Scelgo me

di maddidp
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II ***



Capitolo 1
*** I. ***


Oggi per la prima volta dopo anni finalmente riesco a guardarmi allo specchio senza schifarmi, senza provare quella sensazione di disgusto.
Ricordo la prima volta in cui ho capito che bene non ci stavo, che avrei dovuto fare qualcosa per me, per cambiarmi. Era il quarto superiore e non mi vedevo affatto bella né magra e questo era accentuato dalla presenza delle mie compagne di classe che erano il mio esatto opposto, avevano quella sicurezza che cercavo anche io ma non riuscivo a trovare.
Tutti questi anni mi hanno portato a credere in diverse stupidaggini, partendo dall’idea che dimagrendo mi sarei vista magicamente più bella.
Cazzata.
Cazzata.
Cazzata.
Non avevo messo in conto che pur perdendo peso, tutto quello che volevo, avrei dovuto fare i conti con quello che provavo dentro.
Il non piacermi, la fine del liceo, l’inizio di un nuovo percorso universitario completamente da sola non hanno avuto la meglio su di me.
Mi ci sono voluti ben cinque anni per capirmi veramente affondo, per piacermi giusto quel po’ che mi bastava per sentirmi a mio agio.
Ora ho ventidue anni, il mondo davanti e scelte che devo prendere.
 
L’ultimo esame della sessione di settembre è andato e finalmente riesco a godermi un po’ di sano e meritato relax.
La prima cosa da fare dopo ogni esame è concedersi quel piccolo sfizio, quel cibo che magari preferisco evitare durante la settimana ma che in questi casi è come un trofeo. Oggi vince la colazione al bar, altre volte il mio tanto amato gelato.
O forse vincono entrambi, chi lo sa!
Questa volta però ho deciso di uscire e vestirmi con una maglia attillata, non voglio nascondermi più dietro una felpa XXL, quella preferisco lasciarla per quando sto a casa.
Ho deciso di farlo da sola, a differenza delle altre volte in cui scrivevo a qualcuno per farmi compagnia e sentire meno quella sensazione di disagio.
Mi metto la tuta, la giacca di pelle – la mia tanto amata ed aspettata tutto l’anno – prendo le chiavi e via.
Qualche anno fa probabilmente non avrei mai fatto nessuna delle due cose. Per quale motivo? L’ansia. Quella bestia che mi segue a sempre e che a fatica sto imparando a gestire.
Non sarei mai riuscita a sopportare l’ansia di uscire e passeggiare da sola o semplicemente godermi uno “sgarro” o qualsiasi dolce fuori dal mio schema mentale senza avere mille sensi di colpa o controllare su internet il numero di calorie per cercare di rimediare nel resto della giornata.
C’è un bar vicino casa, il Michetti, da me tanto amato.
«Buongiorno! Per me un cappuccino e cornetto mandorlato con crema chantilly, grazie.»
Mi fa cenno di sedermi al tavolo più vicino.
Aspettando la mia colazione mi giro attorno e cerco di godermi al massimo questa giornata.
C’è chiunque, dalla coppia innamorata alla madre con la figlia, dagli amici a chi come me ha deciso di prendere qualcosa in solitario.
Quando i locali hanno le vetrate trasparenti, mi piace prendere posto dalla parte che mi permette di vedere tutti quelli che passano: gatti, cani, bambini o adulti.
La mia ordinazione arriva e sento il mio stomaco brontolare come non mai.
Chi l’avrebbe mai detto che sarei riuscita a fare una cosa del genere senza avere la tachicardia durante tutta la durata della colazione? Probabilmente, anzi sicuramente, non io.
 
Ogni mattina d’autunno inizia sempre allo stesso modo: sveglia alle otto e mezza, in tempo per Una Mamma Per Amica su Italia uno.
La mamma prima di uscire per andare a lavoro mi lascia sempre la macchinetta per il caffè carica così devo solo accendere il gas ed aspettare.
Sono sempre stata una persona mattiniera, entro le nove e mezza – quando proprio “esagero” – sono in piedi. Poi, che non vuoi aggiungere quella mezz’oretta per capire che devi alzarti e fare cose?
Mi preparo la colazione, dolce o salata che sia, metto il caffè nella tazzina e mi catapulto sul divano fino alle dieci e mezza. Nonostante poltrire e procrastinare siano due delle mie cose preferite, una vocina dentro di me mi ricorda che devo anche fare dell’altro.
 
