Haruka ½

di Malinc0nia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Che tipi strani escono di casa al mattino ***
Capitolo 2: *** Riunione in casa Tendō ***



Capitolo 1
*** Che tipi strani escono di casa al mattino ***


Una fredda giornata d'inverno avvolgeva le larghe e vaste strade di Nerima, le quali erano sempre deserte di prima mattina; così silenziose da far udir solamente il lieve venticello danzatore.

Tuttavia, la quiete si smorzò a causa di udibili schiamazzi e forti tonfi provenienti ogni volta dalla stessa abitazione: i Saotome erano conosciute come persone alquanto “vivaci” nel quartiere, per tale motivo le lamentele da parte dei vicini non tardavano mai a mancare all'appello.

«Sapete che vi dico?» aveva iniziato una voce mascolina e rauca, l'unica spallina dello zaino nero messa in spalla «Andate entrambi al diavolo».

Un'affermazione fredda e distaccata, ma il soggetto a cui apparteneva quella voce non poté neppure mettere un piede fuori dalla porta di casa, che subito fu rispedito al suo interno. Fu allora che egli vide i due occhi taglienti altrui: quegli occhi così tanto simili ai propri e che in quel momento lo fissavano con rimprovero.

«Ti è andato di volta il cervello?!» aveva sbraitato chi aveva innanzi, emettendo un mormorìo carico di stizza.

L'altro aveva roteato gli occhi azzurrini e aveva dato nuovamente le spalle a quella che sembrava sua madre: vestita con una canottiera bianca e dei pantaloni verde-scuro; leggere cordicelle stringevano le sue caviglie sottili. Gli occhi erano grandi, un curioso e furbo cerbiatto dallo scarlatto crine raccolto in un semplice codino all'insù.

«Non ho tempo da perdere con i vostri inutili combattimenti a quest'ora del mattino, papà» aveva affermato il giovane, e in men che non si dica una gelida secchiata d'acqua fredda bagnò l'aperta felpa blu chiaro, la bianca maglietta candida e gli stretti jeans color pece. Per non parlare delle vermiglie All Star, ormai tutte fradice, che il giovane portava ai piedi.

«Bada a come parli, Haruka!»

«Papà, dacci un taglio!»

«Ranma, sei un ingrato! Io cerco di impartir un sana lezione a mio nipote, aiutandoti, e questo sarebbe il ringraziamento?!»

La ragazza col codino rosso gli cacciò un forte pugno in testa «Vuoi farla finita, una buona volta?!», il quale ebbe immediatamente risposta dal più vecchio dei Saotome, che non esitò a riderglielo con tutti gli interessi.

Sempre la stessa storia, in quella casa non si poteva stare mai tranquilli un attimo.

Non solo suo nonno mangiava a sbafo e si approfittava della situazione, abitando insieme a loro già da tanti anni ormai, ma si comportava perfino da superiore: e suo padre gli teneva testa in maniera decisamente testarda.

Ciononostante, vi era una ancora di salvezza: nonna Nodoka, che al contrario del compagno si rendeva utile in casa e aiutava sempre sua madre Akane nelle faccende domestiche e, soprattutto, a metter mano ai fornelli. Sarebbe stato un vero e proprio suicidio mangiare la cucina di sua madre senza la supervisione di qualcun altro.

Haruka strinse con veemenza i pugni delle mani, la stazza ch'era divenuta più minuta, l'altezza nettamente più bassa, gli occhi più grandi e smeraldini, i capelli dorati e bagnati a causa dell'acqua fredda precedentemente buttata dal nonno.

«Ma io vi AMMAZZO!»

Fu allora che il giovane si girò verso i due, cominciando a lottare con loro dinnanzi alla soglia di casa.

Dei veloci e pesanti passi scivolarono sul pavimento quasi come due enormi macigni, finché una terza figura femminile non fece la sua apparizione: le mani ai fianchi e lo sguardo assottigliato.

«Ora BASTA» aveva urlato lei, e in un attimo silenzio fu.

Tutti rimasero impietriti, gli occhi fissi sul soggetto appena apparso: sembrava come se una valanga di neve gelida li avesse appena investiti interamente.

