Sympathy for the Devil

di Baldr
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una nuova trama ***
Capitolo 2: *** Bollocks ***
Capitolo 3: *** L'ultimo pisolino ***
Capitolo 4: *** Pensavo fossimo amici ***
Capitolo 5: *** Che pessimo nome ***
Capitolo 6: *** Forse so a chi chiedere aiuto ***
Capitolo 7: *** Botte da orbi e qualche ala lussata ***
Capitolo 8: *** Non ne vedrai l'ora ***
Capitolo 9: *** Al diavolo tutto ***
Capitolo 10: *** Quel muro di sarcasmo e ironia ***
Capitolo 11: *** Tutti assieme appassionatamente ***
Capitolo 12: *** Padre è un manipolatore ***
Capitolo 13: *** Che Michael se lo porti! ***
Capitolo 14: *** Un gatto infuriato ***
Capitolo 15: *** Troppi -el in famiglia ***
Capitolo 16: *** Lo rimarrà per sempre ***
Capitolo 17: *** Il tuo sarà un regno solitario ***
Capitolo 18: *** Sei licenziata ***



Capitolo 1
*** Una nuova trama ***








 

Odore di cipolle, caffè e sudore.
Decisamente rivoltante. Come facevano gli umani a essere così disgustosi?
Una ragazza in short elasticizzati neri e top color verde mela gli passò di fianco, lanciandogli uno sguardo divertito e interessato, ma proseguì, accarezzandosi uno degli auricolari delle cuffie.
Lo sguardo di quella giovane non fu l'unico divertito che gli venne rivolto.
Michael non impiegò molto a comprendere che era il suo outfit a suscitare quell'ilarità. Era una giornata soleggiata, calda e la spiaggia si stendeva per diverse decine di metri oltre la pista di cemento dove l'angelo si trovava. Un chiosco poco più avanti vendeva hot-dog e, una cinquantina di metri più in là, un cafè ospitava diversi tavoli sulla veranda che si affacciava sulla spiaggia di Manhattan.
Non era la prima volta che scendeva sulla Terra, ma non era mai stato così vicino agli umani. Cosa poteva mai trovarci quell'egoista di suo fratello in quelle scimmie nude? 
Samael era tornato all'Inferno volontariamente. Già che quella cosa fosse avvenuta rasentava il ridicolo, ma che lui avesse responsabilmente accettato di farlo per proteggere gli umani era inconcepibile.
Si umettò le labbra, sentendo su di esse il sapore della salsedine portata dalla brezza.
Lucifer aveva ucciso Uriel e nessuno, nemmeno Uriel stesso, aveva previsto quel gesto. Suo fratello Uriel aveva lasciato i cancelli d'argento per scendere sulla Terra e riportare loro Madre all'Inferno. Per farlo, Michael sapeva che aveva minacciato Lucifer di annullare l'accordo che aveva stretto con loro Padre. Aveva impiegato diverso tempo, ma Michael, a differenza del suo egoista gemello, era attento ai dettagli, e aveva capito qual era l'accordo che Samael aveva stretto con Papà.
Fare il bravo in cambio della protezione di Chloe Decker.
Una mortale creata 37 anni prima da Papà per essere immune al fascino sovrannaturale del gemello. Non andava per nulla bene. I risvolti di quel miracolo erano molteplici.
Chloe era stata creata per manipolare Lucifer? Per farlo arrabbiare? Per trastullarlo? Indebolirlo? O per farlo cambiare, farlo maturare e farlo diventare... migliore?
Michael strinse i pugni, poi si incamminò lungo la pista che costeggiava la spiaggia.
Il suo gemello era un egoista, un idiota pieno di sé. Forse poteva ingannare gli altri, poteva ingannare loro Padre, poteva ingannare anche se stesso, ma non avrebbe mai ingannato lui. No, loro erano due facce della stessa medaglia, condividevano la stessa scintilla.
Lui sapeva bene qual era l'intima natura del gemello, era troppo egoista per sacrificarsi. Lucifer era convinto di essere diventato un bravo figlio, ma lui lo avrebbe costretto a gettar la maschera e aprire gli occhi.
Una semplice umana, per quanto creata da loro Padre, restava comunque un'umana.
Se qualcuno avesse seguito le movenze dell'angelo in forma umana, lo avrebbe visto scomparire dietro il tronco di una palma e null'altro. Dove un normale umano sarebbe passato dietro quell'ostacolo tra lui e l'osservatore, scomparendo per un breve istante, prima di riapparire e proseguire lungo il marciapiede, lui scomparì. Non letteralmente, semplicemente aveva spiegato le sue ali ed era volato via, lontano dalla spiaggia.
Agitando le poderose ali si librò sopra la città degli angeli, sorvolò le villette che lasciarono spazio ai palazzi del downtown, individuò il grattacielo che ospitava il Lux e quella che un tempo fu la dimora del suo diabolico fratello.
Si assicurò che non ci fosse nessuno e atterrò sul terrazzo, guardandosi attorno con fastidio.
Lucifer era appena tornato all'Inferno, il che voleva dire che Amenadiel, Maze e i mortali che avevano ronzato attorno al gemello, dovevano essere in una sorta di lutto da separazione. Non lo avrebbero disturbato mentre lui iniziava ad attuare il suo piano.
Era una nuova trama per lui, qualcosa di insolito, che lo avrebbe costretto ad avvicinarsi molto ai mortali. L'anima di Charlotte Richards l'aveva scambiato, seppur per poco, per Lucifer. Con un poco di preparazione ed esercizio, sarebbe riuscito a imitare l'insulso accento del gemello. Avrebbe dovuto lavorare parecchio sulla postura. Con una smorfia di dolore abbassò la spalla destra ed entrò nell'attico, raggiungendo il fornitissimo bar. Le sue iridi scure scivolarono sulle varie bottiglie e, alla fine, l'angelo afferrò con la mano sinistra una bottiglia di gin, limpido e trasparente. Ne versò due dita in un bicchiere, quindi lo afferrò con la mano sinistra e bevve.
Il sapore dell'alcolico era ben più forte che quello che girava in Paradiso. L'angelo mosse la lingua, spostando le bevanda nella bocca, prima di deglutirlo e schioccare la lingua contro al palato. Rimise la bottiglia sul ripiano, quindi si guardò attorno.
«Hello there» ringhiò, cercando di imitare l'accento britannico che contraddistingueva il gemello. Fece una smorfia e scosse il capo. «Dovrò lavorarci parecchio...» si disse, schiudendo le ali, abbandonando l'attico.
Passò il resto della giornata nella sala di controllo del Lux. Come tutti i locali, vi erano telecamere che riprendevano il locale 24/7. Su quelle riprese avrebbe potuto studiare le movenze del suo gemello, mescolato ai mortali.

 

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Dopo due anni di vuoto assoluto, ritorno con una nuova long. La finirò? Non ne ho idea, ma questo Diavolo ha già fatto il miracolo di farmi tornare su EFP, quindi chissà.
Grazie a tutti i lettori.
Se la storia vi piace, per cortesia, mettetela nei preferiti/seguiti/ricordati per darle visibilità.


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Daniela

 

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Capitolo 2
*** Bollocks ***


Kamar







 

L'eco dei suoi passi rimbombava sulle colonne di basalto che si sollevavano in pilastri esagonali, protendendosi verso il cielo plumbeo.
La cenere scendeva simile a neve e si posava a terra con delicatezza. Non si scioglieva, ma si riduceva in polvere e talvolta il vento spazzava i corridoi, sollevando nubi grigio chiaro, ammucchiando la cenere negli anfratti delle rocce.
Lucifer sollevò lo sguardo verso il cielo cupo. Sospirò, sforzandosi di non ricordare, per quanto gli fosse impossibile non farlo.
Una folata alle sue spalle lo avvisò dell'arrivo della sua nuova segretaria, Ravekeen.
«Mio Signore» esordì la demone, dopo aver ripreso forma umana. La sua pelle era color caramello con ipnotici occhi blu, incorniciati da una criniera leonina, riccia, color nocciola.
«Non mi dire...» esordì Lucifer, «il nostro caro amico chiede ancora di me?» domandò, volgendosi in parte verso di lei, le mani nelle tasche del completo nero.
Lei aveva il ginocchio destro a terra e teneva lo sguardo basso e remissivo. «Sì, mio Re.»
Lucifer sospirò, lo sguardo spento, sconfitto. «E sia...»

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Cercò di infilare la spatola di ferro arrugginito sotto la palpebra dell'occhio destro di quell'anima dannata, ma per quanta forza esercitasse, quell'occhio non voleva saperne di schizzare fuori dall'orbita.
Urlò frustrato, fece un passo indietro e scagliò a terra l'attrezzo, che tintinnò sul pavimento della cella infernale. «Dannazione! Voglio cavare un occhio! Belios, ti prego, almeno uno, fammene strappare solo uno!» supplicò affranto Dromos. Aveva ancora le sembianze di Padre Kinley, Lord Lucifer gli aveva proibito di riprendere il suo vero aspetto.
Belios non rispose, il demone aveva assunto le sembianze di una graziosa ragazza. Sbatacchiò le lunghe ciglia, solleticando la malvagia ossessione che Dromos nutriva per far schizzare gli occhi delle anime condannate all'Inferno.
La folata di vento, che annunciò l'arrivo del loro Re, fece però defilare il carceriere.
Dromos rimase solo, nelle tenebre spezzate solo dal cono di luce che scendeva dall'alto del soffitto. Nella penombra, impeccabile come sempre, alto, elegante, Lucifer avanzò, sistemandosi il gemello del polso destro.
L'anello al dito medio catturò per un istante la luce, che sembrò quasi venir divorata dalla pietra nera incastonata sul gioiello.
Dromos si inginocchiò, si prostrò in avanti, sfiorando con la fronte il pavimento, poi raddrizzò il busto, cercando lo sguardo di Lucifer.
«Mio Re... ho imparato la lezione, ti prego! Sei tu il mio unico e solo Re, ti servirò lealmente da qui all'eternità!» giurò supplicante.
Lucifer affondò la mano sinistra nella tasca, mentre con la destra spazzò via un poco di polvere dal gilet nero che gli fasciava il torso. Arricciò le labbra. «Prenderò nota delle tue parole e più avanti valuterò cosa farne di te, Dromos» disse, sfoggiando poi un sorriso freddo.
Il demone scosse il capo, la speranza sul suo viso si era tramutata in paura. «No, mio Signore! Ti prego, ho imparato, ti prego, liberami, rimettimi al lavoro! Stare qui è...»
«Un tormento?» chiese Lucifer, accovacciandosi davanti a lui, spostando il capo da sinistra verso destra, assumendo un'espressione divertita. «Sono ormai diversi secoli che ti ho rinchiuso qui dentro... E ancora speri che ti liberi? Non lo hai capito, Dromos? Questa è la tua punizione e lo sarà per l'eternità» sibilò atono.
Il demone distese una mano tremante verso quella del suo signore, ma Lucifer lo gelò con lo sguardo. «No, ti prego, Lucifer...» pigolò affranto.
«Cosa? Cosa vuoi chiedermi, Dromos? Pietà? È questo che davvero desideri?»
Dromos schiuse le labbra, gli occhi umidi di pianto. «Morire.»
Lucifer si alzò in piedi, sorridendo. «Morire sarebbe una liberazione, Dromos, sai bene che non posso accontentarti. E poi, non eri tu quello che sosteneva che l'Inferno non stava andando bene? Guarda invece ora, come i dannati si disperano, grazie al mio ritorno! Goditi l'Inferno che hai ottenuto» disse con un sorriso tagliente sulle labbra, mentre una sinistra luce infernale baluginò nel suo sguardo.
Il Re dell'Inferno si volse e si allontanò, lasciando Dromos in compagnia dei suoi demoni.
Squee e quasi un centinaio di altri demoni che avevano partecipato alla ribellione erano già stati liberati, ma Dromos, no, Lucifer non aveva ancora finito con lui.

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Non lasciarmi, io ti amo!

Aprì gli occhi, inspirando a fondo, reclinò il capo sino a incontrare il freddo schienale di pietra del suo trono, che era in fondo l'unico sollievo in quel luogo dalle temperature torride. Tornò a serrar le palpebre, sperando che quel peso all'altezza dello sterno lo abbandonasse. Le iridi si fissarono sulle turbolenti nubi grigio scuro che vorticavano in lontinanza.
Avrebbe voluto prendersi la testa tra le mani, urlare e piangere.
Invece era impassibile e lo sarebbe sempre stato. I sentimenti erano un lusso che all'Inferno non poteva permettersi.
Lui era Lucifer Morningstar, il Principe delle Tenebre, il Signore di Tutte le Menzogne e avrebbe continuato a mentire a se stesso. Lo aveva fatto per un'esistenza intera senza accorgersene, ora almeno ne era consapevole e mentire a se stesso era un atto dovuto, un atto necessario. Non doveva pensare a lei. Non avrebbe più potuto vederla. Avrebbe passato i millenni all'Inferno, prima che lei morisse e la sua anima sarebbe sicuramente volata alla Città d'Argento, dove lui non poteva andare. Non l'avrebbe più rivista.
Quella consapevolezza era più devastante che l'aver ucciso ripetutamente suo fratello Uriel durante la sua precedente visita in quel luogo di dannazione.
Abbassò lo sguardo e aggrottò la fronte. Le sue dita si muovevano sui braccioli del trono, come se stesse suonando una melodia sul suo pianoforte. Un sorriso nostalgico gli increspò le labbra, sinché non si rese conto che stava stupidamente eseguendo Heart and Soul.
Strinse le dita con forza sui braccioli, tanto che il basalto si incrinò, ma il rumore più sordo fu quello che metaforicamente avvertì dentro al proprio petto.

Ho studiato musica per tre anni e questo è tutto quello che ricordo.

Lui non doveva ricordare!
Digrignò i denti, cambiando posizione sullo scranno.
«Ravekeen!»
Un corvo nero con occhi azzurri come zaffiri arrivò sbattendo le ali e si posò sull'alto schienale, quasi mezzo metro sopra la spalla di Lucifer.
«Abbiamo qualche anima interessante? È successo qualcosa di diverso dal solito? Qualche idiota sta cercando di fuggire? Dimmi che sta succedendo qualcosa di interessante!» ringhiò con livore.
«Nulla di interessante, Mylord, sono desolata» rispose il pennuto con gracchiante voce femminile, planando sul suo braccio.
«Fucking bollocks» imprecò Lucifer a fil di labbra. Restò a bocca aperta qualche istante e spostò lo sguardo sul corvo. «Edwin. Abbiamo un'anima di un certo Edwin, zio della dottoressa Linda Martin di Beverly Hills?»
Il corvo si pulì il becco sulla manica dell'uomo. «Se è qua, la troverò!» assicurò, prima di allontanarsi con un frullo d'ali.

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«Fottuti ragazzini! Fuori dalla mia proprietà!»
Il boato del fucile preannunciò di una frazione di secondo la selva di pallini che si abbatté sul terreno, mentre le urla di bambini e ragazzini si allontanavano veloci.
L'uomo indossava un magliocino color vinaccia con lo scollo a V e pantaloni di lino color crema, caricò il fucile e si voltò tornando in casa.
«Anche io detesto i bambini» commentò un intruso dai capelli mori, ben curati, con un elegante completo di alta sartoria e dall'accento inglese. Aveva in mano un bicchiere di scotch e lo sorseggiava con noncuranza, in piedi vicino al mobile bar.
Il padrone di casa imbracciò il fucile e glielo puntò contro. «Chi diavolo sei? Che ci fai in casa mia?» domandò più incredulo che spaventato o arrabbiato.
Lo sconosciuto bevve un sorso di liquore e sorrise. «Be', ci sei già arrivato da solo, no? Io sono il Diavolo.»
L'uomo sorrise beffardo. «Certo, come no. Fuori da casa mia!»
«Questa non è casa tua, mio caro, Edwin. Questo è l'Inferno» rivelò l'altro con un sorriso amaro.
Con fragore, la porta dell'abitazione venne sfondata.
Edwin si girò e premette il grilletto istintivamente, ritinteggiando la parete dell'ingresso con le cervella dell'agente di polizia che era appena entrato.
«Oddio...» mormorò Edwin sorpreso, completamente sopraffatto da quello che aveva appena fatto. Il primo proiettile sparato dal collega del poliziotto ucciso, lo colpì alla spalla, il secondo alla gola.
Il sangue sgorgò copioso, era caldo ed Edwin si stupì dell'odore ferroso che improvvisamente gli impregnò le narici.

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Lucifer versò due dita di scotch dentro due tumbler bassi, chiuse la bottiglia lasciandola sul mobile bar, quindi prese i due bicchieri e si avvicinò al divano, dandone uno al redivivo Edwin.
L'uomo aveva i capelli di un biondo più scuro rispetto a quelli di Linda, ma aveva il viso tondo che a Lucifer gliela ricordava molto.
L'anima prese il bicchiere e bevve un sorso. «Non volevo... Non volevo uccidere nessuno...»
Lucifer si accomodò sulla poltrona del salotto e accavallò le gambe. «Però lo hai fatto e il senso di colpa di tormenta da quando sei arrivato qui» commentò. «Ma ci sono altre cose che ti tormentano, vero, Edwin? So che vorresti dirmele, per alleggerirti la coscienza...» disse con voce suadente e lo sguardo penetrante fisse sull'uomo.
«Vorrei chiedere scusa a mia nipote...» mormorò l'anima, dopo un attimo di esitazione.
«A Linda?» domandò Lucifer curioso. «L'hai forse mandata a quel paese per tutte le volte che ti guarda come se si aspettasse che arrivassi da solo a capire i tuoi problemi?»
Edwin lo guardò perplesso. «La conosci?» domandò, poi sgranò gli occhi. «È qui anche lei?» chiese preoccupato.
«No, certo che no» rispose Lucifer, bevendo un sorso di scotch. Assaporò per un poco il liquore trovandolo così poco consistente rispetto a quello che la Terra poteva offrire.
Lo zio di Linda sorrise sollevato. «Oh, grazie, Dio» mormorò.
Lucifer alzò gli occhi al cielo. «Come se lui c'entrasse qualcosa...» borbottò sommessamente. «Allora, Edwin, parlami un poco di te. Magari anche tu, come tua nipote, ti occupi di psicologia, sei uno psicologo, forse?» domandò curioso. Gli mancavano le sedute con Linda, gli mancava potersi confidare con qualcuno che cercasse di consigliarlo per il meglio.
«Psicologo? Io?» chiese l'uomo perplesso, scuotendo il capo. «No, sono un broker assicurativo» rispose.
Il Diavolo non celò la sua delusione. «Oh...» Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, poi si abbandonò con le spalle allo schienale e vuotò il bicchiere dal resto del suo contenuto. «Quindi mi sei inutile...»
Edwin lo guardò qualche istante. «Non credo che qui all'Inferno abbiate bisogno di assicurazioni sulla vita, vero?»
Lucifer sorrise amaramente. «No, temo proprio di no.» Inclinò il busto in avanti, guardando Edwin. «Perché il tuo più grande tormento e desiderio è chiedere scusa a Linda?»

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Io lo ammetto, non avevo mai visto Lucifer sino al 21 agosto. Poi Netflix m'è la sparata in home e, nonostante il trailer non mi convincesse, l'ho guardata. Divorata.
L'ho guardata per un po' in italiano, ma poi ho preferito decisamente la versione inglese, dove il "buon" Lucy utilizza variopinti insulti in slang che in italiano li hanno decisamente... ridotti (non per gravità ma per varietà, visto che hanno ridotto tutti i sinonimi utilizzati dal diavolo, in un ristretto numero di corrispettivi italiani).
Fucking Bollocks non è mai stato usato nella serie ma nei gag reel della quarta stagione.
Per quanto riguarda Ravekeen, lo so, non è un nome molto fantasioso. Ma quando hai avuto un non ben identificato numero di figli e figlie, non credo che manco Lilith c'abbia perso molto tempo a trovare nomi diversissimi l'uno dall'altro. Rave è una contrazione di raven, corvo, visto che lei si tramuta in corvo infernale e keen, beh, se i maschi hanno nomi che spesso finiscono io "os", le femmine potranno avere nomi che finiscono in "keen" XD

Grazie a tutti i lettori.
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Daniela

 

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Capitolo 3
*** L'ultimo pisolino ***


Kamar







 

Il locomotore, seguito da un paio di vagoni rugginosi, passò lentamente, sferragliando lungo il binario.
La detective Chloe Decker chiuse la portiera della macchina, dopo averla lasciata vicino all'auto di pattuglia lungo Richmond Street e varcò il cancello che conduceva all'area dove la Union Pacific Railway Company stava costruendo una nuova area di deposito con nuovi binari di interscambio. Era una giornata soleggiata, l'ideale per tenere gli occhiali da sole che nascondevano le profonde occhiaie e gli occhi arrossati dopo una notte trascorsa a piangere.
La donna aggirò una pila di traverse di legno ammucchiate ordinatamente, in attesa di essere messe a dimora, prima delle posa dei nuovi binari, dopo che un'agente le ebbe indicato dove dirigersi. Vide Ella, intenta a parlare con Daniel.
«Ehi, ragazzi, cosa abbiamo?» chiese Chloe.
«Buongiorno, Chloe» esordì Daniel, per poi aggrottare la fronte, guardando l'ex moglie.
«Oh, ciao, Chloe. Non aspettiamo Lucifer per i dettagli?» domandò la scienziata forense.
Sentire quel nome, così poche ore dopo che lui se n'era andato, fu un colpo al cuore. Forse avrebbe dovuto darsi malata, ma se fosse rimasta a casa, non avrebbe fatto altro che piangere senza risolvere nulla.
No, almeno a lavoro poteva rendersi utile.
«Be'... Lucifer è dovuto partire» esordì, inspirando. Aveva pensato a cosa dire durante quella notte insonne, a una storia credibile per giustificare la sua sparizione. «È andato in Florida per gestire l'impresa di famiglia.»
Ella schiuse le labbra e si accigliò. «Oh...» disse dispiaciuta. «Spero non sia successo nulla di grave...» disse, andando a sfilare il telefono cellulare dalla tasca. «Non mi ha nemmeno avvisato... maldido» bofonchiò sommessamente, rimettendo l'apparecchio nella tasca dei jeans.
«Allora, vi presento Josh Carrey, 26 anni, senzatetto» iniziò a spiegare Ella, avvicinandosi al corpo riverso a terra, vicino a uno dei binari.
«Dov'è la testa?» chiese Chloe.
«È lì» rispose Dan, indicando il capo mozzato a terra tra le due rotaie del binario.
«Josh era solito dormire qui al deposito, ha qualche precedente per scasso, perché forzava i lucchetti per poter dormire dentro i vagoni, almeno durante l'inverno. Ha anche un paio di furti sulle spalle. Sembra che l'ultimo pisolino gli sia stato fatale: un treno gli è passato sopra, mozzandogli la testa» raccontò Ella. «La morte è da fissare tra le l'una e le due di questa notte. Sto ancora cercando di individuare il convoglio responsabile» spiegò Ella.
«Sul corpo ci sono segni di colluttazione e una delle telecamere di sorveglianza del cantiere ha ripreso una persona correre via in fretta e furia. Ho richiesto un controllo delle telecamere dei dintorni e vedrò se ci sarà qualcosa di utile» intervenne Dan.
«Quindi Josh ha lottato con qualcuno, perciò questo è probabilmente un omicidio» mormorò Chloe, portando il pugno davanti alle labbra. «Abbiamo qualche altro elemento?»
«Ancora no, purtroppo. Dovrò far analizzare il povero Josh, prima» ammise Ella, per poi guardare Chloe. «Quanto resterà in Florida? Intendo Lu'»
«Per sempre» rispose la detective. «Chi ha trovato il corpo?»
«Aspetta...» disse Daniel, guardandola stupito.
«Come per sempre?» intervenne la scienziata. «Lucifer non tornerà più?»
Chloe chiuse gli occhi e inspirò, trovando, non sapeva nemmeno lei bene dove, la forza per mantenersi distaccata. «Aveva delle responsabilità a cui non poteva sottrarsi. Ella, chi ha trovato il cadavere?»
«Oh, scusa...» rispose Ella, chinando il capo, ancora scioccata da quella notizia. «Marvin O'Neil, è uno degli operai della Union Pacific incaricato di aprire il cantiere» aggiunse. «Non mi ha nemmeno salutato...» mormorò incredula, mentre gli occhi le si inumidirono.
Chloe si incamminò verso l'uomo che Ella le aveva indicato, ma la mano di Daniel l'afferrò per un braccio.
«Ehi!»
«Dan...» Non aveva voglia di parlarne, non aveva la forza di affrontare quell'argomento.
«Stai bene?» chiese l'ex, fissandola.
Lei annuì, umettandosi le labbra. «Certo.» Daniel inspirò, guardandola scettico e Chloe chinò lo sguardo, poi alzò una mano ad afferrare gli occhiali da sole e li tolse, sollevando le iridi chiare sul suo volto.
Lui si passò la mano sulle labbra, inspirando rumorosamente. «Chloe, forse dovresti prenderti il giorno libero...»
Lei scosse energicamente la testa, inforcando nuovamente gli occhiali. «No, Dan, assolutamente no. Ho bisogno di lavorare. Non impedirmelo, io ti ho supportato quando Charlotte...» Abbassò di nuovo lo sguardo, quando vide il lampo di dolore negli occhi dell'ex marito.
Daniel Espinoza si mise le mani sui fianchi, fissando il terreno, poi annuì. «D'accordo, ma se hai bisogno di qualsiasi cosa, sai che puoi contare su di me.»
Chloe sorrise debolmente, gli posò una mano sul braccio e annuì. «Grazie.»

