They will fall in love

di Caaatkhad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Praefatio ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***



Capitolo 1
*** Praefatio ***


Prologo



2 Ottobre 1893. Londra, Inghilterra. Ore 17:17.

Da ormai interminabili ore le donne vagavano per le strade di Londra, con la speranza che un qualche miracolo potesse porgere loro una mano.

Erano stanche, affaticate dal lungo viaggio che le aveva portate fino a lí, ma risollevate del fatto che finalmente erano libere, senza più catene.
Le valigie che contenevano i loro pochi averi sembravano quasi macigni, i loro sguardi scrutavano attentamente ogni angolo per riuscire a trovare la giusta direzione.


Laurent le stava aspettando all'angolo di Green Street, una pipa tra le labbra appena inumidite. Che si fossero perse? Era forse successo qualcosa? 
Diede un colpetto con il piede destro ad un sassolino, che rotoló fino alla ruota di una carrozza ferma ad un paio di metri. Il cocchiere alzó lo sguardo per un istante, per poi rituffarsi nella lettura del suo giornale.

- Dai ragazze, per di qua. - Esme giró furtiva in un vicolo semibuio. - Non dovremmo essere lontane. - Si guardó velocemente intorno, cercando di rispolverare tra i suoi ricordi la strada giusta.
- Zia, sei sicura che sia qui? Ho una strana sensazione... - Alice non fece in tempo a finire la frase, che un ratto sgattaioló fuori da un buco e corse veloce davanti ai suoi piedi. Bella soffocó un grido, e Rosalie subito dietro di lei tiró su velocemente la sua valigia un po' malconcia con una smorfia disgustata in viso.
- Non lo so, piccola mia. Sono passati tanti anni dall'ultima volta in cui venni qui a Londra, purtroppo non ne ho una gran memoria. - Avanzarono velocemente fino alla fine della stradina, spuntando ad un incrocio.
Da lontano, videro un uomo in un vecchio completo color borgogna, un cappello in testa e dei lunghi capelli intrecciati. Esme si rianimó subito, e incitó le ragazze a sbrigarsi.
- Esme Evenson! Finalmente siete qui. - Laurent allargó appena le braccia dirigendosi verso di loro e le aiutó a prendere un paio di valigie. - Il dottor Cullen vi sta aspettando. Spero abbiate fatto un buon viaggio. Quanto siete cresciute ragazze mie... - Laurent scrutó rapidamente le sorelle, con un accenno di sorriso.
- Laurent, é per noi un grande piacere rivederti. - I cinque salirono uno dietro l'altro sulla carrozza che, da una mezz'ora abbondante, li aspettava.
- Ne sono felice. - Si accomodarono, nel frattempo che il cocchiere con un lieve colpo di frusta diede ordine ai due cavalli di partire.
- Ve lo prometto, vi troverete bene a casa Cullen. É uno dei medici più illustri qui a Londra, la sua fama ha raggiunto ormai quasi tutta la periferia. Mi sono assicurato che questa volta possiate trovarvi in un posto sicuro. - Rosalie sospiró appena, sistemando con le mani la gonna sulle sue gambe. Molti ricordi le invadevano la mente, e le sue sorelle lo sapevano bene. Si sistemó nervosamente la lunga treccia bionda sul petto, nascondendo appena i suoi occhi azzurro cielo sotto al cappello.
- Tra quanto arriveremo, Laurent? - La voce soave e delicata di Bella ruppe il silenzio che si era formato pochi istanti prima. I suoi occhi color cioccolato incrociarono quelli dell'uomo, contornati da piccole rughe che segnavano ormai il passare del tempo in maniera inesorabile.
- Un paio d'ore, Bella. Potete riposarvi, c'é una calma insolita oggi nelle strade. Approfittatene. - Le ragazze si guardarono, mentre Esme si era già assopita.
Alice guardó fuori dal finestrino, incrociando il suo riflesso stanco ma rasserenato. I suoi capelli neri corvino le sfioravano appena le spalle, e sorrise nel vederli tutti scombinati dopo la lunghissima camminata. Le gocce di pioggia sul vetro e il cielo ingrigito le stavano accompagnando verso la loro nuova dimora, e tante erano le domande che le attanagliavano. Che cosa sarebbe successo da quel momento in poi?




Hello hello! Dopo ormai 7 anni, ho deciso di rifare capolino su questo magnifico sito, e riprendere in mano una storia che mi stava tanto a cuore allora quanto adesso. Per chi se lo chiedesse, il profilo Alba97 é il mio, ho deciso di aprirne uno nuovo per poter ricominciare da capo le mie FF.
Spero questa volta di poter suscitare in voi un interesse verso la storia.
PS. I dialoghi in grassetto sono originariamente in francese, per questioni di logistica ho voluto scriverli direttamente in italiano ma é bene che io lo specifichi per dare un senso alla storia.
Bacioni!



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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Capitolo I





2 Ottobre 1893, Londra, Inghilterra. Ore 19:27.


Con una mano sull'altra, dietro la schiena, il dottor Cullen passeggiava lentamente avanti e indietro per il corridoio del piano superiore, ripensando alla giornata estenuante appena passata. Il suo sguardo stanco si posava ad ogni passaggio sul quadro appeso vicino alla porta della sua camera da letto, la donna ritratta sembrava quasi sorridergli teneramente.
- Oh Liz, quanto mi manchi. - Sospiró, soffermandosi davanti al dipinto, un'ombra di tristezza gli oscuró gli occhi verde smeraldo e un'espressione malinconica fece capolino sul viso. - Sai, i ragazzi sono cresciuti cosí in fretta... Saresti cosí orgogliosa di loro, come lo sono io. - Rimase un paio di minuti a osservare quel viso, poi si diresse verso le scale che portavano al piano inferiore.
Vicino alla porta di ingresso, un giovane ed impacciato richiamó la sua attenzione.
- Julian, che succede? - Il ragazzo si stava torturando le mani, e sobbalzó non appena udí la voce del padrone di casa.
- S-signor Cu-cullen... Oh. Beh, una signora vi aspetta fuori. Sembra urgente. - Carlisle si affrettó e non appena arrivó davanti all'uscio, Julian aprí.
- Dottore! Dottore! Vi prego aiutatemi dottore!! - Una signora sulla sessantina si affacció affannata. - Mio nipote si é ferito cadendo da un albero del nostro giardino, vi prego venite dottore! -
Carlisle sorrise appena, la signora Beth era sempre cosí apprensiva e terribilmente attaccata al nipotino Paul.
Allungó un braccio per farle segno di condurlo verso la casa, ma prima di uscire prestó bene attenzione ad avvisare il giovane. - Julian, non dimenticare che a momenti arriveranno le nuove dipendenti. Falle sistemare da Trevor e date loro le indicazioni necessarie, al mio rientro mi occuperó del resto. -
Una voce profonda, lievemente rauca e dal tono deciso interruppe il dottor Cullen. - Padre, un'altra volta? - Edward apparve dalla parte opposta del corridoio, vicino all'ingresso del salone principale.
- Figliolo. Prometto che stavolta saró breve. - Carlisle indossó il suo cappello nero, prese la giacca fra le mani e richiuse la porta dietro di lui.


Alice...
Alice... Alice!
Alice sobbalzó. Bella era davanti a lei e stava scuotendo dolcemente la sua spalla per risvegliarla.
- Oh...- Si rimise subito composta, guardandosi intorno. La carrozza si era appena fermata davanti al cancello di una grande villa immersa in un giardino rigoglioso, poco fuori la periferia di Londra.
- Siamo arrivate, aiutami a prendere le ultime cose. - Bella prese dal posto accanto alla sorella una borsa contenente i suoi pochi beni preziosi, poi con un salto scese velocemente dallo scalino della carrozza. Rosalie le aspettava insieme alla zia Esme e al resto dei loro bagagli, mentre Laurent si era avviato verso la porta di ingresso per annunciare il loro arrivo.
- Buona fortuna, mesdames.- Il cocchiere si sollevó il cappello, e le quattro si incamminarono sul piccolo sentiero attraverso il giardino.
- Wow... Devono essere davvero una famiglia importante. - Rosalie ammiró a lungo le aiuole fiorite che appena passato il tramonto si faticava a vedere.
- Oh bambine mie, non immaginate nemmeno. -
Arrivate davanti alla porta principale, Laurent stava parlando con un uomo sulla quarantina, il suo sguardo assottigliato e i baffi perfettamente sistemati gli davano un'aria seria ma non egualmente imponente. - Benvenute, vi stavamo aspettando. Il mio nome é Trevor Morrist, potete chiamarmi Trevor. Sono a capo dei dipendenti di questa casa, oltre ad essere assistente del dottor Cullen. -
- Amico mio, non rimarrai deluso. Hai la mia parola. - Laurent portó una mano sul petto all'altezza del cuore, e l'uomo sulla porta sembró rilassare appena i nervi.
- Bene, é ora di separarsi. - Laurent si rivolse alle donne accanto a lui, con un sorriso speranzoso. - Non preoccupatevi, ci rivedremo presto. - Con un cenno della testa, sollevó il cappello e fece un mezzo inchino verso di loro, poi si avvió nuovamente verso la carrozza. Julian arrivó trafelato alle spalle del signor Morrist, che dopo avergli fatto un cenno con la testa si dileguó. Il giovane prese dunque il suo posto, arrossendo inevitabilmente davanti alla presenza delle quattro donne.
- Seguitemi, vi mostro le vostre stanze. Si é fatto tardi, domattina inizierà il vostro lavoro. Dovreste riposare, ne avrete bisogno. - Farfuglió
, portando una mano dietro alla nuca e accennando un sorriso imbarazzato.

I loro passi riecheggiavano nel corridoio, pieno di quadri appesi e di vasi di rose bianche. Il pavimento in legno pregiato si estendeva nel salone che le donne riuscirono ad intravedere, nel quale si trovava una libreria alta fino al soffitto e colma di libri.
Salirono le scale, arrivando ad un altro corridoio che si divideva in due. Continuarono a camminare, la villa era ancora più grande di quello che sembrava dall'esterno.
- Signore... - sussurró Alice con un moto di imbarazzo. L'uomo giró la testa di lei. La ragazza fece per parlare, ma le parole non vollero uscire dalla sua bocca.
- Non conosciamo il vostro nome. - Le fece eco Rosalie, più diretta e rigida della sorella.
- Oh... Giusto. Mi chiamo Julian, potete darmi del tu. -
Giunsero finalmente alle stanze dedite alla servitù. Le tre sorelle avevano una piccola stanza contenente tre letti singoli e un armadio abbastanza capiente, e la porta accanto rivelava una stanza altrettanto piccola ma non meno accogliente, con un letto singolo.
- Ecco, qui é dove dormirete. Il dottor Cullen si aspetta che voi iniziate domattina, ha dato ordine di raggiungere la cucina prima dell'ora di colazione. Il capo cuoco vi assegnerà le prime mansioni. -
Esme ringrazió ed entró e richiuse la porta dietro di sé dopo aver augurato la buona notte alle nipoti, che si apprestarono a fare lo stesso prima di venire interrotte dal giovane.
- Sapete... - Sussurró, guardandosi intorno per verificare che nessuno fosse nei paraggi. - Lavoro qui da un po', e a quanto dice il signor Morrist voi siete le prime dipendenti donne di villa Cullen dopo 18 anni. - Un lontano rumore di passi lo zittí, e arrossendo di nuovo si congedó velocemente.

                                                                   ********************


-Bells, aiutami con questo per favore. - Alice passó una delle valigie alla sorella, che inizió a svuotarla per riporre le cose.
Rosalie nel frattempo aveva iniziato a rassettare i letti e a fare il giro della stanza.
- Ragazze non mi sembra vero, siamo in una stanza al caldo e abbiamo addirittura un letto! Dite che sia solo un sogno? - Alice dopo le sue parole le diede un pizzicotto sul braccio ridacchiando, e lei in tutta risposta prese il cuscino e la rincorse per fargliela pagare.
Bella dal canto suo ridacchiava. - Dici ancora che é solo un sogno Rose? - La sbeffeggió amorevolmente. - Ehi, guarda che ce n'é anche per te sai! - Le rispose Rosalie, concludendo con una linguaggia.
Scoppiarono tutte e tre a ridere, ma poi si zittirono subito ricordandosi che si era fatto davvero tardi.
- Ma voi sapete chi sono i Cullen? - Chiese Alice, più seriamente.
- Sinceramente no... Zia Esme me ne aveva parlato qualche giorno sotto mia richiesta, dopo aver ricevuto la lettera da Laurent. Ma mi ha fatto solo qualche accenno, sembrava sollevata peró. Direi che é buon segno. - Bella tiró fuori una sua camicia da notte e la mise sul letto più vicino alla porta, che lei stessa aveva scelto, e ci passó velocemente le mani sopra per cercare di togliere qualche piega di troppo.
- Beh, dopo quello che abbiamo passato direi che peggio non potrebbe andare. - Replicó Rosalie, sciogliendosi la treccia e lasciando che i lunghi capelli scendessero fino ad arrivare al fondoschiena, poi tiró fuori la spazzola e iniziai a pettinarli delicatamente.
- Speriamo... Io, in ogni caso, non mi lascio sicuramente sfuggire il consiglio di Julian per quanto riguarda il riposo. - Alice era già pronta, probabilmente era cosí stanca dal viaggio che l'unica cosa a cui pensava realmente in quel momento era la sua testa appoggiata a quel cuscino dall'aria davvero confortevole. Si abbracciarono tutte insieme, stringendosi forte, poi le sorelle minori si infilarono a letto e si addormentarono profondamente.
Rosalie rimase in piedi ancora qualche minuto, ad ammirare la Luna che spiccava luminosa in mezzo al cielo stellato. Poi chiuse le tende, lasciando uno spiraglio, e le raggiunse nel mondo dei sogni.


3 Ottobre 1893,Londra, Inghilterra. Ore 5:13.



*Pov Rosalie:

Risate, tante risate. Risate cristalline, di bambini. Il sole illuminava e riscaldava tutto, e un buon profumo di thé verde inebriava ció che sembrava una tavola imbandita. Ero lí, con la tazza calda di fronte a me, che gustavo in pace quella bevanda appena zuccherata, e in sottofondo una vocina che chiamava ad alta voce. - Mamma! Mamma! - Mi guardavo intorno, ero l'unica presente. Ero forse io, la sua mamma? *

Si sveglió quasi di soprassalto, un debole raggio di sole attraversava la stanza e illuminava i capelli castani di Bella. Rose si mise a sedere sul letto, i suoi capelli le cortornavano disordinati il viso e gli occhi erano ancora impastati dal sonno. Si stiracchió le braccia, poi la schiena, fino a sentire un piccolo crack lungo la colonna vertebrale.
Si alzó poi dirigendosi verso lo specchio, osservandosi. - Dovrei darmi una sistemata, o Trevor mi romprovererà. - Sussurró tra sé e sé. Un brivido corse lungo la sua schiena. Per quanto si fidasse della zia e delle sorelle, di Laurent e della sua amicizia con lo zio, la loro appena passata esperienza le ricordava quanto male ci fosse al mondo. Chi le dava la certezza assoluta che questi Cullen non fossero come, o forse peggio dei King? Chi l'assicurava che nessuno avrebbe più fatto loro passare l'inferno da cui uscivano? Non le importava tanto di sé, quanto delle sue sorelle e della sua povera zia.
 - Rose, che stai aspettando? Dobbiamo andare, é quasi ora della colazione. - Alice la destó dai suoi pensieri, mentre Bella dietro di lei legava i suoi capelli in uno semplice chignon. Rose scrolló la testa e si sbrigó a prepararsi, non voleva assolutamente arrivare tardi.




                                                               ***********************

Le ragazze uscirono velocemente dalla loro stanza, Esme le attendeva in fondo al corridoio vicino alle scale. - Buongiorno piccole mie. Dai, andiamo, dobbiamo essere in cucina alle sette e mancano pochi minuti. Scesero tutte insieme, poi seguirono la dolce scia che proveniva dalla cucina nell'ala destra dell'immensa villa. Una grande porta in legno le separava dal resto della servitù. Bella si fece coraggio e aprí la porta dopo aver bussato delicatamente.
Da dietro un tavolone ricolmo di pentole, mestoli e piccoli manicaretti fece capolino con la testa un uomo biondo, dai capelli lunghi raccolti in una coda non perfettamente ordinata e semi nascosta sotto al cappello bianco. - Oh, vi aspettavo. Sono James, il cuoco. Piacere di conoscervi, donzelle. - Sorrise lievemente, il suo accento duro indicava che anche lui sicuramente veniva da lontano. Ognuna di loro si presentó a sua volta.
- Il signor Morrist vi ha già spiegato in cosa consistono le vostre mansioni? O forse Julian al suo posto? - Chiese, mentre con un mestolo rigirava quella che sembrava una zuppa.
Le quattro scossero la testa in segno di negazione. - E Julian, non lo avete visto stamani? - All'ennesima risposta negativa, lui sospiró appena e alzó gli occhi al cielo.
- Come immaginavo. Beh. - Si asciugó le mani sul grembiule e continuó. - Esme, tu dovrai occuparti di servire il padrone di casa, il dottor Carlisle, sarà tuo compito servirlo e offrirgli sempre il miglior servizio. Vedrai, é un brav'uomo e merita davvero da parte nostra il meglio per lui e la sua famiglia. Vediamo... - James scrutó poi attentamente le tre sorelle, in piedi l'una accanto all'altra. - Tu, Rosalie. Ti occuperai del signor Emmett, il figlio maggiore. Il lavoro lo porta a chiudersi spesso nel suo ufficio, o a dover partire per la giornata intera a Ludgate Hill. Tieni, ne avrai bisogno. - Porse un vassoio in argento alla ragazza, che subito si apprestó a prenderlo. - Il signor Emmett gradisce spesso che la colazione gli sia portata direttamente in camera nei momenti di grande lavoro. Ieri sera me ne ha dato conoscenza, quindi tra pochi minuti gliela porterai tu. La stessa cosa per il signor Edward,il figlio più piccolo, di cui ti prenderai cura tu, Isabella. - Quindi James le passó un secondo vassoio.
- Il signor Jasper é assente da qualche giorno, tornerà nel pomeriggio. Alice, giusto? Tu sarai con lui. La sua camera dalla sua partenza é pulita e riassettata, ma meglio se tu ci dia un'occhiata per quando tornerà. -  Alice annuí, quando la porta dietro di loro si aprí sbattendo, e apparve Julian trafelato e con il fiatone, seguito da un altro garzone poco più che bambino.
- I-io... Oh! Signore Swan, siete già qui. - Si appoggió con una mano sul muro accanto e con l'altra sul suo ginocchio, cercando di riprendere una respirazione normale. - I-io... Oh, non fa niente. J-james, vedo che hai già... - Il cuoco lo interruppe. - Accompagna le tre giovani e mostra loro le camere dei signori, mentre io spiego a Esme cosa dovrebbe fare qui con me in cucina. - Julian si rimise in posizione di scatto, e dopo aver preso tutto il necessario per la colazione, i quattro si incamminarono velocemente verso l'ala opposta della casa.
- Alice, scusami. Era il mio compito finire di sistemare la stanza del signor Jasper, ma ho avuto un imprevisto e... - Arrossí di colpo, e Alice lo rassicuró. - Non preoccuparti, non importa. - Sapeva, o meglio immaginava, che quel ragazzo poco più piccolo di lei doveva stare agli ordini di molti sopra di lui.
Arrivarono dunque davanti davanti alle stanze, una dietro l'altra. - Rosalie, questa é la stanza del signor Emmett. Robert, accompagna Alice e Bella nelle altre due stanze, io mi assicuro che qui vada tutto bene. - Prese un grande respiro, mentre gli altri tre si dileguarono velocemente.
- Andrà tutto bene Rosalie, é una brava persona. Solo molto severo... - L'ultima frase la soffió appena, ma Rosalie la sentí chiaramente e si irrigidí appena. Il garzone bussó dunque alla porta. Dopo un paio di secondi, una voce li invitó a procedere.
Julian entró e Rosalie lo seguí, bloccandosi subito davanti alla scena che le si presentó davanti agli occhi.
La camera da letto era immensa, con i mobili in mogano nero e le pareti color crema. Un letto matrimoniale trionfeggiava in mezzo, poco distaccato dal muro, e di fronte un grande armadio con accanto uno specchio. Non lontana dalla porta, un'enorme scrivania ricoperta di fogli sparsi e una lampada ad olio spenta.
Emmett Cullen era in piedi, davanti alla finestra, con le braccia conserte e guardava fuori con aria quasi annoiata. I capelli neri, ricci e cortissimi, contornavano un viso ben definito e con la mascella decisamente squadrata ma comunque armoniosa con il resto dei tratti del viso. Era alto, molto alto e muscoloso, davvero molto muscoloso. I suoi occhi erano verde acqua, sempre duri e pungenti in ogni suo sguardo.
Aveva indosso solo un paio di pantaloni lunghi e neri e una canotta bianca che utilizzava come pigiama. Giró appena la testa. - Sei in orario, Julian. Che cosa ti é successo stamattina? - Disse, con un tono ironico e appena sprezzante. Il giovane inizió di nuovo a balbettare. - Uh... Ehm io... Signor Cullen,  io... - Stava tremando, e Rosalie provó una gran pena per lui. - Buongiorno, signor Cullen. Sono Rosalie, sono qui per servirla. - Disse, abbassando appena la testa in segno di rispetto. L'uomo si giró all'improvviso, con un'espressione dura in volto. Non proferí parola. Julian farfuglió qualcosa, poi si dileguó lasciando i due soli nella stanza.
Rosalie posó delicatamente il vassoio sulla scrivania, facendo attenzione a non sporcare niente e cercando di risistemare i fogli. - Non toccare. - Sibiló Emmett, visibilmente alterato. - Sono importanti. Ma che vuoi saperne tu? Sei solo una domestica. - Continuó, e il sorriso appena accennato sul viso di Rosalie sparí subito. Iniziamo bene... Pensó. Inizió dunque a sistemare il letto, aprendo la finestra, mentre Emmett seduto sorseggiava il suo thé immerso nei suoi pensieri.
Mentre sistemava le lenzuola lungo il letto, Rosalie non poté non accorgersi dell'odore di Emmett impregnato in esse. Cercando di non far vedere il suo improvviso rossore, continuó velocemente a sistemare, mentre lo sguardo insistente di Emmett era fisso su di lei.


                                                         ***************************


Alice si ritrovó sola nella stanza del signor Jasper. Le tende aperte, il letto sfatto e alcuni vestiti in giro la accolsero, e con un lieve sorriso pensó a quale impegno cosí importante avesse impedito a Julian di finire.
Si mise subito all'opera, aprí completamente la finestra da cui entró subito un colpo d'aria fredda, l'inverno si avvicinava a grandi passi. Fece velocemente il letto, e mentre stava ripiegando dei pantaloni aprí l'armadio per riporli, e vide diverse divise militari. Passó le dita tra di esse, osservandone i dettagli. Un rumore dietro di lei, si giró e vide un ragazzo che la guardava con aria minacciosa. - Chi sei? Cosa ci fai in camera mia? - Disse quasi urlando, con la mano destra stretta in un pugno e il viso contratto in un'espressione parecchio alterata.
- S-signor Cullen, sono la nuova domestica. Mi hanno incaricata di sistemare la vostra camera prima del vostro arrivo... - Alice provó a spiegarsi, i pantaloni che aveva tra le mani caddero ma si sbrigó a raccoglierli.
Jasper si rilassó, dopo aver scosso la testa. - Un'altra volta... - Sussurró. Si avvicinó poi ad Alice prendendole i pantaloni dalle mani e richiudendo freneticamente le ante dell'armadio. - Lascia fare, riesco a farmelo tranquillamente da solo. - Disse, sollevando un sopracciglio e squadrando la ragazza da testa a piedi, non che fosse difficile vista la differenza di altezza.
Jasper non era mai stato d'accordo sull'avere un domestico personale, soprattutto donna. Probabilmente suo padre aveva organizzato la cosa durante la sua assenza, ma conoscendoli, il fratello Emmett sicuro lo aveva appoggiato nella cosa.
- Sai occuparti di un cavallo? - Chiese, mentre Alice mortificata rimase con la testa bassa, facendo segno di no.
- Vai alle scuderie. Ti faró insegnare dal mio scudiero, ho bisogno di qualcuno che possa sostituirlo. Presto partirà per gli Stati Uniti. - Jasper parlava sicuro, come se stesse impartendo ordini ad un soldato. - Ah. Come ti chiami? - Le chiese, prima di farla uscire dalla stanza. - Alice, signor Cullen. Alice Swan. - Sussurró lei. Non capiva, le era stato ordinato di rifare la stanza. Ma se il suo diretto superiore le diceva di scendere, lei non poteva fare altro se non ubbidire.
Si chiese, nel frattempo, come stessero andando le cose per le sorelle e per la zia. 



