferirmi l'accaduto? Credi che non abbia capito il motivo per cui sei stato l'unico a salvarti! Perché sei fuggito a gambe levate, ecco perché! Sei scappato con la coda tra le gambe, approfittando del fatto che il nemico stava trucidando e facendo strage dei tuoi commilitoni! E stando così le cose, per me non sei altro che il migliore ed il più lesto quando si tratta di tagliare la corda! E al mio esercito non servono i vigliacchi! Preparati a morire!!”

Il soldato posò anche l'altro ginocchio a terra insieme ad entrambe le mani, genuflettendosi e mettendosi carponi.

“I – io...V – vi prego, V – vostra Maestà! Perdonatemi!!”

“Di cosa!!” Ruggì il suo sovrano.

“I – io...io n – non...io non lo so, Maestà! D – di...di qualunque cosa, ma perdonatemi, vi prego! Vi scongiuro! I – io non...non...”

“Ecco. Queste parole hanno già emesso la sentenza al posto mio. Ti sei appena condannato da solo, con quel che hai detto. Sei soltanto buono a chiedere ed implorare il perdono del tuo padrone, come il più irresponsabile, incapace ed infedele tra i servi!!”

Lo sgherro vide la propria morte imminente, in quelle parole. Poi alzò la testa e la rivide subito dopo, nello sguardo furente di chi gli stava davanti.

Tentò di giocarsi l'ultima carta, quella in cui di solito eccelleva ed era più bravo.

Si alzò di scatto e iniziò a correre come un forsennato, cercando di mettere in una manciata di secondi la maggior distanza possibile tra lui e quell'invasato.

Con la mente si vide già al di fuori di quel maniero, oltre la valle che lo conteneva ed oltre le montagne che la circondavano come un elegante quanto robusta e spessa cintura.

Libero. E vivo.

Ma la realtà fu ben differente. E a guastare quel panorama idilliaco ci si mise il suo signore e padrone, che gli si piazzò davanti nel bel mezzo della fuga interrompendogli e guastando sia la visione che il suo patetico tentativo di allontanamento. Irrimediabilmente.

Una fuga stroncata sul nascere, la sua.

Doveva aver spiccato un balzo nel momento stesso in cui aveva iniziato ad azionare e macinare le gambe.E gli era piombato proprio di fronte dopo aver effettuato un'acrobatica e funambolica piroetta a mezz'aria e sopra alla sua testa, fin quasi ad arrivare e toccare l'ampia volta del soffitto.

“Dove vai?” Gli disse il Re, sprezzante. “Dov'é che te ne staresti andando, hm?”

Il soldato si bloccò di colpo. Quasi incespiscò, per la brusca frenata.

“Hhh...ehm...hhh...”

Tentò di balbettare qualche confusa quanto bizzarra giustificazione che potesse levarlo dall'impasse. E salvare la sua vita, che gli appariva alquanto agli sgoccioli. Ma dalla bocca gli fuoriuscì unicamente un mormorio sommesso, un fiatare indistinto.

“Dove stava andando di bello, uno dei miei fidi soldati?” Gli domandò il sovrano. “E senza neanche prendersi la briga di accomiatarsi come si deve, per giunta. Cos'hai di tanto urgente ed importante da fare da non poter nemmeno perere un singolo istante a salutarmi? Per salutare a modo e come si deve il tuo sovrano? Dimmelo. E' un ordine!!”

“Te lo dico io” Gli rispose. “Nulla. E non c'é nessun posto dove tu debba andare. Proprio più nessun posto.”

Il soldato lo guardò con aria interrogativa, pur ben sapendo dove stesse andando a parare tutto il suo discorso. E pur sapendo anche cosa lo aspettava.

Ma fingersi tonto poteva rappresentare l'unica possibilità di scamparla, in quel momento.

Magari lo avrebbe mosso a pietà.Oppure lo avrebbe fatto ridere.

Se ti vogliono ammazzare e riesci a far vedere al tuo potenziale assassino dov'é che la cosa risulata tanto divertente, forse ti risparmierà.

Ma solo perché il più delle volte non si é ancora udita la frase che arriva immediatamente dopo.

L'ultima frase che si sente quando si é ancora in vita, prima di perderla del tutto.

La frase che di solito toglie qualunque speranza residua.

Ed anche questa volta non fu diversa. Né fece alcuna eccezione.

“Nessun posto” ribadì spietatamente il Re. “A parte L' Inferno.”

Dopo questa dovuta quanto fatale precisazione alzò il braccio destro e lo fece scattare in avanti, con un movimento talmente fulmineo da risultare praticamente impercettibile.

Le sue dita affondarono nel torace dell'uomo, al centro esatto di esso.

Penetrarono nella gabbia dello sterno e nella cavità del mediastino. E durante il loro tragitto schiantarono, spezzarono e sfondarono tutto quello che riuscì loro di incrociare.

Costole, tessuti, vasi sanguigni, il cuore. Tutto, fino a sfondare la schiena e a trapassarla uscendo dalla parte opposta, a fianco della colonna vertebrale.

Una gittata di sangue gli gonfiò la gola, soffocandolo.

Cadde a terra emettendo un cupo gorgoglio, ed il corpo si dimenò senza sosta in preda alle convulsioni giusto per qualche secondo, fino a bloccarsi del tutto.

Morì così, con le membra e gli arti rattrappitti per l'estremo sforzo causato dal trapasso e per il dolore. E per la fatica di dover contenere entrambi. Inutilemente.

Non si può resistere alla morte e alla sua avanzata. E neanche sfuggirgli.

Messo così pareva un insetto schiacciato. L'insetto che era stato stato da vivo, e l'insetto che era adesso dopo non esserlo stato più.

Vivo, s'intende.

“Morte agli inutili, ai vigliacchi e agli sconfitti” sentenziò con freddezza. “Queste sono le regole, qui. Queste sono le regole che vigono e valgono, nella mia città. E queste sono le regole che vanno rispettate ed osservate, se vi si vuol vivere. E continuare a farlo.”

La morte restituisce in pieno l'autentica essenza di ognuno.

Insetti. Nient'altro che insetti.

E ce n'erano ben due che avevano lordato il pavimento della sua dimora, quel giorno.

Pazienza. Qualcuno, tra gli innumerevoli servi di cui disponeva, avrebbe senz'altro pulito e riassettato il tutto, durante la sua assenza. Altrimenti, al suo ritorno, ve ne sarebbero stati ancora di più.

Ben più, di quei due.

Ma adesso era ora. Era giunta l'ora di andare.

Ora di sistemare l'altra faccenda. E di vedersela a tu per tu con l'invasore.

Nessuno poteva permettersi di invadere e di profanare il suo sacro territorio. Ma trattandosi del Pugno della Stella del Nord, occorreva andarci cauti. O vi era il rischio di scavarsi la fossa da soli, per proprio conto e con le proprie mani.

Magari voleva solo trattare, o parlare. In tal caso, se erano solo le parole che cercava, ne avrebbe avute quante ne voleva.

Ma se cercava lo scontro ed il conflitto diretto, beh...Hokuto o non Hokuto, se ne sarebbe finito anche lui bocconi e disteso ad avvelenare la terra col suo sangue lurido e marcio.

Meglio andare a controllare, in ogni caso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Vi sono mancato? No? Beh, pazienza. Mi dovrete sopportare lo stesso.

Ok, ironia a parte...voglio scusarmi per la LUNGHISSIMA assenza.

Purtroppo il tempo a disposizione é quel che é, e negli ultimi tempi ero stato impegnato con la one – shot su Ashita no Joe che ha finito per occupare tutte quante le mie ore libere.

E' stata lunga, faticosa e difficile. Sia dal punto di vista lavorativo che emotivo, perché uno come Joe non é mai un personaggio facile da trattare.

Ma la soddisfazione é stata immensa. L'avevo nel cassetto già da un po', e visto il tema trattato ci tenevo a pubblicarla assolutamente entro Natale.

E ora che finalmente ce l'ho fatta, e l'animo é di nuovo sgombro, sono finalmente pronto per ricominciare.

Prima mi sono disteso con una storiella breve ma carina su di un altro fandom, e poi mi sono rigettato subito a capofitto.

Ma prima di tutto...come va?

Spero bene.

Purtroppo in questi primi mesi abbiamo avuto l'ennesima riprova che non c'é limite al peggio, quando si tratta di esseri umani.

Come diceva un arcinoto cantante in una sua strofa...E QUANDO PENSI CHE SIA FINITA, E' PROPRIO ALLORA CHE COMINCIA LA SALITA.

E ciò mi sa che vale sia per le cose belle che per le cose brutte. Sia per il risollevarsi che per le difficoltà.

Sembra di essersi ritrovati in pieno revival di guerra fredda, con gente che improvvisamente riprende a esprimersi con concetti che sembravano morti e sepolti da decenni. In barba ed in spregio alla tanto sbandierata tolleranza e convivenza reciproche.

Non solo hanno avuto il coraggio (o la pazzia) di piantare in piedi un altro gran casino, come se quello in cui abbiamo sguazzato da un paio di anni a questa parte non fosse già stato più che sufficiente. Senza contare che non é ancora finita, nonostante i giornali di colpo non ne parlino nemmeno più.

Ci sarebbe da aprire un certo discorsetto sul fatto che così, a casa mia, NON E' FARE INFORMAZIONE. Ma lasciamo perdere.

Adesso rimettono in ballo uno spettro che per certi versi aveva proprio fatto la fortuna del manga e dell'anime che amiamo tanto.

Che cosa? Beh, é facile intuirlo.

Già all'arrivo del cartone di Ken era una paura concreta.

Quella di un'imminente conflitto nucleare.

Proprio vero. Se hai la fortuna di campare abbastanza a lungo ti rendi conto che a distanza di decenni le cose prendono a susseguirsi con una cadenza quasi ciclica.

E la storia si ripete. Persino quella che ci auguravamo di non rivedere mai più.

Allora si risolse tutto. Ma c'erano in ballo solo due diversi schieramenti. Oggi, dal punto di vista politico ed economico, la situazione é molto più complessa.

Mi auguro che alla fine prevarrà il buon senso. Anche se non ho fiducia nei miei simili, purtroppo.

Certe volte ho l'impressione che non saremo contenti fino a quando non ci saremo annientati con le nostre mani.

E' il problema insito nella natura umana. Ci consideriamo padroni del mondo ma ragioniamo ancora come prede che devono difendersi a tutti i costi.

Non si sa da cosa, e nemmeno da chi.

Pensiamo solo a sopravvivere, spaventati come non mai. Quando in realtà dovremmo capire che dovremmo iniziare a vivere, e a prenderci cura di questo posto.

Perché non ne siamo i padroni, ma i CUSTODI.

Ma se non impari a calmarti, e a vivere bene ed in pace prima con te stesso e poi magari con gli altri...é impossibile.

Non vuoi vivere in pace? Preferisci continuare ad odiarmi?

Mi sta bene. Non l'ha mica stabilito il dottore che ti devo andare a genio per forza.

Uno può avere le sue idee, e vivere tranquillo. Non deve per forza imporle sugli altri a tutti i costi.

Io posso avercela con una categoria di persone, ma se uno di quella categoria é in pericolo o ha bisogno di aiuto...io la aiuto, che cazzo.

So fare distinzioni. Un conto sono le mie considerazioni, un conto é il mio dovere personale e nei confronti degli altri.

Volete starvi sulle palle? Ok.

Ma...NON CI SI POTREBBE ODIARE IN SANTA PACE?

Non ne siamo usciti, dicevo. E non ne siamo usciti affatto migliori.

Due anni di pandemia pare non ci abbiano insegnato NULLA.

Finita più o meno che sia l'emergenza...l'odio ha ripreso a divampare mille e mille volte più forte di prima.

Ormai mi sono convinto che a furia di stare in fissa col paradiso e con l'inferno non ci siamo resi conto di averli trasferiti direttemente su questo pianeta.

La Terra é il vero paradiso perduto, altro che Eden.

Ci é stato dato il migliore dei mondi possibili. E noi?

Ci siamo messi d'impegno, ce l'abbiamo messa tutta...é in soli duemila anni scarsi ce l'abbiamo fatta, finalmente.

A far che? Ma é ovvio, no?

A renderlo UN AUTENTICO INFERNO.

IL PEGGIORE DEGLI INFERNI.

Il mondo non fa schifo, come invece sento dire in giro.

Non é così. Siamo noi.

Siamo noi ad averlo reso uno schifo.

Le risorse per renderlo anche solo un filino migliore ci sarebbero. Ci sarebbero eccome.

E invece abbiamo guerre, fame, malattie, persone cattive ed insopportabili che godono della sofferenza altrui. E menefreghismo.

Io non so se mi guadagnerò il paradiso. Non so in grado di sapere o di capire se esiste, e non mi interessa.

Al momento mi interessa sistemare le cose qui. A partire dal mio piccolo.

Perché ripeto: se non vivi bene con te stesso non puoi vivere bene con gli altri. E soprattutto non puoi nemmeno provarci, a far vivere bene e meglio gli altri.

Vi confesso una cosa strana.

Certe volte, vedendo mia figlia...provo VERGOGNA.

Vergogna per il mondo che le sto offrendo, nonostante alla fine di colpe vere e proprie non ne abbia.

Ma quando sono nato io la situazione era tranquilla. Alla sua età l'unica preoccupazione (perché la scuola alla fine era un divertimento) era quella di rimediare abbastanza genete da fare una partita a pallone.

I bambini dovrebbero pensare solo a giocare e divertirsi.

Non vedere guerre, carestie, morti ed epidemie.

Non é giusto.

Ma come dico sempre...torneranno tempi migliori. Occorre solo avere pazienza.

E quando le cose non vanno, si può solo resistere. E tenere duro.

E fare in modo che nel proprio piccolo, almeno in quello...filino lisce.

E' già una gran cosa, credetemi.

Bene, e adesso passiamo al capitolo.

Come avevo annunciato la volta scorsa (mi pare), data la scena di sesso si é reso necessario una cambio di rating in corsa. Anche se in genere é una cosa che detesto.

Per me l'arancione dovrebbe andare più che bene, visto che non si scende nei particolari e non vi sono descrizioni minuziose di amplessi o di atti erotici veri e propri.

Inoltre, la scena di sesso é funzionale alla storia e non fine a sé stessa.

Da come la vedo io, se si mette una scena di sesso il rating dovrebbe scattare automaticamente in arancione. Ma se gli atti di stampo sessuale non vengono descritti nei più minimi dettagli e ci si limita a buttare qualche imbeccata qua e là...allora l'arancione può bastare benissimo.

Per farla breve...se ci si limita a suggerire anziché spiattellare, allora é arancione. In caso contrario é rosso.

Fatemi sapere che ne pensate. E se può andar bene così. Più che altro per evitarmi casini.

Comunque...da dove é venuta fuori, una scena del genere?

Beh, come vi ho già detto anche in questo caso, la stesura definitiva di questa storia sta venendo ben diversa da come l'avevo ideata all'inizio.

Ho aggiunto parecchi capitoli, e persino un personaggio come Jagger che nelle prima versione aveva un ruolo puramente marginale, ha acquisito spazio. E spessore.

E nel corso della pubblicazione uno va avanti anche a leggere, oltre che scrivere. E tutto quel che legge finisce per influenzare più o meno indirettamente il suo lavoro.

E direi che un grosso peso nella realizzazione di questo episodio ce l'avuto lo stimatissimo collega Kumo no Juuza con la sua HOKUTO NO LADIES, che saluto e ringrazio.

Oltre naturalmente a consigliare la lettura della sua long, s'intende.

Dai, ormai con la tua storia sono quasi in dirittura d'arrivo. E credo sia superfluo dirti che mi sta piacendo un sacco, visto che giunti a questo punto lo si é senz'altro notato.

Piuttosto...avete capito chi é il biondo cattivone di quest'ultima mia puntata, vero?

Ovviamente anche lui ha i suoi bei problemucci caratteriali, a quanto si vede...

Bene. Prima di chidere passiamo al consueto angolo dei ringraziamenti.

Un grazie a Kumo no Juuza (di nuovo), Devilangel476, vento di luce e innominetuo per le recensioni all'ultimo capitolo (sembra passata una vita...).

Ed un grazie ulteriore, non potendolo fare sulla pagine dedicata, sempre a Devilangel476 e a innominetuo per le accorate recensioni alla mia storia su Joe.

E' stata una faticaccia, ma sento che ne é valsa davvero la pena. E ne sono contentissimo, davvero.

E come sempre, un grazie a chiunque leggerà la mia storia e se la sentirà di lasciare un commento.

Grazie ancora di tutto e alla prossima!

 

 

See ya!!

 

 

 

 

Roberto

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 17

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Nnnngghhh...”

L'uomo si accasciò, tenendosi con una mano il lato della testa più vicino ad essa e stringendo forte.

Un'altra fitta. Una nuova stilettata alle ossa del cranio e della faccia lo aveva costretto ad interrompere la sua opera distruttrice.

Lanciò un'ennesima invettiva ed imprecazione all'artefice di quel mortificante stato in cui versava, ed in cui lo aveva costretto per chissà quanto.

Per il resto della sua vita, forse. Unite ad una maledizione e all'augurio che potesse crepare presto e nella maniera più atroce ed umiliante che fossero possibili e concepibili dalla più contorta mente umana.

E sarebbe stato ben lieto di pensarci lui, e molto volentieri, ad attuare e mettere in pratica quei biechi propositi.

Un anatema rivolto al gran figlio di cagna bastarda, lurida scrofa e puttana che lo aveva conciato a quel modo, e che lo stava costringendo a soffrire così.

A terra, vicino a lui, giacevano tre corpi esanimi. Il risultato ed il frutto dell'ultimo assalto che aveva subito per mano delle forze nemiche, e che aveva saputo concludere vittoriosamente.

Tre salme giusto buone per il tavolaccio di un obitorio o di un becchino, ormai. Di certo non più per un medico od un cerusico. Che non avrebbero potuto fare un gran che, visto quel che era rimasto di loro.

I tre corpi giacevano a terra, immersi in una pozza di sugo rosso scuro composta per la maggior parte ed in gran quantità di ciò che fino ad un attimo prima circolava nelle loro vene e vasi sanguigni. E farcita per quando concerneva il resto da liquidi, sostanze e liquami più o meno vili provenienti dai principali organi che componevano quella che una volta era la cavità toracica ed addominale. E che le tecniche micidiali di colui che li aveva appena uccisi avevano provveduto a lacerare e dilaniare, facendo riversare tutto il loro puzzolente ed odoroso contenuto all'esterno. A cuocere e a seccare al sole ardente. E ad ammorbare le narici di chi era presente, durante quel putrido quanto ributtante processo.

Naturale. Ma pur sempre schifoso.

Fegato. Pancreas. Milza. E stomaco. E intestini. E vescica. E colon. E retto.

Bile. Succhi e fluidi. Acidi. Ma anche piscio. E merda.

L'odore del sangue raggrumato e rappreso mischiato col lezzo degli escrementi prendeva decisamente alla gola come una mano adunca serrata in una soffocante morsa.

Causava ribrezzo e raccapriccio. E faceva vorticare la testa e le budella ben funzionanti di chi lì era ancora vivo e vegeto.

Purtroppo. Vivo e vegeto per assistere e prendersi in pieno petto ed occhi il raccapricciante ed orripilante spettacolo.

Tutto appariva esploso, frantumato. Ridotto a pezzi e a brandelli. Come se direttamente dall'interno gli fosse detonata una sorta di micro - bomba o di analogo ordigno miniaturizzato. Anche se non si disponeva certo di una simile tecnologia. O, quantomeno, non la si poteva certo considerare alla portata di tutti.

Forse una volta, prima del grande conflitto che aveva spazzato via gran parte della flora e della fauna, uniti ad un considerevole pezzo di umanità e della civiltà che essa stessa aveva contribuito a creare per poi eliminare e sopprimere. Di sua stessa mano e stupidità.

Apparivano come se un raro quanto esotico, sconosciuto ed incurabile morbo o malattia li avesse divorati, smangiati.

Gli unici, anzi le uniche a non protestare erano le mosche. Di un verde, azzurro e blu lucente e della varietà e della famiglia delle carnarie, specializzate nel suggere e far piazza pulita di carogne.

Erano già accorse a frotte, inebriate ed eccitate da quelle emanazioni di stampo olfattivo che ai loro organi sensori di insetto doveva apparire come minimo come una festa. Una cuccagna. Il paradiso. O la cosa che più doveva avvicinarglisi, come minimo.

Proprio vero. La vita non é altro che una questione di punti di vista. Ed ogni cosa dipende da come la si vuol girare. O rigirare.

Già le si poteva vedere mentre si accapigliavano e litigavano tra loro per contendersi i residui ed i filamenti di membra e di tessuto molle che stavano ancora attaccate alle costole e alle altre ossa più grandi, lunghe e voluminose che stavano esposte all'aria, a frollarsene in santa pace.

Le potevano scorgere anche i tre soldati rimasti in piedi, e con ancora tutto quanto al loro posto.

Anche se non si sarebbe potuto dire ancora per quanto, con certezza.

Stringevano rispettivamente un'ascia bipenne ed un paio di spade a doppio filo. Tutti accomunati dalla postura incerta e dal modo ancora più incerto con cui le stavano tenendo.

Esprimevano solo una cosa, anzi due.

Paura. Paura profonda e terrore.

Lo si capiva da come come avevano piazzato le loro armi, che in tutt'altra occasione e circostanza avrebbero sfoggiato ed esibito con assoluta sicumera e tracotanza, convinti in pieno della loro indiscutibile forza e ferocia. Ma che adesso reggevano a metà esatta tra il verticale e l'obliquo, maldestramente. E davanti ai propri busti, in un patetico quanto malriuscito tentativo di imbastire un minimo di difesa.

Ma non ci credevano nemmeno loro, ecco la verità. Niente avrebbe potuto proteggerli o salvarli da quello che avevano appena visto.

Niente.

E se qualcuno avesse potuto nutrire ancora dei dubbi su tutto ciò...vi era un piccolo particolare e dettaglio che avrebbe tranquillamente confutato qualunque obiezione in merito ed in proposito. Persino la più ostica ed ottusa.

L'uretra di uno del terzetto, quello di sinistra per la precisione, aveva fatto la fine delle sue colleghe e sorelle appartententi all'altro trio. Quello composto dai tre appena estinti e defunti per opera del tizio deforme e mostruoso. Quelle che avevano ormai smesso di funzionare. Per sempre.

Aveva ceduto. Di schianto. e si era liberata, bagnadogli ed inzuppandogli il cavallo dei pantaloni.

Un lieve ma comunque vistoso quanto insistito tremolio aveva invaso e si era impadronito delle loro braccia e delle loro gambe, rendedogliele di gelatina e privandoli di qualunque forza.

Gli arti inferiori erano tenuti stretti , con le ginocchia quasi unite, come a voler impedire di lasciar scappare qualcosa d'altro.

Qualcos'altro di peggio. E di ancora più imbarazzante e vergognoso.

"Ra...ragazzi" propose l'incontinente inconsapevole. "I - io n - non...non so voi, m - ma...ma io me la filo!!”

"C - che hai detto?!" Gli fece il compagno alla sua destra, incredulo. "Cosa hai detto?!"

"Lo...lo sai benissimo, quel che ho detto!!" Gli chiarì. “Io me la batto! E all'istante, pure!!”

Già. Lo aveva capito, quel che aveva detto. Lo aveva capito eccome. Ma la domanda gli era comunque sorta spontanea.

"Lo...lo sai benissimo!!" Gli ripeté. "I - io...io me la squaglio, gente! Mi avete sentito? Me la squaglio, finché sono in tempo! Quello ci ammazza, capito! Ci ammazza tutti! Ci ammazza a tutti e tre, come cani!!"

"Starai scherzando!!" Intervenne quello che se n'era rimasto zitto, almeno fino ad ora. "Vuoi incorrere nelle ire del nostro Re? Il nostro signore ci ucciderà senza alcuna pietà, se fuggiamo!!"

"P - per ucciderci ci d - deve prendere, prima! E p - per quel che m - mi riguarda...si può anche fottere, il nostro Re. Non me ne frega nulla. S - se scappo...se scappo adesso una possibilità di farcela, per quanto scarsa, ce l'ho. M - ma se resto qui...se rimaniamo qui siamo morti, m - mi avete capito? Morti!!"

"Ma non lo vedi che é dolorante? Si regge in piedi a malapena, ormai!!"

"Già!!” Si incaponì. “Ma guardalo. E' praticamente sfinito. Non é che un autentico rottame. E' già tanto se é arrivato fino a qui!!"

“E' vero!!” Gli confermò prontamente il compare che trovava d'accordo con lui. “Se lo attacchiamo tutti insieme non ci sono problemi!!”

E in effetti, vedere l'oggetto della loro più recente diatriba e dei loro ultimi discorsi messo ginocchioni invitava davvero a dargli addosso approfittando della situazione di vantaggio che suggeriva quella visione. Nonostante avessero visto di cosa poteva essere capace quel tale, con il terzetto di cadaveri al suolo in veste di muti quanto orribili testimoni.

“M – ma siete impazziti tutti?!” Sbraitò l'aspirante fuggiasco. “O siete ciechi, per caso? Ma non avete visto come hai ridotto quei tre?!”

“Preferisci disertare, allora? E' questo, quel che vuoi fare? E tradire così la fiducia che il nostro sovrano ripone in noi? Non sia mai!!”

“Già...mille volte meglio la morte. E se poi dovessimo farcela...avremo la piena gratitudine da parte del Re! Verremo elogiati e ricompensati come non mai! Magari ci donerà un terreno o un feudo tutto nostro!!”

“Si!! Dove potremo fare tutto il cazzo che vorremo! E tutto il santo giorno! Lì saremo i padroni, amico! Potremo mangiare, bere e fottere a piacimento e a volontà! Ci potremo chiavare tutte le belle fiche che ci capiteranno a tiro, come e quando più ci aggrada!!”

“Davvero?!” Fece loro quello che per primo aveva sollevato dubbi sulla riuscita dell'impresa. Sempre lui.

“Beh, se la mettete così...allora sapete che vi dico, a questo punto?” Gli confidò, come a volersi liberare di un grosso peso che avesse sino ad ora trattenuto a stento. “Che é tanto peggio per voi, gente! Se davvero volete provarci, a battervi contro a un simile mostro...affari vostri! Io non mi ci gioco la pelle per quell'idiota che mi governa. L'ho fatto solo perché lo consideravo il più forte, e basta! Ma non m é mai importato nulla! Né di lui, né del suo regno! Io vi dico e vi ripeto che non me ne faccio nulla della sua gratitudine eterna, se in cambio devo finirmene all'inferno! Addio!!”

“Sapete come si dice in questi casi, no?” Dichiarò. “Gambe in spalla, e poi...ognuno per se, e Dio con tutti! Vi saluto, gente! E buona fortuna, se vi sentite davvero di tirare la sorte. Mi sa tanto che ne ne avrete un gran bisogno!!”

E non appena ebbe detto questo, voltò le spalle alla coppia di commilitoni e scattò fulmineo in direzione opposta a quella dove, fino ad un istante prima, stavano guardando. Talmente veloce che bastò un battito in simultanea delle ciglia dei due rimasti presenti in scena per vederlo già ridotto ad una sagoma scura che sgambettava in lontananza.

La paura doveva avegli messo letteralmente le ali ai piedi. Ma non bastò a far cambiar loro idea. Men che meno a convincerli, entrambi oppure uno soltanto, a seguirlo nella sua rocambolesca fuga.

Si aspettavano già di ritrovarlo o rivederlo appeso per il collo o per i piedi a testa all'ingiù, con un bello squarcio che dallo sterno gli sarebbe arrivato fino all'inguine per farne fuoriuscire tutto il caldo quanto odoroso ripieno.

La coppia di temerari si guardò vicendevolmente in faccia. E bastarono un rapido cenno d'intesa sia col capo che col mento per mettersi d'accordo in un attimo sul da farsi, in silenzio. E senza sprecare ulteriori, inutili, parole. Che già se n'erano usate fin troppe,, al posto di fendenti ed affondi. Che spesso erano quel che serviva davvero.

L'unica cosa che serviva, anzi. Che di quei tempi bisognava far parlare le armi, e non l'ugola o la lingua.

Partirono all'assalto prendendo la rincorsa e sollevando i loro fidati strumenti di guerra e di morte sopra la testa, cercando di raggiungere l'uomo prima che potesse riprendersi. Il quale, nel frattempo, non aveva ancora deciso di rialzarsi. Forse perché non ce la faceva proprio a farlo, per quanto magari lo avesse desiderato con tutte quante le sue forze.

Quello con la scure fu il primo a raggiungerlo, e prima di dargli il tempo di fare qualunque cosa abbassò l'arma e vibrò il colpo con ogni grammo ed energia disponibili, sommandoli alla forza di gravità e al peso in modo da massimizzarne l'efficacia.

Urlò persino, come se quello potesse impirmere ancora maggior forza all'attacco in corso.

“YYYAAARRGHHH!!”

Stava sudando, per la tensione e per il terrore. Ma il futuro pensiero di ritrovare futuro padrone di un lotto o di un appezzamento doveva essere più forte, di quelli.

Il tipo deforme alzò il braccio sinistro come a voler parare. E subito dopo l'ascia finì polverizzata.

La parte in metallo si ridusse in frantumi, insieme al pezzo superiore dell'asta di legno che la ospitava e su cui si ritrovava incastonata.

Il guerriero non se ne dovette accorgere, ma anche in caso contrario non avrebbe fatto certo a tempo a provare il benché minimo stupore.

Capì di aver fallito solo perché gli venne a mancare la massa compatta di ferro che aveva stabilito di far impattare sulla nuca del suo avversario. Ed a quel punto la sola velocità e basta, priva di un'adeguata controparte che potesse adeguatamente compensarla, fece il resto facendogli perdere l'equilibrio e sbilanciandolo vistosamente in avanti.

Era proprio quello che il tizio deforme attendeva. C'erano le condizioni ideali per un bel colpo d'incontro.

Da ancora accovacciato quale stava, fece partire l'altro pugno e lo centrò in piena faccia.

La scena e l'effetto furono a dir poco terrificanti. E devastanti.

Il diretto aveva una tale potenza che bastò il semplice spostamento dell'aria a fargli deformare la pelle. Poi, quando le nocche giunsero a bersaglio, fu addirittura peggio.

La mano stretta e chiusa gli affondò nel volto fino a scavargli dentro, frantumandogli completamente le ossa e spappoglandogli il cranio per intero.

Il malcapitato sbalzò all'indietro, con la schiena inarcata da un violento colpo di frusta, un'autentica scudisciata.

Era morto. Lo era già ancora prima di toccare il suolo prima con il collo e poi con quel che rimaneva della sua testa, ridotta a molle e macilenta poltiglia.

Un breve margine, una sottile frazione di tempo a separare le due cose. Interminabile quanto spaventosa.

Quando il tizio deforme e bendato ritirò il pugno, alcuni frammenti di avorio opaco ed ingiallito che stavano nella bocca della vittima volarono in aria, appiccicati a filamenti rossi di sangue e gengive.

L'uomo sfigurato guardò l'altro rimasto in piedi, rivolgendogli nella sua direzione due occhi scavati e col bianco iniettato di arterie rubizze ed infiammate.

Odio puro e cieco. E rancore pressoché inesauribile.

Ma nemmeno quello, bastò. Neanche quello fu sufficiente, come avvertimento.

Chiunque altro si sarebbe fermato, a fronte di un simile sguardo. Ma non quello, che proseguì imperterrito nel suo disperato assalto.

Forse tentava di sfruttare quello di poco precedente e malriuscito del suo collega.

Sperava che quanto meno fosse servito a distrarre il tipo mezzo deforme e a tenerlo impegnato. Giusto quell'attimo, quel decimo di secondo utile a poterlo cogliere con la guardia abbassata e le difese sguarnite.

Doveva essere quello, ciò in cui auspicava il teppista. Almeno quanto doveva essere certo di farcela. E di essere il solo ad intascare la taglia e l'eventuale ricompensa, una volta ultimato e portato a termine il lavoro.

E se...se si fossero ammazzati a vicenda, adesso?

Il gran pezzo di bastardo che era scappato a gambe levate avrebbe potuto presentarsi al cospetto de sovrano al posto suo, e rivendicare così tutti i meriti dell'impresa. E prendersi il premio.

Lo avrebbe ammazzato, se solo avesse osato e ci avesse provato, a farlo.

Meglio non pensarci. Toccava prima accoppare questo.

Allungò la spada in avanti, impugnando l'elsa con ambedue le mani ed emettendo un urlo belluino.

“UUOOOOHHH!! MUORIIIIHH!!”

Quella sua ultima parola, più che una considerazione o un ammonimento era parsa più un vero e proprio comando.

Un ordine. Un invito. Un esortazione a farlo, prima che lo facesse lui.

Un chiaro comando a morire, prima che lo uccidesse lui stesso, di sua mano.

E visto che si parlava di mani...questa volta il tizio storpio e fasciato non volle ricorrere ad esse, per sistemare il nuovo aggressore ed avere la meglio anche su di lui.

Si mise bello ritto in piedi, anche se si vide benissimo quell'ulteriore sforzo doveva essergli costato un mucchio di fatica suppellettiva e supplementare in più, e arrancando si portò il braccio destro deìietro dui sé, tra schiena e nuca, e cominciò ad armeggiare in quella zona.

Pochi istanti dopo tirò fuori una doppietta a canne mozze con il manico in legno.

La sua arma solita. E preferita. Anche se lì, di certo, non lo dovevano sapere.

Beh...ora lo sapevano. Di sicuro.

Impugnò il calcio e col pollice spostò la levetta che stava in cima e alle spalle della coppia di canne gemelle in acciaio e metallo temprato, proprio a ridosso della parte chiusa e cieca.

Roteò una parte del dispositivo selettore dell'arma verso sinistra, ottenendo l'effetto di far oscillare brevemente la parte opposta, simile alla punta delle lancetta di un orologio, sull'altro versante.

Quello della canna di destra, naturalmente. Quella che avrebbe usato tra poco.

Quella con cui avrebbe sparato e fatto fuoco.

Schiacciò quindi il dito indice, già opportunamente ripiegato ed infilato dentro all'alloggiamento apposito, e lo portò in direzione del palmo fino a toccarlo col polpastrello. E premette il grilletto.

Il fucile sparò, con una detonazione sorda e secca, ed una rosa di pallini di piombo investì in pieno il soldato che stava sul punto di assalirlo, portandogli via mezza faccia.

Il resto del corpo, con la testa che pareva dilaniata dal morso di un grosso animale che doveva essere riuscito ad affondarvi con tutti e quatrro i canini come minimo, si arrestò di colpo a mezz'aria per la brusca strappata subita e dovuta al tremendo contraccolpo, per poi cadere sul terreno con entrambe le ginocchia.

Non resto in quella posizione che per una manciata di secondi, e poi si abbassò in avanti fino a finire carponi, col busto poggiato per intero al suolo ed il culo bello alto. Con le chiappe belle esposte e in aria, come pronte a ricevere qualcosa. Tipo un grosso cazzo nodoso.

Messo a pecora in una posizione pressoché perfetta, che avrebbe fatto la gioia e l'invidia di qualunque checca e frocio. Tutto stava a dipendere se al finocchio in questione piaceva di più darlo o prenderselo dritto dritto in culo, il randello di carne.

Il tizio sfigurato sbuffò.

Non era quello che voleva. Avrebbe tanto ma proprio tanto voluto centrarlo in piena pancia, in modo da lasciarlo in vita ancora per un po'. Che tanto si sa che i visceri e le budella sono molto più flessibili ed elastiche di quanto uno possa pensare, al punto che spesso e volentieri i priettili ci passano attraverso sfiorandole, ed il più delle volte senza nemmeno forarle o bucarle.

Certo, alla fine si tirano le cuoia ugualmente. Ma si passa un sacco di tempo a perdere un mucchio di sangue, e a strillare come un porco scannato. Al punto che l'emorragia e il dolore si mettono a fare a gara come due ronzini ad una gara di ippodromo, per vedere chi tra i due taglia il traguardo e arriva primo sull'altro. Col diretto interessato che se ne può solamente rimanersene bello fermo e paralizzato a guardare come termina la gara. Che tanto il risultato non cambia.

Morte, per lui. Nient'altro che morte.

La troia morte che lo fotte. Per sempre.

Sicuramente é più difficile sopravvivere, davanti ad un bel nugolo di piombo. Le possibilità di scamparla e di cavarsela diminuiscono a dismisura, e in maniera inversamente proporzionale alla quantità di pallini liberati durante la detonazione.

In ogni caso, non si sbaglia. A beccarli lì, non rimangono mai secchi al primo colpo.

Avrebbe dovuto centrarlo al ventre. Almeno, tra un urlo e l'altro, forse gli avrebbe potuto estorcere quel che gli serviva. Le informazioni di cui aveva un gran, estremo bisogno.

Ma non c'era niente da fare.

Quel fucile era una vera bellezza, considerando la difficoltà con cui ormai si riusciva a reperire un qualsivolgia genere di arma. Ma scalciava peggio di un mulo.

Non aveva avuto il tempo di calibrarla e centrarla a dovere, né di stabilizzarne l'assetto.

Non ne aveva avuto più il tempo. Da quando era ferito, gli era estremamente difficile concentrarsi anche sulla più minima cosa o compito.

Quel bastardo...

Doveva farlo. Specie da quando aveva rimediato gli slug al posto dei calssici e canonici pallettoni.

Quelli che usava adesso erano troppo voluminosi, e andavano molto meglio con una canna più grossa.

Anche limandoli ed adattandoli opportunamente, il rischio che sfregassero contro le pareti del condotto fino a deflagrare al suo interno era altissimo.