Appena finisco di vestirmi squilla il telefono. E’ Filippo o Filo, come più mi piace chiamarlo.
«Dimmi che posso salire da te, oggi è il mio giorno libero ed ho pure litigato con Giada.»
Mi scappa un accenno di risata.
Giada e Filippo sono i miei due migliori amici, lui dall’asilo e lei dalle superiori. Totalmente compatibili e totalmente propensi a scontrarsi spesso sulle piccole cose e poi finisce sempre così: Filo mi chiama, viene da me, si lamenta di quanto sia pesante Giada alcune volte, si pente, la chiama e risolvono il tutto.
Io cosa faccio? Da giudice di pace.
Non mi hanno mai fatto pesare la loro relazione in alcun modo, mai. Quando ci sono io, raramente si comportano da coppietta appiccicata ventiquattrore su ventiquattro.
Dopo un buon quarto d’ora sento il suono del citofono e gli apro.
3,2,1…
«Arriverà mai il giorno in cui la capirò?»
«Beh, secondo me…»
Mi interrompe. «No. Mai.»
Alzo le spalle perché già so che non mi lascerà dire una singola parola.
«Ieri sera mi ha proprio fatto incazzare! Continua a vedersi con quel suo compagno di corso che mi puzza proprio, te ne ha per caso parlato?»
«Sì e sai che non hai motivo di preoccuparti!»
«Anche su questo hai ragione…»
Alla fine si arrende sempre.
Dopo qualche minuto di silenzio si siede davanti a me e diventa tutto serio.
«So che forse non dovrei parlartene ma ieri ho incontrato tua madre in centro e mi ha detto che sei andata dallo psicologo mercoledì, lo stesso giorno in cui ti avevo chiesto di uscire e mi hai detto che dovevi andare da tua nonna ed era urgente.»
Il silenzio continua.
«Non hai niente da aggiungere?»
Alzo le spalle. «So di aver sbagliato ma non me la sentivo di dirvelo…scusami.»
«Va bene, capisco.» dice e va via salutandomi freddamente.
Non pensavo che sarebbe uscito fuori o perlomeno, avrei preferito parlargliene io a tempo debito; non l’ho fatto subito non per vergogna né per chissà quale motivo ma avrei preferito che per il momento restasse una ‘cosa mia’.
I miei genitori inizialmente non hanno appoggiato questa mia idea e l’hanno giudicata malamente, convinti di avere tutto sotto controllo e di avere la soluzione a tutti i miei problemi. Dopo qualche settimana però, di punto in bianco durante una cena, mamma mi passa un foglio con il numero della psicologa di una sua amica, una fidata.
Sapevo di averne bisogno, sentivo di essere arrivata al limite e necessitavo di buttare fuori tutto il marcio che ho tenuto dentro per anni.
Ho sempre avuto difficoltà nel parlare e soprattutto nell’aprirmi, nel rivelare ad un familiare o amico che sia, le mie paure o insicurezze.
Il non sentirmi mai all’altezza degli altri, il riuscire a trovare pregi negli altri e difetti solo a me stessa mi ha sempre portato a sentirmi sbagliata, come se non meritassi nulla.
Non capivo che il problema erano i miei stessi pensieri. La negatività che avevo attorno partiva da me e dal mio modo di guardare me e quelli che mi circondano.
Sono sempre stata io a screditarmi davanti allo specchio o quando ero circondata da altre persone per l’aspetto fisico o semplicemente per un voto.

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Capitolo 2
*** II ***


E’ stato papà a volermi accompagnare dalla psicologa.
«Ti aspetto qua.» mi dice prima di chiudere lo sportello della macchina. La seduta è durata un’ora. Sessanta minuti per parlare delle tre cose che più segnano la mia vita: i miei genitori, il mio ex fidanzato ed il mio disturbo alimentare.
Lei, Carola, è una giovane – credo abbia meno di cinquant’anni, ha un bel sorriso e sembra molto attenta ai dettagli.
Mi ha fatto presentare e mi ha chiesto cosa al momento mi fa più soffrire. Rispondere ‘me stessa’ sarebbe stata la più facile ma anche quella più scontata; così ho optato per ‘le mie paranoie’. Quelle sì che mi hanno rovinato.
 
