Strade interrotte

di Fiore di Giada
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cuore di padre ***
Capitolo 2: *** Funerale di un'anima ***
Capitolo 3: *** Segnali ***
Capitolo 4: *** Suicidio ***
Capitolo 5: *** Corsa contro il tempo (parte 1) ***
Capitolo 6: *** Corsa contro il tempo (parte 2) ***



Capitolo 1
*** Cuore di padre ***


L’oscuro oceano sospeso del cielo, libero da stelle, era illuminato dal riflesso traslucido della luna piena.

L’astro notturno, simile ad un globo madreperlaceo, velava d’argento le strade e le case di Konoha e il vento risuonava tra gli alberi del villaggio, verdi di foglie, riempiendo l’aria di deboli e sempre diversi fruscii.

Di tanto in tanto, la sagoma di barcollante di un ubriaco, come un’ombra, attraversava le strade di Konoha, perdendosi subito nell’oscurità.

Gai, seduto davanti ad una finestra della sua casa, lasciava spaziare il suo sguardo sul villaggio, il cuore greve d’amarezza. Ormai, solo frammenti di esistenza restavano tra le sue mani.

Nulla era più rimasto per lui.

Rock Lee era morto.

L’intervento, che avrebbe dovuto ridargli la vita, lo aveva condannato a morte.

Nemmeno le arti mediche della potente Tsunade Senju gli avevano permesso di riafferrare quel sogno, strappatogli dalla crudeltà di Gaara, jinchuuriki di Ichibi.

Ormai, di lui restava un corpo immoto, che, presto, sarebbe stato sepolto nella nuda terra.

Strinse il pugno e, a stento, frenò un singhiozzo. No, Gaara non era il solo colpevole della morte del suo giovane allievo.

La colpa della morte di Rock Lee ricadeva su di lui.

Gravava sulle sue spalle, come un gravoso macigno.

Ho permesso che tu morissi. E questo per compiacere un mio sogno., pensò. Il Fato aveva deciso di punire la sua protervia, servendosi di un ragazzo innocente.

Aveva creduto alla possibilità, per un bambino privo di nobili innate, di potere emergere dalla mediocrità, attraverso la tenacia, priva di scorciatoie.

E, vedendo la disperazione di Rock Lee, che, malgrado la sua indole rocciosa, era stato condannato dalla stupidità della loro comunità.

Per loro, lui era un fallito.

La sua indomita volontà, priva di doujutsu, non meritava alcun rispetto.

O, forse, malgrado i loro metodi discutibili, erano più intelligenti di lui?

Non sapeva più cosa pensare.

Sorrise, amaro. Perché indugiava in simili pensieri?

Ormai, il mondo, per lui, era un set grigio, popolato di spettri silenziosi.

Voci dure, implacabili, accusatorie rinnovavano la sua pena.

Presto, sarebbe giunto il tempo dell’espiazione.

Sono stato un incosciente… Pagherò anche per questo, state tranquilli. – mormorò, il tono stanco. Le parole di Kakashi, colme di rimprovero, dilaniavano il suo cuore e la sua mente.

Il suo amico e rivale aveva ragione.

Non avrebbe dovuto insegnare ad un ragazzino le Hachimon Tonkou.

Sull’altare del suo egocentrismo, era stato versato il sangue di un giovane dal cuore puro.

Rock Lee si era spento perché aveva seguito la strada da lui tracciata.

A causa delle sue parole, si era spinto oltre i limiti della natura.

Scosse la testa e, a passo rapido, si avviò verso la sua camera da letto. Erano trascorsi sei giorni dalla morte di Rock Lee e lui aveva sentito su di sé gli sguardi carichi di biasimo della sua gente.

Non parlavano, ma, spesso, un’occhiata era più significativa di mille, vuote parole.

E i loro occhi racchiudevano una sola parola.

Assassino.

State tranquilli. Konohagakure presto sarà purificata dalla mia presenza. Ho commesso un errore, ma saprò affrontare il mio castigo. – mormorò. Non era un vile.

Era ben cosciente del suo compito.

Aveva bisogno di tempo, ma il momento sarebbe giunto.

Non si sarebbe sottratto alla sua pena.


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Capitolo 2
*** Funerale di un'anima ***


La luce del sole penetrò da una finestra semi aperta e si posò sul pavimento.

Gai, che era disteso sul divano, le lunghe gambe coperte da un lenzuolo rosso, per alcuni istanti, si agitò, poi aprì gli occhi.

Di scatto, si alzò a sedere, poi poggiò i piedi a terra e rimase immobile, la testa fra le mani.

Che giornate penose mi aspettano... – mormorò, il tono sofferente. Era giunto il tempo dell’estremo addio al suo amato allievo.

Rock Lee, presto, sarebbe stato sepolto nel cimitero di Konohagakure.

Solo una lapide, splendente di fiori freschi, avrebbe ricordato il suo spirito ardente.

Il suo corpo, presto, sarebbe stato consumato dai vermi.

E i suoi giorni, presto, avrebbero conosciuto il peso della solitudine e della noia.

Perfino gli altri suoi due allievi erano fantasmi privi di qualsiasi personalità.

A quel pensiero, un debole e spettrale sorriso sollevò le sue labbra.

Perché mi preoccupo? La punizione presto ci sarà per me... – rifletté a voce alta. Era racchiuso un pregio in quella promessa tanto aspra, aliena da qualsiasi pietismo.

No, non doveva avere alcuna paura.

Non avrebbe conosciuto il peso di giorni sempre uguali, segnati dal rimorso e dal senso di colpa.

Presto, il suo spirito si sarebbe spento.


Un tocco deciso alla porta interruppe le sue elucubrazioni.

Gai si alzò, percorse la sala da pranzo a passo deciso e aprì l'uscio.

Scorse Asuma sulla soglia, vestito d'un lungo abito nero.

Che c'è, Asuma? – chiese Gai, stupito.

L'erede del Terzo Hokage, sentendo quella domanda, scosse tristemente la testa. Riusciva a vedere i segni dell'insonnia sul viso del suo compagno.

Tre giorni erano trascorsi dalla scomparsa di Rock Lee e Gai si era rinchiuso dietro una maschera di silenzio e fierezza.

Ad alcuni poteva sembrare una reazione positiva, degna di un guerriero, ma a lui e agli altri suoi colleghi una simile calma non piaceva.

Quell'atteggiamento era artefatto e costruito e si chiedevano cosa celasse.

Sono venuto a prenderti. Voglio farti compagnia al funerale di Rock Lee. – spiegò poi.

Gai provò a sorridere, ma ci rinunciò.

