When You Say Nothing At All

di Pandora_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You need me now... ***
Capitolo 2: *** I need you... ***
Capitolo 3: *** We just need each other ***
Capitolo 4: *** If I Lay Here... ***
Capitolo 5: *** Talk to me... ***



Capitolo 1
*** You need me now... ***


Questa storia partecipa al #writober2020 indetto dal sito di Fanwriter.it
Prompt 5 - Mare
 

You need me now...
 
“Sarebbe mai finito tutto questo? Si poteva porre fine a questo?”
Sapeva che per far cessare quell’odio e quell’odore acre di sangue che si portava dietro dalla partenza da New York doveva porre fine alla vita di Papà Dino, come amava farsi chiamare.
 
Arrivarono a Cape Cod alle prime luci dell’alba e si fermarono a riposare un po’ nel furgone, per poi con calma passare a chiedere le chiavi della casa che condivideva con Griffin prima della loro partenza.
Lasciò quella cittadina che aveva solo otto anni e ci rimise piede a diciassette inoltrati. L’aria era la stessa, l’odore del mare grazie al vento lo raggiungeva e ne respirava il profumo a pieni polmoni.
 
Dormivano tutti, chi con un piede in faccia al vicino, chi messo seduto con la testa penzoloni e chi sdraiato sul volante. Li osservava sorridendo da fuori. Il suo sonno era leggero, da anni ormai. Aveva imparato a dormire ascoltando ciò che intorno a lui capitava, aveva imparato che era proprio mentre chiudeva gli occhi che i mostri lo raggiungevano. Ed Eiji se ne era accorto. Le poche ore che passavano vicini a dormire erano sempre turbolente: schiaffi e calci lo raggiungevano sempre e sentiva spesso sospirare l’americano nel sonno ed imprecare. Imparò a sue spese che durante il sonno Ash era vigile, sempre.
 
“Ti prego, ti prego, ti prego. Non mandarmi via, ti prego tienimi con te. Non voglio andare via. Ho detto la verità, ti prego credimi papà. Lasciami vivere qui con te e con Jennifer. Non voglio andare da tua sorella, voglio stare con te papà.”
Fu durante uno di quegli incubi che Eiji allungò la sua mano per asciugare il sudore che si formò sulla sua fronte. Fu tutta questione di secondo. Ash bloccò il suo polso e lo strinse talmente forte da far formare sul volto di Eiji una smorfia di dolore. Si scusò, si scusò tantissimo e poi si vergognò quando il giapponese gli chiese cosa tormentasse il suo sonno. Non riuscì a rispondere quella notte. Lasciò vagare il suo sguardo nella stanza e poi lo posò su di lui. Gli sorrise Eiji, nonostante tutto gli sorrise.
 
«Buongiorno Ash… sei riuscito a riposare un po’?» Eiji si avvicinò piano ad Ash stando attento a non svegliare nessuno degli altri che riposavano.
«Sai Eiji, stavo pensando che quella sera non ti ho più detto cosa tormenta le mie notti, ti ho fatto male e non ti ho neanche dato una spiegazione. Scusami.» Abbassò la testa e la incastrò fra le gambe fissando l’erba che si estendeva sotto di lui.
«Ma quale male e male, ormai sono diventato forte. Lo ha detto anche Shorter che non sono più il mingherlino che ero quando sono arrivato!» sorrise prima guardando verso Ash e poi fissando con lo sguardo l’orizzonte e proseguì «Sai, è proprio bello il panorama da qui. Potrei svegliare Ibe-san e fargli fare delle foto. Verrebbero splendide.»
«Il mare è l’unica cosa bella di questo posto. Mi ha sempre dato un senso di pace, di calma. Una distesa enorme di acqua, che brilla al contatto con la luce del sole del mattino e che si colora di rosso col tramonto. Cambia colore, cambia il movimento. A volte lento, a volte tumultuoso. Però è sempre lì. Sempre la stessa quantità di acqua. Sempre la stessa superficie.»
«Ti somiglia.» sussurrò Eiji. Ash percepì quel suono.
«Cioè?» chiese.
«Ti somiglia… Ti dipingi di colori diversi in base alla situazione che hai davanti. Sei lento al mattino quando ti svegli, ma diventi agitato di notte. Però sei sempre tu, sei sempre Ash. Hai anche tu la stessa superficie. Proprio come il mare. E proprio come il mare sei immenso, tutto da scoprire.» Restò a fissare il mare cercando di immaginare quello che Ash potesse provare in quelle notti in cui il suo sonno era burrascoso come il mare in tempesta.
«Nessuno mi aveva mai paragonato al mare… ad una puttana magari si. Ma al mare mai. La notte sogno quel maledetto giorno.» prese un lungo respiro e proseguì evitando di incrociare lo sguardo di Eiji «Quando ero piccolo subii degli abusi da un rispettabile cittadino questo posto. Quando mio padre mi vide arrivare a casa decise di denunciare, ma sai… nelle piccole realtà una persona rispettabile non potrebbe mai fare questi schifosi atti. Allora iniziarono le ritorsioni, l’esclusione… Un giorno, stanco, presi la pistola di mio padre e gli sparai. Un intero caricatore addosso ad un solo uomo. Mostro. Mi sentivo solo, inutile, spazzatura. In quel momento mio padre decise di mandarmi via. Ed io non volevo. Ricordo gli urli e i pianti che feci quel giorno e delle braccia che mi tirano via dalla mia casa.»
 
