Knockout

di hugmejameshoran
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 (parte I) ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 (parte II) ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 (parte I) ***
Capitolo 11: *** Capitolo 9 (parte II) ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


“Bo, devi alzarti!”

Il bussare incessante rendeva difficile continuare a dormire. Mi coprii ancora di più con le coperte, gli occhi ancora serrati, cercando alla cieca un cuscino da scagliare sulla porta. Rotolai a sinistra col mio corpo, toccando la fine del letto con le punta dei piedi. Occupavo metà del materasso ed era confortevole.

“Bo!”

Stavo comoda.

“Ancora cinque minuti, mamma”, gemetti.

Delle mani afferrarono il mio piumone, ma ben presto persi quella lotta a braccio di ferro. Il vincitore stava con le mie coperte strette al petto, tenendole in ostaggio fino a quando non le reclamai. Abituai gli occhi prima che aprisse le tende sottili della finestra, sopra la mia scrivania ingombra. Mi rannicchiai frustrata, cercando di farmi a sfera.

“Non sono tua madre! E se non ti alzi subito arriverai in ritardo! ANCORA!”

Le sopracciglia di Tiff erano sollevate, attendendo una risposta impaziente e battendo un piede a terra.

“Che ora è?” borbottai.

Avevo la gola secca e sentivo come se avessi appena attraversato il deserto. Probabilmente dovevo accendere il riscaldamento durante la notte, ma mi piace sentirmi infagottata quando fuori è brutto tempo.

“Sono le 9:45”

Chiusi gli occhi per una frazione di secondo, prima di comprendere l’ora ed irrigidire il corpo.

“Merda!”

Lasciai improvvisamente la mia posizione rannicchiata e mi alzai di scatto, quasi cadendo nella fretta di lasciare il letto. Raccolsi freneticamente le scarpe e gli oggetti da portare in bagno, spazzolino da denti, spazzola, deodorante, elastico.

Tiff se ne stava ferma, mentre correvo intorno a lei per prepararmi, consapevole che una sua mossa sarebbe stata bersaglio di uno scontro per la mia fretta. Era meglio per lei rimanere ferma.

La cucina sembrava occupata; l’aroma di pane tostato fu sufficiente per far brontolare dalla fame il mio stomaco. Ma non avevo tempo per mangiare. I miei piedi inciamparono nei pantaloni del pigiama troppo lunghi, mentre percorrevo il corridoio. Sentivo la possibilità di arrivare in tempo al seminario quella mattina, fino a quando non vidi la porta del bagno chiudersi davanti a me.

“Nooo!”

Quasi sprofondai sul pavimento per la sconfitta; i secondi scorrevano ed io non volevo deludere nuovamente il mio professore arrivando in ritardo.

“Rob, esci dal bagno, non voglio arrivare in ritardo!” bussai alla porta.

Sapevo che era lui perché lo sentivo canticchiare un brano di Miles Kane. Al campus la mia stanza era accanto alla sua, da cui, quasi ogni sera, sentivo cantare “Arabella” (se c’era lui). E Tiff si affacciava sempre da due porte più giù per dire a Rob, non molto educatamente, di star zitto.

“Forse dovevi alzarti prima?” disse sopra il rumore della doccia.

Volevo strozzarlo.

“Grazie per la tua perspicacia! Ora esci!”

Come coinquilino, era pessimo. Non l’ho mai visto portar fuori la spazzatura, e quasi sempre c’è una scia di briciole che porta dalla cucina alla sua stanza. Sono sorpresa dal fatto che non sia infestata da topi. Ma non si può mai sapere, prendendo in considerazione che non si intravede il tappeto per colpa dei mucchi di vestiti non lavati in giro per la sua stanza.

“Andiamo, Rob. Non posso andare ad un altro seminario puzzando di letto. La gente comincia a starmi lontano.”

Tiff stava ancora nella mia porta, osservando ciò che stava succedendo di fronte a lei. Poi entrò un attimo dentro la stanza, per poi apparire di nuovo, questa volta senza le coperte che mi aveva strappato prima da sopra. Camminò lungo il corridoio, prendendomi per il polso e portandomi con lei.

“Andiamo” mimò Tiff.

La sua stanza era immacolata, tutto ordinato, libri e cartelline foderate negli scaffali. Sulla sua bacheca c’era un calendario di lavoro con degli eventi sociali, affiancate a delle collane e gioielli. Una pulita lista “da fare”, di un blu acceso, era sulla sua scrivania, con una quantità spaventosa di elenchi puntati. Potevo solo sperare di finire il mio primo anno, in quel momento. Senza la pressione di un lavoro su dei post-it. Alemno allora avrei avuto delle idee con delle scadenze e qualche ricerca da fare.

C’è un cuscino del Chelsea Football Club sul letto rifatto di Tiff. Non ho mai amato molto il calcio come sport, ma il cameratismo dei tifosi è una cosa che ho assistito molte volte davanti alla TV, in camera.

“Apri”, disse Tiff.

Un pezzo di gomma fu ficcato dentro la mia bocca e la masticai un paio di volte, prima che lei controllasse scrupolosamente il mio respiro. Si stropicciò il naso, prima di ficcarmene un altro pezzo tra le labbra.

“Ehi” dissi imbronciata.

Mi ignorò fino a quando non ebbe finito il suo compito; portarmi ad un livello di igiene soddisfacente per una seduta di un seminario. Non che sia importante per la maggior parte dei ragazzi che erano rotolati giù dal letto, di mattina presto o nel tardo pomeriggio, non c’era differenza tra lo stato dei loro capelli.

“Solleva le braccia”

Sono in top con un reggiseno sportivo sotto. Le mie ascelle vennero spruzzate di deodorante, prima di infilarsi dentro un maglioncino marrone. Una volta che le maniche ebbero coperto le mie braccia, piagnucolai quando Tiff cominciò a pettinarmi. Lasciai i pensieri dolorosi fuori dalla mia mente, osservando le foto del suo anno sabbatico, attaccate al muro accanto al letto. Lei ha due anni in più della maggior parte delle matricole, ed anche se io sono un anno in meno di Rob, abbiamo assunto una responsabilità materna verso di lui. Dio solo sa quanto lui ne abbia bisogno.

Tiff ha promesso che una volta finita l’università, avremmo viaggiato insieme. Ci sono ancora posti che lei non ha visitato, ed io voglio andare con lei. E’ il modo per tenermi in movimento per qualche giorno, guardando foto sulle riviste dei viaggi, avendo l’ispirazione per scrivere un altro paragrafo del saggio, prima di crollare nel mio letto.

Aveva scherzato riguardo le probabili dimensioni della mia valigia, e alla quantità di cose che mi sarei portata dietro per il viaggio ritenendole necessarie all’estero. Quando accennai alla mia pila traballante di romanzi di fantasia, scosse la testa sorridendo.

“Non hai bisogno di portarti dietro i libri, avremo la nostra avventura.”

I capelli annodati sparirono, e quando mi guardai allo specchio vidi che Tiff mi aveva raccolto i capelli in una coda di cavallo.

“Credi possa andar bene?” chiesi esitante.

Avrei dovuto saperlo, che quando avevo detto che avevo intenzione di cambiare i miei capelli, Tiff ci avrebbe messo tutto per farlo. Con una rapida occhiata noti i suoi capelli legati in un elastico e raccolti con un foulard. Ha un piercing al naso, quasi come una principessa persiana, metà iraniana, ma con le caratteristiche di un bel paio d’occhi castani.

“Metterai tutti ko.” Disse sorridendo.

Era un biondo scuro. Non avevo avuto coraggio di farmi tutta platino. Mia mamma avrebbe avuto uno spavento se solo fossi tornata a casa questo fine settimana con i capelli più corti e di un biondo abbagliante.

“James lo amerà” mi incoraggiò.

“Non l’ho fatto per lui.”

La risposta fu istantanea ed automatica; aver convinto me stessa di compiacermi. Non è per nessuno, soprattutto non per qualche maschio. Quello che ho scelto di indossare, lo stile dei miei capelli, lo smalto, è per me.

“Lo so” sorrise.

Tiff capì. Da quello che avevo capito, lei non era una che si adattava, e sentivo che il suo stile non convenzionale ricadeva su di me.

“Mi vuoi parlare di lui?”

“Di lui chi?” chiesi, mentre mettevo il burro cacao.

“Del ragazzo che ti sei lasciata alle spalle.”

Il suo nome non doveva essere nominato. Anche con un nuovo inizio, non riuscivo ancora a mantenere il muro che avevo costruito per tenere i pensieri verso di lui a bada. Il mio stomaco si attorcigliò, ed ogni tentativo di apparire normale era inutile. Ero abbastanza sicura che avevo cambiato colorito in viso, e tutto quello che volevo era fuggire da quella situazione. Avevo sperato di dimenticarlo, ma lui era ancora lì; supplicandomi di non cancellare tutte le conversazioni insignificanti e i tocchi che abbiamo vissuto.

“Non ho…non c’era nessuno…”

La mia incapacità nel guardarla negli occhi aveva detto tutto.

“Bo, non sono stupida. Mia madre dice che ho un dono per questo genere di cose.”

“Ovviamente…” sorrisi.

“Ti ho vista con James, quando arriva e ti sorprende” la sua voce si addolcì.

“Quando tu vaghi con lo sguardo deluso, quasi come volessi fosse qualcun altro.”

Ingoiai il groppo in gola. So dove vuole arrivare con questa conversazione, ma voglio abbandonarla.

“L’altro ragazzo”, concluse Tiff.

La mia mente mi permise di dare uno sguardo ai vecchi ricordi che tenevo nel ‘bunker’. Lui mi sorride, ed ho subito voglia di interrompere i ricordi, sbattendogli la porta in faccia. E vengo alla conclusione che lui per me non sarà mai ‘L’ALTRO ragazzo’, ma sarà sempre ‘IL ragazzo’.

“Non è più importante.”

“La vostra mancanza dice il contrario.”

Gli occhi simpatici di Tiff e il suo tono di voce non mi tranquillizzavano, non fui mai tanto grata di sentire la voce allegra di Rob.

“Lo sai che hai due minuti, giusto?”

Si appoggiò alla porta con le braccia incrociate al petto. Aveva una macchia di dentifricio sul davanti della sua camicia pulita e portava una tuta.

“Ugh.”

Mi scossi passando accanto a lui, attraverso la porta, Rob alzò le mani in segno di resa per darmi ragione. L’odore del toast bruciato usciva dalla cucina, e non mi sorprese il fatto ci fosse l’americano calmo dell’ultima stanza. Mi fece un cenno con la testa e precipitò un ‘buongiorno’, quando passai svelta accanto a lui.

Ebbi appena il tempo di mettermi i jeans e le converse, prima di afferrare la borsa e correre lungo il corridoio fino alla porta d’ingresso. Uscita, mi caricai di un’adrenalina primaverile.

“Faremo colazione quando sarai di ritorno!” sentii urlare Tiff dietro di me.

Era insieme a Rob, che stava sgranocchiando dei biscotti.

“Va bene!”

Sono sicura che tutto il nostro chiasso, di “mattina presto” abbia svegliato tutti gli studenti del piano di sopra, ma non voglio averci a che fare, perché ero di nuovo in un ritardo pazzesco.

“Corri, Bo! Corri!” gridò Rob, mettendo le mani a coppa.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ero in ritardo. Per fortuna solo di pochi minuti, in modo da potermi sedere in fondo alla classe senza che la maggior parte della classe se ne accorgesse.
Una discussione sulla letteratura e un po’ di domande sul saggio da portare per la settimana successiva riempivano il tempo a disposizione della lezione. Per gli ultimi quindici minuti guardai in continuazione l’orologio, desiderosa di fuggire da quella stanza e dalle troppe domande che mi davano il voltastomaco. Non avevo ancora iniziato il mio progetto, e il fatto che molte persone fossero già al secondo, gravava su di me e sul resto degli altri.

Uscii dalla classe ed inciampai sulle gambe distese a terra di qualcuno che decise che il pavimento fosse un posto meraviglioso per aspettare il proprio seminario. Veramente non dovrei lamentarmi, poiché sono la prima che crolla accanto ad un muro per leggere gli articoli che ci vengono assegnati e che dovrebbero essere completati in pochi giorni.

Stavo per iniziare le scale per il piano terra, quando sentii risuonare nel corridoio affollato dei distributori automatici una risata familiare. Indossava lo stesso cappello blu col pompon sulla testa di una settimana fa.

“James.”

Il rossore sulle sue guance mi fece ridere, perché significava che si era alzato in ritardo e che la barretta di cioccolato che stava mangiando, scartata a metà, fosse la sua colazione. I capelli castano chiaro erano trascurati ed uscivano dal copricapo, un “accessorio alla moda”, piuttosto che qualcosa da indossare per il jogging per la scuola.

“Ti è piaciuta la corsa stamattina?” chiesi avvicinandomi.

Il mio tono era scherzoso, ma non ero in nessuna posizione per farlo.

“E’ stato più uno scatto” sorrise sfacciatamente.

“E’ la tua classe adesso?” chiesi.

“Da qualche minuto, stavo correndo per evitare di prendere di nuovo le prime sedie, non voglio stare di nuovo davanti.”

Mi schiacciò in un abbraccio, facendo sentire il rumore dello sgranocchiare del cioccolato. Indipendentemente dalle riflessioni che mi aveva fatto fare Tiff, ero felice di vederlo. Lo sono. E’ una specie di sfigato, un non-mi-importa-se-non-è-più-in-stagione-ma-voglio-indossare-il-mio-maglione-natalizio in uno strano modo. C’è un piccolo difetto sopra l’angolo del suo sopracciglio destro; una caduta dall’albero di quando aveva 7 anni. Avevo ricevuto questa informazione quando lo aiutai a rialzarsi in biblioteca. Le parole di James avevano riempito ogni tipo di imbarazzante silenzio, prima di essere zittito dagli altri presenti che leggevano. Non è di quello che mi sono abituata, non ho problemi nel lavorarci, non ho scheletri nascosti nell’armadio; è che dovrebbe essere come un conforto per me. Ma c’è ancora solo una cosa da metterci dentro.

“Oh, nel frattempo ti ho portata con me”, continuò James, ancora abbracciato a me “vuoi uscire sabato?”

Rise del mio modo di contorcermi per allontanarmi, usando i suoi fianchi come leva.

“Mi dispiace, non posso. Vado a casa per il finesettimana. Il mio ex direttore mi ha chiamata l’altro giorno. Ha detto che hanno un disperato bisogno di qualcuno.”

“Questo non è un tuo problema, però” si lamentò, tirando giù di poco il suo cappello.

“E’ un amico.”

Uno dei compagni di James gli fece cenno dalla porta aperta del seminario. Il tutor ancora non c’era, ma sarebbe arrivato in pochi minuti.

“Quando tornerai?”

La barretta di cioccolato era finita, e lo sentii infilare furbescamente la carta vuota nella mia tasca posteriore.

“O domenica notte, o lunedì mattina.”

Sospirò pesantemente, appoggiandosi al muro ed arricciando le labbra.

“Cosa c’è che non va?”

“I miei coinquilini sono fuori, pensavo di passare una serata tutta nostra.”

La sua espressione triste e sincera mi fece capire che era deluso.
Gli baciai la guancia.

“Sai che non sono-“

“Sì, lo so. Non ero…” lottava per trovare le parole, “pensavo di fare qualche gioco da tavolo, e semmai di baciarci un po’.”

“Certo” mi venne da ridere, lo spinsi leggermente per una spalla.

Continuò divertito mentre tornai alle scale, unendomi alla calca di studenti e schivano i più impazienti. Sentivo che mi stava seguendo, scusandosi per aver ostacolato gli altri.

“Prometto” sorrise James dopo avermi recuperata “ma voglio dire, se vuoi giocare ad uno strip non mi lamento.”

Gli abbassai il cappello dal pompon e lui rise. Il suo tutor passò accanto a noi, e lui dovette lottare per evitare di ridergli in faccia. Dopo cominciò a tirarmi la coda di cavallo.

“E’ quello il tuo professore?” accennai in direzione della donna in cima alle scale.

“Merda.”

Partì come un razzo, a gran velocità superò la signora che avevo indicato poco prima. Mentre scendevo al piano terra sentii urlargli “non sono in ritardo, non sono in ritardo!”

***

E’ venerdì pomeriggio, e il viaggio in treno mi ha dato la possibilità di guardare oltre le mie solite letture. Raccolsi freneticamente le letture, prima di uscire dalla carrozza, in attesa che mia madre mi venisse a prendere alla stazione.

Stavo andando verso il lato dei passeggeri per aspettarla, ma lei arrivò prima che io raggiunsi il posto. Mi soffocò in un abbraccio, baciandomi ripetutamente la fronte e dirmi quanto le fossi mancata. Mi divincolai e la trascinai verso la macchina prima che iniziasse un pianto imbarazzante.

Mi preoccupo molto per lei, ora che è da sola. Tuttavia, credo che la distanza renda l’incontro più piacevole, godendoci i pochi giorni di un mese che abbiamo insieme; non abbiamo tempo per gli argomenti stupidi che trattavamo ogni volta che ero a casa. E’ bello avere un weekend tranquillo con mia mamma, prima di tornare a scadenze e presentazioni.

Eppure, questo fine settimana potrebbe essere più lavoro che altro. Con sole due persone che lavorano in negozio, mi sono bloccata davanti a dei prezzi, e occasionalmente, con clienti difficili. I miei occhi viaggiavano dal mio compito di applicare adesivi di vendita, al controllare un uomo vicino alla cassa, mentre rovistavo nella mia borsa a tracolla.

Distolsi l’attenzione per due secondi, più che sufficienti per far posare al ragazzo il contenuto dello zaino.

“Hey! Non li vogliamo qui!” gridai in disapprovazione, dopo che il ragazzo posò dei volantini sulla cassa.

Alzai gli occhi al cielo mentre lo vidi uscire di corsa dalla porta, evitando ogni passaggio in cui l’avrei bloccato. Un paio di volantini erano caduti sul pavimento con la brezza portata attraverso la porta aperta. Sospirai ed andai a raccoglierli.

In un altro momento li avrei buttati. Era un evento raro poiché avesse attirato la mia attenzione. E l’avevano fatto. Li aprii rimettendoli in cima alla pila. La stampa in bianco e nero è la più economica per produrre in massa, e presumo che il colore sfumato sullo sfondo, dove ci sono due ragazzi che combattono, sia in posizione che uno dei due stia per prendere un gancio destro al volto. Verso sinistra sono impressi dei cognomi in colonna, due per ogni riga, con un “contro” tra di loro.

Quando notai l’ultimo accoppiamento, le mie mani cominciarono a sudare e formicolare.

“Styles vs Simmons”

Cercai di calmarmi e rilessi una doppia volta. Il mio corpo sembrava avere un pilota automatico, scattai verso la porta. Il ragazzo era pronto a partire, sopra la sua moto.

“Aspetta!”

E con il cuore che mi batteva forte mi ritrovo di fronte al ragazzo che aveva lasciato subdolamente i volantini, i quali sto accartocciando in mano accidentalmente. Non era alto, aveva i capelli arruffati tenuti con un elastico, e una barba dura.

“Guarda, puoi buttarli via se vuoi, ma…” esordì, ma si zittì quando mi vide scuotere la testa.

“Questo è Harry?”

Misi il pezzo di carta tra di noi, il ragazzo strizzò gli occhi, come se avesse difficoltà a leggere la scritta in grassetto. Quando ricevetti solo una fronte increspata, il mio indice punticchiò il punto a cui mi riferivo. Prese il volantino dalle mie mani e controllò.

“Il suo nome è Harry?” confermai la domanda con tono incoraggiante.

“Guarda amore, io non conosco i loro nomi, pubblicizzo solo..”

“Combatterà stasera?” lo interruppi bruscamente per la seconda volta nel giro di pochi minuti.

“No.” Scosse la testa con un sorriso condiscendente. “Che cosa ti interessa così tanto?”

Non stavo giocando a quel gioco con lui, non dovevo dargli la soddisfazione. Il modo in cui era appoggiato al lato della moto, mi faceva capire che voleva farmi pendere dalle sue parole.

Non sono sciocca, ripetevo tra me e me, pronta ad andarmene.

“Combatterà domani” disse “dovresti venire a vedere se si tratta dello Styles che stai cercando. Ti offrirò da bere.” Strizzò l’occhio.

“Grazie, ma sono in grado di comprarmi le bevande da sola.”

Guardai divertita il modo in cui ci rimase.

“Mi stai buttando giù, bella.”

Mi indurii a quel nomignolo, aumentando i passi per entrare in negozio.

***

“Mamma, esco” la informai, raccogliendo la giacca.

Stava seduta sul divano con un amico. Una nuova bottiglia di vino era apparsa magicamente, ora a metà. Una squadra giocava in tv, inosservata dai due che parlavano riguardo un nuovo medico che aveva avuto il turno la sera precedente.

“Dove stai andando?”

Sorrise, le guance rosa dall'alcool, anche se so che lei è responsabile di notte. C’era molta probabilità che la scatola di cioccolatini in cucina sarebbe uscita fuori non appena avessi lasciato casa. E’ mia mamma che lascia le carte vuote dentro la scatola, piuttosto che metterli nella spazzatura. Ed è probabile che nega tutto ciò per fastidio.

“Sto andando a vedere una partita.”

Avevo messo il cappotto, e raccolto le chiavi della macchina dal tavolino. Mandai indietro la frangia e spostai la treccia che avevo appena fatto sopra la spalla.

“Una partita di calcio?”

Mi precipitai verso la porta prima di rispondere alla sua domanda, scusandomi dicendo che ero in ritardo e salutandola, uscendo pochi secondi più tardi.

***

Diedi uno sguardo al volantino piegato, stringendolo stretto. Era scesa la notte sul mio cammino, dopo che avevo lasciato la stanza. Erano 40 minuti buoni di macchina. Parcheggiai la macchina in strada, raccogliendo la borsa e raggiungendo il marciapiede di fronte.

Si trattava di una zona piuttosto malridotta, con i lampeggianti della polizia come sfondo. L’edificio sembrava mimetizzato da fuori; tutto su un unico piano, con le pareti piene di pubblicità attaccata. Non è un luogo che vorrei frequentare, o dove trovarmi degli amici, in quanto pieno di moto parcheggiate fino a sembrare che fossi la loro colazione. Ero sulle mie e a disagio.

Tuttavia, facevo progressi nel procedere coraggiosamente a camminare verso il buttafuori alla porta. Le persone in fila mi insultavano, in quanto non stessi aspettando il mio turno come loro, ignorando la coda, e forse non era una buona idea.

“Mi scusi.”

La mia educazione non sembrò interessarlo, timbrando la mano di una ragazza. Rimasi di fronte a lui, sperando di attirare la sua attenzione.

“Sicura di essere nel posto giusto, amore?”

Diedi una rapida occhiata alla fila di persone, confermando a me stessa che fossi fuori luogo, poi tornai a guardarlo. Il mio piano era quello di chiedergli se “Styles” fosse lo stesso che pensavo. Ma era chiaro che dovevo usare un approccio diverso.

“E’ legale?”

La mia domanda catturò la sua attenzione, il suo lavoro e quel posto potevano essere in pericolo, se non lo fosse stato. Non avevo intenzione di denunciare quell'incontro, e lui non voleva correre quel rischio. Dovevo togliermi il sorrisetto che mi si era formato, mentre lui parlava con un uomo al lato della porta, alzando la corda e gesticolando verso di me sgarbatamente.

“Vai” disse tagliente.

“Non devo pagare?” chiesi dolcemente.

“Va bene” disse quasi sputando “Mack ti porterà dentro.”

Risposi con un “grazie”, al quale ringhiò non appena mi fece passare. Un uomo con i jeans strappati ed una camicia a quadri mi salutò, sorridendo poco convincente, con un nervoso ben visibile.

“Ho tutte le pratiche burocratiche”, disse mentre camminavamo. “Questo business è completamente legale.”

“Certo” sorrisi.

“Voglio dire, ci sono un paio di scommesse sugli incontri, ma noi non c’entriamo nulla in questo.”

Non avevo dubbi che di quello che facevano, la polizia non ne fosse a conoscenza. Avevano rischiato facendo pubblicità, ma dalla quantità di persone che aspettavano fuori, era un qualcosa per cui valeva rischiare.

“Vuoi da bere? A casa. Posso trovarti un buon posto da cui guardare, proprio davanti.” Divagava, annuendo con la testa.

Rifiutai l’offerta di Mack, e lo convinsi con difficoltà che uno sgabello sul retro mi sarebbe andato bene. Aveva cessato nei tentativi di distrarmi, capendo che non ero interessata a nulla. “Mi siedo solo per uno o due match” avevo detto, una richiesta che era disposto a concedermi, nella speranza che non avessi aperto bocca riguardo l’illegalità di quegli incontri.

Mack si sedette sullo sgabello accanto al mio, l’atmosfera cominciava a diventare soffocante dal gran numero di persone che entravano e prendevano posto intorno al ring rialzato e recintato, in un anello di posti improvvisato. Sembrava come una piccola armatura per me, avendo sempre assistito agli incontri accanto alle corde. Questo posto non era paragonabile ad un vero ring, ma ero abbastanza sicura che le persone non erano lì per un qualcosa di raffinato; e la maggior parte di loro non capivano la differenza, data la quantità di alcool che girava.

L’illuminazione rendeva il posto ancora più sporco, rendendo gli angoli cupi, dove non funzionavano le lampadine. Mi tirai indietro, poggiando la mia giacca sullo schienale dello sgabello e mi girai appena in tempo per vedere Mack sorridere eccitato, pendendo.

