Duemila anni orsono, il nostro pianeta era abitato dal popolo dei Cetra. Erano esseri pacifici, dall'aspetto umano, fortemente legati alla natura. Cosa li rendeva differenti dai comuni umani? Il loro dono.
I Cetra, oggi chiamati Antichi, possedevano il dono di comunicare direttamente con il pianeta. Potevano sentirlo, comprenderlo. E dal pianeta potevano trarre potere attraverso la preghiera.
I Cetra vivevano in armonia con gli umani e, secondo la leggenda, li avrebbero un giorno condotti alla Terra Promessa, il nuovo mondo.
La loro pace fu però spazzata via, eradicata dal pianeta stesso, e la razza dei Cetra conobbe il proprio crepuscolo.
Una meteora colpì Gaia, il nostro mondo, minacciando di distruggerlo. I Cetra raccolsero le forze per difendere gli umani e il pianeta stesso e, lottando fino all'ultimo, riuscirono a sconfiggere la calamità del cielo, sigillandola nel cratere scavato dalla meteora.
I Cetra si estinsero pian piano, lasciando che la razza umana proliferasse, costruisse, distruggesse. L'uomo si allontanava sempre di più dal suo legame con la natura o con il pianeta stesso. Ma non smise mai di cercare la Terra Promessa.
Il meteorite che colpì Gaia non cadde accidentalmente. Vi era qualcosa al suo interno, qualcosa di molto pericoloso. Qualcosa che avrebbe segnato drastici cambiamenti in futuro.
Un giorno, l'uomo trovò la calamità del cielo, il messia... che fosse l'ultimo dei Cetra, l'erede del pianeta stesso? I dubbi sorsero, sempre più assillanti, finché non venne fatta una nuova, cruciale scoperta.
Una seconda meteora. Una seconda creatura, che però non aveva in alcun modo minacciato di distruggere Gaia.
L'uomo non comprendeva. E, come sappiamo, l'uomo teme ciò che non comprende. Lo mette in gabbia. Lo studia, prova a comprenderlo. Tenta di sottometterlo al proprio volere.
E così accadde. Le due creature furono prese in custodia, rivoltate nei laboratori. Alieni, umani, Cetra. Qualunque fosse la loro natura, l'uomo l'avrebbe scoperta.

 [ 1984. Laboratorio Shinra. ]

Finalmente. C'era riuscito. Aveva faticato moltissimo, ma il segreto di Yoshua era finalmente suo. Il prodotto dell'esperimento... completo. Perfetto? Lo sperava vivamente. Gli occhi della Shinra erano puntati su di lui, e sui suoi progetti. Il primo era già andato a buon termine. Non era riuscito a ricreare un Cetra, ma aveva dato vita al soldato perfetto. Una macchina da guerra umana, il mostro per eccellenza. E, sapeva, per ogni mostro doveva esistere una parte contraria. Un eroe, un portatore di vita. Ecco perché aveva lavorato tanto a quel progetto, rendendolo quanto più personale possibile.
Era lì, davanti a lui, una creatura umana in carne ed ossa, ma speciale e diversa dagli altri. Piangeva, strillava, si dimenava. Non come l'altro: era sempre stato calmo, pacato. Non l'aveva mai sentito piangere, neanche una volta. Ma non importava. Ci era riuscito. Un po' di grida... le avrebbe sopportate. Era così fiero di se stesso che avrebbe volentieri baciato il suo riflesso allo specchio. Prese la creatura fra le mani: era piccola, indifesa. Doveva ancora maturare, ma c'era tempo per quello. Ora iniziava il vero gioco... ora poteva finalmente diventare il Dio della Scienza. Poteva farcela, ne era cosciente.
Trascorsero pochi giorni, ma furono sufficienti. Aveva già sottoposto la creatura a molti test. Voleva che sopravvivesse, ma anche che resistesse a ciò che intendeva provare.
«Portate qui l'altro.» ordinò un giorno, impaziente come un bambino in attesa di aprire un regalo.
Nessuna replica, solo azioni. I suoi sottoposti uscirono e tornarono velocemente, silenziosi, pronti. Con loro, un bambino.
Teneva per mano uno degli scienziati. Era composto, ma titubante. La schiena un po' ricurva e la fronte nascosta dai capelli. Ciuffi d'argento, chiari come il pallore lunare, e occhi profondi e taglienti, di un intenso verde acqua.
«Tienila. Non farle del male o ne pagherai le conseguenze.»
Gli affidò la creaturina. Il bambino protese le braccia, ubbidiente, e strinse a sé quel corpicino tremante, avvolto da una copertina rosea. Era morbida, carina, ma spaventata. Perché era spaventata? Cosa le stava facendo quell'uomo?
«Il braccio.» comandò poi l'adulto. «Sbrigati, dammi il braccio!»
Lo fece. Immobile, lasciò che prelevassero il suo sangue senza fiatare. Cosa avrebbe potuto dire, in ogni caso? Non comprendeva ciò che lo circondava. Sentiva solo la creaturina tremare, poi piangere. La strinse più forte a sé, come se potesse proteggerla.
L'uomo portò la siringa a un bancone. Osservò il vetrino. Rilasciò il sangue.
Cadde. Prima una goccia, poi una seconda. Il vetrino sottostante era già coperto di sangue, ma non era il suo. Le gocce caddero e brillarono di una luce rossastra, poi presero a solidificarsi. Una piccola sfera trovò vita in quel laboratorio.
«Questa è una...!»
Non riuscì a resistere, era così emozionato. La toccò.
La sfera si sgretolò sotto le sue dita.
«Cosa...?» Batté un pugno sul tavolo. «Possibile che non serva a nulla?!» continuò a sbraitare.
Il bambino lo osservò, immobile. Lo scrutava con i suoi occhi freddi, dietro quei capelli d'argento.
«No, no. Ha sicuramente funzionato. Ci vuole solo più tempo. E un luogo più sicuro.»
Lo scienziato rise. Poi guardò il bambino.
«Dammela.»
Tirò a sé la creaturina.
Il bambino avrebbe voluto fermarlo. Rischiava di farle del male.
«Dammi quella bambina, ho detto!» ribadì.
Ubbidì all'ordine. Con odio profondo. Come poteva un bambino così piccolo conoscere l'odio? Cosa gli avevano fatto?
«Portatelo via. Ho finito con lui.» avvisò l'uomo, che si era ripreso la creatura.
Lo strattonarono.
«Andiamo.»
Infine, lo portarono fuori. Non avrebbe più rivisto quella bambina per molto, molto tempo.
Lo scienziato, invece, la cullò tra le braccia.
«Ne sono sicuro, questa volta ne sono sicuro.» cantilenò, delirante per l'entusiasmo, «Tu sei il mio miglior risultato, piccola Rainiel.»

Quanti anni erano passati da quando Rainiel aveva preso quella decisione? Diventare una SOLDIER... moltissima gente aveva riso di lei, l'aveva considerata folle. Non si erano mai viste ragazze nei SOLDIER, e diventare una di loro era un'impresa non da poco.
Si era impegnata moltissimo, si allenò tutti i giorni per anni. Era più forte di tutte le ragazze e i ragazzi della sua cittadina, più promettente di moltissimi suoi coetanei. E così i suoi genitori l'avevano lasciata partire e le avevano augurato buona fortuna.
Non aveva mai visitato Midgar prima d'allora. Dal suo arrivo, era stata sottoposta a vari tipi di test, che garantissero la sua buona salute fisica e mentale. Aveva superato anche tutti gli esami e gli allenamenti, come fossero dei provini. Poi, avevano convocato le reclute migliori nella stanza di simulazione di battaglia all'interno del palazzo Shinra. Avevano convocato lei.
Erano in molti, là dentro. Giovani da ogni dove, di tutti i tipi. C'erano gli sbruffoni e i timidi. Lei si sentiva piuttosto tranquilla. Non poteva perdere la calma se voleva abbracciare i suoi sogni.
Dei superiori li raggiunsero e spiegarono loro cosa avrebbero dovuto fare quella mattina. Le reclute si sarebbero scontrare tra loro, come in una vera guerra, e gli ultimi a rimanere in piedi avrebbero finalmente avuto una possibilità di entrare a far parte di SOLDIER.
Una battaglia tutti-contro-tutti. Doveva prepararsi.
Rainiel strinse meglio l'impugnatura delle sue due spade Aikuchi. Le aveva commissionate a un fabbro molto capace, pagando con i risparmi di una vita. Erano più lunghe e affilate di normali Aikuchi e, per questo, erano anche più letali.
Ma in quella battaglia nessuno avrebbe dovuto uccidere nessuno o avrebbe perso l'ultima occasione di diventare un eroe.
Quando i superiori lasciarono la stanza, attorno ai giovani si materializzò un campo di battaglia, una città abbandonata. Un conto alla rovescia... e la battaglia iniziò.
Spada contro spada, acciaio contro acciaio. Ognuno lottava secondo le proprie tecniche e gli insegnamenti ricevuti. Erano tutti forti e capaci.
Molti pensarono che l'unica ragazza presente potesse essere un buon bersaglio per iniziare a sfoltire il numero dei rivali, così la attaccarono.
Lei fece rimpiangere loro questa scelta. Era la migliore, in quella stanza, e forse l'aveva sempre saputo. Era più agile e forte di una persona normale, come se non fosse affatto umana. Un fulmine rosso che rimbalzava tra una superficie e l'altra, sferrando colpi a chiunque vedesse. Non ferì nessuno di loro, limitandosi a colpirli abbastanza forte da metterli fuori gioco.
E, alla fine della prova, rimase l'unica in piedi. Era stanca, sudata, a pezzi. Si gettò a terra e recuperò fiato, con il cuore che minacciava di scoppiarle nel petto.
"Ci sono riuscita?" si chiese, incredula.
«Ci sono riuscita!» si rispose poi da sola, scuotendo braccia e gambe.
La città attorno a lei svanì e si ritrovò di nuovo nel simulatore.
Un gruppo di soldati e di medici entrò e iniziò a occuparsi degli sconfitti.

Più lontano, in una stanza piena di schermi, due persone con le braccia conserte osservavano meravigliate quanto appena accaduto.
«Ha del fegato, non c'è che dire.»
«O magari è solo fortuna del principiante.»
«La fortuna non ti porta a mettere fuori gioco cinquanta uomini armati.»
L'uomo sulla sinistra, dagli occhi azzurri e i lisci capelli neri, si massaggiò il mento e continuò a difendere la ragazza.
«Ha la stoffa per diventare una SOLDIER.»
L'altro, più smilzo e dalla chioma rossiccia, sospirò. 
«È una ragazzina.»
La porta alle loro spalle si aprì e un terzo uomo entrò con passo leggero. I lembi di una lunga giacca di pelle nera quasi sfioravano il suolo, gli stivali silenziosi calpestavano il pavimento in ampie falcate. Alle sue spalle, una cascata di lunghissimi capelli argentati e lisci dondolava a destra e sinistra a ogni suo passo. Aveva lo sguardo basso, pacato, che alzò solo quando raggiunse i due amici.
«Trovato qualcosa di interessante?» domandò con voce calma, fermandosi nello spazio compreso tra i due.
Quello più snello gli rivolse uno sguardo.
«Angeal mi ha proposto di guardare con lui l'ultima prova delle reclute di quest'anno.» gli spiegò.
L'altro annuì una singola volta e piegò la schiena, poggiando le mani sul tavolo davanti a lui per avvicinare il viso allo schermo.
«Sono tutti a terra. Non mi sembrano così promettenti.» commentò con delusione, sollevando un sopracciglio. «Sul serio lo trovate interessante?»
Angeal, sulla sinistra, picchiettò un dito sul monitor.
«Guarda meglio. Non sono tutti sconfitti. Vedi questa recluta?» gli indicò.
Rainiel era ancora stesa sul pavimento, un'espressione soddisfatta in volto.
Il SOLDIER mise a fuoco l'immagine.
«È... una ragazza.»
«Sentito? Anche lui la pensa come me.» gongolò l'amico dai capelli rossastri.
«Io direi di darle una possibilità. Che importa se è un maschio o una femmina? Avete visto di cosa è capace.» insisté Angeal.
L'altro gli rivolse un'occhiata vagamente rancorosa e poco dopo gli diede le spalle.
«In ogni caso, non siamo noi a decidere, giusto? È l'eroe qui presente a dover fare una scelta.»
Il corvino si volse a osservare l'ultimo arrivato.
«Genesis ha ragione. In quanto generale, il dovere è tuo. Che ne pensi, Sephiroth?»
Il giovane uomo dai lunghi capelli argentati rimase in silenzio per qualche secondo, gli occhi fissi sullo schermo, sulla figura di quella curiosa ragazza che aveva dimostrato di possedere capacità più uniche che rare.
«Le darò una possibilità. Una soltanto.» accordò, chiudendo gli occhi e ricomponendosi.
Genesis s'irrigidì ma non fiatò.
Angeal poggiò una mano sulla spalla dell'amico accanto a lui.
«Allora, che hai in mente per lei?» chiese.
Sul volto dell'altro sorse un breve sogghigno dal tono un po' arrogante.
«Lo vedrete.»

Rainiel aveva ricevuto un ordine insolito. Si stava riposando in una delle camere del palazzo Shinra allestite per la permanenza temporanea delle reclute, quando alla sua porta si erano presentati dei dipendenti che le avevano detto di raggiungere il simulatore per un allenamento extra.
Lei si era preparata in tutta fretta e aveva afferrato le sue Aikuchi, trascorrendo il piccolo viaggio fino al piano del simulatore domandandosi cosa l'avrebbe aspettata questa volta.
Quando arrivò si guardò attorno: era sola. Era un po' tardi per un allenamento, e temette di aver sbagliato luogo o di essere stata vittima di uno stupido scherzo. Raggiunta la porta del simulatore sospirò e mise le mani sui fianchi.
«Avrei dovuto immaginarlo. Questa volta ci sono cascata...»
Un piccolo altoparlante appeso a un angolo dell'entrata iniziò a trasmettere un suono, una voce.
«Entra nel simulatore, recluta Rainiel Chanstor.» ordinò qualcuno.
Rain sobbalzò, presa alla sprovvista, e si guardò attorno ansiosamente. Non vedeva telecamere attorno a sé, ma di certo erano nascoste ovunque.
Si puntò un dito sul petto.
«Dice a me...?»
«Rispondi al nome di Rainiel Chanstor?»
«Sì, sono io.»
«Allora è scontato che io mi stia riferendo a te. Entra nel simulatore.»
La porta si aprì a Rainiel camminò all'interno della sala, le mani vicine alle impugnature dei suoi pugnali. Si spaventò nuovamente quando la porta dietro di lei si chiuse, sigillandola nel simulatore.
Ben presto, l'ambiente attorno a lei si trasformò in una grande radura verdeggiante, il cielo buio sopra la sua testa. Non sapeva che posto fosse, ma sentiva odore di guai nell'aria. Un rumore lontano la spinse a estrarre le armi e a prepararsi allo scontro.
«Ma che sta succedendo...?» si chiese.
Non sapeva chi l'avesse convocata fin lì, ma la voce che le aveva parlato aveva un tono familiare, anche se non ne ricordava il possessore.
Il rumore si fece più vicino e, all'improvviso, qualcosa cadde con forza alle sue spalle, sbalzandola in aria.
Rainiel perse una delle spade e atterrò al suolo sulle ginocchia, mordendosi le labbra per sopportare il dolore. Sollevò la testa e si ritrovò davanti una macchina da guerra, un robot bellico della Shinra. Era enorme e pericoloso, pronto a scaricarle addosso i suoi proiettili.
La ragazza capì di essere nei guai. Schivò la prima raffica dell'artiglieria e si riparò dietro una roccia, cercando di pensare a un modo per sconfiggere il suo nemico.
Quando il masso iniziò a sgretolarsi, si lanciò nella foresta e lasciò che i tronchi degli alberi le facessero da scudo mentre correva. Un proiettile raggiunse la sua spalla e lei dovette fermarsi per un momento e tamponare la ferita, ma non aveva tempo da perdere.
Continuò ad aggirare la macchina da guerra e raggiunse un suo punto cieco: conficcò le lame nelle ruote per rallentare i suoi movimenti. Schivò di nuovo i suoi proiettili quando si girò e tornò a nascondersi dietro un albero.
«Siamo... Siamo sicuri che questa sia la normale procedura di iniziazione per le reclute?» commentò tra sé e sé, sarcastica.
Un attimo dopo tornò alla carica. Attaccò il nemico più volte ma non riuscì mai ad avvicinarsi abbastanza. Un altro proiettile la colpì di striscio a una gamba, bruciandole la pelle, ma lei non si diede per vinta.
Dopo svariati minuti, con un salto poderoso si arrampicò sul robot e colpì con una delle spade un serbatoio per poi raggiungere la testa della macchina e attaccarla a sua volta. L'avversario iniziò a sparare all'impazzata, in ogni direzione.
«Qui ci resto secca...» rabbrividì un attimo prima di utilizzare il robot stesso come rampa di lancio.
Spiccò un salto, atterrò a vari metri di distanza e si riparò dietro un'altra roccia.
Quando i proiettili colpirono il serbatoio della macchina da guerra, questa esplose con un frastuono orribile. Pezzi di metallo sfrecciarono in ogni direzione e Rainiel non osò lasciare il suo rifugio sicuro.
Tenendo le mani sulla testa per proteggersi, poté calmarsi solo quando il simulatore tornò a mostrarsi per quello che era, con la sua cupola azzurra e il pavimento freddo.
«Oh?»
Rainiel si rialzò, tamponando la ferita al braccio. Ora che la simulazione era terminata, sembrava farle meno male. Il sangue smise presto di scorrere, si sarebbe ripresa in fretta.
La porta del simulatore si riaprì e lei corse fuori.
«Ehy, chiunque tu sia, sei impazzito?!» sbraitò contro l'altoparlante all'ingresso. «Potevo lasciarci le penne, là dentro!»
Ci fu un attimo di silenzio, poi la voce tornò a farsi sentire di nuovo.
«Vediamoci al piano degli uffici. Ti aspetteremo là. Non tardare.» fu l'ultima cosa che le venne detta.
Rainiel batté un piede a terra.
«Un gruppetto di SOLDIER annoiati, scommetto. Trovate così divertente prendervela con noi reclute?» continuò a colpevolizzarli, prima di raggiungere l'ascensore. «Allora va bene, arrivo subito. Vediamo che scuse mi propinerete.»
L'ascensore la portò al piano designato. Rainiel attraversò i corridoi, le cui pareti trasparenti lasciavano intravedere le luci di Midgar molti metri più in basso, e ben presto si ritrovò di fronte a tre uomini seduti comodamente attorno a un tavolo, su alcuni divani di pelle.
«Siete stati voi a chiamarmi?» sbuffò avvicinandosi. Quando lo fece, però, s'immobilizzò di colpo.
Conosceva quelle persone. Le aveva viste in televisione, anni prima. I loro volti erano su tutti i giornali.
«Siediti.» le ordinò l'uomo girato di spalle, picchiettando il bracciolo del divano accanto al suo.
Rainiel fece come richiesto e osservò allibita i tre uomini.
«Ti presento Angeal Hewley e Genesis Raphsodos. Io invece sono...»
«Sephiroth!» lo precedette la ragazza, con gli occhi brillanti di ammirazione.
Il SOLDIER la folgorò con il suo sguardo glaciale, serrando le labbra.
«Il... generale Sephiroth. È un onore, signore.»
Genesis si fece una risata.
«Almeno è ben informata.»
Non ottenne risposta, e Sephiroth tornò ad appoggiarsi allo schienale del divano.
«Ti abbiamo convocata al simulatore per testare le tue abilità. Non abbiamo potuto fare a meno di notarti durante l'ultima prova sostenuta.» le spiegò.
Rainiel provò il desiderio di svanire di colpo. Si era rivolta con un tono tutt'altro che adeguato a loro, davanti all'altoparlante.
Angeal continuò il discorso.
«Riteniamo che tu possa entrare a far parte di SOLDIER, giovane Rainiel. Risultati come i tuoi non si erano mai visti prima.»
«Loro... ritengono.» lo corresse Genesis, annoiato. «E non è la prima volta che si vede qualcosa del genere. Sephiroth ha superato la stessa prova con risultati simili, anni fa.»
«Appunto.» insisté Angeal, «Stiamo parlando di Sephiroth. Il miglior SOLDIER che si conosca.»
«Miglior SOLDIER...» borbottò sottovoce Genesis, per poi abbandonare il discorso.
Sephiroth continuò a scrutare la ragazza.
«Giusto perché tu lo sappia, hai superato la prova. È vero, i SOLDIER rappresentano un'élite di guerrieri maschi, ma il genere c'entra ben poco con il talento. E le tue capacità mi soddisfano.» la informò in tutta calma.
Rainiel, al contrario, tremava per l'emozione.
«Quel che sto cercando di spiegarti...» Sephiroth sospirò, sperando di non pentirsi di quella scelta, «È che ti ho raccomandata per la terza classe. A breve verrai promossa a SOLDIER. E sono sicuro...» si voltò verso l'amico dai capelli rossicci, «Che a Genesis farà bene avere un'apprendista.»
In coro, Rainiel e Genesis spalancarono gli occhi e lanciarono un'esclamazione.
«Come?!»
Angeal rise di gusto e, chiusa la mano a pugno, sollevò un pollice.
«Benvenuta nei SOLDIER, Rainiel. Ora inizia la vera fatica!»
La ragazza percepì il tempo rallentare, il cuore saltare un battito.
C'era riuscita. Aveva coronato il suo sogno. Ma la vera avventura aveva inizio adesso.

