Behind The Eyes

di Pandora_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Riflesso ***
Capitolo 2: *** Domestic ***
Capitolo 3: *** Hanahaki ***



Capitolo 1
*** Riflesso ***


Questa storia partecipa al #writober2020 indetto dal sito Fanwriter.it

 
Behind The Eyes
Prompt 1 - Riflesso

 
Le serate e i locali che richiedevano la loro presenza dopo il loro ennesimo successo erano aumentati improvvisamente e facevano fatica la sera a rientrare in orari decenti. In quelle settimane si era arrangiato a dormire alcune volte da Mafuyu, ma la presenza costante di Uenoyama lo aveva fatto sentire di troppo e non voleva nemmeno approfittare troppo della loro gentilezza. Da Uenoyama non sarebbe mai potuto rimanere vista la presenza di sua sorella. Era a conoscenza della sua cotta nei suoi confronti e più volte aveva cercato di non darle peso e cercava spesso parole dolci per rifiutarla. Era una ragazza dolce e solare e a suo modo simpatica. Aveva orde di ragazzi che all’università avrebbero pagato oro pur di uscire con lei ma si era fissata con Akihiko e, complice anche il gruppo, si era avvicinata sempre più.  Aveva iniziato ad allontanarla per questo, senza successo. Di fronte all’ennesima dichiarazione si ritrovò a dirle che aveva altre preferenze, che non era assolutamente per lei e che avrebbe sicuramente trovato qualcuno che la apprezzasse più di lui. Non si è mai preoccupato di ciò che gli altri pensassero di lui, ha vissuto come meglio credeva e dichiararsi gay era la sua ultima preoccupazione. Aveva sempre evitato di farlo con Yayoi per non ferirla più di quanto meritasse.
Quella sera aveva bisogno di tornare a casa, doveva prendere qualche cambio e sapeva, e sperava, che non avrebbe trovato nessuno. Ugetsu avrebbe dovuto essere ancora all’estero per la tournée e non sarebbe dovuto rientrato prima di dieci giorni, in quei giorni aveva anche pensato di restare a dormire lì ma aveva il timore di un rientro improvviso da parte del suo ex.
Arrivò come sempre in sella alla sua moto e la parcheggiò fuori, veloce entrò in casa e già dalla parte alta delle scale intravide una leggera luce arrivare da sotto. Non era possibile, non aveva voglia di incontrarlo e tanto meno di parlarci. Erano mesi che si ignoravano ed era talmente stanco che instaurare una qualsiasi conversazione o, ancora peggio, una discussione era fuori luogo.
«Oh ma guarda… quel fallito del tuo ex ragazzo…» Natsu aveva sempre una parola di riguardo per Akihiko ogni volta che lo vedeva. E pensare che era grazie a lui se erano finiti insieme. Ovviamente mal sopportava quel suo restare in quella casa che ormai non gli apparteneva più e amava sottolinearlo ogni qual volta ce l’aveva davanti.
«Vivi ancora qui nonostante tutto? Non è ora per te trovarti un appartamento ed andartene?» sogghignò e lo fissò negli occhi, in attesa di una sua reazione.
«Buonasera Ugetsu. Scusami, non pensavo di trovarti sono passato per prendere alcune cose. Me ne vado subito.» Akihiko ignorò quello che era il nuovo compagno di Ugetsu e iniziò a riempire una borsa con alcune delle sue cose personali. Si domandava cosa ci trovasse in un tipo così volgare e allo stesso tempo insipido.
«Natsu, piantala. Fino a prova contraria pago io per questa casa e se Aki è qui dentro è perché glielo concedo io. Stanne fuori.». Ugetsu era stato lapidale. Aveva azzittito Natsu con poche parole e avrebbe continuato a farlo ogni qual volta si fosse intromesso nella loro vita.
Lo chiamò per nome. Anzi, lo chiamo col suo nomignolo. In effetti negli anni non smise mai di usarlo. Per lui era Aki.
«Hai preso tutto? Guarda, puoi stare qui quanto e quando vuoi. Capito?»
«Si… beh tranquillo. Mi sto facendo ospitare da alcuni amici. Sai con le serate e la sponsorizzazione stiamo in giro sempre fino a tardi. Grazie comunque. Appena possibile finirò di prendere le mie cose e libererò l’appartamento.» Akihiko continuava a parlare senza guardarlo negli occhi. C’era qualcosa in lui che, come cercava di allontanarsi, lo attirava.  
Passione. Riconoscenza. Ammirazione.
Per Akihiko, Ugetsu era stato tutto questo. Lo aveva travolto come un treno in corsa, senza lasciargli possibilità di scelta. Amore o odio. Amore e odio.
«Stai sempre a stare da quel biondino col codino? Come si chiama… aspetta…» Fece per pronunciare il suo nome ma Kaji lo anticipò.
«Haruki. Si sono da lui al momento.» Akihiko abbassò lo sguardo, come se fosse colpevole di qualcosa. In realtà aveva paura della sua reazione. Non avevano mai definito il loro rapporto. «Ho finito. Vado. Buona serata.»
Uscì dall’appartamento respirando a pieni polmoni, come se l’aria in quella mezz’ora gli fosse mancata, come se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento. Ogni volta che si trovava davanti il suo ex andava nel panico, si sentiva sopraffare dalle emozioni e smetteva di ragionare. Iniziò a tossire e si accasciò vicino alla sua moto in attesa che il suo respiro tornasse normale, che l’aria riempì nuovamente i suoi polmoni.