                                                                ********************



- Isabella, hai detto? - Il ragazzino accanto a Bella la guardava con uno sguardo intenso e quasi ammaliato. Lei, imbarazzata, voleva evitare il più possibile un contatto con lui, il suo primo giorno di lavoro non voleva avere già dei problemi con gli altri.
- Ecco, questa é la stanza del signor Edward. - La incalzó, aprendo la porta senza bussare e quasi spingendola dentro. Bella provó a ribattere, ma sgranó gli occhi non appena vide che Edward stava dormendo beato. Si guardó intorno, ma con la penombra che padroneggiava la stanza non vedeva granché. Riuscí ad appoggiare il vassoio su una sedia poco vicino, ma un paio di passi dopo si ritrovó a terra, dopo essere inciampata in un pezzo di lenzuolo che ricadeva dal letto. Con la sua maldestria, riuscí addirittura a tirare con sé le coperte, svegliando bruscamente Edward. Il ragazzo sobbalzó, appoggiandosi con un gomito sul letto e sporgendosi per capire cosa fosse successo e, soprattutto, chi fosse la ragazza a terra. Bella, dal canto suo, divenne cosí paonazza da iniziare a sentire caldo nonostante la stagione.
- Ma cosa...? -






Ehilà! Eccomi con il primo vero capitolo della FF :) ho cercato di riprendere i caratteri iniziali ma addolcendoli un po', rendendo il tutto più credibile.
Fatemi sapere se vi piace, e se a parer vostro é meglio che io continui con il racconto in terza persona o se é meglio mettere dei POV :) Al prossimo capitolo!

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Capitolo II





3 Ottobre 1893, Londra, Inghilterra. Ore 7:32.



- Ma cosa...? - Con la voce rauca di chi era appena stato strappato ad un sogno meraviglioso, Edward si rivolse ad una Bella che in quel momento avrebbe solo voluto sotterrarsi dalla vergogna. - Scusatemi, signor Cullen! - Sospiró, cercando di rialzarsi. - Con questo buio non ho visto bene e... - Con una mossa ancora più maldestra, la ragazza tiró via con sé il lenzuolo, lasciando Edward scoperto e decisamente poco vestito. Il suo viso divenne quasi violaceo.
Edward nel frattempo riuscí a recuperare il lembo di tessuto, e a disagio si alzó cercando di nascondere il proprio corpo, per quanto potesse.
Bella si giró di schiena per concedergli la giusta privacy, quanto bastasse almeno per permettergli di vestirsi. - Mi chiamo Isabella Swan, signor Cullen, e sono la vostra domestica. V-vostro padre ci ha assunte ieri... - Balbettó, sentendo Edward dietro di lei farsi scappare una risatina.
- Oh, beh, non pensavo che mio padre ti avesse ingaggiata anche per buttarmi giù dal letto. - Disse, con tono scherzoso, forse per smorzare la tensione che si era creata.
- Il piacere é mio, Isabella. Se cosí si puó dire. - Bella si sentiva davvero a disagio, sicuramente non era sua intenzione presentarsi in quel modo.
- Sono davvero mortificata signor Cullen, ho seguito il garzone che mi ha poi quasi buttata dentro alla stanza, non mi sarei mai permessa di entrare senza il vostro permesso. -
- Non preoccuparti. Per questa volta ti perdono. - Sorrise appena Edward, ed approfittó del fatto che la ragazza gli desse le spalle per osservarla meglio. Qualche secondo dopo, Bella andó alla finestra per fare luce, e finalmente i due si poterono vedere chiaramente in viso. Rimasero in silenzio un paio di minuti buoni, guardandosi come se intorno a loro non ci fosse nient'altro.
Poi Edward si schiarí la voce, e prese il vassoio portato da Bella per lui. - Grazie, per la colazione. - Disse. - Dovevo effettivamente svegliarmi presto per una riunione con mio padre, ma mio fratello mi ha avvisato ieri sera che non ci sarebbe stata. Allora ho approfittato, e beh... Non so nemmeno perché io mi stia giustificando, in realtà. - Disse, grattandosi la nuca senza incrociare più lo sguardo della ragazza.
- Cosa posso fare per voi, signore? - Chiese lei, cercando di non dilungarsi troppo nelle parole, avrebbe sicuramente peggiorato la sua posizione.
- Rifai il letto per me, per favore. Io torno subito. - Disse dunque lui, poi dopo aver abbottonato la camicia uscí in tutta fretta dalla stanza.
Bella fece come richiesto, e visto che c'erano parecchi oggetti personali sparsi per la stanza, inizió a riordinare tutto, spalancando per prima cosa la finestra per far circolare l'aria fresca mattutina. Si chinó per prendere il tappeto e scrollarlo energicamente fuori dalla finestra, poi lo rimise al suo posto.
Si guardó intorno, e vide il suo riflesso su uno specchio sul comó. Il suo viso stava recuperando un colore quasi normale, e solo in quel momento si rese conto davvero di cosa fosse appena successo.
Edward riapparve poco dopo, ritrovando la stanza perfettamente riordinata. - Oh, wow, sei stata veloce. - Prese la giacca e le scarpe, poi si rivolse alla ragazza. - Beh, Isabella, visto che tra poco devo andare in città per delle questioni di lavoro e che non ho un segretario, vuoi unirti a me? Potresti essermi utile. - Bella rimase sconvolta. Se le avessero detto che la sua prima giornata di lavoro si sarebbe trasformata in una passeggiata per Londra insieme al suo padrone, che era riuscita non solo a spaventare ancora prima di presentarsi, che non solo era cordiale e gentile con lei, ma che oltretutto aveva una bellezza incredibile, non ci avrebbe mai, ma davvero mai creduto. Annuí, dunque. - Vado ad indossare qualcosa di caldo, con il vostro permesso. -
- Certo, se vuoi puoi cambiarti e indossare qualcosa di più adatto. Ti aspetto vicino alla porta d'ingresso. - Bella si osservó velocemente, e uscendo dalla stanza per tornare alla sua non poté non porsi delle domande. La sua divisa da lavoro era pulita, profumata, ma era effettivamente una divisa. Se il signor Cullen le aveva chiesto di cambiarsi, forse si vergognava di uscire accanto a lei in quelle spoglie? Che cosa aveva in mente?
- Non preoccuparti, Isabella. Non c'é niente che non vada nei tuoi vestiti. Credo semplicemente che un completo per uscire ti sia più adatto per l'occasione. - Edward sembrava quasi averle letto nella mente, quindi Bella guardandolo sorrise lievemente e si diede una mossa per prepararsi per la giornata che, senza dubbi, si sarebbe svolta in maniera sicuramente particolare.


                                                               **********************

La sera, nella camera delle ragazze.


- Allora? - Alice non stava più nella pelle, voleva sapere se le sorelle stavano bene, se tutto era andato come previsto, insomma aspettava solo un racconto dettagliato della loro giornata.
- Oh, beh... Se tralasciamo la prima mezz'ora, in cui credo di aver fatto tante di quelle figuracce mai fatte prima, direi bene. Anzi, direi proprio alla grande! - Esordí Bella, raccontando nei minimi dettagli cosa fosse successo al momento della colazione.
Alice rise, rise di gran gusto, mentre Rosalie accennó un sorriso, mantenendo la sua espressione dura e ostinata in volto. - Oh Bells, sei sempre la solita. - Disse la mora, riprendendo fiato. - Come hai fatto a non farti cacciare quindi? - Continuó. Le due iniziarono quindi a parlare della loro prima mattinata, mentre Rosalie era sempre più assente.
- Io non so esattamente come dovrei sentirmi. Beh, lui... Non mi voleva intorno, questo era quello che mi faceva percepire. - Disse Alice, facendo spallucce.
- E tu, Rose? Non hai proferito parola fino ad ora. Tutto bene? - Bella posó una mano sulla spalla della sorella, che risvegliandosi dai suoi pensieri prese un istante prima di parlare.
- Mi odia. Mi odia a morte. Mi ha sminuita, trattata da ignorante, considerata meno di zero. Come... - Si interruppe un attimo, deglutendo rumorosamente. - Come faceva lui. - Sospiró l'ultima frase come se un macigno immaginario fosse appena caduto dal suo stomaco.
Bella e Alice si incupirono all'improvviso. L'ultima posó la mano sulla spalla della sorella. - Rose, mi dispiace... - Disse, ma Rosalie la interruppe. - No, Al. Non ce n'é bisogno. Sapervi felici, o almeno al sicuro, mi fa dimenticare tutto. Davvero, sto bene. - Terminó il discorso cosí, prima di sedersi alla toeletta.
Le sorelle decisero di lasciarla tranquilla, sapevano bene che non sarebbe servito a niente forzarla.
- Allora Bells, com'é questo Edward? - Chiese Alice, sedendosi sul suo letto e incrociando le gambe, mentre la sorella torturava una ciocca dei propri capelli nervosamente.
- Oh, é uno dei ragazzi più belli e affascinanti che io abbia mai visto. Mi ha fatta andare con lui in città, mi ha portata in giro per vari uffici e soprattutto mi ha trattata quasi come se fossi al suo pari, insomma come se non fossi una sua dipendente ma una sua conoscente. Ma quei capelli, Al... - Sospir
ó, sognante. - Quei capelli rossicci e mossi, ci avrei affondato le mani... Ma cosa sto dicendo?! - Si fermó vergognandosi profondamente dei suoi pensieri non propriamente professionali.
Fortunatamente, Alice si era persa le ultime parole, distratta alla vista di Rosalie che, con la fronte appoggiata sul tavolo di fronte a lei, sembrava singhiozzare silenziosamente.
- Rose... - Dissero entrambe, senza ricevere risposta.
La bionda si alz
ó, asciugandosi le lacrime, e indossando una vestaglia da notte molto leggera uscí dalla stanza asciugandosi le lacrime.
- Ma cosa pu
ó essere successo di tanto brutto, Al? Dici che sia il caso di seguirla? - Alice fece nuovamente spallucce, ma negó. - No, Bells. Conosci nostra sorella, se e quando avrà voglia di parlarne con noi lo farà, ha sempre sopportato tanto per noi. - Disse. Si inizió a spogliare, rimanendo in intimo davanti alla sorella, per poi aprire la sua anta dell'armadio e prendere qualcosa con cui cambiarsi per poi andare a riposo.
- Già... Spero solo che Emmett non le abbia fatto niente. Non riuscirei a guardarlo negli occhi, altrimenti. - Bella era già pronta per dormire, cosí si infil
ó sotto alle coperte, e dopo aver dato un bacio della buonanotte alla sorella chiuse gli occhi per addormentarsi quasi subito dopo.







Alice, dal canto suo, non riusciva a chiudere occhio. Sdraiata sul suo letto, il suo cuore batteva più velocemente del solito al ricordo di ci
ó che aveva passato durante l'intera giornata.
Non aveva mai dovuto preparare un cavallo, e considerando che lei stessa non arrivava completamente al muso dell'animale, non aveva sicuramente passato un buon momento.
Soprattutto con Jasper accanto che non le rivolgeva nemmeno uno sguardo, e che anzi sembrava infastidito dalla sua presenza forzata. Lei aveva cercato di non infierire e di stare al suo posto, eseguendo gli ordini borbottati e copiando tutte le sue azioni per non sbagliare niente.
Ma a nulla erano serviti i suoi sforzi, era arrivata a fine giornata senza riuscire a sentirsi accettata minimamente da quel bellissimo ragazzo biondo e alto, tanto alto. I suoi occhi verdi l'avevano colpita dal primo istante in cui era entrato nella stanza, e anche i loro cambiamenti in base al suo umore. Ci
ó che preferiva era, appunto, quel colore tanto intenso da farla imbambolare più volte. Forse era per questo che lui la evitava?
Con tutte quelle domande che le frullavano in testa, Alice fu costretta ad alzarsi dal letto e aprire la finestra per affacciarsi, con dietro Bella che dal letto le rantol
ó qualcosa di incomprensibile, prima di rigirarsi e tornare a dormire profondamente.
Alice sporse appena la testa giù, notando che una scala a pioli era appoggiata non molto lontana dalla finestra, forse dimenticata dal giardiniere che il pomeriggio stesso era occupato a ripulire gli alberi accanto.
Le venne la malsana idea di provare a scendere proprio da quella scala, e nonostante la fatica, dopo essersi affacciata completamente riuscí ad aggrapparsi ad un'estremità e ad avvicinarla a sé. Mise il piede destro, poi il sinistro, e si cal
ó giù facendo attenzione a non cadere o a non farsi male.
L'erba sotto ai suoi piedi era fresca, l'umidità vi si era posata sopra prima che il freddo potesse farla morire, ed Alice rimase cosí per qualche secondo, a godersi quella sensazione che le dava più di un brivido lungo il corpo.
Si strinse nelle proprie braccia per ripararsi da un filo di vento più freddo che la colpí, e rimase ad osservare la luna sopra di lei quasi ammaliata da essa.
Una voce da lontano la distrasse dal suo momento, e si gir
ó per capire chi fosse.
- Tutto bene? - Edward da lontano vide questa ragazza in mezzo al prato e, da buon gentiluomo qual era, si era avvicinato per assicurarsi che non ci fossero problemi.
Alice si sentí a disagio. - Oh, signore, mi dispiace avervi disturbato. Stavo cercando di prendere sonno, e con questo spettacolo meraviglioso davanti a me ho preferito tardare un pochino. Torno subito nella mia stanza, vi chiedo davvero di perdonarmi. - Rispose lei, facendo per tornare indietro. Edward la blocc
ó rassicurandola. - Oh no, non ce n'é bisogno. Sei libera di fare tutto quello che vuoi nel tuo tempo libero. - Sorrise appena, e Alice ricambió.
- Tu devi essere Alice, giusto? Isabella mi ha parlato di te e di vostra sorella Rosalie. - Alice sorrise appena. - Sí, sono io. Spero che vi abbia parlato bene di noi, signore. - Edward ridacchi
ó senza peró risultare inappropriato.
- Certo, ha detto solo cose positive su di voi, e su vostra zia. A proposito, Trevor mi ha fatto sapere che oggi lei e mio padre sono partiti, insieme ad altri due domestici. Credo torneranno tra qualche giorno, é stata una cosa improvvisa. Sicuramente per lavoro. - Guardarono entrambi verso il cielo, rimanendo in silenzio qualche minuto.
- Non ci ha avvisate, in effetti. Ma immagino che fosse davvero urgente, da come mi avete raccontato. - Disse quindi Alice, cercando di nascondere un po' la sua delusione. Avrebbe voluto vederla e confidarsi con lei, come faceva da quando la loro madre era mancata sei anni prima. Ma non poteva avercela con lei, come avrebbe potuto?  
La zia Esme si era occupata di loro come una seconda mamma, e aveva fatto sempre del suo meglio per crescere a dovere, senza fare mai mancare nulla. Il loro padre biologico era sparito quando Bella aveva solo qualche mese, a causa di alcuni suoi problemi di salute cagionevole, di cui lui non voleva occuparsi. La loro mamma Renée si era ritrovata dunque a crescere sola le figlie, supportata peró dal fratello Phil e dalla moglie, la zia Esme. Quando Phil, peró, partí per una guerra lontana senza mai fare ritorno, Esme si ritrovó sola insieme a Renée.
Non volle mai più risposarsi, e non avendo avuto figli decise di prendersi cura delle tre sorelle come se fossero figlie sue, dopo che anche la loro mamma, da ormai sei anni, le aveva lasciate orfane in seguito ad una brutta malattia e ad un calvario durati mesi.
- Beh, io torno dentro, inizia a fare freddo. Buonanotte, Alice. - Edward si congedó educatamente, poi sparí dalla visuale di Alice.
La ragazza sentí che i suoi piedi iniziavano a diventare violacei per la temperatura, e facendosi coraggio risalí la scala, poi la spost
ó nel punto in cui l'aveva trovata facendo attenzione a non cadere giù, si diede una ripulita e, dopo aver controllato che Bella non si fosse accorta di nulla, si infiló a letto, addormentandosi subito. Rosalie non era ancora tornata.



Pov Rosalie


Stavo passeggiando per la casa, cercando di ritrovare un contegno che avevo perso nella stanza. Il solo ricordo delle sue mani sudicie sul mio corpo mi dava il vomito, e per quanto mi sforzassi di non pensarci, il comportamento di Emmett nei miei confronti mi dava segnali di allarme non trascurabili. Non riuscivo a sopportare il fatto che mi avesse sminuita cosí tanto in una manciata di secondi, era riuscito a colpire a pieno la mia autostima e la mia corazza. Non avevo permesso più a nessuno di trattarmi in quel modo, ma lui era l'unico che nonostante tutto era riuscito a farlo.
Le mie non erano lacrime di tristezza, le mie erano lacrime di rabbia per avergli permesso di farmi quello. Non avevo paura, avevo rabbia nel non potergli tenere testa in quanto mio superiore. E poi, era dannatamente bello! Come poteva un essere come lui causarmi allo stesso tempo tanto odio e tanta attrazione? Come potevo essere magneticamente invaghita di lui, dopo quello che mi aveva detto?
Eppure non riuscivo a non pensarci, sapevo di essere stupida e debole ma non potevo impedirmelo.
- Rosalie. - Dei passi pesanti, rozzi, dietro di me. Mi girai e lo vidi, vidi Emmett Cullen che mi fissava con un'espressione indecifrabile in volto.
Deglutii, cosa avrei potuto fare in un corridoio buio di fronte ad un macigno di muscoli? Si avvicin
ó pericolosamente al mio viso, e potei sentire dal suo fiato che aveva bevuto, e non poco.
Cercai di scansarmi ma mi spinse contro il muro dietro di noi e mi blocc
ó l'uscita con il braccio sinistro. Accarezzó il mio volto con l'altra mano e io girai la testa per paura. - Dove vai in giro a quest'ora della notte? Non lo sai che é pericoloso, per una ragazza come te? - Mi sussurró, stuzzicandomi l'orecchio con il suo respiro. Poi, provó a baciarmi. Provai a scansarmi, ma con riluttanza mi accorsi di non volevo davvero fare.
Le nostre labbra si toccarono, appena inumidite. La sua mano destra pass
ó dal mio viso ai miei capelli, aggrappandosi quasi con ferocia, e il bacio si fece più intenso.
Qualche secondo dopo, mi accorsi di quello che stava veramente succedendo e lo allontanai da me, di controvoglia. Lui strinse gli occhi innervosito, e dopo avermi spostata malamente se ne and
ó, lanciandomi un'ultima occhiata di fuoco.
Decisi che il mio giro notturno in casa Cullen sarebbe finito lí, e mi misi a correre per tornare il più velocemente possibile in camera.
Avevo baciato Emmett Cullen, il mio insolente e irresistibile capo. E mi era piaciuto. Ma non avrei mai dovuto raccontarlo a nessuno.
Sicuramente lui si sarebbe dimenticato di tutto, visto il suo stato mentale. Ma io no.
E fu su quei pensieri che, dopo essermi sciacquata la faccia, andai a letto, cercando di addormentarmi.



                                                            **************************


16 Ottobre 1893, Londra. Ore 9:18.


Jasper e suo fratello Edward stavano discutendo su quale dei due completi fosse il migliore, se il blu elettrico con i gemelli in argento che indossava il primo, o il grigio perla lucido con gemelli in oro indossato dal secondo.
Emmett, dal canto suo, era seduto con una posa svogliata sulla sedia della sua scrivania, e osservava le sue unghie mangiucchiate dal nervoso con un sopracciglio alzato.
- Eddai, Emm. Dacci un parere, smettila di comportarti da primadonna. - Lo stuzzic
ó Edward, rimediandosi un'occhiata nera.
- Non faccio la primadonna, caro fratellino. Semplicemente non scendo al vostro livello, non ne sono in grado. - Jasper lo scimmiott
ó, provocandolo. Emmett si alzó innervosito, pronto a cacciarli dalla sua stanza.
- Visto che fate tanto i damerini, perché non approfittate per farvi fare un altro completo uguale? Cosí potrete andare nei bar di Londra a vantarvi di quanto il vostro vestito sia il migliore. - Replic
ó, facendo loro il verso. - E portatevi dietro le due ragazze, già che ci siete. Fatevi consigliare dalle vostre simili. -
- Oh, bella idea fratello! É esattamente quello che faremo. Ma verrete anche tu e Rosalie, e sceglieremo un abito da farci confezionare uguale. Ti sei forse dimenticato quello che ci ha detto nostro padre? Presto ci sarà una festa, e vorrebbe vederci uniti come prima. - Emmett si incupí.
- Già, Emmett. Da quando sei partito per quel viaggio, due anni fa, sei diverso e nostro padre se n'é accorto. Siamo pur sempre i tuoi fratelli, e dobbiamo esserci gli uni per gli altri, nel bene e nel male. - Edward rincar
ó la dose, appoggiando una mano sulla spalla del fratello maggiore, che dopo qualche attimo di esitazione rilassó i muscoli.
- Dai, forza. Vado a dire alle ragazze di prepararsi per venire con noi. - Edward si sistem
ó la manica della camicia ed uscí dalla stanza.


Pov Bella


Stavo aspettando Edward davanti alla porta, come ogni mattina, per fare quello che lui mi avrebbe chiesto. Avevo bussato più volte senza ricevere risposta, ma dall'ultima esperienza non volevo entrare in camera senza il suo permesso.
Una voce mi chiam
ó da lontano. - Isabella! Isabella! Sono qui! - Edward alzava un braccio nella mia direzione per farsi notare, e mi incamminai verso di lui accennando un sorriso.
- Scusami, Bella. Mi stavo preparando in camera di Emmett. - Sorrise, con il suo sorriso sghembo che tanto piaceva alla ragazza. Abbass
ai la testa, la visione di Edward vestito di tutto punto e con i capelli appena scompigliati mi aveva fatto perdere più di un battito, e non volevo fare altre brutte figure con lui.
- No, signore, non preoccupatevi. Non dovete giustificarvi. - Sussurrai, e lo sentii sorridere intensamente.
- Ti prego, dammi del tu. É già dal secondo giorno che sei qui che te lo chiedi, ma tu ti ostini a non farlo. Perché? - Non seppi rispondere alla sua domanda. Provai a farfugliare una risposta. - Beh... Non lo so. Sinceramente non lo so, non avrei mai immaginato in vita mia di rivolgermi cosí ad un mio superiore. - Dissi, sinceramente.
- Ed é giusto cosí, Isabella. Sono fermamente convinto che tu sia una persona garbata, di classe e molto educata. Ma se per la trecentesima volta ti dico che puoi farlo, non preoccuparti. - Mi disse, e grattandomi la nuca sorrisi appena.
- Forse é vero. Prover
ó a farlo allora... Edward. - Lui rise, rise di gusto gettando la testa all'indietro e guardando verso l'alto. - Hai visto, non é difficile. Ce la farai in men che non si dica. - Aprí la porta della sua stanza, poi mi guardó. - Ascoltami, Bella. Oggi io e i miei fratelli dobbiamo andare in città, abbiamo diverse commissioni da svolgere e dobbiamo anche preparare un abito dalla sarta di fiducia. Avevamo pensato che se voi veniste con noi, potreste esserci d'aiuto. Se vi va, preparatevi. Partiamo alle undici in punto. - E dopo essersi congedato, entró in camera chiudendo la porta dietro di sé.
Non stavo nella pelle. Nonostante la zia mancasse ormai da dodici interminabili giorni, Trevor ci aveva assicurato che sia lei che il dottor Cullen stavano bene, avevano pensato di rassicurare la famiglia con un telegramma in cui dicevano che sarebbero tornati tre giorni dopo.