Trascorse più di una settimana dal giorno in cui Rainiel e i suoi amici affrontarono il mostro. La ragazza era guarita quasi del tutto: le cure mediche della clinica della Shinra avevano effetti miracolosi e lei, per qualche motivo, sembrava riuscire a rigenerarsi più in fretta rispetto alla media.
Una sera aveva ricevuto un avviso, un messaggio sul proprio cellulare da un numero che neanche conosceva.

"I nostri addestramenti inizieranno domani pomeriggio. Ti aspetterò al simulatore alle quattordici in punto. Non tardare."

Il messaggio era firmato "S", e di certo Rainiel non aveva bisogno di grandi ricerche o meditazioni per comprendere chi lo avesse scritto.
Riposò beatamente fino all'indomani mattina, giorno in cui comprò nuovi indumenti per l'addestramento. Finita di indossare la fascia con l'emblema SOLDIER circa un'ora dopo aver pranzato, raggiunse il simulatore come le era stato detto.
Aveva detto ai suoi amici di essere stata scelta da Sephiroth in persona come sua allieva, e le reazioni erano state molteplici.
Cloud la invidiava più che mai, stravedeva per Sephiroth e avrebbe pagato tutto l'oro del mondo pur di allenarsi anche solo una volta con lui, mentre Zack era semplicemente contento, anche se un po' nostalgico. Gli mancava Angeal, esattamente come mancava a Rain, ma lei aveva ancora bisogno di un mentore. Vaneja era preoccupata per lei: le aveva spiegato che Sephiroth non era un tipo caro e gentile, e di certo non aveva intenzione di fare amicizia con SOLDIER di classi inferiori. Era freddo e distante, con quella sua aria di altezzoso distacco da tutti, misto a un velo di malinconia.
Rainiel avrebbe imparato a conoscerlo meglio proprio durante le loro lezioni. Era sicura che il suo incontro con Sephiroth non era stato un caso. In un modo o nell'altro, finivano sempre per prendere la stessa strada nelle occasioni più importanti. Forse era per questo che il generale era tanto incuriosito da lei.
Raggiunto il simulatore vi entrò senza ripensamenti e, come immaginava, trovò Sephiroth già al suo interno. Era inginocchiato , con la lunga katana Masamune tra le mani proprio sopra le braccia.
Rainiel trovava quell'arma impressionante: era lunga forse il doppio dell'uomo che la brandiva, ma lui non sembrava fare fatica a maneggiarla.
«Buon pomeriggio, generale.» salutò formalmente.
Il SOLDIER dai lunghi e lisci capelli chiari si rialzò con calma. La squadrò per un attimo in silenzio, prima di calare le palpebre sugli occhi.
«Sei puntuale. Mi fa piacere.»
Rain represse un sorrisetto. La prima impressione era la più importante, no?
«Giusto perché tu lo sappia...» continuò subito il suo superiore, senza attendere una sua risposta, «... il DNA del mostro che hai affrontato nei bassifondi del settore 5 è stato analizzato in laboratorio dagli scienziati della Shinra. A quanto pare, il suo corpo sprizzava energia mako da ogni poro.»
Rainiel sbatté le palpebre, confusa.
«Energia mako? Ma allora significa che ad aver creato la creatura è stata...» si bloccò.
«La Shinra. Esatto.»
«Non capisco...» Rain si portò le mani alle tempie. «Perché lo sta dicendo a me? Non è un'informazione riservata?»
Sul viso di Sephiroth, per un singolo istante, balenò un sogghigno.
«Lo so. Ma tu hai affrontato quella creatura, esattamente come me. Considerala come una prova... della fiducia che ho scelto di riporre in te. E non deludere le mie aspettative.»
La Masamune si mosse con un colpo veloce e venne puntata dritta alla gola della ragazza, la quale per lo spavento improvviso non riuscì neppure a muoversi per indietreggiare.
«Spero vivamente che il mio intuito non si stia sbagliando. Vuoi darmi una prova delle tue capacità, Rainiel?» 
La ragazza deglutì e la punta della katana sfiorò la sua pelle.
«Certo che sì!»
«Allora combatti con me.»
La Masamune venne ritirata con un gesto secco e rapido e posta al fianco sinistro di Sephiroth, che la brandiva con un cupo sorriso in volto. Aveva un'aria piuttosto altezzosa e arrogante, ma quel tono di tristezza non abbandonava mai il suo sguardo.
Rain sapeva che affrontarlo non sarebbe stato facile. Sephiroth era molto, molto più forte di lei. Aveva più esperienza, non aveva fatto altro che lottare da quando era venuto al mondo. Quanto sangue aveva sulle mani quell'uomo?
La ragazza estrasse le Aikuchi e strinse i denti. Incrociò le braccia davanti a sé, pronta a iniziare, lo sguardo determinato.
Il sogghigno del soldato si ampliò.
«Ti renderò la sfida più semplice, dato che è il tuo primo addestramento con me. Per vincere, dovrai semplicemente colpirmi almeno una volta.»
Rain lasciò cadere morbide le braccia.
«... La modestia non è il suo forte, dico bene?» sbuffò.
«In guardia.» esclamò lui senza risponderle. Non lasciò nemmeno il tempo di elaborare la frase udita, perché si mosse meno di un secondo dopo.
Si spostò a destra in una raffica, mulinando la spada con precisi movimenti del polso. I suoi capelli fluttuarono come la sagoma grigia di un fantasma nel vento.
Rain non aveva seguito il suo spostamento, così si limitò a spiccare un salto per allontanarsi ed evitare di essere colpita, ma il SOLDIER deviò la sua traiettoria con un tocco dello stivale contro il pavimento e apparve proprio davanti a lei. Anziché attaccare con la lama, per ridurre i danni, tentò un affondo con l'elsa dell'arma.
Rainiel si abbassò e scivolò sulle ginocchia strisciando fino a qualche metro più avanti, evitando il colpo. Si rialzò dandosi una spinta con le braccia e con una piroetta tornò a fronteggiarlo, ma Sephiroth era già passato all'attacco successivo: non le lasciava neanche il tempo di riprendere fiato.
Stavolta attaccò con il fianco della spada, ma una delle Aikuchi bloccò l'attacco. Non essendo abbastanza da contrastare la forza spaventosa dell'uomo, Rain dovette usare anche l'altra spada, incrociando entrambe davanti alla sua. Alla fine puntò i piedi a terra, ma Sephiroth avanzava e lei veniva spinta indietro come se fosse un leggerissimo scatolo di cartone.
Alla fine trovò la forza di respingerlo ed eseguì una capriola mentre saltava per allontanarsi.
Sephiroth tagliò l'aria accanto a lui con l'enorme Masamune e allungò un braccio, provocandola mentre con un movimento della mano la invitava a farsi avanti.
Rainiel si sentì ribollire. Era una ragazza molto competitiva e non le piaceva quando qualcuno si prendeva gioco di lei, e così fece solo il gioco nel quale lui voleva trascinarla.
Si gettò a capofitto contro di lui, quasi ringhiando, e roteò tenendo una spada davanti al petto e una dietro la schiena per creare un vortice metallico molto pericoloso.
Sephiroth non dovette fare altro che saltare, atterrare dal lato opposto e, quando Rainiel smise di girare, le bloccò le braccia dietro la schiena con una mano, mentre con l'impugnatura della katana la portava a piegare il collo.
«L'impulsività è il peggior nemico di un guerriero. Cosa pensavi di fare, attaccandomi senza riflettere?» la rimproverò, con il suo tipico tono di voce calmo e contenuto.
Rainiel sbuffò per la frustrazione e si tuffò in avanti, quasi colpendo la sua mano con un calcio. Atterrò al suolo come un felino e si volse, lanciando una delle Aikuchi dritta al suo volto.
Gli bastò piegare il collo di qualche centimetro per evitare la spada che, completamente innocua, non fece che strappargli via qualche capello. Sephiroth assunse un'espressione offesa e passò una mano tra i lunghi capelli, controllando che non fossero troppo rovinati.
Rainiel era sconvolta: aveva così tanta fiducia in se stesso da interrompere il combattimento per dare un'occhiata alla sua perfetta chioma argentata? Lo avrebbe fatto pentire di quella scelta.
Era distratto, forse. E lei ne approfittò. Si avvicinò a lui con un movimento fulmineo tanto quanto silenzioso, mirando alla sua spalla.
Gli occhi da serpente dell'uomo la inchiodarono in un attimo. Il colpo sarebbe stato parato.Ma non importava, perché l'idea di Rainiel era tutt'altra.
Quando lui alzò le braccia per difendersi, lei si accucciò e di nuovo e si lasciò scivolare, passando proprio tra le sue caviglie, attraverso la cappa nera che indossava, e apparve alle sue spalle.
Con un sorriso, attaccò con l'ultima arma rimasta, ma Sephiroth fu rapidissimo e si volse prima ancora che lei potesse sbattere ciglio, colpendola al fianco con un gomito e spedendola lontana.
Rainiel non aveva considerato questa possibilità e si ritrovò presto a terra, la Aikuchi a circa un metro da lei.
Sephiroth si avvicinò lentamente, il mento alto e le ciglia basse sugli occhi.
Rain non perse tempo a guardarlo e, piuttosto, allungò una mano per prendere l'arma, ma il piede dello sfidante la bloccò a terra inesorabilmente.
«Tutto qui quello che sai fare?» domandò laconico.
Lei strinse i denti separando le labbra e rotolò su un fianco per allontanarsi.
Sephiroth era così tranquillo che i suoi movimenti si erano fatti più lenti. Gli bastò un salto per raggiungerla. Erano molto vicini alla parete della stanza.
Rainiel si rialzò e iniziò a correre, con il fiato sospeso. Doveva riflettere velocemente. Si avvicinò al muro il più possibile e si abbassò, poi con un salto vi camminò sopra, roteando e ricadendo giusto qualche passo più indietro rispetto al nemico che, però, la colpì proprio mentre stava ricadendo al suolo.
Il colpo improvviso spedì Rainiel contro la parete circolare. Aveva le spalle al muro e le sue forze si erano esaurite.
Sephiroth accostò la lama della Masamune alla sua gola, bloccando qualsiasi suo movimento. Aveva vinto lui. Non stava più sorridendo, sembrava piuttosto deluso.
Rainiel strinse gli occhi, senza fiatare.
«Temo tu abbia fallito. Non sei riuscita a...»
Non finì di parlare. Un dolore minimo ma acuto lo portò a sollevare le sopracciglia e, quando provò a indietreggiare, comprese che la lama della Aikuchi puntava dritta alla sua schiena, poco sotto le spalle.
Rainiel non stava scappando da lui. Stava correndo per raggiungere l'arma che qualche attimo prima aveva lanciato in sua direzione. Senza farsi notare, l'aveva raccolta da terra e aveva finto di essere in pericolo per avvicinarsi a lui e colpirlo.
«L'impulsività è il peggior nemico di un guerriero...» sorrise vittoriosa Rainiel, tra un profondo respiro e l'altro.
Sephiroth allontanò la Masamune dalla sua gola.
Rain ebbe finalmente occasione di guardarlo negli occhi. Anche lei lasciò cadere l'arma: lo scontro era finito.
E poi, un sorriso compiaciuto invase il volto angelico del giovane uomo. Abbassò la testa, chiudendo gli occhi, e rilassò le spalle.
«Ma pensa te...» commentò a bassa voce, «Non smetti mai di stupirmi.»
Rainiel si sentì incredibilmente fiera. Era di nuovo riuscita a impressionare l'eroe che l'aveva ispirata.
«Sono lieto che Angeal mi abbia chiesto di riporre fiducia in te, quando sei arrivata alla Shinra. Sei senza dubbio una dei soldati più promettenti degli ultimi anni.»
Sephiroth non era tipo da complimenti, il che rendeva quelle lodi molto più importanti di quanto potessero sembrare.
Quando riaprì gli occhi, sembrava più rilassato. Nei suoi occhi Rainiel notò qualcosa di nuovo, lo stesso sguardo che aveva rivolto, anni prima, ad Angeal e Genesis, quando erano ancora un famoso trio di amici.
«La ringrazio, signor generale!» esclamò Rainiel con voce carica di orgoglio.
Lui le diede le spalle e prese ad allontanarsi.
«... puoi chiamarmi semplicemente Sephiroth.» le concesse. «A quanto pare i nostri addestramenti saranno più interessanti di quanto mi aspettavo. Sei pronta a continuare?» domandò.
Rainiel non ebbe bisogno di rispondere, solo di muovere la spada corta davanti a sé.
Lo stesso fece Sephiroth con la sua Masamune.
Aveva proprio ragione. Quegli addestramenti sarebbero stati molto... molto interessanti.

