Get back in my life

di Little Firestar84
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pictures of you ***
Capitolo 2: *** Stop telephoning me ***
Capitolo 3: *** Let's steal a ghost ***
Capitolo 4: *** When I was young ***
Capitolo 5: *** Robin Hood & Little John ***
Capitolo 6: *** Last Friday Night ***
Capitolo 7: *** Mission Impossible ***
Capitolo 8: *** Jakie Chan ***
Capitolo 9: *** Ridere per non piangere ***
Capitolo 10: *** Good Romance ***



Capitolo 1
*** Pictures of you ***


Grazie mille a Soul_Shine e alla sua prompt_chellenge  "Just stop for a minute and smile" che trovate qui. Tutta questa storia è praticamente basata sui promt della challenge, quindi è un mistero quanti capitoli effettivamente avrà....

Prompt capitolo : #20:"Guarda cos'ho ritrovato in un cassetto!"

1-picture of you

Al pub era ora di punta; già nei giorni passati all’ora di pranzo le cose si erano fatte caotiche, ma adesso, che su Portland di era abbattuta la primavera con tutta la sua prorompente forza vitale, gli affari andavano a dir poco a gonfie vele: ragazzi che prendevano da mangiare per poi andare  a sedersi sull’erba dei parchi cittadini, coppiette che avevano riscoperto l’amore, studenti che andavano a mangiare un boccone tra una lezione e l’altra… sembrava che tutta la città avesse scoperto il birrificio artigianale del buon Hardison.

Ormai da qualche giorno Becks si fermava a dare una mano quando andava a fare un salto a salutare Eliot, che, da gran romantico qual era,  nove volte su dieci le diceva che doveva infornare o spadellare e non aveva tempo per le sue moine, e che si rendesse utile fermandosi a dargli una mano servendo ai tavoli, dato che comunque aveva fatto la cameriera da ragazza.

…E ormai da qualche giorno, all’ora di pranzo, vedeva sempre la stessa donna, sui sessantacinque anni, che tutti i giorni ordinava un piatto di filetti di pollo grigliato con una salsa alla greca, e tutti i giorni giocherellava pensierosa col cibo a malapena toccandone un boccone.

E tutti i giorni, mandava occhiate furtive al bancone del pub, quando pensava che nessuno se ne stesse accorgendo.

“Ehy, Amy, sai chi è quella?” Becks chiese alla giovane cameriera, appoggiata al bancone con la schiena, tra un cliente e l’altro, studiando la donna con cautela. “È tutta la settimana che la vedo ordinare lo stesso piatto e lasciarlo praticamente intatto.”

“Non lo so, ma fossi in te farei attenzione,” la giovane cameriera scherzò, civettuola. “L’ho vista che sbatteva le ciglia ad Eliot…”

Il campanello che indicava che un altro piatto era pronto suonò, più e più volte. “Beh, allora, avete finito voi due di chiacchierare? C’è un mucchio di lavoro da sbrigare!” sibilò loro contro Eliot, che lanciò, furibondo come un toro imbestialito,  un’occhiataccia alla donna del mistero- cosa che a Becks non sfuggì.

“Devi dirmi qualcosa, amore mio dolce?” Lei gli chiese, alzando un sopracciglio, cosa che fece andare in bestia Eliot ancora di più e gli fece alzare gli occhi al cielo.

“Giuro che non so chi sia più idiota tra te ed Hardison, a volte…” la sbeffeggiò. “Rebecca cara, muoviti e servi i clienti, per favore, grazie. Altrimenti, smettila di far perdere tempo ad Amy e prendi la porta, ti spiace, eh?”

Col sorriso sulle labbra, Becks afferrò il piatto che il suo “ragazzo”- che termine strano, considerato che erano tutti e due ampliamente oltre i trent’anni- e gli stampò un bacio rosso corallo sulla guancia. Subito Eliot rimase stupito, ed arrossì, poi, si strofinò via col pugno lo stampo e strinse i denti, quasi ringhiandole contro- cosa che servì a poco, perché lei si limitò a fargli la linguaccia mentre andava a servire al tavolo.

Stava per andare a prendere un altro ordine quando qualcosa attirò la sua attenzione- cosa, non ne era del tutto sicura – e andò dalla donna misteriosa.

“Posso portarle qualcos’altro? Sono certa che lo chef non si offenderà se riporto indietro e facciamo a cambio…”  le disse, giocherellando con il blocco notes delle ordinazioni. La donna arrossì, e inizio a balbettare, quasi incerta, e finalmente alzò gli occhi dal tavolo, e fu in quel momento che Becks capì cosa esattamente l’avesse colpita di quella figura.

Erano i suoi occhi azzurri- gli stessi, identici occhi azzurri di Eliot.