Ti ringrazio, ma ci andrò da solo. Devo stare accanto ai miei allievi. Loro saranno più distrutti di me. – obiettò il figlio di Dai Maito, il tono neutro.

Sarutobi, di scatto, entrò nella casa e poggiò la mano sul braccio dell'altro.

Insisto. Tu non stai bene. Ti darà conforto la presenza di un amico al tuo fianco. –

Gai, con un sospiro, cedette alle insistenze dell'amico. Riconosceva le buone intenzioni di Asuma e gliene era grato, ma non poteva non sentire il peso di una tale premura.

Gli sembrava assurda, ridicola e fastidiosa.

Inoltre, lui meritava tanti riguardi?

No, non merito nulla., si disse. Con la morte di Lee, lui era diventato un condannato a morte, ormai alieno all'esistenza della comunità.

Si muoveva in un mondo grigio e silenzioso e la desolazione straziava il suo cuore.

Il suo passato sembrava un vecchio film, girato da pessimi attori diretti da un regista visionario.

Va bene. Dammi un po’ di tempo per rendermi presentabile. – mormorò.

Stai tranquillo. Io aspetto qui. – lo rassicurò Asuma.

Gai, a passo rapido, quasi robotico, si avviò verso il bagno della sua abitazione.


Un po’ di tempo dopo, i due uomini si diressero verso il cimitero di Konohagakure.

Di tanto in tanto, Asuma lanciava sguardi sul compagno. Camminava a testa alta, fissando con sfida i passanti, e il lungo mantello nero, sfiorato dal vento, si sollevava, come la vela di una imbarcazione.

Il suo corpo manteneva l’andatura rigida, quasi cerimoniale, di un samurai.

Lo sconforto invase la mente di Sarutobi. No, quello non era Gai Maito.

Sembrava un’altra persona.

Un’energia a stento controllata ribolliva nel suo corpo, come metallo incandescente.

Ma quanto sarebbe durato un simile atteggiamento?




Decine di persone, vestite di nero, erano riunite attorno ad una bara lignea, immersa in una nuvola di gigli bianchi e rose gialle e rosse.

Gai si irrigidì. Aveva scelto lui quei fiori per onorare il suo allievo.

Eppure, in quel momento, dubitava della giustezza della sua scelta.

Certo, la scelta dei fiori rimembrava l’autentica indole di Rock Lee, ma gli sembravano offerte insensate.

Qualche istante dopo, Neji e Tenten si avvicinarono ai due jonin.

Maestro Gai… – singhiozzò la ragazzina.

Il ninja, cauto, allungò la mano e le sfiorò il viso in una gentile carezza.

Sono belli i fiori che lei ha scelto. Esprimono a pieno la sua natura. – intervenne Neji, atono. Rock Lee, con l’apertura delle Hachimon Tonkou, era riuscito a scalfire le sue granitiche condizioni sull’ineluttabilità del destino.

Lui l’aveva creduto incapace e fallito, eppure era riuscito in una simile prova.

Aveva appreso una tecnica pericolosa, degna di un potente shinobi.

Ma non era bastato contro la strabordante forza del jinchuuriki di Sunagakure.

E la sorte si era accanita contro di lui e l’aveva ucciso, quando aveva cercato di recuperare quel sogno.

Scrutò il viso del loro maestro e aggrottò le sopracciglia. Aveva creduto che sarebbe crollato, straziato dalla disperazione.

Invece, aveva assunto l’autocontrollo di un membro di una potente casata.

E non poteva fare a meno di ammirarlo.

Solo i lineamenti squadrati raccontavano la sua vera origine.

Ehm, Gai… – intervenne Asuma, imbarazzato.

Un debole sorriso sollevò le labbra del maestro di taijutsu.

Asuma, vai pure dal tuo team. Occupati di loro. A causa di questa vicenda, saranno sconvolti. – mormorò il maestro di taijutsu, pacato.

Il soffio del vento, per alcuni istanti, si intensificò e Gai, paziente, si avvolse il mantello attorno al corpo.

Il ninja figlio di Hiruzen Sarutobi appoggiò la mano sulla sua spalla destra.

Come desideri. Se hai bisogno di qualcosa, sai dove trovarmi. – gli disse.

Sollevò la mano in un gesto di saluto e si diresse verso la sua squadra.


Diverso tempo dopo, il silenzio avvolse l’intero cimitero.

I presenti fissarono i loro occhi sulla bara. Non riuscivano a concepire la scomparsa di un giovane tanto vitale e coraggioso.

Poco tempo prima, avevano dovuto seppellire il Sandaime Hokage, Hiruzen Sarutobi.

Ma la perdita di Rock Lee era assai più dolorosa, perché avevano dovuto dare l’estremo saluto ad una speranza ormai spenta.

Hiruzen Sarutobi era perito tragicamente, ma aveva avuto la possibilità di vivere una lunga vita e di combattere per la sua comunità.

A Rock Lee questo non era stato concesso.

Con un gesto leggero, Gai appoggiò le mani sulle spalle dei suoi due allievi e fissò lo sguardo davanti a sé. Aveva voglia di piangere, ma doveva frenare i suoi sentimenti.

Gli pareva di sentire su di sé gli sguardi della loro comunità, carichi di biasimo.

Bene, non si sarebbe lasciato abbattere dalla disperazione.

Nessuno doveva vedere la profondità della sua amarezza.

Neji e Tenten, sentendo quel tocco, sussultarono e fissarono i loro sguardi sul loro maestro.

Gai sollevò le labbra in un debole e rassicurante sorriso. Avrebbe lasciato ai suoi allievi un buon ricordo.

Non dovevano essere disonorati a causa della sua sconsideratezza.

Avrete un bel ricordo di me., pensò, sfiorando le spalle dei due ragazzi in una tenera carezza.

Kurenai e Kakashi lanciarono uno sguardo al loro compagno. Sì, ad un occhio inesperto, la fierezza di Gai appariva sincera.

Ma loro sapevano che non era così.

Avvertivano sulla pelle quella sensazione di artefatto.

Ad un tratto, ciascuno dei presenti cominciò a sfilare accanto alla bara di Rock Lee e a posarvi mazzi di fiori.

Giunto il suo turno, Gai, a passo rapido, si avviò verso il feretro, stringendo tra le mani un fascio un fascio di rose gialle appena sbocciate, scintillanti di gocce d’acqua.

Si inginocchiò e, cauto, depose i fiori al centro del feretro.

Per alcuni istanti, rimase immobile, come una statua, poi si alzò e ritornò da Neji e Tenten.


Qualche ora dopo, mucchi di terra coprirono la fossa, nella quale era stata calata la bara.