                                                                                                ***       
Quella sera le prove sarebbero saltate, il tempo fuori era scuro e si prospettava l’arrivo di un acquazzone, Haruki rientrò prima dal lavoro e, dopo essersi rilassato con un bagno caldo, iniziò a preparare la cena per lui e per Akihiko.
Mise su della musica rock per rilassarsi e la mise a tutto volume, incurante dei vicini e del chiasso. Era sereno come non lo era da diverso tempo e quella situazione che si era creata iniziava a piacergli, si stava abituando ad avere Akihiko sempre intorno. A condividere con lui lo spazio sul divano per vedere un film e litigare su quale film vedere e su chi dovesse preparare le pop-corn da gustare nella pace e nel relax.
Udì suonare il campanello, Akihiko ormai aveva la sua copia delle chiavi e non aspettavano ospiti quella sera.
«Ciao…» Haruki restò fisso davanti alla porta incapace di parlare «Akihiko non è in casa se lo stavi cercando. Gli dirò che sei passato a cercarlo.» Disse mentre richiudeva la porta dietro di sé.
Ma la mano di Ugetsu bloccò quel movimento impedendo alla porta di chiudersi alle sue spalle. Entrò in casa incurante di quanto Haruki gli avesse appena detto e lo tirò per un braccio per farlo girare verso di sé.
«Devi lasciarlo stare. Devi lasciarlo stare.» come un sibilo Ugetsu pronunciò queste poche parole. Avvicinandosi ad Haruki continuò a ripetere la stessa frase, alzando ad ogni passo il tono. Arrivò ad urlargli addosso di lasciare stare il suo Aki. Perché se per Akihiko, Ugetsu era passione, riconoscenza e ammirazione, per Ugetsu, Akihiko era dipendenza, ossessione e invidia.
«Voglio che lo lasci stare! Voglio che lui torni da me! Cosa te ne fai tu di un fallito come lui? Cosa se ne fa lui di te?» mentre ripeteva quelle parole come un mantra si scagliò contro Haruki, che riuscì a schivarlo alla fine. Scivolò e andò a sbattere contro un mobile posto all’ingresso ferendosi la fronte. Toccò con la mano sul punto dolorante e si accorse di avere qualche goccia di sangue.
Ancora dolorante rispose ad Ugetsu utilizzando dei toni pacati. Non voleva discutere con lui, non voleva per tanti motivi. Perché non stava trattenendo Akihiko contro la sua volontà, perché non si erano mai spinti oltre la reciproca amicizia, perché lo rispettava.
«Non so cosa vuoi Murata, ma vai via. Non sei il benvenuto qui. Non ti ho dato il permesso di entrare in casa mia.» E barcollando leggermente lo invitò ad uscire.
Ma il violinista non si mosse, restò li ad osservarlo con lo sguardo carico di odio e disprezzo verso colui che cercava di portargli via Aki. Si avvicinò di nuovo verso Haruki e lo spinse indietro sollecitando una risposta da parte sua. Voleva sentirgli dire che avrebbe lasciato perdere Kaji, ora e sempre.
«Ti ho detto che devi lasciarlo stare. È chiaro? Non sei fatto per lui, ma non ti guardi? Con me potrebbe avere tutto, potrebbe continuare a suonare il violino e girare il mondo. Tu? Tu cosa potresti mai offrirgli?» Lo disprezzava, lo odiava. Per cosa? Per aver dato ad Akihiko serenità, amore e gioia.
Non aveva bisogno di sentirlo dalle sue labbra, lo sapeva benissimo che stava bene, che era sereno come non lo era da tempo. E si malediva per non essere stato in grado di farlo star bene lui.
«Stai sbagliando Ugetsu. Io non devo lasciar perdere nessuno. Non abbiamo niente io e lui se non una profonda amicizia e un profondo rispetto l’uno per l’altro.»
Nel dire quelle parole Haruki abbassò leggermente lo sguardo. Faceva male ammetterlo. Faceva male nutrire amore per qualcuno ed aver in cambio solo una solida amicizia. Ma gli andava bene così, purché Akihiko gli girasse intorno.
Ugetsu si avvicinò ancora un po’ e strattonandolo ed osservandolo da vicino gli chiese se realmente era solo amicizia, se non fosse realmente innamorato di lui, da sempre.
La pioggia fuori continuò a cadere incessantemente e in quel momento Akihiko entrò in casa. Non sapeva cosa fosse successo, non sapeva perché Ugetsu fosse lì. Aveva udito l’ultima frase pronunciata dal suo ex ragazzo e rimase fermo ad osservare prima Ugetsu, con le spalle alla porta, e poi Haruki, con il viso rivolto verso di lui.
«Cosa diavolo sta succedendo qui? Ugetsu, cosa ci fai qui?»
«Non lo so, dillo a quel pazzo del tuo ex ragazzo. È piombato qui dentro come una furia. Vaneggiando. Ecco cosa è successo.» e rivolto verso Ugetsu continuò «Te l’ho già detto. Vattene da casa mia. Non sei il benvenuto.»
Fece per andarsene, ma Akihiko lo prese per una mano e lo fermò. Voleva sentire la risposta a quella domanda. Voleva sapere se veramente si era innamorato di lui.
«Cosa vuoi Akihiko? Lasciami la mano, sono stanco e me ne voglio andare di là. Veditela tu con lui. È qui per te.» Lo sguardo di Haruki era spento, stanco. Era arrabbiato con sé stesso, con Ugetsu, con Akihiko, con la situazione che si era venuta a creare.  
