A Lion in Autumn

di pampa98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Per una scommessa ***
Capitolo 2: *** Un arrivo indesiderato ***
Capitolo 3: *** Il Libro Bianco ***
Capitolo 4: *** Due donne ***
Capitolo 5: *** Genitori all'improvviso ***
Capitolo 6: *** Cure fraterne ***
Capitolo 7: *** Compagnia piacevole ***
Capitolo 8: *** La proposta ***
Capitolo 9: *** Il nuovo coinquilino ***
Capitolo 10: *** Il bacio della fortuna ***
Capitolo 11: *** La fanciulla nella torre ***
Capitolo 12: *** Brienne ***
Capitolo 13: *** Con la porta chiusa ***
Capitolo 14: *** La conchiglia blu ***
Capitolo 15: *** Dalle mie parti ***
Capitolo 16: *** Tra le braccia della donna che ami ***
Capitolo 17: *** Forte abbastanza ***
Capitolo 18: *** Il regalo ***
Capitolo 19: *** Biscotti di San Valentino ***
Capitolo 20: *** Oathkeeper ***
Capitolo 21: *** Piacevoli sorprese ***
Capitolo 22: *** Risveglio solitario ***
Capitolo 23: *** Un aiuto non richiesto ***
Capitolo 24: *** Non sono interessati ***
Capitolo 25: *** Il vestito ***
Capitolo 26: *** Un nuovo arrivo in famiglia ***
Capitolo 27: *** Un Lannister paga sempre i suoi debiti ***
Capitolo 28: *** Il potere del vino ***
Capitolo 29: *** Buon compleanno, sorella ***
Capitolo 30: *** Pianto liberatorio ***
Capitolo 31: *** Domani ***



Capitolo 1
*** Per una scommessa ***


Prompt: Backstory
Numero di parole: 983

 

PER UNA SCOMMESSA




I corridoi di Castel Granito erano silenziosi all’alba. Quella pace piaceva a Cersei, ma sapeva che anche se suo padre in persona le si fosse presentato di fronte in quei momenti, lei non avrebbe avuto paura né si sarebbe tirata indietro. Dopotutto aveva il diritto di fare visita al suo gemello se lo desiderava.
Le loro camere si trovavano ancora ai lati opposti del palazzo. Jaime le aveva proposto di tornare a dormire con lui dopo la morte della loro madre, ma Cersei aveva rifiutato: quello di stare separati era stato l’ultimo ordine di Joanna e lei non voleva disobbedire – almeno a quello specifico ordine.
Quando svoltò per raggiungere la stanza di Jaime, sentì delle voci e vide uscire dalla stessa Jaime insieme a Tyrion. Cersei storse la bocca: sicuramente suo fratello aveva permesso a quel mostricciattolo di dormire di nuovo insieme a lui.
I due ridacchiavano tra di loro e non si accorsero della sua presenza. Cersei rimase per qualche momento immobile, incrociando le braccia al petto mentre decideva se seguirli o tornare a dormire. Alla fine la curiosità ebbe la meglio su di lei.
Li seguì in silenzio fino a quando non arrivarono alle porte che davano sul cortile esterno e vide che le stavano aprendo.
«Che fate?» chiese, raggiungendoli.
Tyrion fece un salto e cadde a terra – quelle gambette tozze non riuscivano sempre a fare il loro dovere.
«Ciao, sorella» la salutò Jaime, mentre aiutava il piccolo a rialzarsi. «Come mai sei così mattiniera?»
«Potrei farti la stessa domanda. Dove state andando?»
«A fare una cosa» intervenne Tyrion. «Vieni?»
Allungò una mano verso di lei e Cersei si allontanò disgustata, nonostante non l’avesse nemmeno sfiorata. Jaime le rivolse uno sguardo di rimprovero, prima di rispondere:
«Ho perso una scommessa e devo pagare. Puoi venire a vedere, se ti va.»
«Una scommessa? E con chi?»
Jaime indicò il nano che sfoggiò subito un sorriso sdentato.
«Hai perso una scommessa con un bambino di cinque anni?»
«Sono più intelligente di lui» disse Tyrion.
«Ha ragione» lo sostenne Jaime, con un sorriso divertito sulle labbra. Poi avvicinandosi a Cersei, aggiunse. «Potrei averlo lasciato vincere, ma sono certo che da grande lui diventerà il cervellone della famiglia.»
Cersei sbuffò.
«Da grande? Sei molto divertente, fratello.»
«E tu sei acida, sorella. Coraggio, vieni con noi. Ci divertiremo.»
«Cosa dovresti fare di preciso?»
Jaime le rivolse un sorrisetto, mentre apriva il portone.
«Lo vedrai.»
 
«Tu sei pazzo.»
«Esagerata.»
«Sì, sei esagerata» ripetè Tyrion.
«È pericoloso, Jaime!»
Cersei lo afferrò per un braccio prima che potesse togliersi anche i pantaloni.
«Ci sono gli scogli là sotto e l’acqua è gelata a quest’ora. Ti ammazzerai.»
Jaime fece spallucce.
«Almeno avrò avuto una morte divertente. Giusto, Tyrion?»
Il piccolo inclinò la testa: in quel momento non sembrava più tanto felice di quell’idea.
«Non morirai, vero?» chiese.
Jaime sorrise, scompigliandogli i capelli.
«Ma certo che no. Io sono immortale.»
Cersei alzò gli occhi al cielo, chinandosi verso Tyrion.
«Mente» gli disse. «Nostro fratello è un bugiardo. Si aprirà la testa in due su uno di questi scogli e noi dovremo raccogliere i pezzi.»
«Grazie, Cersei. Ti prego continua a portarmi fortuna e a tranquillizzare Tyrion.»
«Non voglio che ti apri la testa!» esclamò il bambino. «È troppo pericoloso, Jaime. Non lo fare.»
«Bene. Due contro uno. Torniamo indietro, Jaime.»
Jaime spostò lo sguardo tra Cersei e Tyrion. La prima aveva un’espressione vittoriosa dipinta in volto, il secondo stava lasciando che la speranza prendesse il posto della preoccupazione.
Sorrise. Non era giusto che lui restasse l’unico insoddisfatto.
«Vi voglio bene, ragazzi.»
E girando su se stesso, prese la rincorsa e saltò, ignorando le urla di protesta degli altri due. Rischiava di rompersi la testa? Era un prezzo equo per il senso di libertà che stava provando in quel momento. Il vento soffiava intorno a lui, sentiva solo l’eco lontana delle onde che si infrangevano contro le rocce e il battito eccitato del suo cuore che gli rimbombava nel petto. Il maestro aveva detto che quella scogliera era alta trenta metri. Jaime aveva immaginato un tempo di percorrenza infinito, ma dopo pochi secondi il suo corpo si scontrò con l’acqua. Era fredda – Cersei aveva ragione – ma non tanto da congelarlo. E nuotando per tornare in superficie, Jaime notò che in effetti c’erano alcune rocce su cui aveva quasi rischiato di imbattersi – altro punto a favore di Cersei. Era vivo e vegeto, quindi naturalmente non le avrebbe detto che aveva avuto ragione.
Risalì in superficie, riempiendosi i polmoni di aria fresca. Si passò una mano sul volto, scostando i lunghi capelli biondi che si erano appiattiti per l’acqua. Sollevando lo sguardo, notò Tyrion sopra di lui che chiamava il suo nome.
«Ve l’avevo detto!» urlò Jaime per farsi sentire, sollevando le braccia in alto. «Non c’era niente di cui aver paura!»
«Stai bene?» gli chiese Tyrion.
«Mai stato meglio! Dillo anche a nostra sorella! Non è svenuta dalla paura, vero?»
Una parte di lui si sarebbe sentita lusingata al pensiero che Cersei lo amasse a tal punto.
«No! È andata a chiamare nostro padre!»
Brividi gelati percorsero la schiena di Jaime. Lanciarsi nel vuoto era divertente, pericoloso forse, ma permetteva di raggiungere picchi di adrenalina come nient’altro. Raccontare a Tywin Lannister di essere saltato da una scogliera alta trenta metri, quello era veramente spaventoso. E potenzialmente più mortale.
«Ma che cazzo, Cersei!» mormorò tra sé e sé. «Perché non l’hai fermata?» esclamò poi al fratello.
«Scusa» la vocina gli giunse flebile e Jaime si diede dello stupido per essersela presa con Tyrion. Non avrebbe potuto fermare Cersei in nessun modo.
«Tranquillo, non fa niente! Portami i vestiti qua, ce la fai?»
Il bambino annuì e la sua testa sparì dall’altura.
Jaime sospirò e si distese sull’acqua. Anche se fosse tornato subito in camera ad asciugarsi, non sarebbe mai riuscito a evitare l’ira di suo padre. Tanto valeva godersi la sua libertà finché poteva.

 

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Capitolo 2
*** Un arrivo indesiderato ***


Prompt: Domestic
Numero di parole: 2143


 
UN ARRIVO INDESIDERATO




L’aria salmastra del primo mattino entrò nella stanza, rinfrescando l’ambiente e svegliando Brienne. Si stroppicciò gli occhi e si girò sul fianco destro, incontrando lo sguardo di Jaime che le sorrise dolcemente.
«Sai che non mi piace che mi fissi mentre dormo» disse.
«Sì, ma visto che non puoi impedirmelo, lo faccio e basta.»
Brienne sbuffò, tirandosi le lenzuola fino al mento.
«È oggi che arriva tuo fratello, giusto?»
Jaime fece spallucce.
«Non puoi essertelo dimenticato» esclamò Brienne. «Quando ti ha detto che sarebbe venuto da noi per un mese, eri entusiasta: non lo vedi da più di un anno.»
«Infatti sono felice che venga» rispose, scostandole una ciocca di capelli dal viso. «Però in questo momento ho altro a cui pensare.»
«Cioè?» gli chiese, come se non sapesse di cosa stava parlando.
«Tyrion non arriverà prima di pranzo. Joanna dorme» Scostò da parte le lenzuola, mettendosi sopra di lei. «E noi siamo svegli.»
Brienne gli passò le dita tra i capelli, avvicinandolo a lei per baciarlo.
«Allora potremmo approfittarne per fare qualcosa di produttivo.»
«Assolutamente» confermò Jaime sulle sue labbra, percorrendo con la mano il profilo del suo corpo. «Ho in mente molte cose produttive da fare.»
Brienne non riuscì a trattenere un sorrisetto imbarazzato.
«Sempre che la mia Ser moglie non abbia delle proposte alternative» aggiunse, mentre con la mano raggiungeva la sua intimità. Se anche Brienne avesse avuto qualche altra idea, le era scomparsa dalla mente.
Lo attirò di nuovo a sé, lambendogli le labbra con passione, mentre con la mano libera iniziò ad armeggiare con i lacci dei suoi pantaloni.
«Mamma! Papà! Sono arrivati gli zii!»
Jaime e Brienne si allontanarono di scatto, proprio mentre Joanna saltava sul letto in mezzo a loro.
«Che facevate?» chiese, curiosa.
«Niente!»
Una risata divertita arrivò dalla porta e solo in quel momento notarono la presenza di Tyrion e Bronn nella stanza. Il primo rivolse loro un sorrisetto di circostanza, dispiaciuto per aver evidentemente interrotto un momento intimo; il secondo continuò a ridere senza ritegno.
«Perché c’è anche Bronn?» chiese Brienne a bassa voce.
«Forse Tyrion lo aveva accennato nella sua lettera» ammise Jaime, guadagnandosi un’occhiataccia.
«Devi lavorare sulla tua memoria, Jaime. Benarrivati» disse poi, rivolta a Tyrion e Bronn. «Scusate se non siamo venuti ad accogliervi, non vi aspettavamo così presto.»
«Infatti siamo arrivati in anticipo» rispose Tyrion. «Sembrava che oggi non sarebbe stato un buon giorno per navigare, dunque siamo partiti prima. Siamo giunti a Tarth ieri notte.»
«E dove avete alloggiato?» si informò Jaime.
«Zio Tyrion voleva venire qui» intervenne Joanna, «ma zio Bronn ha detto che voleva approfittarne per vedere i bordelli di Tarth. Però credo si vedano meglio di giorno, quando c’è la luce, no?»
Se Brienne fosse stata una Targaryen, avrebbe incenerito Bronn in quel preciso istante. Strinse Joanna a sé, accarezzandole i capelli arruffati.
«Naturalmente, tesoro» le disse. «I bordi di Tarth si vedono meglio al Sole, ma zio Bronn ha una buona vista anche di notte.»
«Oh, che forza!»
«Già. Ehi, visto che vi abbiamo, ehm, disturbato» disse Tyrion, «se volete possiamo tenere un po’ noi questa piccolina.»
«Grazie, ma non è necessario. Ci stavamo alzando.»
«Veramente stavate scopando.»
«Bronn!» esclamarono all’unisono i Lannister.
«Scopando?» chiese Joanna, spostando lo sguardo tra i suoi genitori.
«Zio Bronn voleva dire svegliando, amore» le spiegò Jaime. «Purtroppo non ha studiato molto da piccolo e questo non gli ha permesso di imparare a dovere la sua lingua.»
«Però le parole che inventa sono divertenti!» rise Joanna.
«Voglio ucciderlo» borbottò Brienne.
«Anch’io, ma nostra figlia lo adora. E l’Altopiano ha bisogno del suo protettore.»
«Certo. E la colpa di tutto questo di chi è?» disse, rivolgendogli uno sguardo eloquente.
«Non mia! Non sono responsabile per le pessime scelte di mio fratello.»
«Perché borbottate?» si intromise Joanna.
«Tesoro, non hai ancora fatto colazione, vero? Vieni» Brienne la prese in braccio, alzandosi dal letto. «Andiamo a vestirci e poi a mangiare, va bene?»
«E papà e gli zii?»
«Vi raggiungiamo direttamente di sotto» rispose Jaime.
Bronn aprì la porta atteggiandosi a galantuomo e non facendo che aumentare il cipiglio di Brienne.
«Ero quasi felice all’idea di rivederti» disse Jaime a Tyrion.
«Grazie per aver usato il plurale» borbottò Bronn.
«Scusa, fratello» Tyrion si sedette sul bordo del letto. «Ma io ho cercato di venirti incontro con delicatezza. Almeno non avevate ancora iniziato, no? Tu mi hai interrotto in momenti molto più delicati.»
Jaime sgranò gli occhi.
«Le uniche volte in cui ti ho interrotto erano quando era richiesta la tua presenza mentre te ne stavi in mezzo alle puttane, certo non mentre eri insieme a tua moglie.»
«Saresti stato un mago a cogliere l’unico momento buono per interrompermi con lei.»
Jaime sospirò.
«Ti chiedo scusa. Però hai capito il concetto. E tu» aggiunse, puntando il dito verso Bronn, che nel frattempo si era messo a girare per la stanza in cerca di una brocca di vino. «Mia figlia ha cinque anni.»
«E allora?»
«E allora non puoi usare termini come “bordello” o “scopare” davanti a lei. Cerca di darti un contegno quando stai vicino a una bambina.»
Bronn si strinse nelle spalle.
«Scusa se approvavo l’idea di Tyrion di lasciarvi scopare – non ci sono bambine, ora posso dirlo tranquillamente. Per anni vi ho visti trattenere i vostri istinti per la vostra cocciutaggine e mi dispiace che siate costretti a continuare a farlo.»
«Bronn, ti avverto: Brienne sta già progettando la tua morte e sei a tanto così da farmi unire a lei nel metterla in atto.»
«Non potete ammazzarmi» commentò Bronn. «Alla regina serve un Lord dell’Altopiano e un maestro del conio.»
«Penso che Daenerys sarebbe felice di sostituirlo» borbottò Tyrion a bassa voce, facendosi sentire solo da Jaime. «A ogni modo, io non ho ancora avuto un degno saluto da parte del mio adorato fratello.»
Jaime sbuffò, sporgendosi verso di lui per abbracciarlo.
«Benvenuto a Tarth, fratellino. Forza, ora raggiungiamo le mie ragazze e cercate di non combinare altri guai per oggi.»
I due si scambiarono uno sguardo incerto.
«Ehi, Jaime» disse Tyrion, mentre lui si stava infilando una maglia pulita. «Ci siamo permessi di portare un regalino a Joanna.»
«Grazie, siete stati gentili» Spostò lo sguardo dall’uno all’altro e deglutì la sua preoccupazione quando vide la loro espressione colpevole. «Cosa le avete preso?»
«VOI DUE SIETE IMPAZZITI!»
Brienne si precipitò nella stanza come una furia, facendo saltare dallo spavento tutti e tre.
«Cazzo» borbottò Jaime. «Tyrion, io contavo su di te! Che diavolo avete regalato a Joanna?»
«Posso chiamarlo Arthur?» si udì la voce di Joanna fuori dalla stanza. Seguita da un suono poco rassicurante per le orecchie di Jaime.
«Dimmi che è un gatto.»
«Solo di un manto differente» rispose Tyrion con un sorriso eloquente.
«E che non è un gatto!» aggiunse Brienne.
«Papà, papà! Guarda cosa mi hanno portato gli zii.»
Podrick entrò nella stanza seguito da Joanna. Che se ne stava allegramente seduta sulla schiena di un leone.
«L’ultima volta che l’avete portata a corte ha detto che voleva un drago come la regina» spiegò Tyrion.
«E per questo le hai preso un leone?!»
«È come il nostro» disse Joanna, entusiasta. «Senza la corona intorno alla faccia però.»
«Sì, perché non è ancora adulto» disse Bronn. «Quando crescerà la vedrai anche su di lui.»
«Quando crescerà lei non vedrà un bel niente perché questa bestia non resterà qui!» sentenziò Brienne.
«Ma mamma!»
«No, Joanna» intervenne Jaime. «Tua madre ha ragione. I leoni non sono animali da compagnia. Ti prendiamo un gatto, se vuoi.»
Joanna storse il naso.
«I gatti sono più brutti dei leoni.»
«Forse, ma sono anche meno pericolosi» disse Brienne.
«Arthur è tranquillo» intervenne Pod. «Lord Tyrion e Lord Bronn se ne sono presi cura prima di…»
«Tu non parlare! Più tardi mi dovrai spiegare come hai potuto lasciarti coinvolgere in questa follia.»
«E il fatto che lo abbiano cresciuto questi due non fa che aumentare le nostre preoccupazioni» aggiunse Jaime. «Il leone se ne va, questo è quanto.»
Joanna abbassò la testa, scendendo dal leone. Si avvicinò a suo padre, tirandogli la stoffa dei pantaloni.
«Papà. Per favore» disse, fissandolo con i suoi occhioni blu.
«No, Joanna» Il suo tono però non fu fermo quanto avrebbe dovuto.
«Vuoi davvero negare qualcosa alla tua piccolina, papino?» intervenne Bronn.
«Questa è l’ultima volta che tu metti piede su quest’isola, mercenario» disse Brienne, raggiungendo la sua famiglia. «Joanna, non funzionerà. Tuo padre non cederà stavolta. Vero?»
«Papino?»
Jaime si passò una mano sul volto, sospirando. Tutto quello che aveva voluto quella mattina era stare tranquillo a letto con sua moglie.
«Facciamo così» disse, alzando le mani per bloccare sul nascere qualunque protesta. «Voi due lo avete allevato. Bene: terremo il leone qui per tutto il vostro soggiorno e, al termine di questo, affronteremo di nuovo questa discussione.»
Joanna fece i salti di gioia per quella decisione, mentre Tyrion e Bronn annuirono soddisfatti.
«Hai sentito, Arthur?» esclamò la bambina. «Posso tenerti!»
«No, non è quello che ho detto. Ah, Brienne, attenta, si sta…»
Arthur si era avvicinato a loro mentre parlavano. Joanna gli accarezzò il muso, mentre lui cominciò ad annusare Brienne.
«È un tenerone, ma cerca di non mostrargli la tua paura» le disse Bronn.
«Naturalmente. Dopotutto perché dovrei avere paura di un leone? Hai condannato nostra figlia a diventare il suo pasto, spero tu te ne renda conto» aggiunse, rivolta a Jaime.
Arthur le leccò una mano e Brienne sentì un brivido correrle lungo la schiena, ma cercò di restare calma. Jaime la prese per il braccio libero, cercando di allontanarla lentamente dal leone per evitare che avesse una reazione esagerata – e se la prendesse con la testa della loro bambina, che si trovava proprio all’altezza del muso. Tuttavia, Arthur si rivelò essere davvero un tenerone: strusciò il muso contro la mano di Brienne con insistenza, come se volesse che lei lo toccasse.
Brienne scambiò uno sguardo incerto con Jaime, poi lentamente sollevò la mano e la mise sulla testa dell’animale.
«Accarezzalo, mamma» la incoraggiò Joanna. «È buono.»
Brienne deglutì e fece come gli era stato detto. Mosse la mano avanti e indietro sul suo capo e dopo pochi secondi si rilassò, scoprendo che non era tanto difficile. Dal canto suo, Arthur emise un suono che fece capire che stava apprezzando quel gesto.
«Sembra cattivo, ma sotto sotto ha un cuore d’oro e vuole solo ricevere affetto» disse Tyrion.
«Sicuramente» commentò Jaime, mentre contemporaneamente Brienne disse:
«Sembrerebbe di sì.»
«Cosa?»
Brienne arrossì.
«Be, non… Non è la prima volta che succede così…»
Jaime aggrottò le sopracciglia, mentre Tyrion e Bronn annuirono compiaciuti.
«Bene. Ora che Arthur è di famiglia possiamo andare a mangiare?» chiese Joanna. «Ho fame.»
«Certo, piccola lady. Arthur però è meglio se ci aspetta qui» disse Podrick.
«Non qui
«Lo portiamo via noi, Jaime, stai tranquillo.»
Bronn diede un colpetto ad Arthur, invitandolo a dirigersi verso la porta. Il leone in un primo momento sembrò restio a farlo, ma quando Brienne si allontanò da lui e gli fece cenno di uscire a sua volta, obbedì.
Una volta che furono di nuovo soli, Brienne si voltò verso Jaime.
«Forse ho esagerato» disse.
«Sì, puoi ben dirlo. Ora penserà che vada bene così.»
«Lo so, non dovevo arrabbiarmi in quel modo. Anche perché Arthur è davvero buono.»
Jaime sgranò gli occhi.
«A-Aspetta. Stai seriamente pensando di tenerlo?»
«Ti somiglia» si giustificò lei.
«È un cazzo di leone, Brienne!»
«Sai che in tanti ti chiamano ancora il Leone d’Oro, vero?»
«È metaforico.»
«Lo so. E comunque sei stato tu a dire che sarebbe rimasto finchè non se ne sarebbe andato tuo fratello. Vuoi ritirarlo, forse?»
«L’ho detto perché non sapevo cos’altro potessimo fare con quella bestia! Non certo perché voglio che rimanga qui. Oppure adesso sei contenta di condannare tua figlia a diventare il pasto di un leone?»
Brienne sbuffò.
«Senti, non lasceremo mai Joanna da sola con lui, d’accordo? Ma quando l’ho visto ho pensato subito che fosse un animale feroce, invece sembra molto più docile. E poi anche gli Stark avevano avuto dei metalupi da piccoli ed erano creature pericolose quanto i leoni.»
«In questo caso, speriamo che faccia la fine della maggior parte di quelli. Scusa» aggiunse, quando Brienne gli rivolse uno sguardo furibondo. «Sono solo preoccupato per nostra figlia. E per te, anche. Soprattutto se continuerai ad accarezzarlo con la mano dominante.»
Brienne gli mise le mani intorno al collo, guardandolo negli occhi.
«Capisco perché sei preoccupato, Jaime. Ti prometto che farò attenzione e lo stesso vale anche per Joanna. Dagli una possibilità. Nessuno verrà sbranato.»
«Lo dici tu.»
«Esatto. E non eri stato tu a dire che io ho sempre ragione?»
«L’ho detto quando prendevi decisioni sagge e ponderate» Sbuffò. «E va bene, vediamo cosa succede nei prossimi giorni.»
Brienne sorrise e gli diede un bacio sulla guancia.
«Dai, ora andiamo» disse, prendendolo per mano. «Joanna ci aspetta per la colazione.»
 

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Capitolo 3
*** Il Libro Bianco ***


Prompt: Pagine
Numero di parole: 949

 
IL LIBRO BIANCO




Jaime sfogliò distrattamente le pagine del Libro Bianco mentre aspettava che Brienne lo raggiungesse. Molte di quelle scritte le conosceva a memoria, altre – quelle con la scrittura meno precisa – le aveva inserite lui stesso, durante il breve periodo in cui era stato il Lord Comandante delle Guardie Reali.
Era lieto che fosse Brienne a ricoprirne la carica in quel momento: nuovo regno, nuovi membri. Ed era ancora più felice perché Bran Stark aveva eliminato l’obbligo del celibato per le Cappe Bianche, a patto però che formassero la loro eventuale famiglia nella capitale.
Continuò a girare le pagine una dopo l’altra. Ser Arthur Dayne, la Spada dell’Alba: aveva sei pagine piene delle sue gesta; ser Barristan Selmy, stesso numero sebbene le sue, nel complesso, fossero inferiori. Arthur non era vissuto abbastanza per compiere altre imprese.
Girò la pagina, sapendo cosa avrebbe trovato dopo. Ser Jaime Lannister. Dieci righe, una delle quali consisteva nell’essere stato nominato Lord Comandante da sua sorella mentre non era nemmeno presente e senza averne le abilità. Forse Brienne si era ricordata di aggiungere che aveva preso parte alla Battaglia contro i Morti e la sua biografia aveva guadagnato un paio di righe in più. Era intenzionato a scorrere quei fogli bianchi in fretta, curioso di scoprire cosa aveva scritto Brienne su di sé – e costringerla ad aggiungervi materiale nel caso lo avesse dimenticato – ma non trovò pagine vuote. Sotto la scritta “Ser Jaime Lannister”, la pagina era completa. E così quella dopo e quella dopo ancora. Sbattè le palpebre, avvicinando il volto al libro per essere certo di non aver letto male. Quelle pagine piene di scritte erano effettivamente le sue. Lo riconobbe con certezza dalle tre calligrafie distinte che figuravano all’inizio: quella pulita di Ser Barristan, la sua traballante e quella più precisa e delicata di Brienne.
Jaime sospirò, iniziando a leggere quello che lei aveva scritto.

 
Fu fatto prigioniero al Bosco dei Sussurri.
Fu liberato da Catelyn Stark dopo aver giurato di riportarle le sue due figlie.
Ha perso la mano destra per salvare l’onore di Brienne di Tarth.
Liberato dai Bolton, è tornato a Harrenhal affrontando un orso per salvare Brienne di Tarth.
Le ha donato la spada di famiglia e un’armatura per mantenere il suo giuramento a Lady Stark.
Affronta un viaggio diplomatico a Dorne per proteggere la nipote dalle minacce di morte che stava ricevendo.
L’assedio di Delta delle Acque, da lui comandato, si conclude con successo senza spargimento di sangue.
Inganna gli Immacolati facendo prendere loro Castel Granito, rinunciando ai suoi ricordi d’infanzia per un bene più grande.
Ha battuto le forze Targaryen in astuzia prendendo Alto Giardino.
Ha combattuto con coraggio nella Battaglia di Goldenroad, dove è stato sul punto di venire ucciso dal fuoco di un drago.
Ha giurato fedeltà alle forze degli uomini e cavalcato a Nord per unirsi a loro a Grande Inverno.
Ha affrontato l’Esercito dei Morti e difeso il castello allo stremo fino alla morte del Re della Notte.
Al termine della guerra per il Trono, è stato investito nuovamente del Mantello Bianco da Re Brandon Stark.
Sposato con Ser Brienne di Tarth.

