Finding my Future

di JulKat_5384
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Miss someone You’ve never met ***
Capitolo 2: *** Find me soon because I'm in my head ***
Capitolo 3: *** Need you now but I don’t know you yet ***



Capitolo 1
*** Miss someone You’ve never met ***


BREVI NOTE PER LA LETTURA
Ciao a tutti! Questa è il concept della storia
-Soulmate: Quando le due anime si incontrano, si ha uno scorcio del futuro insieme.
-Prompt: [A si è appena lasciat@ quando si scontra con B, ma B fa finta di niente]

Buona lettura!


Finding-COVER

 

Miss someone You’ve never met


 
I fiori di ciliegio sarebbero sbocciati a breve segnando la fine dell’inverno e l’inizio della tanto attesa primavera. Nonostante il vento freddo, unico reduce di quell’insolita bufera mattutina, le strade di Trost erano gremite di persone che passeggiavano tranquillamente. Il sole era spuntato timido da dietro le nubi – scure ma sempre più lontane –, regalando un piacevole tepore agli abitanti e sciogliendo lentamente i cumoli di neve ai margini delle strade.
 
Eren, Connie e Armin, avevano approfittato di quel gradito, quanto inatteso cambiamento atmosferico per uscire di casa e andare in centro, una pausa durante la sessione di studio che i tre avevano programmato per quel giorno. I ragazzi coabitavano da ormai due anni – per essere precisi dall’inizio dell’università – e da perfetti sconosciuti erano diventati amici inseparabili.
Era una storia buffa quella del loro incontro: il giorno dell’esame di ammissione Eren – e come lui un’altra ventina ragazzi – aveva appuntamento in segreteria per ritirare le chiavi dell’appartamento dove avrebbe alloggiato. Il gruppo era stato poi scortato da un tutor verso gli alloggi per gli universitari; il castano era emozionato all’idea di vivere finalmente da solo, tanto che era arrivato a pregare la madre di insegnargli a stirare e a cucinare – riempiendo il petto della donna d’orgoglio – ma quando il tutor si era fermato davanti alla prima porta chiamando il suo nome e quello di altri due studenti, Eren comprese che quello di vivere da solo sarebbe rimasto un sogno ancora per qualche altro anno.
Se poi ci rifletteva bene, era più che normale che l’università avesse optato per quella soluzione, vista l’enorme affluenza di studenti fuori sede; in fondo gli era andata pure bene, il suo era uno dei pochi alloggi ad essere piccolo e ben organizzato – tre camere da letto separate, due bagni, cucina e un piccolo salotto –, mentre altre potevano ospitare anche fino a dieci persone, più letti nella stessa stanza o peggio avevano un solo bagno, come aveva appurato una mattina sentendo lamentarsi alcuni suoi colleghi del corso di Biologia. 
 
La convivenza non era stata difficile, anzi ad occhi estranei, sembrava che il gruppetto avesse sempre vissuto insieme. Eren, Armin e Connie avevano trovato un equilibrio tra abitudini e orari delle lezioni diverse di ognuno e dividendosi i compiti casalinghi. Tutto funzionava perfettamente – un ingranaggio ben oliato – grazie alle abilissime doti organizzative di Armin; la rotazione delle faccende procedeva anche abbastanza bene, almeno fino a quando non toccava a Connie di fare le lavatrici o ad Eren di pulire.
 
«Non indovinerai mai cosa il vecchio Connie ti ha comprato per il compleanno!» esclamò improvvisamente il ragazzo, assottigliando lo sguardo e strofinando le mani tra di loro con fare confabulatorio o forse, più probabilmente, per il freddo.
«Potrebbe essere il regalo più utile o bello del mondo, ma l’espressione che hai dipinta in volto non invoglia per niente ad aprire il tuo regalo. Non ti lamentare se sarà l’ultimo ad essere scartato, sempre se Eren non avrà il terrore di aprirlo» gli rispose Armin pacatamente, rifilando un’occhiata all’amico da sotto le ciglia chiare.
«Non preoccuparti Connie» disse Eren, notando il rasato intristirsi «qualunque cosa tu mi abbia regalato, sarà scartato per primo e sicuramente sarà meglio di quello di Mikasa» proseguì il castano, tremando al solo ricordo del regalo che la ragazza gli aveva fatto l’anno precedente: una maglietta con la foto della mora in posa minacciosa e la scritta giù le mani da mio fratello.
«Ti ricordo che mi devi ancora una foto di te che indossi quella t-shirt.»
«Si certo Connie… te lo puoi scordare» affermò Eren ridendo e contagiando anche gli altri due.
«Quindi alla fine tornerai a casa per il weekend?» chiese il biondo, rimasto in silenzio per ascoltare il botta e risposta dei ragazzi al suo fianco, come un attento spettatore.
«Sì oggi ho comprato i biglietti del treno, partirò domani e tornerò lunedì mattina.»
«Beh amico, sappi che ti lasciamo andare solo perché sono più di quattro mesi che non vai a trovare tua madre, ma lunedì passerai la serata con i tuoi amici quindi non prendere altri impegni!» lo canzonò il rasato, passando amichevolmente un braccio intorno al collo di Armin, mentre con l’altra mano indicava prima e stesso e poi il biondo al suo fianco.
All’inizio, Connie ci era rimasto male quando Eren avevo detto che sarebbe tornato a casa per il fine settimana – erano giorni che organizzava il compleanno nei minimi dettagli – ma poi, aveva ceduto e con un sorriso più grande della sua stessa faccia aveva decretato che la festa si sarebbe svolta appena il castano fosse tornato da Shiganshina.
 
«D’accordo amico. Voi invece come passerete il weekend?»
«Visto che ora, grazie a te, sono libero» disse portandosi teatralmente una mano al petto «organizzerò qualcosa con Sasha. Magari andremo a cena fuori e poi a vedere i ciliegi fiorire.»
Nel pronunciare il nome della ragazza, gli occhi verdi di Connie si illuminarono. I due si erano conosciuti al liceo e da allora stavano insieme; sapevano di non essere predestinati, ma avevano deciso di vivere appieno quella relazione giorno per giorno, consapevoli che tutto sarebbe potuto finire da un momento all’altro.
Dopo cinque anni, stavano ancora insieme, ma soprattutto erano felici: sembrava che tutta la storia della predestinazione non li toccasse. Eren li aveva osservati con attenzione, ma non riusciva a intravedere nella coppia, neanche il più piccolo accenno del dolore emotivo che si provava internamente, nel sapersi separati dalla propria anima gemella.
Loro, semplicemente, si erano trovati senza l’aiuto del fato ed Eren li invidiava per questo perché lui non sarebbe mai riuscito ad annullare quella sensazione di vuoto che gli opprimeva il petto, che gli stringeva lo stomaco e non lo faceva dormire bene la notte.
 