“Lei è la moglie di Eliot?” Notò la donna osservarle le mani, sorridendo un po’ triste, e subito Becks arrossì, e sentì il bisogno di nasconderle, quasi fosse imbarazzata. “La sua ragazza, fidanzata? Compagna? Scusi, sono rimasta un po’  indietro in queste cose…ai miei tempi, quando due persone stavano insieme, si sposavano e basta…”

Becks aprì la bocca, pronta a risponderle, a spiegarle che sì, lei ed Eliot erano in pratica fidanzati (in realtà, erano anni che si comportavano come una vecchia coppietta di sposi, e tecnicamente non poteva nemmeno dire che fossero fidanzati, dato che lui non  le aveva mai chiesto la mano, e lei non aveva alcuna intenzione di sposarsi) ma che no, non portava anelli perché erano scomodi (a meno che non fossero di diamanti e aiutassero e tagliare un vetro durante una rapina, ma quello era più il campo di Parker che il suo- e comunque, non che potesse dirlo a chicchessia), ma poi si morse la lingua.

Davvero stava per spiattellare ad una perfetta sconosciuta, che per quello che ne sapeva poteva essere al soldo di qualche loro vecchia conoscenza, o magari di Sterling, la storia della sua vita? Perché i suoi occhi assomigliavano a quelli di Eliot?

Doveva essersi bevuta il cervello.

La donna iniziò a mugugnare e piagnucolare, mandando in crisi la più giovane donna, che si guardò intorno e, certa che Eliot non la stesse fissando, si sedette al tavolo, ed iniziò a dare delle piccole pacche sulle spalle della pensionata, sperando di tranquillizzarla. Ma nulla. Anzi, era ancora peggio: dalla borsetta, si era ripescata un fazzoletto, e si stava soffiando rumorosamente il naso, mentre tutti la guardavano (incluso un furibondo Eliot).

“Mi scusi, è che….” Riuscì a dire tra un oceano di singhiozzi che catapultavano l’attenzione generale su di loro “alcune settimane fa... ho ritrovato questa in un cassetto. Guardi…. Sono i miei ragazzi.”

Becks presa la fotografia tra le mani; era a colori, ma il tempo aveva lasciato le sue tracce sulla stampa, ingiallendola. Poteva avere forse trent’anni, magari qualcosa di più,  quello che era chiaro era però chi ci fosse in quella foto: il padre di Eliot, con cui gli anni erano stati, nonostante tutto, clementi, la donna misteriosa e due adolescenti, uno dei quali era senza ombra di dubbio Eliot da ragazzino.

“Lei è la madre di Eliot?” Becks la guardò con gli occhi sgranati, e la donna fece cenno di sì con il capo. “Ma… io credevo che fosse morta!”

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Capitolo 2
*** Stop telephoning me ***


Prompt capitolo: #31. "Ho provato a chiamarlo, ma non mi ha risposto!"

2- Stop telephoning me

Becks si tappò la bocca appena le parole le uscirono, imbarazzata, rendendosi conto della colossale gaffe che aveva appena fatto, desiderando di poter far tornare indietro il tempo per rimangiarsele, o perlomeno usare un po’ di tatto.

“Non si preoccupi… non mi meraviglio che mio figlio le abbia detto così. È da… molto che abbiamo perso i contatti.”

Becks si morse la lingua. Aveva sentito parlare del padre di Eliot, e lo aveva visto anche in fotografia, aveva sentito Eliot parlare al telefono col fratello ed i nipoti, ma non aveva mai e poi mai sentito parlare della madre. Eliot non le aveva detto che fosse morta, ma lei lo aveva desunto, perché, quale altra giustificazione poteva esserci?

A quanto pare, aveva avuto torto- marcio, perché mammina era viva e vegeta ma Eliot non ne parlava perché, a quanto pareva, nella gara del peggiore genitore a vincere la medaglia d’oro era lui e non lei, come aveva sempre immaginato.

(Beh, almeno suo padre le aveva insegnato a rubare, truffare e far saltare in aria le cose. Non era esattamente la cosa più normale da fare con una figlia, ma era meglio di un’oca giuliva che faceva le valigie e spariva per trent’anni perché “si annoiava”, povera stella…)

“Mi sono sposata a diciotto anni, appena finito il liceo. Quando ero incinta di Eliot. All’epoca era così che funzionava.” La donna sospirò, scrollando le spalle, cercando di apparire leggera come una farfalla che svolazzava di fiore in fiore. . “Ma mi sono stufata presto. Non ero tagliata per fare la mamma, o la moglie. Volevo bene ai miei uomini, ma… Eliot e Thomas ormai erano grandi, non avevano più bisogno di me. Adesso però ho perso mio marito… il mio secondo marito, e…. mi sono messa a pensare. Quando ho trovato questa foto, ho creduto fosse un sogno, e mi sono messa a cercare i ragazzi. Credo che  Thomas mi abbia parlato insieme solo perché suo figlio continuava a ripetergli di porgere l’altra guancia, Eliot invece è stato meno…. Accomodante, diciamo.”

“Che tradotto vuole dire che non la vuole vedere.”

La donna accennò di sì col capo, facendo una smorfia, come se lui avesse avuto torto. Ci credeva che fosse incavolato- quella cretina lo voleva manipolare!

