Get back in my life di Little Firestar84 (/viewuser.php?uid=50933)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pictures of you ***
Capitolo 2: *** Stop telephoning me ***
Capitolo 3: *** Let's steal a ghost ***
Capitolo 4: *** When I was young ***
Capitolo 5: *** Robin Hood & Little John ***
Capitolo 6: *** Last Friday Night ***
Capitolo 7: *** Mission Impossible ***
Capitolo 8: *** Jakie Chan ***
Capitolo 9: *** Ridere per non piangere ***
Capitolo 10: *** Good Romance ***
Capitolo 1 *** Pictures of you ***
Grazie mille a Soul_Shine e alla sua
prompt_chellenge "Just stop for a minute and smile" che
trovate qui.
Tutta questa storia è praticamente basata sui promt della
challenge, quindi è un mistero quanti capitoli
effettivamente avrà....
Prompt capitolo : #20:"Guarda cos'ho ritrovato in un cassetto!"
1-picture of you
Al
pub era ora di punta; già nei giorni passati
all’ora di pranzo le cose si erano
fatte caotiche, ma adesso, che su Portland di era abbattuta la
primavera con
tutta la sua prorompente forza vitale, gli affari andavano a dir poco a
gonfie
vele: ragazzi che prendevano da mangiare per poi andare
a sedersi sull’erba dei parchi cittadini,
coppiette che avevano riscoperto l’amore, studenti che
andavano a mangiare un
boccone tra una lezione e l’altra… sembrava che
tutta la città avesse scoperto
il birrificio artigianale del buon Hardison.
Ormai
da qualche giorno Becks si fermava a dare una mano quando andava a fare
un
salto a salutare Eliot, che, da gran romantico qual era, nove volte su dieci le
diceva che doveva
infornare o spadellare e non aveva tempo per le sue moine, e che si
rendesse
utile fermandosi a dargli una mano servendo ai tavoli, dato che
comunque aveva
fatto la cameriera da ragazza.
…E
ormai da qualche giorno, all’ora di pranzo, vedeva sempre la
stessa donna, sui
sessantacinque anni, che tutti i giorni ordinava un piatto di filetti
di pollo
grigliato con una salsa alla greca, e tutti i giorni giocherellava
pensierosa
col cibo a malapena toccandone un boccone.
E
tutti i giorni, mandava occhiate furtive al bancone del pub, quando
pensava che
nessuno se ne stesse accorgendo.
“Ehy,
Amy, sai chi è quella?” Becks chiese alla giovane
cameriera, appoggiata al
bancone con la schiena, tra un cliente e l’altro, studiando
la donna con
cautela. “È tutta la settimana che la vedo
ordinare lo stesso piatto e lasciarlo
praticamente intatto.”
“Non
lo so, ma fossi in te farei attenzione,” la giovane cameriera
scherzò,
civettuola. “L’ho vista che sbatteva le ciglia ad
Eliot…”
Il
campanello che indicava che un altro piatto era pronto
suonò, più e più volte.
“Beh, allora, avete finito voi due di chiacchierare?
C’è un mucchio di lavoro
da sbrigare!” sibilò loro contro Eliot, che
lanciò, furibondo come un toro
imbestialito, un’occhiataccia
alla donna
del mistero- cosa che a Becks non sfuggì.
“Devi
dirmi qualcosa, amore mio dolce?” Lei gli chiese, alzando un
sopracciglio, cosa
che fece andare in bestia Eliot ancora di più e gli fece
alzare gli occhi al
cielo.
“Giuro
che non so chi sia più idiota tra te ed Hardison, a
volte…” la sbeffeggiò.
“Rebecca cara, muoviti e servi i clienti, per favore, grazie.
Altrimenti,
smettila di far perdere tempo ad Amy e prendi la porta, ti spiace,
eh?”
Col
sorriso sulle labbra, Becks afferrò il piatto che il suo
“ragazzo”- che termine
strano, considerato che erano tutti e due ampliamente oltre i
trent’anni- e gli
stampò un bacio rosso corallo sulla guancia. Subito Eliot
rimase stupito, ed
arrossì, poi, si strofinò via col pugno lo stampo
e strinse i denti, quasi
ringhiandole contro- cosa che servì a poco,
perché lei si limitò a fargli la
linguaccia mentre andava a servire al tavolo.
Stava
per andare a prendere un altro ordine quando qualcosa attirò
la sua attenzione-
cosa, non ne era del tutto sicura – e andò dalla
donna misteriosa.
“Posso
portarle qualcos’altro? Sono certa che lo chef non si
offenderà se riporto
indietro e facciamo a cambio…”
le disse,
giocherellando con il blocco notes delle ordinazioni. La donna
arrossì, e
inizio a balbettare, quasi incerta, e finalmente alzò gli
occhi dal tavolo, e
fu in quel momento che Becks capì cosa esattamente
l’avesse colpita di quella
figura.
Erano
i suoi occhi azzurri- gli stessi, identici occhi azzurri di Eliot.
“Lei
è la moglie di Eliot?” Notò la donna
osservarle le mani, sorridendo un po’
triste, e subito Becks arrossì, e sentì il
bisogno di nasconderle, quasi fosse
imbarazzata. “La sua ragazza, fidanzata? Compagna? Scusi,
sono rimasta un
po’ indietro
in queste cose…ai miei
tempi, quando due persone stavano insieme, si sposavano e
basta…”
Becks
aprì la bocca, pronta a risponderle, a spiegarle che
sì, lei ed Eliot erano in
pratica fidanzati (in realtà, erano anni che si comportavano
come una vecchia
coppietta di sposi, e tecnicamente non poteva nemmeno dire che fossero
fidanzati, dato che lui non le
aveva mai
chiesto la mano, e lei non aveva alcuna intenzione di sposarsi) ma che
no, non
portava anelli perché erano scomodi (a meno che non fossero
di diamanti e
aiutassero e tagliare un vetro durante una rapina, ma quello era
più il campo
di Parker che il suo- e comunque, non che potesse dirlo a chicchessia),
ma poi
si morse la lingua.
Davvero
stava per spiattellare ad una perfetta sconosciuta, che per quello che
ne
sapeva poteva essere al soldo di qualche loro vecchia conoscenza, o
magari di
Sterling, la storia della sua vita? Perché i suoi occhi
assomigliavano a quelli
di Eliot?
Doveva
essersi bevuta il cervello.
La
donna iniziò a mugugnare e piagnucolare, mandando in crisi
la più giovane
donna, che si guardò intorno e, certa che Eliot non la
stesse fissando, si
sedette al tavolo, ed iniziò a dare delle piccole pacche
sulle spalle della
pensionata, sperando di tranquillizzarla. Ma nulla. Anzi, era ancora
peggio:
dalla borsetta, si era ripescata un fazzoletto, e si stava soffiando
rumorosamente il naso, mentre tutti la guardavano (incluso un furibondo
Eliot).
“Mi
scusi, è che….” Riuscì a
dire tra un oceano di singhiozzi che catapultavano
l’attenzione generale su di loro “alcune settimane
fa... ho ritrovato questa in un cassetto.
Guardi…. Sono i miei ragazzi.”
Becks
presa la fotografia tra le mani; era a colori, ma il tempo aveva
lasciato le
sue tracce sulla stampa, ingiallendola. Poteva avere forse
trent’anni, magari
qualcosa di più, quello
che era chiaro
era però chi ci fosse in quella foto: il padre di Eliot, con
cui gli anni erano
stati, nonostante tutto, clementi, la donna misteriosa e due
adolescenti, uno dei
quali era senza ombra di dubbio Eliot da ragazzino.
“Lei
è la madre di Eliot?” Becks la guardò
con gli occhi sgranati, e la donna fece
cenno di sì con il capo. “Ma… io
credevo che fosse morta!”
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Capitolo 2 *** Stop telephoning me ***
Prompt
capitolo: #31. "Ho provato a chiamarlo, ma non mi ha
risposto!"
2- Stop telephoning me
Becks
si tappò la bocca appena le parole le uscirono, imbarazzata,
rendendosi conto
della colossale gaffe che aveva appena fatto, desiderando di poter far
tornare
indietro il tempo per rimangiarsele, o perlomeno usare un po’
di tatto.
“Non
si preoccupi… non mi meraviglio che mio figlio le abbia
detto così. È da… molto
che abbiamo perso i contatti.”
Becks
si morse la lingua. Aveva sentito parlare del padre di Eliot, e lo
aveva visto
anche in fotografia, aveva sentito Eliot parlare al telefono col
fratello ed i
nipoti, ma non aveva mai e poi mai sentito parlare della madre. Eliot
non le
aveva detto che fosse morta, ma lei lo aveva desunto,
perché, quale altra
giustificazione poteva esserci?
A
quanto pare, aveva avuto torto- marcio, perché mammina era
viva e vegeta ma
Eliot non ne parlava perché, a quanto pareva, nella gara del
peggiore genitore
a vincere la medaglia d’oro era lui
e
non lei, come aveva sempre immaginato.
(Beh,
almeno suo padre le aveva insegnato a rubare, truffare e far saltare in
aria le
cose. Non era esattamente la cosa più normale da fare con
una figlia, ma era
meglio di un’oca giuliva che faceva le valigie e spariva per
trent’anni perché
“si annoiava”, povera stella…)
“Mi
sono sposata a diciotto anni, appena finito il liceo. Quando ero
incinta di
Eliot. All’epoca era così che
funzionava.” La donna sospirò, scrollando le
spalle, cercando di apparire leggera come una farfalla che svolazzava
di fiore
in fiore. . “Ma mi sono stufata presto. Non ero tagliata per
fare la mamma, o
la moglie. Volevo bene ai miei uomini, ma… Eliot e Thomas
ormai erano grandi,
non avevano più bisogno di me. Adesso però ho
perso mio marito… il mio secondo
marito, e…. mi sono messa a pensare. Quando ho trovato
questa foto, ho creduto fosse
un sogno, e mi sono messa a cercare i ragazzi. Credo che Thomas mi abbia parlato
insieme solo perché
suo figlio continuava a ripetergli di porgere l’altra
guancia, Eliot invece è
stato meno…. Accomodante, diciamo.”