«Io penso che studierò in biblioteca per l’esame della professoressa Zoe, ma soprattutto resterò a casa a rimettere a posto, visto che qualcuno con tutta la faccenda della festa ha saltato i turni della lavanderia, mentre qualcun altro è un casinista a tempo perso» disse il biondo incrociando le braccia e squadrando con un finto cipiglio prima Connie, che si portò una mano sulla nuca imbarazzato, e poi Eren che giunse le mani mimando un <scusa> con le labbra.
 
I tre raggiunsero le vicinanze di un bar, una buona cioccolata calda era quello che serviva prima di tornare a casa e affogare dentro la marea di libri e dispense da studiare.
Una vibrazione, seguita da una suoneria piuttosto martellante, fece arrestare il passo al castano, e di conseguenza anche agli altri due.
Eren sapeva perfettamente chi lo stesse chiamando, aveva impostato quella canzone – snervante e ripetitiva – per sapere con anticipo quando non rispondere al telefono, ma era la quinta volta che chiamava e non poteva continuare a rimandare.
Non poteva più evitare quel discorso che si prometteva ogni giorno – ormai da una settimana – di affrontare, per chiarire una volta per tutte la situazione. Sapeva di stare facendo uno sbaglio e che avrebbe preferito farlo di persona, ma avrebbe voluto dire rimandare il tutto per altri quattro giorni.
Prese coraggio e dopo essersi allontanato di poco dai suoi amici con una scusa, rispose al telefono.
 
“Ehi finalmente! È da stamattina che provo a chiamarti… se non ti conoscessi, penserei che mi stai evitando” pronunciò una voce distorta dall’altro capo del cellulare.
Eren sospirò rumorosamente, portandosi due dita sul ponte del naso; gli sarebbe venuto un gran mal di testa.
«Jean cosa vuoi.»
Come siamo freddi… ascolta stavo pensando che potremmo andare al parco a vedere i ciliegi fiorire una di queste sere…”
«Non posso. Nel weekend, torno a casa da mia madre.»
Oh… allora possiamo fare la sera di lune-
«Lunedì festeggio il compleanno con i miei amici e prima che tu possa organizzare qualcos’altro, mi dispiace Jean ma non posso più uscire con te.»
Come sarebbe a dire che non puoi più uscire con me? È uno scherzo per caso?
La voce all’altro capo del telefono si fece rigida, come se il ragazzo si stesse sforzando di mantenere un tono pacato.
«Jean… in questo anno io ti ho voluto bene, veramente, e sono felice di essere stato con te, ma un domani? Non sappiamo quello che può succedere e questo è un problema di cui io non riesco a trovare la soluzione» dissi cercando di essere più delicato possibile.
Eppure non ti sei fatto problemi a uscire con me per un anno… cos’è l’hai trovata per caso?
«C-cosa?! No! Jean ascoltami… è stato bello, ci siamo divertiti e sono stato bene con te, davvero credimi, ma sai anche tu che non-»
Se è per quella stronzata sulle anime gemelle, risparmiati le scuse perché se ci avessi creduto davvero, avresti smesso di frequentarmi il giorno stesso che ci siamo incontrati! Eren stiamo insieme da un fottutissimo anno! Non abbiamo neanche la certezza che un giorno incontreremo la persona predestinata! e tu dopo tutto questo tempo, te ne esci con questa scusa del cazzo? Ci siamo divertiti ma forse un giorno incontrerò la persona che il destino ha scelto per me? Un anno di relazione Eren… non sarò la tua anima gemella, ma speravo di contare qualcosa per te.
 
Eren non sapeva come ribattere. In fondo Jean aveva ragione: perché aveva continuato a frequentare quel ragazzo per un anno intero, mettendo da parte le paure e i timori ed affidandosi a lui completamente se non era la sua anima gemella? E poi Eren credeva davvero che un giorno avrebbe incontrato questa suddetta persona?
Se da una parte sapeva di aver amato Jean, anche se non era lui il suo futuro – e ci aveva provato davvero a vedere un futuro insieme – la consapevolezza che da un giorno all’altro uno dei due avrebbe potuto trovare l’anima gemella, lo spaventava a morte.
Il motivo era semplice: sapeva perfettamente quali emozioni avrebbero provato, le aveva viste, sofferte e vissute giorno dopo giorno sua madre – rabbia, dolore, tristezza e infine una dura consapevolezza della realtà di quel mondo – e lui non voleva sperimentarle sulla propria pelle.
Si sarebbe fatto mangiare vivo da quel senso di mancanza che la sua anima provava, piuttosto che vedere la persona con la quale aveva provato a condividere esperienze per una vita, volatilizzarsi da un giorno all’altro.
 
Certo non capitava spesso che due anime destinate a stare insieme si incontrassero, anzi era un fatto più unico che raro. Era come cercare un ago in un pagliaio, sai che c’è, ma non sai quando, e soprattutto se riuscirai mai a trovarlo.
Per questo quella ricerca dai tratti folli, annoverava più vinti che vincitori. C’era chi gettava la spugna, chi invece non arrivava alla fine, altri ancora non ci provavano nemmeno.
I pochi però che persistevano, alla fine potevano ergersi fieri e soddisfatti di aver trovato quel minuscolo e quasi invisibile pezzo di metallo dentro un pagliaio che contava più di sette miliardi di pagliuzze.
 
Una volta trovata quella persona, la tua vita, il tuo amore e soprattutto la tua anima le appartenevano, come tutto di lui apparteneva a te e non importava se nel frattempo avevi costruito una famiglia, eri sposato e con un figlio.
Carla e il suo matrimonio ne erano un esempio lampante: aveva intrapreso con Grisha una relazione nonostante sapessero di non essere predestinati, si erano sposati ed era nato Eren. Poi un giorno la donna rientrò da lavoro e trovò sul tavolo della cucina la fede nuziale del marito e un biglietto di scuse. Eren aveva otto anni.
 
Almeno provavi qualcosa per me o sono stato un semplice passatempo?” proseguì Jean decisamente arrabbiato.
«Jean i-io…»
Cristo Eren sei proprio uno stronzo.
La linea cadde ed il castano rimase lì, immobile nel mezzo al marciapiede, lo sguardo basso sulle proprie scarpe, mentre le persone lo scansavano proseguendo silenziose.
 