«Voglio sentire la tua risposta alla sua domanda.» Fu quasi una preghiera quella del batterista. Un sibilo, udibile solo da Haruki vista la vicinanza tra i due. Haruki mantenne lo sguardo basso, non voleva dirlo ora. Non voleva dirlo così. Non voleva rovinare un qualcosa che neanche esisteva. Si era rassegnato a quell’amore non corrisposto.
Akihiko strinse la sua mano un po’ di più. Come a volerlo sollecitare, a volergli dire che era li e che poteva dirgli ciò che voleva, come voleva.
Ugetsu rimase fermo ad osservare la scena, ad osservare le mani del suo Aki toccare quelle di Haruki. Ad osservare gli occhi di Aki cercare disperatamente una risposta in quelli di Haruki. Ad osservare andar via il suo Aki.  
Vide il riflesso dei due dallo specchio posto sopra il mobile dell’ingresso. I loro sguardi che si incrociavano, le loro mani unite ed i loro corpi vicini. Così vicini da poter sentire l’uno il respiro dell’altro. Così vicini da sembrare un’unica persona. Così vicini come loro due non lo erano mai stati. Si erano amati, vero. Ma di un amore tossico, non libero. Di un amore che era quasi una dipendenza. Di un amore che era sinonimo di possessività. Di un amore che era sottomissione.
Indietreggiò, avvicinandosi alla porta. Urtò la borsa lasciata lì da Akihiko e aprì la porta. Scese le scale correndo, e continuò a correre sotto quella pioggia battente che non voleva cessare di cadere. Voleva allontanarsi da lì, da quella casa, dal suo Aki.
Nell’udire la porta chiudersi alle sue spalle Akihiko sussultò e lasciò andare di colpo la mano di Haruki. I suoi occhi passarono da Haruki al posto lasciato vuoto da Ugetsu.
«Vai. Seguilo. Vattene anche tu da qui!!!» Lo urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Voleva restare solo.
«Tornerò. Aspettami, per favore. Scusa» Pronunciando l’ultima parola Akihiko uscì da quella casa e iniziò a correre alla ricerca di Ugetsu. La pioggia continuava a scendere e quando finalmente lo trovò, era fermo davanti alla vetrina di un negozio di strumenti musicali.
La musica. Il loro unico filo conduttore. Nella musica si erano incontrati, si erano capiti e si erano amati.
Ora la musica suona una melodia diversa però, non più quel noi ma un io e te separati. Due persone distinte e divise. Niente legami, niente pressioni, niente distruzione reciproca.
«Cosa diavolo sei venuto a fare qui? Vattene, vattene da lui. L’ho visto sai… L’ho visto come lo guardavi. Come aspettavi la sua risposta. Fremevi. Eri ansioso. Ho riconosciuto il tuo sguardo. Conosco il tuo sguardo. Vattene!!»
Ugetsu gli inveì contro, con tutto l’odio e il rancore che aveva covato in quel periodo. Vedeva il filo che li teneva uniti iniziare ad allentarsi. Akihiko lo fissò senza dire nulla. Senza muovere un muscolo. Provò pena per quel ragazzo che un tempo sapeva sorridere.
«Sono qui per riportarti a casa. Andiamo. Ti stai bagnando tutto. Ti ammalerai.» Gli tese la mano mentre lo invitò ad andare con lui. Ma con uno scatto Ugetsu scostò la sua mano graffiandola. Era sempre troppo protettivo con lui. Lo odiava questo suo modo di fare. Lo odiava con tutto sé stesso.
«Ecco cosa sono io. Questo. Un tipo violento, incapace di parlare e incapace di amare. Sei rimasto con me tutto questo tempo per cosa? Per ammirazione? Compassione? … Pena? Si, sei rimasto con me per tutto questo. Sono niente. Sono nulla. Sono nulla in confronto a lui. Cosa potrei mai darti io? Niente. Niente. Niente.» Crollò sulle sue stesse gambe mentre piangendo rivolse queste parole ad Akihiko. Crollò per stanchezza, crollò per disperazione, crollò perché sapeva che sarebbe finita. Il suo amore sarebbe finito lì.
«Ugetsu… Alzati per favore. Alzati e guardati.» Akihiko lo sollevò da terra e lo aiutò a restare in piedi vicino a sé.
«Guardati… Guarda il tuo riflesso in quella vetrina. Non sei niente. Sei un violinista di successo. Sei un ragazzo scontroso si, ma sai anche affezionarti incondizionatamente. Sono rimasto con te perché volevo. Mi sono sentito amato davvero da te. Ma adesso…Adesso non è più possibile stare insieme. Lo capisci vero? Rischieremmo solo di farci del male, ancora e ancora. E poi adesso hai Natsu con te. Dagli una possibilità.»
Gli accarezzò una guancia e gli asciugò le lacrime.  
«Liberati da questa ossessione… Liberaci. Per favore. Rendici liberi di andare avanti. Rendimi libero di andare oltre.» Fu quasi una supplica la sua, ed Ugetsu la accolse. Lo capì quella sera, e ancora prima quel giorno a casa sua, che Akihiko era pronto a lasciarlo andare. Si girò ad osservarlo, a perdersi in quegli occhi verdi che tante volte lo hanno guardato con ammirazione ed amore. Si alzò e gli lasciò un leggero bacio sulle labbra.
Lasciò andare anche la sua mano e iniziò a camminare verso casa. Non si voltò per salutarlo, non volle far vedere ad Akihiko la sofferenza per quel gesto. Aveva Natsu, poteva e doveva andare avanti. Per lui. Per sé stesso.