Un giorno, uno come tutti gli altri, Rainiel scelse di fare compagnia a Zack e Cloud, i suoi cari amici, durante un allenamento in palestra. Sembrava un incontro qualsiasi, che comprendeva una discussione qualsiasi, ma quel giorno ebbe inizio un'importante serie di eventi. E tutto iniziò da una semplice domanda che Cloud porse alla ragazza.
«Dunque... come procedono i tuoi allenamenti con Sephiroth?»
Rain stava facendo alcuni esercizi per gli addominali, mentre qualche metro più avanti Zack si occupava di una serie di trazioni. La ragazza non si aspettava un cambio così improvviso di discussione: fino a poco prima stavano parlando di argomenti piuttosto comuni tra giovani di quell'età, ad esempio uscite tra amici per la città di Midgar, una serata al cinema, un consiglio riguardo gli allenamenti. Ma quella domanda trasportò la chiacchierata verso tutt'altra direzione, catturando l'attenzione anche di Zack.
«Piuttosto bene. Sto imparando molto, per cui immagino che siano abbastanza efficaci!» replicò quindi lei, senza farci troppo caso. Durante gli addestramenti Sephiroth l'aveva aiutata a migliorare i suoi riflessi e la sua agilità. La palestra era un impegno a parte, che avrebbe tenuto in forma il suo fisico.
Zack lasciò andare la sbarra alla quale era appeso e incrociò le mani tra loro davanti al petto, emulando una fastidiosa vocina.
«La nostra cara Rain resta quasi tutti i pomeriggi da sola con il potente e temerario generale Sephiroth...» finse di sospirare, prima di indicarla. «Dì la verità, amica, cos'è che combinate davvero in quel simulatore?»
Rain colpì il terreno con la schiena. Si era distratta a causa di quello scherzo infantile, e la sua pelle si era colorata di una tonalità decisamente più vicina a quella dei suoi capelli.
«Zack!» lo rimproverarono lei e Cloud in coro, imbarazzati.
Lui si tenne la pancia e rise di gusto.
«Oh, era solo un innocuo scherzetto!» si giustificò, prima di abbassare la voce e borbottare qualcosa mentre fingeva un improvviso colpo di tosse. «Anche se non si può mai sapere...»
Rainiel lo ignorò, prendendo una bella boccata d'aria.
«A proposito di Sephiroth! Non posso fornirvi tutti i dettagli, ma mi ha detto che il mostro che abbiamo affrontato nei bassifondi è stato analizzato in laboratorio. E francamente l'esito dei risultati è... curioso.» aggiunse poi, ricordando quella discussione.
Cloud smise di sollevare i pesi che stringeva in pugno per un attimo.
«Cosa?» assunse una faccia degna di un cucciolo imbronciato, «Davvero non puoi dirci più di questo?»
«No, mi dispiace. Sephiroth mi ha chiesto esplicitamente di mantenere il segreto, anche se mi ha detto poco e nulla in proposito.» sospirò lei.
Zack si grattò il mento.
«Può darsi che neanche lui sia informato al riguardo.»
«Ma chi, Sephiroth?» Cloud scosse la testa, «Insomma... è un personaggio importante qui alla Shinra. Perché mai dovrebbero tenergli nascosto qualcosa?»
A quel punto, Rainiel ebbe un'illuminazione improvvisa, un pensiero decisivo che avrebbe segnato il suo avvenire.
«Perché forse qualcuno non vuole che lui ne sia al corrente...» mormorò tra sé e sé.
Zack e Cloud la osservarono curiosi e confusi allo stesso tempo.
«Che intendi dire?» chiese il secondo di loro.
«Io... l'ho già detto, non posso dirvi tutto quello che so e, anche se potessi, non sono in possesso di abbastanza informazioni. Forse è meglio non scervellarsi troppo...»
«Oppure...» sorrise pian piano Zack, «... potremmo investigare!»
Rainiel sollevò le sopracciglia e poco dopo serrò le labbra, guardando attentamente l'amico e rialzandosi in piedi.
«Oh, no no no!» lo bacchettò.
«Cosa? Che ho fatto stavolta?»
«Conosco quello sguardo! È quello che hai sempre un attimo prima di cacciarti in qualche grosso guaio!»
«Touché.» dovette ammettere lui, però non si diede per vinto. «Ma è a questo che servono gli amici, giusto? A tirarti fuori dai guai! E poi noi abbiamo un'amica in particolare che potrebbe tornarci molto utile, non credi?»
«Uhm? A chi ti stai riferendo?»
Gli occhietti di Zack non avevano mai cercato di essere così adorabili e convincenti come in quel momento.
«Alla cara Jadin, ovviamente!»
Rainiel non ci aveva pensato: Jadin lavorava in laboratorio, spesso a progetti scientifici piuttosto importanti. Se avessero deciso di chiedere informazioni a qualcuno, Jadin sarebbe stata un buon punto di partenza. Non si sarebbe di certo offesa, dato che conosceva il resto del suo gruppetto di amici da anni e anni.
«E... e se finisse nei guai a causa nostra?» domandò Cloud, con gli occhi bassi.
«Ma figurati! Dovrà solo raccontarci qualche pettegolezzo. Non avrebbero prove per incolparla anche se si venisse a sapere.» rispose Zack.
«È una pessima idea.» sospirò Rain.
«È una pessima idea perché lo pensi davvero...» continuò a chiederle lui, «o perché hai paura che potrebbe effettivamente andare a buon fine?»
Dritto al centro. Rainiel sapeva di aver perso quella discussione su tutti i fronti.
«Cloud, diglielo almeno tu!» tentò come ultima spiaggia.
«A dire il vero, io sono d'accordo con Zack.» esclamò il più piccolo, in soggezione. «Se neanche qualcuno come Sephiroth è a conoscenza di un'informazione cruciale riguardo alla creatura che abbiamo affrontato... sicuramente non si tratta di nulla di buono. Forse il nostro intervento risparmierà delle vite. O, almeno, io voglio pensarla così.»
Rain si avvicinò a Zack e gli pizzicò una spalla, facendolo sussultare.
«Sei davvero una pessima influenza per Cloud, lo sai?»
In risposta ebbe solo una risata malandrina.
Le parole del giovane fante, però, smossero davvero Rainiel. Il suo sogno era quello di diventare un'eroina, di salvare vite e di sconfiggere i pericoli che in futuro si sarebbero abbattuti su Midgar. Quel mostro faceva parte dei suddetti pericoli.
Sephiroth le aveva fatto capire una cosa importante: quella creatura era stata generata attraverso esperimenti con la mako, per questo era dotata di una tale forza e resistenza. E tali esperimenti erano tipici del laboratorio Shinra, almeno per quanto riguardava l'infusione della mako ai SOLDIER. Quello, però, era sicuramente stato il frutto di un esperimento andato male e fuggito dalla sua gabbia, per questo erano stati chiamati due SOLDIER, uno dei fanti più promettenti e un membro dei Turks a occuparsi del problema.
Quella belva era davvero fuggita dai laboratori Shinra? E perché era stata creata? Ne esistevano altre, magari anch'esse in libertà?
Non era un caso che Sephiroth lo avesse detto proprio a lei. Rainiel non lo sapeva ancora, ma entrambi erano accomunati da un sentimento comune: una sorta di dubbio esistenziale, una paura impressa nella loro mente e carne riguardante il passato. Avevano un presentimento cupo e misterioso, come se sapere dell'esistenza di un segreto che, in qualche modo, riguardava entrambi.
Sospirò, sapendo di non poter insistere, perché non era quello che voleva davvero fare.
«Uff. E va bene... chiederemo a Jadin.» annunciò.
Zack e Cloud parvero sul punto di festeggiare, ma lei li bloccò sollevando un palmo.
«Vi avviso. Quello che scopriremo potrebbe non piacerci. Ben presto molte cose potrebbero cambiare...»
I tre si scambiarono delle occhiate ansiose. A modo loro, ognuno sapeva che Rainiel diceva la verità.

«Continuo a pensare che sia una pessima idea.»
«E dai, Rain! Ne abbiamo già parlato! Le faremo solo qualche domanda.»
«E se qualcosa andasse storto? E se non fosse sola?»
«L'avevi avvisata che le avremmo fatto visita, giusto? Sicuramente andrà tutto bene.»
«Sentito, Rain? Se lo dice anche Cloud, puoi fidarti. Lui sì che è un tipo cauto.»
«Non quando bazzica con te!»

I tre amici raggiunsero il piano dei laboratori, ansiosi al punto giusto. Era una serata piuttosto tranquilla, gli allenamenti dei SOLDIER di terza classe erano appena terminati e, essendo ormai nel fine settimana, il palazzo era affollato solo nella zona relax e al piano terra.
Raggiunta la porta dell'ufficio di Jadin, attesero che l'amica arrivasse da loro.
E fu proprio lei ad aprire loro la porta. Si ritrovarono di fronte una ragazza dai tratti orientali, piuttosto bassa e con lunghi capelli neri, avvolta in un camice bianco.
«Ragazzi, lieta di rivedervi...» salutò gioiosa, per poi imbarazzarsi alla vista del giovane Cloud. Arrossì di colpo, ma lui non parve nemmeno farci caso. «Sembravate piuttosto di fretta. Come posso aiutarvi?»
Zack stava per muovere un passo avanti, ma Rain lo precedette.
«Uhm... ti dispiace se entriamo a parlarne? Non è esattamente una questione da risolvere in corridoio.»
Jadin si sistemò i capelli dietro le orecchie e annuì, invitandoli nel suo piccolo ma confortevole ufficio, pieno di scartoffie.
Qui i tre ragazzi le spiegarono come fosse andato il loro incontro con la creatura di mako, avvenuto ben più di una settimana prima, e le esposero i propri dubbi.
«Insomma... vorremmo sapere se puoi fornirci qualche informazione in più a proposito.» concluse Rainiel.
Jadin si sistemò al meglio gli occhialini tondi sulla punta del naso, fingendo per un attimo di riflettere.
«Ecco, allora... sì, potrei saperne qualcosa... o magari no, il fatto è che... è che posso parlare di ben poco, lo sapete...» balbettò.
A poco servì l'insistenza di Zack e Rain, poiché la scienziata si convinse solo una volta aver ascoltato la richiesta di Cloud.
«Quelle informazioni potrebbero avere importanza vitale! Noi abbiamo affrontato la creatura, sappiamo di cosa è capace e temiamo che possano essercene delle altre. Molte persone potrebbero essere in pericolo, anche in questo preciso momento.» tentò di farle comprendere.
Jadin avvampò di colpo e sospirò con forza una volta udito il più giovane parlare.
«Va bene, va bene... vi dirò quel che posso.» accettò.
I tre guerrieri si sedettero come bambini in attesa di sentir raccontata una storia.
«Immagino che consociate tutti il professor Hojo, giusto?» iniziò lei.
Purtroppo, Rain lo conosceva. Non ricordava di avergli mai parlato, ma quell'uomo dall'aria viscida la guardava sempre con insistenza quando la vedeva passare nei dintorni. Era un formidabile scienziato, ma era noto per i suoi metodi molto curiosi e per la sua indole... insolita. Già, sembrava proprio che gli mancasse qualche rotella, ma anche in questo caso Rain sentiva di essere collegata a lui in qualche modo.
«Certo che sì.» risposero gli altri due.
«È lui che si occupa degli esperimenti su R-12.»
«R-12?» ripeterono in sintonia gli ospiti.
«Il nome che il professore ha assegnato alla creatura. Non capisco il motivo di un titolo simile, ma non ho neanche intenzione di chiederglielo.» si spiegò meglio lei poco dopo. «Ad ogni modo, quel che volevo dirvi è che... ho collaborato con lui nel corso di questi esperimenti.»
Zack scivolò praticamente dalla sedia per la sorpresa, mentre Cloud scoloriva in viso e Rain spalancava gli occhi.
«Davvero?!» chiese la ragazza.
Jadin scosse le mani in tutta fretta.
«Non sempre, solo in alcune fasi! Ad esempio ho preso parte alla squadra che ne esaminava il DNA. Ma non ho mai visto la creatura, purtroppo.»
«Quindi non sai dirci se è stata creata qui...» si lasciò sfuggire Rain
Zack e Cloud le lanciarono un'occhiata sconcerta.
«... Ops.»
«Sarebbe questo il segreto che Sephiroth ti ha chiesto di mantenere?!» tuonò Zack.
Gli occhi di Cloud si fecero più cupi. «La Shinra si occupa di esperimenti del genere...? Crea dei mostri?»
«Cosa? No! Non ha mai detto nulla del genere!» lo difese Rainiel, «Era... una sua supposizione, tutto qui.»
Jadin spalancò gli occhi.
«Sephiroth? E da quando tu e Sephiroth siete entrati in confidenza?»
«Non è quello che...»
«Non lo sai? Lei e il generale passano mooolto tempo assieme ultimamente.»
«Piantala, Zack, lo fai sembrare strano!»
«Non è strano avere una cotta per-»
Prima che potesse dire altre stupidaggini, Rain lo spintonò facendolo ricadere su una poltrona e sospirò, rivolgendosi subito a Jadin.
«Per farla breve... pensi di poter dare un'occhiata ai fascicoli riguardanti R-12?» domandò tutto d'un fiato.
Jadin si massaggiò il collo, timida e un po' impaurita.
«Tecnicamente non mi è concesso accedere ai fascicoli, specie a quelli top-secret...»
«Per favore, fai uno sforzo per noi!» chiese Cloud rialzandosi all'improvviso e avvicinandosi alle due.
Jadin rabbrividì e le sue gote cambiarono colore. Le succedeva sempre, quando parlava con Cloud, anche se lui negava tutto.
Fortunatamente, non sapeva proprio dire di no a quel bel giovanotto dai capelli biondi spettinati e gli occhi grandi e chiari.
«Vedrò di fare un'eccezione... ma non vi prometto nulla!» cedette.
Cloud sorrise contento. «Grazie mille!»
Dopo aver salutato Jadin, i tre si prepararono a lasciare l'ufficio.
«Jadin... se dovessi scoprire qualcosa...» le parlò in disparte Rain, l'ultima ad andarsene, «... ti prego di farlo sapere prima a me. È meglio che Zack e Cloud non sappiano troppi dettagli, o Sephiroth potrebbe infuriarsi.»
Jadin annuì e accettò la proposta. Mentre poi Rainiel si allontanava, un attimo prima di richiudere la porta, si lasciò scappare una risatina.
«E buona fortuna con il bel generale!»
Rainiel si spiaccicò una mano in fronte. Un giorno o l'altro avrebbe ammazzato Zack, ne era sicura.

La risposta ai dubbi di Rainiel arrivò in una cupa serata di inizio estate: una tenue pioggerella ripuliva Midgar dallo smog e rischiarava il cielo, ma lei si trovava ancora nella sua stanza in uno dei piani più alti del palazzo Shinra.
Aveva passato il pomeriggio ad allenarsi con il suo nuovo mentore, che di certo non ci andava leggero con la sua allieva. I muscoli le facevano male e la testa le scoppiava, per cui una volta tornata in camera aveva deciso di farsi una bella doccia calda.
Mentre finiva di insaponarsi i capelli rossastri, però, sentì un rumore provenire dalla camera e chiuse il rubinetto dell'acqua per comprendere cosa fosse: il suo cellulare stava squillando.
Il più velocemente possibile, credendo che fosse un'urgente chiamata di lavoro o ad ogni modo che Sephiroth volesse dirle qualcosa di importante, si tuffò fuori dal bagno avvolta nell'accappatoio e, dopo aver rischiato di scivolare, afferrò il telefono cadendo sul letto a due piazze.
«Pronto?» rispose affannata.
«Rain, sono Jadin. Stai... stai bene? Ho interrotto qualcosa?»
«Solo una bella doccia rilassante, ma non preoccuparti. Volevi dirmi qualcosa?»
«Sì ma... c'è qualcuno lì con te che può sentirmi?»
«Dovrebbe esserci qualcuno con me mentre sono sotto la doccia?!»
«Be', a giudicare da quello che ha detto Zack l'altro giorno...»
Rainiel sbuffò con forza.
«Ancora con questa storia? Ma vi siete messi d'accordo, per caso? No, non c'è nessuno! Sono qui tutta sola soletta, cos'è che devi dirmi?» tagliò corto per evitare di ripetersi sull'argomento.
«Va bene, va bene! Chiedevo soltanto!» si scusò lei prima di continuare, «Allora... ricordi quella questione di cui avevamo parlato?»
«Sì, certo.»
«Mi avevi chiesto di indagare, uhm?»
«Siiì...»
«E di informarti nel caso in cui avessi trovato qualche informazione...»
«Santo cielo, Jadin, così mi metti ansia!»
«Temo che dovrai tenerti l'ansia ancora per un po'. Non credo sia il caso di parlarne per telefono. Pensi di potermi raggiungere tra qualche minuto all'ufficio?»
«Ehm...»
Rain lanciò un'occhiata all'orologio appeso alla parete alla destra del letto.
«Credo di sì. Farò il prima possibile.»
«Ottimo. A presto, allora!»
La telefonata si concluse e Rain lasciò cadere il telefono su un cuscino.
Chissà cosa doveva dirle Jadin di così importante...