Le sue mani tremavano mentre raccontava il suo passato, a nessuno lo aveva mai detto. Neanche a Shorter, che gli era accanto da anni.  Sapeva che di Eiji poteva fidarsi. Non lo avrebbe mai giudicato. Non avrebbe mai usato questo contro di lui. Eiji era lì senza chiedere mai nulla. Poteva e doveva sapere di lui.
Si strinsero, inconsciamente, l’uno all’altro. Le braccia di Eiji girarono intorno al corpo di Ash e lo strinsero. Gli concesse di essere abbracciato ed Eiji gli donò uno spazio nascosto nel quale solo loro due sapevano quante lacrime fossero state versate.

 
 
"All day long I can hear people talking out loud
But when you hold me near, you drown out the crowd
Try as they may they could never define
What's been said between your heart and mine"
______________________________________________________________________________________________________________________

NdA: continuo a scrivere in questo fandom, perché non potevo mollare Ash dopo la lettera di suo padre così. Non si collegano, momentaneamente le due storie. Forse, in questi giorni si. :P
Qui viene raccontato il momento del loro arrivo a Cape Cod. La chiacchierata tra Eiji ed Ash nell'anime non esiste. Anzi, sarà il Sig. Jim Callenreese a dire loro cosa successe 10 anni prima lì. 
Però mi piace immaginarli così, capaci di parlarsi senza paura. Di mettersi a nudo.
Le strofe finali sono prese da "when you say nothing at all" di Ronan Keating, canzone che "presta" il titolo a questa storia. <3
Grazie a chi passerà e chi lascerà due righe scritte qui!
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** I need you... ***


Questa storia partecipa al #writober2020 indetto dal sito di Fanwriter.it
Prompt 6 - Corda
 
 
I Need You…
 
Il sole ormai era alto e la brezza leggere che tirava alle prime luci dell’alba, lasciava spazio ad un’aria più mite. L’odore salmastro, però, la faceva sempre da padrone.
«Che ne pensi di andare a svegliare quel branco di scansafatiche ora?»
 Ash si alzò di scatto e si passò le mani sui suoi jeans chiari, così da rimuovere qualche filo d’erba che si era attaccato ai pantaloni.
Lo aveva lasciato fare Eiji, conscio che per lui lasciarsi andare così non era cosa da poco. Per lui così riflessivo, così pragmatico, trovare due braccia a stringerlo sarà stata sicuramente una novità.
«Penso che sia ora. Si alzeranno sicuramente tutti doloranti da quel furgone… Ma se lo merita per aver poltrito fino ad ora!»
Risero con sincerità ed insieme, si allentò un po’ la tensione accumulata nelle ore precedenti l’arrivo a Cape Cod.
«Ehi fannulloni! È ora di alzare le vostre chiappe da questo furgone ed aiutarci a scaricare tutto dentro casa!»
Diede una piccola scossa al mezzo e iniziarono a levarsi da terra lamentele di ogni genere.
«Io intanto vado a prendere le chiavi dal vecchio al locale. Vedete di rimettere in piedi questo coso che voglio rimettermi in viaggio entro domani mattina al massimo.»
Fissò per un secondo gli occhi di Eiji e gli fece cenno di no con la testa. Voleva e poteva rimettere piedi là dentro da solo, in fondo si parlava pur sempre di suo padre.
«Ibe-san dopo aver scaricato la macchina voglio portarti giù per il promontorio. C’è un panorama che devi assolutamente fotografare.»
 Il tono di Eiji lasciava capire ad Ibe che era entusiasta di tutto quello che aveva intorno. I panorami, il mare, Ash.
Arrivò fuori la locanda e restò lì immobile a fissare la porta per diversi minuti. Cosa doveva aspettarsi? Cosa doveva dire? E soprattutto, doveva dire qualcosa o lasciar parlare gli altri?
Entrò e si guardò un po’ intorno. Trovò Jennifer dietro al bancone, bella e gentile come sempre. I suoi capelli erano più lunghi dall’ultima volta che l’aveva vista e i suoi lineamenti più provati di dieci anni prima. La vita a Cape Cod non era semplice neanche per lei e la vita con lui non doveva essere delle più tranquille.
«Aslan…»
Trasalì nel sentirsi chiamare col suo nome di battesimo, erano anni ormai che Ash Lynx. Una nuova entità, un nuovo futuro, lo stesso passato.
«Ciao Jennifer. Come stai? Sei sempre la bellissima donna che ho lasciato dieci anni fa… Sai dirmi dove sono le chiavi della casa che condividevo con Griffin?»
Le sorrise sinceramente. L’aveva sempre rispettata per la sua pazienza e il suo modo gentile di trattarlo. Quasi fosse figlio suo, e non spazzatura raccolta in mezzo alla strada.
«No Aslan, aspetta vado a chiamare Jim. Torno subito.»
La vide sparire nel retro del locale e tornare in compagnia di suo padre.  
Non lo vedeva da quando fu sbattuto fuori di casa per andare a vivere da quell’odiosa di sua zia. Non lo sentiva da allora. Ne ricordava i tratti e i capelli. Ne ricordava il carattere, che non brillava di certo per smancerie o belle parole. Ne ricordava la voce, quella sì. La sognava tutte le notti, mischiata alle sue grida di bambino.
«Tieni. Queste sono le chiavi. Prendile e vattene. Non so cosa tu sia venuto a fare qui, ma non sei il benvenuto.»
Neanche lo guardò negli occhi, gli lanciò le chiavi e si girò per tornare sul retro del locale. Jennifer lo trattenne per un braccio e la scansò con tale forza da farla sbattere contro il bancone. Non voleva saperne niente di lui. Di quella puttana da paese che era diventato suo figlio.
«Ma Jim… È Ash. Aslan, tuo figlio. Come puoi trattarlo così? Per favore… Sono dieci anni che non lo vedi, almeno chiedigli come sta.»
Jim non la degnò neanche di uno sguardo. Riprese a camminare verso il retro, si fermò sulla porta per risponderle.
«È riuscito a sopravvivere in quel suo schifoso mondo. Lo vedo e vedo che sta bene. Adesso togliti di mezzo e non intrometterti in cose che non ti riguardano.
 