Gai fissò la buca che, a poco a poco, si riempiva, lo sguardo stralunato. Gli sembrava di essere sempre più estraneo a se stesso.

Era Rock Lee il giovane sepolto in quella tomba?

Si scosse dal suo stato di torpore. Sì, era lui.

Dormiva sotto strati di morbida terra nera.

E nulla l’avrebbe risvegliato.


Il sole del tramonto imporporò il cielo di Konohagakure, che sembrò tingersi di sangue.

Gai, per alcuni istanti, rimase immobile, accosciato davanti alla tomba di Rock Lee, la mano poggiata sul mento. Finalmente, si erano allontanati.

Poteva restare da solo, in compagnia dei suoi pensieri e dei suoi ricordi.

Ricordi che, presto, non ci saranno più., si disse. Durante il funerale, il suo pensiero si era rafforzato.

Porre termine alla sua vita sarebbe stato un atto di grande utilità per il villaggio.

Pur di compiacere il suo orgoglio, aveva distrutto la vita di un bambino innocente, che si era nutrito delle sue parole.

E questa era una colpa immeritevole di perdono.

Aveva sentito su di sé il biasimo della sua gente.

I loro sguardi vitrei chiedevano la sua punizione, pur non osando esprimere tale desiderio.

E li comprendeva.

La sua comunità non aveva bisogno di un elemento come lui.


Gai… – mormorò una voce cauta.

Lo shinobi si girò e vide, a poca distanza da lui, Kakashi, accompagnato da Asuma e Kurenai.

Perché siete qui? Pensavo aveste anche voi degli allievi... – domandò, meravigliato.

Asuma scosse la testa, scoraggiato, mentre Kurenai sgranava un poco gli occhi, stupita. Certo, la morte di Lee era stata dilaniante per lui, ma si era tramutato in uno spettro.

Sembrava consapevole, eppure, in alcuni momenti, i suoi occhi erano lontani, persi in un pensiero solo a lui noto.

Kakashi si passò una mano sulla fronte. Odiava quella finzione.

Gai non consentiva loro di avvicinarsi.

Certo, era trascorso troppo poco tempo dalla morte di Rock Lee e non poteva aspettarsi nulla, ma quella fierezza artefatta lo innervosiva sempre più.

Il suo compagno di battaglia era diventato imperscrutabile.

Si avvicinò all’amico e gli appoggiò una mano sulla spalla. Tanti, troppi errori aveva compiuto.

A causa sua, Obito si era sacrificato e Rin era morta, uccisa da lui in un’insensata lotta contro Kirigakure.

Non avrebbe permesso a Gai di impantanarsi nelle secche della depressione.

Lo avrebbe salvato.

Voglio solo dirti che… se tu avessi bisogno di qualcosa, noi saremo qui… Non esitare a chiedere. – rispose, il tono apparentemente calmo.

Sì. Non chiuderti nel dolore. Non cercare di affrontare da solo questa prova.– intervenne Kurenai.

Gai sollevò le labbra in un debole sorriso. Se non avesse avuto il cuore pesante, avrebbe riso della situazione.

Era encomiabile la premura di Asuma e Kurenai, ma ricordava bene il rimprovero di Kakashi, quando gli aveva confessato di avere insegnato le Hachimon Tonkou a Rock Lee.

E aveva avuto ragione.

Proprio Hatake si preoccupava per un individuo come lui?

No, non meritava nulla.

Ragazzi, vi ringrazio, ma non ho bisogno di nulla. Voglio tornare a casa e dormire. Apprezzo molto l’interessamento, ma ho bisogno di pace e tranquillità. – spiegò.

I tre shinobi si guardarono in faccia, incerti. Erano preoccupati per lui, ma non potevano non negare la giustezza delle sue affermazioni.

La loro presenza, malgrado le buone intenzioni, poteva costituire un ulteriore peso.

La solitudine, anche se all’interno del villaggio, forse, gli avrebbe dato requie.

Magari, avrebbe pianto da solo le sue lacrime.

Come desideri. Ma le nostre parole sono sempre valide. Se hai bisogno, non esitare a chiamarci.– asserì Asuma.

Con brevi cenni della testa, gli altri annuirono.

Ne prendo atto. – rispose Gai.

Poi,a passo lento, stanco, pesante, si allontanò dal cimitero di Konohagakure.

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Capitolo 3
*** Segnali ***


A passo rapido, Gai correva verso il villaggio, accompagnato dai suoi due allievi.

Il suo mantello, ad ogni passo, si sollevava, sospinto dal vento.

I due ragazzi, di tanto in tanto, lanciavano sguardi preoccupati al loro maestro. Erano trascorse sei settimane dalla morte di Rock Lee e la situazione non mutava.

Gai Maito si era tramutato in una maschera impenetrabile di stoicismo e fierezza.

E loro temevano questa sua mutazione.

Era lugubre e inquietante.

O forse non erano abituati ad un tale aspetto della personalità del loro insegnante?

Doveva proprio finire così?, pensò Neji. Molto spesso, aveva giudicato Gai Maito un completo idiota, eppure gli dispiaceva vedere un tale stoicismo in un simile, luttuoso contesto.

Avrebbe preferito l’uomo esuberante di pochi mesi prima a quell’insondabile statua, che non permetteva a nessuno di loro di avvicinarsi a lui.

Ragazzi, io andrò a fare rapporto all’Hokage. Voi andate al campo di addestramento. Dovete rafforzare ancora la vostra preparazione. – mormorò, secco.

Sì, maestro. – risposero i due, all’unisono.

Fermatosi davanti all’ingresso occidentale del villaggio, Gai mostrò i suoi documenti ai ninja di guardia.

Questi, compresa la situazione, aprirono le porte.

Giunti nel villaggio, i due adolescenti e l’uomo si separarono.

Gai, a passo rapido, si avviò verso il palazzo dell’Hokage, mentre Neji e Tenten proseguirono verso il campo di addestramento.

Decine di persone, di tanto in tanto, interrompevano le loro attività e gli lanciavano lunghi sguardi.

Gai, in un gesto orgoglioso, raddrizzò la schiena e ricambiò le loro occhiate. No, non si sarebbe chinato davanti all’amarezza della punizione.

Ormai, gli rimaneva solo la dignità.

Devo prendermi la responsabilità delle mie azioni., si disse, lugubre. Aveva stretto un patto con Rock Lee ed era suo dovere mantenerlo.

Si era impegnato a porre termine alla sua esistenza.

Inoltre, aveva un dovere verso Konohagakure.

La sua comunità non meritava un uomo come lui, che aveva sacrificato un giovane innocente sull’altare del suo egocentrismo, e doveva proteggere Neji e Tenten da lui.