Il mio cervello è sempre stato più veloce, corre molto più in fretta del resto del mio corpo. E’ sempre stato così.
Le paranoie le ho sempre avute su tutto: e se non fossi all’altezza di una certa situazione? E se non fossi bella abbastanza? E se non fossi magra abbastanza? E se non dovessi piacergli?
E potrei andare avanti per ore.
Mi sono sempre messa in discussione, ho sempre visto il meglio negli altri ed il peggio in me; anche quando si stava in gruppo e qualcuno faceva un commento cattivo, io cercavo sempre di trovarne uno positivo. Sempre. Ma nei miei confronti raramente trovavo qualcosa di positivo, facevo davvero un gran fatica.
Immaginavo non sarebbe stato facile andare dalla psicologa, conoscermi meglio, approfondire questo malessere che porto dentro da mesi e che sopprimo.
Quando entro in macchina papà decide di chiedermi com’è andata senza entrare nel dettaglio, preferisce che queste cose rimangano tra me e la psicologa.
Appena torno a casa vado in camera, mi spoglio e rimango in intimo davanti allo specchio ed inizio ad analizzarmi: le cosce che si toccano, le braccia grosse, la faccia pienotta, la pancetta, le spalle larghe.
La mia ossessione sul peso mi porta a pesarmi anche oggi.
Quarantanove chili.
Ne ho presi due dall’ultimo controllo e non capisco come sia possibile, ho tolto anche alcune cose dalla mia ‘dieta’.
Inizio a piangere cercando di fare il meno rumore possibile anche se la casa è vuota. Odio sentirmi o vedermi piangere, è qualcosa che non ho mai sopportato.
Una delle sensazioni più brutte e provate è quella di non sentirsi bene nel proprio corpo, non riconoscersi nell’immagine riflessa nello specchio o schifarsi nelle foto.
Ogni tanto ho delle ricadute, ogni tanto mi spengo, mi metto da parte e rimango in silenzio.
Mi rivesto e mi siedo su una sedia in balcone per respirare un po’ d’aria.
Espira, respira.
Così per qualche minuto fino al suono del campanello.
E’ Filippo.
Quando me lo ritrovo davanti alla porta mi abbraccia senza dire nulla e poi ci accomodiamo sul divano, uno al lato opposto dell’altro.
«Lo so perché sei qui.»
Alza le spalle. «Non ti costringo mica a parlarne.»
Rimaniamo in silenzio per un po’.
«Ieri ho visto Francesco con la nuova ragazza, mi ha chiesto di te.»
«Cosa?»
«Come stavi, come andava l’università, se ti vedevi con qualcuno.»
«Com’è la nuova ragazza?»
Mentre lui parlava la mia testa già la immaginava: più bella di me, più magra di me, più alta, più simpatica, più divertente. Tutto più di me.
Parlare di Francesco mi agita ancora e non nego che una parte di me sente la sua mancanza.
Nessuno sa perché ci siamo lasciati, nessuno sa la verità, solo noi due. Ricordo quel giorno come fosse ieri, era il 27 aprile.
Ci siamo incontrati davanti uno stabilimento e ci siamo seduti sulla sabbia.
Stavamo bene insieme, anzi benissimo ma entrambi sapevamo che tra di noi c’erano troppe crepe. Io mangiavo sempre di meno ed avevo perso la voglia di uscire, di farmi vedere; lui, al contrario, ha rispettato questi miei desideri allontanandosi sempre di più fino a sembrare due estranei.
Ricordo le lacrime, i fazzoletti buttati in tutti i cestini di casa, le giornate chiusa in camera con le tapparelle abbassate.
Una settimana infernale.
Da quel giorno non l’ho più rivisto se non dalle storie di alcuni amici in comune.
Filippo mi fa segno con la mano. «Oh, ma mi stai ascoltando?»
«Sì.» rispondo convinta.
«Con Giada come va?»
«Bene, normale anche se non la vedo da un po’, ha sempre da fare. Chissà cosa poi, non lo so.»
Continuiamo a parlare del più e del meno fino a ora di cena quando lui decide di andare via e tornano i miei insieme con la cena d’asporto.
 