Stasera, prima lo metto sulla graticola perché si è scordato di parlarmi di mammina, poi lo consolo per bene, povero il mio cucciolo. Guarda un po’ cosa gli tocca sopportare…

 “Ho provato a chiamarlo diverse volte, perché non mi sembrava il caso di presentarmi così, dove lavora, ma lui non mi ha mai risposto, quindi sono dovuta venire qui, ma lui mi snobba, si comporta come se non esistessi!”

Becks aprì la bocca, ma non ne uscì nessun suono. E che avrebbe dovuto dire? Che Eliot non era troppo bravo a processare le emozioni? Che era un tipo che portava rancore? Erano otto anni che rinfacciava ad Hardison di avergli rubato il pranzo una volta (in realtà, il caro Alec lo aveva diviso con lei. A loro discolpa: quello non era un panino, era un’opera d’arte culinaria, con pane fresco artigianale, cipolla di Tropea, petto di tacchino biologico allevato a terra, pomodoro fresco e formaggio greco), che non volesse parlare con la donna che aveva fatto le valigie perché si annoiava a fare la casalinga era, beh, il minimo.

“Mi potrebbe aiutare?” le chiese, speranzosa, stringendole le mani. “Per favore? Eliot la guarda con occhi adoranti… a lei darà ascolto…”

Becks si guardò intorno, cercando una via di fuga, ma non sapeva davvero come fare. Il personale era impegnato, i clienti mangiavano e bevevano, Eliot la guardava neanche avesse voluto strozzarla con le sue stesse mani perché si era impicciata in cose che, a quanto pareva, non erano di sua competenza.

Stavolta mi strozza. Anzi, no: la prossima volta che mi ficco in qualche casino non viene ad aiutarmi, e io  mi ci gioco la pelle. Porca miseria, ma non potevo starmene buona per i fatti miei?

“Ecco, io, non so….” Balbettava, mentre la donna la fissava con il broncio e gli occhioni colmi di lacrime.

Fu salvata dall’arrivo provvidenziale di Nathan e Sophie, che entrarono nel locale e le fecero segno col capo di avvicinarsi per parlarle (probabilmente avevano incontrato un nuovo “cliente” e lui aveva già architettato un qualche Machiavellico piano), dandole la scusa per scostarsi forzatamente dalla donna, che la afferrò però per la camicetta (e a momenti gliela strappò. La sua camicetta preferita. Cretina.)

“Per favore!!!!”

Guardandosi intorno imbarazzata, Becks arrossì, e capì che c’era solo un modo per togliersi di torno quella pazza isterica che, in teoria, era più o meno sua suocera. “Va bene, va bene, farò quello che posso! Ma adesso la smetta e non torni per qualche giorno, va bene?”

La donna immediatamente si distaccò, si ricompose e le fece il sorriso più smagliante che Becks avesse mai visto, e fu in quel momento che lei capì perché Eliot fosse così bravo in quello che faceva- cioè fregare la gente.

Perché era una dote di famiglia.

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Capitolo 3
*** Let's steal a ghost ***


#6: L'ho trovato scontato, non potevo lasciarmelo sfuggire!

“Okay, ragazzi, la nostra vittima è Rowan Woodward, e… finge di essere un sensitivo. Il nostro cliente è il figlio di una delle sue vittime, a cui Woodward ha portato via ogni centesimo.” Nathan, appena era finita l’ora del pranzo, che li aveva tenuti occupati al locale, mostrò sullo schermo ad alta definizione alcune immagini della loro prossima vittima- un uomo sui quarant’anni, che instillava fiducia e trasudava carisma e sex appeal.

“Troppi, troppi sensitivi in giro…” Hardison sospirò, passando alla diapositiva successiva, che mostrava lo studio dove il “sensitivo” lavorava, in una trasmissione che veniva trasmessa in tutto il paese tramite il circuito delle reti locali.

“Non è il primo che fate uscire fuori dai giochi?” Becks gli chiese, mentre, con l’unghia, cercava di togliere l’etichetta alla sua bottiglia di birra, ormai vuota, per  disastrarsi dai suoi problemi personali – ovvero che la madre di Eliot aveva improvvisamente deciso di entrare a far parte delle loro vite e che desiderava che lei l’aiutasse a convincere il figlio ad aprirsi.

Eliot. Aprirsi. Lui.

Sinceramente, sembrava una battuta, di quelle di cattivo gusto.

O un film post-apocalittico.

Anzi, no: fantascienza.

Meglio ancora: fantasy!

Perché nemmeno le pinze riuscivano a tirargli fuori le cose. E non intendeva dire in senso figurato: una volta era stato catturato, torturato, gli avevano rotto le ossa, strappato i denti, avevano usato l’annegamento simulato… ma lui nisba. Non aveva ceduto. Nemmeno di un millimetro. Non aveva detto una mezza parola e alla prima occasione si era liberato e li aveva messi a tappeto.