Lo osservarono entrambi allontanarsi. Jennifer abbassò lo sguardo e strinse nelle sue mani il grembiule rosso che aveva addosso.
«Lascialo stare. È fatto così. Grazie Jennifer, a presto.»
Ash prese le chiavi che gli aveva lasciato il vecchio sul bancone e uscì dal locale. Si soffermò qualche secondo lì fuori a prendere aria. Non lo vedeva da anni, ma non era cambiato niente. Lui era il solito stronzo e lui la solita puttana.
 
***
 
Quando tornò nei pressi della casa li trovò ancora indaffarati a scaricare le cose dal furgone e ad accatastarle tutte sotto al porticato. La casa era piccolina, giusta per lui e Griffin. Era immersa nel verde e il panorama donava quella vista sull’oceano che era impossibile avere da altre zone dalla città.
«Ehi Ash, vieni qui a darmi una mano! Voglio provare a fare una cosa.»
Shorter lo chiamò agitando la mano e urlando come un matto. Una ne fa e cento ne pensa pensò tra sé e sé Ash. Era così Shorter, prendere o lasciare. Era però anche fedele ed un amico sul quale poter contare. Era con lui da quando arrivò in quel quartiere di New York. All’inizio era odio, poi si trasformò in amore e iniziarono una profonda amicizia. Era salda ed era quello che gli serviva per restare con i piedi a terra e con la mente lucida in quella New York così malandata.
«Guarda qui che ho trovato! Potremmo allestire una pedana con questi e con questa corda potremmo fare l’asticella. Dai ho voglia di vedere anche io Eiji volare. Facciamogli una sorpresa.»
 
Nei giorni precedenti al viaggio era capitato ad Ash di ascoltare una conversazione tra Max ed Ibe-san, durante la quale quest’ultimo raccontava come Eiji uscì distrutto dall’ultima gara in cui cadde e si infortunò. Gli raccontò di come fosse un astista formidabile e di come i suoi occhi brillavano quando doveva prepararsi al salto.
È vero. Lo ricordava anche lui come gli occhi di Eiji, durante quel loro primo incontro, brillavano durante il salto. Sembrava avesse le ali, sembrava potesse volare. Lo vide prendere la rincorsa e tirarsi su con l’ausilio di un palo malandato che avrebbe potuto spezzarsi in qualunque momento.
«Ci sto, facciamolo! Però dobbiamo chiedere ai due vecchi laggiù di portarsi via Eiji. Voglio
che sia una sorpresa per lui! Aspetta…. Ibe-san, Max venite qui immediatamente!»
Ibe e Max si fissarono e nello stesso momento l’unico commento che uscì dalla loro bocca fu piccolo strafottente di città. Si avvicinarono ed Ash spiegò loro il loro piccolo piano, Ibe non fu molto d’accordo ma acconsentì comunque. Se per Eiji voleva dire sbloccarsi allora andava bene anche questo.
Lo presero e lo portarono infondo al promontorio, dove poche ore prima i due si fermarono a parlare. Ibe si fece aiutare da Eiji a scattare qualche foto e quando Max gli fece cenno con la mano che tutto era pronto tornarono indietro.
Al suo arrivo Eiji trovò Ash e Shorter seduti sugli scalini che portavano dentro casa e sulle loro facce disegnato un sorriso soddisfatto.
«Allora astista che te ne pare?»
Eiji non riuscì a trattenere una risata sottile. Fissò quell’accrocco tirato su che sembrava somigliare ad un punto per il salto in alto e fissò le loro facce soddisfatte. E continuò a ridere.
«E con questo accrocco cosa dovrei fare io?» Non riusciva a trattenere le risa «e non ditemi che voi due vi siete fatti fregare da questi due pazzi
Ibe e Max sorrisero e fecero si col cenno del capo, arrossirono un po’ a dire il vero. Si sentivano veramente vecchi in mezzo a quel gruppo di adolescenti. Tutti loro avevano lo sguardo fisso su Eiji.
«No sul serio, che dovrei fare con questo? Dai su non scherziamo…l’ultima volta mi sono ritrovato pezzi di vetro ovunque… Non vorrete mica che…»
«Vola!»
La frase di Eiji fu spezzata da una singola voce. Una voce che lui conosceva bene e che avrebbe riconosciuto anche ad occhi chiusi.
            «Vola…come quel giorno. Vola di nuovo e mostrami lo sguardo di quel giorno.»
 