 
                                                                                                                                “My love is vengeance
                                                                                         That's never free
                                                                                         No one knows what it's like
                                                                                         To feel these feelings”

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NdA: Ed ecco che si apre il mio primo #writober2020. Non ho mai scritto in questo fandom ed ho voluto farlo aprendo le danze con due personaggi che adoro! Akihiko e Ugetsu. L’uno il male dell’altro. Sarà una mini-long di tre capitoli. Doveva nascere come OS, ma niente. Mi sono fatta prendere la mano *_*

Ringrazio in anticipo chi passerà di qui e chi lascerà un suo pensiero. Grazie!

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Capitolo 2
*** Domestic ***


Questa storia partecipa al #writober2020 indetto dal sito Fanwriter.it
 
 
Behind The Eyes
Prompt 2 – Domestic

 
Tornò tardi quella sera Ugetsu a casa. Era zuppo, l’acqua che cadde quella sera lo colpì in pieno nascondendo, a chi si trovava a passargli vicino, le lacrime. Sì, perché difficilmente lui piangeva. Ma le emozioni contrastanti di quella sera trovarono libero sfogo in quel gesto che lo rendeva vulnerabile agli occhi degli altri e al quale si imponeva di non cedere mai.
Entrò in casa senza neanche spogliarsi, accese tutte le luci. Aveva bisogno di luce in quel momento, per non cadere di nuovo nell’oscurità che lo stava inghiottendo lentamente. Ebbe la sensazione di non appartenere a quel mondo, che quel mondo così non avesse più senso per lui.
Oltre al violino cosa gli era rimasto? Il vuoto. L’essenza della sua vita gravava intorno ad Akihiko, ed ora che lui era libero a lui cosa restava?

Solitudine. Rimorso. Rancore.

«Ugetsu sei… sei bagnato. Vieni qui. Devi asciugarti subito, altrimenti ti ammalerai.»
Natsu lo prese per mano e lo condusse verso il bagno. Quasi di peso. Il corpo di Ugetsu si mosse involontariamente seguendolo e poggiandosi a lui. Con dolcezza Natsu, dopo avergli asciugato leggermente i capelli, iniziò a spogliarlo. Tolse la giacca, poi la maglia. Scese a togliere le scarpe e sfilò poi i pantaloni ed i boxer. Lo portò verso la vasca da bagno dove l’acqua già calda lo accolse. Restò con lui, in silenzio. Gli occhi di Ugetsu erano gonfi e rossi, notò subito che il suo compagno aveva pianto. Ma restò in silenzio. Lo accarezzò, lo coccolò nell’acqua e lo lavò. Lo aiutò ad uscire e, come fatto in precedenza, lo asciugò e lo rivestì.
Sempre tenendolo per mano lo accompagnò in quello che ormai era il loro letto, lo fece sdraiare e gli accarezzò i capelli aspettando che si addormentasse.

Lo conobbe alcuni anni prima, in una delle loro tournée. Natsu si occupava dell’organizzazione di tutto ciò che riguardava le competizioni e gli spettacoli di violino. Ugetsu era già un violinista affermato e nonostante questo la sua precisione sul palco era invidiabile. Provava fino a notte fonda, finché anche la singola nota non uscisse precisa. Era testardo e caparbio, ma sapeva anche sorridere con loro nei momenti di relax.
Quel sorriso lo colpì in pieno petto. Brillava, brillava di una luce che solo i grandi artisti possedevano. E quella luce lo inghiottì. Si avvicinò a lui e poco dopo iniziarono a frequentarsi, complice anche le tante serate passate insieme sul palcoscenico.
Si ritrovarono spesso a parlare di Akihiko, e per Natsu l’ossessione di Ugetsu non era un segreto. Aveva imparato a conviverci, speranzoso che prima o poi i suoi occhi avrebbero visto solo lui.
Gli occhi cominciarono a farsi pesanti e li socchiuse anche lui, cadendo in un sonno profondo accanto al suo compagno.