“No.” Sibilò Parker a denti stretti. “Quel bastardo ha osato parlare di mio fratello. Elio voleva ucciderlo per me, ma Nathan non l’ha lasciato fare.” La ladra bionda si voltò verso il capo, fulminandolo, quasi ritenesse che lui fosse in debito con lei per non aver assecondato le tendenze omicide dei membri della sua squadra.

“Con Rand abbiamo smascherato tutto il suo business, e lo abbiamo fatto crollare, infiltrandoci all’interno come membri del suo staff. Ma se Woodward è un uomo intelligente, e purtroppo, lo è, si sarà informato su cosa fare onde evitare di cadere in trappole del genere. Non permetterà che la storia si ripeta.”

Becks chinò il capo di lato, leggendo le informazioni sull’uomo che apparivano a schermo- giocava a fare il sensitivo, ma aveva un passato da psicologo e giocatore di poker. Leggeva le persone, la loro mimica, le loro micro-espressioni, e tirava le giuste conclusioni. Era lampante non credesse nemmeno lui ai sensitivi.

“E se lo facessimo sfigurare con tutta la comunità? Farlo apparire come un pazzo isterico. Fargli ammettere che era sono un ciarlatano mangiasoldi. Ed intanto troviamo il modo di entrare nei suoi conti e gli portiamo via ogni centesimo che ha…”

“Oh, la nostra piccola Rebecca ha un piano…” Sophie cinguettò, prima di voltarsi verso l’amore della sua vita, civettuola. “Che dici Nathan, vogliamo lasciare a lei l’onore di portare avanti il colpo? Vediamo se l’uccellino ha messo le ali…”

“Ma non ha senso…. Gli uccellini hanno le ali.” Parker strabuzzò gli occhi, cercando di percepire il significato recondito di quelle parole. “Non sarebbe meglio dire mettere le penne? O dire, vediamo se il nostro uccellino ha imparato a volare? E comunque, secondo me, “andò avanti, schioccando la lingua contro il palato. “Chiamare uccellino una persona bassa e minuta  è davvero di cattivo gusto, se non proprio politicamente scorretto.”

“Ritornando al discorso originario…” Nathan chiuse gli occhi, e fece un profondo sospiro, sperando di riuscire a riperdere il controllo della situazione della sua squadra. “Rebecca, te la senti?”

Becks lo guardò con gli occhi pieni di panico, si guardò intorno, poi puntò il dito verso di sé- sì, stava decisamente dando prova di grande intelligenza- andando leggermente nel panico, abituata che la gente usasse solo il suo nome per esteso quando volevano affibbiarle la colpa di qualcosa, e facendo salire la pressione a Nathan.

“Becks, se non te la senti possiamo benissimo...” Nathan stava dicendo, ma lei non gli stava già più prestando attenzione, in altre faccende affaccendata.

“Ha la tv via cavo?” Chiese, indicando l’estratto conto della loro vittima. “Perché potremmo usare quella come scusa per  entrare in casa sua.”

“E perché dovremmo entrare in casa sua?” Eliot le chiese, alzando un sopracciglio, accigliato. Era una critica, lo sapevano entrambi. Eliot era dell’idea che i contatti, nello spazio personale della vittima, si tenessero al minimo, e lei partiva dall’idea di entrare in casa di un tipo che si guadagnava da mangiare inquadrando le persone.

“Oh, hai ragione, scusa, quella è più o meno la seconda parte del piano. Pensavo,” Becks si mordicchiò le labbra, tutta eccitata, con la voce che equivaleva ad uno squittio. “Che Sophie potrebbe mettersi quel bel tubino di pizzo nero che si è appena comprata, e interpretare il ruolo della mogliettina affranta, convinta di essere perseguitata dallo spettro del consorte…”

“Sophie si è comprata un altro vestito? Ma di quanti cavolo di tubini neri hai bisogno, donna?” Hardison le chiese, sbeffeggiandola un po’.

“Ehi, se c’è qualcosa che ho imparato da Colazione da Tiffany, è che una donna non ha mai abbastanza tubini neri. E poi,” scrollò le spalle, facendo il broncio. “È un Michael Kors… L'ho trovato scontato, non potevo lasciarmelo sfuggire!" 

Nathan alzò gli occhi al cielo, sempre più convinto, nonostante fossero quasi quindici anni che divideva la sua vita con i quattro quinti dei presenti (un po’ di più Sophie, se considerava gli anni che aveva passato a rincorrerla in giro per il mondo nel tentativo di consegnarla alla giustizia), che fossero tutti dei mocciosi, intellettualmente parlando- inclusi i due geni del gruppo. “Allora, il piano?”

“Gli facciamo credere che Sophie pensi di essere perseguitata, magari gli forniamo anche qualche prova- potremmo cercare una casa da usare come dimora infestata, niente cose stile Poltergeist, però, molto sottili, ed entriamo in casa, e sistemiamo un paio di trucchetti da mago che un mio amico mi ha insegnato… e faremo in modo che creda che il defunto consorte ce l’abbia con lui perché tenta di irretire la vedovella. Vedrete come canterà, il momento in cui gli verrà l’esaurimento nervoso. Davvero. Garantito.”