La donna accennò un lieve sorriso sulle labbra rosee e successivamente s'avvicinò agli interlocutori. Con sé aveva portato una teiera ricolma d'acqua calda, perciò non aspettò oltre e versò essa addosso al figlio Haruka ed infine all'ormai marito Ranma. Quest'ultimo si passò una mano sui capelli corvini, un cenno di barba sul mento e ai lati delle guance gli davano più anni di quelli che lui ne avesse in realtà. Ma era anche vero che era passato parecchio tempo dalla volta in cui v'era stato quel finto matrimonio, sebbene anni più tardi Ranma ed Akane avevan deciso di convolare a nozze veramente.

Haruka restò altri secondi a fissare il padre e il nonno con uno sguardo che non sembrava promettere nulla di buono, ma subito dopo diede a tutti le spalle e corse velocemente via da quella casa: si premurò solamente di salutare la genitrice.

«Ciao, mà!»

Akane si portò una lunga ciocca di capelli corvini dietro l'orecchio, andando a posizionarsi proprio di fronte alla porta spalancata di casa.

«Vedi di non fare tardi, stasera!»

«Ma sentitela, la brava mammina!» Ranma aveva incrociato le braccia sul largo torace e poi il viso era stato spostato alla propria destra.

Akane si girò fulminea verso il consorte e gli si avvicinò con aria minacciosa.

«Mio caro, non ti sembra di esagerare?»

Il codinato la guardò di sottecchi, per poi incamminarsi verso la cucina come se nulla fosse, il tono altezzoso di chi vuole farla finita il più presto possibile.

«Non ti preoccupare, mia cara» le aveva risposto, mentre l'altra gli camminava dietro «Lo sto semplicemente fortificando».

Akane arricciò il naso, mentre Genma sorpassò entrambi con le mani dietro la schiena, ed evidentemente, con un finto sguardo solenne stampato in volto.

«Vorrai forse dire che lo stiamo fortificando».

Ranma si fermò di colpo, fece per dire qualcosa, ma sua moglie lo precedette:

«Penso che siate troppo crudeli con Haruka: ha pur sempre diciassette anni».

«Devo ricordarti cosa facevo io alla sua età?»

La donna si zittì e subito dopo lanciò un'occhiataccia al marito: avrebbe tanto voluto dargli un bel pugno sul muso, come ai vecchi tempi.

Tuttavia, lo sguardo di Akane, però, finì sul codino di Ranma e rimase a fissarlo per alcuni secondi.

Se lo chiedeva già da un po', ma non poteva far altro che domandarselo: Haruka portava i capelli scarlatti fino alle spalle, questi legati da una liscia coda bassa. Ciò dimostrava quanto lui e il padre fossero così simili, ma allo stesso tempo così diversi.

“Un giorno, chissà...”

* * *

In una casa un poco più lontana da quella dei Saotome, vi era quella degli Hibiki: era modesta, avevano addirittura il giardino e innumerevoli piante e fiori in bella mostra sul verde prato intriso di rugiada.

All'interno dell'abitazione, una piccola figura se ne stava china sui libri, seduta innanzi alla scrivania di camera propria. Questa alzò poi il capo, e in quell'attimo notò che una piccola farfalla s'era posata sul vetro della finestra, sbattendo pian pianino le piccole alucce candide.

Gli occhi color nocciola si illuminarono, una ragazza dall'età di quattordici anni s'alzò dalla sedia e s'avvicinò al piccolo esserino svolazzante, poggiando la mano destra sul vetro e appannandolo un po'.

Quanto avrebbe voluto sentire la brezza invernale carezzargli la pelle per più tempo, anziché solo qualche minuto il fine settimana; sentire i capelli castani e cotonati andarsene per conto proprio a causa di quel venticello tanto giocherellone.

Lei sospirò e si sistemò gli occhiali rossi sul naso, dopodiché uscì dalla camera e si diresse in cucina: Shirokuro se ne stava seduta a fissare il frigo con lo sguardo fisso e perso nel vuoto.