“Che
tradotto vuole dire che non la vuole vedere.”
La
donna accennò di sì col capo, facendo una
smorfia, come se lui avesse avuto
torto. Ci credeva che fosse incavolato- quella
cretina lo voleva manipolare!
Stasera, prima lo metto sulla
graticola perché si è scordato di parlarmi di
mammina, poi lo consolo per
bene, povero il mio cucciolo. Guarda un po’ cosa gli tocca
sopportare…
“Ho
provato a chiamarlo diverse volte, perché non mi
sembrava il caso di
presentarmi così, dove lavora, ma
lui
non mi ha mai risposto, quindi sono dovuta venire qui, ma lui
mi snobba, si
comporta come se non esistessi!”
Becks
aprì la bocca, ma non ne uscì nessun suono. E che
avrebbe dovuto dire? Che
Eliot non era troppo bravo a processare le emozioni? Che era un tipo
che
portava rancore? Erano otto anni che rinfacciava ad Hardison di avergli
rubato
il pranzo una volta (in realtà, il caro Alec lo aveva diviso
con lei. A loro
discolpa: quello non era un panino, era un’opera
d’arte culinaria, con pane
fresco artigianale, cipolla di Tropea, petto di tacchino biologico
allevato a
terra, pomodoro fresco e formaggio greco), che non volesse parlare con
la donna
che aveva fatto le valigie perché si annoiava a fare la
casalinga era, beh, il
minimo.
“Mi
potrebbe aiutare?” le chiese, speranzosa, stringendole le
mani. “Per favore?
Eliot la guarda con occhi adoranti… a lei darà
ascolto…”
Becks
si guardò intorno, cercando una via di fuga, ma non sapeva
davvero come fare.
Il personale era impegnato, i clienti mangiavano e bevevano, Eliot la
guardava
neanche avesse voluto strozzarla con le sue stesse mani
perché si era
impicciata in cose che, a quanto pareva, non erano di sua competenza.
Stavolta mi strozza. Anzi, no: la
prossima volta che mi ficco in qualche casino non viene ad aiutarmi, e
io mi ci gioco la
pelle. Porca miseria, ma non
potevo starmene buona per i fatti miei?
“Ecco,
io, non so….” Balbettava, mentre la donna la
fissava con il broncio e gli
occhioni colmi di lacrime.
Fu
salvata dall’arrivo provvidenziale di Nathan e Sophie, che
entrarono nel locale
e le fecero segno col capo di avvicinarsi per parlarle (probabilmente
avevano
incontrato un nuovo “cliente” e lui aveva
già architettato un qualche
Machiavellico piano), dandole la scusa per scostarsi forzatamente dalla
donna,
che la afferrò però per la camicetta (e a momenti
gliela strappò. La sua
camicetta preferita. Cretina.)
“Per
favore!!!!”
Guardandosi
intorno imbarazzata, Becks arrossì, e capì che
c’era solo un modo per togliersi
di torno quella pazza isterica che, in teoria, era più o
meno sua suocera. “Va
bene, va bene, farò quello che posso! Ma adesso la smetta e
non torni per
qualche giorno, va bene?”
La
donna immediatamente si distaccò, si ricompose e le fece il
sorriso più
smagliante che Becks avesse mai visto, e fu in quel momento che lei
capì perché
Eliot fosse così bravo in quello che faceva- cioè
fregare la gente.
Perché
era una dote di famiglia.
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Capitolo 3 *** Let's steal a ghost ***
#6:
L'ho trovato scontato, non potevo lasciarmelo sfuggire!
“Okay,
ragazzi, la nostra vittima è Rowan Woodward, e…
finge di essere un sensitivo.
Il nostro cliente è il figlio di una delle sue vittime, a
cui Woodward ha portato
via ogni centesimo.” Nathan, appena era finita
l’ora del pranzo, che li aveva
tenuti occupati al locale, mostrò sullo schermo ad alta
definizione alcune
immagini della loro prossima vittima- un uomo sui
quarant’anni, che instillava
fiducia e trasudava carisma e sex appeal.
“Troppi,
troppi sensitivi in giro…” Hardison
sospirò, passando alla diapositiva
successiva, che mostrava lo studio dove il
“sensitivo” lavorava, in una
trasmissione che veniva trasmessa in tutto il paese tramite il circuito
delle
reti locali.
“Non
è il primo che fate uscire fuori dai giochi?”
Becks gli chiese, mentre, con
l’unghia, cercava di togliere l’etichetta alla sua
bottiglia di birra, ormai
vuota, per disastrarsi
dai suoi problemi
personali – ovvero che la madre di Eliot aveva
improvvisamente deciso di
entrare a far parte delle loro vite e che desiderava che lei
l’aiutasse a convincere
il figlio ad aprirsi.
Eliot.
Aprirsi. Lui.
Sinceramente,
sembrava una battuta, di quelle di cattivo gusto.
O
un film post-apocalittico.
Anzi,
no: fantascienza.
Meglio
ancora: fantasy!
Perché
nemmeno le pinze riuscivano a tirargli fuori le cose. E non intendeva
dire in
senso figurato: una volta era stato catturato, torturato, gli avevano
rotto le
ossa, strappato i denti, avevano usato l’annegamento
simulato… ma lui nisba.
Non aveva ceduto. Nemmeno di un millimetro. Non aveva detto una mezza
parola e
alla prima occasione si era liberato e li aveva messi a tappeto.
“No.”
Sibilò Parker a denti stretti. “Quel bastardo ha
osato parlare di mio fratello. Elio
voleva ucciderlo per
me, ma Nathan non l’ha lasciato fare.” La ladra
bionda si voltò verso il capo,
fulminandolo, quasi ritenesse che lui fosse in debito con lei per non
aver
assecondato le tendenze omicide dei membri della sua squadra.
“Con
Rand abbiamo smascherato tutto il suo business, e lo abbiamo fatto
crollare,
infiltrandoci all’interno come membri del suo staff. Ma se
Woodward è un uomo
intelligente, e purtroppo, lo è, si sarà
informato su cosa fare onde evitare di
cadere in trappole del genere. Non permetterà che la storia
si ripeta.”
Becks
chinò il capo di lato, leggendo le informazioni
sull’uomo che apparivano a
schermo- giocava a fare il sensitivo, ma aveva un passato da psicologo
e
giocatore di poker. Leggeva le persone, la loro mimica, le loro
micro-espressioni, e tirava le giuste conclusioni. Era lampante non
credesse
nemmeno lui ai sensitivi.
“E
se lo facessimo sfigurare con tutta la comunità? Farlo
apparire come un pazzo
isterico. Fargli ammettere che era sono un ciarlatano mangiasoldi. Ed
intanto
troviamo il modo di entrare nei suoi conti e gli portiamo via ogni
centesimo
che ha…”
“Oh,
la nostra piccola Rebecca ha un piano…” Sophie
cinguettò, prima di voltarsi
verso l’amore della sua vita, civettuola. “Che dici
Nathan, vogliamo lasciare a
lei l’onore di portare avanti il colpo? Vediamo se
l’uccellino ha messo le
ali…”
“Ma
non ha senso…. Gli uccellini hanno
le
ali.” Parker strabuzzò gli occhi, cercando di
percepire il significato
recondito di quelle parole. “Non sarebbe meglio dire mettere
le penne? O dire,
vediamo se il nostro uccellino ha imparato a volare? E comunque,
secondo me,
“andò avanti, schioccando la lingua contro il
palato. “Chiamare uccellino una
persona bassa e minuta è
davvero di
cattivo gusto, se non proprio politicamente scorretto.”
“Ritornando
al discorso originario…” Nathan chiuse gli occhi,
e fece un profondo sospiro,
sperando di riuscire a riperdere il controllo della situazione della
sua
squadra. “Rebecca, te la senti?”
Becks
lo guardò con gli occhi pieni di panico, si
guardò intorno, poi puntò il dito
verso di sé- sì, stava decisamente dando prova di
grande intelligenza- andando
leggermente nel panico, abituata che la gente usasse solo il suo nome
per
esteso quando volevano affibbiarle la colpa di qualcosa, e facendo
salire la
pressione a Nathan.
“Becks,
se non te la senti possiamo benissimo...” Nathan stava
dicendo, ma lei non gli
stava già più prestando attenzione, in altre
faccende affaccendata.
“Ha
la tv via cavo?” Chiese, indicando l’estratto conto
della loro vittima. “Perché
potremmo usare quella come scusa per
entrare in casa sua.”
“E
perché dovremmo entrare in casa sua?” Eliot le
chiese, alzando un sopracciglio,
accigliato. Era una critica, lo sapevano entrambi. Eliot era
dell’idea che i
contatti, nello spazio personale della vittima, si tenessero al minimo,
e lei
partiva dall’idea di entrare in casa di un tipo che si
guadagnava da mangiare
inquadrando le persone.
“Oh,
hai ragione, scusa, quella è più o meno la
seconda parte del piano. Pensavo,”
Becks si mordicchiò le labbra, tutta eccitata, con la voce
che equivaleva ad
uno squittio. “Che Sophie potrebbe mettersi quel bel tubino
di pizzo nero che
si è appena comprata, e interpretare il ruolo della
mogliettina affranta,
convinta di essere perseguitata dallo spettro del
consorte…”
“Sophie
si è comprata un altro vestito? Ma di quanti cavolo di
tubini neri hai bisogno,
donna?” Hardison le chiese, sbeffeggiandola un po’.