Nathan la guardò divertito, e batté la mani. “Bene, allora direi che possiamo andare a rubare un fantasma!”

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Capitolo 4
*** When I was young ***


Pormpt: #40: "E' la quinta volta che me lo chiedi!"

“Si può sapere che cosa cavolo ha Eliot che non va? E’ tutta la mattina che gli chiedo se ha capito cosa deve fare dal sensitivo, e ancora non mi ha risposto.” Hardison, mentre smanettava al computer, si voltò a guardare di sfuggita Becks, che stava prendendo appunti su come andare avanti con le cose. “Cos’è, ha lavorato pure per lui e non vuole farcelo sapere, come la volta che volevamo incastrare Moreau?”

Becks mordicchiò il cappuccio della biro- era all’antica e scriveva con le penne- quando sentì Eliot ringhiare.

Ah, allora era lì con loro!

“Guarda che se vuoi sapere qualcosa sul sottoscritto sei pregato di chiedermelo- soprattutto visto che io sono qui! E comunque, cinque volte mi hai chiesto se avessi capito, e cinque volte ti ho risposto che so esattamente cosa fare!”

“Beh,  ma visto che io ti conosco e so che non mi risponderai, faccio che chiederlo alla tua dolce metà…”

Parker, che giocherellava con una ciocca di capelli mentre osservava il suo fidanzatino lavorare al computer e imparava la parte, sperando di non dover di nuovo sentire un finto sensitivo rivangare brutti ricordi, fece un sospiro profondo. “È  vero. Sei troppo onesta per essere una ladra. Però sei una tipa giusta, sai far anche esplodere le cose, e, soprattutto, non hai paura di buttarti giù da un palazzo o da un ponte!”

Hardison si voltò, indispettito, offeso, ferito, con gli occhi spalancati, verso la ladra funambola. Aveva gli occhi lucidi, segno che stava per scoppiare a piangere- e sembrava che singhiozzasse.

“Tu… tu hai portato lei a fare bungee-jumping invece che me? Ma… Parker… perché? Credevo che quella fosse una cosa nostra! Insomma… io ho girato per un anno intero con te scalando palazzi, dighe, statue… e tu… tu mi tradisci così?!”

 “Per non parlare del fatto che si è privata di un’enorme fonte di divertimento… come urli tu di terrore, non urla nessuno!” Eliot sghignazzò, beccandosi una gomitata nel fianco dalla compagna.

“In realtà Eliot ha ragione,” Parker scrollò con nonchalance le spalle. “Tu ti spaventi sempre, urli e mi fai passare tutto il divertimento, anche perché mi fai sempre la lagna che ti metto in pericolo. Becks invece se la ride di gusto. E così me la godo anche io.”

Hardison non rispose, si limitò a fissare alternativamente la compagna ed il collega a lungo - molto, molto a lungo – con fare minaccioso, facendo raggelare il sangue al picchiatore – Hardison era bravo a vendicarsi, e quando capitava, capitava all’improvviso, a volte dopo mesi.

“Beh, allora? Che ti prende?” Parker gli chiese, come se stesse parlando del giorno e della notte e non di cose potenzialmente vitali. “Sei più scontroso del solito. Non stai andando in bianco perché le pareti qui sono di carta igienica e si sente quando bisbigliate, figuriamoci quando ci date dentro…”

Becks arrossì, fissando lo schermo e decidendo che non avrebbe più aperto bocca per il resto dei suoi giorni, mentre Eliot si morse le labbra con fare colpevole (gongolando però del fatto che Parker fosse indirettamente a conoscenza delle sue doti di amante) e scrollò le spalle;  Becks lo fulminò, minacciandolo mentalmente di non farlo dormire a letto per i successivi anni, e lui cedette. “Mia madre è in città.”

“E hai paura della mammina? Povero cucciolo…” Hardison lo schernì.

“Non è che ho paura,” Eliot si giustificò. “è che non la conosco, non la vedo da quando avevo tipo tredici anni, e adesso piomba qui e il perché non lo nemmeno io…”

“Quindi non hai paura della mamma. Hai paura che voglia incastraci?”  Parker si mordicchiò le labbra, pensierosa. “Tua mamma è una dei buoni?”

“Parker, bimba, no…” Hardison sospirò, dandole delle piccole pacche sul capo, come se fosse stata un cucciolo. “Te l’ho già detto, la gente non sempre ha paura di essere incastrata. A volte ha sola paura di soffrire. Di essere  abbandonata. Come Eliot, sua madre si è fatta viva dopo averlo mollato con un uomo privo di sentimenti, e adesso lui ha paura di soffrire di nuovo. Lui non vuole aprire il suo grande cuore di orsacchiotto alla strega cattiva.”

“Io non ho paura di niente e nessuno!” Eliot sibilò a denti stretti, con Becks che a malapena soffocò le risate. “Beh? E tu che hai da ridere?”