Non ebbe bisogno di sentirsi dire altro. Lasciò in mano ad Ibe-san e a Max gli attrezzi utilizzati poco prima per le foto e si preparò per il salto. Niente asta questa volta. Avrebbe volato solo grazie alle sue gambe. Si allontanò di qualche metro per avere lo spazio giusto per lo slancio. Prese la rincorsa, inizialmente lenta e poi leggermente più veloce. Posizionò il piede in modo da girarsi su sé stesso e si accinse al salto.
La sua schiena oltrepassò la corda che i suoi amici avevano fissato alle aste e cadde poi in un tondo pesante sui materassi arroccati la sotto per attutirne la caduta.
Non saltava per piacere da più di un anno. Restò sdraiato, immobile, ad assaporare l’adrenalina che gli scorreva nelle vene. L’aver trattenuto il fiato fino alla fine e l’averlo rilasciato poi rilassandosi.
Non saltava per piacere da più di un anno. Doveva esserci lui per riprendere a farlo.

 
 
“The smile on your face
lets me know that you need me
There's a truth in your eyes
saying you'll never leave me”
_____________________________________________________________________________________________________________________

NdA: ecco qui il secondo capitolo di questa storia. Il prompt usato è Corda. E si, forse ci stava bene qualche storia triste, qualche storia con morti impiccati. Ma non andava bene per loro. ^_^
Qui si parla di entrambi. Entrambi hanno qualcosa da cui rinascere, qualcosa da riprendere in mano della loro vita. Sono loro due + uno. Shorter. <3 
La strofa finale, come per il primo capitolo, è presa dalla canzone di Ronan Keating " When you say nothing at all" che da il titolo alla storia.

Ringrazio chi ha speso o spenderà del tempo per leggere e recensire.
Al prossimo capitolo! ^_^

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Capitolo 3
*** We just need each other ***


Questa storia partecipa al #writober2020 indetto dal sito Fanwriter.it
Prompt 7 – Bromance
 
We just need each other
 
Avevano ancora del tempo da trascorrere a Cape Cod. Ibe-san e Max ancora non erano riusciti a riparare il furgone per partire in direzione di Los Angeles e le scatole con dentro le cose di Griffin erano già pronte, mancava solo di caricarle sul mezzo insieme alle altre cose che avevano scaricato quella mattina stessa. Avrebbero dovuto passare lì la notte e ripartire immediatamente alle prime luci dell’alba. Era quasi ora di pranzo e si accorsero di non aver comprato nulla di commestibile da mangiare.
Sentirono bussare alla porta di ingresso e Ash andò ad aprire. Si trovò davanti Jennifer con due cestini di vimini e del cibo.
«Siete tutti uomini e ho pensato che non aveste pensato al vostro stomaco…» sorrise mentre porgeva i cestini in mano ad Ash.
«Ti ringrazio per esserti presa cura della casa. Non penso che il vecchio fosse d’accordo… ma ti ringrazio lo stesso.»
«No Ash non è così… io ecco… Sapevo quanto voi due teneste a questo posto e lasciarlo marcire così mi avrebbe fatto male. In fondo… ho sempre sperato che voi tornaste…E sono felice di vedere che, nonostante tutto, tu stia bene.»
Era la donna più onesta e sincera che avesse mai conosciuto. Sempre, da quando arrivò in casa loro non gli hai mai mentito. Lo ha sempre trattato con dolcezza, anche dopo aver saputo cosa faceva quel bimbo di soli otto anni tutto il giorno fuori casa.
 
