They will fall in love di Caaatkhad (/viewuser.php?uid=1162796)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Praefatio ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 1 *** Praefatio ***
Prologo
2 Ottobre
1893. Londra, Inghilterra. Ore 17:17.
Da ormai
interminabili ore le donne vagavano per le strade di Londra, con la
speranza che un qualche miracolo potesse porgere loro una mano.
Erano
stanche, affaticate dal lungo viaggio che le aveva portate fino a
lí, ma risollevate del fatto che finalmente erano libere,
senza più catene.
Le valigie che contenevano i loro pochi averi sembravano quasi macigni,
i loro sguardi scrutavano attentamente ogni angolo per riuscire a
trovare la giusta direzione.
Laurent le
stava aspettando all'angolo di Green Street, una pipa tra le labbra
appena inumidite. Che si fossero perse? Era forse successo
qualcosa?
Diede un
colpetto con il piede destro ad un sassolino, che rotoló
fino alla ruota di una carrozza ferma ad un paio di metri. Il cocchiere
alzó lo sguardo per un istante, per poi rituffarsi nella
lettura del suo giornale.
- Dai
ragazze, per di qua. - Esme giró furtiva in un vicolo
semibuio. - Non dovremmo essere lontane. - Si guardó
velocemente intorno, cercando di rispolverare tra i suoi ricordi la
strada giusta.
- Zia, sei
sicura che sia qui? Ho
una strana sensazione... - Alice non fece
in tempo a finire la frase, che un ratto sgattaioló fuori da
un buco e corse veloce davanti ai suoi piedi. Bella soffocó
un grido, e Rosalie subito dietro di lei tiró su velocemente
la sua valigia un po' malconcia con una smorfia disgustata in viso.
- Non
lo so, piccola mia. Sono passati tanti
anni dall'ultima volta in cui venni qui a Londra, purtroppo non ne ho
una gran memoria. - Avanzarono velocemente fino alla fine della
stradina, spuntando ad un incrocio.
Da lontano,
videro un uomo in un vecchio completo color borgogna, un cappello in
testa e dei lunghi capelli intrecciati. Esme si rianimó
subito, e incitó le ragazze a sbrigarsi.
- Esme
Evenson! Finalmente siete qui. - Laurent
allargó appena le braccia dirigendosi verso di loro e le
aiutó a prendere un paio di valigie. - Il
dottor Cullen vi sta aspettando. Spero abbiate fatto un buon viaggio.
Quanto siete cresciute ragazze mie... - Laurent
scrutó rapidamente le sorelle, con un accenno di sorriso.
- Laurent,
é per noi un grande piacere rivederti. - I cinque
salirono uno dietro l'altro sulla carrozza che, da una mezz'ora
abbondante, li aspettava.
- Ne
sono felice. - Si accomodarono,
nel frattempo che il cocchiere con un lieve colpo di frusta diede
ordine ai due cavalli di partire.
- Ve
lo prometto, vi troverete bene a casa Cullen. É uno dei
medici più illustri qui a Londra, la sua fama ha raggiunto
ormai quasi tutta la periferia. Mi sono assicurato che questa volta
possiate trovarvi in un posto sicuro. - Rosalie
sospiró appena, sistemando con le mani la gonna sulle sue
gambe. Molti ricordi le invadevano la mente, e le sue sorelle lo
sapevano bene. Si sistemó nervosamente la lunga treccia
bionda sul petto, nascondendo appena i suoi occhi azzurro cielo sotto
al cappello.
- Tra
quanto arriveremo, Laurent? - La voce soave e
delicata di Bella ruppe il silenzio che si era formato pochi istanti
prima. I suoi occhi color cioccolato incrociarono quelli dell'uomo,
contornati da piccole rughe che segnavano ormai il passare del tempo in
maniera inesorabile.
- Un
paio d'ore, Bella. Potete riposarvi, c'é una calma insolita
oggi nelle strade. Approfittatene. - Le ragazze si
guardarono, mentre Esme si era già assopita.
Alice
guardó fuori dal finestrino, incrociando il suo riflesso
stanco ma rasserenato. I suoi capelli neri corvino le sfioravano appena
le spalle, e sorrise nel vederli tutti scombinati dopo la lunghissima
camminata. Le gocce di pioggia sul vetro e il cielo ingrigito le
stavano accompagnando verso la loro nuova dimora, e tante erano le
domande che le attanagliavano. Che cosa sarebbe successo da quel
momento in poi?
Hello hello! Dopo
ormai 7 anni, ho deciso di rifare capolino su questo magnifico sito, e
riprendere in mano una storia che mi stava tanto a cuore allora quanto
adesso. Per chi se lo chiedesse, il profilo Alba97 é il mio,
ho deciso di aprirne uno nuovo per poter ricominciare da capo
le mie FF.
Spero questa volta di poter suscitare in voi un interesse verso la
storia.
PS. I dialoghi in
grassetto sono originariamente in francese, per questioni
di logistica ho voluto scriverli direttamente in italiano ma
é bene che io lo specifichi per dare un senso alla storia.
Bacioni!
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Capitolo 2 *** Capitolo I ***
Capitolo I
2 Ottobre 1893, Londra,
Inghilterra. Ore 19:27.
Con una mano sull'altra, dietro la schiena, il dottor Cullen
passeggiava lentamente avanti e indietro per il corridoio del piano
superiore, ripensando alla giornata estenuante appena passata. Il suo
sguardo stanco si posava ad ogni passaggio sul quadro appeso vicino
alla porta della sua camera da letto, la donna ritratta sembrava quasi
sorridergli teneramente.
- Oh Liz, quanto mi manchi. - Sospiró, soffermandosi davanti
al
dipinto, un'ombra di tristezza gli oscuró gli occhi verde
smeraldo e un'espressione malinconica fece capolino sul viso. - Sai, i
ragazzi sono cresciuti cosí in fretta... Saresti
cosí
orgogliosa di loro, come lo sono io. - Rimase un paio di minuti a
osservare quel viso, poi si diresse verso le scale che portavano al
piano inferiore.
Vicino alla porta di ingresso, un giovane ed impacciato
richiamó la sua attenzione.
- Julian, che succede? - Il ragazzo si stava torturando le mani, e
sobbalzó non appena udí la voce del padrone di
casa.
- S-signor Cu-cullen... Oh. Beh, una signora vi aspetta fuori. Sembra
urgente. - Carlisle si affrettó e non appena
arrivó
davanti all'uscio, Julian aprí.
- Dottore! Dottore! Vi prego aiutatemi dottore!! - Una signora sulla
sessantina si affacció affannata. - Mio nipote si
é
ferito cadendo da un albero del nostro giardino, vi prego venite
dottore! -
Carlisle sorrise appena, la signora Beth era sempre cosí
apprensiva e terribilmente attaccata al nipotino Paul.
Allungó un braccio per farle segno di condurlo verso la
casa, ma
prima di uscire prestó bene attenzione ad avvisare il
giovane. -
Julian, non dimenticare che a momenti arriveranno le nuove dipendenti.
Falle sistemare da Trevor e date loro le indicazioni necessarie, al mio
rientro mi occuperó del resto. -
Una voce profonda, lievemente rauca e dal tono deciso interruppe il
dottor Cullen. - Padre, un'altra volta? - Edward apparve dalla parte
opposta del corridoio, vicino all'ingresso del salone principale.
- Figliolo. Prometto che stavolta saró breve. - Carlisle
indossó il suo cappello nero, prese la giacca fra le mani e
richiuse la porta dietro di lui.
Alice...
Alice... Alice!
Alice sobbalzó. Bella era davanti a lei e stava
scuotendo dolcemente la sua spalla per risvegliarla.
- Oh...- Si rimise subito composta, guardandosi intorno. La carrozza si
era appena fermata davanti al cancello di una grande villa immersa in
un giardino rigoglioso, poco fuori la periferia di Londra.
- Siamo arrivate, aiutami a prendere le ultime cose. - Bella prese dal
posto accanto alla sorella una borsa contenente i suoi pochi beni
preziosi, poi con un salto scese velocemente dallo scalino della
carrozza. Rosalie le aspettava insieme alla zia Esme e al resto dei
loro bagagli, mentre Laurent si era avviato verso la porta di ingresso
per annunciare il loro arrivo.
- Buona fortuna, mesdames.- Il cocchiere si sollevó il
cappello,
e le quattro si incamminarono sul piccolo sentiero attraverso il
giardino.
- Wow... Devono essere
davvero una famiglia importante. - Rosalie
ammiró a lungo le aiuole fiorite che appena passato il
tramonto si faticava a vedere.
- Oh bambine mie, non
immaginate nemmeno. -
Arrivate davanti alla porta principale, Laurent stava
parlando
con un uomo sulla quarantina, il suo sguardo assottigliato e i baffi
perfettamente sistemati gli davano un'aria seria ma non egualmente
imponente. - Benvenute, vi stavamo aspettando. Il mio nome é
Trevor Morrist, potete chiamarmi Trevor. Sono a capo dei dipendenti di
questa casa, oltre ad essere assistente del dottor Cullen. -
- Amico mio, non rimarrai deluso. Hai la mia parola. - Laurent
portó una mano sul petto all'altezza del cuore, e l'uomo
sulla
porta sembró rilassare appena i nervi.
- Bene, é ora di separarsi. - Laurent si rivolse alle donne
accanto a lui, con un sorriso speranzoso. - Non preoccupatevi, ci rivedremo
presto.
- Con un cenno della testa, sollevó il cappello e fece un
mezzo
inchino verso di loro, poi si avvió nuovamente verso la
carrozza. Julian arrivó trafelato alle spalle del signor
Morrist, che dopo avergli fatto un cenno con la testa si
dileguó. Il giovane prese dunque il suo posto, arrossendo
inevitabilmente davanti alla presenza delle quattro donne.
- Seguitemi, vi mostro le vostre stanze. Si é fatto
tardi,
domattina inizierà il vostro lavoro. Dovreste riposare, ne
avrete bisogno. - Farfuglió, portando una mano
dietro alla nuca e accennando un sorriso imbarazzato.
I
loro passi riecheggiavano nel corridoio, pieno di quadri appesi e di
vasi di rose bianche. Il pavimento in legno pregiato si estendeva nel
salone che le donne riuscirono ad intravedere, nel quale si trovava una
libreria alta fino al soffitto e colma di libri.
Salirono le scale, arrivando ad un altro corridoio che si divideva in
due. Continuarono a camminare, la villa era ancora più
grande di
quello che sembrava dall'esterno.
- Signore... - sussurró Alice con un moto di imbarazzo.
L'uomo
giró la testa di lei. La ragazza fece per parlare, ma le
parole
non vollero uscire dalla sua bocca.
- Non conosciamo il vostro nome. - Le fece eco Rosalie, più
diretta e rigida della sorella.
- Oh... Giusto. Mi chiamo Julian, potete darmi del tu. -
Giunsero finalmente alle stanze dedite alla servitù. Le tre
sorelle avevano una piccola stanza contenente tre letti singoli e un
armadio abbastanza capiente, e la porta accanto rivelava una stanza
altrettanto piccola ma non meno accogliente, con un letto singolo.
- Ecco, qui é dove dormirete. Il dottor Cullen si aspetta
che
voi iniziate domattina, ha dato ordine di raggiungere la cucina prima
dell'ora di colazione. Il capo cuoco vi assegnerà le prime
mansioni. -
Esme ringrazió ed entró e richiuse la porta
dietro di
sé dopo aver augurato la buona notte alle nipoti, che si
apprestarono a fare lo stesso prima di venire interrotte dal giovane.
- Sapete... - Sussurró, guardandosi intorno per verificare
che
nessuno fosse nei paraggi. - Lavoro qui da un po', e a quanto dice il
signor Morrist voi siete le prime dipendenti donne di villa Cullen dopo
18 anni. - Un lontano rumore di passi lo zittí, e arrossendo
di
nuovo si congedó velocemente.
********************
-Bells, aiutami con questo per favore. - Alice
passó una
delle valigie alla sorella, che inizió a svuotarla per
riporre le cose.
Rosalie nel frattempo aveva iniziato a rassettare i letti e a fare il
giro della stanza.
- Ragazze non mi sembra vero, siamo in una stanza al caldo e
abbiamo addirittura un letto! Dite che sia solo un sogno? - Alice dopo
le sue parole le diede un pizzicotto sul braccio ridacchiando, e lei in
tutta risposta prese il cuscino e la rincorse per fargliela pagare.
Bella dal canto suo ridacchiava. - Dici ancora che é solo un
sogno Rose? - La sbeffeggió amorevolmente. - Ehi, guarda che
ce
n'é anche per te sai! - Le rispose Rosalie, concludendo con
una linguaggia.
Scoppiarono tutte e tre a ridere, ma poi si zittirono subito
ricordandosi che si era fatto davvero tardi.
- Ma voi sapete chi sono i Cullen? - Chiese Alice, più
seriamente.
- Sinceramente no... Zia Esme me ne aveva parlato qualche giorno sotto
mia richiesta, dopo aver ricevuto la lettera da Laurent. Ma mi ha fatto
solo qualche accenno, sembrava sollevata peró. Direi che
é buon segno. - Bella tiró fuori una sua camicia
da notte
e la mise sul letto più vicino alla porta, che lei stessa
aveva
scelto, e ci passó velocemente le mani sopra per cercare di
togliere qualche piega di troppo.
- Beh, dopo quello che abbiamo passato direi che peggio non potrebbe
andare. - Replicó Rosalie, sciogliendosi la treccia e
lasciando che i
lunghi capelli scendessero fino ad arrivare al fondoschiena, poi
tiró
fuori la spazzola e iniziai a pettinarli delicatamente.
- Speriamo... Io, in ogni caso, non mi lascio sicuramente sfuggire il
consiglio di Julian per quanto riguarda il riposo. - Alice era
già pronta, probabilmente era cosí stanca dal
viaggio che
l'unica cosa a cui pensava realmente in quel momento era la sua testa
appoggiata a quel cuscino dall'aria davvero confortevole. Si
abbracciarono tutte insieme, stringendosi forte, poi le sorelle minori
si
infilarono a letto e si addormentarono profondamente.
Rosalie rimase in piedi ancora qualche minuto, ad ammirare la Luna che
spiccava
luminosa in mezzo al cielo stellato. Poi chiuse le tende, lasciando uno
spiraglio, e le raggiunse nel mondo dei sogni.
3 Ottobre 1893,Londra, Inghilterra. Ore 5:13.
*Pov Rosalie:
Risate,
tante risate. Risate cristalline, di bambini. Il sole illuminava e
riscaldava tutto, e un buon profumo di thé verde inebriava
ció che sembrava una tavola imbandita. Ero lí,
con la
tazza calda di fronte a me, che gustavo in pace quella bevanda appena
zuccherata, e in sottofondo una vocina che chiamava ad alta voce. -
Mamma! Mamma! - Mi guardavo intorno, ero l'unica presente. Ero forse
io, la sua mamma? *
Si
sveglió quasi di soprassalto, un debole raggio di sole
attraversava la
stanza e illuminava i capelli castani di Bella. Rose si mise a
sedere sul letto, i suoi capelli le cortornavano disordinati il viso e
gli occhi erano ancora impastati dal sonno. Si stiracchió le
braccia,
poi la schiena, fino a sentire un piccolo crack lungo la colonna
vertebrale.
Si alzó poi dirigendosi verso lo specchio, osservandosi. -
Dovrei
darmi una sistemata, o Trevor mi romprovererà. -
Sussurró tra sé e sé. Un brivido corse
lungo la sua schiena. Per quanto si
fidasse della zia e delle sorelle, di Laurent e della sua amicizia
con lo zio, la loro appena passata esperienza le ricordava quanto male
ci fosse al mondo. Chi le dava la certezza assoluta che questi Cullen
non fossero come, o forse peggio dei King? Chi l'assicurava che
nessuno avrebbe più fatto loro passare l'inferno da
cui uscivano?
Non le importava tanto di sé, quanto delle sue sorelle e
della sua
povera zia.
- Rose, che stai aspettando? Dobbiamo andare, é
quasi ora
della colazione. - Alice la destó dai suoi pensieri, mentre
Bella dietro di lei legava i suoi capelli in uno semplice chignon. Rose
scrolló la testa e si sbrigó a prepararsi, non
voleva assolutamente arrivare
tardi.
***********************
Le ragazze uscirono velocemente dalla loro stanza, Esme le attendeva in
fondo al corridoio vicino alle scale. - Buongiorno piccole mie. Dai,
andiamo, dobbiamo essere in cucina alle sette e mancano pochi minuti.
Scesero tutte insieme, poi seguirono la dolce scia che proveniva dalla
cucina nell'ala destra dell'immensa villa. Una grande porta in legno le
separava dal resto della servitù. Bella si fece coraggio e
aprí la porta dopo aver bussato delicatamente.
Da dietro un tavolone ricolmo di pentole, mestoli e piccoli manicaretti
fece capolino con la testa un uomo biondo, dai capelli lunghi raccolti
in una coda non perfettamente ordinata e semi nascosta sotto al
cappello bianco. - Oh, vi aspettavo. Sono James, il cuoco. Piacere di
conoscervi, donzelle. - Sorrise lievemente, il suo accento duro
indicava che anche lui sicuramente veniva da lontano. Ognuna di loro si
presentó a sua volta.
- Il signor Morrist vi ha già spiegato in cosa consistono le
vostre mansioni? O forse Julian al suo posto? - Chiese, mentre con un
mestolo rigirava quella che sembrava una zuppa.
Le quattro scossero la testa in segno di negazione. - E Julian, non lo
avete visto stamani? - All'ennesima risposta negativa, lui
sospiró appena e alzó gli occhi al cielo.
- Come immaginavo. Beh. - Si asciugó le mani sul grembiule e
continuó. - Esme, tu dovrai occuparti di servire il padrone
di casa, il dottor Carlisle, sarà tuo compito servirlo e
offrirgli sempre il miglior servizio. Vedrai, é un brav'uomo
e merita davvero da parte nostra il meglio per lui e la sua famiglia.
Vediamo... - James scrutó poi attentamente le tre sorelle,
in piedi l'una accanto all'altra. - Tu, Rosalie. Ti occuperai del
signor Emmett, il figlio maggiore. Il lavoro lo porta a chiudersi
spesso nel suo ufficio, o a dover partire per la giornata intera a
Ludgate Hill. Tieni, ne avrai bisogno. - Porse un vassoio in argento
alla ragazza, che subito si apprestó a prenderlo. - Il
signor Emmett gradisce spesso che la colazione gli sia portata
direttamente in camera nei momenti di grande lavoro. Ieri sera me ne ha
dato conoscenza, quindi tra pochi minuti gliela porterai tu. La stessa
cosa per il signor Edward,il figlio più piccolo, di cui ti
prenderai cura tu, Isabella. - Quindi James le passó un
secondo vassoio.
- Il signor Jasper é assente da qualche giorno,
tornerà nel pomeriggio. Alice, giusto? Tu sarai con lui. La
sua camera dalla sua partenza é pulita e riassettata, ma
meglio se tu ci dia un'occhiata per quando tornerà. -
Alice annuí, quando la porta dietro di loro si
aprí sbattendo, e apparve Julian trafelato e con il fiatone,
seguito da un altro garzone poco più che bambino.
- I-io... Oh! Signore Swan, siete già qui. - Si
appoggió con una mano sul muro accanto e con l'altra sul suo
ginocchio, cercando di riprendere una respirazione normale. - I-io...
Oh, non fa niente. J-james, vedo che hai già... - Il cuoco
lo interruppe. - Accompagna le tre giovani e mostra loro le camere dei
signori, mentre io spiego a Esme cosa dovrebbe fare qui con me in
cucina. - Julian si rimise in posizione di scatto, e dopo aver preso
tutto il necessario per la colazione, i quattro si incamminarono
velocemente verso l'ala opposta della casa.
- Alice, scusami. Era il mio compito finire di sistemare la stanza del
signor Jasper, ma ho avuto un imprevisto e... - Arrossí di
colpo, e Alice lo rassicuró. - Non preoccuparti, non
importa. - Sapeva, o meglio immaginava, che quel ragazzo poco
più piccolo di lei doveva stare agli ordini di molti sopra
di lui.
Arrivarono dunque davanti davanti alle stanze, una dietro l'altra. -
Rosalie, questa é la stanza del signor Emmett. Robert,
accompagna Alice e Bella nelle altre due stanze, io mi assicuro che qui
vada tutto bene. - Prese un grande respiro, mentre gli altri tre si
dileguarono velocemente.
- Andrà tutto bene Rosalie, é una brava persona.
Solo molto severo... - L'ultima frase la soffió appena, ma
Rosalie la sentí chiaramente e si irrigidí
appena. Il garzone bussó dunque alla porta. Dopo un paio di
secondi, una voce li invitó a procedere.
Julian entró e Rosalie lo seguí, bloccandosi
subito davanti alla scena che le si presentó davanti agli
occhi.
La camera da letto era immensa, con i mobili in mogano nero e le pareti
color crema. Un letto matrimoniale trionfeggiava in mezzo, poco
distaccato dal muro, e di fronte un grande armadio con accanto uno
specchio. Non lontana dalla porta, un'enorme scrivania ricoperta di
fogli sparsi e una lampada ad olio spenta.
Emmett Cullen era in piedi, davanti alla finestra, con le braccia
conserte e guardava fuori con aria quasi annoiata. I capelli neri,
ricci e cortissimi, contornavano un viso ben definito e con la mascella
decisamente squadrata ma comunque armoniosa con il resto dei tratti del
viso. Era alto, molto alto e muscoloso, davvero molto muscoloso. I suoi
occhi erano verde acqua, sempre duri e pungenti in ogni suo sguardo.
Aveva indosso solo un paio di pantaloni lunghi e neri e una canotta
bianca che utilizzava come pigiama. Giró appena la testa. -
Sei in orario, Julian. Che cosa ti é successo stamattina? -
Disse, con un tono ironico e appena sprezzante. Il giovane
inizió di nuovo a balbettare. - Uh... Ehm io... Signor
Cullen, io... - Stava tremando, e Rosalie provó
una gran pena per lui. - Buongiorno, signor Cullen. Sono Rosalie, sono
qui per servirla. - Disse, abbassando appena la testa in segno di
rispetto. L'uomo si giró all'improvviso, con un'espressione
dura in volto. Non proferí parola. Julian
farfuglió qualcosa, poi si dileguó lasciando i
due soli nella stanza.
Rosalie posó delicatamente il vassoio sulla scrivania,
facendo attenzione a non sporcare niente e cercando di risistemare i
fogli. - Non toccare. - Sibiló Emmett, visibilmente
alterato. - Sono importanti. Ma che vuoi saperne tu? Sei solo una
domestica. - Continuó, e il sorriso appena accennato sul
viso di Rosalie sparí subito. Iniziamo bene...
Pensó. Inizió dunque a sistemare il letto,
aprendo la finestra, mentre Emmett seduto sorseggiava il suo
thé immerso nei suoi pensieri.
Mentre sistemava le lenzuola lungo il letto, Rosalie non
poté non accorgersi dell'odore di Emmett impregnato in esse.
Cercando di non far vedere il suo improvviso rossore,
continuó velocemente a sistemare, mentre lo sguardo
insistente di Emmett era fisso su di lei.
***************************
Alice si ritrovó sola nella stanza del signor Jasper. Le
tende aperte, il letto sfatto e alcuni vestiti in giro la accolsero, e
con un lieve sorriso pensó a quale impegno cosí
importante avesse impedito a Julian di finire.
Si mise subito all'opera, aprí completamente la finestra da
cui entró subito un colpo d'aria fredda, l'inverno si
avvicinava a grandi passi. Fece velocemente il letto, e mentre stava
ripiegando dei pantaloni aprí l'armadio per riporli, e vide
diverse divise militari. Passó le dita tra di esse,
osservandone i dettagli. Un rumore dietro di lei, si giró e
vide un ragazzo che la guardava con aria minacciosa. - Chi sei? Cosa ci
fai in camera mia? - Disse quasi urlando, con la mano destra stretta in
un pugno e il viso contratto in un'espressione parecchio alterata.
- S-signor Cullen, sono la nuova domestica. Mi hanno incaricata di
sistemare la vostra camera prima del vostro arrivo... - Alice
provó a spiegarsi, i pantaloni che aveva tra le mani caddero
ma si sbrigó a raccoglierli.
Jasper si rilassó, dopo aver scosso la testa. - Un'altra
volta... - Sussurró. Si avvicinó poi ad Alice
prendendole i pantaloni dalle mani e richiudendo freneticamente le ante
dell'armadio. - Lascia fare, riesco a farmelo tranquillamente da solo.
- Disse, sollevando un sopracciglio e squadrando la ragazza da testa a
piedi, non che fosse difficile vista la differenza di altezza.
Jasper non era mai stato d'accordo sull'avere un domestico personale,
soprattutto donna. Probabilmente suo padre aveva organizzato la cosa
durante la sua assenza, ma conoscendoli, il fratello Emmett sicuro lo
aveva appoggiato nella cosa.