Dopo quella scritta era rimasta mezza pagina vuota, seguita poi dalla biografia di Ser Brienne di Tarth. Jaime scorse nuovamente quelle nuove parole, commosso e scioccato per la loro esistenza.
«Ciao, scusa il ritardo.»
Brienne entrò nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle e andando a posare la sua spada sul ripiano dietro il tavolo.
«Pod è diventato davvero abile. Presto sarò costretta ad ammetterlo di fronte a lui. Cosa leggi?»
Si chinò su di lui per dargli un bacio, ma quando vide cosa stava guardando, si ritirò.
«Hai scritto molte cose» commentò Jaime.
«Perché tu hai fatto molte cose. E c’è ancora spazio per altre gesta.»
Jaime ricordò lo sguardo sprezzante di Joffrey, quando anni prima, in quella stessa stanza, gli aveva detto che non c’era più tempo per un quarantenne con una mano sola. Lui lo aveva negato, ma con poca convinzione: in cuor suo, aveva trovato quell’osservazione veritiera. Eppure, anni dopo, era stato smentito. Era sempre Brienne a far crollare le sue certezze e i suoi timori.
Si alzò, voltandosi verso di lei e stringendola tra le braccia.
«Ti ringrazio.»
Brienne sollevò le braccia intorno alle sue spalle, accarezzandogli dolcemente i capelli. Jaime chiuse gli occhi, beandosi del suo tocco e assaporando il profumo di mare e di sudore che lei emanava.
«Non devi. Ho solo fatto quello che avresti già dovuto fare tu.»
Jaime sorrise contro il suo collo. Si allontanò abbastanza per poterla guardare negli occhi.
«Non volevo toglierti il gusto di farlo personalmente» disse, accarezzandole il volto.
Brienne annuì con accondiscendenza.
«Ne sono sicura.»
Jaime rise, rivolgendo nuovamente la sua attenzione al Libro Bianco.
«Ehi!» esclamò, voltando la pagina. «Perché qui è tutto vuoto?»
«Non ho ancora avuto tempo di riempirla.»
«E che aspetti?»
«Jaime, i maestri hanno aggiunto questa pagina due giorni fa. Dammi tempo. E tranquillo» aggiunse, chiudendo il libro, «a differenza di te so cosa devo scrivere sulla mia biografia.»
«Non ne sono così sicuro. Bene, starò insieme a te mentre la scrivi.»
«Non puoi.»
«Perché?»
«È il Lord Comandante che deve riempire quelle pagine.»
«Infatti ho detto solo che ti starò vicino mentre tu scrivi. Sarò la tua coscienza, intenta a ricordarti le tue grandiose gesta.»
Brienne sbuffò.
«Non sei credibile come coscienza.»
«Oh sì, invece.»
Jaime le prese il volto tra le mani, tirandola verso di sé per assaporare le sue labbra. Brienne si appoggiò alle sue spalle, ricambiando il gesto con trasporto.
«Ecco, questo è uno dei motivi per cui non saresti una buona coscienza» ansimò, con il volto arrossato.
«E chi ha mai detto che sarei stato buono
 

 

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Capitolo 4
*** Due donne ***


Prompt: POV (first person as letter)
Numero di parole: 911
Note: La canzone che compare all'inizio e alla fine è "Cuore in me" del musical Notre Dame de Paris.


 
DUE DONNE

Cuore in me
Che sei così spezzato
Cuore in me
Che il corpo ha dilaniato
E separato in due
Due donne sono tue
Tu due metà
 

Ciao Brienne,

Non so se leggerai mai queste parole. Spero comunque che, al massimo, tu bruci la lettera senza prendertela con il povero Tyrion: ha fatto solo ciò che riteneva più giusto per la sua famiglia. Ciò che anche io ritenevo più giusto.
Mi rendo conto che questo inizio non sia dei migliori e probabilmente ti ho già annoiata, ma sai quanto poco abile sono con le parole e non scrivo una lettera da anni ormai.

Io e Cersei abbiamo trovato una piccola casa a Pentos. Per lei non sarà facile ambientarsi – sta ancora cercando di convincermi a trovare un’abitazione migliore – ma dovrà adattarsi. Per se stessa e per il bambino. So che Tyrion te lo ha detto e non trovo giusto continuare a fingere che non esista.

No, non è stato per ingannarti che non te ne ho parlato. Semplicemente… mi vergognavo. Il mio piano originale era quello di tener fede alla mia parola e, se fossi sopravvissuto, tornare indietro da Cersei. Poi, beh, sai cos’è successo. O meglio, non proprio, perché non sono mai stato abbastanza bravo a dirtelo.

Per la prima volta in vita mia ho visto una via d’uscita. Da mia sorella, dai Lannister, dai doveri. Da tutto. Sei stata tu a mostrarmi quella porta, molti anni addietro, e ogni giorno si è aperta un po’ di più, fino a spalancarsi completamente. Oltre quella soglia ho visto la vita che potevamo avere e ne sono stato attratto.

Ero felice a Grande Inverno, Brienne. Ogni momento che abbiamo trascorso insieme, ogni sguardo, ogni sorriso, era reale. I miei sentimenti erano reali. I miei desideri erano reali. E ogni giorno sentivo che la morsa di Cersei si andava allentando sempre di più – e con lei il ricordo del bambino. Una parte di me voleva dirtelo, ma avevo paura che mi avresti respinto, che mi avresti detto di fare il mio dovere di padre e, come sempre, ti avrei ascoltata. Ho sbagliato, ma avevo pensato che, di tutti i miei errori, almeno quello mi avrebbe portato qualcosa di buono.

Poi è arrivata quella notizia.

È strano, ma ha risvegliato qualcosa in me. Credo che avessi già dato Cersei per morta e immaginato che quella lettera confermasse questo fatto. Invece lei era viva – addirittura vittoriosa – e ho capito che non era ancora finita. Mi sono ricordato del bambino, mi sono ricordato di mia sorella e ho sentito il bisogno di proteggerli. E, non c’è motivo di negarlo, anche il desiderio di rivedere semplicemente Cersei, almeno un’ultima volta.

È un controsenso, me ne rendo conto: per avere un dolce addio con lei, ne ho avuto uno pessimo con te. E temo che non avrò mai modo di rimediare.

Mi dispiace.

So che non conta niente, ma è l’unica cosa che posso dirti. Mi dispiace di averti fatta soffrire e aver infranto il nostro sogno. Se può consolarti, io non sono in pace in questo momento e probabilmente non lo sarò mai più. Non lo sono dall’istante in cui mi sono innamorato di te.

Non è semplice vivere pensando di poter amare una sola donna e poi vederne un’altra insinuarsi con prepotenza nel proprio cuore. Forse il problema è che non ti sei fatta abbastanza spazio. O che Cersei non si è mai spinta al punto da uscire fuori.

No, sono ridicolo, dimentica quello che ho detto. Sto scaricando su di voi le mie colpe.

Lo sapevo, mi sono impappinato. Forse avrei dovuto usare Tyrion come messaggero e non come corvo, ma volevo che sentissi queste cose da me.

Sei una donna straordinaria, Brienne. E io ti amo profondamente. Il problema è che amo profondamente anche Cersei e lei è mia sorella. La bilancia ha sempre peso dalla sua parte, sebbene ogni tanto mi sia sforzato di ignorarla. Di nuovo, è stato stupido, ma commetterei questo sbaglio ancora e ancora. Fintanto che mi permetterebbe di rivivere quei giorni trascorsi con te, quando non contava nient’altro al di fuori di noi due.

Ho vissuto in un sogno, fluttuante tra realtà e immaginazione. Cersei era viva, Cersei era morta: non avevo nessuna certezza e potevo ignorarle entrambe. Se quella lettera avesse riportato la vittoria di Daenerys Targaryen non so cosa sarebbe successo. Per me il limbo sarebbe comunque scomparso, ma non sono certo che ne sarei stato felice.

Perciò, a conti fatti, è meglio che sia andata così. Io non ero abbastanza per te. Tu meriti qualcuno che possa darti tutto se stesso, che non sia uno Sterminatore di Re o uno spergiuro. La cui vita e il cui cuore non siano legati a doppio filo con quelli della sorella.
Mi piacerebbe rivederti, almeno un’altra volta. Dubito che sarà possibile, però. Tanto per cominciare, anche tu dovresti volermi rivedere e non sono certo che tu sia disposta a concedermi il tuo perdono. Non ti biasimerei. Ne soffrirei, ma lo farei comunque: la mia felicità è – e sarà – sempre e solo parziale.

Pertanto l’unica cosa che mi resta da fare è farti le mie congratulazioni per la recente nomina a Lord Comandante della Guardia Reale e augurarti il meglio. Non sminuirti, Brienne. Sei abituata a farlo perché ti è stato insegnato così, ma è sbagliato. Tu meriti tutto il bene che la vita possa offrire. Sei la donna più onesta e innocente che conosca e voglio credere che simili qualità vengano ancora premiate.
Se un giorno dovessi trovare la forza di perdonarmi, io sarò qui ad aspettarti. Fino ad allora, addio donzella.

Per sempre tuo,
Jaime

 
Cuore in me
Amato ma spezzato
Cuore in me
L'amore ti ha chiamato
E tu ti spacchi in due
Due donne sono tue
Tu cosa sei?
 

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Capitolo 5
*** Genitori all'improvviso ***


Prompt: Diventare genitori
Numero di parole: 864

 
GENITORI ALL’IMPROVVISO
 



Brienne aprì lentamente gli occhi, schermandosi la vista di fronte al Sole che entrava dentro la stanza.
«Brienne!»
Il volto di Jaime era sopra di lei. L’uomo aveva la mano posata sul suo viso e la fissava preoccupato.
«Che c’è?» chiese con la voce rauca.
«Che c’è?! Sei svenuta all’improvviso, hai idea di quanto mi sia spaventato?»
Brienne si mise a sedere, appoggiandosi ai cuscini dietro la sua schiena. In effetti ricordava di essere uscita dal castello con Jaime, aver cavalcato fino alla spiaggia e aver duellato con lui. Non si era sentita molto bene dal momento in cui si era svegliata – non si sentiva particolarmente bene da giorni in realtà – ma almeno non aveva avuto la nausea ed era certa che l’aria fresca le avrebbe solo fatto bene. Sembrava si fosse sbagliata.
«Non c’è niente da temere» li informò il maestro, la cui presenza non era stata notata da Brienne fino a quel momento. «È solo un po’ indebolita dalla gravidanza. A tal proposito, mia lady, ti consiglio di rinunciare alla spada per qualche tempo, per evitare di… Come mai avete quelle facce?»
Brienne era sbiancata e Jaime non aveva un’espressione migliore della sua.
«Quale… Quale gravidanza?» chiese lei.
L’uomo abbassò lo sguardo, stropicciandosi le mani.
«Oh, ehm… Credevo che… Di solito una donna lo sa… Mia lady, tu aspetti un figlio. Presto… Presto voi sarete genitori.»
Brienne sarebbe stata felice di sprofondare all’interno del materasso se avesse potuto. La nausea, gli sbalzi d’umore e la stanchezza degli scorsi giorni avevano una spiegazione plausibile. Una spiegazione che qualunque altra donna avrebbe trovato con gioia e che a lei non aveva nemmeno sfiorato la mente.
«Ah, beh, allora è tutto apposto?» si informò Jaime.
«Certo» Il maestro sorrise. «Ora vi lascio riposare, e congratulazioni. Volete che informi io Lord Tarth?»
«No!» lo fermò subito Brienne. «È… Vorrei dirglielo io.»
Lui annuì e Jaime lo accompagnò alla porta. Rimasti soli, tornò verso il letto e si sdraiò accanto a lei, dandole un bacio sulla fronte.
«Sei incinta» esclamò, raggiante.
Lei riuscì solo ad annuire.
«Non ne sembri entusiasta.»
«N-No, io… Sono felice, certo.»
Jaime si tirò su, appoggiandosi sul gomito.
«Non… Non volevi avere figli?»
«No, io…»
Brienne sbuffò, alzandosi in piedi.
«Il maestro ha detto…»
«Posso stare in piedi, Jaime, non sono malata. Scusami» aggiunse, rendendosi conto di averlo aggredito ingiustamente. Si passò le mani sul volto, sospirando. «Ha detto che una donna lo sa.»
«Sa cosa?»
«Sa di essere incinta. Riconosce i sintomi, sintomi che io ho avuto e non ho capito.»
Jaime si strinse nelle spalle.
«E allora?»
«E allora?? Allora io non… Non credo che sarò una buona madre, Jaime. Insomma, non fraintendermi, a me va bene avere figli. Voglio averne con te e darti la possibilità di crescerli come padre, è solo che… Non me lo aspettavo e non so se sono pronta. Non voglio combinare dei pasticci o crescerlo male o…»
«Ehi, va bene, adesso calmati.»
Jaime le mise le mani sulle spalle, rivolgendole un sorriso rassicurante.
«Non me lo aspettavo nemmeno io. Cioè, sapevo che non eravamo stati particolarmente attenti, ma nemmeno io mi sono accorto di niente. E, beh, avevo già visto una donna incinta prima d'ora. Capisco che tu sia spaventata, Brienne, lo sono anch’io, ma questa… Questa sarà solo un’altra avventura. Molto meno pericolosa di quelle che abbiamo affrontato finora.»
Brienne sospirò.
«Ma molto più difficile. E se… se non fossimo in grado di fare i genitori?»
«Tesoro, Bronn è padre da due anni. Se ne è in grado lui, lo siamo anche noi.»
«Bene, questo mi rincuora davvero. Essere paragonata a Bronn. E comunque suo figlio è ancora troppo piccolo per stabilire con certezza se lui abbia fatto o meno un buon lavoro.»
«Va bene, ho sbagliato paragone. È che… Brienne, queste cose ognuno le affronta a modo suo. Non ci sono regole per fare il buon genitore. Però una cosa la so con certezza.»
«Cosa?»
Jaime le prese il volto tra le mani, dandole un bacio a fior di labbra.
«So che ha una madre straordinaria e un padre che l'amerà più di ogni altra cosa al mondo. So che faremo il possibile perché nostra figlia sia felice e in salute. E queste premesse non possono portare a niente di negativo, non sei d'accordo?»
Brienne annuì. Si passò una mano sul ventre, dentro il quale stava crescendo una piccola creatura che – sperava – avrebbe preso il meglio di lei e Jaime.
«Figlia?» chiese, aggrottando un sopracciglio.
«Preferisci un maschio?»
«No, va… va bene anche una femmina. Spero solo che non prenda l’aspetto da me.»
Jaime le sollevò il volto, costringendola a guardarlo negli occhi.
«Io invece spero lo faccia. Spero che prenda tutto da te. Specie se fosse maschio: non vuoi un me piccolo a vagare per l’isola, vero?»
Brienne rise, scuotendo la testa.
«Ci sono troppi pericoli che potrebbe trovare eccitanti, qui» concordò. «Anche se pure una bambina potrebbe darci dei problemi. Pure se prendesse tutto da me.»
«Oh, eri una bimba disobbediente, donzella?» la canzonò Jaime.
Lei gli diede uno spintone.
«Sta’ zitto, non sei nella posizione di giudicare.»
Gli strinse la mano, tornando seria.
«Andrà bene?»
Jaime le sorrise.
«Andrà bene.»

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Capitolo 6
*** Cure fraterne ***


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Prompt: 1k + 2 ha la febbre, un personaggio a vostra scelta si prenderà cura di lui. Genere!Bonus: fluff
Numero di parole: 1244

 
CURE FRATERNE




«Stai aspettando qualcuno, Jaime?» sbottò Tywin Lannister, dopo l’ennesima volta in cui suo figlio si era voltato verso la porta.
«Tyrion non è ancora arrivato.»
«Starà ancora dormendo, quel fannullone. Non è un tuo problema» disse Cersei, mentre suo padre storceva la bocca con quell’aria infastidita che aveva sempre quando si parlava del suo figlio minore.
«Di solito è puntuale. Forse non sta bene.»
«La premura che dimostri nei confronti di tuo fratello è ammirevole» commentò Tywin. «Se sei tanto preoccupato, perché non vai a cercarlo?»
Jaime non se lo fece ripetere. Si alzò, nonostante Cersei avesse allungato un braccio verso di lui da sotto il tavolo per trattenerlo, e si diresse verso la camera di suo fratello.
La stanza era ancora avvolta nella penombra, ma il letto era vuoto.
«Tyrion?»
«Qui.»
Lui lo raggiunse girando intorno al letto, con la maglietta infilata per metà nei pantaloni. Barcollava e Jaime gli si avvicinò per aiutarlo a sostenersi.
«Ehi, stai… Accidenti, sei bollente!» esclamò, non appena lo toccò.
Tyrion scosse una mano davanti alla sua faccia.
«Sto bene» biascicò. Aveva il volto arrossato e sudato.
«No, non stai bene. Hai la febbre.»
Tyrion continuò a negare.
«Vado a chiamare il maestro.»
«Non serve disturbarlo per cos- coff coff! così poco.»
«Certo, certo. Tu rimettiti a letto» gli ordinò Jaime.
Tyrion mise il broncio.
«Non ne ho bisogno.»
«Davvero?»
Un altro colpo di tosse, seguito da un’altra rassicurante conferma che Tyrion stava bene.
Jaime si strinse nelle spalle.
«Come preferisci.»
Afferrò suo fratello sotto le ascelle, tirandolo sul letto e avvolgendolo nelle coperte.
«Jaime!»
«Scusa, ma mi hai costretto tu. Ora sta’ qui buono.»
Uscì in fretta dalla stanza e, svoltando in corridoio, si imbattè in Cersei.
«Ah, eccoti qui» lo schernì lei. «Il mostriciattolo è scomparso e lo devi cercare?»
«Nostro fratello è malato. Senti, puoi stare con lui finché non trovo Creylen?»
«Non ci penso nemmeno. Vuoi che mi ammali anch’io, per caso?»
«Non devi dormirci insieme, Cersei. Stai solo nella stanza. Fammi questo favore, coraggio» le disse, scostandole una ciocca di capelli dal volto.
Lei alzò gli occhi al cielo, allontanando la sua mano.
«Va bene, lo faccio. Ma poi ricordati che mi devi un favore.»
Jaime sorrise, dandole un veloce bacio in fronte, e riprese la sua corsa verso le stanze del maestro.
 
Nonostante le lamentele di Tyrion, anche Lord Tywin era stato avvisato dello stato di salute del figlio minore. I Lannister erano tutti radunati nella sua stanza, mentre Creylen visitava il bambino.
«Allora? Cos’ha?» chiese subito Tywin, quando lui li raggiunse.
«Solo un raffreddore. Non è troppo grave, ma vista la sua, ehm, condizione, andrà tenuto sotto controllo più del solito. Tuttavia sono fiducioso che in un paio di giorni sarà nuovamente in ottima salute.»
«Bene. Allora dagli ciò di cui ha bisogno e basta.»
«La sua medicina è già pronta sul comodino, mio signore» rispose lui a testa bassa. Restò in silenzio, ma era evidente che aveva altro da aggiungere.
«Cosa?» chiese Jaime, l’unico in quella stanza a cui importasse davvero del benessere di Tyrion.
«Ecco… Per sicurezza, sarebbe meglio se per oggi, notte inclusa, qualcuno restasse al suo fianco.»
«Non possiamo esporre tutti al rischio di contagiarsi» intervenne Cersei. «Sono sicura che Tyrion sia abbastanza grande da controllarsi da solo.»
«Resto io con lui» disse Jaime con decisione.
«Tu no. Sei il futuro della famiglia, non possiamo permettere che ti accada qualcosa.»
«È solo un raffreddore, padre. E comunque io ci sono già stato a contatto: potrei benissimo essere infetto in questo momento. Tenerci nello stesso posto è più sicuro per tutti.»
«Non hai le competenze per questo compito.»
«Cosa dovrei fare?» chiese Jaime direttamente al maestro.
L’uomo spostò lo sguardo tra lui e Tywin, mentre gocce di sudore imperlavano la sua fronte.
«Ehm, ecco… Dunque… Dovresti controllare che respiri regolarmente e… e aiutarlo a bere la pozione.»
«Ottimo» Jaime si sedette sul letto di Tyrion, il quale era in uno stato di semicoscienza. «Sono in grado di farlo.»
Stava andando contro la volontà di suo padre di fronte a Cersei e al maestro: gli sarebbe spettata una punizione, ma in quel momento la cosa più importante era la salute di suo fratello.
«Bene» disse Tywin a denti stretti. «Abbi cura di tuo fratello.»
Uscì a passo spedito dalla stanza, seguito dal maestro. Cersei si trattenne un altro momento.
«Vuoi veramente rischiare di ammalarti?» gli chiese.
«Un raffreddore non mi ucciderà di certo. Anzi, quasi quasi farò in modo di prenderlo, così poi tu potrai curarmi con amore.»
Lei scosse la testa.
«Certe volte mi sembri più bambino di quell’essere. Passa una bella giornata, fratello.»
 
Jaime si pentì solo di non aver portato con sé la sua spada, così da potersi esercitare anche al chiuso. Tyrion dormì per la maggior parte del pomeriggio e, le poche volte in cui era sveglio, era comunque troppo debole per parlare.
Aveva trovato un libro sui Targaryen sul tavolo e aveva passato il tempo cercando qualche racconto che gli interessasse. Scoprendo il nome di Ser Duncan l’Alto tra quelle pagine, passò un paio d’ore leggendo le sue avventure e quelle del suo scudiero Egg – meglio conosciuto come Aegon V Targaryen.
Verso sera, una delle cameriere del castello li raggiunse per portare la cena – seguita da un volto inaspettato.
«Zia Genna? Non sapevo saresti venuta a farci visita» la accolse Jaime, scattando in piedi.
Lei lo abbracciò, rischiando di soffocarlo contro i suoi grandi seni, e gli strizzò le guance con fare affettuoso.
«Volevo farvi una sorpresa» spiegò. «Quando sono arrivata ho saputo cos’è successo al piccolo. Come sta?»
«Ha dormito per tutto il tempo.»
Genna gli sorrise, passandogli una mano tra i riccioli.
«Sei davvero un bravo fratello. Tua madre sarebbe fiera di te.»
Jaime arrossì. Quando Joanna aveva saputo di aspettare un figlio, gli aveva detto che gli avrebbe dovuto volere bene e averne cura, perché erano una famiglia. In quel momento a Jaime era sembrato un dovere tedioso da portare a termine, ma quando aveva visto Tyrion – e, soprattutto, l’odio che gli altri nutrivano nei suoi confronti – aveva capito quanto sarebbe stato importante per lui che mantenesse la promessa fatta alla madre. Senza contare che Tyrion gli piaceva davvero e passare del tempo con lui era divertente e piacevole.
«C-Comunque» disse, «è meglio se non stai troppo qui, potrebbe contagiarti.»
Genna annuì. Gli strinse nuovamente le guance – Jaime voleva bene a sua zia, ma odiava il suo modo di salutare – e uscì, lasciando nuovamente i due fratelli da soli. Prendendo il vassoio con le due zuppe, Jaime andò a sedersi accanto a Tyrion.
«Fratellino» Jaime gli scosse la spalla. Lui aprì lentamente gli occhi, stropicciandoseli per allontanare il sonno.
«Ciao» disse con la voce impastata.
«Ciao» Jaime si sedette accanto a lui. «Riesci a mangiare?»
Tyrion annuì, mettendosi seduto contro i cuscini.
«Sto già meglio» lo rassicurò.
«Ho imparato che non devo fidarmi di te su certe cose.»
«Dico davvero. Senti!»
Gli prese una mano e se la posò in fronte. Era ancora tiepido, ma niente in confronto a quella mattina. Jaime sorrise, scompigliandogli i capelli.
«Perfetto, allora! Ecco, mangia un po’ di zuppa, così domani sarai di nuovo in forze e pronto a farti stritolare da nostra zia.»
Tyrion lo fissò con gli occhi sgranati.
«Possiamo dirle che sto ancora male? Così non mi distrugge la faccia.»
«Magari mi invento anch’io che mi sono preso qualcosa» disse Jaime, facendogli l’occhiolino. «Così potrà elargire il suo affetto solo a Cersei.»
 

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Capitolo 7
*** Compagnia piacevole ***


Prompt: Taglio di capelli
Numero di parole: 986

 
COMPAGNIA PIACEVOLE




«Sei sicuro? Con alcuni lavaggi mirati, probabilmente…»
«L’ho capito che ti piaccio con i capelli lunghi, donzella, ma sono sicuro: taglia tutto.»
Ad Harrenhal i suoi capelli avevano ripreso un aspetto umano, sebbene fossero ancora pieni di nodi. Il viaggio successivo non aveva fatto che aumentarne la sporcizia e sarebbe stato inutile cercare di riportarli all’antico splendore. Un taglio netto era la cosa più semplice e saggia da fare.
“Tanto non somiglio già più a Cersei”, pensò, con una punta di amarezza. “Una differenza in più non cambierà niente.”
«Va bene» rispose Brienne.
Raccolse i suoi capelli in una coda, prese le forbici e tagliò. Decine di fili biondi caddero sul pavimento, mentre lei iniziò ad aggiustare quel primo taglio approssimativo, accorciando ulteriormente.
«Che ne pensi?» gli chiese dopo alcuni minuti, porgendogli uno specchio.
Jaime si trovò a fissare un estraneo: il volto rasato era pieno di cicatrici e di nuove rughe e i suoi capelli non erano più dorati come un tempo – come quelli di Cersei – né pieni di morbidi riccioli – come quelli di Cersei.
«Ottimo lavoro. Da quello che vedo non dovrei avere chiazze pelate, è andata meglio di quanto mi aspettassi.»
«Se vuoi posso sempre rimediare» lo minacciò Brienne, che aveva ancora il coltello in mano.
Jaime rise, abbassando la sua mano – e ignorando quella strana scossa che provava ogni volta che entrava in contatto con lei.
«No, grazie. Va benissimo così. Allora, mi preferisci adesso o avresti voluto che rimanessi un eterno straccione?»
Brienne arrossì, voltandosi per rimettere a posto gli attrezzi.
«Ti preferisco quando stai zitto.»
«Mmm, quello lo faccio di rado.»
«Per questo mi godo con piacere quelle rare occasioni.»
«Oh, ma smettila. Le ultime due settimane hai apprezzato molto la mia compagnia.»
«L’alternativa non era molto invitante» gli ricordò Brienne. «Suppongo valesse lo stesso per te.»
«A me piace la tua compagnia.»
La porta si aprì e Tyrion Lannister entrò nella stanza, seguito dal suo giovane scudiero.
«Guarda come si è fatto bello il mio fratellone!»
«Ho di nuovo un aspetto umano» concordò Jaime. «Più o meno, insomma.»
«Oh, non preoccuparti per la mano. Io ne sono felice.»
«Grazie…»
«Almeno non sono più lo storpio della famiglia.»
Jaime rise.
«Resti comunque il più basso.»
Brienne gli diede una gomitata, intimandogli con lo sguardo di scusarsi per le sue parole.
«Che c’è?» sbottò lui. «Mio fratello mi insulta e io non posso ricambiare?»
«Grazie della preoccupazione, Lady Brienne» intervenne Tyrion, «ma Jaime ha il permesso di fare battute su di me, così come io ho – finalmente – il permesso di farle su di lui.»
Brienne spostò lo sguardo tra i due e sospirò. Ormai aveva capito che non valeva la pena cercare di comprendere i Lannister.
«È normale tra fratelli» continuò Tyrion. «Ma capisco che per chi non ne ha risulti strano.»
Jaime gli lanciò un’occhiata di avvertimento, agitando la mano per fargli capire che quello non era un argomento piacevole per Brienne.
«C-Comunque… hai fatto un ottimo lavoro con i suoi capelli.»
«Grazie» rispose lei.
«Non sembra più uno scemo.»
Jaime rimase a bocca aperta.
«Non erano i capelli a farlo sembrare scemo» disse Brienne.
«Cos… Ok, di questo ne parliamo dopo, donzella, ma tu… Che cazzo vuol dire che non sembro più scemo?»
Tyrion si strinse nelle spalle.
«Con il taglio precedente non stavi bene. Sembravi un principino idiota, nonostante non lo fossi, ovviamente.»
«Ma li avevo portati così per anni!»
«Lo so.»
«E non ti è mai venuto in mente di farmelo presente?!»
«Ho immaginato che, se non se ne era lamentata Cersei, non importava che lo facessi io.»
«Aspetta, anche a lei sembravo scemo?» esclamò, sempre più allibito.
«Non ne ho idea, non gliel’ho mai chiesto. Tu che ne pensi, Lady Brienne? Sta meglio ora o com’era prima?»
«Ehm, ecco… Non saprei.»
Suo malgrado, aveva trovato Jaime Lannister attraente sin da quando gli uomini di Robb lo avevano trascinato ai piedi di Lady Catelyn chiedendo giustizia per il giovane Karstark. Pulito e curato, naturalmente era ancora meglio.
«Va bene, sapete una cosa? Non intendo stare a sentire il parere di voi due sul mio aspetto. Perciò, fratello, ora levati di torno.»
«Vedi che avevo fatto bene a non dirti niente prima?» sbottò lui, senza però scendere dalla sedia. «Comunque ero venuto per pranzare con te, perciò mi sopporterai.»
«Avevamo un appuntamento?»
«Adesso sì.»
Jaime sbuffò.
«Invece no. Ho ancora da fare con Brienne.»
«Davvero?» chiese lei.
«Davvero, donzella. Avevi promesso di pranzare con me.»
«Io non me lo ricordo.»
«Non è un mio problema se la tua mente perde colpi. Una promessa è una promessa, fine del discorso.»
Poi si avvicinò a Tyrion, sussurrandogli all’orecchio: «Per favore.»
Il suo volto si aprì in un sorriso raggiante.
«In questo momento vorrei abbracciarti. Mi raccomando, però: sii cortese e trattala bene. Cosa fare poi sul letto dovresti già saperlo.»
«Certe volte non capisco perché ti voglia bene.»
Tyrion gli diede una pacca sulla spalla, prima di dirigersi verso la porta.
«Podrick, per favore fa’ entrare il pranzo.»
Il ragazzo aprì la porta, facendo cenno a qualcuno di farsi avanti. Due giovani cameriere entrarono nella stanza, depositando vassoi ricolmi di cibo sul tavolo.
«Ecco perché mi vuoi bene» disse Tyrion.
Jaime scosse la testa, sorridendo.
«Ser Jaime, io non ti avevo promesso proprio niente» insistette Brienne, una volta che il folletto se ne fu andato.
«Pazienza» rispose lui, tirando indietro una sedia. «Ormai il pranzo è qui e da solo non ce la faccio a finirlo. Forza, vieni a dare un aiuto a un povero storpio.»
«Ti senti offeso se qualcuno ti definisce in quel modo, ma sei il primo a sfruttare questa scusa quando puoi» commentò lei.
«Certo.»
Indicò poi la sedia, invitandola a prendere posto.
«Fammi compagnia, donzella.»
Brienne arrossì. Rimase immobile per qualche secondo, ma alla fine cedette: in fondo al suo cuore sapeva che, nonostante quello che diceva, era felice di passare il tempo con Jaime.
 