“Ehi,
se c’è qualcosa che ho imparato da Colazione da
Tiffany, è che una donna non ha
mai abbastanza tubini neri. E poi,” scrollò le
spalle, facendo il broncio. “È un
Michael Kors… L'ho
trovato scontato, non potevo lasciarmelo sfuggire!"
Nathan
alzò gli occhi al cielo, sempre più convinto,
nonostante fossero quasi quindici
anni che divideva la sua vita con i quattro quinti dei presenti (un
po’ di più
Sophie, se considerava gli anni che aveva passato a rincorrerla in giro
per il
mondo nel tentativo di consegnarla alla giustizia), che fossero tutti
dei
mocciosi, intellettualmente parlando- inclusi i due geni del gruppo.
“Allora,
il piano?”
“Gli
facciamo credere che Sophie pensi di essere perseguitata, magari gli
forniamo
anche qualche prova- potremmo cercare una casa da usare come dimora
infestata,
niente cose stile Poltergeist, però, molto sottili, ed
entriamo in casa, e
sistemiamo un paio di trucchetti da mago che un mio amico mi ha
insegnato… e
faremo in modo che creda che il defunto consorte ce l’abbia
con lui perché
tenta di irretire la vedovella. Vedrete come canterà, il
momento in cui gli
verrà l’esaurimento nervoso. Davvero.
Garantito.”
Nathan
la guardò divertito, e batté la mani.
“Bene, allora direi che possiamo andare a
rubare un fantasma!”
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Capitolo 4 *** When I was young ***
Pormpt: #40: "E' la quinta volta che me lo chiedi!"
“Si può sapere che cosa
cavolo ha Eliot che non va? E’
tutta la mattina che gli chiedo se ha capito cosa deve fare dal
sensitivo, e
ancora non mi ha risposto.” Hardison, mentre smanettava al
computer, si voltò a
guardare di sfuggita Becks, che stava prendendo appunti su come andare
avanti
con le cose. “Cos’è, ha lavorato pure
per lui e non vuole farcelo sapere, come
la volta che volevamo incastrare Moreau?”
Becks mordicchiò il cappuccio della
biro- era all’antica
e scriveva con le penne- quando sentì Eliot ringhiare.
Ah, allora era lì con loro!
“Guarda che se vuoi sapere qualcosa sul
sottoscritto sei
pregato di chiedermelo- soprattutto visto che io sono qui! E comunque, cinque volte mi hai chiesto se avessi
capito, e cinque volte ti ho risposto che so esattamente cosa
fare!”
“Beh,
ma visto che
io ti conosco e so che non mi risponderai, faccio che chiederlo alla
tua dolce
metà…”
Parker, che giocherellava con una ciocca di
capelli
mentre osservava il suo fidanzatino lavorare al computer e imparava la
parte,
sperando di non dover di nuovo sentire un finto sensitivo rivangare
brutti
ricordi, fece un sospiro profondo. “È
vero. Sei troppo onesta per essere una ladra.
Però sei una tipa giusta,
sai far anche esplodere le cose, e, soprattutto, non hai paura di
buttarti giù
da un palazzo o da un ponte!”
Hardison si voltò, indispettito,
offeso, ferito, con gli
occhi spalancati, verso la ladra funambola. Aveva gli occhi lucidi,
segno che
stava per scoppiare a piangere- e sembrava che singhiozzasse.
“Tu… tu hai portato lei
a fare bungee-jumping invece che me?
Ma… Parker… perché? Credevo che quella
fosse una cosa nostra! Insomma… io ho
girato per un anno intero con te scalando palazzi, dighe,
statue… e tu… tu mi
tradisci così?!”
“Per
non parlare
del fatto che si è privata di un’enorme fonte di
divertimento… come urli tu di
terrore, non urla nessuno!” Eliot sghignazzò,
beccandosi una gomitata nel
fianco dalla compagna.
“In realtà Eliot ha
ragione,” Parker scrollò con
nonchalance le spalle. “Tu ti spaventi sempre, urli e mi fai
passare tutto il
divertimento, anche perché mi fai sempre la lagna che ti
metto in pericolo.
Becks invece se la ride di gusto. E così me la godo anche
io.”
Hardison non rispose, si limitò a
fissare
alternativamente la compagna ed il collega a lungo - molto, molto a
lungo – con
fare minaccioso, facendo raggelare il sangue al picchiatore –
Hardison era
bravo a vendicarsi, e quando capitava, capitava
all’improvviso, a volte dopo
mesi.
“Beh, allora? Che ti prende?”
Parker gli chiese, come se
stesse parlando del giorno e della notte e non di cose potenzialmente
vitali. “Sei
più scontroso del solito. Non stai andando in bianco
perché le pareti qui sono
di carta igienica e si sente quando bisbigliate, figuriamoci quando ci
date
dentro…”
Becks arrossì, fissando lo schermo e
decidendo che non
avrebbe più aperto bocca per il resto dei suoi giorni,
mentre Eliot si morse le
labbra con fare colpevole (gongolando però del fatto che
Parker fosse
indirettamente a conoscenza delle sue doti di amante) e
scrollò le spalle; Becks
lo fulminò, minacciandolo mentalmente
di non farlo dormire a letto per i successivi anni,
e lui cedette. “Mia madre è in
città.”
“E hai paura della mammina? Povero
cucciolo…” Hardison lo
schernì.
“Non è che ho
paura,” Eliot si giustificò.
“è che non la
conosco, non la vedo da quando avevo tipo tredici anni, e adesso piomba
qui e
il perché non lo nemmeno io…”
“Quindi non hai paura della mamma. Hai
paura che voglia
incastraci?” Parker
si mordicchiò le
labbra, pensierosa. “Tua mamma è una dei
buoni?”
“Parker, bimba,
no…” Hardison sospirò, dandole delle
piccole pacche sul capo, come se fosse stata un cucciolo. “Te
l’ho già detto,
la gente non sempre ha paura di essere incastrata. A volte ha sola
paura di
soffrire. Di essere abbandonata.
Come
Eliot, sua madre si è fatta viva dopo averlo mollato con un
uomo privo di
sentimenti, e adesso lui ha paura di soffrire di nuovo. Lui non vuole
aprire il
suo grande cuore di orsacchiotto alla strega cattiva.”
“Io non ho paura di niente e
nessuno!” Eliot sibilò a
denti stretti, con Becks che a malapena soffocò le risate.
“Beh? E tu che hai
da ridere?”
“Se non hai paura, perché non
l’hai ancora chiamata per
prendere un appuntamento? Vedervi, non so, per un caffè, un
aperitivo…”
“Io non ho paura. Di nulla.”
Ribadì, e tanto per far
vedere che era lui ad avere ragione, e loro ad avere torto marcio,
prese lo
smartphone in mano,
cincischiando nel
tentativo di comporre il numero (odiava la tecnologia), sbagliando
numero tre
volte perché c’era sempre un numero diverso da
quello che doveva essere e alla
fine…
“Ciao. Sono io. Eliot. Tuo figlio.
Venerdì sera sono
libero. Ci vediamo al locale alle nove.” E
riattaccò, guardando i suoi amici
negli occhi. “Soddisfatti adesso?”.
“Tu sì che sei un figliolo
espansivo…” Hardison alzò gli
occhi al cielo, mentre Eliot se ne andò sbattendo la porta, borbottando cose
intraducibili in una delle
mille mila lingue che aveva imparato negli anni. “Sei
così normale. Non riesco
a credere che tu stia con quell’orso.”
“Ciccio, guarda che io sono tutto
fuorché normale. La
morale del bambino si forma nei primi cinque anni di vita, quando il
cervello è
ancora malleabile, letteralmente. E lo sai cosa succedeva nei miei
primi cinque
anni di vita?”
“Ho paura di
chiedertelo…” Le rispose, sudando freddo e
ingoiando a secco.
“Io no! Racconta, dai!” Parker
la spronò, dondolando le
gambe dal tavolo su cui si
era seduta,
accanto a dove Becks stava prendendo appunti.
“Mio padre mi teneva un corso intensivo
di truffa,
raggiro, inganno, menzogne e furti: le basi, e poi mi faceva fare le
prove
pratiche… la piccola fiammiferaia, la bimbetta che si era
persa, sai, questo
genere di cose. Ecco cosa capitava. Davvero credi che sia normale?
Perché io mi
offendo. Anche perché ricordarti che ho un quoziente
intellettivo ampliamente
superiore alla norma.”
Parker sospirò, con aria sognante,
giocando con la
treccia bionda come se fosse una bucolica principessa Disney.
“Che
bell’infanzia che hai avuto… mi ricorda tanto
quando mi allenavo con il mio
papà con gli esercizi di ginnastica ritmica, proprio come
Ilary nel cartone!”
“Uhm, Parker, quello era il tuo mentore,
non tuo padre, e
ti insegnava le
tecniche di furto
acrobatico, non ginnastica ritmica.” Hardison chiuse gli
occhi e, meditando,
fece profondi respiri, prima di riiniziare a smanettare al computer.
“Porca
Miseria. Una cresciuta da un ladro, l’altra da un truffatore,
uno da un
contabile delle mafia di Boston, Sophie è una nobile
decaduta per tutti gli
scandali del suo ramo… cioè, solo Eliot ed io
veniamo da famiglie
vagamente normali?”
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Capitolo 5 *** Robin Hood & Little John ***
Ed ecco l'ennesimo capitolo, basato sull'ennesimo
prompt di Soul_Shine per la
Just stop for a minute and smile challenge, questa volta
basato sul prompt #16. "Smettila di andare avanti e
indietro, mi fai venire il mal di mare!"