Circa mezz'ora dopo, la ragazza si trovava di fronte alla porta del suo ufficio, qualche piano più in basso rispetto a quello delle residenze SOLDIER. Portava i capelli legati in un'alta coda di cavallo, poiché non era riuscita ad asciugarli del tutto.
Bussò e poco dopo le aprì Jadin, che la tirò nella stanza da un braccio senza neanche salutarla.
«Ouch! Che fai, Jadin? È davvero così grave quello che devi dirmi?»
«Questo dovrai giudicarlo tu.»
L'amica si allontanò verso la propria scrivania e tirò fuori da uno dei cassetti un fascicolo avvolto in una copertina rigida gialla, sulla quale era stato scritto a mano il titolo "Progetto Yoshua - annotazioni generali".
Jadin lo consegnò a lei.
«Non ho trovato molto ma... qui dentro... troverai qualcosa che ti interesserà di certo.»
Rainiel si accomodò su una delle poltrone e afferrò il piccolissimo fascicolo, che conteneva più che altro annotazioni illeggibili o pagine curiose quanto strane: una di queste era occupata da uno schizzo a matita di uno strano soggetto. Sembrava essere un mostro, o qualcosa del genere, ma aveva una forma alquanto antropomorfa dal fisico maschile. Le grandi spalle, quelli che sembravano essere dei pettorali appena accennati, un collo largo e una testa. Su quest'ultima, però, vi era un viso mostruoso, dagli occhi grandi e le pupille ferine, la bocca larga e persino dei capelli che ne corniciavano il viso. Non aveva mani o gambe: sembrava che lo avessero troncato e appeso a qualcosa.
In basso a destra, sullo stesso foglio, regnava la parola "Yoshua".
«Che cosa sarebbe... questo?» domandò quasi inorridita.
«Io... ti consiglio di continuare a leggere.» le consigliò Jadin, stringendosi nelle proprie braccia, evidentemente preoccupata.
Rain iniziò ad avvertire uno strano presentimento, così si cimentò nella lettura delle seguenti schede. Alcuni erano codici matematici, altri ulteriori schizzi della stessa, strana creatura.
E poi, finalmente, le annotazioni che cercava. Iniziò a leggerle ad alta voce.
«14 luglio 1983. Ritrovata creatura aliena non identificata all'interno del cratere di un vulcano spento. Viene portata ai laboratori Shinra per analisi e riconoscimento. Dai risultati si evince che non appartenga a nessuna razza terrestre conosciuta... Jadin, sul serio la Shinra ha trovato il corpo di un alieno e lo ha trascinato fin qui?!» esclamò terrorizzata.
«E c'è di più...» le fece gesto di continuare a leggere, e così lei fece.
«20 luglio 1983. La creatura verrà etichettata con il nome di Yoshua da questo giorno in poi. Vengono effettuati test privi di risultati su Yoshua, in seguito si passa a delle analisi di riconoscimento. 15 agosto 1983: Viene messo a confronto il DNA di Yoshua e quello del predecessore Jenova. 17 agosto 1983: i test del DNA non hanno risultati simili: pur assomigliandosi nell'aspetto, le due creature non appartengono alla stessa specie.» Rainiel si fermò e batté le ciglia con forza. «Jenova? E chi sarebbe?»
«Non ne ho idea. Non avevo mai sentito quel nome, prima di oggi.»
Rainiel continuò, girando pagina.
«24 agosto 1983. Forme di vita vegetali si sono create nel liquido in cui Yoshua è stato immerso. Le piante vengono sottoposte a esperimenti di vario tipo: ne risulta che sono comunissime alghe marine. Yoshua viene spostato in una seconda camera di contenimento. 4 settembre 1983: nascono nuove piante marine nel liquido della camera di Yoshua. Non importa quante volte il liquido o la camera vengano cambiati, le alghe si ripresentano sempre. 8 settembre 1983: il DNA di Yoshua viene messo a confronto con DNA Cetra. Prime tracce di una possibile similarità tra le due creature. Yoshua viene etichettato come creatura Cetra.»
«Cetra...» sospirò Jadin. «Questo potrebbe quasi spiegare la nascita di forme di vita nell'acqua che lo conteneva.»
«Ma i Cetra... i Cetra si sono estinti migliaia di anni fa!»
«Lo so... ma il documento non mente: i DNA sono molto simili fra loro. Lo avranno messo a confronto con qualche reperto Cetra...»
Rainiel iniziò a sudare freddo e proseguì con la lettura.
«29 settembre 1983. Il DNA di Yoshua viene estratto e infuso in una cavia. L'animale muore nel giro di qualche ora per degradazione. Il test verrà eseguito di nuovo con modifiche. 1 ottobre 1983: La cavia viene  infusa di energia mako al massimo delle possibilità e poi sottoposta al DNA di Yoshua. La cavia sembra manifestare un forte slancio vitale. Fiori di varia specie nascono nella teca. La cavia muore nel giro di un giorno per degradazione. Si suppone che il corpo della cavia non sia adatto al DNA di Yoshua. 12 ottobre 1983: Il test viene effettuato nuovamente su animali di varia specie: un coniglio, un cane e una tigre. I tre animali godono di ottima salute. Il coniglio muore nel giro di due giorni per degradazione. Il cane e la tigre mostrano a loro volta un grande slancio vitale e il dono appena accennato di manipolare la natura. Trascorsa una settimana dagli esperimenti, iniziano a manifestare cambiamenti a livello fisico e caratteriale. Gli animali stanno diventando più grandi e aggressivi, la loro forza fisica è raddoppiata. La tigre riesce a liberarsi dalla sua gabbia questa mattina e attacca uno degli assistenti di laboratorio, che muore sbranato. Entrambi gli animali vengono abbattuti. La richiesta di ritentare gli esperimenti su altri animali viene respinta.»
Rainiel deglutì con forza.
«Cosa diamine ha combinato la Shinra? E chi ha scritto questi appunti?»
«Non ne ho idea...ho trovato il fascicolo per caso mentre cercavo di più riguardo il caso R-12 negli archivi del laboratorio. Non so se ha a che fare con la creatura che avete affrontato nei bassifondi, ma credimi... ti interesserà comunque.»
«11 novembre 1983. Dopo pressanti richieste, il Progetto Yoshua è autorizzato a procedere al prossimo livello. Viene vietato l'utilizzo del DNA della creatura aliena su animali o esseri umani già in vita. Viene prelevato DNA umano di un soggetto femminile volontario anonimo e quello di Yoshua. Il progetto Yoshua passa alla seconda fase di replicazione Cetra con infusione mako...»
Rain voltò pagina e sbiancò di colpo, sperando di aver letto male. Rilesse più e più volte lo stesso rigo, confusa. Infine si decise a pronunciarlo ad alta voce.
«... Inizia il Progetto Yoshua R: Progetto Rainiel.»
Il fascicolo le cadde di mano, rimbalzando a terra in un vortice di pagine.
Jadin si mise le mani nei capelli.
«Il fascicolo finisce qui. Non ho trovato nient'altro... Questo fascicolo dovrebbe trovarsi nella sezione top-secret ma qualcuno deve averlo spostato per sbaglio...»
«Progetto Rainiel...»
La ragazza fissò con occhi vuoti il nulla davanti a sé per quasi mezzo minuto, senza neanche riuscire a pensare. Poi, di scatto, si alzò e raccolse il fascicolo, sfogliando rapidamente le carte al suo interno, tormentata dalla vista di quella creatura orrida.
«Progetto Rainiel. Progetto... Per quale dannato motivo questo progetto porta il mio nome?!» iniziò ad alzare la voce e a dare in escandescenza.
Jadin tentò di calmarla.
«Abbassa la voce! Forse è solo una coincidenza ma...»
«11 novembre 1983.» ripeté agitata lei, mostrandole la data sul foglio, «È stato più di venti anni fa! Un anno prima che io nascessi! Vedi? 11 novembre. Io sono nata nell'agosto del 1984. Nove mesi dopo l'inizio di questo progetto!»
«Io... io davvero non so altro a riguardo. So che volevi sapere della creatura R-12, ma ho pensato che farti leggere questo fascicolo prima di riconsegnarlo fosse la cosa migliore da fare.» si giustificò Jadin.
Rainiel continuò a sfogliare con mani tremante la piccola agenda. Lesse più e più volte tutte le pagine, tutte le annotazioni, osservò ogni scarabocchio e ogni calcolo. Non trovò altro. Alla fine, sollevò il fascicolo e lo scaraventò contro una parete.
Jadin corse a raccoglierlo.
«Adetto calmati, Rain!» insisté, «Arrabbiarsi non è il modo di risolvere la cosa! Piuttosto, prova a concentrarti! Hai una famiglia, un paese di nascita lungi dall'essere vicino a Midgar. Deve trattarsi di una coincidenza!»
Rain ripensò alla sua infanzia: i Chanstor, la sua famiglia, abitavano in un paesino chiamato Darefall, ben lontano dalla piattaforma. I suoi ricordi più remoti la ritrovavano a sette, forse otto anni, non ricordava molto della sua vita prima di allora se non qualche scena confusa. Da quel che poteva immaginare, era nata e cresciuta a Darefall. Niente esperimenti, niente Shinra, niente Yoshua.
Ma allora perché quel progetto portava il suo nome?
Rainiel non era esattamente un nome comune. Aveva origini antiche e, quelle poche volte che da bambina aveva domandato ai suoi genitori il significato o il motivo della scelta di esso, le rispose ottenute erano nulla o comunque fin troppo vaghe. Non aveva mezzi di ricerca, non poteva fare altro che domandarsi il perché di quella coincidenza.
Sempre ammesso che si trattasse davvero di una coincidenza...
La mano di Jadin le toccò una spalla.
«Io devo tornare a consegnare questo fascicolo. Mi prometti che andrai a riposarti, adesso? Devi dormire, domani sera ce ne occuperemo con più calma.»
Rainiel si sedette, riprese fiato, tentò di ragionare. Infine annuì.
Non sapeva cosa fare, non sapeva come comportarsi o cosa credere.

Tornò davvero in camera sua, ma dormire fu praticamente impossibile. I suoi pensieri erano costantemente tormentati dall'immagine di quell'alieno... quella creatura chiamata Yoshua.
Nella notte si rialzò per sciacquarsi il viso. Guardandosi allo specchio si perse nei suoi stessi occhi. Assomigliavano molto a quelli di Sephiroth. A quelli dei SOLDIER di prima classe.
Ma lei non era una SOLDIER di prima classe. E di sicuro non aveva mai ricevuto un trattamento a base di mako.
Chi era davvero? Cos'era?
Cosa significava "Progetto Rainiel"?
Purtroppo, non avrebbe trovato la risposta così facilmente. Al sorgere del sole, ancora assonnata per non aver dormito, si rivestì e si trascinò fuori dalla stanza.
Forse sarebbe stato il giorno a portare consiglio...

Come se non bastasse l'ansia dell'attesa, quel giorno Rainiel dovette fare i conti anche con una profonda umiliazione. Era piena di lividi e graffi, muscoli e ossa le dolevano come se fosse appena tornata dalla guerra, ma nessuno di tali fastidi era paragonabile al senso di vergogna dovuto alla sua sconfitta contro Sephiroth: non perché avesse perso - sapeva che vincere in uno scontro leale contro di lui sarebbe stato pressoché impossibile - ma per le parole che il mentore le aveva rivolto. Lui, che avrebbe solo dovuto insegnarle a migliorare le proprie prestazioni fisiche per il combattimento, le aveva riservato una vera e propria lezione di vita alquanto dolorosa.
Zack lo notò subito, quando vide una Rainiel zoppicante avvicinarsi all'ufficio di Jadin.
«Accidenti, Rain... si può sapere che ti è successo? Ti è passato un treno sulla schiena oggi pomeriggio?»
«Non girare il coltello nella piaga.» le chiese lei con un forte sospiro, «Posso dirti con certezza che un Sephiroth infastidito è peggio di un treno.»
Zack fece per parlare, ma lei gli puntò un dito sul petto, buia in volto.
«E non osare fare battute a riguardo.»
La porta alla loro destra si aprì e Jadin fece loro segno di entrare prima di richiuderla.
«Vedo che ci siete entrambi, ottimo. Ho ricevuto il tuo messaggio stamattina, Rain, e Cloud è passato a parlarmi qualche ora fa.» spiegò Jadin, sistemandosi i capelli e gli occhiali. «Senza offesa ma... siete impazziti? Cosa volete combinare negli archivi top-secret?» domandò.
«Dobbiamo aiutare Rain, ovviamente. Quel fascicolo che le hai mostrato potrebbe essere la premessa di una verità ben più profonda e che la riguarda personalmente.» spiegò Zack.
«Era solo un nome, potrebbe essere una coincidenza.»
«Sai anche tu che non è così, giusto?»
Jadin tacque, così come Rainiel, mentre lui continuò a parlare.
«Rainiel è sempre stata gentile e disponibile con tutti noi. È il momento giusto per ricambiare ogni suo favore.»
La ragazza dai capelli rossi si lasciò sfuggire un sorriso.
«Sei quasi carino quando fai la persona seria.»
«Io sono sempre carino!»
«Ed ecco tornato il nostro Zack!»
Jadin si fermò a pensare per qualche secondo, dopodiché infilò una mano nella tasca del suo camice e ne estrasse una chiave.
«Quella è...?» provò a dire Rain.
«La chiave dell'archivio.» replicò lei, colpevole. «Hojo non deve sapere che l'ho presa io. Conosco quell'uomo... se lo facessimo infuriare potremmo diventare le sue prossime cavie da laboratorio.»
Zack mandò giù un nodo alla gola.
«Ho preso anche la chiave del suo ufficio, è qui.» mostrò loro anche essa, «Ma dovete rimettere tutto a posto una volta trovato ciò che cercate. Avete trenta minuti di tempo, non toccate altro che non siano i fascicoli che vi interessano. Non entrate nel laboratorio, o rischierete di imbattervi in qualche soggetto pericoloso. Intesi?»
«Tutto chiaro.» risposero loro.
«Vi porterò all'ingresso, dopodiché vi aspetterò qua. Buona fortuna, ragazzi...»

E così accadde.
Era già notte fonda quando i due SOLDIER si intrufolarono negli archivi, richiudendosi la porta alle spalle. Lo scenario davanti a loro era persino inquietante, come si trovassero all'interno di una prigione metallica costruita per nascondere al mondo al di là di quelle pareti i segreti contenuti al suo interno.
Gli scaffali straripavano di fascicoli di ogni tipo, documenti su centinaia di esperimenti diversi, progetti, calcoli, analisi e registri. Alcuni erano organizzati, altri no, altri ancora totalmente abbandonati in angoli bui a prendere polvere.
Rainiel sentiva un peso sul cuore, cosciente che uno di quei fascicoli potesse contenere la verità sulla sua vita, sulla sua nascita. Davvero era stata tutta una menzogna? Davvero proveniva da un laboratorio, e aveva a che fare con quel soggetto chiamato Yoshua?
La mano di Zack sulla sua spalla la confortò, almeno per un attimo.
«Non è un problema tornare indietro.» le ricordò.
Le parole di Sephiroth riecheggiarono nella mente della giovane donna. Doveva distruggere quell'ostacolo.
«No, io... voglio avere una certezza. Voglio sapere se è tutto vero o se mi sono preoccupata per un motivo futile.»
E così continuarono nelle loro ricerche. L'idea migliore e la via più rapida consistevano nel cercare il fascicolo in base all'ordine alfabetico dei titoli.
L'idea iniziale fu di cercare nella sezione "R", ma il nome di Rainiel non apparve mai. Questo non fece che incrementare l'impazienza e il tormento della ragazza, che giunse a pensare persino di aver letto male il fascicolo.
No, non era possibile. Il nome del progetto era proprio Rainiel. Aveva sfogliato quelle pagine almeno trenta volte, sotto lo sguardo di Jadin.
Rainiel. Progetto Rainiel. Oppure...
Sussultò di colpo, facendo cadere un'agenda che rimise subito al suo posto.
«Che succede?» bisbigliò Zack preoccupato, in quanto la vide sfrecciare via verso uno scaffale ben più lontano.
Iniziò a cercare tra i documenti contrassegnati con la lettera "Y", cosa che Zack non comprese. Forse ebbe l'impressione che Rainiel stesse iniziando a perdere la testa.
Questo finché non gli sventolò sotto gli occhi un documento intitolato "Progetto Yoshua".
«...Yoshua?» lesse lui, «E cosa sarebbe?»
«La risposta a tutte le mie domande.»

Iniziarono a leggere il fascicolo, anch'esso costellato da bozzetti di quella strana creatura. Rain si fidava di Zack, motivo per il quale gli spiegò quanto aveva scoperto leggendo quegli appunti la sera precedente. Insieme, poi, si cimentarono in quest'altra ricerca.

I documenti erano piuttosto chiari: migliaia di anni prima, una creatura aliena era caduta sulla terra. Il suo nome era Yoshua e possedeva tracce di DNA Cetra. Alcuni scienziati erano giunti alla conclusione che Yoshua fosse stato evocato dai Cetra stessi prima della loro estinzione, come se si trattasse di un'ultima speranza. Yoshua aveva mostrato di possedere un forte legame con il pianeta, forse ancora più forte del dono dei Cetra, poiché poteva donare la vita all'ecosistema nel quale si trovava. Il suo imprigionamento era divenuto una barriera che limitava tale potere alla gabbia nella quale era contenuto. Yoshua era dunque, molto probabilmente, una creatura non ostile, ma pur sempre un alieno. Forse, se in seguito al ritrovamento all'interno del vulcano fosse stato lasciato in libertà, avrebbe potuto rappresentare a lungo termine una minaccia per la specie umana, considerata superflua in confronto alla natura e al pianeta.. o almeno così presupponeva la Shinra. Le cavie sottoposte all'infusione delle cellule di Yoshua erano morte o si erano tramutati in mostri. Infine, il professor Hojo aveva dato inizio al Progetto Rainiel, ossia un progetto che avrebbe dato vita a un essere umano generato artificialmente in laboratorio dall'unione del DNA umano alle cellule di Yoshua e rinforzato dall'infusione di energia mako sufficiente a sopportare il carico del potere della creatura aliena. In breve, Hojo aveva cercato di dare vita a un mostro con l'innato potere di controllare la natura attorno a sé per sfruttarla a proprio vantaggio. Voleva creare una macchina da guerra in carne e ossa.