La ragazza sorrise e le si avvicinò, carezzandole il capo dolcemente, ed infine voltò il viso verso il frigo: vi era un post-it attaccato sopra esso. Quindi lei spostò il magnete a forma di granchio che lo sorreggeva e, tenendo il fogliettino giallo tra le dita, cominciò a leggere ciò che v'era scritto sopra:

“Buon giorno, Nagisa cara. Io e papà stiamo portando il piccolo Hiroshi dal pediatra.

Tieni d'occhio Shirokuro e vedi di mangiare un po' di più che sei tanto sciupata!

Torniamo presto, non stare in pensiero,

Ti vogliamo un mondo di bene,

Mamma & Papà”

Nagisa, poiché era il nome della ragazza con gli occhiali, sospirò una seconda volta e riattaccò il post-it da dove l'aveva preso.

Non poteva uscire, poiché suo padre glielo aveva severamente proibito: essendo che quest'ultimo non aveva davvero senso dell'orientamento, poteva esistere il rischio che anche Nagisa lo ereditasse. Dunque, onde evitare, la ragazzina non era mai andata oltre la porta di casa senza l'accompagnamento di qualcuno.

Sapeva che suo padre era iper-protettivo e alquanto geloso nei suoi confronti, non si rendeva conto di esagerare ma nonostante questo Nagisa non s'era mai ribellata e lo aveva sempre assecondato.

Se c'era una cosa che Nagisa aveva sicuramente preso da Ryoga Hibiki, quella era senza alcun dubbio l'eccessiva timidezza: ma per lei questa era stata triplicata per dieci, se non addirittura di più.

Nagisa ritornò a guardare Shirokuro, poi si guardò intorno: v'era un silenzio tombale così profondo da far accapponare quasi la pelle.

«Ti annoi anche tu, non è vero?» domandò la fanciulla alla canide, inginocchiandosi davanti ad essa e avvolgendo le braccia sul morbido collo altrui.

Shirokuro la guardò intensamente e Nagisa fece lo stesso, non appena ebbe puntato lo sguardo su quel faccino tutto pelo.

«Beh, non penso che ritornare a casa sarà così difficile, no?»

Fu in quell'istante che Shirokuro abbaiò per la prima volta, quel giorno.

D'altronde, cosa mai poteva andare storto?

* * *

«Haruka Saotome, ci rincontriamo di nuovo, a quanto pare».

«Youichi, gira a largo. Vado abbastanza di fretta».

Youichi Kunou era un ragazzo slanciato, dalla pelle diafana, dai capelli color cioccolato lunghi sino alla schiena e legati da un'alta coda di cavallo. Non era un attacca brighe, ma con Haruka aveva un conto in sospeso: suo padre glielo ripeteva in maniera estenuante da quando lui era solamente un bambino.

Estrasse subito la spada di legno e andò all'attacco, facendo un alto balzo e cercando di colpire il rosso sulla testa. Tuttavia, Haruka aveva fatto un veloce salto e si ritrovò a sorreggere strettamente la spada con i piedi, mentre le mani si tenevano saldamente sul terreno.

«Ma sei tutto matto?!» sbottò Saotome, mentre, con l'ausilio della spada, Youichi alzava di peso il corpo dell'altro e lo lanciava via con forza.

Haruka atterrò perfettamente in piedi nel lato opposto ove prima v'era il nemico, arcuando le scarlatte sopracciglia.

Youichi, quindi, gli puntò la lignea spada contro e lo squadrò da testa a piedi con lo sguardo scuro.

«Non posso ritenermi soddisfatto se ancora tu t'ostini a rimanere in piedi, Saotome».

Il rosso restò immobile e lo guardò con estrema freddezza:

«È la tua occasione, Youichi: perché non provi?» sulle labbra di Haruka s'andò a creare un lieve ghigno. Youichi fece un passo in avanti, stringendo la spada con un certo vigore «Non chiedevo di meglio».

«Papà ci ucciderà, Shirokuro», mormorò una femminea voce «Forse avremmo fatto meglio a rimanere a casa...»