Alle prime luci dell’alba Ugetsu si svegliò, sentì qualcosa di pesante su di lui e di accorse che Natsu era lì, accanto a lui e dormiva rilassato. Lo scostò e si alzò per preparare del caffè.
L’odore del caffè iniziò a propagarsi all’interno dell’open space dove abitavano. Natsu si alzò dal letto e si avvicinò a Ugetsu per abbracciarlo.
Non appena le sue mani toccarono il torace del compagno, le sentì scansare velocemente e sentì il suo corpo andar via da quella presa.
Lo sguardo che lanciò Ugetsu a Natsu era carico di disprezzo.
«Non toccarmi. Non toccarmi con quelle mani.»
Disse, rivolgendosi a Natsu.
«Ugetsu… sono io. Sono Natsu, e queste mani sono due anni che ti toccano. Cosa c’è che non va?»
Natsu cercò di avvicinarsi a Ugetsu, ma ad ogni suo passo in avanti ne corrispondeva uno del suo ragazzo di allontanamento.
«Non sei lui. Non sei mai stato lui e… mai lo sarai. Ti prego, non toccarmi.»
Le lacrime iniziarono a rigare il suo volto, quasi involontariamente cadevano. Si passò più volte il braccio sul volto per asciugarle, ma più le asciugava più scendevano.
Glielo disse anche Aki la sera prima di dare una possibilità a Natsu, ma Natsu non era Aki e lui non era più l’Ugetsu che conobbe tanti anni fa. Era l’ombra di sé stesso, consapevole di aver detto addio ad una parte della sua vita.
«Lo so.» Esordì Natsu «Lo so che non sono Akihiko. Sono Natsu, e sto con te da due anni. Credi che io abbia mai visto i tuoi occhi quando parlavi di lui? Quando insieme andavamo a vedere i suoi live? Quando lui passava qui il suo tempo a suonare? Credi che io sia rimasto indifferente a tutto questo perché di te non mi importa nulla? No! Sono rimasto qui, a guardarti… a guardarvi. Ad aspettare che ti accorgessi di chi avessi accanto.»
Continuò a parlare avvicinandosi di più a lui fino ad arrivare ad abbracciare quel corpo esile e che gli parve tanto indifeso. Indifeso davanti alle scelte e agli avvenimenti che erano lì a susseguirsi come un macigno per lui. Per loro.
«Mi sono innamorato di te per questa tua testardaggine. Hai dei lati che mostri solo in intimità ed è questo che amo di te. Ti prego… Ti prego. Dammi la possibilità di prendermi cura di te. Dammi la possibilità di rimanerti accanto. Rialzati con me, fatti aiutare da me. Io ci sono.» Glielo disse stringendolo, ad ogni parola sempre di più. Si lasciò andare ad un pianto liberatorio, un pianto quasi d’addio. Pianse tanto, tra le sue braccia. E le braccia di Natsu lo sostennero, senza lasciarlo.
***  
     
La notte la passarono dormendo abbracciati, non ebbe bisogno di sapere la sua riposta. Era tutta lì, in quel piccolo gesto. Nella condivisione di quel letto, nella loro quotidianità.
«Buongiorno… dormito bene?»
Natsu gli accarezzò il volto e ne spostò una ciocca scura dalla fronte. Ugetsu seguì quel movimento con il capo, come a farsi coccolare da quel caldo tocco.
«Mmm… abbastanza. Sto bene.»
Si liberò da quel tocco e alzò il suo volto per avvicinarlo a quello del ragazzo e stampargli un piccolo bacio sulle labbra. Ripensò all’ultimo bacio con Akihiko. Il tocco, il calore, il sapore… Tutto era diverso. Tutto sarebbe stato diverso, da adesso.
Natsu fu sorpreso da quel gesto. Sapeva che il violinista era capace di gesti dolci, ma in quegli anni gliene concesse pochissimi. Poteva contarli sulle dita di una mano.
«Grazie.» Disse Natsu alzandosi dal letto per preparare del caffè. «Grazie per avermi dato la possibilità di starti accanto.»
Non ricevette risposta. Lo sapeva. Ugetsu non avrebbe mai risposto ad un’affermazione di questo tipo. Lo vide alzarsi dal letto ed avvicinarsi all’angolo cottura di quel piccolo open space.
Lo vide andare vicino ad una mensola e prendere una tazza, prenderla e gettarla nella pattumiera. Fu il suo modo di rispondergli.
Da lì in poi ci sarebbero stati loro due e basta. Avrebbe concesso a Natsu di stargli vicino non perché simile ad Aki, ma perché era Natsu.

"No one knows what it's like
To feel these feelings
Like I do
   And I blame you"
 
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NdA: Ecco qui il secondo capitolo di questa mini-long incentrato principalmente su Ugetsu. Il prompt usato in questo capitolo è Domestic, di solito si immagina una realtà molto kawaii. Ed in parte lo è. Però è nell’ambiente domestico che Ugetsu Murata ritrova in parte sé stesso. Ritrova il suo nuovo compagno, Natsu. Viene accolto, coccolato e amato.
Come sempre, ringrazio chi passerà e chi lascerà qui un suo pensiero! 😊