Non era mai stato fortunato nelle relazioni. All’età di sedici anni Mikasa gli aveva confessato di provare qualcosa per lui: fu la relazione più breve della storia perché Eren si rese ben presto conto che nonostante volesse bene alla ragazza, le donne proprio non lo attiravano sotto quel punto di vista.
Per fortuna la corvina, aveva compreso la situazione e malgrado l’imbarazzo iniziale, i due erano rimasti in ottimi rapporti, supportandosi a vicenda e arrivando a considerarsi come fratelli.
Dopo la ragazza, per Eren era stato un susseguirsi di storie della durata media di un paio di mesi con ragazzi conosciuti un po’ qui e un po’ là, e tutte finite sempre a causa delle paure del castano.

Con Jean, però, era stato diverso: si erano messi a nudo fin da subito esponendo le relative angosce e dubbi, scoprendo come entrambi soffrissero del non aver ancora trovato l’anima predestinata, e aggrappandosi l’uno all’altro come fa un naufrago alla scialuppa, cercando conforto e un appiglio per non affogare in quel mare di tristezza.
E forse era proprio questo ad averli uniti, la speranza di una felicità che potevano costruirsi da soli e non per volere di un qualcosa di superiore, invisibile e beffardo.
Eren sapeva di aver fatto un enorme torto al ragazzo incastrandolo in quella relazione che nel profondo sapeva di non volere. Ci aveva provato a fare come sua madre, come la stragrande maggioranza delle persone faceva, ad arrendersi e non tentare quella ricerca folle e angosciosa, ma Eren non era mai stato un tipo che si arrende facilmente, troppo orgoglioso e testardo per poterlo fare.

Avrebbe affrontato quella ricerca e avrebbe dato battaglia al destino, fino a quando non ne sarebbe uscito vincitore.
Fu la voce gentile e pacata di Armin ad interrompere il flusso dei suoi pensieri.
«Eren è tutto ok?»
«Ho appena rotto con Jean» rispose il castano mantenendo lo sguardo basso.
«Oh… m-mi dispiace. Non pensavo che… insomma credevo che non ci fossero problemi fra voi due.»
«No, cioè… stava andando bene, ma… lo sai come sono fatto. Credo che non sarei riuscito ad andare avanti, sapendo che da qualche parte qualcuno mi sta cercando mentre io non faccio niente.»
Armin si avvicinò, poggiando una mano sul braccio dell’amico e stringendo un po’ la presa, cercando di confortarlo come poteva. Eren gli aveva raccontato delle sue ansie e sapeva quanto stesse soffrendo internamente da un anno.
A quel contatto il castano alzò lo sguardo e nelle iridi cerulee dell’amico lesse tristezza, ma anche una profonda e sincera comprensione.
«Mi dispiace, ma sappi che per qualunque cosa io ci sono» affermò il biondo.
«Grazie Arm» sussurrò il castano «ascolta io tornerei a casa… avverti tu Connie?» proseguì schiarendosi la voce.
«Certo non preoccuparti, ci vediamo a casa e non pensare alla cena di stasera, ordiniamo una pizza» rispose e si allontanò accennando un saluto.
Eren rimase fermo ancora in mezzo al marciapiede a guardare l’amico entrare in un bar lì vicino, dove prima della telefonata aveva visto entrare anche Connie. Tirò un sospiro poi, mani in tasca, si girò e si incamminò verso casa seguendo il percorso che aveva fatto con i due a ritroso.
 
Per evitare di rimuginare troppo sull’accaduto, decise di chiamare Mikasa per raccontargli dell’ennesimo flop amoroso e della sua decisione riguardo le anime gemelle; tirò fuori il telefono dalla tasca del parka e digitò il numero della ragazza a memoria. Stava per premere l’icona verde sul display e far patire la chiamata, quando il ragazzo si scontrò con qualcuno.

«Oi moccioso! guarda dove cammini invece di stare con la faccia infilata dentro allo schermo del telefono. Tsk!» sentenziò maleducatamente una voce profonda e graffante.
«Mi sc-» iniziò Eren, ma le parole gli morirono in gola non appena le sue iridi smeraldine incontrarono quelle color del ghiaccio dell’uomo difronte a lui.
 
 
 
 
 
 
 
 
 


N/A
Eccoci qui con questo primo capitolo. Che dire? Era da un po’ che volevo scrivere una storia soulmate, ma vuoi per la poca esperienza da fanwriter, vuoi perché non trovavo l’ispirazione ho sempre accantonato l’idea. Poi un giorno, mi sono messa a curiosare nel web e ho trovato un generatore di prompt… ma nessuno di quelli che mi proponeva mi ispirava e così ho deciso di inventarmene uno io (o per lo meno spero… sono stata ore e ore sul quel sito a cliccare freneticamente sul pulsante genera e non è venuto fuori niente di simile).
Comunque alla fine ho messo insieme alcune idee, e scleri a parte… Ta-Da!
Spero che vi piaccia!
Julz

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Capitolo 2
*** Find me soon because I'm in my head ***


Finding-COVER

Find me soon because I'm in my head


Una fresca brezza marina scompigliò i capelli di Eren, in netto contrasto con il calore che ancora emanava la sabbia sotto i suoi piedi. Inspirò l’aria di mare dandogli una sensazione di libertà e leggerezza mai provate prima.
Aveva visto l’oceano tante volte – casa sua non era tanto distante dalla costa – ma mai come adesso gli aveva regalato delle emozioni così forti, come se quella fosse effettivamente la prima volta che vedeva il mare.
Eren puntò le iridi smeraldo sull’orizzonte e si beò dello spettacolo che il tramonto regalava in quell’angolo di paradiso.
I raggi del sole si riflettevano sulla superficie dell’immensa distesa d’acqua, il cielo era limpido, colorato dei toni caldi dell’astro che stava lentamente scomparendo oltre la linea dell’orizzonte, mentre il suono delle onde faceva da sottofondo musicale a quel paesaggio tanto bello da sembrare un quadro dipinto dal più abile dei pittori.
Nonostante il caldo di quei giorni avesse invogliato molte persone a concedersi una giornata al mare, la spiaggia in quel momento era deserta, fatta eccezione per due persone – in piedi vicino al bagnasciuga – con lo sguardo perso davanti a loro, come se la natura stesse concedendo solo ai due di poter ammirare quello spettacolo meraviglioso e a dir poco unico, eppure così comune.