- Sai occuparti di un cavallo? - Chiese, mentre Alice mortificata
rimase con la testa bassa, facendo segno di no.
- Vai alle scuderie. Ti faró insegnare dal mio scudiero, ho
bisogno di qualcuno che possa sostituirlo. Presto partirà
per gli Stati Uniti. - Jasper parlava sicuro, come se stesse impartendo
ordini ad un soldato. - Ah. Come ti chiami? - Le chiese, prima di farla
uscire dalla stanza. - Alice, signor Cullen. Alice Swan. -
Sussurró lei. Non capiva, le era stato ordinato di rifare la
stanza. Ma se il suo diretto superiore le diceva di scendere, lei non
poteva fare altro se non ubbidire.
Si chiese, nel frattempo, come stessero andando le cose per le sorelle
e per la zia.
********************
- Isabella, hai detto? - Il ragazzino accanto a Bella la guardava con
uno sguardo intenso e quasi ammaliato. Lei, imbarazzata, voleva evitare
il più possibile un contatto con lui, il suo primo giorno di
lavoro non voleva avere già dei problemi con gli altri.
- Ecco, questa é la stanza del signor Edward. - La
incalzó, aprendo la porta senza bussare e quasi spingendola
dentro. Bella provó a ribattere, ma sgranó gli
occhi non appena vide che Edward stava dormendo beato. Si
guardó intorno, ma con la penombra che padroneggiava la
stanza non vedeva granché. Riuscí ad appoggiare
il vassoio su una sedia poco vicino, ma un paio di passi dopo si
ritrovó a terra, dopo essere inciampata in un pezzo di
lenzuolo che ricadeva dal letto. Con la sua maldestria,
riuscí addirittura a tirare con sé le coperte,
svegliando bruscamente Edward. Il ragazzo sobbalzó,
appoggiandosi con un gomito sul letto e sporgendosi per capire cosa
fosse successo e, soprattutto, chi fosse la ragazza a terra. Bella, dal
canto suo, divenne cosí paonazza da iniziare a sentire caldo
nonostante la stagione.
- Ma cosa...? -
Ehilà! Eccomi con il primo vero capitolo della FF :) ho
cercato di riprendere i caratteri iniziali ma addolcendoli un po',
rendendo il tutto più credibile.
Fatemi sapere se vi piace, e se a parer vostro é meglio che
io continui con il racconto in terza persona o se é meglio
mettere dei POV :) Al prossimo capitolo!
|
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Capitolo 3 *** Capitolo II ***
Capitolo II
3 Ottobre 1893, Londra,
Inghilterra. Ore 7:32.
- Ma
cosa...? - Con la voce rauca di chi era appena stato strappato ad un
sogno meraviglioso, Edward si rivolse ad una Bella che in quel momento
avrebbe solo voluto sotterrarsi dalla vergogna. - Scusatemi, signor
Cullen! - Sospiró, cercando di rialzarsi. - Con questo buio
non
ho visto bene e... - Con una mossa ancora più maldestra, la
ragazza tiró via con sé il lenzuolo, lasciando
Edward
scoperto e decisamente poco vestito. Il suo viso divenne quasi violaceo.
Edward nel frattempo riuscí a recuperare il lembo di
tessuto, e
a disagio si alzó cercando di nascondere il proprio corpo,
per
quanto potesse.
Bella si giró di schiena per concedergli la giusta privacy,
quanto bastasse almeno per permettergli di vestirsi. - Mi chiamo
Isabella Swan, signor Cullen, e sono la vostra domestica. V-vostro
padre ci ha assunte ieri... - Balbettó, sentendo Edward
dietro
di lei farsi scappare una risatina.
- Oh, beh, non pensavo che mio padre ti avesse ingaggiata anche per
buttarmi giù dal letto. - Disse, con tono scherzoso, forse
per
smorzare la tensione che si era creata.
- Il piacere é mio, Isabella. Se cosí si
puó dire.
- Bella si sentiva davvero a disagio, sicuramente non era sua
intenzione presentarsi in quel modo.
- Sono davvero mortificata signor Cullen, ho seguito il garzone che mi
ha poi quasi buttata dentro alla stanza, non mi sarei mai permessa di
entrare senza il vostro permesso. -
- Non preoccuparti. Per questa volta ti perdono. - Sorrise appena
Edward, ed approfittó del fatto che la ragazza gli desse le
spalle per osservarla meglio. Qualche secondo dopo, Bella
andó
alla finestra per fare luce, e finalmente i due si poterono vedere
chiaramente in viso. Rimasero in silenzio un paio di minuti buoni,
guardandosi come se intorno a loro non ci fosse nient'altro.
Poi Edward si schiarí la voce, e prese il vassoio portato da
Bella per lui. - Grazie, per la colazione. - Disse. - Dovevo
effettivamente svegliarmi presto per una riunione con mio padre, ma mio
fratello mi ha avvisato ieri sera che non ci sarebbe stata. Allora ho
approfittato, e beh... Non so nemmeno perché io mi stia
giustificando, in realtà. - Disse, grattandosi la nuca senza
incrociare più lo sguardo della ragazza.
- Cosa posso fare per voi, signore? - Chiese lei, cercando di non
dilungarsi troppo nelle parole, avrebbe sicuramente peggiorato la sua
posizione.
- Rifai il letto per me, per favore. Io torno subito. - Disse dunque
lui, poi dopo aver abbottonato la camicia uscí in tutta
fretta
dalla stanza.
Bella fece come richiesto, e visto che c'erano parecchi oggetti
personali sparsi per la stanza, inizió a riordinare tutto,
spalancando per prima cosa la finestra per far circolare l'aria fresca
mattutina. Si chinó per prendere il tappeto e scrollarlo
energicamente fuori dalla finestra, poi lo rimise al suo posto.
Si guardó intorno, e vide il suo riflesso su uno specchio
sul
comó. Il suo viso stava recuperando un colore quasi normale,
e
solo in quel momento si rese conto davvero di cosa fosse appena
successo.
Edward riapparve poco dopo, ritrovando la stanza perfettamente
riordinata. - Oh, wow, sei stata veloce. - Prese la giacca e le scarpe,
poi si rivolse alla ragazza. - Beh, Isabella, visto che tra poco devo
andare in città per delle questioni di lavoro e che non ho
un
segretario, vuoi unirti a me? Potresti essermi utile. - Bella rimase
sconvolta. Se le avessero detto che la sua prima giornata di lavoro si
sarebbe trasformata in una passeggiata per Londra insieme al suo
padrone, che era riuscita non solo a spaventare ancora prima di
presentarsi, che non solo era cordiale e gentile con lei, ma che
oltretutto aveva una bellezza incredibile, non ci avrebbe mai, ma
davvero mai creduto. Annuí, dunque. - Vado ad indossare
qualcosa
di caldo, con il vostro permesso. -
- Certo, se vuoi puoi cambiarti e indossare qualcosa di più
adatto. Ti aspetto vicino alla porta d'ingresso. - Bella si
osservó velocemente, e uscendo dalla stanza per tornare alla
sua
non poté non porsi delle domande. La sua divisa da lavoro
era
pulita, profumata, ma era effettivamente una divisa. Se il signor
Cullen le aveva chiesto di cambiarsi, forse si vergognava di uscire
accanto a lei in quelle spoglie? Che cosa aveva in mente?
- Non preoccuparti, Isabella. Non c'é niente che non vada
nei
tuoi vestiti. Credo semplicemente che un completo per uscire ti sia
più adatto per l'occasione. - Edward sembrava quasi averle
letto
nella mente, quindi Bella guardandolo sorrise lievemente e si diede una
mossa per prepararsi per la giornata che, senza dubbi, si sarebbe
svolta in maniera sicuramente particolare.
**********************
La sera, nella camera delle
ragazze.
-
Allora? - Alice
non stava più nella pelle, voleva sapere se le sorelle
stavano
bene, se tutto era andato come previsto, insomma aspettava solo un
racconto dettagliato della loro giornata.
- Oh, beh... Se tralasciamo la prima mezz'ora, in cui credo di aver
fatto tante di quelle figuracce mai fatte prima, direi bene. Anzi,
direi proprio alla grande! - Esordí Bella, raccontando nei
minimi dettagli cosa fosse successo al momento della colazione.
Alice rise, rise di gran gusto, mentre Rosalie accennó un
sorriso, mantenendo la sua espressione dura e ostinata in volto. - Oh
Bells, sei sempre la solita. - Disse la mora, riprendendo fiato. - Come
hai fatto a non farti cacciare quindi? - Continuó. Le due
iniziarono quindi a parlare della loro prima mattinata, mentre Rosalie
era sempre più assente.
- Io non so esattamente come dovrei sentirmi. Beh, lui... Non mi voleva
intorno, questo era quello che mi faceva percepire. - Disse Alice,
facendo spallucce.
- E tu, Rose? Non hai proferito parola fino ad ora. Tutto bene? - Bella
posó una mano sulla spalla della sorella, che risvegliandosi
dai
suoi pensieri prese un istante prima di parlare.
- Mi odia. Mi odia a morte. Mi ha sminuita, trattata da ignorante,
considerata meno di zero. Come... - Si interruppe un attimo, deglutendo
rumorosamente. - Come faceva lui. - Sospiró l'ultima frase
come
se un macigno immaginario fosse appena caduto dal suo stomaco.
Bella e Alice si incupirono all'improvviso. L'ultima posó la
mano sulla spalla della sorella. - Rose, mi dispiace... - Disse, ma
Rosalie la interruppe. - No, Al. Non ce n'é bisogno. Sapervi
felici, o almeno al sicuro, mi fa dimenticare tutto. Davvero, sto bene.
- Terminó il discorso cosí, prima di sedersi alla
toeletta.
Le sorelle decisero di lasciarla tranquilla, sapevano bene che non
sarebbe servito a niente forzarla.
- Allora Bells, com'é questo Edward? - Chiese Alice,
sedendosi
sul suo letto e incrociando le gambe, mentre la sorella torturava una
ciocca dei propri capelli nervosamente.
- Oh, é uno dei ragazzi più belli e affascinanti
che io
abbia mai visto. Mi ha fatta andare con lui in città, mi ha
portata in giro per vari uffici e soprattutto mi ha trattata quasi come
se fossi al suo pari, insomma come se non fossi una sua dipendente ma
una sua conoscente. Ma quei capelli, Al... - Sospiró,
sognante. - Quei capelli rossicci e mossi, ci avrei affondato le
mani... Ma cosa sto dicendo?! - Si fermó
vergognandosi profondamente dei suoi pensieri non propriamente
professionali.
Fortunatamente, Alice si era persa le ultime parole, distratta alla
vista di Rosalie che, con la fronte appoggiata sul tavolo di fronte a
lei, sembrava singhiozzare silenziosamente.
- Rose... - Dissero entrambe, senza ricevere risposta.
La bionda si alzó,
asciugandosi le lacrime, e indossando una vestaglia da notte molto
leggera uscí dalla stanza asciugandosi le lacrime.
- Ma cosa puó essere
successo di tanto brutto, Al? Dici che sia il caso di seguirla? - Alice
fece nuovamente spallucce, ma negó.
- No, Bells. Conosci nostra sorella, se e quando avrà voglia
di
parlarne con noi lo farà, ha sempre sopportato tanto per
noi. -
Disse. Si inizió
a spogliare, rimanendo in intimo davanti alla sorella, per poi aprire
la sua anta dell'armadio e prendere qualcosa con cui cambiarsi per poi
andare a riposo.
- Già... Spero solo che Emmett non le abbia fatto niente.
Non
riuscirei a guardarlo negli occhi, altrimenti. - Bella era
già
pronta per dormire, cosí si infiló
sotto alle coperte, e dopo aver dato un bacio della buonanotte alla
sorella chiuse gli occhi per addormentarsi quasi subito dopo.
Alice, dal canto suo, non riusciva a chiudere occhio. Sdraiata sul suo
letto, il suo cuore batteva più velocemente del solito al
ricordo di ció che
aveva passato durante l'intera giornata.
Non aveva mai dovuto preparare un cavallo, e considerando che lei
stessa non arrivava completamente al muso dell'animale, non aveva
sicuramente passato un buon momento.
Soprattutto con Jasper accanto che non le rivolgeva nemmeno uno
sguardo, e che anzi sembrava infastidito dalla sua presenza forzata.
Lei aveva cercato di non infierire e di stare al suo posto, eseguendo
gli ordini borbottati e copiando tutte le sue azioni per non sbagliare
niente.
Ma a nulla erano serviti i suoi sforzi, era arrivata a fine giornata
senza riuscire a sentirsi accettata minimamente da quel bellissimo
ragazzo biondo e alto, tanto alto. I suoi occhi verdi l'avevano colpita
dal primo istante in cui era entrato nella stanza, e anche i loro
cambiamenti in base al suo umore. Ció
che preferiva era, appunto, quel colore tanto intenso da farla
imbambolare più volte. Forse era per questo che lui la
evitava?
Con tutte
quelle domande
che le frullavano in testa, Alice fu costretta ad alzarsi dal letto e
aprire la finestra per affacciarsi, con dietro Bella che dal letto le
rantoló qualcosa
di incomprensibile, prima di rigirarsi e tornare a dormire
profondamente.
Alice sporse appena la testa giù, notando che una scala a
pioli
era appoggiata non molto lontana dalla finestra, forse dimenticata dal
giardiniere che il pomeriggio stesso era occupato a ripulire gli alberi
accanto.
Le venne la malsana idea di provare a scendere proprio da quella scala,
e nonostante la fatica, dopo essersi affacciata completamente
riuscí ad aggrapparsi ad un'estremità e ad
avvicinarla a
sé. Mise il piede destro, poi il sinistro, e si caló
giù facendo attenzione a non cadere o a non farsi male.
L'erba sotto ai suoi piedi era fresca, l'umidità vi si era
posata sopra prima che il freddo potesse farla morire, ed Alice rimase
cosí per qualche secondo, a godersi quella sensazione che le
dava più di un brivido lungo il corpo. Si strinse nelle
proprie braccia per ripararsi da un filo di vento più freddo
che la colpí, e
rimase ad osservare la luna sopra di lei quasi ammaliata da essa.
Una voce da lontano la distrasse dal suo momento, e si giró per
capire chi fosse.
- Tutto bene? - Edward da lontano vide questa ragazza in mezzo al prato
e, da buon gentiluomo qual era, si era avvicinato per assicurarsi che
non ci fossero problemi.
Alice si sentí a disagio. - Oh, signore, mi dispiace avervi
disturbato. Stavo cercando di prendere sonno, e con questo spettacolo
meraviglioso davanti a me ho preferito tardare un pochino. Torno subito
nella mia stanza, vi chiedo davvero di perdonarmi. - Rispose lei,
facendo per tornare indietro. Edward la bloccó
rassicurandola. - Oh no, non ce n'é bisogno. Sei libera di
fare
tutto quello che vuoi nel tuo tempo libero. - Sorrise appena, e Alice
ricambió.
- Tu devi essere Alice, giusto? Isabella mi ha parlato di te e di
vostra sorella Rosalie. - Alice sorrise appena. - Sí, sono
io.
Spero che vi abbia parlato bene di noi, signore. - Edward ridacchió senza
peró
risultare inappropriato.
- Certo, ha detto solo cose positive su di voi, e su vostra zia. A
proposito, Trevor mi ha fatto sapere che oggi lei e mio padre sono
partiti, insieme ad altri due domestici. Credo torneranno tra qualche
giorno, é stata una cosa improvvisa. Sicuramente per lavoro.
-
Guardarono entrambi verso il cielo, rimanendo in silenzio qualche
minuto.
-
Non ci ha avvisate, in effetti. Ma immagino che fosse davvero urgente,
da come mi avete raccontato. - Disse quindi Alice, cercando di
nascondere un po' la sua delusione. Avrebbe voluto vederla e confidarsi
con lei, come faceva da quando la loro madre era mancata sei anni
prima. Ma non poteva avercela con lei, come avrebbe potuto?
La
zia Esme si era occupata di loro come una seconda mamma, e aveva fatto
sempre del suo meglio per crescere a dovere, senza fare mai mancare
nulla. Il loro padre biologico era sparito quando Bella aveva solo
qualche mese, a causa di alcuni suoi problemi di salute cagionevole, di
cui lui non voleva occuparsi. La loro mamma Renée si era
ritrovata
dunque a crescere sola le figlie, supportata peró dal
fratello Phil e dalla moglie, la zia Esme. Quando Phil, peró,
partí per una guerra lontana senza mai fare ritorno, Esme si
ritrovó sola
insieme a Renée.
Non volle mai
più risposarsi, e
non avendo avuto figli decise di prendersi cura delle tre sorelle come
se fossero figlie sue, dopo che anche la loro mamma, da ormai sei anni,
le aveva lasciate orfane in
seguito ad una brutta malattia e ad un calvario durati mesi.
-
Beh, io torno dentro, inizia a fare freddo. Buonanotte, Alice. - Edward
si congedó educatamente, poi sparí dalla visuale
di Alice.
La
ragazza sentí che i suoi piedi iniziavano a diventare
violacei per la
temperatura, e facendosi coraggio risalí la scala, poi la
spostó
nel punto in cui l'aveva trovata facendo attenzione a non cadere
giù,
si diede una ripulita e, dopo aver controllato che Bella non si fosse
accorta di nulla, si infiló a
letto, addormentandosi subito. Rosalie non era ancora tornata.
Pov Rosalie
Stavo passeggiando per la casa, cercando di ritrovare un contegno che
avevo perso nella stanza. Il solo ricordo delle sue mani sudicie
sul mio corpo mi dava il vomito, e per quanto mi sforzassi di non
pensarci, il comportamento di Emmett nei miei confronti mi dava segnali
di allarme non trascurabili. Non riuscivo a sopportare il fatto che mi
avesse sminuita cosí tanto in una manciata di secondi, era
riuscito a colpire a pieno la mia autostima e la mia corazza. Non avevo
permesso più a nessuno di trattarmi in quel modo, ma lui era
l'unico che nonostante tutto era riuscito a farlo.
Le mie non erano lacrime di tristezza, le mie erano lacrime di rabbia
per avergli permesso di farmi quello. Non avevo paura, avevo rabbia nel
non potergli tenere testa in quanto mio superiore. E poi, era
dannatamente bello! Come poteva un essere come lui causarmi allo stesso
tempo tanto odio e tanta attrazione? Come potevo essere magneticamente
invaghita di lui, dopo quello che mi aveva detto?
Eppure non riuscivo a non pensarci, sapevo di essere stupida e debole
ma non potevo impedirmelo.
- Rosalie. - Dei passi pesanti, rozzi, dietro di me. Mi girai e lo
vidi, vidi Emmett Cullen che mi fissava con un'espressione
indecifrabile in volto.
Deglutii, cosa avrei potuto fare in un corridoio buio di fronte ad un
macigno di muscoli? Si avvicinó
pericolosamente al mio viso, e potei sentire dal suo fiato che aveva
bevuto, e non poco.
Cercai di scansarmi ma mi spinse contro il muro dietro di noi e mi bloccó
l'uscita con il braccio sinistro. Accarezzó il mio
volto con l'altra mano e io girai la testa per paura. - Dove vai in
giro a quest'ora della notte? Non lo sai che é pericoloso,
per una ragazza come te? - Mi sussurró,
stuzzicandomi l'orecchio con il suo respiro. Poi, provó a
baciarmi. Provai a scansarmi, ma con riluttanza mi accorsi di non
volevo davvero fare.
Le nostre labbra si toccarono, appena inumidite. La sua mano destra passó dal
mio viso ai miei capelli, aggrappandosi quasi con ferocia, e il bacio
si fece più intenso.
Qualche secondo dopo, mi accorsi di quello che stava veramente
succedendo e lo allontanai da me, di controvoglia. Lui strinse gli
occhi innervosito, e dopo avermi spostata malamente se ne andó,
lanciandomi un'ultima occhiata di fuoco.
Decisi che il mio giro notturno in casa Cullen sarebbe finito
lí, e mi misi a correre per tornare il più
velocemente possibile in camera.
Avevo baciato Emmett Cullen, il mio insolente e irresistibile capo. E
mi era piaciuto. Ma non avrei mai dovuto raccontarlo a nessuno.
Sicuramente lui si sarebbe dimenticato di tutto, visto il suo stato
mentale. Ma io no.
E fu su quei pensieri che, dopo essermi sciacquata la faccia, andai a
letto, cercando di addormentarmi.
**************************
16 Ottobre 1893, Londra. Ore
9:18.
Jasper e suo
fratello Edward stavano discutendo su quale dei due completi fosse il
migliore, se il blu elettrico con i gemelli in argento che indossava il
primo, o il grigio perla lucido con gemelli in oro indossato dal
secondo.
Emmett, dal canto suo, era seduto con una posa svogliata sulla sedia
della sua scrivania, e osservava le sue unghie mangiucchiate dal
nervoso con un sopracciglio alzato.
- Eddai, Emm. Dacci un parere, smettila di comportarti da primadonna. -
Lo stuzzicó
Edward, rimediandosi un'occhiata nera.
- Non faccio la primadonna, caro fratellino. Semplicemente non scendo
al vostro livello, non ne sono in grado. - Jasper lo scimmiottó,
provocandolo. Emmett si alzó
innervosito, pronto a cacciarli dalla sua stanza.
- Visto che fate tanto i damerini, perché non approfittate
per farvi fare un altro completo uguale? Cosí potrete andare
nei bar di Londra a vantarvi di quanto il vostro vestito sia il
migliore. - Replicó,
facendo loro il verso. - E portatevi dietro le due ragazze,
già che ci siete. Fatevi consigliare dalle vostre simili. -
- Oh, bella idea fratello! É esattamente quello che faremo.
Ma verrete anche tu e Rosalie, e sceglieremo un abito da farci
confezionare uguale. Ti sei forse dimenticato quello che ci ha detto
nostro padre? Presto ci sarà una festa, e vorrebbe vederci
uniti come prima. - Emmett si incupí.
- Già, Emmett. Da quando sei partito per quel viaggio, due
anni fa, sei diverso e nostro padre se n'é accorto. Siamo
pur sempre i tuoi fratelli, e dobbiamo esserci gli uni per gli altri,
nel bene e nel male. - Edward rincaró la
dose, appoggiando una mano sulla spalla del fratello maggiore, che dopo
qualche attimo di esitazione rilassó i
muscoli.
- Dai, forza. Vado a dire alle ragazze di prepararsi per venire con
noi. - Edward si sistemó la
manica della camicia ed uscí dalla stanza.
Pov Bella
Stavo aspettando Edward davanti alla porta, come ogni mattina, per fare
quello che lui mi avrebbe chiesto. Avevo bussato più volte
senza ricevere risposta, ma dall'ultima esperienza non volevo entrare
in camera senza il suo permesso.
Una voce mi chiamó da
lontano. - Isabella! Isabella! Sono qui! - Edward alzava un braccio
nella mia direzione per farsi notare, e mi incamminai verso di lui
accennando un sorriso.
- Scusami, Bella. Mi stavo preparando in camera di Emmett. - Sorrise,
con il suo sorriso sghembo che tanto piaceva alla ragazza. Abbassai la testa, la
visione di Edward vestito di tutto punto e con i capelli appena
scompigliati mi aveva fatto perdere più di un battito, e non
volevo fare altre brutte figure con lui.
- No, signore, non preoccupatevi. Non dovete giustificarvi. -
Sussurrai, e lo sentii sorridere intensamente.
- Ti prego, dammi del tu. É già dal secondo
giorno che sei qui che te lo chiedi, ma tu ti ostini a non farlo.
Perché? - Non seppi rispondere alla sua domanda. Provai a
farfugliare una risposta. - Beh... Non lo so. Sinceramente non lo so,
non avrei mai immaginato in vita mia di rivolgermi cosí ad
un mio superiore. - Dissi, sinceramente.
- Ed é giusto cosí, Isabella. Sono fermamente
convinto che tu sia una persona garbata, di classe e molto educata. Ma
se per la trecentesima volta ti dico che puoi farlo, non preoccuparti.
- Mi disse, e grattandomi la nuca sorrisi appena.
- Forse é vero. Proveró a
farlo allora... Edward. - Lui rise, rise di gusto gettando la testa
all'indietro e guardando verso l'alto. - Hai visto, non é
difficile. Ce la farai in men che non si dica. - Aprí la
porta della sua stanza, poi mi guardó. -
Ascoltami, Bella. Oggi io e i miei fratelli dobbiamo andare in
città, abbiamo diverse commissioni da svolgere e dobbiamo
anche preparare un abito dalla sarta di fiducia. Avevamo pensato che se
voi veniste con noi, potreste esserci d'aiuto. Se vi va, preparatevi.
Partiamo alle undici in punto. - E dopo essersi congedato, entró in
camera chiudendo la porta dietro di sé.