Zack era sconvolto, ma Rainiel sapeva già molte di quelle informazioni, anche se nel fascicolo appena trovato vi erano decisamente più dettagli. Mentre l'amico realizzava il tutto, lei tornò a cercare in mezzo a tutti quegli scaffali un documento che riguardasse il Progetto Rainiel in particolare, ma senza fortuna.

«Abbiamo circa dieci minuti a disposizione... forse dovremmo andar via?» propose Zack.
«Non finché non lo avrò trovato!» quasi urlò lei, con gli occhi lucidi, «Lo hai letto anche tu, no? Il Progetto Rainiel prevedeva la creazione di un essere umano... un mostro dal corpo umano...»
«Ma non abbiamo trovato nessuna informazione nel dettaglio riguardo quel progetto. Forse qui non c'è nulla...»
Quella sua frase fece accendere una lampadina nella testa della ragazza.
«Esatto. Qui... non c'è nulla. Pensaci bene: chi era a capo del progetto?»
«Il... Professor Hojo?»
«Esatto.»
«Oh... uhm... quindi vuoi davvero introdurti nel suo ufficio?»
«Fosse per me m'intrufolerei direttamente nel laboratorio, ma non possiamo rischiare così tanto. La sicurezza sarà massima, mentre l'ufficio contiene solo alcuni fascicoli e noi abbiamo la chiave. Dobbiamo andarci subito.»
Benché l'idea sembrasse tanto precipitosa, non sarebbe stato il giovane soldato dai capelli corvini e i grandi occhi blu a impedire a Rainiel di scoprire di più riguardo le sue origini. Al contrario, la accompagnò fedelmente sino all'ufficio di Hojo, anch'esso un luogo dall'aria angusta.
Entrarono in tutto silenzio e la ricerca durò pochi minuti. Sembrava quasi che il documento riguardo il progetto avesse attirato Rainiel a sé, perché infatti fu proprio lei a trovarlo. Progetto Yoshua R. Il Progetto Rainiel.
«Ci siamo...» esclamò Zack, attendendo che fosse lei ad aprirlo. «Sei... sei davvero pronta, Rain?»
«Per niente.» gli rispose, «Ma non ho altra scelta. È fin troppo importante per me.»
Dunque iniziò a leggere.

Gli appunti erano stati scritti da Hojo in persona. Riguardavano le varie fasi dell'esperimento, anche se non vi erano dettagli a proposito dell'identità della persona che aveva offerto il suo DNA per la generazione dell'essere umano che portava proprio quel nome.
L'embrione era stato prodotto in laboratorio, attraverso una serie di fasi scientifiche che Rain non comprese bene. In ogni caso non vi era stato l'intervento di nessun genitore, era tutto un processo artificiale. Il feto aveva quindi iniziato a svilupparsi in un liquido chimico dedito alla sua crescita, proprio come se fosse stato il ventre di una madre. Prima ancora che si formasse il bambino, al suo interno erano stati infusi l'energia mako e, pochi giorni dopo, le cellule di Yoshua. Per la prima volta l'esperimento aveva avuto successo: l'embrione riuscì a supportare le cellule e quasi parve nutrirsene. Per meglio dire, le assimilò, portando lo scienziato a sperare che avesse anche acquisito le abilità della creatura aliena. La gestazione era durata, come da programma, ben nove mesi, al termine dei quali, nel mese di agosto, il bambino era stato estratto dal macchinario e definito ufficialmente come una creatura umana. I registri lo identificavano come una femmina, i cui occhi mostravano già i primi sentori di un mutamento dovuto alla mako.

Rain strinse la mano di Zack non appena lesse quelle caratteristiche, che sembravano descriverla alla perfezione.

Nei primi giorni di vita, la bambina era stata sottoposta a molti altri esperimenti che miravano a testare la sua resistenza fisica e la sua salute. Come immaginato, la piccola superò tutte le fasi della sperimentazione e sopravvisse. Infine, pochi mesi dopo, Hojo scelse di farle incontrare un cosiddetto soggetto S.

«Soggetto S?» domandò il ragazzo.
Rainiel scosse la testa. Non aveva idea di chi o cosa fosse.

L'idea di Hojo era quella di verificare la compatibilità dei due soggetti prodotti in laboratorio e le cui origini venivano indicate come differenti. A quanto sembrava, i due erano stati generati con un simile proposito ma avevano raggiunto risultati ben diversi.
Tra gli interessi di Hojo rientrava quello di spingere i due soggetti, creati appositamente di genere opposto, a generare anni più tardi una creatura che incarnasse le caratteristiche migliori di entrambi, ossia un essere umano che riunisse in sé i migliori pregi di entrambi i genitori, divenendo il mostro perfetto.
L'unione delle loro cellule, però, non era andata a buon fine: esso aveva generato una solida sfera all'apparenza magica ma che, al tocco, si era sgretolata. Il test era stato ripetuto più volte, con lo stesso risultato.
Infine, la bambina era stata tenuta sotto controllo per una durata di ben due anni. Non aveva però manifestato nessuna caratteristica che potesse ricondurre ai Cetra, né che la rendesse simile al soggetto S. Venne riscontrata solo un'incapacità di degradazione in confronto alle cellule di Yoshua e una prestanza fisica superiore alla media.
La bambina, che aveva quindi assunto il nome di Rainiel, era stata messa da parte. Ulteriori esperimenti sulla creatura conosciuta come Yoshua furono severamente proibiti.
Infine, Hojo decise di osservare le capacità della bambina a lungo andare, e di farla crescere liberamente in maniera tale che testasse le sue capacità in un mondo ben più ampio di quel semplice laboratorio. A poco più di due anni di nascita, la bambina fu data in adozione...

«... a una famiglia della cittadina di Darefall, i Chanstor.»
Rain terminò di leggere senza mostrare più alcuna emozione.
Zack le strappò il fascicolo di mano, incredulo. Lesse di nuovo ad alta voce le stesse, ultime righe. Non v'erano dubbi: quelli erano senz'altro il nome della città natale e della famiglia di Rainiel. O almeno... tutti pensavano che lo fossero.
Rimise a posto il dossier, comprendendo di aver rivelato una verità pericolosa, soprattutto per la sua amica. Poco dopo le si avvicinò e provò a dire qualcosa.
Rain sembrava un fantasma. Era pallida in volto, aveva le labbra dischiuse e gli occhi persi nel vuoto.
«Io...» cercò le parole esatte, «Io non ho mai avuto una famiglia. Discendo solo da una creatura non identificata. Discendo da una creatura aliena.» realizzò, «Sono... un mostro.»
Zack non perse altro tempo. La abbracciò con forza, stringendola a sé.
«Non osare dire una cosa del genere!» le ordinò, «Non sei un mostro! Il professor Hojo lo è! Ti ha fatto delle cose orribili!»
Cose di cui lei non aveva neppure memoria.
Era stata creata per essere perfetta: potente, con un dono sovrannaturale. Quando aveva mostrato i primi sentori di un fallimento, era diventata un semplice mezzo di riproduzione: lei e questo fantomatico soggetto S avrebbero dovuto generare un figlio che incarnasse il potere Cetra, giusto perché Hojo era divertito dall'idea di scoprire cosa sarebbe accaduto in tal caso. Infine, quando le sue cellule non si erano dimostrate compatibili a quelle dell'altro soggetto e quando non aveva realizzato l'ultima speranza dello scienziato, era stata mandata via. Non aveva mai presentato quei poteri che sperava, ecco perché Hojo si limitava a fissarla da lontano, senza mai avvicinarsi troppo a lei. La osservava, forse con ancora un po' di speranza. Ma sapeva di aver fallito con lei, lo aveva scoperto dopo qualche anno dalla sua nascita.
«Voglio andare via di qui.» chiese allora lei, bisbigliando da sopra la spalla dell'amico.
«Ottimo. Andiamocene. Forse venire qua è stato un errore.»
Prima di andare via, Rainiel notò un piccolo quadernino chiuso sulla scrivania di Hojo. Il suo diario. Davvero lo aveva notato per caso?
Avrebbe dovuto leggerlo, forse. Ma non lo fece. Era stanca. Era così stanca di tutto.
Era stanca perché i suoi presentimenti si erano rivelati fondati. I suoi genitori le avevano mentito per tutta una vita. Darefall non era il suo luogo di origine... quello era il sotterraneo del palazzo Shinra, il laboratorio di uno scienziato pazzo che l'aveva condannata a essere la progenie di un mostro.
Se ne andò senza toccarlo. Tutto era tornato al suo posto: fascicoli, chiavi, fogli di ogni tipo. Ma nel cuore di Rainiel qualcosa era cambiato e sarebbe stato difficile sistemarlo.

Al piano di sopra, le cure procedevano tranquillamente.
Zack riuscì a trovare una piccola pozione curativa che gli era stata consegnata dalla Shinra, e la porse a Cloud, il quale la prese e la stappò sovrappensiero, nonché molto disorientato.
«È impossibile... non può essere stato Sephiroth a causare quell'incendio!» esclamò terrorizzato. Il Generale era stato il suo idolo, colui che lo aveva spinto ad arruolarsi nella Shinra, come era capitato a Rainiel. I suoi ideali crollarono in un istante, e la sua espressione si fece più tesa e triste che mai.
«Bevi.» disse premurosamente Zack, prima di sedersi sul letto di fronte a quello su cui aveva preso posto l'amico, lasciandosi cadere sul materasso con un sospiro. «Fidati... al tuo posto non ci crederei neanch'io.» continuò dopo, massaggiandosi le tempie.
Avrebbe tanto voluto che le cose fossero più semplici di così. Lavorare per SOLDIER, allenarsi in palestra e fare visita alla sua Aerith nei bassifondi ogni volta che gli era possibile, per accompagnarla a vendere quei suoi adorati fiori lungo le strade del Settore 5. Invece, però, era come al solito lontano da casa e coinvolto in una storia ingarbugliata e pericolosa. Sperava davvero che si trattasse solo di un brutto sogno.
«Ma... lui è un eroe... non è vero?» Cloud bevve e strinse l'ampolla al petto, gli occhi persi in un punto indefinito della stanza. Credere a quella versione dei fatti era difficile. «Vuoi dire che è per questo che tu e Rain siete stati ridotti a quel modo? Ed è per questo motivo che Sephiroth è scomparso all'improvviso?»
«A dirla così potrebbe sembrare riduttivo, ma... sì, a grandi linee è così.» Zack stirò i muscoli della schiena, desideroso solo di un bagno caldo e di una lunga dormita.
«E dunque... Rainiel e Sephiroth sono...?»
«Prodotti di un esperimento.» la fece breve l'altro ragazzo, «Motivo in più per stare alla larga da Hojo. E anche da SOLDIER.»
Cloud calò la testa. Tempo prima aveva fatto una promessa a qualcuno di molto importante per lui, dicendo che sarebbe tornato a casa da SOLDIER, e non più come l'emarginato di sempre. Probabilmente il suo era solo un sogno destinato a sprofondare.
«Ma non sono nostri nemici, non è vero?» provò ancora a domandare, speranzoso di ottenere la risposta a cui aveva pensato.
Zack sollevò un sopracciglio.
«Rain non sarà mai nostra nemica. È la persona più buona che conosca, fidati.» ridacchiò, prima di tornare più serio, «Ma per quanto riguarda Sephiroth... ho visto di cosa è capace. È un uomo confuso e letale, e quando siamo stati costretti ad affrontarlo era assolutamente fuori di testa. Ammetto di credere che sia cambiato, però...» dovette dargliene atto, «Oggi ha salvato entrambi, ma avrebbe potuto lasciarci morire o comunque ucciderci tutti. Perché difenderci, se volesse ancora eliminarci? Sembra che si sia davvero pentito delle sue azioni.» spiegò infine.
Cloud provò a parlare, ma un tonfo attirò l'attenzione di entrambi. Dal piano di sotto si sentirono arrivare rumori preoccupanti. Una parete tremò, segno che qualcosa l'aveva colpita.
Il ragazzo biondo scattò in piedi, cosa che non fece molto piacere al suo ginocchio, che infatti si piegò per una fitta improvvisa.
Zack, invece, tese solo i muscoli.
«Rain...! Dobbiamo andare a...!»
«Siediti, Cloud.» lo rassicurò Zack.
Aveva un sesto senso, per quanto riguardava la sua amica. Sapeva sempre quando era in pericolo e quando invece la situazione fosse gestibile o persino a suo favore. Inoltre, era stata cristallina nello spiegarsi: Sephiroth non le avrebbe fatto del male. Se al piano sottostante vi era un po' di confusione, sicuramente era a causa della ragazza che si era decisa a sfogarsi e non del Generale, che se avesse voluto ucciderla non si sarebbe fatto problemi a farlo davanti a tutti, piuttosto che attendere di confrontarla da solo.
«Ma... Rainiel...!»
«Sta solo risolvendo una faccenda.» Zack sfoderò persino un furbo sogghigno, «Fidati di lei. Più tardi potrai contare i lividi di Sephiroth in tutta calma.» scherzò.
Cloud fece come chiesto, anche se non del tutto persuaso da quella consolazione. Probabilmente era davvero quello il modo di risolvere le cose fra SOLDIER di prima classe.