Come ogni mattina, dopo essermi allenata ed aver fatto colazione, esco per fare una passeggiata lungo mare. Non c’è cosa più bella di questa.
L’odore del mare, il suono delle onde, i cani al guinzaglio che incontro lungo il marciapiede mi fanno stare bene, mi ricordano che devo essere grata indipendentemente dai miei problemi.
Alcuni momenti mi focalizzo talmente tanto su ciò che mi manca, che fatico nel vedere tutto ciò che di bello ho intorno. Questo mi ha portato a meditare, a non andare a letto senza aver scritto sul mio quaderno le tre cose di cui sono stata grata.
Mi piace prendere del tempo per me, che sia per allenarmi, per meditare o passeggiare. Basta mettere due cuffie alle orecchie, chiudere gli occhi e respirare.
Così la giornata o un momento difficile prendono una piega diversa.
Cerco sempre di cercare il bello, la positività in qualsiasi cosa e si vive meglio, me ne sono accorta.
Questi momenti sono i miei preferiti, soprattutto perché sto bene da sola, riesco a non vergognarmi dei miei pensieri.
Ho in mente il consiglio di Carola, la mia psicologa, che mi ha dato al termine della prima seduta: non preoccuparti del domani, di quello che succederà tra cinque minuti, goditi adesso, il momento e trova il bello dovunque.
Ogni tanto il mio pensiero va a Francesco, insomma non pensavo a lui fino a ieri, quando Filippo me ne ha parlato. A casa ho ancora un cassetto dove ci sono tutti i regali, maglie che mi ha prestato – o meglio, che ho preso e l’ho chiuso a chiave. Mai più riaperto da quel giorno.
Ricordo quando veniva a prendermi a casa, quando mi dava i baci sulla fronte, quando mi complimentava in condizioni oscene e come mi guardava. Queste sono le cose che mi mancano di più ma forse è giusto che le cose siano andate così, forse era destino che le nostre strade si dividessero. Ammetto però che una parte di me ancora ci spera, forse sono stupida o forse sogno troppo.E’ stato papà a volermi accompagnare dalla psicologa.
«Ti aspetto qua.» mi dice prima di chiudere lo sportello della macchina.                          La seduta è durata un’ora. Sessanta minuti per parlare delle tre cose che più segnano la mia vita: i miei genitori, il mio ex fidanzato ed il mio disturbo alimentare.
Lei, Carola, è una giovane – credo abbia meno di cinquant’anni, ha un bel sorriso e sembra molto attenta ai dettagli.
Mi ha fatto presentare e mi ha chiesto cosa al momento mi fa più soffrire. Rispondere ‘me stessa’ sarebbe stata la più facile ma anche quella più scontata; così ho optato per ‘le mie paranoie’. Quelle sì che mi hanno rovinato.
 