No, non meritava nessuna gioia.

Si irrigidì e le lacrime tremarono sulle sue ciglia nere. Suo padre, da tutti dileggiato perché, ad una età relativamente avanzata, era rimasto fermo al rango di genin, era un combattente meritevole.

Il suo cuore palpitava di generosità e dedizione verso gli altri.

No, non avrebbe mai commesso i suoi errori.

E lui, suo figlio, era indegno di poterglisi paragonare.


Giunse al palazzo dell’Hokage e, con passo rapido, entrò.

Proseguì verso lo studio dell’Hokage e, giunto davanti alla porta, bussò.

Avanti. – ordinò la voce di Tsunade.

Sono Gai Maito. Vengo a farle rapporto per la missione nel villaggio di Komugi. – spiegò.

Entra pure. – fu la risposta.

Gai inspirò, poi aprì la porta ed entrò.


Percorse lo studio e si fermò davanti al tavolo dell’Hokage, ingombro di carte.

Tsunade, seduta, leggeva e firmava alcuni fogli, seguita dalla sua assistente, Shizune.

Di tanto in tanto, i grugniti di Tonton risuonavano nell’ambiente.

Gai girò la testa e vide Kakashi, Asuma e Kurenai.

Chiedo scusa, Hokage. Se avete altre questioni in sospeso, posso anche allontanarmi. – mormorò, pacato.

Tsunade sospirò. Quella calma, a seguito di una tragedia tanto devastante, le sembrava perfetta.

Troppo perfetta.

Gai necessitava di un sostegno, eppure si era chiuso in un silenzio assordante.

E nemmeno lei riusciva a comprendere il senso di questo suo comportamento.

Temeva di mostrarsi debole?

Eppure, nessuno lo avrebbe contestato, se avesse mostrato i suoi autentici sentimenti.

Lei, quando aveva perduto suo fratello minore e il suo amato Dan, si era abbandonata al flusso dell’esistenza, senza dare alla stessa uno scopo.

E, per tanto, troppo tempo, aveva continuato un’esistenza priva di direzione, dedita a piaceri amari.

L’adrenalina delle scommesse, pur forte, non riusciva a liberarla dal senso di colpa per la morte di Nawaki e di Dan.

Oltre quella voluttà, avvertiva il pungolo del senso di colpa.

Quale era il senso dei suoi poteri? Perché aveva permesso alla morte di prendere le due persone a lei più care?

Quelle domande, per più di trent’anni, l’avevano tormentata.

Da poco tempo, aveva trovato una direzione nella sua vita e aveva deciso di dedicarsi alla protezione della sua comunità.

Perché lui si comportava così?

Questo lascia che sia io a deciderlo. Piuttosto, come è andata la missione? – domandò la donna.

Gai, con poche, precise parole, le fece rapporto.


Hokage, ha bisogno ancora di me? – chiese l’uomo.

No, puoi andare. E riposati. – gli ordinò lei.

Il ninja accennò un breve cenno di saluto col capo e uscì dalla stanza, la schiena forzatamente diritta, richiudendo la porta con cautela.

Se non lo conoscessi, direi che sta reagendo bene. – mormorò Kakashi, serio. Quella situazione era per lui dolorosa.

Voleva aiutare Gai, ma non sapeva cosa fare.

E questa sua impotenza lo riempiva di frustrazione e di angoscia.

Non poteva commettere gli errori da lui compiuti con Obito e con Rin.

Perfino un cieco si accorgerebbe che sta recitando. – commentò Asuma, sarcastico.

Kurenai fissò sul compagno i suoi occhi carmini, lucidi di preoccupazione.

Pensi che potrebbe tentare un gesto estremo? – chiese.

I due uomini, colti di sorpresa dalle parole della kunoichi, rimasero immobili, gli occhi sbarrati. Non avevano mai pensato ad una simile, orribile eventualità..

Per loro, tale possibilità era dilaniante.

Non è una ipotesi da scartare. – intervenne Tsunade, seria.

Tutti e tre si girarono verso l’Hokage.

Tsunade sospirò e il suo sguardo si posò ora su Kakashi, ora su Asuma, ora su Kurenai.

Ho letto i rapporti su di lui. E’ un uomo molto forte, lo riconosco. Ma ogni persona ha un punto di rottura. E lui, probabilmente, lo ha raggiunto con la morte di quel ragazzo. – mormorò.

Signorina Tsunade, è il caso di farlo seguire da una squadra di ANBU? – si intromise Shizune.

La donna, alla domanda della sua assistente, scosse la testa.

No, Shizune. Se la nostra ipotesi è vera, lui di sicuro starà attento ad ogni nostra mossa. Non è stupido e, in questo momento, i suoi sensi saranno acuiti. Sa che, in casi di azioni inconsulte da parte sua, cercheremo di fermarlo. Se vuole suicidarsi, cercherà un’occasione propizia. Possiamo solo essere discreti e sperare che i nostri sospetti siano infondati. – mormorò, cupa.

Non ci sarebbero gli estremi per un ricovero in ospedale? – suggerì Kakashi.

Per cosa, Kakashi? Lui ancora non ha fatto nulla di lesivo a se stesso e agli altri. Per quale motivo dovrebbe essere ricoverato? E’ triste, è vero, ma sono passate sei settimane dalla morte di un allievo, che, per lui, era come un figlio. E’ un padre in lutto ed è spiegabile il suo temperamento silenzioso. Non possiamo pretendere da lui gioia di vivere. Non in questo momento. –rispose la nipote di Hashirama Senju.

Kakashi, pur sconfortato, annuì. Sì, l’Hokage aveva ragione.

Sei settimane erano passate dalla morte di Rock Lee e il silenzio di Gai non poteva essere considerato un segno nefasto.

Il suo amico, in quel momento, provava gli stessi sentimenti di un genitore privato del suo amato figlio.

E sei settimane erano troppo poche per pretendere una ripresa totale.

Signorina, cosa si può fare per lui? – intervenne Shizune.

La Quinta Hokage, per alcuni istanti, rifletté.

Per ora possiamo fare davvero ben poco. Tuttavia, se riuscite a sapere cosa si sono detti prima dell’intervento, riferitemelo. Potrebbe essermi utile. Ma, come vi ho detto, siate discreti. – ordinò lei.

I tre jonin, con brevi cenni del capo, annuirono e compresero. Sì, l’idea dell’Hokage aveva senso.

Gai, probabilmente, sentiva su di sé il peso della responsabilità per la morte del suo allievo.

Non aveva senso una tale angoscia, ma, data la sua indole intransigente, non erano meravigliati.