Non stavo nella pelle. Nonostante la zia mancasse ormai da dodici
interminabili giorni, Trevor ci aveva assicurato che sia lei che il
dottor Cullen stavano bene, avevano pensato di rassicurare la famiglia
con un telegramma in cui dicevano che sarebbero tornati tre giorni dopo.
Chiamai ad alta voce le mie sorelle dal fondo del corridoio. - Al!
Rose! Preparatevi, andiamo a Londra! - Dissi, avvicinandomi sempre
più alla porta. Alice spuntó con la
testa dalla camera. - Ma stai scherzando? - Mi chiese, allucinata.
- Mai stata più seria, Al. Edward mi ha appena detto di
prepararci, andremo tutti e sei in città. Devono sbrigare
delle faccende e hanno bisogno di noi. - Alzai le spalle, non avevo
altri dettagli da fornire alle mie sorelle, ma avevo come la sensazione
che sarebbe stata una giornata folle, decisamente fuori dal comune.
Hello!
Scusatemi il ritardo, mi sono resa conto di aver perso un capitolo
intero (non avevo salvato il file e ho chiuso per sbaglio il foglio), e
riscrivendolo ho saltato direttamente al capitolo III. Fatemi sapere
cosa ne pensate di questo, nel frattempo che vi metto il prossimo :) A
presto!
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Capitolo 4 *** Capitolo III ***
Capitolo III
16 Ottobre 1893, Londra. Ore
11:00
I ragazzi
stavano aspettando vicino alla porta di casa che le tre sorelle fossero
pronte, nonostante uno dei tre non fosse per niente contento all'idea
di uscire con loro in città. Non dopo quello che era
successo la
prima sera. O che credeva fosse successo. Aveva ricordi offuscati, non
era sicuro che fosse la realtà, forse aveva sognato tutto.
L'unica scena nitida di cui aveva davvero memoria era il viso di
Rosalie davanti al suo, e le loro labbra che si chiudevano in un bacio
durato qualche secondo.
Scrolló la testa, non voleva più
soffrire.
L'ultila donna a cui permise di farlo era la loro madre, che con la sua
morte lasció un vuoto incolmabile nella loro vita. I
fratelli e
lui avevano reagito in maniera completamente diversa, loro avevano
pianto, davvero tanto, e con il tempo erano riusciti ad andare avanti,
nonostante il dolore sempre presente.
Lui no, lui non aveva mai versato una lacrima. Nemmeno
davanti
alla bara, il giorno in cui le dissero veramente addio. Lui era Emmett
Cullen, il figlio maggiore del dottor Cullen, non poteva permettersi di
mostrarsi debole. E a otto anni cosí fece, chiuse dentro di
sé tutto il dolore e la rabbia per la scomparsa prematura
dell'amorevole mamma, e dimostrando una forza incredibile per la sua
giovane età. Certo, la facciata era quella, ma dentro di
sé era talmente distrutto che non avrebbe potuto reggere un
secondo colpo.
Cosí, con il passare del tempo decise che le donne, per lui,
dovevano essere solo, e al massimo, un passatempo. Non voleva legarsi a
nessuna in maniera diretta, non voleva soffrire come suo padre quando
rimase vedovo, non voleva a carico dei figli da dover crescere solo,
non voleva più soffrire.
E lo aveva fatto presente più volte al padre,
quando
negli anni passati aveva provato ad accennargli la questione
matrimonio.
Ovviamente non era entrato nei dettagli con lui, non avrebbe voluto
distruggere la sua immagine di uomo morale. Ma sicuramente era stato
chiaro, non si sarebbe sposato mai.
Aveva provato un sentimento simile all'amore due anni prima,
quando per un periodo decise di viaggiare fuori Londra e di spingersi
fino a Volterra, in Italia, per lavoro.
Quella Jane, con il suo carattere decisamente molto imponente, era
quasi riuscita a farlo innamorare. Ma quando suo padre Marcus decise
per lei un altro futuro, ovvero un matrimonio con un ricco nobile
italiano, Emmett ci rimase cosí male da convincersi ancora
più della sua idea iniziale. Niente matrimonio.
Avrebbe assistito a quelli dei fratelli, sicuramente Edward
con
il suo carattere molto più sensibile sarebbe stato il primo
a
sposarsi. Poi forse Jasper, a ruota, lo avrebbe seguito sposandosi la
figlia di un comandante, e lui sarebbe rimasto per sempre celibe, e
felice cosí. O almeno, questo era quello che credeva lui.
Edward, dal canto suo, non era mai stato d'accordo con il
fratello su questa sua idea. Da ragazzini ci scherzavano sopra, in
fondo il fratello maggiore era sempre stato definito l'orso della casa
da tutti, era forte, aggressivo e con un grande senso di protezione per
la famiglia proprio come quel magnifico animale, ma di simile aveva
anche il carattere e la mole.
Edward era convinto, come Jasper, che un giorno lui avrebbe
cambiato idea sull'amore. Entrambi avevano provato a spingere il
fratello a fare quel viaggio in Italia, erano convinti che lui avrebbe
visto l'amore sotto un altra luce e sicuramente sarebbe tornato
diverso.
Ma se la loro speranza era forte, la certezza che qualcosa
aveva
peggiorato la situazione si era presentata nel vederlo tornare a
Londra, incupito e freddo. Non seppero mai con esattezza cosa fosse
successo durante il suo soggiorno italiano, ma la sua reazione non
lasciava molto spazio alla libera immaginazione.
Jasper, onestamente, non aveva mai avuto problemi a
riguardo.
Non aveva ripudiato l'amore come il fratello maggiore, né lo
osannava come faceva il minore. Lui sapeva che un giorno o l'altro,
forse, avrebbe trovato la sua anima gemella, ma non andava cercandola.
Lasciava che la vita facesse il suo corso senza forzarla. Solo una cosa
aveva chiesto al padre, qualche anno dopo la morte della mamma
Elizabeth. Gli aveva fatto promettere di non permettere a nessuna donna
estranea alla famiglia di entrare in casa loro, se non era per restare.
Ovviamente, nelle occasioni di feste in cui il padre ospitava varie
famiglie anch'esse nobili, lui non si era mai opposto alla presenza
femminile.
Ció nonostante, aveva chiaramente espresso al
padre il
desiderio, quasi esigente, di non avere in casa dei dipendenti di sesso
femminile. Riteneva che nessuna donna sarebbe mai stata degna di
sostituire la donna che lo aveva messo al mondo e amato cosí
tanto semplicemente per quello che era.
Era infatti rimasto deluso, quando il padre si
presentó
con la proposta delle quattro domestiche. Sapeva anche,
peró,
che Carlisle Cullen non faceva mai nulla per caso, e che se era
arrivato a rompere una promessa con lui sicuramente aveva un motivo
valido.
Un rumore di passi li risveglió dai loro pensieri. Le tre
ragazze erano finalmente pronte, ed erano in perfetto orario. Edward le
accolse con un caloroso sorriso. - Bene, ora che siamo tutti qui, direi
di andare. Arriveremo all'ora di pranzo. - Indossarono tutti i loro
cappelli, mentre le ragazze, sotto consiglio di Trevor, legarono un
foulard che copriva in parte i loro capelli.
Julian apparve, per accompagnarli fuori dalla porta fino alla carrozza
che li avrebbe scortati. Bisbiglió qualcosa all'orecchio
delle
ragazze, senza farsi vedere dai fratelli, poi andó ad aprire
lo
sportello della carrozza.
- Prima le signore. - Disse Edward, aiutando Bella a salire. Le sorelle
la seguirono, accomodandosi l'una accanto all'altra. Emmett
salí
subito dopo, e non appena tutti furono sistemati, il cocchiere
partí.
Il viaggio cominció in un silenzio pesante e teso, con
Rosalie
che evitava il più possibile un contatto visivo con Emmett,
Jasper che aveva impugnato il giornale e si era assorto nella lettura,
anche se un orecchio era sempre con gli altri, ed Edward e Bella non
avrebbero potuto comunque conversare con un ambiente del genere.
- Allora, Alice. Isabella mi ha raccontato che avete vissuto a Parigi
per qualche anno. Ti va di raccontarci qualcosa su questa
città
cosí affascinante? - Edward cercó di rompere il
ghiaccio,
nella speranza che i fratelli avrebbero fatto lo stesso.
Alice non si aspettava sicuramente che uno dei fratelli Cullen le
parlasse in un modo cosí gentile, visto che Jasper la
ignorava
per la maggior parte del tempo e, secondo i racconti di Rosalie, Emmett
non faceva altro che trattarla come uno straccio.
- Parigi é magica. Sapete, signore, dicono che Parigi sia la
capitale del mondo. E io penso proprio che la sia. Parigi é
la
città dell'amore, della poesia e della letteratura, Notre
Dame
ne é il simbolo e, credo di parlare ora a nome di tutte noi,
siamo orgogliose di condividere una parte del nostro sangue con questa
bellissima capitale. - Inizió quindi ad entrare nei dettagli
la
loro esperienza nella città, a descrivere i piccoli angoli
nascosti che nascondevano tanti tesori preziosi, e il suo racconto era
cosí intenso da aver attirato l'attenzione di tutti.
- Che cosa vi ha fatto lasciare Parigi, allora? - Nessuno dei presenti
nella carrozza si sarebbe aspettato che nemmeno una parola fuoriuscisse
dalla bocca di Emmett, tantomeno una frase intera. Ma il tono
sprezzante con cui la pronunció ferí nuovamente
Rosalie,
che abbassó lo sguardo senza proferire parola.
- Beh, dopo la morte di nostro zio, e successivamente di nostra madre,
la zia Esme decise di provare a restare comunque a Parigi. Ma dopo
pochi mesi, le si presentó l'occasione di tornare qui in
Inghilterra, nella sua città natale a Manchester. Noi non
avevamo più nessuno, quindi l'abbiamo seguita... E beh,
eccoci
qui, ora. - Bella riprese il discorso, forse era l'unica a riuscire
davvero a tenere testa a Emmett, con la sua innocenza e
ingenuità riuscí a zittire il giovane uomo, che
apprezzó il coraggio e incassó il colpo.
- Avete della famiglia, a Parigi? - Jasper si era incuriosito alla loro
storia, forse iniziava a capire il motivo per il quale il padre aveva
voluto le donne a casa. Dovevano sicuramente avere dei caratteri forti
per sopportare tutte quelle perdite.
- Beh, ci sono effettivamente degli zii e dei cugini che vivono a
Parigi. Nostra nonna materna é francese, e nonostante nostra
madre e nostro zio si fossero trasferiti in Inghilterra alla maggiore
età, lei rimase sempre lí, e con loro rimasero
anche
altri famigliari. - Rosalie si tolse di dosso l'imbarazzo, e Bella non
poté non notare che Emmett, cercando di nascondersi, la
osservava dall'inizio del viaggio.
- Mi piacerebbe molto andare a Parigi, per vedere la famosa Tour
Eiffel. Deve essere molto affascinante. Potremmo andarci tutti insieme.
- Edward, dal canto suo, aveva cercato di mettere a proprio agio tutti
quanti, ma con l'ultima frase caló il
gelo fino a che non arrivarono.
La carrozza si fermó
all'angolo di King's Road. Il cocchiere venne ad aprire la porta,
abbassando la testa una volta che tutti furono scesi. - Saremo di
ritorno alle 17, sir. - Emmett aggiustó il
cappello e avanzó prima
di tutti, ma richiamato dai fratelli si fermó
sbuffando.
- Dunque, quali sono i piani per questa giornata? - Edward guardó i suoi
fratelli, che esitarono un attimo.
- Andiamo a mangiare, prima di tutto. Mi sta venendo un certo
languorino. - Jasper si massaggió lo
stomaco, ed Emmett concordó con il
fratello. Edward alzó le
mani, e si incamminarono verso Sloane Square, alla ricerca di un posto
in cui accomodarsi per consumare un pasto caldo.
Una locanda, poco dopo, attiró i sei
ragazzi, che furono calorosamente accolti dalla proprietaria, una
signora sulla cinquantina.
- Cosa posso servirvi, signori? - Chiese, nominando i piatti del
giorno. I tre ragazzi optarono per un fish and chips fresco di
giornata, e le ragazze scelsero delle omelettes con insalata verde.
A tavola regnava il silenzio, rotto dal rumorío delle posate
che stridevano sui piatti bianchi.
- Sento che
sarà una giornata lunga, molto lunga. -
Rosalie sussurró alle
sorelle, che non fecero in tempo a replicare perché vennero
interrotte da Emmett. - É chiedere tanto che si parli
inglese? - Disse, guardandola malamente. La ragazza si sentí
pizzicata nel suo orgoglio. Come poteva quell'uomo avere dei tali
sbalzi d'umore?
- Eddai Emm! Non tormentarla più questa povera ragazza. -
Edward prese le sue difese, e il fratello non sembró
gradire la cosa, ma non replicó e
finí velocemente il suo pasto, mentre lei con una morsa allo
stomaco lasció il
resto senza più toccare niente.
La tensione tra i due era palpabile; nonostante Rosalie
fosse sempre più attratta da lui e le piacesse ogni giorno
di più, non riusciva a comprendere cosa avesse
portato Emmett a volerla baciare in un momento di non
lucidità, ma a odiarla il resto del tempo.
Il moro si alzó dal
tavolo, posando con poca delicatezza il tovagliolo sul piatto vuoto.
Poi andó verso il bancone,
tirando fuori una
banconota per pagare il conto. - Tenete il resto. - Disse, e
dirigendosi verso l'uscita, guardó
Rosalie con un'espressione dura. - Forza, andiamo. Non ho tempo da
perdere. - La ragazza, iniziando ad innervosirsi per come veniva
trattata da lui, non rispose ma si alzó
stizzita. - Con permesso. - Sussurró, e lo
seguí velocemente. Sia Edward che Jasper si sentirono in
imbarazzo, mentre le due sorelle non aprirono bocca. Jasper, nonostante
gli inizi, non aveva mai parlato cosí ad Alice o alle altre
ragazze, perché se c'era una cosa che suo padre gli aveva
sempre ripetuto, era che il rispetto faceva di un uomo un essere umano,
anche con i propri nemici. Ed era ció che
lui stesso aveva poi impartito ai suoi soldati durante i suoi
ultimi tre anni da caporale.
- Vi chiedo scusa, ragazze, per il gesto di nostro fratello. Non si
é mai comportato cosí. - Bella sorrise appena. -
A me dispiace più che altro per quello che potrebbe fare
nostra sorella, se perde la pazienza. - Sussurró, e ad
Alice scappó una
risata che coinvolse i quattro.
Si alzarono dunque anche loro, e dopo essere usciti dal ristorante si
divisero, per darsi poi appuntamento due ore dopo alla sartoria a New
Bond's Street.
**********************************
Emmett camminava a passo svelto e deciso, e Rosalie cercava
di stargli dietro aumentando sempre di più la propria
velocità, per non allontanarsi da lui e non perdersi tra la
folla.
- Sbrigati, devo essere all'appuntamento tra meno di venti minuti e non
posso arrivare tardi per colpa di una povera domestica che non sta
stare al passo. - Disse lui, facendo infervorare la ragazza, che dopo
giorni e giorni di critiche, insulti e via dicendo, esplose di rabbia.
- Ora basta! - Strilló,
facendo girare alcuni passanti intorno a loro, che li guardarono
attoniti. - Io non sono una domestica! Io sono Rosalie Swan, ho un nome
e cognome che i miei genitori mi hanno dato alla nascita e voglio
essere rispettata anche io! - Continuó,
facendo bloccare Emmett che, senza girarsi, sgranó gli
occhi stupito.
- Sono stufa di essere trattata cosí! Sono una vostra
dipendente, sí, ma non per questo allora voi potete sfogare
la vostra rabbia repressa e la vostra frustrazione su di me! - Il suo
viso era paonazzo, ma per mantenere un minimo di eleganza cercó di
abbassare la voce perché solo lui potesse sentirla.
Il ragazzo non replicó,
strinse i pugni senza proferire parola e rimase fermo nella sua
posizione. Allora Rosalie, stanca di quella situazione, scoppió a
piangere e si allontanó in
fretta, senza sapere esattamente dove stesse andando.
La sua vista era offuscata dalle lacrime, era cosí
arrabbiata che avrebbe potuto tirargli qualcosa addosso. Gli aveva
permesso troppe volte di calpestarla senza motivo, nonostante lei
facesse del suo meglio per essere una brava domestica per lui.
Dopo qualche minuto, si fermó per
riprendere i suoi spiriti e, guardandosi intorno, si rese conto di
essersi allontanata troppo.
La lunga strada in cui si era ritrovata era proprio quella,
Carnaby Street. Un gruppo di prostitute la stava osservando da lontano,
mentre lei cercava in qualche modo di ritrovare il cammino di ritorno.
Inizió a
muovere dei passi, evitando di tanto in tanto dei rifiuti organici che
sicuramente erano stati buttati dalle finestre non molto tempo prima.
Un bambino, sicuramente orfano e senzatetto, le si avvicinó. - Vi
prego, datemi qualcosa per mangiare. - Rosalie si sentí in
colpa, su di lei non aveva nemmeno uno spicciolo ma avrebbe tanto
voluto potergli offrire qualcosa. Il bambino si fece insistente, e
nonostante lei cercasse di allontanarsi, lui non la lasciava. Ad un
certo punto, le fece cadere dalle mani un fazzoletto in stoffa, e
mentre lei si chinó a
raccoglierlo un altro bambino arrivó da
dietro cercando di rubarle la borsetta.
Un attimo dopo i bambini iniziarono
a correre lasciando la refurtiva dopo aver udito un grido: un paio di
poliziotti che passavano di là durante una pattuglia avevano
visto la scena da lontano, e conoscendo bene il quartiere si stavano
dirigendo verso Rosalie per vedere che tutto fosse a posto.
- Vi ringrazio, signori. Mi occupo del resto io, ora. - Emmett fece
capolino da dietro l'angolo, visibilmente scocciato e con la borsetta
di Rosalie tra le mani. I poliziotti, riconoscendolo, tolsero il
cappello come segno di saluto e se ne andarono.
Emmett prese per il braccio Rosalie, camminando velocemente per andare
via da quel posto, ma senza rivolgerle la parola. - Non era necessario
il vostro aiuto. - Disse lei, rimanendo impuntata sul suo orgoglio.
Non appena furono vicini al luogo dell'appuntamento di
Emmett, si fermarono, e lui esitando qualche secondo si giró a
guardarla. - Scusami, Rosalie. Ho esagerato con le parole. - Disse, poi
senza ascoltare la sua risposta continuó.
- Ora devo entrare in quell'ufficio. Qui vicino c'é la
sartoria di fiducia di nostro padre. Vai e di' che sei da parte della
famiglia Cullen, poi chiedi alla signora Emily di provare insieme a te
un paio di modelli di abito. Scegli quello che più ti piace.
- Le diede in mano un biglietto scritto a mano, da consegnare alla
sarta.
- Jasper é passato due giorni fa per avvisarla, quindi sa
del tuo arrivo. - Fece per andare, ma si fermó di
nuovo sotto lo sguardo attento di Rosalie. - Non pensare che io lo
faccia per galanteria, Rosalie. Mio padre mi ha obbligato a farti
confezionare un vestito per la serata che ha organizzato. Non sia mai
che ti metti strane idee in testa. - Disse lui, con fare provocatorio e
lanciandole una frecciatina.
Rosalie non replicó, era
cosí contenta che lui si fosse scusato, ma con l'ultima
frase aveva cancellato il suo gesto galante in un batter d'occhio.
Ancora si chiedeva cosa trovasse di attraente in lui,
soprattutto viste le dinamiche del loro rapporto. Le ricordava per
alcuni tratti il suo vecchio aguzzino, Royce King. Solo per questo
motivo avrebbe dovuto odiarlo con tutto il cuore e provare disgusto nei
suoi confronti, ma il suo cuore la portava ad un'altra strada, dritta
tra le braccia del gigante moro. Ancora ricordava sulle sue labbra il
sapore di quel bacio rubato, nel cuore della notte, ma si chiedeva cosa
lo avesse spinto a farlo. Era ubriaco, é vero, ma lei in
fondo sentiva che non era solo quella la ragione, sapeva bene cosa
potesse fare un uomo sotto l'effetto dell'alcool e lui non si era
affatto comportato cosí.
Con la testa piena di pensieri, si avvió dove
Emmett le aveva indicato, e aprí la porta, sopra cui stava
una campanella che annunció il suo
arrivo.
- Sí? - Una signora molto piccola di statura, con una
lunghissima treccia nera ben equilibrata la accolse. - Buongiorno.
Vengo da parte del signor Cullen... - Rosalie provó a
spiegarsi, ma la signora stupita la prese delicatamente per un braccio
invitandola a seguirla.
- Oh, benvenuta! Benvenuta nel mio negozio! Che gran piacere ricevere
la famosa signora Cullen! E poi complimenti, siete davvero favolosa,
giovane e bella! - Rosalie si fermó
sgranando gli occhi, la sua mascella quasi toccó terra.
- Come?? Signora Cullen?? - Si portó una
mano davanti alla bocca, non poteva credere a quello che la signora le
aveva appena detto.
Lei, rendendosi conto di aver fatto un grave sbaglio, inizió a
farfugliare. - Io... Oh, no, sicuramente c'é stato un
malinteso, io... Oh, vi prego di dimenticare quello che ho detto,
sicuramente la mia testa sta perdendo colpi. - La signora prese le mani
di Rosalie tra le sue, mortiificata. Rosalie corrucció la
fronte, guardandola intensamente negli occhi, ma la signora non si fece
sfuggire più niente e ascoltó la sua
richiesta.
******************************
Edward e Bella ridevano di gusto per la strada, uno accanto all'altra
ma senza toccarsi. - Ma davvero? E poi cos'ha fatto tua sorella? - Le
chiese lui, mentre lei mise in bocca una ciliegia. - Oh, era furiosa!
Andó dal
ragazzino in questione e gli tiró
addosso il suo calamaio, fortunatamente che era praticamente vuoto! -
Risero ancora più forte. - Non sapevo che Alice avesse un
carattere cosí forte da piccola! - Continuarono a camminare,
raggiungendo una piazza in cui alcuni artisti si stavano esibendo in
danze popolari in cambio di qualche spicciolo. Bella rimase a guardarli
incantata, Edward le sorrise. - Vuoi fermarti qualche minuto? - Le
chiese dolcemente, e lei annuí imbarazzata.
- Mi ricorda tanto Parigi, sai? In quella città ci sono
tantissime culture mescolate, passano cosí tanti
commercianti che vengono da terre lontane e portano con loro profumi e
colori. - Disse lei, con un luccichio negli occhi ricordando quei bei
momenti.
Rimasero ad osservare lo spettacolo per più di qualche
minuto, i loro corpi sembravano quasi toccarsi e una magia stava
scaturendo tra loro due, senza che potessero accorgersene.
Si guardarono intensamente, una volta finita la canzone; i loro occhi
brillavano, avevano una luce speciale, e i loro corpi sprigionavano
vibrazioni positive.
- Dobbiamo andare Bella. - Edward spense di colpo quell'atmosfera
creatasi fra di loro, con una lieve delusione da parte di lei. -
Sicuramente i miei fratelli e le tue sorelle ci stanno aspettando in
sartoria. - La fece avanzare davanti a lui, rimanendo comunque sempre
vicino a lei. Molti passanti avevano già salutato Edward, ma
lui voleva preservare Bella e cercava di passare tra le stradine meno
affollate.
Arrivarono alla
sartoria, dove Rosalie stava posando per farsi prendere le misure
dell'abito che aveva precedentemente scelto, e Alice stava curiosando
tra le varie stoffe. I due fratelli erano fuori e parlavano tra di loro
tranquillamente.
- Vedo che hai deciso di presentarti, Eddie. Pensavamo che avessi
deciso di non venire più. - Emmett lo incalzó,
mentre Jasper rideva insieme a lui. - Molto divertente, Emm. - Edward
non volle rispondere alla provocazione del fratello, era troppo di buon
umore per farselo rovinare da lui.
- Isabella, entra e fai le prove come le tue sorelle. Noi entreremo una
volta che avrete finito. - Disse alla ragazza, che senza esitare
raggiunse Rosalie e Alice.
***************************
Il viaggio di ritorno fu molto più veloce e scorrevole
dell'andata. Bella e Alice si erano addormentate, Emmett si era
dedicato alla lettura di alcune carte del lavoro, mentre gli altri tre
erano in silenzio, ognuno concentrato sui propri pensieri.
All'improvviso, Jasper si tolse la sciarpa che aveva indossato per il
freddo, e dal suo colletto si staccó una
spilla con raffigurata la testa di un lupo in posizione da ululato.
Rosalie la vide cadere e si sporse per raccoglierla e porgergliela, ma
quando la prese fra le mani si soffermó a
guardarla. Jasper la vide e, incuriosito, avvicinó appena
il suo viso verso di lei.