Chiamai ad alta voce le mie sorelle dal fondo del corridoio. - Al! Rose! Preparatevi, andiamo a Londra! - Dissi, avvicinandomi sempre più alla porta. Alice spunt
ó con la testa dalla camera. - Ma stai scherzando? - Mi chiese, allucinata.
- Mai stata più seria, Al. Edward mi ha appena detto di prepararci, andremo tutti e sei in città. Devono sbrigare delle faccende e hanno bisogno di noi. - Alzai le spalle, non avevo altri dettagli da fornire alle mie sorelle, ma avevo come la sensazione che sarebbe stata una giornata folle, decisamente fuori dal comune.










Hello! Scusatemi il ritardo, mi sono resa conto di aver perso un capitolo intero (non avevo salvato il file e ho chiuso per sbaglio il foglio), e riscrivendolo ho saltato direttamente al capitolo III. Fatemi sapere cosa ne pensate di questo, nel frattempo che vi metto il prossimo :) A presto!

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Capitolo III



16 Ottobre 1893, Londra. Ore 11:00




  I ragazzi stavano aspettando vicino alla porta di casa che le tre sorelle fossero pronte, nonostante uno dei tre non fosse per niente contento all'idea di uscire con loro in città. Non dopo quello che era successo la prima sera. O che credeva fosse successo. Aveva ricordi offuscati, non era sicuro che fosse la realtà, forse aveva sognato tutto. L'unica scena nitida di cui aveva davvero memoria era il viso di Rosalie davanti al suo, e le loro labbra che si chiudevano in un bacio durato qualche secondo.
  Scrolló la testa, non voleva più soffrire. L'ultila donna a cui permise di farlo era la loro madre, che con la sua morte lasció un vuoto incolmabile nella loro vita. I fratelli e lui avevano reagito in maniera completamente diversa, loro avevano pianto, davvero tanto, e con il tempo erano riusciti ad andare avanti, nonostante il dolore sempre presente.
  Lui no, lui non aveva mai versato una lacrima. Nemmeno davanti alla bara, il giorno in cui le dissero veramente addio. Lui era Emmett Cullen, il figlio maggiore del dottor Cullen, non poteva permettersi di mostrarsi debole. E a otto anni cosí fece, chiuse dentro di sé tutto il dolore e la rabbia per la scomparsa prematura dell'amorevole mamma, e dimostrando una forza incredibile per la sua giovane età. Certo, la facciata era quella, ma dentro di sé era talmente distrutto che non avrebbe potuto reggere un secondo colpo.
Cosí, con il passare del tempo decise che le donne, per lui, dovevano essere solo, e al massimo, un passatempo. Non voleva legarsi a nessuna in maniera diretta, non voleva soffrire come suo padre quando rimase vedovo, non voleva a carico dei figli da dover crescere solo, non voleva più soffrire.
  E lo aveva fatto presente più volte al padre, quando negli anni passati aveva provato ad accennargli la questione matrimonio.
Ovviamente non era entrato nei dettagli con lui, non avrebbe voluto distruggere la sua immagine di uomo morale. Ma sicuramente era stato chiaro, non si sarebbe sposato mai.
  Aveva provato un sentimento simile all'amore due anni prima, quando per un periodo decise di viaggiare fuori Londra e di spingersi fino a Volterra, in Italia, per lavoro.
Quella Jane, con il suo carattere decisamente molto imponente, era quasi riuscita a farlo innamorare. Ma quando suo padre Marcus decise per lei un altro futuro, ovvero un matrimonio con un ricco nobile italiano, Emmett ci rimase cosí male da convincersi ancora più della sua idea iniziale. Niente matrimonio.
  Avrebbe assistito a quelli dei fratelli, sicuramente Edward con il suo carattere molto più sensibile sarebbe stato il primo a sposarsi. Poi forse Jasper, a ruota, lo avrebbe seguito sposandosi la figlia di un comandante, e lui sarebbe rimasto per sempre celibe, e felice cosí. O almeno, questo era quello che credeva lui.
  Edward, dal canto suo, non era mai stato d'accordo con il fratello su questa sua idea. Da ragazzini ci scherzavano sopra, in fondo il fratello maggiore era sempre stato definito l'orso della casa da tutti, era forte, aggressivo e con un grande senso di protezione per la famiglia proprio come quel magnifico animale, ma di simile aveva anche il carattere e la mole.
  Edward era convinto, come Jasper, che un giorno lui avrebbe cambiato idea sull'amore. Entrambi avevano provato a spingere il fratello a fare quel viaggio in Italia, erano convinti che lui avrebbe visto l'amore sotto un altra luce e sicuramente sarebbe tornato diverso.
  Ma se la loro speranza era forte, la certezza che qualcosa aveva peggiorato la situazione si era presentata nel vederlo tornare a Londra, incupito e freddo. Non seppero mai con esattezza cosa fosse successo durante il suo soggiorno italiano, ma la sua reazione non lasciava molto spazio alla  libera immaginazione.
  Jasper, onestamente, non aveva mai avuto problemi a riguardo. Non aveva ripudiato l'amore come il fratello maggiore, né lo osannava come faceva il minore. Lui sapeva che un giorno o l'altro, forse, avrebbe trovato la sua anima gemella, ma non andava cercandola. Lasciava che la vita facesse il suo corso senza forzarla. Solo una cosa aveva chiesto al padre, qualche anno dopo la morte della mamma Elizabeth. Gli aveva fatto promettere di non permettere a nessuna donna estranea alla famiglia di entrare in casa loro, se non era per restare. Ovviamente, nelle occasioni di feste in cui il padre ospitava varie famiglie anch'esse nobili, lui non si era mai opposto alla presenza femminile.
  Ció nonostante, aveva chiaramente espresso al padre il desiderio, quasi esigente, di non avere in casa dei dipendenti di sesso femminile. Riteneva che nessuna donna sarebbe mai stata degna di sostituire la donna che lo aveva messo al mondo e amato cosí tanto semplicemente per quello che era.
  Era infatti rimasto deluso, quando il padre si presentó con la proposta delle quattro domestiche. Sapeva anche, peró, che Carlisle Cullen non faceva mai nulla per caso, e che se era arrivato a rompere una promessa con lui sicuramente aveva un motivo valido.

Un rumore di passi li risveglió dai loro pensieri. Le tre ragazze erano finalmente pronte, ed erano in perfetto orario. Edward le accolse con un caloroso sorriso. - Bene, ora che siamo tutti qui, direi di andare. Arriveremo all'ora di pranzo. - Indossarono tutti i loro cappelli, mentre le ragazze, sotto consiglio di Trevor, legarono un foulard che copriva in parte i loro capelli.
Julian apparve, per accompagnarli fuori dalla porta fino alla carrozza che li avrebbe scortati. Bisbiglió qualcosa all'orecchio delle ragazze, senza farsi vedere dai fratelli, poi andó ad aprire lo sportello della carrozza.
- Prima le signore. - Disse Edward, aiutando Bella a salire. Le sorelle la seguirono, accomodandosi l'una accanto all'altra. Emmett salí subito dopo, e non appena tutti furono sistemati, il cocchiere partí.
Il viaggio cominció in un silenzio pesante e teso, con Rosalie che evitava il più possibile un contatto visivo con Emmett, Jasper che aveva impugnato il giornale e si era assorto nella lettura, anche se un orecchio era sempre con gli altri, ed Edward e Bella non avrebbero potuto comunque conversare con un ambiente del genere.
- Allora, Alice. Isabella mi ha raccontato che avete vissuto a Parigi per qualche anno. Ti va di raccontarci qualcosa su questa città cosí affascinante? - Edward cercó di rompere il ghiaccio, nella speranza che i fratelli avrebbero fatto lo stesso.
Alice non si aspettava sicuramente che uno dei fratelli Cullen le parlasse in un modo cosí gentile, visto che Jasper la ignorava per la maggior parte del tempo e, secondo i racconti di Rosalie, Emmett non faceva altro che trattarla come uno straccio.
- Parigi é magica. Sapete, signore, dicono che Parigi sia la capitale del mondo. E io penso proprio che la sia. Parigi é la città dell'amore, della poesia e della letteratura, Notre Dame ne é il simbolo e, credo di parlare ora a nome di tutte noi, siamo orgogliose di condividere una parte del nostro sangue con questa bellissima capitale. - Inizió quindi ad entrare nei dettagli la loro esperienza nella città, a descrivere i piccoli angoli nascosti che nascondevano tanti tesori preziosi, e il suo racconto era cosí intenso da aver attirato l'attenzione di tutti.
- Che cosa vi ha fatto lasciare Parigi, allora? - Nessuno dei presenti nella carrozza si sarebbe aspettato che nemmeno una parola fuoriuscisse dalla bocca di Emmett, tantomeno una frase intera. Ma il tono sprezzante con cui la pronunció ferí nuovamente Rosalie, che abbassó lo sguardo senza proferire parola.
- Beh, dopo la morte di nostro zio, e successivamente di nostra madre, la zia Esme decise di provare a restare comunque a Parigi. Ma dopo pochi mesi, le si presentó l'occasione di tornare qui in Inghilterra, nella sua città natale a Manchester. Noi non avevamo più nessuno, quindi l'abbiamo seguita... E beh, eccoci qui, ora. - Bella riprese il discorso, forse era l'unica a riuscire davvero a tenere testa a Emmett, con la sua innocenza e ingenuità riuscí a zittire il giovane uomo, che apprezzó il coraggio e incassó il colpo.
- Avete della famiglia, a Parigi? - Jasper si era incuriosito alla loro storia, forse iniziava a capire il motivo per il quale il padre aveva voluto le donne a casa. Dovevano sicuramente avere dei caratteri forti per sopportare tutte quelle perdite.
- Beh, ci sono effettivamente degli zii e dei cugini che vivono a Parigi. Nostra nonna materna é francese, e nonostante nostra madre e nostro zio si fossero trasferiti in Inghilterra alla maggiore età, lei rimase sempre lí, e con loro rimasero anche altri famigliari. - Rosalie si tolse di dosso l'imbarazzo, e Bella non poté non notare che Emmett, cercando di nascondersi, la osservava dall'inizio del viaggio.
- Mi piacerebbe molto andare a Parigi, per vedere la famosa Tour Eiffel. Deve essere molto affascinante. Potremmo andarci tutti insieme. - Edward, dal canto suo, aveva cercato di mettere a proprio agio tutti quanti, ma con l'ultima frase cal
ó il gelo fino a che non arrivarono.
  La carrozza si ferm
ó all'angolo di King's Road. Il cocchiere venne ad aprire la porta, abbassando la testa una volta che tutti furono scesi. - Saremo di ritorno alle 17, sir. - Emmett aggiustó il cappello e avanzó prima di tutti, ma richiamato dai fratelli si fermó sbuffando.
- Dunque, quali sono i piani per questa giornata? - Edward guard
ó i suoi fratelli, che esitarono un attimo.
- Andiamo a mangiare, prima di tutto. Mi sta venendo un certo languorino. - Jasper si massaggi
ó lo stomaco, ed Emmett concordó con il fratello. Edward alzó le mani, e si incamminarono verso Sloane Square, alla ricerca di un posto in cui accomodarsi per consumare un pasto caldo.
  Una locanda, poco dopo, attir
ó i sei ragazzi, che furono calorosamente accolti dalla proprietaria, una signora sulla cinquantina.
- Cosa posso servirvi, signori? - Chiese, nominando i piatti del giorno. I tre ragazzi optarono per un fish and chips fresco di giornata, e le ragazze scelsero delle omelettes con insalata verde.
A tavola regnava il silenzio, rotto dal rumorío delle posate che stridevano sui piatti bianchi.
- Sento che sarà una giornata lunga, molto lunga. - Rosalie sussurr
ó alle sorelle, che non fecero in tempo a replicare perché vennero interrotte da Emmett. - É chiedere tanto che si parli inglese? - Disse, guardandola malamente. La ragazza si sentí pizzicata nel suo orgoglio. Come poteva quell'uomo avere dei tali sbalzi d'umore?
- Eddai Emm! Non tormentarla più questa povera ragazza. - Edward prese le sue difese, e il fratello non sembr
ó gradire la cosa, ma non replicó e finí velocemente il suo pasto, mentre lei con una morsa allo stomaco lasció il resto senza più toccare niente.
  La tensione tra i due era palpabile; nonostante Rosalie fosse sempre più attratta da lui e le piacesse ogni giorno di più, non riusciva a comprendere cosa avesse portato Emmett a volerla baciare in un momento di non lucidità, ma a odiarla il resto del tempo.
  Il moro si alz
ó dal tavolo, posando con poca delicatezza il tovagliolo sul piatto vuoto. Poi andó verso il bancone, tirando fuori una banconota per pagare il conto. - Tenete il resto. - Disse, e dirigendosi verso l'uscita, guardó Rosalie con un'espressione dura. - Forza, andiamo. Non ho tempo da perdere. - La ragazza, iniziando ad innervosirsi per come veniva trattata da lui, non rispose ma si alzó stizzita. - Con permesso. - Sussurró, e lo seguí velocemente. Sia Edward che Jasper si sentirono in imbarazzo, mentre le due sorelle non aprirono bocca. Jasper, nonostante gli inizi, non aveva mai parlato cosí ad Alice o alle altre ragazze, perché se c'era una cosa che suo padre gli aveva sempre ripetuto, era che il rispetto faceva di un uomo un essere umano, anche con i propri nemici. Ed era ció che lui  stesso aveva poi impartito ai suoi soldati durante i suoi ultimi tre anni da caporale.
- Vi chiedo scusa, ragazze, per il gesto di nostro fratello. Non si é mai comportato cosí. - Bella sorrise appena. - A me dispiace più che altro per quello che potrebbe fare nostra sorella, se perde la pazienza. - Sussurr
ó, e ad Alice scappó una risata che coinvolse i quattro.
Si alzarono dunque anche loro, e dopo essere usciti dal ristorante si divisero, per darsi poi appuntamento due ore dopo alla sartoria a New Bond's Street.


                                                                                         

                                                                                                    **********************************


  Emmett camminava a passo svelto e deciso, e Rosalie cercava di stargli dietro aumentando sempre di più la propria velocità, per non allontanarsi da lui e non perdersi tra la folla.
- Sbrigati, devo essere all'appuntamento tra meno di venti minuti e non posso arrivare tardi per colpa di una povera domestica che non sta stare al passo. - Disse lui, facendo infervorare la ragazza, che dopo giorni e giorni di critiche, insulti e via dicendo, esplose di rabbia.
- Ora basta! - Strill
ó, facendo girare alcuni passanti intorno a loro, che li guardarono attoniti. - Io non sono una domestica! Io sono Rosalie Swan, ho un nome e cognome che i miei genitori mi hanno dato alla nascita e voglio essere rispettata anche io! - Continuó, facendo bloccare Emmett che, senza girarsi,  sgranó gli occhi stupito.
- Sono stufa di essere trattata cosí! Sono una vostra dipendente, sí, ma non per questo allora voi potete sfogare la vostra rabbia repressa e la vostra frustrazione su di me! - Il suo viso era paonazzo, ma per mantenere un minimo di eleganza cerc
ó di abbassare la voce perché solo lui potesse sentirla.
  Il ragazzo non replic
ó, strinse i pugni senza proferire parola e rimase fermo nella sua posizione. Allora Rosalie, stanca di quella situazione, scoppió a piangere e si allontanó in fretta, senza sapere esattamente dove stesse andando.
La sua vista era offuscata dalle lacrime, era cosí arrabbiata che avrebbe potuto tirargli qualcosa addosso. Gli aveva permesso troppe volte di calpestarla senza motivo, nonostante lei facesse del suo meglio per essere una brava domestica per lui.
  Dopo qualche minuto, si ferm
ó per riprendere i suoi spiriti e, guardandosi intorno, si rese conto di essersi allontanata troppo.
  La lunga strada in cui si era ritrovata era proprio quella, Carnaby Street. Un gruppo di prostitute la stava osservando da lontano, mentre lei cercava in qualche modo di ritrovare il cammino di ritorno. Inizi
ó a muovere dei passi, evitando di tanto in tanto dei rifiuti organici che sicuramente erano stati buttati dalle finestre non molto tempo prima. Un bambino, sicuramente orfano e senzatetto, le si avvicinó. - Vi prego, datemi qualcosa per mangiare. - Rosalie si sentí in colpa, su di lei non aveva nemmeno uno spicciolo ma avrebbe tanto voluto potergli offrire qualcosa. Il bambino si fece insistente, e nonostante lei cercasse di allontanarsi, lui non la lasciava. Ad un certo punto, le fece cadere dalle mani un fazzoletto in stoffa, e mentre lei si chinó a raccoglierlo un altro bambino arrivó da dietro cercando di rubarle la borsetta.
  Un attimo dopo i
bambini iniziarono a correre lasciando la refurtiva dopo aver udito un grido: un paio di poliziotti che passavano di là durante una pattuglia avevano visto la scena da lontano, e conoscendo bene il quartiere si stavano dirigendo verso Rosalie per vedere che tutto fosse a posto.
- Vi ringrazio, signori. Mi occupo del resto io, ora. - Emmett fece capolino da dietro l'angolo, visibilmente scocciato e con la borsetta di Rosalie tra le mani. I poliziotti, riconoscendolo, tolsero il cappello come segno di saluto e se ne andarono.
Emmett prese per il braccio Rosalie, camminando velocemente per andare via da quel posto, ma senza rivolgerle la parola. - Non era necessario il vostro aiuto. - Disse lei, rimanendo impuntata sul suo orgoglio.
  Non appena furono vicini al luogo dell'appuntamento di Emmett, si fermarono, e lui esitando qualche secondo si gir
ó a guardarla. - Scusami, Rosalie. Ho esagerato con le parole. - Disse, poi senza ascoltare la sua risposta continuó.
- Ora devo entrare in quell'ufficio. Qui vicino c'é la sartoria di fiducia di nostro padre. Vai e di' che sei da parte della famiglia Cullen, poi chiedi alla signora Emily di provare insieme a te un paio di modelli di abito. Scegli quello che più ti piace. - Le diede in mano un biglietto scritto a mano, da consegnare alla sarta.
- Jasper é passato due giorni fa per avvisarla, quindi sa del tuo arrivo. - Fece per andare, ma si ferm
ó di nuovo sotto lo sguardo attento di Rosalie. - Non pensare che io lo faccia per galanteria, Rosalie. Mio padre mi ha obbligato a farti confezionare un vestito per la serata che ha organizzato. Non sia mai che ti metti strane idee in testa. - Disse lui, con fare provocatorio e lanciandole una frecciatina.
  Rosalie non replic
ó, era cosí contenta che lui si fosse scusato, ma con l'ultima frase aveva cancellato il suo gesto galante in un batter d'occhio.
  Ancora si chiedeva cosa trovasse di attraente in lui, soprattutto viste le dinamiche del loro rapporto. Le ricordava per alcuni tratti il suo vecchio aguzzino, Royce King. Solo per questo motivo avrebbe dovuto odiarlo con tutto il cuore e provare disgusto nei suoi confronti, ma il suo cuore la portava ad un'altra strada, dritta tra le braccia del gigante moro. Ancora ricordava sulle sue labbra il sapore di quel bacio rubato, nel cuore della notte, ma si chiedeva cosa lo avesse spinto a farlo. Era ubriaco, é vero, ma lei in fondo sentiva che non era solo quella la ragione, sapeva bene cosa potesse fare un uomo sotto l'effetto dell'alcool e lui non si era affatto comportato cosí.
Con la testa piena di pensieri, si avvi
ó dove Emmett le aveva indicato, e aprí la porta, sopra cui stava una campanella che annunció il suo arrivo.
- Sí? - Una signora molto piccola di statura, con una lunghissima treccia nera ben equilibrata la accolse. - Buongiorno. Vengo da parte del signor Cullen... - Rosalie prov
ó a spiegarsi, ma la signora stupita la prese delicatamente per un braccio invitandola a seguirla.
- Oh, benvenuta! Benvenuta nel mio negozio! Che gran piacere ricevere la famosa signora Cullen! E poi complimenti, siete davvero favolosa, giovane e bella! - Rosalie si ferm
ó sgranando gli occhi, la sua mascella quasi toccó terra. - Come?? Signora Cullen?? - Si portó una mano davanti alla bocca, non poteva credere a quello che la signora le aveva appena detto.
Lei, rendendosi conto di aver fatto un grave sbaglio, inizi
ó a farfugliare. - Io... Oh, no, sicuramente c'é stato un malinteso, io... Oh, vi prego di dimenticare quello che ho detto, sicuramente la mia testa sta perdendo colpi. - La signora prese le mani di Rosalie tra le sue, mortiificata. Rosalie corrucció la fronte, guardandola intensamente negli occhi, ma la signora non si fece sfuggire più niente e ascoltó la sua richiesta.


                                                          ******************************


Edward e Bella ridevano di gusto per la strada, uno accanto all'altra ma senza toccarsi. - Ma davvero? E poi cos'ha fatto tua sorella? - Le chiese lui, mentre lei mise in bocca una ciliegia. - Oh, era furiosa! And
ó dal ragazzino in questione e gli tiró addosso il suo calamaio, fortunatamente che era praticamente vuoto! - Risero ancora più forte. - Non sapevo che Alice avesse un carattere cosí forte da piccola! - Continuarono a camminare, raggiungendo una piazza in cui alcuni artisti si stavano esibendo in danze popolari in cambio di qualche spicciolo. Bella rimase a guardarli incantata, Edward le sorrise. - Vuoi fermarti qualche minuto? - Le chiese dolcemente, e lei annuí imbarazzata.
- Mi ricorda tanto Parigi, sai? In quella città ci sono tantissime culture mescolate, passano cosí tanti commercianti che vengono da terre lontane e portano con loro profumi e colori. - Disse lei, con un luccichio negli occhi ricordando quei bei momenti.
Rimasero ad osservare lo spettacolo per più di qualche minuto, i loro corpi sembravano quasi toccarsi e una magia stava scaturendo tra loro due, senza che potessero accorgersene.
Si guardarono intensamente, una volta finita la canzone; i loro occhi brillavano, avevano una luce speciale, e i loro corpi sprigionavano vibrazioni positive.
- Dobbiamo andare Bella. - Edward spense di colpo quell'atmosfera creatasi fra di loro, con una lieve delusione da parte di lei. - Sicuramente i miei fratelli e le tue sorelle ci stanno aspettando in sartoria. - La fece avanzare davanti a lui, rimanendo comunque sempre vicino a lei. Molti passanti avevano già salutato Edward, ma lui voleva preservare Bella e cercava di passare tra le stradine meno affollate.

Arrivarono alla sartoria, dove Rosalie stava posando per farsi prendere le misure dell'abito che aveva precedentemente scelto, e Alice stava curiosando tra le varie stoffe. I due fratelli erano fuori e parlavano tra di loro tranquillamente.
- Vedo che hai deciso di presentarti, Eddie. Pensavamo che avessi deciso di non venire più. - Emmett lo incalz
ó, mentre Jasper rideva insieme a lui. - Molto divertente, Emm. - Edward non volle rispondere alla provocazione del fratello, era troppo di buon umore per farselo rovinare da lui.
- Isabella, entra e fai le prove come le tue sorelle. Noi entreremo una volta che avrete finito. - Disse alla ragazza, che senza esitare raggiunse Rosalie e Alice.