 

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Capitolo 8
*** La proposta ***


Prompt: Sera
Numero di parole: 735


LA PROPOSTA




La sera era sempre stato il momento della giornata che preferiva.
Da piccolo era l’occasione per passare del tempo con i suoi fratelli. Successivamente, l’oscurità gli aveva permesso di intrufolarsi nelle stanze di Cersei per stare finalmente insieme a lei, dopo una giornata trascorsa tra doveri di cui non gli importava più.
La sera a Grande Inverno, nonostante non potesse affacciarsi alla finestra senza rischiare il congelamento, aveva modo di stare in compagnia di Brienne, libera dai suoi doveri per qualche ora, senza bisogno di adoperare alcun sotterfugio. Poteva amarla pubblicamente, condividere la sua stanza e il suo letto, e nessuna occhiata sprezzante degli uomini del Nord gli avrebbe impedito di mostrare al mondo che lui era suo e lei era sua.
Poteva osservarla nelle sue vesti più vulnerabili, accarezzarle i corti capelli dopo aver consumato la loro passione e sentire il suo respiro regolare solleticargli la pelle quando dormiva.
«Jaime?»
«Sì?»
Brienne sollevò il volto per guardarlo negli occhi.
«Oggi ho parlato con Lady Sansa.»
«Pettegolezzi tra ragazze?» scherzò lui, facendola sbuffare.
«Mi ha… Mi ha detto che posso considerarmi libera dai miei voti.»
«Significa che non devi più essere la sua spada giurata?»
Lei abbassò lo sguardo.
«Sembra di sì.»
Jaime sorrise, ma limitò subito il suo entusiasmo notando che non sembrava corrisposto.
«Non sei felice?»
Brienne annuì.
«Sicura?» insistette. «Non lo sembri.»
«È che, ecco, a questo punto… Se non ho più motivo di restare qui… Immagino che tornerò a casa.»
«Avevi detto che desideravi tornarci, un giorno.»
«Sì, infatti.»
«E quindi quale sarebbe il problema?»
Lo fissò negli occhi. C’era una supplica nel suo sguardo, insieme a un evidente stato di terrore, e Jaime capì.
Loro era il problema.
«Brienne…»
«Senti, non… Non dobbiamo fare niente» disse, alzandosi in piedi. Afferrò la sua vestaglia, coprendosi in fretta, e si fermò di fronte al camino, lontana dal letto. «Tu non devi fare niente. Non hai nessun obbligo.»
«Lo so» rispose semplicemente Jaime. «Ma questo quindi che vorrebbe dire? Non posso venire a Tarth con te?»
«Certo che puoi.»
Lui annuì.
«E tu vuoi che io venga?»
Brienne sospirò.
«Io voglio che tu faccia quello che ti senti di fare. E… E a Tarth, con mio padre, è probabile che… che non potremo vivere come qui, semplicemente
Jaime lo sapeva. Era certo che un giorno loro due sarebbero potuti andare a Tarth e che questo avrebbe comportato un matrimonio. Jaime agognava quel giorno e, con sua enorme sorpresa, era giunto prima di quanto credesse.
Si alzò dal letto, infilandosi i pantaloni abbandonati sul pavimento, e si diresse verso la porta.
«Jaime?» lo chiamò con una punta di preoccupazione.
Lui infilò la mano nella tasca della sua giacca, avvicinandosi poi a Brienne che lo guardò con le sopracciglia aggrottate, incapace di comprendere cosa stesse facendo.
«Dammi la mano» le disse con un sorriso, allungando il moncone verso di lei.
«Perché?»
«Fidati.»
Brienne appoggiò la mano sinistra sul moncone. Jaime aprì il pugno, rivelando al suo interno un anello color zaffiro che le infilò all’anulare.
«Vedi di apprezzarlo, perché non è stato semplice dare questo colore all’acciaio.»
Brienne spostò lo sguardo da lui all’anello, sempre più incredula e confusa.
«Che… Che significa?» chiese infine.
«Che voglio sposarti, Ser Brienne di Tarth.»
«Sul serio?»
Jaime rimase ferito da quelle parole.
«Ti sembra tanto assurdo?»
Lei arrossì, abbassando lo sguardo.
«N-No. È solo che… non me lo aspettavo.»
«È una brutta sorpresa?»
«No! No, per niente. È solo…»
Gli gettò le braccia intorno al collo, stringendolo a sé. Jaime le passò le mani sui fianchi, incerto se dovesse essere felice per quell’abbraccio.
«Se mi stai lasciando in questo modo, giuro che ti uccido.»
Lei rise contro il suo orecchio.
«Non lo faresti mai.»
Gli prese il volto tra le mani, baciandolo sulle labbra. Jaime ricambiò il gesto, stringendola a sé e gustando quel sapore che ormai conosceva alla perfezione.
«Va bene, i segnali sono molto positivi» disse, «però sarei più tranquillo con una risposta chiara e inequivoc-»
«Voglio sposarti.»
Gli sorrise e nei suoi occhi Jaime lesse tutta la sincerità e l’amore di quelle parole. Sorrise a sua volta.
«Perfetto. Puoi riprendere a fare quello che stavi facendo.»
«Dovremmo metterci a dormire» disse, scostandosi da lui per tornare a letto. A Jaime non sfuggì il sorrisetto sulle sue labbra. Scosse la testa, seguendola e tirandola sul materasso insieme a lui, deciso a tenerla sveglia almeno fino all’alba.

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Capitolo 9
*** Il nuovo coinquilino ***


Prompt: Coinquilini
Numero di parole: 1185
Note: Modern!AU
 
IL NUOVO COINQUILINO




Brienne rientrò a tarda sera, con una busta piena di cibo surgelato tra le mani. Era dovuta stare tutto il pomeriggio in facoltà solo per scoprire che il professore non c’era e di conseguenza non poteva sostenere l’esame. E come se non bastasse i mezzi pubblici avevano deciso di indire uno sciopero proprio quel giorno, pertanto era dovuta restare ferma davanti alla fermata dell’autobus per quasi due ore. Era sfinita e l’unica cosa che voleva era scaldare la sua pasta precotta e mettersi sotto le coperte. Quando entrò in casa, si diresse subito in cucina per accendere il microonde e, con suo orrore, scoprì che l’ambiente era identico a quello che aveva lasciato la mattina – anzi, peggiore, dal momento che il suo coinquilino ci aveva cenato.
«Lannister!» gridò, mentre faceva spazio sul lavello per appoggiare la busta. «Lannister!»
«Calma, ti avevo sentito la prima volta» brontolò l’uomo, entrando in cucina. Aveva i capelli scompigliati e indossava solo i pantaloni del pigiama. Sembrava innervosito.
«Scusa, non avevo sentito risposta. Cosa ti avevo detto prima di uscire?»
«“Buona giornata, Jaime”?»
Brienne sbuffò.
«No. Ti avevo gentilmente chiesto di pulire il porcile che tu e i tuoi amici avete fatto ieri sera.»
«Uno è mio fratello e l’altro un collega» specificò Jaime.
«Ed evidentemente nessuno di voi tre sa cosa sia la civiltà.»
«Ma perché devi essere così acida, donzella? Mi hai svegliato solo per questo?»
«Non ti avrei svegliato se tu avessi fatto il tuo dovere. Sappi che qui le pulizie di casa le facciamo entrambi
Jaime sospirò.
«Sì, lo avevo intuito dalla stupida tabella che hai appeso al frigorifero» rispose, indicando il foglietto appuntato con uno sticker di Stitch su cui erano segnati, per ogni giorno della settimana, i compiti che ognuno di loro doveva svolgere.
«Ogni tanto potresti sforzarti di guardarla e fare quello che dice.»
«Senti, donzella, scusa se non riesco a essere sempre il perfetto padrone di casa, ma sai com’è, io ho un lavoro da mandare avanti.»
«Sì, ho visto come hai lavorato ieri» borbottò Brienne, aprendo l’acqua per lavare i piatti. Non avrebbe pulito tutto, ma le serviva comunque qualcosa su cui mangiare.
«Va bene, lascia.» Jaime le tolse il piatto di mano, cominciando a sciacquarlo a sua volta. «Hai un aspetto peggiore del solito, vatti a sistemare. Qui pulisco io, maestà
Brienne decise di considerare e apprezzare solamente l’aiuto che le stava offrendo e ne approfittò per andare a farsi una doccia veloce. Il bagno era l’unico luogo che Jaime riusciva a tenere pulito perché, semplicemente, non era un animale e non aveva molto oltre a un pettine e uno spazzolino da denti. Non aveva bisogno nemmeno della lacca per i suoi capelli, dal momento che erano perfetti per natura, come tutto il resto del suo corpo. Renly usava invece molti più prodotti per l’igiene personale, ma sapeva comunque cosa fosse l’ordine e l’unica differenza rispetto a prima era che l’armadietto del bagno era semivuoto.
A Brienne mancava Renly. Era il coinquilino perfetto, gentile, pulito e ben disposto a impegnarsi per mantenere quel luogo abitabile. Veniva dal ceto medio come lei e, come lei, era uno studente universitario. La loro convivenza era trascorsa a meraviglia, ma Loras aveva deciso di chiedere al suo ragazzo di andare a vivere con lui e Renly aveva accettato. Brienne ne era stata dispiaciuta in un primo momento, perché non le andava di dover trovare un altro coinquilino – da sola non poteva permettersi l’affitto – ma quando aveva visto quanto era felice Renly nella sua nuova casa, lo era stata anche lei. E lo era stata ancora di più quando il ragazzo le aveva detto che il fratello di un suo amico stava cercando un appartamento in cui vivere. La sua gioia era svanita nel momento in cui aveva conosciuto tale persona. Jaime Lannister, avvocato di successo alla Lannister’s, aveva recentemente avviato un’attività in proprio per allontanarsi dalla sua famiglia e, per risparmiare e mantenere un profilo più basso, aveva deciso di trasferirsi in un appartamento fuori dal centro di Londra.
All’inizio non era sembrata una pessima scelta. Jaime sapeva alternare momenti di estrema crudeltà ad altri di incredibile gentilezza, che ogni volta destabilizzavano Brienne. Tuttavia si era mostrato da subito poco incline alle faccende di casa. Non aveva idea di come si usasse una scopa, di come si cucinasse – e quello vale anche per lei – o di come si passasse uno straccio. E non solo non era in grado di farlo, ma non gli andava nemmeno di imparare. Le uniche cose che faceva erano buttare la spazzatura, tenere in ordine la sua stanza – e questo punto non aveva molta importanza per Brienne, visto che lei non doveva usarla – e, quando gli andava, lavava i piatti. Il vero problema, per lei, era notare con quanta semplicità svolgesse certi compiti se solo si fosse impegnato. Nel tempo di lavarsi e mettersi il pigiama, Jaime aveva ripulito la cucina dalle lattine di birra e i piatti sporchi lasciati il giorno precedente, aveva apparecchiato la tavola e stava sfornando la cena.
«Hai fatto presto» disse Brienne. Il pavimento era ancora sporco, ma una passata di cencio sarebbe stata sufficiente a rimuovere tutti i residui.
Jaime annuì, borbottando qualcosa tra sé e sé.
«Siediti. La cena è pronta.»
Brienne obbedì. Si accorse che la tavola era imbandita per due.
«Ecco qua. Ho visto che era una porzione per due e ho pensato di approfittarne. Se ti va bene.»
Lei annuì. Jaime era entrato in modalità gentile.
Le servì metà delle lasagne e prese l’altra metà per sé. Aprì una bottiglia di vino rosso da quattro soldi del supermarket e si riempì il bicchiere, provando poi a fare lo stesso con lei.
«No, grazie. Preferisco non bere.»
«Cosa c’è? Temi che voglia farti ubriacare così da potermi infilare nel tuo letto indisturbato?»
Brienne diventò paonazza, facendolo ridere di gusto.
«Scherzo, donzella. Coraggio, fai un brindisi con me per stasera, non ceniamo mai insieme.»
Brienne sbuffò.
«Sai che non mi piace quel nome.»
«A me invece sì. Ti si addice. Forza, togli quella mano prima che le lasagne si raffreddino.»
Brienne obbedì, facendogli riempire solo metà bicchiere. Jaime sorrise soddisfatto.
«A cosa vorresti brindare?»
«Non saprei. Alla bellezza e l’amore delle nostre vite.»
Brienne aggrottò le sopracciglia.
«O più semplicemente al fatto che non mi hai ancora buttato fuori di casa.»
«Mi sorprende che questo ti preoccupi. Non è che fai molto per evitarlo.»
«Non sono abituato a svolgere mansioni domestiche» si giustificò Jaime. «E… tra tutti i nostri impegni, non c’è molto tempo perché io, ecco, impari.»
«Vorresti farlo?» chiese lei, sorpresa.
Jaime abbassò lo sguardo sul suo piatto, a disagio, prima di fissarla nuovamente con la sua arroganza.
«Brindiamo e basta, donzella, che qui la cena sta ghiacciando.»
Brienne sbuffò, facendo scontrare il suo bicchiere con quello di Jaime. Bevvero e mangiarono in silenzio per alcuni minuti.
«Domenica mattina siamo liberi entrambi» commentò Brienne.
Jaime alzò lo sguardo verso di lei. Gli bastò la spiegazione dei suoi occhi per capire la proposta implicita.
«Va bene» annuì, finendo le sue lasagne. «Magari ora potresti già farmi vedere come funziona la lavastoviglie.»

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Capitolo 10
*** Il bacio della fortuna ***


Prompt: Portafortuna
Numero di parole: 753

 
IL BACIO DELLA FORTUNA




Scattarono al primo suono del corno, consapevoli che ne sarebbero seguiti altri due. Tormund, Brienne e Podrick uscirono per andare a unirsi ai loro eserciti, mentre Jaime accompagnò Tyrion verso le cripte.
«Resta vivo» gli disse Tyrion, abbracciandolo.
«Anche tu.»
Il cortile interno era invaso da soldati e contadini che correvano alla ricerca di un’arma, pronti a combattere o semplicemente terrorizzati per quello che stava per accadere. Jaime non poteva biasimarli: il fatto che sapesse nascondere la paura, non significava che non la provasse.
«Ser Jaime.»
Brienne gli andò incontro.
«Credevo fossi già in posizione» disse lui.
«Ho mandato Pod. Ero venuta a cercare Lady Sansa per assicurarmi che fosse al sicuro nelle cripte.»
Jaime annuì.
«Sì. Io ho accompagnato Tyrion. Stai bene?»
«Sì» rispose automaticamente. «Abbastanza. Un po’ nervosa, in realtà.»
«Lo so. Sarebbe strano se non lo fossi.»
Brienne annuì. Strinse la mano sull’impugnatura di Giuramento – un gesto abituale, riconobbe Jaime. Sembrava sul punto di dire qualcosa, così rimase in attesa, dandole il tempo di raccogliere i pensieri – cosa che lui non era stato in grado di fare quella mattina.
«Grazie» gli disse infine. «Per… Per prima. È stato il regalo più bello che mi potessi fare.»
Jaime sorrise, ricordando i suoi occhi lucidi e la bellezza che irradiava quando si era alzata come cavaliere.
«Te lo meriti, ser Brienne» disse, godendosi il rossore che si spanse per il suo volto. «Avrei dovuto farlo anni fa.»
«B-Beh, ora dovremmo andare.»
Si voltò per incamminarsi verso le mura per unirsi ai suoi uomini. Con lo scontro ormai divenuto una realtà, Jaime divenne consapevole anche di un’altra cosa: quella poteva essere l’ultima notte della sua vita. O, peggio, della vita di Brienne. Tra le molte cose che non aveva mai fatto, ce n’era una di cui avrebbe sentito per sempre il rimpianto se non l’avesse attuata in quel preciso istante.
Allungò un braccio verso di lei, tirandola indietro. Brienne si voltò con le sopracciglia aggrottate, ma Jaime non le diede il tempo di porre nessuna domanda.
Posò le sue labbra su quelle screpolate di Brienne, mentre con il braccio mutilato la stringeva a sé. Le armature erano scomode, ma se quella fosse stata l’unica occasione in cui avrebbe potuto averla così vicina, si sarebbe accontentato. Il contatto fu breve, delicato, ma quasi più intimo di ogni bacio che avesse mai sperimentato. Quando lei ricambiò timidamente il gesto, Jaime sospirò e desiderò che il mondo sparisse per non dover mai rischiare di perderla.
«C-Cos’era?» chiese Brienne quando si separarono.
«Un portafortuna per la battaglia» rispose con un sorriso.
«Oggi sei strano.»
«Ed è un problema?»
Brienne arrossì.
«N-Non esattamente.»
Gli strinse la mano, abbassando lo sguardo.
«Credo di essere più spaventata di prima.»
«In effetti lo sono anch’io» commentò Jaime. «Ma sono anche più deciso a combattere e vivere.»
Brienne annuì, risoluta. Senza lasciare la sua mano, si incamminò verso il terreno di battaglia.
 

Si sentiva a pezzi. Non ricordava di essere mai stato così stanco, nemmeno durante la sua prima vera battaglia, quando era poco più di un bambino. La gravità richiamò la sua spada, divenuta improvvisamente troppo pesante da sostenere; le gambe erano molli, in grado di sostenerlo solo grazie al muro dietro di lui; non era nemmeno certo di avere ancora il braccio destro, tanto era divenuto insensibile.
Respirava senza fatica e, a conti fatti, quella era la cosa più importante. Come importante era sentire anche il respiro affannato dei suoi compagni. Trovò la forza di voltarsi verso la sua destra, per essere certo che Brienne fosse realmente accanto a lui e non un frutto della sua immaginazione. Anche lei era appoggiata al muro, Giuramento appoggiata accanto a sé. Aveva un lungo taglio sulla fronte, ma non sembrava profondo. Avvertendo il suo sguardo su di sé, si voltò a sua volta.
«Siamo vivi» sospirò.
Jaime annuì. Cercò di allungare il braccio verso di lei – scoprendo che era diventato un macigno, ma si trovava ancora al suo posto – ma lei lo precedette. Gli mise le mani sulle spalle, appoggiandosi a lui, e lo baciò.
«E questo cos’era?» le chiese. Anche nella penombra, riuscì a distinguere il suo rossore.
«Un portafortuna» rispose. «Per il futuro.»
«È un periodo molto lungo. Non ne basta solo uno, donzella.»
Brienne sbuffò, spostando la sua attenzione su Podrick. Jaime si lasciò sfuggire una risatina liberatoria, stringendola a sé. Non aveva mai creduto nel destino o nella fortuna, ma sperò che il portafortuna che gli aveva dato Brienne funzionasse bene quanto quello che aveva dato lui a lei.
 

 

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Capitolo 11
*** La fanciulla nella torre ***


[Questa storia partecipa al "Gioco di scrittura" indetto dal gruppo Facebook "Caffè e calderotti"]
Prompt: Favola/Fiaba!AU.
Numero di parole: 1083

 
LA FANCIULLA NELLA TORRE




La Fortezza Innevata era avvolta da una tormenta e il suo profilo era individuabile solo grazie alla sua immensa mole. Jaime sapeva che la tempesta era costante, pertanto spronò Onore verso l’ingresso, desideroso di portare a termine in fretta la sua missione.
All’interno il castello era deserto e sembrava abbandonato a se stesso. L’unico elemento nuovo erano delle pellicce di orso attaccate alle pareti lungo la scalinata e all’ingresso. Il Gigante che vi abitava era conosciuto da tutti per la sua crudeltà e, allo stesso tempo, la sua giovialità. Era tuttavia raro che rapisse le fanciulle che si avventuravano nel suo bosco – che, secondo lui, si estendeva per tutto il Nord del regno. Per questo quando Lord Tarth lo aveva contattato, dicendogli che sua figlia era stata rapita, Jaime ne era rimasto sconvolto.
Conosceva bene Brienne: i loro rapporti erano iniziati con il piede sbagliato – lei troppo onesta per perdonare il suo passato oscuro, lui troppo orgoglioso per voler andare oltre il suo aspetto sgradevole – ma negli anni avevano imparato a rispettarsi e ad apprezzare pregi e difetti l’uno dell’altra.
Jaime non sopportava l’idea che lei fosse rinchiusa in una lugubre torre alla mercé di un vile Gigante.
Estrasse la sua spada, salendo guardingo le scale. C’era troppo silenzio. Un altro avrebbe pensato a una trappola; Jaime ne approfittò per trovare Brienne più velocemente.
Si diresse verso l’ala Ovest e scoprì presto di essere nel posto giusto. Le assi scricchiolavano, causando dei piccoli terremoti a ogni passo del Gigante. Jaime vedeva la sua ombra e sentiva la sua voce sopra di sé.
«Non so più che regalarti» diceva. «Ti ho preso pellicce, carne di ottima qualità, latte, persino fiori. Cosa devo fare ancora per te?»
«Potresti tentare con quello che ti chiesi già il primo giorno: liberarmi e lasciarmi tornare a casa.»
Jaime tirò un sospiro di sollievo sentendo la voce combattiva di Brienne. Qualunque cosa le avesse fatto quell’essere, non era ancora troppo tardi. Percorse gli ultimi gradini che lo separavano dalla stanza senza fare attenzione al rumore che faceva, dal momento che ogni suo passo sarebbe stato coperto da quelli più pesanti del Gigante.
«Io non voglio lasciarti andare! Io ti voglio con me, devi essere mia!»
«Non ti ha insegnato nessuno come ci si rivolge a una giovane fanciulla?»
Jaime scattò dentro la stanza e ferì il Gigante – che così gigante in realtà non era – dietro le ginocchia, facendolo cadere per il dolore e la sorpresa. Senza lui tra i piedi, vide che Brienne era sdraiata supina su un grande letto e stava cercando di guardarlo, sebbene la testa fosse diretta verso il soffitto.
«Jaime!»
Jaime corse da lei. Percorse rapidamente il suo corpo con lo sguardo, in cerca di lividi o ferite.
«Stai bene?» le chiese.
«Sì. Ma non riesco a muovermi, mi ha… mi ha dato qualcosa.»
«Una pozione» intervenne il Gigante, che nel frattempo si era messo seduto contro il muro. «Una pozione di cui solo io, Tormund il Gigante, possiedo l’antidoto.»
«Allora dammelo» gli intimò Jaime, puntandogli la spada alla gola.
«Certo» disse. «Appena lei sarà diventata mia.»
«Lei non sarà mai tua! Liberala, se non vuoi che versi il tuo sangue putrido qui e adesso.»
Tormund rise.
«Se io muoio, lei resterà così per sempre.»
La mano di Jaime tremò. Con uno sbuffo, tornò verso Brienne. Lei non poteva muoversi, ma lui riusciva a toccarla.
«Ti porto via da qui» disse, passandosi il suo braccio intorno alle spalle. «Troveremo un modo per annullare gli effetti della pozione…»
«Jaime!»
Il suo grido di avvertimento giunse troppo tardi. Una miriade di colori esplose nelle testa di Jaime, mentre dalla sua nuca partirono scosse di dolore puro. Si tastò la ferita, scoprendo di star perdendo sangue, mentre le sue gambe smisero di reggerlo. Cadde su un fianco, con la voce di Brienne che chiamava il suo nome in lontananza.
“Resta sveglio”, si disse. Non doveva permettersi di perdere i sensi, non in quel momento.
«Non… amico…»
La mente di Jaime si sforzava di capire cosa stava dicendo Tormund, ma senza molto successo.
«… andrai… Mia e solo mia.»
Jaime allungò la mano destra intorno a sé, alla ricerca della spada. Tormund lo aveva dato per svenuto e non gli prestava più attenzione, mentre al contrario ne stava prestando troppa a Brienne.
«Non osare avvicinarti a me, verme!»
Jaime strinse il pomolo della spada. Tenendosi a un gambo del letto, si mise seduto. Tormund era vicino a lui, di spalle, mentre cercava di baciare Brienne. Con un unico fendente, Jaime gli trapassò il petto. Tormund si voltò verso di lui, tenendosi le mani sullo sterno per cercare di bloccare l’emorragia. Cadde a terra, riverso nel suo sangue, e non si mosse più.
«Jaime! Sei ferito?»
Jaime scosse la testa e si pentì subito di quel gesto.
«Solo un po’ stordito» rispose. «Coraggio, andiamocene.»
«Sei sicuro di riuscire a sollevarmi da solo?»
«Cosa? Credi che non sia abbastanza forte da poterlo fare?»
«Credo che quel colpo ti abbia indebolito parecchio» gli fece notare lei. «Non voglio che tu faccia sforzi inutili.»
«Quanto sei dolce a preoccuparti per me, donzella. Tranquilla, niente potrà impedire a un cavaliere di salvare la…»
Si bloccò.
«Se ti faceva schifo dire “fanciulla”, potevi anche stare zitto» mormorò Brienne.
«No, no, no. Hai mai letto delle favole da bambina?»
«Ti sembra il momento di fare conversazione?»
«Cattivo che rapisce la fanciulla e la rinchiude nel suo castello, un cavaliere che deve salvarla, una pozione magica… Ci sono tutti gli elementi per una favola! Tutti tranne uno.»
«Ti ha colpito con più forza di quanta credessi, temo.»
Jaime sbuffò.
«E tu sei senza speranza, donzella. Beh, lasciamo perdere, proviamoci e basta.»
Si chinò su di lei, posando le labbra sulle sue. Sarebbe dovuto essere un contatto breve, ma Jaime non riuscì ad allontanarsi. In quel momento, quei sentimenti strani e inspiegabili che provava per Brienne emersero dandogli finalmente una risposta. E, a giudicare dal modo in cui lei rispose al bacio, portandogli le braccia intorno alle spalle per avvicinarlo a sé, il suo amore doveva essere ricambiato.
Quando si allontanarono, Jaime le sorrise mentre il suo volto divenne paonazzo, mettendo in risalto le lentiggini che le ricoprivano le guance.
«Sembra che il bacio del vero amore abbia funzionato» disse, toccandole le braccia con cui lo stava ancora stringendo.
Brienne scattò a sedere, rischiando di dargli una testata, e scese dal letto.
«S-Sarà stato un c-caso» esclamò. «C-Comunque, grazie. Ora… Ora andiamocene.»
Jaime rise, seguendola fuori dal castello.
 

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Capitolo 12
*** Brienne ***


Prompt: Angst ending
Numero di parole: 3009
Avvertimenti: Death!fic

 
BRIENNE




Lady Sansa aveva convocato l’intero castello per dare la buona notizia: Cersei Lannister era morta e Daenerys Targaryen aveva preso il suo posto sul Trono di Spada. Inoltre, grazie all’intercessione di Jon Snow, sembrava che la nuova regina stesse prendendo in considerazione il desiderio di indipendenza del Nord. Ci furono brindisi e festeggiamenti per tutto il giorno, poiché oramai era evidente che la guerra era definitivamente conclusa.
Brienne rimase al fianco di Sansa per un po’, poi con una scusa chiese di potersi ritirare. La ragazza capì e lasciò che se ne andasse e, con lei, anche Jaime.
Quando furono nella loro camera, Brienne posò Giuramento e il mantello, prendendo alcuni ceppi di legno per ravvivare il fuoco. Una volta fatto questo si voltò verso Jaime, che stava togliendosi la mano dorata, e senza dire niente lo abbracciò.
«Sto bene» le disse con voce atona.
Brienne gli accarezzò i capelli, stringendolo a sé. Non aveva parole per confortarlo, ma desiderava che sapesse che non doveva nascondere i suoi sentimenti con lei. Alla fine Jaime accettò il suo sostegno. Le strinse le braccia intorno al corpo, nascondendo il volto sulla sua spalla, e lasciò fuoriuscire il dolore per la perdita della sua amata sorella.
 

Il giorno seguente le chiese di sposarlo e Brienne gli propose di andare a vivere a Tarth. Partirono una settimana dopo.
 

«Altro secchio di vomito» disse Jaime, svuotando il contenuto nel mare.
«Sta ancora tanto male?»
«Già. Meno male che era entusiasta all’idea di viaggiare su una nave.»
«È naturale» rispose Brienne. «È una sensazione meravigliosa: il rumore delle onde che si infrangono, il vento addosso, il cullare del mare ogni secondo del giorno.»
Jaime sorrise.
«Vedo che sta riemergendo l’isolana che è in te.»
Brienne arrossì.
«Vado a vedere come sta» disse, ma Jaime la fermò.
«Non vuole che tu lo veda in quello stato, si vergogna.»
«Ma non ne ha motivo» ribatté lei. «Non è certo la prima persona nei Sette Regni a soffrire di mal di mare.»
«Certo, ma non vuole comunque che il suo mentore se ne occupi» Si sporse verso di lei, dandole un bacio a fior di labbra. «Mi occupo io di Pod, tranquilla. Tu goditi il rumore delle onde, il vento e quella roba lì.»
 