- La conosci? - Le chiese, sussurrando per non svegliare le due. Edward
li guardó un
attimo.
- Beh... Credo di sí. Ho visto questo stemma in un borgo non
molto lontano da Gälve, durante il mio soggiorno
lí. - Jasper la guardó molto
colpito, mentre Emmett dopo aver sentito le parole si mise ad ascoltare
quello che la ragazza aveva da dire.
- Sí, corretto. Sono stato lí un paio di mesi,
l'anno scorso. Eravamo in viaggio di piacere, a casa di un cavaliere
svedese residente proprio nella zona. Alcune abitanti ci hanno offerto
in dono dei gioielli fatti a mano, tra cui questa spilla a cui tengo
molto. - Rosalie gliela restituí.
- Tu come mai ti trovavi in quel posto? - I tre fratelli, dopo aver
ormai abbandonato le loro attività, la guardarono con
interesse.
Rosalie si schiarí la voce, non voleva rivelare troppo del
suo passato dopo cosí tempo. Nel frattempo, Alice si stava
risvegliando, e dopo aver udito le ultime parole della sorella, le posó una
mano sull'avambraccio, facendole sentire la sua presenza.
- Era aprile, quando partii. - La bionda giró appena
la testa verso il finestrino, prendendo un lungo respiro.
Hello! Volevo
ringraziarvi per le recensioni e per i complimenti ricevuti fino ad
ora. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, al prossimo!
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Capitolo 5 *** Capitolo IV ***
Capitolo IV
Hello! Vi chiedo
scusa per l'immenso ritardo, non sono stata bene e nonostante il
capitolo fosse a metà pronto non ero in forma per
continuarlo. Spero vi piaccia, fatemelo sapere con una piccola
recensione :)
- Era aprile, quando partii. - La bionda giró appena
la testa verso il finestrino, prendendo un lungo respiro.
- Avevo circa dodici anni, nostro zio Phil doveva partire per il Nord
per degli affari. Nostra mamma e la zia erano assolutamente contrarie,
lo zio voleva comunque portarmi con lui dopo le mie infinite
richieste... Alla fine sono riuscita a convincerle, e siamo partiti. Ho
passato tre mesi e mezzo tra Svezia e Danimarca, ma il borgo in cui ci
siamo fermati più tempo era proprio Gälve. Era
talmente bello, mozzafiato. Era l'ultimo viaggio che feci
insieme allo zio prima che... Oh, mi sto dilungando. Scusatemi. -
Sorrise appena, non voleva dare altri dettagli non richiesti, e
soprattutto sapeva che non doveva mai rivelare le sue debolezze davanti
a degli uomini, o si sarebbero approfittati di lei.
-
Già, é davvero mozzafiato. - Lo sguardo di Jasper
si posó per un istante su Alice, poi lui lo
spostó verso l'esterno, non senza attirare l'attenzione di
Rosalie.
- Non manca molto, siamo quasi a casa. - Edward
allungó leggermente le gambe, sfiorando con un piede quelle
di Bella, ed entrambi si ritrassero con un lieve imbarazzo.
Circa una mezz'ora dopo, la carrozza si fermó davanti al
grande cancello, e fuori faceva quasi buio.
- Bene, é ora di rientrare, inizia a fare freddo. - Emmett
scese per primo, ma dopo aver fatto qualche passo si fermó
riluttante ad aspettare gli altri, che lo seguirono verso casa.
Si ritrovarono nel salone, i loro visi erano lievemente arrossati e le
ragazze avevano l'aria stanca.
- Andate a dormire, ne avete bisogno. - Edward fece il suo
più bel sorriso, e le ragazze si congedarono educatamente.
- Allora, ragazze? - Alice trotterelló davanti alle sorelle,
mentre salivano dalle scale. - Com'é andata la vostra
giornata? -
- Oh, una meraviglia. - Rosalie alzó gli occhi al cielo,
sarcastica. - Mi sono persa a Carnaby Street, mi stavano per derubare e
Emmett si é scusato con me. - Le ragazze sgranarono gli
occhi, ma la sorella le interruppe. - Subito prima di offendermi ancora
più del solito. - Disse, sollevando le spalle sconsolata.
- E voi? - Bella sorrise, diventando rossa. - Beh... Io... Bene. - Le
sorelle le chiesero più dettagli, ma lei non volle ancora
raccontare loro, aveva paura che quello che stava succedendo fosse solo
frutto della sua immaginazione, o un semplice malinteso.
- E tu, folletto, perché non ci racconti la tua giornata?
Fai tanto la curiosa con noi ma non dici niente di te. - Rosalie
inarcuó un sopracciglio, aprendo la porta della camera. -
Non ho niente da raccontare. Credo che io sia completamente invisibile
agli occhi di Jasper, si era quasi dimenticato di me. Abbiamo girato
mezza Londra per i suoi vari impegni, sapevate che é un
maggiore dell'esercito? - Le ragazze scossero la testa. - Ebbene,
proprio per questo é molto conosciuto e stimato in
città. Davvero molto. Troppo direi. Ogni donna che lo
incontra fa gli occhioni dolci, ogni uomo toglie il cappello come segno
di rispetto... E ho dovuto seguirlo ovunque! - Si tolse velocemente i
vestiti, rimando con un intimo abbastanza discreto, e si
gettó a peso morto sul letto, formando una stella con i suoi
arti.
- Non sembri tanto dispiaciuta... - Bella e Rosalie sogghignarono,
ricevendo in risposta un cuscino addosso. - Non siete spiritose. Sono
davvero stanca, non so come mi presenteró domattina. -
Appoggió le mani sul viso per coprirlo, e le sorelle
ridacchiarono.
- Al, non é che ti piace Jasper? - La sorella non rispose, e
loro si fecero più serie. - Volete dirmi che voi non provate
attrazione o interesse per Emmett o Edward? Avanti, se devo confessare
un qualcosa dovete farlo anche voi. - Caló un
silenzio glaciale nella stanza. Si guardarono negli occhi senza
proferire più una parola, tutte e tre sapevano bene quali
sarebbero state le conseguenze dei loro sentimenti verso i loro
superiori. Non potevano permettersi di infatuarsi di loro, dovevano
preservarsi per non finire nei guai e per rimanere in sicurezza, tutto
avrebbero voluto tranne che ritrovarsi nelle condizioni di vita dalle
quali erano riuscire a fuggire non molto tempo prima.
Qualcuno bussó alla
porta, e Bella scalza andó ad
aprire affacciandosi appena con la testa. Julian era di fronte a lei,
come sempre affannato da un'ennesima corsa. - Venite a cena, si sta
facendo tardi. - Disse, abbassando lo sguardo di fronte all'immagine di
Bella con i capelli sciolti e in abiti non da lavoro.
Lei gli sorrise appena. - Oh, arriviamo Julian. Due minuti e saremo
giù. -
Alice si era addormentata profondamente, e le sorelle cercarono di
sistemarla sotto alle coperte, chiudendo poi le tende per evitare il
più possibile gli spifferi d'aria.
La cena si svolse lentamente, le ragazze si erano ritrovate sole con
James, che viveva anch'egli nella grande dimora ma in un dormitorio
comune insieme ad altri tre dipendenti.
Passarono due ore a discutere della loro giornata, l'uomo si stava
affezionando alle tre ragazze come se fossero figlie sue, non avendo
mai potuto averne era felice di poter rappresentare per loro una figura
maschile con cui confidarsi un po'. Sicuramente avrebbe cercato di fare
del suo meglio per aiutarle e proteggerle, nonostante loro sembrassero
forti rimanevano comunque delle ragazze in una casa prettamente
maschile.
Andarono poi tutti a dormire, l'orologio segnava mezzanotte passata, e
nella grande dimora dei Cullen regnava dunque un prezioso silenzio,
segno che la giornata successiva sarebbe stata impegnativa per tutti i
suoi abitanti.
19 Ottobre 1893, Londra. Ore 10:43.
Un
rumore continuo, una lama di coltello che batteva sul legno. Un
profumino inebriante proveniva dalle cucine. James quella mattina non
era solo, le sorelle Swan lo
stavano aiutando indaffarate.
Era
domenica e, come ogni settimana, il dottor Cullen organizzava un brunch
con alcuni famigliari, per poter approfittare tutti
insieme. Il giorno
prima le ragazze erano state avvisate e, quindi, avevano ricevuto delle
nuove direttive. Avrebbero potuto restare a riposare di più,
ma vollero
aiutare il cuoco in quella giornata; la zia e il padrone di casa
sarebbero tornati proprio in tempo per il brunch, e le tre volevano
preparare il loro dolce preferito che faceva sempre mamma
Renée quando
loro erano piccole.
Alice si occupava di affettare a lamelle sottili
le mele verdi e rosse che Julian aveva portato fresche di giornata dal
mercato della frutta, non molto lontano da casa.
Rosalie, dal canto
suo, aveva impastato velocemente la brisé, con una grande
energia che
la aiutava a scaricare lo stress delle settimane passate tra le grinfie
di Emmett Cullen.
Bella, non essendo una grande esperta di dolci,
aveva voluto contribuire preparando l'unica crema che le riusciva
sempre bene: la crema pasticciera.
James le osservava con un
sorriso, era davvero contento di avere un prezioso aiuto in cucina
quella mattina, Trevor lo aveva informato che sarebbero venute alcune
zie del dottor Cullen e voleva fare bella figura.
Le baguette erano
in forno, Bella si era proposta di farle prima mentre Rosalie e Alice
preparavano insieme al cuoco un boeuf bourguignon, un piatto tipico
francese che zia Esme faceva nelle occasioni speciali. Oltre a quello,
tanti altri piccoli manicaretti componevano un menù da
leccarsi i
baffi.
- Rose, non ci hai mai
detto dove sei stata l'altra notte. -
Alice con un sorrisino malizioso finí di sistemare le
fettine di mela a
formare una rosa al centro della pasta, sopra la crema pasticciera
appena tiepida.
- Oh Al, dai. Non
ho fatto niente, ho trovato una porta aperta e sono stata in una stanza
vuota per un po', poi sono tornata in camera e voi stavate
già dormendo
da un pezzo. - Rispose la sorella, stuzzicando la sua
curiosità.
Alice prese un pochino di farina e gliela lanció,
facendola arrabbiare e facendo ridere sia Bella che James, nonostante
lui non avesse capito il loro discorso.
Poi posarono i loro grembiuli, e Bella rifiní la torta
spolverandoci sopra un po' di zucchero a velo.
-
Grazie, ragazze. Mi avete davvero aiutato stamattina, ve ne sono grato.
- James pulí velocemente il bancone di lavoro, mentre le
ragazze si
preparavano con i vassoi a servire le varie portate. Ma ad un tratto i
quattro sentirono dei passi arrivare in lontananza, e tesero le
orecchie per capire chi fosse.
La porta si
aprí ed entró
Trevor, tutto trafelato. - Signore, il dottor Cullen sta per tornare.
Mi ha chiesto di farvi cambiare di abito e di raggiungere gli altri in
sala da pranzo per partecipare al brunch. - Disse, sollevando un
sopracciglio in segno di disapprovazione.
Le sorelle si guardarono un attimo, pensando di non aver capito. Quindi
Trevor le incalzó per
uscire dalla cucina e andare a prepararsi, visto il lavoro non avevano
una bella cera. Julian arrivó
qualche secondo dopo, correndo per il solito ritardo.
-
Sempre in ritardo, Julian! Se la casa dovesse dipendere da te, allora
staremmo tutti in rovina! - Furono le ultime parole che sentirono le
ragazze, prima di sparire in direzione della camera.
- Ragazze, ma
ho capito bene? Pranzeremo con il signor Cullen e famiglia?
Cioé,
proprio tutta tutta?? Anche i figli? - Rosalie stentava ancora a
crederci, mentre le sorelle la seguivano.
- A quanto pare... Non
capisco cosa stia succedendo. Prima la zia sparisce con il signor
Cullen padre per giorni e giorni, e proprio mentre stanno tornando ci
dicono che mangeremo tutti insieme. Speriamo bene! - Alice e Bella
iniziarono a correre, facendo a gara a chi arrivasse prima.
- State
attente! Non fate casino, ragazze, che se doveste cadere poi che figura
ci faremmo? - Rosalie scosse la testa sconsolata, mentre le sorelle le
fecero la linguaccia e arrivarono in camera.
*****************************
- Zia Esme! - Bella saltó
al collo della zia, che rideva felice di ritrovare le nipoti. - Bambine
mie! Mi siete mancate tanto! - Accolse anche le altre due tra le
braccia, e rimasero qualche secondo a stringersi forte.
- Ma dove
sei stata? Non ci hai nemmeno avvisate che saresti partita... - Alice
non voleva risultare insolente o arrogante ai suoi occhi, non avrebbe
mai potuto, ma un pizzico di delusione apparve nei suoi occhi.
-
Non posso raccontarvi nulla. Preparatevi, forza, ci aspettano tra non
molto in sala da pranzo. Carlisle é giù, mi ha
mandata a controllare
che foste al corrente. - Fece per uscire, ma Rosalie la interruppe.
- Come? Hai mica detto... - La zia le posó
teneramente l'indice sulle labbra, per zittirla come quando era
piccola.
- Ne parliamo stasera. - E uscí, lasciando le ragazze
attonite.
Prese da un moto di curiosità, si vestirono in fretta.
L'orologio
scoccava le 12:30 in punto, quando le tre varcarono l'entrata della
sala da pranzo. Era una stanza immensa, con una parete interamente
ricoperta di finestre da cui passava una luce intensa, che riscaldava
l'ambiente.
Al centro, un tavolo di legno pregiato padroneggiava la
stanza, coronato in alto dalla presenza di un lampadario in cristalli
preziosi.
Una tovaglia bianca, con dei ricami ai bordi, copriva il
tavolo fino al cuscino delle sedie, quasi tutte occupate. Su di essa,
tante candele in fila alternate a dei portafrutta colmi di succulente
mele e arance completava la decorazione.
Le ragazze erano entrate
diverse volte nella sala, ma mai si erano soffermate sui dettagli
cosí
a lungo, erano sempre talmente indaffarate nel servire i loro nuovi
datori di
lavoro che non riuscivano a dedicarsi molto tempo per esplorare la
casa.
Al contrario delle altre volte, quel giorno nessun parente era presente
se non i tre fratelli.
Carlisle
fece segno loro di accomodarsi, erano pronti tre posti liberi di
fronte ai figli, il resto della tavola era stato lasciato senza coperti.
Bella si accomodó
di fronte a Emmett, dopo aver notato che la sorella Rosalie stava
provando ad allontanarsi da lui, sedendosi quindi di fronte a Jasper.
Alice prese l'ultimo posto libero davanti ad Edward, che le sorrise
educatamente.
- Bene, buongiorno a tutti. Spero che questo brunch possa rendere la
vostra giornata migliore, e permettere a tutti di godere di questa
giornata di riposo. - Carlisle invitó dunque
gli altri commensali a mangiare, le ragazze titubanti si sentivano
leggermente a disagio.
- Avanti, ragazze,
mangiate! Non preoccupatevi, va tutto bene. - Sussurró loro
Esme, con un sorriso quasi materno e uno sguardo dolce rivolto verso le
tre nipoti. Emmett squadró le
quattro velocemente, non approvando l'utilizzo di una lingua straniera
a tavola, ma non disse niente.
Il pasto proseguí in silenzio, tutti avevano un qualche
pensiero che appesantiva la loro mente, ma nonostante ció fu un
momento in cui molte consapevolezze stavano salendo a galla.
Edward si rendeva sempre più conto di quanto la presenza
delle tre sorelle, in particolare Isabella, fosse diventata ormai
quotidianità, e non poteva che non esserne felice. Dopo anni
in cui solo le zie e la nonna entravano in casa, era un toccasana per
lui avere una presenza femminile intorno.
Jasper, dal canto suo, aveva decisamente capito il perché
suo padre aveva rotto la sua promessa fatta anni prima, e iniziava ad
abituarsi ad avere dei nuovi visi in casa. C'era un qualcosa in Alice,
peró, che
gli provocava un nodo alla bocca dello stomaco ogni volta che si
ritrovavano soli. Non sapeva spiegarsi che cosa fosse, né
cosa sentisse realmente in quei momenti, ma cercava sempre di
più di comprendere cosa gli stesse succedendo. Essendo un
generale, non aveva mai avuto sensazioni simili, e anzi spesso era lui
con il suo pugno fermo a incutere un leggero timore nelle sue brigate,
che portavano un gran rispetto nella sua persona.
Emmett era stato d'accordo con il padre, quando glielo propose, e non
aveva trovato particolari problemi con Esme o con le sorelle, ad
eccezione di Rosalie. Dal primo momento in cui si presentó in
camera sua, il giorno del suo arrivo, qualcosa lo aveva colpito e non
riusciva a non pensare a Jane. Per questo, a detta sua, pensava che
quello che sentiva per lei non fosse altro che un forte ribrezzo, misto
ad un fastidio perenne per la sua presenza intorno a lui. La
maltrattava perché voleva ferirla, voleva allontanarla da
lui e soprattutto non voleva essere influenzato o ammaliato da quegli
occhi ingannevoli. Non avrebbe permesso che una semplice domestica
potesse avere la meglio su di lui, era Emmett Cullen in fondo, nessuno
avrebbe potuto farlo.
- Stasera riceveremo ospiti per una festa. - Carlisle interruppe il
silenzio, esattamente nel momento in cui il thé venne
servito. - Vi chiedo scusa per il poco anticipo con cui vi ho avvisati,
ma so che i vostri abiti sono pronti. - Bevve un sorso ancora bollente,
approfittando di quel gusto, mentre i figli avevano preso d'assalto il
vassoio con i biscotti.
- Padre, perché proprio oggi la festa? Che cosa celebriamo?
- Jasper osservó il
padre prendere un lungo respiro, ma non ebbe mai risposta.
Le ragazze si alzarono una volta l'ora del thé finita, per
andare a prepararsi. Passarono prima da James, visto che la zia non
voleva proferire con loro alcuna parola e la curiosità le
stava divorando.
- Beh, ragazze, ormai conosco bene questa casa e i suoi abitanti.
Cercate di prepararvi al meglio, ci saranno ospiti di grandi famiglie
nobili e sanno essere davvero perfidi nei confronti dei domestici. -
Diede loro alcuni consigli su come comportarsi con ospiti di quel
rango, poi le ragazze salirono per prepararsi.
19 Ottobre 1893, Londra. Ore
20:23.
Una spruzzata di
profumo, un po' di cipria sul naso e le ragazze erano pronte. Tutte e
tre erano fasciate nei loro vestiti fatti su misura, ognuno di un
colore diverso ma seguendo uno stile simile. Alice indossava fra i
capelli una coroncina fatta con una collana di perle che le aveva
regalato la mamma anni prima, la gonna ricadeva leggera sulle sue
gambe, aveva deciso di non indossare il sottogonna rigido per sentirsi
più libera, e soprattutto perché non voleva fare
la figura della sfrontata.
Bella dal canto suo aveva chiesto che il suo abito fosse ancora
più semplice, di color giallo pastello molto delicato, aveva
legato intorno alla vita una cinturina e i capelli sciolti ma ben
sistemati, e ai lobi un paio di orecchini.
Rosalie aveva optato per un abito largo, evidenziava appena le sue
forme; i suoi capelli erano legati in un'acconciatura elegante ma
semplice, e indossó una
collana che arrivava fino al suo decolleté, evidenziandolo.
- Sono nervosa,
ragazze. - Bella giocava nervosamente con le sue mani, ripensando ai
consigli di James. - Non preoccuparti, Bells. Andrà tutto
bene. - Rosalie non era totalmente convinta che la cosa sarebbe andata
veramente cosí, ma voleva che almeno le sorelle potessero
passare una bella serata.
- Dai, andiamo, si sta facendo tardi. - Disse poi, lasciando passare le
sorelle e uscendo dalla stanza, chiudendo dietro di sé la
porta con gentilezza.
I loro passi risuonavano all'unisono nel corridoio vuoto, mentre al
piano di sotto, in un grande salone da festa decorato e lussuoso,
rieccheggiavano le voci delle persone che parlavano tra di loro, e in
sottofondo una musica risuonava, una bellissima melodia suonata da
alcuni musicisti ingaggiati per l'evento. Le ragazze entrarono nella
sala, e la zia andó loro
incontro raggiante, finalmente poteva approfittare di un momento con
loro.
- Zia, che bella che sei! - Alice si tuffó tra le
sue braccia, seguita a ruota dalle sorelle. - Ma cosa succede zia? -
Chiese poi la ragazza, staccandosi appena. - Ragazze mie, mi dispiace
lasciarvi in questo stato, credetemi. Ho promesso di non dirvi niente,
ma non preoccupatevi presto capirete tutto. - Disse sorniona, con un
sorriso splendente che le illuminava il volto. Le ragazze, perplesse,
decisero di approfittare della serata.
Julian apparve alle loro spalle con un vassoio d'argento tra le mani,
sopra di esso dei calici con una bevanda chiara e degli stuzzichini.
- S-siete bellissime... Io ehm, io... - Arrossí, guardando i
suoi piedi. Alice ridacchió, e posó una
mano sulla sua spalla. - Julian, ormai ci conosciamo, dovresti
rilassarti. - Lui sorrise rilassato, e dopo che le tre presero un
bicchiere a testa continuó il suo
giro.
- Ragazze, eccovi! - Edward e i fratelli, vicino ad un tavolo
apparecchiato con un servizio d'argento e dei tovaglioli di un tessuto
pregiato, fecero segno alle tre. - Vuoi ballare? - Chiese a Bella, con
una punta di timidezza che provava invano a nascondere. Le porse una
mano, che lei afferró
delicatamente e andarono in mezzo alla sala a ballare insieme agli
altri invitati.
Gli altri quattro rimasero fermi, e si accomodarono in un silenzio
pesante al tavolo.
- Bello. - Disse Emmett, riferendosi alla coroncina di Alice. - Oh,
grazie. - Disse lei, appena confusa.
L'orchestra abbassó il
volume della musica, e gli invitati si accomodarono ai tavoli per la
cena, Carlisle ed Esme si accomodarono insieme ai ragazzi.
Alcuni camerieri vestiti di tutto punto iniziarono dopo poco a servire
la prima portata, e le ragazze iniziarono a chiacchierare tra di loro
insieme alla zia; Carlisle dal canto suo era rimasto serio, ma
scambiava comunque due parole con i figli a riguardo di un lavoro
svolto da Emmett su una loro proprietà nella contea del Kent.
A fine pasto, dopo varie portate succulente, con davanti un'ampia
scelta di pasticcini, Carlisle propose un brindisi richiamando
l'attenzione dei presenti, che subito presero in mano il proprio
bicchiere.
-
Carissimi, sono felice di vedervi tutti riuniti qui stasera,
per condividere con voi questo momento felice. Vi starete chiedendo il
motivo per il quale io vi abbia convocati tutti, con un preavviso
cosí breve. - Carlisle avvicinó il suo calice a
Esme, che sorrideva imbarazzata, sotto lo sguardo sospetto dei figli e
delle tre sorelle.
Le
ragazze si accorsero in quel momento che i due erano troppo vicini, e
forse un'idea di quello che era successo realmente si stava
facendo spazio nelle loro menti.
- Vorrei approfittare di questo
momento di attenzione che mi state concedendo, cara famiglia, cari
amici e colleghi, per
annunciarvi una novità in casa Cullen. Io e la qui presente
Esme Evanson ci sposeremo. - Con un grande stupore, tutti si
apprestarono a fare loro le congratulazioni per la bella notizia. Le
sorelle erano felici, nonostante fossero sotto choc, e si alzarono di
scatto per andare ad abbracciare la zia in un momento di sacro
silenzio, i loro respiri erano quasi sincronizzati e sembrava quasi di
sentire i loro cuori battere all'unisono in uno slancio d'amore
infinito. Poi i due futuri sposi vennero trascinati nella folla
entusiasta e fin troppo curiosa e impicciona.
I due fratelli
Edward e Jasper erano rimasti di sasso. Edward
sicuramente era felice per il padre, non lo vedeva sereno ormai da anni
nonostante non avesse mai fatto mancare loro il meglio. Jasper non
sapeva cosa dire, né cosa sentiva in realtà nel
suo cuore.
Un
rumore di vetro rotto si perse nella musica. Emmett aveva stretto
cosí
forte il suo bicchiere da romperlo, e ferirsi appena ad una mano.
Le tre sorelle se ne accorsero, e Isabella prese coraggio e si avvicinó al
moro, che era livido. - Tutto bene? - Chiese. Lui le lanció uno
sguardo infuocato, e dovendo digerire le male parole per non fare la
figura del cafone, respiró
profondamente un paio di volte. - No. - Seppe dire solo quello; Bella
gli propose di accompagnarlo per medicarsi. Lui non rispose, ma si alzó
riluttante per seguirla in cucina insieme a Trevor, accorso dopo aver
assistito da lontano alla scena.