Amava Rock Lee d'un affetto paterno, viscerale.

In quei giorni fatali non lo aveva lasciato mai solo, incurante del suo dolore e della sua stanchezza.

Non aveva mai voluto la presenza di qualcuno, quando era con Rock Lee.

Perché? Cosa voleva dirgli?

Anzi, cosa gli aveva detto?

Potete andare. E state attenti. – si raccomandò Tsunade.

I tre ninja annuirono e si allontanarono.

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Capitolo 4
*** Suicidio ***


Gai si svegliò.

Per alcuni istanti, rimase immobile, lo sguardo fisso sul soffitto. Finalmente, il giorno da lui tanto atteso era giunto.

Quella sarebbe stata la sua ultima giornata di vita sulla terra.

Avrebbe presto riveduto Rock Lee.

Non devo illudermi. – si disse. A lui non sarebbe stato concesso un simile privilegio.

Aveva giocato con la vita di un giovane innocente e le sue mani erano rosse di sangue.

L’inferno lo avrebbe atteso.

Papà… Non sono degno di vedere te… Ma tu sei degno di Rock Lee. Lui doveva essere tuo figlio, non io. – ringhiò, irritato con se stesso. Avvertiva il peso crudele dell’indegnità.

Suo padre si era sacrificato per un individuo indegno e questo costituiva un ulteriore fardello per il suo animo dilaniato.

Forse, lui e Rock Lee, nel regno dei morti, si erano conosciuti e piaciuti.

Ma a lui tale privilegio non era concesso.

Odiava sempre più se stesso.

Il disgusto saliva dal suo stomaco e gli riempiva la bocca d’un orrendo sapore metallico.

Ma non era il momento di arrendersi.

La sua granitica volontà non poteva abbandonarlo nell’estremo atto.

Presto, non avrebbe avvertito quel dilaniante senso di amarezza e di vuoto.

Ma nulla doveva essere lasciato al caso.

Un secondo in più o in meno non avrebbe costituito alcuna differenza.

La quiete, da tempo ambita, era ormai vicina.



Fissò il suo riflesso nello specchio.

Un kimono nero, stretto in vita da un obi del medesimo colore, copriva la sua alta figura e ai piedi calzava sandali bianchi.

I capelli neri, dai riflessi bluastri, scendevano sul collo in una lunga treccia, che si fermava a metà della sua schiena.

Appeso all’obi, era presente un pugnale dalla lama serpentina, l’elsa coperta di corno di cervo, d’un caldo colore marrone e un sacco di cuoio.

Bene. – mormorò. Quantomeno, sarebbe andato incontro alla morte con dignità.

Nessuna scena plateale avrebbe accompagnato il suo addio alla vita.

Non sarebbe fuggito, ma l’avrebbe guardata negli occhi.

Rifletté. Per fortuna, Asuma, Kakashi e Kurenai erano impegnati in altre operazioni, necessarie al funzionamento del villaggio.

E questo poteva valere per la squadra ANBU di Konohagakure.

La solitudine sarebbe stata la sua compagna.

Meglio così. – mormorò. Le incombenze relative alla conduzione di un villaggio consentivano a lui di avere una notevole libertà di manovra.

L’Hokage aveva creduto di dargli il tempo di riprendersi e, per questo, gli aveva concesso un lungo periodo di riposo, lontano dalle missioni.

Si avvicinò ad un armadietto dei medicinali, lo aprì e prese un tubetto di pillole.

Lo aprì, ne prese una e la inghiottì.

Un violento flusso di energia, ad un tratto, inondò il suo corpo, come l’acqua esonda in una valle.

Un breve sospiro voluttuoso sgorgò dalle sue labbra. Grazie a quel tonico, poteva giungere in breve tempo alla Valle della Fine.

Il suo corpo avrebbe sopportato ritmi insostenibili per altri shinobi.

Per alcuni istanti, il suo sguardo spaziò sul soggiorno, posandosi sui mobili, lucidi di cera, in un silenzioso atto di congedo. In quelle mura era racchiusa, come in un sepolcro, la sua esistenza di combattente.

Niente era stato lasciato al gioco della casualità.

Addio. – sussurrò.

Poi, chiuse la porta dietro di sé e si allontanò.


A passo calmo, si avviò verso l’ingresso orientale del villaggio.

Dove stai andando Maito? – domandò una delle guardie.

Sentendosi chiamare, il ninja si girò e fissò il suo sguardo sui due shinobi.

Eleverò una preghiera all’anima di Rock Lee. E, per fare questo, ho bisogno di isolamento. – rispose il jonin, pacato.

Le due guardie, sorprese da quel tono, si scambiarono sguardi colmi di indecisione.

Gai, paziente, aprì il sacco ed estrasse alcuni bastoncini di incenso.

Comprendiamo. E scusaci per averti fermato. – mormorarono i due, dispiaciuti.

Un mezzo sorriso sollevò le labbra del guerriero.

Non importa. Avete compiuto il vostro dovere. – li rassicurò, gentile.

I due ninja, sorpresi da quel tono, fissarono i loro sguardi sull’uomo. Certo, avevano veduto il doloroso funerale di Rock Lee, ma la visione dell’amarezza scolpita sul viso di Gai Maito colpiva le loro menti.

Il ninja esuberante ed eccentrico da loro conosciuto era svanito.

Se però l’Hokage ha bisogno di lei, cosa farà? – chiese un ninja.

Manderò Ninkame dall’Hokage. Sarà lei a rivelare la mia posizione. – spiegò ancora.

Per alcuni istanti, i due ninja tacquero e si consultarono.

Puoi andare. – gli disse una delle guardie.

Vi ringrazio. Buon lavoro. – rispose il ninja.

Con un breve cenno della mano, li salutò e si allontanò.


Poi, come un ghepardo, corse.

Il vento, leggero, sfiorava i suoi capelli, mentre il sole toccava il suo corpo, già velato d’un leggero sudore.

Gli occhi gli si velarono di lacrime e il paesaggio, prima netto, cominciò a sfumare davanti ai suoi occhi. Ogni passo contribuiva ad avvicinarlo al compimento della sua promessa.

Konohagakure, presto, sarebbe stata libera dalla sua presenza infestante.

Il suo cuore, in quel momento, martellava le sue costole, quasi volesse fuggire.

Non devo arrendermi. Sono vicino alla meta. – si disse.


Diverso tempo dopo, il rombo di una cascata interruppe il corso dei suoi pensieri.

Gai alzò la testa e vide la cascata precipitare in una vasta conca naturale, in un nembo di gocciole scintillanti.

Un lungo, doppio arcobaleno, simile ad una corda policroma, legava le statue di Madara e Hashirama.