“Il prossimo incontro sta per cominciare” disse sopra il rumore.

Le sue parole vennero seguite da un tifo urlante. Non sembrava interessato, ma Mack scattò comunque al mio fianco, tifando col pugno alzato e ridendo. Non vidi la scena fin quando non mi alzai e scrutai da sopra le teste. Harry era lì. Beh, almeno credevo fosse lì, e mi sentivo quasi in imbarazzo del fatto che lui non sapesse della mia presenza. Sto entrando indiscretamente nella sua vita, cancellando ogni velo di distanza ed immischiarmi in qualcosa di cui non devo far parte. Non dovrei essere qui.

Il mio ragionamento mi costrinse a raccogliere le mie cose e sgattaiolare via inosservata. E’ con il cuore in gola e la presa delle mie dita intorno alla giacca che vidi la porta del bar sul retro aprirsi. L’aumento della stretta delle mie dita fu automatico. La mia mente era in un delirio di pensieri contrastanti, ma il mio corpo sembrava sapere esattamente ciò che voleva. E la conferma fu la delusione avuta dopo aver visto uno sconosciuto entrare dalla porta.

Cominciai a pensare ad una lontana idea di fuga, invece che guardare l’eccitazione nella stanza, battendo i piedi in delirio per l’incontro. Pacche sulla schiena da spettatori assetati che man a mano si spostavano seguendo qualcuno verso l’anello del ring. Simmons.

Tirò i muscoli delle sue larghe spalle, allungando quelli ben definiti della schiena. Indossava solo un paio di pantaloncini, era a piedi nudi e ghignava, il primo esempio di quanto fosse immaturo e desideroso di sfida. Le scommesse venivano ripetute da un uomo al microfono.

“Per la sua carica meritata, l’imbattuto campione… Styles!”

Smisi di respirare, desiderando di rimanere composta e non crollare prima di confermare del “campione”. Una seconda volta, cercai di ricordare a me stessa che potrebbe non essere lui, non dovevo illudermi.

Il mio impulso arrivò in anticipo, vedendolo allontanarsi dalla porta posteriore.

Harry.

Era lui. Il sedile mi ospitò come fossi una piuma d’oca, avevo il terrore di essere notata, ma lui non aveva attraversato la folla, quindi mi sentii sicura di dare un’altra occhiata sopra le teste. Separò le corde e salì sul ring. Non mi sorprese vedere un Harry disinteressato al boato del pubblico, a differenza del suo nemico, che aveva goduto degli applausi per lui. Invece, stava lì con un sorriso compiaciuto, l’espressione visibile attraverso la luce e la distanza.

Mack ancora si agitava al mio fianco, ed era chiaro vedere alcune spettatrici lanciare delle occhiate ad Harry mentre si lasciava cadere di dosso il cappuccio e l’accappatoio nero. Il tessuto sfiorò le sue spalle, per poi continuare sulle sue braccia. Non mi interessò il posto in cui scelse di togliersi gli indumenti, ero più preoccupata per questioni peggiori.

Ero scattata per vederlo, quel pensiero mi aveva tenuta sveglia tutta la notte precedente. Ma ero completamente impreparata alla vista di una distesa macchia nera di tatuaggi sul braccio sinistro. Scossi la testa incredula, tracciando coi miei occhi i suoi fianchi. Ero troppo lontana per veder bene cosa ci fosse tatuato singolarmente, tutti uniti con una composizione unica. Non sembrava più il mio Harry.

Il mio esame finì non appena la lotta cominciò e l’avversario si lanciò su Harry. Ero in quella posizione da prima, preoccupata e costretta a guardare quei ragazzi che si picchiavano per la vittoria. Il volume della folla cessò non appena Harry mollò un pugno in risposta all'attacco precedente.

Ero concentrata, guardando perplessa il movimento delle braccia sfocate. Non avevano i guanti, e capii immediatamente che tutto questo era lontano dalla boxe, non appena vidi Harry mollare un calcio sulle costole del ragazzo. L’unico supporto era quello di un nastro nero intorno alle nocche.

“Questo non è pugilato!” urlai a Mack.

Il battito del mio cuore sembrava tenere il tempo ai pugni che stava sferrando Harry.

“E’ un combattimento sporco, non ci sono regole. Si fa per un migliore intrattenimento.”

Era euforico, indicando il pubblico che scoppiava di emozione ogni volta che vedeva a terra il ragazzo contro cui avevano scommesso. So che Harry era abituato a lottare senza guanti, ed era altrettanto letale. Ciò nonostante, sussultai quando Harry prese un calcio sul fianco destro.

“Tu tifi per Styles? Non preoccuparti, lui sa che deve far durare il match” disse Mack per rassicurarmi. “Intrattenimento. E forse c’è qualche soldo in più per lui.”

Ridendo tornò a guardare l’incontro, dove Harry schivò un altro gancio sinistro, altrettanto veloce, essendo capace in questo tipo di cose, come quando si allenava in palestra. La forza e la ferocia che ci metteva lo faceva sembrare quasi un animale. Era Harry, ma con un po’ di incoscienza.

Il suo sfidante era affannato sul ring, mentre Harry si muoveva improvvisamente verso la parte lontana del ring. Mi maledii per il momento in cui mi aveva vista, tremavo mentre lo vedevo scendere dal ring e passare attraverso la folla. Mack era sparito nel momento in cui cercai di osservare disperatamente Harry, mentre un uomo gli aveva urlato qualcosa di scortese. Qualunque cosa fosse, non lo ripeté una seconda volta, visto che Harry incombeva pericolosamente su di lui.

“Dillo di nuovo e vedi cosa succede!” sbottò Harry.

La folla stava diventando irrequieta per l’improvviso intervallo, ansioso di tornare a vedere l’incontro, ma nessuno di loro aveva coraggio di spintonare di nuovo Harry sul ring. Lottavo per cercare di vedere, utilizzando la sedia come sostegno ed asciugandomi il sudore imperlato in fronte. Non era affar mio, non avevo intenzione di interferire. Il bicchiere di vetro nelle mani dell’uomo, fu buttato a terra e il contenuto cadde addosso alle persone accanto.

“Styles, lascialo.”

Harry ignorò i consigli di Mack, spingendo ulteriormente l’uomo in un angolo. Non c’era contatto fisico, bastavano le intimidazioni.

“Devi chiudere quella cazzo di bocca” sputò Harry.

La codardia vinse sul ragazzo, che fu incapace di tenere un contatto visivo con Harry.

“Non colpire uno che ha scommesso, Styles. Fa male agli affari.”

I piedi nudi del combattente andarono indietro, permettendo il passaggio a Mack per mettere le mani sulle spalle di Harry. Lo incoraggiò ad allontanarsi, con mio grande sollievo, ed ora la grande stanza aveva smesso di urlare e stava quasi in completo silenzio.

“Torna indietro e finisci la lotta.”

Harry teneva le mani irascibili di Mack lontane. Non ero abbastanza vicina da vedere la sua espressione, ma le persone erano felici nel vederlo tornare verso il ring, quindi presumo fosse un semplice sguardo torvo.

Tornò alle corse, stavo mordicchiando la mia mano, nascondendo l’odio che provavo verso l’altro combattente. Si stringeva l’addome, mentre fissava Harry avvicinarsi di nuovo a lui. L’intera stanza aveva capito cosa stava per succedere, e con un pugno nauseante di Harry in viso all'altro povero ragazzo, capii che non era l’Harry che mi ero lasciata alle spalle.

“Fuori combattimento!”

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


“Quando combatte?” mi informai lamentandomi.

Accettai un drink, analcolico, visto che avrei dovuto guidare per tornare a casa. Mack mi guardava strano ogni volta che tornavo a fissarlo dopo aver ispezionato per la terza volta la stanza. Era per precauzione. Sapevo che Harry se ne fosse andato; un’uscita brusca, stordito, attraverso una folla ed un avversario senza inconscio era abbastanza conclusiva. Ma continuavo a rimanere lucida.

“Huh?” si sforzò sopra il rumore.

“Harry, quando combatte di solito?”

“Quasi tutti i fine settimana, di tanto in tanto durante la settimana” gridò quasi in risposta Mack.

“Vieni dietro, è più tranquillo.”

Gli andai dietro, schivando le persone che non riuscivano a rimanere in piedi per colpa dei troppi drink. Mi sentivo stranamente privilegiata a seguire Mack attraverso la porta ‘PRIVATO’. Era stata utilizzata come ingresso e uscita per i combattenti poco prima, e ancora una volta fui sopraffatta da un senso di ansia. Un breve tratto di corridoio ci portò in un ufficio sul retro. Non era eccessivamente grande, ma lo spazio era usato bene, scrivania, computer, armadietto, e una cassaforte non ben nascosta.

“Senti, se vuoi incontrarlo posso organizzare qualcosa, Bo.”

La mia testa si girò così in fretta che probabilmente sbattei da qualche parte. Mi strofinai il collo cercando di alleviare il disagio. Mack era seduto alla scrivania, spostando dei fogli cercando di recuperare il cellulare che aveva appena ricevuto un messaggio emettendo un suono.

“Con Harry?” chiesi, inarcando vertiginosamente le mie sopracciglia.

Lui non alzò lo sguardo, stava frugando nei cassetti dei mobili.

“Sì, voglio dire, potrebbe essere un po’ difficile”, si fermò con una smorfia. “Non è davvero una persona popolare. Ma so che potrebbe avere qualcosa da fare. Da quando ha cominciato i combattimenti, la quantità di donne che gli vanno dietro durante le notti di lotta sono aumentate.”

“No, va bene.” Scossi la testa.

“Sicura? Posso dirgli che sei una fan. So che il…” gesticolava nell’area di fronte al suo viso, lasciandomi perplessa prima di continuare. “E’ un po’ intimidatorio, ma è tranquillo.”

“No, grazie.” “Che cos’è?”

Dalla raccolta di fogli sulla scrivania, ne presi uno scritto a mano. Parole e frasi intere erano scarabocchiate. L’aspetto raggrinzito, era ovvio che l’attenzione per quel foglietto era stata maggiore di altri. Se la riprese prima che riuscissi a leggere il nome del destinatario.

“Una lettera” rispose Mack seccamente.

“A chi stai scrivendo?”

Fece un sospiro pesante, trascinandosi sullo schienale della sedia, estraendo un pc di fronte a lui.

“La mia ragazza.”

Parlò un po’ a disagio.

“E’ una lettera d’amore?” chiesi, sorridendo molto più di quanto dovessi.

Scosse la testa con un colorito roseo sulle guance. Era tenero.

“Sta leggendo questi libri di un Dio-terribile, dove i personaggi confessano il loro amore attraverso le parole scritte.”

Il suo naso si arricciò come se la frase appena pronunciata lo disgustasse. Il romanticismo spesso è assente in alcune persone, come una lingua sconosciuta, quindi non fece nessun commento a riguardo.

“Non è che non le parlo mai al telefono al giorno. Vuole che scriva i miei sentimenti e che glieli mandi.”

“Penso che sia una cosa dolce.”

Un sentimento di gioia si propagò, felice nel sentire che l’amore esiste all’infuori delle mie pericolose esperienze. Mise via il suo telefono quando mi sedetti tranquillamente ad osservare. C’erano un paio di foto incorniciate, una lavagna piena di date di calendario e una piccola piantina in un vaso che aveva bisogno di acqua.

“Certo che sì” alzò gli occhi al cielo.

Riconobbi a pieno il sarcasmo nella sua voce, abituata a vivere con persone come Tiff. Il suo temperamento non smorzò il mio spirito.

“Dov’è?”

“A studiare a Manchester.”

I suoi occhi si posarono sul telefono che aveva appena ricevuto una serie di messaggi, e dal sorriso che portava doveva essere lei.

“Potrei aiutarti, se vuoi.”

Mack levò l’attenzione dallo schermo del suo telefono, attirato dalla nostra conversazione che a quanto pareva aveva preso una piega interessante.

“Cosa vuoi dire?”

Mi spostai in avanti, sul bordo della sedia, rimettendo a posto il cuscino patetico per alleviare la durezza del sedile.

“Con la composizione. Se ti stai sforzando, potrei darti la prospettiva di una donna.”

“Lo faresti?” chiese un po’ stupito.

“Certo, se mi lasci sedere ai combattimenti.”

Sperai fosse una richiesta abbastanza casuale da non sollevare il sospetto, ma non ero sicura che quel silenzio fosse per il fatto che stesse pensando all’offerta, o se stesse cercando di capire se fossi pazza.

“Va bene.”

“Perfetto.” Sorrisi, appoggiandomi alle carte sulla scrivania per stringergli la mano. “Solo, per favore, non dirglielo.”

“Di cosa?”

“Di me.”

***

A quanto pare non ero abbastanza competente per portare il carrello della spesa, così mi limitai a camminare affianco a Tiff come un bambino, prendendo dagli scaffali ciò che mi elencava. Avevamo portato Rob a fare la spesa con noi, dopo aver scoperto che aveva mangiato una pentola intera di tagliatelle per colazione e pranzo. Fece una smorfia quando avevamo cercato di spiegargli che il “cibo” aveva molti più carboidrati di un cartoncino d’acqua.

“Stai andando di nuovo a casa?”

Misi i barattoli di mais sopra la catasta di alimenti messi nel carrello.

“Sì.”

Il carrello intruppò, una vecchia signora aveva sterzato bruscamente verso di noi. Gli occhi castani di Tiff mi guardarono in disapprovazione, inarcò le sopracciglia e continuò ad andare avanti.

“Perché? Dovevamo andare al cinema. Ricordi? Ho questo buono sconto solo per sabato sera, non posso usarlo in altri giorni.”

“Merda. Mi dispiace davvero” scossi la testa con dispiacere.

“Ugh” brontolò Tiff, gettando una scatola di cereali nel nostro carrello. “Oh Dio, dovrò portare Rob.”

“Dove mi porti?” disse Rob con la bocca piena di uva e le braccia piene di pasti spazzatura per il microonde. “Stiamo andando ad un appuntamento, Tiff?”

Le diede una gomitata sulla spalla, facendo ballare le sopracciglia in modo civettuolo.

“Ti piacerebbe” sputò, mettendo fine al suo comportamento.

“Dovresti pagare, prima di iniziare a mangiare la spesa” gli feci notare, prendendo la busta quasi vuota di frutta e mettendola in cima a tutto.

Non mi sorprese che ignorò il mio rimprovero e corse lungo il corridoio per vedere se ci fossero altre offerte. Se era un pasto normale, i costi venivano divisi. Se si trattava di gelato, non veniva condiviso, caso chiuso, c’erano solo dolori di stomaco per aver finito una vaschetta piena da soli.

“Beh, Bo doveva venire con me a vedere il film, ma non può più, quindi verrai te con me.”

“Perfetto! Cosa andiamo a vedere?”

***

“Beh, cosa vuoi dirle?”

L’inchiostro della mia penna scavò nella pagina, facendo degli scarabocchi al margine. Stavo disegnando un prato pieno di fiori, completo di prato e farfalle. Siamo stati seduti dietro la scrivania per 40 minuti, e ancora non avevamo deciso come iniziare la lettera. Immaginavo che da qualche parte ora, Rob stesse assillando Tiff per condividere i suoi popcorn, o sostenere chi dovesse stare appoggiato sul bracciolo centrare.

“Voglio che lei sappia che mi manca.”

“Beh, è un inizio” dico, strappando i miei disegni senza senso ed iniziare a scrivere in una nuova pagina. “Cosa ti manca?”

“Tutto.”

Mi tirai indietro per non turbarlo, sapendo che l’avrebbe messo in imbarazzo, stando attenta a non tirarmi di nuovo avanti. Per combattere il formicolio nel mio piede destro, lo spostai sotto la coscia sinistra e mi concentrai di nuovo. Mack si muoveva come uno yo-yo mentre stavamo insieme, e stavo arrivando a capire che la sua capacità di attenzione era probabilmente il fattore principale del fatto che non riuscisse a finire la lettera. Un paio di occhiali grandi erano appoggiati sulla punta del suo naso e non potevo fare a meno di paragonarlo a James, quindi ebbi un disgusto a vederli indossati. James li teneva al sicuro dentro la sua borsa, li portava solo per guardare la TV. Il fatto che le sue ciglia lunghe toccassero l’interno delle lenti, mi affascinava.

Disegnai una stella all’interno del margine del foglio a righe, pronta per la raffica di idee che seguiranno. Probabilmente eravamo a buon punto, quando Mack prese il diario degli appuntamenti in grembo.

“Mack” un grido echeggiò da fuori.

La sua testa scattò all’istante, gli occhi balzarono da me alla porta come un boomerang.

“E’ Harry.”

La sua voce era bassa, sufficiente per avvertirmi, ma non per attirare l’attenzione che fossimo in due in ufficio. Quando realizzai, misi la penna tra i miei denti, mi allontanai dalla scrivania e mi rotolai a terra. Non avevo idea di dove mettermi, di dove nascondermi.

“E’ in anticipo.” Sibilai.

Il suono dei passi in corridoio erano come un tuono per le mie orecchie, avevo il cuore in gola e strisciavo il più possibile nel piccolo spazio tra lo schedario, al sicuro. Sentivo le mani sporche e probabilmente avevo sporchi di polvere anche i jeans per colpa del pavimento mai pulito. Non era il migliore dei nascondigli, quindi mi strinsi in me stessa in segno di sicurezza. Sbattei la testa sul piano della cassaforte sopra di me, ma la maledizione fu ricacciata in gola per non farmi scoprire. Dal mio nascondiglio potevo vedere le gambe di Mack, dal ginocchio in giù, mentre raccoglieva tutti i fogli che avremmo usato e li cacciasse dentro un cassetto. Il mio stomaco si lamentava e in silenzio mi rimproverai per il pacchetto di Bourbon che avevo mangiato con James giovedì notte. Riuscivo a malapena a respirare, e non volevo succedesse proprio in quel momento, quando la porta dell’ufficio si aprì.

“Harry” Mack salutò un po’ a disagio, probabilmente perché stava permettendo al ‘clandestino’ di nascondersi tra i suoi mobili.

Ingoiai la bile in aumento in gola.

“Ho bisogno dei miei soldi” chiese Harry burbero.

Mi spinsi più indietro nel mio nascondiglio. Probabilmente c’erano dei ragni in agguato con me, ma non avevo intenzione di uscire per controllare. Ero più a disagio col pensiero di farmi vedere.

“Li hai già avuti.” Rispose Mack, appoggiandosi casualmente contro la scrivania.

“Non quelli della scorsa notte.”

Non lo vedevo ancora, non era entrato del tutto in stanza e mi sentii ancora più infantile nel nascondermi di più; celando i miei problemi invece di affrontarli. Era un’idea stupida. La mia agitazione non doveva pesare su altre possibilità, non c’era tempo. Ed ora che ero seduta, incastrata in un piccolo spazio, non significava che avvicinarsi ai venti anni di età potesse togliermi dalla testa una domanda, sarebbe stato davvero così brutto se lui mi avrebbe visto?

Non potevo uscire in quel momento, però, sembravo pazza per nascondermi.

Un lamento mi uscì dalle labbra, tappato dal palmo della mano, non appena Mack si accucciò quasi di fronte a me. Per un paio di orribili secondi mi preoccupai che mi stesse per tirar fuori. Ma non lo fece. Gli occhi comunicano parole non dette e continuò, attendendo fosse accettata la combinazione in cassaforte.

Le note erano infilate in una busta bianca, che lui dispiegò dalla sua posizione accucciata, la porta venne chiusa da un calcio. Ci fu una breve pausa per la paura di essere scoperta.

“Hai una donna qui dentro?” chiese Harry.

La mia bocca si asciugò e mandai indietro l’idea di stritolarmi le budella. Mi tolsi dalla mente l’idea che potesse sentirmi dal profumo, come un predatore con la sua preda. Ma noi non stiamo giocando al gatto col topo, nonostante fossi rintanata e fuori dalla sua vista.

“No” rispose Mack troppo in fretta.

“Quindi questo è tuo?”

Tirai giù la testa il più possibile, guardando ciò che stesse indicando da fuori. Il mio burro cacao era schiacciato tra il pollice e l’indice di Harry, risultava piccolo in confronto alle sue mani da orso. Mi fece sentire più vulnerabile, sapendo che avesse qualcosa di mio, che avevo usato solo dieci minuti prima.

Era troppo alto, non riuscivo a vedergli il viso; il mio unico punto di vista del suo corpo erano i suoi piedi, che mi rassicurarono per la familiarità. Quella parte era Harry. Era il tono pungente che mi faceva oscillare tra la calma e il mettermi in guardia. Era un miscuglio di qualcosa che avevo conosciuto e qualcosa di diverso, inquietante. Jeans attillati e gambe lunghe, Harry. La postura severa e un pugno chiuso appartengono a qualcuno che forse non avevo mai incontrato prima.

“Forse è una delle ragazze del bar, qualcuna era qui prima, per lo stipendio.”

Anche se non conoscessi la verità, non sarei convinta di ciò che aveva appena detto Mack. Non era un attore nato, a cinque anni avrebbe avuto un risultato migliore.

“Guarda, non è mio compito giudicare.”

“Non sto tradendo la mia ragazza.” Affermò subito Mack.

Adesso potevo crederci.

Mack gli diede i soldi e fui grata che lo stesse facendo per liberarmi il prima possibile. Harry se n’era andato, e probabilmente era tempo di andare, troppo.

“Era tutto qui?”

Raccolsi la mia borsa e la giacca dal cassetto, dove li aveva messi Mack prima del nostro agguato. Un tubetto di burro cacao poteva passare inosservato, ma tutto il resto avrebbe sollevato bandiera rossa sventolata in faccia ad Harry.

“Te l’ho detto, non voglio che lo sappia.”

“Probabilmente non avrebbe voluto vederti comunque” disse con irritazione.

Lottai nel mettermi la giacca mentre Mack si pizzicò la punta del naso.

“Non rimani per l’incontro, allora?”

“No, ma ci vediamo presto.”

Diede una sbirciata fuori il corridoio, per poi scortandomi lungo le scale antincendio alla fine di esso. L’aria della notte si spegneva, riflettendo le luci notturne sulla mia pelle, mentre mi dirigevo verso la mia macchina parcheggiata. Il nome di James apparve sullo schermo del mio cellulare e gli risposi prima di guidare verso casa.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Nonostante la mancanza di buon senso, tornai di nuovo. Avendo impegni di studio il venerdì e il sabato con James e Tiff, mi sarebbe piaciuto tornare a casa la domenica. Tiff si era lagnata dicendo che mia mamma si era ammalata per me. Ma non era davvero mia madre che stavo andando a trovare.

Il mio ginocchio non riusciva a smettere di saltellare, muovendosi per l’eccitazione. Era una strana combinazione di sentire le farfalle nello stomaco, altrettanto confuse come me. Le loro ali battevano contro le mie viscere, non appena vidi Harry aprire la porta ed uscire a grandi passi. Era una missione.

“Scemo!”

Era diverso quella sera, più attento, in guardia intorno a lui. Mi sedetti di nuovo dietro, guardandolo dagli spazi sfuggenti tra le persone di fronte a me. Non ci fu spettacolo finché non entrò nel ring, il presentatore stava annunciando Harry, quando quest’ultimo non gli diede tempo di farlo. Il cappuccio nero fu tirato giù, e l’eccitazione di Harry per la folla era stranamente alta. Di solito non guardava oltre il proprio avversario, ma quella sera non si era nemmeno soffermato su di esso. C’era un nodo caldo nello stomaco, quella sensazione che si prova prima di essere trovati a nascondino.

Harry dà un’ultima occhiata alle facce intorno a lui, prima che il presentatore lasciasse i due pugili sul ring. Si fermava di tanto in tanto, osservando la gente, si spingeva contro le corde al fine di scrutare meglio la stanza e riconoscere qualche faccia. Stava cercando qualcuno.

Purtroppo non riuscivo a vedere chiaramente il suo volto; se potevo, avrei sperato di capire i suoi pensieri. Mi sedetti avvolgendomi non appena la lotta iniziò, gli applausi avevano intervalli con gli insulti o affermazioni deluse. Non avrebbe dovuto ascoltarle. La situazione era simile a quella di un animale in quarantena, con le persone che si alzavano per far aumentare il ritmo di violenza, per sentire il ruggito del pugile, dell’animale. Harry questa volta non avrebbe morso.

L’inchiostro dei tatuaggi sul suo braccio era macchiato, lo stesso braccio che usò per difendersi e poi attaccare. Non doveva solo difendersi da pugni, gomitate e spallate, Harry doveva anche stare attento a difendersi dalle ginocchiate. Lanciò un gancio destro, come a sfidare l’attacco di poco prima e poi colpire con un calcio la coscia dell’avversario.

Ero ancora sbalordita dalla serie di colpi, l’abbandono di tutte le regole, senza schemi. Tutto quello che dovevano fare era mandare a terra l’avversario, in qualsiasi modo possibile, a quanto pareva. Harry sapeva tener testa a questa nuova forma di combattimento che non aveva nessuna dotazione protettiva, nonostante ce ne fosse bisogno. Ogni colpo eccitava il pubblico, assetato di vedere il campione fornire un ko spettacolare.

Harry mandò l’avversario a terra, avvolgendolo con la gamba destra per poi afferrargli la parte posteriore del ginocchio. Si accasciò in avanti, sbattendo il mento sul pavimento duro, prima di girarsi dimenandosi sulla schiena. Lo sentivo per lui, le azioni del suo corpo schiacciato in quella posizione. Gli avambracci a proteggere la faccia mentre Harry lo sormontava. I suoi capelli erano raccolti in una bandana, una sola distrazione e finì sul suo volto. Ma le distrazioni non sembravano aiutarlo. Sia Harry ed io, insieme agli altri, eravamo attratti dal putiferio del bar. C’erano già degli uomini che cercavano di portare ordine nella rissa che si era accesa. Un uomo con le manie di grandezza voleva rivendicare la vittoria a un uomo ubriaco. Scossi la testa con disapprovazione come farebbe uno scettico con se stesso.