“Se non hai paura, perché non l’hai ancora chiamata per prendere un appuntamento? Vedervi, non so, per un caffè, un aperitivo…”

“Io non ho paura. Di nulla.” Ribadì, e tanto per far vedere che era lui ad avere ragione, e loro ad avere torto marcio, prese lo smartphone in  mano, cincischiando nel tentativo di comporre il numero (odiava la tecnologia), sbagliando numero tre volte perché c’era sempre un numero diverso da quello che doveva essere e alla fine…

“Ciao. Sono io. Eliot. Tuo figlio. Venerdì sera sono libero. Ci vediamo al locale alle nove.” E riattaccò, guardando i suoi amici negli occhi. “Soddisfatti adesso?”.

“Tu sì che sei un figliolo espansivo…” Hardison alzò gli occhi al cielo, mentre Eliot se ne andò sbattendo la porta,  borbottando cose intraducibili in una delle mille mila lingue che aveva imparato negli anni. “Sei così normale. Non riesco a credere che tu stia con quell’orso.”

“Ciccio, guarda che io sono tutto fuorché normale. La morale del bambino si forma nei primi cinque anni di vita, quando il cervello è ancora malleabile, letteralmente. E lo sai cosa succedeva nei miei primi cinque anni di vita?”

“Ho paura di chiedertelo…” Le rispose, sudando freddo e ingoiando a secco.

“Io no! Racconta, dai!” Parker la spronò, dondolando le gambe dal tavolo su cui  si era seduta, accanto a dove Becks stava prendendo appunti.

“Mio padre mi teneva un corso intensivo di truffa, raggiro, inganno, menzogne e furti: le basi, e poi mi faceva fare le prove pratiche… la piccola fiammiferaia, la bimbetta che si era persa, sai, questo genere di cose. Ecco cosa capitava. Davvero credi che sia normale? Perché io mi offendo. Anche perché ricordarti che ho un quoziente intellettivo ampliamente superiore alla norma.”

Parker sospirò, con aria sognante, giocando con la treccia bionda come se fosse una bucolica principessa Disney. “Che bell’infanzia che hai avuto… mi ricorda tanto quando mi allenavo con il mio papà con gli esercizi di ginnastica ritmica, proprio come Ilary nel cartone!”

“Uhm, Parker, quello era il tuo mentore, non tuo padre, e ti insegnava  le tecniche di furto acrobatico, non ginnastica ritmica.” Hardison chiuse gli occhi e, meditando, fece profondi respiri, prima di riiniziare a smanettare al computer. “Porca Miseria. Una cresciuta da un ladro, l’altra da un truffatore, uno da un contabile delle mafia di Boston, Sophie è una nobile decaduta per tutti gli scandali del suo ramo… cioè, solo Eliot ed io veniamo da  famiglie vagamente normali?”


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Capitolo 5
*** Robin Hood & Little John ***


Ed ecco l'ennesimo capitolo, basato sull'ennesimo prompt di Soul_Shine per la Just stop for a minute and smile challenge, questa volta basato sul prompt #16. "Smettila di andare avanti e indietro, mi fai venire il mal di mare!"

“Potresti smettere di andare avanti e indietro? Mi stai facendo venire il mal di mare!” Mentre stava tenendo sotto controllo sul portatile i movimenti della loro ultima “vittima”, che Sophie– nei panni della ricca vedova- si stava lavorando, Becks sbuffo, tenendosi una mano sulla fronte ad enfatizzare il suo enorme disappunto.

Disappunto nei confronti di Eliot, che era da  giorni che stava facendo un solco nel pavimento andando avanti ed indietro a testa bassa, con le mani in tasca, mugugnando tra sé e sé.  

“Oh, scusami tanto se anche io ho dei problemi in famiglia!” Il suo compagno – di lavoro come di vita – si fermò, ringhiando come una cane con la rabbia. “Potresti anche essere un po’ più comprensiva, sai? Perché vorrei ricordarti che quando ti sei ficcata nei casini con tuo padre io ti ho aiutato! Sono perfino venuto a quella orribile cena fingendo di essere il tuo ragazzo! E comunque, la colpa è tua, perché tu mi hai convinto a parlare con lei! A me stava bene anche far finta che fosse morta, o a spassarsela al sole chissà dove!”

“Oh, povero il mio nobile cavaliere…” Mentre guardava il buon Alec e Parker entrare nella casa delle vittima e piazzare la macchina del fumo e dei proiettori olografici per portare a termine il piano, Becks si riempì la bocca di popcorn, facendo una risatina. “Veramente, mi hai aiutata perché ti sentivi in colpa per aver riso di me. E perché quando mi hai vista con quel vestitino striminzito ti si sono attizzati i bollenti spiriti.”

Eliot la guardò rancoroso, incrociando le possenti braccia muscolose davanti al petto, un movimento che metteva in evidenza ogni muscolo e ogni singola vena, facendole venire voglia di leccarsi le labbra. Lui lo notò- come d’altronde notava tutto, altrimenti non sarebbe stato così bravo nel suo lavoro- e sgranò gli occhi, furibondo, facendola arrossire.