- Sono talmente felice,
Rose! La zia si sposa! Lo avresti mai immaginato? - Alice
era davvero entusiasta, aveva già perdonato Esme per il suo
comportamento bizzarro nonostante avesse comunque un forte desiderio di
capire meglio cosa fosse successo in quel periodo di assenza dei due.
- No, ma sono scioccata
a tal punto da non capire nemmeno se sia un sogno o la
realtà! - Disse Rosalie, prendendosi un
pizzicotto dalla sorella. Edward rise della scenetta, mentre Jasper
buttava giù l'ennesimo bicchiere di gin.
Esme raggiunge le sorelle, che la presero per mano e iniziarono a porle
mille domande a riguardo.
- Bambine mie, prometto di raccontarvi tutto domani a colazione.
Godiamoci la serata, ce lo meritiamo! - Disse lei.
Emmett e Bella tornarono dopo qualche minuto, seguiti da Trevor che
tentava in ogni modo di assicurarsi che il ragazzo stesse bene e
ricevendo in cambio occhiatacce.
L'orchestra ricominció a
suonare la melodia che avevano lasciato a metà prima della
cena, e tutti si rimisero a ballare in onore del futuro matrimonio.
Jasper, dopo aver ingurgitato una dose abbondante di alcool, invitó a
ballare il fratello insieme a Alice e Bella, gli unici che rimasero al
tavolo furono Rosalie ed Emmett, che non si degnavano di uno sguardo.
Lui guardava davanti a sé, reggendo un bicchiere di whisky
con la mano non fasciata, mentre lei si osservava i piedi con le mani
appoggiate delicatamente sulle gambe, ripensando alla prima sera.
Passarono i minuti, e i due non si erano mossi dal loro posto; l'unica
cosa che era cambiata era la quantità di whisky ingerita da
Emmett, che iniziava a perdere la lucidità per l'ennesima
volta. Iniziava a lanciare sguardi languidi a Rosalie, che non
poté non notarlo e soprattutto sentire la sua presenza
diventare insistente. Cercava di evitarlo, aveva il presentimento che ció che era capitato
quella notte potesse ripetersi, e non voleva fare altre cose di cui si
sarebbe poi pentita.
In un momento in cui tutti gli ospiti erano concentrati sulla musica e
sul ballo, Emmett si alzó e si
diresse goffamente verso Rosalie, afferrandola per un polso. - Vieni
con me. - Le disse, con una voce profonda e lievemente rauca. Senza
avere bisogno che lui la trascinasse con sé, si ritrovarono
velocemente in un corridoio semibuio.
Lui afferró con
decisione la testa di Rosalie, iniziando a baciarla con foga. Lei
strabuzzó gli
occhi, ma un secondo dopo rispose esitante al suo bacio.
Preso dall'impeto, Emmett volle affondare una mano tra i capelli biondi
della ragazza, ma gemette per il dolore. - Stai attento... - Sussurró lei,
preoccupandosi per la mano di lui.
Lui riprese a baciarla, senza lasciarla andare più. Mise un
braccio attorno alla sua vita, stringendola ancora più a
sé, poi la sollevó
appena, facendola sussultare, e la portó alla
fine del corridoio, in una stanza che conteneva oggetti vari.
Mantenendola per la vita, la appoggió
rozzamente al muro, facendole sbattere appena la schiena. - Scusa. -
Sussurró lui
sulle sue labbra, non riusciva a staccarsi e non lo fece nemmeno per
sollevare la sua gonna.
Rosalie sapeva che era sbagliato, sapeva che quello che stavano facendo
era un grande errore, ma il suo cuore le suggeriva altro. Stava
iniziando a provare un forte sentimento per quel ragazzo che dal primo
giorno non aveva fatto altro che sminuirla e trattarla male, avrebbe
dovuto ripudiarlo e allontanarsi da lui ma si sentiva talmente attratta
che non vedeva altro che lui in quel momento. Passó una
sua mano tra i suoi ricci neri, mentre con l'indice dell'altra passava
sul rilievo del braccio del ragazzo, che aveva i muscoli tesi per lo
sforzo di reggerla. Passó poco
prima che lui la facesse sua, si unirono intensamente e finirono
insieme in un gemito, strozzato dalla paura di essere scoperti.
Rimasero cosí, guardandosi negli occhi senza proferire una
parola, fino a che lui non decise di farla scendere delicamente e sistemó il
calzone.
Lei aveva il viso in fiamme, il cuore in subbuglio e la testa che
galoppava tra mille pensieri sconnessi tra loro.
Aveva appena avuto un rapporto illegittimo con il figlio maggiore del
signor Cullen, che un'ora prima aveva annunciato l'ormai imminente
matrimonio con sua zia Esme.
Ma cosa poteva fare, se il suo cuore la spingeva inesorabilmente tra le
braccia del bellissimo e incredibilmente affascinante Emmett Cullen?
L'uomo aveva finito di ricomporsi, e dopo aver aggiustato il colletto
della propria camicia, guardó
Rosalie con degli occhi completamente indifferenti. - Torniamo alla
festa. - Le disse, e contrariamente a prima uscí dalla
stanza senza preoccuparsi minimamente della ragazza.
Rose, non appena lui si fu allontanato abbastanza, scoppió in
lacrime, singhiozzando in silenzio.
- Ma cosa ho fatto? - Disse fra sé e sé,
tenendosi il viso con le mani, mentre le ciocche dei suoi capelli le
ricadevano giù dalle guance e la incorniciavano in un
ritratto non particolarmente felice.
- Devo sistemarmi, non posso tornare di là conciata in
questo modo. - Pensó,
cercando da qualche parte un punto in cui avrebbe potuto specchiare, e
doveva trovare una scusa nel caso in cui le sue sorelle le chiedessero
qualcosa.
Alice e Bella avevano ballato a lungo con i fratelli Cullen, alcune
dame di mezza età le avevano squadrate in silenzio poco
più in là ma loro, seguendo i cari consigli del
cuoco, le avevano completamente ignorante. Non erano ancora convinte di
quello che sarebbe successo nelle loro vite dopo il matrimonio della
zia con uno degli uomini più influenti di Londra, ma
sicuramente sarebbero state per sempre l'una a fianco dell'altra.
Cercavano con lo sguardo la sorella, che sembrava sparita. - Al,
dov'é finita Rose? - Chiese Bella, alzandosi sulle punte per
provare a scorgerla.
- Non lo so Bells, ma pare che anche Emmett non sia qui. - Disse lei,
con una pesante consapevolezza nel suo cuore. Si guardarono per un
istante, temendo il peggio, fino a che l'imponente figura del ragazzo
non spuntó poco lontano dalla
finestra.
Asciungandosi le ultime lacrime, Rosalie fece capolino dalla porta,
sperando che le sorelle non la vedessero. Aveva sciolto i capelli, non
riuscendo a rifare l'acconciatura a causa delle sue mani che non
smettevano di tremare, e li aveva intrecciati velocemente cercando di
non dare troppo nell'occhio.
Ma, poiché le sue sorelle la conoscevano davvero molto bene,
nel momento in cui il suo sguardo incroció quello
di Alice, capí che loro sapevano, o meglio che sospettavano.
Si schiarí la voce, e pregandole con gli occhi di non dire
nulla e di non accennare al fatto che lei si fosse assentata insieme al
primogenito dei Cullen, le raggiunse.
***************************
- Stai bene? - Alice e Bella si erano sedute sul letto di Rosalie,
accerchiandola, e la guardavano con apprensione.
- Sí. Non é successo niente, aveva bisogno di
aiuto per la mano e visto che eravate impegnate sono andata in cucina
per fasciargliela meglio. - Disse lei, cercando di convincerle.
Nonostante il dubbio le attanagliasse, Bella e Alice decisero di non
insistere, e si prepararono per andare a letto.
Nessuna di loro sapeva che quella notte avrebbe cambiato completamente
le carte in tavola, e il destino di una in particolare stava per
rivelarle una sorpresa del tutto inaspettata.
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Capitolo 6 *** Capitolo V ***
Capitolo V
20 Ottobre 1893, Londra. Ore
9:25.
I sei ragazzi si
riunirono insieme al padrone di
casa e alla futura consorte intorno al tavolo da pranzo, per
condividere una colazione molto più speciale delle altre.
Vi
furono molte domande, i fratelli in particolar modo avevano molte
perplessità per cui non riuscivano a capire come Carlisle
Cullen, uomo
di scienza molto razionale e logico, avesse potuto prendere una
decisione cosí avventata in un lasso di tempo
cosí breve.
-
Ve l'ho già spiegato, figli miei. - Ripeté per
l'ennesima
volta Carlisle, appoggiando le posate accanto al piatto e intrecciando
le dita delle mani davanti al suo viso, con i gomici appena sul tavolo.
- Ma padre... - Jasper provó a ribattere invano. - No, Jazz.
Lo
so che non mi avete mai visto prendere una decisione cosí
all'improvviso, ma é successo e ne sono più che
felice. -
Disse il padre, sorridendo teneramente ad Esme seduta accanto a lui,
che in quel momento sentiva addosso un grande peso.
- Padre, noi non stiamo assolutamente andando contro la vostra
volontà, e proviamo un grande rispetto verso Esme. Dobbiamo
solo
realizzare che presto questa famiglia subirà un grande
cambiamento. - Emmett aveva un'espressione molto seria, Rosalie aveva
notato che in presenza del padre il ragazzo era completamente diverso e
molto più rigido di quanto non fosse il resto del tempo.
- Esatto, padre. Sia io che Jasper abbiamo discusso stamattina a
riguardo, e se la vostra felicità sta nel matrimonio con
Esme,
noi non possiamo che essere dalla vostra parte. - Carlisle sorrise al
figlio minore.
- Bene, ragazzi. Ne sono felice. - Concluse quindi, permettendo al
resto del tavolo di finire di consumare la colazione.
Le ragazze e la zia, nel frattempo, avevano ripreso a parlare tra di
loro discretamente; Esme aveva raccontato loro di come il primo giorno,
appena incrociato lo sguardo di Carlisle, qualcosa dentro di lei scattó
e non poté controllarlo. Forse si era resa conto che l'amore
in
lei poteva sbocciare come tanti anni prima, e che non era troppo tardi
per lei per provare sentimenti tali.
Aveva anche detto che Carlisle, dal canto suo, non le nascose che la
stessa sensazione la ebbe pure lui. Infatti non esitó un istante quando
poche ore dopo chiese ad Esme di accompagnarlo in un viaggio di lavoro,
che fu per loro
galeotto.
- Abbiamo deciso di rimanere ospiti a casa di quel ricco nobile solo
quando fummo messi al corrente che il povero padrone di casa, Billy
Black, era rimasto vedovo. - Disse Esme, dispiaciuta.
La moglie Sara era malata da tempo, e Billy in una lettera disperata
aveva richiesto al suo amico di vecchia data di poterlo raggiungere il
prima possibile, per fare un ultimo tentativo e cercare di salvarla.
Carlisle aveva già previsto in precedenza di rendere visita
al
signor Black, ma non appena ricevette quella lettera decise che era
più che necessario rendercisi il prima possibile.
- Ed é per questo motivo che non abbiamo potuto avvisarvi,
bambine mie. - Concluse lei. Le sorelle, ancora frastornate da tutti i
cambiamenti dell'ultimo periodo, non poterono che comprendere la zia.
In fondo, non stava succedendo anche a loro di infatuarsi dei Cullen?
- Già. - Sussurró
Rosalie, smuovendo con la forchetta l'acino d'uva che rimaneva sul suo
piatto. Alice la guardó
corrucciando le sopracciglia, mentre Bella le diede un debole calcio
sotto al tavolo, per farla tornare alla realtà.
I suoi pensieri erano concentrati solo su quello che era successo in
quella stanza, la sera prima. Non riusciva a dimenticare le mani
roventi di Emmett sul suo corpo, ma soprattutto il dolore che aveva
provato lei quando lui l'aveva lasciata sola subito dopo.
Ma l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento, era farsi
scoprire dal resto della
famiglia. Quindi si destó
dai suoi pensieri. - Già, zia. Non é un problema,
abbiamo
passato di peggio. - Disse, stringendo le labbra in un impeto di
nervosismo durato poco meno di un istante.
- Beh, in ogni caso sono felice che da oggi in poi noi tutti potremo
considerarci come un'unica famiglia. - Disse Carlisle, guardando negli
occhi tutti e sei i ragazzi, uno dopo l'altro. - So che non
sarà
semplice abituarsi da subito all'idea, ma credo che con il tempo le
cose andranno bene. - Terminó.
- Ma quindi... Noi non dovremo più servire... - Carlisle
interruppe Bella con una risata cristallina. - Oh no, Isabella,
assolutamente no. Ora fate parte della famiglia tutte e quattro,
nessuno sarà al servizio di nessuno e, anzi, io ed Esme in
questi giorni terremo dei colloqui per poter assumere un paio di
governanti che potranno occuparsi di voi come si deve. -
- Non sia mai che la prossima sarà per me. - Ringhió
a denti stretti Emmett, facendo gelare il sangue nelle vene di Rosalie.
Tutti si girarono a guardarlo, e il padre con una punta di rabbia lo
fissó a
lungo.
- Scusatemi, padre. Era inappropriato. - Disse poi lui, con
un
tono alquanto scocciato. Esme aveva lo sguardo basso, e il ragazzo lo
notó, ma
non replicó.
Tutti i commensali si erano alzati per recarsi ognuno alle proprie
attività, Carlisle aveva un importante appuntamento in
città e si era quindi congedato velocemente e le ragazze si
erano dirette in camera per prepararsi.
Emmett si era trattenuto qualche istante in più, cercando
poi di raggiungere la futura moglie del padre.
- Esme, io... - La donna si fermó,
senza girarsi veramente a guardarlo, voleva prima sentire cosa avesse
da dirle. - Mi dispiace. Non volevo ferirvi. - Disse, mettendo via
l'orgoglio per la prima volta dopo tanto tempo. Esme sorrise, girandosi
finalmente per guardarlo negli occhi.
- Capisco. Sai, io non voglio prendere il posto di vostra madre. Non
l'ho mai fatto nemmeno per le mie nipoti quando sono rimaste orfane, le
ho cresciute come figlie ma mai ho detto loro di essere la madre. Non
potrei farlo nemmeno con voi. - Disse quindi. Dietro di lei, i fratelli
avevano ascoltato tutta la conversazione, poiché non vedendo
Emmett uscire dalla sala da pranzo si stavano chiedendo che cosa
avesse.
- Grazie, Esme. - Sussurró
Jasper, con un nodo alla gola e gli occhi improvvisamente lucidi. Se
fino a quel momento non aveva ancora saputo dare un nome a quello che
sentiva, improvvisamente un'immagine si presentó
davanti agli occhi. Finalmente aveva capito cosa aveva spinto il padre
ad innamorarsi cosí velocemente di quella donna. Aveva una
immensa sensibilità, che lui percepiva subito, e riusciva a
dare
amore anche a chi non lo chiedeva.
Rimasero tutti e quattro in silenzio, osservandosi con cautela. I tre
fratelli stavano lentamente accettando che la donna sarebbe presto
diventata la loro matrigna, ed erano sempre più convinti che
il
padre avesse fatto una buona scelta. Avrebbero forse trovato in lei
quella figura materna che da anni mancava loro?
***************************
25
Novembre 1893, Londra. Ore 3:41.
Due
voci strozzate, mescolate nel silenzio della notte, interrotte da
diversi ansimi, riecheggiavano nella camera da letto di Emmett Cullen.
Due corpi viaggiavano all'unisono sulle onde del piacere più
puro,
nascosti solo da una coperta che dava loro un pizzico di
intimità in
più.
Dal giorno in cui Carlisle ed Esme si erano ufficialmente fidanzati,
Rosalie non aveva più potuto sottrarsi alle
richieste dirette ed esplicite di Emmett. Quasi ogni notte, dopo
essersi accertata che le sorelle dormissero, si dirigeva verso la sua
stanza, sapendo che lui la aspettava. Ci andava con cautela, facendo
attenzione che nessuno la potesse vedere o sentire. Entrava, e come
ogni notte lui era lí, davanti alla finestra come il giorno
del
loro incontro. Sapeva di sbagliare, sapeva che niente la obbligava
più a rispondere alle richieste del ragazzo, ma non poteva
più farne a meno.
Una volta finito, Emmett non si occupava più di lei. Forse
lei
desiderava da lui avere quello che non aveva mai ricevuto prima da un
uomo, un amore pure.
Quella notte, per l'ennesima volta, Emmett si stava infilando un paio
di pantaloni di cotone per poter poi andare a dormire. Rosalie era
ancora sotto alle coperte, ricoperta da una vestaglia da notte leggera
e svolazzante di colore bianco splendente, e i capelli le contornavano
il viso intristito. Si riprometteva ogni volta di non cascarci di
nuovo, ma quando prima di cena Emmett le faceva cenno, lei non riusciva
a dire di no.
Si alzó lentamente, non se la sentiva di guardarlo in faccia
per
la delusione. Raccolse il suo vestito dalla sedia accanto, indossandolo
poi svogliatamente. Si avvolse i capelli in uno chignon disordinato, e
senza dirgli nulla uscí dalla stanza, sotto il suo sguardo
confuso.
Emmett era riuscito a distruggere la corazza che da anni stava cercando
di costruire intorno a sé. Da quando la madre era morta e
avevano dovuto lasciare Parigi insieme alla zia, erano successe tante
di quelle spiacevoli avventure da farle credere che peggio di
cosí non sarebbe potuto andare.
Inizió
a camminare, dirigendosi verso una delle terrazze in fondo al
corridoio. Cercava di non fare rumore, per non svegliare il resto della
casa.
Arrivata davanti alla porta vetrata, la aprí delicatamente e
uscí; l'aria gelida dell'inverno la colpí in
pieno viso,
ma la tua testa era talmente piena di pensieri che nemmeno se ne
accorse.
Ripensava agli anni passati, a tutti quei volti che aveva incontrato
nel corso degli ultimi anni, e di come sia lei che le sue sorelle
avessero dovuto difendersi dal male che capitava loro.
Gli alberi di fronte a lei ondeggiavano soavi, accarezzati dal vento
che soffiava impetuoso. Rosalie li osservava attenta, avrebbe voluto
avere delle radici profonde e una cortezza forte e resistente come le
loro, in presenza di Emmett.
Una voce la chiamó,
sussurrando, alle sue spalle. Lei sobbalzó,
ritrovandosi Jasper davanti che la guardava incuriosito.
- Che ci fai qui, Rosalie? Non credi sia tardi? - Le chiese, con le
braccia conserte. Il ragazzo si era ormai abituato alla presenza delle
quattro donne, aveva instaurato un bellissimo rapporto con la maggiore
delle sorelle proprio perché entrambi avevano molte
similitudini
caratteriali, sembravano quasi fratelli.
- Oh, Jazz. Beh, hai proprio ragione, é tardi. Ma non
riuscivo a
dormire. - Disse lei, sospirando profondamente. Lui si appoggió alla
ringhiera con gli avambracci, guardando giù nel giardino
completamente buio.
- Siamo in due, Rose. Questa notte é lunga e difficile per
entrambi, direi. -
Rimasero in silenzio a lungo, a contemplare la natura che si
manifestava libera davanti ai loro occhi. All'improvviso, delle fitte
gocce di pioggia quasi taglienti iniziarono a colpirli, e decisero di
rientrare velocemente.
-
Non ci avete mai raccontato cos'é successo davvero prima che
arrivaste qui. - Disse lui, con fare serio e tenendo le mani dietro
alla schiena.
- É vero. Ma non credo che sia giusto farlo se le mie
sorelle
non ci sono. Siamo tutte e tre coinvolte, é la nostra
storia. -
Disse quindi la bionda, aggiustandosi un bottone del corpetto del
vestito.
- E quale migliore occasione di domani all'ora del thé per
farlo? Mio padre ed Esme saranno in città per affari e
impegni
per il matrimonio, non avete più scuse. - Disse lui,
guardandola e accennando
un sorriso furbo. Lei rise, cercando di non fare troppo rumore.
- Non dimenticare che domani sera ci sarà Laurent a cena,
non lo vediamo da un mese ormai. - Sussurró
Rosalie, fermandosi insieme al ragazzo davanti alla sua camera. - Ti do
la mia parola che saprai tutto. - Lui annuí con la testa,
per
poi entrare dopo averle augurato la buonanotte.
La ragazza si avvió quindi
verso la sua stanza, passando velocemente davanti a quella di Emmett.
Provó ad
ascoltare, ma nessun rumore usciva da quella stanza; si ritiró per
andare a dormire, con ancora un macigno sul cuore.
**********************
- Basta cosí, grazie. - Disse Bella, alzando appena la mano
destra, e Julian tremante le porse la sua tazza di thé nero
con aggiunta di latte. Lei prese un cucchiaino di zucchero bruno, e
mescoló lentamente la sua bevanda, mentre gli altri finivano
di essere serviti.
I sei ragazzi erano accomodati in un salone adibito a grande libreria,
fuori una pioggia incessante batteva contro le finestre e il cielo
nuvoloso si scuriva sempre di più.
I due futuri signori Cullen erano andati in città al
mattino, e non sarebbero tornati fino a sera in compagnia di Laurent,
per la cena.
- Rosalie. - Disse Jasper, guardandola dritto negli occhi. Lei sospiró
appena, sapeva che non avrebbero più potuto rimandare il
momento. Sua zia aveva detto loro che Carlisle era già al
corrente del loro passato, e che lo aveva accettato senza tentennare
minimamente, e ció le
rassicurava molto, ma non era comunque facile per loro ricordare quei
momenti.
Alice addentó un
pezzo di gingerbread cake, che aveva preparato al mattino insieme a
James.
- E va bene. - Sussurró
Rosalie, cercando lo sguardo delle sorelle. Bella posó una
mano sulla sua gamba, invitandola a lasciarla parlare.
- Siamo tornate in Inghilterra nel 1887, zia Esme aveva ricevuto una
lettera da un'amica di mamma; al nord di Manchester vi era questa
fabbrica di tessuto che cercava tessitrici e zia ci propose di andare.
Accettammo subito, non volevamo essere un peso per lei e tornare in
Inghilterra sarebbe stato più semplice che restare a Parigi.
- Emmett stava giocherellando con il cucchiaino, sguardo basso fisso
sulla tazza fumante di fronte a lui, ma era molto attento al racconto,
nonostante non volesse farlo trasparire agli altri.
- Abbiamo alloggiato in alcune camere in cui vivevano altre lavoratrici
che venivano da fuori, come noi. La maggior parte di loro era inglese,
compresa Anne, l'amica della mamma. I primi giorni ci sembravano duri,
il lavoro era intenso e le ore di riposo erano poche, ma quando la zia
ricevette il nostro primo stipendio ci sembrava cosí tanto
soddisfacente... Ci sentivamo finalmente indipendenti. - Bella prese
una pausa, sorseggiando il thé. Alice decise quindi di
continuare il racconto.
- Passarono i mesi, ci eravamo ormai abituate al lavoro ed eravamo
più o meno tutte solidari tra di noi, sapevamo che non era
un ambiente facile per le donne ma dovevamo tirare avanti. Un giorno,
il figlio del capo, un certo Royce King, venne in fabbrica per
controllare come procedessero i lavori. Solitamente era il capo stesso
a venire, ma quel giorno mandó lui. -
Alice si fermó,
guardando sua sorella Rosalie che era diventata improvvisamente cupa in
volto. Lei annuí appena, invitandola a continuare e a non
fare caso a lei.
- Passava vicino ad ogni filatoio, sembrava affascinante e gentile al
primo impatto, e quando venne il nostro turno si rivolse a noi con un
sorriso ammaliante e seducente. Seppe conquistare la nostra fiducia
quasi subito. - Si adombró,
stringendo con forza il tovagliolo tra le mani.
- Eravamo ingenue, direi. - Rosalie interruppe la sorella, con
un'espressione dura in viso. - E lui non era di certo un agnello. - Si
alzó,
lasciando la sua tazza di thé a metà e
spostandosi verso la finestra per tirare le tende, ormai fuori era
completamente buio.
Le ragazze continuarono a raccontare i dettagli della loro storia, fino
a poco prima del loro arrivo a casa Cullen.
- Sí, é esatto. Royce ci picchiava, insieme alla
sua famiglia. E dopo avermi ingannata, cercando di convincermi che lui
voleva sposarsi con me e avere dei figli, beh... - Rosalie abbassó lo
sguardo, mentre la sua voce si spezzó. - Abusó di me.
- Sussurró. I
fratelli Cullen erano lividi di rabbia.
- Non ero di certo la prima né l'ultima. - Terminó lei,
poi si scusó con i
presenti e uscí dalla stanza.
Emmett la seguí subito, camminando con passi pesanti e le
mani strette a pugno, sotto lo sguardo attonito degli altri.