Fu una frazione di secondo: Youichi scattò, allungò la mano destra e con l'altra fece per colpire Haruka al ventre, il quale però scansò con estrema facilità il colpo. Un sorrisetto compiaciuto dipinse le labbra del figlio di Tatewaki Kunou, gli occhi azzurri del rosso si sgranarono, poiché Youichi si era dato una veloce spinta con l'aiuto della spalla sinistra di Haruka, sfrecciando così verso l'alto.

In aria, Youichi afferrò la spada con entrambe le mani «Preparati, Saotome!»

Haruka atterrò bruscamente sul terreno e notò che l'avversario non lo stava prendendo in pieno ma bensì, non appena girò il capo, egli si ritrovò a pochi passi da sé una giovane ragazza in compagnia del suo cane bianco e nero – quest'ultimo qualche passo più in là – che, immobile, guardava la scena con curiosità ma a quanto pareva con pochissima attenzione per ciò che la circondava. Difatti, Youichi Kunou stava puntando proprio a lei, in quell'istante.

«Attenta!» aveva esclamato il rosso, andandole addosso e scansandosi assieme ad ella prima che la spada la centrasse in pieno capo.

Così, Haruka Saotome, si ritrovò tra le braccia una totale sconosciuta dagli occhiali dello stesso colore dei propri capelli.

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Capitolo 2
*** Riunione in casa Tendō ***


Haruka stava stringendo a sé quel corpo minuto ed esile, il ché non gli piacque per niente: non fu il fatto d'aver aiutato una persona che era chiaramente in difficoltà a causargli tale sensazione, ma bensì la chiara evidenza che il suddetto individuo fosse una ragazza.

Haruka Saotome odiava le ragazze. Le odiava tremendamente, non riusciva davvero a sopportarle, chiunque loro fossero per lui non faceva la differenza. Non le sopportava e basta.

Nagisa strinse le palpebre e sussultò per l'inaspettato gesto che il ragazzo dai capelli vermigli aveva compiuto nei suoi confronti. D'improvviso, lei avvampò, percependo il calore corporeo e il battito cardiaco altrui.

Erano fin troppo vicini. Non era mai stata così vicina ad una persona prima di allora, nemmeno coi suoi genitori o il suo fratellino più piccolo era mai stata talmente appiccicata, figuriamoci con un ragazzo; per non parlare d'un ragazzo atletico e promettente come il nostro caro Haruka.

Si stava agitando, il viso era divenuto completamente paonazzo; le labbra spalancate e leggermente tremule, gli affilati canini che s'andavano a conficcare sulla carne inferiore d'esse, con una lieve pressione.

«Merda,» il ragazzo ringhiò tra i denti «Se l'è svignata, quel maledetto».

Nagisa alzò piano il volto, finché non ebbe sulla propria visuale il bel delineato viso del giovane Saotome, il quale andò successivamente a lanciarle un'occhiata gelida e diretta.

«Stai bene?» le aveva domandato, mettendosi in piedi e issando senza alcun consenso l'altra. Una volta accertato che i piedi di lei la reggessero in equilibrio sull'asfalto, Haruka si voltò in direzione del Liceo Superiore che lui frequentava, ficcando la mano destra all'interno della medesima tasca della felpa blu chiaro.

La fanciulla sussurrò un flebile «Sì», il viso chino sulle scarpe bianche ginniche a lei appartenenti, le mani che si torturavano l'un l'altra quasi con timore. Un occhio curioso, poi, sbirciò il ragazzo incamminarsi, notando i quattro piercing per tutta la lunghezza dell'orecchio destro: era davvero molto moderno, quel ragazzo. Non indossava nemmeno l'uniforme scolastica; questo stava a significare che lui era... era uno di quei tipi che venivano etichettati come ribelli?

"Probabilmente", pensò Nagisa "Sarà davvero popolare, tra le ragazze".

«E-ehi!» lei si guardò intorno velocemente e poi corse dietro al rosso, sfiorandogli accidentalmente un braccio. Lui girò il volto in sua direzione, cominciando a sentire l'irritazione sulle tempie.

La castana inghiottì il groppo ch'aveva in gola, «Vo-volevo ringraziarti, per prima!»