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Capitolo 3
*** Hanahaki ***


Questa storia partecipa al #writober2020 indetto dal sito Fanwriter.it

 
Behind The Eyes
Prompt 3 – Hanahaki
 
Quel fine settimana Natsu ebbe un’idea fantastica su dove poter passare delle ore da solo con Ugetsu. Lo prese il sabato mattina e lo caricò letteralmente in macchina. Non ne poteva più del caos cittadino e delle telefonate dei media e dei manager.
Aveva bisogno di stare con lui, di ritrovare un po’ di intimità che in quei mesi si era persa. Erano passati diversi mesi ormai dalla rottura definitiva del cordone ombelicale che legava Ugetsu ad Akihiko e in quei mesi i due lavorarono molto sul loro rapporto. Sulla loro quotidianità, sul loro benessere psichico e fisico.
Natsu si comportò amorevolmente nei confronti del violinista, ed Ugetsu riprese piano piano a sorridergli. Un sorriso sincero, ricco di sentimento. Non lo stava prendendo in giro, non era rimasto con lui solo perché lo aveva pregato. Restò con lui perché, infondo, quei gesti piacevano anche a lui. Cominciò a sentirsi una persona migliore affianco a Natsu. Riusciva a renderlo felice anche col semplice gesto di preparargli il caffè.
La macchina sorpassò il cartello dell’autostrada e la destinazione era ancora un mistero per Ugetsu.
I suoi gusti in fatto di viaggi erano particolari: odiava il caos, non amava il mare e preferiva i luoghi isolati e lontani da tutti. Non seppe nulla fino a che non furono arrivati. Natsu lo invitò a scendere dalla macchina ed ammirare, da quella altura, il panorama che avevano davanti. Era una piccola locanda di montagna, ma dotata di tutti i comfort, inclusa una piccola fonte termale completamente privata. Avrebbero potuto godere per qualche giorno di quel posto, rilassandosi completamente e senza pensare a nulla.

Arrivarono e scaricarono le borse dalla macchina, Natsu disse a Ugetsu di aspettarlo in casa. Si allontanò per avvertire i padroni nel loro arrivo e per ordinare una piccola cena in camera. Ugetsu si ritrovò solo e iniziò a disfare la sua borsa. Portò con sé poche cose, visto il tempo ridotto che avevano a disposizione. Natsu ritardò il suo ritorno nella loro stanza e quando arrivò trovo Ugetsu già all’interno delle terme che avevano a disposizione. Un bagno caldo era quello che ci volle per entrambi per riprendere dalle ore di viaggio. Lo raggiunse e si accomodò vicino a lui.
Osservarono le stelle e parlarono di quanto accaduto in quegli ultimi mesi. Iniziarono a farlo pochi giorni dopo quel trambusto. Parlare, niente di più. Parlare anche della più piccola sensazione che scaturiva dalla loro mente. Entrambi, senza riserve. Spesso finirono per litigare, urlarsi addosso che l’altro non capiva. E spesso finirono per far pace, per darsi ragione entrambi o per non dar ragione a nessuno.
«Come ti senti dopo questo piccolo viaggio? Ti piace il posto?» Domandò Natsu, accarezzando il corpo del violinista.
«Sto bene Natsu e… e questo posto è stupendo. Davvero. Un piccolo angolo di paradiso sperduto nel mondo. Ascolta il silenzio, com’è rilassante.» Trattenne leggermente il fiato nel rispondere al suo ragazzo. Era qualche giorno che iniziava ad accusare dei piccoli fastidi all’altezza del petto, ma non disse nulla. Non volle dire nulla. Tossì leggermente, piccoli colpi di tosse che fecero subito preoccupare Natsu.
«Rientriamo. A breve porteranno la cena, andiamoci a preparare. Siamo stati abbastanza in acqua.» Uscirono dall’acqua insieme e rientrarono per prepararsi per la cena. Indossarono uno yukata per rimanere comodi. Non sarebbero usciti quella sera, e forse neanche quella dopo.
getsu portò con sé il violino, e quella sera stessa, dopo aver cenato, volle regalare al compagno una breve esibizione. I suoi occhi mentre suonava risultavano brillanti, vivi.
Durante la notte la tosse aumentò leggermente, tanto da impedirgli di riposare bene. Si alzò dal futon che condivideva con Natsu ed uscì sulla veranda. La tosse sembrava non dargli pace, bevve un sorso d’acqua ma niente. Si portò la mano alla mano, come a contenere un piccolo conato di vomito. Sentiva qualcosa ostruirgli la gola e tossì di nuovo. Sulla mano si trovò un piccolo, minuscolo petalo di fiore. Doveva averlo ingerito per sbaglio li fuori, pensò.
Dopo che si fu calmato rientrò e si sdraiò accanto al suo uomo, accoccolandosi e godendo del calore emanato dal suo corpo.