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«Signor O'Neil, sono il detective Decker. A che ora è arrivato ad aprire il cantiere?»
L'uomo era sui quarant'anni, aveva capelli fulvi e una barba vecchia di un paio di giorni, l'incarnato rivelava che doveva passare molto tempo all'aria aperta, il volto infatti era abbronzato e presentava i segni di troppe ore passate sotto al sole della California. «Erano le cinque, alle sei iniziano ad arrivare gli operai. Sono arrivato, ho parcheggiato la mia auto vicino agli uffici» spiegò indicando il prefabbricato a un'ottantina di metri. «Ho indossato le protezioni e ho cominciato il giro di perlustrazione. Mando via i senzatetto che si infilano nel cantiere o nel vicino deposito, prima dell'arrivo dei ragazzi.»
«Conosceva Josh?»
«Chi?» chiese perplesso.
«La vittima» spiegò la donna.
L'uomo annuì.«Non di nome. Lo avevo già visto, non era la prima volta che si infilava nel cantiere.»
«Ha mai dato problemi?» domandò Chloe, graffiando con la grafite della matita il foglio di carta del taccuino.
Marvin esitò, inspirando con una lieve smorfia. «Non più di tanto, però qualche volta lui o gli altri barboni hanno spaccato la serratura dei prefabbricati e talvolta è sparito del materiale» raccontò.
«Ha visto qualcun altro?»
L'uomo annuì. «Sì, ho incrociato Lanny, uno dei due macchinisti che formano i convogli che erano di turno questa notte.»
Chloe spostò lo sguardo sui binari del deposito adiacente. «Come mai il cantiere non è separato dal deposito?»
Marvin si strinse nelle spalle. «Il terreno appartiene tutto alla Union Pacific, presumo che per loro bastasse proteggere solo il perimetro.»
La donna annuì. «Conosce i cognomi dei due macchinisti o dove posso trovarli?»
«Certo!»

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Chloe parcheggiò lungo West Elmyra Street, all'altezza del Nick's Cafè, un decadente edificio a un piano, di una decina di metri per lato, un piccolo parcheggio e una distesa esterna decisamente contenuta. Era un locale frequentato dai dipendenti della Pacific Union e Marvin aveva assicurato che Bart Cullen e Lanny Parker lo frequentavano.
Gli agenti le avevano comunicato che secondo i familiari i due erano andati al bar, quindi la detective aveva preso l'auto e si era allontanata, anche per evitare Ella. La ragazza aveva provato a telefonare a Lucifer e quando aveva scoperto che il telefono non era raggiungibile si era decisamente arrabbiata, lasciando andare a una colorita sequenza di espressioni latinoamericane. Si era risentita dal fatto che Lucifer se ne fosse andato senza nemmeno salutarla e lei non aveva la forza per dirle che non avrebbe potuto salutare nessuno. Non poteva di certo dirle che Lucifer era davvero il Diavolo e che aveva spiegato le sue candide ali ed era volato via, dritto all'Inferno, lasciandoli. Lasciandola sola.
Osservò il sedile del passeggero tristemente vuoto, il silenzio dell'abitacolo le sembrò più assordante che mai e sentì di nuovo le lacrime pizzicare dietro le palpebre. Sfilò gli occhiali e si passò il palmo della mano sinistra sugli occhi, poi afferrò il volante, sforzandosi di non cedere.
Doveva essere forte.
Ma come poteva essere forte, quando parte di quella forza era volata via?
Indossò gli occhiali, scese dal veicolo e chiuse le portiere con il telecomando, quindi si diresse lentamente verso il locale dalle pareti un tempo bianche, ma che ora erano ingrigite dallo smog. Le iridi si soffermarono un istante sul nome del locale scritto in caratteri cubitali con la vernice rossa sulla parete, prima di raggiungere la porta, scivolando poi all'interno.
Un'attempata cameriera era dietro al bancone, masticando con poco garbo una gomma da masticare. «Cosa le porto, Ma'am?»
Chloe alzò il distintivo. «LAPD, sto cercando Bart Cullen e Lanny Parker.»
La donna guardò un tavolo, dove due uomini stavano seguendo la televisione, godendosi una birra.
«Grazie» rispose Chloe, riagganciando il badge alla cintura e dirigendosi al tavolo.
«Bart Cullen e Lanny Parker?» domandò nei pressi dei due, tenendo una mano sulla cintura, in modo che il distintivo fosse ben visibile.
«Ah, ecco la polizia» commentò quello pelato con i baffi neri che seguivano la linea del pizzo, senza però unirvisi, sui trent'anni di età. «Mia moglie mi ha avvisato che mi avete cercato. Io sono Lanny Parker.»
«E io sono Bart Cullen» disse quello un poco più giovane, lunghi capelli corvini, non molto puliti, legati a coda di cavallo, un berretto blu con cucita la Q dei Rancho Cucamonga Quakes, una squadra di baseball della Minor League. «Prego, si accomodi, agente.»
«Detective» lo corresse Chloe, prendendo posto. «Volevo farvi alcune domande in merito alla morte di Josh Carrey.»
Lanny annuì. «Che storiaccia. Morire sotto un treno non lo auguro a nessuno» commentò con espressione dispiaciuta.
«Lo conoscevate?»
«Certo, si imbucava spesso nel deposito» rispose Bart.
«Lo avete visto ieri notte?»
I due si scambiarono un'occhiata, Bart scosse il capo e Lanny si rivolse a Chloe. «No, ma non è che era lì tutte le notti...»
La donna studiò i volti di entrambi per qualche istante. «Sapete se qualcuno poteva avercela con lui?»
Lanny si strinse nelle spalle. «Ma'am, quello stava sulle palle alle guardie di sicurezza e ai sovraintendenti, perché per infilarsi nel deposito faceva saltare i lucchetti o tagliava la recinzione, ma non è mica il solo senzatetto a farlo.»
«Ieri notte eravate sullo stesso locomotore?»
«No, detective. Ognuno dei noi ha delle tabelle di marcia differenti e prepariamo diversi convogli ogni notte» spiegò Bart.
«A che ora avete staccato?»
«Alle sei» rispose Lanny.
«Attacchiamo a mezzanotte e stacchiamo alle sei» gli fece eco Bart.
«Non vi siete accorti di nulla?» domandò alternando le iridi chiare sui volti dei due interlocutori.
«I binari erano sgombri, Ma'am. Se ci fosse stato uno sdraiato sopra l'avremmo visto» assicurò Bart.
«Non avete sentito nulla?»
«Niente» confermò Lanny.
Chloe spostò lo sguardo su Bart, il quale parve esitare.
L'uomo sorrise timidamente. «Durante il turno tengo le cuffie e ascolto musica...» ammise imbarazzato. «Se anche ci fossero stati dei rumori, non avrei sentito nulla...»
«Capisco. Posso avere una copia del vostro programma di lavoro?»
Bart prese il cellulare dalla tasca della giacca e aprì la galleria delle immagini. «Eccolo qua, c'è anche quello di Lanny» spiegò indicando la tabella.
Chloe guardò l'immagine. «Posso?» chiese, prendendo il telefono che Bart le lasciò. La detective inviò il file al proprio contatto e rese il telefono all'interlocutore. «Avete visto qualcuno nel deposito o nel cantiere adiacente durante il vostro turno?»
«Be' stavo per staccare quando ho incrociato Marvin» rispose Lanny.
«Già, l'ho visto pure io quando stavo movimentando i container per il porto, ma era al cantiere, stava controllando l'escavatore assieme a un tizio, penso un operaio» aggiunse Bart.
Chloe assottigliò lo sguardo e osservò il programma di lavoro sul display. «Quali sono i container per il porto?» chiese. Bart glieli indicò. «Sono i primi in lista... a che ora li ha preparati?»
«Come sono arrivato. C'ho messo un'oretta a raccoglierli tutti. Il penultimo era stoccato vicino al cantiere, è stato a quel punto che ho visto Marvin. L'ho anche salutato mentre agganciavo il vagone ma non credo se ne sia accorto.»
La donna si umettò le labbra. Prese quindi due biglietti da visita e li appoggiò sul tavolino. «Se dovesse venirvi in mente qualcosa, chiamatemi. Grazie per il vostro aiuto.» Lasciò quindi il locale e raggiunse l'auto.
Mentre saliva, le suonò il cellulare.«Decker.»
«Sono Ella, hanno trovato il vagone, o meglio i vagoni, che hanno decapitato Josh. Erano agganciati al locomotore 2109 guidato da...»
«Bart Cullen» l'anticipò Chloe.
«Ah, allora già lo sai...»
«Ho appena parlato con i due macchinisti e lui mi sembrava il più probabile» rispose Chloe. «Hai scoperto altro?»
«Josh aveva subito un brutto trauma alla testa. Probabilmente era privo di conoscenza quando è stato travolto dal convoglio. Inoltre sulla scena del delitto ci sono tracce che fanno pensare che Josh sia stato trascinato al binario, ma qualcuno ha cercato di cancellarle.»
Chloe agganciò la cintura di sicurezza e controllò lo specchietto retrovisore. «Perfetto. Torno al...» Si ammutolì, fissando la figura nello specchietto retrovisore.
Si voltò di scatto. «Lucifer!» mormorò scrutando oltre il lunotto, ma lui non c'era. Eppure era convinta di averlo visto, anche se era vestito in maniera sciatta rispetto al suo solito, era sicura fosse lui. Sganciò la cintura e scese dall'auto, per controllare meglio.
Sentì una voce in lontananza e si rese conto che non aveva ancora chiuso la comunicazione con Ella. «Sì, scusa, sto tornando al distretto» mormorò scossa, interrompendo la telefonata.

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  Ed ecco che entra in gioco anche Chloe che sgancia la bomba in merito alla partenza di Lucifer.

Grazie a tutti i lettori.
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Daniela

 

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Capitolo 4
*** Pensavo fossimo amici ***


Kamar







 

Chloe lesse le informazioni che le interessavano e aprì la porta della sala per gli interrogatori.
Seduto al tavolo c'era un ragazzo appena maggiorenne, Adam Kier, senzatetto, arrivato da appena due settimane a Los Angeles. Dan era risalito a lui grazie alle telecamere di sorveglianza e, dopo aver ottenuto il mandato, gli agenti erano riusciti a rintracciarlo mentre cercava di salire su un autobus diretto in Nevada, dopo aver rubato una borsa e il documento di viaggio contenuto in essa.
«Perché stavi scappando, Adam» chiese la donna, accomodandosi sulla sedia, dopo aver lasciato cadere la cartellina chiusa sul ripiano di metallo del tavolo.
Il ragazzo la guardò spaurito. Doveva aver pianto parecchio anche lui e sembrava sinceramente spaventato, eppure non emise fiato.
Chloe aprì la cartella, passò in rassegna i vari fogli in essa contenuti, quindi estrasse una delle foto del cadavere di Josh, mettendola sul tavolo di fronte ad Adam, il quale sbiancò e distolse lo sguardo.
«Sappiamo che eri al deposito, ieri notte, le telecamere ti hanno ripreso mentre scappavi.»
Il giovane alzò lo sguardo titubante sulla detective, per poi riportarlo su quella macabra foto. «Non ho fatto... Josh era mio amico, quando sono arrivato a L.A. non avevo più nulla... lui mi ha aiutato...» mormorò, con voce tremante, mentre le lacrime iniziarono a scendere lungo le gote sporche.
«Cos'è successo, Adam? Sei scappato dal deposito, stavi cercando di lasciare la città. Cos'hai visto?» disse con tono paziente Chloe.
«Josh mi stava facendo vedere dove dormire. Siamo arrivati al deposito dei treni e siamo passati sotto la recinzione, poi ci siamo diretti ai vagoni. Josh diceva che ce n'era uno che non spostavano ormai da due anni...» iniziò a raccontare, distogliendo lo sguardo dalla foto.
«Abbiamo tagliato per il cantiere, ma ci siamo fermati, perché c'erano due uomini che discutevano animatamente. Uno aveva una pistola e stava rimproverando all'altro di essere in ritardo, che aveva dovuto recuperare da solo la roba a causa sua...»
«Li hai visti in faccia? Di che roba parlavano?»
Adam annuì. «C'era un faro che illuminava l'area. Quello con la pistola aveva i capelli rossi, la barba, l'altro era un uomo... era... forse messicano. A un certo punto, si sono accorti che c'era qualcuno, hanno nascosto un borsone vicino a un buldozzer» disse ancora. Si interruppe, fissando senza vederlo realmente un punto del pavimento. «Non so di cosa ci fosse nella borsa.»
«Poi cos'è successo?»
Adam alzò lo sguardo su Chloe, come se la vedesse solo in quel momento. Fece una smorfia, iniziando a piangere copiosamente. «È tutta colpa mia...» singhiozzò affranto.
«Cos'è successo, Adam?»
Il ragazzo alzò le mani e si coprì il volto. «Il locomotore vicino si è messo in moto, era uno di quelli a motore e ha fatto una gran puzza di... diesel e io... io...» Boccheggiò, chinandosi sul tavolo, prendendosi la testa tra le mani. «Ho starnutito. Loro si sono accorti di noi, di quanto eravamo vicini. Siamo corsi via, con loro che ci inseguivano, poi Josh è inciampato in un binario... Io ho continuato a correre e mi sono trovato davanti un convoglio in lento movimento. Andava così piano che ci sono passato sotto e ho continuato a correre come se avessi il diavolo alle calcagna.»
Chloe contrasse la mascella sentendo nominare il Diavolo. Espirò lentamente, non poteva lasciarsi destabilizzare da una semplice parola. «Manderò un agente a raccogliere la tua deposizione. Ti tratterremo per il furto che hai commesso, così sarai al sicuro sino a quando non concluderemo l'indagine» disse, alzandosi. Prese la cartella e lasciò la stanza, dirigendosi in quella adiacente, nascosta dietro lo specchio falso.
«Il suo racconto non è molto credibile, non ha alibi...» l'accolse Dan.
«Ma quello che ha detto combacia con la testimonianza di Bart...» replicò Chloe, incrociando le braccia sotto al seno. «Ovvero Marvin O'Neil era al cantiere ben prima dell'ora in cui afferma di essere arrivato.»
Daniel fece una smorfia. «O'Neil ha detto il vero. Ho il video delle ultime 24 ore della telecamera di sorveglianza di casa sua e sua moglie conferma che è stato a casa tutta la notte.»
«Magari è uscito da una finestra e la moglie lo sta coprendo» ipotizzò Chloe giocherellando con il labbro inferiore, afferrandolo tra indice e pollice. Inspirò sconsolata. «Domani andrò a parlare con lui» decise infine, tornando a casa.

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«Grazie, Olga, buonanotte» disse, rivolta all'anziana babysitter. Chloe chiuse la porta di casa a chiave.
Beatrix era ancora alle prese con i suoi compiti, seduta sullo sgabello del bancone della cucina.
«Com'è andata a scuola, tesoro?» chiese alla figlia, avvicinandosi a lei, cingendole le spalle e posandole un bacio sulla chioma castana.
«Bene, abbiamo parlato della cacciata di Lucifer dal Paradiso e devo fare un tema su questo. Ho provato a chiamare Lucifer, sicuramente avrebbe reso il racconto meno noioso, ma non risponde al telefono» disse imbronciandosi. «Forse è arrabbiato con me?»
Per Chloe fu come ricevere un pugno alla bocca dello stomaco. Non seppe nemmeno lei, dove trovò la forza di sorridere alla bambina. «No, scimmietta, sono sicura che non è arrabbiato con te. Solo che credo sia molto impegnato e... non potrà più passare a trovarci...»
Trixie appoggiò la biro sul quaderno e si voltò a guardarla, incredula. «Cosa?»
Chloe stese le labbra, ma l'espressione che le uscì fu decisamente triste. «È dovuto partire... non ha avuto nemmeno il tempo di salutare tutti» le disse, cercando di farsi forza.
Trixie strinse le labbra, riempiendosi di rabbia. Scese dallo sgabello. «Non è giusto!» urlò. «Pensavo fossimo amici! Che fosse mio amico!» tuonò, scappando in camera, chiudendosi la porta alle spalle.
Chloe avrebbe voluto correrle dietro e consolarla, ma non ne aveva la forza. Fu costretta ad appoggiarsi al bancone e si coprì il viso con una mano, singhiozzando sommessamente. Inspirò poi a fondo, asciugandosi le lacrime, quindi si sciolse i capelli, avviandosi verso le scale. Fece la doccia e si butto nel letto, abbracciando uno dei cuscini in cerca di un poco di conforto.
Era passato un solo giorno ed era stato un vero inferno.

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La radiosveglia sul comodino segnò le tre di mattina. L'abbaiare di un cane giunse ovattato da oltre la finestra aperta, ma era così lontano che non riuscì a strappare Chloe dal sonno che era riuscito a fermare le sue lacrime.
L'ombra si mosse nella stanza, aggirando lentamente il letto, fermandosi di di fianco alla donna distesa sul materasso, scrutando quel volto pallido, dagli occhi ancora gonfi e arrossati.
Michael spostò il capo da una spalla all'altra, osservando perplesso quell'umana. Quindi quella era Chloe Decker, la donna creata da Papà per chissà quale scopo. Se c'era una cosa che aveva imparato durante la sua esistenza era che i piani di suo Padre erano così complicati, che in più di un'occasione aveva pensato che in realtà non ne avesse affatto, che lasciasse semplicemente che le cose accadessero così come venivano. Sì, qualche volta ci metteva lo zampino, inviava Amenadiel, Gabriel o qualcun altro dei suoi fratelli sulla Terra a portare un messaggio, ma con il passare dei secoli i suoi segni erano diventati sempre più impercettibili, come se ormai Papà avesse perso interesse per il genere umano.
Quindi perché prendersi la briga di creare quella donna che non sarebbe dovuta esistere? Innumerevoli coppie afflitte dalla sterilità pregavano con fermezza eppure Papà non aveva ascoltato le loro preghiere, ma si era scomodato invece per Penelope Decker, che ormai aveva perso le speranze e aveva smesso di rivolgersi a Lui.
Cos'aveva mai di così speciale?
Strinse le labbra e allungò una mano titubante, sfiorando una ciocca di capelli della donna. Gliela spostò delicatamente, prima di accarezzarne una gota con il dorso dell'indice.
«Lucifer...» mormorò la ragazza nel sonno, girandosi nel letto.
Nella stanza non vi era più nessuno a parte lei.

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Le chiavi sferragliarono nella serratura, la porta si aprì e Michael entrò nello studio. Si chiuse l'uscio alle spalle e si guardò attorno. Qualche insulso quadro alle pareti, la laurea, qualche diploma di aggiornamento, un divano, un tavolino basso, una poltrona, una scrivania e una sedia. L'ufficio di Linda Martin non sembrava nulla di particolare. Dalle veneziane filtrava la luce dei lampioni e di qualche macchina che sfidava le strade di Beverly Hills in quella notte senza luna.
L'angelo individuò l'archivio, attraversò la stanza e lo raggiunse. Provò ad aprirlo, ma era chiuso. Michael sorrise beffardo, infilò la mano sinistra nella tasca della giacca marrone e ne estrasse una piccola chiave. Aveva dovuto aspettare il momento giusto per rubarla alla dottoressa, approfittando dell'assenza di Amenadiel. Non voleva che il suo integerrimo fratellone si accorgesse della sua presenza. Non era ancora il momento.
Inserì la chiave nella serratura, aprì lo schedario, accese la lampada sulla scrivania e iniziò a passare in rassegna i nomi impressi sulle varie cartelline. Poi l'occhio cadde su quella più voluminosa di tutte. «Bene, bene, bene» mormorò soddisfatto, andando a controllare il nome. Sfilò il voluminoso plico e lo appoggiò sul tavolo, scostò la sedia e si accomodò, aprendo la cartella sulla quale era impresso il nome Lucifer Morningstar.
Sorrise divertito. «Fratello, sei sempre stato così pieno di te, ma con tutto questo materiale, mi stai proprio invitando a nozze» commentò, iniziando a leggere gli appunti a cominciare dalla prima seduta avvenuta due anni prima.
Se quello che aveva scoperto era vero, Lucifer aveva confidato alla dottoressa Martin ogni cosa. In quei fogli, doveva esserci quindi tutto il necessario per poter conoscere la vita che il suo gemello aveva vissuto in quegli anni sulla Terra.

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L'indagine prosegue, mentre Michael sfodera tutte le sue doti da creepy stalker. Grazie a chi mi ha fatto notare l'errore di uno dei capitoli precedenti. Ho corretto la parola in slang.