“Potresti
smettere di andare avanti e indietro? Mi stai facendo venire il mal di
mare!” Mentre stava tenendo sotto controllo sul
portatile i movimenti
della loro ultima “vittima”, che Sophie–
nei panni della ricca vedova- si stava
lavorando, Becks sbuffo, tenendosi una mano sulla fronte ad enfatizzare
il suo
enorme disappunto.
Disappunto
nei confronti di Eliot, che era da giorni
che stava facendo un solco nel
pavimento andando avanti ed indietro a testa bassa, con le mani in
tasca, mugugnando
tra sé e sé.
“Oh,
scusami tanto se anche io ho dei problemi in famiglia!” Il
suo compagno – di
lavoro come di vita – si fermò, ringhiando come
una cane con la rabbia.
“Potresti anche essere un po’ più
comprensiva, sai? Perché vorrei ricordarti
che quando ti sei ficcata nei casini con tuo padre io ti ho aiutato!
Sono
perfino venuto a quella orribile cena fingendo di essere il tuo
ragazzo! E
comunque, la colpa è tua, perché tu
mi
hai convinto a parlare con lei! A me stava bene anche far finta che
fosse
morta, o a spassarsela al sole chissà dove!”
“Oh,
povero il mio nobile cavaliere…” Mentre guardava
il buon Alec e Parker entrare
nella casa delle vittima e piazzare la macchina del fumo e dei
proiettori
olografici per portare a termine il piano, Becks si riempì
la bocca di popcorn,
facendo una risatina. “Veramente, mi hai aiutata
perché ti sentivi in colpa per
aver riso di me. E perché quando mi hai vista con quel
vestitino striminzito ti
si sono attizzati i bollenti spiriti.”
Eliot
la guardò rancoroso, incrociando le possenti braccia
muscolose davanti al
petto, un movimento che metteva in evidenza ogni muscolo e ogni singola
vena,
facendole venire voglia di leccarsi le labbra. Lui lo notò-
come d’altronde
notava tutto, altrimenti non sarebbe stato così bravo nel
suo lavoro- e sgranò
gli occhi, furibondo, facendola arrossire.
“Becks!
È una cosa seria! Non vedo mia madre da quando avevo tredici
anni e adesso è
ripiombata nella mia vita, e….” sbuffava,
gesticolando. “Cosa cavolo le dovrei
dire, di me, intendo? Che faccio il cuoco in un pub? Non ci
crederà mai, prima
o poi inizierà a farsi delle domande, vorrà
sapere come faccio a vivere al di
sopra delle possibilità economiche di un cuoco.”
“Ma
tu fai il cuoco in un
pub.” Gli disse
in tono ovvio, facendolo infuriare ancora di più.
“Davvero
spiritosa. Mi rammenti perché stiamo insieme?”
Le chiese sarcastico, lanciandole addosso un foglio di
carta
accartocciato, quasi fossero stati due bambini di cinque anni.
Becks
fu tentata di rispondere in modo scherzoso, fare anche eli una battuta,
ma
sapeva che non era ciò di cui Eliot aveva bisogno.
L’improvvisa ricomparsa
della madre lo aveva turbato non poco, soprattutto perché
significava
affrontare il fatto che non aveva più un rapporto con il
padre ed il fratello
dai tempi in cui si era arruolato, e soprattutto chi
lui fosse dietro la maschera con cui si nascondeva al mondo.
“E
se provassi a dirle la verità? Non dico dirle proprio
tutto… potrei dirle che
sono un esperto di recuperi. Potrei raccontarle che lavoro per le
assicurazioni. Un po’ come faceva Nathan ai bei
tempi.”
A
Becks quasi andò di traverso l’acqua che stavo
sorseggiando.
“Giusto
per capire… le vuoi dire che lavori per far recuperare ai
ricchi i loro beni,
quando invece tu prendi ai ricchi
quei beni?” Gli chiese, sarcastica, a malapena trattenendo le
risate- c’era
qualcosa di davvero comico in quel ragionamento contorto di Eliot.
“E
che cosa le dovrei dire?”
si passò una
mano tra i capelli che aveva lasciato di nuovo crescere, e che
arrivavano di
nuovo alle spalle, proprio come quando si erano conosciuti. Aveva
ripreso a
camminare avanti e indietro per la stanza, e Becks stava iniziando ad
averne
abbastanza.
Solo
due giorni prima, Eliot non voleva nemmeno parlarci, con la madre.
Adesso,
stava considerando di raccontare la cosa più simile alla
verità su cosa
effettivamente facevano di lavoro nella vita quotidiana. “Che sono una
specie di Robin Hood che predilige
jeans, giacche di pelle e camicie di flanella alla calzamaglia e calci e pugni alle
frecce?”
Becks
scoppiò a ridere- una risata che fece arrossire Eliot,
perché gli ricordava in
modo impressionante la sua la volta che Becks gli aveva chiesto di
fingersi il
suo ragazzo, prima che si mettessero insieme per davvero –
una risata un po’
cattivella, se doveva essere sincero. “Mi fa piacere che
trovi la situazione
divertente.”
Becks
diede una rapida occhiata allo schermo, controllando che tutto fosse a
posto e
che le cose stessero andando per il meglio; constatato che Hardison e
Parker se
la cavavano alla grande, lasciò la sua posizione per
raggiungere Eliot. Si
tolse l’auricolare e, dopo
avergli
allacciato le braccia al collo, fece lo stesso per lui.
“Stai
cercando di traviarmi col sesso?”
Finalmente, Eliot sorrise, sornione, mentre la teneva stretta per la
vita.
“Perché sta funzionando. Alla grande.”
Becks
rise di gusto, affondando il volto sul petto di Eliot, nel ruvido
tessuto della
camicia di jeans. Gli diede un veloce bacio sulle labbra, e poi lo
guardò in
quei grandi occhi azzurri. “In realtà, ridevo
perché più che Robin Hood, io ti
ho sempre visto come il cacciatore. All’inizio della fiaba il
cacciatore lavora
per chiunque abbia un po’ di potere e lo paghi, ma alla fine
si redime, e si
mette al servizio del bene per annientare gli stessi da cui aveva preso
ordini.”
Le
passò una mano tra i capelli rossi, e le baciò la
fronte. “Quindi, non sono
così male come essere umano? Anche se ho fatto cose di cui
mi vergogno, c’è
ancora una possibilità per me?”
Mordendosi
le labbra, fece segno di sì. “E poi, guarda, io ti
ci vedo, vestito di pelle,
con tanto di ascia e un falco sulla spalla. Davvero, mi sembra di
averti qui
davanti agli occhi!”
Ridendo,
Eliot la strinse forte a sé.
“Tu,
ragazza mia,” le disse tra un bacio e l’altro,
“sei completamente pazza.”
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Capitolo 6 *** Last Friday Night ***
Nuovo capitolo ispirato dai prompt di Soul_Shine e
la Just stop for a minute and smile challenge, questa volta ispirata ai
prompt #36 ("Smettila, ci stanno guardando tutti!") e #39 ("Me l'avevi
promesso!")
Il
venerdì sera, Becks era seduta nel retro della birreria,
tutta goduta a dare
ordini a Sophie – che era con il pseudo-sensitivo- e ad
Hardison e Parker, che erano
in un furgone fuori dalla magione che attendeva il momento giusto per
far
partire gli effetti speciali e far credere al balordo che casa sua
fosse
infestata dallo spettro di un marito vendicativo, per quello che doveva
essere
il gran finale. Nathan era nella stanza con lei, che andava avanti e
indietro,
facendole girare la testa, e sudando freddo. Erano madidi di sudore i
suoi
capi, ed erano madidi di sudore i suoi fazzoletti di cotone e lino con
le
inziali ricamate che faceva arrivare dall’Egitto
(perché se doveva passare per
un ricco bastardo snob, doveva avere le cose di un ricco bastardo snob,
a
sentire lui) con cui si era asciugato la fronte negli
ultimi… beh, da quando
Becks aveva preso in mano la regia del colpo.
Una
cosa però doveva dirla: non aveva mai aperto bocca. Anche se
era chiaro che
moriva dalla voglia di dare consigli e dettare istruzioni.
“Sai,
sei quasi peggio di Eliot…” gli disse, tranquilla,
mentre sgranocchiava
popcorn, seduta a gambe incrociate sul tavolo.
Nathan
alzò un sopracciglio, soppesando le parole dette dalla
giovane donna. “E dovrei
sentirmi lusingato o offeso da questo paragone?”
“Considerando
che mi sono mantenuta casta e pura per dieci lunghi anni per
Eliot…” Nathan
scoppiò a ridere, per essere fulminato dallo sguardo severo
da arcigna maestra
tedesca di scuola elementare del Chimico. “Come dicevo,
considerando che mi
sono mantenuta casta e pura per dieci lunghi anni per Eliot, direi che
è
decisamente un complimento.”
Nathan
sghignazzò, dondolandosi sui talloni. “Ma davvero
Eliot pensa che tu fossi una
candida verginella santarellina che non aveva mai visto un uomo nudo
prima di
lui?”
“Beh,
vergine è una parola molto grossa,
però,” lei scrollò le spalle.
“L’idea di
Eliot è che, dato che ero imbranata con lui, io fossi
imbranata con tutti. Non
gli è mai passato per l’anticamera del cervello
che io potessi essere meno imbranata di
quanto lui
pensasse.” Scrocchiò
la lingua contro il
palato, e fece l’occhiolino a Nathan.
“Ero una professionista dello svanire nel cuore
della notte dopo aver
rimorchiato in qualche locale..”