Nel migliore dei casi, ad ogni sparo rischiava di inceppare l'arma. Nel peggiore gli sarebbe scoppiata in faccia.

Ogni utilizzo rappresentava un autentico terno al lotto, un lancio di moneta.

Testa o croce. Cinquanta e cinquanta.

Ma in compenso faceva dei danni mica da ridere, anche se aveva la tendenza a buttare troppo verso l'alto. Con l'ovvio risultato che uno mirava alle trippe e invece scaricava il contenuto sul muso.

E poi, anche prendendosi in pieno uno dei suoi stessi proiettili, non avrebbe potuto ridursi peggio di così. Peggio di quanto non fosse già.

Quel dannato figlio di puttana...

Imprecò. E non solo per il fallimento del suo più recente intento.

Si era ripromesso di non sprecare munizioni, che già ne aveva poche.

Era inutile buttarle via per questi pesci piccoli, che non servivano né valevano a niente. Lui...

Lui era in cerca del pesce più grosso. Lui...

Lui stava cercando LA BALENA.

Era quella, che stava cacciando.

Non doveva sprecarle, le munizioni.

Perché. Perché non se n'era ricordato?

Perché non se ne ricordava mai, cazzo?

Colpa delle ferite. Anche lì. Colpa delle ferite e del dolore.

Da quando ce li aveva, la memoria gli stava facendo decisamente cilecca.

Stava perdendo progressivamente lucidità. Non si concentrava, si ricordava e non riusciva a organizzarsi e a focalizzarsi su nulla.

Tutto, ogni cosa gli stava scivolando via.

Colpa sua. Tutta colpa sua. Era tutta colpa sua.

Quel gran pezzo di m...

Un altro rumore.

Si girò verso sinistra e vide sopraggiungere un mezzo motorizzato, con altri tre occupanti a bordo.

Il veicolo era su quattro ruote a dir poco enormi, e dovevano averlo ricavato dai resti di un gigantesco trattore da rimorchio. Di quelli usati negli hangar per trainare gli aerei di linea.

Il pilota strinse le mani sul volante e sgasò , dandoci giù di acceleratore.

Del fumo fuoriuscì dai quattro tubi di scappamento disposti a coppie su ambedue i lati esterni e posteriori, facendo sollevare all'unisono i minuscoli coperchietti situati sulla sommità di ciascuno di loro, in risposta alla decisa pressione del pedale.

Ma il mezzo non partì affatto. Doveva essere in folle dato che invece di sprintare rallentò fin quasi a fermarsi, per poi farlo decisamente un paio di secondi dopo circa. Tutto l'esatto contrario di quel che la manovra effettuata avesse potuto lasciar supporre.

Con tutta quanta la probabilità avevano intenzione di piombargli addosso così com'erano e stavano, con l'intero mezzo che avevano a disposizione e che li aveva appena condotti fino a lì.

Per tentare di investirlo, senza nemmeno prendersi la briga di scendere ad affrontarlo direttamente.

Se ne stavano guardando bene bene, dal farlo. Ed era pienamente comprensibile.

Mentre arrivavano dovevano aver fatto a tempo a vedere cosa aveva fatto ai loro compari.

E adesso sapevano già cosa era capace di fare. E di fargli, senza bisogno di saggiarne le caratteristiche e l'abilità combattiva con qualche genere di scaramuccia o di schermaglia d'anteprima.

L'uomo sfigurato spostò prima di ogni altra cosa il selettore, portandone l'estremità in corrispondenza della canna ancora piena ed occupata. E poi si portò la doppietta dietro la schiena, infilandola nell'apposita bisaccia paizzata nel mezzo delle scapole che le faceva da custodia.

Era in pura pelle, ricavata da qualche animale selvatico opportunamente scuoiato e conciato.

Un lavoro fatto davvero a regola d'arte, a cui aveva aggiunto del lubrificante, spalmandolo abbondantemente su tutta quanta la parte interna. In tal modo, alla bisogna, l'arma fuoriusciva già pronta all'uso. E con una rapidità a dir poco sorprendente.

Ed era stato sufficiente usare lo stesso tipo di olio e di grasso con cui lubrificava gli ingranaggi dei motori della sua moto.

Sono davvero incredibili i molteplici usi che si possono fare di un generico fluido o di un qualsivolgia tipo di sostanza, con un po' di ingegno e di inventiva a disposizione.

E lui era un grande, ed aveva una mente sopraffina.

Spettava a lui. Spettava a lui, quel ruolo. Spettava a lui, il ruolo di successore.

A lui, e a nessun altro. Era stato suo da sempre, e quell'altro glielo aveva sottratto. E rubato.

Quell'infido ladro.

Il fucile, intanto, si era inserito per intero. Lo capì sentendo tirare la cordicella che legava ed assicurava la grossa fondina alla sua schiena.

Perfetto. In caso di necessità, tirarlo fuori sarebbe stato questione di un attimo. Di un solo quanto semplice istante.

Almeno tanto quanto quello che ci misero le sue previsioni ed i suoi timori ad avverarsi.

Il mezzo partì all'assalto e al galoppo più sfrenato, coi tre tizi sopra che urlavano come autentici forsennati.

Era come pensava. Volevano tirarlo sotto. Ma non avrebbe dato loro né il piacere, né la soddisfazione. E neanche la possibilità di vantarsi visto che sarebbero stai quelli, a crepare.

Erano sul punto di travolgerlo, alla pari di una mandria di bisonti o di bufali impazziti e in piena carica, nonostante si trattasse di un solo ed unico esemplare.

Lo sfregiato alzò il pugno destro oltre quel che rimaneva della sua testa sfatta, fasciata e bendata alla bell'e meglio. Come se volesse e stesse per menare un gran colpo o una sonora martellata su di un tavolo o di un banco da lavoro. A patto che avesse potuto disporre di almeno uno dei due.

Ma il suo bersaglio era altro, in verità. Ben altro.

Il suo fu un gesto che dovette apparire come estremamente studiato e ricercato. Eseguito con la massima flemma e lentezza di questo mondo. Ma non si poté lo stesso durante la fase discendente.

Abbatté la parte piccola ed esterna vicino al mignolo sul cofano del veicolo, facendolo sollevare in aria.

Quest'ultimo si esibì in una triplice capriola a quasi tre metri di altezza e superò in volo l'artefice di tale prodezza, per poi schiantarsi poco più in là, mentre due dei tre occupanti vennero sbalzati fuori.

Il tizio dal volto deforme prese una delle spade appartenenti ad una delle tre nullità che aveva ammazzato poco prima, e si diresse verso la prima delle tre nullità che erano appena venute ad infastidirlo. Quella più vicina.

Si muoveva, ma teneva gli occhi semi – chiusi e farfugliava parole e versi inudibili. E che rimanevano comunque incoprensibili ai più, anche se non lo fossero state.

Doveva essere svenuto. Oppure sotto choc. A chi cazzo importava.

A lui, non di sicuro.

Allungò la lama verso il basso, verso di lui, e gliela immerse dritta dritta tra stomaco e petto.

La nullità emise un rantolo soffocato sputando e sbavando schiuma rossastra, mentre il sangue gli si gonfiava in gola. Poi si distese e non si mosse più. Definitivamente.

Gli lasciò la spada conficcata dov'era e si diresse nervosamente verso il secondo.

Era sdraiato sul ventre, a braccia e gambe divaricate. Ma lui, a differenza dell'altro stronzo, sembrava ancora in grado di parlare.

Avrebbe avuto modo di dimostrarlo, tra non molto. Da quello dipendeva il fatto se avrebbe potuto vivere giusto quei due o tre secondi di più.

Sul sopravvivere...no. Quello non era affatto contemplato. E sin dal principio.

Gli si avvicinò.

“L – lui...d – dov'é?!” gli chiese, non appena gli si fermò sopra.

“I- io...io” si limitò a dire il tizio sdraiato.

Per niente soddisfatto della risposta, il tizio sfigurato gli poggiò il piede destro sopra alla nuca.

“Ascoltami bene, razza di lurido bastardo” gli fece. “Stai per scoprire che non sono tollerante, né paziente. E devi sapere che non lo sono mai stato, in vita mia. Ma adesso come adesso é ancora peggio. E stai per accorgertene proprio sulla tua stessa pelle. Avanti, rispondi! Dov'é, lui?!”

“I -io n – non...non...”

Ne ebbe abbastanza. Cominciò a schiacciare e a fare forza con la suola del suo scarpone contro al cranio del malcapitato. Come se stesse spiaccicando un ragno. Uno scorpione. O un qualunque altro genere di insetto venefico, anche perché gli aracnidi a disposizione erano praticamente finiti.

Non che l'elenco in questione avesse mai avuto questa gran lunghezza, a dirla tutta.

Erano così schifosi e repellenti che i cervelloni avevano dovuto creargli una categoria apposita, per raggrupparli e calssificarli.

Come una certa carogna di sua conoscenza, che avrebbe potuto starsene tranquillamente confinato nell'insieme delle MERDE.

Delle merde putride. Proprio uguale a quello che adesso stava calpestando con vigore.

Una merda. Nient'altro.

Pochi istanti di quella breve ma spaventosa quanto insistita pressione furono più che sufficienti a fargli ottenere quel che voleva.

L'altro, intuendo l'ormai prossimo quanto mortale pericolo, si mise a supplicarlo di salvargli la vita.

“N – no! T – ti prego, risparmiamihh!! T – ti prego, Ti pregoooerrgghlll...”

Nel giro di un attimo il lamento si tramuto in un gorgolio.

Il secondo della giornata. Seguito a ruota da un raccapricciante rumore di biscotti e gallette frantumati e sbriciolati in mille pezzetti e tocchetti.

Biscotti e gallette che erano in realtà ossa.

Si immaginò uno scarfaggio che emtteva deboli quanto imprecettebili urletti di agonia intanto che crepava infilzato, squartato e sventrato dai cocci della sua stessa corazza ridotta ormai in pezzi e a brandelli.

Avevano anche loro l'armatura, ma erano ben miseri guerrieri.

Ahimé. Sotto l'elmo, un insetto.

O era una cavalletta, per caso?

Dannata confusione mentale.

La testa si sparpagliò in modo regolare ed uniforme come un vaso di porcellana che aveva appena finito di fracassarsi sul pavimento.

Poltiglia carminia mischiata a pezzi di materia cerebrale e calotta grigiastra atta a contenerla.

Era di nuovo punto a capo. E non gliene restava che uno.

Possibile che si fosse sbagliato?

No, non poteva essere. Li aveva riconosciuti al volo, mentre spazzava via quelli d'avanguardia che avevano osato infastidirlo cercando di frenare e bloccare la sua avanzata. Persino coloro che avevano soltanto avuto la scalogna di incrociare il suo cammino.

Non aveva mai avuto troppo rispetto né considerazione per nessuno. E in quel giorno...beh, ancora meno del solito.

E comunque, erano loro. Era impossibile non identificarli, con quegli elmi mascherati e corazzati sul davanti e le ali piumate ai lati, appena sopra alle orecchie.

Si diresse verso l'unico superstite. Anche se tutto lasciava presupporre che lo sarebbe rimasto ancora per poco.

Era a testa all'ingiu, in quanto si era ribaltato insieme allo stesso mezzo che stava guidando. Ma per qualche strana ragione non era ancora caduto, e si trovava ancora seduto dentro all'abitacolo.

Veramente strano, visto che non aveva cinghie di sicurezza attaccate.

Non che qualcuno le usasse ancora, del resto. Impacciavano i movimenti durante gli assalti.

Inoltre, doveva essersi accorto che ormai gli si trovava vicino.

Nonostante ciò, non lo stava degnando di una minima occhiata. Nemmeno si era girato a vederlo.

Decisamente singolare. E sempre più strano. Ma gli bastò approssimarsi ancora un poco per avere la soluzione dell'arcano proprio davanti agli occhi.

E un verso di agonia fece il resto, fornendo un quadro completo. E lasciando ben poco, pochissimo all'immaginazione.

“Gh...ggghhh...”

L'intero cruscotto con tanto di volante si era incassato al punto di finirgli per intero contro al busto, stritolandolo di netto.

Doveva avere il costato ridotto in briciole. In zuppa d'avena.

Imprecò e bestemmiò ancora. A quelle condizioni non gli avrebbe cavato fuori proprio un bel niente. Neanche costringendolo a parlare contro alla sua stessa volontà ed ostinazione.

Avrebbe dovuto insistere con quello prima, invece di ammazzarlo. Almeno a parlare ancora ci riusciva.

Colpa del dolore. Non lo rendeva abbastanza lucido da poter prendere la decisione giusta. E lo mandava perennemente in confusione.

Decise di fare ugualmente un tentativo.

“Ascoltami, testa di cazzo” gli ordinò. “E' tutto il giorno che sono in ballo con delle merdine rancide e insignificanti come voi, e a dirla tutta sono stufo. Sono stufo marcio, e ne ho le palle piene. Io sto cercando lo stronzo più grosso di tutta la vostra cagata putrida, chiaro? Dimmi dov'é!!”

“Gghhh...ggghhhh...”

Proprio come previsto, nessuna risposta utile.

“Ultima possibilità, amico” gli fece ancora. “Tanto morirai comunque, in quelle condizioni. Vuoi che ti aiuti a farla finita, per caso? D'accordo. Posso darti una morte rapida, se lo vuoi. Ma devi prima rispondere a quel che ti ho chiesto. E' da maleducati non rispondere come si deve a una domanda, non lo trovi anche tu? Fallo, e ti accontenterò. Ti aiuterò a morire. Ma se ti ostini a continuare a fare il muto e lo gnorri, a dispetto delle mie richieste...sappi che la cosa avverrà lentamente. Molto lentamente. E io me ne starò qui, in prima fila a godermi tutto quanto lo spettacolo.”

“Avanti!!” lo esortò insistendo. “Dov'é? Voglio sapere dove si trova! Dov'é quel gran bastardo? Dove si é cacciato quel figlio di puttana del vostro capo?!”

La risposta sopraggiunse in men che non si dicesse. E gli arrivò dritta dritta alle spalle, facendolo voltare di scatto con un lieve sussulto di sorpresa.

“Bene” fece il nuovo arrivato. “Sicché secondo te io sarei un figlio di puttana, se le mie orecchie hanno udito a dovere. Sentiamo, quindi: e tu di chi saresti figlio, allora?”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Lo so, ragazzi. E vi chiedo scusa per la lunga, lunghissima assenza.

Diciamo solo che ci sono stati un bel po' di grattacapi, tra cui gravi problemi di salute da parte di un parente, e quindi...ho avuto altro a cui pensare. E di cui occuparmi.

Smettere di scrivere, questo no. Mai.

Ma diciamo che il lavoro ha subito una brusca quanto vistosa rallentata.

Beh...rieccomi qui. E spero di essermi fatto perdonare.

Con questo...ed un'altra piccola sorpresina.

Di quelle estemporanee, che ti vengono in mente al momento. E che pertanto devi scrivere subito, altrimenti più tempo fai passare più perdono di efficacia.

Ma ora occupiamoci del capitolo.

Breve ma intenso, direi. E offre la possibilità di far compiere delle robe fighe persino ad un cretino patentato come Jagger.

Mi sta piacendo sempre di più, questo personaggio. Incredibile.

Senza contare l'ultimo pezzo, che preannuncia un risvolto davvero interessante.

Oh, andiamo. Avrete già capito chie é il fantomatico nuovo arrivato.

Così come immagino avrete già capito cosa sta per succedere.

Un bello scontro inedito, ecco cosa!

Di quelli che nel manga e nell'anime non si sono visti, ma nulla esclude o implica automaticamente il fatto che non si siano potuti svolgere!

L'ultima volta che ci ho provato é venuto fuori un bel duello tra Kenshiro e Ryuken, il suo padre e maestro.

Chissà che ne verrà fuori adesso...detto tra noi, non vedo l'ora di scoprirlo.

E prima di chiudere, veniamo al consueto angolo dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore a Kuumo no Juuza (e ti rinnovo i complimenti per HOKUTO NO LADIES, che nel frattempo da come hai visto ho concluso. Presto iniziero anche con la tua side – story, promesso), innominetuo, Devilangel476 e vento di luce per le recensioni all'ultimo capitolo.

E come sempre, un grazie a chiunque leggerà la storia e vorrà lasciare un parere.

Grazie ancora a tutti e...

Alla prossima!!

 

 

 

 

 

 

See ya!!

 

 

 

 

 

 

Roberto

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 18

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il tipo sfigurato, una volta scemata del tutto la sorpresa, rimase ad osservarlo.

A lungo ed in silenzio. E con lunga quanto minuziosa attenzione, cercando di non perdersi un solo passaggio di quel che stava facendo.

I muscoli e i tendini della sue braccia erano tesi e tirati sino allo spasimo.

Dava davvero l'impressione che potesse aspettarsi di tutto, dall'uomo che aveva appena fatto irruzione rubandogli di fatto la scena.

E niente avrebbe potuto essere più vicino alla realtà dell'affermazione appena enunciata.

Perché quando si ha a che fare con persone simili, e di tali capacità...un colpo, un sol colpo può risolvere davvero tutto.

Un solo attimo di disattenzione o di distrazione, anche minimi, possono risultare fatali. Ed avere conseguenze tragiche su cui poi si rischia di non avere nemmeno il tempo per pentirsi. O quantomeno di rimuginarci sopra.

Nemmeno quello.

Il tizio che aveva appena finito di apostrofarlo in merito al modo in cui era stato da lui stesso definito, ed immeritatamente vedendo sia il tono che il genere di risposta con cui aveva replicato, si trovava seduto su di un trono semovente dall'ampio schienale color porpora acceso.

Piazzato proprio sull'ultima fila di sedili di un altro mezzo appositamente riadattato e rielaborato.

O per lo meno dove una volta ci stavano i sedili, visto che per farci stare tutto quel popò di assurdo armamentario avevano dovuto provvedere a sradicare e spiantare quasi tutta la componentistica del vecchio e precedente arredo d'interno, anche se non si trattava certo di una casa.

Per il semplice fatto che roba come quella, quando era in auge e al massimo del suo splendore...era stata senz'altro meglio, di una semplice quanto misera magione.

Questa volta doveva trattarsi di una di quelle macchine di gala che apposite agenzie private mettevano a disposizione di personaggi veramente importanti grazie a meriti ottenuti nelle loro esclusive categorie di appartenenza.

Mezzi ideati, realizzati, elaborati ed affittati per raggiungere eventi, pranzi e cene di gala e ricevimenti. O anche solo per spostarsi in giro o all'interno di una città o di una metropoli senza che il resto del volgo anonimo e squallido potesse venire a disturbarli o a in fastidirli, i facoltosi passeggeri che di volta in volta ospitavano e traghettavano.

Figure i cui meriti potevano essere inerenti allo sport, alla politica, all'attualità, all'inchiesta oppure allo spettacolo.

Com'é che si chiamavano? E com'era che li chiamavano, un tempo?

Ah, si. Vips.

E i macchinoni che scarrozzavano impunemente su e giù i loro grassi, formosi e pasciuti culi...limousine, ecco.

Ora quel mondo non c'era più. Era completamente sparito, svanito.

L'olocausto nucleare ne aveva spazzato via persino il ricordo. Persino l'odore e la puzza.

Di soldi, di champagne e di sudore i cui elementi chimici venivano alterati dal senso perenne e permanente di ebbrezza scatenato dai continui e ripetuti eccessi.

Di cocaina, di sesso e di bagordi.

Ormai vetture come quelle, sempre ammesso che le si potesse ancora rimediare da qualche parte, venivano giusto impiegate per le uniche figure che ancora contavano qualcosa, in una simile epoca.

Le uniche rimaste ancora degne di una minima considerazione, in mezzo a soldataglia brutale e a villici buoni solamente a fare da carne per cannoni. O da cibo per i vermi, che era sostanzialmente la stessa cosa.

D'altra parte...qualcuno di molto spiritoso sostiene, e non a torto, che le carcasse e le carogne destinate agli avvoltoi o agli insetti saprofagi o ai batteri decompositori altro non sono che il prodotto fatto e finito di cui l'essere umano costituisce la materia prima, il componente base e nobile.

E come lo si potrebbe mai contraddire, coi tempi di merda che corrono?

Come si fa?

Che qualcuno ci provi pure, se davvero se la sente ed é così sicuro di dichiarare l'eventuale contrario.

Carrozzoni simili servivano giusto giusto per portare in giro i capi. Che fossero generali, comandanti oppure Re. O magari imperatori.

L'altra cosa che stava sicuramente in risalto e che era degna di nota, oltre a quello, era ciò che si trovava sul cofano, e che avevano appena usato per abbellirlo.

O che dovevano aver appena finito di usare, dato che sembrava ancora fresco. O caldo, a seconda dei punti di vista.

Un cadavere.

Le spoglie dell'unico, almeno fino a quel momento, superstite del trio che aveva osato attaccare l'invasore a colpi di arma bianca. Anche se va precisato che nessuno dei colpi in questione era andato minimamente a segno.

Il terzetto che stava e che era stato giusto in mezzo.

Rispettivamente dopo i tre che erano finiti esplosi come autentiche bombe umane, in un orrido tripudio di sangue sprizzato e budella maciullate ed esposte. E prima degli altri tre che gli avevano fatto seguito tentando di investirlo e di tirarlo sotto col loro bolide eruttante fumo e fiamme dai tubi di scappamento.

Vi stava legato sopra, sia per i polsi che per le caviglie, e con le braccia e le gambe aperte e completamente spalancate quasi a formare una croce di Sant' Andrea col proprio corpo ancora caldo.

Messo supino. Con la testa rivolta all'ingiù ed in direzione della strada, gli occhi sbarrati e labbra spalancate in un'espressione di terrore senza fine.

Doveva aver visto l'inferno, prima di tirare le cuoia. E la vita gli doveva essere uscita direttamente dalla sua boccaccia sghemba con tanto di contorno di denti marci insieme alle ultime urla. Poco prima che si tramutassero in rantoli di agonia per poi spegnersi del tutto.

Proprio una gran strana coccarda che si era scelto, il proprietario di quel mezzo. Che lo era solo di nome dato che ormai ra pura e mera astrazione parlare di tasse, di libretto di circolazione, di patente e di proprietà.

Però la macchina era sua, dato che era lui quello che lì se ne stava messo più in alto di tutti. E per giunta su di un piedistallo dove ci si doveva essere messo praticamente da solo, per proprio conto.

E a ben ragione, visto che da quelle parti ed in quei dintorni doveva essere senz'altro il più forte.

Ma solo lì, però.

E comunque, per chiunque passasse e si avvventurasse per quelle terre...la cosa andava tenuta da conto. E bisognava rispettarlo e onorarlo a dovere.

Perché era lui il pezzo grosso, lì. Il grande capo. Era lui quello che stavano trasportando e conducendo a zonzo e in giro senza una meta.

Fino ad adesso, andava inteso. Dato che la meta, ora, doveva avergliela senz'altro fornita l'autore di tutto quel gran bel macello. Che con tutta quanta la probabilità doveva essere anche il responsabile dei casini che stavano ammorbando e rendendo oltremodo pesante la giornata di quel reame.

Dell'intero reame in questione.

Il pezzo grosso, in tutto questo tempo, a parte l'intervento iniziale non aveva detto più nulla.

Non aveva fatto altro che rimanersene seduto sulla sua grossa e vistosa poltrona, con una gamba accavallata sull'altra e con un gomito piegato ad angolo retto su uno dei braccioli, a fare da pilastro e da sostegno mediante il dorso ed i polso alla sua testa lievemente reclinata.

La sua lunga e liscia chioma bionda si sollevava appena di qualche ciocca, mentre il vento la muoveva lentamente e pigramente grazie a qualche sporadico refolo.

La visione d'insieme trasmetteva e lasciava provenire da lui un gran senso di noia e di fastidio, quasi come se avesse giudicato estremamente inappriopriato il doversi scomodare per cose simili.

Per cose così futili ed insignificanti.

Ma a parte quello...forse vi doveva essere dell'altro.

Magari si stava comportando così per una ragione ben precisa.

Forse doveva aver deciso di lasciare che il cadavere sul cofano parlasse per lui, almeno dal punto di vista prettamente psicologico.

Che si esprimesse al suo posto e per primo, anche se solo dal punto di vista visivo.

Come ammonimento avrebbe dovuto essere più che efficace, per quanto riguardava lo scoraggiare altri massacri ed intenzioni ostili.

Ma subito dopo dovette convenire che l'avvertimento in questione, da solo, non doveva bastare.

Già. Per quanto esplicito che fosse, evidentemente con gente come colui che aveva davanti non era sufficiente.

No. Uno come quel tizio sfregiato non si sarebbe fatto impressionare o intimidire.

Decise quindi che era giunto il momento di dire anche la sua, in merito.

Puntò il dito verso il cadavere riverso, legato ed esposto sul cofano, indicando una zona ben precisa. Che forse dal punto dove si trovava l'invasore del suo regno, nonché l'assalitore dei suoi uomini, non si vedeva.

Un taglio. Uno squarcio profondo. Una ferita a dir poco orrenda che andava dll'inizio dello sterno fino all'inguine.

Difficile dire da dove avesse cominciato, da quale parte avesse affondato per prima la lama del coltello o del pugnale appartenente al macellaio che aveva eseguito un lavoro così infame. Eppure al contempo così preciso e di fino.

Davvero ammirevole, sotto un certo punto di vista. Perché non va dimenticato che se al posto di un cristiano vi fosse stato un bovino a qualunque altro genere di animale da pascolo o da allevamento, nessuno avrebbe avuto niente da ridire in proposito.

Anzi, forse si sarebbe persino complimentato per l'ottimo lavoro svolto.

Proprio vero. Ammazza un uomo e verrai biasimato e condannato da tutti gli altri tuoi simili.

Prova invece ad ammazzare un intero banco di tonni...e ti guarderanno con l'acquolina in bocca.

Anzi...ti daranno persino una mano a spinarli ed inscatolarli, mentre sbavano copiosamente per la fame e l'appetito.

Questo una volta, almeno. Perché tra uomini e bestie, in fatto di macelli e di venire macellati...non é che corresse poi tutta questa gran differenza, a quei tempi.

“Guarda questo pusillanime” disse l'uomo biondo. “Guardalo bene. Suppongo che questo vigliacco stesse fuggendo da te. Ma il suo era un tentativo velleitario e destinato a fallire. Perché fuggire dal proprio avversario, nel mio esercito, equivale a fuggire da chi lo comanda. Equivale a fuggire dal proprio sovrano. E non esiste fuga, da me. Non c'é via ne posto dove andare, per chi rinuncia alla lotta e a combattere.”

“Morte agli sconfitti” dichiarò. “Così come ai codardi. Questa é la sola ed unica legge che deve rispettare chi lavora per me e mi obbedisce. Questa é la sola ed unica legge che vige qui, nel mio regno. E basta ed avanza. Non ne servono né occorrono altre.”

Il tizio bendato e sfigurato sorrise, senza scomporsi. Anche perché sapeva benissimo chi aveva ridotto così il tizio finito ad abbellire il cofano.

Sapeva bene chi l'aveva conciato in tal modo.

Era stato il biondo. E senza ricorrere ad armi o a strumenti chirurgici.

Lo aveva fatto di sicuro a MANI NUDE.

Le sue capacità, le sue conoscenze in campo marziale e le tecniche che conosceva, unite all'arte di cui era dotato...gli consentivano benissimo di poterlo fare.

Prese a sghignazzare.

“Eh eh eh...AH AH AH AH AH AH!!”

“Sicché sei venuto qui, finalmente” disse, seguitando a ridere in modo rumoroso quanto sguaiato. “Ti stavo aspettando. Ero sicuro che continuando a massacrare quegli inetti che stanno al tuo soldo ti saresti deciso ad uscir fuori allo scoperto, prima o poi. E adesso...adesso ti sei degnato di venire qui e di presentarti al mio cospetto, SHIN.”

Il chiamato in causa poggiò il dorso della propria mano destra sotto alla punta del mento, in atteggiamento riflessivo, mentre socchiudeva gli occhi facendo assumere al suo volto un'aria che stava giusto giusto nel mezzo tra l'incuriosito ed il perplesso.

Dunque, quel tizio aveva dimostrato di sapere chi fosse. Ma lui, invece, non sapeva chi era l'altro. E questo non era affatto bene.

No, anzi...era DECISAMENTE MALE.

“Mh” fece. “Pare che tu sappia chi sono. Ma io non so chi tu sia, però.”

Questa volta il tizio sfigurato la prese decisamente peggio, sul personale. E non si limitò a far finta di nulla.

Anzi, andò su tutte le furie, mettendosi a sbraitare.

“Ma come?!” Urlò, agitandosi. “Possibile che tu non mi abbia riconosciuto?!”

Si mise pure a pestare i piedi mentre seguitava a sbracciare come un forsennato, senza smettere nemmeno per un secondo con entrambe le cose.

Era letteralmente fuori di sé dalla rabbia.

“Non azzardarti a dire di nuovo che non mi conosci, mi hai sentito?!” Glì inveì contro, intanto che continuava a dimenare i propri arti superiori. “Non ti permetto di non sapere come mi chiamo! E adesso...DI' IL MIO NOME!!”

“AVANTI!!” Glì intimò, gridando. “IL NOME! VOGLIO IL NOME! VOGLIO CHE TU DICA IL MIO NOME! ADESSO! DI' IL MIO NOME, FORZA! DI' IL MIO NOME!!”

“Dimmelo tu” gli rispose compassato Shin, facendo sfoggio di una a dir poco invidiabile calma e compostezza unite ad un altrettanto ragguardevole quanto encomiabile autocontrollo.

Sapeva dominarsi, a differenza di colui che lo stava apostrofando con epiteti assai poco garbati e gentili. Questo era fin troppo chiaro, lampante e palese.

La padronanza dei suoi nervi e delle sue emozioni doveva costituire senz'altro il suo forte. Così come la pazienza, di cui doveva certamente disporre in gran quantità. Anche se non doveva essere il genere di persona che ne faceva sovente ricorso, almeno di norma.

A giudicare dai suoi modi freddi e spicci, nonostante il linguaggio forbito, doveva aver ucciso e fatto uccidere moltissima gente anche per molto meno.

In molti dovevano essere morti anche per sgarri, sgarbi ed insulti ben minori e più futili di quello.

Ma l'invasore misterioso doveva averlo incuriosito, e doveva aver catturato in qualche modo la sua attenzione.

Lo aveva destato dal suo torpore.

Si. Aveva deciso che quel tizio dall'aspetto deforme dovesse aver qualcosa da dire. Qualcosa per cui dovesse valer la pena lasciarlo in vita ancora un po'.

“Mi hai udito?” Chiese. “O sei forse sordo? Ti ho detto di dirmelo tu.”

“C – che...che cosa hai detto?” gli domandò a sua volta l'uomo con la faccia fasciata.

“Ah, allora hai sentito” replicò l'uomo sul trono semovente. “Ti ho appena detto, anzi ordinato di dirmelo tu.”

“Dimmelo tu” gli ripeté, quasi con tono di scherno nonostante l'espressione svagata dipinta in viso. “Dovrei forse conoscerti, per caso? O vi é qualche motivo per cui io debba sapere chi sei?”

“Certo che c'é, dannazione!!” disse l'uomo dalla faccia mezza deformata. “Possibile che tu non mi abbia riconosciuto? Possibile che tu non sappia chi sono? Sono JAGGER, maledizione! Sono uno dei quattro candidati alla successione del ruolo di reggente della Divina Arte della Scuola dell' Hokuto – Shinken!!”

“Ah, già” fece Shin. “Ora ho capito chi sei. Uno dei quattro figliastri adottivi del bonzo Ryuken Kasumi. Nonché uno dei suoi discepoli. Solo adesso, ti riconosco. Senza offesa, ma l'ultima volta che ti ho visto avevi un aspetto decisamente diverso. Identificarti sarebbe stata una vera impresa per chiunque, conciato come sei.”

Questa volta fu Jagger, a non raccogliere.

“Beh...” commentò, “...in effetti ne é passato di tempo, dall'ultima volta che ci siamo incontrati. E' da un pezzo, che non ci si vede. Davvero.”

“Davvero” gli fece eco l'altro. “E fosse dipeso da me, le cose tra noi due avrebbero potuto andare avanti benissimo anche così. A distanza. E decisamente ragguardevole, direi. Saprai anche tu che i contatti tra le nostre due discipline sono proibiti, e vanno ridotti al minimo indispensabile. Sono concessi soltanto poche volte all'anno. E soltanto in occasioni sporadiche, particolari e ben specifiche.”

“Occasioni che spesso e volentieri si tramutavano in vere e proprie carneficine, con la scusa ridicola di sistemare vecchi e vetusti torti rimasti irrisolti” ci tenne a sottolinare. “E al cui termine sui pavimenti dei dojo e delle palestre a momenti non si potevano contare i corpi lasciati a terra tra cadaveri, mutilati o anche solo semplici feriti e contusi. Al punto che si pensò di arrivare qausi a proibirli e ad ablirli del tutto, se la memoria non m'inganna.”

“I rapporti tra le Scuole del Pugno della Stella del Sud e la Scuola del Pugno della Stella del Nord sono sempre stati piuttosto tesi, nonostante il reciproco rispetto e collaborazione” gli rivelò. “Ed é pienamente comprensibile, come cosa. Certe rivalità sono inevitabili, trattandosi di arti da combattimento. Specie se esistono da tempi che si possono definire immemori. Ma di recente possiamo dire che sono davvero ai minimi storici. Ed oltre a ciò...ti devo confessare che voi di Hokuto non mi siete mai stati molto simpatici.”

“No, decisamente non mi siete mai andati a genio” ribadì. “Hai scelto il giorno sbagliato per venire qui a trovarmi. E hai dimostrato che in fatto di cortesia e di buone maniere non sei certo un maestro, visto che il massacro inutile quanto insensato che hai inscenato e a cui hai dato vita non costituisce certo un buon biglietto da visita. Ti sei presentato in casa mia davvero nel peggiore dei modi, allievo di Hokuto. E come peggio non si poteva. E sappi che ne terrò debito conto.”

“Tuttavia” precisò dopo una brevissima pausa, “sarebbe una grossa scortesia da parte mia non ascoltarti nemmeno prima di ucciderti, vista tutta la strada che hai fatto e quanto ti sei dato da fare. E visto che, stando alle tue precedenti parole, sei venuto qui apposta per me. Vorrà dire che starò a sentire quel che hai da dirmi, prima di tutto. E poi ti ammazzerò, per vendicare l'onta che hai fatto subire al mio esercito. La laverò direttamente col tuo sangue!!”

Detto questo, spiccò un balzo direttamente da dove si trovava. E senza prendersi nemmeno la briga né perdere il tempo di rimettersi in piedi per far leva sui propri arti inferiori.

Niente di tutto questo. Aveva saltato letteralmente da SEDUTO.

Gli uomini intorno al suo trono motorizzato e semovente spalancarono occhi e bocche per lo stupore, formando con l'organo adibito alla voce nonché all'alimentazione una lettera inconfondibile. La quarta in ordine tra le vocali, per la precisione.

“Ooh...”

Persino Jagger rimase esterrefatto per lo stupore, allargando braccia e gambe per mantenersi in equilibrio e non rovinare a terra direttamente col proprio fondoschiena.

Shin raggiunse un paio di metri d'altezza e si esibì in una doppia capriola in avanti a mezz'aria prima di arrivare ad atterrare sulle proprie punte dei piedi, ad un paio di metri di distanza da colui che fino ad un attimo prima impersonava il suo diretto interlocutore. E che ancora considerava tale, dato il discorso non era ancora finito.

No, la faccenda restava ancora tutta da concludere. E qualcosa gli diceva che si era ancora all'inizio.

“Eccomi qui” disse, con un sorrisetto beffardo. “Faccia a faccia con te. Anche se dire faccia é un puro eufemismo, visto come é ridotta la tua. Pare proprio che qualcuno abbia deciso di suonartele di santa ragione, stando a quanto vedo. Forse uno dei tuoi due fratelli maggiori si é accorto che ti stavi allargando troppo, e ha deciso di rimetterti al tuo posto?”

“N – non...non sono cazzi tuoi!!” Sbraitò Jagger. “Mi hai capito? Fatti i cazzi tuoi!!”

“Mph. Hai ragione” ammise l'altro, quasi divertito dalla sua reazione rabbiosa. “Hai proprio ragione. Non sono affari miei. E non che mi importi, dopotutto. E adesso forza: dì ciò che devi. E poi stà buono e fatti uccidere da me. E muori.”

“Avanti” insistette, esortandolo ancora. “Parla!!”

Jagger portò la mano destra dietro alla schiena.

“Proprio quel che volevo” disse. “E' solo per questo motivo che mi sono sorbito tutte quante le tue cazzate e stronzate senza fiatare. Perché volevo solo averti a portata di mano. E di mira. Aspettavo soltanto questo!!”

Tirò fuori la sua fidata doppietta e gli puntò contro l'unica tra le due canne che era ancora carica.

Tra gola e petto, con la cartuccia stracolma di proiettili pronta per essere sparata.

“Bene, bene...” disse. “E adesso che fai, eh? Adesso che fa il caro maestro di Nanto dei miei stivali, eh? Sarai anche un combattente eccezionale ma nemmeno tu sei un Dio, caro mio. Nemmeno tu. Per quanti poteri e per quanta abilità tu abbia, in fondo sei un uomo anche tu. Resti pur sempre un essere umano, proprio come me. E nemmeno tu puoi evitare un colpo che parte a bruciapelo. Né di fucile, né di nessun'altra arma da fuoco! Neanche tu puoi bloccare un colpo a questa distanza così ravvicinata!!”

“Davvero?” gli fece Shin. “Allora non hai che una cosa, da fare. Non ti resta che provarci, invece di continuare a parlare inutilmente ed infruttuosamente.”