Tornando al ring, Harry si era messo al lato dello sfidante prendendo posizione sopra ai suoi piedi. Era in ginocchio, ed io non riuscivo a capire cosa succedesse per quanto si muovessero i tavoli. Non c’era pietà, e vidi perfettamente come l’avversario si preparava al colpo di Harry sulla spalla, già dolorante. Il braccio destro di Harry si fermo all’ultimo momento. Mi rimetto nel mio posto con il cuore che batteva nelle orecchie, spingendo freneticamente le persone di fronte a me. Quattro secondi, cinque? Non ero sicura, ma erano pochi secondi. Harry era l’unico in piedi.

Ancora una volta fu sommerso di insulti, le persone erano deluse dal risultato del combattimento e per aver perso le scommesse. Lui sembrava non farci caso, abbassandosi in mezzo alle corde e scendere dal ring. Il presentatore venne lasciato sul ring con il pugile sanguinante e senza il braccio del vincitore da alzare, per aumentare la foga della folla. I miei occhi trovarono Harry mentre si stringeva la spalla e si creava un percorso forzato in mezzo alla gente per uscire dalla porta sul retro.

***

Era curvo su se stesso al bar. C’era un raggio di persone sobrie intorno a lui, gli ubriachi non sembravano curarsene. Harry era stato buttato fuori dalla solita routine, lottare, vincere, e lasciare il ring. Era uscito da un pestaggio mostruoso quella sera, e quando uscì dalla porta che portava al corridoio personale fu l’ultima volta che lo vidi. Era strano vederlo muoversi furtivamente dietro il bar e cercare di passare in mezzo a gruppi di gente che ballava. Era stato di più lo shock ad avermi fatta cadere di nuovo sulla sedia, che quell’insaziabile voglia di avere di fronte a me la sua presenza.

Il suo senso del vestirsi non era cambiato molto, anche se ora padroneggiava una tendenza al nero, macchiato e strappato. Non c’era quasi nessun colore nel suo guardaroba e non potevo fare a meno di sentirmi triste per questa cosa. Indossava dei comuni jeans stretti; il nero abbinava la maglia sotto la camicia a quadri. Posso dire che la sua spalla gli stava causando ancora dei problemi, vedendolo appoggiare l’avambraccio in grembo.

Mack era in ritardo, non l’avevo visto tutta la sera così mi ero presa un tavolo e una bevanda da bere da sola. Molte persone se n’erano andate dopo l’ultimo combattimento, la tensione era sparita al bar, tanto da far diventare quel posto irriconoscibile come arena. Non passò molto tempo prima che qualcuno si avvicinò al mio tavolo per sedersi. Non mi dispiaceva la compagnia, era bello poter chiacchierare e ridere da alticci.

“Ti piace?”

Mi rivolsi alla ragazza seduta accanto a me. Il suo eyeliner era volutamente sbaffato e aveva un piercing a cerchietto d’argento sul labbro. Stava bene con il taglio dei suoi capelli trasandati.

“Chi?” Chiedo, anche se era abbastanza chiaro a cosa si riferisse.

A quanto pare, ero stata meno discreta di quanto pensassi nell’osservarlo. Non era mia intenzione guardarlo troppo a lungo e con occhi avidi, non avrei immaginato qualcuno mi avesse notata.

“Harry.”

Scossi la testa per l’imbarazzo di essere scoperta. Era strano sentire il suo nome, molti sembrano riferirsi a lui ultimamente, come se ‘Harry’ fosse troppo personale.

“Ti tingi i capelli?”

Non mi aspettavo che la conversazione prendesse quella brusca svolta. Si strofinò pensierosa l’indice sulla bocca mentre si sforzava nel pensare al mio colore di capelli.

“Già.”

“Peccato”, le sue dita scattarono dietro il suo orecchio “ho sentito che non gli piacciono molto le brune”, sorrise prendendomi in giro. Anche se presumo le sue intenzioni non fossero gentili, ma alquanto sinistre. “Dovresti andare a parlargli.”
“E’ meglio lasciarlo stare.”

Non credo sarebbe stata la cosa più saggia da fare, soprattutto dopo aver visto come si era rivolto ad un uomo che aveva cercato di conversare con lui. Non stava chiacchierando, anche se erano in mezzo ai suoi ‘fans’.

“Vengo con te.”

Mi prese la mano, mi trascinò via dalla sedia e mi portò dietro il bar. Riuscii a malapena a prendere la mia borsa e mettermela sopra la spalla, non feci in tempo col cappotto. Era rimasto con il gruppo di persone che certamente, per quanto fossero ubriache, non avrebbero riconosciuto una giacca della Hollister come possibile furto. Mi sentivo come un bambino che fa i capricci, opponendosi ed impuntandosi con i talloni per terra. Potevo vedere dove stessimo andando, uno spazio libero vicino Harry. Lo spazio era abbastanza grande da non causare disturbo con il nostro arrivo, e lei stessa decise da che parte spingermi. Il suo corpo era come una barriera tra Harry e me. Era girata verso di me, facendomi un cenno per fare non so cosa. Non ci fu tempo di chiedere perché si era già allontanata voltandosi, ancora mi stringeva la mano. Il mio corpo era molle.

“Vuoi bere qualcosa, bello?” chiese, con voce calda e sensuale.

Probabilmente era il peggior modo di aprire una conversazione che avessi mai sentito; così orribile che per un momento mi persi ciò che stava accadendo di fronte a me, per poi costringermi a guardare di nuovo. Una fitta di rabbia mi penetrò, oltre ogni apprensione, nello stomaco. La mia mente era scattante a mantenere lucidità accanto alla ragazza senza nome, e in quel momento mi resi conto che non era rabbia, ma gelosia. Non volevo che lei stesse accanto a lui e la parte più giovane del mio cervello aveva etichettato Harry come mio. Solo mio. Doveva togliergli le mani di dosso.

“Ne ho già uno.”, rispose burbero.

Dal punto in cui ero, lo vidi muovere il bicchiere, facendo oscillare il liquido ambrato, per poi premerselo contro le tempie. Il ghiaccio scongelato si scontrava con il vetro ed io ero silenziosamente soddisfatta del suo scollare le spalle in rifiuto alla ragazza.

“Posso offrirtene un altro.”

Sentii sbattere il bicchiere sul bancone del bar. Fu doloroso capire che voleva essere lasciato in pace, ma lui lo stava perseguitando, punzecchiandolo con offerte che lui rifiutava. Lo vedemmo ruggire.

“No”, ribatté senza mezzi termini.

Tirai la sua presa, ma le piccole dita ossute avevano più forza di quanta ne avessi io. Uno strattone e saremo entrambe finite a terra, e non ero molto entusiasmata all’idea di essere derisa dagli ubriachi.

“Beh, forse potresti offrirmene uno.”

Stronza.

La testa di Harry si girò bruscamente e il mio corpo si mosse con uno scatto dall’altra parte. Prego che non si rendano conto del martellamento in petto. Ripetevo a me stessa che era la musica e non il cuore. La mano della ragazza tornò a stringere come un pitone, capendo improvvisamente dell’errore commesso, o forse perché ora l’attenzione era tutta su di lei. Non parlavano, mentre io aspettavo lei si guardò intorno con non calanche, stringendo ancora più dolorosamente le mie dita. Ma la sua espressione cadde non appena posò il suo sguardo su di me. La sua mano carezzò delicatamente la guancia di Harry ed io rimasi stordita. Mi aspettavo lui cominciasse a gridarle contro o che la spingesse via, ma lui non lo fece. Vorrei l’avesse fatto.

I suoi occhi erano chiusi quando diedi una leggera sbirciata, il suo volto era poco illuminato. C’era una mezza luna gonfia e rosea sotto il suo occhio sinistro e supposi fosse una conseguenza dello schivare il colpo al viso. Avevo visto ferite minori, come prima, nulla di cui preoccuparsi in quanto sarebbe sparito in un paio di giorni. Ciò che attirò la mia attenzione fu una cicatrice più definita.

“Non mi dà fastidio”, parlò debolmente, mi fece uscire dal mio sogno ad occhi aperti con uno sguardo.

C’erano molte cose a cui poteva riferirsi, ma il modo in cui lui si appoggiò al tocco dolce di lei mi fece sprofondare. Non capivo. Aveva rifiutato le sue offerte, Harry era perfettamente consapevole su dove si trovasse ed ora era quasi indifeso alle sue avances.

La mano di lei cadde dal suo volto, scivolando sul petto per poi posarsi sulla coscia. Ero a disagio nel vederlo essere toccato così intimamente. Harry non si muoveva, ma io lo guardavo senza paure, perché ero sicuro lui fosse concentrato solo su di lei. Non guardai sopra le spalle di lei poiché non avevo voglia di vedere il sorriso che era solito farmi. Mi morsi le labbra, indipendentemente dal successo della sua cattura, lei dipendeva ancora da me, quanto la sua vita dipendesse da tutto questo. Era quasi in braccio a Harry ed io sentivo come se mi stessero prendendo a pugni sullo stomaco.

A cosa diavolo stava giocando?

Guardai con disprezzo il modo in cui le si appoggiava ancora addosso, e come lui non la rifiutasse. I suoi occhi rimasero chiusi, godendosi l’attenzione della ragazza. Il bar continuava ad avere un’atmosfera elettrizzante, la gente ora era troppo appiccicata per i miei gusti.

“Puoi avere tutte e due” mormorò sensualmente al suo orecchio.

E mi persi. Sentii un bruciore partire dalla punta dei piedi, incenerendo qualsiasi cosa creasse intralcio sul suo cammino, comprese le farfalle in preda al panico nel mio stomaco. Era qualcosa che non avevo mai sentito con James, e probabilmente non l’avrei mai provata perché lui non era Harry. James non mi eccita nel modo in cui mi sentivo in quel momento, non mi sentirà ansimare pregandolo o chiedendogli che mi tocchi di più. E mi sentii in colpa di provare ancora certe emozioni per un ragazzo che avrei dovuto dimenticare.

Per favore, no. Non questo.

“Puoi scoparci insieme.”

Vidi indietreggiare la ragazza, con l’aiuto del braccio di Harry, ma non mi voltai del tutto. I suoi occhi attenti mi erano familiari, divenni consapevole della valutazione che stava avendo di me. Era di profilo, riluttante, la mia faccia era coperta dai capelli oro scuro. La ragazza cercò di togliermi i capelli dal volto con la mano libera, ma non glielo permisi. Quasi sentii il ringhio di risposta al mio rifiuto del suo tocco.

Fu come se la mia reazione arrivò come una scintilla verso Harry. Lei venne spinta dal posto fra le sue gambe, lasciandogli la mano sorpresa. Il suo debole tentativo di prendergli il braccio fallì immediatamente.

“Non sono qui per il vostro divertimento malato”, sputò Harry. La ragazza venne presa alla sprovvista e si imbatté su di me per fuggire. Il tono della sua voce determinò quanto fosse arrivato al limite.

“No, no, non ero…” si difese agitandosi.

“Non mi scoperò né te né la tua amica, quindi fate un favore a voi stesse.”

Harry batté involontariamente sullo sgabello in cui era seduto, e si alzò. Urtò contro gli spettatori che guardavano ad occhi spalancati, si dimenticò della sua spalla ferita, sostituita da un senso di irritazione.

“Andiamo” dissi con urgenza, prendendole il polso e trascinandola via.

Afferrai il mio cappotto passando accanto al tavolo in cui ero seduta prima e non mi fermai finché non fui fuori nella notte.

“Che diavolo era quello?” domandai, lasciandole la mano.

C’erano delle persone fuori a fumare che cominciarono ad ascoltare interessati le nostre urla. Feci uno sforzo per calmarmi.

“Beh, non voleva portare solo a me a casa?” rispose con amarezza. “Avevamo bisogno di addolcire la situazione. Proprio il suo tipo.” Tornò a mettermi i capelli dietro l’orecchio ed io le misi di nuovo la mano sul fianco con forza. La sua risata mi stava irritando. “Hai rovinato tutto.”

“Sono sicura che non è la fine del mondo.”

“Avrei dovuto fargli un pompino al bagno, ci sarebbero stati meno problemi.”

Si appoggiò sulla mia spalla sbuffando, non avevo mai avuto una conversazione simile. Non realizzai fino a quando lei se ne andò, ed io strinsi i pugni.

***

Dovetti camminare intorno al club. Avevo dovuto parcheggiare fuori il parcheggio appena arrivata, quindi la macchina era un po’ più lontana di quanto sperassi, ma non avevo scelta. C’era della spazzatura sul marciapiede e uno dei lampione gettava una luce tremolante.

C’erano tre ragazzi brilli che facevano finta di prendersi a pugni. Non mi preoccupai di loro, non erano un pericolo poiché uno di loro era appena inciampato sui suoi stessi piedi. Stavano ridendo muovendosi tra di loro.

“Ehi!” Chiamò uno di loro.

Continuai a camminare, leggermente più veloce di poco prima. La mia macchina era proprio dall’altro lato della strada, se mi fossi sbrigata ci sarei entrata e mi ci sarei chiusa in meno di dieci secondi.

“Hey.”

Il mio corpo vacillò allarmato non appena l’uomo mi apparve di fronte sorridendomi.

“Che ne pensi? Potevo prenderlo, vero?”

Il suo discorso non aveva molto senso, l’odore pungente di liquore sporcava l’aria tra di noi. C’era una macchia sulla sua maglia, un singhiozzo accompagnò le sue parole.

“Chi?” chiedo, le mie dita cercavano le chiavi.

Lui non se ne accorse.

“Styles.”

Risi quasi dal nervoso. I suoi occhi aspettavano una mia risposta, alzando poi le sopracciglia in conferma del fatto che conoscessi quel nome. Il ragazzo del bar, quello che delirava sulle scommesse mentre Harry era sul ring.

“Non avrebbe perso tempo con te” risposi sinceramente.

Non volevo essere così schietta e dal modo in cui arrossì e dalle risate dei suoi amici, lo avevo imbarazzato.

“E’ stato un ko pulito” contestò lui.

La cosa più intelligente da fare sarebbe stato dargli ragione e andar via, ma a quanto pare non sono capace a farlo in situazioni del genere.

“No” scossi la testa contrariata. “Hai appena spinto un ubriaco. Hai scelto un bersaglio facile, non voleva lottare sul serio e lo sai.”

Volevo mettermi del nastro adesivo sulla bocca, prima di continuare a dire tutto quello che pensavo. I suoi amici si erano avvicinati ed io cercavo di mandar giù la paura, cercando le chiavi in borsa e mettendo una chiave tra ogni dito della mano destra. La vista offuscata dell’uomo mi osservava da capo a piedi. Dovevo andarmene.

“Non direi fosse più facile.”

Il percorso per arrivare alla macchina era bloccato. Stavo pensando di usare le chiavi, tagliandogli il viso e scappare via.

“Che ne dici? Valgo un po’ del tuo tempo?” disse.

“Per favore, levati.” Dissi, più autorevole di quanto non fossi, probabilmente.

Il metallo era caldo tra le mie dita, dovevo fare un passo avanti ed usarlo.

“Oi!”

Quattro di noi si voltarono a guardare verso la scala antincendio sul retro del club. Non ero la damigella da salvare, e non ero nemmeno sicura che il nuovo Harry fosse l’eroe, ma il suo tempismo non poteva essere più perfetto. L’aria si riempì di una nuova tensione che mi metteva doppiamente fuori gioco.

“Oh, guarda, è lui” il ragazzo mi sorrise maliziosamente. “Abbiamo una delle tue fans qui, amico.”

Mi mossi leggermente verso la direzione di Harry. Era vicino, gli stivali si mossero sopra i sassolini dell’asfalto. Mi camminò intorno, mettendosi tra me e quei ragazzi. Mi posizionai dietro di lui, riparandomi.

“Perché te e i tuoi amici non ve ne andate a fanculo da un’altra parte, eh? Non ha fatto nulla di male.”

Harry aveva ancora le mani dentro le tasche dei jeans, come a provare che questa faccenda fosse noiosa per lui. Vedevo i lembi corti della bandana solleticargli il collo, anche se non mostrava disagio ad avermi così vicina.

“Ha ferito i miei sentimenti” disse l’uomo falsamente offeso.

Sentii Harry sogghignare, avanzando vagamente per affrontarlo di persona.

“Lo trovo difficile da credere, con una testa grossa come la tua.”

Fu come se l’intimidazione venne data con un solo colpo d’occhio. Gli uomini si convinsero troppo facilmente. Se ne andarono calciando via qualche lattina vuota dall’asfalto e farla rimbalzare sul muro.

“Scemo!”

Le grida echeggiarono lungo la strada, ma Harry non se ne curò. Guardò il pavimento mentre spostava il suo peso all’indietro. La mano passò insicura pochi centimetri sopra la mia spalla, prima di ricadere sul suo fianco ancora una volta.

“Stai bene?”

“Bene” deglutii. “Grazie.”

Se mi aveva riconosciuta dal bar non ne avrebbe parlato, e ne ero contenta perché le mie mani avevano cominciato a sudare e potevo quasi sentire il mio cuore martellare nel petto. Non avevo programmato un incontro faccia a faccia come questo; bene, non era molto più di una conversazione, non avevo nemmeno il coraggio di guardarlo in faccia. Probabilmente pensava fossi maleducata.

“Hai bisogno di me per camminare da qualsiasi parte?”

Sorrisi dolcemente, coprendomi ancora dai capelli. Era il primo segno che ricevevo in conferma che parte del suo ‘io’ passato fosse ancora presente nel nuovo Harry. Non tutto, ormai lui non c’era più.

“La mia auto è solo…” mi tirai indietro gesticolando verso il veicolo grigio. “Va tutto bene, grazie”, e lo lasciai lì.

La breve passeggiata che poco prima volevo fare di corsa, la feci con calma. Cioè, fino a quando non sbirciai da sopra la mia spalla, pentendomene immediatamente. Harry stava ancora lì. Mi controllava attraversare la strada. Perché era ancora lì? Non era ostinato, era fatto di proposito. Rimase lì per un motivo.

Feci chiasso con le mie chiavi, maledicendomi nel momento in cui le feci cadere per poi raccoglierle frettolosamente. Mi tremavano le mani.

Voleva farmi entrare nella mia macchina. Guiderò via e non sarò tentata nel guardarlo dallo specchietto retrovisore. Per favore, fatemi entrare in macchina.

“Bo.”

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Nonostante la mancanza di buon senso, tornai di nuovo. Avendo impegni di studio il venerdì e il sabato con James e Tiff, mi sarebbe piaciuto tornare a casa la domenica. Tiff si era lagnata dicendo che mia mamma si era ammalata per me. Ma non era davvero mia madre che stavo andando a trovare.



Il mio ginocchio non riusciva a smettere di saltellare, muovendosi per l’eccitazione. Era una strana combinazione di sentire le farfalle nello stomaco, altrettanto confuse come me. Le loro ali battevano contro le mie viscere, non appena vidi Harry aprire la porta ed uscire a grandi passi. Era una missione.



“Scemo!”



Era diverso quella sera, più attento, in guardia intorno a lui. Mi sedetti di nuovo dietro, guardandolo dagli spazi sfuggenti tra le persone di fronte a me. Non ci fu spettacolo finché non entrò nel ring, il presentatore stava annunciando Harry, quando quest’ultimo non gli diede tempo di farlo. Il cappuccio nero fu tirato giù, e l’eccitazione di Harry per la folla era stranamente alta. Di solito non guardava oltre il proprio avversario, ma quella sera non si era nemmeno soffermato su di esso. C’era un nodo caldo nello stomaco, quella sensazione che si prova prima di essere trovati a nascondino.



Harry dà un’ultima occhiata alle facce intorno a lui, prima che il presentatore lasciasse i due pugili sul ring. Si fermava di tanto in tanto, osservando la gente, si spingeva contro le corde al fine di scrutare meglio la stanza e riconoscere qualche faccia. Stava cercando qualcuno.



Purtroppo non riuscivo a vedere chiaramente il suo volto; se potevo, avrei sperato di capire i suoi pensieri. Mi sedetti avvolgendomi non appena la lotta iniziò, gli applausi avevano intervalli con gli insulti o affermazioni deluse. Non avrebbe dovuto ascoltarle. La situazione era simile a quella di un animale in quarantena, con le persone che si alzavano per far aumentare il ritmo di violenza, per sentire il ruggito del pugile, dell’animale. Harry questa volta non avrebbe morso.



L’inchiostro dei tatuaggi sul suo braccio era macchiato, lo stesso braccio che usò per difendersi e poi attaccare. Non doveva solo difendersi da pugni, gomitate e spallate, Harry doveva anche stare attento a difendersi dalle ginocchiate. Lanciò un gancio destro, come a sfidare l’attacco di poco prima e poi colpire con un calcio la coscia dell’avversario.



Ero ancora sbalordita dalla serie di colpi, l’abbandono di tutte le regole, senza schemi. Tutto quello che dovevano fare era mandare a terra l’avversario, in qualsiasi modo possibile, a quanto pareva. Harry sapeva tener testa a questa nuova forma di combattimento che non aveva nessuna dotazione protettiva, nonostante ce ne fosse bisogno. Ogni colpo eccitava il pubblico, assetato di vedere il campione fornire un ko spettacolare.



Harry mandò l’avversario a terra, avvolgendolo con la gamba destra per poi afferrargli la parte posteriore del ginocchio. Si accasciò in avanti, sbattendo il mento sul pavimento duro, prima di girarsi dimenandosi sulla schiena. Lo sentivo per lui, le azioni del suo corpo schiacciato in quella posizione. Gli avambracci a proteggere la faccia mentre Harry lo sormontava. I suoi capelli erano raccolti in una bandana, una sola distrazione e finì sul suo volto. Ma le distrazioni non sembravano aiutarlo. Sia Harry ed io, insieme agli altri, eravamo attratti dal putiferio del bar. C’erano già degli uomini che cercavano di portare ordine nella rissa che si era accesa. Un uomo con le manie di grandezza voleva rivendicare la vittoria a un uomo ubriaco. Scossi la testa con disapprovazione come farebbe uno scettico con se stesso.



Tornando al ring, Harry si era messo al lato dello sfidante prendendo posizione sopra ai suoi piedi. Era in ginocchio, ed io non riuscivo a capire cosa succedesse per quanto si muovessero i tavoli. Non c’era pietà, e vidi perfettamente come l’avversario si preparava al colpo di Harry sulla spalla, già dolorante. Il braccio destro di Harry si fermo all’ultimo momento. Mi rimetto nel mio posto con il cuore che batteva nelle orecchie, spingendo freneticamente le persone di fronte a me. Quattro secondi, cinque? Non ero sicura, ma erano pochi secondi. Harry era l’unico in piedi.



Ancora una volta fu sommerso di insulti, le persone erano deluse dal risultato del combattimento e per aver perso le scommesse. Lui sembrava non farci caso, abbassandosi in mezzo alle corde e scendere dal ring. Il presentatore venne lasciato sul ring con il pugile sanguinante e senza il braccio del vincitore da alzare, per aumentare la foga della folla. I miei occhi trovarono Harry mentre si stringeva la spalla e si creava un percorso forzato in mezzo alla gente per uscire dalla porta sul retro.



***



Era curvo su se stesso al bar. C’era un raggio di persone sobrie intorno a lui, gli ubriachi non sembravano curarsene. Harry era stato buttato fuori dalla solita routine, lottare, vincere, e lasciare il ring. Era uscito da un pestaggio mostruoso quella sera, e quando uscì dalla porta che portava al corridoio personale fu l’ultima volta che lo vidi. Era strano vederlo muoversi furtivamente dietro il bar e cercare di passare in mezzo a gruppi di gente che ballava. Era stato di più lo shock ad avermi fatta cadere di nuovo sulla sedia, che quell’insaziabile voglia di avere di fronte a me la sua presenza.



Il suo senso del vestirsi non era cambiato molto, anche se ora padroneggiava una tendenza al nero, macchiato e strappato. Non c’era quasi nessun colore nel suo guardaroba e non potevo fare a meno di sentirmi triste per questa cosa. Indossava dei comuni jeans stretti; il nero abbinava la maglia sotto la camicia a quadri. Posso dire che la sua spalla gli stava causando ancora dei problemi, vedendolo appoggiare l’avambraccio in grembo.



Mack era in ritardo, non l’avevo visto tutta la sera così mi ero presa un tavolo e una bevanda da bere da sola. Molte persone se n’erano andate dopo l’ultimo combattimento, la tensione era sparita al bar, tanto da far diventare quel posto irriconoscibile come arena. Non passò molto tempo prima che qualcuno si avvicinò al mio tavolo per sedersi. Non mi dispiaceva la compagnia, era bello poter chiacchierare e ridere da alticci.



“Ti piace?”



Mi rivolsi alla ragazza seduta accanto a me. Il suo eyeliner era volutamente sbaffato e aveva un piercing a cerchietto d’argento sul labbro. Stava bene con il taglio dei suoi capelli trasandati.



“Chi?” Chiedo, anche se era abbastanza chiaro a cosa si riferisse.



A quanto pare, ero stata meno discreta di quanto pensassi nell’osservarlo. Non era mia intenzione guardarlo troppo a lungo e con occhi avidi, non avrei immaginato qualcuno mi avesse notata.



“Harry.”