Per alcuni istanti, il jonin fissò il paesaggio, gli occhi lucidi di commozione. Da tanti, troppi giorni non provava un simile senso di libertà.

I suoi occhi, in quel momento, riuscivano a percepire la bellezza del paesaggio e la purezza dei colori.

Era una sensazione magnifica.

Inspirò, poi espirò. Con suo stupore, avvertiva i suoi polmoni liberi da quel senso di oppressione.

Quel senso di crudele agonia si era concluso.

Finalmente, aveva conquistato la serenità.


E’ giunta l’ora, allievo mio. – mormorò, ad un tratto.

Appoggiò il sacco coi bastoncini di incenso a pochi metri di distanza. Era giunto il momento di deporre la maschera.

Le statue dei progenitori ancestrali di Konohagakure avrebbero assistito al compimento della sua promessa di sangue.

Con la vita, avrebbe onorato la parola data al suo amato allievo.

E’ un bel posto per morire. – mormorò. In quel paesaggio si fondevano in armonia natura e storia.

Sarebbe stato un ottimo fondale per la sua uscita di scena.


Il lungo lamento di un falco, per alcuni istanti, sovrastò il richiamo della cascata.

Gai sorrise, quieto. Tutto, in quel momento, era compiuto.

Non avvertiva più quel dilaniante senso di angoscia.

Si inginocchiò e sciolse l’obi del suo kimono, scoprendo il petto muscoloso e le braccia tornite. Gli pareva di sentire gli sguardi dei suoi antenati…

Prese il kriss e, per alcuni istanti, fissò lo sguardo nel freddo chiarore serpentino della lama.

La lama gli restituì il riflesso del suo viso scavato, su cui nereggiavano gli occhi, dal taglio allungato, simili a quelli di una tigre prossima alla morte.

Rock Le, allievo mio… Scusami per il ritardo. Sto venendo da te. – mormorò.

E, avida, la lama bevve il suo suo sangue.


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Capitolo 5
*** Corsa contro il tempo (parte 1) ***


La lama, rapida, dilaniò la carne.

Il sangue, d’impeto, esondò, bagnando il kimono nero del ninja.

Gai svelse il kriss.

Poi, provato dalla perdita di sangue, si abbandonò sul terreno pietroso.

Strinse la mano attorno all’elsa dell’arma. Aveva provato un dolore atroce, ma non gli importava.

Presto, la sua coscienza si sarebbe spenta.

Anzi, la sofferenza fisica, in quel momento, inondava il suo animo di piacere.

Chiuse gli occhi, estenuato, e un debole sorriso sollevò le sue labbra, umide di sangue.

Lee… Figlio mio, ho mantenuto la promessa… – sussurrò e le lacrime strisciarono sulle sue guance, simili a fili d’argento. Vedeva l’immagine di Rock Lee, raggiante di gioia…

Era giunto a prenderlo.

Ne era sicuro, se avesse potuto alzare il braccio, avrebbe potuto sentire il calore della sua pelle…

Una dolente serenità invase il suo animo. Gli era stato concesso questo dono, nonostante le sue colpe infamanti.

Rock Lee era lì, per lui, e il suo volto era illuminato da un gentile sorriso.

Il suo allievo lo avrebbe aiutato a oltrepassare la linea d’ombra tra vita e morte.

Niente avrebbe più potuto separare le loro anime.

Ancora poco tempo… – mormorò.

E la tenebra stese il suo oscuro velario sul suo sguardo.


No! –

Con un frullare d’ali, si sollevò uno stormo di piccioni.

Asuma e Kurenai, sgomenti, si bloccarono.

Come incantati, fissarono l’alta figura di Gai abbandonarsi sul suolo pietroso.

Non avevano fatto in tempo.

Non erano riusciti a impedire il suo gesto di disperazione.

Si erano lasciati traviare dal suo apparente stoicismo.

Andiamo! – gridò Asuma, scuotendosi dal suo stato di sconcerto. Non erano riusciti a fermarlo, ma potevano strapparlo alla morte.

E non potevano perdere tempo.

Dovevano salvarlo!

L’uomo aumentò il passo e la compagna lo seguì.


Rapidi, percorsero i pochi metri che li separavano da Gai..

Asuma, sollecito, si inginocchiò, gli appoggiò le mani sulle spalle e lo girò sulla schiena.

Il corpo di Gai, a quel cambiamento, sussultò e un fremito di dolore attraversò il suo viso, come una scossa elettrica.

I due combattenti, vedendo la lesione sull’addome del maestro di taijutsu, impallidirono.

Questa non è una ferita normale… – balbettò l’erede di Sarutobi, sgomento. Il ventre del loro compagno era dilaniato da una lesione dai bordi irregolari e da questa sgorgava sangue, che si allargava sempre più sulla pietra in una macchia vermiglia.

Sul suo viso si distendeva un pallore sinistro, spettrale, mentre il suo petto era sollevato da respiri sempre più flebili, simili a lunghi sibili.

Ce la faremo?, si chiese l’erede del clan Sarutobi, scoraggiato. Temeva di non essere capace di limitare i danni causati dall’atto di Gai.

Lo sguardo di Kurenai, ad un tratto, fu attirato dal bagliore del kriss.

La donna, sorpresa, prese l’arma e la mostrò al compagno.

Asuma, vedendo l’arma, a stento trattenne una colorita imprecazione e strinse il pugno.

Portala all’Hokage. Io cercherò di contenere la perdita di sangue. Presto, non c’è tempo da perdere! – gridò l’uomo, il tono angosciato.

La donna annuì, si girò e si allontanò correndo.


Asuma, deciso, si tolse la giacca, la appallottolò e la collocò sotto la testa di Gai.

Poi si tolse la maglietta, ne strappò una parte e la poggiò sulla ferita del compagno.

Una morsa di amarezza strinse il cuore dell’erede di Hiruzen Sarutobi. Non avevano compreso l’autentica natura di Gai.

Il suo cuore era stato catturato dalla tenebra della disperazione.

Una smorfia di rabbia, per alcuni istanti, deformò il suo viso, rendendolo simile a quello di una fiera, prossima all’attacco. Perché aveva cercato di ingannarli?

Desiderava vedere la sofferenza sui loro volti e nei loro cuori?

Gai si era tramutato in un vile sadico, capace di offendere il suo stesso corpo pur di annientare le persone attorno a lui?

Se Tsunade Senju non li avesse messi in guardia, Gai avrebbe portato a compimento il suo orribile proposito.

E sarebbe morto solo, lontano dai suoi amici.

Anzi, per poco, non riusciva a concludere il suo disegno di morte.