“Avanti. Provaci” gli ripeté. “Così vediamo se é vero.”

“N – non...mi tentare!!” Non mi provocare, é chiaro? Piantala, di provocarmi!!”

“Accomodati, ho detto” insistette Shin. “E scopri da solo se é vero. Scopri coi tuoi stessi occhi se le cose stanno così come dici, oppure no.”

“T – tu...”

“Coraggio, allievo di Hokuto. Spara! Spara, ho detto!!”

Jagger, alfine, cedette a quell'ordine così secco e perentorio. E alla tentazione.

Premette il grilletto e fece fuoco. Ed avvenne una cosa stranissima.

Fu come se il tempo intorno a lui avesse preso a rallentare. E vistosamente, anche.

Come quel che avrebbe potuto vedere un pugile ormai reso mezzo suonato dai pugni, mentre vede il guantone intriso del suo sangue, del suo sudore e della sua saliva partire con inesorabile quanto esasperante lentezza dal fianco del contendente, per poi proseguire la sua corsa sino ad abbattersi e stamparsi sul suo mento. O sulla sua tempia. O dritto dritto alla mascella.

Vide la rosa di pallini fuoriuscire dalla volata, dopo lo scoppio.

Avrebbe quasi potuto distinguerli uno per uno e persino mettersi a fare la conta, dato che gli parevano quasi fermi.

Non doveva trattarsi che di una sensazione, e nulla di più. Il tempo non si stava veramente bloccando.
La interpretò come un segnale ed insieme una conseguenza dell'adrenalina che ormai sentiva circolare liberamente ed in grandi quantità all'interno del suo corpo.

Forse era dovuta all'eccitazione per l'imminente uccisione che si stava profilando all'orizzonte.

E stavolta non si trattava di rifiuti, o di merdine insignificanti. Questa volta era un pezzo grosso.

Uno che contava, e per davvero. E non solo come signore della guerra o di possedimenti.

Un Rokusei in carne ed ossa, ed in persona.

Uno dei Sei Sacri Pugni. Un esponente e depositario dei Sei Stili Maggiori che governavano tutte le centootto scuole e discipline.

Fiuu...questo sì, che era davvero un gran bel colpo.

O forse l'ormone gli galoppava dentro a briglia sciolta per tutt'altro genere di motivo. E proprio per via della tremenda e spaventosa deformità su di un parte del suo cranio che lo stava martoriando e torturando. Senza pietà e senza sosta.

Quella che gli aveva causato quel gran bastardo.

Dopo un po', dopo MOLTO MA MOLTO po'...dopo parecchio e specie se insiste a manifestarsi in continuazione, anche il dolore più acuto finisce col diventare il miglior calmante di sé stesso. Addirittura il miglior anestetico, in certi casi.

Una volta che raggiunge e si stabilizza sul punto più acuto, al punto di divenire quasi insopportabile, pian piano comincia a diminuire. E poi scompare del tutto.

Non ci si fa più caso. Ci si assuefa anche a quello, come se fosse una droga o un qualsiasi altro genere di sostanza psicotropa o stupefacente.

Specie se non si riesce a svenire, a perdere conoscenza. O a cadere preda dell'intontimento, diventando incapaci di intendere e di volere.

E lui non voleva. Non ci teneva assolutamente, a farlo.

Doveva rimanere lucido, in quel momento.

Lucido come non mai. Più lucido del cielo azzurro e limpido.

Doveva rimanerlo, per attuare e mettere in pratica ciò che gli stava frullando in mente.

E allora, se non si sviene...interviene la serotonina.

La droga più potente di cui un essere umano può disporre. Quella che si attiva dopo l'uso di droghe esterne.

E' quella a dare e donare la botta, lo sballo, il benessere. Il paradiso. Non quel che si decide di introdurre nel corpo, che sia di propria volontà o meno.

La droga prodotta direttamente dal cervello.

Il dolore diventa persino piacevole. Si inizia a godere di esso, a volerlo. A cercarlo. Ad anelarlo.

Altrimenti...l'alternativa é di iniziare ad urlare. E di non smettere più, fino alla fine dei propri giorni.

Ventiquattr'ore su ventiquattro.

Si può davvero resistere e sopravvivere a qualunque cosa. Il corpo umano sa essere una macchina meravigliosa quanto terribile, ed in tal senso é ancora pieno di affascinanti e scioccanti misteri.

Una volta passato il momento di crisi...ci si può davvero adattare a tutto.

Ma gli effetti collaterali sono spaventosi. Aberranti.

Il corpo finisce sotto stress. E il cervello viene sottoposto ad un surplus di lavoro. Ed inizia a gridare e chiedere la giusta vendetta, così come gli organi interni e vitali.

L'adrenalina, come già detto in precedenza, comincia a scorrere e scorrazzare senza alcun limite, donando una gran forza. Di cui spesso non ci si rende nemmeno conto.

Non si sente più alcun stimolo esterno. E quindi quelli interni vengono sviluppati oltremisura.

Le emozioni, gli stati d'animo vengono ingigantiti in modo abnorme, da quello stato alterato.

Non si va fuori di matto, ma sia le capacità di analisi e di giudizio che quelle di logica e raziocinio subiscono senz'altro un brusco quanto duro colpo. Così come l'umore ed il temperamento.

Durissimo. Da cui non si riprenderanno né si ricostituiranno mai più.

Niente potrà mai tornare come prima.

Si alternano stati di profonda depressione a scatti e scoppi di rabbia senza alcun controllo.

Niente a che vedere con la tristezza senza limiti unita alla giusta ira che da sempre caratterizzava l'arte marziale che lui praticava.

Da quelle che stava provando lui in quel momento non poteva venir fuori nulla che fosse buono o nobile.

No. Da un terreno così corrotto potevano nascere e crescere solo piante e fiori velenosi. Malvagi. Marci. Tossici.

Solo FIORI DEL MALE. Null'altro.

Null'altro, da semi così talmente imputriditi.

Ed inoltre si sviluppano un totale disprezzo e mancanza di rispetto per la vita. In primo luogo per quella dei propri simili. Per il semplice motivo che li si ritiene i primi responsabili della propria sofferenza.

Come fanno ad essere così tranquilli ed incuranti, mentre uno come loro in questo dato e preciso momento sta patendo le pene dell'inferno?

Come fanno ad essere così spensierati e felici, mentre uno come loro sta soffrendo così tanto?

Era cresciuto e si era addestrato ed allenato con gli Dei. Ma alla fine non era rimasto che un uomo. Un semplice, misero uomo. Perché quelli non avevano voluto condividere con lui la loro incommesurabile potenza, la loro infinita e millenaria saggezza e i loro insondabili poteri.

Beh, peggio per loro. Tanto peggio per loro. Gliel'avrebbe fatta vedere a tutti quanti, dal primo all'ultimo. E pagare.

A partire dal grandissimo pezzo di stronzo che gli stava davanti, non appena i frammenti di piombo rilasciati dalla cartuccia appena sparata ed esplosa si fossero decisi a prenderlo in pieno.

E mancava davvero poco. Pochissimo. Un soffio.

Muori. Muori una volta per tutte.

“Muori, bastardo!!” Urlò Jagger, ormai esultante per la vittoria ormai prossima che lo doveva sicuramente attendere. “Và all'inferno!!”

E fu allora che avvenne un'altra cosa parecchio ma parecchio strana.

Gli arti superiori di Shin scomparvero, diventando pressoché invisibili.

Di essi non rimasero che le punte dei due indici, che si scomposero in decine e decine di duplicati e copie disponendosi tutt'intorno alla biondissima figura, a raggiera, per poi lanciarsi all'attacco.

“Fuuuuhhhh...”

Colpirono ognuno dei pallini, intercettandoli a mezz'aria e facendoli cadere a terra come inerti, dopo un perfetto volo in verticale con tanto di tonfo suicida sul nudo terreno.

Jagger era sbalordito.

Abbassò la propria testa e se li guardò, uno per uno.

Era davvero incredibile. Li aveva bloccati tutti, con la sola forza delle mani.

Anzi, di più. Delle sole ed uniche dita.

Non l'aveva mai ritenuta possibile, una simile eventualità.

Aveva sempre pensato che nemmeno un maestro di arti marziali fosse immune da una buona pallottola. Che neanche le sue conoscenze potessero proteggerlo e tenerlo al riparo dai proiettili e dalle armi da fuoco.

E credeva che ciò potesse valere anche per un predestinato, per un erede di una delle arti marziali maggiori, di rango e stato superiori.

Aveva sempre creduto che pistole, fucili e bombe fossero, costituissero la risposta e la soluzione decisive ad ogni problema ed avversario.

Ma adesso come adesso...quel maledetto gli aveva appena dimostrato l'esatto contrario.

“M – ma...” balbettò. “M – ma c – come...c – come hai...”

“Idiota” disse Shin. “La cosa ti stupisce tanto? Beh...a me no, se ci tieni a saperlo. Perché é tipico dei buzzurri e delle bestie ignoranti come te.”

“Eppure é scienza” chiarì. “A riguardo lo dimostra e lo enuncia chiaramente una legge fisica. Quando due oggetti lanciati l'uno contro all'altro si scontrano alla stessa velocità...la loro forza cinetica si annulla reciprocamente. Azzerano la propria spinta a vicenda. Non ne eri al corrente, forse? Mph, immagino di no. La lettura e l'informazione non devono costituire certo il tuo forte, così come le buone maniere.”

Jagger rabbrividì. La voce del biondo, questa volta, gli era suonata davvero vicino.

Fin troppo vicino.

Sollevò lo sguardo e se lo ritrovò proprio davanti, ad un palmo di naso, con lo sguardo cario di disapprovazione.

“Ah, un'altra cosa” gli confidò Shin. “Permettimi di fornirti un ulteriore suggerimento. Quando affronti un avversario...non scordarti mai di guardarlo sempre negli occhi.”

“Negli occhi” gli ribadì. “Mi hai capito, sottospecie di bestia? Guarda sempre i suoi occhi. O le sue mani. Non la sua bocca, i suoi piedi o altre cose. Sempre gli occhi, mai gli elementi di contorno.”

Jagger capì l'atifona. E al volo.

Quel trucco coi proiettili non era stato altro che un diversivo. Per distrarlo.

Tipico dei vigliacchi. Lo aveva abbindolato con quello spettacolino da braccone e da prestigiatore di mezza tacca per avvicinarglisi in men che non si dicesse, coprendo la distanza che li separava con uno scatto felino ed in un autentico batter d'occhio.

Quel tipo aveva i riflessi e l'agilità paragonabili a quelli di un ghepardo. Ed ora...

Ora ce l'aveva proprio addosso.

Per un istante percepì la sua fine piombargli addosso tra capo e collo, come un macigno.

Il vecchio istinto gli funzionava ancora. E fu proprio quello a fargli compiere un balzo all'indietro nel tentativo di sfuggire al suo raggio d'azione.

“D – dannato!!” Sbraitò. “Combatti da uomo, accidenti a te!!”

Shin ridacchiò.

“Uh uh uh...si dice che voi di Hokuto siate in grado di rendere il vostro corpo duro e resistente come l'acciaio a comando, grazie alla vostra volontà e alle vostre capacità psico – fisiche. Quale spreco inutile di energie...a noi di Nanto non serve così tanto. A noi basta un solo dito! Per noi é più che sufficiente rendere la punta del nostro dito più dura e resistente di un diamante!!”

“Come un diamante, mi hai sentito?” gli ribadì.

“Ah...ah, si?!” Gli fece Jagger. “E tu credi...credi forse di spaventarmi, biondo? Cosa credi di aver dimostrato, con quell'insulso spettacolino? Se vuoi buttarla sui giochini di prestigio, ti assicuro che ne conosco di ben migliori!!”

“Non hai capito” lo contraddisse Shin. “Fino ad adesso ho solamente voluto divertirmi, con te. Se soltanto avessi voluto...avrei potuto sbriciolarteli tutti, i tuoi proiettili. Avrei potuto frantumarli fino a ridurli in poltiglia. Ma forse...il risultato non sarebbe stato così impressionante. E non avrebbe avuto lo stesso effetto, su uno come te. In tal modo...come ho agito io fa più scena, non é così? Non pare anche a te, forse? Ritengo che siano gli esempi, a contare. Da sempre, più di qualunque altra cosa. Perciò trvo che sia molto meglio averti dimostrato la completà inutilità dei pallini di cui sono foderate e riempite le tue ridicole cartucce. Non hai modo di scalfirmi, uomo di Hokuto. Neppure con dei miseri proiettili, per tanti che siano!!”

“Volevi una prova pratica” gli confidò. “E' per questo motivo che mi hai sparato, non é vero? O almeno...é così che la voglio interpretare io. Volevi solo avere un prova della mia abilità. E ora l'hai avuta.”

Eh, già. Gli aveva appena dimostrato coi fatti che uno come lui era immune persino alle pallottole. Che nemmeno loro potevano nulla, contro uno così.

E glielo aveva dimostrato con una delle tecniche tipiche della sua scuola.

 

Il NANTO KO – SHU KEN.

 

Il SEN NO SASHI KIZU NO TE, per la precisione.

 

LA MANO DELLE MILLE PUNTURE DEL PUGNO DELL' AQUILA SOLITARIA DELLA SACRA SCUOLA DI NANTO.

 

Altro non era che una variante del più rinomato attacco conosciuto come MOMOTE NO KOGEKI, ovvero L' ATTACCO DALLE CENTO MANI.

Veniva utilizzata nella fattispecie contro i bersagli di stampo più piccolo e minuscolo. Quando la grandezza della loro superficie e delle loro dimensioni non superavano complessivamente quella della parte iniziale delle falangi che si andavano ad impiegare nell'esecuzione del colpo.

Ma il loro potere trapassante e perforante non era da giudicarsi affatto inferiore. Anzi...tutt'altro, visto che la parte del corpo utilizzata nell'attacco era da considerarsi ridottissima.

In tal modo sia la forza che la potenza ed il potere del colpo erano e venivano concentrati. E resi maggiori. Infinitamente maggiori.

La forza cinetica di un maglio compressa e racchiusa sull'equivalente della capocchia di uno spillo.

Come abbattere un intero palazzo con la sola punta di un trapano. O di uno stuzzicadenti acuminatissimo.

Shin l'aveva usata a nemmeno un decimo della sua reale potenza che poteva sprigionare in realtà. Altrimenti, dei proiettili che aveva appena neutralizzato non sarebbe rimasta che polvere.

“Ghrrr...e va bene.”

Jagger buttò a terra il fucile. Ormai inservibile, dato che aveva appena sprecato l'unico colpo ancora buono. E visto che non gli era servito ad ottenere pressoché nulla.

Cominciò quindi a muovere e a far roteare le braccia, con ampi e lenti movimenti circolari.

“Lo hai voluto tu!!” Proclamò, tronfio. “Non avrei voluto ricorrere alla mia tecnica marziale, ma...visto come stanno le cose, non mi lasci altra scelta! Preparati!!”

Il movimento dei suoi arti superiori si fece ancora più largo e vorticoso.

“Sappi che non hai più alcuna speranza!!” Lo avvertì. “Lo sanno tutti che la tecnica del Divino Pugno di Hokuto é mille volte superiore, alla tua insulsa tecnica di Nanto! Non c'é da fare nemmeno il minimo confronto o paragone!!”

Shin lo guardò, immobile. Non si mise nemmeno in guardia.

“Mph. Questo é quel che affermi tu” disse. “Ma...sarà davvero così?”

“Ghrrr...”

Jagger ringhiò di nuovo, per tutta risposta. E questa volta ancora più a lungo di prima.

“Sai...” gli annunciò tono quasi confidenziale, come se gli stesse rivelando chissà quale segreto. “Devi sapere che la mia scuola é talmente potente che basterebbe una tecnica presa a caso tra le basi delle basi, per avere ragione di te. Senza contare che io la padroneggio con maestria assoluta. Si, sarebbe sufficiente un colpo di quelli rudimentali, per sconfiggerti. Ma gli scontri tra maestri prevedono la rigorosa osservanza dell'etichetta. Come da tradizione, ognuno dei contendenti deve sfoderare le proprie tecniche migliori. Quindi, per mostrarti il rispetto che nutro nei tuoi confronti, nonostante tu sia un nemico...ho deciso che ti abbatterò con il mio colpo più micidiale!!”

Shin abbassò lo sguardo. E ridacchiò tra sé. Un'altra volta. E neanche questa sfuggì all'attenzione del suo rivale.

Del resto, non aveva certo fatto in modo che potesse passare inosservata.

“Cosa...cos'hai da ridere?” Gli domandò Jagger. “Ti ho chiesto cosa cazzo hai da ridere!!”

“Uh uh uh...spiacente, ma non ne ho potuto fare a meno” gli replicò Shin. “Scontro tra maestri...certo che ne spari di idiozie, uomo di Hokuto. E' davvero incredibile, il coraggio che ha certa gente...”

“Ghrrr...taci!!” Gli ordinò l'altro. “Ti ho detto di tacere, chiaro? Continui a sfottere, e a non considerarmi! Ma io ti chiuderò quella tua sudicia bocca, una volta per tutte! Ti farò a pezzi con il mio attacco invincibile! La tecnica segreta che ho appreso direttamente da mio padre, il grande Ryuken! L'unico, a cui gliel'ha insegnata!!”

“E va bene. Fatti sotto, allora. E fammi vedere questa tua tecnica invincibile che ti ha insegnato Ryuken. Forza.”

Jagger si lanciò verso di lui, buttandosi quasi a corpo morto e mulinando ambedue le mani come un ossesso.

“Eccoti il mio HOKUTO RAH – KAHN GEHKI! IL COLPO DEL RE GUARDIANO RAH – KAHN, tutto per te!!”

Shin attese il suo arrivo senza scomporsi minimamente. Non appena i colpi furono troppo vicini ne schivò alcuni con una rapida serie di movimenti ed oscillazioni del tronco. E quando la distanza diminuì ulteriormente la riportò ai livelli precedenti effettuando alcuni rapidi scatti all'indietro che culminarono in un breve balzo.

Stava molto attento, attentissimo a riguadagnare al volo una posizione sicura. Ma non voleva concedere troppo terreno a chi gli stava davanti. A lui in persona così come alla sua superbia e tracotanza.

Nonostante fosse e risultasse fin troppo chiaro, palese che non si stava affatto impegnando al massimo, era concentratissimo.

Jagger, dall'alto del presunto piedistallo in cui si era piazzato praticamente da solo mediante un abbondante quanto smodato uso della sua superbia, interpretò quella condotta come una chiara manifestazione di paura. E questa volta fu lui a sentirsi in diritto di pigliare in giro e canzonare.

“Eh eh eh...bravo. I miei complimenti. Scappi, eh? Pare che tu abbia finalmente capito chi hai di fronte. E pare anche che a differenza di me che sparo col fucile, tu sappia sparare solo gorsse scorregge col tuo didietro. Parli, ridacchi a vanvera e sputi sentenze solo per cambiare aria a quel forno che ti ritrovi al posto della bocca, ma quando c'é da fare sul serio...ti comporti come un vigliacco. Sei solo un puzzolente vigliacco né più né meno di tutti quelli che ho incrociato finora, nient'altro. E tu saresti THE KING, il Re, come ti fai chiamare dai tuoi fedeli cacasotto e dai villici merdosi che infestano queste terracce? Pfui. Tu, per me, sei solo il Re dei codardi!!”

“Tsk. Codardo io ?” Replicò Shin. “Sappi che non m'importa affato di come tu interpreti i miei sorrisi. Non devo giustificare il mio comportamento ad anima viva, e ci tengo che tu lo sappia. E poi...proprio tu parli di rispetto delle regole e del codice di cavalleria. In genere ci si limita a scambiarsi un po' di schermaglia, durante i primissimi assalti. Giusto per saggiare le capacità di colui contro il quale ci si ritrova a battersi. Ma tu...sei partito mirando direttamente ai punti vitali. Ed é per questo motivo che ho deciso di arretrare in modo così fulmineo. Non scambio colpi d'assaggio contro chi non ha intenzione di fare la stessa cosa e di eseguirli a sua volta!!”

“La tua é stata una grave mancanza di rispetto” gli precisò. “Ed i casi, giunti a questo punto, sono due. Sul fatto che tu lo abbia compiuto di proposito é fuori discussione. Non c'é nemmeno da dibattere, direi. Ma resta da capire se lo hai fatto apposta perché sei solo un pazzo scriteriato...oppure perché in realtà sei TU quello che ha paura, qui.”

“Sei proprio tu ad aver paura, tra noi due” Gli ribadì, esponendogli il medesimo e appena precedente argomento, seppur con termini diversi. “Anche se insisti a mostrarti tanto spavaldo.”

“Tsk! Continua pure a fare lo spaccone” lo apostrofò sprezzante Jagger, “E a sparare le tue solenni fanfaronate. Ma ti informo che il mio prossimo colpo andrà a segno. E nel caso tu non te ne sia ancora accorto...tra un po' non avrai più nessun posto, dove fuggire!!”

Shin guardò indietro, alle sue spalle.

Era ormai giunto nei pressi e vicino al monumentale mezzo motorizzato occupato e guidato dai suoi uomini. Quello sul quale spiccava il voluminoso trono con tanto di sedile in tessuto purpureo da cui si era catapultato fuori con scatto, abilità e riflessi fulminei e felini degni di un leopardo.

Ma non sembro preoccuparsene eccessivamente.

“Hai detto bene” disse al suo avversario, rivolgendosi di nuovo verso di lui. “Il prossimo colpo andrà a segno.Resta solo da vedere da parte di chi, non trovi anche tu?”

“Ghrr!!” Ringhiò Jagger. “Non la smetti proprio, eh? Non vuoi proprio smetterla! Continui a vomitare fuori stronzate da quel cesso di bocca! Adesso te la chiuderò per sempre, quella tua bocaccia lurida!!”

Partì all'assalto, con la sua invincibile tecnica segreta.

A parer e detta sua, almeno.

Shin attese con calma il suo arrivo, con estrema calma e senza minimamente scomporsi.

Quando l'ebbe a tiro, spiccò un balzo in verticale e verso l'alto. Gli fu sufficiente applicare una lieve pressione sulle punte ed al contempo sollevare lievemente i talloni per balzare in aria al pari di una molla.

Merito degli allenamenti della Sacra Scuola. Gli allievi di Nanto lavoravano moltissimo sull'agilità, sulla rapidità e sulla velocità e flessibilità muscolari, in modo da portarle fino a livelli sovrumani.

Una volta che fu quasi giunto alla massima portata disponibile del balzo che aveva appena effettuato, Shin eseguì una capriola all'indietro con un colpo di reni e successivamente girò su sé stesso, piombandogli alle spalle.

Jagger provò a seguire quel movimento, provando a non perdersene nemmeno un secondo.

Alzò istintivamente la faccia, portando lo sguardo proprio dove sapeva che avrebbe trovato il suo contendente. O almeno, questo era ciò che pensava.

Perché fece tale manovra con giusto due secondi di ritardo. Giusto quei due secondi di troppo, e probabilmente fatali. Che avrebbero potuto senz'altro costargli la vita.

Trovò solo il cielo azzurro, ad attendere la sua vita.

Percepì un brivido freddo. Una sorta di stilettata gelida al'altezza del cervelletto e delle prime due vertebre cervicali, che gli ghiacciò il sangue nelle vene e le gocce di sudore a fior di pelle.

Fece partire un attacco all'indietro, roteando col tronco e sferrando una via di mezzo tra una percossa ed un manrovescio col taglio esterno della mano.

Il tutto tenendo le falangi ben diritte e stese, unite e col pollice piegato ad angolo retto appena sotto, a far loro da sostegno e supporto.

Incontrò e fendette soltanto il vuoto. Nient'altro che il vuoto, e l'aria.

Riportò il busto in avanti e stese le braccia, di puro riflesso.

Si ritrovò la mano destra di Shin all'altezza del suo collo, vicino alla base e all'attaccatura, dove si fondeva e confluiva nel petto. Tenuta ed usata nello stesso e medesimo modo in cui l'aveva appena utilizzata lui, fino ad un attimo prima. E pronta ad affondargli dentro come una lama puntuta ed affilata al primo segno di movimento o gesto di reazione.

Le sue dita, invece, si trovavano all'altezza delle tempie, di lato e proprio nel punto in cui partivano le radici dei suoi lunghi e biondi capelli.

Le tempie. Erano punti vitali. Tra gli tsubo e i punti di pressione più conosciuti e rinomati della Divina Arte di Hokuto. E più micidiali.

Gli tsubo TOI. Proprio accanto agli tsubo KENMEI e ZUSHO. E anch'esso, alla pari degli altri due, facenti parte del gruppo HARAKUI – KESHIKI. L'insieme dei punti segreti detti della VISTA LUMINOSA.

La coppia di punti appena menzionata aveva funzioni decisamente diverse.

Il primo, deno minato anche ZUSETSU nell'agopuntura, serviva per cancellare la memoria a breve e a lungo termine per un tempo variabile. Che poteva essere dal breve al duraturo, fino a diventare permanente.

Ovviamente, stava a discrezione di chi lo usava, a seconda di tutta una serie di parametri come l'inclinazione delle falangi, l'angolo di colpo, la profondità raggiunta e la quantità di energia vitale e spirituale impiegata.

Il secondo, invece, veniva impiegato per ripristinare la vista. Ma solo se perduta principalmente per colpa di choc improvvisi. E a patto che i danni agli occhi e ai tessuti limitrofi non fossero troppo gravi ed estesi. E bastava un niente, sia dal punto di vista del tocco che dell'energia impiegata.

Entrambi dovevano essere il più lievi possibile.

Era uno tsubo a scopo prevalentemente terapeutico.

Qualcuno abbastanza esperto, in passato, aveva trovato il modo di uccidere anche con quello. Confidando nel fatto che anche un conoscitore delle tecniche di Hokuto tendeva a sottovalutarlo e difficilmente lo difendeva, non ritenenedolo letale.

Ma era un impiego caduto in disuso. In fin dei conti, ve n'erano altri egualmente efficaci, se non di più. E dall'utilizzo senz'altro più semplice.

Per attivarlo in quel modo era necessario diminuire sia la portata che l'accumulo di energia vitale da inocularvi. E la concentrazione risultava doppia del normale. Perché in genere, ad effettuare un movimento lento e debole i muscoli fanno il doppio dello sforzo. E la mente non lavora in modo molto dissimile.

Senza contare che può essere molto rischioso e pericoloso abbassare di colpo la tensione combattiva nel bel mezzo di una battaglia o di un duello.

Ma a Jagger non interessavano, ora. Quello di cui aveva bisogno era uno tsubo di tipo mortale.

E quello che aveva scelto andava benissimo. Una volta entrato in funzione causava la morte pressoché immediata o istantanea della vittima, smembrandola in due parti esatte a partire dalla testa, che si gonfiava come un palloncino ad elio o altrettanto gas volatile per poi esplodere.

Anche in questo caso era possibile ritardare la procedura a discrezione del praticante. Anche se in genere non si andava mai oltre i tre secondi e non di più, visto che si trattava di una tecnica talmente fulminea che a ritardarla e a procrastinarla troppo si poteva correre il rischio di perdere l'attimo. E di annullarla praticamente da soli. E non é consigliabile fallire un colpo di grazia mentre l'avversario é impegnato a fare altrettanto. Proprio come stava accadendo in quel dato e preciso momento.

No, non era proprio il caso.

Doveva stare molto attento.

Erano in una situazione di perfetto quanto assoluto stallo. Il più rapido avrebbe vinto.

Come in un duello a base di pistole fumanti e tonanti ai tempi della frontiera ed oltreoceano, nel continente occidentale.

Una volta estratta l'arma, il più veloce avrebbe vinto.

Era nervoso. E teso. Non poteva permettersi di sbagliare. E non doveva neanche far vedere al biondo di essere così agitato.

Shin, per contro, non stava facendo un piega.

Come prima. E come sempre. E come aveva fatto sin dall'inizio.

“Le tue parole di prima” commentò, “non sono altro che l'ennesima riprova della tua assoluta ignoranza in materia. Tu credi davvero che sia soltanto una questione di mera tecnica? Non esiste una scuola più forte o potente, rispetto alle altre. La tua tecnica di Hokuto non é affatto superiore alla mia tecnca di Nanto. Perché non conta affatto lo stile impiegato, ma solo colui che lo applica e mette in pratica!!”

“Non esiste uno stile superiore!!” Dichiarò. “Perché conta l'uomo, non il colpo!!”

“Ah...ah, si?!” Gli fece Jagger. “Beh...allora sappi che ho una brutta notizia, per te. Forse non te ne sei accorto, ma...ti ho fregato, bello! Ti ho fregato alla grande!!”

Shin fece una leggera smorfia, guardandolo dritto dritto negli occhi.

“Tu dici?” gli fece, con tono alquanto perplesso.

Per tutta risposta, Jegger ridacchiò. In maniera alquanto fragorosa, persino, per trattarsi di un risolino di scherno.

“Eh eh eh...”

Difatti non ci mise poi molto, a tramutarsi subitaneamente in una risata omerica.

“Ah ah ah! E' così, ti dico! E' proprio così! Sei finito, biondino! Sei già morto, capito? Bello che morto, e nemmeno te ne sei reso ancora conto! E vuoi che ti dica perché, eh? Perché lo sanno tutti come funziona la tua tecnica! Il potere del Pugno di Nanto consiste nel rendere gli arti e le estremità simili a vere e proprie armi. Armi da punta e da taglio. Le mani, le braccia, i piedi e le gambe diventano come spade. Pugnali. Asce, scuri, lance e picche. E proprio come quelle armi...hanno bisogno di una certa quantità di corsa unita ad un apposito slancio, perché l'attacco sferrato sia efficace!!”

“Ah ah ah! Adesso...adesso capisci perché hai perso?!” Aggiunse, dopo un ennesima quanto ulteriore risata.

“Veramente no” gli rispose Shin. “Ancora non lo so. Dimmelo tu.”

“Sul serio non lo hai ancora capito? Perché siamo corpo a corpo, ecco perché! I nostri due corpi quasi si toccano! E la tua mano é praticamente poggiata addosso al mio collo! E' come se la lama che hai al posto della mano fosse già nella fase culminante di un fendente. Non puoi imprimergli più forza, ormai! Non abbastanza da farla entrare nella mia carne per tagliarla! Mentre io...io posso ancora colpirti, invece! Per noi di Hokuto é sufficiente un tocco, nulla più. Perché non conta il misero contatto, ma l'energia spirituale che uno riesce ad infondere! Mi basterà solo sfiorare le tue tempie, e la mia forza combattiva penetrerà nella tua testa! Andrà fino in fondo alla tua bella testolina di cazzo, e attiverà gli tsubo che voglio io facendotela esplodere come un fottuto palloncino!!”

“Dì pure addio ai tuoi uomini” gli intimò. “Fin tanto che lo puoi ancora fare.”

I soldati del Re trasalirono, a quelle parole.

Shin rivolse loro un'occhiata fugace e a dir poco distratta, per poi tornare a concentrarsi sul suo rivale.

L'angolo destro della sua bocca si incurvò leggermente verso l'alto, con le due labbra a formare un arco. Un angolo acuto.

“Mph. Ne sei davvero sicuro?” Gli domandò. “Sei davvero sicuro di quel che dici?”

Jagger fu preso quasi in controtempo, da quel commento. Che nel quesito in sé racchiudeva già la più lapidaria tra le risposte.

“Ce – certo che ne sono sicuro!!” Sbottò. “A – allora non hai davvero ancora capito! A – allora tu non mi ascolti, quando io parlo! E' come se avessi già vinto, é chiaro? Ho...ho vinto io! Ho vint...”

“Davvero pensi questo?” Lo interruppe di colpo Shin. “Beh...sappi che TI SBAGLI.”

“C – cosa?!”

“E' proprio così” gli confermò Shin. “Sappi che ti stai sbagliando. E di grosso, anche.”

“C – cosa...cosa cazzo stai...”

“Ancora non ci credi, uomo di Hokuto? Ora vedrai.”

“N – non...non dire stronz...”

Non gli riuscì di finire la frase. Anche perché non gli rimasero né corde vocali né altri organi di risonanza o adibiti alla voce, per poterlo fare e concludere così degnamente il discorso che aveva tirato in ballo.

La mano di Shin gli affondò nella gola.

Dentro. Di lato. Fino a toccargli la trachea.

Non incontrò nessun tipo di resistenza. Come avrebbe fatto un coltello o un temperino resi roventi da un alta e cocente fiamma, prima di immergerli dentro ad un panetto di burro bello caldo.

Jagger intuì e capi quel che stava accadendo, quel che GLI stava accadendo, dal movimento del braccio impegnato nell'esecuzione.

Non stava provando né sentendo dolore. E non stava versando al benché minima goccia di sangue.

Né seguì lo spostamento con gli occhi quasi fuori dalle orbite, e con i rossissimi capillari bene in evidenza sul bianco delle sclere.

Non poteva crederci. Non riusciva a crederci.

Lo stava...lo stava decapitando.

Gli stava tagliando la testa.

Lentamente, con calma, quasi gustandosi ogni passaggio con estrema voluttà.

Ma come...come aveva...come aveva fatto?

Come ci era riuscito, dannazione?

Non poteva fare a meno di chiederselo.

No. Proprio non riusciva a non domandarselo mentre il cranio gli si staccava, con l'ultima e finale tra le due vertebre cervicali ormai sezionata nel punto esatto in cui la sua estremità più bassa si intersecava col resto della colonna,per la precisione in quel breve tratto di midollo molle e nervoso tra i confini e bordi di puro osso.

Un colpo di una precisione certosina quanto infallibile. E micidiale, a dir poco.

E Jagger non smise di chiederselo nemmeno quando, con un terribile attimo di ritardo dopo, il suo capo si separò del tutto dal suo corpo per poi rotolare all'indietro ed oltre le spalle.

Vide le varie parti del suo busto. Poi il suo culo, con le natiche rese tese e ben strette dalla strizza, fin quasi a rendere la linea sottile che le divideva e formava quasi del tutto invisibile.

Non avrebbe potuto cagare nemmeno una pepita, nello stato in cui si trovava. Contratto come una corda di arco o di violino.

Il busto. Il culo. E poi subito dopo le gambe, coi muscoli posteriori del femore e dei polpacci. Ed infine i piedi. I tutto inframmezzato con visioni alterne e ad intervalli più o meno regolari del panorama.

Cielo, terra e palazzi.

Piombò al suolo e nella polvere. Con la sabbia che gli penetrò nel palato duro e molle e da lì direttamente nella faringe, senza alcun rispetto.

Si sentì riversare di lato, mentre fissava il punto esatto dell'orizzonte dal quale era giunto.

Tutto bello tronfio e spavaldo, giusto un istante prima di incontrare il suo destino. E così la sua fine, anche.

Una triste, ignobile quanto miserabile fine.

Era crudele. Davvero troppo, troppo crudele.

Da lì il suo sguardo si sollevò nonostante non si potesse certo muovere, combinato come stava.

Vide un tunnel bianco e luminoso condurlo verso l'alto. Poi subì una brusca sterzata e cominciò a precipitare, mentre tutto si faceva nero ed oscuro.

E poi tutto divenne buio.

Vi fu solo buio. Denso. E silenzio, in una coltre atrettanto spessa che lo avviluppò.

Lo scorno, da parte sua, era pressoché totale.

Se l'era sempre immaginato diverso da così, il paradiso dei guerrieri dove un giorno contava sicuramente di arrivare.

Ben diverso.

Altro che bruciare fino a consumarsi del tutto e ad esplodere. Per poi lasciare una traccia luminosa nel firmamento simile ad una stella.

Bella inculata. Finire in niente.

Come un insetto. Come una merda.

Proprio una bella fregatura. Davvero.

Che gran modo del cazzo, di morire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Percepiva di essere ancora presente. E cosciente. A dispetto di quanto era e gli era appena successo.

Provo a riaprire gli occhi, quindi. Se non altro, per capire almeno dove si trovasse.

Con sua sorpresa, si accorse di riuscirci. E con sua successiva ed ancora più grande e maggiore sorpresa...si accorse che niente di quello a cui aveva appena assistito impotente si era verificato.

Era tutto come prima.

La sua testa era ancora attaccata e tenuta ben salda al suo posto. Al collo e al torso.

Era ancora vivo.

Incredibilmente, lo era ancora.

Vivo. E vegeto. E terrorizzato da un arcano mistero.

Era davvero...Shin lo aveva veramente ucciso?

O era stata solo un'illusione?

Si era trattato di un miraggio, forse?

Si dice che i maestri che raggiungano i più alti ed estremi livelli di un'arte mortale siano in grado di dare vita a vere e proprie allucinazioni e visioni, mediante la loro energia spirituale.

E che quando la loro aura e forza combattiva si incrocia con quella di un altro maestro di pari valore...accadano cose ancora ben più strane. E terrificanti.

Maestri di pari livello. Quasi avrebbe avuto di che sorridere e di che essere orgoglioso, se solo non fosse che era letteralmente spaventato a morte.

I suoi glutei erano ancora serrati. E meno male. Altrimenti, ulla gli avrebbe impedito di rilassare gi sfinteri al punto di collassarli e liberare così sia la vescica che l'intestino retto in contemporanea, facendosela addosso fino ad inzuppare e riempire le brache di giallo e di marrone.

Si era trattato davvero di pre – cognizione? Di una premonizione? Di una percezione extra – sensoriale?

Dunque era davvero giunto al medesimo livello di quel...di quel...

Ah, già. Shin.

Provò a distrarsi per sciacquarsi di dosso la paura folle che lo stava attanagliando. E che stava quasi sul punto di sopraffarlo.

Tornò a concentrarsi sul suo avversario. E sul combattimento in corso.