Il mio cervello è sempre stato più veloce, corre molto più in fretta del resto del mio corpo. E’ sempre stato così.
Le paranoie le ho sempre avute su tutto: e se non fossi all’altezza di una certa situazione? E se non fossi bella abbastanza? E se non fossi magra abbastanza? E se non dovessi piacergli?
E potrei andare avanti per ore.
Mi sono sempre messa in discussione, ho sempre visto il meglio negli altri ed il peggio in me; anche quando si stava in gruppo e qualcuno faceva un commento cattivo, io cercavo sempre di trovarne uno positivo. Sempre. Ma nei miei confronti raramente trovavo qualcosa di positivo, facevo davvero un gran fatica.
Immaginavo non sarebbe stato facile andare dalla psicologa, conoscermi meglio, approfondire questo malessere che porto dentro da mesi e che sopprimo.
Quando entro in macchina papà decide di chiedermi com’è andata senza entrare nel dettaglio, preferisce che queste cose rimangano tra me e la psicologa.
Appena torno a casa vado in camera, mi spoglio e rimango in intimo davanti allo specchio ed inizio ad analizzarmi: le cosce che si toccano, le braccia grosse, la faccia pienotta, la pancetta, le spalle larghe.
La mia ossessione sul peso mi porta a pesarmi anche oggi.
Quarantanove chili.
Ne ho presi due dall’ultimo controllo e non capisco come sia possibile, ho tolto anche alcune cose dalla mia ‘dieta’.
Inizio a piangere cercando di fare il meno rumore possibile anche se la casa è vuota. Odio sentirmi o vedermi piangere, è qualcosa che non ho mai sopportato.
Una delle sensazioni più brutte e provate è quella di non sentirsi bene nel proprio corpo, non riconoscersi nell’immagine riflessa nello specchio o schifarsi nelle foto.
Ogni tanto ho delle ricadute, ogni tanto mi spengo, mi metto da parte e rimango in silenzio.
Mi rivesto e mi siedo su una sedia in balcone per respirare un po’ d’aria.
Espira, respira.
Così per qualche minuto fino al suono del campanello.
E’ Filippo.
Quando me lo ritrovo davanti alla porta mi abbraccia senza dire nulla e poi ci accomodiamo sul divano, uno al lato opposto dell’altro.
«Lo so perché sei qui.»
Alza le spalle. «Non ti costringo mica a parlarne.»
Rimaniamo in silenzio per un po’.
«Ieri ho visto Francesco con la nuova ragazza, mi ha chiesto di te.»
«Cosa?»
«Come stavi, come andava l’università, se ti vedevi con qualcuno.»
«Com’è la nuova ragazza?»
Mentre lui parlava la mia testa già la immaginava: più bella di me, più magra di me, più alta, più simpatica, più divertente. Tutto più di me.
Parlare di Francesco mi agita ancora e non nego che una parte di me sente la sua mancanza.
Nessuno sa perché ci siamo lasciati, nessuno sa la verità, solo noi due. Ricordo quel giorno come fosse ieri, era il 27 aprile.
Ci siamo incontrati davanti uno stabilimento e ci siamo seduti sulla sabbia.
Stavamo bene insieme, anzi benissimo ma entrambi sapevamo che tra di noi c’erano troppe crepe. Io mangiavo sempre di meno ed avevo perso la voglia di uscire, di farmi vedere; lui, al contrario, ha rispettato questi miei desideri allontanandosi sempre di più fino a sembrare due estranei.
Ricordo le lacrime, i fazzoletti buttati in tutti i cestini di casa, le giornate chiusa in camera con le tapparelle abbassate.
Una settimana infernale.
Da quel giorno non l’ho più rivisto se non dalle storie di alcuni amici in comune.
Filippo mi fa segno con la mano. «Oh, ma mi stai ascoltando?»
«Sì.» rispondo convinta.
«Con Giada come va?»
«Bene, normale anche se non la vedo da un po’, ha sempre da fare. Chissà cosa poi, non lo so.»
Continuiamo a parlare del più e del meno fino a ora di cena quando lui decide di andare via e tornano i miei insieme con la cena d’asporto.
 
Come ogni mattina, dopo essermi allenata ed aver fatto colazione, esco per fare una passeggiata lungo mare. Non c’è cosa più bella di questa.
L’odore del mare, il suono delle onde, i cani al guinzaglio che incontro lungo il marciapiede mi fanno stare bene, mi ricordano che devo essere grata indipendentemente dai miei problemi.
Alcuni momenti mi focalizzo talmente tanto su ciò che mi manca, che fatico nel vedere tutto ciò che di bello ho intorno. Questo mi ha portato a meditare, a non andare a letto senza aver scritto sul mio quaderno le tre cose di cui sono stata grata.
Mi piace prendere del tempo per me, che sia per allenarmi, per meditare o passeggiare. Basta mettere due cuffie alle orecchie, chiudere gli occhi e respirare.
Così la giornata o un momento difficile prendono una piega diversa.
Cerco sempre di cercare il bello, la positività in qualsiasi cosa e si vive meglio, me ne sono accorta.
Questi momenti sono i miei preferiti, soprattutto perché sto bene da sola, riesco a non vergognarmi dei miei pensieri.
Ho in mente il consiglio di Carola, la mia psicologa, che mi ha dato al termine della prima seduta: non preoccuparti del domani, di quello che succederà tra cinque minuti, goditi adesso, il momento e trova il bello dovunque.
Ogni tanto il mio pensiero va a Francesco, insomma non pensavo a lui fino a ieri, quando Filippo me ne ha parlato. A casa ho ancora un cassetto dove ci sono tutti i regali, maglie che mi ha prestato – o meglio, che ho preso e l’ho chiuso a chiave. Mai più riaperto da quel giorno.
Ricordo quando veniva a prendermi a casa, quando mi dava i baci sulla fronte, quando mi complimentava in condizioni oscene e come mi guardava. Queste sono le cose che mi mancano di più ma forse è giusto che le cose siano andate così, forse era destino che le nostre strade si dividessero. Ammetto però che una parte di me ancora ci spera, forse sono stupida o forse sogno troppo.

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