Scossi la testa per l’imbarazzo di essere scoperta. Era strano sentire il suo nome, molti sembrano riferirsi a lui ultimamente, come se ‘Harry’ fosse troppo personale.



“Ti tingi i capelli?”



Non mi aspettavo che la conversazione prendesse quella brusca svolta. Si strofinò pensierosa l’indice sulla bocca mentre si sforzava nel pensare al mio colore di capelli.



“Già.”



“Peccato”, le sue dita scattarono dietro il suo orecchio “ho sentito che non gli piacciono molto le brune”, sorrise prendendomi in giro. Anche se presumo le sue intenzioni non fossero gentili, ma alquanto sinistre. “Dovresti andare a parlargli.”

“E’ meglio lasciarlo stare.”



Non credo sarebbe stata la cosa più saggia da fare, soprattutto dopo aver visto come si era rivolto ad un uomo che aveva cercato di conversare con lui. Non stava chiacchierando, anche se erano in mezzo ai suoi ‘fans’.



“Vengo con te.”



Mi prese la mano, mi trascinò via dalla sedia e mi portò dietro il bar. Riuscii a malapena a prendere la mia borsa e mettermela sopra la spalla, non feci in tempo col cappotto. Era rimasto con il gruppo di persone che certamente, per quanto fossero ubriache, non avrebbero riconosciuto una giacca della Hollister come possibile furto. Mi sentivo come un bambino che fa i capricci, opponendosi ed impuntandosi con i talloni per terra. Potevo vedere dove stessimo andando, uno spazio libero vicino Harry. Lo spazio era abbastanza grande da non causare disturbo con il nostro arrivo, e lei stessa decise da che parte spingermi. Il suo corpo era come una barriera tra Harry e me. Era girata verso di me, facendomi un cenno per fare non so cosa. Non ci fu tempo di chiedere perché si era già allontanata voltandosi, ancora mi stringeva la mano. Il mio corpo era molle.



“Vuoi bere qualcosa, bello?” chiese, con voce calda e sensuale.



Probabilmente era il peggior modo di aprire una conversazione che avessi mai sentito; così orribile che per un momento mi persi ciò che stava accadendo di fronte a me, per poi costringermi a guardare di nuovo. Una fitta di rabbia mi penetrò, oltre ogni apprensione, nello stomaco. La mia mente era scattante a mantenere lucidità accanto alla ragazza senza nome, e in quel momento mi resi conto che non era rabbia, ma gelosia. Non volevo che lei stesse accanto a lui e la parte più giovane del mio cervello aveva etichettato Harry come mio. Solo mio. Doveva togliergli le mani di dosso.



“Ne ho già uno.”, rispose burbero.



Dal punto in cui ero, lo vidi muovere il bicchiere, facendo oscillare il liquido ambrato, per poi premerselo contro le tempie. Il ghiaccio scongelato si scontrava con il vetro ed io ero silenziosamente soddisfatta del suo scollare le spalle in rifiuto alla ragazza.



“Posso offrirtene un altro.”



Sentii sbattere il bicchiere sul bancone del bar. Fu doloroso capire che voleva essere lasciato in pace, ma lui lo stava perseguitando, punzecchiandolo con offerte che lui rifiutava. Lo vedemmo ruggire.



“No”, ribatté senza mezzi termini.



Tirai la sua presa, ma le piccole dita ossute avevano più forza di quanta ne avessi io. Uno strattone e saremo entrambe finite a terra, e non ero molto entusiasmata all’idea di essere derisa dagli ubriachi.



“Beh, forse potresti offrirmene uno.”



Stronza.



La testa di Harry si girò bruscamente e il mio corpo si mosse con uno scatto dall’altra parte. Prego che non si rendano conto del martellamento in petto. Ripetevo a me stessa che era la musica e non il cuore. La mano della ragazza tornò a stringere come un pitone, capendo improvvisamente dell’errore commesso, o forse perché ora l’attenzione era tutta su di lei. Non parlavano, mentre io aspettavo lei si guardò intorno con non calanche, stringendo ancora più dolorosamente le mie dita. Ma la sua espressione cadde non appena posò il suo sguardo su di me. La sua mano carezzò delicatamente la guancia di Harry ed io rimasi stordita. Mi aspettavo lui cominciasse a gridarle contro o che la spingesse via, ma lui non lo fece. Vorrei l’avesse fatto.



I suoi occhi erano chiusi quando diedi una leggera sbirciata, il suo volto era poco illuminato. C’era una mezza luna gonfia e rosea sotto il suo occhio sinistro e supposi fosse una conseguenza dello schivare il colpo al viso. Avevo visto ferite minori, come prima, nulla di cui preoccuparsi in quanto sarebbe sparito in un paio di giorni. Ciò che attirò la mia attenzione fu una cicatrice più definita.



“Non mi dà fastidio”, parlò debolmente, mi fece uscire dal mio sogno ad occhi aperti con uno sguardo.



C’erano molte cose a cui poteva riferirsi, ma il modo in cui lui si appoggiò al tocco dolce di lei mi fece sprofondare. Non capivo. Aveva rifiutato le sue offerte, Harry era perfettamente consapevole su dove si trovasse ed ora era quasi indifeso alle sue avances.



La mano di lei cadde dal suo volto, scivolando sul petto per poi posarsi sulla coscia. Ero a disagio nel vederlo essere toccato così intimamente. Harry non si muoveva, ma io lo guardavo senza paure, perché ero sicuro lui fosse concentrato solo su di lei. Non guardai sopra le spalle di lei poiché non avevo voglia di vedere il sorriso che era solito farmi. Mi morsi le labbra, indipendentemente dal successo della sua cattura, lei dipendeva ancora da me, quanto la sua vita dipendesse da tutto questo. Era quasi in braccio a Harry ed io sentivo come se mi stessero prendendo a pugni sullo stomaco.



A cosa diavolo stava giocando?



Guardai con disprezzo il modo in cui le si appoggiava ancora addosso, e come lui non la rifiutasse. I suoi occhi rimasero chiusi, godendosi l’attenzione della ragazza. Il bar continuava ad avere un’atmosfera elettrizzante, la gente ora era troppo appiccicata per i miei gusti.



“Puoi avere tutte e due” mormorò sensualmente al suo orecchio.



E mi persi. Sentii un bruciore partire dalla punta dei piedi, incenerendo qualsiasi cosa creasse intralcio sul suo cammino, comprese le farfalle in preda al panico nel mio stomaco. Era qualcosa che non avevo mai sentito con James, e probabilmente non l’avrei mai provata perché lui non era Harry. James non mi eccita nel modo in cui mi sentivo in quel momento, non mi sentirà ansimare pregandolo o chiedendogli che mi tocchi di più. E mi sentii in colpa di provare ancora certe emozioni per un ragazzo che avrei dovuto dimenticare.



Per favore, no. Non questo.



“Puoi scoparci insieme.”



Vidi indietreggiare la ragazza, con l’aiuto del braccio di Harry, ma non mi voltai del tutto. I suoi occhi attenti mi erano familiari, divenni consapevole della valutazione che stava avendo di me. Era di profilo, riluttante, la mia faccia era coperta dai capelli oro scuro. La ragazza cercò di togliermi i capelli dal volto con la mano libera, ma non glielo permisi. Quasi sentii il ringhio di risposta al mio rifiuto del suo tocco.



Fu come se la mia reazione arrivò come una scintilla verso Harry. Lei venne spinta dal posto fra le sue gambe, lasciandogli la mano sorpresa. Il suo debole tentativo di prendergli il braccio fallì immediatamente.



“Non sono qui per il vostro divertimento malato”, sputò Harry. La ragazza venne presa alla sprovvista e si imbatté su di me per fuggire. Il tono della sua voce determinò quanto fosse arrivato al limite.



“No, no, non ero…” si difese agitandosi.



“Non mi scoperò né te né la tua amica, quindi fate un favore a voi stesse.”



Harry batté involontariamente sullo sgabello in cui era seduto, e si alzò. Urtò contro gli spettatori che guardavano ad occhi spalancati, si dimenticò della sua spalla ferita, sostituita da un senso di irritazione.



“Andiamo” dissi con urgenza, prendendole il polso e trascinandola via.



Afferrai il mio cappotto passando accanto al tavolo in cui ero seduta prima e non mi fermai finché non fui fuori nella notte.



“Che diavolo era quello?” domandai, lasciandole la mano.



C’erano delle persone fuori a fumare che cominciarono ad ascoltare interessati le nostre urla. Feci uno sforzo per calmarmi.



“Beh, non voleva portare solo a me a casa?” rispose con amarezza. “Avevamo bisogno di addolcire la situazione. Proprio il suo tipo.” Tornò a mettermi i capelli dietro l’orecchio ed io le misi di nuovo la mano sul fianco con forza. La sua risata mi stava irritando. “Hai rovinato tutto.”



“Sono sicura che non è la fine del mondo.”



“Avrei dovuto fargli un pompino al bagno, ci sarebbero stati meno problemi.”



Si appoggiò sulla mia spalla sbuffando, non avevo mai avuto una conversazione simile. Non realizzai fino a quando lei se ne andò, ed io strinsi i pugni.



***



Dovetti camminare intorno al club. Avevo dovuto parcheggiare fuori il parcheggio appena arrivata, quindi la macchina era un po’ più lontana di quanto sperassi, ma non avevo scelta. C’era della spazzatura sul marciapiede e uno dei lampione gettava una luce tremolante.



C’erano tre ragazzi brilli che facevano finta di prendersi a pugni. Non mi preoccupai di loro, non erano un pericolo poiché uno di loro era appena inciampato sui suoi stessi piedi. Stavano ridendo muovendosi tra di loro.



“Ehi!” Chiamò uno di loro.



Continuai a camminare, leggermente più veloce di poco prima. La mia macchina era proprio dall’altro lato della strada, se mi fossi sbrigata ci sarei entrata e mi ci sarei chiusa in meno di dieci secondi.



“Hey.”



Il mio corpo vacillò allarmato non appena l’uomo mi apparve di fronte sorridendomi.



“Che ne pensi? Potevo prenderlo, vero?”



Il suo discorso non aveva molto senso, l’odore pungente di liquore sporcava l’aria tra di noi. C’era una macchia sulla sua maglia, un singhiozzo accompagnò le sue parole.



“Chi?” chiedo, le mie dita cercavano le chiavi.



Lui non se ne accorse.



“Styles.”



Risi quasi dal nervoso. I suoi occhi aspettavano una mia risposta, alzando poi le sopracciglia in conferma del fatto che conoscessi quel nome. Il ragazzo del bar, quello che delirava sulle scommesse mentre Harry era sul ring.



“Non avrebbe perso tempo con te” risposi sinceramente.



Non volevo essere così schietta e dal modo in cui arrossì e dalle risate dei suoi amici, lo avevo imbarazzato.



“E’ stato un ko pulito” contestò lui.



La cosa più intelligente da fare sarebbe stato dargli ragione e andar via, ma a quanto pare non sono capace a farlo in situazioni del genere.



“No” scossi la testa contrariata. “Hai appena spinto un ubriaco. Hai scelto un bersaglio facile, non voleva lottare sul serio e lo sai.”



Volevo mettermi del nastro adesivo sulla bocca, prima di continuare a dire tutto quello che pensavo. I suoi amici si erano avvicinati ed io cercavo di mandar giù la paura, cercando le chiavi in borsa e mettendo una chiave tra ogni dito della mano destra. La vista offuscata dell’uomo mi osservava da capo a piedi. Dovevo andarmene.



“Non direi fosse più facile.”



Il percorso per arrivare alla macchina era bloccato. Stavo pensando di usare le chiavi, tagliandogli il viso e scappare via.



“Che ne dici? Valgo un po’ del tuo tempo?” disse.



“Per favore, levati.” Dissi, più autorevole di quanto non fossi, probabilmente.



Il metallo era caldo tra le mie dita, dovevo fare un passo avanti ed usarlo.



“Oi!”



Quattro di noi si voltarono a guardare verso la scala antincendio sul retro del club. Non ero la damigella da salvare, e non ero nemmeno sicura che il nuovo Harry fosse l’eroe, ma il suo tempismo non poteva essere più perfetto. L’aria si riempì di una nuova tensione che mi metteva doppiamente fuori gioco.



“Oh, guarda, è lui” il ragazzo mi sorrise maliziosamente. “Abbiamo una delle tue fans qui, amico.”



Mi mossi leggermente verso la direzione di Harry. Era vicino, gli stivali si mossero sopra i sassolini dell’asfalto. Mi camminò intorno, mettendosi tra me e quei ragazzi. Mi posizionai dietro di lui, riparandomi.



“Perché te e i tuoi amici non ve ne andate a fanculo da un’altra parte, eh? Non ha fatto nulla di male.”



Harry aveva ancora le mani dentro le tasche dei jeans, come a provare che questa faccenda fosse noiosa per lui. Vedevo i lembi corti della bandana solleticargli il collo, anche se non mostrava disagio ad avermi così vicina.



“Ha ferito i miei sentimenti” disse l’uomo falsamente offeso.



Sentii Harry sogghignare, avanzando vagamente per affrontarlo di persona.



“Lo trovo difficile da credere, con una testa grossa come la tua.”



Fu come se l’intimidazione venne data con un solo colpo d’occhio. Gli uomini si convinsero troppo facilmente. Se ne andarono calciando via qualche lattina vuota dall’asfalto e farla rimbalzare sul muro.



“Scemo!”



Le grida echeggiarono lungo la strada, ma Harry non se ne curò. Guardò il pavimento mentre spostava il suo peso all’indietro. La mano passò insicura pochi centimetri sopra la mia spalla, prima di ricadere sul suo fianco ancora una volta.



“Stai bene?”



“Bene” deglutii. “Grazie.”



Se mi aveva riconosciuta dal bar non ne avrebbe parlato, e ne ero contenta perché le mie mani avevano cominciato a sudare e potevo quasi sentire il mio cuore martellare nel petto. Non avevo programmato un incontro faccia a faccia come questo; bene, non era molto più di una conversazione, non avevo nemmeno il coraggio di guardarlo in faccia. Probabilmente pensava fossi maleducata.



“Hai bisogno di me per camminare da qualsiasi parte?”



Sorrisi dolcemente, coprendomi ancora dai capelli. Era il primo segno che ricevevo in conferma che parte del suo ‘io’ passato fosse ancora presente nel nuovo Harry. Non tutto, ormai lui non c’era più.



“La mia auto è solo…” mi tirai indietro gesticolando verso il veicolo grigio. “Va tutto bene, grazie”, e lo lasciai lì.



La breve passeggiata che poco prima volevo fare di corsa, la feci con calma. Cioè, fino a quando non sbirciai da sopra la mia spalla, pentendomene immediatamente. Harry stava ancora lì. Mi controllava attraversare la strada. Perché era ancora lì? Non era ostinato, era fatto di proposito. Rimase lì per un motivo.



Feci chiasso con le mie chiavi, maledicendomi nel momento in cui le feci cadere per poi raccoglierle frettolosamente. Mi tremavano le mani.



Voleva farmi entrare nella mia macchina. Guiderò via e non sarò tentata nel guardarlo dallo specchietto retrovisore. Per favore, fatemi entrare in macchina.



“Bo.”

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 (parte I) ***


Il mio stomaco si strinse, non riuscii a fermare quell'orribile sensazione di scossa. Stava suscitando in me una sorta di reazione da coniglio in trappola. Di tutte le cose che potevo pensare, mi chiesi se fosse scortese guardare. Non era un’imperfezione o uno stupido tatuaggio che si poteva nascondere sotto i vestiti o dietro qualche aneddoto. Era uno dei sensi più importanti, aiuta a vedere la situazione intorno ed a terra. Non potevo immaginare cosa si provasse a perderlo.

“Sei…” iniziai, prima di rivalutare la frase. “Hai qualcosa per asciugare l’acqua?”

Mossi leggermente le mani dietro la schiena, per nascondere il tremolio. Non ero sicura se fosse deluso dalla mia reazione, ma la sua fronte si increspò prima che si avviasse in cucina. Lo seguii, osservando attentamente i suoi movimenti per cercare di capire quanto grave fosse la sua cecità. Il breve percorso non mi aiutò, dato che quella era casa sua, e probabilmente conosceva benissimo il suo interno, poteva camminare ad occhi chiusi.

Era normale vederlo camminare in mezzo a mobili vuoti, tranne per il fatto che fosse cieco. Cazzo. Mi schiarii la gola per i nervi e di colpo Harry si girò come se lo stessi chiamando. Forse era come guardare attraverso un vetro scheggiato, o forse vedeva semplicemente delle sagome scure. Se chiudesse l’occhio buono, cosa vedrebbe? Non lo capii, lui torno alla sua ricerca della carta. In qualsiasi altro momento mi sarei lamentata per le tazze sporche dentro il suo lavandino. Ora era un santuario caotico di tazze dei cereali sporche, pentole col cibo incrostato e troppe posate.

“Come?”

Con un rotolo di carta in mano, Harry si voltò come un bambino a cui si chiede chi fosse stato ad attaccare la plastilina sulla mensola del camino. Non era l’approccio migliore probabilmente, ma non c’era motivo di girarci intorno. Mi conosceva, sapeva avrei chiesto.

“Cosa?” Rispose.

C’era un qualcosa di ombroso nel suo carattere, quasi come non fosse abituato ad avere persone così dirette intorno. O forse lo faceva per non mantenere il contatto visivo. Era ancora lui, nonostante fosse diventato freddo e spento.

“Com'è successo?”

Con un volto senza emozioni rispose, “con un coltello.”

La sua risposta mi fece soffocare una risata. Era senza senso dell’umorismo, come se io parlassi in modo colloquiale. Aveva l’abitudine di farmi sorridere.

“Me lo immaginavo.” Il pensiero di una lama che colpiva il suo volto fece uscire la tensione dalla mia voce. “Perché allora? Che cos’è successo, Harry?”

Afferrò una busta di plastica prima di tornare in camera da letto. L’acqua si era sparsa in piccoli fiumi dal punto in cui era caduta, rendendo la macchia sul pavimento più ampia. Harry stava ancora valutando il danno a terra quando parlò.

“Ho detto cose che probabilmente non avrei dovuto.”

Feci attenzione a non mettere un piede nella pozza, mentre giravo intorno al letto e mi sedevo sulla parte disfatta. Mentre aspettavo che si assorbisse l’acqua nella carta decidevo se sapere o meno i dettagli, o se fosse meglio non scavare troppo in profondità in qualcosa che non voleva far sapere.

“A chi?” insistetti.

“Ti danno-“ Harry fece una pausa, guardandomi cautamente prima di continuare a raccogliere le schegge di vetro. “Era nuova”, disse con calma. “Era nuova”, disse con calma. “Ottieni le prime due pillole gratis in modo da andarci sotto, per assicurarsi che poi ritorni.”

Le mie mani strinsero le lenzuola mentre ascoltavo.

“Droga?”

Mi spostai a disagio sul letto, cercando di scacciare dei pensieri come “il mio Harry non sarebbe così sciocco, non è così”. Ma naturalmente non era il mio Harry, non più; ed ora quel ragazzo inginocchiato al pavimento era più che un estraneo per me.

“Ha detto che era legale, non so quanto lo sia stato però. Ma ora non c’è più niente qui”, aveva la fronte sudata. “Mi sono liberato ormai. Mi ha reso di nuovo felice.”

Avevo voglia di piangere, sgridargli, ma non lo feci perché la sensazione di Harry perso e sentirsi felice con qualcosa del genere mi fece sentire ferita. Volevo abbracciarlo ed urlargli allo stesso tempo.

“Non potevo permettermelo e ho scoperto solo più tardi che il fornitore conosceva uno dei miei concorrenti principali. Ero un doppio guadagno per lui, quindi immagino fossi come un bonus”, gesticolò a mezza bocca.

Mi osservava col riflesso del suo occhio danneggiato, seguendo un percorso dritto ma non ci vedeva realmente. Morsi le mie labbra, gli occhi umidi e con un groppo in gola che minacciava di soffocarmi.

“E ti ha lasciato?”

“Loro. Erano in due”, mi corresse Harry con calma.

“Eri da solo?” chiesi con un tremito.

Alzò lo sguardo da ciò che stava facendo, dopo aver sentito la pausa nella mia voce. Non volevo piangere, ma Harry mi conosceva e sapeva che stavo per farlo.

“Non fare così, Bo” quasi sospirò. “Ormai è successo, non si può fare nulla.”

La sua rassicurazione era inutile. Indipendentemente dalla sua mancanza di preoccupazione, non riuscivo a togliermi dalla testa l’immagine di lui a terra in un vicolo buio e sporco. Era solo, spaventato e ferito.

“Sei andato alla polizia?”

L’acqua a terra era quasi asciutta, ormai impregnata nella carta fradicia. La gettò in un sacchetto di plastica.

“No, sono venuti a trovarmi in ospedale. Non gli permetto di sapere, però.”

Digrignai i denti per la frustrazione, cercando di non afferrarlo per le spalle e scuoterlo.

“Perché no? Li conoscevi?” chiesi incredula. “Quelle persone ti hanno rovinato. Sei cieco, Harry.”

La mia rabbia venne sostenuta da uno sguardo appannato di ghiaccio. Si alzò ed io feci lo stesso. Era una sfida di parole, ma non con la stessa altezza.

“Non credi che lo sappia?” sputò veleno.

“Allora perché non hai sporto denuncia?”

Il mio corpo si calmò deluso. Era una sconfitta. Che motivo c’era di discutere con lui? Sembrò gonfiarsi, facendo quasi scoppiare i muscoli tesi.

“Perché so che hanno pensato che me lo meritassi”, ammise Harry sommessamente col capo chino per la vergogna. “Il modo in cui mi guardavano mi ha fatto sentire inutile, come se fossi una perdita di tempo.”

“Questo è il loro lavoro, Harry. Ti stavano aiutando.”

Il mio ragionamento non venne preso sul serio.

“Non aveva senso, comunque. Era come buttare benzina sul fuoco. Io so chi è stato, ma è meglio non giocare con quelle persone, Bo.”

Guardai il suo viso, le occhiaie sotto agli occhi, zigomi prominenti e nessun sorriso. Mi mancava.

“Volevo essere lì.”

Incrociò le braccia al petto, sulla difensiva e non felice del mio desiderio. Non avrei mai voluto arrivasse fino a questo punto.

“No, non dovevi esserci.”

“Ci stai ancora sotto?”

“No, mi hanno aiutato.”

“Ti hanno ferito da altre parti?”

“No, solo l’occhio.”

La nostra breve conversazione di fuoco si concluse con me che annuivo e lui tornò accovacciato per finire di pulire. Harry mi guardò valutando il mio stato d’animo, per poi voltarsi senza emozioni.

“Lascia perdere, Bo” parlò con fermezza.

La dolcezza che aveva una volta nella sua voce era ormai sostituita da amarezza. Ormai erano solo ricordi. Fanculo a lui. Proseguii a raccogliere i pezzi di vetro che erano caduti. Non era colpa sua.

“Bo” mi rimproverò Harry ancora una volta.

La mia pazienza esplose.

“Come hai potuto essere così fottutamente stupido?!” gridai.

Il mio cambio di tono lo allarmò, facendolo scivolare sui talloni spaventato. Balbettò una risposta, prima di far cadere il silenzio. Lottai per mantenere il respiro mentre lui ancora era a terra.

“Devo andare.”

Scossi la testa e serrai gli occhi per trattenere emozioni che in quel momento non potevo affrontare. Non era giusto. Il mio desiderio di lasciarmi alle spalle tutti i sentimenti e le emozioni che avevo provato quella sera furono bloccati da Harry che mi seguì in salotto.

“Non devi andartene” disse disperatamente.

Gli occhi di Harry vagavano per la stanza come a cercare qualcosa che mi impedisse di andare. Era straziante, perché una volta sarebbe bastato un sorriso a farmi rimanere, ora sarei voluta correre verso di lui. Ma adesso non faceva abbastanza per farmi rimanere; e lo sapeva.

“Per favore” disse in fretta. “Resta…Resta solo un altro po’.”

Le sue mani tremavano, il labbro inferiore morso come un bambino. Se avesse avuto in mano un orsacchiotto, poteva essere un bambino sul punto di piangere prima di dormire.

“No.”

Mi allontanai da lui ed andai verso il divano, dove spostai i cuscini per prendere la giacca. Mi sentivo soffocare, volevo uscire. Avevo bisogno di allontanarmi da lui, mi stava trascinando in basso, in un posto in cui volevo uscire.

“Sei appena arrivata.”

Si passò una mano tra i capelli sudati raccolti con una sciarpa. Mi era sfuggito prima, ma ora potevo notare le unghie mangiate di Harry. E’ l’incarnazione di un relitto nervoso ed io sono una persona terribile ad averlo abbandonato.

“Non voglio restare.”

Le parole bruciavano la gola appena parlavo.

“Posso accompagnarti di sotto.”

“Non ho bisogno di te-“

Stavo per dirgli che era inutile, ma la frase rimase incompleta tra di noi. Se il mio cuore non era ancora rotto, si sarebbe fratturato col suo sguardo devastato. Il filo minuscolo che ci legava ormai era tagliato via, con un cuore a brandelli ciascuno. Le lacrime stavano per lasciare i suoi occhi, il petto cominciava ad aumentare ritmo.

“Per favore” ansimò.

Quasi caddi in corridoio. La porta sbatté dietro di me, infine rimasi sola. Ma in gola sentivo ancora il senso di colpa e la responsabilità. Si aggrappava a me come il sudore in una giornata d’estate. Camminai fino a metà corridoio prima di bloccarmi.

“Merda.”