- Mi dispiace. - Disse Edward, guardando le sorelle. - Se
c'é qualcosa che possiamo fare, sapete che siamo qui. Siamo
una famiglia ora. - Concluse, serio. Jasper lo appoggió.
Dopo qualche minuto di silenzio, Bella volle rompere il ghiaccio.
- Sapete che cosa hanno organizzato Carlisle e la zia per il
matrimonio? Ci hanno detto che ci sarà tutta la vostra
famiglia. - Chiese, accomodandosi sulla sedia e allungando appena le
gambe per sgranchirle.
- Oh, beh in effetti ce ne ha parlato un paio di giorni fa. E se posso
permettermi... - Jasper si avvicinó alle
ragazze. - Sono ben contento che li vedremo solo al matrimonio. Le mie
zie e le cugine possono essere abbastanza invadenti. - Concluse,
facendo scoppiare a ridere Edward.
- Non tirare fuori quel discorso, non finiremmo più di
raccontare di loro. - Disse, continuando a ridere di gusto.
- Beh, non abbiamo altro da fare noi oggi. - Disse Alice, ridendo
insieme a loro. Bella scosse la testa divertita, unendosi ai tre.
- Oh, zia Genevieve é logorroica. Ma davvero, davvero tanto.
E sua figlia Gertude é forse peggio di lei. Una volta ha
voluto raccontarci di come era riuscita ad attraversare il giardino
nonostante ci fosse un topo che gironzolava vicino a lei... Peró ci ha
messo circa tre ore per farlo! E siccome nostro padre ci dice sempre di
non mancare di rispetto ai parenti... - Edward rideva sempre
più forte, i suoi occhi stavano lacrimando dallo sforzo, e
Jasper aveva iniziato a raccontare sempre più aneddoti sulla
sua famiglia, cercando di fare divertire le due ragazze per distrarle
dal racconto di prima.
******************************
Emmett afferró
Rosalie per il polso, costringendola a fermarsi. La ragazza stava
piangendo in silenzio, e quando lui la giró chiuse
gli occhi per non doverlo guardare.
- Perché non me lo hai detto? - Chiese lui, furioso. Lei non
rispose, dalla sua bocca uscirono sono dei singhiozzi strozzati.
- Rispondi! - Disse lui, avvicinando il viso al suo. Lei abbassó dunque
la testa, per evitare il contatto diretto. Lui allentó la
presa senza lasciarla, e fece un profondo respiro.
- Avresti dovuto dirmelo, Rosalie. - Disse poi, sospirando. - Mi sono
sentito talmente in colpa, pensavo di aver fatto un terribile sbaglio
quel giorno. Mi hai ingannato. - Rosalie sbottó
sentendo le sue ultime parole, e di colpo diede un ceffone a Emmett,
cosí forte far girare appena la testa del ragazzo, che
subito si toccó la
guancia colpita in raccolto silenzio.
- Non ti permettere! - Gridó lei,
nonostante la richiesta del ragazzo di mantenere la calma. - Ho
sopportato tutto da quando sono qui, ho sopportato tutto per anni per
amore delle mie sorelle, ma ora basta! Non mi faccio più
mettere i piedi in testa da nessuno, soprattutto da te! - Concluse,
piangendo sempre più e lasciando Emmett solo in mezzo al
corridoio, con la mano sulla guancia intento a massaggiarsi.
Rosalie si scontró con
Julian, che balbettando le chiese cosa fosse successo. Lei non gli
rispose, e camminó
spedita in camera, per poi infilarsi sotto alle coperte.
25 Novembre 1893, Londra. Ore
18:58.
Laurent, Carlisle e
Esme erano appena tornati da Londra, fortunatamente la pioggia si era
fermata poco prima del loro arrivo. Bella ed Alice erano pronte per la
cena e per accoglierli con grande gioia insieme a Edward e Jasper.
- Che bel benvenuto che mi tocca stasera! - Disse Laurent, togliendosi
il cilindro e andando ad abbracciare le ragazze, stringendo poi la mano
ai ragazzi.
- Dov'é la mia terza figlioccia? - Chiese poi, sfilandosi la
giacca e porgendola educatamente a Trevor, che con aria indispettita
raccolse i vestiti e si dileguó in
fretta.
- Non si sente bene, sta riposando. - Dissero le sorelle, dopo essersi
scambiate un'occhiata. Sapevano cosa fosse successo tra Rosalie ed
Emmett qualche ora prima, e il sospetto che tra di loro ci fosse
qualcosa in più si era annidato nelle loro menti, ma non era
sicuramente il momento adatto per parlarne.
- E invece Emmett? - Chiese Carlisle, corrucciando appena le
sopracciglia. Apparve un istante dopo, adombrato. - Chiedo scusa per il
ritardo, stavo lavorando e non ho visto il tempo passare. - Disse
quindi, unendosi ai fratelli.
- Beh, direi che possiamo accomodarci a tavola allora. - Disse il
capofamiglia, con un caloroso sorriso. Si incamminarono verso la sala
da pranzo, parlando tra di loro a bassa voce.
All'improvviso, un urlo agghiacciante li fece sobbalzare e correre
verso le scale. Esme e le ragazze iniziarono a gridare, mentre Carlisle
si precipitó a
soccorrere Rosalie insieme al figlio maggiore.
L'ultima cosa che la ragazza vide prima di perdere i sensi, furono gli
occhi di Emmett pieni di paura. Poi, il buio.
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Capitolo 7 *** Capitolo VI ***
Capitolo VI
Note autrice: Ciao popolo! Mi
scuso davvero per il grande ritardo, sono stata in ospedale per alcuni
problemi e mi sono ripresa negli ultimi due giorni. Spero comunque che
il capitolo vi piaccia, ci sono un paio di indizi che spero troverete e
ci vediamo al prossimo! Fatemi sapere cosa ne pensate. Buona lettura.
25 Novembre 1893, Londra. Ore 20:35.
Carlisle
toccò la fronte di Rosalie con delicatezza, cercando di
capire se la ragazza avesse la febbre oppure no. Esme era accanto alla
nipote, dall'altra parte del letto.
Emmett aveva portato Rosalie in un'altra stanza, accanto alla sua,
sotto richiesta del padre, e stava aspettando fuori dalla porta insieme
ai fratelli e alle due sorelle; mentre Laurent camminava avanti e
indietro per il corridoio per smorzare la tensione che aveva.
- Come ti senti? - Chiese Esme, con la voce appesantita
dall'angoscia. - Sto meglio, zia. - Sussurrò Rosalie, ancora
visibilmente debole ma un po' più colorita in volto. Qualche
livido le si stava formando sulla parte destra della tempia e lungo il
braccio, dove aveva sbattuto poco prima di cadere addosso a Julian.
- Da quello che ho potuto constatare, non hai febbre o altro. Deve
essere stato un semplice mancamento, le tue sorelle ci hanno detto che
non stavi bene prima. Hai mangiato abbastanza in questi giorni? -
Rosalie cominciò a riflettere, gli scorsi giorni l'appetito
le era mancato in varie occasioni e si sentiva particolarmente stanca,
ma non aveva dato molto peso alla cosa pensando che potesse essere
semplicemente un colpo di freddo improvviso.
Eppure un dubbio iniziava ad attanagliarsi nella testa, ma non riusciva
a darsi una spiegazione coerente. Rispose quindi, e i due futuri sposi
uscirono dalla stanza dopo essersi assicurati che non avesse
bisogno di nulla.
Trevor aveva raggiunto il resto della famiglia per sapere se ci fossero
novità. - Trevor, fate portare della zuppa calda e del pane
da accompagnamento a Rosalie, in camera. Per stasera deve rimanere a
riposo, domani vedremo. - Disse Carlisle, e il domestico
annuì.
- Io rimango qui con lei, padre. - Emmett spiazzò tutti con
la sua frase, il suo atteggiamento nei confronti della bionda era
talmente sprezzante che mai loro si sarebbero immaginati una tale
proposta da parte sua.
Nonostante ciò, annuirono e proseguirono verso la sala da
pranzo. Laurent appoggiò la mano sulla spalla del moro. - Mi
raccomando. - Disse, guardandolo intensamente negli occhi. Emmett
deglutì appena, aveva ben in chiaro ciò che
l'uomo di fronte a lui volesse dirgli.
- Non preoccuparti. - Disse, poi bussò ed entrò
in camera, sotto lo sguardo attonito di Rosalie.
- Cosa ci fai qui? - Sollevò le coperte e si
coprì fino a sopra le spalle, lasciando appena fuori il
collo e la testa. Emmett non rispose, sedendosi poco distante da lei,
sulla poltroncina dove poco prima sedeva la zia della ragazza, e
portando le mani incrociate dietro alla testa, in posizione rilassata.
- Non ho bisogno del tuo aiuto, quindi se é per questo che
se qui puoi anche andartene. - Disse quindi lei, con una punta di
orgoglio sulla lingua. Emmett la sbeffeggiò appena, ridendo
di gusto.
- Vattene. - Ripeté lei, indispettita. Il ragazzo chiuse
appena le tende per fare della penombra nella stanza, guardando poi la
bionda dritta negli occhi con un sorriso provocatore stampato e un
sopracciglio alzato, in segno di sfida.
Rosalie, presa da un impeto di rabbia, prese un cuscino e glielo
lanciò, lui lo evitò, sporgendosi poi per
raccoglierlo. - Mio padre ha detto che devi riposarti, non fare
stupidaggini, bionda. - Disse poi, tornando serio.
- Da quando ti interessi per me? Mi hai sempre dimostrato il contrario,
fino ad oggi. - Replicò lei aspramente, lasciandosi dietro
un silenzio come risposta.
Sbuffò, incrociando le braccia al petto e rannicchiandosi
ancora di più nel letto, lasciando poi scivolare la sua
lunga treccia giù dal letto.
Emmett afferrò un libro appoggiato sulla scrivania vicina a
lui, dando un'occhiata al titolo. Incuriosito, iniziò a
sfogliarlo senza prestare attenzione a Rosalie, o meglio nascondendosi
nel farlo.
****************************
- Non possiamo sicuramente rimanere così. Dobbiamo scoprire
cosa succede a nostra sorella. - Bella guardò con aria
sospetta la sorella, che continuava a saltellare per provare a
raggiungere lo scaffale più alto su cui si trovava lo
zucchero.
- Che hai intenzione di
fare? Credo che Emmett sia ancora con lei. - Rispose la
sorella, prima di andare a prendere uno sgabello sotto al tavolone
della cucina, per avvicinarlo alla sorella.
Alice si arrampicò con cautela e afferrò il
barattolo dello zucchero e lo porse a Bella, che ne mise un paio di
cucchiai dentro ad un bicchiere.
- Bells, é
nostra sorella. Non la sua. E visto il suo comportamento, non credo gli
sia permesso opporsi. - Alice rimise lo sgabello al suo
posto, aggiustandosi poi la gonna appena spiegazzata.
- Hai ragione, Al. Credo che tra loro due ci sia stato qualcosa di cui
non siamo al corrente. -
Disse quindi Bella, mescolando per bene l'acqua con lo zucchero.
- Hai visto come é corso a prenderla? Non hai
notato che in questi ultimi tempi c'é una strana tensione
tra loro? Dici che...? -
Alice scosse la testa. Non riusciva ad immaginare che la loro ipotesi
potesse essere vera, ma non avendo mai passato molto tempo insieme a
Emmett non sapeva cosa aspettarsi veramente da lui. Sicuramente non era
una persona semplice da gestire.
- Beh... Una sera ho avuto un incubo, e quando mi sono svegliata lei
non era in camera. Allora sono uscita per cambiare aria, e quando sono
passata vicino alla stanza di Emmett ho sentito delle voci sospette. Mi
sono avvicinata... -
Alice la fulminò con lo sguardo. - Lo so, non si fa,
é violazione della privacy. Ma tu al posto mio ti saresti
appiccicata alla porta, curiosa e impicciona come sei. - Disse
sghignazzando, mentre Alice spalancò la bocca, oltraggiata
dalle parole della sorella. - Ma come osi!! - Disse, mentre Bella
iniziò a ridere ancora più forte. - Comunque, mi
sono avvicinata e sembrava che due persone stessero sussurrando tra di
loro. Ma poi hanno smesso, e non so cosa sia successo dopo. -
Terminò, mentre percorrevano il corridoio del primo piano.
- E perché me lo dici solo ora, Bella? - Chiese Alice,
aggrottando le sopracciglia. - Al, non sono nemmeno sicura che fossero
loro. Magari era Jasper, o Edward. Sai, non sono entrata a chiedere di
potermi unire a loro. - Disse, alzando le spalle.
Arrivate davanti alla porta, bussarono delicatamente. Non ricevendo
risposta, Alice aprì la porta e si affacciò
appena, trovando Emmett appisolato sulla poltrona, con il libro aperto
e appoggiato sulla sua gamba e la testa appoggiata al muro dietro, e
Rosalie sotto alle coperte.
Non appena le ragazze entrarono, la bionda si girò verso di
loro, i suoi occhi erano impastati di sonno ma la visione di Emmett
vicino a lei l'aveva rapita a tal punto da farle dimenticare come ci si
addormentasse.
Bella si schiarì la voce, ed Emmett sussultò,
guardandosi intorno confuso e stirandosi la schiena. Poi, in silenzio,
ripose il libro sulla scrivania e si alzò per uscire dalla
stanza. - Se succede qualcosa, chiamatemi. - Bofonchiò,
rivolto alle due sorelle che lo lasciarono passare.
- Rosalie, dobbiamo
parlare. - Alice corse al fianco della sorella, con
un'espressione rigida in volto.
- Al, non sarebbe meglio
affrontare il discorso più tranquillamente? -
Disse Bella, spostandole una ciocca dei suoi capelli corvino dalla
spalla per guardarla meglio. Alice sospirò, portandosi una
mano sulla guancia sconsolata. - Rosalie,
ti prego dicci che non é come pensiamo. Voi due... Beh,
é successo qualcosa? - Chiese, aspettando un
segno di diniego da parte della sorella, che non arrivò.
Aspettarono qualche secondo per accertarsi che nessuno stesse passando
vicino alla porta.
- Lo so che cosa state pensando, ragazze. - Disse Rosalie. - Non
giudicatemi, ve ne prego. Non so nemmeno io come sia successo. - Una
lacrima le rigò la guancia.
- Come potremmo mai, Rose? Sei nostra sorella. Ne abbiamo passate
tante, davvero tante. Certo, é una situazione alquanto
scomoda e lo sappiamo tutte. Ma ormai é fatta. - Disse
Alice. Sapevano bene che una cosa del genere non sarebbe mai dovuta
accadere, ma in cuor loro si domandavano che cosa avrebbero fatto loro
al posto suo, e non sapevano darsi altre risposte.
- Credo sia stato lo stress per tutto, il cambio casa, il matrimonio
della zia... E ancora non si sono sposati! - Disse poi Alice, in
effetti gli ultimi tempi erano stati un'ennesima rivoluzione e dovevano
ancora ambientarsi completamente al nuovo stile di vita,
così diverso.
- Certo, lo sappiamo. Ma, Rose... Ti piace, non é
così? - Chiese Bella, sedendosi accanto ai suoi piedi.
Rosalie non rispose. Le scrutò velocemente. - E voi allora?
- Replicò poi, lasciandole di stucco.
- Io... Ehm, beh... Edward e io siamo solo amici. - Disse quindi Bella,
arrossendo di colpo fino alla punta dei capelli. Alice
ridacchiò di lei, ma venne subito fermata dall'occhiata
maliziosa della sorella.
- Inutile che ridi, folletto. Siamo tutte nella stessa grana. E credo
che sia meglio per tutte noi che la cosa passi in fretta... Dovremo
vivere con loro ancora un bel po'. - Concluse la bionda, scostandosi le
coperte da dosso per alzarsi.
- Dove stai andando Rose? Carlisle ha detto che devi stare a riposo. -
Dissero le sorelle, cercando di farla rimettere a letto.
- Non sono moribonda,
ragazze. Ho voglia di sgranchirmi un po' le gambe in giardino, mi
accompagnate? - Chiese quindi, ma le sorelle non ebbero il tempo di
rispondere che qualcunò bussò alla porta.
Esme fece capolino dalla porta, con un grande sorriso. - Come ti senti
tesoro mio? - Chiese, entrando e accomodandosi insieme alle nipoti.
- Meglio, zia. Voglio tornare in camera con le mie sorelle, vorrei
prendere una boccata d'aria... - Disse quindi Rosalie, con una mano che
copriva un graffio sul suo braccio.
- Tesoro, é meglio che tu per oggi rimanga qui. Abbiamo
pensato di cambiare la vostra stanza a breve, e di spostarvi in una
più grande e confortevole. Domani penseremo a spostare tutte
le vostre cose, ma tu per oggi rimani qui. - Disse.
- Ma zia... Io non voglio separarmi da loro. - Replicò
Rosalie, ricevendo in risposta un'occhiataccia.
- Rose, sicuramente non lo faccio per dispetto. Qui vicino ci sono i
ragazzi, se hai bisogno possono venire subito da te. Avanti,
é solo per una notte. - Esme lo sapeva, le ragazze vivevano
quasi in simbiosi e nonostante potesse sembrare uno sciocco capriccio,
non riuscivano a stare separate per troppo tempo. Sapeva che avevano i
loro riti serali, e che insieme si sentivano protette. Ma voleva che
loro si sentissero così sempre, voleva che quella casa
diventasse a tutti gli effetti anche la loro, sapeva che ci sarebbe
voluto ancora del tempo ma era speranzosa.
- Tieni, mettila sul comodino. - Disse, porgendo ad Alice una
campanella in argento. - Se succede qualcosa, suona e qualcuno
verrà da te. -
Dopo qualche chiacchiera, la zia trascinò fuori dalla stanza
le due nipoti, augurando la buonanotte a tutte e tre, e Rosalie si
ritrovò sola.
- Deve essere lo stress. - Disse tra sé e sé. -
Solo stress. Che cosa potrebbe essere se no? L'uomo che amo mi ripudia,
mi odia con tutto se stesso, come potrei stare bene? -
Continuò, alzandosi poi per andare vicino alla finestra. -
Un po' di riposo e passerà tutto. Ne sono certa. - Disse
poi, prendendo un lungo respiro e sollevando appena la testa, con gli
occhi socchiusi.
Un sorriso apparve sulle sue labbra, un accenno di sorriso quasi amaro.
- Ne sono certa. - Ripeté, rimanendo qualche minuto nella
stessa posizione. Ma i dubbi che le erano rinsaviti prima, purtroppo,
si stavano intensificando sempre più, e una sola cosa
iniziava a figurarsi nella sua mente. Iniziò a fare un conto
mentale, e quando si rese conto di un ritardo significativo,
impallidì. Non poteva essere.
Lentamente, il sogno che aveva avuto tempo prima e che ogni tanto le
tornava in mente stava forse iniziando ad avere un senso.
26
Novembre 1983, Londra. Ore 9:13.
La notte fu lunga per tutti loro, e il mattino arrivò troppo
in fretta.
Il rumore del coltello che spalmava il burro sul pane caldo e
fragrante, dei cucchiaini in argento che mescolavano il thé
nelle tazze e dei piatti che si passavano i commensali riempivano il
silenzio pesante del mattino. Alice e Bella sedevano vicine, come
sempre, e spostavano la loro fetta di pane da una parte
all'altra del piatto con la forchetta, con fare pensieroso, mentre Esme
osservava il fondo della sua tazza finita, in cui rimanevano dei
residui di thé nero.
Carlisle, con l'animo inquieto, ruppe il silenzio. - Esme, mia cara.
Bella, Alice. Lo so che siete molto preoccupate, lo siamo tutti. Vado a
darle un'occhiata, se volete. - Disse, facendo per alzarsi, ma venne
interrotto dall'ingresso discreto di Rosalie nella sala da pranzo,
sotto ad uno sguardo sollevato di tutti.
- Buongiorno. Scusatemi. - Sussurrò, per poi accomodarsi
vicino alle sorelle, che subito si sporsero per abbracciarla.
- Oh, Rosalie. Come ti senti oggi? - Chiese Laurent,
sorridendole dolcemente.
- Molto meglio, grazie. Scusami
se non ti ho nemmeno salutato ieri. - Disse lei,
mortificata. L'uomo rise appena, appoggiando una mano sul proprio petto
all'altezza del cuore. - Oh
no, piccola. Non devi.
Eravamo tutti in pensiero per te. L'importante é che tu stia
bene. - Concluse lui, porgendole poi il cestino con il pane ancora
caldo.
Emmett aveva lo sguardo basso, le sue braccia erano tese e le dita
della mano destra picchiettavano nervosamente sul tavolo. Jasper se ne
accorse, guardandolo di sbieco per non farsi vedere dagli altri, e
sussurrò in modo che solo lui potesse sentirlo. - Vedi di
darti
una calmata, fratello. Nostro padre si spazientirà se
continuerai in questo modo. -
Emmett allora decise per una volta di ascoltare il consiglio di suo
fratello, e accennò un fintissimo sorriso, guardando tutti i
commensali. Il padre lo scrutò, ma decise di non andare
oltre
con le domande.
Una volta la colazione terminata, tutti si apprestarono ad alzarsi per
andare ad occuparsi delle proprie faccende, ma Carlisle
attirò
l'attenzione dei famigliari.
- Nel primo pomeriggio verranno qui le assistenti della nostra sarta di
fiducia, con i campioni di tessuto. - Disse, poi prese il giornale
appoggiato poco distante e si diresse verso la porta di ingresso,
uscendo poco dopo.
Laurent fece segno alle ragazze e a Esme di seguirlo, poi andarono
verso una piccola sala di lettura, con divani e poltrone eleganti e
comodi, e si sedettero intorno ad un tavolino su cui erano appoggiati
vari libri e fogli svolazzanti.
- Bene, sono contento di potervi finalmente rivedere in
tranquillità. Dunque... - Mise una mano sopra all'altra,
sulle proprie cosce, mentre le sue lunghe trecce gli contornavano la
figura. - La notizia del matrimonio proprio mi ha sorpreso. In
positivo, ovviamente! - Disse, ridendo insieme a Esme. - Non credo
nemmeno che serva chiederti come sta andando, mia cara Esme. Invece
voi, ragazze? Come state? Vi trovate bene qui? - Chiese, guardando le
tre sorelle l'una dopo l'altra.
Non ebbe tempo di ricevere risposta, perché Julian tutto
affannato arrivò e interruppe la conversazione.
- S-signori... Lady Victoria é qui. - Disse, balbettando
più del solito. Esme scattò in piedi, mentre le
ragazze rimasero a guardarsi confuse.
- Sarà un piacere rivederla... - Sussurrò Laurent
con un lieve cenno di ironia nella voce.
- Pensavo che non sarebbero arrivate prima della settimana prossima! -
Disse Esme, con il battito del cuore accelerato.
- Ragazze, sono arrivate alcune parenti dei Cullen. Andiamo, forza. Vi
spiegherò tutto dopo. - Disse poi, spingendo delicatamente
le tre nipoti davanti a lei per farle proseguire.
*************************
Una trafelata signora imbellettata di tutto punto, seguita da tre
ragazze dall'aria stizzite e altezzose, fece irruzione a casa Cullen
come una folata di vento violenta e rumorosa.
- Dov'é? Dov'é mio figlio?? - Iniziò a
gridare, mentre Trevor a disagio provava a placare la furia contenuta
in un metro e cinquantotto.
I fratelli Cullen, sicuramente avvertiti da Julian, arrivarono
velocemente vicino all'ingresso per accogliere la nonna.
- Oh, merda... - Sussurrò Emmett, alla vista delle tre
cugine che dal canto loro lo salutarono in maniera quasi languida.
Angela, in particolar modo, non faceva altro che la smielata ogni volta
che si ritrovava accanto a uno dei tre.
- Nonna, nostro padre é uscito poco fa per lavoro. - Disse
Jasper, sapendo di essere l'unico dei tre a riuscire a calmare la donna
con poche parole. Amber, la terza cugina, stava scrutando le quattro
donne poco lontane da loro, con aria sospetta.
- Oh, mio piccolo Jasper! Come stai? Non sei più venuto a
farci visita! - Lady Victoria corse verso l'adorato nipote, prendendo
tra le sue dita grassocce la guancia del biondo, coperta da una lieve
barba pungente.
Il ragazzo, imbarazzato, si guardò intorno e alla vista di
Alice che lo osservava con un sorrisino in viso arrossì
appena. - Oh nonna... Per favore. - Disse, cercando di scostarsi
delicatamente, dietro di lui i fratelli sghignazzavano.
- Sono molto arrabbiata. - Disse poi la lady, puntando un dito quasi
contro il petto di Emmett e corrucciando le sopracciglia. Il ragazzo
deglutì, sapendo che non avrebbe potuto replicare, e che di
fronte alla donna lui non fosse nulla.