Al piano inferiore, invece, la discussione procedeva più animata che mai. Sephiroth aveva bloccato Rainiel contro una parete, solo perché sarebbe stato più comodo parlare senza rischiare di essere tagliuzzato dalla sua Aikuchi.
«Dovrei ascoltarti? Allora puoi davvero giustificarti per ciò che hai fatto?» accusò Rainiel, di nuovo cercando di liberarsi dalla stretta che una sua singola mano esercitava su entrambi i propri polsi, ma non funzionò.
«No.» fu diretto e sincero lui, «Non penso di poter giustificare le mie azioni in alcun modo. Non l'aver cercato di uccidere te e Zack.»
«Quindi vuoi spiegarmi perché non hai portato a termine l'opera, giusto?» dedusse lei, «Io... io non dovrei nemmeno starti a sentire, in realtà. Una volta ero io quella intenzionata a giustificarsi... e non hai fatto che mandarmi via. Hai rifiutato l'aiuto che volevo offrirti.»
«Lo ricordo.» replicò Sephiroth.
Gli archivi, il loro dibattito. Lui aveva detto di non avere nessuno a cui teneva realmente, dicendo in breve che, per lui, Rain non contava nulla. A ripensarci adesso, si sentiva tremendamente sciocco ad aver detto qualcosa di simile. Tutto nella sua vita, oramai, girava attorno a Rainiel.
«Ma so che tu non manderai via me. Perché non sei come me.» spiegò.
Rainiel spalancò gli occhi, puntandoli sui suoi che, stranamente, sembravano tristi.
Sephiroth aveva in poche parole detto... che riteneva lei migliore di se stesso. Non era un livello al quale si sarebbe abbassato tanto facilmente, data la sua arroganza e il suo orgoglio, ma lo aveva fatto solo per lei. Questo, un po', la rassicurò... e le fece molto piacere.
Non pensava che avrebbe mai rivisto il Sephiroth premuroso che si era preso cura di lei nei tempi più bui. Non dopo aver conosciuto il Sephiroth spietato e vendicativo che l'aveva portata a un passo dalla morte.
Calò le palpebre sugli occhi ancora lucidi, rilassando il corpo.
«... Ti ascolto.» concesse allora, arrendendosi. Ad ogni modo, voleva farlo davvero. Solo... non voleva farglielo capire.  Anche lei, purtroppo, peccava d'orgoglio.
Quando pronunciò quelle parole, sentì la stretta attorno ai suoi polsi disciogliersi. Sephiroth lasciò andare le sue mani, su cui posò lo sguardo mentre rifletteva.
Dopodiché, iniziò a parlare.
«Ho appreso molto sul Progetto Jenova, durante la settimana trascorsa nell'archivio. Il professor Gast, l'uomo che mi ha cresciuto, anni fa descrisse Jenova come una creatura Cetra. Lui fu l'unica persona a prendersi realmente cura di me, quando ero ancora un bambino. Ero molto legato a lui. Credevo di potermi fidare delle sue parole... e così mi sono convinto di essere davvero il prescelto del pianeta. Colui che avrebbe portato giustizia per la morte del suo popolo... tutto aveva un senso e un significato ben preciso nella mia mente. Forse ero nato esattamente per questa ragione.»
I suoi denti si strinsero, le dita della mano destra, ancora contro la parete, si serrarono graffiando il legno nonostante i guanti.
«Ho odiato tutto. La Shinra, gli umani, me stesso... eternamente in conflitto. Ero un mostro, o un prezioso erede? Non volendo accettare la prima opzione, mi rifugiai nella seconda. E per vendicare mia madre, dovevo iniziare distruggendo coloro che l'avevano intrappolata.»
Rainiel, la schiena ancora premuta contro il muro, si sentì più scossa che mai, ma iniziò a comprendere cosa avesse davvero portato Sephiroth a lasciarsi guidare dalla follia piuttosto che dalla razionalità. In effetti, vivere nella convinzione di essere una creatura superiore alle altre sarebbe stato decisamente più facile.
«... La Shinra.» comprese ciò che voleva dire, osservandolo annuire una sola volta.
«Ero così furioso che desideravo solo sfogare la mia ira su chiunque e su qualsiasi cosa. Così accecato dal mio stesso odio... che mi sono ritorto contro te e Zack.»
I ricordi di ciò che aveva fatto resero i suoi occhi chiari più opachi, un'espressione sperduta sul suo viso. Era in momenti come quello che Rainiel si accorgeva di quanto il grande e potente Sephiroth fosse, in realtà, fragile. Più di qualsiasi persona conoscesse. La sua mente vacillava, come il suo cuore. Spezzato da una realtà che non gli apparteneva più, dal mistero che lo avvolgeva. Non sapeva più chi fosse lui davvero.
«Ed è solo quando ho capito di averti ferita... quando ho davvero temuto di averti ormai uccisa...» faticò poi a continuare, non perché non trovasse le parole adatte o fosse in soggezione, ma perché la sola memoria delle sue azioni gli stava dando la nausea, «... ho compreso cosa stessi facendo. Stavo sbagliando tutto. Avevo inconsapevolmente scelto di sacrificare tutto ciò che avevo per una menzogna alla quale ho creduto. Jenova non è neppure un Cetra. È una creatura aliena, nulla di più. E per lei stavo distruggendo tutto ciò che di più caro mi restava.»
Quando sollevò gli occhi sui suoi, Rainiel capì.
Si stava riferendo a lei. Era lei l'ultima cosa rimasta a Sephiroth, che nella sua vita non aveva avuto poi molto. Ricchezza, fama, gloria... niente di tutto ciò lo soddisfaceva. Non era ciò di cui aveva bisogno, perché si sentiva più solo che mai. I suoi amici lo avevano aiutato, per poi tradirlo, e per questo faticava a fidarsi delle persone. Rainiel, però, era diversa. Lei era speciale. Erano due facce di una stessa moneta.
«Non sono tornato perché temevo che fossi morta.» rivelò allora, senza vergogna, ma con molto odio. Odio per se stesso. Probabilmente si considerava un codardo. Ironico, per il SOLDIER più coraggioso di sempre.
«Perché non sarei stato in grado di continuare a vivere, sapendo di averti uccisa con le mie stesse mani. Non tu... non colei che mi ha insegnato che diventare un mostro è una scelta, non un obbligo.»
Rain schiuse le labbra, incuriosita e stupita da quanto aveva ascoltato. In realtà, era stato lui il primo a dirle tutto ciò, quando era lei a odiare se stessa. Evidentemente non aveva recepito il suo stesso insegnamento e, ironia della sorte, era stata l'allieva a tramandarlo al suo mentore. In un certo senso, si erano salvati a vicenda.
«Per cui... dirlo è davvero una banalità, e sei persino libera di non credermi... ma quando ti ho rivista, quando ho capito che eri sopravvissuta...»
Per un attimo, Rainiel notò le sue labbra curvarsi in un calmo sorriso, uno che davvero esprimeva felicità.
«... non puoi neanche immaginare quanto io mi sia sentito sollevato. Anche se non basterà mai a colmare il mio senso di colpa, anche se non mi perdonerò mai per ciò che ho fatto. E anche se non mi perdonerai neanche tu. Voglio solo che tu sappia che sono felice che tu sia qui, anche se nei miei confronti provi solo odio.»
Sephiroth non aveva mai parlato così a nessuno e in nessun contesto. Non era neppure un amante dei lunghi discorsi, essendo un uomo pragmatico e che preferiva i fatti alle parole. In quel momento, però, stava davvero aprendo il suo cuore alla ragazza di fronte a sé. Probabilmente aveva preparato quel discorso per giorni e giorni, speranzoso di rivederla, o forse quelle parole nacquero sul momento.
Ad ogni modo Rainiel poteva sentire la sua schiena irrigidirsi, poté percepire l'odio e la gioia amalgamarsi in lui, la luce e le tenebre scuotere la sua anima che lottava disperatamente per non annegare nell'oscurità. E quando Rain era con lui, per qualche ragione, tornare a galla in quel mare scuro di rancore e dubbi era molto più facile.
«Tu sei l'unico motivo, Rainiel.» concluse, non avendo altro da aggiungere, «L'unico motivo per il quale non mi sono lasciato andare a tutto quell'odio.»
Rainiel ascoltò attonita. Ogni parola da lui pronunciata la lasciò senza fiato. Anche il solo parlare con lui, dopo tutto quel tempo trascorso a convincersi che non l'avrebbe più rivisto, era come un sogno. Pensava davvero che non fosse tornato, che non l'avrebbe mai fatto, perché davvero non gli importava niente di lei. Pensava di essere solo una delle tante persone della sua vita, o persino una di quelle che lo avevano tradito. Pensava a mille cose, migliaia e migliaia di problemi...
...che Sephiroth aveva appena eliminato con poche, semplici parole. Parole sincere che ebbero su di lei un effetto straordinario.
Lei era l'unico motivo. Per il quale continuava a lottare, e per il quale non era tornato a Midgar dopo la sua fuga. Perché era, in realtà, la cosa più importante per lui.
E questa consapevolezza portò alla luce tutta la malinconia del suo cuore, ogni singola emozione che aveva cercato di scacciare. Aveva sentito la sua mancanza, aveva percepito il desiderio di averlo accanto, di stringerlo, di affrontare tutto quello che stava accadendo, insieme.
Avrebbe anche voluto rispondergli, ma nessuna parola sarebbe stata abbastanza efficace. Così fece l'unica cosa che le passò per la mente in quel momento, l'unica che forse avrebbe spiegato molte più cose di quante sarebbe riuscita a dirne.
Sollevò le mani, afferrò il colletto della sua lunga giacca, e tirò Sephiroth a sé. Alle sue labbra.
Ancora schiacciata contro quella fredda parete, lo baciò con foga e disperazione, ricordando quanto tempo fosse passato dall'ultima volta che lo aveva stretto a sé a quel modo. All'improvviso, i problemi che la tormentavano sembrarono molto più piccoli.
Sephiroth fu inizialmente sorpreso da quella sua iniziativa. Non si aspettava affatto che reagisse così, non dopo aver cercato di dargli una lezione a suon di Aikuchi. Pensava che Rainiel lo odiasse con tutta se stessa, che lo avrebbe colpito con uno schiaffo e poi allontanato. Gli sarebbe andato bene comunque, perché ciò che importava davvero per lui era che lei stesse bene e fosse viva. Ma quello... no, non se lo aspettava proprio. Ma non gli dispiacque affatto.
Chiuse gli occhi lentamente, lasciandosi andare. Quel bacio non aveva nulla a che vedere con il primo, scambiato nel corridoio del palazzo Shinra. Questo era molto più passionale, più triste e bisognoso. Una carica d'emozioni investì entrambi con la forza di un uragano.
Rainiel non lasciò andare i lembi della sua giacca, come spaventata dall'idea che sarebbe scomparso di nuovo, e apprezzò più che mai il braccio che le cinse la via, e i muscoli dell'altro, appoggiato al muro, che si irrigidivano mentre lei si abbandonava a quella sensazione.
Per un paio di secondi, cessò di esistere ogni progetto scientifico, ogni creatura di mako, ogni minima fiamma dell'incendio che li aveva divisi.
Per un paio di secondi... al mondo rimasero solo loro due.

«Maledizione.»
Sephiroth non imprecava quasi mai, era abituato ad affrontare ogni situazione con calma e razionalità, ma non gli venne in mente parola più adatta quando vide Rainiel sgattaiolare via dal nascondiglio del gruppo, per rivelare la sua presenza a quegli stessi nemici che cercavano di spiare.
Zack, a sua volta, si colpì la fronte mentre Cloud aggrottava preoccupato le sopracciglia.
"Quella donna un giorno sarà la mia rovina." pensò il Generale, indurendo lo sguardo. Lo sarebbe stata davvero, se avesse continuato ad agire testardamente come al solito. E ovviamente lui non l'avrebbe mai abbandonata al destino e alle sue folli idee per nulla ragionate. Nulla a cui non fosse già abituato, d'altronde...
Con un profondo sospiro, strinse l'elsa della Masamune, piegata verso l'alto, e corse al fianco di Rainiel, sollevandola accanto al proprio viso con una mano sull'elsa e una davanti alla lama, pronto anch'egli ad attaccare.
«Avresti almeno potuto avvisarmi.» mormorò sottovoce alla compagna di squadra, senza guardarla direttamente.
«Avresti cercato di fermarmi.» si giustificò lei.
«Assolutamente corretto.»
Naturalmente, anche Cloud e Zack si mostrarono, preparandosi al combattimento con le loro armi in pugno.
Hojo era fermo di fronte a loro, a capo di un piccolo gruppo di soldati. Alcuni di loro erano fanti o SOLDIER di terza classe, ma nessuno di essi sembrò reagire alla loro comparsa, come se non avessero una volontà propria.
Lo scienziato allargò le mani e li accolse con una breve risata.
«Ah ah! Ma che piacevole sorpresa! Sempre che di sorpresa si possa parlare...»
I suoi occhi avidi squadrano da capo a piedi tutti e quattro i presenti, uno dopo l'altro, ma era chiaro che fosse particolarmente interessato a due di loro.
«Però, che squadra interessante. I miei soggetti preferiti... ho sentito che avete legato molto, negli ultimi tempi. Prima che uno di voi bruciasse da cima a fondo gli archivi scientifici, intendo.» commentò, infimo proprio come entrambi lo ricordavano.
Le espressioni di Rain e Sephiroth si spiegarono da sole. Con quella frase aveva rivelato molto, con poche parole. A quanto sembrava li aveva spiati, sapeva tutto ciò che riguardava la realtà - il che non era una novità, dato che proprio lui si trovava all'origine di ogni cosa, ma il problema era capire come facesse a sapere tutto - anche a proposito dell'incendio della torre Shinra, e poi... sembrava così contento di vederli insieme. Non era un segreto che i suoi esperimenti fossero per lui una vera e propria ossessione: veder diventare tanto intimi i suoi due migliori risultati probabilmente era come un'utopia divenuta realtà.
Inoltre, Sephiroth non parve contento di sentirsi ripetere quel che aveva fatto in un periodo di assoluta follia. Che lo avesse detto per instillare il dubbio nei suoi compagni?
«Generale... è un piacere reincontrarsi. Quasi commovente, a dir la verità... era da anni che non parlavamo faccia a faccia. Hai finito di nasconderti nell'Oasi?» dichiarò l'anziano, direttamente a lui.
Sephiroth non cambiò espressione. Era freddo e pacato come sempre. Non si sarebbe infuriato per qualche insulsa provocazione. Neanche se da parte sua.
«Adesso hai davvero deciso di disertare e tradire la Shinra e SOLDIER? Mi aspettavo un comportamento più professionale, da te.» continuò a dire proprio a lui.
Rainiel notò che Hojo non si riferiva a lui in maniera formale, come invece faceva con altri. Come se lo conoscesse bene. Il pensiero che stesse dicendo delle cose simili al suo stesso figlio... non poteva nemmeno descrivere come si sentì in quel momento. Sephiroth aveva fatto del male, certo, ma non meritava un padre del genere.
«Vede, professore, dal mio punto di vista è la Shinra ad aver tradito me. Ho scoperto molto, in quegli archivi che tanto le stavano a cuore.» spiegò con calma l'altro, scandendo ogni parola con meticolosità. «Mi dica,» sibilò un attimo dopo, «per quale motivo non dovrei ucciderla all'istante?»
Rainiel tornò a osservare Sephiroth, allarmata dal suo tono di voce. Come temeva... i suoi occhi erano di nuovo gelidi, rancorosi, congelati in una rabbia unica nel suo genere, la rabbia di chi sa di avere davanti l'artefice di ogni propria miseria. Aveva già visto uno sguardo simile, anche se non così intenso, quando lui l'aveva difesa da un uomo che aveva osato metterle le mani addosso per farle del male... e, purtroppo, anche quando lei stessa si era ritrovata nel cupo abbraccio della morte a causa sua, la Masamune che la teneva sollevata su lingue di fuoco che le bruciavano le gambe.
Sephiroth stava sprofondando di nuovo nel vortice vizioso dal quale con difficoltà era riuscito ad emergere. Quello dell'odio come unica motivazione della sua intera vita.
«Per un solo e semplice motivo, ragazzo mio.» Hojo si massaggiò il mento. Sembrava tranquillo quanto lui, come se tutto ciò fosse naturale. Non lo disturbava l'avere davanti quattro soldati ben addestrati e pronti a fargli pagare ogni torto commesso.
Le guardie ai suoi fianchi impugnarono i fucili o le spade che avevano con sé. Ve ne erano quattro in totale, due a ogni lato. Non avevano avuto bisogno di alcun ordine verbale, come se sapessero già cosa passasse per la mente dello scienziato.
«La Riunione non si è ancora conclusa.» sogghignò quest'ultimo. «E purtroppo non posso proprio permettervi di interferire con i miei piani. Finora avete fatto tutto ciò che mi aspettavo da voi, perché rovinare tutto proprio adesso?» continuò, con un tono di voce simile a quello di chi sa di star parlando con un bambino.
«Tu e Rainiel... siete i pezzi più importanti del grande puzzle che cerco di comporre da anni. La mia teoria si sta provando corretta, passo dopo passo. Siete una vera rivoluzione per la scienza.» esclamò, carico d'emozione.
Rain storse il naso, disgustata. Quella sua espressione le ricordò di colpo una delle sue visioni: lei si trovava all'interno di una capsula da laboratorio, e lui la osservava con quel suo sguardo e quelle maniere viscide di sempre. Il solo pensiero le dava la nausea.
E lo stesso era per Sephiroth. Essere unico nel suo genere non significava che potesse trattarlo o considerarlo un esperimento. Doveva essere più del semplice mostro, della macchina da guerra da lui progettata.
«La sua scienza termina qui, professore.» minacciò infatti colui che un tempo era stato un eroe, e in seguito era ricaduto nella malvagità, nella quale ancora a tratti annaspava.
«Temo proprio di no, invece.» sorrise lui, «La mia scienza è e sarà per sempre immortale. Non posso permettere che vi intromettiate proprio adesso che siamo tanto vicini al gran finale.»
In tutta calma, Hojo diede loro le spalle e camminò verso l'elicottero.
«Avanti,» disse alle sue guardie, «Tenete occupati i miei soggetti. Uccidete gli altri. Non possiamo permetterci imperfezioni.»
Uno dei soldati impugnò un fucile e mirò a Rainiel, ma ben presto si ritrovò un fiume di sangue tra le labbra e l'arma gli cadde di mano. Tra le sue scapole spuntava la lunga lama scura della Masamune, dalla quale grondavano gocce rosse. La punta, che aveva trafitto il malcapitato, aveva quasi raggiunto il viso del professore alle sue spalle.
Sephiroth, spada in pugno, era scattato in avanti per eliminare la prima guardia. Il suo sguardo impietoso era fisso su Hojo, privo di alcuna emozione. La sua era una solenne dichiarazione di guerra.
Rain osservò tutta la scena, sbigottita come gli altri, e un grido muto le nacque e morì in gola.
"Lo ha ucciso!" realizzò. "Sapeva almeno che sono obbligati a rispettare la sua volontà? Lo avrebbe ucciso comunque, se fosse stato un soldato comune?"
Purtroppo non seppe darsi una risposta.
Hojo increspò le labbra, vagamente sorpreso.
«Immagino ci sia bisogno anche di te, Soggetto En.» chiamò senza ancora fuggire.
Dietro di lui v'era l'elicottero che cercava di raggiungere. Da esso uscì un omone persino più alto di Sephiroth, il che significava all'incirca due metri, e dalle spalle larghe e le braccia gonfie. Anche i suoi occhi sembravano spenti e brillavano solo di una tenue luce fredda.
«Come potrete notare, "En" sta per "Enhanced". Questo ragazzo era un SOLDIER di terza classe come qualsiasi altro, ma mi è bastato sottoporlo a una minima quantità delle cellule di Yoshua e di mako per creare un soldato temporaneamente imbattibile.» si pavoneggiò senza rendersi conto della crudeltà delle sue parole. «Divertitevi pure, e non temete: non mi dispiace vedere i miei giocattoli rompersi, e comunque morirebbero lo stesso. Le cellule aliene in loro hanno attivato un processo di degradazione.»
Era chiaro che nessuno dei presenti potesse più sopportarlo. Aveva letteralmente condannato a morte dei ragazzi qualunque, ragazzi che probabilmente avevano una famiglia e dei sogni, delle speranze e delle ambizioni. La loro vita si era conclusa nell'attimo stesso in cui Hojo aveva messo mano su di loro.
Rainiel non poteva più reggere l'idea che lo scienziato continuasse a comportarsi così. Aveva causato fin troppo dolore. Forse Sephiroth aveva ragione: dovevano ucciderlo lì e subito.
L'interessato se ne andò sul proprio elicottero, le eliche iniziarono a girare sempre più velocemente. Stava scappando.
Il soggetto En si parò di fronte a Sephiroth, affatto intimorito, quando lui ritirò l'arma e il soldato eliminato cadde a terra senza vita.
Li attendeva un'altra battaglia, ma questa volta non avrebbero dovuto affrontare delle comuni belve di mako. Quelli davanti a loro erano esseri umani la cui vita era stata stravolta dal gioco di un folle. Questo avrebbero reso le cose più difficili.