***
 
Mangiarono fuori vista la giornata soleggiata e poi ognuno di loro tornò ai propri impegni. Chi si occupò di sistemare il furgone, chi di scattare alcune foto, chi di riordinare le cose prima di sera.
Ash si occupò di svuotare e sistemare i cestini di Jennifer. Nel fondo, sotto diversi stradi di tessuto, tastò un pezzo di carta. Era rettangolare e dalla forma sembrò essere una lettera*. La tirò fuori, nessun nome scritto fuori.
La aprì e cominciò a leggere, i suoi occhi restarono incollati a quel foglio e rilesse per diverse volte le frasi riportate la sopra. Nero su bianco. Era tutto lì quanto aveva da dire e quanto, forse, aveva bisogno di sentire in quel momento.
Shorter era lì, a pochi metri da lui e lo fissava. Le sue mani erano prima strette in un pugno e poi rilassate, i suoi occhi prima arrabbiati e poi lucidi.
Erano amici da quando lui approdò per la prima volta a China Town con quel suo fare da americano perfetto e strafottente. Aveva le spalle coperte, e lo sapeva anche lui. Eppure, quando si trattò di schierarsi per una scorribanda di quartiere non ebbe dubbi su cosa fare.
Fu quello il loro primo incontro, e fu quello che segnò la loro fedele amicizia.
«Ehi Capo…» si avvicinò ad Ash con calma cingendogli le spalle con il suo braccio.
«Shorter… quante volte ti ho detto che non sono il tuo capo? A dire il vero non sono il capo di niente…»
La malinconia e la rabbia segnarono quella frase della lince.
«Beh per me resti sempre il Capo Ash! Sai anche Skip diceva che eri un capo fantastico… a trovarne di capi come te!»
Skip…Il piccolo e dolce Skip. Era un bambino speciale, non si era tirato indietro quando si è trattato di proteggere lui ed Eiji.
«Shorter…» lo ammonì Ash. Odiava parlare del passato, odiava parlare delle morti che si era lasciato alle spalle. Sapeva che la colpa era sua e l’unico modo che aveva per rendere omaggio a quelle morti era far fuori Papà Dino e i suoi vermi di scagnozzi.
«Va bene, va bene. Alzo le mani, sei solo Ash. O forse sarebbe meglio che da oggi ti chiamassi Onee-chan?» Prese a ridere alla fine di quella frase e intanto indietreggiava consapevole che Ash si sarebbe girato di lì a breve per tirargli un calcio.
«Shorter!» Presero a rincorrersi prima dentro casa e poi fuori. Correndo verso il promontorio che avevano davanti la casa e continuando a sbeffeggiarsi.
«Onee-chan, onee-chan dai! Basta ti prego. Sono sfinito.»
Shorter alzò le mani in segno di resa e si buttò sull’erba fresca. Aveva il fiatone e non riusciva a trattenere le risate nel vedere lo sguardo severo di Ash.
«Piantala brutto idiota! Onee-chan cosa! Mica siamo in Giappone qua eh…»
Ash con il fiatone riuscì a malapena a rispondere a Shorter e si sdraiò accanto a lui.
Shorter sapeva riconoscere quando era malinconico e quando triste, e i suoi occhi verdi erano per lui come un libro aperto. Lo guardò fissare quello sfondo che, non tante ore prima, si soffermò ad osservare in compagnia di Eiji. Li aveva visti vicini, li aveva visti abbracciati.

Si alzò e poggiò le mani sull’erba ed allungò le gambe. Continuò a fissare il mare anche lui.
«Perché vorresti dirmi che non ti piacerebbe andare in Giappone almeno una volta nella vita?»
Il volto di Ash si girò quasi meccanicamente verso Shorter. Andare in Giappone… quante volte da quell’incontro lo aveva pensato e desiderato? Tanto, troppo per uno come lui che non si legava a niente e nessuno. Tanto, da farlo capire anche a quello zuccone di Shorter.
«Mi piacerebbe sì… hai ragione. Hanno dei luoghi magici e del cibo che vorrei provare… Mi piacerebbe tanto visitarlo…»
«Visitarlo... o viverlo? Ash, puoi scegliere ciò che vuoi. Non sei obbligato a continuare questa battaglia. Puoi scegliere una vita diversa, la tua vita. Puoi scegliere tranquillamente lui
Non ebbero bisogno di dirsi altro. Stettero ancora un po’ lì seduti, ad assaporare la tranquillità che in quel momento li avvolgeva.

 
"If I lay here
If I just lay here
Would you lie with me
and just forget the world?"

_____________________________________________________________________________________________________________________________________

NdA: Il nuovo capitolo è online. In questo pezzo di storia ho voluto introdurre Shorter, pilastro importante nella vita e nella storia di Ash. Non ho mai affrontato o scritto di questa tematica e spero di essere riuscita a rendere bene il prompt offertomi da Fanwriter.it per questo #writober2020 :)
L'asterisco che vedeve nel testo fa rifermento alla Flashfic "Father and Son" in cui si può leggere il contenuto di quella lettera, perciò si potrebbe collocare subito dopo questo capitolo. Potete non leggerla, ma se volete sapere cosa Jim Callenreese avesse da dire al figlio, fate pure :)

La strofa alla fine del testo è presa dalla canzone di Snow Patrol "Chasing Cars".

buona lettura e grazie a chi passerà di qua!
PS scusate per eventuali errori... prometto che appena finito questo mese rileggerò a correggerò dove necessario <3 ^__^

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Capitolo 4
*** If I Lay Here... ***


Questa storia partecipa al #writober2020 indetto da Fanwriter.it   
Prompt – Occhio + Coinquilin


If I Lay Here...
 