Mi avrebbe fatto piacere tornare a piedi, ma andarmene da lì era diventato un incubo; con mia stupidità avevo lasciato la borsa sul suo divano. L’avrei lasciata lì se al suo interno non ci fossero state cose necessarie per tornarmene a casa. L’orgoglio e la riluttanza mi fecero tornare acidamente indietro verso la porta. Una leggera pressione alla maniglia e la porta si aprì.

“Ho lasciato la mia…Harry?”

Era sul pavimento, assetato di aria per riempire i suoi polmoni, nonostante le sue lunghe inalazioni non riusciva a respirare. Lo chiamai di nuovo, ma rimase curvo a terra. Le sue dita si tesero sul tappeto, il mento quasi toccava il petto e probabilmente stava per vomitare.

Le mie ginocchia pulsarono di dolore non appena mi buttai in ginocchio. Presi il suo viso fra le mani per fargli capire che non era solo. Si mosse leggermente, fissandomi ansimando. L’asma mi innervosiva.

“Io…Bo, non posso…”

Lo tenevo. Lo strinsi a me in preda al panico, ripensando a quando Harry era un ragazzino ed aveva la minaccia di suo padre. Lo tenevo.

Il suo occhio buono perse la concentrazione e vidi Harry scivolarmi via, si sentì perso quando mi misi dietro di lui. Le mie mani alleviavano l’incurvatura innaturale della sua schiena mentre lo aiutavo. Harry ancora non si era ripreso, finché non cominciai a sussurrare il suo nome. Si sedette leggermente, inclinando la testa all’indietro, in cerca di un altro corpo come un fiore al sole. Colsi l’occasione per osservare i miei avambracci sotto le sue ascelle. Quando sua sorella faceva lo stesso per tenerlo in braccio, immagino quando fosse piccolo, facile da coccolare e niente a confronto a ciò che era ora. Il peso di lui è più di quanto ci si immagini, anche in quella situazione non potevo tirarlo indietro. Piansi per la frustrazione, puntai i piedi a terra e lo tirai a me, aiutata da Harry che si spinse contro di me respirando ancora a fatica. Il mio cuore martellava tra le sue scapole, mi appoggiai al divano per sostenere quell’abbraccio forzato. Si sedette all’interno della ‘v’ delle mie gambe tese.

“Va tutto bene” parlai in fretta per rassicurarlo. “Starai bene. Prova a respirare insieme a me.”

Esagerai volutamente il movimento del mio petto, così da sentir fare lo stesso da parte sua. Ma non mi ascoltava. Misi le mani sulla sua fronte e sentii il suo corpo tremare. I singhiozzi di Harry sono privi di emozione, cercava di scacciare altri pensieri all’infuori della ricerca di ossigeno.

“Shhh.”

Gli attacchi d’asma hanno un effetto simile. Mi ricordo quando guardai mio cugino cadere a terra sull’erba, macchiandosi le ginocchia. Mia zia gli aveva messo un inalatore in bocca, ma io non avevo medicina per Harry. Non c’era nessuna pillola magica o qualche inalatore che poteva togliere ciò che stava vivendo.

La testa di Harry si poggiò di nuovo sulla mia spalla quando gli sfilai la bandana dai capelli. Il suo petto si muoveva sotto il mio braccio destro, mentre la mano sinistra accarezzava i suoi capelli. Gli era sempre piaciuto, si era sempre rilassato con quel tocco prima di dormire. Ma sembrava qualcosa di lontano ora. Scossi di sorpresa quando sentii un palmo caldo sul materiale che fasciava la mia coscia, l’altra si staccò dal mio collo fino ad arrivare alla mano che gli stavo offrendo. Il legame che stavamo avendo aveva un groviglio di emozioni al petto, mani sudate e lividi di mani.

Io ho te, tesoro.

I quattro minuti più lunghi della mia vita in un abbraccio nel tentativo di far calmare torace e polmoni di Harry, che piano piano rallentarono. Mi sentivo come se avessi corso ad una maratona con un branco di lupi dietro di me, sotto il sole caldo d’estate. La mia stanchezza era evidente, quindi non avevo idea di ciò che stesse passando ora Harry. Volevo che il suo polso si calmasse sotto il mio tocco. Aveva sempre parlato della mia sicurezza, ma in quel momento era lui ad aver bisogno di me.

Ero convinta si fosse addormentato, quando mormorò il mio nome.

“Resterò, ma ti prego non farlo di nuovo.”

“Cercherò di non farlo.”

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 (parte II) ***


Mi sedetti con lui mentre mangiava, delusa nel vedere che aveva lasciato metà panino, ma almeno era qualcosa. Il colore era tornato alle sue guance, ma non ero sicura si sentisse meglio, o magari non riuscivo ad essere meno premurosa con lui. Guardai il telefono mentre Harry metteva il piatto nel lavello. Era l’1:24 ed iniziavo a sentire la stanchezza ai miei occhi. C’era un messaggio da James e uno da Tiff; non risposi.

“Puoi prendere il letto.”

“Non essere sciocco, devi dormire bene” dissi scrollando la testa. “Dormirò sul divano.”

Senza dire altro Harry sparì in camera da letto. Lo lasciai nella sua privacy e cercai di mettere i cuscini del divano come meglio potevo. Mi sorprese che la sua mascella non si staccò dall’enorme sbadiglio; così stanco non gli cambierà molto il posto in cui dormire. Sentii schiarirsi la gola.

“Ti…” annuì verso la porta.

Sorrisi morbidamente, seguita da lui nella sua camera da letto. Il copri piumino era stato tirato su, i vestiti raccolti da terra e la finestra aperta per mandar via l’odore stagnante di fumo. Harry si trovava di lato, come se aspettasse la mia approvazione. La quiete che c’era una volta tra me e lui si era un po’ indurita, sembrava un po’ forzata. Doveva essere ricostruita, ed io non ero sicura di averne la forza.

“Vuoi qualcosa da mettere?”

Solo in quel momento notai che si era cambiato, non aveva più i jeans, ma un paio di pantaloncini morbidi sui fianchi. Harry mosse a disagio il colletto della maglietta. L’avevo visto già vulnerabile.

“No, va bene così. Mi limiterò a… dormirò con questo.”

Stava ancora di guardia alla porta, guardandomi arrampicare sul suo letto. Le lenzuola erano scure, grigio acciaio, stropicciate e morbide.

“Se vuoi metterti sotto non mi dispiace.”

L’offerta era gentile, ma i miei pensieri no. Erano pronti a colpirmi con emozioni che mi stavano condannando. Non volevo riscaldarmi nel suo letto, volevo solo uscisse e spegnesse la luce. Anche se Harry rimase lì, non sopportavo di dormire tra le coperte che avevano ospitato altre donne. Vedendolo ancora fermo, decisi di rispondere.

“Va tutto bene” dissi di nuovo.

Piegai la giacca e la misi sotto la mia testa, avvicinandomi le gambe al corpo. Era abbastanza per farmi sentire piccola nel suo letto. Ci scambiammo ancora qualche sguardo e respiro, poi Harry si sedette a terra. Guardai ciondolare la sua testa sul muro.

“Non dovresti combattere ancora.”

Alzò la testa alla mia affermazione, i suoi capelli lunghi coprivano le orecchie.

“Non riesco a vedere, questo non fa di me uno storpio.” Harry si accigliò leggermente.

Ignoro la leggera brezza e mi sposto leggermente per mettermi comoda. Un cuscino non mi sarebbe dispiaciuto, ma mi accontentai dei polsi.

“Loro lo sanno? Mack lo sa che sei-“

“Cosa pensi attiri le folle nelle notti di lotta?” chiese con aria di sufficienza. “Mezzo cieco da un occhio e può prendere ancora a calci in culo qualcuno su un marciapiede. Dei perdenti.”

La sua piccola spiegazione non ebbe commenti, perché so che potrebbe dargli fastidio sentirsi dire che quelle persone pagano per far crescere i loro guadagni. Non si preoccupano di lui.

“Stai all’università?”

Muoveva il pollice sulle sue nocche, così mi sedetti. Non ero pronta a diventare il centro del discorso, quando mi guardò per ricevere risposta.

“Sì, è sulla costa. Sussex.”

Harry annuì comprensivo, tirando a sé le ginocchia. La piccola luce sul comodino era fioca, gettando strane ombre sul muro. I suoi occhi brillavano con attenzione alla luce della lampada, quello danneggiato aveva una linea più morbida, come fosse solo un qualcosa da trasportare di inutile, per lui.

“Hai preso Inglese?”

“No, Sviluppo e Relazioni Internazionali.” La faccia di Harry era un misto tra repulsione, colpo di scena e comicità. “Non è così difficile come sembra.”

“Ti piace lì?”

Era una semplice domanda, poteva essere considerata una semplice chiacchierata, ma so che realmente stava chiedendo; sei felice?

“E’ divertente, ho fatto amicizia. E’ un posto diverso.”

Continuammo a chiacchierare in modo informale, ormai il tema dell’argomento era la mia vita, la mia nuova vita. Harry ascoltava con legger disgusto e spesso interesse ciò che facevo all’università, tra saggi e il condividere la stanza con un ragazzo che stava la maggior parte delle notti fuori, e spesso il continuare a divertirsi anche una volta rientrato. Non gli dissi di James, o di ciò che eravamo gli ultimi due mesi. Era una cosa di cui non sarei stata felice di condividere.

Erano quasi le 2:15 e Harry stava combattendo con il sonno. Alle 2:17 ci siamo dati la buonanotte, separandoci da una porta di un appartamento.

Non era particolarmente freddo, ma non riuscivo a dormire. Ci si sente come la prima notte in una casa nuova – un nuovo materasso e una stanza sconosciuta. C’era così tanto caos che avrei fatto prima a dire che non mi piaceva per l’odore di fumo, o che non si trattava della stanza di Harry, era solo una camera da letto, o giù di lì. Sentii scricchiolarmi le ossa nel tentativo di raddrizzare il mio corpo curvo. Anche con solo il mio respiro calmo in stanza, potevo sentire ancora gli ansimi di Harry. Era stupido, ma volevo controllarlo.

La porta fu silenziosa quando l’aprii, camminando nello spazio sconosciuto non ancora riconoscibile mentalmente. Immagini mute sullo schermo del televisore, di compagnia per chi non vuole dormire al buio.

“Te ne vai?” gracchiò Harry.

Disteso sul divano, stravaccato e stropicciandosi gli occhi.

“No, non riuscivo a dormire.” Ammisi.

“Nemmeno io.”

Presi posto accanto a lui senza chiederglielo e per un momento il nostro respiro fu l’unica cosa udibile. Ci fu un movimento nel corridoio oltre la porta di casa di Harry, ma finì in fretta e fummo lasciati di nuovo soli.

Sbadigliò.

“Vieni.” Lo incoraggiai.

Misi un cuscino in grembo e gli feci cenno che poteva sdraiarsi su di me. Aveva sempre apprezzato quelle azioni gentili, così cominciai ad accarezzargli i capelli per calmargli i pensieri che gli impedivano di dormire. Con fare assonnato alzò lo sguardo verso di me, gli tracciai delicatamente la cicatrice che tracciava il suo volto.

“Sei come un angelo”, mormorò Harry assonnato. “Sei venuta a salvarmi?”

Si rilassò per riposarsi e quando tirai su la coperta ripensai alla sua domanda. Piccole lacrime cadevano ai lati, rendendomi conto che era ciò che volevo. Volevo portarlo via da qui, volevo liberarlo da quella vita che lo stava intrappolando, volevo amarlo.

“Mi piacerebbe,” disse quasi con la faccia pressata sul mio stomaco. “Essere salvato, voglio dire. Sarebbe bello.”

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


"Chi è Harry?"

James non si girò, continuò soltanto ad armeggiare sul piano di cottura. La mia mente stava scavando, spulciando termini e frasi da utilizzare in un saggio noioso. Con i miei piedi appoggiati sulla sedia e il pc portatile di fronte a me, a scaldarmi le cosce, mi sentivo a mio agio immergendomi nello studio. Sentii chiamare il mio nome due volte prima di alzare lo sguardo dalle pagine sottolineate.

"Huh?"

Il portatile emise il segnale acustico della batteria per la terza volta. James parlò di nuovo mentre cercavo il cavo della ricarica.

"Harry. Hai ricevuto un suo messaggio."

Non c'era nulla di aggraziato nel modo in cui presi il mio saggio dall'angolo. Distrattamente mi caddero i libri sul pavimento, aprendosi. Maldestramente mi spostai tra i mobili per prendere il telefonino. Mentre aprivo il messaggio, James aggiungeva altri ingredienti per la cena. Era semplice, ma il suo fascino non passava inosservato.

Da Harry:

Ho un altro incontro sabato. Ci sarai?

I miei pollici sfiorarono lo schermo per una risposta veloce, assicurandogli la mia presenza. Feci trascorrere abbastanza tempo per decidere se finire o meno il messaggio con una 'x'. Lo misi. Aspettai che la barra di invio si completasse per inviare il messaggio, poi misi il telefono in tasca.

"Tutto ok?" domandò James.

C'era preoccupazione nei suoi occhi, accompagnata dalle labbra serrate.

"Sì, tutto ok"

"A me non rispondi così veloce" scherzò senza la sua solita risata.

Il mio stomaco sobbalzò.

Non sapevo mentire.

***

Ero fuori al locale, in mezzo al trambusto, esausta. C'era stato un incidente poco prima, una moto era scivolata e caduta di lato. La polizia aveva rallentato il traffico oltre la collisione, c'era voluto più del dovuto arrivare qui. Con tutta quella coda avrei rinunciato, soprattutto per le lamentele della gente in attesa fuori al locale. Passai il buttafuori ed entrai nel locale soffocante.

Mack mi stava aspettando con ansia, le unghie in bocca. La sua testa sobbalzò quando afferrai il suo braccio, aveva i nervi a palla.

"Sono in ritardo. Scus-"

"E' già cominciato" mi interruppe.

"Cosa sta andando?" quasi urlai, mentre mi aiutava ad uscire dal cappotto.

"E' alle corde. Devi andare là, Bo."

Mack prese le mie cose per metterle nel suo ufficio. L'aria era inquinata da alcool e respiri di gente che si opponeva alle mie spinte tentando di passare. Avevo la camicia umida con gli occhiali appesi, mi ratristii per quello che vidi.

Era messo male, si era appena chinato per evitare un colpo al viso che sarebbe potuto essere mortale. Mi spingevo in avanti, sgomitando per farmi spazio per arrivare abbastanza vicina al bordo del ring. Harry era accasciato contro le corde, aveva un taglio sopra il naso e uno sopra il sopracciglio, gli dava un'immagine straziante, come se stesse per piangere.

"Alzati" supplicai.

Sembrava esausto, il petto ansimante per lo sforzo. I tatuaggi erano scuri di sudore. Il suo sfidante era troppo occupato a girare per il ring dando spettacolo al pubblico, per notare il nostro incontro.

"Harry."

Sbattè le palpebre come se mi vedesse bene per la prima volta. Appoggiai una mano alla sua destra, dov'era stretta la sua alla corda.

"Per favore, alzati."

L'arbitro non si intrometteva. Se non si sarebbe mosso, il suo avversario avrebbe continuato fino a quando non sarebbe svenuto. Una lotta sporca e incorretta, senza decenza.

"Sei qui" ansimò.

Harry mimò un sorriso.

"Sì, e devi alzarti per me."

Prima che Harry pensasse a cosa fare, venne trascinato via e andò a sbattere al centro del ring. L'energia che sembrava aver perso esplose di nuovo, la sua motivazione era aumentata e si era deciso a lottare di nuovo. Era ancora sfinito, ma riuscì a rotolare via da un pugno tirato a terra. Sussultai non appena lo vidi ricevere un calcio sul fianco destro rimanendo a lottare in ginocchio e atterrare il suo avversario.

Il ragazzo era chiaramente più bravo di lui, un pugile, vedendolo goffo e stanco in ginocchio lo colpì ripetutamente. Era più alto di Harry, il quale era facilitato dalla sua stazza per effettuare un mix di colpi più veloci. Era anche chiaro che i colpi ricevuti in viso avevano annebbiato la vista di Harry. Il tempo necessario per pulirsi il sangue dagli occhi lo rese vulnerabile per un altro gancio destro. Non sarebbe durato a lungo.

Mack non si vedeva da nessuna parte e lo sventolare dell'arbitro si rivelò più difficile a dirsi che a farsi. Non guardava le ragazze fuori al ring; era più preoccupato per come si stava trasformando la lotta sul ring. Agitai le braccia senza successo. Mi misi le dita in bocca fischiando più forte che potevo. Attirai l'attenzione che volevo disperatamente. L'arbitro si spostò verso di me, accovacciandosi col suo orecchio vicino a me.

"Dagli un time-out!" ordinai sopra al rumore.

"Non funziona così."

Mi aggrappai alle corde, tirandomi in alto.

"Non ci vede bene da un occhio, con tutto quel sangue è praticamente cieco. Basta che lo fate uscire un attimo, poi lo mandate di nuovo sul ring." gridai.

Sospirò pesantemente, scuotendo la testa prima di darmi una risposta rigida.

"Bene, avete due minuti."

La folla fischiò non appena venne interrotta la lotta. L'arbitro incoraggiò Harry a venire nel mio angolo, dove lo aspettavo dall'altro lato. Instabile com'era inciampò.

"Cos'è successo?"

"Non riesco a vedere" disse, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano. "Sei qui, pensavo non saresti venuta."

"Beh, non sono venuta per vederti battere."

Mack svuotò una bottiglia d'acqua sulla testa di Harry, mettendo fine alla nostra conversazione con farfugli confusi. Pulii il viso di Harry con una vecchia maglia, concentrandomi sui tagli e mettendo pressione prima che Mack applicasse delle bende.

"Non farti colpire in faccia, Harry."

Mi issai sul polso per arrivare a lui. Harry chinò la testa verso di me ed io afferrai i suoi capelli per levarli dal suo volto. Era un disastro, ma dovevamo sbrigarci perché eravamo fuori tempo.

"Non mollare. Prendi a calci quel suo cazzo di culo!"

Mack mi aiutò a scendere per tornare fra il pubblico un secondo prima che Harry tornasse sul ring. La sua convinzione si vedeva dai pugni chiusi, ma non era sufficiente. Lo guardai disperatamente ricevere i colpi, ancora e ancora. I colpi iniziali lo avevano reso debole, suscettibile nel prendere altre aggressioni che seguirono.

"Andiamo, baby" dissi in silenzio a me stessa.

Stava facendo il possibile, dando calci e gomitate per farlo arretrare. La folla amava vedere il nuovo verso del combattimento, era diventata una lotta unilaterale.

Qualcuno urtò la mia spalla, una mano mi prese per il braccio e una bocca si avvicinò al mio orecchio.

"Non credo che il tuo ragazzo sia in grado di tornare dopo questo."

Il suo respiro era rancido di alcool, il suo corpo attaccato al mio. Il suo sorriso sghembo mi gelò il sangue.

"Oh, fanculo" sputai.

Fu come se le sue parole avevano acceso un interruttore, perché quando tornai al 'divertimento' Harry era bloccato sulla schiena con un ginocchio al petto. Non c'era niente che potessi fare, solo guardare con orrore mentre cercava disperatamente di bloccare i pugni diretti sul suo volto. L'altro conccorrente era più grande di stazza e presenza, la mascella dura e uno sguardo selvaggio mentre bloccava il braccio di Harry al pavimento.

"Andiamo, Harry! Alzati!"

Oltre al mio supporto, c'era quello del pubblico. Mack come me chiamava l'arbitro dicendogli di fare correttamente il suo lavoro, nonostante 'applicasse le sue regole'. Poi, improvvisamente, Harry venne liberato; l'uomo si alzò e cominciò a passeggiargli intorno, appoggiandosi alle corde di fronte a me. Sogghignò verso di me prima di gettare le braccia all'aria richiamando l'applauso del pubblico. Molti erano fischi, ma non se ne curava.

Mi spostai e vidi Harry rotolare sul suo lato. Stava male, molto male, cercando di alzarsi in piedi. Aveva il corpo pieno di lividi, tagli che sarebbero diventati cicatrici. Il bruto scherzava ancora con la folla, ignarò di ciò che stava accadendo alle sue spalle.

Harry mi guardò ed io gli diedi un semplice cenno del capo.

Si potè sentire il crack del pugno sulle costole dell'uomo, rompendole. Lanciò un grido che superò il chiasso el club. Si reggeva per tenersi le ossa rotte, inerme. Harry non ebbe pietà nel prenderlo per le spalle e sbatterlo a terra. E mentre l'uomo si contorceva agonizzando, Harry salì su di lui lottando nel tenergli le braccia prima di mettergli le cosce intorno al collo. Harry mantenne la presa anche dopo averlo messo di lato.

Il volto del suo concorrente divenne rosso, poi blu, ma Harry lo lasciò prima di farlo svenire. La folla incitava Harry a finirlo, ma la lotta era già vinta. Ogni ulteriore azione da Harry lo avrebbe condannato a una violenza ingiustificabile. Si stava aspettava il ko. Per quanto li riguardava, non era finita fino a quando qualcuno non si avvicinava alla morte.

Mi lanciò un'occhiata e mi battè il cuore, pronto ad uscire dal mio petto. Non titubai a salire sul ring, aiutando anche Mack. Quasi persi l'equilibrio raggiungendo Harry che incombeva sull'uomo ormai sconfitto.

"Signorina" l'arbitro mi implorò a mano ferma.
"E' pregata di uscire dal ring."

"No"

"Lasciala."

Tacemmo per il tono minaccioso di Harry. La folla si era calmata per guardare con fiato sospeso.

"Ho finito" annunciò.

Come presi la sua mano i suoi occhi difettosi si abbassarono ad osservare il contatto. Strinsi le mie dita intorno alle sue, attenta a non spaventarlo.

"Andiamo" mormorai sommessamente.

***

Era la prima volta che lo vedevo sorridere mentre gli toglievo il sangue secco dal volto. Gli lasciai tirar su la maglia prima di tornare ad ispezionare i lividi che aveva. Fui sorpresa nell'alzarmi in piedi ed abbracciarlo. La sua pelle era umida di sudore e bollente di vittoria. Si era trasformato in una nuova persona. Aveva le spalle più strette, le braccia più tese, le mani più esitanti. I suoi tatuaggi erano ricordi.

"Sono contento che sei qui" sospirò Harry.

Le sue mani si estesero in tutta la schiena mentre scavava la sua faccia nel mio collo. Eravamo così vicini che i nostri corpi sembravano sincronizzati, menti con lo stesso ritmo, il cuore con battiti nostalgici. E in qualche modo, tutto questo crollò bruscamente quando le sue labbra sfiorarono l'angolo della mia bocca e mi irrigidii. Non riuscii a controllare le mie dita che già stavano dietro al suo collo nel groviglio di capelli. Improvvisamente, i miei pensieri impazzirono e il tempo si fermò.

Harry mi fece scivolare fra le sue braccia fino a ritrovarmi di fronte a lui. Aveva un livido sullo zigomo; il suo corpo era rovinato e mi preoccupava.

"Ho fatto qualcosa di male?"

Mi voltai, togliendo le bende con mani tremanti.

"No."

Più che mettere in ordine stavo pasticciando ancora di più, mettendo il kit aperto di lato. Harry era rimasto come l'avevo lasciato, ora però guardava i suoi piedi.

"Vuoi da bere? Non dobbiamo stare qui, potremmo andare da un'altra parte."

Le mie gambe tremarono, mi appoggiai al banco. Harry si spostò immediatamente in avanti, appoggiando la sua mano bollente sulla mia vita.

"Bo?"

"Mi dispiace, sono solo stanca." Divagai. "Con te, James, il lavboro e l'università, non ho tempo libero."

Mi resi conto dello sbaglio non appena le parole mi uscirono di bocca. Harry si allontanò andando verso la panca dov'erano i suoi vestiti.

"James" ripetè, giocando con la zip della sua borsa. Non mi guardava, e ne ero contenta. "Chi è?"

Mi sentivo in colpa per il fatto che ancora non gli avevo detto nulla e mi fossi lasciata baciare.

"Una persona che sto frequentando in questo momento."

"Come un appuntamento. E' il tuo ragazzo?"

Sembrava avvilito. Si morse il labbro deluso dalla notizia, abbassando le sopracciglia un attimo prima che i suoi lineamenti si indurirono.

"Non ne abbiamo ancora parlato."

"Ti piace, però?" domandò saldamente.

"Sì, è bello."

"Bello" quasi sbuffò. "Pensavo avessi lottato per qualcosa di più di un semplice 'bello'. Suona noioso."

"Sì, beh questo è quello che voglio adesso, sapere dove si trova e non preoccuparmi tutto il tempo. Qualcosa di noioso e senza complicazioni" osservai con freddezza.

C'era tensione tra di noi. Il modo in cui mi guardava era più di una semplice frustazione. Fece un passo avanti.

"Rispetto a cosa?" canticchiò. "A noi?"

Scossi la testa, non volevo ricordare. Avevo appena chiuso con i ricordi a distanza ed esserne inondata di nuovo sarebbe stato troppo. C'era poca esitazione nei suoi movimenti, il suo nervosismo era stato sostituito con la vendetta.

"Sai" iniziò con amarezza, "dopo che ci siamo lasciati, mi ubriacavo fino a diventare cieco", il suo gioco di parole non passò inosservato con il piccolo sorriso. "Mi piaceva bere, tutte ti assomigliavano."

La sua rivelazione mi fece male allo stomaco, volevo andarmene.

"Alcune ragazze non si preoccupano, ad altre so che interessa" fece un gesto verso il suo volto. "Ho portato una ragazza a casa mia, era alta come te più o meno, ma aveva i capelli scuri."