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Capitolo 5
*** Che pessimo nome ***


Kamar




 

Edwin mise la freccia e accostò al marciapiede. Una ragazza di diciassette anni, bionda, occhiali con la montatura scura, salì dal lato passeggero, sistemandosi sul sedile anteriore.
Lucifer rise divertito. «Uh, una giovane Linda, ma guardala che bel bocconcino» commentò dal sedile posteriore, poi la sua espressione si incupì, si aggrappò alle sedute anteriori e si sporse verso Edwin. «Zio Edwin, dimmi che non hai molestato tua nipote...» disse con tono cupo e una punta di preoccupazione nella voce.
«Cosa?» berciò quello, girandosi in parte, per poi osservare il Diavolo riflesso nello specchietto retrovisore. «Non le ho fatto nulla!» assicurò.
«Allora perché le devi chiedere scusa?» chiese Lucifer scettico, mentre spostava lo sguardo sull'edificio ospedaliero dal quale Linda era uscita.
Edwin si immise nel traffico, impegnato in una vivace conversazione telefonica, l'auricolare del cellulare ben piantato nell'orecchio.
«Proprio per non aver fatto nulla, vorrei chiederle scusa» esordì, guardando la nipote, seduta accanto a sé. Sembrava così piccola, fragile, schiacciata da un peso che pareva volerla annientare. «Mi telefonò, chiedendomi di passarla a prendere in ospedale. Io ero in zona, quindi lo feci... ma non le chiesi mai cos'avesse, però, col senno di poi... C'era qualcosa che non andava. Non disse una parola per tutto il tragitto, io mi limitai a parlare di affari al telefono, però penso che forse avesse bisogno di aiuto e io sono stato così cieco da non accorgermene...» disse rammaricato. «L'ho capito solo anni dopo, era tormentata, ma... non ho mai cercato di capire quale ne fosse la causa» mormorò preoccupato. «Con gli anni, il dubbio di non aver prestato la dovuta attenzione è cresciuto e mi ha divorato. Era solo una ragazzina di 17 anni...»
Lucifer sbuffò divertito. «Linda è una donna sorprendentemente forte, è riuscita a gestire... be'» sorrise sornione, «me» concluse, muovendo le mani a mostrare se stesso.
Edwin si fermò al semaforo e si voltò a guardarlo. «In che senso?»
Lucifer sorrise. «Oh, in molteplici sensi. Vedi, per gli esseri umani è difficile credere a me, crederci per davvero. Anche le persone di fede, per quanto io non abbia mai nascosto la mia identità, la mia natura, non ci hanno mai creduto. Almeno sino a quando non l'hanno vista» spiegò, con un velo di malinconia nello sguardo. «Linda è stata la prima umana con cui io mi sia aperto e... ho rischiato di perderla per questo. Ma lei è forte. Si è ripresa ed è diventata... un'ottima amica.»
L'uomo fissò la ragazza seduta al suo fianco, lo sguardo perso oltre al finestrino, le cuffie del walkman nelle orecchie. Il semaforo scattò, quindi Edwin premette l'acceleratore, la macchina si rimise in marcia, mentre il cambio automatico aumentava le marce. «Linda, amica del Diavolo...» commentò divertito, scuotendo il capo.
«Sembri felice...» commentò Lucifer, scrutandone il riflesso nello specchietto.
«Non dovrei? Se è tua amica, non la porterai qua, no?»
Lucifer schiuse le labbra, i denti candidi fecero capolino per un breve istante, prima che stringesse le labbra in un'espressione dura. «Non dipende da me. Io non decido chi va all'Inferno o chi va in Paradiso.»
«Cosa? E allora chi è a decidere? Dio?»
Lui sbuffò divertito. «Mio Padre non c'entra, vi ha creato, vi ha dato il libero arbitrio, e vi ha lasciato liberi di scegliere. I responsabili delle vostre scelte siete soltanto voi umani.» Si sistemò le maniche della giacca, per poi riportare lo sguardo sulle iridi riflesse di Edwin. «Siete voi che decidete se andare all'Inferno o in Paradiso, sono i vostri sensi di colpa a divorarvi o la loro assenza a elevarvi.»
Edwin mise la freccia e accostò. Linda sganciò la cintura e scese dall'auto. «Ciao, Linda, salutami i tuoi!» le disse, agitando una mano al suo indirizzo, prima di tornare a posarla sul volante. «È assurdo...»
Lucifer scosse il capo. «Non lo è. Le porte delle vostre celle non sono chiuse a chiave, ogni anima è libera di aprirle e andarsene, ma nessuna lo fa. Ogni anima tormentata non riesce a perdonare i propri errori e continua a rimuginarci sopra e a ripeterli per l'eternità» assicurò, guardandosi la mano, mentre sentì un brivido corrergli lungo la schiena, quando ricordò il calore del sangue di Uriel e il suo ultimo sussurro. Non era stata colpa sua, Uriel non gli aveva lasciato scelta. Uccidere lui o perdere Mamma o Chloe. Aveva seguito il cuore, non aveva visto nessuno dei suoi fratelli per eoni interi, il rapporto che aveva sviluppato con la detective era speciale, qualcosa a quel tempo a lui ignoto. Ora, che le aveva detto addio, capiva il perché. Non aveva mai pensato a nessun altro che se stesso e lo aveva fatto anche quel giorno: Chloe era troppo importante per perderla. Inspirò. Se solo Uriel non fosse stato così testardo...
«Sì, ok, questo ha senso... ma ci sono uomini che non hanno scrupoli di sorta. Conoscevo uno, un mio compagno del liceo, che si divertiva a picchiare i barboni. Si divertiva, capisci? Non aveva alcun rimorso, lo faceva perché gli piaceva.»
«E quando morirà, ci sarà una stanza tutta per lui quaggiù» rispose Lucifer, con espressione serafica.
«Lui è già morto. Una volta tentò di dare fuoco a un senzatetto, ma ci fu un ritorno di fiamma, la bottiglia d'alcol che aveva in mano esplose e pure lui bruciò. Morì dopo una lunga agonia in ospedale. Quando se n'è andato... ho provato sollievo. Quel tizio mi metteva a disagio...» raccontò, scuotendo il capo. «Non provava rimorso. Una volta cercai di capire perché lo facesse, di dissuaderlo, ma per lui era naturale farlo, non gli causava nessun rimorso, nessun dubbio... Era qualcosa che doveva fare.»
«Oh, Eddy, nessuno di voi è immune ai sensi di colpa. Dimmi come si chiama questo tizio: lo troverò e te lo saluterò» gli assicurò il Re dell'Inferno.
«Michael Simmons» rispose Edwin.
Lucifer arricciò un poco il naso. «Che pessimo nome...»

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«Ravekeen» mormorò Lucifer, camminando per le lugubre gole dell'Inferno, «trovami l'anima di Michael Simmons. Sulla Terra sono passati più di quarant'anni dalla sua morte, quindi sarà nostro ospite da diversi millenni oramai. È morto ustionato, mentre dava fuoco a un senzatetto» spiegò, dopo che il corvo dagli occhi azzurri era planato sulla sua spalla.
«Obbedisco» gracchiò il corvo, sbattendo le ali e allontanandosi verso il cielo plumbeo.

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Le iridi scure del Re scrutavano il proprio regno. Demoni strisciavano tra le ombre, in lontananza, cercando di sottrarsi al suo sguardo, invano. Dall'alto del suo trono, nulla poteva sfuggirgli. Lui poteva vederli e Ravekeen era le sue orecchie, riportandogli i sussurri che scivolavano sulle pareti di roccia.
Sembrava che ormai ogni velleità di ribellione fosse completamente spenta. Erano secoli che nessun demone alzava più la cresta o metteva in discussione il suo operato.
Quando era tornato, non era stato tutto così facile. La sua vacanza a Los Angeles aveva lasciato dietro di sé un forte malcontento che aveva lentamente avvelenato gli animi dei figli di Lilith, che si erano sentiti abbandonati per la seconda volta.
Lo sguardo di Lucifer colse un movimento e si focalizzò sulla macchia scura che si avvicinava rapidamente. La forma delle ali nere si delineò tra la cenere e, quando il corvo fu abbastanza vicino, compì un paio di cerchi attorno al trono, prima di planare sullo schienale e poi sul bracciolo.
«Ravekeen, era ora. Va bene che una donna dovrebbe farsi attendere, ma un mese spegnerebbe qualsiasi desiderio, persino il mio» ironizzò.
«Ne dubito, mio Re. Voi siete l'incarnazione del Desiderio, nulla potrebbe privarvene» rispose suadente.
«Solo perché non hai conosciuto i bambini umani, sono i migliori dissuasori del mondo» replicò lui, inspirando a fondo. Si ritrovò a pensare alla piccola Trixie e si stupì nel domandarsi come stesse. Inevitabilmente i ricordi andarono alla madre della giovane monella.
Lucifer sbuffò, si schiarì la voce, poi riportò lo sguardo sul corvo. «Portami da questo Michael Simmons.»
L'uccello arruffò le penne e chinò il capo. «Non è qua... L'ho cercato ovunque, ho trovato un paio di anime che lo hanno conosciuto in vita, ma lui non è qua» garantì. Si irrigidì, sentendo su di sé lo sguardo furente del proprio Signore.
«Vattene» ringhiò il Diavolo. Ravekeen non se lo fece ripetere due volte, si tuffò nel vuoto, allontanandosi rapidamente.
Lucifer distese le gambe, posando le suole cremisi sul pianale del trono, strinse i braccioli tra le dita, poi fece forza sulle braccia e si alzò in piedi. Scrollò le spalle, schiudendo le ampie ali candide. Le piume ondeggiarono, accarezzate lievemente dalla brezza, nell'attimo in cui lui si inclinò in avanti e si lasciò cadere. Spiegò le ali al massimo, l'aria calda premette sulla superficie piumata e lo sollevò verso l'alto, quindi Lucifer spostò il peso verso sinistra, iniziò a battere ritmicamente ciò che suo Padre gli aveva donato e si diresse verso il punto più luminoso del cielo, quello attorno al quale le nubi cariche di cenere ruotavano costantemente.

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Torniamo a guardare cosa accade al nostro Diavolo. Intanto ci sono già altre 11 pagine word da uploadare, per un totale di altri quattro capitoli e mezzo pronti (da ricontrollare per evitare di non collegare correttamente gli eventi).

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Capitolo 6
*** Forse so a chi chiedere aiuto ***


Kamar




Chloe chiuse l'auto col telecomando, guardando la casa di fronte a sé. Era una piccola villetta, adeguata a un piccolo nucleo familiare, in linea con il tenore economico della famiglia O'Neil.
La detective voleva parlare con la moglie di Marvin, Laura, perché c'erano delle discrepanze nei racconti dei testimoni, quindi voleva cercare di capire se la donna stesse coprendo il marito o meno.
Era quasi ora di pranzo, Chloe aveva passato la mattinata ad analizzare i file che Dan ed Ella le avevano lasciato sulla scrivania e, come si era liberata, aveva cercato la signora O'Neil, che risultava avere un piccolo negozio di merceria, ma quello era il giorno di chiusura, quindi si era diretta alla sua abitazione nella speranza di trovarla.
Salì i gradini che separavano il giardino dal piccolo portico, suonò il campanello e attese. Non ottenendo risposta, provò a bussare. «LAPD, aprite» esordì, spostandosi poi verso la finestra che si affacciava sul giardino, sbirciando oltre i vetri.
Il rumore di un'auto, che entrava nel vialetto, la fece voltare. Le iridi della donna scivolarono sulla Ford argento metallizzato, guidata da una donna. Sul sedile posteriore c'era un bambino che doveva avere la stessa età di Beatrice.
La donna tirò il freno a mano, scese dall'auto, lanciò un'occhiata verso di lei. «Buongiorno» esclamò, andando poi ad aprire la portiera posteriore, prendendo lo zainetto del bambino. «Su, vai in casa» lo esortò, avvicinandosi al portico.
«Signora O'Neil?» chiese Chloe, mostrando il distintivo, scostandosi per far passare il ragazzino che aprì la porta di casa, scomparendo all'interno. Quando la donna annuì, si presentò. «Sono il detective Chloe Decker, devo farle alcune domande in merito all'incidente che c'è stato al cantiere.»
«Certo, prego, detective, entri pure» rispose Laura, facendole strada nel piccolo ingresso. Le indicò il salotto sulla sinistra. «Mi può aspettare un secondo? Ralph non sta molto bene e sono andata a prenderlo a scuola» spiegò.
Chloe annuì e la donna si allontanò su per le scale che portavano al piano superiore. L'ufficiale si guardò attorno, studiando la stanza. La padrona di casa doveva essere un'amante dell'uncinetto, visto che c'erano centrini di cotone su ogni superficie orizzontale. Anche le tende erano realizzate con quella tecnica e sembravano fatte a mano. C'erano diverse foto di famiglia, c'era persino un grande cornice che contenva una consueta foto natalizia di chissà quanti anni prima, il ragazzino lì non pareva avere più di quattro anni. Le iridi celesti di Chloe scivolarono sulle varie cornici: ve n'erano d'argento, di legno, di plastica, di vetro e persino diverse in avoriom ognuna con una foto che ritraeva la famiglia riunita, o uno o più membri della stessa. C'era anche una foto del matrimonio, Laura era bellissima in abito bianco, di fianco al marito. Si erano sposati giovani. Poi la detective aggrottò la fronte, scrutando i volti dei vari invitati.
«Eccomi, Detective, mi scusi ancora. Come ho già detto al suo collega, mio marito è stato qui tutta la notte» assicurò.
«Ho letto che suo marito ha un fratello» esordì Chloe, prendendo la foto del matrimonio. «È questo?» chiese indicando un uomo dai capelli fulvi, di fianco allo sposo.
Laura sorrise. «Sì, quello è Dorian, il fratello di mio marito.»
«Sono gemelli... ma sui documenti risultano nati in anni diversi» disse confusa.
«Dorian è nato il 31 dicembre 1978, Marvin il primo gennaio 1979. Mio marito è sempre stato un ritardatario, ha impiegato sei ore per uscire dopo Dorian» raccontò abituata allo stupore degli interlocutori.
«Sa se Dorian è in città?» domandò.
«Che io sappia, no. L'ultima volta è stato qui a marzo... Vive in Arizona» rispose la donna.
«Ho capito, la ringrazio, signora O'Neil.»

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Mentre tornava verso il distretto, Chloe chiamò Dan. «Sono io, senti, mi devi controllare Dorian O'Neil, dovrebbe avere il domicilio in Arizona. Controlla se è a Los Angeles. Io vado a parlare con Marvin.»

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«Sto cercando Marvin O'Neill» disse Chloe, rivolgendosi a un operaio. Quello con spiccato accento messicano gli indicò il prefabbricato che ospitava gli uffici e la detective si avviò.
Bussò ed entrò. All'unica scrivania trovò un uomo di meno di trent'anni e aggrottò la fronte. «Mi scusi, cercavo il signor O'Neil, sono il detective Decker» spiegò, mostrando il distintivo attaccato alla cintura.
«Ah, è sulla gru! Venga, glielo chiamo» rispose l'uomo, alzandosi in piedi. Prese un elmetto di protezione appeso alla parete, se lo infilò, poi afferrò una ricetrasmittente appoggiata sopra la scrivania. Sorrise a Chloe. «Mi segua» disse, avviandosi verso l'esterno.
Chloe gli andò dietro, non era difficile capire dove si stesse dirigendo: c'era una sola gru nel cantiere.
«Marv, scendi» disse l'uomo alla ricetrasmittente, fermandosi ai piedi della gru. Dopo qualche istante, Marvin arrivò, scendendo i gradini di metallici della scala a pioli che collegava la cabina di controllo al suolo.
«Detective Decker, buongiorno» salutò, sfilandosi l'elmo, per detergersi il sudore dalla fronte con l'avambraccio.
«Sapeva che suo fratello Dorian è in città, signor O'Neil?» esordì Chloe, studiandone la reazione di genuino stupore che gli si disegnò sul volto.
«No, non mi ha avvisato.»
«Suo fratello aveva le chiavi del cantiere?» chiese la donna.
Marvin aggrottò la fronte e sorrise beffardo. «Certo che no, solo i responsabili hanno una copia, rischierei il posto se la facessi avere ad altri» la informò.
«Quando è stato l'ultima volta che ha visto suo fratello?» lo incalzò lei.
Marvin aggrottò la fronte e si umettò le labbra. «Aspetti, non starà mica pensando che mio fratello sua coinvolto...»
«Le domande le faccio io, signor O'Neil, risponda.»
Marvin inspirò a fondo, raccogliendo i ricordi. «A marzo.»
«Cosa avete fatto?»
L'uomo allargò un poco le braccia. «Una cena in famiglia, l'ho portato a vedere il cantiere...»
«Perché?»
Lui la guardò perplesso.
«Perché lo ha portato qui?» lo incalzò lei.
«Ero stato nominato Responsabile, ero felice, volevo che vedesse quello che avevo ottenuto dopo tanti sforzi, poi dopo siamo andati a festeggiare» rispose lui.
«Dorian ha mai avuto le chiavi in mano?» chiese ancora.
Marvin scosse il capo. «No, è stato con me tutto il tempo...» Esitò, schiudendo le labbra, rammentandosi di qualcosa.
«È sicuro?»
Marvin si portò una mano alle labbra. «Ci siamo fermati in un pub, al ritorno dal cantiere. A un certo punto mi ha chiesto le chiavi della macchina per recuperare le sigarette che aveva dimenticato ed è rimasto fuori a fumare... Cinque minuti... ma le chiavi del cantiere erano nel cruscotto.»
«Grazie» disse Chloe, congedandosi.

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«L'avete trovato?» domandò la detective, entrando nel laboratorio, dove Ella stava controllando qualcosa al microscopio e Daniel passava in rassegna alcune foto.
«Non immaginavo che un antiquario fosse così difficile da individuare» commentò Daniel, guardando alcuni tabulati.
«L'ultima volta che ha usato la carta di credito, era in un motel in Wilmington, ma ha lasciato la camera sei giorni fa. Questa è l'ultima foto che abbiamo di lui, risale al giorno dopo l'omicidio. Era a Koreatown» commentò, porgendo la stampa a Chloe.
«Sei chilometri dal luogo del delitto» rifletté, guardando la foto. «Si è rasato...» constatò la donna, confrontando l'immagine con quella dei documenti della motorizzazione. «Ella, hai qualcosa?»
«Vicino all'escavatore sono stati trovati dei mozziconi di sigaretta» rispose la scienziata. «Il DNA era quello di Marvin O'Neil...»
«Ci sono differenze tra il DNA di due gemelli?» chiese Chloe.
«Tra omozigoti no. Cambiano le impronte digitali, il timbro della voce...» rispose lei.
«Quindi a fumarle potrebbe essere stato Dorian.»
«Magari anche Marvin fuma» ipotizzò Daniel.
Chloe scosse il capo. «Non ha traccia di nicotina su indice e medio, in casa sua non c'è un solo posacenere, nemmeno sul portico esterno, dove c'è un dondolo, ma bisognerà assicurarsene. Intanto però dobbiamo trovar Dorian: idee?»
«Abbiamo un mandato e le pattuglie lo stanno cercando, ma non abbiamo riscontri, per ora» l'avvisò Dan.
Chloe si appoggiò al tavolo, tamburellando con le dita. «Forse so a chi chiedere aiuto.»

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Le indagini proseguono. Voglio ringraziare Inf4nity che ha lasciato una piccola recensione, che essendo più breve di dieci parole mi è sata recapitata tramite pm dal sistema.
Grazie anche a Kathe93 che ha messo la storia nei preferiti e a LadyOscar1620 per averla messa nelle seguite.
Grazie di cuore <3

Grazie a tutti i lettori.
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Daniela

 

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Capitolo 7
*** Botte da orbi e qualche ala lussata ***