                                                      ***************************



Il viaggio di ritorno fu molto più veloce e scorrevole dell'andata. Bella e Alice si erano addormentate, Emmett si era dedicato alla lettura di alcune carte del lavoro, mentre gli altri tre erano in silenzio, ognuno concentrato sui propri pensieri.
All'improvviso, Jasper si tolse la sciarpa che aveva indossato per il freddo, e dal suo colletto si stacc
ó una spilla con raffigurata la testa di un lupo in posizione da ululato.
Rosalie la vide cadere e si sporse per raccoglierla e porgergliela, ma quando la prese fra le mani si sofferm
ó a guardarla. Jasper la vide e, incuriosito, avvicinó appena il suo viso verso di lei.
- La conosci? - Le chiese, sussurrando per non svegliare le due. Edward li guard
ó un attimo.
- Beh... Credo di sí. Ho visto questo stemma in un borgo non molto lontano da Gälve, durante il mio soggiorno lí. - Jasper la guard
ó molto colpito, mentre Emmett dopo aver sentito le parole si mise ad ascoltare quello che la ragazza aveva da dire.
- Sí, corretto. Sono stato lí un paio di mesi, l'anno scorso. Eravamo in viaggio di piacere, a casa di un cavaliere svedese residente proprio nella zona. Alcune abitanti ci hanno offerto in dono dei gioielli fatti a mano, tra cui questa spilla a cui tengo molto. - Rosalie gliela restituí.
- Tu come mai ti trovavi in quel posto? - I tre fratelli, dopo aver ormai abbandonato le loro attività, la guardarono con interesse.
Rosalie si schiarí la voce, non voleva rivelare troppo del suo passato dopo cosí tempo. Nel frattempo, Alice si stava risvegliando, e dopo aver udito le ultime parole della sorella, le pos
ó una mano sull'avambraccio, facendole sentire la sua presenza.
- Era aprile, quando partii. - La bionda gir
ó appena la testa verso il finestrino, prendendo un lungo respiro.








Hello! Volevo ringraziarvi per le recensioni e per i complimenti ricevuti fino ad ora. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, al prossimo!

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV Hello! Vi chiedo scusa per l'immenso ritardo, non sono stata bene e nonostante il capitolo fosse a metà pronto non ero in forma per continuarlo. Spero vi piaccia, fatemelo sapere con una piccola recensione :)








- Era aprile, quando partii. - La bionda gir
ó appena la testa verso il finestrino, prendendo un lungo respiro.
- Avevo circa dodici anni, nostro zio Phil doveva partire per il Nord per degli affari. Nostra mamma e la zia erano assolutamente contrarie, lo zio voleva comunque portarmi con lui dopo le mie infinite richieste... Alla fine sono riuscita a convincerle, e siamo partiti. Ho passato tre mesi e mezzo tra Svezia e Danimarca, ma il borgo in cui ci siamo fermati più tempo era proprio Gälve. Era talmente bello, mozzafiato. Era l'ultimo viaggio che feci insieme allo zio prima che... Oh, mi sto dilungando. Scusatemi. - Sorrise appena, non voleva dare altri dettagli non richiesti, e soprattutto sapeva che non doveva mai rivelare le sue debolezze davanti a degli uomini, o si sarebbero approfittati di lei.
- Già, é davvero mozzafiato. - Lo sguardo di Jasper si posó per un istante su Alice, poi lui lo spostó verso l'esterno, non senza attirare l'attenzione di Rosalie.
- Non manca molto, siamo quasi a casa. - Edward allungó leggermente le gambe, sfiorando con un piede quelle di Bella, ed entrambi si ritrassero con un lieve imbarazzo.
Circa una mezz'ora dopo, la carrozza si fermó davanti al grande cancello, e fuori faceva quasi buio.
- Bene, é ora di rientrare, inizia a fare freddo. - Emmett scese per primo, ma dopo aver fatto qualche passo si fermó riluttante ad aspettare gli altri, che lo seguirono verso casa.
Si ritrovarono nel salone, i loro visi erano lievemente arrossati e le ragazze avevano l'aria stanca.
- Andate a dormire, ne avete bisogno. - Edward fece il suo più bel sorriso, e le ragazze si congedarono educatamente.
- Allora, ragazze? - Alice trotterelló davanti alle sorelle, mentre salivano dalle scale. - Com'é andata la vostra giornata? -
- Oh, una meraviglia. - Rosalie alzó gli occhi al cielo, sarcastica. - Mi sono persa a Carnaby Street, mi stavano per derubare e Emmett si é scusato con me. - Le ragazze sgranarono gli occhi, ma la sorella le interruppe. - Subito prima di offendermi ancora più del solito. - Disse, sollevando le spalle sconsolata.
- E voi? - Bella sorrise, diventando rossa. - Beh... Io... Bene. - Le sorelle le chiesero più dettagli, ma lei non volle ancora raccontare loro, aveva paura che quello che stava succedendo fosse solo frutto della sua immaginazione, o un semplice malinteso.
- E tu, folletto, perché non ci racconti la tua giornata? Fai tanto la curiosa con noi ma non dici niente di te. - Rosalie inarcuó un sopracciglio, aprendo la porta della camera. - Non ho niente da raccontare. Credo che io sia completamente invisibile agli occhi di Jasper, si era quasi dimenticato di me. Abbiamo girato mezza Londra per i suoi vari impegni, sapevate che é un maggiore dell'esercito? - Le ragazze scossero la testa. - Ebbene, proprio per questo é molto conosciuto e stimato in città. Davvero molto. Troppo direi. Ogni donna che lo incontra fa gli occhioni dolci, ogni uomo toglie il cappello come segno di rispetto... E ho dovuto seguirlo ovunque! - Si tolse velocemente i vestiti, rimando con un intimo abbastanza discreto, e si gettó a peso morto sul letto, formando una stella con i suoi arti.
- Non sembri tanto dispiaciuta... - Bella e Rosalie sogghignarono, ricevendo in risposta un cuscino addosso. - Non siete spiritose. Sono davvero stanca, non so come mi presenteró domattina. - Appoggió le mani sul viso per coprirlo, e le sorelle ridacchiarono.
- Al, non é che ti piace Jasper? - La sorella non rispose, e loro si fecero più serie. - Volete dirmi che voi non provate attrazione o interesse per Emmett o Edward? Avanti, se devo confessare un qualcosa dovete farlo anche voi. - Cal
ó un silenzio glaciale nella stanza. Si guardarono negli occhi senza proferire più una parola, tutte e tre sapevano bene quali sarebbero state le conseguenze dei loro sentimenti verso i loro superiori. Non potevano permettersi di infatuarsi di loro, dovevano preservarsi per non finire nei guai e per rimanere in sicurezza, tutto avrebbero voluto tranne che ritrovarsi nelle condizioni di vita dalle quali erano riuscire a fuggire non molto tempo prima.
Qualcuno buss
ó alla porta, e Bella scalza andó ad aprire affacciandosi appena con la testa. Julian era di fronte a lei, come sempre affannato da un'ennesima corsa. - Venite a cena, si sta facendo tardi. - Disse, abbassando lo sguardo di fronte all'immagine di Bella con i capelli sciolti e in abiti non da lavoro.
Lei gli sorrise appena. - Oh, arriviamo Julian. Due minuti e saremo giù. -
Alice si era addormentata profondamente, e le sorelle cercarono di sistemarla sotto alle coperte, chiudendo poi le tende per evitare il più possibile gli spifferi d'aria.
La cena si svolse lentamente, le ragazze si erano ritrovate sole con James, che viveva anch'egli nella grande dimora ma in un dormitorio comune insieme ad altri tre dipendenti.
Passarono due ore a discutere della loro giornata, l'uomo si stava affezionando alle tre ragazze come se fossero figlie sue, non avendo mai potuto averne era felice di poter rappresentare per loro una figura maschile con cui confidarsi un po'. Sicuramente avrebbe cercato di fare del suo meglio per aiutarle e proteggerle, nonostante loro sembrassero forti rimanevano comunque delle ragazze in una casa prettamente maschile.
Andarono poi tutti a dormire, l'orologio segnava mezzanotte passata, e nella grande dimora dei Cullen regnava dunque un prezioso silenzio, segno che la giornata successiva sarebbe stata impegnativa per tutti i suoi abitanti. 








19 Ottobre 1893, Londra. Ore 10:43.


Un rumore continuo, una lama di coltello che batteva sul legno. Un profumino inebriante proveniva dalle cucine. James quella mattina non era solo, le
sorelle Swan lo stavano aiutando indaffarate.
Era domenica e, come ogni settimana, il dottor Cullen organizzava un brunch con alcuni famigliari, per poter approfittare tutti insieme.  Il giorno prima le ragazze erano state avvisate e, quindi, avevano ricevuto delle nuove direttive. Avrebbero potuto restare a riposare di più, ma vollero aiutare il cuoco in quella giornata; la zia e il padrone di casa sarebbero tornati proprio in tempo per il brunch, e le tre volevano preparare il loro dolce preferito che faceva sempre mamma Renée quando loro erano piccole.
Alice si occupava di affettare a lamelle sottili le mele verdi e rosse che Julian aveva portato fresche di giornata dal mercato della frutta, non molto lontano da casa.
Rosalie, dal canto suo, aveva impastato velocemente la brisé, con una grande energia che la aiutava a scaricare lo stress delle settimane passate tra le grinfie di Emmett Cullen.
Bella, non essendo una grande esperta di dolci, aveva voluto contribuire preparando l'unica crema che le riusciva sempre bene: la crema pasticciera.
James le osservava con un sorriso, era davvero contento di avere un prezioso aiuto in cucina quella mattina, Trevor lo aveva informato che sarebbero venute alcune zie del dottor Cullen e voleva fare bella figura.
Le baguette erano in forno, Bella si era proposta di farle prima mentre Rosalie e Alice preparavano insieme al cuoco un boeuf bourguignon, un piatto tipico francese che zia Esme faceva nelle occasioni speciali. Oltre a quello, tanti altri piccoli manicaretti componevano un menù da leccarsi i baffi.
- Rose, non ci hai mai detto dove sei stata l'altra notte. - Alice con un sorrisino malizioso finí di sistemare le fettine di mela a formare una rosa al centro della pasta, sopra la crema pasticciera appena tiepida.
- Oh Al, dai. Non ho fatto niente, ho trovato una porta aperta e sono stata in una stanza vuota per un po', poi sono tornata in camera e voi stavate già dormendo da un pezzo. - Rispose la sorella, stuzzicando la sua curiosità.
Alice prese un pochino di farina e gliela lanci
ó, facendola arrabbiare e facendo ridere sia Bella che James, nonostante lui non avesse capito il loro discorso.
Poi posarono i loro grembiuli, e Bella rifiní la torta spolverandoci sopra un po' di zucchero a velo.
- Grazie, ragazze. Mi avete davvero aiutato stamattina, ve ne sono grato. - James pulí velocemente il bancone di lavoro, mentre le ragazze si preparavano con i vassoi a servire le varie portate. Ma ad un tratto i quattro sentirono dei passi arrivare in lontananza, e tesero le orecchie per capire chi fosse.
La porta si aprí ed entró Trevor, tutto trafelato. - Signore, il dottor Cullen sta per tornare. Mi ha chiesto di farvi cambiare di abito e di raggiungere gli altri in sala da pranzo per partecipare al brunch. - Disse, sollevando un sopracciglio in segno di disapprovazione.
Le sorelle si guardarono un attimo, pensando di non aver capito. Quindi Trevor le incalz
ó per uscire dalla cucina e andare a prepararsi, visto il lavoro non avevano una bella cera. Julian arrivó qualche secondo dopo, correndo per il solito ritardo.
- Sempre in ritardo, Julian! Se la casa dovesse dipendere da te, allora staremmo tutti in rovina! - Furono le ultime parole che sentirono le ragazze, prima di sparire in direzione della camera.
- Ragazze, ma ho capito bene? Pranzeremo con il signor Cullen e famiglia? Cioé, proprio tutta tutta?? Anche i figli? - Rosalie stentava ancora a crederci, mentre le sorelle la seguivano.
- A quanto pare... Non capisco cosa stia succedendo. Prima la zia sparisce con il signor Cullen padre per giorni e giorni, e proprio mentre stanno tornando ci dicono che mangeremo tutti insieme. Speriamo bene! - Alice e Bella iniziarono a correre, facendo a gara a chi arrivasse prima.
 - State attente! Non fate casino, ragazze, che se doveste cadere poi che figura ci faremmo? - Rosalie scosse la testa sconsolata, mentre le sorelle le fecero la linguaccia e arrivarono in camera.


                                                          *****************************


- Zia Esme! - Bella salt
ó al collo della zia, che rideva felice di ritrovare le nipoti. - Bambine mie! Mi siete mancate tanto! - Accolse anche le altre due tra le braccia, e rimasero qualche secondo a stringersi forte.
- Ma dove sei stata? Non ci hai nemmeno avvisate che saresti partita... - Alice non voleva risultare insolente o arrogante ai suoi occhi, non avrebbe mai potuto, ma un pizzico di delusione apparve nei suoi occhi.
- Non posso raccontarvi nulla. Preparatevi, forza, ci aspettano tra non molto in sala da pranzo. Carlisle é giù, mi ha mandata a controllare che foste al corrente. - Fece per uscire, ma Rosalie la interruppe.
- Come? Hai mica detto... - La zia le pos
ó teneramente l'indice sulle labbra, per zittirla come quando era piccola.
- Ne parliamo stasera. - E uscí, lasciando le ragazze attonite. Prese da un moto di curiosità, si vestirono in fretta.
L'orologio scoccava le 12:30 in punto, quando le tre varcarono l'entrata della sala da pranzo. Era una stanza immensa, con una parete interamente ricoperta di finestre da cui passava una luce intensa, che riscaldava l'ambiente.
Al centro, un tavolo di legno pregiato padroneggiava la stanza, coronato in alto dalla presenza di un lampadario in cristalli preziosi.
Una tovaglia bianca, con dei ricami ai bordi, copriva il tavolo fino al cuscino delle sedie, quasi tutte occupate. Su di essa, tante candele in fila alternate a dei portafrutta colmi di succulente mele e arance completava la decorazione.
Le ragazze erano entrate diverse volte nella sala, ma mai si erano soffermate sui dettagli cosí a lungo, erano sempre talmente indaffarate nel servire i loro nuovi datori di lavoro che non riuscivano a dedicarsi molto tempo per esplorare la casa.
Al contrario delle altre volte, quel giorno nessun parente era presente se non i tre fratelli.
Carlisle fece segno loro di accomodarsi, erano pronti tre posti liberi di fronte ai figli, il resto della tavola era stato lasciato senza coperti.
Bella si accomod
ó di fronte a Emmett, dopo aver notato che la sorella Rosalie stava provando ad allontanarsi da lui, sedendosi quindi di fronte a Jasper.
Alice prese l'ultimo posto libero davanti ad Edward, che le sorrise educatamente.
- Bene, buongiorno a tutti. Spero che questo brunch possa rendere la vostra giornata migliore, e permettere a tutti di godere di questa giornata di riposo. - Carlisle invit
ó dunque gli altri commensali a mangiare, le ragazze titubanti si sentivano leggermente a disagio.
- Avanti, ragazze, mangiate! Non preoccupatevi, va tutto bene. - Sussurr
ó loro Esme, con un sorriso quasi materno e uno sguardo dolce rivolto verso le tre nipoti. Emmett squadró le quattro velocemente, non approvando l'utilizzo di una lingua straniera a tavola, ma non disse niente.
Il pasto proseguí in silenzio, tutti avevano un qualche pensiero che appesantiva la loro mente, ma nonostante ci
ó fu un momento in cui molte consapevolezze stavano salendo a galla.
Edward si rendeva sempre più conto di quanto la presenza delle tre sorelle, in particolare Isabella, fosse diventata ormai quotidianità, e non poteva che non esserne felice. Dopo anni in cui solo le zie e la nonna entravano in casa, era un toccasana per lui avere una presenza femminile intorno.
Jasper, dal canto suo, aveva decisamente capito il perché suo padre aveva rotto la sua promessa fatta anni prima, e iniziava ad abituarsi ad avere dei nuovi visi in casa. C'era un qualcosa in Alice, per
ó, che gli provocava un nodo alla bocca dello stomaco ogni volta che si ritrovavano soli. Non sapeva spiegarsi che cosa fosse, né cosa sentisse realmente in quei momenti, ma cercava sempre di più di comprendere cosa gli stesse succedendo. Essendo un generale, non aveva mai avuto sensazioni simili, e anzi spesso era lui con il suo pugno fermo a incutere un leggero timore nelle sue brigate, che portavano un gran rispetto nella sua persona.
Emmett era stato d'accordo con il padre, quando glielo propose, e non aveva trovato particolari problemi con Esme o con le sorelle, ad eccezione di Rosalie. Dal primo momento in cui si present
ó in camera sua, il giorno del suo arrivo, qualcosa lo aveva colpito e non riusciva a non pensare a Jane. Per questo, a detta sua, pensava che quello che sentiva per lei non fosse altro che un forte ribrezzo, misto ad un fastidio perenne per la sua presenza intorno a lui. La maltrattava perché voleva ferirla, voleva allontanarla da lui e soprattutto non voleva essere influenzato o ammaliato da quegli occhi ingannevoli. Non avrebbe permesso che una semplice domestica potesse avere la meglio su di lui, era Emmett Cullen in fondo, nessuno avrebbe potuto farlo.


- Stasera riceveremo ospiti per una festa. - Carlisle interruppe il silenzio, esattamente nel momento in cui il thé venne servito. - Vi chiedo scusa per il poco anticipo con cui vi ho avvisati, ma so che i vostri abiti sono pronti. - Bevve un sorso ancora bollente, approfittando di quel gusto, mentre i figli avevano preso d'assalto il vassoio con i biscotti.
- Padre, perché proprio oggi la festa? Che cosa celebriamo? - Jasper osserv
ó il padre prendere un lungo respiro, ma non ebbe mai risposta.
Le ragazze si alzarono una volta l'ora del thé finita, per andare a prepararsi. Passarono prima da James, visto che la zia non voleva proferire con loro alcuna parola e la curiosità le stava divorando.
- Beh, ragazze, ormai conosco bene questa casa e i suoi abitanti. Cercate di prepararvi al meglio, ci saranno ospiti di grandi famiglie nobili e sanno essere davvero perfidi nei confronti dei domestici. - Diede loro alcuni consigli su come comportarsi con ospiti di quel rango, poi le ragazze salirono per prepararsi.


19 Ottobre 1893, Londra. Ore 20:23.


Una spruzzata di profumo, un po' di cipria sul naso e le ragazze erano pronte. Tutte e tre erano fasciate nei loro vestiti fatti su misura, ognuno di un colore diverso ma seguendo uno stile simile. Alice indossava fra i capelli una coroncina fatta con una collana di perle che le aveva regalato la mamma anni prima, la gonna ricadeva leggera sulle sue gambe, aveva deciso di non indossare il sottogonna rigido per sentirsi più libera, e soprattutto perché non voleva fare la figura della sfrontata.
Bella dal canto suo aveva chiesto che il suo abito fosse ancora più semplice, di color giallo pastello molto delicato, aveva legato intorno alla vita una cinturina e i capelli sciolti ma ben sistemati, e ai lobi un paio di orecchini.
Rosalie aveva optato per un abito largo, evidenziava appena le sue forme; i suoi capelli erano legati in un'acconciatura elegante ma semplice, e indoss
ó una collana che arrivava fino al suo decolleté, evidenziandolo.
- Sono nervosa, ragazze. - Bella giocava nervosamente con le sue mani, ripensando ai consigli di James. - Non preoccuparti, Bells. Andrà tutto bene. - Rosalie non era totalmente convinta che la cosa sarebbe andata veramente cosí, ma voleva che almeno le sorelle potessero passare una bella serata.
- Dai, andiamo, si sta facendo tardi. - Disse poi, lasciando passare le sorelle e uscendo dalla stanza, chiudendo dietro di sé la porta con gentilezza.
I loro passi risuonavano all'unisono nel corridoio vuoto, mentre al piano di sotto, in un grande salone da festa decorato e lussuoso, rieccheggiavano le voci delle persone che parlavano tra di loro, e in sottofondo una musica risuonava, una bellissima melodia suonata da alcuni musicisti ingaggiati per l'evento. Le ragazze entrarono nella sala, e la zia and
ó loro incontro raggiante, finalmente poteva approfittare di un momento con loro.
- Zia, che bella che sei! - Alice si tuff
ó tra le sue braccia, seguita a ruota dalle sorelle. - Ma cosa succede zia? - Chiese poi la ragazza, staccandosi appena. - Ragazze mie, mi dispiace lasciarvi in questo stato, credetemi. Ho promesso di non dirvi niente, ma non preoccupatevi presto capirete tutto. - Disse sorniona, con un sorriso splendente che le illuminava il volto. Le ragazze, perplesse, decisero di approfittare della serata.
Julian apparve alle loro spalle con un vassoio d'argento tra le mani, sopra di esso dei calici con una bevanda chiara e degli stuzzichini.
- S-siete bellissime... Io ehm, io... - Arrossí, guardando i suoi piedi. Alice ridacchi
ó, e posó una mano sulla sua spalla. - Julian, ormai ci conosciamo, dovresti rilassarti. - Lui sorrise rilassato, e dopo che le tre presero un bicchiere a testa continuó il suo giro.
- Ragazze, eccovi! - Edward e i fratelli, vicino ad un tavolo apparecchiato con un servizio d'argento e dei tovaglioli di un tessuto pregiato, fecero segno alle tre. - Vuoi ballare? - Chiese a Bella, con una punta di timidezza che provava invano a nascondere. Le porse una mano, che lei afferr
ó delicatamente e andarono in mezzo alla sala a ballare insieme agli altri invitati.
Gli altri quattro rimasero fermi, e si accomodarono in un silenzio pesante al tavolo.
- Bello. - Disse Emmett, riferendosi alla coroncina di Alice. - Oh, grazie. - Disse lei, appena confusa.
L'orchestra abbass
ó il volume della musica, e gli invitati si accomodarono ai tavoli per la cena, Carlisle ed Esme si accomodarono insieme ai ragazzi.
Alcuni camerieri vestiti di tutto punto iniziarono dopo poco a servire la prima portata, e le ragazze iniziarono a chiacchierare tra di loro insieme alla zia; Carlisle dal canto suo era rimasto serio, ma scambiava comunque due parole con i figli a riguardo di un lavoro svolto da Emmett su una loro proprietà nella contea del Kent.




A fine pasto, dopo varie portate succulente, con davanti un'ampia scelta di pasticcini, Carlisle propose un brindisi richiamando l'attenzione dei presenti, che subito presero in mano il proprio bicchiere.
- Carissimi, sono felice di vedervi tutti riuniti qui stasera, per condividere con voi questo momento felice. Vi starete chiedendo il motivo per il quale io vi abbia convocati tutti, con un preavviso cosí breve. - Carlisle avvicinó il suo calice a Esme, che sorrideva imbarazzata, sotto lo sguardo sospetto dei figli e delle tre sorelle. 
Le ragazze si accorsero in quel momento che i due erano troppo vicini, e forse un'idea di quello che era successo realmente si stava facendo spazio nelle loro menti.
- Vorrei approfittare di questo momento di attenzione che mi state concedendo, cara famiglia, cari amici e colleghi, per annunciarvi una novità in casa Cullen. Io e la qui presente Esme Evanson ci sposeremo. - Con un grande stupore, tutti si apprestarono a fare loro le congratulazioni per la bella notizia. Le sorelle erano felici, nonostante fossero sotto choc, e si alzarono di scatto per andare ad abbracciare la zia in un momento di sacro silenzio, i loro respiri erano quasi sincronizzati e sembrava quasi di sentire i loro cuori battere all'unisono in uno slancio d'amore infinito. Poi i due futuri sposi vennero trascinati nella folla entusiasta e fin troppo curiosa e impicciona.
I due fratelli Edward e Jasper erano rimasti di sasso. Edward sicuramente era felice per il padre, non lo vedeva sereno ormai da anni nonostante non avesse mai fatto mancare loro il meglio. Jasper non sapeva cosa dire, né cosa sentiva in realtà nel suo cuore. 
Un rumore di vetro rotto si perse nella musica. Emmett aveva stretto cosí forte il suo bicchiere da romperlo, e ferirsi appena ad una mano.
Le tre sorelle se ne accorsero, e Isabella prese coraggio e si avvicin
ó al moro, che era livido. - Tutto bene? - Chiese. Lui le lanció uno sguardo infuocato, e dovendo digerire le male parole per non fare la figura del cafone, respiró profondamente un paio di volte. - No. - Seppe dire solo quello; Bella gli propose di accompagnarlo per medicarsi. Lui non rispose, ma si alzó riluttante per seguirla in cucina insieme a Trevor, accorso dopo aver assistito da lontano alla scena.
- Sono talmente felice, Rose! La zia si sposa! Lo avresti mai immaginato? - Alice era davvero entusiasta, aveva già perdonato Esme per il suo comportamento bizzarro nonostante avesse comunque un forte desiderio di capire meglio cosa fosse successo in quel periodo di assenza dei due.
- No, ma sono scioccata a tal punto da non capire nemmeno se sia un sogno o la realtà! - Disse Rosalie, prendendosi un pizzicotto dalla sorella. Edward rise della scenetta, mentre Jasper buttava giù l'ennesimo bicchiere di gin.
Esme raggiunge le sorelle, che la presero per mano e iniziarono a porle mille domande a riguardo.
- Bambine mie, prometto di raccontarvi tutto domani a colazione. Godiamoci la serata, ce lo meritiamo! - Disse lei.
Emmett e Bella tornarono dopo qualche minuto, seguiti da Trevor che tentava in ogni modo di assicurarsi che il ragazzo stesse bene e ricevendo in cambio occhiatacce.
L'orchestra ricominci
ó a suonare la melodia che avevano lasciato a metà prima della cena, e tutti si rimisero a ballare in onore del futuro matrimonio.
Jasper, dopo aver ingurgitato una dose abbondante di alcool, invit
ó a ballare il fratello insieme a Alice e Bella, gli unici che rimasero al tavolo furono Rosalie ed Emmett, che non si degnavano di uno sguardo.
Lui guardava davanti a sé, reggendo un bicchiere di whisky con la mano non fasciata, mentre lei si osservava i piedi con le mani appoggiate delicatamente sulle gambe, ripensando alla prima sera.