“Chi
è che rimorchiava nei locali?” Eliot, come
chiamato in questione, apparve dal
nulla, sorseggiando una bottiglia d’acqua fredda. Si era
rasato- cosa che Becks
equiparava ad un crimine- e si era legato i capelli, altra cosa
parecchio
grave, anche se capiva che dovesse apparire come un bravo ragazzo, e
non come
una sexy macchina del sesso dalla folta capigliatura in stile Fabio.
“Non
dovresti essere con tua madre a
quest’ora?” Becks gli
chiese alzando un sopracciglio con fare interrogativo, e lui le rispose
nel suo
modo preferito- con un’alzata di spalle.
“Sta facendo uno spuntino. Dieci minuti
e la raggiungo.
Davvero.” Becks sospirò.
Certo, come no,
pensò. Come se non lo avesse conosciuto abbastanza bene:
Eliot sperava di dover
raggiungere Parker o Sophie per toglierli dai guai, così da
non dover parlare
con sua madre.
“Amore mio dolce, mi
avevi promesso che le avresti parlato!” Becks
sibilò, dividendo la sua
attenzione tra il crimine e la vita privata, che per una volta non si
stavano
sovrapponendo al 100%. “Adesso non ci servi,
perciò vai di là, e se capita
qualcosa ti chiamo.”
“Mi ha mollato per
trent’anni….” Eliot iniziò,
fermato da
Nathan che si schiarì la gola mormorando qualcosa che
sembrava suonare molto
come un trentaquattro, e che fece
digrignare i denti al picchiatore e sportivo ed ex militare.
“Mi ha mollato
quando avevo tredici anni, perché dovrei concederle tutto e
subito?”
“Posso darti due motivi, il primo
è che tu sei una
persona migliore di quanto fosse, e probabilmente sia, lei, e
perché quella
donna mi assillerà fino a farmi venire un esaurimento
nervoso se tu non
mantieni la parola, e sai cosa farò io se tua madre si presenterà da
me o mi chiamerà di nuovo,
perché lo farà, dato che Parker ha avuto la
brillante idea di darle uno dei
miei numeri? Ti farò dormire sul divano, per molto, molto
tempo, da solo, e
tutti quei completini di lingerie che ti piacciono tanto, te li potrai
solo
sognare.”
Seccato all’idea di non poter
abbracciare quel grazioso
corpicino la notte, e detestando il divano dal più profondo
del suo essere,
Eliot si fece coraggio e
andò a sedersi
al tavolo della madre, che lo guardò come se fosse una cosa
normale averlo lì
con lei.
“Sai, tolta quella… specie di
criniera, sei proprio
uguale a tuo padre quando aveva la tua età! Quanto hai,
quarantuno anni?” Gli
disse, con voce cinguettante. Aveva di nuovo preso il pollo.
E di nuovo ci aveva solo giocato.
“Quasi quarantasette.”
Precisò lui, a denti stretti,
leggermente offeso dal paragone con un genitore che aveva fatto il
tutto per
tutto per tenerlo in gabbia e che non gli aveva
più rivolto la parola (nonostante i molteplici
tentativi a base alcolica
di Eliot) da quando si era arruolato a 18 anni.
“Oh, accidenti… come faccio
ad essere così vecchia da
avere un figlio di quarantasette anni?” Cinguettò
tra le risate lei, attirando
l’attenzione di tutti.
“Potresti
smetterla, ci stanno guardando tutti…”
Sibilò a denti stretti. Non riusciva
a credere che ovunque andasse, ci fossero solo idioti sulla sua strada.
“Ascoltami bene, Eliot Olaf Spencer,
sono tua madre e tu mi rispetterai,
e
soprattutto, tu rispetterai le scelte che ho fatto nella mia
vita, va bene?” Si mise a strillare acuta lei,
neanche fosse
stata una gallina. Si era messa in piedi, era paonazza e aveva sbattuto
i pugni
sul tavolo, facendo traballare le birre ed i piatti- la classica
scenata che
Eliot avrebbe voluto evitare.
Nell’auricolare, Hardison se la stava
ridendo di brutto,
mormorando il nome “Olaf” tra un attacco di
ridarella e l’altro- Eliot sperava
che stesse ridendo così tanto da farsela addosso, almeno
Parker non sarebbe
stata più in grado di vederlo nello stesso modo
(né di tollerare la vista di
lui nudo).
“Ascoltami bene, piccolo saputello
ingrato,” sibilò lei a
denti stretti, incombendo su di lui, terrorizzandolo come nemmeno i
terroristi
che lo avevano catturato in Myanmar. “Io non ero fatta per la
vita di
provincia, dopo il liceo me ne sarei andata via, ma, indovina? A tuo
padre si
ruppe il profilattico, e così mi sono dovuta sposare a 19
anni. Ho resistito, e
alla fine, ho fatto quello che era più giusto per me e per
voi, perché se fossi
stata infelice, non sarei stata una buona madre, e a malapena io ero
decente.
Ci siamo capiti?”
Senza fiatare, Eliot acconsentì, e la
madre si sedette,
composta, lisciandosi la gonna del tailleur e risistemandosi il filo di
perle
che portava al collo.
“Ascolta Eliot, da quando il mio secondo
marito è morto,
io sono stata di nuovo libera, ma alla mia età, non me la
godo più allo stesso
modo. Ho riflettuto, e ho deciso che fosse il momento di vedere come
stavano i
miei ometti.” Eliot le lanciò
un’occhiataccia, che tradotta sarebbe dovuta
suonare come ometto, col cavolo….
Ho
quasi cinquant’anni, nel caso non te ne fossi accorta.
Ma forse la capì, perché la
parte seguente del discorso
verteva sull’età del figlio.
“Dì un po’, non sei un po’
troppo vecchio per
avere una “ragazza”? E poi, quanti anni ha quella
ragazzina? Venticinque?”
“Veramente, Becks ha dieci anni in meno
di me, non
venti.” Ma ne capisce qualcosa di
età? “e
se l’ho definita la mia ragazza è solo
perché non siamo ancora ufficialmente
fidanzati.”
“Quindi state insieme da poco, giusto? E non è
una cosa seria…”
“In realtà, sono quasi due
anni che stiamo insieme,
quindi sì, è parecchio seria.”
Abbastanza
seria da farmi diventare monogamo, pensò, ma
ritenne meglio non aprire
bocca. Con sua madre, non si sapeva dove sarebbe potuta andare a
parare, lei
con i suoi voli pindarici…
“Beh, allora ti conviene metterle
l’anello al dito. Non
sei più tanto giovane, e potrebbe trovare carne
più fresca. Sai, da l’aria così
giovane, e poi le donne al giorno d’oggi preferiscono il
boy-toy poco più che
adolescente al vecchietto di cui doversi prendere
cura….”
“Sì, certo,
capisco…” sibilò, avendo la netta
impressione
che lei lo avesse di nuovo insultato (dandogli quello che sembrava del
vecchio
incontinente). Si voltò verso il bancone, e vide una lunga
fila, giovani che
aspettavano i loro manicaretti, e un tizio che sembrava essere
parecchio a
disagio, forse un timidone. “Okay, senti, io vado. Hanno bisogno di me
e… ciao. Ci sentiamo.
Anzi no, a lunedì, stesso posto stesa ora.”
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Capitolo 7 *** Mission Impossible ***
Prompt #17: adesso ti metterai comodo e mi
racconterai tutto! (Per il loink alla challenge just stop for a minute
and smile, capitoli precedenti)
“Ma
tu non dovevi cenare con tua madre stasera?” Becks, dato che
avevano fatto il
colpaccio con ampio anticipo e avevano già distribuito
il ricavato del loro duro lavoro, stava
piluccando delle verdure bollite in insalata condite con salsa di soia
dietro
al bancone del bar, mentre vide Eliot gustarsi uno dei suoi sandwich
gourmet,
fulminandolo con lo sguardo. Quando lo vedeva mangiare quelle
prelibatezze ipercaloriche,
lo detestava, perché lei doveva stare a stecchetto per
mantenere un peso
decente, lui invece mangiava tutti ti tipi di grassi possibili in tutte
le
versioni presenti e aveva quella stramaledetta tartaruga addominale.
Porca
miseria se lo detestava. Certo, da nudo era un gran bel vedere,
però, sì, a
volte lo detestava. E pure parecchio.
“Sorpresa
delle sorprese,” disse tra un morso e l’altro.
“Né si è presentata, né si
è
preoccupata di avvisare che mi dava buca. La cosa positiva è
che almeno so come
si sentiva Hardison al liceo- le ragazze, per uscire con me, facevano
la fila.”
“Spiritoso.
Vorrei ricordarti che le ragazze adesso fanno la fila per uscire con i
nerd
come ero io al liceo, perché sanno che sono i ricchi di
domani.” Hardison lo
punzecchiò, triandogli addosso uno strofinaccio fradicio
appallottolato.
“Però
è ai quarterback come ero io che la danno,” ripose
Eliot da uomo maturo quale
era, facendo la linguaccia ad Hardison, dimostrando di essere entrambi,
mentalmente, adolescenti.
Se non peggio.
C’erano davvero giorni in cui Becks si sentiva come una
maestra d’asilo, a
stare in mezzo a quei due.
“Allora,
su cosa stanno litigando questa volta?” Nathan le chiese
quando arrivò con
Sophie. Lei si sedette su uno sgabello, mentre lui fece segno al
barista di
portargli il suo solito- ovvero acqua frizzante con una spruzzata di
lime con
cubetti di ghiaccio, servita in un bicchiere da whisky che lui guardava
come un
cucciolo affranto perché, certi giorni- soprattutto quando
doveva sorbirsi i
battibecchi tra i membri della sua squadra- il bere gli mancava davvero
tanto,
tanto, tanto.