Haruka si fece di qualche passo lontano, l'espressione che non accennava a volersi mutare «Oh,» fece, fissandola «Nessun problema».

Quell'espressione e quella serietà mettevano la timida Nagisa davvero in soggezione: sembrava sul serio che lo stesse distraendo da qualcosa di davvero importante.

«Beh, devo andare» si liquidò immediatamente Haruka, il quale non voleva di certo arrivare in ritardo il primo giorno di scuola.

Così Nagisa rimase immobile, fissando lo sconosciuto ragazzo dai capelli rossi andarsene via con aria indifferente alla faccenda - e a quanto pareva, per tutto ciò che lui aveva attorno.

La ragazza portò l'attenzione verso Shirokuro, la canide stava facendo capolino da dietro un palo della luce e stava fissando la padroncina con intensità.

Nagisa le andò incontro e, posandole una mano sul capo, sospirò piano, come se qualcosa dentro sé l'avesse delusa.

«Su, bella. Torniamo a casa...»

Shirokuro abbaiò ed infine si mise di fianco alla giovane, pronta ad aiutare la fanciulla a ritrovare la strada per ritornare a casa.


* * *


«Pronto?», Nodoka aveva appena afferrato il telefono senza fili ed aveva accettato la chiamata «Oh, Kasumi! È davvero bello risentirti, va tutto bene?» la donna rise, portando una mano vicino alle labbra «Sì, anche noi. Tuo padre come sta?»

Nodoka restò a parlare con Kasumi per qualche minuto circa, poi disse: «Beh, certo che ci saremo, mia cara.

A stasera!»

In quell'esatto istante Akane passò per il corridoio, asciugandosi le mani impastate sul grembiule a quadretti rosa e bianchi «Chi era?», domandò quindi, lei.

«Tua sorella Kasumi. Sai com'è apprensiva per certe cose riguardanti la famiglia» Nodoka portò poi una mano sulla guancia, «Cielo, Akane. Ti serve per caso una mano?» le domandò la suocera, mentre la donna dai capelli corvini arrossiva con leggerezza. Sul naso e sulle guance un pizzico di cenere che stava a significare solo una cosa:

La cucina messa a soqquadro.


* * *


«Sono a casa!», esclamò Haruka, rincasando e facendo per togliersi le scarpe rosse.

Akane gli urlò dalla cucina «Bentornato, tesoro!» e Haruka fece spallucce, per poi raggiungere la madre laddove lei fosse.

«Ciao, mà, nonna» salutò il ragazzo, puntando gli occhi azzurrini sulle due donne «Cosa state facendo?»

«Un dolce per tuo nonno Soun» disse Nodoka, accennando sulle labbra un piccolo sorriso «Te lo sei dimenticato? Oggi compie gli anni, quindi dobbiamo fargli una sorpresa».

Il giovane tacque, così Akane lo avvertì senza troppe cerimonie, «Ti conviene andarti a fare un bel bagno caldo prima di andare: tuo padre e tuo nonno Genma sono già belli che a mollo».

«Ok» fu la risposta secca di Haruka, prima di lasciare definitivamente quella stanza.

«Non trovi anche tu che Haruka sia un così bel tenebroso, Akane?» se ne uscì sognante la più anziana, emettendo un risolino «Così virile!»

La corvina fece cadere la frusta per montare la panna sul pavimento, non appena udì le parole di Nodoka. Akane sbatté le palpebre più e più volte, per poi ridacchiare con un po' d'imbarazzo.


* * *


«Fortunatamente siamo tornate sane e salve... Shirokuro, sei una grande!»

Aveva esclamato Nagisa, strusciando il viso su quello tutto pelo dell'animale, il quale non esitò a scodinzolare per la felicità.

Dopo qualche secondo, ecco che la porta di casa si spalancò, facendo udire alla giovane l'inconfondibile tintinnìo dei campanellini posizionati in alto alla porta, come decorazione.

«Ehi, Nagisa-bella di papà! Siamo tornati!» Ryoga aveva fatto la sua entrata in scena, ed insieme a lui vi erano anche sua moglie Akari, e Hiroshi, il fratellino della timida Nagisa. Quest'ultima s'alzò e andò incontro ai suoi famigliari, felice finalmente di poterli rivedere.