Le sue braccia erano ancora estese, nel tentativo di colpirlo alle tempie.

Un vano tentativo, visto che Shin...non era più lì.

Il biondo maestro di Nanto si trovava a qualche metro di distanza, ed aveva riguadagnato una distanza tale da potersi definire sicura.

Era in salvo dai suoi possenti attacchi. E le braccia stese lungo i fianchi lasciavano trasparire ed intendere che avesse definitivamente rinunciato ed abbandonato la battaglia.

“Allora, uomo di Hokuto” gli fece. “Dimmi cos'hai visto.”

Jagger lo fissò.

“C – come...” farfugliò in maniera alquanto confusa.

“Allora?” Gli ripeté Shin, con tono inquisitorio. “Dimmelo, forza. Voglio sapere cosa sei riuscito a scorgere. Dimmi...hai forse potuto scorgere LA TUA MORTE?”

“C – come...come fai...c – come d – diavolo hai f – fatto a...”

“Il tuo corpo sta parlando per te” gli spiegò l'altro. “Non hai affatto bisogno, di rispondermi per rivelarmi quel che so già. E che ho capito benissimo da solo. Hai utilizzato una tecnica avanzata della tua scuola, che consiste nel disorientare coi movimenti casuali delle mani per poi puntare dritti agli tsubo sfruttando il senso di confusione generato dal movimento stesso.”

“In verità non era affatto male” gli confidò. “E la tua mossa era eseguita con perizia. Ma la Divina Arte di Hokuto é ben più vasta, a quanto ne so io!!”

“Ed inoltre” aggiunse, “sei davvero lentissimo. Al punto da farmi quasi sbadigliare. Anche se esegui una tecnica in modo valido, con una lentezza come la tua non mi spaventi di certo! Ed é qui che hai commesso il tuo errore più grande. Noi guerrieri di Nanto facciamo della velocità il nostro punto di forza! Non puoi sperare di avere la meglio su un combattente della Sacra Arte della Stella del Sud, con quei tuoi movimenti così lenti e prevedibili! E contro uno dei suoi Sei Sacri Pugni, per giunta! La tua é pura follia, amico! E' mera e semplice astrazione!!”

Complimenti. Un'analisi fredda, lucida e spietata. Ed oltremodo esauriente. E Jagger non poteva che essere d'accordo. Ed in pieno, anche.

Persino una mente onubliata ed accecata dall'odio e dal dolore quale era la sua non poteva che ammetterlo e riconoscerlo. Ed inchinarsi, con rispetto.

Ma non voleva dargli, concedergli la soddisfazione. Neanche minima. Neppure un briciolo.

“P – perché...per quale motivo non mi hai ucciso?” Gli domandò, fingendo di recuperare un minimo di controllo che in realtà non aveva. “Hai...hai sprecato l'unica occasione che avevi! Hai...hai buttato al vento l'unica possibilità che ti avevo concesso per farmi fuori! P – per...per eliminarmi! L'hai gettata via!!”

“Ricorda e tieni bene a mente che l'abilità di chi maneggia una lama o una spada é importante tanto quanto l'arma che egli brandisce” disse Shin. “La mia lama oltrepassa quando io decido. Ma é in grado di tagliare, perforare e trapassare chiunque, e qualunque cosa! E' letale per colui che ho scelto come mio bersaglio e vittima, ma non é assolutamente in grado di ferire chi decido di risparmiare e graziare! Ed é in grado di provocare dei tagli e dei fori netti e puliti. Talmente netti e puliti che, ritraendo la lama, potrebbe essere possibile persino ricongiungere e risaldare le parti offese e danneggiate come se non fosse successo nulla! Perché come esistono spade e lance capaci di tagliare e sfondare tutto, esitono anche armi che non possono tagliare assolutamente nulla! E ti assicuro che sono proprio quelle, le più temibili!!”

“C – cosa?!”

Pazzesco. Davvero pazzesco. Ciò voleva dire...stava a significare che lui...lui...

“A – allora...allora mi stai dicendo che tu...che tu mi hai veramente UCC...”

“Te l'ho appena detto, uomo di Hokuto. Tu credi che gli arti di un maestro di Nanto siano paragonali a spade, lance o picche. Ma non é affatto così. Non soltanto. Il Sacro Pugno di Nanto non é così semplice e spartano come tu pensi. E nemmeno come appare a prima vista. Non lo si può ridurre alla punta o al taglio di una lama o di un'arma qualunque che fende le carni e basta. Anche un colpo che raggiunge un corpo lo si può classificare come un'interazione tra campi magnetici. Ed é proprio quel che facciamo noi di Nanto. Sincronizzando alla perfezione i movimenti con la respirazione e la velocità di esecuzione degli stessi, generiamo una vibrazione. Una vibrazione che attraversa le membra e i tessuti, fino ad agire in profondità. Ed il processo é da considerarsi totalmente irreversibile, fino all'ultimo istante in cui la tecnica non viene completata e portata definitivamente a compimento. Ciò significa che anche noi siamo in grado di controllare e menipolare la materia. Esattemente come fate voi quando incanalate e convogliate la vostra energia spirituale all'interno di quelli che chiamate e definite punti di pressione!!”

“A – allora...allora é...é dunque questo, il segreto della vostra arte...” disse Jagger, atterrito.

“N – non...non riesco a crederci...”borbottò.

“E poco fa ti ho detto anche un'altra cosa” lo redarguì Shin. “E cié che non conta lo stile, il colpo o la tecnica che si utilizza. Conta solo l'uomo che sta dietro, e che la usa. Null'altro. E ti ho anche detto che non temo la tua arte. Ma temo però quella dei tuoi due fratelli maggiori. In particolar modo quella del vostro fratello più anziano. Se ora ti ammazzassi con le mie mani, potrebbe interpretare tale gesto come una mancanza di rispetto nei suoi confronti. Se non come un vero e proprio spregio dato che si tratta pur sempre di un'azione contro un suo familiare, anche se in teoria sareste fratelli solo di nome. Ma per uno come lui ciò equivarrebbe ad un'autentica dichiarazione di guerra. E non ho la benché minima intenzione di affrontarlo. E lo stesso discorso vale per il suo esercito. Non ho ancora terminato di costruire il mio impero, e l'ultima cosa che voglio adesso é di lanciarmi in un conflitto che mi costerebbe solo uomini, mezzi e terre.”

Una volta concluso il discorso, Shin spiccò un salto altissimo ed atterrò di nuovo sul suo trono ricavato nel cuore e nel centro del grosso mezzo motorizzato, dopo un triplice giro mortale eseguito a regola d'arte.

Fece quindi un cenno, e il soldato al volante e nelle vesti di pilota diede di gas col pedale dell'acceleratore e roteò lo sterzo, facendo girare i grossi pneumatici e preparandosi per la manovra di dietro – front.

“Ti aspetto al mio castello” ordinò il Re, col tono di chi non ammette repliche o contestazioni di alcun genere o sorta. “Presumo che la strada tu la conosca. Vedi soltanto di non uccidere altri miei uomini, sono stato abbastanza chiaro?”

“Non che ve ne sia pericolo, comunque” chiarì subito dopo. “Darò ordini precisi di stare alla larga. Nessuno intralcerà la tua avanzata, non temere.”

“M – ma...ma c – come...”

“Mi avevi detto di avere qualcosa da dirmi con urgenza, no? Tutto sommato mi avete generato sufficiente diletto, tu e la tua patetica abilità. E allora vorrà dire che ascolterò la tua storia. Poi deciderò cosa farne di te. E se deciderò che ciò che hai da raccontarmi sarà di mio interesse e gradimento...forse potrei anche decidere di risparmiare la tua insulsa quanto inutile vita.”

“Tu provaci ugualmente” lo esortò. “Provaci lo stesso. Provare non costa nulla, dopotutto. E in fin dei conti...ti ho già detto che potrei seriamente considerare l'ipotesi di ammazzarti.”

“Anzi, che ti ammazzerò proprio” si corresse subito dopo. “Quasi sicuramente, a volerla dir tutta. Quindi, sapendo ciò...vuoi dirmi cos'hai da perdere, dunque? Che cosa ti é rimasto, da perdere?”

Detto questo, Shin partì rombando e a razzo col resto del suo sparuto drappello.

Jagger, in tutto questo, non aveva ancora ripreso a muovere un solo muscolo.

Era ancora paralizzato, nonostante fosse rimasto il solo sulla scena.

Ma già un risolino compiaciuto stava cominciando a fare capolino, su quella massa informe che era diventata la sua faccia.

Un sorriso che non prometteva né prenannunciava nulla di buono.

Non lo aveva nominato.

Shin non aveva nominato QUELLO.

Aveva fatto riferimento a Raoul e a Toki, e al solo pensiero di quei due, Shin gli era apparso reverenzialmente intimorito.

Ma QUELLO LA'...quello là non lo aveva nemmeno preso in considerazione.

Ottimo. Davvero ottimo.

C'era ancora speranza, dunque.

Non tutto era ancora perduto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Certo che ne é passato di tempo, eh? Da prima dell'estate, se non erro.

A me sembra un'infinità, davvero.

A dirla tutta credo che, da quando ho iniziato a scrivere fanfiction per poi pubblicarle su EFP, non si mai passato così tanto tempo tra un episodio e l'altro come in questa occasione.

Temevo davvero di non farcela più, a ritornare.

E non certo perché non avessi idee, quelle per fortuna non mi sono mai mancate.

Non ancora, perlomeno.

Ma diciamo che sono reduce da un periodo davvero incasinatissimo, e che mi ha messo davvero a durissima prova.

E che non é ancora finito, purtroppo. Ma andiamo con ordine.

Sono accadute cose belle e cose brutte, come in genere accade con tutti noi.

Per prima cosa...ho finalmente completato il mio primo ROMANZO ORIGINALE!!

Dopo ben sei anni di lavoro, ragazzi.

Era un progetto che proseguiva in parallelo a quello delle storie su EFP. E devo ammettere che hanno costituito e continuano a costituire un'ottima palestra.

Perché, sapete...iniziare con personaggi conosciuti ed amati e scrivere di loro risulta facile, per certi versi.

Ma provando e riprovando...prima o poi capita che venga la tentazione di buttare giù qualcosa di inedito.

Ci tenevo molto, e poco prima di partire per le ferie ero in dirittura d'arrivo. Per cui...nell'ultimo periodo ho momentaneamente sospeso le mie due fanfiction per dedicarmi esclusivamente a quella storia.

Una scelta dolorosa, e ci ho pensato a lungo. Ma era necessario.

Me la dovevo levare di torno, una volta per tutte.

Ora l'ho conclusa, e posso tornare a dedicarmi al resto.

Ma voglio essere sincero: non pubblicherò il mio romanzo inedito qui su EFP.

Vorrei tanto farne un libro.

Lo farò registrare come opera inedita e poi andrò in cerca di un editore. E che la fortuna mi assista, una volta tanto.

Ho deciso che ci voglio provare.

Nel frattempo, mia moglie ha trovato finalmente un lavoro fisso, dopo anni di impieghi saltuari. E di sacrifici enormi, visto che dal punto di vista economico l'unico a tirare avanti la baracca ero io, da dieci anni a questa parte.

Sono felicissimo per lei. Ma questo, ovviamente, ha scombinato un po' le carte in tavola.

Insomma, non potendo più contare sulla sua presenza per ogni cosa anche al sottoscritto é toccato tornare alle tipiche incombenze come andare a scuola a prendere la mia piccola, accompagnarla a fare sport e quant'altro.

Il che si é tradotto in meno tempo per scrivere, che già era di per sé poco.

Ma va bene così, ci mancherebbe. Benissimo.

Sul lavoro non transigo, viene prima di ogni cosa. E nella vita ci sono senz'altro faccende ben più importanti che scrivere. A maggior ragione se lo si fa per puro diletto e nient'altro.

E fin qui la parte bella. Poi si sa...mai una volta che la vita ti regali solo soddisfazioni e basta.

Quando dà...inevitabilmente toglie. Anche se uno, legittimamente, asprirerebbe non dico ad una vita priva di problemi, perché questo é impossibile.

Ormai lo so, ho imparato. Per certi versi sono le menate che ti tengono in vita, così come il viaggio stesso ad un certo punto diventa più importante della meta prefissata.

Però basterebbe un minimo di tregua, non chiedo tanto. E invece...

Per farla breve...nell'ultimo periodo ho avuto un lutto.

Mio suocero, la persona con gravi problemi di salute a cui spesso accennavo...ci ha lasciati due mesi fa, al termine di una lunga malattia.

Era una gran brava persona, dotato di un ingegno e di una passione eccezionali per i lavori di artigianato. E aveva un talento nel costruire presepi animati e meccanizzati, di dimensioni anche ragguardevoli.

Ad ogni Natale ne costruiva uno in casa sua grosso come un'intera parete, un vero spettacolo.

Nel complesso ha avuto una vita felice, circondato da persone che gli volevano un gran bene.

Ed é proprio grazie a loro che ha saputo lottare sino all'ultimo, e resistere per tutti questi anni. Perché, per contro, dal punto di vista della salute, é stato davvero molto sfortunato.

In tanti anni che lo conoscevo...sono ben poche le volte, che l'ho visto stare davvero bene.

Io temo che il suo limite lo avesse superato da un bel pezzo, e che sia rimasto qui soprattutto per merito di chi amava.

Guarda caso, il tutto é avvenuto una settimana dopo che avevo completato il mio romanzo.

Mi sento di dedicarlo a lui, questo capitolo.

La sua perdita é stata un durissimo colpo, sia per mia moglie che per mia figlia.

E tra non molto sarà il primo Natale senza di lui. Senza un papà e senza un nonno.

Non sarà facile, e dovrò star loro vicino.

Andare avanti e riprendere a scrivere non é stato per niente semplice, e vi assicuro che nelle ultime settimane avevo davvero altro per la testa.

Ma ce l'ho fatta anche stavolta.

Andiamo avanti, come si suol dire.

Un match alla volta. Un round alla volta. Un pugno e un passo alla volta.

Piuttosto...che ne pensate del match di questo episodio?

Dopo il Kenshiro vs. Ryuken dell'altra volta, per la serie “duelli impossibili” abbiamo un bel JAGGER VS. SHIN!

Un combattimento già improponibile solo all'idea, visto che il nostro pazzoide é di fatto incapace di sconfiggere CHIUNQUE, lì.

Sconfiggere, questo sì. Ma non certo di combinare casini, specie per complicare e rendere impossibile l'esistenza al suo odiatissimo fratello minore.

Comunque credo che anche da un duello totalmente ridicolo sulla carta come questo, data l'evidente disparità di forze e capacità tra i due contendenti, siano venuti fuori dei risvolti interessanti.

Ora veniamo all'angolo dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore a Devilangel476, Kumo no Juuza, vento di luce e innominetuo per le recensioni all'ultimo capitolo.

E come sempre, un grazie a chiunque leggerà la mia storia e se la sentirà di lasciare un parere.

Prima di chiudere...visto che con tutta quanta la probabilità ci rivedremo con l'anno nuovo, ne approfitto per augurare un Buon Natale ed un felice 2023 a tutti.

Cercate di passarlo tranquilli e sereni accanto alla vostre famiglie e a chi vi vuol bene, e che l'anno venturo vi possa portare tanta gioia e felicità. Insime a ciò che più desiderate.

Che possano avverarsi i sogni e i desideri di tutti, una volta tanto. Lo spero vivamente.

Dal canto mio...cercherò di rifarmi vivo prestissimo. E di metterci un po' meno tempo, questa volta!

 

Grazie ancora a tutti, e...AUGURI!!

 

 

See ya!!

 

 

 

 

 

 

Roberto

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 19

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Col passo lento ed affaticato che si ritrovava ci mise quasi un'ora buona, ad arrivare alla destinazione prefissata. E che Shin in persona gli aveva indicato.

Vi giunse che ormai era claudicante, e si reggeva in piedi praticamente a malapena e a stento.

C'era da dire che il dolore che stava all'esatta metà tra il pulsante ad intervalli impietosamente regolari ed il lancinante continuo che lo stava devastando nella faccia e nella psiche, senza alcun solo attimo di sosta o di misericordia, stava avendo il suo peso ed il suo merito. E stava compiendo il suo sporco lavoro senza rivali e senza eguali. Che era quasi sicuramente quello di farlo impazzire e di mandarlo ai matti.

Dolore, dolore, dolore. Ormai non riusciva a sentire e a pensare ad altro. Non gli riusciva più di sentire né di pensare a niente che non fosse quello.

Dolore atroce e spaventoso. E implacabile.

Dolore fisico, psichico ed emotivo.

Tremendo, sordo, terribile dolore.

Dolore, dolore, dolore. Si era ormai fissato perennemente sulla quello, sintonizzato vita natural durante sulla sua lunghezza d'onda e di frequenza.

Il dolore. E la rabbia. E a come sfogarla.

A come avrebbe dovuto scaricarla, che con la sua estinzione sarebbe quasi certamente svanito e sparito anche il primo, dato la che la seconda non era altro che una diretta quanto naturale conseguenza.

Si sarebbe volatilizzato senz'altro.

Già. Il come. Restava soltanto da stabilire quello, dato che per ciò che concerneva e riguardava il CHI, si considerava già più che a posto.

Lo aveva sempre saputo su chi si sarebbe dovuta abbattere tutta quella collera repressa e quel desiderio irrisolto di vendetta che lo stavano squassando insieme alle fitte che gli partivano dalla pelle del viso e dalle ossa appena più sotto per poi infilarglisi dritte dritte nel cervello e nei neuroni come aghi. Dopo essergli passati attraverso gli occhi, infilzandoli. E dopo che qualche bastardo aveva pure provveduto ad arroventarli a puntino su qualche braciere reso incandescete a puntino e al massimo.

In fin dei conti la tortura é come il sesso.

Farsi martoriare le carni da un sadico equivale a fare sesso con una bella donna, sotto certi aspetti. O con una troiaccia che non sia troppo lurida e che non faccia troppo schifo, a patto di berci abbastanza sopra prima di scoparsela.

Le due cose non sono tanto dissimili. E si assomigliano più di quanto si possa pensare.

Conta l'abilità della puttana in questione, quanto sia esperta. E quanto sa farti patire senza darti la possibilità di andare fino ad arrivare fino in fondo.

E con un torturatore prezzolato e navigato é pressoché uguale. Sa come tenerti sulla corda e spingerti al limite. Ma senza mai farti andare al di là di esso. Senza mai fartelo oltrepassare.

E può andare avanti con quell'infame giochetto per delle ore. Per giorni interi, addirittura.

Se forzasse un po' la mano, sarebbe meglio. Perché una prostituta sapiente prima o poi deve arrivare a farti eiaculare.

E' pagata per quello. E fa in modo di farti ritardare, di impedirtelo finché non ne puoi davvero più. Fino al momento in cui ti liberi senza nemmeno volerlo, senza quasi che tu lo desideri.

Senza che tu nanche te ne accorga, a momenti. E quando lo fai, e spurghi e schizzi ed erutti e cominci a venire e venire fino a svuotarti e prosciugarti per intero i coglioni fino a salire alla prostata, a sgonfiarli fin quasi a farli rinsecchire ...ti pare il miglior orgasmo della tua vita.

Il miglior orgasmo che tu abbia mai avuto nel corso della tua fottuta, piatta, miserabile quanto inutile vita.

Agonizzare é proprio come sborrare e schizzare sperma. In entrambi i casi si geme un mucchio e un casino.

Quando ti ritrovi al massimo della sofferenza che puoi sopportare, quasi invochi la morte, o la pazzia. Ma la carogna che ti tagliuzza e ti frusta e ti lacera le membra con oggetti appuntiti te la tiene lontana.

Vorresti almeno perdere definitivamente i sensi, oltre che il senno. Almeno per un poco. Ma quello fa in modo che il momento da te tanto sospirato non arrivi praticamente mai. Ti ci porta ad un soffio, ad un centimetro. Ad un solo millimetro. E poi ti porta e ti riporta via da lì, alternando le sevizie che é in grado di elargire a studiati quanto calcolati momenti di stasi e di riposo.

Come fare, dunque?

Con una zoccola é più facile. Una volta che si é fatto, e che tutto quanto é finito e compiuto...in genere ci si alza e si va via. Senza mettersi a pensare per un solo secondo, alle sue richieste o esigenze.

Le hai dato un salario perché fossi tu a godere, non certo lei. E se ha qualche rimostranza da fare...le si spacca la testa in mille pezzi e si riprendono i soldi. E spesso si agisce così anche quando la bagascia in questione ha fatto un buon lavoro, o quantomeno passabile.

Ma con l'aguzzino...di solito si é incatenati. Talvolta lo si é anche su di un letto o dentro ad un'alcova, se a qualche cliente piace particolarmente violento e brutale.

Ma dentro ad una cella di prigionia o di supplizi...lo si é sempre. I ceppi a mani, piedi o entrambi non mancano mai.

L'unica possibilità é che il sadico commetta un errore, magari lasciandoci inavvertitamente liberi. Ed é allora che scatta la ritorsione. Ma limitarsi a ripagarlo con la stessa moneta e a restituirgli pan per focaccia sottoponendolo ed infliggendogli tutto quello che ha fatto passare a noi sino ad un attimo prima, per filo e per segno ed un'angheria dopo l'altra...non sarebbe sufficiente.

No. Non basta. Occorre, ci vuole di più.

La legge del taglione é superata, sorpassata. Obsoleta. La classica quanto abusata regola dell'occhio per occhio e del dente per dente non può dare e fornire adeguata compensazione e soddisfazione, in casi come questi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Personalmente non avrebbe saputo quantificare con certezza assoluta quanta strada gli era dovuto toccare di fare a piedi, per poter raggiungere finalmente quel cazzo di castello.

Solo, gli sembrava di stare camminando da tempo ormai immemore.

Da un'eternità, o giù di lì. Grossomodo.

Il gonfiore ed il dolore estremi gli rendevano difficile quantificare il tempo impiegato e lo spazio ed i metri percorsi. Così come gli rendevano complicato il ragionare. Qualunque tipo di pensiero o di considerazione.

Avrebbe dovuto essere stanco morto, come minimo. Completamente stremato. Ed invece...non lo era affatto. Per nulla.

O meglio, lo era. Lo era eccome. Però non se ne rendeva affatto conto.

Non se ne rendeva più conto, così come non si curava più di un sacco di altre cose.

Sembrava si limitasse a lasciarsele scivolare addosso, come le grosse e gravide gocce di pioggia che compongono un violento acquazzone. O come quelle della rugiada intenta a scorrere sulla superficie delle foglie all'alba di un nuovo quanto livido mattino.

Verdi o marroni, a seconda delle stagioni. Ma in ogni caso...tutta quella pesante cappa di bruma ed umidità a quell'ora così presto non poteva certo esser foriera di buoni auspici.

Per niente.

Non sembrava badare nemmeno a dove stesse di preciso mettendo i piedi. E neanche a cosa gli stava davanti, dato che stava tenendo lo sguardo basso e rivolto verso il polveroso suolo.

A vedere le punte dei propri scarponi mettersi l'una davanti all'altra, in alternanza.

Pareva un automa. Un autentico automa. L'unico meccanismo che conosceva e che aveva a sua disposizione per evitare di sprofondare oltre le porte che conducevano al regno della follia.

Un viaggio di sola andata, dove in genere si finisce immersi fino alla cintula in paludi colme di sabbie mobili, da cui non se ne esce più. Se non da morti, appunto.

Non esiste alcun tipo di ritorno, da quel sentiero.

Poi, un bagliore. Che lo costrinse a recuperare un minimo di attenzione e di concentrazione, e a sollevare di scatto la testa. Fosse anche solo per poter capire da dove diavolo provenisse quell'accecante quanto insistente baluginare.

Senza quasi rendersi conto era giunto nei meandri della capitale.

La città principale. Il cui nome proveniva e forse voleva anche omaggiare la scuola e l'arte mortale di cui era detentore chi la stava governando, dato che rimandava all'astro principale della sua costellazione tutelare. E che essa rappresentava, raffigurandola addirittura sui suoi vessilli e stendardi.

La Croce del Sud.

La più grande e maestosa città del regno costruito da The King.

Dal Re Shin. E che ne costituiva il nucleo vivo e pulsante. E anche luccicante e splendente, a giudicare dalla luce che emanava.

I palazzi e i grattacieli, se pur mezzi diroccati come qualunque altra struttura abitativa e non che si sarebbe potuta trovare nei tempi successivi al conflitto atomico, emanavano una sorta di aura maestosa, alla pari di un maestro delle tecniche di combattimento.

Parevano realizzati in marmo o in alabastro, anziché comune quanto volgare cemento. E nel caso dei più luminosi ed appariscenti tra essi persino di perla, a giudicare dalle reminescenze lattiginose e violacee delle loro pareti.

Non era che un gioco di luce, dovuto ai raggi del sole che stava ancora bello alto in cielo, e che si abbatteva sulle mura degli edifici dando vita a quell'effetto. Ma restava egualmente notevole quanto affascinante.

Era giunto nella via centrale. La strada più importante e nevralgica, che conduceva dritto dritto filato al palazzo reale.

Scorgerlo fu pressoché un gioco da ragazzi, o grossomodo qualcosa del genere.

Tra le tante lì era la struttura più grande sia in altezza che in larghezza, estendosi in entrambi i casi ben oltre le misure esibite e sfoggiate dalle sue vicine, sorelle nonché concorrenti, sotto certi aspetti. Perché lì era come se facessero a gara, pur appartenendo alla stessa città ed occupando il medesimo suolo.

Inoltre, nemmeno ella era rimasta immune ai giochi ottici causati dalla gigantesca ed ancora bella vispa nana gialla che con le sue radiazioni provvedeva a temperare e riscaldare il terzo pianeta del suo sistema, in ordine di vicinanza. Con l'unica differenza che brillava come l'oro.

Proprio come e alla pari di un lingotto d'oro formato gigante non costruito, ma piuttosto piovuto un bel giorno così, all'improvviso giù dal cielo. Ed arrivato chissà da dove.

Se Jagger rimase stupito da tale visione, ed in modo superiore rispetto a quanto lo avevano sorpreso i grattacieli vicini e confinanti almeno quanto lo erano le sue dimensioni rispetto ad essi, ebbe l'accortezza di non darlo a vedere. Almeno esteriormente.

Perché non era proprio possibile che tale beltà e meraviglia lo lasciassero del tutto indifferente, anche ad uno come lui che della bellezza se n'era sempre bellamente sbattuto e fottuto.

Per uno come lui le cose si giudicavano dal punto di vista prettamente pratico, e cioé in base alla loro utilità.

Una donna vale l'altra, se l'unico modo di prenderle che si conosce é da dietro e per le terga dopo averle sbattute ripetutamente con la testa contro al muro fino a fracassargli e staccargli mezzo setto nasale. Chi se ne incula se sono belle o meno?

Quel che conta é che ce l'abbiano bella stretta, o quantomeno non troppo sfondata a furia di prender cazzi. Anche controvoglia, il più delle volte.

E una fica non conta che sia bella da guardare. Ma solo buona da chiavare.

Per lui le donne erano solo fica. Solo quello. Nient'altro.

Qualunque fosse stata la sua impressione, si limitò a tenersela dentro. E tutta per sé.

Degnò il palazzo a malapena di un'occhiata, e preferì rivolgere il proprio sguardo direttamente sulla sommità della terrazza principale con tanto di sontuosa balconata messa ad opportuno decoro e supporto, come alla ricerca di qualcuno. Dove sapeva che c'era, che ci sarebbe stato senz'altro qualcuno.

Doveva esserci per forza qualcuno, ad attenderlo ed aspettarlo. Ed infatti...c'era.

Shin.

Aveva recuperato un altro mantello, per l'occasione. E si trovava proprio nel mezzo dello spiazzo, vicino e nei pressi della ringhiera, anche se non la stava afferrando né toccando.

Lo osservava sempre con quella carica di sommo quanto profondo disprezzo, e sembrava aver recuperato la sua tipica superbia mista ad alterigia e supponenza.

Anzi...a dirla tutta non é che l'avesse mai persa. Nemmeno prima.

Se non nel potere, nelle capacità e nella quantità e negli ettari di terre e di territori conquistati almeno nel carattere, nell'attitudine e nel comportamento il maestro del Sacro Pugno dell'Aquila Solitaria di Nanto era in tutto e per tutto simile a quello di suo fratello maggiore Raoul.

Uno come quello doveva giudicare tutti gli altri esseri umani inferiori, indegni di stare davanti in sua presenza ed al suo cospetto. Ed in quanto a lui...doveva giudicarlo ancora più inferiore degli altri.

Ma non importava. Doveva tenerselo buono, in qualche modo. E seguitare a far finta di nulla.

E' una pura quanto semplice questione di strategia. E di diplomazia.

Aveva già deciso e stabilito a priori e in precedenza che qualunque cosa avesse riguardato personalmente lui e lui solo e soltanto, non sarebbe rientrata nel conto.

Per ora, almeno. Al momento giusto glielo avrebbe presentato e gliel'avrebbe fatta pagare pure a quello stronzo di un biondo capellone, e pure bella salata. E con tanto di interessi.

Aveva appena iniziato ad imbandire ed imbastire il tavolo necessario a contenere il ricco, pasciuto, gustoso e succulento banchetto della vendetta.

Quelle erano solo le basi. Le basi delle basi. E già promettevano molto bene.

Perché suo fratello Raoul non considerava nessuno alla sua altezza, mentre con Shin non valeva lo stesso discorso.

Vi era una profonda differenza. Fondamentale. Per Shin vi era, esisteva al mondo una persona che considerava come sua pari, e che riteneva alla sua altezza e degna di lui.

La sola e l'unica. Al punto che forse era lui a ritenersi degno di lei, e non il contrario.

E Jagger doveva per forza puntare e giocarsela tutto su quello, se voleva almeno avere una possibilità di spuntarla e tornarsene a casa indenne.

E dopo, non gli sarebbe rimasto altro da fare che vedere se la pensata che aveva avuto si sarebbe rivelata indovinata ed esatta.

“Mi auguro solo che tu non abbia l'ardire di osare entrare qui dentro conciato a quel modo!!”

Era stato Shin, ad aver appena finito di emettere quella sentenza. E pure a voce bella alta e chiara, volutamente, per fare in modo che lui potesse sentire.

E la sparata dovette fare senz'altro effetto visto che Jagger si arrestò di colpo, come a voler aspettare o chiedere eventuali delucidazioni in merito prima di proseguire.

Delucidazioni che non tardarono certo ad arrivare.

“La tua faccia” precisò il guerriero dalla bionda chioma. “La tua faccia fa semplicemente schifo. E mi genera ribrezzo al solo vederla. Il tuo volto mezzo deforme é ributtante, a dir poco. Non puoi anche solo pensare di presentarti al mio cospetto così. E nemmeno sperare di mettere piede nella mia dimora. La infangheresti e la disonoreresti. E io non potrei assolutamente sopportarlo vista la cura, il tempo e la fatica che mi sono costate per farla erigere e mettere in piedi. La mia fortezza deve rimanere candida, pura, lucente ed immacolata. Proprio come la creatura a cui l'ho voluta dedicare.

“Questa casa, la MIA casa...é stata fatta e progettata per ospitare un'autentica DEA. Non sono ammessi gli storpi e i mostri.”

La creatura a cui l'aveva dedicata.

Perfetto. Bingo.

Era come pensava. Era proprio tutto come pensava.

“Osserva le due file che hanno formato i miei uomini disponendosi l'uno di fianco all'altro” gli ordinò poi. “E segui il sentiero che hanno creato. Ti condurrà dritto all'arsenale e all'armeria del castello. Là tra gli equipaggiamenti, i rifornimenti e le munizioni varie vi sono anche corazze, armature, protezioni ed elmi. Potrai trovare e rimediare ciò che ti serve per nascondere e celare quell'orrore. Allora, e soltanto allora...ti farò il favore o l'onore di concederti udienza. Non un minuto prima.”

Jagger prese a guardarsi sui lati, a destra e a mancina in alternanza. E con una certa sollecitudine, anche.

Shin sembrava già infastidito di per sé, e non ci teneva ad indispettirlo ulteriormente. Altrimenti, l'unico risultato che avrebbe ottenuto sarebbe stato il concreto rischio di compromettere e di mandare definitivamente a monte la sua possibile collaborazione nonché l'intera operazione che aveva architettato. E forse...

E forse avrebbe persino ricevuto qualcosa di peggio.

Uomini, aveva detto. Quali uomini?

Quali uomini, per la miseria? A che si stava riferendo, di grazia?

Che cazzo intendeva? Di cosa stracazzo stava parlando, quel grandissimo bastard...

Ah, si. Ecco.

I soldati si erano disposti proprio come il loro capo aveva comandato, formando un corridoio umano che procedeva lungo una linea prestabilita. Che si inoltrava fin dentro al castello

Proprio così. Nel modo in cui si erano disposti, all'unisono e senza minimamente fiatare o esitare, gli stavano ad indicare una strada ed una direzione ben precise. Che avrebbe fatto senz'altro meglio a rispettare ed imboccare. E pure alla svelta, e con una certa qual sollecitudine.

Inoltre, pareva che lo stessero invitando ad entrare. E anche quello doveva avere tutta quanta l'aria di essere uno di quegli inviti che non si possono assolutamente rimandare. Men che meno rifiutare.

Meglio muoversi, dunque.

Era decisamente meglio e più saggio muoversi, e sbrigarsi, fin tanto che gli aveva concesso l'occasione.

Era pur sempre una possibilità, dopotutto. E Jagger non cercava che quello.

In tutta quanta la sua vita infame non aveva mai chiesto altro che una possibilità di cavarsela, in qualunque genere di situazione o pericolo si fosse mai venuto a trovare.

Sopravvivere, ecco cosa gli interessava.

Solo su una cosa si era intestardito oltre ogni dire e limite. Solo una. Ma soltanto perché aveva sempre creduto che gli spettasse di diritto, ad uno come lui. Talmente umile ed ossequioso che non aveva mai preteso né chiesto nulla.

Solo quella volta si era lasciato guidare dalla passione. E non avevano voluto accontentarlo.

Beh, peggio per loro. Peggio per tutti quanti loro.

Non volevano dargli la successione? Voleva dire che se la sarebbe presa da solo, per proprio cnto.

E se davvero non poteva essere sua...allora non lo sarebbe stata di nessuno.

Nessun altro. Era chiaro?

Ecco. Era quello. Era quello il punto di incontro e di convenienza con Shin.

Almeno su quello parlavano la stessa lingua. Anche se nel caso del biondino non si trattava certo della successione, visto che quella del suo pugno e della sua scuola l'aveva già bella che ottenuta.

Doveva essera abile a giocarsi bene le sue carte. Anzi...la sua unica carta, poiché non ne aveva altre da buttare sul banco.

Doveva giocarsela alla perfezione, se voleva avere anche solo una chance.

E l'avrebbe avuta.

Oh si, se l'avrebbe avuta.

Era più che pronto a scommetterci.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quante scalinate avesse fatto non avrebbe saputo dirlo nemmeno lui, con certezza.

Nemmeno lui che le stava facendo di persona. E questo doveva rappresentare davvero il colmo.

E dire che quel dannatissimo palazzo non gli aveva dato certo l'idea di essere così tanto vasto, al suo interno. Almeno visto da fuori.

Certo, era imponente. Ma, una volta varcata la soglia, non si aspettava una così gran moltitudine di sale.

Per lui era stato pressoché impossibile non buttarci un occhio, mentre vi passava davanti e di fianco una dietro all'altra. E a più riprese, anche.

Ve n'erano di ogni. E un residente più accorto e con una spiccata propensione ai bagordi e alla gozzoviglia più sfrenata non avrebbe esistato un solo attimo ad utilizzarli come sede di sontuosi banchetti e orge. Ed invece...

Invece erano tutte quante vuote. Deserte. Desolate e spettrali.

Ma a che scopo? A cosa serviva farne così tante e di così numerose, se poi non si riempivano?

Almeno lui e suoi sottoposti, l'unica che avevano, l'avevano sempre sfruttata a dovere organizzando ammucchiate e libagioni a non finire.

Con vino, bevande e liquori che scorrevano a fiumi e fica a volontà. Con carne nuda e cotta sulle tavole imbandite, appena levata e tolta dagli spiedi e dai girarrosti. E bella tenera.

E poi tutt'altro tipo di carne tra i cuscini, sulle brande, sui materassi o per terra. O persino in piedi o attaccati sui muri. E di tutt'altro genere e tipo.

Sempre nuda, il più delle volte. Ma cruda. E bella soda e piena.

Nonostante l'aspetto oltremodo regale, quella reggia sembrava come abbandonata.

Un rudere cadente e caduto in rovina, a dispetto di tutto quanto lo sfarzo così ostinatamente mostrato ed ostentato. E col proprietario caduto in disgrazia.

Non lo si poteva nascondere, nonostante si facesse di tutto per riuscirvi.

Ma senza successo, ovviamente.

C'era di che poterci scommettere sopra, e pure con la certezza pressoché matematica di vincere.

Su che cosa? Ma sul fatto che lì dentro le due uniche parti utilizzate fossero la sala del trono con relativa balconata, che era quella dove lo stava sicuramente attendendo il biondo, e la camera da letto.

Magari pur sempre con un giaciglio matirimoniale a due piazze, in modo da star belli comodi. Ma utilizzato sempre e solo da uno soltanto.

No, Shin non dava affatto l'aria di voler dividere il talamo coniugale con puttane e troiacce varie ed assortite. Nemmeno per il gusto di cacciarle via a calci nel culo la mattina successiva.

Più che un maniero, pareva un mausoleo. Destinato ad un'unica persona. A rinchiuderla dentro di esso con tutta quanta la sua solitudine. Ed il relativo carico di paranoie, fissazioni ed ossessioni che essa comporta.