“Hardison
al liceo andava in bianco mentre Eliot no.” Parker rispose,
candida, apparendo
dal nulla, come suo solito, e facendo passare l’appetito a
Becks. Quel poco che
aveva. Nathan alzò gli occhi al cielo prima di
stropicciarseli, mentre Parker,
candida come sempre, del tutto inconsapevole
delle normi sociali, e dei clienti che li stavano guardando e che
lasciavano il
tavolo a sentire parlare di sesso così, come se nulla fosse,
metteva il dito
nella piaga. “E a te come andava al liceo?”
“Ma
Tara non aveva detto che Parker era diventata normale?” Sophie chiese, parlando
con tutti e nessuno
in particolare.
“Tara
per un colpo ci ha presentato regolare fattura per “opera
di consulenza” - Eliot virgolettò con
le dita- con
tanto di tariffa oraria e IVA, davvero
prendi per buono cosa esce dalla sua bocca?”
“Scusalo
Sophie, è di cattivo umore. Credo che sia sincronizzato con
il ciclo di Becks.
Quando va in sindrome lei, ci va pure lui.”
All’ultima affermazione di Parker-
che fece scappare un altro cliente- Becks gettò nel
lavandino il suo pasto. La
fame le era decisamente passata.
Il
cellullare di Eliot- che lui odiava, come odiava ogni dispositivo
tecnologico,
Smart Tv inclusa – trillò, e lui, distrattamente e
svogliatamente, lo
controllò. Lo sentirono digrignare i denti e
ringhiare manco fosse stato un cane da guardia- chiara
indicazione che,
visto che Hardison era con loro, poteva trattarsi solo di sua madre o
di
Sterling- e poi fece Ah.
Solo
quello. E basta. E poi si rimise il telefono in tasca, e li
guardò, uno ad uno,
con fare colpevole.
Beh? Becks
gli chiese
mentalmente, alzando un sopracciglio.
“Sentite ragazzi, perché non
andiamo
di là e ci mettiamo comodi, così vi spiego
tutto?” Disse, un po’ in imbarazzo- perfino di
più della volta
che dovette convincere Nathan ad aiutare una ex con cui era stato
fidanzato
ufficialmente e che aveva mollato per la divisa (o la volta in cui
l’intera
ciurma aveva sorpreso Becks nuda alla birreria, nel tentativo di
irretirlo).
“Eliot,
cosa hai combinato stavolta?” Nathan domandò,
stropicciandosi gli occhi e
sentendo il bisogno di ubriacarsi. Davvero, certi giorni era davvero
dura.
“Perché
devo aver combinato qualcosa?” Eliot fece il muso, indignato.
“Io sono quello
che combina meno guai di tutti, eppure tutte le volte che capita
qualcosa mi
chiedi che cosa ho fatto! Solo perché faccio a pugni non
vuole dire che sia un
cretino!” Sbuffò, e fece vedere loro il telefono-
era un messaggio, solo che
non c’era testo, né audio, solo
un’immagine -sua madre. Legata ad una sedia, con
tanto di bavaglio stile film western. E una pistola puntata alla testa.
Una
pistola con il tappo rosso. Di quelle finte.
Ma che cretino si scordava di togliere il tappo prima di fare
una foto del
genere?
Probabilmente
lo stesso cretino che faceva una foto in cui si vedeva la sua faccia
nel vetro
a specchio, ecco chi.
Becks
alzò lo sguardo. “Beh, almeno sai che non ti ha
dato buca perché è una strega
menefreghista ma perché è stata
catturata…”
Eliot
la fulminò con lo sguardo, mandandola mentalmente a quel
paese- eh, effettivamente
se l’era cercata, se doveva essere sincera.
“Fammi
vedere una cosa…. Dietro alla mammina
c’è una finestra….” Hardison
prese il
telefono e poi il suo portatile, zoomò sulla foto sul primo
e poi sul secondo, e
guardò pensieroso prima una poi l’altra foto.
“Una domanda: non vi sembra che
il tipo che è riflesso nella finestra assomigli
incredibilmente all’assistente
di Woodward?”
“Ah,
ma vuoi vedere,” Parker
indicò la foto con fare pensieroso, ma
sicura di sé. “che la vera mente della cosa era
l’assistente, che agiva
nell’ombra?”
“Mente
mi sembra una parola un po’ grossa…”
Becks sghignazzò. Effettivamente, il tipo
era piuttosto sbadato.
“Ma
che… l’altra sera era al bar, me lo ricordo, tutte
le volte che qualcuno lo
sfiorava faceva dei salti alti così!” Eliot
sospirò, stringendo gli occhi.
“Come diavolo ha fatto a trovarci?”
“Ah,
non guardate me,” Becks grugnì quando Nate la
fulminò con lo sguardo. “Il mio piano
era perfetto. se c’è qualcuno che ha fatto casini
quelli siete voi!”
“Quindi
abbiamo fatto tutta quella fatica per niente?” Sophie, che
odiava i film
dell’orrore, specie quelli che parlavano di case infestate
(Nathan l’aveva
pressoché costretta a guardare Hill House, per poi
lamentarsi del fatto che
trovava affascinante Timothy Hutton*) aveva gli incubi da quando
avevano
architettato il colpo, anche se sapeva che era tutto finto. Aveva
odiato ogni
minuto di quel piano, e adesso scopriva che aveva fatto tanta fatica
per niente.
(Ma possibile che le vittime non sapessero nemmeno dire chi le
truffava?)
“Hardison,
riesci a capire dove sono dalla finestra?” Nathan gli chiese,
studiando la foto
che intanto era passato sul maxischermo.
“Credo
di essermi buttata dal tetto di quel palazzo il mese
scorso…” Parker osservava
l’immagine sfocata a braccia incrociate ed il capo chinato da
una parte. “Dev’essere
il Mirabella: leggermente curvo, non eccessivamente alto, si e no cento
piedi…
sicurezza da schifo, non hanno
nemmeno
un sistema centralizzato, è uno di quei posti dove ognuno
pensa per sé, il che
rende facile rubare, ma anche complicato, perché non sai mai
che tipo di
sistema d’allarme ti troverai davanti, non che
sia un problema per me, insomma, io sono quella che ha
battuto il fiore
all’occhiello dei sistemi d’allarme!
“Cento
piedi per te è basso?” Sophie le chiese,
pentendosi subito dopo della domanda.
Come se Parker fosse stata normale.
“Ho
già detto ad Hardison che se ci sposiamo, voglio che in
viaggio di nozze andiamo
a visitare il Burj Khalifa, è un grattacielo di Dubai, il
più alto del mondo,
quasi 930 metri. Sono indecisa se scalarlo con le ventose magnetiche
come Tom
Cruise in Mission Impossible: Ghost Protocol o se salire in ascensore,
e poi
paracadutarci dal tetto.”
Hardison
singhiozzò, e decise che mai e poi mai avrebbe dato
l’anello di fidanzamento a
Parker (anche perché tanto lei lo avrebbe rubato prima): in
tanti anni non le
aveva mai detto di soffrire di vertigini, e se qualche piano poteva
ancora
andare bene, ma buttarsi da quasi mille metri era tutt’altra
storia.
No.
Se lo poteva scordare. Parker sarebbe rimasta signorina vita natural
durante.
“Okay,
comunque, come stavo per dire,
il tizio non ha nascosto il numero. Quindi
adesso gli mando un messaggio con trojan annesso e attivo il GPS del
telefono
per localizzarlo. Persino Chaos sarebbe in grado di farlo. Cosa dico,
forse
perfino Eliot potrebbe farlo!” Il suddetto Eliot gli diede
una gomitata nelle
spalle, e lo guardò come se lo volesse uccidere, cosa assai
plausibile, dato
che Eliot odiava essere preso in giro, specie se si trattava di
tecnologia.
“Beh, tu mi prendi in giro per come faccio i nodi, io ti
prendo in giro perché
a malapena sai usare un telefono!”
“Questi
aggeggi non sono telefoni, sono… sono aggeggi giapponesi! Un
telefono serve solo a telefonare,
questi fanno tutto tranne
quello!”
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Capitolo 8 *** Jakie Chan ***
Ennesimo capitolo uscito grazie alla Just Stop for a minute and smile
challenge (il link lo trovate nel primo capitolo), realizzato con i
prompt:
5. "Da dove l'hai
pescato?" e 24. "Cosa ci fai
lassù?"
Non
troppo lontano dal Mirabella- Parker ci aveva visto giusto, a ragione,
dato che
lei di palazzi se ne intendeva- c’era un vecchio magazzino
che una holding
consociata di una sussidiaria di una divisione della casa madre
possedeva
tramite un’immobiliare creta ad hoc (sì,
c’erano parecchi passaggi) dalla casa
di produzione dello show del pseudo-sensitivo.
In
realtà, chiamarlo vecchio magazzino era fargli un
complimento: c’erano quattro
muri marci con sopra un tetto di lamiera consumata a rugginosa che
rischiava di
cadere addosso a ogni passo che facevano.
E,
sorpresa delle soprese, non c’era sistema
d’allarme. Non c’erano telecamere.
Non c’erano nemmeno guardie. Non c’era nulla a
fermarli.
Se
non l’assistente del sensitivo, che, mistero misterioso, come
avrebbe detto
Martyn Mystere (per Hardison) o il divulgatore scientifico Stefano
Bagnasco
(col cui lavoro Eliot era più affine, dato che lavorava
anche nel campo del
cibo) era in qualche modo riuscito a scoprire dove fosse la loro base,
che
Eliot era uno di loro e che la sua debolezza era sua madre.
Beh,
debolezza, parola grossa… ma di certo non poteva lasciarla
in mano ad un
truffatore e ladro. Suo fratello non glielo avrebbe mai perdonato, se
lo avesse
saputo (e Becks avrebbe fatto in modo di farglielo sapere).