Tentennava nel suo discorso, un piccolo sorriso quando i miei capelli scivolarono tra le sue dita. Speravo non continuasse dopo la pausa.

"Lei non aveva il tuo odore quando l'ho portata a letto e le ho baciato il collo, però."

"Vaffanculo."

Rimasi stupita dalla forza con cui aprii la porta. Mi affrettai verso l'ufficio di Mack dove trovai il mio cappotto e la borsa appoggiati sullo schienale della sedia. Harry cominciò ad inseguirmi qualche secondo più tardi, avevo i suoi passi dietro. Era dietro di me, ma io rimanevo lontana. La rabbia invadeva il mio corpo bruciando.

"Pensi io sia dispettoso?"

La tentazione di colpirlo era tanta, ma decisi che per quella sera ne aveva prese abbastanza.

"Penso che tu sia crudele" risposi, rimanendo davanti a lui.

Ero quasi alla porta quando delle dita indecise mi sfiorarono il braccio prima di stringere leggermente la presa. Mack era dall'altra estremità del corridoio, incerto se dovesse o meno intromettersi. Scossi la testa per dirgli che andava tutto bene e lui sparì attraverso una porta.

"L'ho chiamata col tuo nome" le crepe nella voce di Harry.

Mi rivolsi a lui stupita. Il mio braccio venne liberato mentre portava il suo sul suo fianco. Harry indietreggiò fino ad appoggiarsi alla scrivania di Mack con gambe e braccia. La mia ira si stava calmando.

"Mi ha schiaffeggiato così forte che sentivo il dolore anche dopo due giorni" scherzò. "Non ci ho mai portato nessun'altra dopo questo." Allontanò le mani dal volto ferito. "Sei tu, sarai sempre tu."

Il cinturino della borsa mi scivolò tra le dita facendola cadere a terra. Le mie mani afferrarono il suo viso e lui fu costretto a guardarmi. Ci sarà voluto un po' per abituarsi alla perdita della vista in un occhio, ma non credo lo abbia mai accettato a sé stesso.

Baciai dolcemente la sua palpebra difettosa, mettendo le mie dita fra i suoi capelli. Questo era ciò di cui aveva bisogno, qualcuno che fosse dolce e gentile con lui.

"Non voglio farlo più."

Qualcuno doveva liberarlo.

"Andrà bene."

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


"Adesso ci diamo una sistemata, okay?" Promisi.

l suoi capelli scivolavano fuori la fascia, si arricciavano sulle spalle e gli carezzavano il collo. Li scansò per guardarmi di nuovo, mostrandomi una vista chiara del suo occhio compromesso e un'espressione di autocommiserazione. Aveva la stanchezza fin dentro le ossa, tanta che stava scivolando a terra. Se Harry si fosse rilassato, probabilmente avrebbe dormito per settimane, ma si sarebbe sentito comunque sfinito.

"Non ti fa bene combattere. Non voglio tu ti faccia male di nuovo." Ammisi mentre le mie dita sfioravano il livido sulla sua guancia.

Mettemmo delicatamente del ghiaccio sul gonfiore, sperando di attenuarlo. Nonostante sussultasse dal dolore, lo incoraggiai a tenerlo su. Il lamento che uscì dai suoi denti stretti mi fece sentire in colpa.

"Penso che dovremmo parlare con Mack, forse conosce qualcuno da poter contattare. Forse potresti andare ad allenarti di nuovo?"

Mi chinai contro la scrivania con lui, il mio braccio sfiorò il suo.

"E perché? Ho perso il lavoro in palestra, ecco perché sono qua."

Harry scosse la testa come se avesse perso la speranza.

"Lo so, ma potresti allenarti da qualche altra parte. Le capacità le hai, dovrà pur esserci qualcosa che puoi fare senza metterti in pericolo tutto il tempo." Dissi dando voce ai miei pensieri.

Il ghiaccio cadde a terra prendendomi alla sprovvista, mentre Harry prese le mie mani fra le sue. La sua espressione supplicava e una parte di me si aspettava di vederlo in ginocchio per chiedere scusa.

"Voglio uscire da questa situazione, Bo." Insistette Harry.

"Capisco."
"No, non credo. Ho bisogno di uscirne da tutto questo" disse, gli occhi persi. "Non posso più farlo. Non voglio che tutto questo sia ciò che sono io. Vengo qua, combatto, e torno a casa da nessuno. Poi torno di nuovo qua per iniziare da capo."

Torno a casa da nessuno.

"Mi rifiuto di credere che sia questo il posto dove dovresti stare", dissi.

Perché pensavo saresti stato sempre con me.

"Dove allora?"

Mi guardò per cercare le risposte ed io ero triste perché non potevo realizzare i suoi desideri.

"Trova un posto in cui essere felice. Dove puoi prenderti cura di te stesso" lo incoraggiai prima di raccogliere il ghiaccio che si stava sciogliendo. "Magari possiamo farlo insieme" sorrisi, dandogli delicatamente dei colpetti sulla spalla.

Harry sembrava rilassarsi, lasciando la tensione repressa in un sospiro profondo. I suoi muscoli si stavano stendendo mentre annuiva.

"Mi piacerebbe."

Gli porsi il ghiaccio. Stava per posarlo sulla scrivania ma lo fermai.

"Uh, ah. Mettilo sopra."

"Fa male" piagnucolò mettendo il broncio.

"Sei stato preso a pugni in faccia, è normale che faccia male."

Sbuffò in una risata prima di compiacere la mia richiesta. E dopo alcuni minuti che parlavamo la nostra attenzione andò verso la porta. Dal corridoio emanava una leggera confusione e un crescere di battibecchi. Seguì il rumore di piedi che camminavano, con passo pesante con l'intenzione di farsi sentire. Non passò molto prima che il guaio in persona venne da noi sottoforma di due uomini corpulenti. Mi tesi riconoscendo uno dei due come l'avversario di Harry di poco prima. Indossava degli abiti adesso, e prima che potesse avvicinarsi pesantemente, una mano aperta gli fece pressione sulla spalla.

"Sai quanti soldi mi hai fatto perdere?"

Harry scese dalla scrivania e si mise davanti a me prima che potessi battere ciglia. Una sagoma tesa, spalle strette, le mani che formavano pugni. C'era un terzo uomo con un completo blu in piedi sulla soglia che sembrava arrabbiato. Il suo abbigliamento lo metteva in una posizione di potere, come una guardia del corpo. Quella domanda non aveva senso per me, ma Harry aveva capito.

"Bo", disse Harry.

"Sono qui."

Allungò la mano dietro di lui e gliela presi. Con le nocche ancora sanguinanti e spaccate, strinse la mia per riaffermare le mie parole.

"La situazione che mi hai creato, Styles, sta iniziando a darmi sui nervi."

La sua voce era controllata ma la cattiveria faceva leva in superficie.

L'uomo con il completo girava per la stanza, guardando le foto incorniciate sul muro sogghignando. Picchettò piano sul foglio in bacheca senza interessa prima di guardarci di nuovo freddamente. Ma la mia attenzione andò all'avversario dalle spalle larghe che sembrava aver voglia di un altro round con Harry. E come un toro pronto allo scatto, probabilmente era meglio non muovere bandiera rossa. Ma lo feci comunque. Feci un leggero passo di lato, certa che lui mi vedesse.

"Harry ha vinto", lo provocai. Le mie parole si mossero come un coltello in una ferita aperta. "Ve ne dovete andare."

L'avversario cercò di muoversi in avanti ma venne bloccato ancora una volta. Si scrollò di dosso la presa, fece un verso di disprezzo prima di uscire dalla stanza come un adolescente. Lo sguardo che mi lanciò Harry non era certamente di gratitudine. Comunque, lo scambio di sguardi mi aveva calmata. Mi incoraggiai di nuovo dietro di lui con mano ferma.

"Sappiamo entrambi chi avrebbe dovuto vincere. Se lui non fosse un fottuto esibizionista," indicò la porta aperta, "avresti dovuto raschiare Harry dal fottuto pavimento."

Le parole bruciarono, volevo tirargli via gli occhi. Mentre immaginavo la scena, lui sorrise perfidamente.

"Come va l'occhio Harry? Ti dà ancora problemi?" chiese malignamente. "Te l sei cavata bene considerando quello avrebbe dovuto fare il mio staff incompetente."

La mia bocca si seccò e la mia tensione si sentì attraverso la stretta di Harry sul mio polso. Potevo sentire la sua richiesta silenziosa di stare tranquilla pur sapendo che non lo sarei stata. Harry non fece molto prima che io scivolai dalla sua presa e mi misi in piedi davanti a lui.

"Sei tu quello che gli ha fatto questo?"

L'uomo capì a cosa mi riferivo senza che indicassi la cicatrice sull'occhio di Harry. La sua espressione crudele diventò divertita sentendo il tremolio della mia voce.

"Non personalmente", riferì, una scintilla negli occhi.

"E' peggio, dare degli ordini e non commettere il fatto."

"Se stai mettendo in dubbio la mia bontà ti consiglio di non farlo."

Si spostò aggressivamente avanti ed io feci lo stesso all'indietro fino a toccare Harry. Una mano poggiata sul mio fianco, una a tenermi la vita. Guardai in alto verso di lui chiedendomi perché non avesse detto nulla durante lo scambio di parole. E' mentre vedo il suo sguardo vacillare tra me e l'uomo che bloccavala porta che realizzo che era spaventato.

"Comunque", battè le mani sorridendo, tutta l'amarezza era dimenticata. "Non siamo venuti per parlare, non è vero Jack?"

Al suo nome, l'uomo muscoloso si mosse per farsi vedere. Era alto almeno mezzo metro più di Harry, con uno snervante tic all'occhio destro e le braccia contenute a malapena nella camicia. Iniziò a rotolarsi su le maniche mentre camminava verso di noi.

"Siamo venuti per assicurarci che i miei affari non siano compromess per un po'. Mi dispiace dirlo ma è una cattiva notizia per te, Harry." L'uomo finse di preoccuparsi scuotendo la testa. "Non posso farti vincere di nuovo contro i miei concorrenti, non va bene per il mio business."

Stavo per urlare per chiedere aiuto. Se avessi avvertito Mack lui avrebbe potuto distrarli minacciando di chiamare la polizia, poteva parlargli e fargli prendere tempo ad Harry.

La mano di Harry afferrò la mia.

"Prima lasciala andare", quasi lo pregava. "Falla andare via. Ti prego."

Il mio collo vibrò da quanto mi girai veloce verso di lui. Per quale motivo pensava io lo potessi lasciare là?

"No", scossi la testa in disaccordo. "Rimango. Rimango con te."

Urtai la scrivania quando Harry si voltò, afferrò le mie spalle e si abassò al mio stesso livello. La sua mascella tremava per la frustazione mentre io scuotevo la testa decisa su ciò che avevo detto.

"Bo", mi implorò Harry.

Imprecava il mio rifiuto mentre eravamo accerchiati come delle prede. A quanto pare ero diventata oggetto di interesse e il modo in cui venivo esaminata mi stava portando all'esasperazione.

"Bo?" chiese l'uomo, inclinò la testa come un bambino. "Giusto, Harry? E' lei Bo?"

Harry non parlò, mandò giù il disagio prima di tirarsi di nuovo su di fronte a me.

"Carina", disse. "Sei la ragione per cui Harry è venuto da me all'inizio. Aveva bisogno di dimenticarti."

Lo sapevo già, ma quella rivelazione non passò inosservata al mio stomaco. Volevo portare Harry lontano da quella situazione incasinata, mandare tutti a farsi fottere e correre via. Volevo prendere la mano di Harry e nasconderlo finché non fosse guarito e avesse potuto affrontare di nuovo il mondo.

"Non toccarla."

"Levati dalle palle", strillai schiaffeggiando via la mano di Jack che tentava di prendere Harry.

L'uomo sembrò divertito mentre si appoggiava all'armadietto.

"Ha spirito", annuì apprezzando. "Mi piace."

Mentre si spostava dalla sua posizione strinsi la presa su Harry. Le mie nocche erano bianche quando ci raggiunse, avevo paura potesse separarmi dalle braccia di Harry. Non lo fece. La mia gratitudine non durò molto prima che il sangue mi divenne freddo, mentre lui si chinava nello spazio di Harry. I suoi occhi verdi cercavano una disperata sicurezza nei miei, un posto sicuro mentre ascoltava le terribili parole che volevo bruciassero in bocca a quell'uomo.

"Ma tu, Harry. Le persone come te non diventano migliori di questo. Esalerai il tuo ultimo respiro su un ring e poi sarai dimenticato."

Stavo per ribattere furiosamente quando spuntò un individuo familiare.

"Mr Dax, tu e i tuoi uomini dovete andarvene", disse Mack a denti stretti sulla porta. "Adesso."

Ci fu un momento di tensione dove non si sapeva cosa stesse per succedere. La mia unica preoccupazione era in piedi accanto a me, che stringeva la mia mano nella sua e che mi premeva vicina al suo corpo per proteggermi.

Era troppo facile. Mr Dax indicò con un cenno della testa a Jack di uscire. Lui seguì il so bodyguard prima di fermarsi sulla soglia. Il mio cuore rimbombava nella gabbia toracica mentre si stava voltando indietro. Cacciò fuori una borsa con una lampo dalla giacca del suo completo.

"Per quanto riguarda la casa, Harry", lanciò la borsa sulla scrivania di Mack. "Ci rivedremo."

E se ne andarono.

Il mio corpo crollò di sollievo fino a quando non capii cosa fosse il contenuto del pacchetto. Harry guardò le pillole con un'espressione che speravo non fosse fame. Dopo un lungo momento i suoi occhi si chiusero, sospirò inclinando la testa all'indietro e quando riaprì gli occhi le pillole erano sparite, al sicuro nella mia tasca.

"Non avevo intenzione di prenderle, Bo."

La sua voce era calma, giocava con le sue unghie evitando il mio sguardo.

"Devo tenere lontana la tentazione."

***

"Devi smetterla di trattarlo come un'attrazione. E' unapersona, non uno spettacolo. Harry si merita più di questo."

Mack era seduto in silenzio mentre lo rimproveravo. Harry era in piedi dietro di me e non riuscivo a capire se era in imbarazzo o grato del fatto che stessimo avendo questa conversazione. Non aveva detto una parola da quando Mr Dax se n'era andato.

"Capisco. Credo che le cose siano andate oltre", concordò Mack, togliendosi gli occhiali e stronfinandosi gli occhi stanchi.

"Beh, bene", risposi con le mani sui fianchi.

Non mi aspettavo che andasse così bene, ma con il guaio che Harry ha portato al match, probabilmente era meglio per Mack che finisse tutto.

"Farò delle chiamate, Harry."

"Grazie."

Lasciammo Mack seduto al bar vuoto, ricoperto di bicchieri di alcool di merda. Il pavimento era appiccicoso, le luci offuscate. L'aria fresca ci abbracciò pesantemente e l'atmosfera soffocante dell'interno era quasi sparita.

Mi spaventai quando Harry mi prese la mano.

"So che hai qualcun altro adesso, ma puoi ancora sentirlo, vero?"

Sapevo che stava parlando dell'ardente calore che stava salendo dal mio polso al mio avambraccio. Era un tocco che dava sicurezza, emanata nel punto di contatto. Strinse la stretta per rafforzare le sue parole. Harry si mordicchiò nervosamente il labbro, ma fu tradito dalla luce di speranza nei suoi occhi.

"Mi manchi."

"Sei diverso adesso."

"Non posso - non credo di poter fare qualcosa a riguardo."

"Non ti chiederei di farlo", lo rassicurai. "Andiamo a casa."

***

Prendemmo le scale come avevamo fatto l'ultima volta per salire al terzo piano e ci dirigemmo verso la porta verde che si abbinava al resto. Le urla proveniente da un altro appartamento mi fecero voltare fino a quando Harry non girò la chiave nella serratura. La porta era aperta, indugiò sull'uscio per rivolgersi a me.

"Rimani stanotte?"

La pelle intorno ai suoi occhi era bluastra, mi preoccupai per i tagli che gli marcavano il viso. Ci avrebbero messo un po' per guarire.

"Se tu lo vuoi."

La mia risposta incontrò i suoi occhi e la sua mascella rilassata, quasi come se si aspettasse il contrario. Si spostò di lato, facendomi entrare prima di chiudere la porta dietro di noi. L'appartamento non era cambiato molto, c'era una pila di scatole di pizza, vestiti sporchi e tanta confusione.

Quella volta gli permisi di cercare qualcosa per la stanza da farmi indossare per dormire. Mi diede una t-shirt grigia con una tasca sul petto a destra; profumava di detersivo in polvere e Harry. Levai le scarpe e le misi accanto alla mia borsa aspettando che Harry andasse in camera sua prima di togliermi i vestiti. Avevo appena finito di lottare per togliermi la maglietta.

"Oh mer-scusa. Bo, io non-" Harry si agitò.

Si impappinò mentre mi stringevo la maglietta al petto. Le mie guance arrossirono mentre Harry inciampò sul bracciolo del divano per arretrare. Mi uscì una risata incapace di trattenerla nemmeno dietro la maglia di Harry. Sbirciai osservando che si era fermato di colpo sulla porta. Mi sorrideva, non ricordavo di essere stata mai così contenta per aver visto qualcosa.

Infilai la t-shirt dalla testa e quando guardai di nuovo Harry il divertimento sul suo viso era andato via. Spostò il peso da un piede all'altro cercando di trovare il coraggio per guardarmi.

"Quindi, umh - notte", disse.

"Prova a dormire."

Mi voltai verso il posto in cui avrei dormito la notte. Non sembrava un divano, aveva cuscini consumati e molle scomode. Dubitavo che avrei chiuso occhio. Mi misi comoda nel miglior modo, volumizzando i cuscini e rimboccando il lenzuolo.

"Bo."

Gli risposi con un "hum". Non sentendolo rispondere, mi voltai per guardarlo in faccia.

"Sono contento - sono contento che siamo amici."

Annuì mentre lo guardavo, fiero di aver detto una frase in modo giusto. Era adorabile quando si strofinava la nuca, consapevole che lo stessi ancora guardando.

"Anche io", risposi piano.

Era appoggiato alla porta mentre mi avvicinavo, il mio stomaco mi fece male all'improvviso vedendo in lui quell malizia di una volta. Con le braccia incrociate, Harry sembrava sulla difensiva nonostante sorridesse. Quando mi misi sulle punte dei piedi, la sua postura rigida sparì, e le mie labbra furono sulle sue.

Fu un bacio veloce, ma i baci sono baci. E poi, dal modo in cui arrossirono le sue guance, era stato più che abbastanza.

"Amici che fanno questo", mormorò con un ghigno crescente.

Si passò la lingua sulle labbra per assaggiarmi sulla sua bocca.

"Buonanotte."

***

Notai che anche i più piccoli rumori di ciò che mi circondava erano amplificati nell'appartamento di Harry. Un orologio ticchettava da qualche parte nella stanza e quando mi girai su un fianco lo vidi segnare le 01:16 con un colore flourescente. Inarcai la schiena per stirarmi ed alleviare i muscoli al tempo stesso.

Il gocciolare del lavandino era insopportabile e più forte del normale visto che la cucina era accanto al divano su cui cercavo di dormire. Con fastidio, feci penzolare le gambe fuori dal letto improvvisato. I miei piedi nudi sembravano vulnerabili sulla moquette, quando mi alzai fui sicura di aver calpestato il telecomando della TV.

Tastai con le mani fino ad arrivare alla parte posteriore del divano, finché non fui costretta a camminare al buio per l'appartamento. Il disordine di Harry non mi era di aiuto, inciampai in uno stivale. La mia quasi caduta mi fece trovare con i palmi sul muro, lo seguii intorno a tutta la stanza finché le mie dita non toccarono del legno rovinato al posto dell'intonaco.

Non dovevo disturbarlo, aveva bisogno di riposare.

Ultimamente, gli unici momenti che passavo con Harry erano in mezzo a gente che sbraitava o urlava. Era un miracolo se non era sanguinante e ferito, ed era raro parlargli quando era solo. Si era fatto male ed io ero preoccupata. Lo avrei controllato. Un momento soltanto.

Quando aprii la porta con un colpetto era buio. Il mio respiro era un intruso nella pace dello spazio personale. La mia presenza la rovinava. Quando sentii l'odore stantio di fumo nella stanza, immaginai le labbra di Harry toccare una sigaretta. Non dovrebbe farlo, è un'altra cosa che lo rovina.

Fermai lo sguardo di fronte a me, dove Harry era accoccolato sotto il piumone. Il cumulo di coperte si mosse finché la sua voce non uscì dal letto.

"Bo."

Mi mossi in avanti attraverso la confusione mentre si alzava sui gomiti. La tenda svolazzava con l'aria fredda che entrava dalla finestra mezza aperta. Creava increspature di luce che si riflettevano sulla sua pelle, rimasi senza fiato a guardarlo. Si sedette, curioso di quella ragazza in fondo al suo letto.

"Stai bene?"

All'improvviso, rapita, mi avvicinai a quel ragazzo da cui ero stata privata per tanto tempo. Le mie mani erano sul suo viso, i suoi occhi spalancati quando la luce fuori la finestra si dissolse di nuovo. Il primo bacio fu breve per colpa sua, che mi fece baciare solo un angolo della sua bocca. Emisi un suono di fastidio e di colpo corresse la mira dandomi in bacio che mi fece arricciare le dita dei piedi. Mi riscaldò dentro e fuori, incendiò tutta l'incertezza che avevo. Era una fiamma nel buio, un tocco ardente alimentato da mani sui miei fianchi. Harry non perse un attimo, mi accolse nelle sue braccia per tirarmi sul suo materasso.

Ero entrata con disinvoltura, ma ora che stavo là, non ero sicura di ciò che poteva fare. Era abituato a non poter fare nulla. Avevo potere io, dato che stavo a cavalcioni su di lui. Afferrai le sue spalle nude, passai le dita sul suo petto per farlo stendere. Il suo cuore batteva forte contro le mie mani, all'unisono col mio.

"Per favore", implorò lievemente.

Sarei stata una stupida ad impedirglielo. Il modo in cui Harry mi toccava era dolce, spaventato di chiedermi troppo, mi spinse via. Mi baciò le guance, il naso, e finalmente le labbra, non c'era molto che io non gli avrei dato.

Recuperammo il tempo perso. Le mani, le dita, le labbra, seguirono i lineamenti ognuno del corpo dell'altro. Tracciai dolcemente la linea dura della sua mascella col mio naso, prima che lui mi tirasse verso di lui per un altro bacio appassionato. Mi sorprese quando mi sfiorò il capezzolo col pollice. Strinsi le gambe più forte intorno ai suoi fianchi, divertito dal mio gemito soffocato.

Eravamo in un groviglio di coperte quando Harry mi fece rotolare sul letto. Gemetti perdendo il contatto col suo corpo, misi le mie labbra sulle sue e le unghie sui suoi fianchi. Mi morse sotto la mascella come a punirmi il tormento che gli creavo sui fianchi, e tutto quello che potevo fare era piagnucolare.

Il buio creava l'intimità, privandoci del senso della vista per farci ascoltare i nostri respiri disperati e affannati mentre ci ritrovavamo. Un battito di ciglia, la pressione delle sue dita è tutto ciò di cui ha bisogno il mio cuore per battere ancora più forte. Lo toccai freneticamente sul petto, scendendo poi più giù. Potevo quasi sentire la sua voglia di me. Il respiro di Harry fu bloccato da un mio bacio mentre avvicinavo i miei fianchi ai suoi. Il desiderio era enorme, e avevo voglia di sentirlo senza dei vestiti addosso.

Afferrai l'elastico con le dita ma fui privatadel piacere di toccarlo. Harry mi aveva afferrato il polso, lo strinse un po' troppo prima di bloccarlo accanto alla mia testa. Feci sforzi invani per liberarmi, poiché Harry non stava giocando. Non mi stava stuzzicando, niente baci per dare l'impressione che stesse giocando.

"Harry", implorai.

Aggangiai la mia gamba dietro la sua coscia per assicurarmi che non si allontanasse.

"Hai già qualcuno", sospirò con dolore. "Non possiamo condividerti, Bo."

Il mio stomaco si annodò di sentimenti confusi, traspariva la rabbia mentre spinsi via Harry da me. Rimanemmo distesi in silenzio, disturbato solo dai nostri respiri pesanti. Lo sentivo ancora sulla mia bocca.

"Non ci sono mai andata a letto", ammisi piano fissando il soffitto.

Sentii muovere le coperte, avevo iniziato a piangere. Sorrisi mentre mi accarezzava delicatamente il viso con i pollici, tracciando i miei zigomi, la punta del naso, le labbra.

"Sei bella anche al buio", mormorò calorosamente Harry. "Rimani", disse. "Mi sei mancata qui nel mio letto."

Sentivo il calore di Harry contro la mia schiena, per un momento non sapevo come facevamo a stare bene insieme una volta. Presi la sua mano e portai il suo braccio intorno alla mia vita, anche lì sembrava troppo lontano. Strinse la mia maglietta in un pugno quando improvvisamente mi avvicinai al suo corpo. Harry mormorò un "mmh" fra i miei capelli ed io ingoiai a fatica capendo il dolore che gli provocavo.

Mi strinse ancora più vicina, come se avesse paura che potessi andarmene.

"Non sai quanto mi sei mancata."