Partirono quella sera stessa verso Los Angeles. Come sempre alla guida c’era Max, accanto a lui sedeva Ash e dietro, persi nel sonno, Ibe, Shorter ed Eiji.
«Oh my darling, oh my darling, oh my darling clementine…»
Riecheggiava nel camion questo ritornello come se fosse infinito.
«Oh mio Dio Max! Basta! Ma non puoi cantare altro o andare avanti con la strofa?»
Ash non ne poteva più di ascoltare lo stesso pezzo all’infinito. Non capiva perché lo cantava e perché non andasse avanti.
«Non posso andare avanti piccolo Ash… Non conosco il resto il della canzone!» Si giustificò Max continuando a canticchiare quello stesso pezzo per altri minuti.
«E si può sapere, di grazia, dove hai imparato questa canzone e perché non ne hai memorizzato altri pezzi?» Gli chiese Ash con un tono sarcastico che gli si addiceva molto.
Max lo scrutò con i suoi occhi e cercò di capire se fosse il caso di dirglielo.
«Sei sicuro di volerlo sapere, Ash?»
Ash si voltò di colpo verso il guidatore e lo fissò per alcuni secondi. Con un cenno del capo fece capire a Max di voler ascoltare quella storia, di voler conoscere qualcosa in più.
«Eravamo in Vietnam e spesso ci radunavamo la sera intorno al fuoco a cercare di riposare un po’. Nessuno di noi conosceva grandi canzoni ma tra di noi c’era un militare che con la musica ci sapeva davvero fare. Gli bastava avere una ciotola ed un cucchiaio e tirava fuori delle piccole basi musicali. In una di quelle sere suonò “oh my darling”, il problema è che conoscevamo tutti solo il quel pezzo. È da quella sera che ho iniziato a canticchiarla.» Si stampò sul volto di Max un sorriso malinconico, fu in una di quelle sere, fu mentre tutti loro canticchiavano, che Griffin impugnò il fucile. Fu in una di quelle sere che vide il suo amico ferire mortalmente e non tanti loro colleghi. Fu in una di quelle sere che vide Griffin impazzire.
«Era Griffin vero? Il musicista del gruppo… Già. Amava scrivere e amava suonare. L’artista lo avevo soprannominato da piccolo. Lo ricordo sempre con una penna in mano e sulle sue labbra delle canzoni allegre, orecchiabili. Era sempre sorridente, sempre proprio a far battute. Sempre disponibile ad aiutare il prossimo. Griffin era Griffin. Era il mio pilastro, la mia ancora di salvataggio.»
Max restò in silenzio. Era Griffin, e lo ricorderà per tutta la vita. Lo ricorderà sorridente, e subito dopo con occhi impazziti. Lo ricorderà cantare con loro, e subito dopo sparargli addosso. Lo ricorderà intento a scrivere lettere, e subito dopo in mezzo al suo stesso sangue.
Da dietro, Eiji ascoltò tutta la loro conversazione. Non si intromise, li lasciò parlare. Aveva capito che Max non avrebbe mai abbandonato Ash e che aveva bisogno di essere protetto, sorretto ed aiutato. Aprì piano i suoi occhi e intravide, riflesso nel finestrino del camion, lo sguardo spento di Ash. Amava suo fratello, lo ama più di stesso. Se ne prese cura, nonostante la sua giovane età. Non per riconoscenza, non per pena. Ma perché gli voleva bene. Cercò tanto una cura a quella malattia, a quella droga. La cercò tanto da perdersi per strada i pezzi di sé stesso. Da non avere più un’anima sulla quale pregare. Da annullare il suo essere uomo per il suo bene.
Inconsciamente allungò una mano, fino a trovare quella di Ash. Gli sfiorò un dito e l’americano trasalì a quel tocco. Non ebbe bisogno di voltarsi per capire chi fosse, avrebbe riconosciuto quel tocco tra miliardi di persone. Prese la sua mano e la strinse e si addormentarono così.