In
mezzo alla stanza, piagnucolando forse più per i ragni, i
topi e la polvere che
per l’essere stata rapita, Samantha, alias la mammina di
Eliot, singhiozzava
disperata, legata ad una sedia, mentre il suo rapitore si metteva in
una posa
da Bruce Lee dei poveri ad accogliere Eliot, che si tolse la giacca di
pelle
(non voleva rovinarla) e scosse il capo, alzando gli occhi al cielo.
“Ma da dove diavolo ti aveva pescato il tuo
capo?” Gli chiese, senza nemmeno preoccuparsi di mettersi
in una
posa difensiva. Conosceva i tipi come quello: tutto fumo e niente
arrosto.
Erano bravi a fare scena, a
fare
coreografie, ma se si trattava di fare effettivamente qualcosa, nisba.
Il
tizio si mise in un’altra imbarazzante posizione da
pseudo-ninja, ed Eliot si
vergognò. Aveva imparato a combattere dai migliori del
mondo, era imbarazzante
sprecare le sue doti in quel modo, con… feccia del genere.
Sul
serio. Tipi come quello erano la vergogna dei lottatori. Di qualsiasi
categoria.
“Senti,
amico…” Eliot sospirò, spalancando le
braccia. “io non voglio dartele e tu non
vuoi prendertele, perciò tagliamo corto, tu lasci andare mia
madre e io lascio
andare te.”
Il
tizio non lo stette nemmeno a sentire; fece una faccia che nemmeno
fosse stato
costipato, e si lanciò contro Eliot in una mossa di kung-fu.
Colpendolo in
pieno volto. E spaccandogli il labbro.
Mentre
si massaggiava, Eliot guardava il tizio stupito, e mentre suddetto
tizio si
mise di nuovo in posizione, per la prima volta nella sua carriera,
Eliot si
ritrovò a fare un paio di passi indietro per proteggersi.
(In
realtà era la seconda, ma non avrebbe mai ammesso di
ricordarsi che aveva
tentato di schivare le sberle di Becks e Sophie quando avevano proposto
che lui
uscisse col chimico.)
Il
tizio lo colpì. Ancora, e ancora, e ancora. A ripetizione.
“Ma
la vuoi piantare!?” Eliot sbottò, mettendosi in
posizione difensiva come quando
faceva boxe. Intanto, sua madre sentì un movimento alle sue
spalle, e
tentò di attirare l’attenzione del
figliolo, che per favore, al proteggesse, ma non servì a
nulla: con la sua
visione periferica, vide una biondina in pelle nera calarsi dal
soffitto
attaccata ad una corda.
Chiuse
gli occhi e li riaprì.
Sì,
c’era effettivamente una biondina attaccata ad una corda che
pendeva dal
soffitto.
E
le stava togliendo il bavaglio. Con un sorriso disarmante sul volto.
“Ma chi... cosa… cosa ci
facevi
lassù?” Fu l’unica cosa che le
venne in mente di chiedere. Perché, effettivamente, non era
del tutto normale
avere una biondina tutta eccitata che scendeva dal soffitto attaccata
ad una
corda.
“Che
razza di domanda, mamma di Eliot, sono venuta a salvarti! Sai, per
citare una
bambina molto saggia di cui non ricordo il nome, io sono un lupo
buono!” La
biondina la agganciò alla corda, tutta sorridente, come se
calare dal tetto
fosse la cosa più normale del mondo, poi si voltò
verso Eliot. “Ehi, Eliot, ho
preso la tua mamma, adesso puoi picchiarlo!”
“Era
ora!” Eliot sibilò a denti stretti, mentre, appena
il cretino si rimise in
mostra con una delle sue mosse, gli si avvicinò, con fare
minaccioso, con lo
sguardo di un orso furente.
“Ma
si può sapere cosa succede? Chi è
quell’uomo? Cosa vuole da me e da mio figlio?
Cosa… cosa ci fate qui?” La donna
piagnucolò, mentre Parker le copriva gli
occhi con una mano.
“Non
guardi, mamma di Eliot, a una donna della sua età vedere
certe scene di
violenza non fa bene!”
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Capitolo 9 *** Ridere per non piangere ***
Prompt #3 "No, aspetta, era una battuta? Non l'ho
capita..."
“Scusami….
Potresti ripetere, tesoro?” Samantha, seduta ad un tavolo in
disparte della
birreria, chiese al
figlio, senza
staccargli gli occhi di dosso. Eliot era arrossito, e si stava
grattando il
collo, imbarazzato e sentendosi leggermente in imbarazzo.
“Il
tizio che ti ha rapita, ecco… lui ce l’aveva con
me ed i miei amici perché noi
gli avevamo mandato a monte un affare.”
“Non
capisco….” Lo guardò, confusa.
“Quindi voi siete anche, cosa, speculatori
finanziari? Oltre che baristi?”
“Mastri
birrai, signora, noi siamo mastri birrai. Io
lo sono.” Hardison sentì il bisogno di
precisare, tutto tronfio e
soddisfatto. “ Eliot qui è uno chef che la guida
Michelin assaggiasse i suoi
manicaretti, gli darebbe dritta tre stelle, e Becks fa dei drink con la
birra
che sono un’esplosione per le papille gustative.”
L’hacker
alzò la mano aperta verso il compare, per farsi dare il
cinque, ma Eliot lo
fulminò con lo sguardo, nemmeno avesse
avuto a che fare con un pazzo idiota- okay, Hardison aveva una decina
d’anni in
meno di lui, ma a volte si comportava come se fosse ancora un
adolescente, e
sapeva essere peggio di Parker.
Sibilando
a denti stretti, Eliot si voltò verso la madre, e le fece un
sorrisino di
circostanza, tamburellando nervoso con le dita di entrambe le mani sul
tavolo.
“No,
in realtà, Hardison se la cava in borsa, e pure parecchio,
motivo per cui ci
possiamo concedere dei piccoli lussi, ma, vedi
mamma…” si schiarì la gola,
quasi dire la parola gli costasse ancora fatica. “Io
sono… un
ladro. Noi
siamo ladri. Tutti noi sei, intendo.”
Samantha
scoppiò a ridere.
E
smise solo quando vide che il figlio non faceva una piega e non si
univa alla
sua risata, anzi, la guardava imbarazzato.
Ah.
Non era una battuta, allora. Cavolo. Suo figlio era un mezzo criminale.
Se non
un criminale completo, con fiocchi e controfiocchi. Avrei
dovuto capirlo, con quella testa di capelli che gli arrivano alla
schiena ed i tatuaggi…
“No, aspetta,
era una battuta, vero? Perché,
sul serio, Eliot, non l’ho capita…”
Eliot
ripeté la frase, scandendo parola per parola. Più
o meno come se stesse
parlando con un bambini di cinque anni. “Siamo ladri, mamma. Noi siamo una squadra
di ladri. Ognuno
con la sua specialità- Nathan è il pianificatore,
Sophie l’attrice, Parker
conosce tutti i sistemi di sicurezza del pianeta mai esistiti, Hardison
è un
hacker, Becks è un’esperta di esplosivi,
neurotossine e ogni tanto ci ricuce, e
io sono una specie di guardia del corpo. Lavoravamo tutti da soli, poi
abbiamo
capito che l’unione fa la forza e che la somma dei singoli
eccetera, eccetera
ed eccoci qui.”
“Cioè,
fammi capire, tu, cosa fai, rapini banche e negozi?” si
strinse la borsetta al
petto, e iniziò a guardarsi intorno, nemmeno si trovasse nel
più malfamato
quartiere della città più malfamata del paese- se
non fosse stato tragico,
Becks lo avrebbe trovato comico.
(In
realtà era comico, ma
non le sembrava
il caso di esternare le sue opinioni. Eliot sembrava essere piuttosto
sensibile
al riguardo…)
“Non
siamo quel genere di ladri, mamma. Noi non derubiamo banche”
Eliot si pizzicò
il naso, ad occhi chiusi, respirando profondamente.
“In
realtà,” Hardison lo fermò prima che
potesse proseguire, alzando la mano
nemmeno fosse stato a scuola. “C’è stata
la volta in cui abbiamo derubato una
banca. E poi se guardi bene, quando andiamo a svaligiare una specifica
cassetta
di sicurezza, quella tecnicamente è
una
rapina in banca e…”
“Dannazione
Hardison, ma lo vuoi chiudere il becco?” Eliot gli
sibilò contro, minaccioso.
Sembrava un toro scatenato a cui avessero fatto vedere la banderuola
rossa.
Sembrava pure che gli uscisse il fumo dal naso, tanto era incavolato.
Hardison
si fece piccolo, piccolo, e mimò il gesto della cerniera
chiusa sulla bocca.
Eliot
si ricompose, facendo di nuovo quel sorrisetto di circostanza, e si
schiarì la
voce. “Come dicevo, mamma, noi siamo ladri, ma non i tipici
ladri, noi siamo…
siamo come Robin Hood. Quando ricchi e potenti fanno qualcosa di
sbagliato e se
la prendono con la gente comune, noi interveniamo e li mandiamo sul
lastrico,
ridistribuendo la loro ricchezza tra le loro vittime.”
“Robin
Hood.” Samantha lo guardò, seria, come se non si
stesse bevendo quella storia
assurda (cosa di cui Becks, che se la stava ridendo a crepapelle, lo
aveva
avvertito). “Il tizio in calzamaglia verde, con arco e
frecce. L’Occhio di
Falco dei poveri.”
Hardison
alzò la mano, da bravo nerd che amava i fumetti, pronto a
sottolineare che
tecnicamente anche Occhio di Falco aveva fatto il Robin Hood per un
po’, usando
i soldi dei malavitosi per fare del bene, ma prima che potesse dire una
sola
sillaba, si letteralmente piegò in due, dopo una bella e
sonora gomitata di
Eliot nel fianco, che gli fece mancare il respiro.