Si era limitato a seguire il corridoio di soldataglia al suo interno, comunque.

I fanti, rigorosamente in tenuta da battaglia e col casco dotato di ali sui lati secondo quanto prevedevano le regole dei loro battaglioni di appartenenza, lo osservavano tenendosi a debita e dovuta distanza.

Persino troppo, dato la maggior parte era sul bordo della scalinata.

Sembrava volessero tenere la maggior distanza possibile, da lui. Persino a costo di cadere e di precipitare all'indietro e poi di sotto, dato che non vi erano né cordoli né barriere.

Di sicuro il suo aspetto e le sue fattezze repellenti non aiutavano di certo, a giudicare dalle occhiate inorridite che si scambiavano e che gli lanciavano, seppur in modo del tutto inconsapevole.

Qualcuno, molto probabilmente dotato di adeguato pelo sullo stomaco in misura e quantità decisamente maggiori rispetto agli altri, dava di gomito e si lasciava scappare qualche risolino di scherno dandosi di gomito. Maligno quanto sommesso da dietro i loro caschi, dove evidentemente pensavano di essere al riparo ed al sicuro. Dai suoi colpi così come dalle sue opinioni in merito.

Veniva da chiedersi a quali orrori avessero mai potuto assistere, se giudicavano quella roba divertente.

Avrebbe voluto tanto ucciderli tutti, quei grandissimi bastardi. Uno dopo l'altro. Donandogli una morte lenta quanto atroce.

E i poteri che gli aveva conferito la Divina Arte di Hokuto gli avrebbero senz'altro consentito di farlo, e senza particolare sforzo o fatica.

Ma non poteva.

Meglio non avere né crearsi rogne, di nessun tipo, adesso. Aveva bisogno di loro.

Gli servivano.

Si limitò a ricambiare quelle occhiatacce con indifferenza ed indiscrezione.

Avrebbe tenuto e portato con sé, quell'insopprimibile rancore.

Lo avrebbe risparmiato per la prossima e successiva volta, in attesa di sfogarlo su chi ben sapeva.

Era arrivato, nel frattempo.

Varcò la soglia, e non appena fu dentro si mise ad osservare. Ma non si sarebbe potuto dire se con cura ed estrema attenzione, oppure con svogliatezza.

Il suo atteggiamento era pressoché indecifrabile.

Buttava l'occhio qua e là alla ricerca di qualcosa che potesse risultargli utile, oppure che lo colpisse e che potesse attirare la sua attenzone in qualche maniera.

Le vestigia appartenenti all'esercito di Shin erano impilate ordinatamente su appositi scaffali ed armadi di ferro, oppure ricavati da nicchie scavate nel muro.

Bracciali, cinture, elmi, caschi e schinieri. Le corazze, invece, stavano appese e tenute sollevate da terra da una fila di treppiedi. Sempre di metallo, oppure di legno.

Il medesimo discorso però non valeva per le attrezzature sottratte, rubate ed estorte agli eserciti rivali.

Il bottino di guerra. Quello che si prende dopo che le fazioni nemiche sono state sconfitte e debellate. Ed i loro componenti e rappresentanti assoggettati, deportati oppure uccisi.

Erano buttate ed ammucchiate in un angolo, senza particolare ritegno o rispetto. Come un mucchio spazzatura, o una pila di rifiuti, senza nemmeno predersi la briga di calssificare e di catalogare. O di fare almeno un inventario, che aiutasse a capirci e a racappezzarvisi qualcosa.

Stavano lì, e basta. Come ad attendere che a qualcuno tra i presenti potesse venire ad animarlo una scintilla di coraggio oppure di spirito di iniziativa di andare a spulciarvi lì in mezzo, alla ricerca di qualcosa di utile.

Beh...quel qualcuno, adesso, era arrivato.

Jagger puntò direttamente lì. Non gli andava di prendere qualcosa di loro. Preferiva cercare qualcosa tra le carabattole e le cianfrusaglie.

Buttò lo sguardo qua e là, questa volta freneticamente e con vistoso ardore. E...non dovette cercare poi tanto a lungo.

Eccolo. Aveva trovato qualcosa. L'aveva trovato.

Era semplicemente perfetto.

Si inginocchiò davanti ad esso, con una sola gamba, con la rotula destra tenuta poggiata ul pavimento. Con riverenza ed adorazione, come se si fosse improvvisamente trovato davanti a qualcosa di sacro.

“Oh...”

Persino il dolore pareva essere sparito, svanto. Di colpo e di botto.

Proprio vero, quando dicono che la sofferenza é principalmente dello spirito, e che dipende dagli stati d'animo. Ed in quel preciso e dato momento il suo, di animo...si doveva trovare al settimo cielo, come minimo.

Nero come la pece e la notte. O come il cuore di certi maniaci, depravati ed assassini prezzolati. Con una sorta di maschera intimidatoria dorata, piazzata a rinforzo sulla parte anteriore.

Gli ricordava tanto le immagini che aveva visto in passato, in un passato ormai remoto e lontanissimo. Perduto.

Alcuni libri e sussidiari trovati nel vano portaoggetti di ciò che rimaneva di un banco di scuola. Pieni zeppi di illustrazioni, tra cui qualcuna ambientata e risalente all'epoca Sengoku.

L'epoca delle grandi guerre.Il periodo degli stati belligeranti. Annil decenni di piccoli feudi in perenne lotta tra loro.

Niente di più e niente di meno come adesso, dopotutto.

Un'epoca di odio e di gloria. Di ferocia e di violenza, col sangue che scorreva a fiumi. E dove la pietà non aveva diritto di cittadinanza. E nemmeno di esistere.

Un'epoca di eroi.

L'epoca di Masamune Date. Di Masayuki e Yukimura Sanada. Di Kenshin Uesugi e di Takeda Shingen. Di Hanzo Hattori. Di Kanetsugu Naoe e del suo signore Kagekatsu. Di Sasuke Sarutobee. E del grande Keiji Maeda. Il suo prediletto e preferito.

L'era di Oda Nobunaga. Di Toyotomi Hideyoshi. E di Ieyasu Tokugawa. I tre grandi unificatori.

Un'epoca dove lui ci si sarebbe trovato ed avrebbe sguazzato a meraviglia.

Ecco. Quello, gli ricordava.

Gli ricordava tutto quello. Sembrava proprio uno di quelli indossati dallo Shogun, dai Daimyo o dai Samurai e dai loro vassalli minori quando si mettevano in marcia per scendere sul campo di battaglia, calcandolo coi loro calzari o con gli zoccoli dei loro cavalli e destrieri.

Lo afferrò con entrambe le mani, portandolo verso l'alto e sopra la propria testa come una reliquia.

Gli uomini di Shin lì presenti trasalirono, all'unisono. Senz'altro si stavano chiedendo e domandando se non fosse impazzito o avesse dato definitivamente di matto.

Perché esaltarsi tanto per un semplice quanto misero elmo, per di più consunto e mezzo sbrecciato?

Non lo capivano proprio. Ma lui, invece, capiva. E tanto bastava.

Tanto gli bastava.

Lo abbassò verso il capo e lo indossò. Non senza fatica, dato che dovette forzare un poco. Cosa che gli generò qualche fitta, che però trascurò tranquillamente.

Non gli interessava. Per la gioia non le sentiva nemmeno più, quelle stilettate continue e lancinanti.

Lo fece roteare ora a destra, ora a sinistra, per farlo adattare a quella che era ormai la sua conformazione del cranio. E che lo sarebbe stata per sempre, da lì a venire.

Perfetto. Ora calzava a meraviglia, come e meglio di un guanto.

Si toccò con le dita all'altezza degli zigomi, e percepì mediante i polpastrelli una leggera irregolarità sul davanti. Ma cosa poteva essere?

Notò quindi sulla propria destra una specchiera a muro, dalla piuttosto alta e dalla forma rettangolare, che ricordava un parallelepipedo messo a rovescio e poggiato su di uno dei lati più piccoli, facente la funzione di base.

Lo dovevano usare i guerrieri per rimirarcisi, molto probabilmente. E vedere così come gli stavano i vari capi, le corazze e le attrezzature e protezioni varie.

Proprio vero. Nemmeno una bestia rinuncia alla vanità, in certe occasioni.

Hanno ben ragione a dire che é il vizio preferito da Satana, tra i sette peccati capitali. Perché é quello in cui l'uomo incappa più spesso. Finendo poi per inciampare ed indulgere, invitabilmente.

In fin dei conti perché gli uomini come il biondo, il Sacro Imperatore Souther o suo fratello Raoul si prodigavano tanto a voler conquistare questo schifo merdoso di mondo a tutti i costi?

Perché amavano sentire il suono della loro voce, ecco perché. Così come volevano essere l'unica voce in circolazione ad udirsi. Anche se lasciavano che fossero le opere che avrebbero compiuto in futuro, a parlare in vece loro.

Le loro opere, le loro azioni e le loro gesta. E la loro forza.

Si ritenevano i più forti del mondo, e forse avevano pure ragione a pensarla così. Ma per esserne davvero sicuro devono essere gli altri, a dirtelo. E a dimostrartelo, con la paura ed il terrore che provano nei tuoi confronti quando ti vedono passare e si prostrano al tuo cospetto.

Ci tenevano, a dimostrarlo. Volevano, amavano dimostrarlo. Con la morte e l'uccisione spietata di tutti loro nemici e di chiunque osasse ostacolarli o anche solo intralciare la loro strada o il loro cammino.

In ogni caso...era e si trovava lì per quello. Il che voleva dire e stava a significare che poteva usarlo benissimo e tranquillamente pure lui.

Gli si avvicinò lentamente, quasi con estrema cautela e circospezione. E tradendo una certa qual ansia. Quasi che avesse timore per quel che la superficie riflettente avrebbe avuto da offrirgli. E mostrargli.

Cominciò con l'allungare un braccio, forse giusto per tastare con mano la capacità di riverbero del vetro.

Vide il proprio arto riflesso, ovviamente. E seppe valutare all'istante.

Era opaco e polveroso da far paura e spavento. Ma il suo dovere ed il suo lavoro li compiva ancora egregiamente, tutto sommato. Anche se doveva sicuramente aver visto giorni senza dubbio migliori.

Magari in una boutique. Dal negozio di abbigliamento da dove lo avevano trafugato e prelevato, visto che aveva tutta quanta l'aria e l'aspetto di provenire da un posto come quello.

Era pressoché inutile indugiare oltre.

In un attimo coprì la distanza che separava il resto del suo massiccio corpo dalla perete a specchio e ci si piazzò davanti, a figura intera.

Ed eccolo spiegato, il motivo di quel misterioso rilievo che aveva sentito poco fa.

L'aveva già visto, in realta. E non appena si era accorto della sua presenza all'interno della stanza.

Lo aveva notato sin dal primo momento in cui gli aveva messo sopra i suoi occhi bramosi. Ma il buio in cui se ne stava nascosto e rintanato prima di finire tra le sue mani non gli rendeva certo giustizia.

Ma adesso, complice un filo di luce che penetrava dalla finestra sempre aperta che si trovava ad un paio di metri di altezza e sempre alla destra di lui, e che la provvidenza volle far cascare proprio nel punto in cui stava stazionando ora...lo spettacolo poteva manifestarsi in tutta quanta la sua completezza, per suo sommo quanto ulteriore gaudio.

Che avesse indosso una maschera non era questa gran novità, e non avrebbe dovuto costituire poi questa gran scoperta.

Se n'era già accorto da un pezzo, dato che nonostante le fitte continue e costanti di dolore era ancora abbastanza lucido da ricordarsi quel che aveva fatto appena un minuto prima ed addietro.

E poi perché era proprio quel particolare ad avergli rimembrato e fatto pensare agli esponenti della nobiltà e della classe e casta guerriera che da sempre aveva contraddistinto il suo paese. E di cui la sua famiglia ed i suoi avi dovevano quasi certamente far parte, senza alcuna ombra di dubbio.

Risaputo e già accennato pure questo, comunque.

Nero come la notte, si diceva poc'anzi. E fatto e realizzato apposta per spaventare e terrorizzare i nemici, in modo da togliere loro lo spirito e la volontà e forza combattive al solo vederlo.

Ma adesso che l'aveva messo, e che ce l'aveva finalmente indosso...davvero non se lo immaginava.

Non si sarebbe mai immaginato una cosa del genere. Non avrebbe mai pensato ad una simile bellezza.

Non poteva pensare che gli stesse così bene. Che gli calzasse così a pennello.

Gli stava pressoché su misura. E quella maschera sul davanti, poi...

Ora che la luce gli si stava riflettendo sopra facendola brillare, stava rivelando tutto il suo splendore e valore.

Bella era già bella. Ma non pensava che fosse così stupenda. Davvero.

Nella sua lucentezza la si poteva paragonare senza nessuna paura ai palazzi e alle soluzioni architettoniche che se ne stavano lì di fuori e che col loro aspetto maestoso e rigoglioso davano lustro a prestigio all'intera città. E che tanto lo avevano sopreso, e lasciato così meravigliato ed ammirato. Anche se aveva preferito non darlo a vedere.

Meglio ribadirlo, che non si sa mai.

La celata, già notevole di per sé, dovea essere senz'altro in bronzo. Ma emanava dei bagliori e dei riflessi tali da farla sembrare di un metallo assai più nobile e pregiato. Di quello che nella categoria e graduatoria dei minerali preziosi sta appena sopra all'argento e e appena sotto al platino. Anche se in realtà gli dovrebbe stare come minimo alla pari, che meglio di lui esistono solo i diamanti.

Scintillante come quei filoni e giacimenti e pagliuzze allo stato grezzo che si possono trovare nelle rocce sul fondo di un'umida ed antica caverna secolare se non addirittura millenaria, oppure sul greto o nel letto di un fiume sotterraneo dopo che lo scorrere dei suoi flutti li ha incessantemente trasportati e condotti nell'altrettanto lungo corso delle ere, sino a depositarli in un'ansa o in un tratto più tranquillo e pacioso. E presentava appena sopra ai lati dei motivi frastagliati che ricordavano la parte terminante di una colonna di stampo corinzio. Quella appena sotto al tetto di un edificio risalente al periodo classico e greco – romano.

Piazzati senz'altro a rinforzo e a protezione delle tempie oltre che per abbellire, ovviamente.Ed ulteriormente impreziositi da tre pietruzze rosse. Tre rubini disposti in verticale, a fianco delle orbite.

Appena sotto di esse e dell'alloggiamento destinato a fare spazio al naso partiva una griglia i cui denti erano piegati in modo da confluire verso il centro, con quello in mezzo decisamente più grosso e vistoso rispetto agli altri. E con i due piazzati all'estremita che erano decisamente più ritorti e ricurvi, al punto che si rivolgevano in avanti e a chiunque avesse avuto l'ardire di stare e piazzarvisi di fronte.

Ricordavano le zanne di una belva. Di un animale selvaggio e feroce. O di un Asura, di un demone.

Di uno Shura. Uno di quelli che si diceva abitassero l'isola che stava al di là dell'unico mare ancora esistente.

L'isola da cui sembrava che provenisse Raoul, visto che un giorno era stato lui stesso a raccontarglielo. Così come gli aveva assicurato che un giorno sarebbe ritornato indietro a conquistare anche quella. E con lui, Jagger, al suo fianco ed in testa al suo sconfinato esercito ed alle sue innumerevoli armate, in veste di luogotente.

Più che giusto, visto che il successore dell'Hokuto Shinken deve essere il braccio armato dell'imperatore, oltre che del destino e della morte.

Raoul diceva di venire proprio da laggiù. E anche Toki.

E...

Meglio non pensarci, a quello stronzo. Non voleva rovinarsi quel bel momento. Così come non ci teneva a rovinarsi ulteriormente una giornata già di per sé oltremodo pessima. Ma che se tutto fosse filato liscio, non avrebbe potuto che migliorare significativamente.

Pare che anche la classe combattente o meglio, la stirpe guerriera di quel luogo visto che di fatto erano tutti guerrieri e maestri e praticanti di arti marziali e di combattimento mortali, da quelle parti...

Pare che anche loro fossero soliti indossare una maschera. E in mezzo a loro, adesso come adesso, non avrebbe affatto sfigurato.

Così messo ed agghindato pareva proprio RAHKHSHASAH.

Sembrava veramente lui.

Il demone Rahkhshasah. L'onnipotente uomo – diavolo che comandava ed ordinava la distruzione, in ogni sua forma ed in tutte le sue declinazioni, a suo completo e totale piacimento. E che si muoveva solo col favore delle tenebre dato che esse erano, rappresentavano e costituivano da sempre il suo esclusivo regno e dominio.

Padrone e signore assoluto del fuoco, delle fiamme, dei fulmini e delle saette. Che usava per scatenare incendi, temporali, tempeste e nubifragi.

Si rimirò ancora, fiero e soddisfatto.

Era incredibile. Pazzesco, a dir poco.

Quel ritrovamento inaspettato quanto improvviso, quella sorta di regalo di pietà da parte di uno che disprezzava alla pari del suo più acerrimo rivale e nemico, uniti alla visione che ne era scaturita dopo che se ne era impossessato e che se lo era messo...dovevano aver genrato un autentico prodigio, come minimo.

Avevano dato vita ad un miracolo.

Aveva la mente e la testa confuse, metre era giunto fin lì. Le gambe gli reggevano a fatica, e persino un'operazione semplice quanto banale e scontata come il misero camminare e deambulare gli erano costate il prezzo equivalente di un supplizio. Di una tortura.

Nonostante ciò, era riuscito a trovare e ricavare da un angolo, da un barlume residuo di concentrazione e di presenza mentale il coraggio e la spavalderia di affrontare a viso aperto e a muso duro il signore del castello. Il biondo padrone di quella miserabile baracca.

Ma subito dopo si era reso conto di averlo sottovalutato, e di aver rischiato quasi di morire.

Non ci voleva. E proprio prima di poter mettere in atto i suoi piani. L'intrigo che aveva architettato con così tanta cura.

Non poteva più permettersi né concedersi il lusso di compiere simili quanto madornali sbagli ed errori di valutazione. Da ora in poi avrebbe dovuto procedere con la più massima ed estrema cautela.

Questi pensieri, uniti all'ansia per le sue precarie e disatrose condizioni fisiche e della sua faccia, lo dovevano aver mandato in subbuglio ed in confusione.

Aveva le idee così chiare, prima di arrivare a tu per tu con Shin...

Ma adesso come adesso non ne era più così tanto sicuro.

Non era più certo e convinto delle sue azioni e delle sue scelte.

Non sapeva cosa fare, né che pesci pigliare. Al punto che l'idea di ritrovarsi di nuovo davanti al maestro del NANTO KOSHU – KEN, del Pugno dell'Aquila Solitaria, fosse anche solo per parlare, lo terrorizzava.

Non avrebbe retto di nuovo il suo sguardo. Quel suo sguardo così carico di commiserazione e disprezzo. Non un'altra volta.

Non ci teneva assolutamente a rivederlo, al punto che il tempo impiegato nella ricerca e nella scelta di un copricapo per rendersi presentabile gli era sembrato costituire un notevole quanto piacevole diversivo.

E dato che nulla accade mai per caso, specie e a maggior ragione per un maestro di Hokuto quale era lui anche se i più compreso quel gran bastardo si ostinavano a non voler riconoscere né ammettere e men che meno accettare...

Alla fine quel tempo che a prima vista era sembrato come perso e sprecato si era invece rivelato fondamentale.

Sia la paura che il male non c'erano più, adesso.

Svanuiti, scomparsi ed estinti. Come se non ci fossero mai stati. Come se non fossero mai esistiti.

Come se non li avesse mai avuti.

Quell'elmo e quella maschera da battaglia gli avevano donato ed infuso nuova forza.

Avevano saputo dargli un nuovo potere. Quasi una nuova consapevolezza.

Ora si sentiva libero, raggiante e pieno di energie.

Le gambe gli reggevano di nuovo. E sentiva i muscoli del suo corpo divenire sempre più forti e possenti col passare dei secondi.

La sicurezza e la fiducia in sé stesso gli erano tornate, come per megia.

Contrasse ed irrigidì i muscoli del torace, del petto, delle spalle e del collo, coi tendini che presero a tirargli mentre gli entravano in tensione, gonfiandosi come tubi di ferro.

Rise.

“Ah ah ah ah...sì...” proclamò, mettendosi a sghignazzare.

Una sensazione di estremo piacere lo invase, da capo a piedi.

Ora sapeva di nuovo cosa voleva, e quel che voleva.

Vendetta.

Vendetta. Ecco quel che voleva.

Vendetta. E morte per i suoi nemici. Per tutti i suoi nemici.

Per il suo più grande nemico. Per colui che rappresentava da sempre la sua minaccia e nemesi.

Morte, per lui. Per poi dissetarsi e sguazzare immerso nel suo sangue.

Totalmente immerso ed in ammollo nel suo sangue ancora caldo, vivo e pulsante agli ultimi battiti e all'ultimo pulsare delle sue arterie ormai squartate, squarciate e recise.

Era pronto, adesso. E ritenne doveroso dirlo.

Ritenne doveroso annunciarlo a tutti i presenti. E anche a chi non lo era.

A tutti quanti. Al mondo intero.

Che si tenessero pronti.

Che si tenessero pronti, perché...

Perché il successore era tornato.

Il vero e legittio successore dell'Hokuto Shinken era apparso.

Era riapparso, finalmente.

Attenti a tutti voi.

Si voltò di scatto, fremente, con le braccia e le mani tenute ben larghe, con le dita altrettanto distanziate e contratte come artigli.

“Sono pronto” annunciò, trionfante. “Mandatemi dal vostro capo. Voglio parlare con lui. Mandatemi da Shin!!”

“Bifolco!!” esclamò un soldato. “Razza di verme! Come osi chiamarlo così? Come osi chiamarlo per nome e senza titolo onorif...”

Non terminò la frase, perché esplose in mille pezzetti spargendo sangue e budella tutt'intorno insieme a qualcosa contenuto in esse, dato il maleordorante fetore che accompagnò la sua fulminante quanto raccapricciante dipartita.

Nessuno aveva visto arrivare il colpo.

I restati, nonché superstiti, trasalirono. Non era più il caso di scherzare o di burlarsi dell'ospite, e quest'ultimo non mancò di farglielo adeguatamente notare.

“Portatemi da Shin” ribadì Jagger, “Subito. E farete meglio a obbedire e a fare quel che vi dico, se non volete fare la stessa fine di quel povero stronzo.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Come va? Spero bene.

Nel mio caso...si procede, dai.

E' arrivata ormai la primavera. E l'inverno, a parte qualche raro colpo di coda, é ormai alle spalle anche stavolta.

L'inverno, già. Col suo carico di tristezze e pensieri foschi.

E' una stagione che amo ugualmente, comunque, anche se in genere per via dei miei acciacchi nel corso degli ultimi anni ho cominciato a preferire i periodi caldi.

Certo, potrebbe piovere un po' di più. Che ormai, dal punto di vista del clima, qui si é rovesciato tutto.

Nevica in Sicilia e abbiamo la siccità in Lombardia.

Beh, come dico sempre io...un po' per uno, gente. In fin dei conti fino ad ora é andata sempre bene a noi.

Cercheremo di farci dare qualche dritta su come cavarcela. Anche se un buon punto di partenza sarebbe di cominciare a non sprecarla.

Perché nonostante l'emergenza, milioni di metri cubi continuano a essere buttati con noncuranza.

E' un bene prezioso. Iniziamo a capirlo, o faremo ben presto la fine di quelli che vivono o meglio, sopravvivono nel mondo del nostro Ken.

Pronti ad ammazzarsi l'un l'altro per una tanica d'acqua.

Vogliamo davvero arrivare a questo, gente?

Comunque, tornando a prima...decisamente meglio la primavera.

Meno umidità, meno dolori. Ragiono proprio come un vecchio...

Anche l'inverno ha una sua bellezza recondita, per carità. Ma il buio e il freddo ispirano tristezza, e come vi dicevo la volta scorsa non sono reduce da un grande periodo.

Adesso piano piano le cose si stanno risistemando, anche grazie al mio aiuto e sostegno.

Non c'é niente da fare. Il mondo intero, la vita stessa corrono a una velocità pazzesca, e a momenti non ci lasciano nemmeno il tempo di piangere i nostri morti.

Per parafrasare una nota canzone...svaniranno dalla nostra mente piena, e alla fine non rimaranno soltanto che un'impressione, che ricorderemo appena.

Forse sarà poco, forse non sarà abbastanza, ma quando proprio non si riesce a fare di meglio teniamoci almeno stretta qualla piccola sensazione.

E' la prova che loro sono ancora qui. Con noi. Che ci sono ancora.

Alla fine non chiedono molto. Vogliono solo che ci si pensi, qualche volta. E che ogni tanto ci si ricordi di loro.

Niente di più.

Ma cambiamo decisamente argomento, adesso.

Riguardo al mio romanzo originale...E' STATO REGISTRATO!!

Ci tengo ad annunciarvi che la registrazione presso il deposito delle opere inedite é andata a buon fine.

Sono riuscito a raggranellare il gruzzoletto necessario a spedirlo, e per fortuna é andata a buon fine.

Ora non resta che la ricerca di un editore. Che prevedo come lunga, faticosa e affannosa.

Sì perché, entusiasmo a parte, non siamo che all'inizio. La strada é tortuosa.

Ho lanciato una palla di neve nell'inferno. Vedremo che ne verrà fuori.

Con l'anno nuovo ho anche ricominciato, come avevo già accennato ad alcuni di voi, con una mia vecchia e antica quanto mai sopita passione.

Gli sport da combattimento.

Putroppo non posso tornare a praticare la mia amata thai – boxe, perché al momento ho le gambe dvaeero troppo malmesse per poter tirare calci e ginocchiate.

Ma con un paio di scarpe posso correre e saltellarci sopra.

E' abbastanza, per ora. E' sufficiente.

Quindi...ho deciso di ripartire dal pugilato.

Dalla boxe. Dalle basi, come diceva il grande Apollo Creed.

Ho trovato una piccola palestra piuttosto spartana, dalle mie parti.

Pochi atleti, e un istruttore dannatamente in gamba.

Ma soprattutto...un enorme murales del nostro amato Joe all'ingresso.

Sì. Joe. Proprio lui. Se non é un segno del destino questo...

Pazzesco. Davvero. Anni fa una roba simile era impensabile.

Gli anime e i manga hanno sfondato, gente. Ormai non solo li trovi dappertutto, anche nei supermercati.

Sono entrati di prepotenza nell'abbigliamento, nella moda, nell'arredamento.

Forse non arriveremo mai ad avere un quartiere commerciale come Akihabara qui in centro a Milano, ma...chissà.

Tra una trentina d'anni forse sì.

Mi ci vedo, da pensionato, girare per i negozi alti otto piani strapieni di appassionati che leggono e comprano fumetti e videogames, invece di finirmene a guardare i cantieri come un anonimo “umarell” qualunque.

Del resto, dopo che hanno piazzato una statua gigante di Goldrake a Riyadh (e pare che ne faranno pure una a Torino)...tutto é diventato possibile.

Si stanno realizzando i nostri sogni, finalmente.

E' una meraviglia poter parlare sul laoro coi colleghi più giovani di cartoni animati.

Loro mi consigliano L'Attacco dei Giganti, Demon Slayer (bello), Made in Abyss (stra – bello. Meraviglioso, direi), Naruto, Dragonball (Super, però), One Piece, One Punch Man, Chainsaw Man...io gli consiglio Ken, i Cavalieri, Rocky Joe, L'Uomo Tigre, Cowboy Bebop, Forza Sugar, i robottoni, Holly e Benji...

Che comunque conoscono, come personaggi. Anche se alle volte solo per sentito dire.

Li considerano leggende. Al grido di “Ohé! Ma sai che una volta facevano dei cartoni della Madonna, in televisione!!”

E giù a recuperarli, anche grazie ai consigli di noi fan di vecchia data. Che tanto oggi grazie alla rete é un attimo.

Mica come noi, che dovevamo aspettare le repliche!!

Non so voi, ma io alla loro età di queste cose potevo parlarne solo con la mia ristrettissima cerchia di amici uniti dalla mia stessa passione.

Se solo osavi tirarle in ballo in mezzo al resto delle altre persone venivi considerato un CRETINO, punto.

E non solo dai tuoi coetanei, aggiungo.

Comunque, riguardo al maestro di boxe lo sapevo. Gli insegnanti migliori li trovi proprio nei posti a cui non daresti due lire.

Danpei Tange non é solo un'invenzione di fantasia.

E' dura, eh. Anche perché il maestro in questione mi ha messo in guardia già da subito.

Anche se lì dentro sono quello più avanti con gli anni, sono l'ultimo arrivato.

Praticamente una recluta, ragazzi. E in quanto tale...trattamento da recluta.

Niente sconti.

Ho terminato le prime lezioni che quasi piangevo per il male, con la schiena che sembrava sul punto di spezzarsi in due da un momento all'altro.

Mi veniva da imploragli di darmi un attimo di tregua, che di questo passo mi rompevo.

Ma se c'é una cosa che gli anime da sempre ci insegnano é che, una volta superato il momento di crisi, ti rialzi e vai avanti. E cresci.

Ed é stato un enorme piacer scoprire che non ho divuto ripartire proprio da zero, per fortuna.

E' stato come ritrovare un vecchio amico. Una parte di me stesso che pensavo di aver dimenticato per sempre.

Ma non era morta, no. Solo sepolta sotto anni e chili di problemi, routine, impegni, lavoro, famiglia, menate, responsabilità e, come amo dire sempre io...cazzi e mazzi vari e assortiti.

Ma c'era ancora. Ho solo dovuto levarle la ruggine di dosso.

Come diceva una altro grande, ovvero Rocky Balboa nel suo ultimo film da solista prima di confluire nella saga parallela di Adonis “Donnie” Creed...

La bestia é ancora lì dentro che scalpita. E ora é felice di aver riottenuto quello spazio che per più di dieci anni, per cause di forza maggiore, le aveo dovuto negare.

Mia figlia, che pratica Karate, é felicissima. Anche se un giorno mi vorrebbe tanto lì a fare Karate con lei.

Un giorno, senz'altro. Non oggi. Lei ha la sua strada, da seguire. E non voglio interferire.

La mia dolce metà é contenta, vuole solo che stia attento e che non faccia sciocchezze.

Ma lei per prima ci teneva.

Sa. Conosce quel lato di me che non si é mai lasciato soffocare.

Sa che ne avevo bisogno. E me lo ha concesso.

Perché mi conosce, e sa come sono fatto.

Se lei non é d'accordo, se sento che non é d'accordo con ciò che faccio...non ci posso riuscire.

Mi serve il suo “Win, Rocky. Win!!”

E' la mia Adriana. Ho bisogno di sentire il suo “Devi fare una cosa per me...VINCI!!”

E' merito suo se scrivo, dopotutto.

E a proposito...come potete vedere, in ambito fanfiction il lavoro va avanti, se pur a fatica.

E visto che si parlava di nuove produzioni...di recente mi sono intrippato con MY HERO ACADEMIA.

Ha un sacco di bei personaggi, con bei poteri e ben caratterizzati (Il mio preferito o meglio, la mia preferita? Beh. Tsuyu. Forse bruttina, ma simpatica. E ha un cuore d'oro. E' un'amica sincera, e forse per colui che considera suo miglior amico nutre anche qualcosa di più...ma sa che nel suo cuore c'é un'altra, e lo accetta), un protagonista un po' insulso.

No, scusate. PARECCHIO INSULSO, perché é un tale complessato che Shinji Hikari levati ma levati proprio. Ma con cui é impossibile non empatizzare.

Perché come da tradizione inaugurata da mitici personaggi come Rei, Shu o Shiryu...Izuku, il protagonista, soffre pur di realizzare ciò in cui crede.

Ma proprio tanto.

Soffre un casino. E subisce dolori indicibili.

Ha un sogno, purtroppo impossibile da realizzare perché l'unica cosa che gli servirebbe per realizzarlo la natura gliel'ha negata. Ma un tizio lo conosce, e decide di dargli quella possibilità.

Ma c'é un MA. Proprio come nelle fiabe col finale triste.

Vuoi una cosa? Puoi averla e io posso dartela, se davvero la vuoi. Ma sappi che il prezzo da pagare é altissimo. E non é detto che tu ne sia in grado, di pagarlo.

Ottiene quel che gli serve. Ma il suo corpo é nato senza le capacità di reggere quel dono, non é strutturato per sopportarlo.

Ogni volta che usa quel potere, le ossa e i muscoli gli fanno in frantumi. E si riempie di ferite da capo a piedi. E ogni volta guarire e rimettersi in sesto diventa sempre più difficile.

Dicevamo del tizio che gli ha concesso quel dono.

All – Might.

Il suo maestro e mentore. Un personaggio pazzesco, che una volta era un uomo normale senza poteri esattamente come Izuku.

Combatte da anni contro i cattivi e i super – criminali, e a furia di usare il potere che ha dato al protagonista si é ridotto a un vecchio pelle e ossa che si regge in piedi a stento.

Quado usa il potere il One – For – All, di colpo diventa una sorta di Superman muscolosissimo e potentissimo. Ma ormai può reggere la trasformazione per meno di un'ora al giorno.

Ma é popolarissimo presso la gente. É il simbolo della pace e della giustizia, finché c'é lui le persone si sentono protette e al sicuro. E i cattivi stanno alla larga.

Vedendo lui, Izuku capisce come si ridurrà in futuro.

Il One – For – All é una fiaccola. Non deve mai spegnersi, affinché il bene continui a esistere.

Per questo, a ogni generazione, deve venire trasmessa a un prescelto.

Però ti consuma. Ti consuma fino in fondo.

Ne vale la pena? Sì. Perché All – Might é dotato di un'umanità straordinaria.

Non a caso il suo autore ha sempre dichiarato di essersi ispirato a Goku.

Di nuovo quel discorso dell'altra volta sul fatto che molti manga odierni sono prevalentemente derivativi.

Ma non importa. E' pur sempre la stessa storia, quella che ci raccontano? Pazienza.

Se me la sai raccontare bene, ti ascolto.

Oggi conta soprattutto questo. Una bella storia da sentire. Chi se ne frega se l'ho già sentita centinaia di volte.

E ha ragione. All – Might, come Goku, ha la capacità di affrontare un tremendo destino come il suo con un semplice sorriso.

Alle volte non puoi fare altro. Sorridi, e vai avanti.

Mi sta piacendo. Molto. E vorrei scriverci qualcosa.

Vedremo.

Ma ora veniamo al capitolo.

Allora? Che ne dite? Qui ho di fatto ideato la genesi del famoso copricapo indossato dal nostro pazzoide preferito!!

E vi dirò, a costo di pronuciare un'autentica bestemmia...nelle ultime righe l'ho trovato persino FIGO.

Incredibile.

Prima di chiudere, il consueto angolo dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore a quelli che ormai sono i miei fidati compagni di viaggio ovvero Devilangel476, Asrael (ex Kumo no Juuza. Mi toccherà recensire di nuovo tutta la tua storia sulle Hokuto no Ladies, mi sa), innominetuo (presto riprenderò con le recensioni, promesso) e vento di luce per le recensioni all'ultimo capitolo.

Lo scorso Dicembre...una vita fa, gente.

E grazie anche al nuovo arrivato Giuseppe Reale per le recensioni ai primi due capitoli.

E come sempre...un grazie anche a chi leggerà la storia e se la sentirà di inviare un parere.

Bene, direi che é tutto.

Grazie ancora di tutto e...alla prossima!!

 

 

 

 

 

 

 

See ya!!

 

 

 

 

Roberto

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 20

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non appena se ne uscì dall'armeria non gli bastò che riprendere immediatamente a osservare le indicazioni fornite dal signore e padrone del maniero. Ovvero seguire la cordata composta dagli uomini del Re disposti in due file parallele, che lo stavano affiancando sin da quando aveva messo piede all'interno della magnificente ma solitaria quanto silenziosa struttura.

Procedette lungo la via che gli avevano preparato i soldati e riprese le scale, salendo ancora più in alto.

Sempre più in alto, sino in cima. Ed arrivò proprio nel punto dove aveva immaginato.

Nel punto dove lo aveva visto l'ultima volta prima di infilarsi al chiuso, nel ventre del castello. Nel punto dove gli aveva dato e fornito precise disposizioni sul modo in cui si sarebbe dovuto presentare al suo cospetto.

Anche se più che disposizioni si erano trattati di ordini.

Ordini perentori, da seguire e a cui attenersi con scrupolo, e col sottinteso ma nient'affatto velato consiglio di non provare né osare minimamente a contestare o sgarrare.

Ma di non osare neanche per sogno. Nemmeno con l'idea o col pensiero. Pena la vita.

Quando Jagger uscì di nuovo alla luce del sole, avanzando lungo l'ampia balconata costruita sul tetto e che aveva già intravisto dal pianterreno, Shin stava ancora là.

Si trovava ancora nello stesso punto di prima, e non si era mosso di un solo millimetro.

Ma a differenza del loro precedente incontro con successivo scontro, questa volta non gli stava di fronte.

Non si era neanche girato. Aveva deciso di non concedergli nemmeno il lusso e il privilegio di poterlo guardare in faccia, una volta che avrebbero ripreso la loro conversazione.

Gli stava dando le spalle, senza particolare patema o preoccupazione.

Un gesto che poteva passare come piuttosto spavaldo e temerario. Oppure come piuttosto stupido e sprovveduto, a seconda dei casi e dei punti di vista.

Forse gli stava semplicemente dimostrando di non temere nulla da lui e da qualsiasi cosa che potesse provenire da lui. O magari voleva fargli capire che non era il caso di starsene sulla difensiva, e che il dialogo sarebbe proseguito da ora in poi su toni e binari decisamente più amichevoli.