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 (parte I) ***


Mi svegliai in un calore confortevole, uno di quelli che fa venire voglia di stare tutto il giorno a letto e fregarsene di ogni preoccupazione. Con un sospiro allegro allungai le gambe, stendendo gli arti pesanti dal sonno prima di mettermi su un fianco chiusa a riccio. Le mie dita afferrarono la parte superiore del piumone prima di farmi apparire la stanza davanti agli occhi mentre sbattevo le palpebre. Mi sedetti più velocemente di quanto avrei dovuto e combattei contro i giramenti di testa. Non erano sicuramente la mia stanza e il mio letto. I ricordi della notte precedente si riaccesero nella mia mente e le mie guance si colorarono di un rosa acceso. Le gambe nude contro le lenzuola.

Era una cosa positiva che Harry non fosse a letto, perché il modo in cui diedi un colpo dalla parte del suo materasso avrebbe fatto sobbalzare chiunque. Era vuoto, apparte me. Dalla mia posizione a riccio potevo vedere che il bagno era vuoto e la porta della camera era

Era difficile abbandonare l'ammasso di coperte, infatti lo feci con un lamento e un brivido. I miei piedi si arricciarono sentendo il pavimento freddo prima che mi misi in piedi, strofinai via il sonno dagli occhi e camminai a grandi passi attraverso la stanza. C'erano delle foto sulla cassettiera, sua sorella, sua madre, amici lontani. Era una bella cosa che lui avesse questi piccoli ricordi, ne ero contenta. Se non altro, significava che non si era del tutto perso nel suo nuovo mondo.

Sorrisi. Non ero ancora abituata ai tanti capelli che ormai aveva Harry. A confermarlo, la grande quantità di elastici per capelli sparsi per la sua camera. Ne presi uno nero e legai i capelli in una coda di cavallo mentre vagabondavo per l'appartamento.

Le tende erano chiuse ma non trattenevano del tutto la luce del mattino. Le aprii, il materiale appesantito dal fumo stantio. Non gli avevo ancora chiesto nulla a riguardo, ma da quello che avevo visto non fumava molto durante la giornata. Indipendentemente da questo, avrebbe dovuto smettere.

La stanza rifletteva il disordine del restante appartamento, mucchi di roba disordinata. Presi gli indumenti aggrovigliati ai miei piedi e li misi insieme nel cestino dei panni sporchi in bagno.

Crescendo, mi avevano insegnato che era maleducazione frugare fra le cose degli altri. Ma ero sempre stata attratta dalle cose belle e luminose.

Una catenina penzolava da un cassetto aperto vicino il letto, come se fosse stata abbandonata nella fretta di nasconderla. Inclinai la testa curiosa mentre mi avvicinavo al cassetto, tirandola fuori dal buio. Quando la vidi del tutto quasi la feci ricadere, i ricordi bruciarono all'improvviso assalendomi. Si fecero spazio nella mia mente come bolle d'aria nell'acqua, una raffica di flashback, in tutti Harry. Tutti i ricordi, dal giorno in cui me l'aveva messa al collo, fino all'ultimo in cui la indossai.

Un piccolo aeroplano di carta con una catenina d'argento. L'aveva tenuta.

Il mio cuore batteva più forte contro le costole, ingoiai un groppo in gola. L'aveva tenuta. Mi sedetti sul suo letto come se non avessi più forza sulle gambe. Il pendolo oscillò, facendo muovere l'aeroplano a casaccio prima di atterrare sul mio palmo. Era come ritrovare qualcosa che si era perduto. Un piccolo oggetto che a contatto con la mia pelle mi confortava e scaldava quando era mio, adesso era freddo.

Venni interrotta dal mio interesse verso l'oggetto dal rumore di una porta che veniva chiusa e da movimenti nella casa. Lasciai cadere la collana dentro il cassetto e lo chiusi.

"Harry?"

Non ricevetti risposta, seguì il silenzio. Mi alzai dal letto. Una piccola possibilità che non fosse Harry mi bloccò dal provare a chiamarlo una seconda volta. Il fatto che avesse avuto problemi in passato non era rassicurante, infatti, saltai all'orrenda conclusione che avesse fatto irruzione qualche maniaco omicida.

Mi mossi lentamente verso la chitarra all'angolo della stanza, afferrandola dal collo. Strisciai a passi silenziosi verso la porta, girando la maniglia e aprendola. Potevo quasi sentire impallidire il mio viso, la paura prese il sopravvento quando visi la figura muoversi in cucina. Probabilmente era un uomo, ma con il cuore che batteva furioso e le mani sudate poco mi importava cosa fosse sotto quei vestiti.

Alzai la chitarra pronta a colpire e in quel momento lui si girò, nella mano destra aveva le buste della spesa, le ciglia sollevate dallo shock. Strappò le cuffiette dalle orecchie prima di togliersi il cappuccio della felpa dalla testa mostrando un cappello, sotto si intravedevano i suoi delicati ricci scuri.

"Cristo", ansimò Harry, "potresti cavare gli occhi a qualcuno con quella."

Piegai la testa indietro dal sollievo ed abbassai l'arma improvvisata. Harry sogghignò posando le buste sul bancone della cucina.

"Non è divertente", dissi seria.

Si girò verso di me mentre avvolgeva le cuffiette intorno al cellulare.

"Un po' è divertente."

Scossi la testa mentre rideva piano.

"Pensavo fossi un assassino."

"Beh, un assassino che ti ha portato la colazione", indicò il contenuto delle buste.

"Perché giri così presto di mattina?"

"Pensavo che stessi ancora dormendo."

"Beh, ora sono sveglissima."

"Non avevo nulla in frigo, così sono andato al supermercato", spiegò Harry, cacciando la roba accanto le buste. "Non pensavo che avrei dovuto lasciare un bigliettino. Stavi russando rumorosamente quando sono uscito."

"Io non russo!"

Rise alla mia provocazione, un ghigno che aumentò quando vide il mio sguardo minaccioso e la mia posizione a braccia conserte.

"Bo, ho dormito con te abbastanza volte per sapere che russi."

Il mio umore si fece pessimo e diventai schiva in modo imbarazzante. Avevo dimenticato la nostra vecchia intimità nella relazione. Ovviamente sapeva che russavo, proprio come sapeva che avrebbe ricevuto un calcio in faccia se avesse provato a farmi il solletico sotto ai piedi, che preferivo il freddo al caldo e quanto disprezzassi le ciocche dei capelli ribelli. Aveva toccato la mia pelle nuda, aveva fatto pressione coi pollici sulle fossette in fondo alla mia schiena, la mia voce era talmente roca che potevo solo deglutire.

Mi si seccò la bocca e quasi persi l'equilibrio ricordando la morbida curva nella parte bassa del suo stomaco e il taglio dei suoi fianchi. Mi appoggiai al tavolo per sorreggermi.

Mi aveva sentito pronunciare il suo nome arrabbiata, urlando, piangendo, con desiderio, felice e con piacere.

Harry non stava meglio di me, strinse il bancone della cucina con le dita, gli anelli che aveva schioccarono contro la superficie. C'era delicatezza nella sua espressione confusa mentre alzava la testa per guardarmi.

"Non ho mai pensato che sarebbe stato così, soprattutto con te."

"Così come?"

"Per me ora sei un mistero. Ci siamo persi, penso."

"Sono la stessa persona", sorrisi mentre scuotevo la testa.

"No. Siamo cambiati entrambi", ammise modestamente. "Ma penso che mi piacerebbe ritrovarti, se me ne dai modo."

In fondo a quelle parole c'era speranza, la trovai e la tirai fuori, spolverandola. Volevo conoscerlo nuovamente, il nuovo Harry, correggerlo nella mia testa ed aggiungere le sue nuove stranezze ed eccentricità. Avrei apprezzato il suo nuovo 'io' e non lo avrei fatto sentire perso, erano cose che avevamo già provato. O forse avremmo dovuto cancellare il passato ed iniziare tutto da capo.

"Possiamo farlo."

"Sì?"

Annuii.

"Bene", sorrise Harry.

"Vado a mettermi qualcosa addosso", indicai la sua camera da letto.

Guardò le mie gambe nude prima di girarsi di colpo per iniziare a preparare la colazione. Delicato quanto un terremoto, Styles.

"Va bene."

Afferrai i vestiti dal pavimento del soggiorno che avevo appoggiato la sera prima. Chiusi la porta della camera prima di sfilarmi la t-shirt ed abbottonarmi il reggiseno. Feci un po' di fatica, come sempre, a far salire i jeans sulle gambe, abbottonarli e tirare su la zip. E' allora che sentii una sporgenza nella tasca posteriore. Scavai per tirar fuori il pacchetto e realizzai.

Decisi di non lasciare niente al caso e mi diressi verso il bagno. Era qualcosa che avevo visto fare solo nei film, quindi quando svuotai il pacchetto e tirai lo sciacquone, mi sembrò surreale che dovessi farlo io.

Indossai di nuovo la sua t-shirt senza esitazione. Quando spuntai di nuovo in cucina, Harry aveva acceso il fornello sotto il bollitore, e messo due bustine di té in due tazze diverse. Aveva lasciato gli acquisti sul bancone per farmi decidere mentre aspettavamo che l'acqua bollisse.

"Stai meglio", osservai sorridendo appoggiandomi con un fianco al bancone.

Le sue guance erano colorite, le labbra di un colore vivo e il verde dei suoi occhi acceso.

"Penso sia stata l'aria fresca."

Ci mettemmo seduti al piccolo tavolo della cucina faccia a faccia, parlando e mangiando burro di arachidi con un cucchiaino dal vasetto.

"Questo è quello che mangi di solito a colazione?" Chiesi addentando un pezzo di toast.

Girò un po' i cereali inzuppati nella sua tazza prima di fermarsi e prendere il resto del mio toast.

"No, di solito mangio una banana o qualcosa del genere."

Dalle mie labbra increspate uscì un lamento. Ero stata là un paio di volte ormai, e non avevo visto tracce di frutta. Il meglio che potesse fare Harry era bere dalle lattine o mangiare gli avanzi in frigo.

"Dovresti mangiare di più."

"Sì, mamma" Borbottò sarcasticamente.

"Sono seria, ti ammalerai. Soprattutto col tuo lavoro, sei un atleta. Non hai bisogno di assumere una stupida quantità di carboidrati e proteine ogni giorno?"

"Sto bene."

"Harry-"

"Non combatterò più, quindi va bene così", rispose in modo brusco.

La perspicacia non era mai stata il mio forte e dall'espressione di Harry dedussi lui lo sapesse già. Sospirò mentre scavava di nuovo col cucchiaino nel vasetto.

"Che c'è?" chiese stanco.

"Posso chiederti una cosa?"

"L'hai già fatto."

Lo ignorai.

"Stavi cercando me?"

"Quando?"

"Al combattimento, la notte che ci siamo rivisti. Sei sceso dal ring come se stessi cercando qualcuno."

Appoggiò il cucchiaino nel mio piatto, guardandomi negli occhi alcuni secondi dopo. Aspettai pazientemente mentre era concentrato nei suoi pensieri, e intanto che il tempo passava venni combattuta da altre domande fastidiose che non provai nemmeno a chiedere. Sapeva che ero io al bar? Se non lo avessi evitato, avrebbe portato a casa quella ragazza? Ci avrebbe portate entrambe?

Una sveglia iniziò a suonare da qualche parte nell'appartamento, il rumore ruppe il silenzio della situazione e fece perdere il momento. Afferrai il suo polso e lo girai in modo da vedere l'orario.

"Oh merda, devo andare."

Il mio gemito sofferente superò quello della sedia che veniva trascinata a terra mentre la spingevo sotto il tavolo. Il cellulare era per terra accanto al divano, dove lo avevo lasciato la mattina presto. Feci scorrere i messaggi con mia madre. Sarebbe stata al centro commerciale da lì a un'ora e mezza, ed io ero a più di quarantacinque minuti di distanza.

"Devi? Ora?" Chiese Harry alzandosi dalla sedia.

"Sì", dissi con collera. "Avevo promesso a mia madre che saremmo andate a comprare il regalo di compleanno per mia zia. Se non vado con lei finirà per comprare un altro attrezzo per la cucina che mia zia non userà mai."

Harry rise, facendo comparire una fossetta sulla sua guancia. Raccolsi le mie cose e mi vestii del tutto per scendere alla macchina.

"Ti vedrò di nuovo, vero?"

"Certo."

Si inclinò per darmi quello che secondo me doveva essere un abbraccio ma calcolò male la distanza e mi diede un bacio goffo all'angolo della bocca. Harry si schiarì la gola facendo comparire un ghigno imbarazzato.

"Vieni qui", lo incoraggiai, accogliendolo in un abbraccio stretto. "Ti troverò di nuovo."

***

Tiff ed io avevamo un appuntamento. Un appuntamento con temi, libri ed una libreria affollata. L'avevo vista accanto alla porta, dopo aver scannerizzato la mia carta per l'accesso. Con lo zaino a tracolla sulla spalla, stava sgranocchiando una mela mentre si teneva occupata leggendo appunti da un quaderno. Quando arrivai da lei mi offrì una banana ed iniziammo la ricerca del materiale per il tema.

Mi accorsi che era più affollato di quanto pensassi mentre salivamo le scale per andare al secondo piano. Non avevo ancora notato dei posti liberi, se non li avessimo trovati avremmo dovuto studiare a terra, appoggiate ai termosifoni sotto le finestre a sud.

"Ho parlato con Larissa e sta dando barrette di cioccolata a chi prenderà parte del suo esperimento", spiegò Tiff mentre la seguivo da una corsia all'altra. "Penso sia una buona idea, non molto buona per la salute."

Tiff sapeva che avrei preso parte del suo progetto anche senza ricompensa, dato che eravamo buone amiche. Ma a quanto pareva non potevi fidarti semplicemente di un buon rapporto con altri studenti universitari. Doveva esserci un incentivo per gli studenti universitari affamati.

"Beh, penso che le persone saranno riluttanti nel prendere parte al progetto se tutto quello che avranno in cambio sarà una scatola di uva passa per bambini."

"Che ne dici di uva passa ricoperta di cioccolato?"

Feci una faccia disgustava, increspando il naso fin quando Tiff non rise. Tirò su lo zaino per abitudine.

"Va bene, trovero qualcos altro."

Fece una linguaccia.

Dopo aver preso tutti i libri che potevamo dalla lista di psicologia di Tiff, facemmo richiesta per quelli che non avevamo ancora trovato. Avevo appena trovato la mia lista scarabocchiata quando mi colse di sorpresa.

"Chi è Harry?"

Mi voltai così velocemente che le nostre fronti quasi si scontrarono. Mi fermò dalle spalle e mi tirò indietro prima di far tornare le sue mani vicino ai fianchi.

"Cosa?" Sbottai.

Mi pentii all'istante dal peggiore dei modi in cui avrei potuto affrontare la domanda. Inclinò la testa, improvvisamente curiosa dalla mia risposta tagliente e la paura che vide nei miei occhi.

"James mi ha chiesto di lui, ma non so chi sia. A quanto pare hai messaggiato con lui, con questo Harry."

La richiesta di sapere di più mi venne fatta con delle sopracciglia alzate e uno sguardo duro da parte di Tiff. Era l'espressione che faceva mia madre quando mi comportavo male da bambina.

"E' solo un amico", risposi, guardando i libri sopra le nostre teste. Cambiai discorso, alzandomi sulle punte per guardare in alto. "Cavolo, dovrebbero darci una scala per arrivare allo scaffale in alto", risi a mezza bocca.

Tiff ignorò la mia battuta per continuare il discorso. Era come un fottuto segugio di grossa taglia. Solo perché studiava psicologia, non significava che poteva leggermi nella mente. Cominciai ad avere dei dubbi mentre pensavo al soggetto in questione.

"Non è di qui, giusto? Non hai mai parlato di Harry prima. Viene da dove vivevi tu?"

Il libro che ero determinata a prendere scivolò dalla mia presa e mi colpì in testa, cadendo poi sul pavimento. Brontolai toccandomi il punto in cui mi aveva colpita, Tiff intanto si mosse per avvicinarsi. Cacciò via la mia mano per controllare tra i miei capelli se ci fosse un bernoccolo.

Ci abbassammo insieme per prendere il libro, la sua mano toccò accidentalmente la mia e fu come se il tocco le avesse fatto mettere tutti i pezzi al proprio posto. Afferrò il mio polso.

"Ow", mi lamentai.

"Merda" ansimò Tiff, la bocca aperta. "E' lui, non è vero? Il ragazzo che ti eri lasciata alle spalle."

Sgranai gli occhi ad una grandezza impossibile, prima di raccogliere frettolosamente i libri e la borsa. Mi stava letteralmente dietro quando fuggii dalla corsia, spaventata che con l'abilità da strizzacervelli capisca di aver ragione.

"Pensavo fosse un amore lontano da tempo, non pensavo vi parlaste ancora", affermò.

Mise la mano sul petto trattenendo l'eccitamento. Le dissi di fare silenzio, imbarazzata dalla scenata che stava facendo. Non avevo bisogno che tutta la biblioteca sapesse le mie cose.

"Solo di recente. Non è una cosa che avanti da molto", implorai in un sussurro.

"Vi state vedendo, è questo il motivo per il quale torni spesso a casa?"

Mi guardò come se sapesse, ma scossi furiosamente la testa. Le persone sedute nell'area computer stavano iniziando ad interessarsi alla nostra conversazione sussurrata.

"Non stavo tradendo James."

"Non ho pensato che lo stessi facendo."

"Non è stato molto bene ed io sto cercando di aiutarlo."

"Come? Lo stai facendo guarire con i baci?"

Il colore delle mie guance mi tradì e Tiff si mosse verso di me come una leonessa affamata. La trascinai dietro l'angolo dello scaffale prima di attrarre altri sguardi curiosi. Gli scaffali fecero rumore quando inciampai sui nostri piedi e lei fece del suo meglio per tenermi su.

"Oh mio Dio!" Esclamò Tiff compiaciuta.

"Shhh!" La pregai.

"C'è di più?" Il suo sorriso scherzoso sbiadì, i suoi occhi pieni di preoccupazione. "Ci vai a letto?"

"Non in quel senso."

"Beh, raccontami allora."

***

Incapaci di trovare un angolo per studiare, io e Tiff ci procurammo un'altra cosa migliore, un paio di cuscini dall'area lettura. Ci assicurammo un posto caldo vicino ai termosifoni e ci mettemmo comode come se fossimo a casa nostra. Non era un'area molto frequentata, quindi eravamo libere di parlare tranquillamente.

"E' abbastanza sexy."

Le sue parole erano smorzate dalla pasta che stava mangiando, ne inforcò un'altra bocconata e se la mise in bocca. Mi offrì una forchettata, feci cenno di no con la testa.

"Non esattamente."

"E' una specie di lottatore a mani nude, è ovvio che sia sexy."

"Non quando lo vedi a terra sul pavimento mentre qualcuno è su di lui. Non voglio più vedere occhi neri o labbra rotte."

"Hai detto che ha smesso?"

"Sì."

"Allora cosa sta facendo adesso?"

Voltai pagina, annotai qualcosa di fretta e lo evidenziai.

"E' andato a stare da sua madre per un po', penso che sua sorella lo sia andato a trovare."

"E' una cosa buona, giusto? Probabilmente ha bisogno di questa pausa."

"Sì, spero solo si renda conto che le persone sono disposte ad aiutarlo. Non può fare le cose da solo."

Colsi un sorriso sulle sue labbra prima di appoggiarsi su di me, con la testa sulla mia spalla.

"Vedrai, starà bene."

***

>> PARTE 2 in arrivo. <<

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Capitolo 11
*** Capitolo 9 (parte II) ***


"C'è un ragazzo fuori", commenta Tiff leggermente.

E' ancora in ginocchio sul ripiano, ad armeggiare con delle catene di carta economiche che abbiamo acquistato in città. Le ho dato un cuscino da mettere sotto le ginocchia dopo che si è lamentata della posizione imbarazzante.

"Mmh."

Mi giro verso di lei mentre aggiusta lo striscione improvvisato che abbiamo creato con della carta e un tubetto glitter.
Abbiamo poco budget, ma tutti si meritano dello scintillio il giorno del proprio compleanno, anche Rob. Tiff ed io avevamo il compito di preparare la torta e le decorazioni, il resto dei coinquilini aveva il compito di procurare l'acool e preparare gli inviti; il quale si è rivelato un compito semplice dato che una volta che la voce si è sparta le persone hanno portaro da sé le bottiglie.

"Sai, non ha molto senso mettere tutte queste decorazioni. Rob non se ne accorgerà più di tanto una volta che tutti saranno qui e lui avrà bevuto un po' di drink."

"Sto solo cercando di creare un'atmosfera da festa."

"Più addobbi, più dovrai togliere."

"Sei proprio spregevole."

Ritorno alla pasta da zucchero per la torta che abbiamo deciso di colorare di varie tonalità. Se tutto va per il verso giusto, sarà di un bel grigio marmo e blu. Fare dolci non è il mio forte, ma con l'esperienza culinaria di Tiff ce la stiamo mettendo tutta.

"Pensi che stia aspettando qualcuno?"

"Chi?"

"Quel ragazzo. Continua a guardare il cellulare."

"Non ne ho idea", rispondo distrattamente, tirando fuori la punta della lingua per concentrarmi.

"Dovrei metterla nella tortiera?"

"Sì, aspetta ti do una mano."

Abbandona la decorazione per venirmi ad aiutare a mettere la pasta da zucchero sopra la torta. Per poco non ci sfuggiva dalla tortiera. Inizio a pulire il ripiano prima che Tiff torni a lavorarci.

"Oh..", mugola. "Se n'è andato."

Ascolto la sua telecronaca mentre insapono i piatti e li lascio asciugare dopo averli sciacquati.

"Oh no! E' ancora lì. Cavolo, è carino." Esclama, mentre si sposta a destra e sinistra per evitare il riflesso della luce della finestra.

"Come fai a dirlo?" Rido. "Siamo al secondo piano."

"Behg, ha dei bei capelli."

"Fuori è buio."

"Smettila di discutere e vieni qua a capire se possiamo sentire cosa dice al telefono."

Mi chiama con un cenno, un sorriso insolente sul volto mentre cerca di aprire piano la dura serratura della finestra.

"Si chiama origliare, è maleducazione", la rimprovero schizzandola con gocce d'acqua.

Mi guarda acidamente mostrandomi i denti come un gatto.

"Ugh", mugugna. "Lascia stare, fuma."

Nonostante il suo tono schifato, non ha perso interesse. Il suo naso è pressato contro il vetro della finestra mentre segue ogni movimento del ragazzo. Mi ricorda lo sguardo di un predatore che segue gli uccelli che volano intorno agli alberi.

"Penso che stia entrando nel nostro palazzo."

"Cosa?"

"Il ragazzo", conferma animatamente.

E' passato più o meno un minuto, tempo che Tiff si sia inventata una storia sulla personalità del ragazzo quando il nostro campanello suona ed i suoi occhi guizzano nei miei prima che si precipiti davanti alla porta dell'appartamento. La seguo per vederla premere la guancia contro il legno mentre guarda fuori dallo spioncino.

"La festa di Rob inizierà.." controlla l'orologio sul polso, "...tra quattro ore e mezza."

"Non sono qui per la festa", risponde con la voce smorzata dal legno della porta.

"Puoi andare un po' indietro? Non riesco a vederti in faccia."

La spingo via poiché è il mio turno per guardare dallo spioncino, peggio delle bambine. Tiff sa che sono bassa per arrivarci quindi non mi sorprendo quando sento le sue braccia circondarmi il busto e sollevarmi di un centimetro o due mentre ridiamo.

"Oh, allora, perché sei qui?"

Metto le mani a coppa per vedere meglio dalla lente dello spioncino, il ragazzo guarda in alto.

"Harry?"

La presa di Tiff non c'è più e i miei piedi toccano di nuovo terra. E' proprio dietro di me mentre apro la porta. E' vestito con dei jeans neri stretti, strappati all'altezza del ginocchio, e una giacca scura con il cappuccio. Harry mette il telefono in tasca.

"Ciao."

I lati della sua bocca si alzano in un sorriso mentre i suoi occhi passano da me a Tiff.

"Hey", lo saluto tranquillamente. "Sei qui. Come mai?"

"Mh, mi ha accompagnato mia sorella."

"Come fai a sapere che abito qui?"

"Mack."

Annuisco mentre Tiff mi colpisce ripetutamente sulle costole col gomito. Ha un sorriso esagerato, sta cercando di essere presentata.

"Questa è Tiff", la indico con un gesto della mano, ma lei è già davanti a me che porge la mano a Harry.

Lui la afferra ridendo, ripete il suo nome mentre gliela stringe.

Il saluto dura più del dovuto e so che lei sta guardando gli stessi occhi che mi hanno distrutta quella sera in camera sua. L'aria si è fatta tagliente, senza parole.

Sono grata del suo buon senso e dalla sua gentilezza.

"Stretta di mano salda", ammette giocoso mentre si gira verso di me.

Scuoto la testa mentre la guardo rientrare facendo spallucce.

"Vado a controllare la torta."


Lasciati soli, Harry ed io ci scambiamo degli sguardi prima che ricordi le buone maniere.

"Vuoi entrare?"

"Grazie."

Di solito il nostro appartamento odora di cibo al microonde e disinfettante, quindi l'aroma del dolce è benvoluto.
Mentre guardo in cucina, vedo Tiff carponi che guarda oltre il vetro sporco del forno.

Conduco Harry oltre l'entrata e camminiamo davanti le porte finché non arriviamo alla mia camera. Le mie mani sono sulla maniglia quando sento il mio nome.

"Bo", Tiff si affaccia dalla cucina. "Posso parlarti un secondo?"

Mostra un sorriso disinvolto, ma so che è preoccupata dietro quel gesto amichevole.