La rabbia, ad un tratto, si spense, come una fiamma priva di ossigeno, e alcune lacrime gocciarono sulle guance di Asuma, perdendosi sulla sua barba. Gai non poteva avere agito con cosciente egoismo…

Il suo isolamento non poteva essere solo una maschera per coprire le sue intenzioni.

Non voleva fare preoccupare nessuno, ma il suo cuore era ottenebrato dal dolore lacerante di una perdita atroce.

E, per questo, non riusciva a vedere la realtà da punti di vista differenti.

Credeva di avere perduto ogni ragione di esistenza con la scomparsa tragica di Rock Lee.

E non era riuscito a riflettere sulle conseguenze delle sue azioni.

Sì, doveva essere quella l’origine delle sue decisioni.


Kurenai accelerò il passo, divorando metri.

I muscoli si tendevano nello spasimo dello sforzo, come corde prossime a rompersi, il cuore martellava le sue costole e i polmoni si espandevano a ritmo sempre più sostenuto.

Non posso. Non posso rallentare., si ripeteva la donna. La sua mente era tormentata dall’immagine di Gai disteso sulla pietra, il ventre dilaniato da una pugnalata.

Strinse gli occhi, trattenendo a stento lacrime di rabbia. Come avevano potuto essere tanto ciechi?

Se Tsunade non avesse instillato in loro il dubbio, Gai sarebbe morto, sotto gli occhi indifferenti delle statue degli antichi progenitori.

Lo avevano condannato ad una solitudine opprimente.

E’ colpa nostra se è ridotto così., pensò tra sé. Come tutti loro, Gai aveva affrontato e superato molte dure prove, serbando la sua limpidità di spirito.

Aveva perduto prima sua madre, poi il suo amato padre, Dai Maito, ma era riuscito a proseguire il suo cammino, con l'indomito spirito di una tigre.

Ma loro, stupidi, lo avevano ritenuto incrollabile e non si erano accorti del progressivo deterioramento del suo stato.

Avrebbero dovuto dargli un sostegno più concreto e non lasciarsi fuorviare dalla sua calma artefatta.

Allontanò le lacrime e accelerò il passo. Il Fato di Gai Maito sembrava segnato.

Ma loro non gli avrebbero permesso di morire così.

Lo avrebbero aiutato a riemergere da quella tenebra.



Si guardò intorno, sorpreso.

Una tenebra densa, simile a melassa, si stendeva davanti al suo sguardo.

Che cosa era successo?

Gli era parso di avere veduto il viso di Rock Lee.

Poi, però, era svanito.

Cosa era accaduto?

Inoltre, aveva sentito delle voci concitate a poca distanza da lui.

Poi, due mani ferme e forti si erano posate sul suo ventre.

Mukenin? Ninja di Konohagakure?

Combattenti di altri villaggi?

Chi poteva essersi accorto della sua scelta?

Quali motivi portavano a tali decisioni?

Una morsa d’angoscia strinse il suo cuore. No, non poteva avere condannato la sua terra.

Non di nuovo...



Con fatica, Gai sollevò le palpebre. Aveva bisogno di capire chi fosse accanto a lui…

Doveva sapere.

Aveva bisogno di placare il suo bisogno, prima di oltrepassare la linea d’ombra.

Per alcuni, eterni istanti un velo grigio, simile a nebbia, coprì i suoi occhi.

Che io abbia sbagliato di nuovo?, si domandò, in un impeto di frustrazione. Col suo suicidio, intendeva mantenere la promessa fatta a Rock Lee e liberare Konohagakure dalla sua esistenza …

Nessuno doveva più patire le conseguenze delle sue azioni scriteriate.

Qualche istante dopo, la nebbia si diradò e Gai sbatté le palpebre con più forza.

Asuma? –

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Capitolo 6
*** Corsa contro il tempo (parte 2) ***


A… Asuma? –

Lo sgomento strinse il cuore di Gai. Dunque, il suo piano non era stato perfetto.

Era stato seguito.

L’erede del clan Sarutobi, a stento, frenò un ringhio di frustrazione.

Sì, sono io. E sono giunto in tempo per salvarti la vita. – mormorò, atono.

A quelle parole, un breve ruggito d'irritazione risuonò sulla bocca di Gai.

Questo non ti riguarda. Non te l’ho certo chiesto io. – replicò il maestro di taijutsu, la voce flebile e vibrante d’amarezza.

Asuma non rispose, ma aumentò la pressione sulla benda di Gai. No, doveva agire con razionalità.

La rabbia, in quel momento, non era una valida consigliera.

E non lo avrebbe aiutato a salvare Gai.

Devo sapere la ragione di questo gesto. E, forse, lo aiuterà a non perdere coscienza., si disse. Capire l'origine di una tale, drammatica scelta avrebbe attenuato la sua angoscia.

E la sua razionalità ne avrebbe tratto giovamento.


Perché? – domandò.

Il maestro di taijutsu, perplesso, alzò un sopracciglio.

No… Non ti capisco… – balbettò.

Voglio sapere perché. Che cosa ti ha spinto a prendere questa decisione? – domandò l’altro ninja.

Gai, per alcuni istanti, esitò. Avrebbe dovuto rivelare l’origine della sua risoluzione?

O avrebbe dovuto portare con sé il segreto della sua terrificante scelta?

Rifletté ancora, poi si convinse. Forse, la rivelazione di un simile segreto avrebbe permesso al suo compagno di comprendere le sue ragioni.

E, allora, si sarebbe spento in pace e non avrebbe lasciato alcun senso di colpa nelle persone da lui amate.

D’accordo. –


Kurenai, rapida, proseguiva il suo cammino verso il villaggio.

I suoi piedi, sicuri, si appoggiavano sul terreno, poi si lanciavano in ampi balzi, simili a quelli di un ghepardo durante la caccia.

Devo arrivare a Konoha., pensò la giovane kunoichi. L’immagine di Gai, disteso su quel suolo pietroso, dilaniato da quella pugnalata, si stagliava davanti ai suoi occhi, viva, dolorosa, crudele.

E le stringeva l'anima in una morsa di dolore.

Come avevano potuto lasciare il loro compagno in quella forte tempesta?



Ci sono diversi motivi che mi hanno spinto a questa decisione… – cominciò Gai.

Con un cenno del capo, Asuma annuì.

Io… Io sono un fallito… Ho permesso che un giovane innocente morisse, solo per compiacere il mio orgoglio... Avrei dovuto fermare Gaara prima... – mormorò.

Deboli singhiozzi sollevarono il suo petto e fremiti di dolore, a stento frenato, attraversarono il suo viso.