Si svegliò prima di Ugetsu e restò fermo ad osservarne i lineamenti gentili e femminili che caratterizzavano il suo volto. Lo vide rilassarsi al tocco delle sue mani, lo vide sorridere allo sfioramento delle sue labbra. Lo vide aprire gli occhi quando iniziò a lasciare una piccola scia di baci sul suo volto. Amava quel volto, amava quell’ espressione e amava osservarlo appena sveglio.
La pace durò poco, un nuovo attaccò colpi improvvisamente Ugetsu, il quale si alzò improvvisamente e cominciò a tossire forte, non come la sera prima, ma più gravemente. Scappò via da Natsu e si chiuse in bagno. Non capì subito cosa stesse succedendo, si sentiva la gola chiusa, si sentiva incapace di respirare e l’aria iniziava a mancargli sempre più. Tossì di nuovo, e sempre più forte. Vide fuoriuscire dalla sua bocca alcuni petali simili a quelli della sera prima. Si spaventò. Cosa stava accadendo al suo corpo?
«Ugetsu. Ugetsu, per favore aprimi! Dannazione apri questa porta.» Bussò forte fino a farsi male alla mano, bussò ma nessuno aprì la porta. Bussò di nuovo e urlò il nome del suo compagno con tutto il fiato che aveva in gola. Niente. Il silenzio lo investì improvvisamente. Entrò di forza nel bagno e raccolse Ugetsu da terra.
Lo distese sul futon e corse fuori a chiamare i proprietari, chiese loro di indicargli il più vicino degli ospedali e caricò Ugetsu in macchina per raggiungerlo quanto prima. Arrivarono in ospedale, subito i medici cercarono di chiedergli cosa fosse accaduto, ma lui non ne sapeva niente. Lo trovò già privo di sensi. Ricordò di aver visto intorno a lui alcuni petali di fiore, ma non disse nulla ai medici e non diede peso a questo dettaglio.

I medici stabilizzarono Ugetsu e lo lasciarono riposare nella sua stanza. Al suo risveglio trovò Natsu al suo fianco e gli chiese cosa fosse successo. Natsu gli raccontò tutto e dopo aver finito si alzò per cercare un medico per farlo visitare.
«Signore, mi scusi. Può lasciarci un attimo da soli? Ho bisogno di parlare col paziente in privato.»
l dottore rivolse il suo sguardo a Natsu, che guardò a sua volta Ugetsu. Quest’ultimo fece un leggero cenno col capo che tutto fosse apposto e invitò il compagno ad uscire.
«Signor Murata. Mi sa dire da quanto tempo ha questi specie di attacchi?» ll medico parlò continuando a tenere la testa sui fogli che aveva in mano ed a scriverci sopra qualcosa.
«Non lo so dottore, è iniziato tutto una… forse due settimane fa. Una leggera tosse senza darci troppo peso… poi… poi ieri sera…Dopo aver tossito ho visto sulla mia mano questo. Ma penso provenga da fuori, potrei averne ingoiato uno per errore mentre facevo il bagno»
Mostrò al dottore il piccolo petalo che aveva raccolta dalla veranda dello chalet. Ed il dottore lo osservò in silenzio.
«Signor Murata, le abbiamo fatto una lastra ai polmoni sulla base di quanto raccontatoci dal suo compagno. Questi piccoli petali non provengono dalle piante fuori la locanda.» Si fermò alla ricerca delle parole giuste da usare e poi riprese «Lei ha mai sentito parlare dell’Hanahaki?» Attese qualche secondo per dar tempo al paziente di realizzare cosa fosse e quando negò di aver mai sentito parlare di questo il medico proseguì nel suo discorso.
«L’Hanahaki è una malattia autoimmune presente nel nostro corpo. Si manifesta inizialmente con sintomi come spossatezza, stanchezza ed una leggera tosse. Più questa malattia viene trascurata più i suoi sintomi peggiorano. La tosse aumenta la sua forza, si inizia a percepire un’occlusione delle vie aree e subentra l’assenza di ossigeno. Se non curata subito, o addirittura operata chirurgicamente, questa malattia porta all’atrofizzazione completa dei polmoni con conseguente morte del paziente che ne è affetto. Ed uno dei campanelli di allarme di questa malattia è la crescita, all’interno dei polmoni di piccole piante o fiori, che vengono buttati fuori dal paziente con tosse o vomito.»

Si fermò nuovamente per lasciare tempo a Murata di comprendere bene le sue parole e di capire da solo a quale livello di malattia si ritrovò in così poco tempo.
«Dottore, avrei una domanda.»
«Prego, chieda pure Signor Murata.»
«Cosa porta questa malattia? E cosa intende quando dice che può essere curata subito prima di arrivare a farlo chirurgicamente? E qualora dovesse intervenire chirurgicamente, questo cosa potrebbe comportare?» Lo sguardo di Ugetsu si posò sul medico, quasi come a chiedergli scusa per tutte quelle domande insieme. Il medico si schiarì la voce e iniziò a parlare.
Gli spiegò che quella malattia autoimmune era causata dal profondo amore verso una persona e che questo amore risultava non essere corrisposto. Che il corpo della persona malata sarebbe guarito autonomamente se questo amore fosse sbocciato tra le due persone coinvolte. Che sì, poteva intervenire chirurgicamente ma che se lo avesse fatto avrebbe perso la capacità di amare, di provare emozioni. Ma anche che se questo amore fosse rimasto non corrisposto l’avrebbe portato certamente alla morte.