Selwyn Tarth era proprio come Jaime si era immaginato: immensamente alto, educato, amorevole e protettivo con la sua unica figlia. Quando lei gli disse che desideravano sposarsi, l’uomo lo guardò dall’alto in basso, assumendo un’espressione severa.
«So che hai salvato mia figlia in più di un’occasione» gli disse, «ma non so se questo sia sufficiente per permetterti di sposarla, Sterminatore di Re.»
«Il suo nome è Jaime, padre» lo difese Brienne. «E io non sposerò nessuno che non sia lui. Ti prego di non prendere queste parole come un affronto, quanto più come un fatto: non siamo venuti a chiederti il permesso. Noi ci sposeremo e vivremo insieme. Se potremo farlo qui, ne sarò immensamente felice, ma mi accontento anche di una capanna sperduta in mezzo ai boschi, se dovesse essere necessario.»
«So quello che ho fatto e lo sa anche lei» aggiunse Jaime. «Alcune colpe non potranno mai essere cancellate, ma questo non cambia il fatto che io sono innamorato di tua figlia e desidero restare al suo fianco. So di poterla rendere felice e mi impegnerò ogni giorno della mia vita per farlo. Permettici di restare qui e permetti a me di dimostrarti che sarò un ottimo marito per Brienne.»
Selwyn spostò lo sguardo da Brienne a lui e poi nuovamente a lei. Il suo sguardo si addolcì e si lasciò sfuggire un sospiro.
«Bene. Onestamente non credevo che mia figlia mi avrebbe mai imposto il suo matrimonio, men che meno che sarebbe avvenuto con Jaime Lannister. Tuttavia le tue parole sembrano oneste, figliolo, e so bene quanto Brienne sia testarda. Non voglio che tu viva in mezzo al nulla, cara» disse, mettendole un braccio intorno alle spalle, «perciò va bene. Vi sposerete e vivrete qui. Quanto a te» aggiunse, rivolto a Jaime, «ti terrò d’occhio e se la farai soffrire, te ne pentirai amaramente. Le scogliere di Tarth sono molto alte e un tempo venivano sfruttate per le esecuzioni. Non avrò problemi a reintrodurre questa pratica se mi costringerai.»
Brienne rise, mentre Jaime annuì con un sorriso stentato.
«Farò in modo che non lo debba fare, Lord Tarth.»
 

Appena si sistemarono nella loro nuova camera, Jaime scrisse a Tyrion per sapere come stava e invitarlo al suo matrimonio. La risposta giunse prontamente portata dallo stesso Tyrion.
 

La sera prima del matrimonio, Tyrion raggiunse Brienne con una scatola di legno rossa su cui era dipinto il leone dei Lannister.
«È una cosa un po’ imbarazzante» le disse. «Ma ho pensato fosse più giusto parlarne prima con te. Qui dentro ci sono le ceneri di Cersei.»
Brienne annuì.
«Dovrebbe essere Jaime a decidere cosa farne» disse, esprimendo lo stesso pensiero di Tyrion.
Più tardi, quella stessa sera, Brienne le mostrò a Jaime.
«È una bella tomba» disse, accarezzandone la superficie.
«Se vuoi tenerla…»
«No.»
«Per me non è un problema» insistette Brienne.
Jaime scosse la testa. Le diede un bacio sulla fronte, accarezzandole il volto con un sorriso.
«Ti ringrazio, ma non dovrebbe stare qui. Domani dirò a Tyrion di spargerle dove sorgeva il tempio di Baelor. Merita di riunirsi ai suoi figli.»
 

Si sposarono su un piccolo tratto di spiaggia nascosto alla vista, alla presenza di un septon, Selwyn, Podrick, Tyrion, la scatola rossa e quattro conchiglie che Brienne aveva apposto lì anni prima in ricordo di sua madre e dei suoi fratelli.
«Padre, Fabbro, Guerriero, Madre, Fanciulla, Vecchia, Sconosciuto. Io sono sua e lui è mio, da questo giorno fino all'ultimo dei miei giorni.»
Si baciarono tra gli applausi dei loro cari, mentre la brezza marina avvolgeva i loro corpi uniti. Fu il giorno più felice della vita di entrambi.
 

«Devo parlarti» gli disse un giorno mentre affilava Lamento di Vedova.
Erano due parole che a Jaime non piacevano affatto, ma quella stessa mattina Podrick gli aveva anticipato quella conversazione con un sorriso. Piaceva al giovane cavaliere – o almeno lo credeva – perciò doveva trattarsi di qualcosa di positivo.
«Dimmi.»
«Sono incinta.»
Spada e pietra focaia caddero contemporaneamente a terra, mentre Jaime corse verso di lei.
«Davvero?» esclamò.
Lei annuì.
«Ne… Ne sei felice?»
Jaime le prese il volto tra le mani, baciandola fino a lasciare entrambi senza fiato.
«Secondo te?» chiese.
«Non lo so» rispose lei, cercando di nascondere un sorriso. «Puoi essere un po’ più chiaro?»
Jaime la baciò di nuovo, mentre con la mano iniziò a slacciarle la camicia, indietreggiando verso il letto.
 

«Che te ne pare di Duncan? Oppure Arthur?»
«Mi piacciono, ma sono nomi di cavalieri famosi. Non credi che si sentirebbe sotto pressione, dopo? Come se pensasse che dovesse diventare un cavaliere a sua volta?»
«Donzella, saremo noi i genitori» le fece notare. «I nostri figli vorranno diventare cavalieri a prescindere dal loro nome.»
Brienne annuì, accarezzandosi distrattamente la pancia che stava iniziando a crescere.
«Può darsi. Perché usi già il plurale?»
«Almeno tre o quattro fratellini glieli dovremo dare, non credi?»
Lei rise, scuotendo la testa.
«Vedremo. Per una bambina, invece, che ne pensi di Joanna? Oppure anche Catelyn, mi piacerebbe molto.»
Jaime le passò la mano tra i capelli, che si stava lasciando crescere ed erano ormai arrivati fino alle spalle.
«Sono entrambi dei bei nomi» disse.
«Credo comunque che ci convenga semplicemente aspettare che nasca e vedere cosa ci ispira in quel momento.»
Jaime la trovò un’ottima idea.

 
All’alba dell’ottavo mese, Tyrion arrivò a Tarth, desideroso di essere il primo a conoscere il bambino.
«Bronn si scusa per la sua assenza e vi informa che è lieto che abbiate finalmente scopato» disse loro Tyrion.
«E noi lo ringraziamo per il suo gentile pensiero.»
«Soprattutto per la sua assenza» aggiunse Brienne.
«Allora, il mio nipotino ti dà tante pene?»
«Credo che sarà irrequieto come suo padre» disse toccandosi il ventre, «che dal canto suo non fa niente per cercare di calmarlo.»
«Le mie storie lo calmano.»
«No, le tue storie lo agitano ancora di più.»
«Posso provare a raccontargli una storia io» intervenne Tyrion. «Vi ho mai parlato di quella volta in cui portai un asino e un nido di vespe in un bordello?»
Brienne gli lanciò uno sguardo di fuoco, mentre Jaime gli mise la mano d’oro sulla bocca.
«Questa tienitela per quando sarà più grande» disse.
«O per mai. Sono sicura che ci siano…»
Impallidì di colpo e dovette reggersi al tavolo per non cadere. Jaime le fu subito accanto.
«Che hai?»
Brienne scosse la testa.
«Niente. Solo un po’ di stanchezza.»
«Sei molto pallida» notò Tyrion. «Vuoi che vada a chiamare il maestro?»
«No, non serve, grazie. Mi è passata.»
«Sdraiati un po’» disse Jaime, accompagnandola verso il letto. Lei stava per ribattere, ma scoprendo che le sue gambe facevano fatica a muoversi, obbedì. Quando si fu stesa, Jaime fece cenno a Tyrion di andare dal maestro.
 

«È un po’ indebolita, ma non è strano. Consiglio di restare il più possibile a riposo fino al parto.»
La diagnosi del maestro fu positiva per Brienne.
«Non hai niente di cui preoccuparti, Jaime» gli disse quella sera, mentre erano a letto insieme.
«Sei quasi svenuta. Non ti era mai successo.»
«Perché non ero mai stata incinta.»
Gli prese la mano, posandola sul ventre gonfio.
«Nostro figlio sta bene. Io sto bene. Andrà tutto bene, vedrai.»
Jaime annuì, cercando di convincersene.
 

La salute di Brienne andò peggiorando.
Aveva il volto pallido e poco appetito. Alla fine non riusciva nemmeno più ad alzarsi da sola.
«Sto bene» continuava a ripetere. «Starò meglio quando sarà nato.»
«Non è così raro che una donna muoia di parto» gli disse un giorno Selwyn. Dal primo malore di Brienne, sembrava essere invecchiato improvvisamente.
«Nemmeno così frequente» ribatté Jaime. «Brienne ha affrontato un orso, viaggiato per il continente e combattuto un esercito di morti. È un cavaliere.»
Selwyn annuì con un sospiro.
 

Una sera, Brienne gli strinse la mano tra le sue. Era questione di giorni prima che la loro famiglia si allargasse ed erano sempre più provati – lei fisicamente, lui psicologicamente.
«Nostro figlio sarà felice, vero?» gli chiese.
«Ma certo che lo sarà» la rassicurò lui, dandole un bacio sui capelli. «Saremo degli ottimi genitori, vedrai. E poi avremo il supporto di Tyrion e Pod, ed eventualmente anche Bronn.»
Brienne sorrise, scuotendo la testa.
«Lo amerai?»
«Perché non dovrei?»
«No, è solo… Voglio che voi siate felici. Tu e il bambino.»
«Lo saremo, moltissimo. Insieme a te non potremmo che essere felici.»
Brienne annuì. Allungò una mano verso il suo volto, posandola sulla guancia ricoperta di peli biondi e grigi.
«Ti amo» disse. «E amo nostro figlio. Non dimenticarlo mai, va bene?»
Jaime sospirò.
«Ripetimelo ogni giorno per sicurezza.»
 

Il travaglio durò meno di mezza giornata. Quando Jaime se ne rese conto, tirò un sospiro di sollievo: i parti di Cersei erano sempre stati molto più lunghi.
Brienne era più pallida di quanto lo fosse mai stata lei, ma la sua carnagione era di natura più chiara. Stava perdendo molto sangue, ma di nuovo, anche Joffrey aveva fatto soffrire molto sua madre quando era venuto al mondo. Era pur sempre il primo parto di Brienne ed era normale che fosse faticoso.
Jaime le tenne la mano tutto il tempo, sussurrandole parole d’amore e di incoraggiamento mentre lei dava tutta se stessa per dare alla luce il loro primo figlio. Dopo un’ultima, difficile spinta, la stanza fu invasa da un pianto acuto.
«Abbiamo finito» disse il maestro, mentre sollevava il bambino. «Congratulazioni. È una femmina.»
Il cuore di Jaime si irradiò per quella notizia. In fondo aveva desiderato che fosse una bambina.
«Hai sentito, amore?» disse a Brienne, che nel frattempo si stava riposando gli occhi. «È una bimba. Non sei contenta?»
Lei non disse niente.
Era pallida e in quel momento Jaime si rese conto che non gli stava più stringendo la mano.
«Brienne?»
La scosse leggermente, cercando di svegliarla. Capiva che era stanca e necessitava un po’ di riposo, ma poteva resistere qualche altro minuto per salutare sua figlia – e per rassicurarlo che andava tutto bene.
Continuò a rimanere immobile. Completamente immobile.
Jaime la scosse ancora e ancora, ma lei insisteva nel non rispondergli. Lui però non era abituato ad arrendersi: continuò a chiamarla, pregandola di svegliarsi, di rispondergli, fino a quando Selwyn non gli posò una mano sulla spalla, mentre il suo volto si rigava di silenziose lacrime per la perdita di sua figlia.
 

Cercarono di portare via Brienne, ma Jaime lo impedì. Nessuno doveva toccarla, nessuno doveva osare allontanarla da lui. Fortunatamente, Selwyn accettò la sua decisione e gli lasciò un po’ di spazio per affrontare quello che era appena accaduto. L’unico che poteva entrare in quella stanza era Tyrion, principalmente perché Jaime aveva bisogno di mangiare e di bere – o almeno, così dicevano. Non gli importava molto se fosse morto di stenti. Anzi, sarebbe stato quasi meglio: almeno avrebbe raggiunto Brienne.
Trascorsero due giorni interi prima che Tyrion decidesse che era tempo di spiegare a Jaime che era ancora vivo e che aveva una figlia.
Entrò nella stanza con la culla della bambina, che aveva cullato fino a farla addormentare. Jaime notò la loro presenza solo quando si fermarono di fronte al letto.
«Cos’è?» chiese distrattamente.
«Tua figlia, ecco cos’è. Non l’hai ancora presa in braccio.»
«Non mi va. Portala via.»
Tyrion sospirò.
«Jaime, so che non volevi che le cose andassero così. La morte di Brienne è stata un duro colpo per tutti, ma devi cercare di reagire. Sei padre e probabilmente presto sarai anche il Lord di quest’isola. C’è gente che ha bisogno di te.»
«Anche Brienne ha bisogno di me.»
«Ne dubito fortemente. Coraggio, alzati e vieni a vedere tua figlia.»
«Non voglio vederla. E non voglio vedere nemmeno te.»
«E invece vedrai entrambi! Alza il culo e vieni qui.»
Jaime non rispose.
«Tua figlia ha bisogno di un padre» insistette.
«Ha voluto fare a meno di una madre, potrà farlo anche per il padre» sbottò Jaime.
«Oh. Quindi stai dicendo che l’ha uccisa lei?»
Il silenzio fu una risposta assordante per Tyrion.
«Proprio come io ho ucciso nostra madre.»
Jaime chiuse gli occhi, sospirando.
«No, non è… Non volevo dire quello. Non sono molto lucido in questo momento.»
«Non riuscirai mai a esserlo se non ricominci a vivere. Devi lasciarla andare, Jaime.»
Lui scosse la testa.
«Volevamo avere altri figli» disse con la voce rotta dal pianto. «Viaggiare e vivere nuove avventure. Non siamo sposati nemmeno da un anno.»
«Lo so.»
Si avvicinò a lui per abbracciarlo, ma Jaime lo allontanò.
«Voglio stare solo, Tyrion.»
Lui obbedì.
 

Jaime si era dimenticato della bambina, finché non la sentì piangere. Quel suono gli ricordò lo stesso che aveva sentito due giorni prima, l’ultima volta in cui era stato felice.
«Sta’ zitta» mormorò, ma lei ovviamente non lo capì.
Sbuffando, Jaime si alzò dal letto e si avvicinò alla culla. La bambina era stata vestita con della stoffa celeste – il colore preferito della madre – e aveva il volto paonazzo per il pianto. Jaime dondolò la culla, sperando che si calmasse, ma fu inutile.
La prese in braccio, anche se non ricordava più come si faceva – Cersei non gli permetteva di tenere i bambini ed era convinto che avrebbe avuto Brienne ad aiutarlo. Ma lei non c’era più.
Tenne la bambina contro il suo petto, dondolandosi avanti e indietro nell’attesa che smettesse di piangere. Dopo alcuni minuti, i singhiozzi diminuirono di intensità e alla fine cessarono.
«Brava, ora torna a dormire.»
Jaime mise nuovamente giù la bambina, ma prima che toccasse la culla, si bloccò. Lei era sveglia e lo stava fissando con i suoi occhioni spalancati. Jaime sentì una morsa al cuore che gli strinse il petto fino a togliergli il fiato. Iniziò a singhiozzare, incapace di soffocare il suo dolore. Strinse la piccola al petto e lasciò che le lacrime scorressero libere sul suo volto. Tyrion aveva ragione: non poteva arrendersi. C’era ancora qualcosa per cui valesse la pena di vivere.
 

Il mattino seguente, Jaime si svegliò presto. Quando aprì gli occhi e vide Brienne accanto a sé, non si aspettò che si svegliasse e lo salutasse con un sorriso.
«Nostra figlia sarà felice e amata. Te lo prometto.»
 Le diede un bacio sulla fronte e si alzò. Prese la bambina ancora addormentata tra le braccia e andò a informare il maestro che poteva preparare Brienne per il funerale.
 

«Buongiorno» lo salutò Tyrion quando Jaime entrò in camera sua.
«Ciao. Siamo passati a salutarti» disse, guardando la bambina che nel frattempo si era svegliata. «E io volevo scusarmi con te.»
Tyrion scosse una mano, avvicinandosi a loro per salutare sua nipote.
«Sono giorni difficili per te, Jaime. Lo so bene.»
«Ma resta il fatto che quello che ho detto ti ha ferito. E, soprattutto, lei… Non dirle mai che l’ho incolpata, ti prego.»
«Certo. Non preoccuparti.»
Tyrion gli sorrise e Jaime ricambiò – era il primo sorriso che faceva da due giorni.
«Allora» disse poi. «Questa piccolina ha un nome?»
«Sì. Ne ho trovato uno che mi sembra adatto.»
Sentirono dei colpi sulla porta e, voltandosi, videro Selwyn Tarth sulla soglia. L’uomo sembrava molto più vecchio di quanto Jaime ricordasse, ma probabilmente anche lui aveva un aspetto terribile.
«Ho visto che c’è il maestro nella vostra camera» disse.
Jaime annuì.
«Sì, io… Mi sono comportato come un’idiota per troppo tempo.»
Selwyn si avvicinò a lui, posandogli una mano sulla spalla.
«No. Anche la mia Rohanne se ne è andata dopo un parto, so quanto sia difficile da affrontare. Ma suppongo che avere loro» aggiunse, accarezzando la guancia di sua nipote, «sia la nostra salvezza.»
«È vero.»
«Jaime mi stava dicendo di aver scelto un nome» intervenne Tyrion.
Selwyn sorrise, ma il suo sguardo rimase spento.
«Come si chiama?»
Jaime prese un profondo respiro. Guardò gli occhi blu di sua figlia – gli stessi della donna che amava.
«Brienne» disse, cogliendo entrambi di sorpresa.
Una lacrima scese lungo la guancia di Selwyn.
«È un bellissimo nome.»
 
 

 

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Capitolo 13
*** Con la porta chiusa ***


Prompt: Rating Mature
Numero di parole: 776

 
CON LA PORTA CHIUSA




Non aveva idea di come fossero finiti dal parlare all’essere nudi sul letto. Chiederlo a Jaime sarebbe stato comunque inutile, poiché era quasi certa che nemmeno lui sapesse che cosa l’aveva spinto a baciarla.
La capitale era sempre più vicina e le locande di quella zona sembravano essere sicure per i Lannister, pertanto avevano deciso di pernottarvi. Brienne aveva accettato subito: aveva trascorso talmente tanto tempo in mezzo ai boschi da non ricordare più come fosse fatto un vero letto. Non che fosse una lady bisognosa di ogni comodità possibile, ma ogni tanto anche il più stoico dei cavalieri desiderava un letto e un tetto sotto cui riposare.
Jaime aveva insistito che prendessero una camera insieme. Anche se quella richiesta l’aveva messo a disagio, Brienne ne aveva tuttavia riconosciuto l’utilità e aveva acconsentito. Avevano cenato in silenzio di fronte al caminetto acceso, poi Brienne aveva cambiato le bende alla ferita di Jaime e lui aveva fatto lo stesso per lei. Appena aveva terminato di fasciarle la spalla, le aveva messo la mano dietro la nuca e l’aveva baciata. Il gesto aveva colto Brienne di sorpresa, al punto che non era riuscita né a ricambiare né a respingerlo.
«Che significa?» gli aveva chiesto.
«Non lo so.»
Poi l’aveva baciata di nuovo. Quella volta Brienne non si era fatta trovare impreparata.
Ricambiò il gesto, portando le mani intorno al suo viso, e Jaime la fece stendere sul letto. Nel giro di pochi minuti, i loro vestiti erano sparsi sul pavimento e i loro corpi caldi premevano l’uno contro l’altro. Una parte del cervello di Brienne cercava di farla rinsavire, ricordandole quanto fosse esposta in quel momento e che quello era lo Sterminatore di Re.
“Jaime. Il mio nome è Jaime.”
Jaime le baciò il volto, il collo, scendendo verso i suoi piccoli seni. Brienne sussultò, lasciandosi sfuggire un suono a lei sconosciuto che fece aumentare il suo rossore e divertire Jaime. Gli intimò di stare zitto e lui obbedì, occupando la bocca con la sua intimità.
Per non essere interessato, sembrava interessarsi molto al suo corpo.
Brienne si morse una mano per restare in silenzio, mentre con l’altra stringeva le lenzuola con sempre più forza a ogni movimento della lingua di Jaime. Ripensò a quello che la sua septa le aveva detto riguardo il sesso, eppure Brienne non aveva sofferto un solo momento da quando Jaime l’aveva toccata. A un tratto sentì qualcosa smuoversi nel suo basso ventre, una sensazione piacevole a cui non seppe dare un nome fino a quando non la travolse completamente, portandola a stringere le gambe intorno a Jaime per impedirgli di allontanarsi. L’uomo assecondò il suo volere, aspettando che Brienne riprendesse a respirare con un ritmo regolare. Si sollevò sui gomiti, mettendosi sopra di lei. Le sorrise, un’espressione dolce e rassicurante che raramente Brienne aveva visto sul suo volto, ma che fu sufficiente per farla rilassare mentre lui si faceva lentamente strada dentro il suo corpo.
 

«Il tuo vestito si è strappato.»
«Tu lo hai strappato.»
«Scusami se ho rovinato il tuo orrendo vestito, donzella» sbuffò Jaime, lasciando ricadere l’abito sul pavimento. «Tieni, indossa questa così non prendi freddo.»
Brienne accettò la sua maglia, ringraziandolo timidamente. Era scesa un’aria strana tra di loro. Dopo aver consumato il loro rapporto, erano rimasti distesi per alcuni minuti, poi Jaime si era alzato per prendere i suoi pantaloni ed era tornato nuovamente a letto, come se niente fosse successo.
Forse era meglio così. Brienne era quasi certa che ciò che era accaduto fosse frutto del momentaneo rilassamento che quella camera aveva offerto loro, il fatto che non ci fossero pericoli o doveri a preoccuparli e trattenerli. Un limbo in cui non esisteva la guerra e loro erano solo Brienne e Jaime. Quando la mattina seguente avrebbero aperto la porta di quella stanza, sarebbero tornati a essere la spada giurata di Catelyn Stark e il Leone dei Lannister, alleati ma nemici, e quella notte sarebbe stata solo un ricordo lontano.
«Ne vuoi parlare?» le chiese Jaime, cogliendola di sorpresa. Il suo sguardo era sincero, ma lei riuscì a leggervi anche una preoccupazione inconfessata dietro.
«No» rispose.
Parlarne lo avrebbe reso troppo reale e avrebbe confuso ancora di più i suoi sentimenti, che avevano smesso di essere chiari da quando aveva stretto Jaime nella vasca ad Harrenhal.
Lui annuì. Si sdraiò supino e lei lo imitò, chiudendo gli occhi. A un tratto sentì una mano stringere la sua. Si voltò, ma Jaime aveva già gli occhi chiusi.
Fino a quando la porta non fosse stata aperta, restavano sospesi nel loro limbo e in quel luogo Brienne aveva il diritto di ricambiare la stretta e addormentarsi accanto a lui.

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Capitolo 14
*** La conchiglia blu ***


Prompt: Tomba
Numero di parole: 1056
Note: Seguito della storia Brienne (cap. 12 di questa raccolta)


 
LA CONCHIGLIA BLU




Jaime aveva conosciuto solo doveri nella sua vita: prima come erede di Casa Lannister, poi come Guardia Reale e, per un breve periodo, anche come Stella del Mattino. Ceduto completamente il governo dell’isola a Gendry Baratheon, la sua unica responsabilità – che però lui considerava un piacere – era assicurarsi che sua figlia crescesse felice e al sicuro. Non era un compito particolarmente facile, dal momento che lei, come aveva previsto Brienne, aveva sviluppato la stessa passione dei genitori per l’arte della spada e le storie di cavalieri e, sfortunatamente, anche la spericolatezza del padre.
«Colpito!» esclamò la piccola Brienne, rivolgendogli un sorriso sdentato.
Jaime sorrise, toccandola sul petto con la spada di legno.
«Tu mi hai ferito a una gamba, ma io ti ho uccisa. Un altro punto per me.»
Brienne sbuffò.
«Non vale, perché tu sei più alto!»
«Non preoccuparti. Se mai combatterai davvero, i tuoi avversari saranno certamente più bassi.»
«Quando combatterò veramente» lo corresse lei. «Diventerò un grande cavaliere e seguirò le orme tue e della mamma.»
Jaime sorrise, scompigliandole i riccioli biondi che non si lasciava crescere oltre le spalle. Aveva avuto la brutta idea di dirle che Brienne teneva i capelli corti per comodità e lei aveva voluto imitarla.
«Non potrai farlo se prima non riesci a battere un vecchio come me.»
«Posso provare a battere zio Pod?» chiese. «Con lui ho anche l’arma segreta da poter utilizzare.»
Jaime rise.
Fin da piccola, Brienne aveva utilizzato la mano sinistra per mangiare o impugnare gli oggetti. Il maestro si era preoccupato e aveva proposto a Jaime di curarla, ma lui gli aveva detto che sua figlia stava benissimo e che se avesse provato a cambiarla in qualche modo i suoi resti sarebbero stati trovati sui fondali di Tarth. Lui non avrebbe potuto chiedere di meglio, poiché, essendo l’unico combattente a usare la mano sinistra su quell’isola, non aveva bisogno di un maestro d’armi e aveva potuto insegnare a sua figlia personalmente.
«Hai due armi segrete con lui» le disse, riponendo le spade. «Pod ti adora. Ti lascerebbe vincere a prescindere.»
«Quindi tu non mi adori?» chiese.
«Perché dici così?»
«Perché non mi lasci mai vincere.»
Jaime le sorrise, chinandosi per guardarla negli occhi – anche se era difficile, stava diventando sempre più bravo nel resistere al suo sguardo.
«Io non ti lascio vincere perché devi imparare» le spiegò. «Sei tutta la mia vita e voglio essere certo che tu sappia difenderti davvero se diventerai un cavaliere.»
«Quando» insistette lei.
«Quando diventerai un cavaliere, sì. Più sconfitte affronterai nei tuoi allenamenti, più forte diventerai.»
Brienne annuì, convinta di quella spiegazione.
«Posso andare un po’ in spiaggia?» chiese poi.
«Tra poco arriverà Tyrion, dobbiamo pranzare con lui.»
«Solo qualche minuto. Per favore» aggiunse, congiungendo le mani mentre lo fissava con i suoi occhioni blu. Jaime sospirò.
«Poco, va bene?»
«Sì.»
«E niente tuffi, stai solo sul bagnasciuga.»
«Sì.»
«E appena ti vengo a chiamare, tu scatti.»
«Sì, ser.»
Jaime le sorrise, dandole un buffetto sulla guancia.

Quando ricevette notizia di una nave appena giunta da Approdo del Re, Jaime scese in spiaggia per chiamare Brienne. La trovò in riva al mare, intenta a costruire un castello con la sabbia.
«Che bello» le disse, sedendosi accanto a lei. «Di chi è questo bel castello?»
«Il nostro, o almeno dovrebbe esserlo» disse, guardando dietro di sé il profilo del palazzo.
«Ci somiglia» la rincuorò Jaime, anche se il castello era evidentemente storto e anonimo. «Ecco, proviamo ad aggiungere questa…»
«No, quella no!» lo fermò Brienne, togliendogli di mano la conchiglia che stava prendendo.
«Perché?»
Lei abbassò lo sguardo, muovendo gli occhi con fare nervoso.
«È… È bella, no?» gli chiese.
«Sì, molto. L’hai trovata ora?»
Lei annuì.
«Hai… Hai detto che c’è un posto, con le conchiglie…»
«Sì» rispose, incerto.
Brienne era venuta a contatto con la morte sin da bambina e Jaime non aveva mai trovato giusto nasconderle le tombe personali che sua madre aveva fatto per i suoi fratelli. Era giusto che conoscesse la storia famigliare di almeno uno dei suoi genitori.
«E-Ecco, io… Pensavo… Magari potrei aggiungere anche questa… Per la mamma. Se per te va bene.»
Jaime le sorrise, ricacciando indietro le lacrime che premevano per uscire.
«Ma certo» rispose. «È un’idea bellissima.»
 