Il volto di Asuma si piegò in una maschera imperscrutabile. La rabbia, prima dirompente, in quel momento si era attenuata.

Quasi poteva toccare il rimorso sedimentato nel cuore di Gai.

Non affaticarti. Non c'è fretta. – lo rassicurò, il tono di voce apparentemente calmo. In realtà, desiderava che la sua compagna tornasse presto, assieme ai soccorsi.

Temeva un esito infausto.

Tuttavia, non poteva mostrare la sua ansietà.

Gai, però, in quel momento, aveva bisogno spasmodico di una presenza stabile.

A quelle parole, un malinconico sorriso sollevò le labbra di Gai.

Rock Lee, in me, ha veduto un esempio... Io... Io gli ho detto che lui poteva diventare un ninja formidabile, perché si impegnava, anche se era privo di potenti abilità innate… In lui ardeva la fiamma della volontà… Lui aveva gli occhi e lo sguardo della tigre... *– continuò.

Di nuovo, i suoi occhi neri si velarono di lacrime e l'uomo strinse i pugni. Da tanto, troppo tempo non era degno di piangere.

Le sue lacrime erano torbide e non dovevano insudiciare lo spirito di Rock Lee.

Il figlio di Hiruzen Sarutobi strinse le labbra. Quelle parole vibravano d'un forte senso di colpa.

Poteva quasi sentire l'amarezza di quelle frasi dilaniare la sua anima.

Si morse le labbra e una goccia di sudore scivolò sulla sua fronte. Avvertiva lo spasmodico bisogno della nicotina...

Solo quell'aroma penetrante gli avrebbe permesso di placare quel turbinoso senso di angoscia.

Ma non poteva permettersi un simile cedimento.

Un fugace lampo, per alcuni istanti, illuminò gli occhi di Gai.

Io... Io ho insegnato a Rock Lee il kinjutsu delle Hachimon Tonkou... Io gli ho insegnato ad andare oltre i limiti, che la natura, nella sua infinita saggezza, ha posto alle membra di ciascuno di noi... Aveva ragione Kakashi a definirmi incosciente... –

Bel lavoro, Kakashi!, imprecò tra sé Sarutobi. Gai, malgrado le sue parole roboanti e i suoi proclami di rivalità, teneva molto all'opinione del figlio di Sakumo Hatake e lo considerava un valido amico, quasi un fratello.

E lui, Kakashi, aveva mostrato una notevole ottusità.

Lo aveva rimproverato per un atto sì discutibile, ma comprensibile.

Gai vedeva in Rock Lee un fulgido esempio di impegno e aveva voluto premiarlo, insegnandogli una tecnica potente e pericolosa.

E non c'era nulla di sbagliato in un simile atteggiamento.

Anzi, era giusto premiare la determinazione in un allievo.

Non meritava di essere rimproverato e biasimato per questo.

Quelle parole avevano esacerbato una situazione di angoscia sotterranea, che, in quel momento, era deflagrata.



Diverso tempo dopo, giunse davanti alle porte occidentali del villaggio.

Kurenai, che cosa succede? Sei molto agitata. – domandò uno dei ninja guardiani.

Devo parlare con l'Hokage. E' una questione urgente. – spiegò lei, secca.

Vedendo l'agitazione del suo volto, i guardiani annuirono e aprirono le porte.

La donna salutò i due ninja con un breve cenno della mano destra e si inoltrò nel villaggio.

Mi sembra così lontano..., pensava, il cuore stretto in una morsa di frustrazione. Quanto tempo era trascorso?

Le parevano ore eterne.

E Gai, con quell'imponente emorragia, ad ogni secondo trascorso, rischiava la morte.



Non è solo questo il motivo che mi ha spinto a questa scelta... – proseguì Gai.

La sua voce tremò, come una candela colpita da un refolo di vento, e sulle sue ciglia si impigliarono le lacrime. Di nuovo, avvertiva la brama di pianto, ma non doveva cedere a quel desiderio.

La sua sofferenza, per quanto straziante, era indegna.

Le sue lacrime esprimevano un rimorso tardivo, che non gli avrebbe ridato Rock Lee.

L'altro ninja tacque e aumentò ancora di più la pressione della stoffa sulla ferita di Gai.

Io... Io ho promesso a Rock Lee che... che se fosse morto lo avrei seguito... Perché... Perché io e lui eravamo simili e non potevamo vivere senza il nostro credo... Tu, come tutti, sai che la mia parola è scolpita nella pietra... Potrò anche essere stato un buffone, ma non vengo mai meno ai miei giuramenti... Mai. – dichiarò, serio, deciso, risoluto.

Anche troppo..., si disse Asuma, mantenendo a stento la sua espressione calma. L'onestà del suo compagno era adamantina.

Nonostante la sua indole chiassosa ed esuberante, Gai era affidabile e sincero.

E, per questo, era divenuto un degno ninja.

Ma il dolore gli impediva di vedere la realtà.

Certo, aveva dato la sua parola a Rock Lee, ma una promessa fatta sull'onda della disperazione non era valida.

Inoltre, si era dimenticato degli altri suoi due allievi, dei suoi compagni e della sua patria.

Eppure, lui si riteneva moralmente obbligato a mantenere la parola, anche se era sgorgata in un momento di poca o nulla lucidità.

E la domanda tornava sempre alla sua mente.

Perché non avevano veduto oltre l’apparenza?


Kurenai si avviò verso il Palazzo dell'Hokage.

Salì le scale, percorse il corridoio e, d'impeto, entrò nello studio dell'Hokage.

L'Hokage, seduta alla scrivania, leggeva e firmava alcuni documenti, aiutata da Shizune.

Vedendo Kurenai, la nipote di Hashirama Senju alzò la testa.

Che cosa succede? – chiese.

La ninja esperta di illusioni piegò le gambe e, con un gesto deciso, allontanò il sudore dalla fronte.

Aveva ragione lei... Gai ha tentato il suicidio... E' alla Valle della Fine... Asuma è con lui... – mormorò, la voce scossa dall'affanno.

Shizune sbarrò gli occhi, sorpresa, mentre Tsunade scaricò un pugno sulla scrivania.

Questa si crepò , poi si divise in due parti, che si separarono e si schiantarono con un tonfo sul pavimento, mentre i fogli volteggiarono nell'aria.

Shizune, fai preparare subito la sala operatoria dell'ospedale. Portami quanto serve. E chiamami Shiranui e Uzaki. – ordinò, il tono deciso.

Agli ordini, signorina! – affermò la donna, decisa.

Poi, a passo rapido, uscì dallo studio.



* ovviamente la citazione a Rocky non manca. Gai mi ricorda molto Balboa nella sua filosofia.










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