Una mano pallida afferrò quella naturalmente abbronzata del più giovane, il quale non perse tempo a restituire la presa, intrecciando le loro dita affusolate. Non serviva girarsi, Eren sapeva perfettamente chi avesse al suo fianco: lo intuiva dalla grandezza della mano, più piccola rispetto alla sua, dal profumo di muschio e menta che invase le sue narici quando una nuova folata di vento scompigliò i capelli di entrambi, dalle farfalle nello stomaco che gli davano la sensazione di essere sulle montagne russe, ogni qual volta il corvino gli fosse vicino.
«È bellissimo» sussurrò il minore, come se parlare a voce alta potesse rompere quell’atmosfera perfetta dai tratti quasi onirici.
«Ne sono contento, ma le sorprese non sono ancora finite moccioso» rispose l’uomo «Vedi quel ristorante di là dalla strada? Adesso noi andiamo a cena così festeggiamo come si deve» proseguì portando una mano sulla guancia del castano per farlo voltare, si avvicinò e face combaciare per un istante le loro labbra.

Avevano mangiato bene al
Marley – così si chiamava il ristorante – ed ora se ne stavano seduti uno davanti all’altro, parlando del più e del meno completamente immersi nelle iridi del compagno, circondati da una bolla che li estraniava dal resto del mondo.
«Ti ho… preso una cosa» pronunciò improvvisamente l’uomo dagli occhi metallici.
«Sei serio? Prima il ristorante e adesso anche il regalo. Non avevamo concordato che quest’anno avremmo festeggiato senza colpi di testa?» si lamentò Eren.
«Beh, allora mettiamola così: io ti do il regalo e tu mi dai qualcosa in cambio.
“Do ut Des” . Accetto anche in natura» rispose con voce roca ammiccando maliziosamente, cosa che fece tingere di rosso le gote del minore.
Senza aspettare una risposta, tirò fuori da una tasca una piccola custodia di raso blu, puntando le iridi chiare in quelle smeraldo di Eren per non perdere neanche la più piccola sfumatura delle emozioni che le avrebbero attraversate di lì a poco.
Il festeggiato prese il cofanetto tra le mani, esaminandolo attentamente: il raso era lucido e morbido al tatto, notò anche l’assenza di un qualsiasi logo o scritta riportante il nome della gioielleria; esaminò le dimensioni della scatola, decisamente insolite e sentendo chiaramente un leggero, ma secco tintinnìo, quando la scosse leggermente. Aprì lentamente quel piccolo contenitore, sgranando gli occhi quando ne vide il contenuto: un semplice cordino nero con una chiave dorata, rifinita nei minimi dettagli e decorata con minuziose incisioni.

«Oddio! Sei impazzito per caso?! È stupenda!» esclamò Eren attirando l’attenzione delle persone dei tavoli vicini. Quella che aveva tra le mani era una vera e propria opera d’arte in miniatura e si domandò quanto tempo, ma soprattutto quanto denaro avesse speso l’uomo.
«Oi moccioso non fare quella faccia! E prima che tu me lo chieda, l’ho fatta fare da un…
vecchio amico» disse, incrociando le braccia al petto e distogliendo momentaneamente lo sguardo.
Era imbarazzo quello? Pensò Eren.
«C-come...»
«Sai come sono… un uomo dalle mille risorse. All’inizio, quando portai quella chiave vecchia e arrugginita da quel disgraziato di un orafo, non ne voleva proprio sapere… ma alla fine lo convinsi e a lavoro ultimato, gli piacque così tanto che mi pregò di portargli altri lavori se mai ce ne fosse stata l’occasione» pronunciò lentamente, come se avesse ponderato ogni parola con attenzione; come se fosse combattuto dal rivelare o meno quel dettaglio.

La sua spiegazione, per quanto poco esaustiva, lasciò però il compagno senza parole. Sapeva che l’uomo era un mistero avvolto da una stretta coperta di segreti, e che i silenzi o le risposte elusive erano all’ordine del giorno, ma Eren aveva capito che forzarlo a parlare non avrebbe portato a niente, se non irritare il maggiore.
È così il castano – da sempre impulsivo e testardo – aveva imparato l’arte del pazientare, beandosi di quei momenti in cui il corvino si apriva e si confidava.
«Quindi, questo vuol dire che vedrò presto una di queste al collo di altre persone?» chiese il minore ondeggiando la collana tra le mani, una volta ritrovato l’uso della parola e sviando volontariamente il discorso.
«No, fui chiaro anche su questo punto e comunque di quella chiave non esistono copie. Quello è un pezzo unico, come unico è colui che lo porterà al collo. Buon compleanno Ren»


∼ ∼ ∼ ∼ ∼

Eren credeva che quello sarebbe stato un giorno come un altro: si sarebbe alzato, avrebbe seguito i pochi corsi di quell’ultimo giorno di lezioni, prima delle vacanze di Natale, e sarebbe tornato a casa a studiare per quel maledetto esame di Matematica che ormai si trascinava dal primo anno.
Ma una volta lasciata la facoltà, la presenza del corvino – che lo attendeva pazientemente appoggiato sulla fiancata dell’auto – mandò a monte il suo piano di passare il pomeriggio in biblioteca.

«Che ci fai qui?» chiese lo studente curioso; il fiato caldo che formava una nuvoletta di condensa.
«Ti ho mandato un messaggio, ma a quanto pare non l’hai letto» rispose facendo il giro della macchina e aprendo la portiera del guidatore.
«Sali» comandò il maggiore con tono deciso.
Eren non se la prese; aveva imparato a guardare oltre quella maschera di indifferenza che il corvino sembrava indossare come una seconda pelle, a leggere ogni sfumatura della sua voce, a sfamarsi di ogni luccichio che illuminava le sue iridi metalliche ogni qual volta che lo fissava, credendo di non essere visto.
«Sì Capitano» rispose Eren accomodandosi sul sedile del passeggero, mentre l’altro lo fulminava con lo sguardo per l’uso di quel nomignolo con il quale il ragazzo ogni tanto lo chiamava.
Tirò fuori dallo zaino il cellulare per controllare i messaggi: oltre a quelli della chat di gruppo dei suoi amici – che ignorò momentaneamente – vide quello che l’uomo al suo fianco gli aveva mandato in mattinata e lo lesse.

-Il tuo amico biondo mi ha chiesto di
aiutarti per l’esame di matematica.
Passo a prenderti appena esci.