“Becks! È una cosa seria! Non vedo mia madre da quando avevo tredici anni e adesso è ripiombata nella mia vita, e….” sbuffava, gesticolando. “Cosa cavolo le dovrei dire, di me, intendo? Che faccio il cuoco in un pub? Non ci crederà mai, prima o poi inizierà a farsi delle domande, vorrà sapere come faccio a vivere al di sopra delle possibilità economiche di un cuoco.”

“Ma tu fai il cuoco in un pub.” Gli disse in tono ovvio, facendolo infuriare ancora di più.

“Davvero spiritosa. Mi rammenti perché stiamo insieme?”  Le chiese sarcastico, lanciandole addosso un foglio di carta accartocciato, quasi fossero stati due bambini di cinque anni.

Becks fu tentata di rispondere in modo scherzoso, fare anche eli una battuta, ma sapeva che non era ciò di cui Eliot aveva bisogno. L’improvvisa ricomparsa della madre lo aveva turbato non poco, soprattutto perché significava affrontare il fatto che non aveva più un rapporto con il padre ed il fratello dai tempi in cui si era arruolato, e soprattutto chi lui fosse dietro la maschera con cui si nascondeva al mondo.

“E se provassi a dirle la verità? Non dico dirle proprio tutto… potrei dirle che sono un esperto di recuperi. Potrei raccontarle che lavoro per le assicurazioni. Un po’ come faceva Nathan ai bei tempi.”

A Becks quasi andò di traverso l’acqua che stavo sorseggiando.

“Giusto per capire… le vuoi dire che lavori per far recuperare ai ricchi i loro beni, quando invece tu prendi ai ricchi quei beni?” Gli chiese, sarcastica, a malapena trattenendo le risate- c’era qualcosa di davvero comico in quel ragionamento contorto di Eliot.

“E che cosa le dovrei dire?”  si passò una mano tra i capelli che aveva lasciato di nuovo crescere, e che arrivavano di nuovo alle spalle, proprio come quando si erano conosciuti. Aveva ripreso a camminare avanti e indietro per la stanza, e Becks stava iniziando ad averne abbastanza.

Solo due giorni prima, Eliot non voleva nemmeno parlarci, con la madre. Adesso, stava considerando di raccontare la cosa più simile alla verità su cosa effettivamente facevano di lavoro nella vita quotidiana.  “Che sono una specie di Robin Hood che predilige jeans, giacche di pelle e camicie di flanella alla calzamaglia e calci  e pugni alle frecce?”

Becks scoppiò a ridere- una risata che fece arrossire Eliot, perché gli ricordava in modo impressionante la sua la volta che Becks gli aveva chiesto di fingersi il suo ragazzo, prima che si mettessero insieme per davvero – una risata un po’ cattivella, se doveva essere sincero. “Mi fa piacere che trovi la situazione divertente.”

Becks diede una rapida occhiata allo schermo, controllando che tutto fosse a posto e che le cose stessero andando per il meglio; constatato che Hardison e Parker se la cavavano alla grande, lasciò la sua posizione per raggiungere Eliot. Si tolse l’auricolare e, dopo  avergli allacciato le braccia al collo, fece lo stesso per lui.

 “Stai cercando di traviarmi col sesso?” Finalmente, Eliot sorrise, sornione, mentre la teneva stretta per la vita. “Perché sta funzionando. Alla grande.”

Becks rise di gusto, affondando il volto sul petto di Eliot, nel ruvido tessuto della camicia di jeans. Gli diede un veloce bacio sulle labbra, e poi lo guardò in quei grandi occhi azzurri. “In realtà, ridevo perché più che Robin Hood, io ti ho sempre visto come il cacciatore. All’inizio della fiaba il cacciatore lavora per chiunque abbia un po’ di potere e lo paghi, ma alla fine si redime, e si mette al servizio del bene per annientare gli stessi da cui aveva preso ordini.”

Le passò una mano tra i capelli rossi, e le baciò la fronte. “Quindi, non sono così male come essere umano? Anche se ho fatto cose di cui mi vergogno, c’è ancora una possibilità per me?”

Mordendosi le labbra, fece segno di sì. “E poi, guarda, io ti ci vedo, vestito di pelle, con tanto di ascia e un falco sulla spalla. Davvero, mi sembra di averti qui davanti agli occhi!”

Ridendo, Eliot la strinse forte a sé.

“Tu, ragazza mia,” le disse tra un bacio e l’altro, “sei completamente pazza.”

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Capitolo 6
*** Last Friday Night ***


Nuovo capitolo ispirato dai prompt di Soul_Shine e la Just stop for a minute and smile challenge, questa volta ispirata ai prompt #36 ("Smettila, ci stanno guardando tutti!") e #39 ("Me l'avevi promesso!")