Restò solo dopo il colloquio col medico ed aspettò che Natsu fosse tornato in stanza. Aveva già firmato le dimissioni e sarebbe tornato alla locanda per godersi quei giorni di relax con lui.
Riflettè molto su quanto dettogli dal medico. Un amore non corrisposto… un amore infelice… un amore a senso unico. Ma lui aveva Natsu. Imparò ad amarlo in quei mesi. Imparò a stare con lui. Imparò ad essere felice con lui. Possibile che tutto questo non bastasse? Possibile che quell’amore non risultasse così tanto forte al suo corpo?
Non volle pensarci ancora. Amava Natsu. Non come e non quanto avesse mai amato Akihiko, ma lo amava sul serio.
Quando tornarono Natsu si prese cura di lui, lo coccolò, lo aiutò a cambiarsi e a stendersi nel futon. Si fece preparare per lui qualcosa di caldo e lo aiutò a mangiarlo. Si distesero vicini e si addormentarono.
La notte non fu una delle migliori per Ugetsu. L’assenza di ossigeno peggiorava, sentiva la sua gola sempre più oppressa e più aumentava l’ampiezza dei suoi respiri più li sentiva morire prima di poter far fuoriuscire aria dalla bocca.
Iniziò a pensare a quanto il medico gli avesse detto e alla sua decisione di non dire nulla a Natsu. Ce la stava mettendo tutta con lui, ma forse non abbastanza per il suo esile corpo. Non abbastanza da convincerlo che il loro poteva essere un nuovo e vero amore, un amore profondo. Poteva mentire a tutti, anche a sé stesso, ma non al suo corpo e lo capì in quei giorni.
«Che ne pensi di soggiornare qui ancora un po’? Io non impegni e potremmo rilassarci ancora qualche giorno. Ti va?»
Ugetsu non voleva far rientro in città. Voleva rendere a Natsu quanto lo stesso gli aveva donato in quegli anni. I suoi sintomi peggioravano e in una telefonata avuta con il medico rifiutò l’approccio chirurgico.
“Meglio avere ancora poco tempo a disposizione, che vivere una vita senza sentimenti. Ne conviene con me, Dottore?” e nell’udire queste sue parole il medico non poté fare altro che appoggiarlo in quella sua scelta. Gli disse di tenersi pronto al peggio e di tenere il suo numero sempre a portata di mano e di darlo a Natsu, così da poterlo contattare qualora ci fosse stato bisogno.
Non lo fece. Non disse mai nulla a Natsu di quello che stava accadendo. Continuò a stargli accanto suonandogli, facendosi accarezzare e coccolare. Donandosi a lui in tutta la sua interezza e donando a Natsu quella dolcezza e quella affettuosità che fino ad allora evitò di ostentare.
«Senti Natsu… Perché non scendi un attimo in città con la macchina e vai a noleggiare quel film che volevamo tanto vedere insieme?» Ugetsu glielo chiese sorridendo. Un sorriso sincero, seppur forzato a causa della malattia. «Dai, voglio vederlo! Su, su prendi la macchina e vai.”
Quasi lo cacciò dalla stanza e ridendo Natsu si voltò verso di lui e gli stampò un bacio sulle labbra. Durò qualche secondo di più del dovuto, ne approfondì gli odori, i sapori e le sensazioni.
«Va bene, va bene! Vado! Però tu aspettami sveglio eh… non ti addormentare.» sorrise uscendo dalla stanza e lo salutò con la mano.
“No, non mi addormenterò. Al tuo ritorno mi troverai qui. Per te, per me, per noi.”
Fece risuonare queste parole nella sua testa. Poi tutto fu molto veloce.
Si accasciò a terra, l’aria che non passava più e la paura che prese il sopravvento. Si lasciò cadere a peso morto, nel vuoto. Si lasciò andare al dolore. Lasciò cadere quelle lacrime che da giorni stava trattenendo. Si liberò dall’angoscia. Da un amore non corrisposto e liberò Natsu da quell’amore che non li avrebbe portati da nessuna parte.
Abbandonò così quella vita che lo aveva distrutto dall’interno.
Al suo ritorno Natsu lo trovò disteso a terra, a nulla valsero i soccorsi e a nulla valse contattare il medico che lo curò qualche tempo prima. Trovò solo due righe, scritte forse il giorno che lo portò all’ospedale.

 
“Ti ho amato e anche tanto, ma non abbastanza. Avrei potuto fare di più, ho provato a fare di più e nonostante tutto non era abbastanza. Non è colpa tua, non è colpa di Aki… La colpa mia che sono rimasto ancorato ad un amore che mi ha logorato dentro. Mi ha reso incapace di amare di nuovo e mi ha portato alla morte. Non sentirti in colpa. Ti ho amato, ti amo e ti amerò sempre. Ugetsu”
 
 
“But my dreams they aren't this empty
As my conscience seems to be
I have hours, only lonely
My love is vengeance
That's never free”
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NdA: eccoci giunti al capitolo finale di questa mia mini-long… Vi prego, non odiatemi! È la prima volta che scrivo sull’hanahaki e nel testo viene spiegato di cosa si tratta. Ho voluto mantenere una linea angst, drammatica. Perciò, il finale è quello che leggete. 
I versi che trovate alla fine di ogni capitolo sono parti della canzone dei Limpt Bizkit “Behind Blue Eyes” dalla quale è tratto il titolo di questa storia.
Spero come sempre sia stata di vostro gradimento e vi ringrazio anticipatamente per essere passati di qua! 😊

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