Molto promettente, senza alcun dubbio. Anche se non bisognerebbe mai dare le spalle a un praticante di Hokuto, specie se si tratta di un maestro.

L'Hokuto é un'arte omicida, e trova la sua massima espressione nell'assassinio. Specialmente in quello silenzioso, che avviene nell'ombra.

E' un lavoro sporco, dove non bisogna dare assolutamente nell'occhio o farsi riconoscere o vedere da qualcuno mentre lo si compie.

Ma qualcuno deve pur farlo. E quel qualcuno é l'uomo di Hokuto. Da sempre.

Ed il buio e le tenebre sono i suoi amici, colleghi e compagni più fidati. Perché lo rendono invisibile. Ed invincibile.

Si dice che combattere contro uno di Hokuto equivalga a fronteggiare un intero esercito capace di scagliare e di lanciare ben settecentootto frecce in contemporanea e nelle stesso momento.

Tutte acuminate e cariche di veleno, tante quanti sono i punti vitali presenti e riconosciuti nel corpo di un essere umano. E tutte dirette verso di essi per trafiggerli, senza margine o possibilità di errore alcuno.

E quando si ha davanti uno di Hokuto non si dovrebbe mai commettere il madornale quanto clamoroso errore di non tenerlo sempre sott'occhio, ogni secondo.

Perché non appena ti sfugge alla vista, alla prima occasione che ha e che gli si dà di scampare e di sottrarsi a proprio sguardo...si é già spacciati. Morti.

Se lo lasci fare e gli dai il benché minimo campo d'azione...sei finito.

E quello stronzo non lo stava minimamente curando. Poteva esistere insulto peggiore, per un maestro dell'Hokuto – Shinken?

Praticamente gli stava dando da capire che non ne aveva bisogno o necessità, di farlo. Perché da lui e dalla sua arte sentiva di non dover temere pressoché nulla.

Per lui la Divina Arte erra da considerarsi inoffensiva.

In realtà non era niente di tutto questo. Perché c'era dell'altro.
Mancava un dettaglio. Un particolare era omesso, anche se non certo volutamente.

La minaccia, così come la sensazione che trasmetteva sino a saturare tutta la'ria e l'ambiente circostanti, era palpabile.

Con quell'atteggiamento a prima vista così irrispettoso ed irriguardoso nei suoi confronti, Shin gli stava lanciando un chiaro quanto inequivocabile messaggio.

Di stare attento. Ma molto, molto attento.

Sai chi sono. E sai che ti ho concesso il diritto, anzi il privilegio di starmi davanti e al mio cospetto.

Renditi conto di chi hai davanti. E tienilo bene a mente.

Quindi di ciò che hai da dire, e poi vattene.

Più chiaro di così...

Tanto valeva cominciare, dunque..

Era decisamente meglio non seguitare ad indugiare oltre.

E più saggio non attendere né farlo aspettare ulteriormente.

Inspirò profondamente, ed in quell'attimo preparò all'istante il discorso che intendeva fargli.

Un sermone, il suo, che aveva già preparato da tempo, del resto.

E poi attaccò.

“Salute a te, Shin” esordì.

“Vieni al dunque” lo smorzò l'altro. “Mi sembrava che lo avessi capito. E che ci potessi arrivare da solo, a capire di tagliare corto e di non farmi perdere altro tempo. Considera già un mezzo miracolo il fatto che io ti abbia concesso di discorrere con me. Anche solo di potermi rivolgere la parola, se pur per un breve attimo. Ma evidentemente, devo constatare che certi stupidi sono davvero troppo stupidi, per poter comprendere le cose per proprio conto.”

Jagger fece finta di nulla. Anche a fronte di quest'ennesimo insulto.

Si era già promesso e ripromesso a sé stesso di non reagire, e che tutto quello che avrebbe riguardato solo lui e lui solo soltanto, non sarebbe rientrato nel conto.

Che tanto, al momento giusto...gliel'avrebbero pagata tutti. Tutti quanti.

Cara e salata. Biondo stronzo e arcigno compreso.

“Sono qui per un motivo ben preciso, come potrai ben immaginare.”

“No, invece. Non lo immagino affatto. Così come non capisco affatto il motivo per cui sei qui. Per quale ragione hai messo piede nel mio regno?”

“Ecco, io...mi sono permesso di presentarmi al tuo cospetto come ambasciatore di pace.”

“Ambasciatore di pace, dici? E per conto di chi? Mi piacerebbe tanto saperlo.”

“Per conto dei miei due fratelli maggiori. Raoul e Toki.”

“Senti, senti....vorrai scherzare. E da quando in qua ti saresti messo a far da ambasciatore a loro due? Non credo te lo abbiano concesso, stando a quanto mi risulta. Così come non credo che sarebbero molto contenti, se sapessero del fatto che tu abbia deciso e avuto la sfrontatezza di prenderti una simile libertà. Soprattutto sul fatto di parlare e di agire in vece loro. A parer mio...sei qui ad agire in loro nome senza neanche averli interpellati. Ti stai prendendo un bel rischio, nel caso tu non te ne sia accorto.”

“Non preoccuparti di questo. Ritengo di saperne abbastanza sul loro conto da poterti riferire in tutta sicurezza dei futuri e possibili sviluppi.”

“Ah, sì? E cosa sapresti, di grazia? Cosa sai, di tanto interessante? Cosa mai sapresti, che può interessarmi?”

“Beh...giù da basso, poco fa, mi hai detto di temere la loro arte. Ebbene, io sono qui per dirti che non hai proprio nulla da temere, da loro due.”

“Tsk. E tu come faresti, ad esserne tanto sicuro? Sentiamo.”

“Prendi mio fratello Toki, ad esempio. Convengo che la sua tecnica é dir poco eccezionale, ma...la sua pericolosità é relativa. Lui rappresenta un caso a parte. Non ha ambizioni di sorta. Non é interessato alla fama, alla gloria o alla conquista. Non ha sete di potere. La sua unica intenzione é velleità e di utilizzare la Divina Arte di Hokuto al solo scopo medico e terapeutico. Vuole usare le sue conoscenze sugli tsubo per aiutare i malati e gli infermi a guarire dai loro morbi e dalle loro paralisi! Ma tu dimmi...che razza di spreco. Si può essere più idioti? Si può essere più idioti di così, secondo te? Non trovi anche tu che sia una perdita di tempo, eh? Una totale perdita, sia di tempo che di energie!!”

“Già. Può darsi. Ma ognuno ha il diritto di usare le sue capacità come più desidera. E come più gli aggrada.”

Molto, molto strano. Persino curioso.

Singolare, davvero.

Sembrava quasi...dava a momenti l'impressione di non voler insultare Toki nemmeno a distanza.

Forse non voleva permettersi di giudicarlo o di offenderlo nemmeno bisbigliandogli alle spalle, o con interposta persona.

A tal punto?

A tal punto doveva aver così tanta paura di lui.

“Proprio così, Shin” confermò Jagger. “Così come tu userai il tuo potere per ottenere tutto ciò che vuoi. E che desideri tanto ardentemente. Lasciati dire che ti capisco. Ti capisco perché anch'io la penso uguale, se ci tieni a saperlo. La penso proprio come te. Anch'io userò le mie tecniche per avere ciò che voglio! Tutto quel che voglio!!”

“Mph. E cosa vuoi, di grazia?”

“Quel che vuoi tu, in fin dei conti. Anche se mi accontento di decisamente meno, rispetto a te. Io non voglio un regno, un esercito o un castello. Non ne ho bisogno. Non mi serve. Voglio solo...voglio solo la libertà. La libertà di agire come mi pare. La libertà che viene data al detentore, reggente e successore della Divina Arte dell'Hokuto – Shinken! La libertà di dispensare la vita e la morte dalle proprie mani, a seconda della sua volontà e del suo capriccio! E la libertà che mi permetterà la stupenda forza garantita dal mio ruolo. Chi é più debole dovrà inchinarsi a me! Tutti i deboli dovranno inchinarsi ed obbedire a me, che sono più forte! Così come dovranno farlo con te, e senza minimamente osare o pensare di potersi opporre o di contraddirci! Questo pensiero...questa idea mi dà i brividi. Mi dona un piacere indescrivibile! Un piacere quasi mortale...”

“Ecco!!” Gridò. “Questo! Questo, é il vero potere!!”

“No, invece. Questa é una logica sbagliata” lo riprese Shin, contraddicendolo. “Una logica come la tua é quella dei perdenti, dei miserabili e dei falliti. In ogni luogo ed in ogni tempo. Da sempre.”

“Può darsi. Ma a me va bene così. Va benissimo così!!”

“Contento tu...”

“Si può sapere cosa c'é di strano? Poter ragionare così é il privilegio del reggente della Divina Scuola dell'Hokuto – Shinken! E' il diritto ed insieme il dovere legittimo del più forte!!”

“Ma tu non sei affatto il più forte” lo corresse nuovamente il biondo. “Se vorrai fare una cosa del genere, non é detto che tutto fili liscio come prevedi tu. Potrebbe toccarti di combattere contro tuo fratello. Toki ti impedirà senz'altro di fare una cosa del genere. Non ti permetterà, di agire così.”

“Te l'ho detto, io e te non abbiamo nulla da temere da uno così. Lui vuole aiutare la gente, ma non ha la benché minima intenzione di difenderla o di proteggerla. Lo farà solo e soltanto nella misura che la sua condotta morale e la sua missione gli concederanno. Lo si potrebbe quasi paragonare ad una santo, ma non é un crociato. Non sprecherà la sua vita a tentare l'impossibile. O a provare a cambiare il mondo. Salverà solo quelli che incontrerà ed incrocerà lungo il suo cammino, e quelli che il lavoro che si é scelto gli permetterà di ritrovarsi davanti. Ma non andrà in cerca di coloro che giudica violenti, o malvagi. Il suo scopo é di aiutare il bene, non certo di ostacolare o di punire il male.”

“Forse é proprio come dici” commentò Shin con tono freddo quanto indifferente, senza mostrare reazioni di sorta. “Chissà. Chi può saperlo, di questi tempi. Chi può sapere cosa aleggia nella testa di uomini simili.”

“Fidati” lo rassicurò Jagger. “E' come ti dico io. Lo conosco fin troppo bene. E in tal proposito...ne approfitto sin da ora per comunicarti che non c'é motivo per cui io e te si debba entrare in conflitto, un giorno. Anche il prossimo Dio della morte dovrà cominciare ad adeguarsi ai tempi che cambiano! Dovrà farlo, se non vuole che il suo ruolo venga inevitabilmente ridimensionato per poi cadere nel dimenticatoio e nell'oblio! E se la nuova era che sta arrivando sarà segnata dalla violenza e dalla forza...vorrà dire che io farò ed agirò in modo che accada ancora più alla svelta! Non lo impedirò in nessun modo, stà tranquillo. Anzi...se a dominare saranno i più forti e malvagi, io farò in modo di accelerare la cosa! Dal canto mio, farò in modo di velocizzare ancor più il processo! Te lo posso promettere sin da ora! Persino giurare, se vuoi! Perché non é di alcun mio interesse ostacolare i tiranni, o proteggere i deboli o gli innocenti! Perché nessuno é innocente, a questo mondo! E chi é debole...vuol dire soltanto che non ha le capacità per sopravvivere nel nuovo mondo che si verrà a creare, capito? Nel mondo che noi creeremo! Nel mondo che quelli come io e te andranno a costruire! Se moriranno, vuol dire che non erano degni di continuare a vivere, e che non vi é alcun posto per loro, qui! Ha ragione mio fratello Raoul! Per gli sconfitti, i deboli e gli incapaci non vi sarà che la morte, come unico premio!!”

“Raoul...” mormorò il biondo. “Ecco, vedo che ci sei arrivato. Ci siamo arrivati. A quanto ne so, lui ha mire ed obiettivi differenti da Toki. E sono gli stessi dei nostri. Sono identici ai miei. Sono che sono moltiplicati per mille, ed elevati all'ennesima potenza.”

“Lui vuole il mondo” continuò. “Ma l'intero mondo non gli basta. Non gli é di certo sufficiente. Quello non é che il principio. E solamente l'inizio. Da lì vuole passare al cielo, per scalzare Dio. Per usurpargli il trono dell'eternità. Ma non potrà ascendere alla conquista del regno celeste, se prima non riuscirà ad ottenere ed ereditare tutta quanta la Terra. E se davvero vuole possedere l'intero pianeta...é inevitabile che prima o poi finirà col mettere gli occhi e le sue brame anche sul mio regno, e i miei possedimenti. E io e lui dovremo scontrarci.”

“E' fatale che arrivi quel giorno, prima o poi” concluse. “Ed oltretutto...se mai succederà, non sarà solo per quel motivo.”

“Tu ti preoccupi troppo” minimizzò l'allievo di Hokuto. “Ti riempi la testa con mille e mille pensieri inutili. Che ti creano solo paure e timori totalmente ingiustificati. E un condottiero non si muoverà mai, se é la paura a guidarlo. Un sovrano del tuo rango non può permetterselo.”

“Quel giorno di cui tu parli é ancora molto lontano” gli spiegò. “E fa parte di un futuro ancora ignoto. Chissà cosa mai potrà accadere, prima di allora. E quante ne accadranno, prima che arrivi. Il mio fratello più anziano ha un intero mondo, prima di dover giungere ad incrociare le armi con te. Inoltre, ha ancora un intero esercito da doversi costruire. E una tecnica da dover affinare a dovere, nonostante sia già eccelsa. Mi ha già dato da capire che é sua ferma volontà ed intenzione piegare i maestri delle scuole minori che non lo appoggeranno nei suoi piani, in modo da ridurli all'impotenza e carpire così le loro tecniche segrete. Ma come ti ho appena detto...vale solo per le scuole minori. Non ha intenzione di fronteggiare un Sacro Pugno di Nanto, anche se di fatto non teme nulla e nessuno. Ma affrontare te significa attirarsi le ire e doversela vedere anche con i restanti Sacri Pugni, e lui non vuole questo. Un attacco contro di te equivarrebbe ad un'autentica dichiarazione di guerra nei confronti degli altri cinque Generali dei Sacri Cancelli Imperiali, e Raoul non si vuol mettere contro di vuoi tutti insieme contemporaneamente. Soprattutto contro il Sacro Imperatore, visto che detiene la Tecnica più potente tra tutte le vostre centootto discipline.”

Ed inoltre...” continuò, “...ho sentito dire che il detentore della vostra Scuola HOO – KEN, il PUGNO DELL’UCCELLO MITOLOGICO, abbia ottenuto un corpo inscalfibile. Pari a quello del mitico HOUHOU, della leggendaria araba fenice! Dell'animale che da sempre é spirito guida e protettore di quella disciplina, nonché suo nume tutelare! Sembra che nemmeno la nostra tecnica dell'Hokuto Shinken possa nulla contro di lui. E pare che i suoi tsubo vitali siano pressoché irraggiungibili! Corre persino voce che non li abbia neppure!!”

Così pare...” si limitò a confermare Shin, con tono svagato. Ed in tutto questo non si era ancora girato.

Non, non aveva ancora deciso di farlo. E nemmeno dava l'aria di averne l'intenzione.

“Mi devi credere” insistette Jagger. “La supremazia di Hokuto non é affatto così scontata come si possa credere. Lascia che te lo ripeta di nuovo...cosa c'é di certo a questo mondo, ormai? In un mondo come questo? Perché é pur vero che se Nanto agisce ed entra nel caos, Hokuto deve intervenire per fermarla e ripristinare l'ordine. Ma se é Hokuto a muoversi per primo, e senza alcun motivo...allora Nanto si ricompatta, e ridiventa tutt'uno. E Raoul non lo vuole, te l'ho detto. Lui...mio fratello preferisce che le cose restino così. Che voi rimaniate così.”

Shin sogghignò.

“Certo” disse. “Come no. Logico, che ci preferisca così. Divisi. Almeno potrà sistemarci come quando e meglio crede, e senza alcuna difficoltà.”

“Te l'ho detto, Shin. Quel giorno di cui parli appartiene al futuro. E' ancora lontano. Fino ad allora, sarete liberi di agire, ed ognuno di voi sarà libero di fare quel che ritiene più proficuo ed opportuno. Tanto, qualunque cosa facciate o decidiate di fare, non é del tipo che può dare fastidio ad uno come lui.”

Allargò le braccia, come a volergli mostrare, oppure dimostrare qualcosa.

“Guarda!!” Gli fece. “Il mondo é tanto grande. Così grande...io dico che c'é posto per tutti. Per tutti quelli come noi. Del resto la storia lo insegna, lo ha sempre insegnato. I tiranni non si fanno la guerra tra loro, a meno che non vi siano costretti. E poi...lo hai detto anche tu. Chissà cosa può mai frullare nella testa di uomini come mio fratello. Oggi il mondo, domani...domani il cielo. E poi...poi chissà! Chi può mai saperlo? Raoul mira al cielo. Ma una volta che intraprenderà la scalata al cielo, vi sarà bisogno che qualcuno rimanga sulla Terra. Per gestirla e per governarla. E credo...credo che la lascerà a voi. E scommetto che ne sarà bene felice! Sarà ben felice, di farlo! A lui non interessa affatto combattervi, te l'ho detto. A mio fratello preme soltanto che nessuno lo ostacoli nella sua impresa. E non essere d'accordo con lui non significa affatto ostacolarlo! Quanta gente, quanti subalterni rimangono alle dipendenze e alle obbedienze dei loro superiori e svolgono tutti i loro ordini e comandi, pur odiandoli! Io credo...io credo che si possa convivere tutti quanti tranquillamente, pur standosi sui coglioni a vicenda. Dopotutto...ci si può anche odiare in santa pace, no? Non lo trovi anche tu?”

“Piuttosto...” buttò lì sibillino, qualche istante dopo. “visto che stavi parlando e hai tirato in ballo i miei fratelli...noto che ne manca uno, all'appello.”

“Non ne hai menzionato uno” gli ribadì. “O forse...hai volutamente evitato di farlo?”

Shin parve esitare, per un attimo.

Jagger sogghignò, da sotto alla maschera.

Tutta quanta la sua gelida indifferenza e noncuranza mischiata alla sua fredda sicurezza erano come svanite di colpo. Evaporate, da un momento all'altro.

Lo Shin cinico, analitico e calcolatore aveva lasciato spazio a quello incerto ed insicuro.

L'aveva punto sul vivo. Aveva trovato il nervo scoperto.

E come Raoul gli aveva insegnato...quando si trova il punto debole, bisogna insistere sempre e soltanto su quello, fintanto che non scompare. O se l'altro é talmente imbecille da continuare a volerselo tenere e lasciare dove sta, senza nemmeno provare a neutralizzarlo.

Tanto valeva battere il ferro finché era ancora bello caldo.

“Sentiamo” gli fece. “Cosa pensi di Kenshiro?”

Nessuno poteva immaginare quale terribile prezzo gli stava costando anche solo il doverlo nominare.

Gli si stavano letteralmente rivoltando le budella per il disgusto. E si sentì come se fosse lì lì sul punto di vomitare e rigettare di stomaco, quasi.

Ma era per un buon motivo. Il suo. E le buone cause richiedono sempre qualche sacrificio.

Avrebbe avuto tutto il tempo di fargliela ripagare e cacare a dovere, a quello stronzo.

E già solo per quello godeva. A pregustare il momento in cui gliele avrebbe ridate tutte indietro fino a ripagargli per intero il conto. Interessi compresi.

“D – di lui...” disse il biondo con un fremito, “di lui preferisco non parlarne.”

Aveva esitato. E stava tuttora esitando.

Evidentemente anche lui doveva costargli parecchio, parlarne. Almeno quasi quanto gli doveva essere costato a Jagger. Se pur per poco, pochissimo.

“Preferisco non parlarne” ripeté infastidito Shin. “Perché su di lui non penso nulla. Anche se...”

“Anche se?”

“Anche se...una cosa da dire ce l'avrei, a riguardo.”

“Ah, sì? E sarebbe?”

“Posso solo dire che tuo fratello minore é fortunato. Molto fortunato.”

Ecco.

“E' proprio di questo che volevo parlarti, Shin.”

“D – di questo? Cosa...che cosa intendi dire?”

“Col fatto che mio fratello é fortunato ti stai riferendo a Julia, non é forse così? Intendo dire che provo una gran pena, per quella fanciulla.”

“P...pena, dici?”

“Esatto. Pena. Una profonda pena. Sin dal primo momento che l'ho vista e incontrata. Ed ancor di più quando ho scoperto chi é che aveva scelto. Dopo aver saputo e sentito con le mie orecchie a chi é che aveva deciso di donare il suo cuore, i suoi sentimenti ed il suo amore. Non riuscivo a crederci, davvero. Beh, detto tra noi...sai cosa penso? Che é un peccato. Un gran peccato, davvero. Perché può anche darsi che l'amore é cieco e che non conosca ragioni, ma...per me quella ragazza é stata fin troppo avventata e sprovveduta. Perché é davvero un gran misero destino quello che l'attende.”

“Proprio così” insistette. “L'aspetta una ben misera fine, se le cose non cambieranno.”

Sia dalle prime battute del nuovo discorso che aveva appena intrapreso, le sue parole si erano fatte via via sempre più cordiali e confidenziali. Ed aveva preso pure ad avvicinarsi, senza alcun timore.

A Jagger era tornato il coraggio. Perché lo stava tenendo in pugno, con quell'argomento. E lo sapeva.

Lo sapeva benissimo. Aveva capito sin da subito quali fili tirare, e sin dal primissimo istante.

“E la vuoi sapere un'altra cosa, visto che ci siamo?” gli chiese. “Se accetti il mio onesto parere...Julia é davvero sprecata, per quell'idiota di mio fratello. Quel pusillanime di Kenshiro non la merita. Non ne é assolutamente degno. Una come Julia, una così candida, pura ed innocente...merita molto di più. Molto più di quella miseria che può offrirgli un imbecille come quello. Merita un amore altrettanto puro, candido ed innocente. Uno...uno come il TUO.”

“Tu!!” Esclamò, come colto dal fulmine o dalla scintilla di un'improvvisa intuizione ed ispirazione.

“Sì! Tu, Shin! Tu sei in grado di farlo! Tu sei il solo che la merita, che la meriterebbe per davvero! Perché solo tu sei in grado di offrirle l'amore che merita! L'amore degno di una Dea scesa tra i mortali quale é lei!!”

“Smettila” gli intimò Shin. “P – perché...perché mi stai dicendo queste cose? E per quale motivo vieni a dirle proprio a me?”

“Suvvia, Shin. Non essere sciocco. Mi hai preso per un idiota, per caso? Credi davvero che sia così stupido? Per quale motivo credi che sia venuto a dirti tutto questo, eh? Perché so che tu provi gli stessi sentimenti di quel verme di mio fratello minore, ecco perché! La ami anche tu! Julia ti é sempre piaciuta! Prova a negarlo, se ne hai il coraggio! E se tu la ami proprio come io penso...non ti rimane che una cosa, da fare. Una soltanto, prima che sia troppo tardi!!”

“E...e sarebbe a dire?”

“Oh, e molto semplice. PRENDILA, Shin. Devi prenderla. Prenditela e portatela via con te, se ci tieni alla sua vita!!”

Jagger aveva guadagnato sempre più terreno, nel frattempo. E passo dopo passo, inesorabilmente...gli era ormai giunto alle spalle. Con l'altro che se ne rimaneva in perfetto quanto religioso silenzio. E che non faceva più una sola ed assoluta piega.

Oh, sì.

Lo stava letteralmente tenendo in pugno, con la scusa di far finta di tenerselo e di portarlo sul palmo di una mano.

Lo teneva in pugno. E per le palle.

Perché partono tutte da lì, le decisioni di un uomo.

Di un vero uomo. E di uomini come Shin.

Da laggiù. Dalle palle.

Si cerca una femmina che possa riempire il vuoto del cuore, quando in realtà é proprio il contrario. E cioé di svuotare il pieno di una parte situata parecchio più sotto.

Gliele stava già stringendo e soppesando, in attesa di dargli la stretta finale e decisiva.

Già. Non gli rimaneva che strizzare, adesso. E godersi lo spettacolo.

“Ascolta, Shin!!” Gli fece. “Ascoltami! Non dirmi che hai davvero intenzione di arrenderti e di lasciar perdere così! Perché dovresti farlo, eh? Per quale motivo dovresti cedere? Sentiamo! Lo sai anche tu come é fatto mio fratello minore! Non ha scorza, é troppo ingenuo e sprovveduto! Non é altro che un inetto, un incapace ed un debole! Non se la caverà a lungo! Non potrà sopravvivere alla nuova era che sta arrivando! Non ha alcuna speranza! Non ha neanche una minima possibilità, di farcela! Non sarà in grado di proteggerla e di difenderla! E quando quello non ci sarà più...quando lo avranno ucciso, che fine credi che farà Julia? Finirà nelle mani di qualcun altro! Del primo che capita! Il primo che passerà di lì la catturerà e la farà sua, che lei lo voglia oppure no! E se lei non ci starà, o non vorrà...verrà ammazzata a sua volta! Rifletti, Shin. Vuoi davvero che quella ragazza faccia una simile e così misera fine? Vuoi davvero che la donna che tu ami, che ami più di ogni altra cosa al mondo finisca così?!”

“Sul serio ti sta bene così?” Insistette. “Beh...io non credo! Non ci voglio credere! Mi rifiuto, capito? Non oso pensare che un uomo del tuo calibro se la lasci scappare così dalle proprie mani! Che se la lasci scappare senza far nulla! Ricorda che questa che sta arrivando...l'era che sta arrivando é quella dei demoni! E in un'epoca simile sorride solo il DIAVOLO! Perciò bisogna anche diventarlo, all'occorrenza. Per il bene di chi amiamo bisogna essere disposti a tramutarsi anche in belve feroci ed assetate di sangue!!”

“Hokuto e Nanto sono le due facce di una stessa medaglia” intervenne Shin, riprendendo così la parola. “E Julia é l'erede di Nanto consacrata ad Hokuto per ristabilire l'equilibrio. E' il suo destino, da sempre. E' quella, la ragione per cui l'hanno condotta lì da voialtri sin da bambina. L'erede legittima di Nanto deve stare con il legittimo successore di Hokuto, non con un Generale dei Sacri Cancelli Imperiali quale sono io.”

“Nanto non può stare con Nanto stessa” proseguì. “E' impossibile, inaudito. Tutto ciò va contro l'intera armonia dell'universo. Se lo facessi...mi dichiarerei colpevole di fronte a tutto quanto l'intero creato. Si scatenerebbe il caos. E firmerei la mia condanna a morte.”

“Pfui!!” Obiettò sprezzante Jagger. “Quel che dici sono pure eresie. Nient'altro che sciocchezze. Hokuto, Nanto...credi davvero che questo cosa abbiano ancora valore, oggigiorno? Credi che avranno mai un valore, in futuro? Le arti mortali sono tutte finite, amico mio. Così come certe gerarchie ed ordini costituiti che se ne stanno immobili ed immutabili da interi millenni! Il rango, il grado ed il titolo non conteranno più nulla! Più niente! Ormai chi vuole qualcosa o qualcuno, chiunque vorrà qualcosa o qualcuno...sarà libero di potersi prendere ciò che più gli aggrada. E se é abbastanza forte e potente, potrà prendersi tutto quel che vuole e che desidera, senza più alcun limite! Te l'ho già detto e te lo ripeto ancora...và oltre. Supera certe stronzate, una buona volta. Ormai sono completamente prive di senso.”

“Tu la fai facile” gli rispose Shin. “Tanto sarei io a rischiare, poi.”

E comunque Kenshiro...”proseguì, “...Kenshiro non costituisce certo l'unico problema. Trattandosi di Julia...ci sarebbe inevitabilmente di mezzo anche Raoul.”

“Cosa?!”

“Proprio così. I tuoi tre fratelli sono tutti quanti innamorati di Julia. Compreso il tuo fratello più anziano. E' questo, il motivo di cui ti parlavo prima. Il motivo per cui prima o poi io e lui si dovrà entrare in conflitto. Toki sembra aver accettato di buon grado che suo fratello minore e Julia si siano messi insieme, ma per Raoul...per Raoul é ben diverso. Lui la vuole. La vuole esattamente quanto la voglio io. E non si fermerà di fronte a niente, pur di averla. Non appena saprà che l'avrò presa io...si metterà sulle mie tracce e mi inseguirà. E ti ho già detto che non ho la benché minima intenzione di combattere contro di lui. Temo troppo il suo pugno. Non é detto che riesca a sconfiggermi, ma...potrebbero non esserci vincitori, dal nostro duello. Vi sono serie quanto concrete possibilità che ne verremmo fuori sconfitti entrambi. E piuttosto malridotti, nella migliore delle ipotesi. E talmente menomati che potremmo essere costretti...che dovremmo accantonare ambedue i nostri propositi di conquista. Forse per sempre, addirittura. E questo...questo nessuno lo vuole. Io no di certo. E ho buon motivo di credere che neanche lui lo voglia.”

“Ecco” puntualizzò Jagger. “Lo hai detto. Lo hai proprio detto, cazzo. Nemmeno Raoul lo vuole. Ti stai facendo sin troppi problemi. E prima del tempo, a parer mio. Il tempo di cui parli é ancora lontano. E sta a te decidere come e se dovrà arrivare. Tu e Raoul avrete tutto il tempo di trovare un accordo, su Julia.”

“Tu non di devi preoccuparti, di questo” lo rassicurò. “Non ti devi assolutamente preoccupare. Può darsi magari che sia come dici tu, certo. Ma anche se così fosse...Julia non é la priorità per lui, al momento. Proprio così. Nonostante ci tenga, quella fanciulla non sta in cima alla lista dei suoi desideri, almeno per ora. E puoi stare più che sicuro che non lo sarà per un bel pezzo. Te lo garantisco io.”

“So bene che anche lui la desidera” ammise. “Mph. E chi non la vorrebbe, in fin dei conti? E' una donna bellissima, il meglio che un uomo potrebbe volere. Diamine, pensa che la voleva persino il primogenito della sua famiglia adottiva! Persino il suo fratellastro voleva sposarsela! E lo avrebbe fatto, se i legami di sangue non glielo avessero impedito! Ma tieni conto che al mio fratello più anziano interessa il possesso, non certo l'amore. Per lui l'amore é una cosa da sdolcinati. Da autentici rammolliti. Lui é un Re, un condottiero! Ed un condottiero esprime ciò che prova e i suoi sentimenti allo stesso modo in cui vive, pensa ed opera. E cioé con l'appropriarsene, a dispetto di tutti e della volontà e del parere degli altri! Anche Raoul vuole Julia, certo. Ma la vuole perché é una cosa bella. Ed il suo sogno rimane la conquista del cielo, ricorda. Ricordatelo bene. Non metterà mai una donna davanti al cielo. Nemmeno se si trattasse della sua preferita! Non lo farebbe nemmeno per Julia, sappilo! Nemmeno per lei! Se ragioniamo in tal senso...lei rappresenterebbe la classica ciliegina sulla torta. La ricompensa finale per il lungo lavoro svolto! Tornerà a reclamarla solo quando si sarà impadronito di tutto. E fino ad allora...potrebbe anche decidere di lasciartela, chissà. Dopotutto sa che con te é in buone mani. La difenderesti da chiunque, e non permetteresti di toccarla a nessuno che non sia tu, nemmeno con un solo dito! Sai come si dice...alle volte nessuno come il tuo peggior nemico é in grado di tenere da conto le cose a cui tieni, no? E comunque, come ti accennavo poc'anzi...avrete tutto il tempo di trovare un accordo, a riguardo. La guerra in cui si vuol lanciare mio fratello é una guerra infinita, che temo non terminerà tanto presto. E mentre sarà impegnato a combattere...non potrà portare Julia con sé, durante i suoi ripetuti viaggi e spostamenti. Avrà senz'altro bisogno di qualcuno che ne abbia cura, e che la tenga d'occhio. E anche se un giorno dovesse davvero riuscire nel suo intento e dovesse malauguratamente tornare a riprenderla per portarla via con sé...beh, può sempre darsi che prima o poi se ne stufi. E allora vedrai che la lascerà di nuovo a te. Tutto può essere.”

“Tutto può essere, Shin” gli ripeté. “E in ogni caso...avresti un bel po' di tempo a disposizione per divertirti con lei e spassartela a dovere, no? Ah, ah, ah!!”

Furono quelle parole.

Furono quelle, le parole che Jagger non avrebbe mai dovuto dire. Ed oltretutto ebbe la pessima quanto disgraziata idea di unirle con una risata sguaiata quanto totalmente fuori luogo ed inopportuna.

Shin, ad udire tutto ciò, si risvegliò come di colpo da torpore ammantato di disinteresse nel quale sembrava essere sprofondato da qualche minuto.

Si girò di scatto, spalancando le braccia e piegando lievemente e leggermente le gambe dopo averle piazzate alla stessa e medesima distanza delle spalle.

I muscoli erano tenuti tesi e contratti, come se fosse pronto e sul punto di scagliarsi all'attacco da un istante all'altro.

“T – Tu!!” Urlò. “Razza di miserabile!!”

Jagger, d'istinto, si spostò all'indietro inorridito. E nel farlo inciampo e cadde direttamente sul proprio fondoschiena. E dalla posizione seduta in cui si trovava non poteva fare a meno di continuare a guardarlo.

Gli occhi del biondo guerriero erano letteralmente iniettati di sangue. Ed il volto aveva assunto un'espressione famelica e feroce, con i lineamenti tiratti e le due file di denti tenute ben serrate ed esposte in bella vista. Come quelli di una fiera.

Di una belva assetata di carne e di sangue.

“A – aspetta!!” lo implorò Jagger, mettendo una mano verso la sua direzione in evidente segno e rischiesta di tregua ed armistizio. “I – io...io ti giuro c – che non volevo...s – se ho detto...se ho detto qualcosa di male o c – che non dovevo, i – io...io t – ti c – chiedo...”

“Sta zitto!!” Ruggì Shin, ammutolendolo. “Devi stare zitto, mi hai sentito? Lurido animale che non sei altro! Devi tenere chiusa quella tua bocca di merda, é chiaro? Ma come osi? Come osi parlare di LEI in questo modo?!”

“I – io...”

“Taci!! Taci, ho detto. Tu non ti rendi conto di chi stai parlando. La fanciulla del cui nome tu osi riempirti la bocca é come un puro giglio. Il più puro e profumato tra i fiori, capito? E tu ti permetti di oltraggiarla parlandone in questo modo! Chi o cosa credi che sia Julia, per me? Pensi forse che io possa trattarla come una prostituta? Che me possa disfare dopo averne approfittato? Fottuta bestia immonda che non sei altro...dovrei ucciderti adesso, solo per questo! Seduta stante! E solo per avermi costretto ad usare un termine così infamante e ad associarlo a LEI!! Julia...Julia é come una DEA! Una Dea, mi hai sentito? Una dea scesa dal cielo tra voi miseri e schifosi mortali, per condividere la sua bellezza con le vostre squallide quanto inutili esistenze!!”

Sembrava davvero sul punto di farlo a pezzi con le sue mani. Ma subito dopo, incredibilmente...si calmò.

La sua bocca si chiuse, pur mantenendo uno sguardo oltremodo severo. E decise di ricomporsi.

Si girò, dando e concedendo di nuovo le spalle al suo visitatore.

“Vattene” gli intimò. “Vattene, ora. E non farmelo ripetere due volte. Lasciami solo. Devo riflettere su alcune cose, e decidere sul da farsi.”

“P – prometti...” balbettò Jagger mentre si rialzava e rimetteva in piedi, “promettimi solo che penserai a quel che ti ho detto.”

“Ci penserò” fu la secca risposta da parte di Shin. “E' tutto ciò che ho da dirti. E non ho intenzione di farti sapere altro, in merito. Adesso sparisci. Ti ho detto che non ti avrei ucciso solo per rispetto nei confronti dei tuoi due fratelli maggiori, ma sono sempre in tempo per cambiare eventualmente idea. Ed é quel che farò, se non ti levi immediatamente di torno. Tu e quella tua disgustosa testa deforme. Và via!!”

No. Decisamente non vi era bisogno di farselo ripetere un'altra volta. Non era proprio il caso.

Jagger guadagnò l'uscita alla chetichella ma con una certa sollecitudine, camminando all'indietro per paura di venire aggredito mentre si ritirava.

Prese l'uscita e si dileguò, veloce come il vento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se ne rimase anche lui nascosto dentro ad una coltre di perfetto quanto inespugnabile silenzio, mentre si stava allontanando dalla cittadella fortificata, allo stesso modo e dello stesso genere in cui aveva deciso di trincerarsi il suo interlocutore. Nonché colui che lo aveva appena congedato.

Prima di perdere le staffe e di cacciarlo via in malo modo e nell'arco di un paio di secondi netti e pure scarsi, s'intende.

E adesso stava procedendo proprio come era entrato. Circondato da due file di soldataglia, come in un cordone sanitario o di sicurezza nei pressi ed in concomitanza di qualche evento. Con i più che, a vederlo allontanarsi a passo lento ma di gran carriera non ce la facevano proprio a nascondere e a celare un sorriso.

Di conforto. E di evidente quanto conclamato sollievo.

Quello che si esibisce a sé stessi senza dare però particolarmente o vistosamente nell'occhio, a fronte di una persona non gradita ed indesiderata che per nostra gioia ha decuiso finalmente di levare il disturbo e di togliersi e sciacquarsi dallo scroto e dalle palle.

Davano tutta quanta l'impressione che con l'imminente commiato da parte di quel tizio a dir poco inquietante, l'aria tutt'intorno ne setsse iniziando in qualche recondito modo a risultarne via via sempre più alleggerita. Decisamente.