Dal giorno del suo matrimonio era stata aggiunta un’altra conchiglia: Selwyn Tarth non era vissuto molto più a lungo della figlia. Appurato che la sua casa e sua nipote fossero in ottime mani, il suo cuore si era rilassato fino a fermarsi. Brienne non aveva nemmeno un anno quando era successo e non aveva alcun ricordo di suo nonno, ma per qualche motivo aveva detto che la conchiglia grande e grigia che Jaime aveva apposto in suo onore fosse adatta a lui.
Solo quando la figlia affisse la conchiglia di Brienne accanto a quella di Galladon, Jaime si rese conto del suo colore blu.
«Ora quindi la mamma è qui?» gli chiese.
«Certo che è qui. Lei è sempre insieme a noi.»
«Ma ora che c’è la tomba, posso parlarci?»
Jaime le sorrise.
«Sì» disse. «Se vuoi raccontarle qualcosa, ti basterà metterti davanti a questa splendida conchiglia e lei ti sentirà.»
«Mi risponderà anche?»
«Questo non te lo so dire. Di certo non lo farà direttamente, ma sono sicuro che se avrai bisogno di lei, saprà come aiutarti.»
Brienne annuì.
«Gli sarei piaciuta?»
«Naturalmente. Lei ti ama. Lo ha fatto dal momento in cui ha capito che saresti entrata nelle nostre vite.»
Lei annuì di nuovo.
«La vedrò mai?»
Jaime sospirò.
«Un giorno, sì.»
Finse di averne la certezza per sua figlia, anche se per lui quello rappresentava solo il suo più grande desiderio e voleva davvero credere che sarebbe accaduto.
«Allora mi comporterò bene e sarò un grande cavaliere, così quando la vedrò lei ne sarà felice» concluse Brienne, rivolgendogli un grande sorriso.
«È un’ottima idea. Allora, forza» disse. «Comincia con l’andare a lavarti le mani per salutare zio Tyrion.»
«Sì!» esclamò, correndo verso il castello. Jaime rise, scuotendo la testa.
«Scusa, donzella» disse, voltandosi verso la conchiglia blu. «C’è un limite a quanto possa fare la brava, dopotutto è mia figlia. Ma a te va bene lo stesso, non è vero?»
Il vento si alzò intorno a lui mentre seguiva la bambina e Jaime volle credere che fosse il modo di Brienne di fargli sapere che era con lui.

 

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Capitolo 15
*** Dalle mie parti ***


Prompt: Scuola
Numero di parole: 1978
Note: High School!AU

 
DALLE MIE PARTI




Brienne si fermò davanti all’ingresso, stringendo convulsamente la spallina del suo zaino. Si era nascosta dietro un albero, in modo da sfuggire gli sguardi degli altri ragazzi ma, allo stesso tempo, non abbastanza da impedire a Renly di trovarla.
Il primo giorno di scuola era sempre stato difficile per lei, ma quello sarebbe stato peggiore di ogni altro mai vissuto: a causa del lavoro di suo padre si erano dovuti trasferire ad Approdo del Re e di conseguenza lei aveva dovuto cambiare scuola a metà del terzo anno di liceo. Tarth era un’isola piccola, con un edificio scolastico per ogni tipo di scuola, pertanto fin da bambina era sempre stata circondata dalle solite persone che, nel tempo, avevano smesso di divertirsi a insultarla o anche solo a prestarle troppa attenzione. In quella nuova scuola, in una città di sconosciuti, lei sarebbe stata la novità e avrebbe sicuramente attirato su di sé molti sguardi indiscreti. Quella consapevolezza la terrorizzava.
Fortunatamente, lei avrebbe frequentato la stessa scuola di Renly Baratheon, il figlio minore di un ottimo amico di suo padre, con il quale aveva stretto amicizia in passato e per cui aveva provato la sua prima cotta, scambiando la gentilezza che le mostrava per affetto. Sapere di averlo nella sua stessa classe l’aveva aiutata a tranquillizzarsi e le aveva dato la forza per affrontare quella giornata con i migliori propositi.
«Oh, eccola lì. Ehi, Brienne!»
Si voltò verso quella voce e vide Renly in mezzo al vialetto che agitava una mano verso di lei, mentre l’altra era stretta in quella di un ragazzo biondo. Lo raggiunse, rivolgendogli un sorriso timido.
«Ciao, Renly.»
«Buongiorno. Allora, cosa te ne pare per ora?» chiese, indicando la scuola.
«È grande. Sembra molto bella.»
«Dentro cade un po’ a pezzi» commentò il ragazzo biondo, «ma è abbastanza decente, tranquilla.»
«Esatto. Ah, Brienne, questo è Loras Tyrell, il mio ragazzo. Purtroppo non è in classe con noi.»
«Piacere di conoscerti» disse Brienne.
«Il piacere è mio. Ora devo lasciarvi: ho un compito alla prima ora e sono già in ritardo.»
Diede un veloce bacio a Renly e corse lungo la scalinata principale.
«Vogliamo andare anche noi?» le chiese il ragazzo.
Brienne annuì.
Come aveva immaginato, la sua sola presenza attirò molti sguardi e non le sfuggirono alcune risate di scherno che risuonarono lungo il corridoio. Si sforzò di non arrossire, sapendo che avrebbe solo peggiorato le cose, ma la vergogna era più forte della sua volontà.
«È una scuola piena di snob» le disse Renly, notando il suo disagio. «La cosa migliore da fare è trovarsi un buon gruppetto di amici e concentrarsi solo su loro.»
Brienne annuì con poca convinzione.
«E tu sei molto fortunata, perché entri di diritto nel mio gruppo.»
«Oh, g-grazie, ma non vorrei disturbare…»
«Ma quale disturbo? Ci piace fare nuove amicizie.»
La loro classe era al secondo piano dell’edificio, in fondo a un lungo corridoio dipinto di rosso. Quando entrarono, c’erano solo quattro persone all’interno: un ragazzo grassottello con la testa piantata su un libro, un altro che probabilmente stava dormendo e, nell’angolo, una ragazza dai lunghi capelli rossi avvinghiata a quello che Brienne immaginò essere il suo fidanzato.
«Questi sono bravi ragazzi. Quasi tutti i nostri compagni lo sono» le sussurrò Renly, prima di esclamare: «Buongiorno, classe B! Posso presentarvi la mia amica Brienne, nonché nostra nuova compagna di classe?»
Il ragazzo addormentato sollevò una mano in segno di saluto, senza nemmeno degnarsi di guardarla, mentre l’altro scattò in piedi, anche se con un po’ di difficoltà, e li raggiunse con un sorriso dolce in volto.
«Ciao, io sono Sam. Benvenuta.» Le tese la mano e Brienne l’accettò con un sorriso.
«Quanto sei alta?» chiese la ragazza, senza muoversi dalla sua posizione.
«Ygritte!» la ammonì il suo ragazzo, mentre il volto di Brienne diventava paonazzo.
«Che c’è? Dev’essere figo essere così alta. Se avessi la sua stazza, a quest’ora avrei già menato parecchia gente.»
«Tu meni già adesso» borbottò il ragazzo seduto.
«Solo te, Greyjoy, e per delle ottime ragioni.»
«Comunque, benvenuta. Io mi chiamo Jon» disse il ragazzo di Ygritte, cercando di riportare la conversazione sui giusti binari. «E quello che non si è degnato di presentarsi è Theon.»
Per risposta, Theon alzò il dito medio verso di lui.
Brienne sorrise a disagio: erano tipi strani, ma come aveva detto Renly sembravano essere brave persone.
Presto la stanza cominciò a riempirsi. Arrivò una ragazza dai lunghi capelli argentati e gli occhi viola, una combinazione che Brienne non aveva mai visto prima, e si presentò come Daenerys Targaryen; poi una giovane dalla pelle abbronzata di nome Arianne che notò appena la sua presenza perché era impegnata a discutere al cellulare con il suo ragazzo; un ragazzo di nome Tormund, che Brienne scambiò per il fratello di Ygritte a causa della massa di capelli rossi che aveva in testa e per i modi molto schietti che dimostrò fin da subito nei suoi confronti. Si presentò con particolare enfasi e fu solo al terzo richiamo di Jon e Ygritte che si decise a lasciarla in pace.
«Qualcuno ha già uno spasimante» commentò Renly con un sorrisetto.
«Che vorresti dire?»
«Nel giro di due minuti ti ha invitata a trascorrere la ricreazione con lui, a studiare insieme e a prendere una birra dopo la scuola. Ci stava decisamente provando.»
Brienne abbassò lo sguardo, arrossendo.
«N-Non credo. Anzi, spero proprio di no.»
«È un bravo ragazzo» insistette lui. «Molto schietto e a tratti volgare, ma non è cattivo.»
«Sì, questo lo aveva immaginato anch’io, solo… Non è il mio tipo, ecco» disse, sperando poi che Renly non volesse indagare su chi fosse il suo uomo ideale.
L’ultimo a entrare, camminando nella stanza a testa alta, fu il ragazzo più bello che Brienne avesse mai visto e, a giudicare dal modo in cui Renly trattenne il fiato, doveva pensarlo anche per lui.
«Cazzo!» borbottò. «Forse è meglio se ci scambiamo di posto perché…»
Non fece in tempo a finire la frase che il ragazzo arrivò davanti alla loro fila e rivolse uno sguardo scettico verso Brienne. In un primo momento, lei temette che quello fosse il suo posto e si preparò a lasciarglielo quando lui scoppiò a ridere, attirando l’attenzione di tutta l’aula.
«Accidenti, e quella cosa da dove spunta fuori, Baratheon?» chiese ridendo. «Credevo ti piacessero le fanciulle più delicate, tipo Loras Tyrell. Non omaccioni con la faccia larga e pieni di lentiggini.»
Brienne sentì la rabbia montarle dentro il corpo, assieme a un senso di vergogna crescente. Nessuno, nessuno, degli altri ragazzi aveva detto una parola su di lei. Qualcuno l’aveva guardata male o aveva ridacchiato, ma avevano avuto tutti la decenza di disprezzarla in privato. Tutta la bellezza che Brienne aveva visto prima svanì immediatamente dal volto di quell’essere arrogante e presuntuoso.
«Grazie di parlare, Lannister» disse Renly. «In questo modo ricordi sempre a tutti quanta verità ci sia nel detto “le apparenze ingannano”.»
«È sempre un piacere essere d’aiuto » rispose lui con un finto inchino.
«Scusati subito, Lannister.»
Daenerys gli era comparsa alle spalle e lo fissava con uno sguardo di sfida. Era determinata, ma non raggiungeva le spalle del ragazzo e Brienne pensò che fosse una scena quasi buffa.
«Che vuoi?» sbottò lui.
«Hai mancato di rispetto alla nostra nuova compagna e a Renly. In qualità di rappresentante di classe, ti ordino di porgere loro le tue scuse.»
«Sai che ti sei autoeletta rappresentante, vero?»
Daenerys gli rivolse un sorriso glaciale.
«Sai che nessuno finora se ne è lamentato? Evidentemente svolgo bene il mio compito. Ora fa’ come ti ho detto.»
Lui si strinse nelle spalle.
«Scusate» disse con il tono più falso che possedesse.
«Queste non sono scuse!»
Lui la ignorò.
«Ora, caro Renly e cara donzella di cui ignoro ancora l’identità, potreste gentilmente lasciarmi passare, così posso sedermi al mio banco? Questa richiesta l’ho formulata bene?» aggiunse poi verso Daenerys.
La ragazza strinse i pugni, avvicinandosi a lui con fare minaccioso.
«Ti avverto, Lannister. Non mi importa chi sia tuo padre o quanto tu sia ricco. Fintanto che sarò io alla guida di questa classe, non tollererò i bulli e i prepotenti, perciò fai molta attenzione.»
«Come ordini, mia regina» la schernì lui, andando a sedersi.
Daenerys aprì la bocca per ribattere, ma Theon, seduto di fronte a loro, la tirò per un braccio cominciando a parlarle di una certa Yara e l’attenzione della ragazza fu distolta dal suo precedente bersaglio.
«Mi dispiace» le sussurrò Renly. «Ma se ti può consolare, lui è l’unico elemento di disturbo nella nostra classe.»
Brienne annuì, rossa in volto. L’intervento di Daenerys l’aveva lusingata, ma allo stesso tempo l’aveva messa a disagio perché le aveva tolto l’occasione di difendersi da sola, mostrando a quello sbruffone che non lo temeva.
«Bene, ora che quella rompiscatole si è tolta di torno» disse Jaime, appoggiandosi alla sua sedia, «possiamo riprendere il discorso.»
«Quale discorso?» chiese Brienne.
«Non so da dove vieni tu, donzella, ma qui si usa presentarsi agli sconosciuti.»
«Non so qui, Lannister, ma da dove vengo io non è educato insultare gli altri per il loro aspetto, soprattutto se si ha intenzione di farci conoscenza.»
Lui si strinse nelle spalle.
«Hai dei begli occhi» disse, cogliendola di sorpresa.
«C-Che vorrebbe dire?»
«Non capisci la lingua, donzella? Ti ho fatto un complimento, compensando l’insulto che dici che ti ho fatto poco fa.»
«Io non…» sospirò, cercando di calmarsi. «Tanto per cominciare, a quello che hai fatto poco fa dalle mie parti si rimedia con delle scuse, non con strani complimenti. E poi smettila di chiamarmi donzella.»
«Bene, ti risponderò con ordine. Dalle mie parti le scuse le faccio come pare a me. E smetterei volentieri di chiamarti donzella, il problema è che non ho idea di quale sia il tuo nome.»
Brienne sbuffò.
«Brienne. Mi chiamo Brienne.»
Lui annuì, porgendole la mano.
«Io sono Jaime. Piacere di conoscerti.»
Brienne spostò lo sguardo dalla sua mano ai suoi occhi, temendo che volesse giocarle un qualche scherzo, ma sul suo volto lesse sincerità e decise di ricambiare la stretta.
«Il piacere è mio» mormorò.
Lui sorrise soddisfatto e si mise a messaggiare fino all’arrivo del professor Stark che, dopo averle dato il benvenuto e averle chiesto di fare una piccola presentazione davanti a tutta la classe, iniziò la lezione di Storia. Brienne si era fatta dare l’elenco dei libri necessari per le lezioni da Renly, così da non farsi trovare impreparata, e tirò fuori dallo zaino un quaderno e un libro perfettamente foderati. Cercò di prestare attenzione alla spiegazione, ma non riusciva a ignorare la presenza di Jaime che si avvicinava sempre di più a lei.
«Ti… Ti serve qualcosa?» sbottò alla fine.
«Sì, metti il libro in mezzo?»
Brienne sgranò gli occhi.
«Non lo hai portato?»
«Non volevo appesantire lo zaino» si giustificò lui.
Brienne abbassò velocemente lo sguardo in basso, dove vide lo zaino del ragazzo accasciato a terra, incapace di stare in piedi a causa dell’assenza di materiale scolastico o di altra entità.
«Sicuramente un libro ti avrebbe ucciso» commentò lei.
«Ti costa tanto spostarlo solo di qualche centimetro verso di me? Non ti sto mica chiedendo la luna, donzella.»
«Sai che quello non è il mio…»
«Tarth! Lannister!»
Brienne diventò completamente rossa, cercando di farsi piccola, mentre Jaime rispose con molta tranquillità:
«Sì, prof?»
«Se volete chiacchierare, siete pregati di farlo fuori dal mio orario di lezione.»
«N-No, professore…» balbettò Brienne. «Non… Non stavamo…»
«È colpa mia» la interruppe Jaime. «La stavo disturbando. Chiedo scusa.»
Stark annuì e riprese la sua spiegazione. Brienne tirò un sospiro di sollievo: non era abituata a essere richiamata dai professori.
«Credo di avere diritto a una ricompensa, non trovi?» le sussurrò Jaime, con un sorrisetto compiaciuto.
Brienne mise il libro sul suo banco, chinandosi poi sul proprio quaderno intenzionata a trascrivere ogni singola parola del professore e ignorare Jaime per il resto della mattinata.

 

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Capitolo 16
*** Tra le braccia della donna che ami ***


Prompt: Passato
Numero di parole: 792

 
TRA LE BRACCIA DELLA DONNA CHE AMI




Il mondo attorno a lui era informe, opaco. Era come se fosse in mezzo al mare, riuscendo però a respirare normalmente. Il suo corpo galleggiava in mezzo a quel nulla, incapace di muoversi.
«Sei felice, Sterminatore di Re?»
Jaime cercò di voltarsi verso la voce alle sue spalle, ma fu inutile.
«Chi sei?»
«L’unico che tu abbia mai pregato.»
«Io non prego.»
Una creatura si materializzò di fronte a lui. Indossava un’armatura e i suoi occhi spenti trasmettevano severità.
«Ogni cavaliere mi prega, consapevolmente o meno. Adesso rispondi alla mia domanda: sei felice?»
Jaime aggrottò le sopracciglia. Era immobile, in un luogo che non conosceva e alla presenza del Guerriero: come poteva essere felice?
«Forse hai bisogno che ti rinfreschi la memoria» disse. Posò una mano guantata sulla sua fronte e, all’improvviso, Jaime ricordò com’era giunto lì.
Ricordò i mattoni che lo colpivano, uccidendolo. Ricordò il terrore di Cersei e il modo in cui si era aggrappata a lui cercando conforto. Ricordò Euron, il fuoco, gli Immacolati che lo imprigionavano. Ricordò Tyrion che lo ringraziava per averlo amato quando nessun’altro era disposto a farlo. Ricordò il lungo viaggio fino alla capitale, sempre in bilico tra la consapevolezza di star facendo la cosa giusta e il terrore di aver commesso il più grande sbaglio della sua vita.
Ricordò Brienne.
Quando il Guerriero ritrasse la sua mano, Jaime riprese a respirare. Gli sembrò che le fondamenta della Fortezza Rossa gli stessero nuovamente piombando addosso, ma senza mai ucciderlo.
«Ora che sai» disse il Guerriero. «Ora che ricordi, sei felice della tua scelta? Sei ancora convinto di aver fatto la cosa giusta?»
«Non meritava di morire da sola» ripeté le stesse parole che aveva usato per convincersi a tornare da Cersei.
«Perché lei era spregevole come te?»
“Tu sei migliore di lei. Sei un brav’uomo.”
«Sì» rispose. «E perché era mia sorella.»
Il Guerriero annuì.
«Dunque se tu avessi la possibilità di tornare indietro, di cambiare la tua scelta, non lo faresti?»
«Non lo so. Non credo abbia molta importanza, però.»
«Perché?»
«Ormai sono morto.»
«Sterminatore di Re, tu hai veramente poca fiducia negli dei.»
Jaime sbattè le palpebre.
«Vuoi dire che… Potresti farmi tornare indietro?»
«La vera domanda è: ne varrebbe la pena?»
Jaime sospirò. Come poteva rispondergli, se nemmeno lui lo sapeva? Anche se una parte di lui avrebbe voluto ascoltare le suppliche di Brienne quella notte, un’altra era terrorizzata all’idea di vivere in un mondo in cui Cersei non c’era. Anche se lontani, loro due erano esistiti insieme dal primo momento in cui avevano aperto gli occhi. Si erano sempre ripromessi di lasciare quel mondo insieme.
«Sei morto tra le braccia della donna che amavi» disse il Guerriero, «e sai cosa si prova. Hai vissuto tra le braccia della donna che ami e sai cosa si prova. Dimmi, Sterminatore di Re: quale ti ha reso più felice?»
«Il mio nome è Jaime.»
Il Guerriero annuì. Scomparve prima che Jaime potesse dargli una risposta a parole.
 

«Che fai lì seduto?»
Jaime sussultò. Si guardò intorno: era nella camera di Grande Inverno, seduto di fronte al fuoco con gli abiti da viaggio indosso.
«Jaime?»
Brienne lo stava fissando dal letto con uno sguardo preoccupato. Aveva i capelli scompigliati e le coperte erano scivolate in basso, lasciando intravedere il suo seno.
Jaime scoppiò a ridere. Era veramente vivo. E, più importante, aveva modo di riscrivere il finale della sua storia. Un finale in cui la felicità e l’amore avrebbero prevalso sul dolore e il dovere.
«Ma che ti prende?» esclamò Brienne, coprendosi il corpo. Solo allora Jaime si rese conto che lei non poteva sapere e che probabilmente pensava che stesse ridendo di lei. Si alzò per raggiungerla, le prese il volto tra le mani e la baciò.
«Scusami» disse con le lacrime agli occhi. «Non stavo ridendo di te. È solo… È bellissimo vederti.»
Brienne aggrottò le sopracciglia.
«Mi hai vista per tutto il giorno» gli ricordò.
Jaime annuì.
«Stai bene? Sembri strano.»
La sua attenzione poi si spostò sulla giacca e il suo sguardo si incupì.
«Perché indossi gli abiti da viaggio?» chiese, anche se dal suo tono Jaime dedusse che conosceva già la risposta.
Le sollevò il volto per guardarla negli occhi.
«È complicato. Ho pensato… Dopo quella lettera… Ma sapevo che c’era la concreta possibilità che Cersei morisse.»
«Quindi vuoi… vuoi andare da lei?»
«No. Io voglio stare con te.»
Brienne sospirò, come se le fosse stato tolto un peso dal cuore. Gli gettò le braccia al collo e Jaime fu felice di sentire il suo calore.
«Mi dispiace che le cose siano dovute andare così» gli disse.
Jaime sorrise, sentendo una lacrima scendergli lungo il volto.
«È meglio così» disse, accarezzandole i capelli. «Il mio posto adesso è con te.»
 
 

 

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Capitolo 17
*** Forte abbastanza ***


Prompt: Raffreddore
Numero di parole: 1072


 
FORTE ABBASTANZA




«Puoi allenarti con Podrick mentre sono con Lady Sansa» gli disse, mentre uscivano dalla loro stanza. «Oppure puoi… etciù! Scusa, dicevo, puoi provare a chiedere se c’è bisogno di aiuto per ricostruire le mura.»
Jaime sbuffò.
«Opto per Pod se non è impegnato a intrattenere qualche giovane fanciulla.»
Brienne arrossì, fissando il pavimento.
«S-Sì, beh, di solito si alza pres… etciù!»
«Te lo chiedo per la terza volta, donzella, e stavolta in modo retorico: sei sicura di sentirti bene?»
La trattenne per un braccio, per evitare che sviasse la domanda scappando via.
«Sì» rispose, tirando su con il naso. «Forse ho preso solo un po’ di freddo, ma sto bene.»
«Hai starnutito per tutta la mattina.»
Brienne si strinse nelle spalle.
«Magari sono allergica a te» commentò.
«Sono sicuro che una parte di te ne sarebbe felice, ma non credo sia questo.» Si avvicinò a lei, sussurrandole: «Forse però è davvero colpa mia. Ieri notte ti ho fatta godere troppo e non sei ancora riuscita a riprenderti.»
Brienne lo allontanò bruscamente, cambiando tonalità del volto, e riprese la sua marcia lungo il corridoio.
«Devo andare da Lady Sansa. Tu fa’ quello che ti pare, ciao.»
«Non stai bene» le urlò dietro Jaime, tornando serio. «Prometti almeno di fare attenzione.»
«Non stai bene?»
Una terza voce si unì a loro e Jaime non riuscì a trattenere uno sbuffo infastidito quando una massa di capelli rossi piombò tra lui e Brienne.
«Sei ferita? Malata? Stai morendo?» esclamò Tormund, avvicinandosi a lei per accertarsi del suo stato di salute.
«Niente di tutto questo. Solo un insignificante raffreddore. Ora, se volete scusarmi, sono…»
Tormund scosse la testa, fermandola.
«Le malattie non vanno sottovalutate, nemmeno quando si è dei cavalieri grossi e belli come te. Vieni, puoi riposare nelle mie stanze.»
«Il tuo interessamento è davvero gentile, bruto» disse Jaime, frapponendosi tra i due, «tuttavia Brienne ha già una stanza in cui riposare: la nostra. Però concordo con lui, ti dovresti riguardare» aggiunse, voltandosi verso di lei e cingendole la vita con il braccio mutilato.
«Ieri stava bene» insistette Tormund. «Forse ha bisogno di cambiare aria per riprendersi, tipo lontano da te.»
«E perché vicino a uno che succhia latte di gigante dovrebbe migliorare?»
«Signori!» esclamò Brienne, alzando le mani tra di loro per impedire che continuassero con quel litigio che la stava mettendo sempre più a disagio. «Ve lo dico per una sola volta. Io. Sto. Bene. Etciù!»
«Sai che quello starnuto invalida la tua affermazione, vero?» disse Jaime. «Senti, aiuto io Sansa oggi.»
«Tu?» chiese, scettica.
Jaime annuì.
«Tanto non saprei cosa fare. Io starò con Lady Sansa, la aiuterò a fare qualunque cosa debba fare e tu…»
«Avrai un uomo meraviglioso che si prenderà cura di te per il resto della giornata» concluse Tormund.
«Non avrò nessuno a prendersi cura di me» lo zittì subito Brienne, «e Sansa ha bisogno di me, non di un sostituto.»
«Sono sicuro che riuscirà a fare a meno di te per un po’, soprattutto dopo che Tormund sarà andato a spiegarle il motivo della tua assenza.»
«Perché devo andarci io?»
Jaime sorrise.
«Ti sei offerto di aiutarla, no? Sfortunatamente, nella nostra camera possiamo entrare solo noi due, perciò la accompagno io» spiegò, prendendo Brienne per mano.
«Io non ho intenzione di tornare… etciù! in camera, Jaime!»
«Ti ci porto con la forza, se serve, donzella.»
Brienne inclinò la testa di lato.
«Jaime…»
Nel corso degli anni, Jaime si era divertito a ricordarle la proposta che le aveva fatto al loro primo incontro: lui era forte abbastanza per lei. Brienne non gli aveva mai creduto davvero, ma dovette ricredersi quando lui le passò un braccio dietro la schiena e sotto le gambe, sollevandola da terra.
«Ma che cazzo fai?» esclamò.
«Ti porto in camera» spiegò tranquillamente lui, ripercorrendo il corridoio a ritroso.
«Argh! Va bene, vado a parlare io con la rossa» borbottò Tormund alle loro spalle.
«O-Ok, ser, sono in grado di camminare da sola.»
Jaime scosse la testa.
«Sul serio… etciù! Mettimi giù, Jaime!»
«Puoi farti viziare un po’, una volta nella vita, donzella?»
«No!»
«Era una domanda retorica, non te lo stavo chiedendo davvero.»
«Io ti odio» sbottò lei. «E quella è solo la mia camera. Non ho mai detto che fosse anche tua.»
«Sì, invece. Mi hai detto che potevo restare con te tutto il tempo che volevo, ciò implica che, avendo accettato, quella è anche camera mia.»
Brienne sbuffò.
«Eccoci qui» disse Jaime, fermandosi di fronte alla porta. «Puoi aprirla tu? Ho le mani occupate.»
«Non sei forte abbastanza da cavartela da solo?» lo schernì lei.
Jaime rise.
«Come vuoi, donzella.»
Si chinò per raggiungere l’altezza della maniglia, senza lasciare la presa su Brienne. Quando lei si rese conto che non sarebbe riuscito a farlo senza far precipitare entrambi a terra, aprì la porta.
«Ce l’avrei fatta, comunque» le disse mentre la adagiava sul letto.
Brienne incrociò le braccia al petto, lasciando che lui la stendesse sul materasso. Quando si allontanò a sufficienza, lei scattò a sedere, ma i riflessi di Jaime si mostrarono più veloci e la spinse nuovamente giù.
«Riposati e basta, donzella» disse, esasperato.
«Non ne ho… etciù! bisogno» insistette lei, mettendosi nuovamente seduta.
«È inutile che cerchi di scappare di nuovo, Brienne» disse Jaime con un sorriso. «Posso riportati qui in qualsiasi momento.»
Gli sorrise a sua volta.
«Se ti azzardi a prendermi di nuovo in braccio in quel modo, sarà l’ultima cosa che farai.»
«Certo. Perché saresti tanto felice di uccidermi, vero?» disse Jaime, accarezzandole il volto dolcemente.
«In questo momento sì, davvero tanto» rispose lei.
«È la febbre che ti fa parlare.»
«Non ho la febbre!»
«Sei calda» disse Jaime, avvicinandosi al camino per ravvivare il fuoco.
«Sono arrabbiata.»
«Allora ti conviene fartela passare, perché finché sarai rossa e accaldata, io penserò che tu stia male e ti tratterò di conseguenza.»
Brienne sbuffò, starnutendo per l’ennesima volta.
«Non mi piace essere un peso» mormorò.
«Non lo sei» la rassicurò lui, tornando a sedersi sul letto. «Brienne, sei umana, è normale che ogni tanto tu possa stare male. In quei rari momenti devi solo permettere che chi ti è vicino e si preoccupa per te ti aiuti a guarire in fretta.»
«Non c’è bisogno che ti preoccupi per me» gli disse, abbassando lo sguardo.
«Non posso evitarlo.»
Le prese una mano, portandosela alle labbra per darle un bacio. Brienne sospirò.
«Va bene. Per oggi starò a riposo.»
«Brava donzella.»
 