Kamar




Il clima era torrido, la luce così forte da costringere a socchiudere gli occhi.
Lucufer oltrepassò l'anello di fuoco ruggente dal quale si generava la cenere che ricadeva sull'Inferno e il caldo aumentò ulteriormente, ma l'ambiente mutò drasticamente. Un silenzio innaturale lo circondò e ogni punto di riferimento scomparve.
Attorno a lui vi era una distesa candida che sembrava non avere fine. Non esisteva l'orizzonte, poiché non si distingueva cosa fosse cielo e cosa terra. L'aria tremolava a causa del calore così intenso che, quando Lucifer posò i piedi a terra, poté avvertirlo chiaramente attraverso le suole delle scarpe italiane.
«Hello!» salutò gioviale, sbottonando un paio di bottoni della camicia, sbuffando. «Maalik, avanti, lo so che sei qua in giro...»
Una colonna di fuoco si innalzò verso il cielo, a una cinquantina di metri di distanza e Lucifer si incamminò in quella direzione, mentre le fiamme si estinsero. Al loro posto rimase una sagoma umana, sebbene le ali dalle piume che variavano dal rosso al dorato, ricordando le fiamme. Il sesso era maschile, la pelle era nera come le colonne di basalto dell'Inferno e all'apparenza doveva avere la stessa consistenza. Sembrava una statua, se si escludevano le ali e gli occhi, che lanciavano lampi fiammeggianti, iridi d'oro fuso e sclere rosse.
Lucifer sorrise. «Maalik, che bello rivedere i tuoi sorrisi smaglianti, però dovresti fare qualcosa per questa tua nudità...» commentò, ottenendo un grugnito in risposta. «Sei consapevole che Amenadiel è più gioviale di te, vero?» aggiunse, di fronte all'espressione impassibile del fratello. «E almeno lui si veste. Non che mi dispiaccia la nudità e posso capire che qui sul perimetro dell'Inferno il caldo sia davvero... caldo. Però, insomma, così fai tanto Bronzi di Riace, anche se riconosco che sei più dotato» aggiunse con un sorriso tra il malizioso e il divertito.
Maalik era uno degli angeli che lo aveva appoggiato durante la ribellione, quindi era stato cacciato dal Paradiso a sua volta, ma la loro punizione era quella di non potersi incontrare mai. «Padre ci ha vietato di vederci. Il tuo compito è governare l'Inferno, il mio quello di sorvegliarlo!» ringhiò.
Lucifer sorrise, si sistemò il polsino e poi aggrottò la fronte. «Ma davvero? Papà mi punirà senz'altro, pensi potrebbe cacciarmi all'Inferno!?» domandò ironico, per poi ridere divertito. «Inoltre, lasciatelo dire, come guardiano lasci un po' a desiderare. La lista degli evasi che ti son passati sotto il naso è imbarazzante, fratello» commentò, posandosi l'indice della mano destra su quello della mancina. «Malcom Graham» menzionò, per poi toccare il dito medio, «Mamma» si toccò l'anulare, «e Abele...»
Maalik lo fissò duramente e si limitò a incrociare sul petto muscoloso.
«Credo il tuo impegno lasci molto a desiderare, sai?» continuò Lucifer, tendendo il braccio per dare un paio di pacche sulla testa del fratello, l'angelo più basso del Creato, non arrivava nemmeno al metro e settanta.
Il guardiano ringhiò furente, fece un passo indietro, mentre le ali si curvarono e andarono a toccarsi per un istante alle sue spalle, prima di avanzare rapidamente, creando una potente folata di vento infuocato, che respinse Lucifer di diversi metri indietro.«Ho lasciato passare anche te e l'essenza di mamma è passata due volte, se proprio vuoi fare il pignolo!»
Il Diavolo fu costretto a proteggersi con le proprie ali, sino a quando il vento non si placò e a quel punto controllò lo stato del suo completo, sollevato nel non trovare danni. «Ehi, fai attenzione. Questa è lana italiana, all'Inferno non ne fanno di completi come questi!» commentò, alzando e abbassando le mani per indicare la giacca di Armani, per rendere evidente di cosa stesse parlando. «Quindi riconosci i tuoi errori, la mia terapista direbbe che è un buon inizio!»
«Brutto...» ringhiò Maalik.
«Sicuramente non stai parlando di me» ironizzò il Diavolo, posando il mento sul dorso delle dita stese, con le punte rivolte verso la gola. «Potrei capirlo se ti stessi mostrando la mia devil face, ma questa non la si può sicuramente descrivere come brutta, credimi. Forse sei rimasto isolato un po' troppo...»
Il fratello chiuse gli occhi e si prese l'attaccatura del naso tra le dita, facendo una smorfia, sforzandosi di mantenere la calma. Inspirò a fondo, prima di tornare a guardare Lucifer. «Sei andato via per molto, molto tempo, fratello» esordì.
«Sulla Terra il tempo è volato» ammise lui.
«Mentre qui è passato l'equivalente di migliaia e migliaia di vite» rispose severo. «E due delle anime che hai menzionato sono state prese da angeli... quella di Mamma è l'unica che m'è sfuggita... e se anche l'avessi intercettata, come pensi avrei potuto fermare la Dea della Creazione?» domandò allargando le braccia.
«E comunque mentre eri via, di anime ne sono fuggite diverse decine» aggiunse cupo, stringendo i pugni lungo i fianchi.
Il sorriso scomparve dalle labbra di Lucifer. «Non dirmi che son tornate sulla Terra...»
Maalik scosse il capo. «No, io e gli Zabaniyya siamo riusciti a impedirlo, anche se ci è costato molto caro...» ammise, chinando lo sguardo.
«Botte da orbi e qualche ala lussata?» chiese Lucifer beffardo.
Le iridi dorate, cariche di astio, si posarono su di lui, spegnendo ogni vago divertimento che il Diavolo avvertiva. «Sono rimasto solo io, fratellone. Gli altri sono morti...»
Lucifer si fece attento. «Non è possibile! Erano angeli, erano nostri fratelli, siamo immortali!» protestò incredulo.
Maalik scosse il capo. «Lame forgiate all'Inferno possono uccidere anche un angelo...»
«No! Ho gettato la spada di Azrael in un'altra dimensione e Maze ha portato sulla Terra tutte le lame forgiate qua!» sbottò l'altro.
Le ali del guardiano si abbassarono sino a sfiorare con le remigranti il suolo immacolato, come se il peso della vergogna fossero un fardello troppo gravoso da sopportare. «Devono averne forgiate altre... Rimane il fatto, Lucifer, che con l'ultima battaglia sono rimasto solo. Come si riorganizzeranno, non sarò in grado di fermarli. Non possono minacciare il Paradiso...»
«Ma possono arrivare sulla Terra» mormorò sconcertato il maggiore. L'altro si limitò annuire rassegnato. Lucifer lo guardò e gli mise la mano sulla spalla. «Chi sono queste anime? Dove sono?»
«Si nascondono all'Inferno» rispose il minore, sostenendone lo sguardo.
L'altro scosse il capo, ridendo istericamente. «Oh, no, no, no! All'Inferno ci sono stato, lo sto tenendo sotto controllo, e ti assicuro che vedo tutto» replicò deciso.
Maalik lo guardò. «Sei stato assente per molto tempo Lucifer. Alcuni demoni hanno cercato assumere una sorta di leadership mentre eri via e hanno avuto millenni per prepararsi al tuo ritorno» disse, per poi avvicinare il viso a quello di Lucifer, che si era chinato su di lui. «Dromos ha scatenato una rivolta, è vero, ma forse ti sei concentrato solo su quello che saltava all'occhio. Ti giuro, non li ho lasciati passare, devono essere ancora all'Inferno.»
Le iridi di Lucifer baluginarono di rabbia. «Li troverò e stroncherò qualsiasi loro intenzione» ringhiò furente. Stava per andarsene, quando Maalik lo afferrò per un polso. Lo guardò con fastidio.
«Fa' attenzione, fratello. Non dovrebbero essere in molti, perché avranno anche ucciso 19 dei nostri fratelli e sorelle, ma ne abbiamo obliterati tanti... Abbiamo ridotto molte anime ribelli in briciole. Quelle abbiamo imparato a frantumarle... ma i demoni sono duri a morire... Ma quello che mi preoccupa di più, sono le anime dei nostri fratelli e delle nostre sorelle...»
Lucifer fece una smorfia, poi abbassò lo sguardo, quando vide la lama che Maalik gli stava porgendo. La lama era nera, fin troppo familiare, ma era più grande dei pugnali di Maze. «Bloody Hell, cos'è?»
«Un kukri forgiato all'Inferno. Dovevamo pur difenderci, così ci siamo armati. Ti ho pestato un paio di demoni per farne realizzare qualcuno» rispose Maalik.
Lucifer prese l'arma, saggiandone il bilanciamento, poi alzò lo sguardo sul fratello. «Vieni con me. Chi meglio di te può conoscere gli Zabaniyya? Se davvero le loro anime sono all'Inferno, io non ho idea di come si frantumino!»
L'altro si mostrò stupito, abbandonando l'espressione corrucciata che aveva di default. Si diceva che Papà non avesse dato la capacità a Maalik di sorridere. La sopresa durò poco, il guardiano dei cancelli dell'Inferno tornò alla sua cupa espressione. «Mi è proibito entrare nell'Inferno. Il mio posto, la mia punizione, è rimanere qui.»
Lucifer lo guardò incredulo. «Oh, ma dai! Di venti guardiani sei rimasto solo tu! Non posso farcela da solo! Non se devo combattere contro le anime dei nostri fratelli!»
Maalik fece un passo indietro e fissò il maggiore con sospetto.
«Che c'è?» domandò il Diavolo perplesso.
«Sei... cambiato» azzardò l'altro.
Lucifer alzò gli occhi al cielo. «Oh, povero me!» esalò riportando lo sguardo sul guardiano. «Sono il Diavolo, sono il cambiamento, ricordi?»
Maalik scosse appena il capo. «Lo ricordo, ma ti ho osservato per millenni e non sei cambiato... non così insomma. Quanto tempo hai passato sulla Terra?»
Lucifer si schiarì la voce, combattendo con la malinconia. «Sette anni...»
Maalik inclinò la testa verso una spalla e incrociò le braccia al petto. «Dovevi prendertela prima la vacanza. Sei maturato parecchio... Se durante la ribellione ti fossi fatto aiutare, forse avremmo vinto noi, invece ti sei fatto fregare da tuo fratello come un idiota.»
Lucifer arricciò le labbra, sapeva perfettamente a quale fratello si stava riferendo l'altro. Studiò Maalik per qualche istante. «Lo prenderò come un complimento, ma lavoraci perché è impostato in maniera terribile. Allora, andiamo?» domandò battendo le mani una volta.
Maalik scosse il capo. «Non posso. Il mio posto è qui, mi spiace.»
Un piccolo guizzo sulla gota del Diavolo ne tradì la delusione. Sbuffò divertito e sorrise. «Vuol dire che mi divertirò da solo e vendicherò i nostri fratelli» assicurò.
«Buona fortuna, fratellone, e ricorda: sei il Re dell'Inferno.»

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Torniamo a Lucifer che è andato a trovare un fratello. Maalik e gli Zabaniyya sono angeli guardiani dell'Inferno dell'islamismo. In questa religione si occupano anche di punire le anime dannate, ma visto che nella serie non è così, mi sono inventata il loro esilio di periferia, modello guardiani di una prigione di massima sicurezza.
Grazie a tutti i lettori.
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Capitolo 8
*** Non ne vedrai l'ora ***


Kamar




Michael si sentiva potente in quel luogo, anche se era consapevole fosse solo colpa della suggestione. Doveva riconoscere ai mortali che, quando si impegnavano, erano capaci di creare opere di un certo rilievo. Le iridi scure scivolarono sulla parete affrescata, dove la tinta prevalente era l'azzurro cielo.
«Non è meraviglioso?» chiese la turista al suo fianco, una corpulenta signora di San Francisco.
Michael la guardò con fastidio. Aveva volutamente ignorato quel gruppo di americani troppo pieni di colesterolo, ma trovavano comunque il modo di infastidirlo. Sospirò sconsolato. «Un vero peccato che Michelangelo sia all'Inferno.»
La donna rise gioviale. «Sciocchezze, un artista di questo calibro sarà sicuramente finito in Paradiso.»
«Se fosse arrivato in Paradiso, me ne sarei accorto» replicò lui. «No, è andato sicuramente nell'Underworld...» replicò scontento. «Quell'idiota di mio fratello riuscirebbe a rovinare chiunque, lui e i suoi stupidi favori» soffiò.
La signora aggrottò la fronte poi, pensando di trovarsi di fronte a uno squilibrato, decise di allontanarsi.
Michael tornò a concentrarsi sulla parete dietro l'altare della Cappella Sistina, inspirando a fondo. Si staccò dal gruppo di turisti con i quali era entrato e si diresse verso il cuore degli archivi del Vaticano.
«Ehi...»
L'angelo si fermò, voltandosi a guardare l'umano che gli si era rivolto a quel modo. Indossava una divisa, forse un custode. Quello gli disse qualcosa in italiano e Michael alzò gli occhi al cielo. Non potevano usare il latino? Era solo felice che Dante stesse bruciando all'Inferno, per aver codificato quella nuova lingua.
La guardia gli si rivolse finalmente in inglese. «Questa area non è aperta ai turisti, deve uscire.»
Michael sorrise. «Ah! Capisco, sono mortificato per l'errore. Mi dica, è davvero la mia presenza qui a spaventarla? È davvero questa la sua più grande paura?» domandò, fissando intensamente gli occhi del custode.
Quello schiuse le labbra, rimanendo incatenato a quegli occhi che parevano mettere a nudo la sua anima. Quello sguardo gli stava scavando dentro e l'uomo deglutì a fatica, sentendo il dolore emergergli dal petto. «Ho paura di morire... mi hanno trovato un piccolo polipo e temo di avere un tumore. Mio padre è morto dello stesso male!»
L'espressione di Michael si fece contrita. «Oh, mi dispiace, è terribile. Perdere il proprio tempo qui, costretto a badare a questi indisciplinati turisti, quando la vita potrebbe essere così breve e terminare in maniera così dolorosa, tramutandoti nell'ombra della persona che eri...» Sorrise. «Ma dovresti essere felice: quando arriverà a quel punto, non avrai più paura di morire, anzi, non ne vedrai l'ora» spiegò sorridendo.
La guardia lo fissò, fece un passo indietro, mentre sentì la paura dilagargli nel cuore. Il dolore, non aveva pensato al dolore. Suo padre aveva perso quaranta chili prima di morire, il tumore lo aveva ridotto a pelle e ossa e nemmeno la morfina riusciva a placarne la sofferenza. Scosse il capo, si voltò e iniziò ad allontanarsi. Il passo si fece sempre più svelto, sino a tramutarsi in corsa.
Michael lo guardò scomparire lungo il corridoio e scosse il capo divertito. «Umani...»
Oltrepassò una porta, trovandosi nella navata laterale di una chiesa. Iniziò a camminare sul marmo rosso del pavimento, quando udì dei passi e vide un prete in abito talare avvicinarsi. Doveva essere di recente nomina, data la giovane età. Gli si rivolse in italiano.
Perché diamine davano tutti per scontato di trovarsi davanti a qualcuno che parlava quella stupida lingua? Non era la lingua più parlata sulla Terra, potevano abbandonare quel fastidioso pregiudizio! Bei tempi, quando il latino lo parlavano tutti o quasi!
«Mi scusi, Padre» lo interruppe Michael. «Sto cercando Padre Kinley» disse in inglese, sorridendo gentilmente.
«Padre Kinley non è qui» rispose il giovane pretucolo. «Non tornerà, è stato scomunicato» spiegò.
Michael alzò le sopracciglia e si mostrò davvero dispiaciuto. «Che cosa infelice... Avevo così bisogno del suo aiuto, ma forse lei può aiutarmi. Vede, Padre Kinley mi aveva giurato di avere trovato la soluzione al problema che mi affligge. Mi disse che aveva trovato un antico libro in merito...»
Il prete annuì. «Capisco... ma non saprei come aiutarla. Penso che il libro di cui parla sia ancora negli uffici di Padre Kinley, non sono ancora stati vuotati, ma non la posso portare lì» spiegò accomodante.
Michael fece un passo avanti, sovrastando di tutta la testa il ragazzo. La luce delle candele davanti alle varie nicchie dava una strana luce allo sguardo dell'angelo. «Padre, è proprio sicuro? Non le capita mai di avere paura di essere mancante in qualcosa, di non fare mai abbastanza per servire Dio Onnipotente?»
Il giovane si perse in quegli occhi scuri che parevano trafiggerlo da una parte all'altra. «Ho...» si umettò le labbra. «Ho paura di non essere abbastanza forte, di non essere in grado di resistere alle tentazioni... di fallire... di non poterlo servire come dovrei...»
«Non è forse dovere di Santa Romana Chiesa aiutare il prossimo?» rispose Michael. «Non aiutarmi, equivale a rifiutare l'aiuto a un devoto figlio di Dio...» E sicuramente lui, in quanto angelo, era un figlio ben più vicino a Lui, che qualsiasi altro essere umano, se si escludeva Adamo, che era stato creato direttamente da suo Padre.
Il giovane prete chinò il capo, annuì. «Ha ragione... Mi segua!» lo esortò quindi, facendogli strada sino all'ufficio che un tempo era appartenuto a Padre Kinley. Era decisamente angusto, pieno di tomi polverosi. Su un tavolo c'era anche un mortaio, un alambicco e qualche fiala.
«Non voglio farle perdere altro tempo, Padre. Vada pure» mormorò l'angelo.
L'altro annuì, schiuse le labbra ma preferì tacere. Forse avrebbe dovuto dirgli di non toccare nulla, soprattutto di non prendere nulla, ma quell'uomo gli metteva ansia. Sorrise imbarazzato e lasciò la stanza.
Michael si avvicinò alla scrivania ingombra di fogli e libri sparsi in maniera disordinata. Fece una smorfia, sollevando qualche incartamento, poi sollevò le sopracciglia, adocchiando qualcosa di interessante. Spostò la sedia e si accomodò, sfilando da sotto alcuni fogli un fascicolo dove spiccava una foto di Chloe Decker a spasso per Roma in compagnia di una bambina. Lesse il fascilo, ma non conteneva nulla che già non sapesse. Aprì i cassetti. Uno era chiuso a chiave, nulla che potesse impedire a un angelo di far saltare la serratura. All'interno trovò un diario. Lo prese e iniziò a sfogliarne le pagine. Dopo quasi un'ora trovò un indizio di quello che stava cercando. Lesse il nome del libro indicato, quindi si alzò e iniziò a cercarlo sulla libreria. Non tutti avevano il titolo scritto sulla costa e fu costretto a sfilarli per leggere la copertina, alcuni dovette persino aprirli, ma non riuscì a trovare il testo che gli serviva.
«Dannazione» ringhiò. Non era in quell'ufficio. Aveva di nuovo bisogno del giovane prete. Sospirò sconsolato all'idea e si avviò verso la porta.

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Saltiamo da un gemello all'altro, ritroviamo Michael mescolato tra i turisti in visita alla Cappella Sistina, ma pare che il suo viaggio a Roma celi qualcosa.
Intanto vorrei ringraziare LadyOscar1620 per aver recensito la storia lasciando il suo feedbeck, cosa che fa enormemente piacere a ogni autore, perché abbiamo un ego.
Ho altri due capitoli pronti, ho avuto meno tempo per scrivere, devo darmi da fare :D
Grazie a tutti i lettori.
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Capitolo 9
*** Al diavolo tutto ***


Kamar




«Sei sicura che sia qui?» domandò Chloe, scrutando l'oscurità del porto che avvolgeva l'auto, interrotta da qualche lampione e qualche faro solitari. «È passata quasi una settimana, avrà già lasciato la città, se non lo stato...»
Mazikeen aveva le caviglie incrociate sopra il cruscotto. «No, è ancora a Los Angeles. Se avesse cercato di andarsene, avrebbe dovuto usare i canali ufficiali e l'avremmo pizzicato subito» rispose annoiata. «Fidati, le mie fonti mi hanno assicurato che partirà questa notte. Salirà sulla MSC Maxine, diretta a Mombasa. Che dovrebbe essere da qualche parte in Africa» aggiunse.
Chloe prese il cellulare e fece una rapida ricerca, strinse le labbra. «È una nave mercantile... I tuoi informatori sanno in che giri è invischiato?»
«Importa avorio illegalmente» rispose il demone.
La detective ricordò le diverse cornici in avorio a casa O'Neil, le pareva di aver visto anche altri soprammobili di quel raro materiale, ma non sapeva dire se fosse avorio importato legalmente o no.
Un movimento attirò lo sguardo di entrambe. Da dietro uno dei magazzini, una figura con una giacca a vento e un berretto ben calato sulle tempie era sbucato sul molo. Era solo un'ombra in mezzo alla foschia che stava arrivando dalla baia. Se si fosse comportata come suo solito, nel giro di un'ora si sarebbero ritrovati con un muro di nebbia, uno dei primi segni della fine dell'estate.
Scesero dall'auto e iniziarono a seguirlo. Quando furono abbastanza vicini, Chloe riuscì a scorgere il colore fulvo della barba dell'uomo, mentre passava sotto alla luce di uno dei fari all'ingresso di un magazzino.
«Dorian O'Neil, LAPD, fermo!» ordinò Chloe.
L'uomo voltò il capo, ma come sentì nominare il dipartimento di polizia, iniziò a correre nella direzione opposta.
Mazikeen allargò le braccia e guardò la detective incredula. «Perché li avvertite ogni volta? Volete proprio che scappino?»
«Perché c'è una procedura da seguire, se non vogliamo vederci annullare l'arresto da un giudice» rispose lei, mettendosi a correre.
La demone sorrise divertita. «Be', meglio. Mi diverte correre dietro ai questi rifiuti» disse, per poi iniziare a correre a sua volta.
«Qui è l'unità 831, ho bisogno di un paio di pattuglie al porto a controllare che nessuno salga a bordo della MSC Maxine» spiegò Chloe al telefono, continuando a correre. Non si curò della risposta, infilò il cellulare nella tasca della giacca di jeans e curvò a destra, correndo dietro al fuggitivo. Si ritrovò davanti al deposito di container del porto, un dedalo di metallo ideale per nascondersi o per un agguato.
Raggiunse una delle pareti di acciaio verniciato, vi posò contro le spalle ed estrasse la pistola dalla fondina. Rimosse la sicura e si sporse un istante oltre lo spigolo, per poi tornare a nascondersi. Provò di nuovo, stavolta scrutando la gola articiale più a lungo. Non vide alcun movimento tra ombre che i container gettavano a terra. Si infilò lungo il sentiero e avanzò a passo svelto, sino al primo incrocio. Si avvicinò al limitar della parete, tenendo la pistola con entrambe le mani, poi fece capolino tendendo l'arma verso un vicolo chiuso. Fece una smorfia e proseguì sino all'incrocio a T che trovò più avanti. Lì, la luce della gru illuminava il percorso, se si fosse buttata avanti, sarebbe stata un bersaglio facile. Se fosse andata a sinistra, avrebbe avuto la luce alle spalle, luce che era abbastanza bassa per dare noia agli occhi nel caso fosse andata a destra. Se Dorian era abbastanza disperato, avrebbe tranquillamento potuto spararle. Forse non era così esperto da tenersi la luce alle spalle, ma lui e il suo complice avevano ucciso un uomo tramortito a sangue freddo, non poteva escludere che avesse un minimo di addestramento. Tenne quindi le spalle contro la parete destra, scrutando la via a sinistra, fin dove lo sguardo riusciva ad arrivare senza sporgersi. Si umettò le labbra e si sporse puntando l'arma verso destra. La luce l'acceccò per un istante, sentì l'esplosione, il colpo impattò contro il metallo alla sua destra, rimbalzò colpendo la parete opposta. Chloe rispose al fuoco e tornò a nascondersi.
Sentiva il cuore martellarle nel petto e rimbombarle tra le orecchie. Un po' più a sinistra e il proiettile l'avrebbe colpita. Sarebbe potuta morire. Se fosse morta, forse avrebbe potuto raggiungere Lucifer. Per poco non si buttò nel corridoio, sparando all'impazzata, inseguendo quella folle idea, ma a fermarla fu il pensiero di Trixie. Non poteva abbandonare sua figlia. Strinse il calcio della pistola tra le dita, avvicinandosi nuovamente all'angolo, quando udì un clangore metallico ovattato, seguito da un gemito, un altro sparo, un urlo e poi silenzio.
Si sporse titubante, nulla accadde. Quindi si immise sul sentiero e raggiunse l'estremità del container dietro al quale trovò Mazikeen che troneggiava sul loro sospettato, il cui braccio destro era piegato in maniera innaturale. A quella vista, Chloe incassò la testa tra le spalle e provò dolore per il malcapitato, ma si avvicinò, mentre Maze giocherellava con la pistola sottratta al fulvo.
«Dorian O'Neil, la dichiaro in arresto» sentenziò Chloe, ammanettandolo nonostante i versi di dolore del ragazzo.

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Chloe raggiunse la propria scrivania e si sedette, inserendo la password per accedere al computer.
Mazikeen la seguì e si accomodò in parte sul tavolo. «Quindi abbiamo preso il cattivo, giusto?»
«Così sembra, ma dovrò prima interrogarlo, solo che lo hai conciato così male che dovrà stare in ospedale per la notte. Dovrò aspettare domani» rispose lei, iniziando a compilare il rapporto.
«Non è colpa mia, voi umani siete così fragili...» rispose la demone. Arricciò le labbra annoiata, si guardò le unghie smaltate di nero e poi guardò Chloe. «Quindi ora che fai?»
«Devo stilare il rapporto dell'operazione e poi andrò a casa.»
«Ti guardi un film con Trixie?» chiese l'altra.
Chloe scosse il capo, mentre le dita si muovevano sulla tastiera del computer come quelle di un pianista. «Sono le due passate» rispose con un sorriso divertito. «Il finesettimana lo passa con Dan» aggiunse assorta.
Maze schiuse le labbra. «Ah... vero. Quindi, ti va di andare a festeggiare, dopo che hai finito con le scartoffie?»
«Il caso non è ancora chiuso. Devo prima scoprire il movente, capire perché Josh è stato ucciso.»
«Ma abbiamo preso il killer!» replicò Maze. «Poi è ovvio che è stato ucciso perché aveva visto o sentito troppo, no?»
«Troppo riguardo cosa?» chiese Chloe, fissandola con le labbra tirate in una sorriso sarcastico.
La donna scrollò le spalle. «Non lo so, chi se ne frega!» esordì, poi sbuffò. «Dai, Chloe... Linda è presa da Charlie e ho bisogno di distrarmi» mormorò, assumendo un'espressione dura.
Lucifer era tornato all'Inferno, lasciandola lì. Eve se n'era andata, in cerca della sua strada, lasciandola lì. Finiva per restare sempre sola, tutti l'abbandonavano. Era la storia della sua vita, sin da quando era nata.
La detective ne scrutò il volto. A quelle parole, il cuore le aveva mancato un paio di battiti. «D'accordo» concesse infine.