Rainiel teneva gli occhi chiusi. Sentiva le lacrime implorare di essere versate, inutilmente. Che senso aveva piangere in un momento simile? Non avrebbe risolto proprio nulla.
Il suo corpo le parve incredibilmente più leggero, quasi senza peso, come se fosse sospesa in aria anziché in balia del vuoto e della gravità. Le restavano pochi attimi di vita, una vita che aveva sacrificato per salvare quella di un amico. Era lieta di essere giunta in fin di vita come l'eroina che aveva sempre desiderato essere, ma non si sarebbe aspettata che finisse tutto così. Aveva ancora così tante questioni irrisolte che lasciare quel mondo in tal modo e in un simile momento le parve una vera sconfitta, benché significasse ricongiungersi nel lifestream con i suoi genitori.
Poi, l'istinto le suggerì di aprire gli occhi. Qualcosa aveva oscurato il sole alto in cielo che bruciava su di lei e questo la incuriosì. Così, quando separò le palpebre e guardò boccheggiante verso l'alto, il suo cuore saltò un battito.
Sephiroth era su di lei, la guardava determinato e sembrava farsi sempre più vicino. Le sue labbra si mossero come a dire qualcosa, ma il rumore del vento non le permise di comprendere cosa dicesse.
Si era gettato per salvarla.
Che lo stesse solo immaginando? Che quella fosse semplicemente una visione dovuta al panico precedente alla morte?
Non le dispiaceva morire nei suoi occhi. Era la seconda volta che rischiava la vita e, all'ultimo momento, si ritrovava a guardare il suo viso. La prima volta Sephiroth stava cercando di ucciderla, adesso di salvarle la vita. Impossibile pensare che non fosse poi passato molto tempo, tra i due episodi, ma tutto aveva perfettamente senso per lei che conosceva la verità e comprendeva i meccanismi della mente e dello spirito del suo mentore.
Provò a ripercorrere la loro storia rapidamente, con la memoria, come se un filmato fosse stato proiettato davanti ai suoi occhi.
Non ricordava che Sephiroth era solo un bambino quando l'aveva tenuta in braccio all'interno di un freddo laboratorio, avvolta in una coperta. Era convinta che il loro primo incontro si fosse verificato molti anni dopo, alla torre Shinra, quando lui l'aveva nominata SOLDIER di terza classe e assegnata a Genesis come sua allieva. Per altri anni, a stento erano riusciti a incrociarsi per puro caso. Dopodiché, lui l'aveva salvata - e questo solo qualche mese prima - da una delle Copie-R che stava affrontando. Le aveva chiesto di diventare sua allieva, poiché sorpreso dalle sue capacità e dalla sua dedizione, e da quel momento avevano trascorso moltissimo tempo insieme. Erano sempre stati uniti, nei momenti migliori e soprattutto in quelli peggiori. Rain aveva trovato rifugio tra le sue braccia dopo essere fuggita di casa a Darefall, e anche quando aveva scoperto di aver perso entrambi i genitori. Sephiroth era stato lì per lei quando Rain voleva solamente dimenticare tutto e lasciarsi andare lentamente al suo destino. E poi... qualcosa era cambiato.
Tutto quel tempo, tutti i loro discorsi, tutto ciò che era accaduto fra loro... aveva lasciato che scattasse qualcosa fra loro che non avrebbe saputo spiegare a parole.
Una vicinanza improvvisa, lo sfiorarsi per caso, il tenersi per mano, il loro primo bacio... se Rainiel avesse potuto vivere più a lungo, non avrebbe mai dimenticato nulla di tutto ciò, ne era certa. Significava troppo per lei.
E poi era accaduto il peggio. Segreti, discussioni, fiamme, fumo e sangue. Si ritrovava a un passo dalla morte sulla lama della Masamune, davanti a quegli stessi occhi che ora speravano di raggiungerla in tempo per riuscire a salvarle la vita.
E poi ancora una frase appena sussurrata, il pentimento, l'esilio. Non si erano rivisti per un lungo mese, o forse di più. Rainiel avrebbe dovuto imparare a detestarlo, ma non ci riuscì mai. Continuò a pensare solo ed esclusivamente a lui, a ripromettersi che forse, un giorno, lo avrebbe rivisto.
Quando era accaduto, quel muro che si era costruita davanti aveva ceduto. Non c'era barriera che resistesse dinnanzi a ciò che Rain provava per lui: qualcosa che non avrebbe saputo descrivere a parole, che forse andava ben oltre la semplicità di ciò che si può spiegare. Qualcosa che non aveva mai provato prima per nessun altro.
Così, quando i suoi occhi blu e profondi osservarono quelli verde acqua su di lei, ora più vicini, e mentre il terreno si faceva sempre più vicino e pericoloso, comprese, forse troppo tardi, qualcosa che avrebbe dovuto realizzare sin dal primo momento in cui lo aveva incontrato di nuovo.
"Mi dispiace, Sephiroth." avrebbe voluto dire, ma si limitò a pensarlo. Lui non l'avrebbe udita comunque. "Mi dispiace non avertelo detto prima. Avrei voluto perdonarti. Avrei voluto sistemare le cose, e dirti ciò che provo."
Lentamente, il suo viso si illuminò dell'unico raggio di sole che filtrò alle spalle dell'ex-Generale. I suoi occhi si strinsero, bagnati dalle lacrime, la sua espressione si rilassò. Un docile sorriso nacque sul suo volto, il più sincero che potesse offrirgli. L'ultima cosa che, in effetti, poteva lasciargli di sé.
Tre parole si formarono nella sua mente, nella sua gola, ma non riuscì a pronunciarle. Le tenne per sé, un fuoco in via d'estinzione nel suo petto. Le avrebbe conservate nel profondo del suo cuore, in quel mondo o in un altro. Di questo era certa.
E così, con quel sorriso in volto, si preparò a morire.
Pensava di aver risolto tutto, o comunque una parte di ogni problema, e che tanto bastasse a mettere l'animo di lui e Zack,  o comunque di qualsiasi altra persona avrebbe sofferto la sua scomparsa, in pace. Non aveva fatto i conti con una cosa soltanto...
... Forse lei era pronta a dire addio a quel mondo e alle persone che la circondavano, ma Sephiroth no. Non era pronto a lasciarla morire. Non in quel momento, non dopo tutto quello che avevano affrontato insieme. Non poteva permettere che finisse tutto così.
I suoi occhi si infiammarono di una luce nuova, un freddo fuoco tanto audace quanto determinato, e di colpo Rain poté rivedere una speranza.
Piume nere caddero su di lei, fluttuando poi svariati metri più in alto. Il sole fu del tutto obliterato da un'ombra scura e grande, un'elegantissima ala angelica che si spiegò nell'aria, nera come la notte e affilata come se fosse composta da minuscole spade.
L'ala, nata dalla spalla destra di Sephiroth, si piegò rapidamente concedendogli di aumentare la velocità con la quale lui stesso stava cadendo, o meglio, si stava lanciando nel vuoto.
Prima ancora che Rainiel potesse realizzare davvero quanti stava accadendo di fronte ai suoi stessi occhi, e giusto un attimo prima che la sua schiena colpisse il terreno arido a metri e metri di distanza dall'orlo del precipizio dal quale era stata gettata giù, sentì le braccia dell'uomo arrestare la sua caduta cingendole la schiena e poi le gambe.
Senza fiatare, Sephiroth la strinse a sé stringendo gli occhi e concentrandosi per calcolare bene quell'importantissima traiettoria.
Come se fosse stato un colpo di frusta, deviò immediatamente direzione con Rainiel fra le braccia e si servì dello stesso slancio per ammortizzare la velocità risalendo di qualche metro. Chiuse l'ala corvina attorno alla ragazza per proteggerla dal forte vento, mentre lei si stringeva attorno a lui ancora spaventata, e ruotò prima di scendere più lentamente al suolo.
Un grido vittorioso, probabilmente quello di Zack, li raggiunse da un'enorme distanza, proprio dal bordo del dirupo.
Oramai a terra e al sicuro, Sephiroth si abbassò e lasciò andare Rain che, ancora allibita, si lasciò cadere sulle ginocchia e respirò a fondo.
Impiegarono entrambi qualche secondo a riprendersi, senza riuscire a pronunciare una singola parola, senza fiato e incapaci di muoversi.
Poco dopo, Rain elaborò effettivamente l'idea di essere ancora viva per miracolo. E quel miracolo era proprio davanti a lei, un angelo guardiano che la osservava con un'espressione che non riuscì immediatamente a comprendere.
«S...» provò a parlare, testando la sua voce. Aveva la gola secca, come se non bevesse da settimane, ma il suono si formò comunque. «... Sephiroth...»
Fu scossa immediatamente dalle due mani che si posarono sulle sue spalle, obbligandola ad avvicinarsi.
L'uomo davanti a lei prese a guardarla da capo a piedi, ad accertarsi delle sue condizioni mentre l'enorme e singola ala dietro di lui si abbassava sul terreno sollevando polvere. I suoi occhi la ispezionarono con un'accuratezza unica, incapaci di rilassarsi. Solo quando notò che gli unici danni ricavati erano qualche graffio e delle piccole ustioni qui e là dovute all'esplosione del razzo, poté finalmente trovare pace e, addirittura, tirare un lungo sospiro di sollievo.
«Rain...»
Rain pensò di potergli fare qualche domanda, quando però si sentì di nuovo tirare più vicina a lui e, all'improvviso, notò che stava premendo la fronte contro la sua mentre la teneva stretta a sé, gli occhi chiusi e stanchi, i muscoli del corpo più rilassati.
«Non puoi neanche immaginare,» rivelò in un tono di voce basso e graffiante, «quanto io abbia temuto di non aver agito in tempo.»
Il suo sussurro fu lento e calmo, come quello di una persona che si concede finalmente un attimo di riposo dopo un incredibile sforzo. Probabilmente quella era la stessa occasione.
Rain sentì finalmente l'adrenalina scemare per lasciar spazio alla consapevolezza.
Sephiroth le aveva salvato la vita per l'ennesima volta, mettendo a repentaglio persino la sua.
Il giovane mentore dovette mettere da parte il suo orgoglio, quella volta, e lasciar perdere la sua facciata da intrepido ed imperturbabile eroe di guerra per lasciar spazio a un lato della sua personalità che solo a Rain era dato vedere.
Come se fosse la cosa di cui avesse più bisogno in quell'istante, l'abbracciò piegando la schiena per equilibrare l'altezza che li separava, abbandonando la testa su una delle sue spalle mentre si rifiutava di lasciarla andare o di allentare la presa attorno a lei.
«Cerca di non rischiare più la tua vita per un po', d'accordo?» le chiese premurosamente lui.
«È un ordine, Generale?» soffiò scherzosa lei, prima di sollevare le mani sulle sue spalle per ricambiare il suo gesto.
Lo sentì soffiare una tenue risata proprio al suo orecchio.
«Una richiesta.»
«Allora non posso prometterti che ci riuscirò.» replicò lei, altrettanto divertita.
Rimasero così fermi per un po', a ringraziare qualsiasi forza maggiore avesse permesso a Sephiroth di essere abbastanza rapido da salvare la vita di Rain in una situazione tanto critica. Soprattutto, a godere della presenza l'uno dell'altra, che significava più di ogni ricchezza al mondo, più di qualsiasi altra cosa.
Erano ancora lì, insieme.

La riunione per la discussione del piano terminò in serata. Fu organizzato un piano che potesse comprendere ripiegamenti in casi d'emergenza, e furono prese in considerazione tutte le eventualità che sarebbero potute capitare costringendo gli eroi a divergere dall'idea originale. Con la speranza di essere stati abbastanza cauti e di non aver tralasciato nulla, ormai quasi a mezzanotte, Zack scelse di sciogliere la piccola assemblea e di ritirarsi nella sua camera, per controllare le condizioni di Cloud e successivamente concedersi un meritato riposo fino alla mattina seguente. Dopotutto, avrebbero avuto quasi un'altra intera giornata di viaggio e sarebbero giunti a destinazione con il favore delle tenebre.

Mentre il ragazzo più giovane attraversava la porta lasciandosi alle spalle il radar e i due compagni dopo aver augurato loro una buona notte, Sephiroth pensò di imitarlo e, avendo respirato a fondo in quello che sembrava essere uno sbadiglio soppresso - anche i super SOLDIER provavano stanchezza, alla fin fine - parlò un'ultima volta a Rain, che sarebbe rimasta l'ultima nella stanza.

«Buonanotte, allora.» mormorò girando su se stesso e dirigendosi all'uscita.

Rain provò l'urgenza di fermarlo. Non aveva ancora avuto occasione di parlargli.

«Aspetta...» gli chiese, muovendo un passo verso di lui, mordendosi le labbra e iniziando a giocherellare nervosamente con le proprie unghie.

Di profilo, lui la osservò attraverso una tendina di capelli d'argento.

«Sì?» chiese, per sapere cosa volesse dirgli.

Lei sembrò in difficoltà. Il suo sguardo si rifiutava di incontrarlo, le sue dita si muovevano tra loro in modo ansioso. Aprì la bocca più volte, ma non riuscì a decidersi e formare una sola giusta parola per almeno qualche secondo. Poi, finalmente, ritrovò il coraggio perduto.

«Non... non abbiamo parlato... di quello che è successo oggi.» gli ricordò, lasciandolo però un po' confuso.

Erano accadute molte cose, quel dì. A cominciare dalla curiosa lotta corpo a corpo di quella mattina che, adesso in un momento di tranquillità, certamente entrambi ricordavano bene. Che si stesse riferendo proprio a quella? Sephiroth non ne era del tutto convinto, per quanto raro come evento, scendeva in secondo piano in confronto a quel che avevano dovuto attraversare solo qualche ora dopo.

La battaglia, la sua caduta, il salvataggio. Quello che nell'attimo in cui si era svolto era sembrato durare un'eternità ora non risultava che come una serie di rapidi istanti sfocati nella sua mente. Ma avrebbe potuto giurare di averla vista sorridergli mentre precipitava, dopo averlo guardato negli occhi.

«Non c'è bisogno di ringraziarmi, se è questo che vuoi fare.» la rassicurò. Quante volte glielo aveva già ripetuto? Oramai proteggerla era diventata un'abitudine, non perché fosse troppo spericolata - il difficile sarebbe stato non esserlo, conducendo una vita così - ma perché sentiva il perenne istinto di doverla tenere al sicuro. Lei, una combattente capace risalita fino alla gloriosa prima classe di SOLDIER... continuava a sembrargli così fragile da potersi rompere come fosse cristallo da un attimo a quello successivo. E lui non poteva, non voleva permettere che accadesse una cosa del genere.

«Ah, temo che ringraziarti non sarebbe sufficiente.» Rain si lasciò sfuggire un ironico colpetto di tosse, passando a massaggiarsi un braccio.

Incuriosito, Sephiroth tornò a voltarsi verso di lei, attendendo che parlasse. Incrociò le braccia al petto e sollevò il mento.

Rain finse di trovare qualcosa di più interessante all'interno della stanza, benché fosse praticamente impossibile. Sapeva bene che potere avesse il suo sguardo su di lei, quell'espressione orgogliosa e placida, sempre vittoriosa. Era sufficiente una rapida occhiata... e sentiva già il ventre andarle in subbuglio.

«Ti sei gettato nel vuoto per salvarmi la vita. Non è neanche la prima volta che capita che tu intervenga per proteggermi, ma questa volta... ha avuto tutto un altro significato.» respirò a fondo, sforzandosi di mantenere una certa distanza sia fisica che emotiva. Ma in realtà, pensò dopo, perché mai avrebbe dovuto continuare a farlo?

Sephiroth avrebbe potuto chiedere ulteriori spiegazioni, ma non lo fece. Sapeva che, tacendo, lei avrebbe continuato da sola. E così fu.

«Quel che è successo nell'archivio scientifico... ha davvero stravolto la mia intera vita. Gli ultimi mesi sono stati una sfida impossibile, e mi sorprendo di essere ancora qui per parlarne. In quell'incendio... temevo di aver perso un'altra importante persona della mia vita, che avesse ceduto una volta per tutte al mostro che gli altri hanno sempre voluto che diventasse. Per me quel pensiero era più spaventoso della mia stessa morte.» rivelò, stavolta aprendo lei il proprio cuore alla verità di ciò che aveva provato in quei momenti difficili, «Ho pensato di dover odiare l'uomo che eri diventato, davvero. Avrei voluto farlo con tutto il mio cuore, ma come ho già detto non ci sono riuscita. E ho provato un enorme senso di colpa anche per questo. Mi credevo una stupida ingenua... una incapace persino di provare una cosa così semplice come l'odio.»

Lo disse, ma sapeva di aver sbagliato: l'odio non era affatto semplice. Soprattutto quando altri sentimenti si preparavano a contrastarlo.

«Quindi... volevo dire che è bello sapere di non essermi sbagliata completamente. La resistenza che io stessa mi sono imposta non è stata vana, perché mi ha permesso di vedere la verità.»

Innocentemente, Rain mosse un singolo passo verso l'uomo, che continuava ad ascoltarla attentamente e in silenzio.

«Tu non sei un mostro, Sephiroth.» asserì nuovamente, «Sei solo una persona a cui sono capitate delle bruttissime cose, come lo sono io. Come lo sono in tanti.»

Si fermò. Doveva riprendere aria, tenere saldo quel coraggio che la spingeva a continuare a parlare. «E, anche se non l'ho dimostrato, l'ho sempre saputo. In fondo, non ho mai dubitato di ciò. Avevo solo bisogno di ricordarmelo, e quello che è successo oggi è stato come un brusco risveglio. Sai a cosa ho pensato, mentre cadevo nel vuoto aspettando solo di morire?» domandò.