 

 

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Capitolo 18
*** Il regalo ***


Prompt: Fotografia
Numero di parole: 1207
Note: Modern!AU

 
IL REGALO




Jaime voleva bene a suo fratello, davvero, ma in certi momenti avrebbe desiderato odiarlo. O, più semplicemente, essere più bravo a rifiutare le sue richieste.
Tyrion gli aveva chiesto di occuparsi di una sua vecchia cliente che aveva avuto recentemente problemi con la legge e che aveva bisogno di un avvocato. Solo dopo aver accettato il lavoro, aveva scoperto che avrebbe dovuto raggiungere la sua cliente in Scozia e il processo, nel migliore dei casi, sarebbe durato due mesi.
«La prossima volta che Tyrion mi propone qualcosa, ricordami di rifiutare a prescindere» borbottò, mentre piegava velocemente i suoi vestiti per stiparli nella valigia.
«Non è così terribile, dai» disse Brienne, piegando in maniera più umana gli abiti di Jaime. «Tra due settimane i bambini finiscono la scuola e verremo a trovarti. E poi c’è Internet, possiamo vederci tutte le volte che vogliamo.»
«Sì, in un computer.»
«Una volta non c’era niente di tutto ciò e la gente sopravviveva comunque.»
«Sembri quasi contenta che me ne vada» commentò lui.
«Non sono contenta, ma non la vedo nemmeno come una tragedia» spiegò. Girò intorno al letto, prendendogli il volto tra le mani. «Vai via per un po’ di tempo per fare il tuo lavoro e non c’è niente di male in questo. E poi, tornerai in tempo perché i bambini siano ancora al campo estivo e io mi premurerò di prendermi delle ferie per quei giorni, così potremo recuperare il tempo perso.»
Jaime sorrise, baciandola.
«Se la metti così, mi godrò meglio il viaggio sapendo che a casa mi aspetterà una bella ricompensa.»
Brienne annuì, sorridendo.
«Ti mancherò comunque un po’?» le chiese, facendo gli occhi da cucciolo.
«Non so. Se avessi bisogno di scaldarmi il letto c’è sempre Tormund, quindi…»
Jaime la zittì con un bacio, tirandola sul letto riuscendo a cogliere l’unico punto libero dalle valigie.
«Quindi prima di partire dovrò assicurarmi che, per quanto ti potrei mancare, tu ricordi che nessuno ti fa godere quanto me e che l’attesa sarà ben ricompensata.»
Brienne rise, provando a informarlo che erano stesi sulle camicie stirate, ma lui la ignorò, baciandola lungo il collo e iniziando a sbottonarle il maglioncino di cotone.
«Papà!»
Con uno sbuffo, entrambi si misero seduti.
«Ma voi due siete sempre a letto!» esclamò Cat.
«Se dormite così tanto, possiamo farlo anche noi?» chiese Arthur.
«Non stavamo dormendo» rispose Brienne. «Sto aiutando vostro padre a preparare le valigie.»
«Parti domattina, papà?» chiese Joanna con voce triste.
«Sì, piccola. Domattina presto.»
«E quando torni?» chiese Cat.
«Non lo so ancora di preciso.»
«Ma torni, vero?»
Jaime le sorrise, scompigliandole i riccioli biondi.
«Certo che torno. Non posso stare troppo tempo lontano dai miei piccoli.»
Tutti e tre sorrisero soddisfatti.
«Senti, papà» disse Joanna. «Noi abbiamo fatto una cosa.»
«Spero niente di brutto» commentò lui ridacchiando.
«Giudica tu stesso.»
Brienne gli porse una busta, sigillata con un adesivo di Simba. Jaime spostò lo sguardo da lei ai loro figli, che lo fissavano trepidanti.
«Confesso di essere un po’ spaventato» disse, aprendo la busta. «Ma è troppo piccola per contenere una bomba, quindi…»
Aprendola, ne estrasse un foglio piegato a metà su cui era scritto, con la grafia tondeggiante di Joanna:

Siamo tristi che vai via, ma sappiamo che è per una buona cosa. Ti vogliamo bene e ti abbiamo lasciato un pensiero così non ti dimentichi di noi mentre siamo lontani.
Joanna, Arthur, Cat


Jaime si sentì scaldare il cuore per quella lettera e quel calore si espanse maggiormente quando vide che dentro la busta c’era anche una polaroid. Era piuttosto piccola, ma i personaggi della foto erano ben evidenti: Brienne era accovacciata a terra, con Cat, Arthur e Joanna davanti a lei che sorridevano felici verso l’obiettivo.
«Così puoi portarci sempre con te» spiegò Arthur con un largo sorriso.
Jaime annuì, incapace di parlare. Diede un bacio sulla testa a tutti e tre e abbracciò Brienne.
«È un regalo bellissimo» disse.
Brienne sorrise.
«So che hai molte foto nostre sul cellulare, ma loro hanno insistito.»
Jaime scosse la testa.
«No, va benissimo così. È più bello avere una fotografia stampata. A proposito, ma come avete fatto a farla come una polaroid?»
«È una polari» disse Cat.
«Polaroid, Cat» la corresse Joanna. «Zia Tysha ha una macchinetta che le fa così, ce l’ha fatta vedere quando siamo andati a dormire da lei.»
«Ha detto che lei ha una foto così nel portafoglio con zio Tyrion e Pod» aggiunse Arthur. «E abbiamo pensato che fosse bello se la avessi anche tu di noi.»
«È un pensiero bellissimo, ragazzi, davvero.»
Joanna gli tirò la manica della maglia, facendogli cenno di abbassarsi.
«Poi quando torni ne facciamo una noi quattro per mamma» gli sussurrò all’orecchio.
Jaime le fece l’occhiolino.
«Sì, è un’ottima idea. Ehi, parlando di quel simpaticone di mio fratello, che ne dite se lo invitiamo a cena stasera?»
«Vuoi mettere in atto i progetti con cui mi hai riempito la testa tutto il pomeriggio?» chiese Brienne.
Jaime scosse la testa, sventolando la polaroid.
«Sua moglie si è guadagnata il diritto di non diventare vedova prima del tempo. No, voglio solo cenare con tutta la mia famiglia prima di partire. A voi va bene, ragazzi?»
I tre bambini annuirono con forza.
 
 
«Mamma?»
Quando erano tornati dall’aeroporto, dove avevano salutato Jaime, i bambini erano corsi subito in camera e Brienne aveva deciso di lasciarli un po’ in pace per abituarsi all’idea di stare lontani dal loro papà per la prima volta.
«Sì? Ditemi» rispose lei, togliendo il volume alla tv.
«Per te.»
Cat le porse una busta simile a quella che avevano dato a Jaime il giorno precedente, solo che era chiusa con un adesivo della coniglietta Judy. Brienne la aprì e vi trovò una lettera, scritta sempre da Joanna.

Vogliamo che anche tu, come papà, abbia una foto di noi da portare sempre con te. Non vogliamo che vai via per farti questo regalo. Ti vogliamo bene.
Joanna, Arthur, Cat


Brienne sorrise, sentendo le lacrime pungerle ai lati degli occhi mentre prese in mano la polaroid su cui erano ritratte le quattro persone più importanti della sua vita.
«Grazie, piccoli» disse, allargando le braccia perché la abbracciassero tutti e tre. «È un pensiero dolcissimo. Ecco» Tirò fuori il suo portafogli dalla tasca posteriore dei jeans e inserì la foto nello scomparto che un tempo serviva per la carta di identità, mostrando poi il risultato ai suoi figli. «Così ogni volta che lo prendo, vedrò le vostre facce sorridenti. E mi ricorderò del perché voi due siete rientrati in casa con una chiazza di fango dietro i pantaloni.»
Arthur abbassò lo sguardo, torcendosi le mani, mentre Cat si dondolò con fare innocente.
«Papà ha detto di mettersi per terra» si giustificò.
«Però poi vi abbiamo fatto notare che c’era del fango» disse Joanna.
Cat sbuffò, scuotendo le spalle.
«Mamma, io ho fame» disse Arthur, cambiando discorso.
Brienne guardò l’orologio e notò che in effetti era ora di pranzo.
«Vi va di andare a mangiare un hot-dog al parco?» propose, facendo esultare i bambini. Li mandò in camera loro a prendere le giacche e, mentre li aspettava, inviò un messaggio a Jaime.
“I bambini mi hanno dato il vostro regalo. Grazie ❤ Fai buon viaggio e chiamami appena atterri. Ti amo.”
 

 

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Capitolo 19
*** Biscotti di San Valentino ***


Prompt: Zucchero
Numero di parole: 994
Note: Modern!AU

BISCOTTI DI SAN VALENTINO




«Mi passi lo zucchero?»
«Lo abbiamo finito» rispose Brienne, continuando a lavare i piatti.
«Ma se l’ho comprato la settimana scorsa» protestò Jaime, alzandosi da tavola per cercarlo personalmente.
«Lo abbiamo usato. Tu riempi sempre il caffè di zucchero.»
«Non così tanto. Tesoro, abbiamo deciso di metterci a dieta senza che io lo sapessi?»
«Perché lo pensi?»
Jaime si strinse nelle spalle.
«È scomparsa la cioccolata, il gelato, la marmellata che ci aveva portato ieri Tysha e che non era finita. Non ci sono più dolci in casa.»
«Non morirai per essere senza dolci per un paio di giorni» tagliò corto Brienne, facendo attenzione a non guardarlo negli occhi.
Jaime sbuffò.
Sapeva che Brienne gli stava preparando un regalo per San Valentino, aveva sentito Sansa e Margaery che ne parlavano. Pertanto, supponendo che gli avesse cucinato un dolce – anche se a quel punto aveva paura che gli avesse preparato più un viaggio di sola andata per la tomba, con tutte le calorie che si dovevano trovare nella sua sorpresa – decise di lasciar cadere l’argomento.
«Cazzo, quanto fa schifo» commentò, buttando giù la tazza di caffè in un colpo solo.
«Molto meglio amaro che come lo bevi di solito tu.»
«Questo liquido maleodorante è utile solo se devi lavorare di notte. Perché non hanno inventato dei biscotti alla cannella che tenessero svegli invece di questa roba?»
«Ehm, forse perché lì dentro non ci sarebbe la caffeina, che è quella che tiene svegli?»
Jaime si strinse nelle spalle.
«Vuoi che ti dia una mano?» gli chiese poi, portandogli le braccia intorno alle spalle.
«No, tranquilla. Devo solo rileggere un paio di documenti, ma quel film mi ha quasi steso, ecco perché sono dovuto ricorrere al male» disse, indicando la tazza.
«Brokeback mountain è una bellissima storia d’amore tra due uomini, non dovresti discriminarlo» disse Brienne.
«Non l’ho discriminato. Dico solo che se fosse durato un’ora meno, la mia attenzione sarebbe stata più alta.»
«La tua attenzione è alta solo con i cartoni animati.»
«Non fare la superiore, piacciono anche a te» disse. «E poi l’ho notato che a metà film mi sei crollata addosso.»
«S-Solo per due minuti! E quando facevano vedere i paesaggi montanari con la musichetta di sottofondo, non c’era niente di importante in quelle scene!»
«Ma parlava comunque di una bellissima storia d’amore tra due uomini» la canzonò Jaime, guadagnandosi un pugno sul braccio.
«Va’ a leggere quei documenti prima che l’effetto del male svanisca e ti tocchi prenderne un’altra tazza.»
 
 
Il giorno seguente, Jaime fu il primo a svegliarsi. Guardò la sveglia sul comodino che segnava le nove passate e sorrise. Si voltò verso Brienne e iniziò a baciarle la spalla nuda, svegliandola dolcemente.
«Buongiorno» biascicò lei.
«Buongiorno e buon San Valentino, donzella.»
Brienne sorrise, girandosi sul fianco per baciarlo.
«Buon San Valentino. Che ore sono?»
«L’ora di stare a letto con il tuo fidanzato» disse, riprendendo a baciarla. Lei lo assecondò un momento, poi gli mise le mani sul petto per allontanarlo.
«Forse più l’ora di fare colazione a letto con la tua fidanzata.»
Jaime ci pensò su, poi annuì.
«Sì, può andare. Vado…»
«No, no» lo fermò lei, scattando in piedi. «Faccio io.»
Indossò la vestaglia e scese velocemente al piano di sotto. Tornò dopo pochi minuti, con le braccia incrociate dietro la schiena.
«Se la colazione eri tu, non c’era bisogno che ti alzassi» le disse Jaime.
«No che non sono io! È che… Mi era sembrata una buona idea fino a questo momento, ma ora mi vergogno» disse, con il volto completamente paonazzo.
«È sicuramente una buona idea» la tranquillizzò, anche se a quel punto il timore che gli avesse preparato una bomba di diabete si faceva sempre più concreto.
«Va bene» disse, prendendo un profondo respiro. «Buon San Valentino.»
Tirò fuori una scatola a forma di cuore, chiusa da un fiocco rosa, e gliela porse. Jaime la prese per le braccia, tirandola sul letto insieme a sé.
«Grazie, amore» le disse sulla bocca.
«Spero… Spero che ti piacciano.»
Jaime aprì la scatola. All’interno vi erano cinque biscotti al cacao, con un cuore di marmellata alle fragole al centro. Dalla fattura grossolana, Jaime ebbe la conferma che li aveva fatti lei.
«È un modo per dire che mi doni il tuo cuore in eterno?» le chiese con un sorrisetto, mordendo il primo biscotto. Con sua grande sorpresa era buono e sembrava anche abbastanza leggero.
«No, scemo. Ho solo pensato… È un simbolo stupido, infatti!»
Jaime scosse la testa.
«Sono bellissimi e buonissimi.»
«Davvero?»
Jaime la baciò.
«Dimmelo tu stessa.»
Brienne sorrise, posando la testa sulla sua spalla. Restarono in silenzio per qualche minuto mentre Jaime sgranocchiava il suo regalo, poi chiese:
«Hai usato gli ingredienti che avevamo in casa per farli?»
Brienne si irrigidì.
«Sì.»
«Strano, perché non mi sembra che per questi biscotti ci sia stato bisogno…»
«Oh, sai benissimo che questi non sono stati la prima infornata, Jaime!» sbottò. «Dopo vado al supermercato e ti ricompro tutti i tuoi dolciumi e lo zucchero per il caffè.»
Jaime rise, stringendola in un abbraccio.
«In realtà oggi non andrai da nessuna parte perché abbiamo un programma molto fitto da rispettare.»
«E quale sarebbe?»
«Stasera ho prenotato in quel ristorante italiano che ti piace tanto» rispose, posando la scatola vuota sul comodino.
«Davvero?» Brienne lo baciò. «Grazie. Il resto della giornata però…»
«La trascorreremo a letto perché ci sono tante, tantissime cose che voglio fare con te» concluse lui, mettendosi sopra di lei.
«Puoi farmi qualche esempio?» chiese Brienne con un sorrisetto complice che Jaime ricambiò subito.
«Ti farò molti esempi, donzella. Ma tranquilla: nessuno di questi ti impedirà di alzarti per andare a cena stasera.»
Brienne sorrise e ribaltò le loro posizioni, cogliendo Jaime di sorpresa.
«Perché pensi che dovrei essere solo io quella in difficoltà a muoversi stasera?»
Jaime rise.
«Io posso parlare solo per i miei piani, donzella. Dei tuoi non so niente.»
«Vuoi che ti faccia anch’io degli esempi?» chiese, accarezzandogli il petto.
«Assolutamente sì.»
 
 

 

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Capitolo 20
*** Oathkeeper ***


Prompt: Soulmate!AU
Numero di parole: 429
Contesto: Sul polso di ognuno è tatuata una parola o un pezzo di frase che acquista un senso affiancandola a quella della propria anima gemella.


 
OATHKEEPER




Keeper.
Quel termine si sposava male con quello presente sul polso destro di Cersei, ma con anni di esercizio Jaime si era convinto che Keeper is power fosse una frase di senso compiuto. Per sua sorella non era però un motivo sufficiente per sposarlo; solo per convincerlo a restarle sempre accanto, guardandola mentre doveva essere di un altro.
Jaime lo aveva accettato, come sempre. Averla vicino era sempre meglio che non averla affatto, e la certezza che, qualunque cosa dicessero gli altri, lei era sua, gli dava la forza per sopportare quel maiale di suo marito.
Keeper is power: loro due erano gemelli in più di una forma. Doveva essere così, perché Jaime non avrebbe saputo a cos’altro affiliare la sua parola.

«Sei così codardo?»
Ogni volta che sentiva l’impulso di arrendersi, le parole di quella donzella lo costringevano a resistere. Nessuno poteva permettersi di definirlo un codardo.
I giorni proseguivano e le notti si alternavano ai momenti di veglia, distrutto dal dolore e dalla febbre, con l’unica costante di Brienne sempre al suo fianco.
Fu in una di quelle notti, mentre lei gli passava un tozzo di pane duro, che Jaime pensò che le loro braccia insieme formassero una parola interessante.
 
Oath.
Era certa che quella parola fosse un segno del destino. Non per l’amore, ma per i suoi sogni. I giuramenti erano sacri per un cavaliere: lei era destinata a diventarlo, indipendentemente dalle difficoltà che avrebbe dovuto affrontare. Potevano deriderla, insultarla, ostacolarla; la sua anima gemella era il suo sogno.
Se doveva necessariamente dargli un volto umano, sarebbe certamente stato quello del giovane re che l’aveva accolta nella sua Guardia Arcobaleno.

Brienne aveva afferrato il coltello d’istinto, senza pensare. Non poteva uccidere il suo carceriere nella sua tenuta, tanto più se questi era un alfiere del Re del Nord – per quanto il più tetro. Ser Jaime aveva intercettato le sue labili intenzioni in tempo per prenderle la mano prima che compisse qualche idiozia.
Il primo pensiero di Brienne fu che la sua mano era calda – di quel tepore umano molto diverso da quello febbricitante che lo aveva avvolto nei giorni precedenti.
Il secondo fu che la loro vicinanza rafforzava il significato del termine inciso sul suo polso.
 
 
«Tutte le spade migliori hanno un nome. Qualche idea?»
«Giuramento.»

Quella notte, mentre si coricavano per dormire lontani dopo mesi di viaggio, Jaime rise con gioia al pensiero che avesse trovato una parola da far combaciare alla perfezione con la sua e Brienne sentì che non avrebbe potuto scegliere nome migliore per il dono che lui le aveva fatto.
Oathkeeper.
 

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Capitolo 21
*** Piacevoli sorprese ***


Prompt: Morning cuddle
Numero di parole: 566


 
PIACEVOLI SORPRESE




«Devi farmi più spesso queste sorprese.»
«No. È stata una follia, soprattutto credere che ti saresti saputo accontentare.»
Jaime le baciò una spalla, appoggiandosi poi sul gomito per guardarla negli occhi.
«Nessuno si è accorto di niente, tranquilla. E tuo marito sarà ancora morto nel letto per parecchie ore.»
«Non i servitori, o i tuoi confratelli, o quel mostriciattolo di nostro fratello.»
«Se anche Tyrion lo sapesse – cosa che ritengo già vera, in realtà – non è certo così stupido da andare a rivelarlo in giro. Ma ora basta parlare di lui o di Robert o di chiunque altro. Non mi hai ancora dato il buongiorno.»
Cersei rimase a fissarlo per qualche secondo, tenendolo sulle spine. Poi allungò le mani verso il suo volto e lo baciò. Non era uno dei loro soliti baci, possessivi e famelici: entrambi erano ancora assonnati e l’essere sdraiati nudi su un letto mentre il Sole filtrava timidamente dalla finestra stava facendo dimenticare loro i pericoli del mondo esterno.
«Buongiorno, fratello» disse, con un sorriso.
«Buongiorno, sorella. E buongiorno anche a te» aggiunse, accarezzando il ventre di Cersei.
«Spero sia una femmina» confessò lei. «Mi piacerebbe avere una figlia.»
Jaime si strinse nelle spalle.
«Se non sarà questa volta, sarà la prossima. O quella dopo ancora. Ti darò tutti i figli che vuoi.»
«Con calma, però» disse. «Per ogni figlio che mi dai, devo inscenare una notte di sesso con Robert.»
«Grazie per aver rovinato l’atmosfera» sbottò, stendendosi di nuovo sul letto.
«Cosa avrei rovinato? Credi davvero che mi farei mettere le mani addosso da quel maiale?»
«Sei tu che sei voluta restare sposata con quel maiale. Io ti avevo offerto un’alternativa.»
«Tu mi avevi offerto la morte, Jaime. Se hai voglia di litigare basta dirlo e me ne vado.»
«No» disse, afferrandole il braccio per essere certo che non si muovesse. «Voglio godermi questo momento con te. Mi ha fatto davvero piacere vederti arrivare qui, ieri notte.»
«Lo so. Anch’io sono felice di averlo fatto.»
Lo baciò e Jaime la strinse a sé, facendo aderire i loro corpi.
«Parliamo di qualcosa di più importante» disse Cersei.
«Dobbiamo per forza parlare?»
Lei gli morse il labbro inferiore, ridendo.
«Solo per cinque minuti, cavaliere. Credevo che la pazienza fosse una virtù importante per una Guardia Reale.»
«Guardati e poi spiegami come essere paziente. Va bene, dimmi pure.»
«Tra due giorni sarà il compleanno di Joffrey. Robert ovviamente ha una battuta di caccia: non gli importa di ferire i sentimenti di suo figlio, deve pensare solo a se stesso.»
«Stiamo di nuovo parlando di Robert.»
«La sera daremo una grande festa, ma vorrei che il pomeriggio tu pranzassi con noi due» concluse lei.
Quella richiesta stupì Jaime, che ebbe bisogno di qualche secondo per elaborarla.
«Mi stai chiedendo… di stare con te e lui? Da soli?»
«Inviteremo anche Tyrion, giusto per fingere che sia un pranzo di famiglia con sua madre e i suoi zii. Lui ovviamente non verrà, ma in questo modo depisteremo eventuali sospetti.»
«Ti sta crescendo la Fanciulla in pancia? Sei diventata improvvisamente dolce.»
«Grazie, Jaime» sbuffò lei. «Per il futuro saprò di non farti mai più richieste simili.»
Lui scosse la testa, accarezzandole il volto.
«Puoi farmi simili richieste ogni volta che vuoi. Sono sorpreso, ma in modo positivo.»
«Quindi accetti?»
«Sì. Accetto.»
Cersei sorrise. Si chinò su di lui e gli sussurrò:
«Bravo, cavaliere. Ti sei meritato una ricompensa.»
 
 
 
 

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Capitolo 22
*** Risveglio solitario ***


Prompt: Human turned animal
Numero di parole: 1131

 
RISVEGLIO SOLITARIO




Quando Brienne si svegliò, non si sorprese di essere sola. Jaime le aveva detto che sarebbe rimasto, per gentilezza e per non rovinare la loro notte insieme, ma al mattino, sobrio, aveva capito di aver fatto un errore.
Brienne non era certa di poterlo biasimare: era stato un sogno e come tale doveva finire. Almeno era accaduto prima che potesse confonderlo con la realtà.
Aveva appena finito di vestirsi, quando sentì bussare insistentemente alla porta. Aprendola, si ritrovò davanti Tyrion Lannister.
«Tuo fratello non è qui, mio signore» disse prima che lui potesse metterla a disagio, supponendo che Jaime fosse con lei.
«Sì, lo so. È venuto da me stamattina, per tua fortuna.»
Brienne aggrottò le sopracciglia. Per sua fortuna?
«Puoi seguirmi?»
«Per andare dove?»
«Da Jaime. Credimi» aggiunse, prima che lei potesse ribattere, «non se ne è andato per il motivo che pensi tu.»
«Scusami con lui, ma non sono in vena…»
«Per favore» insistette Tyrion.
Brienne sospirò. Da una parte, in quel modo si sarebbe tolta subito il timore di incontrare Jaime in giro per il castello. Lo rispettava ancora e sapeva che lui non aveva voluto farle del male: amarla era semplicemente impossibile. Meglio chiarire subito e dimenticare, così da poter mantenere viva la loro amicizia.
Seguì Tyrion nella sua stanza. Lui si fermò prima di entrare, voltandosi verso di lei. Aveva un’espressione preoccupata.
«Jaime ti ha mai parlato del nostro… ehm, problema?» le chiese.
«Che tipo di problema?»
«Si tratta di una maledizione, diciamo» spiegò. «Sin dai tempi di Loren Lannister, si dice che quando un Lannister giace per la prima volta con la sua anima gemella si trasforma in un leone.»
Brienne arrossì fino alla punta delle orecchie.
«E-Ecco, che… che vorresti…?»
«Non a letto! E, soprattutto, non in senso metaforico. Va bene, senti, solo… Non spaventarti.»
Aprì la porta ed entrò. Brienne lo seguì titubante, guardandosi intorno alla ricerca di Jaime. Non c’era nessuno nella stanza. Nessun umano almeno.
«È… È un leone?»
Accanto al caminetto era accovacciato un grande animale dal pelo dorato. Sentendo i rumori, si era alzato ed era avanzato verso di loro. La storia di Tyrion sembrava assurda, inventata su due piedi per cercare di difendere le azioni del fratello, ma Brienne dovette constatarne la veridicità quando vide che all’animale mancava la zampa destra e aveva dei grandi occhi verdi.
«È venuto da me perché temeva di spaventarti, presumo» disse Tyrion.
«Ma… Ma per quanto… Tornerà come prima?» chiese, terrorizzata all’idea di non poter più vedere il vero Jaime.
«Sì, sì» la rassicurò lui. «La trasformazione dura solo un giorno. Domattina sarà di nuovo il solito Jaime. Goditelo finché starà buono e in silenzio.»
Il leone ringhiò contro il nano, il quale si portò l’indice sulle labbra per farlo zittire.
«Non vorrai che ti sentano, vero?» gli disse.
Jaime sbuffò e decise di concentrare la sua attenzione su Brienne. Le accarezzò la mano con il muso, in un gesto che le ricordò più le fusa di un gatto che la fierezza di un leone, e con sua sorpresa lei si ritrovò ad accarezzare la lunga criniera opaca. Sorrise sentendo la sofficità del pelo, che le ricordò quella che aveva sperimentato toccando i capelli di Jaime.
Si chinò davanti a lui e in quei pozzi smeraldo riconobbe con assoluta certezza il suo Jaime. Che decise di lavarle il volto con un unico movimento della lingua. Riuscì a riconoscere il divertimento nei suoi lineamenti e, suo malgrado, si ritrovò a sorridere.
«Mi ero già lavata» disse, passandosi la manica sul volto umido.
«È meglio se per oggi resta qui» si intromise Tyrion. «Non so quanto sarebbe piacevole vedere un leone girovagare per il castello.»
Brienne annuì.
«Sì. Se per te non è un problema, è meglio. Ora si è fatto tardi e dovrei andare da Lady Sansa. Tu puoi…»
Non riuscì a chiedergli se poteva restare lui con Jaime, perché proprio quest’ultimo sfruttò il suo precario equilibrio per farla cadere a terra e posò il muso sulle sue gambe.
«Ma che stai facendo?» esclamò.
Lui sbuffò, senza cambiare posizione.
«Credo non voglia che te ne vada» disse Tyrion.
«Ma io devo. Ho delle cose da fare.»
Jaime scosse la testa.
«Jaime, togliti.»
Di nuovo un gesto di diniego.
«Doveva essere meglio in questa versione?» sbuffò Brienne.
Tyrion si strinse nelle spalle.
«A questo punto puoi goderti solo il suo silenzio. Senti, vado a parlare io con Sansa e le spiego la situazione, va bene? Sono sicuro che capirà.»
«Ma non è necessario» protestò Brienne, mentre Jaime alzò la testa per annuire alla proposta di Tyrion.
«Perfetto» disse quest’ultimo, aprendo la porta. «Buona giornata, ser Brienne. Abbi cura di mio fratello.»
Brienne sbuffò. Rimasti soli nella stanza, Jaime si voltò verso di lei.
«Che vorresti fare, ora?» gli chiese, incrociando le braccia al petto.
Lui si alzò e andò a stendersi davanti al camino. Mosse una zampa per dirle di avvicinarsi a sua volta e le indicò il suo corpo.
«Vuoi che ti usi come divano?» chiese.
Lui annuì.
Titubante, Brienne si sedette e appoggiò la schiena contro di lui. Era morbido e incredibilmente comodo. Sorrise, posandogli una mano sulla testa.
«In effetti, non sei male nemmeno così.»
Jaime le fece capire la sua contrarietà leccandole nuovamente la faccia.
 

Quella notte Tyrion dormì nella stanza di Brienne, mentre lei dormiva nel suo letto tenendo una mano posata su Jaime sdraiato sul pavimento. Un fruscio e dei colpetti la fecero svegliare.
«Pensi di potermi fare spazio? Senza la pelliccia, fa un po’ freddo qui fuori.»
Jaime era umano, nudo e tremante di fronte al letto. Brienne arrossì, spostandosi sull’altro lato per permettergli di rifugiarsi sotto le coperte.
«Sei tornato normale» disse.
«Volevi tenermi come animale domestico ancora un po’, donzella?»
Brienne sbuffò.
«Sei stato un pessimo animale domestico.»
«Niente affatto. Ti ho tenuta compagnia, mi sono fatto accarezzare a piacimento…»
«Quello piaceva a te.»
«…mi hai usato come un mobiletto per appoggiarti e dormire per tutto il giorno…»
«Scusa se mi hai costretta a restare segregata con un leone. Cosa volevi fare, prendere una spada e duellare?»
«…hai minacciato di mozzarmi la lingua…»
«Ogni volta che non ti piaceva quello che dicevo, mi zittivi con una leccata…»
Quella volta, Jaime la zittì con un bacio. Quando quella mattina si era svegliata da sola, si era detta che non era importante, che avrebbe dimenticato presto quello che era accaduto e che non ne avrebbe sentito la mancanza. Non era mai stata più in errore.
«Se lo avessi fatto» le disse Jaime sulle labbra, «da umano non ti avrei potuta zittire in questo modo.»
«Non sei costretto a zittirmi sempre. O a… O a baciarmi solo per quello» rispose, mentre il suo volto virava al rosso acceso.
Jaime le rivolse un ghigno divertito.
«Buono a sapersi allora.»
 