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La musica picchiava nelle casse, le luci brillavano seguendone il ritmo.
«Potevi cambiarti» commentò Mazikeen, scendendo i gradini del Lux. Era rivestita di pelle, tutto il suo essere era un invito che poteva far fantasticare anche il più santo degli uomini.
Chloe indossava un paio di jeans, una camicetta blu e un giubetto di jeans; lo stesso outfit con il quale aveva lasciato il lavoro dopo l'operazione al porto e le mansioni d'ufficio. «Ormai il Lux starà chiudendo e tu hai insistito troppo per venire qua...» Non era contenta di quella scelta. Quel posto gli risvegliava dolorosi ricordi.
Maze si diresse al bancone, sorridendo sorniona. Fece un cenno al barman, prendendo posto sullo sgabello. «Whisky.»
«Anche a me» disse la detective sedendosi accanto a lei.
Il barista preparò i due bicchieri davanti a loro e li riempì. Mazikeen sorbì il proprio lentamente, poi si voltò a guardare Chloe. «Dobbiamo ballare!»
Lei scosse il capo. «No, mi spiace, io proprio...»
«Dai! Dobbiamo festeggiare, non puoi essere sempre così... Chloe, lasciatelo dire: sei penosa. Si vede che piangi di notte, per cosa? Per un uomo che se n'è andato? Tsk! Vuoi continuarti a struggerti? Ascolta me, al diavolo tutto! Noi siamo qua, noi abbiamo diritto di divertirci» ringhiò, svuotò il bicchiere e ancheggiando si diresse verso la pista da ballo.
Le parole della demone erano state una coltellata, Chloe era sul punto di rimettersi a piangere. Chiuse gli occhi, posando la fronte contro il dorso della mano che sosteneva il bicchiere. L'odore dell'alcolico le invadeva le narici.
«Chloe?»
La voce di Amenadiel la prese di sorpresa. Sollevò lo sguardo e l'osservò per un istante. «Oh, Amenadiel, ciao...» disse, sorridendo. Alzò le sopracciglia stupita e ammirata. «Accidenti, come sei elegante...»
Amenadiel indossava un completo d'alta sartoria grigio, un gilet scuro, probabilmente nero o blu, ma all'interno del locale non si capiva bene, una camicia bianca e una cravatta intonata con il gilet. «Grazie» rispose lui, sedendosi al fianco dell'amica. «Non ti ho più visto, mi stavo preoccupando e pensavo di venirti a trovare.»
Lei scosse il capo, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio con una mano. «Va tutto bene, non preoccuparti. Mi sono tuffata nel lavoro...» rispose.
Amenadiel la guardò con quell'intensità che solo lui possedeva. Lucifer era magnetico, mentre il fratello era... sembrava lo sguardo di Dio, pieno di amore e comprensione.
Chloe si schiarì la voce e finì il proprio drink. «Quindi, ora il Lux lo gestisci tu?»
L'angelo portò le iridi scure sulle persone che ballavano, sorrise. «Mi sembrava l'unica cosa giusta da fare. Non voglio che tutto quello di buono, che mio fratello ha fatto, vada sprecato.»
Lei annuì, dando le spalle al bancone. Era giusto, Lucifer teneva così tanto a quel posto. Ricordava con quanta tenacia aveva lottato per non farlo demolire, meno di due anni prima. «È giusto... sarebbe un peccato che il Lux chiudesse...» ammise con voce malinconica. Non riuscì a nascondere l'emozione nel tono di quelle parole.
Amenadiel riportò lo sguardo su di lei. «Ti rialzerai, Chloe. Sei una donna forte, hai tutta la vita davanti...»
Lei puntò le iridi lucide nelle sue. «Mi ha lasciato. L'ho supplicato di non andare, ma è andato via lo stesso» disse, con la voce rotta. Strinse le labbra, chiuse gli occhi e inspirò a fondo. «E ogni giorno mi dico che è l'unica cosa che poteva fare, che dovrei essergli grata...» Inspirò di nuovo e appoggiò il bicchiere vuoto sul bancone. «Ma non ci riesco. Penso solo a tutto il tempo che gli ho taciuto i miei sentimenti... se non ne fossi stata così spaventata, Eve non avrebbe spinto Lucifer nella direzione sbagliata, i demoni non sarebbero venuti sulla Terra e non avrebbero rapito Charlie...» disse, asciugandosi il viso con le dita, recuperando il contegno. «È colpa mia se se n'è andato...»
Amenadiel le mise una mano sulla spalla. «Non è colpa tua, Chloe. Fa male anche a me sapere che mio fratello è tornato in quel luogo a scontare la sua punizione... Punizione che ora non trovo più giusta. Lucifer è cambiato, non merita più di stare là... Ma sono così orgoglioso di quello che ha fatto» asserì con quella voce angelica che rasserenava i cuori.
La donna scese dallo sgabello, sottraendosi al suo tocco. «Non voglio parlarne. Non voglio pensarci. Vorrei dimenticare tutto, Amenadiel. Mazikeen ha ragione, devo festeggiare e lasciar perdere il resto...»
«Ascoltami, Chloe. So quello che stai passando, ma non puoi tenerti tutto dentro. Parlane con Linda...» le disse preoccupato.
Chloe deglutì, inspirò a fondo e scrollò le spalle. «Ho cose più importanti...» mormorò, dirigendosi verso la pista da ballo. Si affiancò a Maze e iniziò a danzare, lasciando che i bassi delle casse le vibrassero nel petto, nella testa, sino ad allontanare i pensieri. Prese uno shot da uno dei vassoi di una cameriera che passava vicino e bevve. Non voleva pensare, non voleva ricordare.

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Sembra che il caso sia chiuso e Chloe, per non farsi travolgere dai ricordi, si avvia lungo la strada di alcol e balli nella quale l'abbiamo trovata nel primo episodio della quinta stagione. Ottundere la mente per dimenticare pare essere la sua aspirazione.
Grazie a tutti i lettori.
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Daniela

 

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Capitolo 10
*** Quel muro di sarcasmo e ironia ***


Kamar




«Non riesco a trovare le chiavi dell'ufficio.» La voce di Linda giunse ovattata dal salotto.
Amenadiel stava dando il biberon al piccolo Charlie e alzò lo sguardo verso l'arco che separava i due ambienti. «Devi andare a lavoro?» chiese perplesso.
«No, solo che non riesco a trovarle.»
«Le avrai appoggiate dove non le metti di solito. Per questo non riesci a trovarle» ipotizzò l'angelo, cullando il figlioletto.
Linda entrò in cucina, con la vestaglia a coprirne il corpo ancora testimone della recente gravidanza. «Probabilmente è così...» mormorò nervosa. Odiava quando capitavano simili contrattempi. Era andata nello studio per cercare alcuni documenti che doveva inoltrare al comune per poter mandare avanti le consuete pratiche che ogni madre doveva far registrare all'arrivo di un figlio e si era accorta che le chiavi dell'ufficio a Beverly Hills non erano al loro posto. Aveva avuto così tanto da fare, prima dell'arrivo di Charlie, che probabilmente le aveva appoggiate da qualche parte e ora non si ricordava dove. Aprì il frigo, prese la bottiglia del latte e si riempì una tazza, per poi riporre la bottiglia nel frigorifero. Si sedette al tavolo, fissando con nostalgia la tazza di Amenadiel.
«Cosa non darei per un po' di caffè...» mormorò, bevendo un sorso di latte.
«Non puoi berlo?» domandò perplesso l'angelo.
«Mmm» mugugnò lei, deglutendo il sorso, poi le leccò il labbro superiore. «Non vorrei che la caffeina finisca nel latte di Charlie...» spiegò.
«Credo che qualche strappo potresti farlo. Hai sentito il medico?»
Lei fece una smorfia. «Lo sai che sono...»
Amenadiel sorrise. «Iperprotettiva?»
La donna arricciò il naso. «Giusto un pochino» commentò, sbuffando divertita.
«Non me n'ero assolutamente accorto!» scherzò lui, mettendo il biberon vuoto sul bancone della penisola, per poi appoggiare Charlie sulla spalla e dargli qualche lieve colpetto sulla schiena, sino a quando il neonato non fece un ruttino. A quel punto lo sistemò sulla sdraietta a dondolo che ormai dominava il tavolo della cucina. «Hai per caso sentito Chloe?» chiese con voce sommessa, per non disturbare il piccolo che, dopo il pasto, stava per addormentarsi.
«No, perché?»
«Ieri è venuta al Lux, in compagnia di Maze...» esordì lui.
«Al Lux? Non me l'aspettavo» disse lei stupita.
«Perché?» domandò Amenadiel andando a sedersi vicino a lei.
«Il Lux era la casa di Lucifer e Chloe era molto legata a lui. Molte persone non riescono a frequentare luoghi così pieni di ricordi dopo una separazione dolorosa come deve essere stata questa» mormorò, senza nascondere la tristezza nella voce. In fondo, Lucifer era anche suo amico, le era affezionata e non aveva avuto modo di salutarlo ma soprattutto di ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto per suo figlio.
«Lucifer non è morto» provò a sdrammatizzare l'angelo.
«Per te è diverso. A te basta aprire le ali per volare da lui, se solo lo volessi. Mi domando perché tu non lo faccia...» mormorò. «Per Chloe, per me, per Maze è diverso, non abbiamo ali per fare avanti e indietro dall'Inferno. E se anche fosse possibile... con questa sorta di...» di umettò le labbra, cercando la metafora adatta, qualcosa per esprimere quel concetto, «fuso demoniaco è tutto più complicato!»
«Non posso portare un umano vivo all'Inferno» sottolineò l'altro.
Lei agitò una mano a mezz'aria. «Appunto! Lucifer se n'è andato, sono sconvolta io che non l'ho nemmeno salutato o ringraziato, Chloe deve stare passando qualcosa di peggio. Il loro rapporto era speciale, particolare e ora è finito. Kaput!» spiegò agitata. «Non era un rapporto semplice, ma sembrava finalmente arrivato a un punto di svolta... eppure Chloe si è trovata davanti a un muro» mormorò, bevendo ancora un poco di latte. «Anche per Lucifer non deve essere facile. Stava finalmente iniziando a tirare fuori le emozioni più profonde, quelle che ha sempre nascosto dietro a quel muro di sarcasmo e ironia per tenere fuori gli altri...»
Amenadiel aggrottò la fronte. «Tenere fuori gli altri? Lucifer?» Il tono era decisamente sarcastico, visto la promiscuità del fratello.
Lei annuì, mandando giù l'ennesimo sorso. «Era una difesa, Amenadiel. Lucifer è incapace di relazionarsi con i suoi veri sentimenti, non ha fatto altro che seppellirli per... eoni! Finalmente aveva iniziato a grattare la superficie, ad abbassare un poco quelle gigantesche mura che si era costruito attorno. Metaforicamente parlando» sottolineò, guardando l'espressione assorta di Amenadiel.
«Forse dovresti parlare con Chloe» propose l'angelo.
Lei scosse il capo. «Deve essere lei a cercare qualcuno con cui parlare. Deve superare questo periodo con le sue forze. È una donna equilibrata, lo supererà, ne sono certa... ma ha bisogno dei suoi tempi e dei suoi spazi. Se la incontri, comportati normalmente.»
Lui alzò le sopracciglia, ragionando su quelle parole, poi sospirò. «Sei tu la psicologa...» concluse.

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«Dorian O'Neil, sono il detective Chloe Decker. Mi sto occupando del caso relativo alla morte di Josh Carrey» la solita frase introduttiva, solo che il luogo era insolito. Il sospettato aveva subito un trauma cranico, oltre alla frattura dell'omero, quindi era ancora ricoverato sotto osservazione, piantonato da un agente all'ingresso della stanza.
L'uomo aprì gli occhi, verdi come quelli del gemello, e fissò la donna, la quale non poté fare a meno di deglutire impercettibilmente.
Gemelli. Non le era mai capitato di incontrarne una coppia e la cosa la disturbava, o forse era più l'idea che uno dei due avesse usato la somiglianza con il fratello per avere dei vantaggi e, peggio, l'avesse sfruttato e ingannato per il proprio tornaconto.
Chloe si schiarì la voce e aprì il proprio block notes. «Abbiamo rintracciato i suoi conti, anche i tre all'estero. Abbiamo le prove che importava illegalmente avorio. Abbiamo abbastanza materiale per incriminarla e farle scontare molti anni di prigione. Abbiamo anche una testimonianza che la colloca sul luogo della morte di Josh Carrey all'ora in cui è stato ucciso, presenza confermata anche dal suo DNA rinvenuto sul luogo del crimine. Se ci mettiamo anche che avrebbe potuto uccidermi, rischia l'ergastolo, Dorian. Se ci aiutasse a determinare con esattezza i fatti, potrebbe ottenere uno sconto di pena.»
Lui si umettò le labbra, quello inferiore era ancora gonfio e tumefatto, proprio nel punto nel quale Mazikeen glielo aveva spaccato. «Ho importato l'avorio, è vero, ma non ho ucciso nessuno...» esordì con voce roca. «Lo stavo inseguendo, poi quello è caduto a terra e sono corso dietro a un ragazzo che era con quell'uomo. Non so cosa aveva visto, non potevo rischiare...»
«Voleva uccidere anche lui?»
«No!» rispose senza esitazione Dorian. «Senta, io non ero solo. Io mi occupo di far entrare l'avorio e consegnarlo a chi lo piazza poi sul mercato nero. Quella sera mi ero incontrato con Pedro Hernandez, lui è arrivato dannatamente in ritardo. È stato lui a mettere quel poveretto sui binari mentre il convoglio si muoveva, quando me ne sono accorto, sono corso indietro per fermarlo, ma era troppo tardi» confessò con una smorfia, ricordando lo spettacolo che gli si era parato davanti agli occhi.
«Perché stava minacciando Pedro con una pistola?» chiese Chloe.
«Come le ho detto, era in ritardo. Più tempo rimanevo in quel posto, più c'era rischio che qualcuno potesse vedermi... Doveva essere uno scambio veloce, lo avevo già fatto diverse volte e non c'erano mai stati problemi» assicurò.
«Può darmi qualche dettaglio, per determinare la genuinità della sua storia?»
Dorian chiuse gli occhi, strinse le labbra in una smorfia. «Quell'uomo... Josh...» Esitò. Era tutto così difficile ora che quel poveretto aveva un nome. «Josh stava correndo diversi metri davanti a me. È caduto a terra e l'ho visto mugugnare a terra, quindi ho proseguito dietro all'altra persona che era con lui, lasciando Josh a Pedro. C'era un convoglio che si muoveva, ma era così lento che quello che correva si è chinato e c'è passato sotto. Ho esitato, ma dovevo fermarlo e l'ho seguito. Mentre passavo oltre, mentre ero ancora chinato, ho visto Pedro trascinare... Josh fino al convoglio e metterlo sulla rotaia. Non sono riuscito a fermarlo» disse, piangendo. «Sono ripassato sotto ai vagoni, ma era troppo tardi. Il treno è passato sopra il collo di quel poveretto, il sangue è schizzato addosso a Pedro. Mi ha chiesto dov'era l'altro ma ero così scioccato da non riuscire a rispondergli. Lui si è guardato attorno, s'è tolto la giacca e l'ha usata per pulirsi il viso, poi ha preso il borsone con l'avorio e se n'è andato. Sono scappato anche io... Ce ne siamo andati via divisi» assicurò.
Chloe lo fissò annuando. «Un'ultima domanda: perché? Perché mettersi a trafficare avorio? Lo ha fatto per denaro?»
Lui scosse il capo. «Sono sempre stato la pecora nera... Anche quando ho studiato arte per fare il restauratore e poi sono diventato antiquario, nessuno mi ha mai preso sul serio» disse con uno sbuffo. «La mia è una famiglia dove tutti hanno la testa sulle spalle mentre io...» scosse il capo. «Io non mi sono sposato perché viaggiavo spesso per lavoro e per i miei era un punto di demerito anche quello. Un giorno, mentre ero a Zanzibar per l'ennesimo viaggio di lavoro, mi si avvicina uno e senza troppi giri di parole mi ordina di portare dell'avorio negli USA. Quando ho detto no, ha messo sul tavolo una foto di Marvin e la sua famiglia e una della sua casa. Disse che se non lo facevo, li avrebbero uccisi tutti, che lo avrebbero fatto anche se fossi andato alla polizia...» disse, puntando le iridi in quelle di Chloe. «Lei cosa avrebbe fatto?»
Il ricordo di quando Malcom aveva rapito Trixie riaffiorò nella mente della detective. Aveva rubato un borsone con il denaro sequestrato durante la fuga di Malcom, si era recata da sola a incontrarlo, sapendo che era una trappola, ma doveva farlo per salvare sua figlia. Quel giorno Lucifer era quasi morto. Deglutì.
«Non lo so» rispose.

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Il cerchio pare che si stia chiudendo!
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Capitolo 11
*** Tutti assieme appassionatamente ***


Kamar




Aveva sorvolato l'Inferno più volte, aveva percorso i suoi lugubri corridoi sino a consumarsi le scarpe, eppure non aveva trovato un solo indizio che lo portasse ai rivoltosi dei quali suo fratello aveva parlato.
La cosa stava iniziando a diventare noiosa, ma se aveva passato del tempo fermo in un'auto senza fare sesso, poteva sopportare anche quello. Era chiaro che a quel punto degli eventi fosse necessario approcciarsi al problema in maniera più discreta, come avrebbe fatto lei.
Lucifer sospirò al ricordo. Quanto tempo era passato sulla Terra? Magari lei aveva ripreso la sua vita come sempre, occupandosi della piccola parassita che non contribuiva all'affitto, il detective Douche le avrebbe coperto le spalle. Sicuramente al distretto le avevano già assegnato un nuovo partner che la proteggesse, non che lei ne avesse bisogno, ma lui preferiva pensare fosse al sicuro. Se le fosse accaduto qualcosa, se lei fosse morta...
Si accarezzò le labbra, meditabondo a quel pensiero, e alzò lo sguardo alle nubi vorticanti sopra la sua testa. Lui era stato bandito dal Paradiso, non l'avrebbe mai rivista, ma avrebbe preferito così, piuttosto che vederla all'Inferno, dove sarebbe stato costretto a torturarla e no, quello non l'avrebbe sopportato.
Chloe era fastidiosamente buona e altruista, non sarebbe potuta finire all'Inferno, ma era anche fastidiosamente umana, aveva fatto degli errori, ma li aveva fatti a fin di bene, era pronta a sacrificarsi per la piccola umana, sottrarre prove non ne avrebbe intaccato la morale e l'etica, non l'avrebbe fatta finire lì.
Un movimento attirò il suo sguardo. Il Diavolo sorrise. Sino a quel momento si era sempre comportato a modo suo, ovvero palesando tutto il suo potere per tenere buoni i suoi sudditi, ma era chiaro che non fosse l'approccio adeguato. Era ora di mettere lanciare la propria esca.