- Non mi avete nemmeno avvertita che Carlisle, MIO figlio, si stia per
sposare! È inammissibile! - Continuò a sbraitare
la signora, prendendosela con i presenti nella stanza. Poi, girandosi
con una smorfia di disprezzo verso Esme, alzò un
sopracciglio e la squadrò da testa a piedi.
- Tu, serva. Vai a preparare una stanza per me e per le mie adorate
nipoti. Ci fermeremo un paio di giorni. E desidero poi riposare, il
viaggio ci ha sfiancate. Chiamateci per il pranzo. - Disse, porgendo
con indifferenza il proprio cappotto a Esme, che livida lo prese senza
replicare e lo andò ad appendere insieme agli altri. Le tre
cugine, dietro di lei, iniziarono a ridere con malizia della donna,
additandola e sussurrando tra di loro.
- Non é una serva. Lei é la futura sposa. - Disse
Rosalie, che dopo essere rimasta in silenzio fino a quel momento non
poté tenere a freno la lingua. Emmett la fulminò
con lo sguardo, mentre i due fratelli la guardarono in segno di
approvazione. Non avevano mai tollerato davvero il modo di fare della
nonna, ma non potevano in alcun modo replicare, non volevano mancare
soprattutto di rispetto al padre, succube in parte anche lui alla madre
invadente.
- E tu chi saresti per permetterti di parlare così a nostra
nonna? - Chiese dunque una delle tre ragazze, Jessica, scuotendo la
testa di capelli castani in senso di superiorità.
Rosalie la guardò con indifferenza, ormai non riusciva
più a tollerare mancanze di rispetto da nessuno,
benché meno da una che sicuramente non aveva mai lavorato un
minuto in vita sua. Fece per replicare, ma Jasper le toccò
una spalla, per calmarla.
- Loro sono le nipoti di Esme, e con il matrimonio di nostro padre
saranno ufficialmente membri della famiglia Cullen, Jessica. - Disse
poi, con un sorrisino di sfida.
La ragazza si indispettì, guardandoli entrambi male, poi si
mise accanto alla nonna.
- Vi accompagno io alle vostre stanze. Isabella, vuoi accompagnarmi? -
Disse Edward, facendo un occhiolino a Bella, che subito
arrossì.
I cinque allora andarono velocemente verso il piano superiore, con
Julian che reggeva i bagagli delle donne subito dietro di loro.
- Alice, Jasper, venite con me per favore. Ho bisogno che mi aiutiate.
- Disse quindi Esme, e i tre uscirono verso il giardino.
Rosalie ed Emmett rimasero soli, quindi lui con i pugni chiusi si
avvicinò prepotentemente al viso della ragazza, che
indietreggiò appena la testa.
- Non permetterti mai più di parlare così a mia
nonna. Chi ti credi di essere? - Le ringhiò rabbioso, mentre
lei cercò di non perdere la faccia tosta di prima, a fatica.
- Non mi credo nessuno, al contrario tuo. Nessuno manca di rispetto a
me, mia zia o le mie sorelle davanti a me. Ne abbiamo passate
abbastanza! - Disse, guardandolo dritto negli occhi con un impeto di
adrenalina. - Siamo esseri umani, persone esattamente come lei! -
Continuò, sotto lo sguardo attonito di Emmett che tutto si
aspettava, tranne che una sua risposta.
- Ora puoi pure picchiarmi, Emmett. Non mi fai paura. - Disse lei, ma
in cuor suo sperò che il ragazzo non lo facesse davvero.
Emmett si infuriò, alzando la mano destra al cielo. Rosalie
strinse forte gli occhi, alzando le braccia come per proteggersi. Forse
il ragazzo aveva preso alla lettera il suo invito?
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Capitolo 8 *** Capitolo VII ***
Capitolo VII
NOTE AUTRICE: Ciao cari lettori e
care lettrici. Dopo aver ricevuto alcune recensioni che mi
consigliavano questo miglioramento, ho deciso che d'ora in avanti i
dialoghi in francese non saranno in grassetto ma in corsivo, per
rendere più scorrevole la lettura.
Rosalie era rimasta ferma in quella posizione per qualche istante,
aspettando di ricevere un colpo da un momento all'altro.
Emmett, dal canto suo, portò la mano che aveva alzato sulla
propria testa, tirandosi appena i capelli per il nervoso. - Davvero
credi che potrei picchiarti? - Disse sprezzante, guardandola dall'alto
del suo metro e novantacinque.
- Potrei, certo. E ti farei anche molto male. - Continuò
digrignando i denti in una smorfia, mentre la ragazza riaprì
gli
occhi.
- Ma mio padre mi ha insegnato l'educazione, anche se tu non pensi che
sia possibile. E non ho mai alzato le mani su una donna prima. -
Portò anche l'altra mano sulla testa, guardandola poi con un
ghigno che non nascondeva una forte provocazione. - Se non per
procurarle del piacere personale, ovviamente. - Disse, provocando l'ira
della ragazza.
- Non ti permettere! - Disse, puntandogli il dito contro il petto
furiosa. - Non mi parlare mai più così, Emmett.
Mai! -
Terminò, mentre dal fondo del suo stomaco risalì
un moto
di nausea improvviso.
Appoggiò una mano sul proprio petto e l'altra sul suo basso
ventre, guardando in basso. Emmett la osservò per un
istante. -
Stai bene? - Le chiese, cercando di non mostrarle comunque troppe
attenzioni.
La ragazza non gli rispose, non ne ebbe il tempo. Andò
correndo
verso una stanza da bagno, alla disperata ricerca di un secchio, e
appena lo
trovò fece appena in tempo ad agguantarlo che si
ritrovò
a liberarsi lo stomaco di quel peso, accompagnata da un paio di conati.
Emmett l'aveva seguita per accertarsi che stesse bene, ma non aveva
osato entrare per lasciarle un momento di privacy.
Non appena la ragazza ebbe finito, posò il secchio che
avrebbe
svuotato poi in un condotto fognario fuori da casa; si sedette per
terra, accanto alla porta, per riprendere fiato. Chiuse gli occhi e
appoggiò la parte bassa del palmo della mano destra sulla
propria fronte, inspirando profondamente per ricacciare l'ennesima
ondata di nausea.
Era sempre più convinta della sua teoria, e la cosa iniziava
davvero a spaventarla. Non solo per se stessa, ma soprattutto per la
reazione delle sorelle e del resto della famiglia.
- Posso entrare? - Emmett, appoggiato con la spalla sinistra allo
stipite della porta socchiusa, aveva le mani che fremevano dalla voglia
di spalancarla per vedere se Rosalie stesse meglio oppure no.
Non ricevendo risposta, decise di entrare e trovò la ragazza
appoggiata e molto pallida in viso. - Dai vieni, ti accompagno in
stanza. - Disse, porgendole la mano per aiutarla. Lei la
afferrò
debolmente, puntando i piedi per risollevarsi, ma il ragazzo la
afferrò poi con un braccio dietro alle ginocchia e l'altro a
sorreggerle la schiena; lei mise dunque la sua forza dietro al collo di
lui per reggersi, e per la prima volta lasciò andare la sua
testa contro la spalla di lui, spossata da quella nausea incessante.
Emmett la osservò incerto, non aspettandosi assolutamente
quel gesto da lei, e si diresse fuori.
Alice e Jasper fecero capolino dall'ingresso accompagnati da Esme, che
non appena vide i due entrò in panico. - Cos'é
successo??
- Gridò, correndo verso di loro agitata.
-
Niente
zia... -
Rantolò Rosalie, rimanendo con il viso affondato contro
Emmett, che spiegò in breve cosa fosse accaduto.
- La porto su, Esme, e non appena nostro padre rientra ci
dirà
cosa fare. - Disse infine, facendosi spazio e salendo le scale.
Alice lo volle seguire a tutti i costi, nonostante Jasper e Esme le
avessero chiesto di non farlo. Con il suo passo veloce e felpato,
raggiunse
velocemente il possente ragazzo, accostandolo e toccando il braccio
della sorella.
- Che cosa ti ha
combinato? Dimmelo Rosalie, per favore! Se ti ha anche solo torto un
capello, io giuro che...
- Rosalie la interruppe, scuotendo la testa.
- Ho vomitato. -
Sussurrò semplicemente, godendosi per un attimo il calore
della
pelle di Emmett, e il battito del suo cuore appena accelerato che
percepiva al tocco. Alice si bloccò di colpo, rimanendo
attonita
per qualche secondo, mentre la porta della camera si chiudeva davanti
ai suoi occhi che scrutavano i due con molta attenzione. Una scintilla
le si era accesa nella mente, e solo entrando e stando insieme alla
sorella avrebbe potuto scoprire se il suo presentimento fosse vero.
Bella, spuntando da un corridoio più lontano, vedendo Alice
ferma a contemplare il vuoto le si avvicinò incuriosita.
- Al, tutto bene? - Le chiese, sporgendo appena la testa per poterla
osservare in volto e notando in lei un'espressione inscrutabile.
- Credo di sapere cosa stia succendendo a Rosalie. - Disse lei,
rompendo il silenzio assordante che aveva circondato le sorelle. - E
credo che sia peggio di quello che avremmo potuto immaginare. -
Concluse, guardando dritta negli occhi Bella che, al contrario, non
riusciva a comprendere cosa volesse insinuare la sorella.
- Forza, andiamo. - Alice prese Bella per l'avambraccio, trascinandola
verso la camera da letto. Entrò senza bussare, causando una
reazione scocciata di Emmett che era seduto sulla solita poltrona, che
aveva prontamente spostato ai piedi del letto. Rosalie era seduta, con
la schiena contro la testiera del letto e un cuscino tra le braccia, un
colore verdognolo incorniciava un volto cencio e stanco.
- Vogliamo restare sole con nostra sorella. - Disse Alice, quasi
aggredendo il ragazzo, che in risposta inarcuò un
sopracciglio e
la squadrò da testa a piedi, rimettendosi in piedi. La
ragazza
arrivava poco sotto alla sua spalla, ma sicuramente non si lasciava
intimidire dalla sua stazza, né da quella dei fratelli.
Bella, prima che lui potesse replicare, si avvicinò fino ad
arrivare a pochi centimetri da lui, guardandolo dritto negli occhi e
cercando di mantenersi discreta davanti alle due ragazze.
- Emmett, per favore. Se devi restare in questa stanza per fare star
ancora peggio nostra sorella, vattene. Non ha bisogno di soffrire
ulteriormente, soprattutto per te. - Sussurrò, con una
fermezza
nella voce quasi tagliente. Il ragazzo rimase ad osservarla un attimo,
poi sbuffò pesantemente.
- Come vi pare. - Disse scostante, uscendo dalla stanza preso da un
impeto di nervosismo.
- Rosalie, noi sappiamo cos... - Alice venne interrotta da una frase
semplice ma spiazzante.
- Sono incinta. Credo. - Disse la bionda,
guardando fissa davanti a sé con un'espressione dura in
volto.
Bella rimase sconvolta dalla sua affermazione. - Ma come? Rosalie! -
Disse, in preda ad una crisi di panico. - Non può essere! -
Proseguì, iniziando a camminare velocemente per la camera e
agitando le braccia in ogni senso.
- Ma... Che cosa hai intenzione di fare? - Chiese Alice, che dopo aver
avuto conferma si sentiva come se avesse appena ricevuto un secchio
d'acqua gelida addosso.
La sorella non rispose, mordicchiava semplicemente l'interno della sua
guancia con fare nervoso guardando verso i propri piedi.
Le tre rimasero a lungo in silenzio. Secondi, minuti, forse un'ora.
Ognuna di loro aveva la testa che galoppava indietro nel tempo, sui
ricordi belli e brutti della loro vita. Sicuramente la notizia della
probabile gravidanza avrebbe sconvolto il loro piccolo mondo che piano
piano stava trovando un equilibrio. Non sapevano come Rosalie avrebbe
affrontato la cosa con la zia, né con la nuova famiglia. Ma
soprattutto con il padre del bambino, Emmett.
Un gioco di luce solare illuminò di colpo il viso delle
sorelle,
che erano sedute sul letto a guardarsi. Le destò dalla loro
bolla, con una piccola consapevolezza in più. A prescindere
da
quello che sarebbe successo nel futuro, niente e nessuno avrebbe potuto
scalfire il loro rapporto. Le tre sapevano di poter contare sulle
altre, senza mai dubitarne. E questo per loro era ciò che
contava più di tutto il resto.
- Ho bisogno di un bagno caldo. - Disse poi, cercando di distrarre la
mente per qualche istante. Bella le prese la mano per portarla con
sé. - Vieni, abbiamo un bagno nella nuova camera. - Disse.
- Anzi, vorremmo che tornassi già da ora in stanza con noi.
-
Incalzò Alice, parlando con una grande sincerità.
- Anche io lo vorrei. Questa stanza ti immerge in una grande tristezza,
e poi sentire Bella che parla da sola nel sonno e Alice che la sovrasta
con il suo russare é impagabile. - Disse, ridendo delle
sorelle
che, nel frattempo, le fecero una sonora linguaccia.
L'acqua calda scorreva dalle tubature per riversarsi nella vasca da
bagno nell'angolo della stanza adibita, e mentre Rosalie si spogliava
per immergevisi e poteer finalmente rilassare i nervi, posò
un
attimo lo sguardo sullo specchio, cercando inconsciamente di capire se
la sua pancia fosse già in procinto di crescere appena o se
fosse effettivamente troppo presto. Aveva assistito varie parenti in
gravidanza, dall'inizio alla fine, quindi sapeva come poter gestire a
grandi linee quel periodo.
Si toccò quindi a livello basso ventre, appoggiando per
qualche
secondo la mano incurvata a voler proteggere quel piccolo esserino che
si nutriva di lei da ormai qualche settimana.
Scosse la testa, poi infilò un piede dietro l'altro nella
vasca,
e si allungò mantenendo la testa e i capelli fuori
dall'acqua.
Immediatamente, il tepore dell'acqua e la penombra che aleggiava nella
stanza la fecero cadere in uno stato di rilassamento totale, quasi da
farle scordare il mondo esterno.
30 Novembre 1893, Londra. Ore
14:41.
Lady
Victoria e le tre
cugine erano arrivate a casa Cullen già da qualche giorno
ormai.
La sera stessa del loro arrivo, Carlisle dovette far fronte alla furia
della madre per il mancato invito, e i tre fratelli furono quasi
assillati dalle asfissianti cugine che non vedevano l'ora di mettere
mano su di loro.
Alice, Bella e Rosalie avevano provato dal canto loro ad evitare le
quattro il più possibile, non avevano alcuna voglia di
doversi
confrontare con loro su un qualsiasi argomento, né
tantomento
avrebbero sopportato critiche nei loro confronti.
Esme aveva annunciato loro la data del matrimonio, che si sarebbe
svolto di lì a poche settimane, e la tensione iniziava a
salire
in casa, tutti volevano essere pronti al gran giorno ed ognuno di loro
aveva un pensiero che gli attanagliava la mente. Il pranzo era stato
consumato da poco, e ognuno di loro si era poi affaccendato nei propri
affari, facendo dunque piombare la casa in un insolito silenzio.
Edward era in una stanza ampia e luminosa, un pianoforte imponente in
legno massiccio a farne da padrone, troneggiante proprio al centro in
tutta la sua maestosità. Era seduto sullo sgabello, le sue
dita
scorrevano veloci e sicure su quella serie di tasti bianchi e neri a
comporre una melodia incalzante e allegra.
Bella si stava dirigendo a mente distratta verso la sua camera, con
l'intenzione di riposarsi per un po' dopo una mattinata passata nel
giardino in compagnia di Julian, intenti a curare i fiori che lei tanto
amava.
Quelle soavi note raggiunsero però le sue orecchie, e subito
si
fermò per ascoltarle e capire da dove provenissero. Si
guardò intorno, notando poi che una delle porte del
corridoio
era appena socchiusa. Si avvicinò quasi in punta di piedi,
sbirciando da fuori e vedendo la schiena di Edward lievemente incurvata
su quello strumento tanto potente.
Bussò, dunque, e il ragazzo si interruppe bruscamente, forse
colto alla sprovvista da quel tocco. - Scusami. - Disse Bella,
affacciandosi e appoggiandosi poi allo stipite della porta, proseguendo
poi verso l'interno della stanza al cenno di Edward.
- No, non preoccuparti. Non me l'aspettavo, tutto qui. - Le sorrise, e
decise di farle spazio per permetterle di sedersi, dopo essere andato a
prendere un altro sgabello.
- Vieni, siediti accanto a me. - Disse poi, battendo leggermente la
mano sinistra sulla seduta per invitarla a prendere posto. Lei lo fece
senza esitare, ma con una punta di imbarazzo. - Vuoi che ti insegni? -
Aggiunse lui, con un sorriso sghembo stampato in viso. Bella
abbassò la testa, mordicchiandosi il labbro inferiore per
tentare di nascondere il nervosismo.
- Oh, io... Beh, vorrei solo ascoltarti suonare. Era davvero
così bella la melodia... - Sussurrò, ed Edward
senza
insistere le lanciò un breve sguardo di intesa, prima di
appoggiare nuovamente le dita sui tasti ed iniziare a suonare una nota
dopo l'altra, con una passione ancora più forte di quella di
prima.
Passarono i minuti, ma per i due il tempo sembrava si fosse fermato e
che tutto girasse intorno a quella bolla in cui si erano rinchiusi.
Alla fine della melodia, i due rimasero ad osservarsi per un lungo,
lunghissimo momento. I loro occhi sembravano quasi urlarsi a vicenda
frasi che le loro bocche non avevano il coraggio di pronunciare, erano
ardenti e profondi. I loro visi si stavano avvicinando ad una lentezza
estrema, senza che nemmeno loro potessero accorgersene. Le loro dita,
all'altezza dei tasti bianchi, si stavano per sfiorare, e il loro
respiro si stava facendo sempre più corto.
All'improvviso, si resero conto di quello che sarebbe accaduto, e
indietreggiarono entrambi, risedendosi composti e con tante parole
bloccare in gola che non riuscirono a dirsi, lo sguardo perso di fronte
a loro e le mani mestamente appoggiate sulle loro gambe.
- Meglio che vada. - Disse Bella, alzandosi poi quasi di colpo e
uscendo velocemente dalla stanza, non senza aver dato un'ultima
occhiata ad Edward che, immobile, continuava a fissare il
leggìo
su cui erano posati alcuni dei suoi spartiti.
Nessuno dei due avrebbe osato parlare dell'accaduto con altri. O
meglio, sicuramente Edward se ne sarebbe guardato dal farlo. Bella era
forse di tutt'altro avviso.
Alice stava passeggiando sotto ai deboli raggi di sole che quella
insolita giornata stava regalando alla regione, in uno dei sentieri che
componevano il giardino. Fin da subito si era appassionata di quel
luogo, ritrovata se stessa e una grande pace tra quegli alberi un tempo
fioriti, e allora rinsecchiti dal freddo. Anche in quello stato li
trovava affascinanti, le parevano quasi i silenziosi guardiani della
dimora, e sicuramente non poteva togliersi dalla mente l'immagine dei
tre presunti Cullen bambini, che giocavano e scorrazzavano in quel
luogo sorvegliati dallo sguardo amorevole dei genitori; immaginava che
la loro mamma li rimproverasse per dei loro battibecchi infantili ma
che terminavano pochi istanti dopo con una forte stretta di mano, da
veri ometti.
Si era sempre domandata che fine avesse fatto la signora Cullen, di cui
vedeva qualche quadro sparso per il corridoio nei dintorni della camera
di Carlisle e dei figli, ma di cui nessuno aveva mai fatto accenni
particolari.
Non aveva mai osato porre domande, e nemmeno James o gli
altri dipendenti avevano voluto dire loro qualcosa in più,
infondo le Swan sapevano benissimo quanto potesse essere dolorosa per
dei bambini la morte di un genitore e sia lei che le sorelle
rispettavano la loro sofferenza e il loro voluto silenzio, senza mai
osare andare oltre con le domande.
Ma era pur sempre vero che in una parte di sé avrebbe voluto
saperne di più, non fosse che per poter essere
più vicina con quella famiglia che in così poco
tempo aveva rivoluzionato loro la vita in positivo, offrendo un inizio
nuovo e un futuro sicuramente più radioso delle loro
aspettative.
Immersa in tutti questi pensieri, raggiunse una piccola cappella che
aveva scorto già in precedenza, ma che non aveva mai avuto
occasione di visitare davvero.
Contrariamente al resto della casa, quel posto non era assolutamente
sfarzoso e anzi, non sembrava nemmeno appartenere al resto della
proprietà, e se non fosse stato per l'inscrizione del
cognome della famiglia sul marmo grezzo poco sopra all'ingresso,
chiunque avrebbe pensato di essersi perso.
Alice immaginava che dentro a quel piccolo santuario vi fossero forse
delle tombe di famiglia, e forse per questo era sempre chiusa a chiave
per impedire l'accesso a visitatori non desiderati.
Quel giorno, però, sembrava che qualcuno vi avesse fatto
visita e si fosse dimenticato di richiudere correttamente il
cancelletto in ferro battuto, che cigolò non appena Alice
provò a spingerlo per farsi spazio.
Cercando di non fare troppo rumore, entrò in punta di piedi
e sperando che nessuno la cogliesse all'improvviso. Avanzò
dunque verso il fondo, notando che in realtà quel luogo non
era affatto abitato da loculi, ma che anzi il tutto era molto spoglio,
se non fosse per un inginocchiatoio davanti ad un crocifisso in legno,
semplice e senza alcun fronzolo intorno. Alice era sempre
più incuriosita di ciò che si stava palesando
davanti ai suoi occhi, non riusciva a capire che cosa quella cappella
avesse di tanto misterioso da attirarla, sebbene non vi fosse nulla che
potesse darle il minimo indizio.
Stringendo appena gli occhi per vedere meglio, si accorse dopo un po'
di un pezzo di carta appoggiato al centro dell'inginocchiatoio, dove
solitamente si appoggiavano le braccia o i gomiti.
Presa da un istinto di curiosità, diede un'occhiata veloce
dietro di lei per accertarsi che nessuno fosse presente e si
avvicinò quasi furtiva, notando che quel pezzo di carta era
in realtà una fotografia, una giovane donna dai capelli neri
raccolti e dal sorriso malinconico spiccava con una grande eleganza.
Girò dunque l'immagine, accorgendosi di una frase scritta a
mano con una calligrafia femminile e molto aggraziata.
Elizabeth, C. 30
Novembre 1873.
Un rumore di passi provenienti dall'esterno la fece
sobbalzare, e dopo aver dato un'ultima occhiata alla fotografia, la
rimise al suo posto sgattaiolando poi fuori velocemente.
Appena in tempo per non farsi scoprire da Jasper, che arrivando dalla
parte opposta alla sua si stava appunto dirigendo all'interno della
cappella in tutta fretta. Alice, nascondendosi appena dietro ad uno dei
quattro muri esterni, lo intravide con un'espressione contrita, e non
volendo dargli spiegazioni del perché lei si trovasse
lì decise di allontanarsi in fretta e di riprendere il
cammino che aveva interrotto, nel giardino.
Se prima di allora aveva tanti dubbi e tante domande a riguardo di
Elizabeth, dopo aver visto la foto la curiosità era tale che
avrebbe dovuto mordersi la lingua per non chiedere ai Cullen di
parlarle di più di questa donna sicuramente affascinante.
Si avviò dunque verso le cucine, passando da una porta sul
retro, e ritrovò James indaffarato a sminuzzare delle
cipolle grossolanamente.
L'uomo alzò gli occhi per controllare chi fosse entrato, e
le accennò un sorriso. - Milady. Che cosa ti porta qui? -
Chiese, sapendo che se avesse parlato con lei con modi più
ricercati la ragazza lo avrebbe rimproverato, visto che non voleva
assolutamente sentirsi superiore a lui e agli altri dipendenti della
casa.
- Oh, passavo dal giardino e ho pensato di venire a salutarti. - Disse,
con le mani congiunte dietro alla schiena, mentre a passi felpati si
avvicinava ad un pentolone in cui cuoceva a fuoco lento un prelibato
stufato di manzo.
- Sei sicura che non ci sia altro? - Disse il cuoco, posando il
coltello sul tagliere e pulendosi velocemente le mani con uno
strofinaccio attaccato al suo grembiule.
La ragazza sospirò appena. Il cuoco riusciva sempre a
scoprire quando lei o una delle sorelle stavano mentendo, e quella
volta non fu un'eccezione.
- Beh... - Disse, alzando gli occhi al cielo con aria innocente. -
Stavo passeggiando in giardino, appunto. E all'improvviso ho trovato
una cappella... - Disse, mentre il cuoco si rabbuiò nel
guardarla.