Sorrise immaginandosi un Armin timido e impacciato, impallidire di fronte allo sguardo glaciale e intimidatorio dell’uomo – capace di incutere paura anche al più grosso dei pugili – mentre cercava di formulare quella semplice richiesta.
Prima di riporre il telefono nella tasca dello zaino, aprì la chat di Armin digitando velocemente un messaggio.


-Grazie per la lezione di recupero.
Quando torno a casa faccio le
pulizie per un mese. Promesso.


L’auto partì, immettendosi nel traffico pomeridiano. Il calore del riscaldamento sciolse i muscoli intirizziti dal freddo invernale di entrambi, regalando loro una piacevole sensazione.
Di sicuro avrebbe nevicato presto, creando l’atmosfera perfetta che ogni bambino ha sempre desiderato: il Natale con la neve. E in fondo Eren, un po’ bambino, lo era ancora.
I due vennero avvolti dal silenzio, smorzato ogni tanto dalle imprecazioni poco velate – ma decisamente molto colorite e originali – che il guidatore borbottava a denti stretti, rivolte ora a un ciclista imprudente, ora ad un altro sfortunato conducente.
Eren però accoglieva quei momenti con gioia, perché gli permettevano di osservare il corvino senza essere visto e studiò quel viso, di cui conosceva i lineamenti a memoria.
I capelli perfettamente ordinati nel loro taglio undercut, le ciocche nere come la pece che incorniciavano una pelle pallida e priva di ogni imperfezione, le ciglia lunghe, ma non abbastanza da celare quelle iridi color ghiaccio in cui Eren amava perdersi. Seguendo il profilo, si soffermò sul naso, piccolo e con la punta leggermente rivolta all’insù; scese ancora fino ad arrivare a quelle labbra – due linee sottili rosa tenue – che in quel momento avrebbe tanto voluto baciare.
Era così concentrato sul profilo del maggiore, che neanche si accorse che la macchina si era ormai fermata e il motore spento.

Il suo appartamento non era lontano dalla sede universitaria, ma quando si guardò attorno, si rese conto di non riconoscere il paesaggio circostante. Si trovavano in pieno centro città, dove le vetrine dei negozi di alta moda – addobbate con le decorazioni natalizie – erano le padrone indiscusse di quella strada tanto grande quanto affollata, mentre i grattaceli svettavano alti sopra le loro teste. Erano nel quartiere
“In” di Trost, molto lontani dalla zona semiperiferica del suo appartamento ed Eren si rese così conto di aver passato quasi più di mezz’ora ad osservare il volto del maggiore.
«Dove siamo?»
«A casa mia moccioso» rispose semplicemente l’altro, indicando un palazzo dai colori chiari, lo stile moderno e l’enorme portone in vetro. Era ovvio che un architetto del suo calibro, non abitasse in periferia; il ragazzo si aspettava magari di ritrovarsi nella zona residenziale – quella con tutte quelle villette a schiera dai giardini sempre curati – e non in un attico in pieno centro città.
«E perché siamo qui? Non dovevi aiutarmi a studiare?»
«Ed è proprio quello che farò, ma non avevo alcuna intenzione di fare lezione ad altri due studenti oltre a te. Qui staremo tranquilli come in biblioteca, ma senza quella rompiscatole della bibliotecaria»

«Pensavo che ci sarebbe voluto più tempo per inculcarti, in quella zucca che ti ritrovi al posto della testa, queste nozioni moccioso»
«Non sono un idiota. E comunque, ho un buon insegnante»
Eren si rese conto che il corvino era riuscito, in un pomeriggio, a fargli assimilare tutti i concetti matematici che lui non era riuscito a comprendere in quattro mesi di studio.
Certo, non era stato facile mantenere alta la concentrazione, seriamente messa alla prova dalla costante – e soprattutto molto vicina – presenza del maggiore.
Stavano insieme da un anno ormai, ma Eren sentiva ancora le farfalle nello stomaco, il battito del cuore accelerare e il respiro farsi irregolare, quando percepiva anche solo la presenza del compagno. Il profumo di menta e muschio gli invadeva le narici, annebbiandoli la mente e facendolo rabbrividire, mentre sentiva la pelle andare a fuoco – quando il corvino gli sfiorava il braccio o la spalla – tanto da credere di morire per autocombustione da un momento all'altro.
Nonostante ciò, il ragazzo aveva tutte le intenzioni di continuare a studiare quella materia fatta di formule, lettere e numeri.
Puntò i suoi occhi sul libro di testo, fingendo di rileggere un paragrafo; l’uomo si era fatto più vicino ed Eren tentava di aggrapparsi a qualunque cosa pur di mantenere la lucidità: strinse la penna tra le dita, si concentrò sul ticchettio di un orologio, nel vano tentativo di regolarizzare il respiro e il battito cardiaco.

Ma tutti i suoi buoni propositi vennero – ancora una volta – fatti saltare nel momento in cui il maggiore annullò la poca distanza rimasta tra loro, baciandolo con foga.
Era raro che fosse il corvino a prendere l'iniziativa delle loro effusioni, sia in pubblico che in privato, lasciando ad Eren il ruolo di eterno romantico. Ma forse l'essere da soli e al sicuro all'interno delle proprie mura casalinghe, aveva dato al maggiore il giusto coraggio per assaggiare le labbra carnose e dolci del ragazzo.
Per questo Eren, dopo i primi secondi di stupore, si era ritrovato a rispondere al quel bacio con altrettanta foga e passione, portando le braccia attorno al suo collo e affondando una mano nei capelli neri come la pece per stringerlo ancora di più a sé.