"Puoi entrare", guardo Harry mentre apro la porta con il fianco.

Dà un'occhiata veloce ai nuri pieni di poster e alla scrivania carica di libri prima di entrare.

"Grazie."

In cucina trovo Tiff in piedi come una madre pronta a fare una ramanzina: anche se probabilmente l'orecchino al naso le dà più l'aria da ribelle di quanto lei vorrebbe.

"E' lui?"

"Sì."

"E' più alto di quanto pensassi. Sexy."

"Gli dirò che approvi", dico mentre gioco con la frusta ancora da lavare.

"Non mi hai detto dei suoi occhi", sussurra.

"Non sapevo come spiegarlo. Non è a suo agio per gli occhi, quindi non mi sembrava giusto."

"Ok."

Il fatto che accetti e non cerchi di sapere come si sia sfregiato la faccia Harry, mi sorprende.

"Cosa farete?"

"Probabilmente parleremo. Forse usciamo, non voglio farlo qui."

"Porta il cellulare."

"Tiff."

"Fammi stare tranquilla", mi sollecita sorridendo debolmente.

L'avrei portato comunque ma annuisco per tranquillizzarla. Quando entro in camera, Harry è impegnato ad osservare la mia bacheca piena di fogli e spille. C'è appeso di tutto: dai miei orasri alla lista dei cibi che io e Tiff sperimenteremo nel fare.

"Sembra che tu ti sia divertita", indica con un gesto della testa una foto attaccata al muro dove ci sono io con i miei amici.

"Sì, ci siamo mascherati", ricordo.

"Cosa sei, uno zombie?"

"Come ti permetti! Sono la moglie di Dracula", scherzo.

"Oh, le mie scuse."

E' strano avere Harry in camera mia, non pensavo avesse mai messo piede qui. Lo avevo tenuto chiuso in una scatola, separato dal resto della mia vita, e pensavo che sarebbe rimasto lì. Ma ora sta riversando dai bordi, troppo grande, troppo prezioso per essere tenuto nascosto in una scatola come uno sporco segreto. I confini che avevo costruito stanno sanguinando.

"Vuoi andare a fare una passeggiata?"

"Certo."

Osserva la stanza mentre mi metto gli stivali.

"Dov'è James?"

"Non qui."

La risposta suona più distaccata di quanto io voglia.

"Fa freddo fuori?"

"Sì, un po'. Dovresti metterti qualcos'altro", indica con un gesto la mia t-shirt e i miei jeans.

Faccio scorrere le grucce sulla barra dell'armadio, e decido di indossare una camicia e un vecchio giubbotto. Sono impegnata a tirare su le maniche che mi coprono le mani mentre prendo dal comodino il burro di cacao.

Ne applico uno alla fragola, muovo le labbra insieme in modo che si spalmi bene e dopo lo chiudo mettendolo in tasca.

"Merda."

L'imprecazione poco carina mi sfugge quando mi volto e urto contro Harry. Tolgo la mano dal suo petto e la rimetto sul mio fianco.

"La indossi ancora", mormora Harry, i suoi occhi fissi su di me. "Lui sa che è mia?"

E' una sensazione focosa, abbastanza da farmi venire la pelle d'oca sulle braccia e farmi combattere per trovare le parole. Mi guarda attraverso le ciglia e il calore scende verso il mio stomaco, una sensazione che non posso ignorare. Una sensazione possessiva, calma, che eccita i muscoli di cui sono imbarazzata ad ammettere.

"E' solo una camicia."

"La mia camicia." Mi corregge.

"No, perché me l'hai regalata, non è vero?" Rispondo, cerco di mandare via il rossore. "Ma se la rivuoi..-"

Faccio finta di togliermela, ma la mano di Harry mi ferma dallo sbottonare gli altri bottoni.

"Per favore."

Smetto di togliermela.

***

Vento gelido tira sulla panchina, il quale alza ciocche di capelli dalle mie spalle e colora le mie guance di rosa. Prendo boccate di quell'aria, il sapore è salato nella mia bocca e fresco nei miei polmoni. Le luci del molo riflettono tra la nebbia, i gabbiani strillano sopra di noi. Nei pochi viaggi di famiglia la spiaggia era la parte che preferivo, ma qua ho scoperto che può anche piovere dove pensavo ci fosse sempre il sole.

Harry mi aiuta a scnedere verso la spiaggia e camminiamo lentamente sulle rocce prima che lui suggerisca di sederci. Non c'è quasi nessuno a patire quel freddo, troppo per nuotare tra le onde increspate.

"Sei andato a trovare tua madre?"

"Sono rimasto un paio di giorni. Jess si è fermata per un po' e ha parlato così tanto da farmi sanguinare le orecchie", Harry scherza, ma non nasconde l'amore nella sua voce. "Lei e il suo fidanzato avranno un bambino a luglio."

"Stai scherzando! Scommetto che sono eccitati", sogghigno. "Zio Harry."

Lo colpisco col gomito scherzosamente.

"Sono felice per lei, ha trovato un bravo ragazzo, quindi..."

Sceglie una pietra, misura il peso e tira indietro il braccio. Il sasso sfreccia nelll'aria e rimbalza sulla cresta bianca di un'onda prima di andare sott'acqua.

"Ti tratta bene?" sbotta Harry.

Spalanco gli occhi.

"No", scuoto la testa sprezzante, un gesto da cui Harry trae una conclusione orribile. "No-no. Intendo che non voglio parlare con te di questo."

"Perché no?" chiede con voce ferita.

"E' troppo imbarazzante."

La conversazione finisce e le onde continuano ad infrangersi, accarezzando i sassolini immobili. Sta arrivando la marea. Mi stringo di più nel giubbotto.

"Non ti ha messo sotto pressione, vero?

"Harry", scatto.

"E' solo..è solo che ci ho pensato molto."

"James è adorabile."

"Continua", cerca di farmi parlare.

"Non ci stiamo vedendo più, quindi qualunque cosa tu voglia sapere è inutile, okay?"

"Non vi state vedendo più?" La sua voce si alza vivacemente nella domanda e ciò fa accelerare il mio battito.

"No."

Se Harry è scioccato dall'informazione, non vuole mostrarlo. Si ricompone.

"Hai freddo?"

"Sto bene."

Un braccio esitante si appoggia comunque sulla mia spalla incoraggiandomi a appoggiarmi a lui. Lo faccio volentieri.

"Quando? Cos'è successo? stuzzica genitlmente.

"Un paio giorni dopo che sono tornata da casa tua. Abbiamo scoperto che stiamo meglio se rimaniamo amici."

"E' una cosa buona, no? Gli impedirà di avere il cuore spezzato."

"So come ci si sente. Non lo farei a nessuno."

"Bo, noi-"

Gli tolgo il braccio dalle mie spalle come una bambina e mi alzo di scatto senza grazia. Si infastidisce perché respingo la sua preoccupazione. Non voglio il suo aiuto.

"Tu mi hai lasciata", lo accuso ferocemente. "Tu sei quello che mi ha lasciata. Quindi non hai il diritto di dire a me o qualcun altro come ci si deve sentire."

Mi guarda come se lo avessi trafitto con un coltello al petto, affondando la lama. Il pensiero mi fa venire un dolore allo stomaco, un dolore che pesa molto sulla mia coscienza. Non avrei voluto ferirlo.

"Tu mi hai lasciata", mormoro.

Ancora seduto tra le pietre fredde, cerca un pacchetto in tasca, tira fuori l'accendino blu. Non aspetto che si porti la sigaretta tra le labbra.

"Non voglio che i miei abiti puzzino, aspetto sul lungomare."

"Ok."

Lo guardo da una panchina che condivido con una signora anziana. Le sue mani tremano mentre aspira un'altra boccata di fumo nei suoi polmoni. Harry vede le onde turbolenti, io vedo lui. Le nuvole di fumo sono cullate e portate via dal vento. In qualche modo mi fanno pensare a Harry, qualcosa che si vede ma difficile da tenere.

Inclino la testa all'indietro per vedere le nuvole che si spostano e rivealano la luce del sole. Ma scompare troppo presto, ingoiata di nuovo tra le orribili nuvole. Pioverà, dovremmo tornare nell'appartamento. I miei occhi vagano nel cielo, la mia vista torna alla spiaggia con i sassi e mi sorprendo a vedere Harry camminare sulle rocce. Lo vedo correre verso di me. Mi alzo dalla panchina e lo raggiungo.

"Stai bene?", chiedo, con la mano sul suo braccio. "Harry?"

Lui scuote la testa.

"Stavo cercando te."

Guardo l'anziana con cui ero seduta sulla panchina, mi sorride e se ne va col suo carrello dietro.

"Cosa c'è che non va?"

Il respiro di Harry è veloce e rimango incerta mentre cerco di mettere insieme i pezzi. Sbottona il suo giubbotto, infila una mano dentro e tira fuori un pezzo di carta stropicciato. Me lo porge. Quando lo apro, è come se fosse stata immersa nelle acque gelide alle mie spalle.

"Quando l'ho letto, mi sono sentito come se stessi parlando a me", spiega freneticamente Harry.

"Era per la fidanzata di Mack."

"Scritto da te. Sapevo che eri tu."

Il mio cuore batte all'impazzata mentre fisso l'inchiostro.

Porti con te la parte sinistra del mio cuore, possiedi la mia metà più grande. Tienila al sicuro.

Sono arrabbiata perché ha visto la lettera. Perché l'ha tenuta. Quando l'ho scritta il sentimento era al posto giusto, Mack ed io avevamo bisogno di qualcosa di solido e di una promessa per mettere insieme queste frasi. Ma adesso fa male leggerla e mi vergogno ad aver dubitato delle parole che avevo detto mentre ero innamorata.

"Ecco perché sapevo che eri tu - dovevi essere tu." Confessa. "Ero arrabbiato all'inizio" Mi irrigidisco alla sua verità. "Pensavo l'avessi fatto per tormentarmi. Ma Mack mi ha calmato. Mi ha spiegato che lo sei andata a trovare solo quando avevo gli incontri. Non volevi che io sapessi che eri lì, lo capisco."

"Come un angelo", sussurra. "Suona stupido", ride a mezza bocca. "Ma mi ha fatto sentire meglio."

***

Mentre torniamo ci fermiamo in una pizzeria vicino al campus per fermare il brontolio del mio stomaco. Sono contenta e sazia durante il cammino verso il mio appartamento. Non prendiamo la strada diretta del campus, ma lo guido attraverso gli edifici indicandogli dove vado a lezione. La presenza di Harry si manifesta attraverso domande, commenti, e lo strofinare delle sue nocche sul dorso della mia mano. I suoi tocchi delicati stimolano la mia voglia di tenere la sua mano, per sentirne la ruvidità delle dita mentre il suo pollice traccia dei cerchi sulla mia pelle. E' qualcosa che mi manca.
 
Inizia a piovigginare una volta raggiunto il mio isolato, entriamo nel cortile con i ciottoli illuminati da lampioni bassi. Harry tiene la porta aperta per farmi entrare e non sono contenta nel sentire che la festa è già iniziata. La porta dell'appartamento vibra mentre giro la chiave nella serratura.
 
Vengo avvolta dal nauseante aroma di vodka e dal fetore del liquore negli aliti delle persone che passiamo. E' troppo forte, troppo caos, probabilmente gli studenti più grandi dell'appartamento di sopra si lamenteranno domani mattina.
 
La cucina è piena di gruppetti di persone che si passano bottiglie e aneddoti interessanti. Vedo Tiff oltre il tavolo della cucina che si versa un drink appena prima che i miei occhi guizzino su un ragazzo che rovista nella mia credenza. Stringo i denti, urtando contro la marea di persone vacillanti ma nel frattempo che lo raggiungo si è già messo in testa il mio colapasta.
"E' mio!" Dico furiosamente, prendendolo dal manico e togliendolo dalla sua testa.
 
Riconosco l'amico stupido di Rob, lui sogghigna urlando il mio nome prima di stritolarmi in un abbraccio. Con difficoltà io e Tiff lo togliamo di dosso prima che si diriga verso il frigorifero, senza dubbio vuole cercare qualcosa con il quale terrorizzare qualcun altro.
 
"Pensavo ti avesse rapita", sussurra nel mio orecchio Tiff in una risatina brilla. "Sei stata via per secoli."
 
Ha la pelle leggermente colorata dall'alcool e gli occhi lucidi.
 
"No, sono ancora qui."
 
Mi volto per guardare Harry. Quando lo vedo, tiene Rob al braccio per aiutarlo a stare in piedi prima che dia una testata al bancone della cucina. Nascondo una risata dietro la mano mentre Harry mi supplica di dirgli cosa fare con l'idiota fra le sue braccia dall'altra parte della stanza.
 
"Venite con noi?" Tiff chiede da dietro.
 
Mi giro verso di lei, il suo alito è addolcito dal liquore della bottiglia che sta cullando sul suo fianco.
 
"Non me la sento, penso che andremo a letto."
 
Fece un gemito infantile di risposta e non sarei sorpresa se iniziasse a battere i piedi a terra col broncio. Invece, sto davanti a lei ad ascoltare le buffonate che mi sono persa mentre eravamo fuori. Il fatto che qualcuno avesse vomitato in mezzo ai cespugli non mi sorprende, ma ridacchio comunque.
 
"Ti abbiamo conservato un po' di torta", sogghigna prima di avvicinarsi a me. "Usate il preservativo."
 
Le parole di Tiff sono ovvie e se fosse stata meno ubriaca, le avrei dato un calcio sul sedere.
 
"Bo."
 
Il mio stomaco si gela e quando mi volto vedo James che sorride prima di prendere un lungo sorso dalla sua bottiglia di birra. Ha gli occhi luminosi, divertiti dall'alcool. Mi ricordo della sua gentilezza durante l'ultima discussione meno di una settimana fa. Ha detto che preferisce avermi come amica piuttosto che non avermi affatto, un'affermazione che ha indotto lacrime e la condivisione di un pacco di biscotti davanti a un film.
 
"Come stai?"
 
"Bene, tu?" annuisce sopra il rumore.
 
"Sto be-"
 
"E' un fottuto disastro", interrompe Harry senza preavviso.
 
E' in piedi accanto a me.
 
"Quello è il festeggiato", scherzo debolmente.
 
L'attenzione di Harry passa da me a James, probabilmente cercando di capire cosa non fosse andato. Ma siamo tutti qui insieme, e dovremmo superare questa situazione.
 
"Questo è Harry. Harry, James." Faccio con la mano avanti e indietro tenendo il colapasta.
 
Il nostro gruppo è in silenzio in mezzo a musica assordante e occhiate ubriache. Guardavo le loro facce per capire se si riconoscevano. Se la situazione peggiora, mi metterò fra di loro.
 
"Il tuo Harry?" mi chiede James.
 
Beh, suppongo lo sia.
 
"Sì."
 
"E' bello conoscerti, amico."
 
James sposta la bottiglia sulla mano sinistra e porge la destra a Harry. Harry afferra la sua mano senza esitazione e la stringe saldamente.
 
Iniziano a parlare civilmente di cose futili come i giocatori di rugby. Sono perplessa, se non sollevata, dal fatto che io mi sieda e li osservi parlare. Ero pronta ad un confronto, ma sembra che la mia bandierina bianca debba rimanere al suo posto.
 
***
 
"Perché ridi?"
 
Un sorriso divertito addolcisce il suo volto, una fossetta compare sulla sua guancia. Guardando oltre l'unicità dei suoi occhi vedo il calore che mi trasmettono quando mi guardano dimenarmi sotto le coperte.
 
"Perché sembra che io finisca sempre a letto con te." Sussurro la verità come se fosse un segreto.
 
Si spoglia fino a rimanere in mutande e alza il piumone chiedendomi di spostarmi. La mia spalla tocca il muro freddo e mi sposto con un sibilo tra i denti.
 
"Il tuo letto è piccolo" si lamenta Harry, combattendo per prendere più spazio sotto le coperte.
 
"Penso sia il modo dell'università per impedirci di avere qualcuno con noi a letto", ipotizzo. "Il gestore del dormitorio non sarà contento di sapere che sei stato qui."
 
"Beh, chiunque sia il responsabile dell'assegnazione dei letti è uno stronzo", brontola.
 
Mentre continua a contorcersi nel letto, il materasso emette rumori per il troppo peso. Mi giro sul fianco per evitare mal di schiena.
 
"Hai finito?" Chiedo nel freddo buio della stanza.
 
Harry grugnisce prima di girarsi sul fianco ancora una volta, respirando sul mio collo.
 
"Sarà un miracolo se riuscirò a dormire", dice a bassa voce.
 
"Beh, non renderlo un incubo anche per noi altri."
 
I nostri respiri si tranquillizzano prima che senta la mascella di Harry aprirsi in uno sbadiglio. Il suono mi dà fastidio e lo colpisco con una gomitata. In risposta mi infastidisce, mi pizzica la schiena per provocare una reazione.
Afferro le sue dita e lui smette, ora ci teniamo le mani nel buio.
 
"Posso abbracciarti?" Chiede a bassa voce.
 
"Okay."
 
Harry non ha bisogno di vedere per avvicinarsi, si sistema con facilità e mi avvolge il bacino con un braccio. La sua mano preme sul mio fianco ed io mi sistemo contro la forma del suo corpo dietro di me. Mette una caviglia tra le mie.
 
Fuori la pioggia colpisce la finestra, piccoli tuoni fanno da sottofondo e tengono testa ai nostri battiti accelerati. Ho lasciato la finestra aperta prima che ci mettessimo a letto ed ora il vento muove le tende.
 
"Mi è mancato tutto questo. Dopo settimane in cui mi svegliavo nel cuore della notte da solo", pronuncia le parole come se fossero un segreto, sussurra nel mio collo. "Una stupida parte di me pensava che tu fossi andata in bagno o a bere qualcosa in cucina. Era come se il mio cuore si spezzasse tutte le volte che realizzava che tu non c'eri."
 
Stringo la sua mano sul mio petto, intrecciando le nostre dita.
 
"Sono qui adesso."
 
***
 
Harry's POV
 
"Bo! Bo!"
 
Spalanco il mio occhio destro. La schiena mi sta uccidendo e ho la bocca piena di capelli anche se non so bene di chi siano.
L'incessante bussare continua mentre tolgo il braccio da sotto lei. Si agita ma non abbastanza da svegliarsi, espira con il naso prima di prendere un cuscino e stringerlo contro il petto. Con un sorriso gentile e il cuore pesante le stampo un bacio sulla fronte e mi alzo dal letto.
 
I jeans che ho tolto la sera prima sono stesi sul pavimento, li indosso mentre cammino verso la striscia di luce che penetra da sotto la porta. La stanza non mi è familiare, quindi vado rumorosamente a tentoni nel buio mentre mi ambiento nel nuovo territorio. E' facile tastare, mi aiuta a creare un'immagine completa nella mia mente, così ho meno lavoro per il mio occhio buono. La serratura si apre facilmente e tocco ciecamente il legno della porta fino alla maniglia, e la apro.
 
C'è un ragazzo in piedi di fronte a me, sembra dispiaciuto di vedermi nello stesso modo in cui a me dispiace di vedere lui. Ha i capelli in disordine, i pantaloni a quadri del suo pigiama sono arrotolati sui suoi fianchi e indossa un maglione al contrario. Il suo viso mi è vagamente familiare.
 
"Oh, aspetta-" si acciglia, gira la testa a sinistra per guardare il corridoio.
 
Guarda quella che penso sia la sua porta aperta.
 
"Posso aiutarti?" chiedo intontito, con la voce piena di sonno.
 
"Questa è la stanza di Bo."
 
Mormoro confermando, mi sto stufando di questa conversazione e sto per tornare a letto.
 
"Sì, cosa vuoi?"
 
"Latte", risponde semplicemente.
 
"Cosa?"
 
Un tocco leggero sulla parte inferiore della mia schiena mi coglie di sorpresa, mentre Bo mi gira intorno e si mette al mio fianco. Si appoggia a me e sono contento di essere il suo supporto. I suoi capelli disordinati mi solleticano la pelle.
Un braccio circonda la mia schiena e le sue dita delicate fanno pressione sul mio fianco. Mi godo la sensazione, la penetro, imprimo il suo tocco nella mia mente.
 
Gli occhi del ragazzo si spalancano.
 
"Finché lo rimetti a posto, va bene" dice intontita.
 
"Voi due stavate-" la voce gli si affievolisce mentre alza le sopracciglia.
 
"Dormendo? Si. Adesso vattene. Voglio tornare a letto." Bo si lamenta, mi prende la mano e mi tira via dalla porta, dentro la sua stanza.
 
Non mi convince.
 
"Non hai mai lasciato James dormire la notte" dichiara, mettendo in mezzo un piede impedendo alla porta di chiudersi dietro di noi.
 
"Beh, chiaramente questo non è James, non è vero?" tira su la mia mano con la sua, per mostrarmi.
 
Il suo tono tagliente mi fa sorridere, mi piace quando fa così. E' come se ci fosse del fuoco dietro le sue parole, come se si atteggiasse.
 
"Giorno, Harry. Bo." Dice Tiff con un gesto della testa indicandoci da dietro il ragazzo,  poi sbadiglia e si trascina in cucina.
 
Lui segue i suoi passi, chiedendole della nostra organizzazione sul dormire.
 
***
Bo's POV
 
"Quindi, cos'è successo al tuo occhio?"
 
La mia postura cambia, il silenzio si allunga fino a quando mi giro a guardare il tavolo della cucina. Rob inclina la testa di lato, cercando di osservare meglio l'occhio danneggiato di Harry. Tiff si appoggia contro una delle sedie con i cuscini vicino al tavolo da caffè, dimenticandosi dello smalto fresco.
 
"Sono stato sfortunato in un combattimento."
 
La maggior parte delle persone non avrebbe chiesto altro a Harry. Ma Rob è un idiota ed ovviamente chiede.
 
"Un combattimento? Cioè un-" alza i pugni come se stesse prendendo a pugni l'aria. "Un vero combattimento?"
 
"Sì."
 
Posso quasi vedere l'eccitazione di Rob, un altro assalto pieno di domande da fare fino ad offendere.
 
"Mangia il tuo toast", lo sgrido, mettendogli il pane bruciato in bocca.
 
Harry mi guarda tornare alla mia ciotola di cereali. Prendo un cucchiaio pulito dal cassetto e il latte dal frigo. Mangio la mia colazione dopo avergli messo il tè sul tavolo. Mi ringrazia con un sorriso.
 
Lo smalto sui piedi di Tiff si sta asciugando quindi la sua camminata verso di noi ora è più ondeggiante. Si alza la manica sinistra mentre si avvicina, mostrando il suo avambraccio al gruppo. Ho già visto la cicatrice, una spessa linea frastagliata che arriva quasi al polso.
 
"Sono caduta dall'altalena in un albero quando avevo sette anni, un ramo mi è entrato nel braccio."
 
Harry mette giù la tazza, prendendo con attenzione la mano e il gomito di Tiff per guardare la ferita in modo da esaminarla.
 
"E' una bella cicatrice", conclude annuendo.
 
"Beh, almeno tu sembri un pirata sexy", risponde argutamente.
 
Harry sogghigna, tira la testa indietro e ride.
 
***
 
La tempesta di ieri è passata, lasciando al suo risveglio fangose pozzanghere da schivare e un cielo sereno. Harry ed io aspettiamo sotto al riparo della fermata dell'autobus più vicina all'angolo della strada. I motori delle macchine sfrecciano sull'asfalto che quasi brilla per il bagnato. Mentre osservo liberamente questa tarda mattinata di domenica, la mia considerazione si allontana finché non fisso dal basso Harry. Non indietreggia mentre tocco il suo viso con le mie dita.
 
Mi chiedo silenziosamente cosa vede. Tutto è più opaco, o la sua cecità ha amplificato colori e forme? Potenzia i suoi sensi attraverso il tatto, l'ho notato mentre ignaro tocca me o gli oggetti che lo circondano. La mia mano copre cautamente l'occhio sinistro e con la cicatrice nascosta torna l'Harry di un tempo. Mi sorride delicatamente come se capisse quali pensieri occupano la mia mente. Mi penetra con la sua iride luminosa e la pupilla marcata.
 
Tolgo la mano e la metto dalla parte opposta. L'occhio destro, leggermente color latte, funziona col tempo. Cerca qualcosa da vedere disperatamente. Guarda in giro e posso sentire le sue ciglia solleticare il palmo della mia mano. Harry sa che non gli farei mai del male, ma l'improvvisa perdita di vista è troppo. Il suo respiro è aumentato per il panico, mi toglie la mano afferrandomi per il polso.
 
"Perché mi hai lasciata?" chiedo, la voce trema leggermente.
 
Guarda in basso fra di noi, mentre gioca con le mie dita.
 
"Pensavo che saresti stata meglio senza di me. Sembra che tu stia bene adesso", sorride, ma so che gli fa male.
 
Tutto sommato, sono messa bene. Ma questo non significa che tutti i pezzi del mio puzzle hanno trovato il loro posto. Potrebbe non esserci mai una figura completa, ma questo è il bello del gioco.
Potrei aver trovato il mio secondo giocatore.
 
Una macchina argento frena davanti a noi e io faccio un sorriso forzato mentre Mack si allunga verso il centro per salutare. Harry non ha nulla con sé, quindi gli do un forte bacio sulla bocca e lo faccio salire in auto. Un turbinio di emozioni, tutto quello che potrei desiderare in un solo tocco. Mentre mi allontano spero sia qualcosa che porti con lui per tutto il tragitto verso casa. Mi prometto di ricordarlo fino a quando non lo rivedro.
 
"Non sparire", gli dico.
 
"Non lo farò. Promesso."

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