- Alice... - La interruppe, ma la ragazza sapeva che cosa le avrebbe
voluto dire e continuò. - James... Per favore. Lo so, ho
capito quello che hai voluto dirmi le altre mille volte in cui te l'ho
chiesto. Ma mi piacerebbe sapere. - Disse poi, con un'aria sincera in
viso. Il cuoco esitò per qualche secondo, poi guardandosi
intorno sospirò pesantemente.
- E va bene. Ma per favore, devi fingere di non sapere niente. - Disse
poi, guardandola con aria severa. La ragazza annuì e prese
un coltello da un cassetto vicino per aiutarlo a preparare le verdure,
così da avere una scusa.
- Lady Elizabeth é stata una grande, grandissima donna. Lei
e il signor Cullen erano davvero innamoratissimi, amavano alla follia i
figli ed erano assolutamente ricambiati. L'unica che non la apprezzava
affatto... - Abbassò la voce - Era Lady Victoria. Vedeva in
lei un'approfittatrice, ma tutti noi sapevamo chi fosse veramente lady
Elizabeth. È sempre stata gentile nei nostri confronti,
generosa e affabile con tutti. - Il cuoco si piegò per
prendere delle patate da un cesto, e iniziò a sbucciarle
velocemente.
- Purtroppo un giorno la sua salute ebbe un duro colpo, e nemmeno il
dottor Cullen con la sua grande esperienza riuscì a fare
qualcosa per lei. Dimagriva a vista d'occhio, i capelli le erano caduti
quasi completamente e non riusciva a camminare senza l'aiuto di un
bastone. Non lo hai mai notato, nello studio di Carlisle? Lo ha
conservato vicino alla finestra, nessuno osa spostarlo per paura che
possa rovinarsi. Un giorno Lady Elizabeth non riuscì
più ad alzarsi dal letto, e così per qualche
settimana il dottor Cullen si prodigava per farle passare dei momenti
sereni, per quanto possibile. Anche lady Victoria in quel periodo venne
a stare qui, per stare insieme ai nipoti. Credo che tutto questo abbia
profondamente segnato tutti e quattro. - Il cuoco si fermò
qualche istante, lo sguardo basso e improvvisamente triste.
- Quando é venuta a mancare, la casa si é
improvvisamente spenta insieme a lei per un lungo momento. Ricordo
ancora i funerali... - Si interruppe, e Alice notò una nota
di malinconia nella voce dell'uomo, che non volle più
proseguire.
- Grazie per avermi dato fiducia, James. - Disse Alice, finendo di
sminuzzare l'ultima parte delle verdure e riponendo il coltello.
James annuì, rimanendo in silenzio, quindi Alice si
congedò e uscì dalla cucina, facendo finta di
niente. Qualcuno in fondo al corridoio la interpellò. - Ehi,
Alice! - Quella voce la fece sobbalzare, ma non poteva ignorarla
perché sapeva che non sarebbe servito a niente.
Una chioma bionda si avvicinò velocemente a lei, che si
preparava ad una strigliata.
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Capitolo 9 *** Capitolo VIII ***
Una chioma bionda si avvicinò velocemente a lei, che si
preparava ad una strigliata.
- Alice, dove ti eri cacciata? - Jasper raggiunse la ragazza a passi
veloci, guardandola con fare accigliato. Alice si strinse nelle spalle,
non sapendo cosa rispondere. E se Jasper l'avesse vista?
-
Non hai niente da dirmi? - Chiese lui, incrociando le braccia contro il
petto. Un silenzio seguí, durato appena il tempo per Alice
di
deglutire a fatica le parole che volevano uscire prepotenti. Aveva
tanto da dire a Jasper, era passato poco tempo da quando erano capitate
in quella casa, eppure erano successe talmente tante cose da farlo
sembrare molto di più.
-
Mia nonna mi ha detto che ti ha cercata dappertutto, mi ha fatto una
testa tanta perché sia tu che Bella non vi siete presentate
nella sua stanza. - Alice strabuzzò gli occhi, portando una
mano
davanti alla bocca e rendendosi conto di quanto avesse perso la
cognizione del tempo.
Lady Victoria aveva chiesto alle tre sorelle di andare da lei alle 14
in punto per fare, a suo avviso, un breve corso di buone maniere.
Rosalie, che già dal canto suo aveva abbastanza a cui
pensare,
si era rifiutata di rispondere e aveva lasciato le redini del discorso
a Bella, che in tutta tranquillità aveva acconsentito per
mantenere la pace a tavola.
- Non ho visto l'ora. - Farfugliò Alice, mentre Jasper la
guardava con un sopracciglio alzato. Fece una lieve smorfia, poi un
cenno con la testa verso la porta. - Dai, sbrigati, ti accompagno. -
Disse, ancora contrariato. In fondo capiva benissimo le sorelle, sapeva
quanto sua nonna potesse essere invandente e arrogante con la scusa
della posizione sociale, ma non avrebbe mai potuto replicare o essere
contro di lei, il rispetto che portava per la propria famiglia era per
lui un campanello d'allarme.
I due si incamminarono velocemente, lui appena davanti a lei non si
girò nemmeno una volta per guardarla, e a lei la cosa
dispiacque
un po'. Era sollevata del fatto che il ragazzo non l'avesse scoperta a
gironzolare intorno alla cappella di famiglia.
Rosalie sbuffò per l'ennesima volta, guardando il grande
orologio che spiccava in mezzo al corridoio. Le sue sorelle erano
sparite, e nonostante lei fosse stata contraria a quell'incontro aveva
acconsentito solo per il loro bene. Dopo ormai un'ora di ritardo,
ancora nessuna delle due faceva capolino e si stava spazientando.
Vide all'improvviso Jasper e Alice che salivano le scale di fretta, e
pensò quanto fosse strano che i due arrivassero insieme, ma
decise di tenere le domande per dopo.
- Era ora! Ma dove ti
eri cacciata? - Disse
con un tono di voce più acuto del solito. Non fece in tempo
a
ricevere risposta, perché una Bella affannata e rossa in
volto
apparve dietro di loro, facendo insospettire i tre.
- Mi dovete delle
spiegazioni. - Disse dunque la bionda, puntando contro di
loro l'indice e aggrottando le sopracciglia.
Jasper, dopo aver attirato la loro attenzione, fece segno di non fare
altro rumore e, guardandosi intorno per vedere che nessun altro stesse
arrivando, si allungò verso l'orologio e, girando la
rotellina
posta sul lato, portò la lancetta delle ore sulle 14. Poi,
sfregando velocemente le mani per ripulirsi da un residuo di polvere,
le guardò attentamente.
- Io non sono mai stato qui. - Sussurrò, dileguandosi poi
senza fare rumore e dirigendosi verso la sua stanza.
Le tre ridacchiarono, poi Alice prese l'iniziativa e bussò
alla
porta, aspettando che qualcuno desse loro il permesso di entrare.
La testa strafottente di Jessica apparve un istante dopo, con
un'espressione quasi di disgusto per le tre. - Avete un bel coraggio a
presentarvi qui con tanto ritardo. Non siete altro che delle
campagnole. - Sputò con le labbra contrite in una smorfia,
poi
si spostò per farle entrare. Rosalie ebbe una gran voglia di
girare i tacchi e tornare in camera per riposare, la nausea stava
rimontando e tutto ciò che desiderava in quel momento era
poter
stare lontana da Lady Victoria e dalle tre che le gironzolavano
attorno.
- Sono le 14 in punto, in realtà. - Disse Alice, gongolando
nella sua mente per la brillante idea avuta da Jasper pochi minuti
prima; indicò quindi l'orologio a Jessica, che sussultando
non
poté più replicare, e per ripicca si sedette poco
distante con il broncio.
- Non abbiamo tempo da perdere. - Lady Victoria sistemò il
cappellino sui capellia, poi squadrò le tre sorelle. - Non
posso
permettere a tre come voi di rovinare l'immagine della nostra famiglia,
chissà quante figure ci avete già fatto fare! -
Disse,
alzando gli occhi al cielo con una finta aria affranta.
Le ragazze dunque dovettero subire per la seguente ora un discorso
lungo e complesso sul come una milady si sarebbe dovuta comportare,
sapendo che loro stesse avevano ricevuto un'educazione ineccepibile, ma
nei giorni precedenti Edward e Jasper le avevano implorate di stare al
gioco almeno fino al matrimonio.
- E soprattutto, non dimenticate che chi comanda qui sono io!
-
Disse infine Lady Victoria, puntandosi l'indice al petto e
gongolandosi, mentre le nipoti la incalzavano e appoggiavano ogni sua
parola a discapito delle sorelle Swan.
Un tocco alla porta interruppe quel discorso diventato quasi
insostenibile per le tre sorelle, che si fecero scappare un sospiro di
sollievo.
- Milady, vostro figlio desidera vedervi con urgenza. - Trevor fece
capolino dalla porta, lanciando un'occhiata alle ragazze e facendo poi
un accenno di inchino verso lady Victoria, che presa alla sprovvista
congedò tutti e si diresse verso lo studio di Carlisle.
Una volta fuori, le tre sorelle si dileguarono velocemente nella loro
stanza, facendo bene attenzione che nessuno girasse nei paraggi.
- Come stai? - Chiese Bella a Rosalie, cercando di sviare le sue
domande che sapeva che sarebbero arrivate di lì a poco.
Rosalie
accennò un sorriso, appoggiando la mano destra sul proprio
fianco.
- Beh, avrei potuto
stare meglio se non avessi dovuto aspettarvi per quasi un'ora davanti
alla stanza di quella...
- Tacque, sapeva che non era appropriato dare titoli a Lady Victoria,
perché dal suo arrivo anche i muri avevano le orecchie in
quella
casa.
- Dove vi siete cacciate? - Chiese dunque, incalzando le sorelle a
sputare il rospo. Alice e Bella si guardarono appena, e la maggiore
prese la parola.
- Beh, ragazze... - Abbassò la voce, l'ultima cosa che
voleva
era che James scoprisse che il loro dialogo segreto era stato svelato
in così poco tempo. - Sono stata nel giardino, ho scoperto
una
cappella che dovete assolutamente vedere. - Si sedette ed
invitò
le sorelle a raggiungerla, per poi spiegare loro quello che fosse
successo.
- Wow... - Disse Bella, con un velo di tristezza a coprirle gli occhi.
- Non sapevo che i Cullen avessero passato questo brutto momento. Mi
ricorda tanto la mamma... - Sospirò, con una nota amara e la
voce rotta.
Rimasero in silenzio un paio di minuti, l'aria nella stanza si fece
pesante e i pensieri che accompagnavano le ragazze lo erano ancora di
più.
- E tu, Bella? Dov'eri finita? - Alice diede un lieve colpo con il
gomito contro il fianco della sorella, che si imbarazzò e
divenne paonazza.
- Mi sono intrattenuta con Edward, stava suonando il pianoforte e...
Beh... - Bella si interruppe, non voleva dare altre grane alle sorelle,
ma sapeva che non avrebbe potuto trattenersi dal raccontare
ciò
che fosse successo. Avrebbe però potuto farlo in maniera
più soft.
- Beh, ha suonato talmente bene... È davvero bravo. - Disse,
abbassando appena lo sguardo che fino a quel momento era fisso in
quello di Alice, che scrutandola per bene aveva probabilmente intuito
cosa volesse dire loro la sorella.
Rosalie appoggiò una mano sul pancino ancora non visibile, e
lo
stesso fecero le sorelle un attimo dopo, rimanendo in silenzio per
diversi minuti. Avevano la spiacevole sensazione di avere in qualche
modo minato alla futura serenità della zia, che per tutta
la vita aveva cercato di crescerle al meglio insieme alla loro
madre
e allo zio. Quella che si sentiva più in colpa era proprio
Rosalie, non si capacitava ancora del tutto di ciò che stava
crescendo dentro di lei, e soprattutto di chi fosse implicato in quel
problem insieme a lei,
ma sapeva che avrebbe causato un grande dispiacere alla zia.
Avevano paura di deluderla, di ferirla o di causarle forse problemi
più gravi di quello che potessero immaginare. E che cosa
avrebbe
detto Carlisle?
Ognuna di loro in cuor suo aveva un peso, ognuna stava iniziando a
provare dei forti sentimenti per i figli di Carlisle, senza che
ciò fosse causato in alcun modo dal loro comportamento, che
perlomeno per Alice e Rosalie doveva anzi essere un campanello
d'allarme e un'ennesima ragione per allontanarsi da loro.
Ma sembrava quasi che più i fratelli si
comportassero in malo modo o in maniera bizzarra, e più ne
fossero irrimediabilmente attratte.
Forse Rosalie poteva dare la colpa agli ormoni, anche se poche al posto
suo avrebbero subito le angherie e le cattiverie a cui veniva
sottoposta dal primo giorno da Emmett.
Alice non aveva alcuna scusante, malediva ogni giorno se stessa per i
sentimenti che provava per Jasper, che a dire della ragazza non
ricambiava e ne veniva anzi quasi ripugnato. Ma allo stesso tempo, ogni
qualvolta si ritrovasse assieme a Jasper, o in vicinanza, il suo
cuore perdeva un battito.
Non aveva mai provato un sentimento del
genere per un uomo prima d'ora, e mai nella vita avrebbe pensato di
innamorarsi di qualcuno in così poco tempo. Sperava
ovviamente
di trovare l'uomo giusto e di provare un sentimento forte tanto quanto
quello, ma non pensava di trovarlo in quella circostanza, né
di
dover affrontare poi una situazione tanto delicata. Sia lei che le sue
sorelle avevano a cuore la zia e pregavano ogni giorno che lei potesse
essere serena dopo tanti anni di sofferenza, e temevano di esserne loro
la causa in caso il tutto venisse scoperto.
- Dai, forza. Prepariamoci per la cena. - Rosalie ruppe il silenzio,
dirigendosi poi verso la specchiera posta al centro della stanza per
darsi una sistemata veloce ed essere presentabile. L'ultimo pasto della
giornata si sarebbe rivelato pieno di sorprese.
- No madre, non credo sia appropriato. - Disse Carlisle, con un cenno
di rassegnazione negli occhi, mentre con un guizzo fece segno a Jasper
di dargli una mano.
- Ma come? Ti sei dimenticato forse a quale famiglia appartieni, figlio
mio? - Chiese lady Victoria, sollevando un sopracciglio quasi
indignata. - Fino a che sarò in vita, io deciderò
cosa
sia meglio per questa famiglia e per questo cognome. Il matrimonio si
farà come dico io. - Sputò, con un tono che non
ammetteva
repliche.
Jasper socchiuse appena le labbra nell'intento di parlare, per far
ragionare la donna, ma Emmett lo interruppe sul nascere.
- Volete rovinare anche questo? - Disse, con un tono di indifferenza
tale da gelare l'intera tavolata, che rimase immobile per qualche
istante, chiedendosi se quello che avevano appena udito fosse reale o
meno.
- Cosa hai detto? - Chiese lady Victoria, portando la mano destra al
petto, mentre le cugine sedute accanto a lei rimasero ad occhi
sgranati.
- Nonna, sapete quanto rispetto io vi porti. Ma per favore, lasciate
che mio padre sia felice. Lasciate che la nostra famiglia lo sia. -
Proseguì Edward, non del tutto convinto che le sue parole
avrebbero potuto essere di aiuto. Sicuramente aveva appena evitato uno
scandalo a tavola, conoscendo il fratello maggiore.
La donna rimase in silenzio, sgomenta, mentre con lo sguardo passava in
rassegna ogni commensale. Non aveva mai ricevuto un simile affronto in
vita sua, tanto meno da uno dei nipoti. Non proferì
più
parola, e continuò a mangiare stizzita e con un tic nervoso
all'occhio destro, che durante i suoi momenti di rabbia intesa si
restringeva rispetto all'altro.
A tavola la tensione si poteva tagliare con un coltello; Rosalie non
poté più sopportarlo, da giorni non sentiva altro
che
negatività intorno, l'arrivo della nonna e delle cugine
aveva
reso i Cullen nervosi e alquanto intrattabili e i suoi ormoni
decisamente impazziti presero la meglio su di lei.
Afferrò un calice, in cui aveva prontamente versato
dell'acqua,
e dopo essersi alzata in piedi sotto lo sguardo incuriosito di tutti,
sollevò il bicchiere come per un brindisi.
- Vi chiedo scusa, non mi sento in forma. Mi congedo. À vos
souhaits. -
[1]
Disse,
con un sorriso appena accennato che nascondeva un sottile
sarcasmo che solo la zia, decisamente sorpresa dalla reazione della
ragazza, e le sue
sorelle colsero.
Poi, stanca di quel forte imbarazzo, posò nuovamente il
calice
sul tavolo e girò i tacchi verso l'uscita della sala da
pranzo.
- Che gesto riprovevole. Siamo ancora tutti a tavola, non capisco chi
sia lei per permettersi questo affronto a nostra nonna. - Disse
Jessica, sollevando un sopracciglio e contraendo il viso in una smorfia
disgustata, cosa che infastidì non poco il dottor Cullen e i
figli. Prima che Jasper potesse replicare, cosa che sicuramente lo
avrebbe reso felice data l'insofferenza che provava nei suoi confronti,
Carlisle interruppe la nipote.
- Jessica, Rosalie sta male da giorni. Non é sicuramente una
mancanza di rispetto nei confronti di nessuno. - Disse, con tono duro,
tanto da far abbassare gli occhi alla ragazza, che paonazza si
ritrovò senza parole.
- Credo che questo pasto stia diventando difficile. Invito tutti quanti
a godersi la cena, dimentichiamo i problemi. Siamo una famiglia. -
Concluse, riprendendo poi il gesto di Rosalie e alzando il calice per
invitare al brindisi gli altri commensali, che dopo un attimo di
esitazione ripresero fiato e lo seguirono.
- Alla famiglia Cullen. - Disse Edward, guardando intensamente Bella
che, dal canto suo, non poté che arrossire, facendolo
sorridere appena.
Alice si accorse dell'intesa tra i due, e con lo sguardo
cercò quello di Jasper, impegnato però a
osservare la cugina Angela, e Alice si sentì improvvisamente
un'onda di gelosia rimontarle fino alla testa. I pensieri che poche ore
prima le stavano attanagliando la mente fecero nuovamente capolino, si
rese conto di sentirsi totalmente inerme di fronte al ragazzo e ad ogni
suo gesto, e che non avrebbe potuto sopportare a lungo quella
situazione.
Bella si stava ancora trattenendo a tavola, Alice si era
ritirata con un aria quasi nervosa e sapeva bene quanto fosse inutile
andare a chiederle come stesse in quelle condizioni, l'avrebbe fatta
chiudere in se stessa e non avrebbe ricavato nulla da lei.
- Tesoro, vado a letto.
Sono stanca, é stata una giornataccia. - La
zia Esme si abbassò per posarle un bacio sulla fronte, dopo
aver fatto cenno con gli occhi verso lady Victoria, che sicuramente
l'aveva tormentata come aveva fatto con le tre sorelle.
Bella ricambiò la buonanotte con un grande sorriso, poi
prese il cucchiaino in argento posato davanti a lei e iniziò
a rigirarlo tra le mani, riflettendo alla cena appena conclusa. Da
quello che aveva capito, lady Victoria non aveva reso facile la vita
alla madre dei tre fratelli, Alice aveva accennato loro qualcosa ma
senza entrare nei dettagli, ma la conversazione a tavola non faceva
presagire nulla di diverso.
Sperava che la cosa non si riproducesse quindi con la zia, anche se
visto come Carlisle aveva tenuto testa alla madre, non credeva che
sarebbe stato così semplice per la lady intromettersi tra
loro due.
Una voce interruppe i suoi pensieri. - Isabella, posso parlarti? - La
figura imponente di Emmett si palesò poco dietro di lei,
facendola quasi sobbalzare. Si girò, e senza dire nulla
decise di seguirlo. Il ragazzo quindi si diresse verso una delle varie
stanze da lettura della casa, in cui varie poltrone pregiate ma molto
comode si alternavano a tavolini con lampade ad olio, e tutto intorno
alla stanza le grandi e maestose librerie piene di libri di ogni tipo
facevano da sfondo.
Emmett chiuse le tende, dopo aver acceso un paio di lampade per poter
permettere a se stesso e a Bella di vedere, poi le fece cenno di
accomodarsi sulla poltrona di fronte alla sua.
- Che succede? - Chiese lei, dopo aver appoggiato mestamente la schiena
per mettersi comoda, incrociando le braccia al petto e accavallando la
gamba sinistra sull'altra.
- Come stai? - Emmett parve voler allungare il brodo e Bella non volle
opporsi, quindi gli rispose nonostante la curiosità si
facesse strada in lei.
- Bene, Emmett. Come sempre direi. E tu? C'é qualcosa che
non va? - Lo incalzò per ricavare delle informazioni da lui,
ma il suo tentativo parve inutile.
- Oh, no. Non c'é nessun problema. Solo che tra poco ci
sarà il matrimonio, e non ho mai avuto la
possibilità di parlare di questa cosa. Né con te,
né con i miei fratelli d'altronde. - Disse lui, incrociando
le dita delle mani dietro alla testa, lo sguardo impenetrabile.
Lei era l'unica ad aver riuscito a far breccia nella sua spessa corazza
da duro, anche se non ci era riuscita del tutto era comunque arrivata a
scoprire che anche lui, come tutti, aveva dei sentimenti che teneva ben
nascosti e protetti agli occhi degli altri. I suoi fratelli e il padre,
anche se questi di molte cose non era al
corrente, erano gli unici a conoscere tutte le sue sfaccettature, le
donne dell'alta società che lui frequentava abitualmente, e
che da ormai un paio di mesi non vedeva quasi più, avevano
visto di lui solo il lato più arrogante e malizioso; non che
la cosa dispiacesse, a loro andava bene così e lui non si
aspettava altro che del piacere puramente fisico, il che giovava a
tutti e non portava a confusione o a rancori.
Certo, ogni tanto era capitato che due delle sue corteggiatrici e
accompagnatrici si ritrovassero a bisticciare, ma la cosa non lo
toccava particolarmente.
Insomma, Bella era l'unica donna ad essere riuscita a scalfire un po'
la sua armatura invisibile, in un senso quasi fraterno, tanto da fargli
credere che lei fosse in realtà una sua sorella di sangue.
- Beh, Emmett... - Iniziò lei, facendogli spallucce. - Come
sai é stata una grande sorpresa anche per noi, é
successo tutto molto in fretta e nessuno di noi si sarebbe aspettato un
matrimonio, tantomeno in così poco tempo. -
Continuò, attirando la sua attenzione. Bella non aveva mai
fatto parola con altri, al di fuori delle proprie sorelle, delle
sensazioni che provava a riguardo, e l'aprirsi ad Emmett con cui una
fiducia reciproca si stava stabilendo sempre più poteva solo
farle del bene.
- Ma con tutto quello che abbiamo passato, soprattutto Rosalie... -
Bella si soffermò sul nome della sorella, che fece rabbuiare
Emmett. - Beh, non possiamo che essere grate di essere finalmente in un
posto sicuro e tranquillo per noi. Siamo felici di poter presto far
parte della vostra famiglia, siamo state accolte da voi e non potremmo
chiedere di meglio. - Bella decise di essere onesta e sincera, non
aveva paura di lui o del suo giudizio e mentirgli non sarebbe servito a
nulla. Ovviamente aveva omesso la parte in cui avrebbe dichiarato di
essere ormai totalmente ed incondizionatamente innamorata di Edward,
quello non lo aveva mai apertamente confessato nemmeno alle sorelle,
che ovviamente lo avevano capito anche senza bisogno di conferme.
- E tu, Emmett? - Chiese lei, spostando la propria attenzione sulle
espressioni dure del ragazzo di fronte a lei. - Come ti senti a
riguardo? Non sembravi entusiasta all'inizio... - Lui rise all'ultima
affermazione, una risata amara e quasi pungente, che Bella colse come
un gesto ormai consueto da parte sua.
- No, non lo ero. Non ero pronto a vedere mio padre risposarsi un'altra
volta, né a vedere mia nonna intromettersi un'altra volta
nella sua vita come sta cercando di fare ora. Non mi aspettavo di dover
fare fronte all'arrivo di quattro donne nella nostra casa,
soprattutto... Beh. - Si riprese subito, non avrebbe mai confessato a
Bella la verità, non voleva nemmeno riconoscerla lui stesso
e anzi cercava di reprimerla in ogni modo, invano.
- Ma ora lo sto accettando, Isabella. Lo sai. - Disse lui, concludendo
velocemente la conversazione prima che potesse prendere una piega
troppo personale.
I due rimasero in silenzio ancora qualche minuto, ognuno immerso nei
propri dubbi e pensieri più profondi, poi si congedarono
augurandosi la buona notte, consapevoli che quella chiacchierata aveva
messo una piccola tregua alle tensioni tra i fratelli e le sorelle. E
che il matrimonio, che si sarebbe svolto a breve, avrebbe sancito un
nuovo inizio.
[1]
La formula francese utilizzata anche durante i brindisi. Letteralmente
"ai vostri desideri", logicamente "salute/cin cin".
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