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Il demone si muoveva furtivo, cercando di tenersi nascosto alla vista dell'alto trono del Signore Oscuro. Si guardò attorno circospetto, per poi aprire la porta di una delle celle e scivolare al suo interno. Non si accorse delle iridi di zaffiro che lo fissavano gelidamente.
Il corvo planò silenziosamente, atterrando davanti a quella porta, riassunse le sue sembianze umane e, dopo aver controllato di non essere osservata, entrò a sua volta.
I contorni della realtà sfumarono, assumendo un altro aspetto e Ravekeen si ritrovò in un parco, circondato da edifici. Una grossa insegna sul lato del viale riportava il nome del luogo: University of Southern California.
Ravekeen aveva torturato abbastanza umani per sapere cosa significasse un luogo simile. Mutò il suo aspetto, per assomigliare a una studentessa che aveva interpretato in passato in un altro loop infernale e attraversò il campus. Sotto a un grande albero diversi demoni stavano inveendo contro un'anima dannata.
La demone entrò in uno degli edifici e percorse il corridoio, incrociò un paio di studenti che limonavano davanti agli armadietti. Stupidi demoni lavativi che si divertivano invece che tormentare le anime. «Datevi una regolata» ringhiò con disprezzo. Fece una smorfia ed entrò nell'aula, una stanza imponente con una cinquantina di studenti seduti nell'emiciclo e diversi professori sul palco in fondo, che facevano lezione di fronte alla lavagna. Uno di loro però era vestito in maniera differente, sembrava uno studente, che si stava divertendo accendendo e spegnendo uno zippo.
La porta alle spalle di Ravekeen si aprì; evidentemente i due lavativi si erano decisi a fare qualcosa di utile.
«Le nostre ferite si sono ormai rimarginate, ancora qualche giorno e ci muoveremo» disse uno dei professori.
Uno studente alzò la mano per porre una domanda. «Lucifer è tornato, non sarà un problema?»
«Ne parleremo a tempo debito» rispose il professore.
«Ah!» un'esclamazione alle spalle di Ravekeen attirò lo sguardo degli insegnanti e di diversi studenti, che si alzarono. La demone stessa si voltò, trovandosi Lucifer alle spalle, vestito come uno studente... come lo studente che limonava nei corridoi.
«Io vorrei proprio sapere la risposta, in realtà e credo che sia il momento adatto per spiegare...» esordì il Diavolo, continuando a scendere le scale. Additò il piromane in erba, sorridendo estatico. «Michael Simmons, presumo!»
Il ragazzo si era alzato e guardava confuso gli insegnanti accanto a sé, incerto su cosa fare.
«Non essere timido! Sei una specie di un unicorno, un'anima dannata che nonostante sia all'Inferno non sta venendo punita come si deve, anzi!» esclamò Lucifer, guardando i professori. «Credo mi dobbiate spiegare diverse cose...» disse, assumendo tono cupo e un'espressione mortalmente seria. «Asmodeus» aggiunse, mentre un ghigno sarcastico gli si disegno sulle labbra. «Magari vuoi illuminarmi?»
A partire dal nominato, i demoni assunsero il loro aspetto originale, umanoide, eppure mostruoso, qualcuno con le carni marcescenti che lasciavano vedere le ossa, altri simili a corpi mummificati. Asmodeus era differente, biondo, avvenente, indossava un completo due pezzi color sabbia, con camicia nera. Peccato per gli occhi con la pupilla orizzontale come quelle delle capre e i denti affilati come rasoi, ma fortunatamente in quel momento non stava sorridendo.
Il povero Michael Simmons non era evidentemente preparato a quella carrellata di orrori e iniziò a urlare di puro terrore, finché a un cenno della mano di Asmodeus, due demoni non lo trascinarono via.
Asmodeus era chiaramente il leader di quel gruppo di demoni. Avanzò verso Lucifer, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni di velluto. Sorrise, scoprendo la dentatura ferina. «Mio Signore, è bello riaverti qui» esordì, chinando il busto in avanti in segno di rispetto.
Lucifer si voltò di scatto, fermando la mano armata di Ravekeen, prima che la lama demoniaca gli affondasse nel collo. Con un movimento rapido e aggraziato della mancina, afferrò il pollice dalla demone, le torse il polso con la mano destra, strappandole un gemito di dolore e l'arma, per poi far roteare il pugnale in mano, dopo aver infilato l'indice destro nell'anello all'estremità dell'impugnatura.
«Sembra che l'esempio di Dromos non sia stata una lezione sufficiente» disse Lucifer, fissando severamente Asmodeus. «Sono stato paziente, Ass-modeus...» disse con un ghigno furente sulle labbra.
Il demone inclinò la testa verso la spalla sinistra e strinse le labbra in un'espressione mortificata. «Tu, paziente? Tu ci hai abbandonato, noi eravamo la tua famiglia e poi sei tornato... per cosa? Forse perché ti preoccupava di queste anime dannate? O di noi?» Scosse il capo. «La tua unica preoccupazione è stata proteggere la Terra. Persino quell'idiota di Dromos alla fine ha capito che non eri più degno di guidarci... Perché, da quello che si dice, il primo angelo caduto sembra che ora abbia a cuore una mortale» commentò il demone, per poi fare fissare Lucifer con disprezzo. «Non c'è posto per i teneri di cuore qui all'Inferno, non c'è più posto per te.»
Un movimento sul limitare del campo visivo attirò l'attenzione del Re dell'Inferno, il quale si volse di scatto ma non vide nulla. Una risata argentina, fanciullesca, gli fece salire i brividi lungo la schiena. Si girò in cerca della fonte di quel suono, ma i suoi occhi non incontrarono nulla, però si accorsero dei demoni che stavano fuggendo dalla porta dove era scomparsa anche l'anima di Michael Simmons.
Stava per partire all'inseguimento, quando sentì chiaramente una vocetta infantile.
«Fratellone...»
Il timbro era così simile a quello della progenie di Chloe, ma Lucifer sapeva che non si trattava di Trixie. Si voltò e lo vide, un bambino di non più di dodici anni, i biondi capelli a caschetto, splendevano come il grano maturo, mentre gli occhi azzurri erano gelidi come i ghiacciai alpini.
Indossava una camicia bianca e il lederhose, ovvero i pantaloncini in pelle della tradizione bavarese.
Una serie di spostamenti d'aria lo avvisò dell'arrivo degli altri. Le iridi di Lucifer si mossero rapidamente attorno a sé, individuando tutte e diciannove le figure, dieci bambine, nove bambini, tutti attorno ai dodici anni e i maschi con i lederhosen e le femmine con il dirndl, il classico abito femminile bavarese con grembiule.
Il Diavolo sorrise. «Fratellini e sorelline... Sembrate pronti per il remake di Tutti assieme appassionatamente...» esordì Lucifer, adocchiando qualsiasi via di fuga.
Prima della sua ribellione, gli Zabanyya erano i gemelli più pestiferi di tutto il Paradiso. Lui era sempre stato convinto che Papà e Mamma si fossero distratti mentre li creavano o, forse, crearne 19 contemporaneamente non era stata una grande idea nemmeno per Dio e la suprema Dea. Erano dei monelli ingrati e disubbidienti e non ascoltavano nessuno, a parte Maalik. Ancora nessuno si spiegava come quei ragazzacci inclini al riso avessero fatto a legare così tanto con il musone del Paradiso ma, se era vero che gli opposti si attraggono, il legame che c'era tra loro e suo fratello Maalik ne era la dimostrazione perfetta.
Con movimenti sincronizzati, gli zabanyya estrassero i pugnali, 19 lame arcuate, forgiate all'Inferno che avrebbero potuto uccidere angeli o demoni senza alcun problema.
Lucifer sorrise. «Oh, avanti, voi dovreste sorvegliare l'Inferno. Fatemi passare...» disse con poca convinzione. Percepì il movimento alle proprie spalle e per un soffio riuscì a parare e deviare la lama di una delle ragazzine.
«Già, dovremmo sorvegliare il perimetro, mentre tu avresti dovuto sedere sul trono» sibilò lei.
«Sono tornato» disse serio. Un altro spostamento d'aria. Spalancò le proprie ali e si alzò in volo, evitando per un soffio due fendenti, portato da altre due di quelle piccole pesti. Compì una rotazione e atterrò su uno dei banchi dell'emiciclo. Si mise rapidamente in posizione di difesa, portando lo sguardo sui bambini.
Stavano ridendo.
Giocavano con lui come il gatto con il topo. Erano stati gli angeli più veloci, avevano dato parecchio da fare ai soldati fedeli a Papà quando erano insorti.
«Sei tornato» commentò una voce alle sue spalle.
Lucifer si voltò di scatto, deglutendo nel trovarsi uno dei fratelli così vicino.
«Troppo tardi!» commentò quello, sorridendo, prima di cercare di colpirlo con un montante del pugnale.
Il Diavolo deviò la lama con la propria, poi d'istinto cercò di contrattaccare, ma il ricordo di Uriel lo frenò. Non poteva uccidere un altro dei propri fratelli. La punta del pugnale demoniaco si fermò vicinissima alla gola dello zabanyya. «Non voglio farvi del male» disse accorato.
Diversi battiti d'ali, gli altri diciotto bambini avevano schiuso le loro ali e stavano volando all'impazzata. Lucifer faceva fatica a seguirli con lo sguardo. D'un tratto venne colpito alle spalle, con una violenza, cadde in avanti, travolgendo il fratellino, conficcandogli la lama nella gola.
«No!» esclamò sconvolto, mentre il corpicino sotto di lui si dissolse. Aggrottò la fronte, mentre gli zabanyya di fermavano.
Quello che aveva appena ucciso era davanti a lui, illeso.
Il Diavolo lo guardò incredulo.
«Stupito?» chiese quello. «Te l'ho detto: è troppo tardi. Siamo morti. Non ci puoi uccidere con quella lama, ma noi possiamo uccidere te. Ti abbiamo seguito nella tua guerra, Samael, siamo venuti all'Inferno con te e tu? Tu ci hai abbandonato per cosa? Perché eri stanco? Pensi che noi non lo fossimo? Credi che sorvegliare il perimetro fosse divertente? Ti abbiamo seguito perché la Ribellione sembrava un gioco divertente!»
Attaccarono in quattro, contemporaneamente. Lucifer schivò due lame, ne deviò una terza, mentre la quarta gli lacerò la giacca. Guardò il taglio nella stoffa, sorprendendosi che non fosse arrivato alla carne.
«Basta giocare» disse una delle sorelline.
«No, divertiamoci ancora un poco» rispose uno dei fratelli. Le lame demoniache vennero piantate all'unisono su banchi, poi gli Zabanyya aprirono contemporaneamente le loro ali brune.
Seguì una tempesta di colpi. Lucifer riuscì a schivarne qualcuno, pararne qualcun altro, ma erano troppi. Si ritrovò a terra, ogni movimento gli provocava dolore e sentiva in bocca il sapore ferroso del sangue. Tossendo, si girò su un fianco, poi sull'addome e si mise in ginocchio, osservando quelle piccole, letali pesti. Loro erano il motivo per cui lui odiava i bambini.
Ragazzi e ragazze tornarono a brandire i pugnali. Si erano stancati di giocare con lui, non riuscivano mai a focalizzare l'attenzione troppo a lungo su un'unica cosa. Ecco, doveva riconoscere che un po' ci si rivedeva.
Si umettò le labbra. Non poteva fermare diciannove lame contemporaneamente. «Maalik, dannazione, te l'avevo detto che avevo bisogno di te...» ringhiò alzandosi in piedi, tastandosi il labbro spaccato con i polpastrelli.
Un momento. Maalik gli aveva detto di ricordare. Lui era il Re dell'Inferno.»
I diciannove monelli scattarono verso di lui, per porre fine a quel gioco.


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Vi lascio con il cliffhanger e una brutta notizia: non ho altri capitoli pronti. Mannaggia, ho dovuto far delle commissioni che non mi hanno lasciato tempo di scrivere. Ho solo una misera paginetta pronta... Vedrò di darmi da fare e spero di poter postare con regolarità.
A questo giro voglio ringraziare Inf4nity, per aver messo la storia tra le preferite.
Grazie a tutti i lettori.
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Daniela

 

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Capitolo 12
*** Padre è un manipolatore ***


Kamar




Aveva scoperto la grappa italiana e non la trovava male.
Michael era seduto alla scrivania, mentre due pretucoli lavoravano alacremente con gli alambicchi, seguendo il complicato procedimento che serviva a distillare il liquido della purificazione. La ricetta era menzionata su alcuni rotoli del Mar Morto e affondava le sue radici nell'antica Babilonia.
Gli umani pensavano che fosse un portento divino per esorcizzare il Demonio, ma quando gli avevano tradotto i passi delle pergamene, l'angelo aveva compreso che quel liquido poteva intossicare e indebolire un qualsiasi angelo, mentre era inutile contro i demoni. Probabilmente era un ritrovato dei Lilim per poter portare avanti una guerra chimica con il Paradiso che, per non si sa quale motivo, era finita in mano agli umani. Magari era qualcosa rimasto nelle menti degli umani dopo una possessione demoniaca, prima che Papà ordinasse a Lucifer di dare regolata ai suoi demoni. In realtà, nemmeno Michael poteva sapere come quella ricetta era finita agli umani e, francamente, non gliene importava poi molto.
Aveva lasciato ai preti l'incombenza di preparare il distillato, mentre lui stava continuando a leggere le annotazioni della Dottoressa Martin relative alle sedute con suo fratello.
C'era qualcosa che Lucifer sembrava aver fatto diverse volte, a differenza sua. Appoggiò i fogli sul tavolo, prese il bicchiere con la mancina e bevve un sorso di grappa.
«Avete mai baciato una donna?» domandò, occhieggiando i due prelati. Uno era il giovane, l'altro era ormai verso i sessanta. Quest'ultimo scosse il capo, mentre il primo abbassò lo sguardo.
«Padre Vittorio, tu sembra abbia l'aria colpevole» commentò con un sorriso compiaciuto.
«Sono diventato prete dopo una delusione d'amore...» confessò lui.
«Amore» ripeté atono Michael, sbuffando infastidito. «Quindi hai baciato. Come si bacia una donna che si ama?»
Il giovane si strinse nelle spalle. «Basta seguire il proprio cuore, penso.»
L'angelo alzò gli occhi al cielo. «Per l'amore di mio Padre...» mormorò, per poi sospirare. «Devo fare pratica: cosa consigliate?»
«Per trovare una donna che ti ami?» domandò Padre Henry. Era originario del Ghana e aveva un accento particolare, ma parlava benissimo l'inglese, meglio che l'italiano.
Michael sbuffò. «Devo fare esperienza di carnalità. Devo interpretare un ruolo molto ostico, la persona che andrò a interpretare è sempre stata molto attiva sul profilo carnale, quindi per essere credibile, devo capire come funziona» spiegò senza pudore. «Il bacio soprattutto, è un concetto che mi è totalmente alieno. Sia chiaro, so come si fanno queste cose, ma solo perché le ho viste fare.»

«Magari puoi andare un bar, avvicinare una signora...» esordì Henry.
«Sei una specie di guardone?» domando il giovane Vittorio, all'occhiataccia dell'angelo si rimise al lavoro. «Trova una prostituta. Se è solo la carnalità che ti interessa, chi meglio di loro» propose.
«Le prostitute non baciano» commentò Henry. «Almeno così diceva Julia Roberts in Pretty Woman.»
Vittorio rise, poi osservò la fiala e sorrise. «Alleluia! Siamo riusciti a riempirla!» disse, chiudendo il piccolo contenitore.
Michael si alzò, raggiunse il tavolo da lavoro e scansò i due umani con le braccia. «Finalmente. Ci avete messo quasi un mese!» protestò, prendendo la fiala tra le dita, osservandone il contenuto. «Signori, spero di non aver più bisogno di voi» commentò poi, avviandosi alla porta, dopo aver fatto sparire l'oggetto nella tasca sinistra.
Non appena ebbe lasciato la stanza, i due religiosi si riscossero. La presenza di quello straniero li metteva in soggezione, li faceva stare sempre sul chi vive, con la sensazione che ogni mossa potesse essere sbagliata.
Vittorio raggiunse il corridoio, per assicurarsi che Michael se ne fosse andato e, effettivamente, era così. Lui non era in vista, ed era bizzarro: era come se fosse volato via. Vittorio scosse il capo e chiuse la finestra che dava sul cortile. Sopra i tetti, faceva capolino la cupola di San Pietro.

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Uscì sul balcone, incurante della propria nudità. Si stava abituando a mantenere una postura simile a quella del gemello, ma quando era sovrappensiero, la spalla destra tornava a sollevarsi, palesando il suo inganno.
Le stelle autunnali brillavano sul cielo romano ed erano molto più numerose che nella città delle stelle. Per quanto fosse grossa, Roma non era nulla a confronto di Los Angeles. La temperatura era attorno ai dieci gradi, ma Michael non ne risentiva. Lasciò scivolare le iridi scure sulla cupola della Chiesa di Santa Maria del Popolo. L'Italia gli piaceva, aveva tantissime chiese e diverse erano dedicate a lui, ospitando affreschi che lo ritraevano mentre cacciava Lucifero dal Paradiso.
A quel ricordo, avvertì una fitta alla spalla destra e si ritrovò a sospirare. Si accomodò su una delle poltrone del terrazzo della Popolo Suite dell'Hotel de Russie, massaggiandosi la spalla con la mancina.
Un colpo di tosse dall'interno della camera da letto, gli fece tendere l'orecchio, ma non avvertì altro. Le sue ospiti non si erano svegliate. Aveva provato il sesso, sicuramente gradevole, ma nulla per cui impazzire. Il desiderio era un campo per il quale Samael era tagliato, lui no. Lui era sempre stato quello responsabile, troppo occupato a preoccuparsi per il futuro, a pianificare che tutto fosse perfetto, per permettersi simili velleità.
Samael era sempre stato più un tipo d'azione, riflettere non era nelle sue corde. Se si fermava a riflettere, le sue insicurezze lo divoravano. Linda Martin non aveva scoperto molto di nuovo, rispetto a quello che già lui sapeva. Certo, Chloe Decker era un discorso diverso. Il suo piano si era ormai delineato, mancavano solo alcuni dettagli, ma l'idea era pronta: sostituirsi a Lucifer, strappare al gemello la tanto agognata prima volta con quell'insignificante umana, trattarla in modo che lei non volesse mai più avere a che fare con quell'idiota di Samael. Una volta spezzato quel legame tanto speciale per il fratello, le insicurezze lo avrebbero sommerso. Perché Lucifer non era altro che un bambino petulante in cerca dell'approvazione di qualcun altro, che fosse Papà, Mamma o, ora, Chloe Decker.
Chiuse gli occhi, riempiendo i polmoni con l'aria fresca di quella notte romana.

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«Papà, ci hai creato come soldati, per combattere...»
«Non è del tutto corretto, Samael» rispose loro Padre, mentre Michael li seguiva, qualche passo più indietro.
Samael agitò una mano, scacciando un'invisibile mosca da davanti a sé. «Dettagli» disse. «Però pensavo che darsi pugni e calci da mattina a sera sia un po' monotono. Non potremmo avere qualcosa da utilizzare per farlo? Remiel vorrebbe dare la caccia ai cervi, ma scappano.»
«Quindi a te e ai tuoi fratelli e alle tue sorelle servono delle armi?» chiese Dio, fissando benevolmente il figlio.
Samael ci rifletté qualche istante. «Armi? Cos'è un'arma?»
Dio sollevò le mani davanti a sé, i gomiti aderenti al busto, i palmi della mano rivolti verso l'alto. Un lampo di luce costrinse tutti a socchiudere gli occhi. Quando il bagliore si spense, tra le mani di loro Padre vi era uno strano oggetto, aveva un'impugnatura e una parte appiattita e appuntita.
«Cos'è quest'oggetto di forma fallica, Papà?» domandò Samael, sorridendo divertito.
«Una lama, sarà la spada di Azrael» sentenziò Dio.
Un vociare si levò attorno a loro e in men che non si dica, la nominata accorse a vedere cosa Padre avesse creato per lei. Dio le diede l'arma e la ragazza la guardò con curiosità. «A cosa serve?» domandò, per poi agitarla.
Papà le prese un polso delicatamente e le sorrise. «Piano, figliola. È un oggetto pericoloso. Se trafiggessi uno dei tuoi fratelli o sorelle, annienteresti la loro anima. Servirà a scandire la mortalità dell'esistenza.»
«Cos'è un'anima?» domandò Amenadiel.
«L'anima è l'essenza immortale di ogni mia creazione» spiegò il Padre.
«Nostra» sottolineò Madre, raggiungendo il marito. «Perché creare qualcosa che può annientare i nostri splendidi bambini?» chiese al compagno.
«Perché ho un piano e per metterlo in pratica devo creare l'Uomo.»
Un'esclamazione di stupore risuonò tra gli angeli.
«Che cos'è?» chiese curioso Samael.
Dio gli sorrise. «La creazione a cui sto lavorando. Creerò per lui un giardino e inizialmente sarà immortale, come voi, figli miei. Ma lo metterò alla prova e se fallirà, diventerà mortale» spiegò, guardando benevolo i proprio figli.
Michael inclinò la testa verso una spalla, con espressione assorta. Perché Papà aveva creato la spada per Azrael? Se l'uomo avesse superato la prova, non sarebbe servita... O forse, l'aveva creata poiché sapeva che l'Uomo non avrebbe superato quell'impresa. «Quindi la spada di Azrael, servirà ad annientare l'anima dell'Uomo se fallirà la prova?» domandò al genitore.
«No, Michael. L'anima dell'Uomo sarà immune alla spada, solo la sua vita ne verrà influenzata.»
Michael lo guardò per qualche istante. «Quindi, la spada verrà usata solo se l'Uomo fallirà la prova e diventerà mortale.»
Dio sorrise, annuendo, quindi si allontanò assieme alla Dea della Creazione, ma gli angeli la videro poi allontanarsi contrariata.
«Incantevole!»
Michael spostò le iridi sul gemello. «Cosa?»
«Be', finalmente ci sarà una nuova creatura. Non vedo l'ora di incontrarla, magari ci sarà da imparare qualcosa di nuovo!»
«Oltre a masturbarti?» chiese con una punta di divertimento nella voce.
Samael rise. «Lo ammetto, ho un po' esagerato, ma la mia è solo curiosità su come il mio corpo reagisce. Il tuo no? Non ti chiedi mai come siamo nati?»
«Papà e Mamma ci hanno creati» rispose tranquillo Michael.
«Ma come?» lo incalzò il fratello.
«Perché creare qualcosa che può interrompere una vita ma non l'anima dell'Uomo, a meno che non sia certo che questi fallirà la prova?» chiese invece, guardando Samael, il quale aggrottò la fronte.
«Prudenza, no? Nell'eventualità che l'Uomo fallisse la prova, sarà già tutto pronto.»
«A meno che non abbia già deciso dall'inizio come andranno le cose e farà in modo che vadano come vuole lui...» ipotizzò l'altro.
Samael aggrottò la fronte e sorrise nervoso. «Pensi che Papà manipolerebbe gli umani?»
Michael lo guardò cupo. «O forse anche noi» soffiò a fil di labbra, poi sorrise. «No, sicuramente no! Vorrebbe dire che nostro Padre è un manipolatore e sarebbe terribile. Ci sarebbe da averne paura, non credi?»
Samael sorrise, ma lo sguardo era preoccupato. Annuì incerto e Michael ricambiò il sorriso del gemello.
Quella fu la prima volta in cui mise il dubbio, il timore, nel cuore di qualcuno.


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Ieri mi sono data da fare e ho scritto un poco. È difficile immaginare la vita degli appena creati Angeli. Cioé mi immagino il povero Lucifer e la sua insaziabile carica sessuale... e nessuno con cui sfogarla, visto che le uniche creature esistenti all'inizio erano solo i suoi genitori e i suoi fratelli e, abbiamo visto, come nonostante sia il Diavolo non pratichi l'incesto.
Grazie a tutti i lettori.
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Daniela

 

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Capitolo 13
*** Che Michael se lo porti! ***


Kamar




Tornò a casa a notte fonda, faticando a centrare il buco della serratura con la chiave. Cercò di chiuderla senza fare troppo rumore, quindi si mosse furtivamente, attraversando l'appartamento. Si fermò davanti la camera di Trixie e sbirciò oltre la porta. La piccola dormiva beatamente e Chloe sorrise. Salì le scale, solo una volta al piano superiore accese le luci, si infilò nel bagno, si spogliò ed entrò nella doccia.
Si sentiva la testa leggera a causa di tutto l'alcol che aveva ingurgitato e nelle orecchie sentiva ancora i bassi delle casse, che avevano sparato musica a volume sostenuto.
Il lavoro le teneva la mente impegnata, le serate con Mazikeen l'aiutavano a non pensare, ma quando tornava a casa, lentamente la consapevolezza tornava.
Mentre l'acqua scorreva sulla sua pelle, le dita della mano destra andarono a sfiorare la cicatrice sopra la clavicola sinistra, dove era rimasto il segno del proiettile che Jimmy le aveva sparato.
Chiuse il rubinetto e si tirò i capelli indietro, poi uscì dalla doccia, avvolgendo sotto le ascelle un morbido asciugamano di spugna. Le ci volle diverso tempo per asciugare la lunga chioma bionda, non erano ancora scesi sotto i 15 gradi di notte, ma le giornate si erano notevolmente accorciate e la temperatura non era più quella dell'estate. Si avvicinava Halloween e dopo ci sarebbe stato il suo compleanno.
Raggiunse la camera da letto, indossò il pigiama dai colori scuri, poi, sedendosi sul letto, aprì un cassetto del comodino ed estrasse il ciondolo, guardandolo con tristezza. Non riusciva più a indossarlo da quando lui se n'era andato, le faceva troppo male. La catena era sottile, in oro, mentre come ciondolo vi era il proiettile con cui lei aveva colpito il Diavolo alla gamba destra. Rise debolmente, mentre una lacrima le sfuggì dall'angolo delle ciglia, scivolando lungo la gota. Le faceva male, ma ricordava le parole che Lucifer le aveva rivolto quella notte. Era il suo compleanno, quello di un anno prima.
Strinse gli anelli di metallo tra le dita, unì le mani in preghiera. C'era forse un modo per farsi ascoltare? Lucifer non aveva mai avuto un buon rapporto con suo Padre, ma magari a lei l'avrebbe ascoltata. Si ritrovava ogni sera a pregare, ma nel momento in cui congiungeva le mani, non riusciva ad articolare i pensieri.
Lei era Chloe Decker, una semplice umana, che si era innamorata del Diavolo. Come poteva pregare per riaverlo indietro, per riaverlo nella sua vita, senza sembrare arrogante? Mise via la collanina, poi si infilò sotto alle coperte e spense le luci.
«Mi manchi così tanto...» mormorò, rannicchiandosi sotto le coltri.

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«Buongiorno, Chloe!» esclamò Ella, abbracciandola come al solito. La scienziata la guardò in viso e titubante chiese di Lucifer.
Chloe scosse il capo. «No, mi spiace, non si è fatto sentire.» Non avrebbe potuto.
«Cavolo! Posso capire che non risponda alle mie chiamate, ma non farsi sentire nemmeno da te... Non è da lui!»
Chloe sorrise. «Lo conosci... Avrà trovato qualche donna interessante in Florida e si starà bevendo qualche drink in spiaggia.»
«Che Michael se lo porti!» replicò Ella.
La detective la fisso perplessa. «Come?»
«L'uragano. Il Centro Nazionale Uragani lo ha appena catalogato come uragano di tipo 1, ma sta acquistando potenza. Dovrebbe arrivare sulla Florida tra uno o due giorni» spiegò avvilità. «Lo so, la mia è stata una battuta infelice, ma sono così arrabbiata con quel cabron!»
Chloe la prese un braccio, accarezzandola affettuosamente. «Tranquilla» le disse. Ormai era brava a seppellire le sue emozioni. «Abbiamo qualcosa su Hernandez?»
«Nessuna novità. Come già ti dissi, risulta che ha attraversato il confine la mattina successiva al delitto. C'è un mandato d'arresto internazionale sulla sua testa, quindi possiamo solo incrociare le dita.»
La detective annuì. «Quindi, se non arriverà qualche caso, anche oggi avrò tempo per sistemare le scartoffie.»
«Godiamocelo, finché dura!» rispose Ella, dirigendosi verso il laboratorio.
Chloe raggiunse la propria scrivania, si tolse la giacca appendendola alla sedia, vi prese posto e prese il mucchio di documenti ancora da sistemare. Gli ultimi casi ai quali aveva lavorato con Lucifer, tra i quali Julian McCaffrey e suo padre, Jacob Tierning. Chiuse gli occhi e inspirò, poi si mise al lavoro.