 
***
 
Arrivarono a Los Angeles il mattino seguente. Fecero solo un paio di soste durante la notte, giusto per far sgranchire le gambe a Max e svegliarsi un po’ durante la guida notturna.
Decisero di dividersi, Ibe-san e Max andarono a trovare alcuni loro amici di vecchia data stanziati da anni nella città degli angeli. Ash, Eiji e Shorter si imbarcarono nella ricerca di un posto dove stare in quel periodo. Trovarono poco dopo una piccola palazzina con sei appartamenti in tutto. Presero il più grande. Aveva due grandi stanze con quattro letti, due bagni, un piccolo angolo cottura e una sala con divano, tv e altri mobili. Venne quasi naturale in quel contesto la divisione delle stanze. Ne avrebbero occupata una, e fatto dei turni di guardia nella sala per prudenza. Qualora qualcuno li avessi seguiti o visti girare per Los Angeles.
La prima notte fu Shorter a farsi carico del turno serale. Ash ed Eiji condivisero quella stanza grande, la cui vetrata donava loro uno scorcio particolare della città. Al tramonto tutto si colorava di rosso vivo, sembrava tutto fermarsi per poi riprendere vita con il tepore della luce della luna.
«Ehi Ash, dormi?» Eiji spezzò quella scia di pensieri che entrambi li teneva impegnati quella notte.
«No, sono sveglio. Pensavo. Poi lo sai che dormo poco… e questo letto è troppo scomodo!»
Sentì nel suono delle sue parole una leggera risata. Capì che era nervoso. Rifletté diversi minuti su cosa dire e come dirlo. Qualsiasi cosa avrebbe potuto far scattare in Ash rabbia e frustrazione per come le cose erano andate.
«Perché non…» fu interrotto dal suono di una voce a lui familiare.
«Perché Eiji non mi racconti di com’è il Giappone in questo periodo?»
Si capirono entrambi, Ash capì cosa Eiji volesse dirgli ed Eiji capì cosa Ash cercò di dirgli con quella domanda.
«Vuoi sapere del Giappone. Fammi pensare… Posso dirti che nel periodo primaverile i ciliegi sono in fiore, e che restano in fiore per poche settimane. Tutto si colora delle sfumature del rosa e prende vita. Gli alberi, le strade, i laghi ed i fiumi. Posso dirti che non festeggiamo come voi il Natale, ma che se scende la neve quel periodo diventa magico. Posso dirti che, quando entriamo in casa, abbiamo l’usanza di toglierci le scarpe e indossare delle pantofole. E poi… poi posso dirti che la nostra musica tradizionale non è orecchiabile per niente, fidati!»

Sorrise, nel dire l’ultima frase restando a fissare il soffitto. È vero, il Giappone era bella per tante cose, ma la musica tradizionale giapponese non rientrava tra queste.

«Deve essere bello… Il Giappone. Deve essere bello poter vivere lì… Godere di questi spettacoli della natura.»

«Vieni via con me… Viani con me in Giappone Ash. Io non so cosa potremo fare una volta lì… ma vieni via con me. Non hai più nulla che ti trattiene in America… Potresti ricominciare. Potremmo cominciare insieme…qualcosa.»

Quel sussurro di Eiji, detto di getto, raggiunse le orecchie di Ash, ogni singola parola la percepì benissimo.
Quando desiderò sentirsi dire quelle parole? Quanto desiderò che potesse andare così la sua inutile vita? Scegliere lui. Aveva il diritto di scegliere lui come gli aveva detto Shorter?
Cadde in un sonno profondo, quella notte, sognando sentieri di ciliegio in fiore.
“I need your grace
To remind me
To find my own”
_____________________________________________________________________________________________________________________________________

 
NdA: non sono riuscita a scrivere ieri, perciò eccomi qui con due prompt uniti in un solo pezzo di storia. Qui c’è tanto di Ash e tanto di Eiji. Hanno lasciato Cape Cod e sono andati a Los Angeles.
Hanno preso un appartamento insieme, nel quale c’è anche Shorter.
La strofa finale è sempre presa da “Chasing Cars” di Snow Patrol.
 
Ringrazio chi passerà di qui e mi scuso per eventuali “orrori” che possiate trovare nel testo ^_^
Buona lettura!

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Capitolo 5
*** Talk to me... ***


Questa storia partecipa al #writober2020 indetto dal sito di Fanwriter.it
Prompt 10  – Lingua 

Talk TMe...

 
Quella mattina Eiji si alzò presto, scese ed andò al market sotto il palazzo per comprare qualcosa, qualsiasi cosa, per la colazione.
Non mangiavano da quando era partiti da Cape Cod e quella sera nessuno loro riuscì a buttare qualcosa nello stomaco.
Risalì e sbatté addosso al mobile posto all’ingresso e si diresse verso la cucina. Iniziò ad armeggiare con gli utensili da cucina e a impiastricciare un po’ nella padella. Il profumo raggiunse subito il naso di Shorter e si alzò.

«Ohayō Shorter. Ti ho svegliato?» Con un sorriso timido Eiji si risolve verso il ragazzo appena sveglio.
«Oh non so cosa mi hai detto all’inizio, ma no. È questo buon profumino ad avermi svegliato!»
si avvicinò a Eiji annusando il vapore che saliva dalla padella sul fuoco.
«Prima ti ho salutato… Ohayō è il nostro modo di dire buongiorno.»
«Ah, insomma come il nostro Zǎoshang hǎo, il nostro buongiorno.»
Shorter sorrise, viveva a China Town da una vita e parlava cinese solo nel suo ristorante ormai.  «E dimmi Rìběn, cosa stai preparando di buono? Qualcosa della tua zona?» Lo prese in giro vedendolo indaffarato e concentrato.
«Sto preparando delle Sukuranburueggu, poi ho preso delle Dōnatsu dal Konbini qui sotto e stavo preparando del Kōhī e del tè.»