Passarono i minuti, e i due non si erano mossi dal loro posto; l'unica cosa che era cambiata era la quantità di whisky ingerita da Emmett, che iniziava a perdere la lucidità per l'ennesima volta. Iniziava a lanciare sguardi languidi a Rosalie, che non poté non notarlo e soprattutto sentire la sua presenza diventare insistente. Cercava di evitarlo, aveva il presentimento che ci
ó che era capitato quella notte potesse ripetersi, e non voleva fare altre cose di cui si sarebbe poi pentita.
In un momento in cui tutti gli ospiti erano concentrati sulla musica e sul ballo, Emmett si alz
ó e si diresse goffamente verso Rosalie, afferrandola per un polso. - Vieni con me. - Le disse, con una voce profonda e lievemente rauca. Senza avere bisogno che lui la trascinasse con sé, si ritrovarono velocemente in un corridoio semibuio.
Lui afferr
ó con decisione la testa di Rosalie, iniziando a baciarla con foga. Lei strabuzzó gli occhi, ma un secondo dopo rispose esitante al suo bacio.
Preso dall'impeto, Emmett volle affondare una mano tra i capelli biondi della ragazza, ma gemette per il dolore. - Stai attento... - Sussurr
ó lei, preoccupandosi per la mano di lui.
Lui riprese a baciarla, senza lasciarla andare più. Mise un braccio attorno alla sua vita, stringendola ancora più a sé, poi la sollev
ó appena, facendola sussultare, e la portó alla fine del corridoio, in una stanza che conteneva oggetti vari.
Mantenendola per la vita, la appoggi
ó rozzamente al muro, facendole sbattere appena la schiena. - Scusa. - Sussurró lui sulle sue labbra, non riusciva a staccarsi e non lo fece nemmeno per sollevare la sua gonna.
Rosalie sapeva che era sbagliato, sapeva che quello che stavano facendo era un grande errore, ma il suo cuore le suggeriva altro. Stava iniziando a provare un forte sentimento per quel ragazzo che dal primo giorno non aveva fatto altro che sminuirla e trattarla male, avrebbe dovuto ripudiarlo e allontanarsi da lui ma si sentiva talmente attratta che non vedeva altro che lui in quel momento. Pass
ó una sua mano tra i suoi ricci neri, mentre con l'indice dell'altra passava sul rilievo del braccio del ragazzo, che aveva i muscoli tesi per lo sforzo di reggerla. Passó poco prima che lui la facesse sua, si unirono intensamente e finirono insieme in un gemito, strozzato dalla paura di essere scoperti.
Rimasero cosí, guardandosi negli occhi senza proferire una parola, fino a che lui non decise di farla scendere delicamente e sistem
ó il calzone.
Lei aveva il viso in fiamme, il cuore in subbuglio e la testa che galoppava tra mille pensieri sconnessi tra loro.
Aveva appena avuto un rapporto illegittimo con il figlio maggiore del signor Cullen, che un'ora prima aveva annunciato l'ormai imminente matrimonio con sua zia Esme.
Ma cosa poteva fare, se il suo cuore la spingeva inesorabilmente tra le braccia del bellissimo e incredibilmente affascinante Emmett Cullen?
L'uomo aveva finito di ricomporsi, e dopo aver aggiustato il colletto della propria camicia, guard
ó Rosalie con degli occhi completamente indifferenti. - Torniamo alla festa. - Le disse, e contrariamente a prima uscí dalla stanza senza preoccuparsi minimamente della ragazza.
Rose, non appena lui si fu allontanato abbastanza, scoppi
ó in lacrime, singhiozzando in silenzio.
- Ma cosa ho fatto? - Disse fra sé e sé, tenendosi il viso con le mani, mentre le ciocche dei suoi capelli le ricadevano giù dalle guance e la incorniciavano in un ritratto non particolarmente felice.
- Devo sistemarmi, non posso tornare di là conciata in questo modo. - Pens
ó, cercando da qualche parte un punto in cui avrebbe potuto specchiare, e doveva trovare una scusa nel caso in cui le sue sorelle le chiedessero qualcosa.


Alice e Bella avevano ballato a lungo con i fratelli Cullen, alcune dame di mezza età le avevano squadrate in silenzio poco più in là ma loro, seguendo i cari consigli del cuoco, le avevano completamente ignorante. Non erano ancora convinte di quello che sarebbe successo nelle loro vite dopo il matrimonio della zia con uno degli uomini più influenti di Londra, ma sicuramente sarebbero state per sempre l'una a fianco dell'altra.
Cercavano con lo sguardo la sorella, che sembrava sparita. - Al, dov'é finita Rose? - Chiese Bella, alzandosi sulle punte per provare a scorgerla.
- Non lo so Bells, ma pare che anche Emmett non sia qui. - Disse lei, con una pesante consapevolezza nel suo cuore. Si guardarono per un istante, temendo il peggio, fino a che l'imponente figura del ragazzo non spunt
ó poco lontano dalla finestra.

Asciungandosi le ultime lacrime, Rosalie fece capolino dalla porta, sperando che le sorelle non la vedessero. Aveva sciolto i capelli, non riuscendo a rifare l'acconciatura a causa delle sue mani che non smettevano di tremare, e li aveva intrecciati velocemente cercando di non dare troppo nell'occhio.
Ma, poiché le sue sorelle la conoscevano davvero molto bene, nel momento in cui il suo sguard
o incroció quello di Alice, capí che loro sapevano, o meglio che sospettavano.
Si schiarí la voce, e pregandole con gli occhi di non dire nulla e di non accennare al fatto che lei si fosse assentata insieme al primogenito dei Cullen, le raggiunse.


                                                                 ***************************



- Stai bene? - Alice e Bella si erano sedute sul letto di Rosalie, accerchiandola, e la guardavano con apprensione.
- Sí. Non é successo niente, aveva bisogno di aiuto per la mano e visto che eravate impegnate sono andata in cucina per fasciargliela meglio. - Disse lei, cercando di convincerle.
Nonostante il dubbio le attanagliasse, Bella e Alice decisero di non insistere, e si prepararono per andare a letto.
Nessuna di loro sapeva che quella notte avrebbe cambiato completamente le carte in tavola, e il destino di una in particolare stava per rivelarle una sorpresa del tutto inaspettata.




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Capitolo 6
*** Capitolo V ***


Capitolo V





20 Ottobre 1893, Londra. Ore 9:25.

I sei ragazzi si riunirono insieme al padrone di casa e alla futura consorte intorno al tavolo da pranzo, per condividere una colazione molto più speciale delle altre.
Vi furono molte domande, i fratelli in particolar modo avevano molte perplessità per cui non riuscivano a capire come Carlisle Cullen, uomo di scienza molto razionale e logico, avesse potuto prendere una decisione cosí avventata in un lasso di tempo cosí breve.

- Ve l'ho già spiegato, figli miei. - Ripeté per l'ennesima volta Carlisle, appoggiando le posate accanto al piatto e intrecciando le dita delle mani davanti al suo viso, con i gomici appena sul tavolo.
- Ma padre... - Jasper provó a ribattere invano. - No, Jazz. Lo so che non mi avete mai visto prendere una decisione cosí all'improvviso, ma é successo e ne sono più che felice. - Disse il padre, sorridendo teneramente ad Esme seduta accanto a lui, che in quel momento sentiva addosso un grande peso.
- Padre, noi non stiamo assolutamente andando contro la vostra volontà, e proviamo un grande rispetto verso Esme. Dobbiamo solo realizzare che presto questa famiglia subirà un grande cambiamento. - Emmett aveva un'espressione molto seria, Rosalie aveva notato che in presenza del padre il ragazzo era completamente diverso e molto più rigido di quanto non fosse il resto del tempo.
- Esatto, padre. Sia io che Jasper abbiamo discusso stamattina a riguardo, e se la vostra felicità sta nel matrimonio con Esme, noi non possiamo che essere dalla vostra parte. - Carlisle sorrise al figlio minore.
- Bene, ragazzi. Ne sono felice. - Concluse quindi, permettendo al resto del tavolo di finire di consumare la colazione.
Le ragazze e la zia, nel frattempo, avevano ripreso a parlare tra di loro discretamente; Esme aveva raccontato loro di come il primo giorno, appena incrociato lo sguardo di Carlisle, qualcosa dentro di lei scatt
ó e non poté controllarlo. Forse si era resa conto che l'amore in lei poteva sbocciare come tanti anni prima, e che non era troppo tardi per lei per provare sentimenti tali.
Aveva anche detto che Carlisle, dal canto suo, non le nascose che la stessa sensazione la ebbe pure lui. Infatti non esit
ó un istante quando poche ore dopo chiese ad Esme di accompagnarlo in un viaggio di lavoro, che fu per loro galeotto.
- Abbiamo deciso di rimanere ospiti a casa di quel ricco nobile solo quando fummo messi al corrente che il povero padrone di casa, Billy Black, era rimasto vedovo. - Disse Esme, dispiaciuta.
La moglie Sara era malata da tempo, e Billy in una lettera disperata aveva richiesto al suo amico di vecchia data di poterlo raggiungere il prima possibile, per fare un ultimo tentativo e cercare di salvarla.
Carlisle aveva già previsto in precedenza di rendere visita al signor Black, ma non appena ricevette quella lettera decise che era più che necessario rendercisi il prima possibile.
- Ed é per questo motivo che non abbiamo potuto avvisarvi, bambine mie. - Concluse lei. Le sorelle, ancora frastornate da tutti i cambiamenti dell'ultimo periodo, non poterono che comprendere la zia. In fondo, non stava succedendo anche a loro di infatuarsi dei Cullen?
- Già. - Sussurr
ó Rosalie, smuovendo con la forchetta l'acino d'uva che rimaneva sul suo piatto. Alice la guardó corrucciando le sopracciglia, mentre Bella le diede un debole calcio sotto al tavolo, per farla tornare alla realtà.
I suoi pensieri erano concentrati solo su quello che era successo in quella stanza, la sera prima. Non riusciva a dimenticare le mani roventi di Emmett sul suo corpo, ma soprattutto il dolore che aveva provato lei quando lui l'aveva lasciata sola subito dopo.
Ma l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento, era farsi scoprire da
l resto della famiglia. Quindi si destó dai suoi pensieri. - Già, zia. Non é un problema, abbiamo passato di peggio. - Disse, stringendo le labbra in un impeto di nervosismo durato poco meno di un istante.
- Beh, in ogni caso sono felice che da oggi in poi noi tutti potremo considerarci come un'unica famiglia. - Disse Carlisle, guardando negli occhi tutti e sei i ragazzi, uno dopo l'altro. - So che non sarà semplice abituarsi da subito all'idea, ma credo che con il tempo le cose andranno bene. - Termin
ó.
- Ma quindi... Noi non dovremo più servire... - Carlisle interruppe Bella con una risata cristallina. - Oh no, Isabella, assolutamente no. Ora fate parte della famiglia tutte e quattro, nessuno sarà al servizio di nessuno e, anzi, io ed Esme in questi giorni terremo dei colloqui per poter assumere un paio di governanti che potranno occuparsi di voi come si deve. -
- Non sia mai che la prossima sarà per me. - Ringhi
ó a denti stretti Emmett, facendo gelare il sangue nelle vene di Rosalie. Tutti si girarono a guardarlo, e il padre con una punta di rabbia lo fissó a lungo.
- Scusatemi, padre. Era inappropriato. -  Disse poi lui, con un tono alquanto scocciato. Esme aveva lo sguardo basso, e il ragazzo lo not
ó, ma non replicó.


Tutti i commensali si erano alzati per recarsi ognuno alle proprie attività, Carlisle aveva un importante appuntamento in città e si era quindi congedato velocemente e le ragazze si erano dirette in camera per prepararsi.
Emmett si era trattenuto qualche istante in più, cercando poi di raggiungere la futura moglie del padre.
- Esme, io... - La donna si fermó, senza girarsi veramente a guardarlo, voleva prima sentire cosa avesse da dirle. - Mi dispiace. Non volevo ferirvi. - Disse, mettendo via l'orgoglio per la prima volta dopo tanto tempo. Esme sorrise, girandosi finalmente per guardarlo negli occhi.
- Capisco. Sai, io non voglio prendere il posto di vostra madre. Non l'ho mai fatto nemmeno per le mie nipoti quando sono rimaste orfane, le ho cresciute come figlie ma mai ho detto loro di essere la madre. Non potrei farlo nemmeno con voi. - Disse quindi. Dietro di lei, i fratelli avevano ascoltato tutta la conversazione, poiché non vedendo Emmett uscire dalla sala da pranzo si stavano chiedendo che cosa avesse.
- Grazie, Esme. - Sussurr
ó Jasper, con un nodo alla gola e gli occhi improvvisamente lucidi. Se fino a quel momento non aveva ancora saputo dare un nome a quello che sentiva, improvvisamente un'immagine si presentó davanti agli occhi. Finalmente aveva capito cosa aveva spinto il padre ad innamorarsi cosí velocemente di quella donna. Aveva una immensa sensibilità, che lui percepiva subito, e riusciva a dare amore anche a chi non lo chiedeva.
Rimasero tutti e quattro in silenzio, osservandosi con cautela. I tre fratelli stavano lentamente accettando che la donna sarebbe presto diventata la loro matrigna, ed erano sempre più convinti che il padre avesse fatto una buona scelta. Avrebbero forse trovato in lei quella figura materna che da anni mancava loro?



                                                             ***************************



25 Novembre 1893, Londra. Ore 3:41.


Due voci strozzate, mescolate nel silenzio della notte, interrotte da diversi ansimi, riecheggiavano nella camera da letto di Emmett Cullen. Due corpi viaggiavano all'unisono sulle onde del piacere più puro, nascosti solo da una coperta che dava loro un pizzico di intimità in più.
Dal giorno in cui Carlisle ed Esme si erano ufficialmente fidanzati, Rosalie non aveva più potuto sottrarsi alle richieste dirette ed esplicite di Emmett. Quasi ogni notte, dopo essersi accertata che le sorelle dormissero, si dirigeva verso la sua stanza, sapendo che lui la aspettava. Ci andava con cautela, facendo attenzione che nessuno la potesse vedere o sentire. Entrava, e come ogni notte lui era lí, davanti alla finestra come il giorno del loro incontro. Sapeva di sbagliare, sapeva che niente la obbligava più a rispondere alle richieste del ragazzo, ma non poteva più farne a meno.
Una volta finito, Emmett non si occupava più di lei. Forse lei desiderava da lui avere quello che non aveva mai ricevuto prima da un uomo, un amore pure.
Quella notte, per l'ennesima volta, Emmett si stava infilando un paio di pantaloni di cotone per poter poi andare a dormire. Rosalie era ancora sotto alle coperte, ricoperta da una vestaglia da notte leggera e svolazzante di colore bianco splendente, e i capelli le contornavano il viso intristito. Si riprometteva ogni volta di non cascarci di nuovo, ma quando prima di cena Emmett le faceva cenno, lei non riusciva a dire di no.
Si alzó lentamente, non se la sentiva di guardarlo in faccia per la delusione. Raccolse il suo vestito dalla sedia accanto, indossandolo poi svogliatamente. Si avvolse i capelli in uno chignon disordinato, e senza dirgli nulla uscí dalla stanza, sotto il suo sguardo confuso.
Emmett era riuscito a distruggere la corazza che da anni stava cercando di costruire intorno a sé. Da quando la madre era morta e avevano dovuto lasciare Parigi insieme alla zia, erano successe tante di quelle spiacevoli avventure da farle credere che peggio di cosí non sarebbe potuto andare.
Inizi
ó a camminare, dirigendosi verso una delle terrazze in fondo al corridoio. Cercava di non fare rumore, per non svegliare il resto della casa.
Arrivata davanti alla porta vetrata, la aprí delicatamente e uscí; l'aria gelida dell'inverno la colpí in pieno viso, ma la tua testa era talmente piena di pensieri che nemmeno se ne accorse.
Ripensava agli anni passati, a tutti quei volti che aveva incontrato nel corso degli ultimi anni, e di come sia lei che le sue sorelle avessero dovuto difendersi dal male che capitava loro.
Gli alberi di fronte a lei ondeggiavano soavi, accarezzati dal vento che soffiava impetuoso. Rosalie li osservava attenta, avrebbe voluto avere delle radici profonde e una cortezza forte e resistente come le loro, in presenza di Emmett.
Una voce la chiam
ó, sussurrando, alle sue spalle. Lei sobbalzó, ritrovandosi Jasper davanti che la guardava incuriosito.
- Che ci fai qui, Rosalie? Non credi sia tardi? - Le chiese, con le braccia conserte. Il ragazzo si era ormai abituato alla presenza delle quattro donne, aveva instaurato un bellissimo rapporto con la maggiore delle sorelle proprio perché entrambi avevano molte similitudini caratteriali, sembravano quasi fratelli.
- Oh, Jazz. Beh, hai proprio ragione, é tardi. Ma non riuscivo a dormire. - Disse lei, sospirando profondamente. Lui si appoggi
ó alla ringhiera con gli avambracci, guardando giù nel giardino completamente buio.
- Siamo in due, Rose. Questa notte é lunga e difficile per entrambi, direi. -
Rimasero in silenzio a lungo, a contemplare la natura che si manifestava libera davanti ai loro occhi. All'improvviso, delle fitte gocce di pioggia quasi taglienti iniziarono a colpirli, e decisero di rientrare velocemente.
- Non ci avete mai raccontato cos'é successo davvero prima che arrivaste qui. - Disse lui, con fare serio e tenendo le mani dietro alla schiena.
- É vero. Ma non credo che sia giusto farlo se le mie sorelle non ci sono. Siamo tutte e tre coinvolte, é la nostra storia. - Disse quindi la bionda, aggiustandosi un bottone del corpetto del vestito.
- E quale migliore occasione di domani all'ora del thé per farlo? Mio padre ed Esme saranno in città per affari e impegni per il matrimonio, non avete più scuse. - Disse lui, guardandola e accennando un sorriso furbo. Lei rise, cercando di non fare troppo rumore.
- Non dimenticare che domani sera ci sarà Laurent a cena, non lo vediamo da un mese ormai. - Sussurr
ó Rosalie, fermandosi insieme al ragazzo davanti alla sua camera. - Ti do la mia parola che saprai tutto. - Lui annuí con la testa, per poi entrare dopo averle augurato la buonanotte.
La ragazza si avvi
ó quindi verso la sua stanza, passando velocemente davanti a quella di Emmett. Provó ad ascoltare, ma nessun rumore usciva da quella stanza; si ritiró per andare a dormire, con ancora un macigno sul cuore.


                                                                     **********************

- Basta cosí, grazie. - Disse Bella, alzando appena la mano destra, e Julian tremante le porse la sua tazza di thé nero con aggiunta di latte. Lei prese un cucchiaino di zucchero bruno, e mescoló lentamente la sua bevanda, mentre gli altri finivano di essere serviti.
I sei ragazzi erano accomodati in un salone adibito a grande libreria, fuori una pioggia incessante batteva contro le finestre e il cielo nuvoloso si scuriva sempre di più.
I due futuri signori Cullen erano andati in città al mattino, e non sarebbero tornati fino a sera in compagnia di Laurent, per la cena.
- Rosalie. - Disse Jasper, guardandola dritto negli occhi. Lei sospir
ó appena, sapeva che non avrebbero più potuto rimandare il momento. Sua zia aveva detto loro che Carlisle era già al corrente del loro passato, e che lo aveva accettato senza tentennare minimamente, e ció le rassicurava molto, ma non era comunque facile per loro ricordare quei momenti.
Alice addent
ó un pezzo di gingerbread cake, che aveva preparato al mattino insieme a James.
- E va bene. - Sussurr
ó Rosalie, cercando lo sguardo delle sorelle. Bella posó una mano sulla sua gamba, invitandola a lasciarla parlare.
- Siamo tornate in Inghilterra nel 1887, zia Esme aveva ricevuto una lettera da un'amica di mamma; al nord di Manchester vi era questa fabbrica di tessuto che cercava tessitrici e zia ci propose di andare.
Accettammo subito, non volevamo essere un peso per lei e tornare in Inghilterra sarebbe stato più semplice che restare a Parigi. - Emmett stava giocherellando con il cucchiaino, sguardo basso fisso sulla tazza fumante di fronte a lui, ma era molto attento al racconto, nonostante non volesse farlo trasparire agli altri.
- Abbiamo alloggiato in alcune camere in cui vivevano altre lavoratrici che venivano da fuori, come noi. La maggior parte di loro era inglese, compresa Anne, l'amica della mamma. I primi giorni ci sembravano duri, il lavoro era intenso e le ore di riposo erano poche, ma quando la zia ricevette il nostro primo stipendio ci sembrava cosí tanto soddisfacente... Ci sentivamo finalmente indipendenti. - Bella prese una pausa, sorseggiando il thé. Alice decise quindi di continuare il racconto.
- Passarono i mesi, ci eravamo ormai abituate al lavoro ed eravamo più o meno tutte solidari tra di noi, sapevamo che non era un ambiente facile per le donne ma dovevamo tirare avanti. Un giorno, il figlio del capo, un certo Royce King, venne in fabbrica per controllare come procedessero i lavori. Solitamente era il capo stesso a venire, ma quel giorno mand
ó lui. - Alice si fermó, guardando sua sorella Rosalie che era diventata improvvisamente cupa in volto. Lei annuí appena, invitandola a continuare e a non fare caso a lei.
- Passava vicino ad ogni filatoio, sembrava affascinante e gentile al primo impatto, e quando venne il nostro turno si rivolse a noi con un sorriso ammaliante e seducente. Seppe conquistare la nostra fiducia quasi subito. - Si adombr
ó, stringendo con forza il tovagliolo tra le mani.
- Eravamo ingenue, direi. - Rosalie interruppe la sorella, con un'espressione dura in viso. - E lui non era di certo un agnello. - Si alz
ó, lasciando la sua tazza di thé a metà e spostandosi verso la finestra per tirare le tende, ormai fuori era completamente buio.
Le ragazze continuarono a raccontare i dettagli della loro storia, fino a poco prima del loro arrivo a casa Cullen.