Non sapeva come né quando, i due si erano spostati dal salotto, ma Eren capì di essere nella camera del corvino nel momento in cui la sua schiena impattò contro il materasso.
Si osservarono per un momento che parve infinito – carico di domande e di risposte – poi il ragazzo, tirandosi sui gomiti, annuì silenziosamente.
Il maggiore si allentò la cravatta per poi distendersi su Eren e tornare a lambire quelle labbra già gonfie per i baci. Si sistemò sul grembo del ragazzo, le loro intimità vicine ma separate dalla stoffa; il castano incrociò le braccia attorno al collo del compagno, mentre questi inseriva le mani fredde sotto al bordo della felpa per lasciare una scia di carezze su quella pelle bollente e naturalmente abbronzata.
Si staccarono solo per togliersi gli indumenti, ormai superflui, per poi riavvicinarsi subito, come due calamite che si attirano, incapaci di stare lontane; pelle contro pelle, i respiri l’uno sull’altro.
Con un colpo di reni, Eren ribaltò la posizione, sistemandosi tra le gambe del corvino. Gli carezzò la guancia pallida, fissando le sue iridi verdi in quelle di ghiaccio, in una muta richiesta.
Stavolta fu l’uomo ad annuire, riprendendo possesso della bocca del giovane, mentre questi si faceva largo dentro di lui. Il maggiore strinse le gambe attorno ai fianchi del ragazzo, avvicinando ancora di più i bacini e guidandolo nei movimenti, mentre l’altro affondava sempre più in profondità; in un gioco di potere le cui regole venivano imposte da entrambi, ma nessuno dei due le rispettava, perché entrambi volevano avere il controllo e a sua volta essere controllati, volevano mangiare ed essere mangiati, da quella fortissima passione.
Le spinte si fecero irregolari, Eren stringeva quel corpo più piccolo tra le braccia, mentre il corvino gli graffiava le spalle, lasciando dei segni rossi sulla pelle. Raggiunsero l’apice del piacere insieme, soffocando i gemiti labbra contro labbra, sussurrandosi i loro nomi all’orecchio, mentre i loro cuori battevano veloci, ma all’unisono. Perché ora non erano più due esseri separati e distinti, ma un’unica entità che finalmente si era ricongiunta.

La luce del sole filtrava dalle tende, illuminando debolmente la stanza. Eren si svegliò sentendo un leggero tocco che gli accarezzava la testa. Aprì lentamente gli occhi, incapace di trattenere un sorriso per quel gesto semplice ma incredibilmente intimo.
Il castano si avvicinò all’altro, stringendo a sé quel corpo più piccolo del suo, lasciando una scia di baci partendo dalla spalla, seguendo la linea della clavicola, risalire dal collo e infine seguire il profilo della mascella.
Il suono della risata dell’uomo sorprese il minore, interrompendosi per guardarlo. Era un suono roco, flebile, eppure Eren lo percepì benissimo, amplificato dai sentimenti che provava per lui.
Ed era bellissimo.
«Perché ridi? Ho fatto qualcosa che-»
«No moccioso. Anzi… stavo pensando che non sarebbe per niente male potersi svegliare così tutti i giorni» rispose baciando il ragazzo sulla fronte.
A quelle parole il cuore nel petto di Eren fece ben più di una capriola, tanta era la felicità per quella semplice frase pronunciata, però, con estrema serietà e determinazione.
«Vogliamo provare?» si schiarì la voce il castano.
«Cosa?»
«Chiudi gli occhi»
L’altro lo assecondò, abbassando le palpebre e nascondendo le sue iridi a quelle smeraldo del giovane.
Eren poggiò le labbra su quelle del compagno, in un bacio leggero, eppure carico di tutto l’amore che provava per lui.
Si staccò appena, le fronti unite, i respiri che si intrecciavano, tanto erano vicini e le labbra che di sfioravano ad ogni minimo movimento.
«Buongiorno» disse poi sorridendo.
«Buongiorno Ren»
∼ ∼ ∼ ∼ ∼

Eren sentì di nuovo il terreno sotto ai piedi. Tornò a percepire l’odore pungente del gas di scarico delle auto, il suono del chiacchiericcio delle persone intorno a lui; poi ritrovò anche la vista e lo vide.
Aveva la sua stessa espressione dipinta in volto – lo sapeva – eppure c’era qualcosa nella rigidità delle sue spalle, nel suo sguardo che esprimeva stupore, sì, ma anche una incalcolabile tristezza, che destabilizzarono il castano.
L’uomo dai capelli neri e gli occhi di ghiaccio, sollevò una mano pallida e tremante coprendosi la bocca, ma Eren poté comunque sentire quell’unica parola pronunciata con voce roca e tremante, come se fosse stata urlata attraverso un microfono.
«Ren»







  N/A
Ciao a tutti! Ecco qui il secondo capitolo.
Spero non ci siano errori e perdonatemi perché questa è in assoluto la prima volta che mi cimento nello scrivere una scena… * blush * sì insomma avete capito.
Comunque (scleri a parte), le due visioni di Eren sono due scene random del loro futuro; non vi dico la fatica per evitare di scrivere il nome del nostro corvino, ma era necessario poi capirete il perché di questa scelta.
Vi informo che il prossimo capitolo sarà l’ultimo, ma che (molto, molto e sottolineo molto) probabilmente questa storia farà parte di una serie. Quindi preparatevi!
Julz

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Capitolo 3
*** Need you now but I don’t know you yet ***


Finding-COVER

Need you now but I don't know you yet



Buon compleanno Ren.

Buongiorno Ren.

Ren.


Aveva sentito più di una volta il corvino pronunciare quel soprannome durante la sua visione, ma sentirlo di persona, mozzò il respiro del giovane. Quelle tre semplici lettere provocarono in Eren una serie di brividi che gli percorsero tutta la colonna vertebrale, fino ad arrivare alle gambe.
Le ginocchia tremarono tanto da fargli credere di non riuscire a reggere il proprio peso; poi quella scossa rifece quel percorso a ritroso – risalendo – fino a tornare alla nuca.

Eren era rimasto immobile – così statico da far invidia ad una statua –, con le immagini che ancora gli passavano veloci davanti agli occhi spalancati, mentre tentava di regolarizzare il respiro.
Era sconvolto dal fatto che lo sconosciuto lo avesse chiamato per nome. Perché era vero che i due erano predestinati, ma fino ad allora non si conoscevano. Non potevano conoscersi.
Tuttavia, l’espressione sconcertata che quell’uomo gli aveva rivolto – carica di tristezza e sofferenza – dimostrava al castano l’esatto opposto. Il corvino dagli occhi magnetici lo conosceva, sapeva chi era ed Eren voleva sapere come era possibile. Ma quando lo studente uscì da quel tunnel di pensieri sconnessi e mise a fuoco davanti a sé, dello sconosciuto non c’era più traccia: era sparito in mezzo alla folla.

Si guardò veloce intorno, scrutando ogni persona che lo superava, indugiando su ogni volto nel tentativo di ritrovare quelle due iridi grigio-azzurre fredde come il ghiaccio, ma capaci di incenerire qualunque cosa su cui esse di posassero.
Eren imprecò mentalmente, stringendo i pugni così forte da sbiancare le nocche e sentire il pungente dolore delle unghie nei palmi.
Com’era possibile che avesse perso la sua anima gemella nell’esatto momento in cui l’aveva incontrata?
Quell’uomo era lì, davanti a lui, eppure gli era sfuggito; aveva finalmente la felicità a portata di mano e lui – troppo preso dalla sua mente che cercava di dare un ordine ai pensieri – se l’era fatta scivolare dalle mani, così come un bambino perde la presa del suo aquilone e sente il filo scivolargli inesorabilmente dalle dita.
No! Non poteva finire così. Non lo avrebbe permesso.