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Dan si avvicinò alla sua scrivania e le mise un bicchierone di caffè davanti. «Caffè lungo, senza zucchero, con latte di mandorla scremato e una spruzzata di caramello, a te» commentò sorridendo.
Chloe alzò lo sguardo su di lui, stupita. «Ehi, sei di buon umore oggi» disse, ricambiando il sorriso.
«Oh, sì! Ho finito di leggere alcuni libri che mi ha prestato Linda e mi si è aperto un mondo. Ho trovato il modo per superare...» sospirò, «sai, Charlotte...»
Lei annuì, prese il bicchiere e ne bevve un sorso, godendo del calore del liquido scuro. Aggrottò la fronte, notando il bracciale di Daniel. «Cos'è?»
«Oh! Questo? L'ho fatto io. Mi aiuta a sbloccare i miei chakra» spiegò.
«Grande» rispose Chloe con convinzione, anche se in realtà non credeva molto nell'efficacia della New Age, ma se qualcosa faceva stare meglio Daniel ed era innocua, allora andava benissimo.
Si ritrovò a pensare che l'ex marito era più responsabile di lei, che affogava il dispiacere nell'alcol. Non era mai tornata a casa devastata, solo perché doveva pensare a Trixie. Lei era il suo mondo prima che conoscesse Lucifer e continuava a esserlo.
Ella arrivò trafelata con un foglio in mano. «Ragazzi, la polizia di Tijuana ha preso Hernandez!»
«Ottimo!» esclamò Daniel. «Ora dobbiamo solo richiedere l'estradizione.»
La scienziata forense fece una smorfia. «Ehm...» Fece schioccare le labbra. «C'è stato uno scontro a fuoco e Pedro Hernandez pare sia rimasto ucciso» spiegò e lasciò il documento che portava sul tavolo di Chloe. Si trattava di una fotografia, decisamente sgranata, probabilmente un frame di una delle bodycam di uno degli agenti. Ritraeva una bella villa con aiuole ben curate. Era qualcosa di familiare alla detective.
«Questo è il luogo dove hanno fatto irruzione?» chiese Daniel perplesso.
«Già, pare che il traffico d'avorio renda davvero bene» rispose Ella.
«Cosa sappiamo della casa?»
La nerd la guardò perplessa. «Nulla, ho solo l'indirizzo. Perché?»
«Perché ho già visto una foto di questa casa e voglio capire perché il nostro Pedro era lì, se c'è un collegamento.»
«Dove l'hai vista?» le domandò Dan.
«A casa di Marvin O'Neil. C'erano diverse foto che ritraevano le loro vacanze e diverse erano in una villa come questa.»
«Dovrò scomodare qualche amico, ma vedo cosa riesco a scoprire» commentò Ella, allontanandosi.


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L'uragano Michael ha colpito gli Stati Uniti nell'ottobre del 2018. Ho pensato fosse una coincidenza troppo gustosa per non sfruttarla.
Grazie a Kathe93 che ha deciso di recensire la storia, mi ha fatto molto piacere!
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Capitolo 14
*** Un gatto infuriato ***


Kamar




Un vento infuocato scese dall'alto, fermando l'attacco degli zabanyya. Maalik comparve tra le fiamme, atterrando davanti a Lucifer. I bambini alati si arrestarono di colpo, fissandolo stupiti, per poi scambiarsi occhiate frenetiche.
«Come osate?!» tuonò il custode. «Attaccare il Re dell'Inferno, voi dovreste essere al suo servizio!»
I mini angeli abbassarono gli occhi, assumendo un'aria mortificata. «Ma lui ci ha abbandonato! Perché lui può evitare la sua punizione quando vuole, mentre noi non possiamo nemmeno giocare e scherzare con gli altri?» pigolò una ragazzina.
Maalik mise le mani sui fianchi e con cipiglio severo la fissò, gli occhi parevano ardere come fiamme. «Lucifer ha sbagliato. Non è la prima volta che lo fa e non sarà l'ultima. Ma ha imparato, è tornato. Avete la fortuna di essere qui, tutti assieme... Sono certo che anche se senza un corpo, ora possiate comunque essere utili come guardiani» spiegò paziente.
«Come?» chiese uno dei fratellini.
«Siate gli occhi e le orecchie di nostro fratello. Non come servi o prigionieri, ma come fratelli e sorelle. Come amici» rispose il custode.
«Occhi e orecchie...» ripeté una ragazza.
Uno dei fratelli le sorrise. «Sarà come giocare a Guardie e Ladri!»
In una battito di ciglia i 19 zabanyya volarono via, lasciando solo qualche piuma a fluttuare leggera nel punto dove poco prima si trovavano.
Lucifer si alzò in piedi, spazzandosi la polvere di dosso e si tamponò un labbro sanguinante. «Ben fatto, Squee» commentò Maalik, mentre le fattezze di Maalik lasciarono posto a quelle dell'umano che il demone aveva posseduto durante la sua visita sulla Terra.
Lucifer era il Re dell'Inferno e aveva dei vantaggi nell'Underworld. Aveva fermato quel loop temporale, bloccando i fratellini. Era corso via per recuperare il primo demone che gli capitasse a tiro e il destino gli aveva messo di fronte Squee, il quale fu ben contento di rendersi utile per risalire un po' nella scala di gradimento del Signore Oscuro.
Così Squee aveva interpretato l'unico angelo a cui quelle pesti alate davano retta e il piano aveva funzionato.
«Ora sparisci» commentò Lucifer. «Se capiscono il trucco, diventeranno più molesti di un gatto infuriato intrappolato dentro le mutande...» aggiunse, guardando con rammarico lo stato del proprio completo. «Ah! Porta via quelle lame demoniache» ordinò, indicando i vari pugnali rimasti nell'aula. «Distruggile.»
Squee lo guardò incredulo. «Distruggerle? Ma potrebbero tornare utili!»
«Basta uccisioni! Io sono un punitore, voi siete i miei sottoposti. Questo inutile vortice di morte deve finire!» ruggì, ripensando ai fratelli caduti in quella guerra intestina.

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«Questo posto fa proprio schifo!» protestò Four, tenendo la mano di Lucifer, che cercava di divincolarsi da quel contatto molesto.
Gli zabanyya non avevano mai avuto un nome proprio ed erano tutti così simili tra di loro che per riconoscerli il Diavolo aveva affibbiato loro dei numeri, applicando degli adesivi numerati sui loro vestiti tradizionali.
«Già» le fece eco Six, prima di estrarre l'indice affondato nella narice e pulirlo contro i pantaloni del fratellone.
«Ehk!» Lucifer protestò disgustato e cercò di allontanare i piccoli monelli. «Dovete proprio starmi così attaccati?» domandò, proseguendo lungo il corridoio. Era la prima volta che faceva uscire delle anime da una delle celle, ma sembrava che anche i demoni fossero in grado di farlo. I suoi molesti fratelli infeltriti avevano scoperto che Michael Simmons non era più in quella cella. Gli avevano anche detto che c'erano altre anime umane in quell'unica stanza.
I demoni avevano quindi imparato a contenere più anime in un'unica cella, in modo che i ricordi di tutte quelle anime creassero un complicato incastro di sovrapposizioni, rendendo difficile trovare i rivoltosi. Ecco perché non torturavano Michael, serviva loro per sfuggire alle intenzioni del Diavolo, e non era il solo umano usato a quello scopo.
D'improvviso, Eleven lo abbracciò alle spalle, stringendogli le braccia attorno al collo e aggrappandosi a lui come un koala, Four riguadagnò la sua mano e Six gli si attaccò alla gamba.
«Per l'amor di Papà!» protestò, scollandoseli di dosso nell'ilarità dei minori. «Non statemi così appiccicati, insomma!»
«Ma Jana dice che ti piace avere gente appiccicata addosso!» obiettò Eleven, camminando all'indietro, davanti a lui.
«Jana?» chiese perplesso.
«L'hostess!»
«Ah! Jana! È finita qua... poveretta» comprese infine Lucifer, ricordando come l'assistente di volo avesse interrotte il suo primo momento con Chloe, prima di restare uccisa. «Be'» esordì, sottraendo la mano al tentativo di presa da parte di Four. «Mi piace se si tratta di affascinanti donne e non dell'inquietante fusione di Tutti Assieme Appassionatamente e Il Villaggio dei Dannati» obiettò con un sorriso teso.
«Di qua!» intervenne Six, indicando il corridoio laterale.
«Finalmente...» Lucifer svoltò l'angolo e si fermò con espressione perplessa, guardando il manichino sul quale faceva bella mostra di sé un elegante completo di Prada. Attorno a esso vi erano gli altri piccoli teppisti biondi.
«Cosa significa?» chiese sospettoso.
«Sei il Diavolo! Non puoi mica andare in giro conciato come Adamo dopo la cacciata dal Paradiso Terrestre!» obiettò Ten.
Lucifer abbassò lo sguardo sul proprio vestiario e sollevò le sopracciglia per un istante. «Vero... ma questo da dove arriva?»
Tutti i bambini alzarono la mano all'unisono.
«Io ho fatto la giacca!»
«Io il fazzoletto da taschino!»
«Io i gemelli per i polsini!»
Fu un susseguirsi di rivendicazioni che lasciarono il Diavolo interdetto.
Lucifer li additò con prudenza, muovendo gli indici sui vati mini angeli attorno a lui. «Aspettate... In che senso li avete fatti?»
I bambini si guardarono incerti. «Fatti» sottolineò Twelve, schioccando le dita. Sul palmo della mano libera gli comparve una fiasca di metallo, finemente decorata a bulino.
Seventen la prese tra le mani e la stappò, mentre Eight unì i palmi sopra l'imboccatura e si concentrò per un istante. Un liquido ambrato sgorgò dalle sue mani, finendo dentro al contenitore.
Poco dopo, One consegnò la fiasca a Lucifer, il quale la stappò e ne odorò il contenuto. «Non è... urina di angelo, vero? Dall'odore non direi...»
Two lo fissò divertito. «Siamo anime, fantasmi... non possiamo fare pipì.»
«O sudare» commentò Fourten.
«O sputarci dentro! Non avere un corpo fa schifo!» intervenne Four.
«È il nostro potere» spiegò Seven.
Avere tutte quelle persone attorno che gli parlavano era strano. Di solito gli piacevano le orge, ma gli sembrava di essere tornato in quella scuola privata con Trixie. «Credevo il vostro potere fosse la velocità...»
Diversi bambini si strinsero nelle spalle. «Be', essere veloci è figo!»
«Voi... siete in grado di creare... cioè... avete il potere di Papà?»
Gli zabanyya lo guardarono come se avesse bestemmiato. «No!» rispose Nine. «Possiamo creare solo oggetti inanimati e non troppo complicati...»
Lucifer ridacchiò e gli mosse l'indice sotto il naso. «No, no, no, tu non me la racconti giusta. Non vi ho mai visto creare nulla in Paradiso!»
Nineten incrociò le braccia la petto. «Sul serio? Samael, tu ci evitavi come la peste quando eravamo in Paradiso!»
«E non ci sei nemmeno rimasto per molto» aggiunse la sorella.
«Comunque» riprese Nineten, «in Paradiso non era divertente creare qualcosa, c'era già tutto!»
«A parte un Gundam» commentò Sixten.
«Vero, ma quello non saremmo in grado di crearlo...» rispose Nineten, riportando poi lo sguardo su Lucifer. «Allora? Non ti piacciono i nostri regali? Insomma, tu ci fai giocare a questa caccia al demone e ci sembrava il minimo contraccambiare!»
Il Diavolo bevve un sorso di alcolico e alzò le sopracciglia stupito. «Non male...» mormorò riferendosi al distillato, per poi portare lo sguardo sul manichino e sorridere tagliente. «È ora di cambiarsi per la festa.»


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Insoliti alleati per il nostro Diavolo che detesta i bambini, ma al momento ogni aiuto gli serve. In questo capitolo vengono citati molti film o anime del passato. Tutti assieme appassionatamente, film disney che penso tutti conoscano.
Il villaggio dei dannati, film horror basato su un racconto di Stephen King, dove c'erano tutti questi bambini con il caschetto biondo, decisamente inquietanti.
Gundam, nello specifico il primo, l'RX78, un mecha, ovvero un robottone pilotato da un uomo. Si tratta di un anime di quando era bambina, e ne hanno realizzato un modello dimensioni reali che si muove per davvero per le olimpiadi di Tokyo 2020, sfortuntamente rimandate causa Covid.
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Capitolo 15
*** Troppi -el in famiglia ***


Kamar




Amenadiel finì a terra e si rialzò, sputando a terra un grumo di sangue e saliva.
Michael e Samael si rimisero in posizione di difesa, era come guardare la stessa immagine riflessa in uno specchio.
«Non mi batterete» ringhiò il maggiore.
«Forza, fratello, non avrai paura di perdere» ipotizzò Michael, sorridendo sornione. Samael rise divertito a quella battuta, per poi deviare con un movimento elegante il colpo di Amenadiel. Contemporaneamente, il gemello si abbassò, stese la gamba sinistra in avanti, bloccando l'avanzata del piede del fratello maggiore, il quale si sbilanciò. A quel punto, Samael colpì con forza la nuca di Amenadiel che finì nuovamente a terra.
«Bravo, Samael. Sei il migliore di tutto il Paradiso!» urlò Uriel.
Samael si voltò e sorrise. «Grazie, fratellino! Tu, sì, sei uno che capisce! Io sono il migliore!» esclamò, allargando le braccia, mentre gli angeli lo applaudivano.
Michael lo guardò, percependo un nodo alla bocca dello stomaco. Perché applaudivano lui? Se non avessero collaborato, Amenadiel avrebbe vinto facilmente. Proprio su quest'ultimo portò le iridi. Si stava rialzando e sembrava davvero molto arrabbiato. Istintivamente si irrigidì, pronto a difendere il gemello, ma si fermò. Samael prendeva sempre il merito di cose che ottenevano assieme.
«Samael!»
Quando questi si voltò, il gancio destro di Amenadiel lo colpì sotto al mento. L'angelo venne sollevato di più di un metro e ricadde a terra, pesantemente.
Michael lo guardò girarsi su un fianco, mentre Uriel si avvicinò ad Amenadiel, mettendogli una mano sulla spalla. Samael sbuffò e si accasciò a terra, incapace di rialzarsi.
«Lo sapevo!» esclamò il giovane Uriel. «Lo avevo visto che avresti vinto.»
«Come sempre, Uri. Sono il guerriero più forte!» sentenziò Amenadiel. La sua non era proprio arroganza, era un dato di fatto. Nessuno riusciva a batterlo. Ci volevano Michael e Samael assieme per metterlo in difficoltà.

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«Scusa...» disse mestamente Michael, tamponando il volto tumefatto del gemello. «Non l'ho visto rialzarsi...»
Samael sorrise. «Non è colpa tua. Amenadiel è forte come un toro celeste!» Gli diede una pacca amichevole sulla spalla e si tastò il sopracciglio spaccato. Poi prese la pezza bagnata dalle mani del gemello e gli tamponò sopra il labbro, pulendolo dal sangue. «Ci ha conciato per le feste... e tutto da solo!»
Michael sorrise e annuì. «Sì, faccio ancora fatica a mettere a fuoco!» rispose divertito.
«Chissà a che gli serve, a Papà, avere un soldato forte come Amenadiel...» commentò l'altro.
Ogni allegria scomparve dal volto dell'arcangelo. «Credo faccia parte del suo piano...»
Samael lo guardò perplesso. «Quale piano?»
Michael scosse il capo. «Non lo so. E non credo ce lo dirà...»
«Di certo non ora... Da quant'è che è si è nascosto per lavorare all'Uomo?»
Il gemello si strinse nelle spalle. «Abbastanza da fare arrabbiare Mamma...»
«Vero» disse con tono duro Samael. «Non è giusto!» protestò poi, alzandosi in piedi. Si voltò verso di lui e gli puntò il dito contro. «Sai che ti dico, Michael? Nostro Padre sta sbagliando!»
Michael sgranò gli occhi e si alzò in piedi, guardandosi attorno. Portò l'indice alle labbra. «Samael, parla piano!»
«No. È troppo tempo che Papà non ci dà le giuste attenzioni, i nostri fratelli litigano ogni giorno, Mamma è arrabbiata. Poi questa cosa del Libero Arbitrio a me piace tantissimo, ma non sei il primo che dice che Papà ha un piano.»
Michael allargò le braccia. «E se anche fosse?»
«Se anche fosse, vorrebbe dire che noi siamo solo pedine per lui! Create solo per... gioco. Il suo gioco e lui ci muove come vuole. Ogni giorno che passa ho sempre più prove di questa cosa e, allora, sai cosa? Si fottesse! Non sarò più la sua pedina!»
«Oh, dai, Samael, non...»
«No! Non Samael. Quello è il nome che mi ha dato lui. Voglio un nome mio!»
Michael lo guardò perplesso. «Tipo... Amenadiel?»
L'altro scosse il capo. «No, no... troppi -el in famiglia» rispose, per poi fermarsi e sorridere. «Ci sono. Da oggi, io sarò Lucifer! Lucifer Morningstar, visto che Azrael ha detto che sono bello come la stella del mattino.»
Il gemello lo guardò preoccupato. «Non saprei, Sam...» All'occhiataccia del fratello si corresse. «Lucifer. Non pensi che Papà possa arrabbiarsi?»
«Meglio! È proprio quello che voglio. Solo facendogli capire che ho capito il suo trucco e che non sarò più una sua pedina, comprenderà il suo sbaglio! Perdona la ripetizione...»
Michael fece una smorfia. «Lascia perdere. Papà ora è così preso che non ti ascolterà nemmeno!»
Lucifer sorrise mefistofelicamente. «Oh, mi ascolterà! Farò così tanto rumore, che sarà costretto a farlo. E tu, fratello, mi aiuterai!»
Lui lo fissò interdetto, puntandosi il petto con l'indice. «Io?»
«Vai a parlare con i nostri fratelli che trovi da quella parte. Io invece andrò da quest'altra parte. Metti loro un poco di paura sul comportamento di nostro Padre, così che si convincano ad appoggiarmi.»
«Appoggiarti in cosa?»
Lucifer gli appoggiò le mani sulle spalle. «Sto per dare inizio a una rivoluzione, Michael! Se sarà necessario, tirerò giù Papà dal suo trono e lo costringerò a patire quello che ha fatto provare a noi tutti!»
Michael deglutì. «Vuoi... spodestare... Papà? Dio? Lucifer, è impossibile! Papà è l'Onnipotente, non lo puoi battere!»
Lui si incupì e annuì. «Hai ragione. Mi serve un'arma... Vai a rubare la spada fiammeggiante dal suo armadio.»
Michael strabuzzò gli occhi. «Rubare cosa?»
Il gemello gli sorrise sbarazzino e schiuse le candide ali. «Hai capito benissimo! Sarà divertente!» Volò via e Michael rimase a fissare il cielo azzurro. Lo stupore lasciò il posto a un sorriso velenoso.
«Sarà molto divertente...»


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Inizio ringraziando di nuovo Kathe93 che ha lasciato una nuova recensione.
Poi posso affermare quasi con certezza che ci saranno altri tre capitoli che porteranno alla conclusione di questa long.
Praticamente i prossimi tre capitoli saranno la conclusione delle tre differenti trame trattate sinora.
Grazie a tutti i lettori.
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Daniela

 

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Capitolo 16
*** Lo rimarrà per sempre ***


Kamar




«È una villa in multiproprietà, ma questo non è abbastanza per convincere un giudice. I diversi proprietari potrebbero non essersi mai visti...» spiegò Dan, in piedi nel laboratorio della scientifica.
Sul tavolo erano sparsi diversi documenti, atti di proprietà, mappe catastali, permessi edilizi, relativi alla villa in Messico, ma anche le informazioni raccolte sui vari proprietari.
«Eppure il mio istinto mi dice che Marvin è collegato con Hernandez. È una coincidenza troppo marcata il fatto che sia lui che la sorella di Hernandez fossero proprietari di quella villa...» replicò Chloe, rileggendo gli incartamenti.
«Se non possiamo provare che Pedro e Marvin si conoscevano, non otterremo mai un mandato...» rispose il suo ex marito,
scuotendo il capo.
La donna fece una smorfia, frustrata.
«Un momento...» disse Ella, digitando sulla tastiera. La scienziata aveva seguito lo scambio tra i due ex coniugi distrattamente, troppo occupata nell'ultimare la sua ricerca, ben lungi dal terminarla, ma forse aveva trovato qualcosa.
«Cosa c'è, Ella?» chiese Dan, guardando la foto satellitare della casa messicana sul monitor del laptop.
«Rammentate il caso Ruiz?»
Chloe annuì. «Eravamo in un vicolo cieco, quando grazie alle parole di Lucifer ti è venuto in mente di controllare le foto che i satelliti scattano saltuariamente.»
«Esatto» rispose la donna. «Ho sfruttato un programma di riconoscimento facciale per collocare Pedro Hernandez nella villa in Messico e guardate questa immagine» disse eccitata, digitando alcuni comandi sulla tastiera. Il proiettore a soffitto ricreò l'immagine del monitor del portatile, zoomando sul giardino con piscina e riportando la foto sul telo da proiezione.
«Quello è Hernandez» constatò Dan.
«Esatto. Sfortunatamente le altre persone in foto non sono riconoscibili, ma sicuramente la donna in foto non è la sorella di Pedro» spiegò Ella.
«Come fai a dirlo?» chiese Chloe.
«Questa foto è stata scattata ad Aprile del 2015 e in quel mese lei era in Texas, ricoverata a Houston, presso la clinica del dottor Nowzaradan» spiegò la scienziata.
«Quello del reality?» domandò Dan. Lei annuì.
«Quale reality?» chiese Chloe.
«Be', c'è questo programma dove il dottor Nowzaradan si occupa di pazienti con gravi problemi di obesità. Ogni paziente si sottopone a un anno di trattamento presso la clinica di Houston. Angela non è mai entrata nello show, ma era comunque ospite della clinica. Ha pagato l'intero trattamento e affittato un'abitazione a Houston con i soldi che le dava il fratello, ho controllato» spiegò Ella.
Chloe portò lo sguardo sull'immagine proiettata sul telo. Si concentrò soprattutto sulle persone non identificabili. Sembrava una giornata in famiglia, una bella grigliata nel giardino di casa, anche se la prospettiva era decisamente insolita.
«Ella, questo cos'è? Un cane?» domandò una macchia in un angolo del fotogramma.
Ella si voltò verso il computer, digitò nuovi comandi, spostando lo zoom sull'area indicata da Chloe. «Sì, decisamente un cane, bianco e nero, meticcio... Non mi sembra molto utile...» disse scettica.
Chloe sollevò una mano, muovendola leggermente in aria, come faceva spesso quando qualcosa le veniva in mente e si sforzava per trovarle la giusta collocazione.
Raggiunse il proprio tablet, si collegò a Wobble e fece una rapida ricerca, per poi sorridere e mostrare quanto trovato.
Era un post del maggio 2015, dove Laura O'Neil faceva gli auguri al figlio per il suo compleanno con una bella foto che ritraeva il bambino con in braccio un cagnolino bianco e nero. La didascalia recitava:

Auguri al mio piccolo tesoro, che per il suo settimo compleanno ha visto realizzarsi il suo sogno di avere un cane. Vi presento Togo, salvato da un canile messicano dove era in attesa di eutanasia! Adottate, non comprate!”
Dan sorrise. «Adesso ce n'è abbastanza per richiedere un mandato!»