Come se uno avesse mollato una loffa di quelle davvero puzzolenti e tremende, lì in mezzo. E che poco prima di asfissiare tutti fosse riuscito, non si sa come e chissà per mezzo di quale sortilegio o magia, di riuscire a risucchiarsela tutta quanta di nuovo nel suo culo da dove era uscita.

Doveva emanare un gran odore di merda, anche al solo vederlo.

Fu solo quando uscì finalmente dalla cinta muraria e dai bastioni della Croce del Sud che l'impassibilità di quella massa informe che ormai costituiva più della metà del suo volto si sciolse.

E fu solo allora che anche Jagger si concesse un sorriso di gusto. Anche se per tutt'altro motivo.

Era andata. Era fatta.

Ce l'aveva fatta.

Certo, aveva corso qualche rischio. Ben più del dovuto e di quelli che aveva immaginato e previsto, ma...il suo piano era andato a buon fine.

Il suo stratagemma era andato in porto.

Era fatta. Lo aveva intortato a dovere.

Era riuscito a convincerlo.

Glielo aveva messo contro.

Non poteva dire di avere ancora la conferma ufficiale e definitiva, ma era chiaro e lampante che Shin avrebbe fatto senz'altro qualcosa. E non se ne sarebbe rimasto a guardare con le mani in mano.

Assolutamente. Non lo avrebbe mai permesso.

Lo aveva convinto ad agire nel momento stesso in cui il biondo lo aveva invitato ad entrare nella sua dimora.

Per il resto...gli era bastato guardarlo in faccia non aveva appena nominato quella stronza.

Ma soprattutto gli era bastata ed avanzata la sua reazione furibonda non appena gli aveva accennato al fatto che Julia sarebbe rimasta senza nessuno che la potesse difendere, proteggere.

Si dice che un vampiro diventi invulnerabile a qualunque cosa nel momento stesso in cui lo lasci oltrepassare la soglia e l'uscio di casa tua.

Ovviamente é sufficiente non farlo, ma per fortuna...qualche coglione sprovveduto lo si torva sempre.

E Shin quello, era.

Un coglione. Nient'altro che un povero coglione. Che era buono soltanto di giocare a fare il despota ed il tiranno sanguinario, ma che in realtà si faceva consigliare e guidare anche lui dal cuore e dai sentimenti. Anche se aveva una maniera tutta sua e ben strana, di dimostrarlo.

Dall'amore.

Un vero coglione, appunto. Esattamente come quel bastardo.

Quel grandissimo bastardo e figlio di puttana che aveva osato ridurlo così.

Uomini come quello e come Shin sarebbero stati destinati a soccombere, nella nuova era che già stava facendo capolino. Se si riusciva ad avere lo stomaco ed il fegato di poterli chiamare uomini.

No, non erano uomini. Uomini erano piuttosto quelli come lui e come suo fratello Raoul, che non si facevano dominare e piegare da un'insulsa femmina con la patetica scusa di rispettarla.

Uomini come loro erano destinati ad ereditare e a dominare il mondo, un giorno. Ed insieme ad esso la Divina Arte dell'Hokuto – Shinken, anche.

Ora avrebbe pensato a tutto lui.

Le loro faccende non lo riguardavano più.

Loro due, i loro destini e quel che avrebbero fatto e che sarebbe accaduto e successo non lo riguardava più. E nemmeno gli interessava.

E lo stesso discoros valeva anche per quella stupida puttana.

Se fosse stato Shin a vincere, gliel'avrebbe lasciata tranquillamente. E se si fossero eliminati a vicenda, l'avrebbe presa con sé per poi portarla a consegnarla direttamente a Raoul.

C'era da scommettere che l'avrebbe accolto a braccia aperte. E che gli avrebbe proposto senz'altro di entrare tra le sue fila.

Dopotutto, era ciò che voleva. Sin dall'inizio.

E se Raoul non l'avesse voluta...ci avrebbe pensato lui, a trovarle una sistemazione.

L'avrebbe venduta al miglior offerente. E per un pezzo di carne così pregiata e di prima scelta gli acquirenti potenziali non mancavano di certo.

Avrebbero fatto a gara. E l'avrebbero riscattata e pagata a peso d'oro.

Senza dover contare che era pure illibata...forse.

Perché non lo si poteva mai dire con certezza. Non ci si poteva mettere di sicuro la mano sul fuoco.

Lui non lo avrebbe fatto di sicuro.

Erano tutte uguali le donne, in fondo.

Tutte troie. E dall'uomo non volevano che una cosa.

Magari quella aveva già fatto tutto senza che lo si venisse nemmeno a sapere.

Ed il tutto con quel branco di emeriti imbecilli che stavano lì a lottare e a scannarsi per contendersi la virtù di una che magari teneva la fica più sfondata di un vecchio divano mezzo rotto.

La prova suprema dell'inguaribile coglionaggine di certi esemplari di maschi.

E no. Lui francamente non se la sarebbe neppure scopata, nonostante fosse una vera e rara bellezza.

A quello ci avrebbe pensato lo stronzo figlio di mignotta che se la sarebbe comperata. Ed accollata.

Era un onere che era ben disposto a cedergli più che volentieri.

A Jagger l'idea non gli passava nemmeno per l'anticamera del cervello. Men che meno per quella dei coglioni.

Per il semplice fatto che non gli andava di infilare il cazzo nello stesso buco dove un giorno avrebbe potuto pure infilarlo quello stronzetto. La sola idea lo schifava.

Con un pizzico di fortuna...gliel'avrebbe strappata via prima ancora che si fosse potuto levare la soddisfazione di farsela almeno una volta, al povero verginello.

Neanche la consolazione di sbattersela e di spararsi la prima fottitura della sua vita, doveva lasciargli.

Doveva morire come aveva vissuto. Senza sapere e capirci un cazzo di niente.

Come un insetto. Come l'insetto che era.

Che suo fratello minore potesse uscirne vittorioso era da escludere. Da escludere categoricamente.

Da non prendere nemmeno in considerazione.

Perché era troppo giovane, troppo piccolo, troppo inesperto. Troppo scarso. Troppo incapace.

E troppo vigliacco.

Non era altro che un debole, che persino in battaglia si faceva mille problemi, remore e scrupoli di ogni tipo quando si trattava di ferire, danneggiare o fare del male a qualcuno. Persino quando quel qualcuno era uno che avrebbe voluto tanto ucciderlo e farlo a pezzi.

Era talmente cretino da ostinarsi a voler negare anche l'evidenza.

Non avrebbe mai avuto il coraggio di ammazzare Shin, nemmeno se messo alle strette e con le spalle al muro. Così come non aveva avuto il coraggio di dare il colpo di grazia a lui.

Mentre Shin...

Aveva come l'idea che Shin non si sarebbe posto gli stessi problemi, al momento giusto e decisivo.

Non avrebbe esitato. In quello era da considerarsi come lui. E come Raoul.

Almeno in quello.

Perfetto. Semplicemente perfetto.

Comunque andasse, comunque fosse andata...suo fratello minore era destinato a perdere.

A perdere lo scontro. A perdere la sua donna. A perdere la sua vita.

A perdere tutto. Per poi morire.

Il ghigno maligno si trasformò in una risata fragorosa.

Aveva imbastito uno spettacolo di prim'ordine. E non vedeva l'ora che cominciasse, per goderselo tutto dal primo all'ultimo istante.

Ed in prima fila, pure. Si era già auto – prenotato un posto, se era per quello.

Finalmente le ocse stavano cominciando ad andare per il verso giusto.

Il futuro era roseo. E luminoso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rimase sulla balconata ad osservare la grottesca e claudicante figura che si allontanava, e le tenne gli occhi addosso sino a quando non la vide sparire oltre l'ultima fila di grattacieli.

Ottimo. Adesso poteva finalmente tornare a concentrarsi sui propri pensieri.

Shin si riteneva forte ed invincibile, secondo il tipico modo di ragionare dei leaders e dei condottieri.

Praticamente imbattibile, grazie ai poteri che gli conferiva il suo Sacro Pugno.

Il NANTO KOSHU – KEN, lo stile dell'Aquila Solitaria. Una delle Sei Discipline Maggiori, a capo di tutte le centootto scuole della costellazione caratterizzata dalla splendente Croce del Sud.

Eppure...era preoccupato. E non riusciva ad ignorarlo né a nasconderlo. Nemmeno a sé stesso.

Ne sapeva a sufficienza sul conto della Divina Arte dell'Hokuto – Shinken da potersi tranquillamente rendere conto che affrontarla non costituiva di certo uno scherzo. Neppure per un maestro quale era lui.

Ovviamente si dice da sempre che non contano gli stili praticati.

Nessun stile é superiore o meno ad un altro, conta solo l'abilità e le conoscenze di chi lo pratica.

Ma anche da quel punto di vista...era innegabile che la Divina Scuola avesse avuto una fioritura di talenti a dir poco eccezionali, in quest'ultima generazione di adepti.

Persino Kenshiro, che era sicuramente l'allievo più giovane, non andava affatto sottovalutato.

Aveva già dato prova di capacità a dir poco tremende, nelle volte in cui le loro scuole si erano radunate per delle sfide a puro scopo dimostrativo, e che in quanto tali venivano bloccate ed interrotte al primo sangue versato.

Anche se le botte scambiate erano dannatamente vere e reali, però. E ne facevano testo i diversi combattenti che ne uscivano pesti e con le ossa rotte. Nel migliore dei casi.

Ad un certo punto avevano deciso di proibirli, perché l'infermeria era già bella piena. Di questo passo, si sarebbe dovuto iniziare a scavar fosse per poi portare i feriti e i moribondi direttamente al camposanto. E poi da lì al crematorio, che a quel punto ci mancava solo quello.

Restava comunque il fatto che la Divina Arte di Hokuto era davvero potente.

Molto, molto potente. Però...

Però durante il combattimento con quella sottospecie di ominide, di scarto di verme dal cranio ormai reso deforme aveva iniziato a rendersi conto di una cosa.

Era stata una roba di breve durata, e non si era nemmeno impegnato al massimo delle sue capacità, ma...ma forse quell'autentico scimunito e cervello di gallina nemmeno si era reso conto di quanto gli poteva essere risultato utile.

Stava già cominciando a macinare neuroni e ad elaborare un'adeguata strategia, sulle base delle più recenti informazioni raccolte.

Poche ma significative, si era detto.

Probabilmente non era roba che avrebbe potuto funzionare con guerrieri esperti del calibro dei due fratelli più grandi, ma con quelli alle prime armi...beh, era ancora tutto da decidere. E da vedere.

Raoul e Toki non ci sarebbero cascati. Ma Jagger sì. E forse...

...E forse anche Kenshiro.

Non restava da provare e verificare se era vero, come nella più classica delle dimostrazioni di stampo scientifico.

Non gli restava che agire. Per vedere se era come aveva pensato. E se aveva ragione.

E lui, Shin the King, il Re Shin...

Lui aveva sempre ragione. Ragione su tutto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Chiedo scusa per la lunga attesa, ma finalmente il nuovo capitolo é pronto.

Diciamo che ho avuto un periodo un po' incasinato, ragazzi.

Tanto per cambiare.

Un motivo ve l’ho anticipato la volta scorsa, quindi ben capirete di che si tratta.

Sto spedendo il manoscritto del mio romanzo un po' dappertutto, nella speranza che possa interessare a qualcuno.

E intanto, già che ci sono, l’ho iscritto anche a qualche concorso letterario.

Bisogna tentarle un po' tutte, come dico io.

Incrociamo le dita…

Ma ci sono novità anche nella vita quotidiana.

Sul lavoro mi hanno trasferito di reparto dopo ben 22 ANNI.

Al momento non faccio più il turno di notte.

Forse ci smenerò un pochetto dal punto di vista pecuniario, ammettiamolo pure.

Ma finalmente la sera riesco a tornare a casa dalla mia dolce metà e dalla mia piccola.

E questo, come diceva una vecchia pubblicità...NON HA PREZZO.

Dopotutto mia moglie ha ripreso a lavorare, quindi...dovremmo cavarcela ugualmente.

Stando a quel che dicono i miei capi, si tratta di una soluzione temporanea e non durerà per sempre.

Vedremo. Intanto, a me va benissimo così.

Qualche novità anche dal punto di vista puramente letterario.

Per quanto riguarda le mie fanfiction, s’intende.

Ho cambiato il programma di scrittura, e quello che sto utilizzando ora mi pare un po' più affidabile.

Il che si dovrebbe tradurre in meno errori (una cosa che da sempre mi fa venire il cimurro, se mi consentite l’espressione), e quindi un po' meno lavoro per il mio stimatissimo collega Joseph, che mi fa da editor per quanto riguarda l’altra mia fanfiction in corso, quella su Zootropolis.

Si spera, almeno. Ma non garantisco niente.

Ma veniamo al capitolo.

Allora? Che ne pensate?

Io l’ho trovato buono.

Sorvolando sul fatto che Jagger, pur essendo pazzo si dimostra un gran furbacchione, mi sono piaciuti i ragionamenti di Shin.

Forse é pazzo a sua volta, anche se non certo ai livelli di Jagger.

La sua pazzia é dovuta al fatto che é ebbro di potere.

E’ folle, sanguinario e crudele. Ma non é certo uno stupido.

Ho sempre pensato che nutrisse dei dubbi, sul fatto di sconfiggere Ken e rapire Julia.

In quanto generale di Nanto é ben conscio anche lui dei legami che intercorrono tra la sua scuola e quella di Hokuto. Così come sa che un atto come il suo rischia di far scoppiare una guerra.

Lo attanaglia il forte sospetto di essere sul punto di fare una grossissima CAZZATA. Perché il suo gesto va contro l’intero ordine e l’armonia dell’universo.

Eppure lo fa ugualmente.

Non c’é niente da fare, purtroppo. Quando c’é di mezzo l’amore (e la passione, soprattutto), gli uomini non ragionano più.

Lo insegna la storia e soprattutto la letteratura.

Per Julia...Shin é disposto ad andare contro pure al destino e all’intero creato.

E veniamo al consueto angolo dei ringraziamenti, prima di chiudere.

Un grazie di cuore a vento di luce, Asrael e Devilangel476 per le recensioni all’ultimo capitolo.

E poi a Giuseppe Reale per la recensione al capitolo 3.

E come sempre, un grazie a chiunque leggerà la mia storia e se la sentirà di lasciare un parere.

Che altro dire? Beh, non molto, a parte che spero di pubblicare ancora un episodio prima della consueta pausa estiva.

Nel frattempo, grazie ancora a tutti e alla prossima!

 

 

See ya!!

 

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


 

 

 

 

CAPITOLO 21

 

 

 

 

 

 

 

 

Lì intorno erano ormai tutte macerie e rovine.

Città e paesi interi resi tali da armi fin troppo potenti perché una mente ottusa e limitata come quella umana potesse riuscire o anche solo sperare di controllare o governare, una volta attivate e messe in gioco.

L'ultima risorsa, quando ci si trova con le spalle al muro o sul punto di perdere. Anche a costo di utilizzarla su paesi vicini, talmente vicini che é praticamente impossibile che la deflagrazione o le radiazioni emanate da essa non finiscano per colpire anche il proprio suolo. E chiunque lo abiti e calpesti. Così come é impossibile non rendersi conto di che razza di madornale quanto tragico errore si é sul punto di commettere e di compiere.

Anche a costo di usarla dentro al cuore, al centro della propria nazione. Perché piuttosto che ammettere la sconfitta, di cedere anche un solo acro od ettaro all'avanzata del nemico, di quello che in quel momento lo si identifica come tale...si preferisce perire insieme ad esso, per trascinarlo giù sino in fondo all'inferno con sé.

Molto nobile, nell'ottica di un guerriero. Ma i guerrieri, nella saggezza e nel rispetto del codice d'onore applicati alla furia della battaglia, decidevano di riservare questa sorte per sé stessi.

Era una loro libera e spontanea scelta, senza voler obbligare o coinvolgere nessuno. Nessun altro all'infuori di loro.

Ma i politici non ragionano così.

La posizione che occupano ed il ruolo che rivestono impongono di dover prendere decisioni per tutti. Al posto di tutti. Anche quelle più difficili, in momenti storici e sociali delicati.

Doloroso, ma necessario. Però spesso una simile logica li porta erroneamente a ritenere che tutti la pensino come loro.

Mi avete messo lì. O mi sono messo lì, e voi me lo avete permesso.

Avete accettato di buon grado, in ogni caso. Quindi, da ora in poi, accetterete senza fiatare qualunque cosa io decida. E vi andrà bene qualunque cosa io faccia.

Ed in caso contrario, ve la farete andar bene comunque. Che vi piaccia oppure no.

La morte in battaglia e lo sterminio indiscriminato passano sempre per la decisione di un sol uomo. Ma con un'unica, sostanziale differenza.

E cioé che nel secondo caso...la decisione di un singolo condiziona il destino di tutti.

E questo non é il modo di pensare che si addice ad un guerriero. Ma ad un egoista.

Macerie. E rovine.

Questo era tutto ciò che restava e rimaneva di case, di palazzi e di grattacieli. Magari modesti, magari anche lussuosi. Ed ora tutti accomunati dal fatto di essere stati rasi al suolo da missili e testate dall'incomparabile potenza distruttiva.

Solo una cosa continuava a risaltare in mezzo a quello scenario desolante, nonostante fosse anche lui mezzo distrutto dai bombardamenti incessanti.

La scultura gigante del Bodhisattva dalle mille braccia. Quattro in bella evidenza, che ormai non c'erano più da tempo, e la miriade composta da tutte quante le altre sullo sfondo. O almeno quelle che erano rimaste. Più o meno intatte che fossero.

Ed in ognuna di esse, un occhio.

La versione introdotta nell'arcipelago di Guan Ying. La Dea dell'abbondanza ma anche della pietà e della misericordia, sopraggiunta dal continente insieme a moltissime altre divinità.

Mille braccia da donare alla gente piena di problemi e di guai. Ed altrettanti occhi per poter vegliare su di loro.

E se finemente triturati e disciolti nel té, costituivano un farmaco miracoloso. Un rimedio contro ogni male.

Anche il peggiore, pur non essendoci mai fine alla crudeltà e alla sete di violenza dell'uomo.

Oh se vi fosse una medicina in grado di diluire il veleno che circola nel suo animo, nel suo cuore e nel suo cervello!

Una divinità che una volta era una bellissima fanciulla.

La figlia dell'imperatore, nientemeno. Che scelse di sua spontanea volontà di farsi orrendamente mutilare sia agli arti superiori che alla vista per ottenere la guarigione di suo padre. E che proprio grazie a questo sacrificio ascese al cielo trascendendo la sua natura mortale. E che da quel giorno avrebbe donato parti di sé a chiunque ne avesse avuto bisogno.

L'antica pratica del Ko – Ku. La massima espressione dell'amor filiale nei confronti dei genitori che gli hanno donato una parte di sé stessi per infondergli poi la vita ed una coscienza, in modo da ripagare adeguatamente il favore ed estinguere così il debito.

Occhi, mani, fegato. In casi estremi anche il cuore, o i polmoni.

Gli organi più nutrienti e sostanziosi. Dove si accumula la maggior quantità di sangue più vitale.

Lo stesso sangue del padre e la madre. Ed é grazie a ciò che tornano a stare meglio.

Si viene da una goccia del sangue di entrambi. E' roba loro. E se occorre, gliela si ridà indietro.

Con somma gioia e gratitudine. E senza che loro lo abbiano nemmeno chiesto.

Una favoletta edificante, secondo alcuni. Per nobilitare e mascherare adeguatamente un pratica molto meno nobile e ben più barbara.

Lo Zhi Zhi Yer Shi.

Scambiarsi i figli per mangiare.

Perché nei periodi di magra e di carestia, quando il corpo era talmente debole e deperito da non obbedire più, e la fame dava letteralmente alla testa...si arrivava anche a quello.

A divorare la propria prole.

Per alcuni era il miglior pasto di tutto quanto l'anno, se non l'unico.

Dopotutto si dice che anche la famosa fiaba di Sherazade fosse molto più cruenta. E che la ragazza in questione avesse ideato le sue famose storie per impedire che il suo amato principe la uccidesse, sicché era sua inquietante abitudine scannare tutte le mogli con cui aveva giaciuto a letto dopo la prima notte.

Beh, grazie a quei racconti Sherazade poté arrivare almeno a mille. Ed una.

Ma al vecchio maestro queste storie truci non interessavano affatto. Per lui potevano benissimo scomparire nel buio della storia e nella notte dei tempi.

Su certe cose é meglio stendere un velo di pietoso silenzio, anche se scomodo.

Aveva fatto realizzare quell'enorme statua nei pressi del castello per tutt'altri motivi, oltre che quello di delimitare il territorio di sua proprietà.

A lui il Bodhisattva gi ricordava tanto una cosa. Gli serviva per rimembrare l'importanza del ruolo di reggente della sua arte.

Ogni volta che lo scorgeva non poteva fare a meno di pensare quanto le due figure si assomigliassero.

In fin dei conti, non vi é poi molta differenza tra il Bodhisattva dalle Mille Braccia e il successore della Divina Arte dell'Hokuto – Shinken.

Anche l'erede della più forte arte marziale esistente, della tecnica mortale più efficace al mondo deve sapersi fare in mille.

Entrambi sono illuminati che hanno raggiunto la beatitudine perenne. Ma che hanno rinunciato al Nirvana per rimanere sulla Terra, in modo da aiutare il prossimo e tutti gli uomini.

Arrivare al Nirvana comporta un cammino a volte fin troppo lungo e tedioso di morte e di rinascita continue. Ma chi potrebbe mai desiderare di abbandonarlo, dopo averlo raggiunto dopo tanti sforzi e sì gran fatica, per voler ricominciare il ciclo da capo e dall'inizio?

Non ha senso.

Sul serio. Chi sarebbe così sciocco da rinunciare ad essere un Dio al di sopra di chiunque e di qualunque cosa, per sempre?

Beh, loro. Loro sono i primi due stupidi in assoluto.

E poi pare che ne arrivò un terzo, ma questa é un'altra storia.

Il successore non é fatto per rimanersene a godere dello splendore abbagliante e della luce eterna del paradiso.

Dopo averlo saggiato, toccato...deve ripiombare all'inferno. A sguazzare nel fuoco, nella polvere, nel fango e nel sangue.

Non gli va certo di risiedere con gli angeli alla sua destra e alla sua sinistra per comandarli, ma piuttosto di stare in mezzo ai demoni. Per sconfiggerli e distruggerli, perché il male non muore e non finisce mai.

Il Buddha che verrà fuori dalla Divina Arte...deve sporcarsi le mani e lordarsi dalla testa ai piedi.

E un nobile, un principe che si deve ridurre allo stesso stato del più umile tra i contadini, del guardiano di porci che si nutre anch'egli degli avanzi, delle carrube e delle bucce.

Se non si é in grado di gettare il proprio mantello per terra e la corona in pasto ai pesci del fiume o del lago, non si diventerà il sovrano più grande di tutti i tempi.

Solo così si diventa tutt'uno col popolo. Non guardandoli dall'alto in basso tra le mura della propria reggia, ma mescolandosi insieme ai sudditi. E combattendo con loro.

Tutti i giorni, ogni giorno della propria vita. E in prima linea.

Solo così ti seguiranno.

Non moriranno per te se glielo ordini, ma sii disposto a morire per primo e vedrai che pure loro saranno disposti a morire per te.

Questo. Questo é il vero amore, in guerra.

Ai piedi della statua mezza diroccata vi era una lapide. E com'era più ovvio, una tomba sottostante.

Una tomba contenente i resti e le spoglie mortali di colui che aveva commissionato la statua che ora pareva osservarlo dall'alto, come a volerne vegliare e proteggere il perpetuo sonno.

Davanti alla tomba, due persone.

Un ragazzo ed una ragazza, che dovevano aver superato di un niente l'età della fanciullezza gaia e spensierata. E forse addirittura con largo anticipo, a causa di qualcosa che li aveva costretti a crescere e a maturare prima del tempo.

E chissà, forse la dipartita con cui si stavano trovando alle prese doveva aver avuto senz'altro e senza alcuna ombra di dubbio il suo consistente peso...

Erano inginocchiati e con lo sguardo basso, chiaramente in atteggiamento di raccoglimento e di preghiera a giudicare dalle mani giunte all'altezza del petto.

La ragazza stava piangendo, in silenzio. Il giovane sembrava impassibile, ma sul suo volto aleggiava un'insopprimibile coltre di tristezza.

Rimase in silenzio ancora un po', come se nella propria mente avesse uno scongiuro o un sermone da terminare assolutamente prima di poter ricominciare a discorrere come prima.

Attese qualche altro istante. Poi alzò gli occhi, rivolgendoli alla lapide, e riprese la parola.

“Ryuken, padre mio adorato e venerabile maestro...” disse, con voce e tono dolenti e solenni. “Da tempo sospettavo che le vostre condizioni di salute fossero ben peggiori di quel che voi volevate dare a vedere. Il vostro cuore era davvero troppo stanco, per poter continuare a battere. Ed il vostro respiro talmente flebile che probabilmente non vi dovete neanche essere accorto di perderlo, mentre esalavate il vostro ultimo fiato. Se non altro...”

Esitò. Ma trovo la forza di andare avanti, e proseguire con l'elegia.

“...Se non altro ve ne dovete essere andato nel sonno, dolcemente, quasi senza rendervene conto. E ritengo che non esista maniera più dolce di morire, per un uomo. Anche se voi eravate un guerriero, ed il sogno recondito di ogni guerriero é e resta quello di morire sul campo di battaglia, in una tomba senza nome. Ma...ma almeno concedetemi di trasgredire, per questa volta. Concedetemi di violare e di disobbedire alle vostre ultime volontà, per favore. Vi prego. Ho voluto donarvi questa tomba nonostante tutto, perché pur sapendo che non stavate bene per rispetto e stima nei vostri confronti ho preferito e scelto di non farvi mai domande e di non voler indagare ulteriormente. E...lo so, padre. Ne sono conscio. Il mio é stato un atteggiamento davvero assurdo, col senno di poi.”

“Avevate...avevi ragione tu, padre mio” dichiarò. “Certe volte tuo figlio non é altro che uno sciocco.

Ma...cerca di capire. Io non ho voluto approfondire in merito, e tu hai voluto tenermi nascosto tutto quanto sulla tua malattia, fino all'ultimo. E perciò...perciò ora che non ci sei più, non mi é rimasto altro da poter fare che piangerti. Che piangere per la tua tragica perdita e scomparsa, purtroppo. Non posso fare nient'altro per te, ora. Più nulla che non sia questo. Ti prego...ti prego di perdonarmi.”

Guardò la ragazza al suo fianco. Le sorrise, e lei ricambiò nonostante il profondo dolore che la stava scuotendo nell'intimo e nell'animo.

Anche per lei l'uomo che stava giacendo tre palmi e sei piedi sottoterra davanti a lei era stato come un padre.

Ryuken era stata la figura più simile ad un padre che avesse mia avuto, specie negli ultimi anni. Fatta eccezione forse per l'anziano Dharma, il tutore e precettore a cui l'aveva affidata sin da piccola la sua famiglia di origine, ed i suoi genitori che non aveva mai visto e nemmeno conosciuto.

E l'anziano Ryuken l'aveva accolta e amata come una figlia, tra le mura della sua casa e dimora.

Così austera, ma allo stesso tempo così famigliare ed accogliente nonostante l'asprezza e la durezza degli allenamenti rigorosi che ivi si praticavano.

Le aveva fatto conoscere i suoi figli, dicendole che un giorno, quando sarebbe stata più grande, se avesse trovato tra loro uno di suo gradimento avrebbe potuto sposarlo, e vivere insieme a lui.

E lei lo aveva trovato, un ragazzo che le piaceva. Eccome se lo aveva trovato.

Ryuken aveva preparato per lei un vero e proprio rifugio dorato, dentro al suo castello. E negli ultimi periodi si concedeva lunghe passeggiate con lei al suo fianco, parlando e discorrendo del più e del meno. Come un nonno con la sua nipotina prediletta.

Parlavano di tutto. Della vita, del mondo e del destino. E degli uomini.

Del resto i suoi figli e discepoli erano ormai divenuti giovani uomini. Almeno quelli che ce l'avevano fatta a diventare tali.

Erano ormai totalmente autonomi ed indipendenti, i più grandi insegnavano ai più piccoli.

Raoul a Jagger, Toki a Kenshiro, e così via. Non avevano più bisogno, di lui.

No gli serviva più un maestro dietro alle spalle e al sedere a dirgli ogni due secondi cosa dovessero fare, e a correggerli ogni volta che sbagliavano.

Erano ormai adulti. Ed era stato un vero sollievo, per il vecchio, scoprire che poteva alfine concedersi un poco di quiete e di riposo dopo così tanti anni spesi a trovare dei potenziali candidati e successori.

Potersi finalmente riposare dopo così tanto lavoro, tanta ricerca e tanto penare.

Già. Un vero sollievo. Non ci sperava più. Davvero più.

Spesso le concedeva di assistere all'addestramento, e lei rimaneva come rapita ad ammirare quei corpi muscolosi tesi fino allo spasimo in pose plastiche o mentre sferravano colpi talmente rapidi, precisi e potenti da fendere in due persino l'aria ed il vento, accompagnati da grida virili che parevano ruggiti di belve feroci.

Tigri possenti sotto forma umana. Tant'era vero che, secondo un noto artista incisore ma talvolta anche poeta...Dio non poteva aver creato un sì spietato, crudele e spaventoso capolavoro.

Bellissimo quanto agghiacciante, da togliere il fiato.

Perché c'era una bellezza, in tutto quell'intenso spettacolo.

Le sue amiche erano solite dire che i maschi erano grezzi, e rozzi.

Ma anche un uomo può esprimere beltà, se pur in modalità senz'altro più rude.

Diamanti grezzi, mai lavorati né levigati. Dalla forma sproporzionata e talvolta pure brutta a vedersi, ma ugualmente in grado di risplendere come le gemme e i gioielli esposti nella bacheca di un mastro orafo.

L'uomo é fatto così. Non diffonde le energie in maniera soffusa e tutt'intorno a sé come una donna, che in quanto madre e sorella per istinto le rilascia a tutti e a poco a poco, in modo che tutti coloro a cui tiene e a cui vuol bene possano goderne.

Sia la donna che l'uomo hanno enormi forze che giacciono sopite dentro di loro. Ma l'uomo é portato per sua natura a liberarne grandi quantità in una volta sola, proprio come quando decide di riprodursi.

E quando le rilascia, non le recupera più. Una parte di lui muore per sempre con esse, con quelle che ha deciso di disperdere.

L'uomo deve conservarle per il momento del bisogno. Ma quando stabilisce di usarle...deve consumare, piegare, sottomettere, distruggere. Dominare.

E quando brucia di passione e di ardore per qualcuno o per qualcosa, può arrivare ad esplodere fino ad annullarsi e a disintegrarsi, per lasciare dietro a sé una scia ed una traccia luminosa, che altri forse in futuro seguiranno.

Come una galassia. Come una nebulosa.. Come una stella. Già morta da anni luce, ma della quale noi si riesce ancora a vedere il bagliore che giunge fino a qui.

Per questo ad ogni uomo serve una donna. Non può farcela da solo, ad arrivare a certe cose.

Non può farcela da solo, a migliorarsi.

E ad ogni donna serve un uomo. Per migliorarlo.

L'anziano maestro glielo diceva sempre, prima di mettersi ogni volta a ridere.

Il suo arrivo e la sua presenza lì erano state una benedizione.

La sua grazia ed il suo tocco femminile avevano aggiunto qualcosa di strano, lì. Avevano reso luminoso quel posto così cupo.

Non le diceva mai di no, su nulla. Ma non voleva che assistesse ai duelli e agli scontri fisici.

Ad una creatura leggiadra quale era lei non era degn di visione la violenza brutale di cui potevano far sfoggio gli esponenti del sesso opposto, alle volte.

Ma lei stava ad assisterli di nascosto, ogni tanto. Elogiava i vittoriosi, assisteva e confortava gli sconfitti.

Una carezza, un tocco, una mano posata sulla pelle, un panno passato a detergere e a disinfettare i lividi e le ferite...

Era poco. Ma faceva tanto.

Lo aveva fatto con Raoul, con Toki e con Kenshiro.

Persino con Jagger, anche se quest'ultimo non sembrava gradire.

A dirla tutta non sembrava nemmeno capirli o comprenderli, quei gesti d'affetto.

E alla fine...ve ne fu uno di troppo. Galeotto fu quel tocco.

Con una delle sue ultime carezze effettuata su uno di loro, e per la precisione sul più giovane e su colui che a prima vista pareva il più ingenuo quanto inesperto...con una delle ultime la cara fanciulla vi lasciò e vi dovette infondere qualcosa d'altro oltre alla comprensione, all'affetto, al calore umano, alla pietà, alla benevolenza ed alla compassione di cui aveva sempre dato sfoggio e dimostrazione di possedere in quantità a dir poco smisurate.

Vi aveva lasciato il cuore. Un piccolo ma tuttavia incandescente pezzetto del suo cuore, del suo sangue e del suo amore.

Si erano innamorati.

Julia e Kenshiro. Loro due che erano giovani della stessa età.

Giovani come il futuro e come le speranze. In un mondo che ormai di speranza sembrava non averne più. E che anche in quanto a futuro sembrava davvero esser giunto agli sgoccioli.

Ma non tutto era perduto. E non lo sarebbe stato, almeno fino a che...

Lui lo sapeva, qule che c'era da fare. Ed anche lei ne era conscia e consapevole.

Non restava che dichiararlo, davanti all'uomo che più di chiunque altro sembrava aver operato e fatto in modo che le cose dovessero andare e finire così. Quasi come se dalla loro unione e permanenza dovessero dipendere molte, moltissime vite.

Addirittura i destini di tutta quanta la Terra intera e messa insieme, persino.

Chissà, forse da qualche parte lui avrebbe udito quelle parole.

Avrebbe potuto sentirle. E avrebbe giudicato il tutto con un sorriso allegro e sincero, com'era solito fare.

La situazione non era buona. Ma andava bene, andava lo stesso ed ugualmente tutto bene.

Perché tutto va.

Tutto va, in un modo o nell'altro. E va come deve andare.

“Ma non preoccuparti” disse il giovane, posando di nuovo lo sguardo sulla tomba silenziosa. “Non ti devi preoccupare, padre mio. “Il mondo là fuori é diventato un gran brutto posto, e sono tempi bui. Ma per noi é giunta l'ora di andare. Tu riposa pure tranquillo, e che il peso di questa terra che ti ricopre ti sia lieve. Vedrai che ce la caveremo. Ho con me le tue ultime parole, e tutto quello che mi hai insegnato, oltre a quello che grazie a te ho potuto imparare. E come la mi hai detto e ripetuto tu stesso, più e più volte...finché terrò a mente tutto ciò che ho appreso e che mi hai fatto apprendere, posso sopravvivere a qualunque cosa. Ed in qualunque situazione.”

Guardò di nuovo la ragazza.

“Vedi, padre mio? Anche Julia é con me. Stiamo insieme, ci vogliamo bene e siamo uniti come non mai. E sono il legittimo successore della Divina Arte dell'Hokuto – Shinken. Forte delle sue tecniche, saprò cavarmela. Sapremo cavarcela, vedrai. Grazie alle mie conoscenze, saprò proteggerla e difenderla. Potrò farlo senza problemi.”

“Ce la faremo” assicurò. “Andrà tutto bene, e lei non avrà nulla da temere. Finché potremo contare l'uno sull'altro, non ci accadrà mai nulla di male. Ora noi due partiremo, padre. Andremo alla ricerca di un posto nuovo, sicuro, pulito. Una valle o un villaggio dove poter vivere tranquilli ed in pace. Da...da qualche parte sarà rimasto senz'altro qualche posto rimasto ancora incontaminato dalla paura, dall'odio e dalla violenza imperanti. Deve pur esserci, da qualche parte.”

“Ci DEVE essere” ribadì. “Senz'altro. E noi lo troveremo. Te lo prometto.”

Si alzò. E le tese la mano.

“Coraggio” le disse. “E' ora di andare. Vieni?”

“Sì” gli disse lei, senza la benché minima esitazione. “Sì, Ken.”

Si rialzò a sua volta, e si tennero per mano mentre si allontavano lentamente, con calma.

Poco più avanti vi era una moto con tanto di sidecar per passeggero.

Nuova fiammante, appena fresca di revisione e col serbatoio bello pieno.

Li attendeva un lungo viaggio, dopotutto.

Molto lungo. E senza un'apparente meta precisa.

Non avevano certezze. Se non ciò che provavano vicendevolmente. E non avrebbero potuto contare su nient'altro che la loro vicinanza e reciproca compagnia.

Se lo sarebbero fatto bastare. E andar bene.

Non fecero a tempo a fare che pochi passi, che tutto quel loro idillio si ruppe. Si spezzò bruscamente proprio come ciò che, da lì a poco e nel giro di un paio di istanti netti, andò in mille bricioli.

Il ragazzo sentì l'aria davanti a loro fischiare: qualcosa la stava fendendo in due.

Lasciò la mano della propria ragazza e le mise la sua davanti. Come a volerne bloccare il procedere e l'avanzare, oltre che a proteggerla.

“A...attenta!!” Le disse.

Un attimo dopo una grossa scure bipenne, rotenado vorticosamente su sé stessa, si abbatté di piena potenza sul cruscottino del loro mezzo mandando il volante letteralmente in frantumi. Assieme al contagiri ed al techimetro.

Pezzi di plastica e vetrini volarono tutt'intorno. Nel mucchio spiccavano due pezzetti rosso fuoco che una volta e fino a poco fa dovevano essere una coppia di lancette pronte a misurare rispettivamente il rendimento del motore e la velocità raggiunta, ed il tutto era degnamente accompagnato da un rumore di cocci e di finestre infrante che il violento impatto aveva generato praticamente all'unisono.