 
 

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Capitolo 23
*** Un aiuto non richiesto ***


Prompt: Vergine
Numero di parole: 440


 
UN AIUTO NON RICHIESTO




«Ehi, che ci fai qui?»
Jaime sollevò la testa verso di lui, fulminandolo con lo sguardo.
«Tu sei veramente una testa di cazzo.»
«Grazie mille» rispose Tyrion, chiudendo la porta della stanza e andando a sedersi accanto a lui. «Allora perché sei qui?»
«Non è più la mia stanza?»
«Certo che lo è, solo che, con l’occasione che ti ho gentilmente servito su un piatto d’oro, dovresti stare nella camera di qualcun altro.»
Jaime sbuffò, alzandosi in piedi.
«L’hai messa a disagio» lo rimproverò. «Stava andando tutto alla grande, non l’avevo mai vista così allegra e tu hai rovinato tutto.»
«Riconosco che potevo giocarmela meglio» rispose Tyrion. «Ma, fratello, è terribile stare vicino a voi due.»
«Che vorresti dire?»
Tyrion gli rivolse uno sguardo eloquente.
«Vediamo, allora… Lei ti ama, tu la ami, eppure non fate niente per smuovere le cose tra di voi.»
«E hai pensato che insultarla sarebbe stato d’aiuto?»
«Non l’ho insultata. È vergine – la chiamano Vergine di Tarth per questo – ed è una qualità encomiabile in una lady. In realtà» aggiunse, alzandosi per riempirsi di nuovo il bicchiere di vino, «il mio obiettivo poi era passare ad affermazioni sul piano affettivo. In mia difesa, non credevo reagisse così male. Però ti ho visto seguirla, bloccando anche la strada a quel povero bruto che, devo dirtelo fratello, ci sa fare molto più di te.»
«Sì, infatti ho notato quanto Brienne sia poco schifata da lui» commentò Jaime. «Io… Sì, l’ho seguita, ma dopo è entrata in camera sua e non…»
«Bloccati da soli in una stanza con un letto. Che problema ci sarebbe stato?»
Jaime sospirò, tornando a sedersi sul bordo del letto.
«Cersei» rispose. «Cersei e il bambino che aspetta. Questo mi sembra un problema abbastanza rilevante, non credi?»
Tyrion annuì.
«Sì, quello… sarebbe stata una complicazione, certo. Ma Jaime, tu sei proprio sicuro di essere ancora innamorato di lei? Nel senso passionale e romantico del termine, ovviamente.»
Jaime scosse la testa.
«Non lo so. Non riesco più a capire i miei sentimenti per lei da molto tempo.»
«E per Brienne?»
«Brienne merita di meglio.»
Tyrion sbuffò.
«Non è quello che ti ho chiesto.»
Jaime distolse lo sguardo, fissandolo sul fuoco acceso. Rimase in silenzio per qualche minuto, mentre Tyrion continuò a bere, lasciandogli il suo spazio per rispondere. Alla fine, si alzò e si diresse verso la porta.
«Dove vai?» gli chiese Tyrion.
«Devo fare una cosa» rispose, uscendo in fretta dalla stanza.
Tyrion alzò gli occhi al cielo, riempiendosi l’ennesimo bicchiere.
«Speriamo che stia andando da Brienne e che le dica le cose giuste» mormorò. «Vorrei davvero avere una cognata diversa da mia sorella.»

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Capitolo 24
*** Non sono interessati ***


Prompt: Bed sharing
Numero di parole: 523

 
NON SONO INTERESSATI




La sua stanza, se così si poteva chiamare, era solo una cella senza sbarre: una piccola feritoia da cui filtravano appena i raggi del Sole e un giaciglio scomodo su cui avevano deposto una coperta con cui proteggersi dal freddo.
A Brienne non dispiaceva: in quel modo, non avrebbe corso il rischio di credersi al sicuro. Non doveva temere Locke fintanto che Lord Bolton fosse rimasto ad Harrenhal, ma non era certa che questo fosse un bene.
Sentì la porta aprirsi e vide entrare Jaime Lannister. Gli avevano procurato dei nuovi abiti e fasciato il braccio mutilato. Rispetto a poche ore prima, sembrava un’altra persona.
«Come stai?» gli chiese Brienne, mentre lui si avvicinava.
«Vivo. E questo non fa più male» disse, sollevando il braccio destro. «Quel vecchietto ci sa fare. Dovremmo farlo venire con noi ad Approdo del Re: sarei felice di mettere una buona parola per lui se servisse ad allontanare quel viscido di Pycelle.»
«È un maestro?»
«No, ma è comunque più bravo di molti di loro. Una catena non è necessariamente sinonimo di conoscenza.»
“Una catena però indica che il proprio sapere è stato ottenuto con gli studi e le fatiche dovute”, pensò Brienne, ma non disse niente. Non le andava di discutere con Jaime. E, soprattutto, non era più certa di avere ragione.
«Sì, dovremmo entrarci» commentò lui, guardando il letto.
«Entrarci?»
«Ci dobbiamo stringere un po’, ma è grande abbastanza per tutti e due.»
Si stese sul lato destro, mettendosi supino. La guardò.
«Quando arrossisci ti si vedono bene le lentiggini» disse.
Quel commento la fece arrossire di più, ma servì anche a innervosirla.
«C-Credo che sia meglio che lo prenda tu» disse. «Hai più bisogno di riposo di me. Io sto bene anche per terra.»
«Non lascio dormire una fanciulla sul pavimento, donzella» sbottò lui. «Siamo stati più appiccicati in questi giorni. Il fatto che siamo su qualcosa di simile a un letto non cambia nulla.»
“Non sono interessato” fu l’eco che risuonò nella mente di Brienne.
Fece il giro intorno al giaciglio e si sdraiò a sua volta. Le loro spalle si toccavano e, anche se lo aveva stretto a sé nuda solo poche ore prima, quella situazione le sembrò più intima e imbarazzante.
«Dovremmo cercare di dormire» disse Jaime.
«Non so se sia una buona idea.»
«Non lo è, ma Bolton ha paura di mio padre. Non mi farà del male e di conseguenza non lo farà a te.»
«Come fai a esserne certo? A Tywin Lannister non importerebbe se mi accadesse qualcosa.»
“Importerebbe solo al mio povero padre”, pensò. “E forse a Lady Catelyn.” Due persone che non avrebbero potuto fare niente per lei in quel momento.
«A lui no, ma a suo figlio sì.»
Brienne si voltò verso di lui. Jaime si era girato sul fianco e la stava guardando, nessuna traccia di scherno nei suoi occhi. Lei tornò a fissare il soffitto, incapace di sostenere il suo sguardo.
«Dormiamo. Domani dovremo affrontare di nuovo Bolton e dobbiamo essere più energici di lui.»
Brienne annuì. Chiuse gli occhi, imponendosi di ignorare la pressante presenza di Jaime al suo fianco.
“Non sono interessata.”

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Capitolo 25
*** Il vestito ***


Prompt: Arancia
Numero di parole: 1388

 
IL VESTITO




I preparativi per le nozze del re erano entrati nel vivo. Suo malgrado, Brienne era stata costretta a parteciparvi, sebbene il pensiero di dover augurare il meglio al re bambino le faceva ribrezzo. Mentre cercava di evitare gli abitanti del castello il più possibile, desiderava comunque poter parlare con Lady Sansa.
L’unica volta in cui l’aveva incontrata era insieme a suo marito, mentre con lei c’era Jaime e, sebbene avessero cercato di farle intendere tutti e tre che con loro era al sicuro – i fratelli Lannister lo avevano fatto, dal momento che Jaime le aveva stretto il braccio intimandole con quel gesto di dosare attentamente le sue parole – la fanciulla era stata irremovibile: era lieta di essersi unita alla nobile famiglia dei Lannister, anche se ciò non era avvenuto tramite un matrimonio con il suo amato re.
Ogni volta che Brienne riusciva a vederla o era in compagnia di Margaery – e la calma dipinta sul suo volto in quei momenti le impediva di andare a turbarla parlandole di tradimento e fughe – oppure nel Parco degli Dei a pregare, e anche in quel caso Brienne non se la sentiva di interromperla.
Quel giorno era tornata a cercarla lì, ma non vide nessuno. Decise di aspettare un po’ nell’eventualità che comparisse.
A un tratto sentì dei passi alle sue spalle e un sibilo. Si voltò di scatto e sollevò la mano, intercettando un’arancia.
«Che stai facendo?» esclamò.
«Testo i tuoi riflessi» rispose Jaime, appoggiandosi al parapetto. «E ti ho anche portato qualcosa da mangiare.»
Brienne sospirò, imitando la sua posizione.
«Ricordi che ti avevo detto di non stare troppo addosso a Sansa?»
«Come faccio a starle addosso se nemmeno la vedo?»
Jaime scosse la testa, con un risolino di sbeffeggiamento in volto.
«Non c’è speranza. Non sarai mai abbastanza sveglia per vivere qui.»
«Ne sono lieta. Vivere qui non è nei miei piani. Riportare Sansa a casa, come avevo promesso, ecco cosa intendo fare.»
Prese a sbucciare l’arancia, cercando di calmare i suoi nervi. Jaime aveva detto che l’avrebbe aiutata, ma l’unica cosa che faceva era insultarla o sminuire i suoi sforzi.
«Dopo il matrimonio, Joffrey e Margaery faranno un viaggio ad Alto Giardino» disse. «Cersei sarà troppo furiosa per prestare attenzione a Sansa e mio padre non ha le spie che ha lei, potremmo anche riuscire ad aggirarlo.»
«Vuoi dire… che tra tre giorni potremo andarcene?»
«No» Frenò subito il suo entusiasmo. «Voglio dire che tra tre giorni potremo concretamente pensare a come farvi fuggire.»
«Dovremo pensare in fretta. Il re e la regina non staranno via per molto» gli fece notare. Si infilò la buccia in tasca e fece per prendere il primo spicchio, quando notò che Jaime aveva un’altra arancia in mano. La scambiò con la sua e si mise a sbucciare anche quel frutto. «Tuo fratello ci aiuterà?»
Jaime annuì, dando un morso all’arancia.
«Penso di sì. Ha detto che Sansa non è intenzionata ad accettarlo nel suo letto e lui non vuole prenderla con la forza: preferisce restare solo che con una moglie che lo disprezza.»
«È una bambina» la difese Brienne, «e lui è…»
«…un nano con il volto sfregiato. Il carattere di Tyrion nel corpo di Joffrey sarebbe stato l’ideale per lei, immagino.»
«Perché è così?» chiese.
«Donzella, proprio tu dovresti sapere che non sempre gli dei sono generosi nell’elargire la bellezza esteriore.»
Brienne arrossì, scuotendo la testa.
«Non… Non intendevo quello! Voglio dire, come mai Joffrey è così crudele? Ho visto suo fratello in poche occasioni, ma sembrano provenire da mondi opposti.»
Jaime si strinse nelle spalle.
«Probabilmente le cose sono migliorate a ogni figlio. Buon sangue non mente, dopotutto.»
«Sì, appunto per quello me lo chiedevo.»
Il modo in cui Jaime la guardò la costrinse a distogliere lo sguardo. Non vedeva niente di lui in suo figlio maggiore, né – per quello che aveva potuto constatare – di Cersei, e quella domanda personale e inappropriata le era sorta spontanea. Avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa, eppure Jaime non sembrava arrabbiato o infastidito: solo sorpreso. Come lo era stato ad Harrenhal.
Diede un altro morso all’arancia e il succo le colò lungo il mento fin sulla casacca.
«Accidenti!» esclamò, cercando di tamponare la macchia.
Jaime rise, facendola solo innervosire di più.
«Sicuramente a te non è mai successo» lo canzonò.
«Sporcarmi come un poppante? In realtà no. Tieni» le porse un fazzoletto. Riluttante, Brienne lo accettò. «Almeno hai un altro abito per la cerimonia.»
Brienne arrossì, asciugandosi il volto.
«A… A proposito di quello. Ti ringrazio. È stato un bel gesto, non eri costretto.»
«Ho pensato che non avessero abiti della tua taglia qui e volevo evitare di vederti infilata a forza dentro un altro vestitino rosa» spiegò, allontanando dalla mente di Brienne quello sciocco pensiero che vi si era insinuato quando aveva ricevuto quel dono: che lo avesse fatto per gentilezza e – forse – qualcos’altro. Quello che era accaduto con Renly non le aveva insegnato niente e commettere lo stesso errore con Jaime Lannister era da folli.
 
 
«Ti diverti, mia signora? O sei quantomeno abbastanza a tuo agio da non desiderare di lanciarti dalle scogliere?»
Brienne fu colta alla sprovvista dalla voce di Jaime. La conversazione che aveva avuto con sua sorella l’aveva agitata e, se prima sarebbe stata felice di essere avvicinata da lui, in quel momento avrebbe preferito che la ignorasse.
«Va tutto bene» disse, tenendo gli occhi bassi. «Bella festa.»
«Già. Soprattutto gli spettacoli offerti.»
Brienne strinse i pugni, aggrottando le sopracciglia.
«Sto scherzando» le disse, abbassando la voce. «Piuttosto, vedo che hai messo il mio abito.»
«Sì, era… era l’unico che avessi e in cui non mi sono dovuta infilare a forza. Non… Non avrei dovuto?»
Jaime rise, scuotendo la testa.
«Al contrario, te l’ho fatto confezionare per quest’occasione. Dopotutto non credo che lo indosserai spesso dopo oggi.»
Brienne annuì. Era un abito semplice, che le fasciava delicatamente il corpo, senza cercare di nasconderlo ma allo stesso tempo non rendendola grottesca. Jaime lo aveva davvero pensato per lei e quella consapevolezza le faceva desiderare di poterlo indossare più spesso.
«Ero certo di aver scelto il colore giusto» disse Jaime.
«Sapevi che il blu era il mio colore preferito?»
«No, anche se lo avevo immaginato. Ho pensato a qualcosa che potesse mettere in risalto i tuoi occhi ed ero certo che il blu ci sarebbe riuscito. Non che servisse un aiuto particolare, ovviamente: i tuoi occhi sono straordinari per loro natura, ma non mi sembrava una brutta idea valorizzarli.»
Brienne pensò che un drago fosse cresciuto dentro di lei e avesse iniziato a sputare fiamme roventi nel suo corpo. Quello che Jaime Lannister aveva appena detto era inequivocabilmente un complimento sincero. Il primo che avesse mai ricevuto e il fatto che provenisse dalle sue labbra era orribile. Quel pensiero sciocco che le si insinuava nella mente ogni volta che non la trattava con cattiveria tornò a farsi sentire con prepotenza, e quella volta temette che non sarebbe riuscita a metterlo a tacere in fretta.
«S-Sei… sei gentile, ser» biascicò, abbassando lo sguardo. «Io… Io me la cavo, dovresti… tornare ai tuoi doveri.»
«Ci sono altri sei cavalieri qui e l’unico pericolo per il re è che si ritrovi con un gran mal di pancia per tutto questo cibo, ma in quel caso la colpa sarà stata della madre. A proposito di Cersei» disse, facendo scorrere un brivido lungo la schiena di Brienne, «di cosa stavate parlando?»
«Niente» rispose subito lei. «Mi ha solo ringraziata per averti riportato a casa.»
Jaime annuì con poca convinzione.
«Sospetta che tu voglia liberare Sansa?»
«No, non credo.»
«Bene. Ah, sembra che sia arrivato il dolce» disse e Brienne notò dei servitori che stavano portando una torta a tre piani verso il palco centrale. «Ho sentito dire che c’è una sorpresa al suo interno.»
«Diversa dalla torta stessa?»
«Sembra di sì.»
Quando Joffrey calò la sua spada, scoprirono qual era la “sorpresa”: uno stormo di piccioni si levò dalla torta, mentre altri, meno fortunati, rimasero a decorarla con il loro sangue.
«Credo che non l’assaggerò» disse Brienne, storcendo la bocca.
Jaime rise, passandosi una mano sul volto.
«È meglio che vada a vedere se hanno bisogno» disse. «Così posso anche portarti una fetta di quella torta.»
«No, grazie. Non serve.»
«Ma come? Non vuoi assaggiare crema e piccione crudo?» rise, facendole alzare gli occhi al cielo.

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Capitolo 26
*** Un nuovo arrivo in famiglia ***


Prompt: Famiglia
Numero di parole: 1284
Note: Modern!AU. I bambini e il gatto sono opera mia e di JodieGraham, che ogni tanto ci divertiamo a immaginare i Braime felici nel mondo moderno.


 
UN NUOVO ARRIVO IN FAMIGLIA




«Cat, lascia stare il telecomando. Sto cercando di guardare le Winx.»
La bambina alzò i grandi occhi verdi verso sua sorella, poi riprese a toccare i tasti, facendo zapping involontario.
«Dai, lascialo» Joanna glielo tolse dalle mani. «Questa è la mia ora per la tv.»
Cat gonfiò le guance, cercando di riprendere il suo giocattolo.
«Mio! Ci gioco io!»
«Non è per giocare, Cat. Mamma!»
«Ehi» Jaime comparve dalla cucina, appoggiandosi allo schienale del divano per guardarle. «Che combinano le mie principesse?»
«Papino, Cat non mi lascia guardare i cartoni» disse Joanna.
«Voglio giocare!» esclamò Cat, cercando ancora di afferrare il telecomando.
Jaime la prese in braccio e Joanna riuscì a risintonizzare il canale sulle Winx.
«Mamma?» chiese Cat.
«La mamma sta aiutando Arthur a fare i compiti. Per ora lasciamola in pace. Ti va di ballare un po’? Senti che bella canzoncina che ha quel cartone.»
Jaime cominciò a dondolarsi con lei e Cat si mise a ridere, muovendo la testolina a ritmo con la musica. Volteggiarono per la stanza, mentre Joanna cercava di guardare la televisione e, allo stesso tempo, di ignorare che un tempo suo padre ballava con lei. Era giusto che fosse Cat ad avere quell’onore, dopotutto lei lo aveva già avuto e, come sorella maggiore, aveva il compito di lasciarle il suo spazio con i suoi genitori. Dopotutto suo padre non le voleva meno bene ora che c’era un’altra bambina in casa.
«Papino, posso ballare anch’io con voi?» chiese, scendendo dal divano.
Jaime le sorrise e allungò una mano verso di lei.
«Naturalmente. Mi concedi questo ballo, mia signora?»
Joanna sollevò delicatamente la sua gonna rossa, facendo un inchino.
«Con piacere, cavaliere.»
Prima che potessero iniziare la loro danza, suonò il citofono.
«E ora chi è?» esclamarono all’unisono Joanna e Jaime.
«Tieni un momento tua sorella» sospirò lui, dando Cat in braccio alla bambina.
Quando aprì la porta, si ritrovò davanti Tyrion con un grosso gatto bianco tra le braccia.
«Hai interrotto un ballo padre-figlie» gli disse.
«Ciao anche a te, fratello. Che tu sappia, qualcuno nella tua casa è allergico ai gatti?»
Jaime ci pensò su, poi scosse la testa.
«Non credo. Come mai?» chiese, facendosi da parte perché Tyrion entrasse.
«Tysha ha trovato questo micione abbandonato lungo la strada. È periodo di vacanze, chissà quanti altri come lui ci sono in giro.»
«Mi dispiace. Beh, vedi il lato positivo: tu hai sempre voluto un gatto» disse, accarezzando il muso dell’animale che fece le fusa. «Ora puoi compiere una buona azione e averne uno allo stesso tempo.»
«Più o meno. Tysha lo ha portato a casa, lavato e pettinato, ma quando è andata a prendere Pod, il poveretto non ha fatto altro che starnutire e la cosa è solo peggiorata quando è tornato a casa. Crediamo sia allergico.»
«Cavolo, mi dispiace. Cosa pensate di fare allora?»
«Ciao, zio Tyrion.»
Joanna e Cat li raggiunsero in quel momento dal soggiorno.
«Ciao, piccole. Come state?»
«Bene. Quello è un…»
«Pupazzo!»
Cat corse verso lo zio, che riuscì a passare il gatto al fratello prima che lei potesse afferrarlo.
«Non è un pupazzo, Cat» le disse Jaime.
«È una gatto» spiegò Joanna. «Anche molto bello. Possiamo tenerlo, papino?»
«Sì, sì!» si aggiunse Cat.
Jaime spostò lo sguardo verso Tyrion, che si strinse nelle spalle con un sorrisetto di scuse.
«Subdolo» borbottò a denti stretti. «Bambine, prima ne dobbiamo parlare con la mamma e Arthur.»
«Arthur accetterà» assicurò Joanna, con un tono che voleva dire: “Glielo faccio accettare io”.
«Anche mamma» disse Cat.
Sgambettò verso le scale, chiamandola a gran voce.
«Che succede?»
Brienne e Arthur uscirono dalla cucina, con due tazze di cioccolata calda in mano.
«Mamma. Possiamo tenere il pupazzo?» le chiese subito Cat.
«Ciao, Brienne.»
Tyrion si affacciò sulla soglia della cucina, seguito da Joanna e Jaime.
«Ciao, Tyrion. È un gatto, quello?»
«Sì!» esclamò Joanna. «Mamma, teniamolo! Ti prego.»
«Mi dispiace» le sussurrò Jaime. «Tyrion ci ha fregati.»
«Compri un gatto e poi cerchi di darlo via?» chiese a Tyrion, con tono glaciale.
«Comprato? Lo abbiamo salvato dalla strada» rispose, offeso. «Lo avremmo tenuto noi, ma sembra che Pod sia allergico. Almeno finché non lo sapremo con certezza, potete tenerlo voi, così non dobbiamo lasciarlo a qualche associazione?»
«Vuol dire… che poi ce lo porterai via di nuovo?» chiese Joanna. «Non possiamo tenerlo noi?»
«Chiedi ai tuoi genitori, piccola.»
«Papino, mammina, il gatto rimane qui» disse, incrociando le braccia al petto.
Jaime e Brienne si scambiarono uno sguardo incerto.
«Beh, sembra un bravo gatto» disse lei, accarezzandogli il soffice pelo bianco. «Arthur, a te andrebbe bene?»
Lui annuì distrattamente, sorseggiando la sua cioccolata.
«Jaime?»
Tutti gli occhi si spostarono su di lui. Sospirò.
«Va bene, va bene. Resta qui.»
Le bambine esultarono, ma Brienne le rimise subito in riga.
«È un essere vivente, come noi, e non un giocattolo che potete usare a vostro piacimento, chiaro? Avere un animale domestico è una grossa responsabilità e tutti in famiglia dovremo contribuire a farlo stare bene, sono stata chiara?»
Joanna e Cat annuirono.
«Posso prenderlo in braccio?» chiese la più grande.
«Va bene, ma stai attenta. È un bel ciccione.»
Brienne gli diede una gomitata nelle costole.
«È solo il pelo che lo rende rotondo» disse Arthur, avvicinandosi alle sorelle per guardare meglio il nuovo membro della famiglia.
«Ben detto, Scrat.»
«Guarda che quella frase è di Manny» gli ricordò Brienne.
«Non vorresti avere Scrat come figlio» aggiunse Tyrion.
«Almeno ho indovinato il film. È un maschio o una femmina?» chiese, indicando il gatto le cui fusa stavano risuonando in tutta la stanza.
«Femmina.»
«Ha un nome?» chiese Brienne. Tyrion si strinse nelle spalle.
«Sissi» disse Joanna.
«Sissi?»
Lei annuì.
«Come la principessa. La conosci, papà, no?» chiese, con una punta di rimprovero nella voce.
«Certo» rispose, anche se con tutte le principesse che piacevano a Joanna non riusciva ad associare un volto a quel nome.
«Ciao, Sisi» esclamò Cat.
«Sissi» la corresse Arthur. «Con la doppia s.»
«Lo so, ho detto anch’io Sisi.»
«Non importa, lo imparerai a pronunciare meglio quando sarai più grande» tagliò corto Joanna, dondolandosi con il gatto tra le braccia. «Dorme con noi, vi va bene?»
I suoi fratelli annuirono.
«È una buona idea?» chiese Brienne.
«Le andiamo a comprare una cuccetta e la facciamo stare lontana dal letto di Cat, così se vuole venire da noi non rischia di finirle addosso» rispose Jaime.
«E quando la andremmo a comprare la cuccia?»
«Hai da fare?» chiese a Tyrion.
«Ehm, no. Andate pure, avverto Tysha che faccio tardi.»
Jaime annuì.
«Va bene» disse Brienne. «Vado a cambiarmi, torno subito.»
«Bambini» Jaime indicò ai suoi figli di metteri intorno a lui. «Io e la mamma andiamo a prendere il letto e qualcosa da mangiare per Sissi. Resta lo zio Tyrion con voi. Fate i bravi, ok?»
I tre annuirono.
«Io devo finire gli esercizi di matematica» disse Arthur.
«Allora è il tuo giorno fortunato, perché hai il membro più intelligente di questa famiglia qui per aiutarti» disse Tyrion.
«Tieni più sotto controllo le altre due» gli sussurrò Jaime.
Tyrion ghignò, dandogli una pacca sulla gamba.
«Ho cresciuto anch’io un figlio. So come si fa, tranquillo.»
«Ne hai cresciuto uno, non tre. E poi Podrick è un santo, non come…»
Non fece in tempo a finire la frase, che sentirono un forte miagolio e le bambine si misero a urlare.
«Le hai tirato la coda!»
«Volevo giocare!»
«Non così! Sissi, torna qui.»
Joanna si mise a rincorrere il gatto lungo il corridoio, seguita da Cat. Jaime rivolse uno sguardo eloquente a Tyrion.
«Ok, presterò maggiore attenzione a queste due. Andate tranquilli: vi prometto che al vostro ritorno staranno tutti bene.»
Jaime sospirò.
«Lo spero per il tuo bene.»
 

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Capitolo 27
*** Un Lannister paga sempre i suoi debiti ***


Prompt: Luce
Numero di parole: 594


 
UN LANNISTER PAGA SEMPRE I SUOI DEBITI




«È una follia. Ci faremo ammazzare, o meglio tu ti farai ammazzare e poi tuo padre mi taglierà la testa per aver permesso che accadesse» esclamò Gambali d'Acciaio.
Jaime lo lasciò blaterare, mentre spronava il suo cavallo per raggiungere in fretta Harrenhal. Era una follia, era vero, ma doveva farlo. Sentiva che era necessario.
“Stupidi sogni”, pensò. “E stupida brutta donzella, che sicuramente è riuscita a mettersi nei guai.”
Non aveva davvero motivo di ritenerla in pericolo, ma ciò che la sua mente aveva prodotto era stata un’immagine orribile e che, tuttavia, Jaime non poteva affermare che fosse una menzogna: Cersei lo aveva abbandonato nell’oscurità e Brienne era rimasta al suo fianco, illuminandogli la via. Poi le tenebre lo avevano inghiottito, ma lei era rimasta lì e la sua luce blu aveva continuato a risplendere.
Addio, Ser Jaime.
Aumentò il passo del suo cavallo al massimo.
 
«Ti ringrazio, ser, ma eri molto lontano. Perché sei tornato indietro?»
Jaime pensò a tutti gli insulti che conosceva, ma ogni volta vedeva l’immagine di Brienne nuda di fronte a sé e sentiva il calore della sua pelle. Alla fine disse semplicemente la verità.
«Ti ho vista in sogno.»
Brienne aggrottò le sopracciglia.
«Che vorresti dire?»
«Quello che ho detto. Ti hanno colpito anche alla testa, mia signora? Perché sembri più ottusa del solito.»
Lei arrossì, gesto che la fece sembrare ancora più ridicola. Jaime si ripromise che alla prima occasione le avrebbe procurato degli abiti nuovi che non la rendessero un maschio con la gonna.
«Ora muoviamoci» disse. «Prima che il caprone ci impedishca di shcappare
Rise, mentre Brienne saliva sul cavallo. Lui montò dietro di lei e si lasciarono Harrenhal alle spalle una volta per tutte.
«Quando saremo fuori, ci fermeremo per curarti, d’accordo?»
«Non serve, ser» rispose Brienne. «Andiamocene il più lontano possibile finché c’è ancora un po’ di luce. Io sto bene.»
«Ho il tuo sangue davanti alla faccia, donzella. Ma va bene, allontaniamoci il più possibile.»
«Sei stato un folle a saltare dentro quella fossa.»
Jaime sbuffò. Era stato un giorno di follie.
«Il caprone mi ha detto di farlo se volevo salvarti.» La vuoi, Shterminatore di Re? Va’ a prenderla. «Ma sono sicuro che quel povero orso ha ancora fame. Se vuoi torniamo indietro.»
«Non l’ho detto per quello! È solo… Non voglio che qualcuno si faccia del male per me.»
«E io non voglio avere debiti con te, donzella. Questo è stato per non avermi lasciato affogare nella vasca.»
“E per non avermi abbandonato nell’oscurità.”
Brienne annuì, restando in silenzio.
Presto il vento si alzò e Jaime la sentì rabbrividire. Quell’abito – o ciò che ne restava – era leggero e nella foga della fuga non avevano preso nemmeno un mantello per ripararla dal freddo. Jaime rallentò il passo, lasciandosi raggiungere da Qyburn.
«Il mantello che hai nella sacca» gli disse.
Il vecchio annuì. Estrasse il mantello e glielo porse.
«Stai bene, mia signora?» chiese poi a Brienne.
Lei annuì, anche se era evidente che stesse tremando. Jaime si ritrovò a pregare che fosse solo per il vento autunnale. Riprese il galoppo, posandole il mantello sulle spalle.
«Cosa fai?» gli chiese.
«Stai congelando.»
«Sto bene.»
Jaime sbuffò.
«Non è facile prendersi cura di te. Tienilo e non rompere. Tra poco ci accamperemo per la notte.»
Brienne strinse il mantello intorno a sé e i tremori scemarono.
«Questo per quale debito è?» chiese, in un sussurro che quasi Jaime non sentì.
«Mi hai pulito la merda per tutto questo tempo e hai impedito che morissi» rispose. «Ho ancora qualche piccolo debito nei tuoi confronti.»