«Come mai ci avete messo così tanto?» la risposta la giovane già la sapeva, ma fare un po' di conversazione con in suoi genitori non avrebbe fatto loro di certo male. Ciononostante, doveva rimanere in silenzio riguardo l'uscita clandestina di quella mattina; altrimenti suo padre si sarebbe davvero arrabbiato con lei, e lui non ne avrebbe, di conseguenza, mai più avuto fiducia.

«Tuo padre diceva tanto di aver trovato una scorciatoia», aveva iniziato Akari, i capelli color pece raccolti in un ordinato chignon alto «... e alla fine siamo finiti ad Okinawa».

«È stato molto divertente, sorellona!» esclamò Hiroshi, ridendo allegramente; il viso così simile a quando Ryoga era un bambino di soli sette anni. Due vere gocce d'acqua, sebbene il piccolo Hiroshi fosse certamente più vivace e spedito: quindi il suo opposto «Un granchio si era impigliato ai capelli di papà e non si scollava più! È stato uno spasso!»

Ryoga testò se i suoi lunghi capelli fossero ancora intatti: v'era stato parecchio tempo per farli diventare così tanto lunghi, e quel granchio stava per rovinare tutta la sua preziosa fatica durata anni.

«Non ha più importanza, questo!» aveva esclamato l'ormai padre, volgendo il viso altrove per l'imbarazzo. Akari rise leggermente, «Oh, quasi dimenticavo!»

Disse la donna, alzando un indice verso l'alto «Prima mi ha chiamato la signora Kasumi, ci ha tutti invitati alla festa di compleanno di suo padre. Dato che mi sembrava scortese rifiutare le ho detto che ci saremmo andati: sono sicura che non ci annoieremo, lì a casa dei Tendou!»

Quando ancora erano in macchina, Ryoga quasi non causò un incidente stradale non appena udì quel cognome: avrebbe rivisto Ranma e il suo primo amore Akane dopo tanto tempo, perciò non aveva idea di come avrebbe reagito una volta incontrati faccia a faccia.

Era a conoscenza, tuttavia, che i due avevano avuto un figlio: si chiamava Haruka. Lo sapeva perché l'ultima volta che s'erano visti era stato all'ospedale, quando Akane aveva dato alla luce il pargoletto. C'era anche da dire che quel maledetto di Ranma, quando era stata sua moglie a partorire la primogenita Nagisa, non s'era degnato nemmeno di inviare una semplice cartolina.

Ma nonostante Ryoga Hibiki fosse ormai sposato, quella fetta d'amarezza era stata sin troppo dura da digerire, e non faceva che tormentarsi e sentirsi in colpa per questo: amava Akari, davvero tanto, ed il suo amore era sincero, ma Akane non avrebbe mai potuto dimenticarla, perché lui stesso non ne aveva il coraggio.

Il capo famiglia non disse niente, si limitò solamente a fare un lieve cenno col capo.

«Sono dei vostri amici?» aveva domandato Nagisa, osservando i genitori.

Ryoga le si avvicinò e le scompigliò i capelli con una mano, disegnando sul suo volto un sorrisino

«Una specie».


* * *


«Ecco, lo sapevo!» brontolò Akane «Adesso siamo in ritardo!»

Ranma fece un veloce cenno con la mano e poi disse «Macché ritardo, tu ti preoccupi per niente, te lo dico io!»

«Hai voglia di litigare, per caso?» aveva risposto con prontezza la moglie, tenendo stretto al petto il pacco regalo, mentre Ranma aveva sopra il palmo d'una mano il dolce impacchettato per il festeggiato.

Il codinato girò il capo offeso, borbottando qualcosa di poco carino nei confronti della consorte: Haruka lo udì, ma scelse di far finta di non aver sentito niente.

La corvina diede una veloce occhiata agli altri, successivamente fece per suonare il campanello di casa, ma qualcuno aprì l'enorme portone prima del previsto.