Kenshiro guardò oltre, in cerca del reponsabile. E notò un piccolo gruppetto in avvicinamento.

Un manipolo di teppisti, armati di asce e mazze ferrate, che li osservava esibendosi in ghigni sadici e crudeli quanto estremamente compiaciuti per l'infame opera appena compiuta, ahce se non si sapeva ancora con esattezza da chi.

Ridacchiavano senza ritegno, additandoli. Ed un paio di loro, a quanto pareva particolarmente sfrontati, si azzardarono pure a lanciare un paio di occhiate vogliose e lascive alla sua destra, umettandosi le labbra con la lingua.

Non gli risultava affatto difficile immaginare per poi arrivare ad indovinare a chi é che venissero rivolte. Più difficile era riuscire a dominare il senso di disgusto e di collera che lo stavano attanagliando spietatamente, come in una morsa di ferro.

“Stà...stà indietro, Julia” le ordinò.

“No, Ken!!” Gridò lei. “Sono...sono criminali! Devono essere degli assassini! Sono...”

“Sono solo un branco di nullità armate di ferrivecchi” fu la secca risposta da parte del ragazzo, mentre pigiava contro alle nocche col palmo della mano, facendole scrocchiare. “Nient'altro.”

Stava valutando il da farsi. Per uno come lui era un gioco da ragazzi, sbarazzarsi anche da solo di tutta quella ignobile feccia.

Ma c'era un problema. E cioé che non era affatto da solo, almeno in quel momento.

C'era Julia. E tenersela accanto poteva costituire un problema. Tra quei balordi, nel bel mezzo della battaglia, sarebbe potuto anzi sarebbe senz'altro volato qualche colpo accidentale, e lei ci sarebbe finita in mezzo. E di mezzo.

Lui poteva facilmente schivare ed evitare tutti quanti gli attacchi, e senza la benché minima difficoltà. Ma lei no. No di certo.

Mentre lui era intento a combattere ci sarebbe potuto essere il rischio, il grossissimo rischio che Julia potesse intercettare senza volerlo qualche fendente tirato a casaccio e magari con la pura forza della disperazione.

Avrebbe potuto raggiungerla una coltellata. Oppure un tiro di spada o di accetta.

Avrebbero potuto ferirla, quei manigoldi. Avrebbero potuto addirittura ucciderla.

Dopotutto, una come lei avrebbero potuto smerciarla e metterla sul mercato ad un buon prezzo anche se menomata o sfigurata. Probabilmente a quelli non importava nemmeno di sfregiarla o segnarla irrimediabilmente nell'aspetto.

Oppure avrebbero potuto sottrargliela da sotto agli occhi. Approfittando del fatto che qualcuno tra i loro compari si fosse sacrificato per intrattenerlo fino alla sua morte. Per tenerlo impegnato quel tanto che bastava per permettere ai superstiti di finire l'opera e compiere così il misfatto.

Certo, avrebbe potuto sempre mettersi sulle loro tracce, e così salvarla. Ma dovevano avere quasi sicuramente dei mezzi di locomozione, qui intorno. Mentre loro due, adesso come adesso...erano appiedati.

Evidentemente la distruzione della loro moto non doveva solo servire ad impedirgli di poter scappare ed a tagliare loro qualsiasi via di fuga, ma anche a scongiurare qualunque velleità di inseguimento, nel caso le cose fossero andate a buon fine.

Era fin troppo chiaro che quei ceffi si trovavano qui per lei, senza dubbio.

Dovevano averla adocchiata già da un po', e dovevano averla trovata appetibile. E vendibile.

Li stavano quasi sicuramente curando e sorvegliando già da tempo, come gli sciacalli alle prese con le spoglie ed i resti di una carogna ancora bella calda e fumante. E dovevano aver convenuto che il momento buono per loro era giunto.

Poveri illusi. Gliel'avrebbe fatta vedere lui, quanto si sbagliavano. E direttamente sulla loro pelle puzzolente, prima di farli a pezzi. Tutti quanti a pezzi.

Non c'era da scherzare. I razziatori di donne erano già in opera ed in azione da un pezzo. Da un bel pezzo, sin dai primi secondi successivi a quelli in cui l'intero mondo era sprofondato nel caos, subito dopo le deflagrazioni nucleari. E le belle e graziose ragazze come Julia gli facevano oltremodo gola.

Sembra incredibile quanto pazzesco a dirsi. Quanto imbarazzante, persino. Perché se così stavano le cose, l'umanità intera non é che vi facesse tutta questa gran bella figura.

Ma pareva proprio che fosse vero. Non si poteva proprio fare a meno di pensare che certa gente non aspettasse che quello.

Che ci sperasse, persino. Per scatenarsi e comportarsi come le belve e le bestie feroci appena uscite dal gabbio e fresche fresche di fuga dal giardino zoologico.

Una volta che avessero avuto Julia in mano loro, avrebbero potuto mettere una bella distanza e finire praticamente ovunque, e chissà dove.

Ci sarebbero volute settimane, prima di riacciuffarli. Forse addirittura mesi. E nel frattempo quei porci avrebbero potuto metterle le loro luride manacce addosso e far tutti i loro comodi, prima di cederla ad altri dietro un congruo prezzo.

Lo stupro era la prima cosa, dopo un sequestro. Era fondamentale per stabilire le regole del gioco, e per farle abituare a quelle che d'ora in poi sarebbe stata la loro vita. La loro nuova vita, per tutto il tempo che sarebbe durata e che sarebbe rimasto più o meno a quelle povere fanciulle per viverla.

Sempre ammesso e non concesso che si potesse chiamare vivere, quella roba.

Violentarle per piegarle. E poi spezzarle. Per far capire loro ed inculcargli nella testa che non potevano impedire assolutamente niente di ciò che stavano subendo. Perché i loro carnefici ed aguzzini erano più forti, e quindi liberissimi di fargli tutto ciò che gli pareva e piaceva, e che gli aggradava. Ogni volta che volevano.

E questo, tutto questo...lui non poteva permetterlo. Non poteva accettarlo.

Era chiamato e preposto a difenderla, e da lei e dal suo amore dipendeva tutta quanta la sua forza.

Julia era la sua metà. Era la sua vita. Ed in quanto tale...avrebbe dato e sacrificato più che volentieri il suo sangue e la sua carne, pur di riuscire a preservarla e a difenderla.

Julia era il suo mondo. L'unica bellezza di una Terra ormai perduta e cascata in rovina.

Julia per lui era tutto. Ma adesso come adesso, nelle sue vicinanze non costituiva che una palla al piede.

Doveva mettere almeno un poco di distanza, tra di lei e quelli. Altrimenti, non avrebbe potuto combattere al massimo e sprigionare così la piena potenza della sua arte.

Il fine della Divina Arte dell'Hokuto Shinken é la morte, non la vita. Pertanto, nel bel mezzo e nel vivo della lotta e dello scontro può dispiegare il suo potenziale distruttivo al gran completo sono se vi sono intorno nemici da eliminare e da uccidere. Non certo vittime o innocenti da salvare.

Altrimenti, rischiano di andarci e finirci coinvolti pure loro.

Tanto valeva farsi avanti per primo.

“Che...che cosa volete da noi?” Domandò impaurita Julia, alle sue spalle.

Povera anima candida. Ingenua quanto stupenda, certe volte.

Che cosa volessero era fin troppo chiaro, e sin dal principio. Ma certe persone sprovvedute e di buon cuore non possono fare a meno di formulare certe domande. Persino di fronte all'ovvio.

Forse sperano di trovare sempre un barlume, un luccichio di bontà anche sul fondo delle anime più nere, che gli possa fare da appiglio a cui aggrapparsi.

Non rinunciano mai. Non vogliono rinunciare a pensare che possa sempre finire tutto bene, e che tutto si possa sempre risolvere per il meglio. E senza alcuna spargimento di sangue.

La giustizia dovrebbe essere l'unica, vera forza. Ma talvolta soltanto la forza può essere l'unica, vera giustizia. E solo con essa si può imporre la pace, a prezzo di qualche manipolo di caduti. Che forse pure se lo meritavano, di morire.

Kenshiro, invece, decise di non perdere ulteriore tempo.

“Ignoro cosa vogliate da noi”, disse a quei buzzurri, esibendosi in un'altra sonora scrocchiata di nocche. “Ma qualunque sia il motivo per cui avete deciso di infastidirci, vi chiedo di andarvene. Subito.”

I tizi non si mossero. E nemmeno fecero sparire quei ghigni strafottenti che adornavano i loro musi feroci e belluini.

“Non mi avete sentito, forse?” Intimò loro il giovane. “Non osate fare un solo passo ulteriore. O altrimenti...non garantisco più per le vostre vite. Sono stato abbastanza chiaro, adesso?”

Il branco ridacchiò. Poi, cominciò a spostarsi. Ma non nel modo che si sarebbe aspettato chi in quel momento si era frapposto tra di essi e la loro preda designata.

Iniziarono a fare largo e a fare spazio, ma non dalle fila iniziali quanto dalle ultime. Dalle retrovie.

Ken vide i teppisti più defilati e sullo sfondo spostarsi di lato, come se alla spalle della guarnigione fosse improvvisamente arrivato qualcosa di sinistro e di orribile. Di spaventoso.

Non si erano spostati per lui, questo era certo.

In genere era il tipo di reazione che quelli come lui assumevano quando si accorgevano di colpo dell'inaspettata comparsa di un qualche genere di spirito combattivo, e...

No, aspetta. ERA quello, dannazione.

Si trattava proprio di quello, accidenti.

C'era un'aura. C'era un'aura, laggiù. Laggiù in fondo. E si stava sprigionando con una violenza tale che persino la gente non adeguatamente addestrata, o che la natura non aveva dotato di sufficiente sensibilità, non poteva non accorgersene.

Se n'era reso conto persino lui che stava lontano. E nemmeno tutta quella gran canaglia, nell'oscurità e nel buio garantiti dalla loro rozzezza ed ignoranza, potevano rimanerne completamente indifferenti come se nulla fosse. Anche se con tutta probabilità non avevano sentito che uno spostamento d'aria, e niente più.

Si erano infatti tolti di mezzo, come se una folata di vento gli fosse passata attraverso. Anche se più che un soffio doveva trattarsi come minimo di un tornado, a giudicare dalle caratteristiche.

Uno del rango di Kenshiro, e proprio in virtù degli allenamenti che aveva fatto e a cui lo avevano sottoposto fin da piccolo, era perfettamente in grado di giudicare e di valutare che tipo di persona fosse. E lo attraversò un brivido.

Quello spirito combattivo era calmo, limpido e fermo. Ma era lo stesso tipo di quiete che si può riscontrare in una bufera o in una tempesta giusto quell'attimo prima che si scatenino abbattendo e travolgendo tutto. Ogni cosa.

Chiunque fosse e di chiunque si trattasse...una cosa era certa. Colui che la emanava aveva intenzioni omicide. E lo animava un'insopprimibile sete di sangue.

Il SUO sangue.

Il manipolo di predoni si era disposto su due linee, ed ora qualcuno stava marciando ed avanzando ta esse.

Era proprio come pensava. Stavano agevolando il transito ai nuovi arrivati. Qualcuno aveva deciso di unirsi alla festa.

Qualcuno di non gradito. Per niente.

Ken li osservò. Erano quattro ulteriori sgherri, ma a differenza degli altri le loro uniformi erano pressoché identiche, il che lasciava intuire che appartenevano allo stesso e medesimo corpo d'armata.

Dovevano far parte di milizie e guarnigioni regolari. Tutto il contrario dei cani sciolti che avevano fatto la comparsa per primi sulla scena.

Furono i copricapi a lasciarlo colpito, più di ogni altra cosa. In particolar modo le coppie di ali piumate poste sulle loro sommità, che non la sciavano spazio ad alcun dubbio di sorta.

Conosceva quegli elmi e quei caschi. Quelli erano, dovevano essere uomini di...

L'istante successivo i suoi pensieri ebbero pronta conferma. Così come i suoi e più nefasti e peggiori timori.

L'ebbero nel momento in cui una quinta figura emerse di prepotenza dallo sparuto ma tuttavia compatto gruppetto.

Disse sottovoce quel che non aveva osato pensare, col volto che gli sbiancò mentre assumeva un'espressione sconcertata.

“...Shin?!” Fece, incredulo.

Era lui. Era davvero lui. La sua folta chioma color del sole era inconfondibile.

Il Maestro e più recente detentore del NANTO KOSHU – KEN.

IL PUGNO DELL'AQUILA SOLITARIA. Uno dei Sei Stili Maggiori che governavano le Centootto scuole della Sacra Scuola di Nanto, il Pugno Tagliente della Croce del Sud.

Ma che ci facevano, qui?

Cosa ci faceva qui, lui?

Che ci era venuto a fare?

Il biondo superò il quartetto composto dai suoi stessi uomini.

“Uh, uh, uh...che magnifica epoca, che abbiamo alle porte” disse, ridacchiando soddisfatto. “Già...é proprio una magnifica epoca, quella che é appena iniziata e che si profila all'orizzonte. L'epoca giusta e degna per quelli come noi. Per quelli come ME. L'epoca della violenza, dove ognuno farà ciò che più gli pare e piace, senza alcuna conseguenza. L'epoca dove chi può, potrà prendere tutto ciò che vuole. Ed infatti noi, io...prenderemo tutto. Ogni cosa! Non vi é più nessun limite...nessun limite, capito?!”

Oltrepassò deciso Kenshiro senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.

Come se nemmeno esistesse. Come se fosse passato di fianco ad un cumulo di spazzatura, o poco ci mancava.

Non aveva avuto il benché minimo riguardo, e nemmeno tenuto da conto l'etichetta.

Di norma, quando un maestro fa visita ad un altro, per cortesia dovrebbe dire da subito il motivo che lo ha spinto fin lì. Fosse anche per affrontarlo in un duello all'ultimo sangue. E poi rimanersene in silenzio, ad attendere la risposta del diretto interessato.

Un bell'inizio, non c'era proprio di che dire.

Se davvero aveva l'intenzione di vivere secondo gli orridi precetti che aveva appena enunciato a tutto quanto l'uditorio lì presente, si era già messo senz'altro sulla buona strada. Ed era già partito col piede giusto.

Sempre ammesso che termini e concetti come buono e giusto possano venire utilizzati a supporto di una condotta tanto abietta.

In realtà, il suo obiettivo doveva essere un altro. E poco dopo, diede piena conferma di quel recondito sospetto.

Punto verso la ragazza.

“Julia” le disse, col tono fermo e perentorio di chi non ammette né repliche né obiezioni.

Tanto meno discussioni, visto che non dev'essere abituato a sentirsi rispondere di no.

“Io ti ho sempre amata” le rivelò. “Ed ora ti porterò via da qui. Ed ora tu verrai a vivere con me, per sempre.”

Il viso di lei assunse un'espressione di stupore ed incredulità miste ad un velato ma evidente disgusto.

La sola idea doveva farle venire il voltastomaco.

“C- cosa...cosa stai dicendo?!” gli chiese. “Sei...sei impazzito, per caso? Sei ammattito di colpo? E'...é uno scherzo, vero? I – io...io non ho nessuna intenzione di seguirti! Proprio nessuna intenzione!!”

Lui non l'ascoltò nemmeno.

La prese per un braccio, e la tirò verso di sé insieme ad esso.

“Siamo entrambi appartenenti a Nanto, e lo sai bene” le spiegò. “E io ti ho sempre amata e desiderata. Ti ho voluta sin da piccolo. Siamo entrambi di alto lignaggio, ed apparteniamo a due delle famiglie e dinastie più importanti e rappresentative, tra quelle destinate a custodire e tramandare il nostro Sacro Pugno. Hokuto non é in grado di difenderti, ora. E quindi, é più giusto che tu rimanga e resti con la tua gente. Con la tua stirpe. Nanto deve rimanere con Nanto, come é giusto che sia. E' così che deve essere, se nessun esponente della Divina Arte si rivela all'altezza. E' più corretto che due eredi del ramo principale rimangano insieme, per aiutarsi e sostenersi a vicenda. Due come me, e come te. Solo così si creerà e si manterrà nuovamente l'equilibrio.”

“Tu sei pazzo, Shin!!” Urlò Julia. “Ti ho detto che non ho nessuna intenzione di seguirti! Io...io amo Ken! Amo lui, hai capito? E preferirei morire, piuttosto che venire con te!!”

“Mi hai sentito?!” Gli ribadì. “Preferisco mille e mille volte morire! Meglio farmi uccidere qui e ora, piuttosto che venirti dietro come una schiava per andare a finire chissà dove!!”

Shin sorrise. Evidentemente doveva aver preso tutto quel discorso come un autentico complimento, o qualcosa del genere.

Era talmente tutto preso dalla sua visione e da quanto aveva in testa da non accorgersi nemmeno che la fanciulla non lo stava elogiando, bensì insultando.

Gli aveva già dato per ben due volte del matto da legare. Eppure, non stava battendo assolutamente ciglio.

“Mh. Bene” le fece compiaciuto. “Ottimo. Davvero ottimo. Mi piace, questo tuo carattere così risoluto. Mi piace davvero. E molto, anche. Così potrò avere qualcosa di bello e di forte allo stesso tempo. Qualcosa da adorare con tutto il mio amore e da piegare al mio volere e alla mia volontà con ogni mezzo a disposizione.”

“Lo dicevo, io!!” annunciò, in preda ad un euforica esaltazione. “Lo dicevo che eri la donna degna di un Re. La donna degna di uno come me! La donna giusta per stare al mio fianco! L'ho sempre saputo. Lo sapevo che eri perfetta! Vedrai che riuscirò a domarti, mia cara. E sarà un vero piacere, farlo! Non vedo l'or...”

Qualcosa lo aveva interrotto. O meglio, qualcuno.

Una mano. Una mano si era poggiata sulla sua spalla.

La mano di Kenshiro.

“Shin...” gli disse. “Allontanati da lei.”

“Ti chiedo di allontanarti da lei” gli ripeté. “Per favore.”

Per tutta risposta Shin fece partire il braccio all'indietro nel momento stesso in cui girava lo sguardo per incrociare i suoi occhi con quelli di lui.

Era uno sguardo a dir poco furibondo. Carico e strabordante di odio, di risentimento e di invidia.

Era lo sguardo di un autentico pazzo furioso.

Menò un fendente. E l'attimo dopo sulla guancia destra di Kenshiro si aprì un taglio lievemente obliquo, appena sopra allo zigomo.

“Acc...”

“Ken!!” Gridò Julia. “Attento!!”

Si era spostato all'indietro non appena gli era riuscito di scorgere il movimento. Appena in tempo.

In realtà l'aveva evitato, e giusto di un soffio.

Se l'avesse preso in pieno e l'attacco fosse andato a segno, nell'istante successivo circa metà della sua faccia gli si sarebbe aperta in due. Come minimo.

“Tu, allontanati!!” Lo minacciò il biondo. “E non osare toccarmi con quelle tue luride mani, capito? Non azzardarti mai più a farlo! E quando pronunci il mio nome, vedi di farlo col dovuto rispetto! Sono stato abbastanza chiaro?!”

Kenshiro appariva confuso, frastornato.

Evidentemente non si aspettava che le cose prendessero una così gran brutta piega. Non sin da subito, almeno.

Gli era bastato percepire la sua energia spirituale per comprendere che era venuto fin lì con le peggiori intenzioni. Ma tutto avrebbe potuto pensare, tranne che il maestro di Nanto decidesse di passare alle vie di fatto. E sin dall'inizio, per giunta.

La faccenda stava rapidamente degenerando e prendendo una gran brutta, bruttissima piega. E la situazione era già bell'e che sul punto di non ritorno. In procinto di precipitare.

Pensava che il fatto di essere il nuovo successore della Divina Arte lo mettesse automaticamente in un posizione di sicurtà, soprattutto nei confronti degli esponenti di altre scuole e discipline.

Ma adesso, solo adesso...aveva capito di aver sbagliato, decisamente. E di aver commesso un madornale quanto grossolano errore di valutazione.

Non poteva assolutamente concedersene altri. C'era un'altra vita in gioco lì, oltre che la sua.

Ciononostante, riteneva ancora di poter risolvere tutto con il dialogo e la mediazione.

Si mise comunque in guarda e lentamente, passo dopo passo e con circospezione, si mise tra Shin e Julia.

“C – cosa...cosa vuoi fare?” Gli chiese. “Che cosa ti sei messo in testa di voler fare, Shin?”

“Lo sai bene, quel che voglio fare” Replicò l'altro. “Quindi levati di torno. In quanto a quel che ti farò...lo vedrai da te, se non segui il mio consiglio e non ti togli di mezzo!!”

Sferrò e fece partire un'altra sciabolata. Ed una nuova striscia scarlatta comparve sul volto di Kenshiro. Una nuova ferita che questa volta andava dalla mandibola fino alla tempia, in verticale, e che prese da subito a sanguinare.

“Vuoi impedirmi di prendere la donna che amo e di portarla via con me, forse?” Lo incalzò Shin. “E allora prova a fermarmi, razza di vigliacco! Fatti avanti, forza! Cerca di bloccarmi in qualche modo, invece di stare lì solo a prenderle!!”

“Tu sei pazzo!” Disse Kenshiro. “Julia é la mia donna, capito? Lei ha scelto me! Non te! Non ti vuole, mi hai sentito? Non vuole te!!”

“Non ho orecchie per ascoltare le parole di un codardo” rispose Shin. “Perché quello sei. Null'altro.”

“Tsk. Ma guardati” gli fece, sprezzante. “Non sei neanche in grado di difenderla!! E' proprio come pensavo. Avevo ben ragione, a volertela sottrarre con la forza. E lo farò, se necessario. Qualunque cosa, pur di proteggerla!!”

“Sì. Proteggerla” ripeté. “Una cosa che tu non sei assolutamente in grado di fare. E più che evidente.”

“C – combattere, dici? E' perché mai io e te dovremmo combattere, me lo spieghi? Io...io non ho alcuna intenzione di volerti affrontare!!”

Indicò la tomba poco distante. Quella a cui aveva appena terminato di rivolgere il saluto prima di partire con la sua amata verso una terra lontana.

Qulla contenente i resti e le spoglie mortali del suo venerato padre e maestro.

“Ricordi le sue parole? Hokuto e Nanto rappresentano due facce della medesima medaglia. Il lato chiaro e quello oscuro, lo Yin e lo Yang. Sono l'incarnazione stessa delle due energie perennemente contrapposte, grazie alle quali ogni cosa può esistere! E proprio per questo motivo non possono entrare in diretto conflitto l'una con l'altra. Mai! Se ciò avvenisse, scoppierebbe il caos nell'intero mondo! Devono piuttosto aiutarsi e sostenersi vicendevolmente, non farsi la guerra!!”

“La tua scuola e la mia devono coesistere!!” Insistette il giovane. “Devono convivere con mutualità ed in modo pacifico, non combattersi! Così finiremo soltanto per distruggerci a vicenda, e il male trionferà su tutta quanta la Terra! Dobbiamo piuttosto lavorare insieme ed aiutarci, per poter passare le nostre conoscenze alle generazioni future. Tutto questo affinché l'odio e i conflitti possano estinguersi e cessare definitivamente di tormentare ed affliggere l'umanità, un giorno!!”

Shin abbassò lo sguardo, chiudendo gli occhi.

Per un attimo, un solo quanto fugace attimo, dovette sembrare di aver dato l'impressione di recepire le parole di quell'accorato discorso, e di aver accolto in messaggio insito in esse.

Una vana illusione destinata presto a cadere, come confermò il sorriso che gli affiorò a fior di labbra e di bocca, unito ad una risata maligna quanto sommessa.

“Uh uh uh...”

Si allontanò lentamente dai due ragazzi, procedendo verso la tomba del maestro Ryuken.

Rise ancora.

“Uh uh uh...davvero delle gran belle parole, le tue. Ripetute a pappagallo direttamente dal tuo tutore e precettore, da bravo studente diligente e modello. Il tipico atteggiamento di un povero e stolto burattino che ragiona per idee preconcette e precostituite, e non con la sua testa. Che rimastica e rivomita parole già masticate, predigerite e sputate da altri ed altri ancora prima di lui. Tutte marionette, esattamente come lo sei tu! Una sciocca marionetta che non sa uscire dagli schemi, e abbandonare strutture vecchie di millenni ed ormai superate!!”

Aveva raggiunto la tomba, intanto.

“Curioso...” osservò. “Davvero curioso. A sentire te ed il tuo vecchio istruttore mi sembra di risentire le parole di Fugen, il mio vecchio maestro. Colui che mi ha iniziato al Pugno dell'Aquila Solitaria. Non a caso lui e il tuo maestro pare che fossero grandi amici. Non faceva altro che ripetere e ripetermi le stesse cose, fino alla nausea. Anche fino all'attimo prima in cui mi sono deciso a sistemarlo una volta per tutte, perché ero stufo! Tu pensa che é andato avanti a ripeterlo anche dopo che gli ho reciso i tendini delle caviglie, per poi farlo precipitare dentro ad un burrone!!”

“C – che...che cosa?!” Fecero all'unisono sia Kenshiro che Julia, totalmente inorriditi.

“Sì” confermò loro Shin, freddamente. “Solo allora...solo allora si è deciso a rimanersene zitto.”

“Finalmente” aggiunse, quasi con una nota di liberazione. “Non ne poteva davvero più di tutte quante le sue ciancie e ciarle!!”

La sua gamba sinistra si alzò di scatto, piegandosi ad angolo perfettamente retto.

Ed un attimo dopo, la lapide del vecchio maestro finì in frantumi, gettando mille pezzi e frammenti tutt'intorno e per ogni dove.

L'aveva distrutta con una ginocchiata ben assestata.

“Ma io non sono così!!” Dichiarò rabbiosamente il biondo, rivolgendosi agli spettatori di quello scempio appena compiuto senza il benché minimo rimorso.

“Io non mi lascerò manovrare!!” Urlò. “Se a te sta bene così...padronissimo! Se a voi sta bene così, tanto peggio per tutti e due! A me non importa! Io non mi farò comandare a bacchetta, invece. Le chiacchiere e le scemenze di quei vecchi idioti e di tutti gli altri vecchi idioti che li hanno preceduti e che hanno seguito nell'oltretomba non mi terranno al guinzaglio! Non mi farò tenere alla catena da queste stronzate assurde e senza alcun senso!!”

Si voltò verso Kenshiro.

“Ho dimenticato le loro parole tanto tempo fa!!” Gli rivelò. “Anzi...non ho mai creduto alle loro parole, nemmeno ad una di esse! E adesso che quei due vecchi balordi sono morti, non ho più nulla da temere e di cui aver paura! Anche se in realtà non ho mai avuto alcun timore, di loro. Ho preso semplicemente ciò che mi serviva, da loro. Tutto quello di cui avevo bisogno, per diventare il più forte e poter così dominare su tutti quanti! E adesso che loro non ci sono più, e che non fanno più parte di questo mondo...non c'é più nulla che mi trattenga, adesso! Non vi é più alcun motivo, per cui io mi debba trattenere!!”

“T – tu...tu non puoi parlare sul serio!!” Gli disse Kenshiro. “Non puoi voler questo! Non puoi volerlo fare per davvero!!”

“Oh sì, invece!!” Lo contraddisse Shin. “E' proprio così. Ed é proprio quel che farò. E tu cosa farai, eh? Se non ti sta bene quel che ho intenzione di fare...allora prova a fermarmi, custode dell'arte assassina! Voglio che provi a fermarmi, mi hai sentito? Forza, ASSASSINO!!”

“Coraggio!!” lo incitò. “Fatti sotto! Combatti!!”

Era tutto inutile, ormai.

Non sentiva e non ascoltava più.

Shin, in quel momento, non era altro che un concentrato puro di rabbia, odio e di rancore più assoluti.

E per quanto incredibile risultasse sia a dirsi che a pensarlo...persino di gelosia.

Giusto un poco. Ma trattandosi di quel sentimento, anche quello sparuti pizzico bastava a renderla pericolosa. Poiché da sempre essa rende un uomo pronto e disposto a tutto, pur di soddisfarla.

Anche a compiere le peggiori cose. Cose di cui un giorno si potrebbe pentire.

Shin spiccò un balzo, con gambe e braccia leggermente raccolte, in direzione di Kenshiro.

Era proprio come il rapace che rappresentava la sua scuola e tecnica.

In quel momento era come un uccello predatore sul punto di planare e ghermire la sua vittima al termine di un volo in picchiata.

“Julia é MIA!!” Gridò, mentre si trovava a mezz'aria. “E tu non sei alla mia altezza. E ora...ora te lo dimostrerò!!”

“Tu sei pazzo!!” Gli gridò contro e di rimando Kenshiro.

Quel folle stava attaccando. E lui non poteva sottrarsi alla battaglia.

Non poteva più.

Era costretto ad intervenire. Per difendersi. E per difenderla.

“Shin!!” Urlò. “Io...io ti fermerò! Ti fermerò ad ogni costo!!”

Spiccò un salto a sua volta, nel tentativo disperato di intercettarlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Finalmente, aggiungo.

Certo che ne é passato di tempo...ma da come potete vedere e da quel che potete leggere, il sottoscritto é ancora vivo e vegeto!

E non ha smesso di scrivere un solo istante, in tutti questi mesi.

Purtroppo, scrivere e basta sarebbe il mio sogno. Ma ho anche una vita con cui dover fare i conti, e che reclama sempre più spazio.

Come é giusto, del resto.

Dallo scorso Settembre mia figlia ha iniziato le scuole medie, e gli impegni si sono triplicati.

Specie coi compiti: gliene danno una marea. E io, da buon papà, non posso fare a meno di darle una mano. Quando occorre, s’intende.

Italiano, storia e materie umanistiche ok, quelle sono sempre state il mio forte. Ma mi é toccato persino imparare una buona volta la matematica, tra l’altro con risultati sorprendenti.

E dire che ero una frana, ai tempi...tre fisso, proprio.

Grazie al cielo oggi esistono tutorial di ogni tipo, pure per fare le equazioni.

Certe volte li invidio, i ragazzi di oggi. Avessi avuto io tutto questo ben di Dio, allora...mi sarei arrangiato da solo.

Ma una volta potevi solo contare sui professori, e basta. Non c’era internet.

O meglio c’era, ma era agli albori. E non certo alla portata di tutti.

Ma soprattutto non c’era la mole di informazioni che circolava oggigiorno.

E la cosa peggiore di una materia già complicata di per sé...era quando a spiegartela c’era un insegnante che non era neppure buono di spiegare!!

Eh, sì. Perché sapersela cavare in una materia non significa essere automaticamente in grado di spiegarla, purtroppo. Ma guai a dire i faccia ai prof che erano un branco di incapaci: li pungevi sul vivo, e reagivano come gli aspidi.

Dicono tanto che i ragazzi non hanno voglia di studiare.

Lo dicevano anche di noi, e io fornisco sempre la stessa risposta.

Tutte balle. E’ la scuola che fa schifo, ecco la verità.

Ma da questo schifo tocca riuscire a cavarci fuori qualcosa di buono. Perché, nel bene o nel male, sui banchi ti stai costruendo il tuo futuro.

E’ importante.

Tornando a prima...mia figlia con la scuola,e una nuova mansione sul lavoro decisamente meno sfiancante ma con moooolte più responsabilità rispetto a prima. E che, dulcis in fundo, dal punto di vista prettamente pratico da un annetto circa a questa parte mi ha stravolto completamente tutti gli orari.

Ero riuscito persino a tornarmene in palestra a fare un po' di boxe, accidenti. Ma ho dovuto accantonare di nuovo tutto. Un’altra volta.

Ma io non mollo, eh. A costo di andarci quando andrò in pensione...alla prima occasione io ricomincio.

E poi...anche sul fronte scrittura, qualcosa si é mosso.

Ho partecipato a un concorso con un racconto breve, é andata bene anche se alla fine purtroppo ci sono stati degli intoppi logistici ma tutto sommato é stata una bella soddisfazione.

Adesso, per quanto riguarda il mio romanzo inedito, sto aspettando una risposta da parte di un concorso letterario che si terrà i prossimi mesi.

Incrocio tutte quante le dita delle mani e dei piedi a mia disposizione...e speriamo bene.

E adesso veniamo al capitolo.

Comincia quindi il duello tra Ken e Shin, come del resto molti di voi avevano già immaginato.

Per quel che mi riguarda, da appassionato di combattimenti la trovo l’ennesima occasione per farvi la goduriosa telecronaca di quello che é uno degli scontri più iconici dell’intera saga.

Hai detto niente: di fatto é la sfida breve ma intensa e all’ultimo sangue che dà inizio a tutto quanto.

Parte tutto da qui.

Ed ora, passiamo al consueto angolo dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore ad Asrael, Devilangel476, vento di luce e innominetuo per le recensioni all’ultimo capitolo.

All’ultima amica nonché collega un sentito ringraziamento anche per quella relativa al capitolo 19.

E come sempre, un grazie anche a chiunque leggerà la mia storia. Così come a chiunque se la sentirà magari di lasciare anche un suo relativo parere in merito.

Prima di chiudere, ancora una cosa.

E’ stupendo, essere tornati.

Mi mancava questo posto stupendo. E prima di ogni altra cosa mi mancavate VOI, ragazzi.

Come l’aria.

E’ meraviglioso ritrovarsi qui.

E’ stata dura, difficoltosa e lunga. Ma ce l’ho fatta.

Anche stavolta.

Mi sento come se avessi scalato una montagna.

Un’altra impervia cima é superata. Sotto con la successiva, adesso.

Grazie ancora a tutti e alla prossima!

 

See ya!!

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

P.S:

 

Approfitto per un’ultima aggiunta al volo, anche se...di un’aggiunta simile ne avrei fatto volentieri a meno, purtroppo.

La notizia é stata resa pubblica soltanto pochi giorni addietro, ma all’inizio di questo mese ci ha lasciati il grande Akira Toriyama.

A 68 anni.

Vorrei dire tante cose, soprattutto che mi viene da pensare a un vecchio discorso che ho tirato fuori alla dipartita di un altro grande.

Parlo del povero Kentaro Miura, l’autore di Berserk.

La faccenda relativa ai meccanismi e ai ritmi di produzione infernali dell’industria editoriale giapponese, ad esempio.

Ma al momento non ho la voglia e non me la sento di riprendere certi argomenti.

Inoltre, trovo che i commiati in sostanza siano inutili e non servano a nulla. Oltre che estremamente tristi.

Ma due parole mi sento di spenderle ugualmente.

Potrei dire che senza il suo Dragonball molti dei best – seller di oggi come Fairy Tail, My Hero Academia, One – Punch Man, Naruto ma soprattutto One Piece ( e Oda é il primo a sottolinearlo, giustamente) non esisterebbero neppure.

Sono tutti figli di Goku, in qualche modo.

Oppure potrei dire che l’arrivo del manga qui in Italia ha fatto da apripista alla seconda e definitiva invasione, quella che dura ancora oggi. Ed é grazie a lui, il primo che abbiamo letto “a rovescio”, se oggi tutti i fumetti giapponesi si leggono col senso di lettura identico a quello della loro madrepatria.

Dragonball. Ma prima ancora...Dr. Slump e Arale.

Col suo mondo tozzo, coloratissimo, folle e spassoso pieno zeppo di caricature, personaggi assurdi e cacchette rosa dall’espressione buffa ha di fatto sdoganato il concetto di super deformed.

Uno stile e un tratto assolutamente unici, e riconoscibilissimi. Al punto che quando abbiamo visto Dragonball ci siamo detti subito MA E’ LO STESSO DI DR. SLUMP!!

Manco sapevamo chi fosse Toriyama, allora.

Dragonball.

Quelli che come me hanno visto (e mai più rivisto) la primissima versione trasmessa su Junior TV dopo che era finito Ken, lo hanno considerato per molti anni una sorta di leggenda metropolitana.

La primissima versione senza censure e doppiata dagli studi romani dei vecchi cartoni di una volta. Dove Goku aveva la stessa voce di Tare, il fratellino della Miki di Devilman.

Quella ormai andata perduta per sempre. E che si era pure interrotta.

Non ne abbiamo avuto più alcuna notizia per tanto, tantissimo tempo.

Poi arriva il manga, finalmente. Che aspettavamo da anni, in modo da poter finalmente vedere come andava a finire.

Ma intanto arrivarono anche i primi OAV in lingua straniera (per me in spagnolo, grazie), le immagini e anche i videogiochi di Dragonball Z, dove si vedevano delle robe a dir poco PAZZESCHE.

Avevamo i due estremi, senza però un tratto di congiunzione ad unirli.

E in quella zona vuota fiorì ogni genere e sorta di voce incontrollata, da far impallidire quelle sulla celeberrima e fantozziana Italia – Inghilterra durante l’ennesima, ammorbante riproiezione de La Corazzata Potemkin.

Ecco, tutto qui. Io di lui e della sua opera più famosa ho questo ricordo.

Aggiungo anche che sarebbe bello avere un Drago Shenron con le sue sette sfere in grado di riportare in vita i nostri cari che non ci sono più.

O una persona come la vecchia Sibilla, che almeno per un giorno riporta a richiesta sul pianeta Terra le persone defunte, con tanto di aureola sulla testa.

In un mondo come il nostro, dove il tempo scorre impietoso e non fa sconti a nessuno, sarebbero i doni più belli che possano esistere.

Ecco, se c’é davvero un Aldilà, me lo immagino proprio come quello ideato da Toriyama.

Questo capitolo, quello del mio ritorno dopo tanto, tantissimo tempo, lo voglio dedicare a lui.

Grazie, Maestro. Non la dimenticherò.

Grazie di tutto.

Un giorno ci rivedremo senz’altro, da qualche altra parte.

 

 

 

 

 

 

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