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Nonostante avessero ottenuto il mandato, Chloe non riusciva a trovare un nesso che coinvolgesse Marvin O'Neil nel traffico d'avorio. Sicuramente lui e Pedro Hernandez si conoscevano, ma il primo sembrava completamente estraneo a quel losco giro di affari. Gli oggetti d'avorio che erano nella sua casa erano doni del gemello, non aveva conti segreti, non conduceva una vita da nababbo, niente faceva supporre che fosse anche solo lontaneamente coinvolto.
Eppure c'era qualcosa che non tornava, un tarlo che grattava alle pareti della mente della detective.

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Marvin mise il lucchetto nell'anello della catena e lo chiuse, assicurandosi poi che il cancello del cantiere fosse bloccato. La giornata di lavoro era finita, poteva finalmente tornarsene a lavoro.
«Signor O'Neil» esordì Chloe.
Lui si voltò, la guardò e sorrise. «Detective Decker, buon pomeriggio» commentò.
«Posso scambiare due parole con lei?» chiese la donna.
Marvin annuì, infilandosi le chiavi in tasca. «Mi dica.»
«Sappiamo che lei conosceva Pedro Hernandez» esordì lei e lui annuì. «Sapeva che era un trafficante d'avorio?»
L'uomo annuì ancora. «Sì, ma non c'ho mai fatto affari.»
«Non lo ha nemmeno mai denunciato.»
«Non avevo prove. Una chiacchierata davanti a una birra non credo avrebbe molto peso in tribunale» confessò l'altro, sorridendo candidamente.
«Quello che non capisco è come Pedro e la sua organizzazione siano arrivati a Dorian, suo fratello» commentò lei.
Marvin annuì, si strinse nelle spalle e le si avvicinò. «Potrei avergli parlato di mio fratello.»
Chloe lo scrutò in viso. «La pecora nera della famiglia...»
Lui sorrise. «Dorian? Si è solo fatto schiacciare dal senso di colpa per un errore che ha fatto in gioventù, la realtà è che era il mio eroe, uno spirito libero, indomabile. L'ho sempre invidiato quando eravamo ragazzini. Spigliato, creativo, andava d'accordo con tutti.»
«Che errore?» domandò Chloe.
«Una volta, avevamo sedici anni, eravamo ad Aspin, a sciare. Una bellissima settimana bianca... Dorian era bravo, ma lo sci era una cosa dove io riuscivo meglio, solo che lui è sempre stato più coraggioso e avventuroso di me. Anche più sconsiderato...» raccontò, infilandosi le mani in tasca. «Dorian è sempre stato un tipo competitivo. Così quando alcuni ragazzi del posto ci sfidarono, lui accettò la sfida. Ammetto di averlo caricato pure io, ma quando si è messo in testa di scendere da una pista nera ho cercato di dissuaderlo. Invece alla fine ha vinto lui e siamo scesi. Ma io mi sono rotto entrambe le gambe e mi sono fatto un anno in un letto e anni di riabilitazione. Lui non se l'è mai perdonata, anche se la colpa era un poco mia. Se non lo avessi caricato, forse non avrebbe mai accettato quella sfida.» Si accarezzò la barba e strinse le labbra. «Da allora si è sempre sentito... inadatto, ha sempre cercato di riabilitarsi ai miei occhi.»
Chloe assottigliò lo sguardo. «Ci è riuscito?»
Marvin sorrise e scosse il capo. «No. Ha cercato di comprarci con bei regali, ma io so che la sua è tutta una pagliacciata. Non cadrò più nella sua trappola... Quando lo avete arrestato, è stata solo l'ennesima prova che è sempre il solito ribelle che non vuole seguire le regole e che non si preoccupa per niente e nessuno, se non se stesso.» Si spostò e si incamminò verso la propria auto, superando Chloe.
Lei si girò e lo guardò. «Ti rendi conto che forse è finito in quel giro per colpa tua? Sei tu ad aver parlato di lui a Pedro. Se gli hai detto che lui si sentiva in colpa per te, forse Hernandez ha deciso di sfruttare questa sua debolezza!»
Marvin si fermò e si volse in parte a guardarla, stringendosi nelle spalle. «Magari, gli ho parlato di Dorian apposta. Te l'ho detto. Per quanto cercherà di riabilitarsi ai miei occhi, è un ribelle, lo rimarrà per sempre. Prima o poi sbaglierà di nuovo.»
«Dorian è entrato nel giro perché i trafficanti hanno minacciato te e la tua famiglia. Non conta nulla, questo?»
Lui inspirò. «Questo non vuol dire che sia cambiato... La gente non cambia, Detective. Ho fatto qualcosa di illegale e mi deve arrestare?»
Chloe avrebbe voluto prenderlo a pugni, ma si ritrovò a scuotere il capo. «No, ero qui solo per fare due chiacchiere...»
Marvin sorrise. «Ottimo. Allora le auguro una buona serata, Detective.» Si voltò, raggiunse la macchina e si allontanò con essa.
Chloe sospirò avvilita. Lei avrebbe pagato per aver un fratello con cui litigare durante la sua infanzia ma qui si trattava di una malsana rivalità tra fratelli e sembrava di terrificante. Per una volta, ringraziò il cielo di essere figlia unica.


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Inizio ringraziando di nuovo LadyOscar1620 che ha lasciato una nuova recensione.
Con questo capitolo si conclude la trama di Chloe. Non ha preso l'assassino, solo perché è rimasto ucciso, ma ha scoperto una rivalità tra fratelli gemelli che non poteva nemmeno immaginare. E che, per chi ha visto la prima parte della quinta stagione, ricorda quella tra Michael e Lucifer... o perlomeno spero la ricordi, io ci ho provato
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Daniela

 

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Capitolo 17
*** Il tuo sarà un regno solitario ***


Kamar




Tutto era luce, come sempre, ma per una volta c'era silenzio. Nessuna musica vibrava sulle pareti della grande sala del trono.
Amenadiel spinse avanti Lucifer e lo costrinse in ginocchio, al centro della sala, poi arretrò, confondendosi tra gli altri. I loro fratelli urlavano al ribelle che aveva osato scatenare una rivolta in Paradiso, una parte di loro erano furenti per quello che era accaduto, una parte zitta, colpevole, sconfitta, a capo chino e in silenzio. Tutti erano feriti, ma quello messo peggio, era lui, Michael.
Non aveva ceduto la spada a Lucifer e nella colluttazione la lama infuocata aveva colpito il gemello di Samael. L'ala destra penzolava inerte, solo qualche tendine e fascia muscolare le impediva di staccarsi dal moncherino al quale era attaccata.
La spada fiammeggiante era un'arma portentosa e terribile. Le ferite da lei provocate non si rimarginavano. Chi guardava Michael era ben conscio che non avrebbe più potuto volare in quello stato.
Lucifer non riusciva nemmeno a guardarlo, teneva lo sguardo a terra e Michael era certo che fosse furibondo, ma anche spaventato. Oh, lui la sentiva la sua paura. Sentiva il timore di tutti in quella grande sala che di solito ospitava banchetti e concerti.
«Samael...»
La possente voce di Dio rimbombò sulle pareti, facendo vibrare i vetri.
Michael guardò il gemello, lo vide incassare la testa tra le spalle, serrare la mascella e alzare lo sguardo su loro Padre.
«Il mio nome è Lucifer» disse caparbio, per poi sorridere. «Finalmente ti sei degnato di tornare tra noi» aggiunse caustico.
«Che cos'hai fatto, Samael?» domandò Dio con tono basso.
Lucifer si alzò in piedi. «Ho cercato di fare quello che avresti dovuto fare tu, Papà. Prendersi cura di noi, della Mamma e della nostra casa!» ruggì arrabbiato.
Michael lo guardò impassibile. Suo fratello mordeva per mascherare la sua paura.
Dio si alzò dal suo trono e Lucifer abbassò lo sguardo, facendo un passo indietro. L'Onnipotente scese i gradini e arrivò davanti a Michael, il quale si lasciò cadere sulle ginocchia.
«Papà...» singhiozzò disperato. «Perdonami. Ho provato a dissuaderlo» assicurò supplicante. Quella recita non era difficile. Il dolore all'ala era terribile, lo costringeva a tenere la spalla destra sollevata, e gli sembrava ancora di percepire il calore delle fiamme divorare le sue carni.
Dio gli posò una mano sul capo e gli sorrise benevolo. L'angelo si sentì inondato da un calore che alleviava la sua sofferenza. Chiuse gli occhi e sorrise estatico, mentre una lacrima di sollievo sfuggì alle ciglia. Quando il calore si spense, Michael aprì le palpebre, mentre Papà distoglieva lo sguardo da lui per portarlo su Samael. Le iridi scure dell'arcangelo si portarono alla propria ala. Lo squarcio era scomparso, la ferita anche, ma l'ala non aveva più l'aspetto di prima. Era... imperfetta, anche se almeno gli avrebbe permesso di volare ancora.
«Samael» esordì nuovamente loro Padre. La folla trattenne il fiato, incredula di fronte all'arroganza di quel fratello che non chinava lo sguardo né si inginocchiava di fronte al loro genitore.
«Io mi chiamo Lucifer Morningstar!»
«Non è il nome che io ti ho dato!» ruggì Dio, furente. «Così come non hai ubbidito alle regole che ti ho dato!»
Lucifer chinò lo sguardo, strinse i pugni e digrignò i denti. «Sono regole ingiuste.»
«Ti credi in grado di stabilire chi fa cose giuste e chi no?» Dio scosse il capo. «Vuol dire che allora pagherai la tua arroganza, punendo coloro che infrangeranno le mie regole, così che tu possa imparare, Samael.»
«Io...» balbettò l'angelo, sentendo lo sguardo di disapprovazione del Padre su di sé. « Mi chiamo Lucifer» ripeté ostinatamente. «E sei costretto a fartelo andare a genio, papà, sei costretto a guardarmi ora!»
«Sei bandito dal Paradiso.»
Per un istante il tempo parve fermarsi. Tutti guardarono Papà sorpresi, poi spostarono lo sguardo su loro fratello. Nessuno era mai stato bandito prima.
«Tu e tutti quelli che ti hanno seguito, lascerete immediatamente la nostra casa e, dato che ti ritieni meglio di me, governerai l'Inferno, punendo le anime che vi giungeranno. I tuoi alleati ne sorveglieranno il perimetro, poiché tutto ciò che vi entrerà, non dovrà uscirne. Non vi è concesso incontrarvi. Avete cospirato una volta contro di me, non avrete modo di farlo ancora. Il tuo sarà un regno solitario, per ora.»

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Lo aveva accompagnato alle porte lui stesso e lo aveva scacciato.
Prima di allontanarsi, Lucifer gli aveva rivolto un'ultima domanda.
«Perché mi hai tradito? Pensavo fossi dalla mia parte!»
«Io non ti ho tradito. Tu lo hai fatto! Hai tradito me, i nostri genitori, tutti noi! Ho cercato di farti capire che sbagliavi, ma tu non facevi altro che darmi del codardo!»

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Michael si riscosse dai ricordi e abbassò lo sguardo sulla culla. Sorrise malevolo al piccolo infante addormentato. Assomigliava davvero tanto al suo celestiale padre, anche se il nome che Amenadiel aveva scelto era davvero misero.
Infilò la mano sinistra nella tasca e ne estrasse la fiala. La stappò e si chinò sulla culla, avvicinando l'apertura del contenitore alla bocca del neonato, lasciando cadere una goccia sulle labbra schiuse.
Il piccolo Charlie si svegliò e iniziò a piangere.
La babysitter entrò nella stanza per controllare, si avvicinò al piccolo e lo prese in braccio, cullandolo dolcemente. Si avvicinò alla finestra aperta e la chiuse.
Michael, in strada, rimise il tappo alla fiala e la infilò in tasca. La prima goccia era andata. Una volta finito di dare l'intero contenuto al piccolo Chucky, il figlio di Amenadiel ne sarebbe risultato così indebolito da assomigliare in tutto e per tutto a un umano. E a quel punto lui avrebbe fatto la sua mossa finale.

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E anche Michael vede il suo POV giungere al termine. Secondo me è stato lui a far venire il raffreddore a Charlie e quindi ho immaginato che fosse ricorso alla sostanza di Padre Kinley per indebolire il piccoletto. Poi magari non sarà così, ma lo scopriremo solo nella seconda parte di stagione. Ah... speriamo i mesi passino veloci!
Il prossimo sarà l'ultimo capitolo, che chiuderà il POV di Lucy
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Capitolo 18
*** Sei licenziata ***


Kamar




Il cerchio si era chiuso. Finalmente lui e Asmodeus erano l'uno di fronte all'altro. Il demone non era solo, ma quegli altri due demoni inferiori non lo preoccupavano.
Lucifer sorrise maligno. «Devo riconoscere che sei stato abile, ma questa cosa di riunire più anime in una sola stanza ed evitare di punirle per sfruttare i loro ricordi a proprio uso e consumo deve finire. Ah, e per quanto riguarda te...» commentò spostando le iridi su Ravekeen, «sei licenziata. Per quanto gli abiti con cui ti presentavi a lavoro mi intrigassero, sono stanco delle tue menzogne» ringhiò, mentre i suoi occhi baluginavano di scarlatto livore.
Ravekeen sorrise beffarda. «Facciamo che mi licenzio io. Sei troppo sensibile per essere il mio capo, così legato agli umani...» rispose, gettandosi all'attacco, sguainando un pugnale in acciaio demoniaco.
L'altro demone si fece avanti a sua volta. Lucifer piegò il busto all'indietro, schivando la donna, raddrizzò il torso e deviò il braccio armato dell'uomo, colpendolo poi alla nuca, mandandolo al tappeto.
Fece qualche passo verso Asmodeus e sorrise divertito. «Vedi, c'è una cosa che non hai preso in considerazione» gli disse.
L'altro inclinò la testa verso una spalla, apparentemente curioso. «Cosa?»
«Io» esordì Lucifer, «sono il Re dell'Inferno» recitò con un sorriso feroce sulle labbra, alzando una mano. I due demoni minori si immobilizzarono all'istante. «Tutto quello che appartiene all'Underworld, è sotto il mio controllo.» Mosse la mano, come a cancellare una lavagna e la stanza attorno a sé si sgretolò e volò via e al suo posto rimase...
Il suo attico di Los Angeles?
Lucifer aggrottò la fronte.
«E tu hai dimenticato che sei stato via per molto, molto tempo. Alcune cose sono cambiate» disse Asmodeus, in piedi davanti al bancone del bar. «Ci ha richiesto molti sforzi, molta fatica, ma alla fine ce l'abbiamo fatta e abbiamo creato la stanza perfetta per lei, una stanza dove tu, mio caro Lucifer, non hai potere. Questa cella, non è più l'Underworld. Devo ringraziare la scenografica rivolta di Dromos. Mentre lui attirava completamente la tua attenzione, un gruppo di miei fedelissimi è andato sulla Terra, ma non a Los Angeles. Sono andati dove potevamo recuperare il necessario per rendere questa cella immune ai tuoi poteri. Adatta per lei, appunto. E per te» spiegò, sorridendo beffardo.
Lucifer aggrottò la fronte, preso da un improvviso dubbio. «Lei?»
Il sorriso di Asmodeus si allargò, scoprendo la dentatura ferina. Il campanello dell'ascensore suonò, le porte si aprirono e Lucifer schiuse le labbra incredulo, scuotendo il capo.
«No... Non puoi essere finita qui... Detective...» mormorò, mentre sentiva un macigno all'altezza del petto. Chloe era morta ed era finita all'Inferno. Avrebbe dovuto esserne felice, avrebbe potuto vederla per l'eternità, ma la realtà delle cose era che si sentiva malissimo, anche perché il suo compito era punire i cattivi.
«Tu non sei malvagia... non puoi essere qui.» Non poteva essere vero. Lucifer sorrise e guardò Asmodeus. «Tutto questo è un trucco, non mi freghi.»
«Lucifer... sei tu?» La voce di Chloe gli accarezzò l'udito e il Diavolo si voltò a guardarla, la lasciò avvicinare e socchiuse gli occhi sentendo il tocco della sua mano sulla guancia, rilassandosi.
Lei sorrise e scoppiò a piangere. «Sei proprio tu...»
Samael sospirò, sollevò una mano e prese il polso della donna tra le dita, con il dolore che gli dilaniava il cuore. «Ma tu, non sei tu...» Era triste da ammettere, ma non poteva essere lei e una parte di lui era sollevato nel saperla viva.
«Dopo che te ne sei andato... Non mi sentivo più io. Ho fatto cose... terribili» mormorò lei, chinando il viso e portandosi la mano libera al volto. «Un ladro è entrato in casa, di notte. Ha... fatto del male a Trixie. L'ho ucciso ma lei... lei non ce l'ha fatta» raccontò affranta.
Il volto di Lucifer divenne una maschera di dolore e rabbia. Quella storia era plausibile. «Troverò l'anima di quel ladro e ti giuro che passerà l'eternità urlando di dolore!» ringhiò, digrignando i denti. Inspirò, per calmarsi, le prese le mani. «Ma... hai fatto quello che dovevi fare. La tua anima non deve essere qui... Chi ha fatto del male a... Trixie...» era la prima volta che la chiamava per nome e gli fece male, perché non l'avrebbe potuto fare mai più con lei. La piccola monella era destinata alla Città d'Argento.

Chloe scosse il capo. «Non potevo più vivere, Lucifer... prima mi hai abbandonato tu, poi Trixie...» spiegò con gli occhi arrossati dal pianto.
Lucifer la guardò afflitto, schiuse le labbra, incapace per un istante di articolare una sola parola. «Oh... Chloe... che cosa hai fatto?» disse devastato da quelle parole. Una suicida. I loro loop erano tremendi, infinite ripetizioni del dolore che li aveva portati alla morte. L'abbracciò, stringendo le labbra, chiudendo gli occhi. Forse era l'ultima volta che poteva farlo, prima di essere costretto a punirla.
«Tu... mi hai abbandonato...» singhiozzò lei sul suo petto.
«Ho dovuto. Per proteggere te la tua progenie...» rispose lui, accarezzandole i capelli. Trattenne il fiato, quando la lama gli affondò tra le costole. Mise le mani sulle spalle di Chloe e la scostò, abbassando lo sguardo sul pugnale demoniaco che lei gli stava affondando nel torace. Alzò lo sguardo incredulo su di lei.
«Tu mi hai abbandonato!» disse lei con rabbia, vomitandogli addossò il suo disprezzo e una serie di fendenti, alcuni dei quali lo colpirono.
Il Diavolo si portò la mano dietro la schiena, sotto la giacca del completo, ed estrasse il kukri che Maalik gli aveva dato. Il contrattacco prese di sorpresa la detective lasciandole sfuggire il pugnale di mano.
Istintivamente, Lucifer caricò il colpo che avrebbe finito l'avversario, ma fermò la lama prima che colpisse la gola di Chloe. Non poteva colpirla. Non lei... Arricciò le labbra in un'espressione di rabbia. «Tu non sei lei!» ringhiò, caricando nuovamente il colpo ma, prima che esso colpisse la detective, una lama trapassò Lucifer, colpendolo alle spalle, fuoriuscendo da sotto la clavicola sinistra.
«Morirai senza sapere se era veramente lei» disse Asmodeus, guardandolo cadere sul pavimento. Estrasse dalla tasca un fazzoletto e lo usò per pulire la lama d'acciaio demoniaco con cui aveva colpito Lucifer, una lama dritta, stretta, ben differente da quelle arcuate dei pugnali. Quello era più simile a uno stiletto.
Il sole stava tramontando fuori dalla finestra, il cielo pareva in fiamme, mentre Chloe si mise a cavalcioni sul corpo di Lucifer, troppo debole per difendersi.
«La pagherai per tutto il male che mi hai fatto» soffiò inviperita.
Lucifer la guardò afflitto. Avrebbe voluto fare una battuta di spirito, visto che quella posizione avrebbe dovuto dargli diverse idee a livello erotico. «Mi dispiace...» Fu l'unica cosa che riuscì a dire, prima che il sole entrasse dalla finestra, centrando in pieno Asmodeus. Un getto di plasma incandescente, travolse Chloe, strappandola dal Diavolo e scagliandola contro la parete.Lucifer guardò l'essere infuocato avvicinarsi, le fiamme che lo avvolgevano si affievolirono sino a rivelare...
«Maalik? E tutta la storia di rimanere al tuo posto?» commentò, appoggiando la testa al freddo pavimento, esausto per le ferite.
L'attico attorno a lui si dissolse, lasciando il posto a una cella buia, con un grosso buco sul soffitto scioltosi per il calore. La cenere entrava leggera, vorticando nella lieve brezza.
Il fratello gli si inginocchiò accanto e gli infilò le dita nelle ferite. Il calore fu così intenso da costringere Lucifer a inarcarsi sulla schiena e urlare, ma così facendo gli cauterizzo la parte offesa, bloccando l'emorragia.
«Se non fossi riuscito a fermarli, loro sarebbero fuggiti e io avrei fallito il mio compito» rispose Maalik, con quel tono baritonale che riverberava nel petto.
«Brutto figlio di... Mamma...» commentò Lucifer, girandosi su un fianco, sorridendo divertito. Il sorriso si spense nell'istante in cui vide i resti di...
«Chloe...» mormorò, trascinandosi a gattoni verso la donna. Dove trovò la forza per farlo, non lo sapeva nemmeno lui, anche se era certo che Linda avrebbe avuto la risposta.
Le posò una mano sulla spalla e girò il corpo carbonizzato verso di sé e alzò gli occhi al cielo, sollevato, nel vedere quelle iridi di zaffiro fissare il nulla.
«Tutto a posto, fratello?» chiese Maalik.
Lucifer, si mise a sedere sui talloni, sollevò un angolo delle labbra e sbuffò di sdegno. «Insomma... Mi sono fatto fregare come un idiota. Forse è vero che a stare con gli umani mi sono rammollito...»
Maalik lo raggiunge e gli mise una mano sulla spalla. «L'affetto, fratello, non rende mai deboli.»
«Ma ci può ferire... Siamo noi a permettere che le persone abbiano potere su di noi...» rispose lui.
Il fratello gli si inginocchio di fianco. «E che sensazione dà? Com'è permettere a qualcuno di entrare dentro di noi, fino ad avere persino potere di influenzarci?»
Lucifer chinò il capo e si posò una mano sul petto, riflettendo per un lungo istante, poi sorrise. «È una sensazione tale, che non vi rinuncerei per nulla al mondo.»

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Tutto era tornato alla normalità. Niente celle multiple per le anime, niente demoni scontenti. Le ferite erano guarite, Maalik continuava ad ardere all'ingresso dell'Inferno, rovesciando su di esso quintali di cenere, gli zabanyya lo sorvegliavano dall'interno, visto che come anime non potevano abbandonarlo.
Aveva dato disposizioni ai suoi sudditi. Dovevano interrogare ogni anima che avesse conosciuto Chloe Decker, sia quelle presenti che quelle che dovevano ancora arrivare all'Inferno. Voleva essere sicuro che stesse bene, esserle vicino e quello era l'unico modo che aveva. Non l'avrebbe mai abbandonata.

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Ed eccolo, l'ultimo capitolo di questa long, che arriva a mettere in pari anche la trama di Lucifer con l'inizio della quinta stagione.
Visto che era l'ultimo, anticipo l'upload a ora.
Grazie a tutti quelli che hanno seguito la storia, un ringraziamento speciale a chi l'ha recensita.
Grazie a tutti i lettori.
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Daniela

 

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