«Avvertenza immediata: ti conviene rendermi i miei duemila e cinquanta yen di cinque anni fa, o per te, lo giuro, saranno guai seri».

«Nabiki?!» fece Akane, sgranando di poco gli occhi. La sorella maggiore sbatté le palpebre e subito dopo si rivolse a chi aveva oltre la cornetta «Richiamami, quando hai finito» e dopodiché riattaccò, ficcando lo smartphone all'interno della giacca firmata di pelle nera «Oh, ciao, sorellina. Come va la tua vita da casalinga?»

Akane non poté che guardarla in malo modo, storcendo le labbra, ma assumendo tuttavia un atteggiamento altezzoso: «A gonfie vele, caro il mio avvocato».

Nabiki sorrise, in successione rivolse l'attenzione al ragazzo dal crine scarlatto «Sei davvero molto cresciuto dall'ultima volta che ci siamo visti, Haruka».

«Già», le rispose lui, che per l'occasione aveva indossato una semplice camicia nera e dei pantaloni del medesimo colore: questi eran strappati da davanti, molto moderni per la generazione d'oggigiorno, ma strani per quella che la precedeva.


* * *


«Vi ringrazio tutti di cuore!» Soun dovette trattenere le lacrime per la troppa commozione: Kasumi era stata davvero una brava organizzatrice.

«V-v-v-visto, K-K-K-Ka-Kasumi? È a-a-a-andato tutto p-p-per il me-meglio...» balbettò Tofu, andando come sempre in brodo di giuggiole ogni volta che aveva di fronte la moglie.

La donna rise dolcemente, congiungendo le mani innanzi al viso.

«Sono così felice» ammise lei, osservando il padre emozionarsi di fronte a tutte quelle persone a lui care.

«Bravo, Soun! Continua così, sono davvero fiero di te! Ha-ha-ha!»

Ovviamente, poteva mancare all'appello il buono e caro vecchio Happosai? Il quale, per ovvi motivi, si era trasferito da Ranma e famiglia.

Soun, che prima era visibilmente allegro, divenne alquanto nervoso e agitato. L'uomo si avvicinò al vecchio e lo abbracciò fortemente: cos'erano quelle che aveva sulle gote? Ancora lacrime di gioia?

«Mi siete davvero mancato, Maestro!»

Erano lacrime di disperazione, a dire il vero.

Kasumi rise leggera «Sapevo che gli sarebbe piaciuto rincontrarlo!» affermò, poi parve sovrappensiero e subito dopo la donna s'alzò da tavola «Sarà meglio andare a preparare del thé. Prevedo che la serata sarà un po' movimentata».

Canticchiando, Kasumi sparì nei meandri della cucina.

Intanto, Haruka, che se ne stava seduto in un angolino dell'enorme giardino dell'abitazione, all'aperto, rimase a fissare le miliardi di stelle sconfinate là, in alto nel cielo. Nagisa se ne stava inginocchiata innanzi al laghetto, dove colorate carpe koi danzavano lente e inesorabili. Hiroshi si divertiva un mondo ad infastidirle con l'ausilio d'un bastoncino di legno.

«Lo prendo! Lo prendo!» fece il bambino, sbattendo qua e là ciò ch'aveva in mano, facendo schizzare l'acqua un po' ovunque.

«Hiroshi, smettila!» si lamentò Nagisa, alzandosi e allontanandosi prima che il fratellino facesse qualcosa di davvero peggiore e si bagnasse interamente il corpo.

In quell'attimo, la giovane si strinse per le spalle, puntando lo sguardo sul ragazzo dai capelli rossi.

Certamente era rimasta a dir poco sorpresa nel rincontrare nuovamente quel ragazzo: Nagisa aveva pensato che non l'avrebbe più rivisto dopo quella mattina, e invece, la sorte aveva voluto farli incontrare ancora una volta.

Che strano, a volte, il Destino.

Nagisa fece per rientrare dentro e sedersi di fianco alla madre, quando, di colpo, si sentì una chiarissima voce sbraitare con disappunto.

«Mi spieghi cosa diavolo significa questa, dannato di un Ranma?!»



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