“Preferisco
jeans e flanella e prendo a pugni quelli che mi stanno sulle scatole ma
sì, in
spicci sono Robin Hood. Siamo Robin
Hood. Ognuno di noi ha la sua specializzazione, ma lavoriamo insieme
per il
fine ultimo di rubare ai ricchi e corrotti e ridare ai poveri
disgraziati che
il sistema non considera.”
“Con
la sola differenza che, dato che non viviamo in un bosco, ci teniamo
una
piccola percentuale dei ricavati delle nostre operazioni da reinvestire
in modo
da poter campare degnamente.”
Stavolta
Hardison non aveva alzato la mano per parlare -ma si beccò
comunque un’altra
gomitata nella bocca dello stomaco, subito prima che l’amico
e collega gli
mettesse un braccio sulle spalle, tirandoselo a sé fingendo
un cameratismo che
in quel momento era ben lungi dal provare. “Non gli ho fatto
male davvero.
Siamo come fratelli. Vero, Alec? Diglielo anche tu che siamo come
fratelli.”
“Si….”
Hardison sibilò, guadando Eliot un po’ stupito- ma
soprattutto un po’
terrorizzato, non volendo contrarialo.
Becks
schioccò la lingua contro il palato, lieta di vedere che,
nonostante tutto,
alcune cose non sembravano destinate a cambiare- e che, tutto sommato,
Eliot
stava bene, nonostante la bomba (questa volta metaforica) che gli era
esplosa
davanti.
“Andiamo
Alec,” disse dando una pacca all’amico,
“lasciamoli soli. Abbiamo un mucchio di
lavoro da fare.”
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Capitolo 10 *** Good Romance ***
Ultimo capitolo! Stavolta, il prompt usato
è :
15. "Se non esistessi,
bisognerebbe inventarti."
Quando
Eliot tornò a casa era ormai passata la mezzanotte da un bel
pezzo. Becks aveva
cenato (con una cosa precotta scaldata al microonde, per cui, definirla
cena
era una parola molto grossa), e poi si era seduta sul divano, in tenuta
da
casa, a guardare Netflix in compagnia di una tisana calda, col
risultato che si
era addormentata in men che non si dica, e che il suo
“ragazzo” l’aveva trovata
spaparanzata poco elegantemente sul divano a russare leggermente con la
bocca
aperta e con addosso un pigiamone rosa che avrebbe fatto orrore a
chiunque,
Shrek incluso.
Eliot
si fermò ad osservarla, grattandosi il capo, pensieroso, con
il sorriso sulle
labbra, incredulo: solo due anni prima, se qualcuno gli avesse detto
che un
giorno avrebbe avuto una donna da cui tornare a casa la sera, sarebbe
scoppiato
a ridere. Se gli avessero detto che per
per
giunta quella donna sarebbe stata (relativamente) normale, niente a che
vedere
con le modelle stangone di plastica con cui era sempre uscito una volta
archiviata definitivamente la sua storia con Aimee, e che sarebbe
andata a
dormire (a volte) con un pigiamone felpato rosa e che avrebbe russato,
beh, avrebbe chiamato subito la neuro-deliri.
Eppure,
eccola lì, Becks, con occhiali, pigiamone, i capelli che
erano un disastro,
addormentata sul divano. E sinceramente, era la cosa più
adorabile del mondo.
Non che non lo avesse pensato quando erano amici- lei era sempre stata
una
buona fonte di ispirazione e di consigli decenti – ma adesso
era diverso. Insomma,
adorava la sua compagnia quando si trattava di chiacchierare, di
guardare film,
quando suonava la chitarra, e se la portava pure a letto. E non era
solo il
sesso, eh. Certo, il sesso era molto… buono, ma si facevano le coccole. L’ultima volta che
aveva
fatto le coccole ad una ragazze per il semplice gusto di farle le
coccole e non
come qualche forma di preliminare era stato… boh, talmente
tanto tempo prima
che manco se lo ricordava.
Se
non fosse esistita, qualcuno avrebbe dovuto inventarla, quella santa donna.
E
dire che se l’era quasi fatta scappare. E ben più
di una volta. Altro che
santa. Sarebbe dovuta andare dritta in Paradiso.
“Ehy…”
sbadigliò con la bocca impastata, stiracchiandosi e
sollevando la camicia del
pigiama. “Uhm… che ore sono?”
“Quasi
l’una.” Becks si mise a sedere, accucciandosi
contro uno dei braccioli, facendo
spazio ad Eliot che si sedette davanti a lei. “Abbiamo
parlato fino a dieci
minuti fa. Torna a San Francisco tra qualche ora, ma pensavo di andare
a farle
un saluto il mese prossimo, mi piacerebbe fare un salto a Santa Barbara
a
salutare mio zio Henry e magari ne potrei approfittare.
Potrei…” si schiarì la
voce, arrossendo. “Magari potrei conoscere i miei fratelli. E
magari tu
potresti venire con me. Magari potremmo chiedere a Nathan di prenderci
un paio
di settimane di vacanza. Potremmo passare prima dall’Oklahoma
a salutare mio
fratello ed i marmocchi e potrei farti conoscere mio padre dal vivo di
già che
ci sono.”
Lei
sollevò il sopracciglio, un po’ maliziosa.
“Sembra una cosa molto da fidanzata.
Molto… ufficiale.”
“Magari
è il momento di rendere la cosa ufficiale.” Le
prese i piedi in grembo, e si
mise a massaggiarli. Ecco un’altra cosa che non avrebbe mai
immaginato di fare.
“Voglio dire, ormai sono due anni che stiamo insieme. Viviamo
come se fossimo
sposati, perché non farlo?”
Lei
lo guardò con gli occhi che le uscivano dalle orbite,
più o meno come se avesse
appena assistito ad un’autopsia. Era uscito fuori di testa. O
era stato
sostituito da un alieno. O un clone. Non c’era altra
soluzione. A meno che Nate
non l’avesse ipnotizzato (sì, lo sapeva fare, e
sì, l’aveva già fatto) o Sophie
avesse fatto uno dei suoi giochini di programmazione neurolinguistica
(sì, li
sapeva fare, e sì, li aveva già fatti, anzi,
proprio su Eliot).
“Beh?”
le chiese, con lo stesso tono con cui avrebbe potuto chiederle se aveva
già
fatto il sudoku del Tribune.
“Anche
sorvolassimo sul fatto che mi hai appena chiesto di sposarti mentre
sono in
pigiama sul divano e tu sei tutto ammaccato perché te le sei
fatte dare
dall’assistente di un pseudo-sensitivo…”
fece una pausa. Come per ricomporsi e
cercare le parole giuste. “Hai sempre detto che tu eri contro
gli impegni. Che
se avessi voluto il matrimonio o dei figli avrei dovuto guardare
altrove.”
“Un
uomo è libero di cambiare idea, dolcezza.”
La prese un po’ in giro. “Senti, sui
figli io la penso ancora come
prima- con il nostro lavoro, non ci vedo a crescere della prole,
però, se ci
pensi, noi in pratica siamo
già
sposati, ce lo dicono tutti. Io amo te, tu ami me, e ormai questa cosa
va
avanti da anni, quindi direi che non posso più dire di non
voler legami. So che
non sei esattamente pro matrimonio, però, se volessi intanto
fidanzarti non mi dispiacerebbe.
Uno,
due, cinque anni…non mi interessa. Anche tutta la vita.
Però, vorrei poter dire
“ecco la mia fidanzata”. Abbiamo
quarant’anni…”
“Parla
per te. Tu li hai superati da un bel po’ i quaranta, a me
invece mancano ancora
tre anni per arrivarci.” Lo prese in giro, facendogli la
linguaccia, col
risultato che Eliot le lanciò addosso un cuscino di morbide
piume.
“Come
dicevo, è stupido dire “ecco la mia
ragazza” alla nostra età. Tu non sei la mia
ragazza. Non sei una cosetta con cui mi diverto oggi e tra due
settimane me ne
sono dimenticato. Quindi…” le fece segno di andare
avanti con la mano.
“Non
devo mettermi ad organizzare il matrimonio, vero? Perché io
non ne sono tanto
convinta di volermi sposare, visti gli esempi che abbiamo avuto, e poi,
non mi
hai dato nemmeno un anello, o un diamantino…”
“Per
il diamante, potrei comprare da Parker la mia parte del diamante
Rosalinda, se
ti andasse bene anche un collier, oppure,
potremmo fare un giretto da Tiffany,
se proprio volessi un anello…”
“Potremmo
fare tutti e due, tanto dubito che lo compreresti. L’anello,
intendo.” arricciò
lei il naso.
“Perché, in questo caso, io
avrei messo gli occhi su Soreste.
È
un anellino di platino con fedina in diamanti, diamante centrale taglio
a
cuscino da due carati, con doppia corona di diamanti di cui una rosa,
che con
il Rosalinda farebbe pure pandant.”
“Giusto
una cosettina semplice, eh? Meno male che i diamanti io non li
compro….” Ridendo,
afferrandola per i polpacci, Eliot la tirò a sé,
sistemandosela in grembo,
mentre Becks squittiva civettuola e gli metteva le braccia al collo.
“Tornando
a parlare di matrimonio, pensavo, potremmo iniziare a fare le prove
generali
per la prima notte di nozze, ti va piccola?”
Mentre
lui la teneva in braccio e la portava in camera da letto, Becks rise,
nascondendo il volto nella sua camicia di jeans.
Beh,
se essere sposata con Eliot Spencer implicava una vita come la loro,
forse,
tutto sommato, lui aveva ragione, e ne poteva valere la pena.
Specie
se le avesse rubato l’anello dei suoi sogni.
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