Le sue iridi tornarono a saettare da un passante all’altro, pochi secondi per ogni individuo, perché Eren sapeva che se lo avesse trovato tra quella fiumana di gente, sarebbe stato solo grazie al suo istinto.
I suoi occhi furono attirati da una figura di spalle non molto distante da lui, avvolta da un cappotto nero, e una testa corvina – con lo stesso taglio undercut della sua visione – allontanarsi a passo svelto, evitando le persone.
Il castano, però voleva risposte, e soprattutto non aveva nessuna intenzione di lascarsi sfuggire la sua anima gemella, non ora che – per puro caso, o per volere del destino stesso – l’aveva trovata.
Si diede quindi all’inseguimento, facendosi largo con spintoni e gomitate tra i pedoni che affollavano il marciapiede, ricevendo imprecazioni in risposta a quei modo poco gentili. Quando finalmente lo raggiunse, Eren gli afferrò prontamente un braccio, arrestando così la fuga dell’uomo.

«Ehi! perché sei scappato?»
«Lasciami» rispose secco il corvino, continuando a dare le spalle al ragazzo.
«C-cosa? No! Ci siamo appena incontrati, non posso… non voglio lascarti andare! Ti rendi conto della fortuna che abbiamo appena avuto? Di quanto sia raro e prezioso tutto questo? Non dico che dovresti lanciarti tra le mie braccia come nelle commedie romantiche, ma dovresti almeno esserne felice» riprese il giovane come se l’uomo non avesse detto nulla e mantenendo la presa salda sull’avambraccio dell’altro.
«Felice, dici?» chiese retoricamente il corvino, per poi girarsi verso il ragazzo.
I loro sguardi si incatenarono l’uno all’altro: smeraldo nella jeremejevite; tuttavia, quel colore, che nella sua visione era così simile al ghiaccio puro e cristallino, ora era scuro e torbido come le nubi in tempesta.
Le sue iridi tremavano, la pupilla ridotta ad un mero puntino, come se guardarlo negli occhi procurasse al maggiore una rabbia sofferta, tuttavia Eren comprese che fosse un tipo troppo orgoglioso per dargliela vinta e distogliere lo sguardo.
«Io non posso essere felice, non potrò più esserlo. Non importa quante volte io ci abbia provato. I-io… con il destino non voglio più averci niente a che fare. Ora lasciami il braccio moccioso» sputò ogni parola con rabbia, ogni lettera era una pugnalata allo stomaco, ma se a Eren fecero male, quelle parole erano molto più dolorose per chi le aveva appena pronunciate.
«Beh, si vede che ci hai sempre provato con la persona sbagliata… anch’io fino ad ora non ero del tutto felice, ma adesso è diverso! Ti ho trovato e… e tu hai me… e non ci credo che non potrai essere più felice, perché possiamo esserlo insieme» rispose conciliante lo studente, credeva fermamente nelle parole appena pronunciate. Gli davano speranza e sperava potessero dare speranza anche all’altro.
Sofferenza, incredulità e confusione.
Erano questi i sentimenti che si susseguirono veloci nell’espressione disorientata dell’uomo, quando udì quella frase, un po’ sconnessa, eppure così chiara. Emozioni totalmente contrastanti alla rabbia con cui lo sconosciuto colpì Eren un istante dopo.
«Ma come ti permetti di giudicare la mia vita? Tu… tu non mi conosci! Non sai quello che ho passato. Credi che basti l’aiuto del destino perché ci sia un lieto fine come nelle favole? Lascia che ti dica una cosa: a me il destino ha dato solo sofferenza! E se continui ad inseguirlo ne darà anche e te» urlò il maggiore, attirando l’attenzione di alcuni passanti.
«Ora chi è che giudica senza conoscere?» rispose Eren alterato.

Le iridi fredde del corvino furono per la seconda volta attraversate dalla sorpresa, per quella domanda fatta a bruciapelo, subito rimpiazzata da una maschera dura di falsa indifferenza. Lo sconosciuto distolse lo sguardo, sembrava essere consapevole che se lo avesse tenuto ancora fisso negli occhi del più giovane, quest’ultimo avrebbe capito la moltitudine di pensieri che affollavano la mente del corvino.
Il castano, scosso da quell’ennesima – e repentina – reazione del maggiore alle sue parole, usufruì di quel momento di impasse per osservarlo con attenzione.
Era molto più basso di lui, con una corporatura minuta, nascosta sotto quel cappotto nero e lungo fino alle ginocchia. Eppure qualcosa nella sua postura – ma soprattutto dai muscoli dell’avambraccio che sentiva sotto la sua presa – gli suggeriva che non fosse del tutto indifeso.
I lineamenti del volto erano delicati, ma mascolini; le sopracciglia fini, gli occhi sottili incorniciati da lunghe ciglia nere, la pelle pallida priva di imperfezioni, la mascella spigolosa e le labbra piccole. Tutto era come lo aveva visto, ma se nella sua visione, l’uomo era estremamente felice e sereno, quello davanti a sé era mangiato vivo dal dolore e dalla sofferenza, tanto da sembrare un’altra persona.
Eren abbassò lo sguardo sulla sua mano ancora stretta attorno alla manica del cappotto. Fece un respiro profondo per cercare di calmarsi, «Ti lascio andare se mi dici il tuo nome. Io sono Eren Jaeger» pronunciò lentamente e con un tono decisamente più calmo di prima, accennando anche un debole sorriso.
Il corvino sgranò gli occhi, o così parve al castano, perché un attimo dopo la solita espressione dura e accigliata era di nuovo lì.