L'espressione di Sephiroth non era cambiata di molto, semplicemente aveva perso la piccola nota altezzosa di sempre per lasciar spazio a una serietà assoluta.

«A cosa?» chiese, pur avendo già afferrato la verità.

«A quanto fossi dispiaciuta di non averti ancora perdonato.» replicò lei tutto d'un fiato, «Voglio dire... l'avevo fatto, in realtà. Forse nel momento stesso in cui ti ho rivisto. Forse da sempre. È solo che non ho mai voluto ammetterlo, o dirtelo. E ho pensato di aver sprecato tutto il mio tempo a cercare di essere l'eroina che un tempo sarei voluta diventare, dimenticando una cosa altrettanto fondamentale.» I suoi occhi si alzarono debolmente su di lui, grandi e brillanti. Il colore del mako fluiva nelle sue iridi, emozionato. «Te.»

Se la vista non le mentiva, offuscata dal sentimento, l'imperturbabile espressione del soldato davanti a lei era ceduta per un istante.

Di nuovo, la ragazza mosse un passo in sua direzione. Uno soltanto.

«Non voglio più sprecare il mio tempo, anche perché non so quanto me ne rimane. Domani potrei morire, per quel che mi è dato sapere. Potrebbe accadere qualsiasi cosa, in realtà. E io non voglio portare con me un altro rimorso. Quando ho perso i miei genitori, non ho avuto modo di dirgli che, pur essendomi separata da loro bruscamente, li amavo comunque con tutto il mio cuore. Non voglio commettere lo stesso errore un'altra volta.»

Pian piano, qualche lacrima sgorgò sul suo viso, poche e rapide gocce che non riuscì a controllare.

«Prima... prima che accada qualcosa, volevo che sapessi che significhi per me più di quanto io potrò mai esprimere. Che tu sia al mio fianco, o dall'altro lato del mondo, questo non cambierà mai.» riuscì infine a singhiozzare, travolta dalle emozioni.

Sperò di non sembrare patetica, o troppo emotiva. Stava semplicemente esprimendo se stessa: una SOLDIER sarebbe dovuta essere più grintosa, probabilmente, e non tanto fragile. Che figura avrebbe fatto, proprio davanti a lui?

Eppure, come al solito, non servì neanche una parola. Dopotutto, Sephiroth non era una persona tanto loquace, quanto una che preferiva i fatti alle parole.

Le si avvicinò prontamente, ponendo un dito sotto il suo mento così che sollevasse il viso. Quando Rain lo fece, si ritrovò davanti gli occhi freddi dell'uomo che la guardavano come a domandarsi cosa avrebbe dovuto fare per farla sentire più sicura di sé.

Portò la mano mancina allo zigomo della ragazza e pulì via le lacrime che le erano sfuggite. La osservò per un po', ripetendo in mente le parole che gli aveva rivolto. Non riuscendo a trovare una vera e propria risposta da fornire.

Chi mai gli aveva parlato in questo modo in passato, d'altronde? Benché condividesse all'incirca le stesse origini di Rain, lei aveva avuto una vita diversa, era stata cresciuta da una famiglia adottiva che le aveva dimostrato affetto e amore, ma lui? La sua infanzia era stata segnata dall'allontanamento improvviso dell'unica persona che avesse veramente guardato a lui come un bambino e non come un oggetto. Non aveva conosciuto che ordini, e analisi di ogni tipo. Non aveva memorie che non riguardassero combattimenti intensivi o frequenti visite ai laboratori, dove veniva sottoposto a controlli di ogni tipo per verificare che stesse diventando proprio ciò che gli altri volevano che diventasse. Si era liberato da quelle torture mascherate da quotidianità solo con la crescita, perché una volta divenuto adulto, un guerriero, il Generale di SOLDIER... più nessuno avrebbe osato guardare a lui dall'alto al basso, costringerlo a fare ciò che non volesse spontaneamente fare. Rimasto solo dopo tutto ciò che era capitato, oramai non gli rimaneva che Rain, l'unica a essere interessata a lui come persona, e non come macchina da guerra.

L'idea che l'indomani sarebbe davvero potuto capitare qualcosa che li separasse lo spaventò. Non sapeva davvero cosa fosse la paura, non quella di questo genere, finché non la provò. Non poteva permettere che lei gli venisse strappata via.

«Non accadrà nulla.» tentò di rassicurarla, «Sai che non lo permetterò.»

Rain sforzò un debole sorriso, che gli rivolse prima di sfiorare la sua mano con la propria, per condurla al suo volto e ricevere un'insolita carezza.

«No, è vero, non lo permetteresti. Ma ci sono cose che vanno ben oltre il nostro controllo.» spiegò, «E non possiamo predire quando o come avverranno. Per questo voglio dare valore a ogni secondo. Non sappiamo cosa ci riserva il futuro. Non sappiamo se questa è l'ultima notte che trascorriamo insieme.»

Quella definizione lasciò comprendere molte cose a Sephiroth. In effetti, non aveva pensato a cosa sarebbe potuto accadere il giorno dopo: anche se avessero vinto la battaglia, cosa di cui aveva imparato a non dubitare già da bambino, restava un fattore importante. Rain aveva spiegato che molto probabilmente si sarebbero allontanati comunque. Come darle torto, d'altronde? Il passato non poteva essere cancellato.

Ma lei... il modo in cui lo faceva sentire era diverso da qualsiasi altra emozione avesse mai provato, era l'unica persona alla quale in un certo qual modo esternava davvero i propri sentimenti, come se abbattesse un muro a ogni loro nuova discussione. Come avrebbe fatto a separarsene? Non sarebbe stato facile, per niente. E quindi... sì, quella era davvero la loro ultima notte insieme, con molta probabilità.

«Non è detto che lo sia.» volle comunque darsi una speranza, voltando la mano per carezzare uno zigomo della ragazza con le nocche, delicatamente. «E non dovresti pensarci. La paura non porta a nulla di buono.»

A chi dei due si stava riferendo, però, adesso?

Rain sospirò una brevissima e ironica risata. «È difficile non stare a rimuginare quando si sta imbambolati ad attendere il proprio destino.»

«Allora dovresti distrarti.»

«Distrarmi? E come?»

Poco dopo, Rain tacque. Una piccola domanda le nacque in mente.

«Una volta qualcuno mi ha chiesto "cosa faresti se sapessi che oggi è il tuo ultimo giorno?"» raccontò, «Non ho mai saputo rispondere, in passato. Questa domanda è semplice da porre ma non lo è rispondere, eppure mi piacerebbe saperlo. Tu cosa vorresti fare, se questa fosse la tua ultima notte?»

Sephiroth osservò i suoi occhi per qualche secondo. In realtà non desiderava essere in nessun altro luogo che non fosse quello, non voleva altro che lei fra le sue braccia e al sicuro. E poi...

«C'è una cosa che vorrei, in effetti.»

Le sue labbra si separarono appena, mentre si concedeva una breve pausa. La carezza sul suo viso scese fino al mento, appena accennata.

«... se lo vuoi anche tu.»

Rain non parve capire, per cui gli rivolse un'occhiata confusa e batté lentamente le ciglia.

Lui se ne accorse e non poté che lasciarsi sfuggire un piccolo sogghigno intrigato.

«Cos'è che vorresti tu, Rain?» formulò la domanda in maniera diversa.

«Non m'importa cosa,» rispose lei prontamente, «voglio solo stare con te.» dichiarò poi, distogliendo lo sguardo. Le sue guance vagamente più colorate.

A Sephiroth quella timidezza non dispiaceva affatto, e sicuramente non gli dispiacque la sua risposta, che invece allargò il suo piccolo ghigno.

«Speravo che lo dicessi.»

Si allontanò all'improvviso, confondendola ancor di più, e iniziò a camminare verso la porta.

«Per esperienza, non penso mai all'eventualità della mia morte o a quella di un compagno di missione.» rivelò lui, raggiungendo l'ingresso, «Ma la tua domanda ha senso. E se questa è davvero la mia ultima notte...»

La sua mano raggiunse la maniglia e, subito dopo, chiuse la porta. Il catenaccio era rotto, ma nessuno sarebbe dovuto tornare nella stanza a giudicare dall'orario e dal fatto che la riunione si era già conclusa.

«... io voglio trascorrerla con te, Rain.» concluse, tornando a voltarsi verso di lei, che sembrò tentar di parlare.

Lui, però, fu più rapido e proseguì ancora.

«Mi hai perdonato per gli atti atroci che ho commesso. Mi perdonerai anche per il mio egoismo. Perciò...» 

La mano di Rainiel era ancora protesa in sua direzione, ma quella mancina di lui si strinse attorno al suo polso senza applicare alcuna forza. Piegò la schiena, tirò a sé la giovane donna con un braccio e chiuse gli occhi. Con un breve slancio, chinò il volto sul suo e premette labbra contro labbra, assaporando per l'ennesima volta il bacio dell'unica persona di cui ormai gli importasse realmente, l'unica che aveva visto l'uomo oltre il mostro e lo aveva riportato alla luce. Un bacio che avrebbe potuto essere l'ultimo, o il primo di tanti.

Quella notte... voleva lei.

Quella notte che sarebbe dovuta essere la più importante e speciale, trascorse invece rapidamente e in maniera del tutto diversa da come Sephiroth l'avrebbe immaginata. Quel che desiderava era poter stare con Rain, dimenticare ogni problema per almeno qualche ora, anche perché sapeva che molto probabilmente si sarebbero separati l'indomani, e invece...

Invece, quella notte, aveva ottenuto un altro pezzo del quadro completo. Aveva scoperto l'identità dei suoi genitori.
E ora eccolo, lì immobile nella sua uniforme da Generale, il grande e potente Sephiroth che tutti credevano essere un eroe, imbattibile e inflessibile, che invece si lasciava divorare dai suoi stessi pensieri. La sua mente era più forte e letale della sua spada, e gli si ritorceva contro.
Era a Midgar. Aveva raggiunto la città con gli altri per mettere fine a quella storia. Per eliminare una volta per tutte il Professor Hojo in maniera da evitare che mietesse altre vittime. Per uccidere suo padre.
Questo lo avrebbe reso un assassino, si disse. Eppure, un assassino lo era già, ricordò. Quante vite aveva preso durante la guerra? Vite di soldati che erano morti perché qualcuno aveva ordinato loro di combattere. Soldati sfortunati che avevano incontrato proprio lui sul loro cammino. La Masamune aveva bevuto inesorabile il loro sangue, e Sephiroth non aveva battuto ciglio. Era nato per questo. Era nato per combattere e per uccidere.
Non aveva ancora incontrato Rain, non la Rain adulta che conosceva adesso, e per questo non aveva mai visto un'ambizione che andasse oltre la guerra. Una ragione di vita. Vita... lui non viveva, esisteva. Non per se stesso, ma per gli altri.
E quando aveva finalmente compreso la sua vera natura, quando aveva scorto una possibilità di liberarsi dalle catene che aveva imparato a conoscere sin dalla nascita, tutto era cambiato. Tutto era diventato troppo importante per essere ignorato. Doveva fare quel che andava fatto per liberare se stesso e tutti gli altri. Non c'era altra via per terminare quella storia durata fin troppo.
Quando si ritrovò ai piedi della Torre Shinra, dopo aver raggiunto la grande piattaforma senza troppe difficoltà grazie a eventuali conoscenze e trucchetti di ogni tipo, guardò il grattacielo senza alcun affetto. Sarebbe potuto crollare in quel momento, e non gli sarebbe importato. Non sentiva più nulla. Non aveva più nulla che lo interessasse, al suo interno.
Rainiel lo affiancò e sfiorò il suo braccio con una mano. Con la coda dell'occhio, lui la vide sorridergli per infondergli un po' di speranza.
Se non fosse stato per quel sorriso, forse Sephiroth avrebbe buttato giù la Torre Shinra con le sue stesse mani.
«Andiamo. Conosco un'entrata che ci farà passare inosservati.» ordinò poi.
Rainiel, Cloud e Zack lo seguirono senza fiatare.

La Torre Shinra nascondeva più meandri e passaggi di quanto la sua facciata sobria e professionale desse a vedere. Ma più di allora sembrò essere effettivamente un covo di segreti e misteri, menzogne sulle quali la Compagnia aveva messo le sue radici.
Un passaggio in particolare, lontano da occhi indiscreti e probabilmente non utilizzato da molto tempo, permise loro di passare semplicemente sfruttando le chiavi magnetiche conferite a Sephiroth, che fortunatamente aveva con sé.
Raggiunsero un pianerottolo collegato a un corridoio, dal quale si poteva avere accesso a un ascensore che stonava con l'ambiente ultramoderno attorno a sé, protetto da inferriate scure e intimidatorie.
Il SOLDIER leggendario spiegò che li avrebbe condotto direttamente al laboratorio di Hojo.
Nel dirlo, i suoi occhi si erano velati di un ricordo complesso quanto amaro. Rain poté capire all'istante che probabilmente, anche in più giovane età, egli aveva dovuto percorrere quella strada e molte altre per essere puntualmente scortato ai laboratori, dove veniva tenuto sotto stretta osservazione.
Il solo pensiero di cosa avesse dovuto subire ogni giorno della sua vita, prima di diventare un eroe di guerra, le diede la nausea.
Lo osservò utilizzare la tessera su uno scanner che avrebbe conferito loro di usare il mezzo, ma un rumore preoccupante attirò l'attenzione di tutti e quattro, mentre il piccolo schermo s'illuminava di luce rossa.
Le sopracciglia di Sephiroth si piegarono mentre lui comprendeva che qualcosa non andava per il verso giusto.
«Non funziona.» annunciò.
«Poco importa. Distruggiamo queste sbarre ed entriamo.» propose Zack, le mani già strette intorno all'elsa della pesante spada.
«È un'ottima idea, se il tuo piano è quello di fare scattare l'allarme e attirarci addosso un'orda di guardie.» rimbeccò lui, rivolgendogli un'occhiata seccata.
«Non c'è un'altra via?» domandò Rain, tentando di essere razionale e di non lasciarsi travolgere dall'ansia.
Sephiroth riflesse sfiorandosi il mento e lasciandosi andare a un lento sospiro.
«Hojo avrà sicuramente delle entrate personali, ma io non vi ho mai avuto accesso e non sono a conoscenza della loro locazione. L'unica possibile strada resta quella principale.» spiegò.
Dopo qualche secondo di silenzio, Zack ricordò.
«Il laboratorio è al sessantacinquesimo piano. Possiamo prendere l'ascensore di servizio e raggiungere il cinquantanovesimo.» cercò di ricordare Zack.
«Il piano panoramico?» ricordò Cloud, proprio accanto a lui.
«Esatto. Da lì possiamo usare le scale o gli ascensori di vetro. Dobbiamo solo superare la sala conferenze.»
Rain si avvicinò a una porta che dava sulle scale d'emergenza e successivamente agli altri ascensori. Le girava un po' la testa, non pensava che infiltrarsi nel luogo che era stato la sua casa per anni fosse tanto complicato.
«Allora andiamo. Se non ci notano, andrà tutto bene.»

E così, fortunatamente, fu. Era tarda sera e molti impiegati erano già tornati a casa. Non essendo un'ora di punta gli ascensori erano pressoché vuoti e il gruppo si curò di attendere che lo fossero completamente prima di entrarvi e utilizzarli.
Rain provò una profonda nostalgia nel vedere il piano panoramico. Era lì che aveva incontrato Sephiroth per la prima volta dal proprio arrivo a Midgar, non troppo lontano dagli uffici, dopo aver sconfitto la macchina da guerra Shinra all'interno del simulatore, e dove lui l'aveva affidata a Genesis come sua allieva.
Le mancavano quei tempi. Sembrava tutto più facile... prima che molte cose cambiassero. Era come vivere nell'illusione che tutto andasse bene.
Un ologramma attendeva di essere interpellato per rispondere alle domande di turisti o impiegati, ma loro non vi passarono vicino e proseguirono con la propria missione.
La sala conferenze era chiusa. Una grande porta conduceva agli uffici e alle stanze dedite alle riunioni, un'altra su un fianco portava invece ai servizi igienici. Davanti alla grande porta principale, le scale portavano al piano inferiore e superiore.
Rain e gli altri risalirono con cautela, lieti di non essere stati sorpresi finora.
Erano vicini alla meta. Tremendamente vicini.
Ma, arrivando per prima sul pianerottolo, Rainiel sgranò gli occhi ed ebbe un tuffo al cuore.
Una ragazza riposava con le spalle contro il muro, un curioso berretto con visiera rigida nero in testa e le braccia conserte, gli occhi persi nel vuoto che ben presto si puntarono su di lei.
«Rain...?» domandò la giovane, mentre la sua voce familiare accompagnava il movimento di un sopracciglio che si alzava perplesso. «Ma dove eri finita? È da ieri mattina che ti cerchiamo ovun...»
Rainiel osservò impotente lo sguardo della sua amica, la Turk Vaneja, indurirsi e insospettirsi mentre dietro di sé apparivano anche Sephiroth, Zack e Cloud.
In quel momento, Vaneja comprese che qualcosa non andava e la sua mano si avvicinò a una delle pistole legate alla sua cinta.
Rainiel sapeva che quell'incontro inatteso avrebbe potuto portare a un esito indesiderato, per cui doveva scegliere con cautela le sue parole.