- Sí, é esatto. Royce ci picchiava, insieme alla sua famiglia. E dopo avermi ingannata, cercando di convincermi che lui voleva sposarsi con me e avere dei figli, beh... - Rosalie abbass
ó lo sguardo, mentre la sua voce si spezzó. - Abusó di me. - Sussurró. I fratelli Cullen erano lividi di rabbia.
- Non ero di certo la prima né l'ultima. - Termin
ó lei, poi si scusó con i presenti e uscí dalla stanza.
Emmett la seguí subito, camminando con passi pesanti e le mani strette a pugno, sotto lo sguardo attonito degli altri.
- Mi dispiace. - Disse Edward, guardando le sorelle. - Se c'é qualcosa che possiamo fare, sapete che siamo qui. Siamo una famiglia ora. - Concluse, serio. Jasper lo appoggi
ó.
Dopo qualche minuto di silenzio, Bella volle rompere il ghiaccio.
- Sapete che cosa hanno organizzato Carlisle e la zia per il matrimonio? Ci hanno detto che ci sarà tutta la vostra famiglia. - Chiese, accomodandosi sulla sedia e allungando appena le gambe per sgranchirle.
- Oh, beh in effetti ce ne ha parlato un paio di giorni fa. E se posso permettermi... - Jasper si avvicin
ó alle ragazze. - Sono ben contento che li vedremo solo al matrimonio. Le mie zie e le cugine possono essere abbastanza invadenti. - Concluse, facendo scoppiare a ridere Edward.
- Non tirare fuori quel discorso, non finiremmo più di raccontare di loro. - Disse, continuando a ridere di gusto.
- Beh, non abbiamo altro da fare noi oggi. - Disse Alice, ridendo insieme a loro. Bella scosse la testa divertita, unendosi ai tre.
- Oh, zia Genevieve é logorroica. Ma davvero, davvero tanto. E sua figlia Gertude é forse peggio di lei. Una volta ha voluto raccontarci di come era riuscita ad attraversare il giardino nonostante ci fosse un topo che gironzolava vicino a lei... Per
ó ci ha messo circa tre ore per farlo! E siccome nostro padre ci dice sempre di non mancare di rispetto ai parenti... - Edward rideva sempre più forte, i suoi occhi stavano lacrimando dallo sforzo, e Jasper aveva iniziato a raccontare sempre più aneddoti sulla sua famiglia, cercando di fare divertire le due ragazze per distrarle dal racconto di prima.



                                                      ******************************



Emmett afferr
ó Rosalie per il polso, costringendola a fermarsi. La ragazza stava piangendo in silenzio, e quando lui la giró chiuse gli occhi per non doverlo guardare.
- Perché non me lo hai detto? - Chiese lui, furioso. Lei non rispose, dalla sua bocca uscirono sono dei singhiozzi strozzati.
- Rispondi! - Disse lui, avvicinando il viso al suo. Lei abbass
ó dunque la testa, per evitare il contatto diretto. Lui allentó la presa senza lasciarla, e fece un profondo respiro.
- Avresti dovuto dirmelo, Rosalie. - Disse poi, sospirando. - Mi sono sentito talmente in colpa, pensavo di aver fatto un terribile sbaglio quel giorno. Mi hai ingannato. - Rosalie sbott
ó sentendo le sue ultime parole, e di colpo diede un ceffone a Emmett, cosí forte far girare appena la testa del ragazzo, che subito si toccó la guancia colpita in raccolto silenzio.
- Non ti permettere! - Grid
ó lei, nonostante la richiesta del ragazzo di mantenere la calma. - Ho sopportato tutto da quando sono qui, ho sopportato tutto per anni per amore delle mie sorelle, ma ora basta! Non mi faccio più mettere i piedi in testa da nessuno, soprattutto da te! - Concluse, piangendo sempre più e lasciando Emmett solo in mezzo al corridoio, con la mano sulla guancia intento a massaggiarsi.
Rosalie si scontr
ó con Julian, che balbettando le chiese cosa fosse successo. Lei non gli rispose, e camminó spedita in camera, per poi infilarsi sotto alle coperte.


25 Novembre 1893, Londra. Ore 18:58.


Laurent, Carlisle e Esme erano appena tornati da Londra, fortunatamente la pioggia si era fermata poco prima del loro arrivo. Bella ed Alice erano pronte per la cena e per accoglierli con grande gioia insieme a Edward e Jasper.
- Che bel benvenuto che mi tocca stasera! - Disse Laurent, togliendosi il cilindro e andando ad abbracciare le ragazze, stringendo poi la mano ai ragazzi.
- Dov'é la mia terza figlioccia? - Chiese poi, sfilandosi la giacca e porgendola educatamente a Trevor, che con aria indispettita raccolse i vestiti e si dilegu
ó in fretta.
- Non si sente bene, sta riposando. - Dissero le sorelle, dopo essersi scambiate un'occhiata. Sapevano cosa fosse successo tra Rosalie ed Emmett qualche ora prima, e il sospetto che tra di loro ci fosse qualcosa in più si era annidato nelle loro menti, ma non era sicuramente il momento adatto per parlarne.
- E invece Emmett? - Chiese Carlisle, corrucciando appena le sopracciglia. Apparve un istante dopo, adombrato. - Chiedo scusa per il ritardo, stavo lavorando e non ho visto il tempo passare. - Disse quindi, unendosi ai fratelli.
- Beh, direi che possiamo accomodarci a tavola allora. - Disse il capofamiglia, con un caloroso sorriso. Si incamminarono verso la sala da pranzo, parlando tra di loro a bassa voce.
All'improvviso, un urlo agghiacciante li fece sobbalzare e correre verso le scale. Esme e le ragazze iniziarono a gridare, mentre Carlisle si precipit
ó a soccorrere Rosalie insieme al figlio maggiore.
L'ultima cosa che la ragazza vide prima di perdere i sensi, furono gli occhi di Emmett pieni di paura. Poi, il buio.

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Capitolo 7
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI
Note autrice: Ciao popolo! Mi scuso davvero per il grande ritardo, sono stata in ospedale per alcuni problemi e mi sono ripresa negli ultimi due giorni. Spero comunque che il capitolo vi piaccia, ci sono un paio di indizi che spero troverete e ci vediamo al prossimo! Fatemi sapere cosa ne pensate. Buona lettura.








25 Novembre 1893, Londra. Ore 20:35.


Carlisle toccò la fronte di Rosalie con delicatezza, cercando di capire se la ragazza avesse la febbre oppure no. Esme era accanto alla nipote, dall'altra parte del letto.
Emmett aveva portato Rosalie in un'altra stanza, accanto alla sua, sotto richiesta del padre, e stava aspettando fuori dalla porta insieme ai fratelli e alle due sorelle; mentre Laurent camminava avanti e indietro per il corridoio per smorzare la tensione che aveva.
- Come ti senti? - Chiese Esme, con la voce appesantita dall'angoscia. - Sto meglio, zia. - Sussurrò Rosalie, ancora visibilmente debole ma un po' più colorita in volto. Qualche livido le si stava formando sulla parte destra della tempia e lungo il braccio, dove aveva sbattuto poco prima di cadere addosso a Julian.
- Da quello che ho potuto constatare, non hai febbre o altro. Deve essere stato un semplice mancamento, le tue sorelle ci hanno detto che non stavi bene prima. Hai mangiato abbastanza in questi giorni? - Rosalie cominciò a riflettere, gli scorsi giorni l'appetito le era mancato in varie occasioni e si sentiva particolarmente stanca, ma non aveva dato molto peso alla cosa pensando che potesse essere semplicemente un colpo di freddo improvviso.
Eppure un dubbio iniziava ad attanagliarsi nella testa, ma non riusciva a darsi una spiegazione coerente. Rispose quindi, e i due futuri sposi uscirono dalla stanza dopo essersi assicurati che non avesse bisogno di nulla.
Trevor aveva raggiunto il resto della famiglia per sapere se ci fossero novità. - Trevor, fate portare della zuppa calda e del pane da accompagnamento a Rosalie, in camera. Per stasera deve rimanere a riposo, domani vedremo. - Disse Carlisle, e il domestico annuì.
- Io rimango qui con lei, padre. - Emmett spiazzò tutti con la sua frase, il suo atteggiamento nei confronti della bionda era talmente sprezzante che mai loro si sarebbero immaginati una tale proposta da parte sua.
Nonostante ciò, annuirono e proseguirono verso la sala da pranzo. Laurent appoggiò la mano sulla spalla del moro. - Mi raccomando. - Disse, guardandolo intensamente negli occhi. Emmett deglutì appena, aveva ben in chiaro ciò che l'uomo di fronte a lui volesse dirgli.
- Non preoccuparti. - Disse, poi bussò ed entrò in camera, sotto lo sguardo attonito di Rosalie.
- Cosa ci fai qui? - Sollevò le coperte e si coprì fino a sopra le spalle, lasciando appena fuori il collo e la testa. Emmett non rispose, sedendosi poco distante da lei, sulla poltroncina dove poco prima sedeva la zia della ragazza, e portando le mani incrociate dietro alla testa, in posizione rilassata.
- Non ho bisogno del tuo aiuto, quindi se é per questo che se qui puoi anche andartene. - Disse quindi lei, con una punta di orgoglio sulla lingua. Emmett la sbeffeggiò appena, ridendo di gusto.
- Vattene. - Ripeté lei, indispettita. Il ragazzo chiuse appena le tende per fare della penombra nella stanza, guardando poi la bionda dritta negli occhi con un sorriso provocatore stampato e un sopracciglio alzato, in segno di sfida.
Rosalie, presa da un impeto di rabbia, prese un cuscino e glielo lanciò, lui lo evitò, sporgendosi poi per raccoglierlo. - Mio padre ha detto che devi riposarti, non fare stupidaggini, bionda. - Disse poi, tornando serio.
- Da quando ti interessi per me? Mi hai sempre dimostrato il contrario, fino ad oggi. - Replicò lei aspramente, lasciandosi dietro un silenzio come risposta.
Sbuffò, incrociando le braccia al petto e rannicchiandosi ancora di più nel letto, lasciando poi scivolare la sua lunga treccia giù dal letto.
Emmett afferrò un libro appoggiato sulla scrivania vicina a lui, dando un'occhiata al titolo. Incuriosito, iniziò a sfogliarlo senza prestare attenzione a Rosalie, o meglio nascondendosi nel farlo.


                                                           ****************************


- Non possiamo sicuramente rimanere così. Dobbiamo scoprire cosa succede a nostra sorella. - Bella guardò con aria sospetta la sorella, che continuava a saltellare per provare a raggiungere lo scaffale più alto su cui si trovava lo zucchero.
- Che hai intenzione di fare? Credo che Emmett sia ancora con lei. - Rispose la sorella, prima di andare a prendere uno sgabello sotto al tavolone della cucina, per avvicinarlo alla sorella.
Alice si arrampicò con cautela e afferrò il barattolo dello zucchero e lo porse a Bella, che ne mise un paio di cucchiai dentro ad un bicchiere.
- Bells, é nostra sorella. Non la sua. E visto il suo comportamento, non credo gli sia permesso opporsi. - Alice rimise lo sgabello al suo posto, aggiustandosi poi la gonna appena spiegazzata.
- Hai ragione, Al. Credo che tra loro due ci sia stato qualcosa di cui non siamo al corrente. - Disse quindi Bella, mescolando per bene l'acqua con lo zucchero.
- Hai visto come é corso a prenderla? Non hai notato che in questi ultimi tempi c'é una strana tensione tra loro? Dici che...? - Alice scosse la testa. Non riusciva ad immaginare che la loro ipotesi potesse essere vera, ma non avendo mai passato molto tempo insieme a Emmett non sapeva cosa aspettarsi veramente da lui. Sicuramente non era una persona semplice da gestire. 
- Beh... Una sera ho avuto un incubo, e quando mi sono svegliata lei non era in camera. Allora sono uscita per cambiare aria, e quando sono passata vicino alla stanza di Emmett ho sentito delle voci sospette. Mi sono avvicinata... - Alice la fulminò con lo sguardo.  - Lo so, non si fa, é violazione della privacy. Ma tu al posto mio ti saresti appiccicata alla porta, curiosa e impicciona come sei. - Disse sghignazzando, mentre Alice spalancò la bocca, oltraggiata dalle parole della sorella. - Ma come osi!! - Disse, mentre Bella iniziò a ridere ancora più forte. - Comunque, mi sono avvicinata e sembrava che due persone stessero sussurrando tra di loro. Ma poi hanno smesso, e non so cosa sia successo dopo. - Terminò, mentre percorrevano il corridoio del primo piano.
- E perché me lo dici solo ora, Bella? - Chiese Alice, aggrottando le sopracciglia. - Al, non sono nemmeno sicura che fossero loro. Magari era Jasper, o Edward. Sai, non sono entrata a chiedere di potermi unire a loro. - Disse, alzando le spalle.
Arrivate davanti alla porta, bussarono delicatamente. Non ricevendo risposta, Alice aprì la porta e si affacciò appena, trovando Emmett appisolato sulla poltrona, con il libro aperto e appoggiato sulla sua gamba e la testa appoggiata al muro dietro, e Rosalie sotto alle coperte.
Non appena le ragazze entrarono, la bionda si girò verso di loro, i suoi occhi erano impastati di sonno ma la visione di Emmett vicino a lei l'aveva rapita a tal punto da farle dimenticare come ci si addormentasse.
Bella si schiarì la voce, ed Emmett sussultò, guardandosi intorno confuso e stirandosi la schiena. Poi, in silenzio, ripose il libro sulla scrivania e si alzò per uscire dalla stanza. - Se succede qualcosa, chiamatemi. - Bofonchiò, rivolto alle due sorelle che lo lasciarono passare.
- Rosalie, dobbiamo parlare. - Alice corse al fianco della sorella, con un'espressione rigida in volto.
- Al, non sarebbe meglio affrontare il discorso più tranquillamente? - Disse Bella, spostandole una ciocca dei suoi capelli corvino dalla spalla per guardarla meglio. Alice sospirò, portandosi una mano sulla guancia sconsolata. - Rosalie, ti prego dicci che non é come pensiamo. Voi due... Beh, é successo qualcosa? - Chiese, aspettando un segno di diniego da parte della sorella, che non arrivò. Aspettarono qualche secondo per accertarsi che nessuno stesse passando vicino alla porta.
- Lo so che cosa state pensando, ragazze. - Disse Rosalie. - Non giudicatemi, ve ne prego. Non so nemmeno io come sia successo. - Una lacrima le rigò la guancia.
- Come potremmo mai, Rose? Sei nostra sorella. Ne abbiamo passate tante, davvero tante. Certo, é una situazione alquanto scomoda e lo sappiamo tutte. Ma ormai é fatta. - Disse Alice. Sapevano bene che una cosa del genere non sarebbe mai dovuta accadere, ma in cuor loro si domandavano che cosa avrebbero fatto loro al posto suo, e non sapevano darsi altre risposte.
- Credo sia stato lo stress per tutto, il cambio casa, il matrimonio della zia... E ancora non si sono sposati! - Disse poi Alice, in effetti gli ultimi tempi erano stati un'ennesima rivoluzione e dovevano ancora ambientarsi completamente al nuovo stile di vita, così diverso.
- Certo, lo sappiamo. Ma, Rose... Ti piace, non é così? - Chiese Bella, sedendosi accanto ai suoi piedi.
Rosalie non rispose. Le scrutò velocemente. - E voi allora? - Replicò poi, lasciandole di stucco.
- Io... Ehm, beh... Edward e io siamo solo amici. - Disse quindi Bella, arrossendo di colpo fino alla punta dei capelli. Alice ridacchiò di lei, ma venne subito fermata dall'occhiata maliziosa della sorella.
- Inutile che ridi, folletto. Siamo tutte nella stessa grana. E credo che sia meglio per tutte noi che la cosa passi in fretta... Dovremo vivere con loro ancora un bel po'. - Concluse la bionda, scostandosi le coperte da dosso per alzarsi.
- Dove stai andando Rose? Carlisle ha detto che devi stare a riposo. - Dissero le sorelle, cercando di farla rimettere a letto.
- Non sono moribonda, ragazze. Ho voglia di sgranchirmi un po' le gambe in giardino, mi accompagnate? - Chiese quindi, ma le sorelle non ebbero il tempo di rispondere che qualcunò bussò alla porta.
Esme fece capolino dalla porta, con un grande sorriso. - Come ti senti tesoro mio? - Chiese, entrando e accomodandosi insieme alle nipoti.
- Meglio, zia. Voglio tornare in camera con le mie sorelle, vorrei prendere una boccata d'aria... - Disse quindi Rosalie, con una mano che copriva un graffio sul suo braccio.
- Tesoro, é meglio che tu per oggi rimanga qui. Abbiamo pensato di cambiare la vostra stanza a breve, e di spostarvi in una più grande e confortevole. Domani penseremo a spostare tutte le vostre cose, ma tu per oggi rimani qui. - Disse.
- Ma zia... Io non voglio separarmi da loro. - Replicò Rosalie, ricevendo in risposta un'occhiataccia.
- Rose, sicuramente non lo faccio per dispetto. Qui vicino ci sono i ragazzi, se hai bisogno possono venire subito da te. Avanti, é solo per una notte. - Esme lo sapeva, le ragazze vivevano quasi in simbiosi e nonostante potesse sembrare uno sciocco capriccio, non riuscivano a stare separate per troppo tempo. Sapeva che avevano i loro riti serali, e che insieme si sentivano protette. Ma voleva che loro si sentissero così sempre, voleva che quella casa diventasse a tutti gli effetti anche la loro, sapeva che ci sarebbe voluto ancora del tempo ma era speranzosa.
- Tieni, mettila sul comodino. - Disse, porgendo ad Alice una campanella in argento. - Se succede qualcosa, suona e qualcuno verrà da te. -
Dopo qualche chiacchiera, la zia trascinò fuori dalla stanza le due nipoti, augurando la buonanotte a tutte e tre, e Rosalie si ritrovò sola.
- Deve essere lo stress. - Disse tra sé e sé. - Solo stress. Che cosa potrebbe essere se no? L'uomo che amo mi ripudia, mi odia con tutto se stesso, come potrei stare bene? - Continuò, alzandosi poi per andare vicino alla finestra. - Un po' di riposo e passerà tutto. Ne sono certa. - Disse poi, prendendo un lungo respiro e sollevando appena la testa, con gli occhi socchiusi.
Un sorriso apparve sulle sue labbra, un accenno di sorriso quasi amaro. - Ne sono certa. - Ripeté, rimanendo qualche minuto nella stessa posizione. Ma i dubbi che le erano rinsaviti prima, purtroppo, si stavano intensificando sempre più, e una sola cosa iniziava a figurarsi nella sua mente. Iniziò a fare un conto mentale, e quando si rese conto di un ritardo significativo, impallidì. Non poteva essere.
Lentamente, il sogno che aveva avuto tempo prima e che ogni tanto le tornava in mente stava forse iniziando ad avere un senso.


26 Novembre 1983, Londra. Ore 9:13.


La notte fu lunga per tutti loro, e il mattino arrivò troppo in fretta.
Il rumore del coltello che spalmava il burro sul pane caldo e fragrante, dei cucchiaini in argento che mescolavano il thé nelle tazze e dei piatti che si passavano i commensali riempivano il silenzio pesante del mattino. Alice e Bella sedevano vicine, come sempre, e spostavano la loro fetta di pane da una parte all'altra del piatto con la forchetta, con fare pensieroso, mentre Esme osservava il fondo della sua tazza finita, in cui rimanevano dei residui di thé nero.
Carlisle, con l'animo inquieto, ruppe il silenzio. - Esme, mia cara. Bella, Alice. Lo so che siete molto preoccupate, lo siamo tutti. Vado a darle un'occhiata, se volete. - Disse, facendo per alzarsi, ma venne interrotto dall'ingresso discreto di Rosalie nella sala da pranzo, sotto ad uno sguardo sollevato di tutti.
- Buongiorno. Scusatemi. - Sussurrò, per poi accomodarsi vicino alle sorelle, che subito si sporsero per abbracciarla.
- Oh, Rosalie. Come ti senti oggi? - Chiese Laurent, sorridendole dolcemente. 
- Molto meglio, grazie. Scusami se non ti ho nemmeno salutato ieri. - Disse lei, mortificata. L'uomo rise appena, appoggiando una mano sul proprio petto all'altezza del cuore. - Oh no, piccola. Non devi. Eravamo tutti in pensiero per te. L'importante é che tu stia bene. - Concluse lui, porgendole poi il cestino con il pane ancora caldo.
Emmett aveva lo sguardo basso, le sue braccia erano tese e le dita della mano destra picchiettavano nervosamente sul tavolo. Jasper se ne accorse, guardandolo di sbieco per non farsi vedere dagli altri, e sussurrò in modo che solo lui potesse sentirlo. - Vedi di darti una calmata, fratello. Nostro padre si spazientirà se continuerai in questo modo. -
Emmett allora decise per una volta di ascoltare il consiglio di suo fratello, e accennò un fintissimo sorriso, guardando tutti i commensali. Il padre lo scrutò, ma decise di non andare oltre con le domande.
Una volta la colazione terminata, tutti si apprestarono ad alzarsi per andare ad occuparsi delle proprie faccende, ma Carlisle attirò l'attenzione dei famigliari.
- Nel primo pomeriggio verranno qui le assistenti della nostra sarta di fiducia, con i campioni di tessuto. - Disse, poi prese il giornale appoggiato poco distante e si diresse verso la porta di ingresso, uscendo poco dopo.
Laurent fece segno alle ragazze e a Esme di seguirlo, poi andarono verso una piccola sala di lettura, con divani e poltrone eleganti e comodi, e si sedettero intorno ad un tavolino su cui erano appoggiati vari libri e fogli svolazzanti.
- Bene, sono contento di potervi finalmente rivedere in tranquillità. Dunque... - Mise una mano sopra all'altra, sulle proprie cosce, mentre le sue lunghe trecce gli contornavano la figura. - La notizia del matrimonio proprio mi ha sorpreso. In positivo, ovviamente! - Disse, ridendo insieme a Esme. - Non credo nemmeno che serva chiederti come sta andando, mia cara Esme. Invece voi, ragazze? Come state? Vi trovate bene qui? - Chiese, guardando le tre sorelle l'una dopo l'altra.
Non ebbe tempo di ricevere risposta, perché Julian tutto affannato arrivò e interruppe la conversazione.
- S-signori... Lady Victoria é qui. - Disse, balbettando più del solito. Esme scattò in piedi, mentre le ragazze rimasero a guardarsi confuse.
- Sarà un piacere rivederla... - Sussurrò Laurent con un lieve cenno di ironia nella voce.
- Pensavo che non sarebbero arrivate prima della settimana prossima! - Disse Esme, con il battito del cuore accelerato.
- Ragazze, sono arrivate alcune parenti dei Cullen. Andiamo, forza. Vi spiegherò tutto dopo. - Disse poi, spingendo delicatamente le tre nipoti davanti a lei per farle proseguire.