 

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Capitolo 28
*** Il potere del vino ***


Prompt: In vino veritas
Numero di parole: 1934

 
IL POTERE DEL VINO




Brienne si svegliò con un forte mal di testa. Si alzò di scatto dal letto ed ebbe subito modo di pentirsene, sentendosi la bocca piena del sapore del vino e il suo stomaco che premeva per uscire dal suo corpo.
«Ti conviene stare a riposo stamani.»
Quella voce la colse alla sprovvista, ma la riconobbe all’istante.
«S-Ser Jaime! Che… Che ci fai qui?»
Un lampo di delusione passò nei suoi occhi, ma sparì subito con un sospiro.
«Per questo devi riposare. Non riesci proprio a reggere il vino.»
Brienne sbattè le palpebre, confusa. Ricordava il primo bicchiere che Jaime le aveva versato – un brindisi innocente, niente di più – poi era arrivato Tyrion e aveva proposto di fare un gioco.
E poi si era svegliata nel suo letto.
Cercò di ricordare quanto avesse bevuto e, soprattutto, cosa avesse fatto, ma ogni sforzo le causava una fitta di dolore tremenda.
In qualche modo, a un certo punto della serata, lei era tornata in camera, probabilmente aiutata da Jaime, e poi lui era rimasto a dormire lì. Solo a dormire, o almeno sperava.
«È… È successo qualcosa?» chiese, sentendo il volto diventare caldo.
«Ti sei messa a ballare nuda davanti a tutti e hai succhiato la faccia a Tormund Giantsbane.»
Brienne sbiancò, facendolo scoppiare a ridere.
«Ma che cazzo!» esclamò, dandogli un pugno sul petto. «Non prendermi in giro, non sono dell’umore!»
Jaime si alzò, continuando a ridere.
«Scusa, scusa. Hai riso più del solito e penso che se non ti avessi sorretta venendo qui, saresti inciampata sul nulla da tanto che barcollavi. Tutto qui. Un’avventura da ubriaca molto anonima, tranquilla.»
Brienne aggrottò le sopracciglia, cercando di capire se fosse sincero o meno, ma poi tirò un sospiro di sollievo. Sicuramente si era resa ridicola, ma non in modo irrimediabile.
«Mi dispiace.»
«Perché mai? Gli unici sobri ieri sera erano i neonati.»
Jaime le porse un bicchiere d’acqua che lei accettò con piacere, rendendosi conto solo in quel momento di quanto la sua gola fosse secca.
 
 
Con la minaccia di metterla in imbarazzo davanti a tutti se avesse lasciato la sua stanza, Jaime aveva convinto Brienne a restare a riposo per qualche ora. Uscì dalla camera e si diresse verso la propria, nella quale trovò Tyrion che, a giudicare dallo stato dei capelli, si era appena svegliato.
«Buongiorno, fratello» lo salutò con un ghigno.
Jaime ricambiò il sorriso, incerto.
«Com’è andata la notte?»
«Bene. Brienne ha dormito senza problemi, ora sta riposando.»
«E prima che dormisse?»
Come temeva, dopo quello che era successo, Tyrion aveva dato per scontato che le cose tra di loro avessero seguito una precisa linea.
«Non abbiamo fatto sesso, Tyrion.»
Quell’affermazione lo sconvolse.
«Non avete… Come sarebbe a dire? Perché?»
«Fammi pensare. Forse perché era talmente ubriaca da non avere idea di cosa stesse facendo? Non ricorda nemmeno quello che ci siamo detti.»
«Beh, può succedere quando si è ubriachi.»
«Sì, e sai cos’altro può succedere?» disse. «Si può mentire o, peggio, ci si può pentire di ciò che si è detto o fatto. No, se non lo ricorda tanto meglio. Mi piace il rapporto che abbiamo e non voglio rovinarlo.»
«Oh, ma per favore!» sbottò Tyrion. «Solo a voi due può piacere il vostro rapporto attuale. Penso di poter parlare a nome di ogni essere vivente se ti dico che è irritante avervi vicino e che sarebbe una grande consolazione per l’intero continente se voi due vi metteste finalmente insieme.»
Jaime sbuffò.
«Ti ringrazio, fratello, ma preferisco che ti faccia gli affari tuoi. Oltretutto questa situazione è solo colpa tua e di quel tuo stupido gioco.»
«Scusa se ho fatto in modo che vi dichiaraste.»
«Tu non hai fatto quello!»
Jaime scattò in piedi, iniziando a percorre la stanza avanti e indietro. Era furioso con suo fratello e anche con Brienne, per non essere stata in grado di controllarsi. Quando Tyrion li aveva accusati di essere innamorati, avevano bevuto entrambi: lui per accontentarlo, lei perché non aveva nemmeno capito la domanda.
Non aveva importanza quello che si erano detti. Non aveva importanza che, una volta giunti in camera, Brienne lo avesse baciato. Per quanto ne sapeva, nella sua testa poteva averlo scambiato per Renly.
«Comunque, c’è una cosa su cui ti vorrei correggere» disse Tyrion, sedendosi di fronte al camino. «Quando si è ubriachi come lo era lei si possono fare degli sbagli, è vero, ma non si può mentire. Nel vino c’è verità.»
«Tu e Cersei mi avete sempre dimostrato il contrario.»
«Io e Cersei siamo dei maestri, con anni di esperienza, e ad Approdo del Re non si può correre il rischio di rivelare i nostri più reconditi segreti solo perché si è alzato un po’ troppo il gomito. Ha bevuto perché ti ama – fatto che si poteva evincere anche dal modo in cui ti guarda o da come ti ha difeso di fronte alla regina e a Sansa.»
Jaime sospirò, passandosi la mano sul volto.
«Piuttosto» aggiunse, con sguardo preoccupato. «Non sei stato tu a mentire, vero?»
«No. Io non ho mentito.»
 
 
Il sonno colse Brienne e con quello arrivarono anche i ricordi. Sentì Tyrion Lannister affermare che lei e Jaime erano innamorati e vide quest’ultimo rivolgerle uno sguardo indifeso prima di bere. Aveva bevuto anche lei, con fermezza: era la verità e non se ne vergognava.
Jaime l’aveva poi aiutata ad alzarsi e l’aveva stretta a sé lungo tutto il tragitto fino alla sua camera. Ricordava che la stanza fosse particolarmente calda, più del solito, e che si era rifiutata di stendersi sotto le coperte. Erano rimasti sul letto a parlare e a ridere insieme, finché lei non lo aveva baciato. Lo sguardo di panico e disgusto sul volto di Jaime le si impresse nella memoria e dubitava che vi sarebbe mai scomparso.
Si mise seduta con il cuore che le batteva freneticamente nel petto. Come aveva potuto fare una cosa del genere? Come le era venuto in mente di mostrare tanto apertamente i suoi sentimenti proprio al diretto interessato?
“Non toccherò mai più una goccia di vino in vita mia”, si disse.
Jaime sapeva che era stato un gesto dettato dal suo stato di ubriachezza, doveva saperlo, ma questo non cambiava il fatto che fosse accaduto. Brienne lo aveva baciato. E lui ne era rimasto disgustato.
Si alzò dal letto, afferrò Giuramento e uscì.
 
 
Jaime la vide dirigersi a passo spedito verso il cortile interno. Provò a chiamarla, ma lei lo ignorò.
«Non avevamo un patto?» le disse, raggiungendola al centro dell’area di allenamento. Lei sussultò al suono della sua voce, ma continuò a dargli le spalle.
«Mi sento molto meglio, ser. Un po’ d’aria fresca non può che farmi bene.»
Jaime annuì. Restò in silenzio, smuovendo la neve con la punta del piede, in attesa che lei dicesse qualcosa – o che lui trovasse il coraggio di parlare per primo.
«Mi scuso per tutto quello che è accaduto ieri notte» disse Brienne, senza cambiare posizione. «Spero tu vorrai ricordare che non ero in me e passare oltre.»
Di nuovo Jaime annuì in silenzio. Era una richiesta giusta: il loro rapporto funzionava bene così com’era e a lui piaceva così com’era. Se lo voleva anche lei, se lo sarebbe fatto bastare.
“Ha bevuto perché ti ama.”
 
 
Si ritirò presto nelle sue stanze, desiderando stare da sola e – soprattutto – lontana da Jaime. L’uomo si era dimostrato comprensivo con lei, anche se in modo freddo, ma quello era un fatto che Brienne avrebbe dovuto mettere in conto. Gli errori si pagano, anche quando vengono commessi per sbaglio.
Sentì dei calci alla porta e aggrottò le sopracciglia, andando ad aprire per capire di chi si trattasse.
«Scusa» disse Jaime. «Come vedi ho le mani un po’ occupate.»
Aveva una bottiglia stretta nella mano mentre teneva in equilibrio sulle braccia un vassoio con due bicchieri, due piatti di pasticcio di carne, una mela e una rosa blu.
«Che ci fai qui?» gli chiese.
«Posso entrare? Non vorrei far crollare tutto.»
Brienne si fece da parte e lasciò che lui posasse tutto sul tavolo. Quando intercettò il suo sguardo scettico verso la bottiglia, Jaime sorrise, versandone il contenuto in due bicchieri.
«È solo acqua. Ti voglio completamente sobria stasera.»
Brienne arrossì, sentendo l’imbarazzo per quella notte tornare a galla.
«P-Perdonami, ser, io… Io non ho ancora capito perché sei qui.»
«Per cenare con te, ovvio.»
Brienne sbattè le palpebre, confusa.
«Che vorresti dire?»
«Non ricordi più il significato di “cenare”, donzella?»
«C-Certo, solo… Dopo quello che è successo, credevo… Insomma…»
«Non far lavorare il tuo cervellino più del dovuto» la fermò Jaime. Si avvicinò a lei, che nel frattempo era rimasta ferma davanti alla porta. «Ieri sera l’alcol ha avuto la meglio su di te, è vero, ma sono quasi certo che l’unico effetto che abbia avuto sia stato quello di lasciarti esprimere più liberamente i tuoi sentimenti.»
Brienne abbassò lo sguardo: era esattamente quello il problema, per quello non riusciva a capire cosa ci facesse Jaime lì, da solo con lei.
«Tuttavia io non ero ubriaco. Alticcio, al massimo, ma non al punto di non sapere cosa stessi facendo. Quando ho bevuto, dopo che Tyrion aveva affermato che sono innamorato di te, sapevo cosa stavo facendo.»
Brienne scosse la testa.
«No. Ti prego, non dirlo.»
«Cosa non dovrei dire?»
«Mi sento già abbastanza umiliata senza avere bisogno che tu ci metta il carico.»
Jaime aggrottò le sopracciglia, confuso.
«Non capisco cosa stai dicendo.»
Brienne strinse i pugni, tenendo lo sguardo ancorato al pavimento.
«Quando io… Quando ti ho baciato, tu… tu ne sei stato disgustato.»
«No, Brienne, non è stato…»
«Va bene, ser, lo capisco, ma a maggior ragione ti chiedo di non cercare di…»
Jaime le afferrò la nuca, bloccando le sue lamentele con le proprie labbra. Le gambe di Brienne si fecero molli e dovette appoggiarsi a lui per non cadere a terra. Le sembrava che lui la stesse baciando, ma la sua mente non riusciva a elaborare pienamente quel concetto.
«Lasciami spiegare, ok?» le disse, allontanandosi un poco da lei.
Brienne annuì.
«Lo ammetto, il tuo bacio mi ha sorpreso. Ma non ti ho respinta per il motivo che credi tu. Brienne, non eri completamente in te ieri e avevo paura che fosse stato un gesto inconsulto che non contava niente e non volevo prendermi la libertà di agire senza essere certo che tu fossi pienamente consapevole di quello che stavi facendo. Non ero nemmeno sicuro che sapessi che ero io quello insieme a te. Avrei voluto parlartene stamattina, ma tu non ricordavi e… sinceramente, mi sei sembrata tu quella disgustata al pensiero che potessero esserci state delle interazioni fisiche tra di noi.»
Ascoltò le sue parole a bocca aperta, incredula per ciò che le stava dicendo.
«Perché… perché sarei dovuta essere disgustata? O non sapere che si trattava di te?»
Jaime abbassò lo sguardo.
«Non lo so. Insomma, non sono un ottimo partito.»
«Sai che non è vero. Devi saperlo.»
Jaime le rivolse un sorriso triste. Fece un passò indietro e le porse la rosa che Brienne aveva intravisto sul vassoio.
«Ho trovato una cosa che mi piace del Nord» disse. «Non risplende come i tuoi occhi, ma credo che ci si possa accontentare.»
La prese dalla sua mano, accarezzando i petali blu, senza riuscire a staccare gli occhi da Jaime.
«Cosa dovremmo fare ora?» chiese.
Lui le indicò il tavolo imbandito con un grande sorriso.
«Io comincerei con una cena a lume di candela. O di fuoco del camino, insomma.»
Gli angoli della bocca di Brienne si sollevarono. Posò la rosa sul suo letto, promettendosi di trovarle una vaso conclusa la cena, e si sedette a tavola.

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 29
*** Buon compleanno, sorella ***


Prompt: Rosso
Numero di parole: 837

 
BUON COMPLEANNO, SORELLA




Indossalo e vieni questa notte alla spiaggia.

Aveva deciso di ignorare quel messaggio, ma dopo che Robert era tornato per l’ennesima volta nel suo letto ubriaco, Cersei aveva sentito il bisogno di vedere il fratello e aveva assecondato la sua richiesta.
«Non si smentisce mai» borbottò tra sé e sé, mentre cercava di non inciampare camminando al buio. Arrivata al limitare della spiaggia, sentì qualcosa di diverso dalla sabbia sotto i suoi piedi. Si chinò per capire di cosa si trattasse: un mantello e poco più avanti delle piccole torce che illuminavano la via. Vide che vi era un percorso coperto da teli e sorrise: Jaime era folle, ma non al punto di lasciare che si sporcasse di sabbia e fango.
Lo trovò seduto di fronte a una candela illuminata, con della frutta e due calici di vino davanti a sé.
«Se volevi bere, potevamo restare dentro il palazzo» gli disse.
Jaime si voltò verso di lei, alzandosi per raggiungerla.
«Qui avremo molta più intimità» disse, sfilandole il mantello. «Anche se non riesco a vedere come ti sta il mio vestito.»
Cersei sospirò. Si sedette accanto alla candela, in modo che quella, insieme alla luna, la illuminasse a sufficienza.
«Non ero a conoscenza della tua passione per la sartoria.»
«Desideravo solo farti un dono» rispose lui.
Cersei si passò distrattamente la mano sul corpetto. Jaime conosceva molto bene i suoi gusti: un abito dall’ampia scollatura, con maniche lunghe a sbuffo e una sottoveste verde che si abbinava alla perfezione al rosso dominante.
«È stato apprezzato» disse, prendendo uno dei bicchieri. «Allora, hai intenzione di stare lì fermo tutta la sera?»
«Da qui posso ammirarti meglio.»
«Io voglio essere ammirata da vicino.»
Jaime rise. Si chinò su di lei, baciandole le labbra con passione. Era passata più di una settimana dall’ultima volta che lo aveva fatto; certe volte Cersei odiava i suoi doveri e avrebbe solo voluto poter stare con il suo gemello ogni ora di ogni giorno.
«Questa vicinanza è sufficiente o devo spingermi più in profondità?» le sussurrò all’orecchio.
Cersei bevve un sorso di vino. Normalmente il loro tempo era così limitato che a malapena avevano tempo di togliersi i vestiti; quella notte lei voleva giocare.
«Cosa vorresti fare più di così, cavaliere
«Non saprei» rispose, accarezzandole una gamba, salendo sempre più in alto. «Sono aperto a qualsiasi richiesta, maestà
Cersei sorrise, allontanandogli bruscamente la mano.
«Ho infastidito la mia regina in qualche modo?» chiese Jaime, fingendosi mortificato.
«Se lo avessi fatto, come rimedieresti?»
Jaime si sporse verso di lei, accarezzandole dolcemente il volto.
«Le direi che sono tremendamente dispiaciuto.»
«Solo parole.»
Le sfiorò delicatamente le labbra e a Cersei tornarono in mente i primi baci timidi che si scambiavano da bambini.
«Le giurerei eterno amore» continuò lui.
«E poi?»
Jaime le portò le mani dietro la schiena, mentre le sussurrava:
«Poi la farei mia fino a farle dimenticare il motivo del suo disappunto.»
 
 
«Non avevi notato i bottoni sulla schiena? Sono stati una bella idea.»
Cersei annuì.
«Sarebbe stato sciocco farmi un dono che avrei potuto indossare un’unica volta. Comunque vorrei ricordarti che anche tutti gli altri miei abiti si possono rimuovere senza distruggerli.»
«Non li ho mai distrutti» si difese Jaime. «Al massimo scuciti in qualche punto.»
«Quel tipo di scucitura si chiama strappo.»
«Come vuoi. Comunque non siamo qui per parlare dei tuoi abiti, sorellina.»
Cersei si sollevò su un braccio, guardandolo dall’alto.
«Giusto» disse. «Jaime, perché hai voluto che ci vedessimo qui stanotte?»
«Mi ferisce che tu non lo sappia.»
Cersei aggrottò le sopracciglia, facendo comparire un sorriso sul suo volto. Si mise a sedere, alzando lo sguardo verso il cielo.
«Immagino che sia già domani» disse Jaime.
Prese il vestito rosso che avevano abbandonato lì vicino, si mise in ginocchio e glielo porse.
«Che stai facendo?»
«Buon compleanno, Cersei.»
Era raro che Cersei Lannister restasse senza parole e, quelle poche occasioni in cui avveniva, era proprio Jaime a farlo. Quel gesto non era niente di speciale – oltretutto le stava anche donando qualcosa che già aveva ricevuto – ma c’era qualcosa nei suoi occhi, nel modo in cui aveva pronunciato il suo nome, che le tolse il fiato.
Gli prese il volto tra le mani e lo baciò. Jaime ridacchiò sulle sue labbra.
«Devo farti queste sorprese anche in giorni normali» disse.
«No. È già una follia averlo fatto oggi. Però mi ha fatto piacere.»
«Davvero?» chiese, con una sincera punta di stupore.
Cersei annuì.
«Oh, dimenticavo. Buon compleanno anche a te, Jaime.»
Jaime le sorrise, aiutandola a rimettersi l’abito. Si alzò per recuperare la sua giacca, mentre lei riempì nuovamente i bicchieri.
«Non sertirti in colpa per non avermi preso un regalo, sorellina» scherzò lui, accettando il bicchiere. Lo fece tintinnare contro il suo in un muto brindisi alla luna.
Cersei bevve senza distogliere gli occhi dai suoi. Prese il suo mantello, sollevandosi sulle punte per dare a Jaime un ultimo bacio.
«Chi ti dice che non ti ho preso un regalo? La giornata è ancora lunga, ser. E piena di sorprese.»

 

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Capitolo 30
*** Pianto liberatorio ***


Prompt: Pianto
Numero di parole: 606

 
PIANTO LIBERATORIO




Jaime si diresse al piano superiore del castello. Era sfinito, ma non sentiva davvero il bisogno di riposare: sapeva che se avesse toccato un materasso sarebbe crollato e, proprio per questo, voleva starne lontano, almeno per un altro po’.
Aveva aiutato Podrick a tornare nelle sue stanze, illeso ma tremendamente scosso, e Jaime non poteva certo biasimarlo per questo. Gli aveva chiesto dove fosse la camera di Brienne e lui gli aveva detto che si trovava al piano superiore, in fondo al corridoio.
Lei aveva insistito per restare ad aiutare i feriti, ma l’attacco congiunto di Jaime, Pod e soprattutto Sansa l’aveva costretta a preoccuparsi per se stessa una volta tanto. Aveva lasciato la sala per medicarsi la ferita alla testa – «Non serve scomodare il maestro, posso pensarci da sola» – ma Jaime non sarebbe stato tranquillo fino a quando non l’avesse controllata di persona.
Raggiunse la sua porta, ma quando alzò la mano per bussare sentì degli strani suoni provenire da dentro. Appoggiò l’orecchio contro il legno per sentire meglio. Singhiozzi. Non aveva mai sentito Brienne piangere. Per un momento pensò di aver sbagliato stanza, ma qualcosa in quel suono gli disse che non era così. Abbandonando l’educazione, entrò senza essere invitato.
Brienne era seduta sul letto, con il volto nascosto tra le mani e il corpo scosso da forti tremiti.
«Brienne!» esclamò, accovacciandosi accanto a lei.
Lei sussultò sentendo il suo nome e cercò di calmarsi, senza successo.
«Che ti succede? Stai male?»
Provò ad allontanarle le mani dal volto, ma lei girò la testa in modo che non riuscisse a vedere le sue lacrime.
«N-Non è niente, s-ser. S-Scusami, non volevo…»
Jaime scosse la testa, afferrandole il volto per costringerla a guardarlo negli occhi.
«Non devi scusarti di niente» disse, asciugandole le lacrime con il pollice. «Quello che abbiamo affrontato stanotte è stato terrificante. È normale esserne ancora spaventati.»
Brienne scosse la testa, mentre un altro singhiozzo lasciava il suo corpo.
«Non… Non è quello.»
«Allora cosa?» incalzò, bisognoso di capire che cosa l’avesse sconvolta in quel modo.
Lei sospirò, passandosi le mani sugli occhi per asciugarli.
«Siete vivi» mormorò.
Jaime aggrottò le sopracciglia.
«Che vorresti dire?»
«Voglio dire… Gli Stark, Podrick, tu… Io non… Io avevo paura di perdere qualcuno di voi. Di perdere…» La sua voce si incrinò e riprese a piangere. «Sono… Sono solo felice… Che stiate tutti bene…»
Un sorriso comparve sulle labbra di Jaime. Si sedette sul letto e la strinse tra le braccia, accarezzandole la schiena in attesa che il pianto scemasse. Doveva sapere che la forte e coraggiosa Brienne non sarebbe potuta crollare in quel modo solo per se stessa.
«Anch’io ho avuto paura di perderti» le sussurrò tra i capelli. Brienne tirò su col naso e sollevò la testa verso di lui. Le lacrime facevano apparire i suoi occhi ancora più grandi e brillanti. Il suo respiro tornò regolare e la sua espressione si fece più rilassata.
Jaime le rivolse un sorriso rassicurante.
«Ce la siamo cavati. Temo che questo mi costringerà a dare ragione a Tyrion.»
Brienne sorrise.
«Non sei costretto.»
«Hai ragione. Ma non ti sei curata!» esclamò, notando solo in quel momento la ferita ancora aperta.
«L’ho lavata con acqua pulita» rispose lei.
«Va fasciata, o vuoi che si infetti, per caso? Resta qui» le disse, dirigendosi verso la porta. «Vado a prendere delle bende.»
«Ser Jaime, non serve, tranquillo.»
«Invece serve.» Si voltò un momento, prima di chiudersi la porta alle spalle. Brienne aveva incrociato le braccia al petto con un’espressione infastidita in volto, che fece solo sorridere Jaime. «Intanto tu comincia a ricordare che il mio nome è Jaime. Solo Jaime.»

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Capitolo 31
*** Domani ***


Prompt: Fuoco
Numero di parole: 605

 
DOMANI




«Ti sei mai pentito delle tue azioni, Sterminatore di Re?»
Non sapeva perché, trovandolo solo nella Sala Grande, si era seduta al suo fianco anziché andarsene. Né perché lui fosse rimasto senza battere ciglio.
«Dovresti essere più precisa, altezza. Ho compiuto molte gesta delle quali mi potrei essere pentito.»
Daenerys strinse i pungi. Arrogante. Fissò lo sguardo nel fuoco, suo eterno e migliore alleato. Fiamme arancioni e rosse danzavano di fronte ai suoi occhi.
«Hai detto che rifaresti tutto ciò che hai fatto per la tua famiglia. Tuttavia dubito che uccidere il tuo re rientrasse in questa categoria.»
«In realtà, sì. Mi aveva chiesto di portargli la testa di mio padre.»
Daenerys si voltò verso di lui. L’uomo ricambiò lo sguardo, sfidandola a smentirlo. Avrebbe voluto farlo: nessuno le aveva mai parlato di quel particolare, pertanto non poteva sapere se non lo avesse semplicemente inventato.
Non mi hanno parlato di molte cose.
«Tuo padre, ovvero colui che ha saccheggiato la città e ucciso i miei nipoti?» disse. Non avrebbe ceduto.
Jaime sorrise, annuendo.
«Sì, proprio lui. Detta così sembra terribile, ma non credo di dovermi scusare per aver cercato di difendere un padre indifendibile. Non sono l’unico a farlo in questa stanza.»
«Non difendo le azioni di mio padre. Condanno solo le tue.»
«Saresti sorpresa di scoprire quanto l’una escluda l’altra.»
«Che vorresti dire?»
Lui si strinse nelle spalle.
«Solo quello che ho detto. Mi dispiace solo di non aver agito prima.»
«Sei certo di voler sfidare la mia ira, Lannister?» esclamò. «I miei figli sono molto affamati e non disdegnerebbero carne fresca per cena.»
«Non avevo capito che fossi venuta qui per sfamare i tuoi draghetti. Hai intenzione di bruciarci tutti?»
Qualcosa in quell’espressione la fece tremare, ma all’esterno rimase impassibile.
«No. Gli unici che intendo bruciare sono i morti e i nemici che non si inchineranno a me. Il mio popolo non ha niente da temere dai miei draghi» Sorrise. «Tuttavia non sono ancora certa di quale categoria tu faccia parte. Non ho dimenticato il tuo vano tentativo di uccidermi.»
«Né io il tuo di uccidere me» disse Jaime. «Ma quella era una battaglia. Era lecito.»
Daenerys annuì.
«Sì, lo era.»
«Vuoi che ti giuri fedeltà?» le chiese.
Daenerys inarcò un sopracciglio.
«Lo faresti?»
«Tu ti fideresti?»
«No» rispose semplicemente.
«Tanto meglio. In ogni caso, non è una conversazione che dobbiamo tenere adesso.»
«Già. Domani potremo essere tutti sudditi del Re della Notte e questi pensieri non avranno più senso.»
Jaime annuì e spostò lo sguardo di fronte a sé. Daenerys pensò che non stesse veramente osservando il fuoco.
«Non ho intenzione di compiere una strage.» Non aveva motivo di giustificarsi, specialmente con lui, ma aveva visto gli sguardi intorno a sé. Figlia del re folle. «Non sarei venuta qui altrimenti.»
«No, suppongo di no» concordò lui. Si alzò in piedi, aggiustandosi la cintura della spada. «Il passato ti perseguiterà sempre, soprattutto qui al Nord. Dovrai solo abituarti.»
«Mi stai dando un consiglio per il futuro?»
«Vedila come ti pare. Domani potremo essere morti.»
Daenerys annuì. Si alzò a sua volta.
«Tuo fratello dice che potremmo cavarcela.»
Jaime rise.
«Tyrion ha la bocca larga.»
«È vero» disse, sorridendo a sua volta. «Essere riposati però potrebbe aumentare le nostre probabilità di vivere. E di parlare ancora di alleanze e futuro.»
Jaime le rivolse un piccolo inchino, come quello che aveva fatto la mattina quando lei lo aveva graziato, e allungò il braccio sano verso l’uscita.
«Dopo di te, maestà
Daenerys alzò gli occhi al cielo, mentre si allontanava.
«Fino a domani, puoi fare a meno di deridermi con questo titolo. Buonanotte, cavaliere.»
«Buonanotte, Daenerys.»

 
 


Note:
E… fine! Non credevo che sarei riuscita a concludere questa raccolta, soprattutto mantenendo i tempi giusti, ma ce l’ho fatta. È stata un’esperienza molto divertente, anche se a questo punto ho fatto il pieno dei Braime per un po’ XD.  Spero che le storie vi siano piaciute e vi abbiano intrattenuto ^^ Grazie a tutti quelli che si sono fermati a leggere e, soprattutto, a chi ha lasciato una recensione.
Buon Halloween e tanti cari saluti a tutti ❤

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