«Levi Ackerman» rispose – la voce bassa e strozzata dal dolore – dopo quelli che a Eren parvero minuti interminabili.
«Come fai a conoscermi Levi? Voglio dire, se ti avessi conosciuto prima avremmo già avuto la visione del nostro futuro…»
«Non avevi promesso che mi avresti lasciato il braccio moccioso che non sei altro?» rispose invece l’uomo serrando subito dopo la mascella, come a volersi impedire di dire altro, di rispondere alla domanda posta dal castano.
«Primo, non sono un moccioso. Ho ventiquattro anni, e secondo credo che tu mi debba almeno una spiegazione.»
«Io non ti devo proprio nulla e comunque ti sbagli! Non ho pronunciato alcun nome!»
«Non ho mai detto di aver sentito pronunciare il mio nome» lo inchiodò Eren.
Levi fissò per un attimo il volto del giovane, puntando lo sguardo sulle sue labbra carnose dove stava spuntando un sorrisetto compiaciuto.
La cosa però, fece indispettire ancora di più il maggiore che tornò con sguardo ancora più duro a fissare le iridi verdi e brillanti del castano, il quale poté giurare di aver sentito quell’occhiata, arrivargli fin dentro l’anima, tanto era profonda e indagatrice.
«Vuoi che parli? Ti accontento subito testardo di un moccioso. Non ho idea di che cosa tu abbia visto o sentito, ma ti posso garantire che io non ho visto né detto nulla. Quella stronzata del destino l’hai avuta soltanto tu, perché io ci sono già passato tanto tempo fa. E se tu ci credi così fermamente, allora saprai meglio di me che se capita, capita una sola volta nella vita. Quindi adesso mollami il braccio prima che ti tiri un pugno, e lasciami andare perché a differenza tua, io lavoro, non me ne vado certo in giro a importunare gli sconosciuti!»
Detto questo, con uno scatto felino, si liberò dalla presa del minore, si sistemò il cappotto, per poi allontanarsi da Eren quasi correndo e sparendo tra la folla, come a voler mettere – nel minor tempo – quanta più distanza possibile tra se stesso e il ragazzo.

Eren rimase, per la seconda volta in meno di un’ora, immobile. Gli occhi sbarrati, puntati davanti a sé, ma incapaci di vedere, il respiro mozzato e la mano – che prima teneva la manica del cappotto – era ancora sollevata a mezz’aria a stringere l’aria fredda.
Le parole di Levi gli martellavano ripetutamente nelle orecchie, ogni sillaba – pronunciata con estrema e calcolata calma – tuonava nel petto, colpendo con precisione, il cuore del giovane.
Ma c’era qualcosa che Eren non riusciva a capire. Quelle parole lo avevano ferito, avevano dilaniato la sua anima, strappandola in tanti piccoli pezzi, eppure credeva – anzi sapeva con estrema precisione – che quella stessa sensazione di dolore lancinante, l’avesse provata anche il corvino nel pronunciarle.
Sapeva nel profondo, che Levi aveva ostentato una pacatezza che in realtà non gli apparteneva, che quella era solo una maschera – mal indossata – che nascondeva invece una dolorosa sofferenza.
Ogni lettera era stata messa insieme dal maggiore col solo fine di ferire il ragazzo, ogni parola doveva essere una precisa pugnalata al cuore, all’anima; un mezzo per arrivare allo scopo ultimo, quello di allontanare il giovane, di allontanarsi da quell’incontro che Eren voleva, ma che invece, Levi sembrava volersi negare.

Riprese lentamente a respirare, nonostante il dolore al petto rendesse quel semplice e involontario movimento, molto doloroso.
Eren cercò di mettere da parte le emozioni negative che provava in quel momento, per cercare di analizzare con mente lucida tutto il discorso che era stato costretto ad ascoltare.
Non metteva in dubbio la sofferenza dell’uomo – chiaramente espressa attraverso quegli occhi metallici – tuttavia stentava a credere che tutto quello che gli avesse detto corrispondesse a verità.
Perché nonostante la madre e i suoi amici gli presagissero una sordità precoce – vista la sua abitudine di ascoltare la musica a tutto volume – Eren poteva affermare con assoluta franchezza di sentirci ancora benissimo.
Ed era più che sicuro di aver udito Levi pronunciare il suo nome, così come l’uomo della sua visione lo chiamava, e carico di quell’intimità e affetto che solo due persone che si conoscono da tento tempo possiedono.
L’espressione poi che Levi gli aveva rivolto – totalmente opposta al significato di quel discorso campato in aria – valeva più di mille parole; perché il corvino lo aveva riconosciuto come il ragazzo della sua visione, perché – in un modo ancora ignoto al castano – sapeva che Levi lo conosceva.
C’erano mille altri modi in cui l’uomo poteva scrollarsi di dosso un ragazzino troppo cresciuto come Eren, ed uscire da quella situazione a testa alta, da persona adulta quale era, o almeno poteva inventarsi una scusa migliore.
Poteva inventarsi di essere già sposato, o di aver sentito quel nomignolo nella sua visione nonostante Levi si fosse ostinato nell’affermare di non averla avuta.
Di certo non si aspettava quella bugia dalla costruzione all’apparenza stabile, ma in realtà debole come un castello di carte.
Perché Eren era convito che quella fosse una menzogna, se non tutta, almeno in parte.

In definitiva, la sua – la loro – visione era reale, Levi era e sarebbe stato il suo futuro, qualunque verità e sofferenza il corvino nascondesse, Eren era pronto ad affrontarle. Lo avrebbe aiutato a credere di nuovo nel futuro, in un loro futuro insieme, perché il castano credeva nel destino, e c’era solo una cosa in tutto quel discorso senza senso di Levi, in cui entrambi erano d’accordo: Eren era testardo.
Il ragazzo dagli occhi verdi come due smeraldi, quel giorno si era fatto una promessa ed era deciso a mantenerla: avrebbe lottato per la sua felicità, anche se questo significava andare contro la sua stessa anima gemella.

Quella battaglia intrapresa contro il destino, aveva subito una svolta decisamente propizia per il giovane: aveva appreso il suo nome, conosceva il suo aspetto e, grazie alle visioni del futuro, sapeva che era un architetto.
Quanto mai poteva essere difficile rintracciare il suo Levi Ackerman?







  N/A
Eccoci qui con l’ultimo capitolo di questa mini-long.
Come dite? Non può finire così? Invece è tutto vero, ma prima che tiriate fuori torce e forconi o che mi sotterriate viva, vi ricordo che questa storia farà parte di una serie.
Come avrete notato il perno centrale è il tempo: questa storia è incentrata sul futuro (o per lo meno sul pensiero del futuro *hehehe*).
Vi anticipo quindi che la prossima storia (a cui sto già lavorando) invece avrà come tema il passato *tan ta taaaaa*, ma non vi dico altro. (sono aperte le scommesse!)
Ma se il tema principale è il tempo e tu hai scritto del futuro e scrivi del passato, scriverai anche del presente? Vi chiederete….
Ebbene *rullo di tamburi* sì! E vi dico anche che seguirò il detto/perla di saggezza di Oogway. Ecco ho finito per dire anche troppo… mannaggia a me.
Un saluto a tutti i lettori!
A presto!
Julz

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