                                                             *************************


Una trafelata signora imbellettata di tutto punto, seguita da tre ragazze dall'aria stizzite e altezzose, fece irruzione a casa Cullen come una folata di vento violenta e rumorosa.
- Dov'é? Dov'é mio figlio?? - Iniziò a gridare, mentre Trevor a disagio provava a placare la furia contenuta in un metro e cinquantotto.
I fratelli Cullen, sicuramente avvertiti da Julian, arrivarono velocemente vicino all'ingresso per accogliere la nonna.
- Oh, merda... - Sussurrò Emmett, alla vista delle tre cugine che dal canto loro lo salutarono in maniera quasi languida. Angela, in particolar modo, non faceva altro che la smielata ogni volta che si ritrovava accanto a uno dei tre.
- Nonna, nostro padre é uscito poco fa per lavoro. - Disse Jasper, sapendo di essere l'unico dei tre a riuscire a calmare la donna con poche parole. Amber, la terza cugina, stava scrutando le quattro donne  poco lontane da loro, con aria sospetta.
- Oh, mio piccolo Jasper! Come stai? Non sei più venuto a farci visita! - Lady Victoria corse verso l'adorato nipote, prendendo tra le sue dita grassocce la guancia del biondo, coperta da una lieve barba pungente.
Il ragazzo, imbarazzato, si guardò intorno e alla vista di Alice che lo osservava con un sorrisino in viso arrossì appena. - Oh nonna... Per favore. - Disse, cercando di scostarsi delicatamente, dietro di lui i fratelli sghignazzavano.
- Sono molto arrabbiata. - Disse poi la lady, puntando un dito quasi contro il petto di Emmett e corrucciando le sopracciglia. Il ragazzo deglutì, sapendo che non avrebbe potuto replicare, e che di fronte alla donna lui non fosse nulla.
- Non mi avete nemmeno avvertita che Carlisle, MIO figlio, si stia per sposare! È inammissibile! - Continuò a sbraitare la signora, prendendosela con i presenti nella stanza. Poi, girandosi con una smorfia di disprezzo verso Esme, alzò un sopracciglio e la squadrò da testa a piedi.
- Tu, serva. Vai a preparare una stanza per me e per le mie adorate nipoti. Ci fermeremo un paio di giorni. E desidero poi riposare, il viaggio ci ha sfiancate. Chiamateci per il pranzo. - Disse, porgendo con indifferenza il proprio cappotto a Esme, che livida lo prese senza replicare e lo andò ad appendere insieme agli altri. Le tre cugine, dietro di lei, iniziarono a ridere con malizia della donna, additandola e sussurrando tra di loro.
- Non é una serva. Lei é la futura sposa. - Disse Rosalie, che dopo essere rimasta in silenzio fino a quel momento non poté tenere a freno la lingua. Emmett la fulminò con lo sguardo, mentre i due fratelli la guardarono in segno di approvazione. Non avevano mai tollerato davvero il modo di fare della nonna, ma non potevano in alcun modo replicare, non volevano mancare soprattutto di rispetto al padre, succube in parte anche lui alla madre invadente.
- E tu chi saresti per permetterti di parlare così a nostra nonna? - Chiese dunque una delle tre ragazze, Jessica, scuotendo la testa di capelli castani in senso di superiorità.
Rosalie la guardò con indifferenza, ormai non riusciva più a tollerare mancanze di rispetto da nessuno, benché meno da una che sicuramente non aveva mai lavorato un minuto in vita sua. Fece per replicare, ma Jasper le toccò una spalla, per calmarla.
- Loro sono le nipoti di Esme, e con il matrimonio di nostro padre saranno ufficialmente membri della famiglia Cullen, Jessica. - Disse poi, con un sorrisino di sfida.
La ragazza si indispettì, guardandoli entrambi male, poi si mise accanto alla nonna.
- Vi accompagno io alle vostre stanze. Isabella, vuoi accompagnarmi? - Disse Edward, facendo un occhiolino a Bella, che subito arrossì.
I cinque allora andarono velocemente verso il piano superiore, con Julian che reggeva i bagagli delle donne subito dietro di loro.
- Alice, Jasper, venite con me per favore. Ho bisogno che mi aiutiate. - Disse quindi Esme, e i tre uscirono verso il giardino.
Rosalie ed Emmett rimasero soli, quindi lui con i pugni chiusi si avvicinò prepotentemente al viso della ragazza, che indietreggiò appena la testa.
- Non permetterti mai più di parlare così a mia nonna. Chi ti credi di essere? - Le ringhiò rabbioso, mentre lei cercò di non perdere la faccia tosta di prima, a fatica.
- Non mi credo nessuno, al contrario tuo. Nessuno manca di rispetto a me, mia zia o le mie sorelle davanti a me. Ne abbiamo passate abbastanza! - Disse, guardandolo dritto negli occhi con un impeto di adrenalina. - Siamo esseri umani, persone esattamente come lei! - Continuò, sotto lo sguardo attonito di Emmett che tutto si aspettava, tranne che una sua risposta.
- Ora puoi pure picchiarmi, Emmett. Non mi fai paura. - Disse lei, ma in cuor suo sperò che il ragazzo non lo facesse davvero.
Emmett si infuriò, alzando la mano destra al cielo. Rosalie strinse forte gli occhi, alzando le braccia come per proteggersi. Forse il ragazzo aveva preso alla lettera il suo invito?


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Capitolo 8
*** Capitolo VII ***


Capitolo VII NOTE AUTRICE: Ciao cari lettori e care lettrici. Dopo aver ricevuto alcune recensioni che mi consigliavano questo miglioramento, ho deciso che d'ora in avanti i dialoghi in francese non saranno in grassetto ma in corsivo, per rendere più scorrevole la lettura.



Rosalie era rimasta ferma in quella posizione per qualche istante, aspettando di ricevere un colpo da un momento all'altro.
Emmett, dal canto suo, portò la mano che aveva alzato sulla propria testa, tirandosi appena i capelli per il nervoso. - Davvero credi che potrei picchiarti? - Disse sprezzante, guardandola dall'alto del suo metro e novantacinque.
- Potrei, certo. E ti farei anche molto male. - Continuò digrignando i denti in una smorfia, mentre la ragazza riaprì gli occhi.
- Ma mio padre mi ha insegnato l'educazione, anche se tu non pensi che sia possibile. E non ho mai alzato le mani su una donna prima. - Portò anche l'altra mano sulla testa, guardandola poi con un ghigno che non nascondeva una forte provocazione. - Se non per procurarle del piacere personale, ovviamente. - Disse, provocando l'ira della ragazza.
- Non ti permettere! - Disse, puntandogli il dito contro il petto furiosa. - Non mi parlare mai più così, Emmett. Mai! - Terminò, mentre dal fondo del suo stomaco risalì un moto di nausea improvviso.
Appoggiò una mano sul proprio petto e l'altra sul suo basso ventre, guardando in basso. Emmett la osservò per un istante. - Stai bene? - Le chiese, cercando di non mostrarle comunque troppe attenzioni.
La ragazza non gli rispose, non ne ebbe il tempo. Andò correndo verso una stanza da bagno, alla disperata ricerca di un secchio, e appena lo trovò fece appena in tempo ad agguantarlo che si ritrovò a liberarsi lo stomaco di quel peso, accompagnata da un paio di conati.
Emmett l'aveva seguita per accertarsi che stesse bene, ma non aveva osato entrare per lasciarle un momento di privacy.
Non appena la ragazza ebbe finito, posò il secchio che avrebbe svuotato poi in un condotto fognario fuori da casa; si sedette per terra, accanto alla porta, per riprendere fiato. Chiuse gli occhi e appoggiò la parte bassa del palmo della mano destra sulla propria fronte, inspirando profondamente per ricacciare l'ennesima ondata di nausea.
Era sempre più convinta della sua teoria, e la cosa iniziava davvero a spaventarla. Non solo per se stessa, ma soprattutto per la reazione delle sorelle e del resto della famiglia.
- Posso entrare? - Emmett, appoggiato con la spalla sinistra allo stipite della porta socchiusa, aveva le mani che fremevano dalla voglia di spalancarla per vedere se Rosalie stesse meglio oppure no.
Non ricevendo risposta, decise di entrare e trovò la ragazza appoggiata e molto pallida in viso. - Dai vieni, ti accompagno in stanza. - Disse, porgendole la mano per aiutarla. Lei la afferrò debolmente, puntando i piedi per risollevarsi, ma il ragazzo la afferrò poi con un braccio dietro alle ginocchia e l'altro a sorreggerle la schiena; lei mise dunque la sua forza dietro al collo di lui per reggersi, e per la prima volta lasciò andare la sua testa contro la spalla di lui, spossata da quella nausea incessante.
Emmett la osservò incerto, non aspettandosi assolutamente quel gesto da lei, e si diresse fuori.
Alice e Jasper fecero capolino dall'ingresso accompagnati da Esme, che non appena vide i due entrò in panico. - Cos'é successo?? - Gridò, correndo verso di loro agitata.
- Niente zia... - Rantolò Rosalie, rimanendo con il viso affondato contro Emmett, che spiegò in breve cosa fosse accaduto.
- La porto su, Esme, e non appena nostro padre rientra ci dirà cosa fare. - Disse infine, facendosi spazio e salendo le scale.
Alice lo volle seguire a tutti i costi, nonostante Jasper e Esme le avessero chiesto di non farlo. Con il suo passo veloce e felpato, raggiunse velocemente il possente ragazzo, accostandolo e toccando il braccio della sorella.
- Che cosa ti ha combinato? Dimmelo Rosalie, per favore! Se ti ha anche solo torto un capello, io giuro che... - Rosalie la interruppe, scuotendo la testa.
- Ho vomitato. - Sussurrò semplicemente, godendosi per un attimo il calore della pelle di Emmett, e il battito del suo cuore appena accelerato che percepiva al tocco. Alice si bloccò di colpo, rimanendo attonita per qualche secondo, mentre la porta della camera si chiudeva davanti ai suoi occhi che scrutavano i due con molta attenzione. Una scintilla le si era accesa nella mente, e solo entrando e stando insieme alla sorella avrebbe potuto scoprire se il suo presentimento fosse vero. Bella, spuntando da un corridoio più lontano, vedendo Alice ferma a contemplare il vuoto le si avvicinò incuriosita.
- Al, tutto bene? - Le chiese, sporgendo appena la testa per poterla osservare in volto e notando in lei un'espressione inscrutabile.
- Credo di sapere cosa stia succendendo a Rosalie. - Disse lei, rompendo il silenzio assordante che aveva circondato le sorelle. - E credo che sia peggio di quello che avremmo potuto immaginare. - Concluse, guardando dritta negli occhi Bella che, al contrario, non riusciva a comprendere cosa volesse insinuare la sorella.
- Forza, andiamo. - Alice prese Bella per l'avambraccio, trascinandola verso la camera da letto. Entrò senza bussare, causando una reazione scocciata di Emmett che era seduto sulla solita poltrona, che aveva prontamente spostato ai piedi del letto. Rosalie era seduta, con la schiena contro la testiera del letto e un cuscino tra le braccia, un colore verdognolo incorniciava un volto cencio e stanco.
- Vogliamo restare sole con nostra sorella. - Disse Alice, quasi aggredendo il ragazzo, che in risposta inarcuò un sopracciglio e la squadrò da testa a piedi, rimettendosi in piedi. La ragazza arrivava poco sotto alla sua spalla, ma sicuramente non si lasciava intimidire dalla sua stazza, né da quella dei fratelli.
Bella, prima che lui potesse replicare, si avvicinò fino ad arrivare a pochi centimetri da lui, guardandolo dritto negli occhi e cercando di mantenersi discreta davanti alle due ragazze.
- Emmett, per favore. Se devi restare in questa stanza per fare star ancora peggio nostra sorella, vattene. Non ha bisogno di soffrire ulteriormente, soprattutto per te. - Sussurrò, con una fermezza nella voce quasi tagliente. Il ragazzo rimase ad osservarla un attimo, poi sbuffò pesantemente.
- Come vi pare. - Disse scostante, uscendo dalla stanza preso da un impeto di nervosismo.
- Rosalie, noi sappiamo cos... - Alice venne interrotta da una frase semplice ma spiazzante.
- Sono incinta. Credo. - Disse la bionda, guardando fissa davanti a sé con un'espressione dura in volto.
Bella rimase sconvolta dalla sua affermazione. - Ma come? Rosalie! - Disse, in preda ad una crisi di panico. - Non può essere! - Proseguì, iniziando a camminare velocemente per la camera e agitando le braccia in ogni senso.
- Ma... Che cosa hai intenzione di fare? - Chiese Alice, che dopo aver avuto conferma si sentiva come se avesse appena ricevuto un secchio d'acqua gelida addosso.
La sorella non rispose, mordicchiava semplicemente l'interno della sua guancia con fare nervoso guardando verso i propri piedi.
Le tre rimasero a lungo in silenzio. Secondi, minuti, forse un'ora. Ognuna di loro aveva la testa che galoppava indietro nel tempo, sui ricordi belli e brutti della loro vita. Sicuramente la notizia della probabile gravidanza avrebbe sconvolto il loro piccolo mondo che piano piano stava trovando un equilibrio. Non sapevano come Rosalie avrebbe affrontato la cosa con la zia, né con la nuova famiglia. Ma soprattutto con il padre del bambino, Emmett.
Un gioco di luce solare illuminò di colpo il viso delle sorelle, che erano sedute sul letto a guardarsi. Le destò dalla loro bolla, con una piccola consapevolezza in più. A prescindere da quello che sarebbe successo nel futuro, niente e nessuno avrebbe potuto scalfire il loro rapporto. Le tre sapevano di poter contare sulle altre, senza mai dubitarne. E questo per loro era ciò che contava più di tutto il resto.
- Ho bisogno di un bagno caldo. - Disse poi, cercando di distrarre la mente per qualche istante. Bella le prese la mano per portarla con sé. - Vieni, abbiamo un bagno nella nuova camera. - Disse.
- Anzi, vorremmo che tornassi già da ora in stanza con noi. - Incalzò Alice, parlando con una grande sincerità.
- Anche io lo vorrei. Questa stanza ti immerge in una grande tristezza, e poi sentire Bella che parla da sola nel sonno e Alice che la sovrasta con il suo russare é impagabile. - Disse, ridendo delle sorelle che, nel frattempo, le fecero una sonora linguaccia.

L'acqua calda scorreva dalle tubature per riversarsi nella vasca da bagno nell'angolo della stanza adibita, e mentre Rosalie si spogliava per immergevisi e poteer finalmente rilassare i nervi, posò un attimo lo sguardo sullo specchio, cercando inconsciamente di capire se la sua pancia fosse già in procinto di crescere appena o se fosse effettivamente troppo presto. Aveva assistito varie parenti in gravidanza, dall'inizio alla fine, quindi sapeva come poter gestire a grandi linee quel periodo.
Si toccò quindi a livello basso ventre, appoggiando per qualche secondo la mano incurvata a voler proteggere quel piccolo esserino che si nutriva di lei da ormai qualche settimana.
Scosse la testa, poi infilò un piede dietro l'altro nella vasca, e si allungò mantenendo la testa e i capelli fuori dall'acqua. Immediatamente, il tepore dell'acqua e la penombra che aleggiava nella stanza la fecero cadere in uno stato di rilassamento totale, quasi da farle scordare il mondo esterno.




30 Novembre 1893, Londra. Ore 14:41.


Lady Victoria e le tre cugine erano arrivate a casa Cullen già da qualche giorno ormai. La sera stessa del loro arrivo, Carlisle dovette far fronte alla furia della madre per il mancato invito, e i tre fratelli furono quasi assillati dalle asfissianti cugine che non vedevano l'ora di mettere mano su di loro.
Alice, Bella e Rosalie avevano provato dal canto loro ad evitare le quattro il più possibile, non avevano alcuna voglia di doversi confrontare con loro su un qualsiasi argomento, né tantomento avrebbero sopportato critiche nei loro confronti.
Esme aveva annunciato loro la data del matrimonio, che si sarebbe svolto di lì a poche settimane, e la tensione iniziava a salire in casa, tutti volevano essere pronti al gran giorno ed ognuno di loro aveva un pensiero che gli attanagliava la mente. Il pranzo era stato consumato da poco, e ognuno di loro si era poi affaccendato nei propri affari, facendo dunque piombare la casa in un insolito silenzio.
Edward era in una stanza ampia e luminosa, un pianoforte imponente in legno massiccio a farne da padrone, troneggiante proprio al centro in tutta la sua maestosità. Era seduto sullo sgabello, le sue dita scorrevano veloci e sicure su quella serie di tasti bianchi e neri a comporre una melodia incalzante e allegra.
Bella si stava dirigendo a mente distratta verso la sua camera, con l'intenzione di riposarsi per un po' dopo una mattinata passata nel giardino in compagnia di Julian, intenti a curare i fiori che lei tanto amava.
Quelle soavi note raggiunsero però le sue orecchie, e subito si fermò per ascoltarle e capire da dove provenissero. Si guardò intorno, notando poi che una delle porte del corridoio era appena socchiusa. Si avvicinò quasi in punta di piedi, sbirciando da fuori e vedendo la schiena di Edward lievemente incurvata su quello strumento tanto potente.
Bussò, dunque, e il ragazzo si interruppe bruscamente, forse colto alla sprovvista da quel tocco. - Scusami. - Disse Bella, affacciandosi e appoggiandosi poi allo stipite della porta, proseguendo poi verso l'interno della stanza al cenno di Edward.
- No, non preoccuparti. Non me l'aspettavo, tutto qui. - Le sorrise, e decise di farle spazio per permetterle di sedersi, dopo essere andato a prendere un altro sgabello.
- Vieni, siediti accanto a me. - Disse poi, battendo leggermente la mano sinistra sulla seduta per invitarla a prendere posto. Lei lo fece senza esitare, ma con una punta di imbarazzo. - Vuoi che ti insegni? - Aggiunse lui, con un sorriso sghembo stampato in viso. Bella abbassò la testa, mordicchiandosi il labbro inferiore per tentare di nascondere il nervosismo.
- Oh, io... Beh, vorrei solo ascoltarti suonare. Era davvero così bella la melodia... - Sussurrò, ed Edward senza insistere le lanciò un breve sguardo di intesa, prima di appoggiare nuovamente le dita sui tasti ed iniziare a suonare una nota dopo l'altra, con una passione ancora più forte di quella di prima.
Passarono i minuti, ma per i due il tempo sembrava si fosse fermato e che tutto girasse intorno a quella bolla in cui si erano rinchiusi. Alla fine della melodia, i due rimasero ad osservarsi per un lungo, lunghissimo momento. I loro occhi sembravano quasi urlarsi a vicenda frasi che le loro bocche non avevano il coraggio di pronunciare, erano ardenti e profondi. I loro visi si stavano avvicinando ad una lentezza estrema, senza che nemmeno loro potessero accorgersene. Le loro dita, all'altezza dei tasti bianchi, si stavano per sfiorare, e il loro respiro si stava facendo sempre più corto. 
All'improvviso, si resero conto di quello che sarebbe accaduto, e indietreggiarono entrambi, risedendosi composti e con tante parole bloccare in gola che non riuscirono a dirsi, lo sguardo perso di fronte a loro e le mani mestamente appoggiate sulle loro gambe.
- Meglio che vada. - Disse Bella, alzandosi poi quasi di colpo e uscendo velocemente dalla stanza, non senza aver dato un'ultima occhiata ad Edward che, immobile, continuava a fissare il leggìo su cui erano posati alcuni dei suoi spartiti.
Nessuno dei due avrebbe osato parlare dell'accaduto con altri. O meglio, sicuramente Edward se ne sarebbe guardato dal farlo. Bella era forse di tutt'altro avviso.



Alice stava passeggiando sotto ai deboli raggi di sole che quella insolita giornata stava regalando alla regione, in uno dei sentieri che componevano il giardino. Fin da subito si era appassionata di quel luogo, ritrovata se stessa e una grande pace tra quegli alberi un tempo fioriti, e allora rinsecchiti dal freddo. Anche in quello stato li trovava affascinanti, le parevano quasi i silenziosi guardiani della dimora, e sicuramente non poteva togliersi dalla mente l'immagine dei tre presunti Cullen bambini, che giocavano e scorrazzavano in quel luogo sorvegliati dallo sguardo amorevole dei genitori; immaginava che la loro mamma li rimproverasse per dei loro battibecchi infantili ma che terminavano pochi istanti dopo con una forte stretta di mano, da veri ometti.
Si era sempre domandata che fine avesse fatto la signora Cullen, di cui vedeva qualche quadro sparso per il corridoio nei dintorni della camera di Carlisle e dei figli, ma di cui nessuno aveva mai fatto accenni particolari.
Non aveva mai osato porre domande, e nemmeno James o gli altri dipendenti avevano voluto dire loro qualcosa in più, infondo le Swan sapevano benissimo quanto potesse essere dolorosa per dei bambini la morte di un genitore e sia lei che le sorelle rispettavano la loro sofferenza e il loro voluto silenzio, senza mai osare andare oltre con le domande.
Ma era pur sempre vero che in una parte di sé avrebbe voluto saperne di più, non fosse che per poter essere più vicina con quella famiglia che in così poco tempo aveva rivoluzionato loro la vita in positivo, offrendo un inizio nuovo e un futuro sicuramente più radioso delle loro aspettative.
Immersa in tutti questi pensieri, raggiunse una piccola cappella che aveva scorto già in precedenza, ma che non aveva mai avuto occasione di visitare davvero.
Contrariamente al resto della casa, quel posto non era assolutamente sfarzoso e anzi, non sembrava nemmeno appartenere al resto della proprietà, e se non fosse stato per l'inscrizione del cognome della famiglia sul marmo grezzo poco sopra all'ingresso, chiunque avrebbe pensato di essersi perso.
Alice immaginava che dentro a quel piccolo santuario vi fossero forse delle tombe di famiglia, e forse per questo era sempre chiusa a chiave per impedire l'accesso a visitatori non desiderati.
Quel giorno, però, sembrava che qualcuno vi avesse fatto visita e si fosse dimenticato di richiudere correttamente il cancelletto in ferro battuto, che cigolò non appena Alice provò a spingerlo per farsi spazio.
Cercando di non fare troppo rumore, entrò in punta di piedi e sperando che nessuno la cogliesse all'improvviso. Avanzò dunque verso il fondo, notando che in realtà quel luogo non era affatto abitato da loculi, ma che anzi il tutto era molto spoglio, se non fosse per un inginocchiatoio davanti ad un crocifisso in legno, semplice e senza alcun fronzolo intorno. Alice era sempre più incuriosita di ciò che si stava palesando davanti ai suoi occhi, non riusciva a capire che cosa quella cappella avesse di tanto misterioso da attirarla, sebbene non vi fosse nulla che potesse darle il minimo indizio.
Stringendo appena gli occhi per vedere meglio, si accorse dopo un po' di un pezzo di carta appoggiato al centro dell'inginocchiatoio, dove solitamente si appoggiavano le braccia o i gomiti.
Presa da un istinto di curiosità, diede un'occhiata veloce dietro di lei per accertarsi che nessuno fosse presente e si avvicinò quasi furtiva, notando che quel pezzo di carta era in realtà una fotografia, una giovane donna dai capelli neri raccolti e dal sorriso malinconico spiccava con una grande eleganza. Girò dunque l'immagine, accorgendosi di una frase scritta a mano con una calligrafia femminile e molto aggraziata.


Elizabeth, C. 30 Novembre 1873.