Gli li venne da ridere guardando la faccia di Shorter stralunata da tutte quelle parole giapponesi messe lì. E mentre rideva si apprestò a dirgli che stava preparando delle semplici uova strapazzate, e che i Donuts che trovava lì erano stati presi al market che si trovava sotto casa e che aveva preparato anche del caffè, rigorosamente americano.

«Ok, ok, ci sto. Non avevo capito neanche guardandoti quello che stavi preparando. Invece la nostra Zǎocān è leggermente diversa… Mangiamo i bao zi, piccoli panini tondi, poi mangiamo i Miàntiáo, classici noodles cinesi e del budino. Riflettendoci bene…neanche più noi cinesi facciamo una colazione tradizionale. Ormai abbiamo imparato a mangiare come gli americani.»
Scoppiarono a ridere entrambi, in quell’insieme di parole indecifrabili e odori che ormai erano diventati familiari.

Nessuno di loro due si accorse che sullo stipite della porta c’era poggiato Ash, intento ad osservare i suoi due amici giocherellare e parlare in lingue che, piano piano, stava imparando a conoscere.

«Si può sapere che cos’è questo caos di prima mattina?» Si avvicinò a Eiji rubando del cibo dalla padella ancora bollente.
«Ma sono buonissime queste uova! Da oggi cucinerai tu per tutti noi… vedo che te la cavi bene Eiji.»
Sorrise verso il giapponese, che ricambiò.
«Gomen'nasai Ash. Non volevo svegliarti. Era presto ed ho pensato di andar a prendere qualcosa da mangiare.»
«Gomen…» Eiji si voltò verso l’amico e capì di aver parlato in giapponese senza rendersene conto.
«Oh, si scusami. Gomennasai vuol dire scusa. Non pensavo di svegliarvi entrambi, volevo lasciarvi riposare un po’. Sarete stanchi…»

È vero, il viaggio e la sosta a Cape Cod non portò ristoro a nessuno di loro. Ash ne uscì nervoso e più stanco di prima, Shorter restò tutta la notte sveglio con la paura che qualcuno li trovasse in quell’appartamento. Di Ibe e Max non seppero nulla in quelle ore, non furono contattati da nessuno.
L’unico che riuscì a riposare fu Eiji. Un po’, quel che bastò a farlo stare in piedi quella mattina. Lo sentì lamentarsi tutta la notte.
Il sonno di Ash, se ne accorse anche a Cape Cod, non era tranquillo. Spesso si agitava, spesso urlava…e a volte lo trovava a lacrimare. Non dormiva, viveva in un perenne stato di dormiveglia. E questo lo logorava. Dentro.

«Don’t worry, Japanese man! Però, per favore. Non uscire da solo. È pericoloso.»

Gli rivolse uno sguardo preoccupato mentre si sedevano tutti e tre al tavolo per la colazione. Mangiarono in silenzio, ognuno i loro assorto in qualche pensiero.
«Insomma, io il cinese lo so a forza di frequentare questo tipo qui.» Ash indicò Shorter, seduto accanto a lui. «Ma di giapponese non so proprio niente… cosa mi insegni? Gomennasai ho già capito cosa vuol dire…e poi?»
«Beh ce ne sono tante di parole, qualcosa che vuoi sapere? Che ne so… Buongiorno?» chiese Eiji.
«No, ho sentito anche quella che dovrebbe essere… aspetta… Ohayō. Si è questa. Non so potresti dirmi… Addio. Si, voglio sapere come si dice addio.»
Mantenne lo sguardo basso. Addio era una parola che troppo spesso, nell’ultimo periodo, si ritrovò a dire. Skip, Griffin, Jennifer… Jim.
Ne mancava uno all’appello, il più importante per lui. Non poteva sentirsi soddisfatto senza la dipartita di Papà Dino. Viveva per quello. E basta.
Eiji lo fissò, senza dire una parola. Addio non gli piaceva. Non si addiceva a lui, a loro.
«Sayōnara. Si dice Sayōnara
Ash alzò lo sguardo e incrociò i suoi occhi neri, profondi. Lo fissò per qualche secondo.
«Sayōnara si dice… che bel suono.»

 
"Life is a sum of
all your choices."
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NdA: ora...non stiamo a guardare il giorno... ^___^ Sono leggermente, ma di poco, in ritardo col writober2020 lo so T_T 
Ho trovato qualche difficoltà con la vita quotidiana... Però eccomi qui. Questi capitoli saranno brevi, ad introdurre ciò che verrà dopo. Alcuni saranno più canon rispetto alla storia, perché non si può stravolgere il tutto di punto in bianco. :) 
Chiedo perdono alle persone che si intendono di cinese e giapponese, le traduzioni arrivano direttamente da google :P spero siano per la maggior parte esatte *__* 

ringrazio come sempre chi passerà di qui e chi lascerà un pensiero per la storia ^_^
A presto! (Spero) :P 

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