Un rumore di passi provenienti dall'esterno la fece sobbalzare, e dopo aver dato un'ultima occhiata alla fotografia, la rimise al suo posto sgattaiolando poi fuori velocemente.
Appena in tempo per non farsi scoprire da Jasper, che arrivando dalla parte opposta alla sua si stava appunto dirigendo all'interno della cappella in tutta fretta. Alice, nascondendosi appena dietro ad uno dei quattro muri esterni, lo intravide con un'espressione contrita, e non volendo dargli spiegazioni del perché lei si trovasse lì decise di allontanarsi in fretta e di riprendere il cammino che aveva interrotto, nel giardino.
Se prima di allora aveva tanti dubbi e tante domande a riguardo di Elizabeth, dopo aver visto la foto la curiosità era tale che avrebbe dovuto mordersi la lingua per non chiedere ai Cullen di parlarle di più di questa donna sicuramente affascinante.
Si avviò dunque verso le cucine, passando da una porta sul retro, e ritrovò James indaffarato a sminuzzare delle cipolle grossolanamente.
L'uomo alzò gli occhi per controllare chi fosse entrato, e le accennò un sorriso. - Milady. Che cosa ti porta qui? - Chiese, sapendo che se avesse parlato con lei con modi più ricercati la ragazza lo avrebbe rimproverato, visto che non voleva assolutamente sentirsi superiore a lui e agli altri dipendenti della casa.
- Oh, passavo dal giardino e ho pensato di venire a salutarti. - Disse, con le mani congiunte dietro alla schiena, mentre a passi felpati si avvicinava ad un pentolone in cui cuoceva a fuoco lento un prelibato stufato di manzo.
- Sei sicura che non ci sia altro? - Disse il cuoco, posando il coltello sul tagliere e pulendosi velocemente le mani con uno strofinaccio attaccato al suo grembiule.
La ragazza sospirò appena. Il cuoco riusciva sempre a scoprire quando lei o una delle sorelle stavano mentendo, e quella volta non fu un'eccezione.
- Beh... - Disse, alzando gli occhi al cielo con aria innocente. - Stavo passeggiando in giardino, appunto. E all'improvviso ho trovato una cappella... - Disse, mentre il cuoco si rabbuiò nel guardarla.
- Alice... - La interruppe, ma la ragazza sapeva che cosa le avrebbe voluto dire e continuò. - James... Per favore. Lo so, ho capito quello che hai voluto dirmi le altre mille volte in cui te l'ho chiesto. Ma mi piacerebbe sapere. - Disse poi, con un'aria sincera in viso. Il cuoco esitò per qualche secondo, poi guardandosi intorno sospirò pesantemente.
- E va bene. Ma per favore, devi fingere di non sapere niente. - Disse poi, guardandola con aria severa. La ragazza annuì e prese un coltello da un cassetto vicino per aiutarlo a preparare le verdure, così da avere una scusa.
- Lady Elizabeth é stata una grande, grandissima donna. Lei e il signor Cullen erano davvero innamoratissimi, amavano alla follia i figli ed erano assolutamente ricambiati. L'unica che non la apprezzava affatto... - Abbassò la voce - Era Lady Victoria. Vedeva in lei un'approfittatrice, ma tutti noi sapevamo chi fosse veramente lady Elizabeth. È sempre stata gentile nei nostri confronti, generosa e affabile con tutti. - Il cuoco si piegò per prendere delle patate da un cesto, e iniziò a sbucciarle velocemente.
- Purtroppo un giorno la sua salute ebbe un duro colpo, e nemmeno il dottor Cullen con la sua grande esperienza riuscì a fare qualcosa per lei. Dimagriva a vista d'occhio, i capelli le erano caduti quasi completamente e non riusciva a camminare senza l'aiuto di un bastone. Non lo hai mai notato, nello studio di Carlisle? Lo ha conservato vicino alla finestra, nessuno osa spostarlo per paura che possa rovinarsi. Un giorno Lady Elizabeth non riuscì più ad alzarsi dal letto, e così per qualche settimana il dottor Cullen si prodigava per farle passare dei momenti sereni, per quanto possibile. Anche lady Victoria in quel periodo venne a stare qui, per stare insieme ai nipoti. Credo che tutto questo abbia profondamente segnato tutti e quattro. - Il cuoco si fermò qualche istante, lo sguardo basso e improvvisamente triste.
- Quando é venuta a mancare, la casa si é improvvisamente spenta insieme a lei per un lungo momento. Ricordo ancora i funerali... - Si interruppe, e Alice notò una nota di malinconia nella voce dell'uomo, che non volle più proseguire.
- Grazie per avermi dato fiducia, James. - Disse Alice, finendo di sminuzzare l'ultima parte delle verdure e riponendo il coltello.
James annuì, rimanendo in silenzio, quindi Alice si congedò e uscì dalla cucina, facendo finta di niente. Qualcuno in fondo al corridoio la interpellò. - Ehi, Alice! - Quella voce la fece sobbalzare, ma non poteva ignorarla perché sapeva che non sarebbe servito a niente.
Una chioma bionda si avvicinò velocemente a lei, che si preparava ad una strigliata.








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Capitolo 9
*** Capitolo VIII ***













Una chioma bionda si avvicinò velocemente a lei, che si preparava ad una strigliata.

- Alice, dove ti eri cacciata? - Jasper raggiunse la ragazza a passi veloci, guardandola con fare accigliato. Alice si strinse nelle spalle, non sapendo cosa rispondere. E se Jasper l'avesse vista?
- Non hai niente da dirmi? - Chiese lui, incrociando le braccia contro il petto. Un silenzio seguí, durato appena il tempo per Alice di deglutire a fatica le parole che volevano uscire prepotenti. Aveva tanto da dire a Jasper, era passato poco tempo da quando erano capitate in quella casa, eppure erano successe talmente tante cose da farlo sembrare molto di più. 
- Mia nonna mi ha detto che ti ha cercata dappertutto, mi ha fatto una testa tanta perché sia tu che Bella non vi siete presentate nella sua stanza. - Alice strabuzzò gli occhi, portando una mano davanti alla bocca e rendendosi conto di quanto avesse perso la cognizione del tempo.
Lady Victoria aveva chiesto alle tre sorelle di andare da lei alle 14 in punto per fare, a suo avviso, un breve corso di buone maniere. Rosalie, che già dal canto suo aveva abbastanza a cui pensare, si era rifiutata di rispondere e aveva lasciato le redini del discorso a Bella, che in tutta tranquillità aveva acconsentito per mantenere la pace a tavola.
- Non ho visto l'ora. - Farfugliò Alice, mentre Jasper la guardava con un sopracciglio alzato. Fece una lieve smorfia, poi un cenno con la testa verso la porta. - Dai, sbrigati, ti accompagno. - Disse, ancora contrariato. In fondo capiva benissimo le sorelle, sapeva quanto sua nonna potesse essere invandente e arrogante con la scusa della posizione sociale, ma non avrebbe mai potuto replicare o essere contro di lei, il rispetto che portava per la propria famiglia era per lui un campanello d'allarme.
I due si incamminarono velocemente, lui appena davanti a lei non si girò nemmeno una volta per guardarla, e a lei la cosa dispiacque un po'. Era sollevata del fatto che il ragazzo non l'avesse scoperta a gironzolare intorno alla cappella di famiglia.

Rosalie sbuffò per l'ennesima volta, guardando il grande orologio che spiccava in mezzo al corridoio. Le sue sorelle erano sparite, e nonostante lei fosse stata contraria a quell'incontro aveva acconsentito solo per il loro bene. Dopo ormai un'ora di ritardo, ancora nessuna delle due faceva capolino e si stava spazientando.
Vide all'improvviso Jasper e Alice che salivano le scale di fretta, e pensò quanto fosse strano che i due arrivassero insieme, ma decise di tenere le domande per dopo.
- Era ora! Ma dove ti eri cacciata? - Disse con un tono di voce più acuto del solito. Non fece in tempo a ricevere risposta, perché una Bella affannata e rossa in volto apparve dietro di loro, facendo insospettire i tre.
- Mi dovete delle spiegazioni. - Disse dunque la bionda, puntando contro di loro l'indice e aggrottando le sopracciglia.
Jasper, dopo aver attirato la loro attenzione, fece segno di non fare altro rumore e, guardandosi intorno per vedere che nessun altro stesse arrivando, si allungò verso l'orologio e, girando la rotellina posta sul lato, portò la lancetta delle ore sulle 14. Poi, sfregando velocemente le mani per ripulirsi da un residuo di polvere, le guardò attentamente.
- Io non sono mai stato qui. - Sussurrò, dileguandosi poi senza fare rumore e dirigendosi verso la sua stanza.
Le tre ridacchiarono, poi Alice prese l'iniziativa e bussò alla porta, aspettando che qualcuno desse loro il permesso di entrare.
La testa strafottente di Jessica apparve un istante dopo, con un'espressione quasi di disgusto per le tre. - Avete un bel coraggio a presentarvi qui con tanto ritardo. Non siete altro che delle campagnole. - Sputò con le labbra contrite in una smorfia, poi si spostò per farle entrare. Rosalie ebbe una gran voglia di girare i tacchi e tornare in camera per riposare, la nausea stava rimontando e tutto ciò che desiderava in quel momento era poter stare lontana da Lady Victoria e dalle tre che le gironzolavano attorno.
- Sono le 14 in punto, in realtà. - Disse Alice, gongolando nella sua mente per la brillante idea avuta da Jasper pochi minuti prima; indicò quindi l'orologio a Jessica, che sussultando non poté più replicare, e per ripicca si sedette poco distante con il broncio.
- Non abbiamo tempo da perdere. - Lady Victoria sistemò il cappellino sui capellia, poi squadrò le tre sorelle. - Non posso permettere a tre come voi di rovinare l'immagine della nostra famiglia, chissà quante figure ci avete già fatto fare! - Disse, alzando gli occhi al cielo con una finta aria affranta.

Le ragazze dunque dovettero subire per la seguente ora un discorso lungo e complesso sul come una milady si sarebbe dovuta comportare, sapendo che loro stesse avevano ricevuto un'educazione ineccepibile, ma nei giorni precedenti Edward e Jasper le avevano implorate di stare al gioco almeno fino al matrimonio.
- E soprattutto, non dimenticate che chi comanda qui sono io! - Disse infine Lady Victoria, puntandosi l'indice al petto e gongolandosi, mentre le nipoti la incalzavano e appoggiavano ogni sua parola a discapito delle sorelle Swan.
Un tocco alla porta interruppe quel discorso diventato quasi insostenibile per le tre sorelle, che si fecero scappare un sospiro di sollievo.
- Milady, vostro figlio desidera vedervi con urgenza. - Trevor fece capolino dalla porta, lanciando un'occhiata alle ragazze e facendo poi un accenno di inchino verso lady Victoria, che presa alla sprovvista congedò tutti e si diresse verso lo studio di Carlisle.
Una volta fuori, le tre sorelle si dileguarono velocemente nella loro stanza, facendo bene attenzione che nessuno girasse nei paraggi.
- Come stai? - Chiese Bella a Rosalie, cercando di sviare le sue domande che sapeva che sarebbero arrivate di lì a poco. Rosalie accennò un sorriso, appoggiando la mano destra sul proprio fianco.
- Beh, avrei potuto stare meglio se non avessi dovuto aspettarvi per quasi un'ora davanti alla stanza di quella... - Tacque, sapeva che non era appropriato dare titoli a Lady Victoria, perché dal suo arrivo anche i muri avevano le orecchie in quella casa.
- Dove vi siete cacciate? - Chiese dunque, incalzando le sorelle a sputare il rospo. Alice e Bella si guardarono appena, e la maggiore prese la parola.
- Beh, ragazze... - Abbassò la voce, l'ultima cosa che voleva era che James scoprisse che il loro dialogo segreto era stato svelato in così poco tempo. - Sono stata nel giardino, ho scoperto una cappella che dovete assolutamente vedere. - Si sedette ed invitò le sorelle a raggiungerla, per poi spiegare loro quello che fosse successo.
- Wow... - Disse Bella, con un velo di tristezza a coprirle gli occhi. - Non sapevo che i Cullen avessero passato questo brutto momento. Mi ricorda tanto la mamma... - Sospirò, con una nota amara e la voce rotta.
Rimasero in silenzio un paio di minuti, l'aria nella stanza si fece pesante e i pensieri che accompagnavano le ragazze lo erano ancora di più.
- E tu, Bella? Dov'eri finita? - Alice diede un lieve colpo con il gomito contro il fianco della sorella, che si imbarazzò e divenne paonazza.
- Mi sono intrattenuta con Edward, stava suonando il pianoforte e... Beh... - Bella si interruppe, non voleva dare altre grane alle sorelle, ma sapeva che non avrebbe potuto trattenersi dal raccontare ciò che fosse successo. Avrebbe però potuto farlo in maniera più soft.
- Beh, ha suonato talmente bene... È davvero bravo. - Disse, abbassando appena lo sguardo che fino a quel momento era fisso in quello di Alice, che scrutandola per bene aveva probabilmente intuito cosa volesse dire loro la sorella.
Rosalie appoggiò una mano sul pancino ancora non visibile, e lo stesso fecero le sorelle un attimo dopo, rimanendo in silenzio per diversi minuti. Avevano la spiacevole sensazione di avere in qualche modo minato alla futura serenità della zia, che per tutta la vita aveva cercato di crescerle al meglio insieme alla loro madre e allo zio. Quella che si sentiva più in colpa era proprio Rosalie, non si capacitava ancora del tutto di ciò che stava crescendo dentro di lei, e soprattutto di chi fosse implicato in quel problem insieme a lei, ma sapeva che avrebbe causato un grande dispiacere alla zia.
Avevano paura di deluderla, di ferirla o di causarle forse problemi più gravi di quello che potessero immaginare. E che cosa avrebbe detto Carlisle?
Ognuna di loro in cuor suo aveva un peso, ognuna stava iniziando a provare dei forti sentimenti per i figli di Carlisle, senza che ciò fosse causato in alcun modo dal loro comportamento, che perlomeno per Alice e Rosalie doveva anzi essere un campanello d'allarme e un'ennesima ragione per allontanarsi da loro.
Ma sembrava quasi che più i fratelli si comportassero in malo modo o in maniera bizzarra, e più ne fossero irrimediabilmente attratte.
Forse Rosalie poteva dare la colpa agli ormoni, anche se poche al posto suo avrebbero subito le angherie e le cattiverie a cui veniva sottoposta dal primo giorno da Emmett.
Alice non aveva alcuna scusante, malediva ogni giorno se stessa per i sentimenti che provava per Jasper, che a dire della ragazza non ricambiava e ne veniva anzi quasi ripugnato. Ma allo stesso tempo, ogni qualvolta si ritrovasse assieme a Jasper, o in vicinanza, il suo cuore perdeva un battito.
Non aveva mai provato un sentimento del genere per un uomo prima d'ora, e mai nella vita avrebbe pensato di innamorarsi di qualcuno in così poco tempo. Sperava ovviamente di trovare l'uomo giusto e di provare un sentimento forte tanto quanto quello, ma non pensava di trovarlo in quella circostanza, né di dover affrontare poi una situazione tanto delicata. Sia lei che le sue sorelle avevano a cuore la zia e pregavano ogni giorno che lei potesse essere serena dopo tanti anni di sofferenza, e temevano di esserne loro la causa in caso il tutto venisse scoperto.
- Dai, forza. Prepariamoci per la cena. - Rosalie ruppe il silenzio, dirigendosi poi verso la specchiera posta al centro della stanza per darsi una sistemata veloce ed essere presentabile. L'ultimo pasto della giornata si sarebbe rivelato pieno di sorprese.



- No madre, non credo sia appropriato. - Disse Carlisle, con un cenno di rassegnazione negli occhi, mentre con un guizzo fece segno a Jasper di dargli una mano.
- Ma come? Ti sei dimenticato forse a quale famiglia appartieni, figlio mio? - Chiese lady Victoria, sollevando un sopracciglio quasi indignata. - Fino a che sarò in vita, io deciderò cosa sia meglio per questa famiglia e per questo cognome. Il matrimonio si farà come dico io. - Sputò, con un tono che non ammetteva repliche.
Jasper socchiuse appena le labbra nell'intento di parlare, per far ragionare la donna, ma Emmett lo interruppe sul nascere.
- Volete rovinare anche questo? - Disse, con un tono di indifferenza tale da gelare l'intera tavolata, che rimase immobile per qualche istante, chiedendosi se quello che avevano appena udito fosse reale o meno.
- Cosa hai detto? - Chiese lady Victoria, portando la mano destra al petto, mentre le cugine sedute accanto a lei rimasero ad occhi sgranati.
- Nonna, sapete quanto rispetto io vi porti. Ma per favore, lasciate che mio padre sia felice. Lasciate che la nostra famiglia lo sia. - Proseguì Edward, non del tutto convinto che le sue parole avrebbero potuto essere di aiuto. Sicuramente aveva appena evitato uno scandalo a tavola, conoscendo il fratello maggiore.
La donna rimase in silenzio, sgomenta, mentre con lo sguardo passava in rassegna ogni commensale. Non aveva mai ricevuto un simile affronto in vita sua, tanto meno da uno dei nipoti. Non proferì più parola, e continuò a mangiare stizzita e con un tic nervoso all'occhio destro, che durante i suoi momenti di rabbia intesa si restringeva rispetto all'altro.
A tavola la tensione si poteva tagliare con un coltello; Rosalie non poté più sopportarlo, da giorni non sentiva altro che negatività intorno, l'arrivo della nonna e delle cugine aveva reso i Cullen nervosi e alquanto intrattabili e i suoi ormoni decisamente impazziti presero la meglio su di lei.
Afferrò un calice, in cui aveva prontamente versato dell'acqua, e dopo essersi alzata in piedi sotto lo sguardo incuriosito di tutti, sollevò il bicchiere come per un brindisi.
- Vi chiedo scusa, non mi sento in forma. Mi congedo. À vos souhaits. -  [1]
Disse, con un sorriso appena accennato che nascondeva un sottile sarcasmo che solo la zia, decisamente sorpresa dalla reazione della ragazza,
e le sue sorelle colsero.
Poi, stanca di quel forte imbarazzo, posò nuovamente il calice sul tavolo e girò i tacchi verso l'uscita della sala da pranzo.
- Che gesto riprovevole. Siamo ancora tutti a tavola, non capisco chi sia lei per permettersi questo affronto a nostra nonna. - Disse Jessica, sollevando un sopracciglio e contraendo il viso in una smorfia disgustata, cosa che infastidì non poco il dottor Cullen e i figli. Prima che Jasper potesse replicare, cosa che sicuramente lo avrebbe reso felice data l'insofferenza che provava nei suoi confronti, Carlisle interruppe la nipote.
- Jessica, Rosalie sta male da giorni. Non é sicuramente una mancanza di rispetto nei confronti di nessuno. - Disse, con tono duro, tanto da far abbassare gli occhi alla ragazza, che paonazza si ritrovò senza parole.
- Credo che questo pasto stia diventando difficile. Invito tutti quanti a godersi la cena, dimentichiamo i problemi. Siamo una famiglia. - Concluse, riprendendo poi il gesto di Rosalie e alzando il calice per invitare al brindisi gli altri commensali, che dopo un attimo di esitazione ripresero fiato e lo seguirono.
- Alla famiglia Cullen. - Disse Edward, guardando intensamente Bella che, dal canto suo, non poté che arrossire, facendolo sorridere appena.
Alice si accorse dell'intesa tra i due, e con lo sguardo cercò quello di Jasper, impegnato però a osservare la cugina Angela, e Alice si sentì improvvisamente un'onda di gelosia rimontarle fino alla testa. I pensieri che poche ore prima le stavano attanagliando la mente fecero nuovamente capolino, si rese conto di sentirsi totalmente inerme di fronte al ragazzo e ad ogni suo gesto, e che non avrebbe potuto sopportare a lungo quella situazione.

Bella si stava ancora trattenendo a tavola, Alice si era ritirata con un aria quasi nervosa e sapeva bene quanto fosse inutile andare a chiederle come stesse in quelle condizioni, l'avrebbe fatta chiudere in se stessa e non avrebbe ricavato nulla da lei.
- Tesoro, vado a letto. Sono stanca, é stata una giornataccia. - La zia Esme si abbassò per posarle un bacio sulla fronte, dopo aver fatto cenno con gli occhi verso lady Victoria, che sicuramente l'aveva tormentata come aveva fatto con le tre sorelle.
Bella ricambiò la buonanotte con un grande sorriso, poi prese il cucchiaino in argento posato davanti a lei e iniziò a rigirarlo tra le mani, riflettendo alla cena appena conclusa. Da quello che aveva capito, lady Victoria non aveva reso facile la vita alla madre dei tre fratelli, Alice aveva accennato loro qualcosa ma senza entrare nei dettagli, ma la conversazione a tavola non faceva presagire nulla di diverso.
Sperava che la cosa non si riproducesse quindi con la zia, anche se visto come Carlisle aveva tenuto testa alla madre, non credeva che sarebbe stato così semplice per la lady intromettersi tra loro due.
Una voce interruppe i suoi pensieri. - Isabella, posso parlarti? - La figura imponente di Emmett si palesò poco dietro di lei, facendola quasi sobbalzare. Si girò, e senza dire nulla decise di seguirlo. Il ragazzo quindi si diresse verso una delle varie stanze da lettura della casa, in cui varie poltrone pregiate ma molto comode si alternavano a tavolini con lampade ad olio, e tutto intorno alla stanza le grandi e maestose librerie piene di libri di ogni tipo facevano da sfondo.
Emmett chiuse le tende, dopo aver acceso un paio di lampade per poter permettere a se stesso e a Bella di vedere, poi le fece cenno di accomodarsi sulla poltrona di fronte alla sua.
- Che succede? - Chiese lei, dopo aver appoggiato mestamente la schiena per mettersi comoda, incrociando le braccia al petto e accavallando la gamba sinistra sull'altra.
- Come stai? - Emmett parve voler allungare il brodo e Bella non volle opporsi, quindi gli rispose nonostante la curiosità si facesse strada in lei.
- Bene, Emmett. Come sempre direi. E tu? C'é qualcosa che non va? - Lo incalzò per ricavare delle informazioni da lui, ma il suo tentativo parve inutile.
- Oh, no. Non c'é nessun problema. Solo che tra poco ci sarà il matrimonio, e non ho mai avuto la possibilità di parlare di questa cosa. Né con te, né con i miei fratelli d'altronde. - Disse lui, incrociando le dita delle mani dietro alla testa, lo sguardo impenetrabile.
Lei era l'unica ad aver riuscito a far breccia nella sua spessa corazza da duro, anche se non ci era riuscita del tutto era comunque arrivata a scoprire che anche lui, come tutti, aveva dei sentimenti che teneva ben nascosti e protetti agli occhi degli altri. I suoi fratelli e il padre, anche se questi 
di molte cose non era al corrente, erano gli unici a conoscere tutte le sue sfaccettature, le donne dell'alta società che lui frequentava abitualmente, e che da ormai un paio di mesi non vedeva quasi più, avevano visto di lui solo il lato più arrogante e malizioso; non che la cosa dispiacesse, a loro andava bene così e lui non si aspettava altro che del piacere puramente fisico, il che giovava a tutti e non portava a confusione o a rancori.
Certo, ogni tanto era capitato che due delle sue corteggiatrici e accompagnatrici si ritrovassero a bisticciare, ma la cosa non lo toccava particolarmente.
Insomma, Bella era l'unica donna ad essere riuscita a scalfire un po' la sua armatura invisibile, in un senso quasi fraterno, tanto da fargli credere che lei fosse in realtà una sua sorella di sangue.
- Beh, Emmett... - Iniziò lei, facendogli spallucce. - Come sai é stata una grande sorpresa anche per noi, é successo tutto molto in fretta e nessuno di noi si sarebbe aspettato un matrimonio, tantomeno in così poco tempo. - Continuò, attirando la sua attenzione. Bella non aveva mai fatto parola con altri, al di fuori delle proprie sorelle, delle sensazioni che provava a riguardo, e l'aprirsi ad Emmett con cui una fiducia reciproca si stava stabilendo sempre più poteva solo farle del bene.
- Ma con tutto quello che abbiamo passato, soprattutto Rosalie... - Bella si soffermò sul nome della sorella, che fece rabbuiare Emmett. - Beh, non possiamo che essere grate di essere finalmente in un posto sicuro e tranquillo per noi. Siamo felici di poter presto far parte della vostra famiglia, siamo state accolte da voi e non potremmo chiedere di meglio. - Bella decise di essere onesta e sincera, non aveva paura di lui o del suo giudizio e mentirgli non sarebbe servito a nulla. Ovviamente aveva omesso la parte in cui avrebbe dichiarato di essere ormai totalmente ed incondizionatamente innamorata di Edward, quello non lo aveva mai apertamente confessato nemmeno alle sorelle, che ovviamente lo avevano capito anche senza bisogno di conferme.
- E tu, Emmett? - Chiese lei, spostando la propria attenzione sulle espressioni dure del ragazzo di fronte a lei. - Come ti senti a riguardo? Non sembravi entusiasta all'inizio... - Lui rise all'ultima affermazione, una risata amara e quasi pungente, che Bella colse come un gesto ormai consueto da parte sua.
- No, non lo ero. Non ero pronto a vedere mio padre risposarsi un'altra volta, né a vedere mia nonna intromettersi un'altra volta nella sua vita come sta cercando di fare ora. Non mi aspettavo di dover fare fronte all'arrivo di quattro donne nella nostra casa, soprattutto... Beh. - Si riprese subito, non avrebbe mai confessato a Bella la verità, non voleva nemmeno riconoscerla lui stesso e anzi cercava di reprimerla in ogni modo, invano.
- Ma ora lo sto accettando, Isabella. Lo sai. - Disse lui, concludendo velocemente la conversazione prima che potesse prendere una piega troppo personale.
I due rimasero in silenzio ancora qualche minuto, ognuno immerso nei propri dubbi e pensieri più profondi, poi si congedarono augurandosi la buona notte, consapevoli che quella chiacchierata aveva messo una piccola tregua alle tensioni tra i fratelli e le sorelle. E che il matrimonio, che si sarebbe svolto a breve, avrebbe sancito un nuovo inizio.





[1] La formula francese utilizzata anche durante i brindisi. Letteralmente "ai vostri desideri", logicamente "salute/cin cin".


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