Il venerdì sera, Becks era seduta nel retro della birreria, tutta goduta a dare ordini a Sophie – che era con il pseudo-sensitivo- e ad Hardison e Parker, che erano in un furgone fuori dalla magione che attendeva il momento giusto per far partire gli effetti speciali e far credere al balordo che casa sua fosse infestata dallo spettro di un marito vendicativo, per quello che doveva essere il gran finale. Nathan era nella stanza con lei, che andava avanti e indietro, facendole girare la testa, e sudando freddo. Erano madidi di sudore i suoi capi, ed erano madidi di sudore i suoi fazzoletti di cotone e lino con le inziali ricamate che faceva arrivare dall’Egitto (perché se doveva passare per un ricco bastardo snob, doveva avere le cose di un ricco bastardo snob, a sentire lui) con cui si era asciugato la fronte negli ultimi… beh, da quando Becks aveva preso in mano la regia del colpo.

Una cosa però doveva dirla: non aveva mai aperto bocca. Anche se era chiaro che moriva dalla voglia di dare consigli e dettare istruzioni.

“Sai, sei quasi peggio di Eliot…” gli disse, tranquilla, mentre sgranocchiava popcorn, seduta a gambe incrociate sul tavolo.

Nathan alzò un sopracciglio, soppesando le parole dette dalla giovane donna. “E dovrei sentirmi lusingato o offeso da questo paragone?”

“Considerando che mi sono mantenuta casta e pura per dieci lunghi anni per Eliot…” Nathan scoppiò a ridere, per essere fulminato dallo sguardo severo da arcigna maestra tedesca di scuola elementare del Chimico. “Come dicevo, considerando che mi sono mantenuta casta e pura per dieci lunghi anni per Eliot, direi che è decisamente un complimento.”

Nathan sghignazzò, dondolandosi sui talloni. “Ma davvero Eliot pensa che tu fossi una candida verginella santarellina che non aveva mai visto un uomo nudo prima di lui?”

“Beh, vergine è una parola molto grossa, però,” lei scrollò le spalle. “L’idea di Eliot è che, dato che ero imbranata con lui, io fossi imbranata con tutti. Non gli è mai passato per l’anticamera del cervello che io potessi essere meno imbranata di quanto lui pensasse.”  Scrocchiò la lingua contro il palato, e fece l’occhiolino a Nathan.  “Ero una professionista dello svanire nel cuore della notte dopo aver rimorchiato in qualche locale..”

“Chi è che rimorchiava nei locali?” Eliot, come chiamato in questione, apparve dal nulla, sorseggiando una bottiglia d’acqua fredda. Si era rasato- cosa che Becks equiparava ad un crimine- e si era legato i capelli, altra cosa parecchio grave, anche se capiva che dovesse apparire come un bravo ragazzo, e non come una sexy macchina del sesso dalla folta capigliatura in stile Fabio.

“Non dovresti essere con tua madre a quest’ora?” Becks gli chiese alzando un sopracciglio con fare interrogativo, e lui le rispose nel suo modo preferito- con un’alzata di spalle.

“Sta facendo uno spuntino. Dieci minuti e la raggiungo. Davvero.” Becks sospirò. Certo, come no, pensò. Come se non lo avesse conosciuto abbastanza bene: Eliot sperava di dover raggiungere Parker o Sophie per toglierli dai guai, così da non dover parlare con sua madre.

“Amore mio dolce, mi avevi promesso che le avresti parlato!” Becks sibilò, dividendo la sua attenzione tra il crimine e la vita privata, che per una volta non si stavano sovrapponendo al 100%. “Adesso non ci servi, perciò vai di là, e se capita qualcosa ti chiamo.”

“Mi ha mollato per trent’anni….” Eliot iniziò, fermato da Nathan che si schiarì la gola mormorando qualcosa che sembrava suonare molto come un trentaquattro, e che fece digrignare i denti al picchiatore e sportivo ed ex militare. “Mi ha mollato quando avevo tredici anni, perché dovrei concederle tutto e subito?”

“Posso darti due motivi, il primo è che tu sei una persona migliore di quanto fosse, e probabilmente sia, lei, e perché quella donna mi assillerà fino a farmi venire un esaurimento nervoso se tu non mantieni la parola, e sai cosa farò io se tua madre si  presenterà da me o mi chiamerà di nuovo, perché lo farà, dato che Parker ha avuto la brillante idea di darle uno dei miei numeri? Ti farò dormire sul divano, per molto, molto tempo, da solo, e tutti quei completini di lingerie che ti piacciono tanto, te li potrai solo sognare.

Seccato all’idea di non poter abbracciare quel grazioso corpicino la notte, e detestando il divano dal più profondo del suo essere, Eliot si fece coraggio  e andò a sedersi al tavolo della madre, che lo guardò come se fosse una cosa normale averlo lì con lei.

“Sai, tolta quella… specie di criniera, sei proprio uguale a tuo padre quando aveva la tua età! Quanto hai, quarantuno anni?” Gli disse, con voce cinguettante. Aveva di nuovo preso il pollo.

E di nuovo ci aveva solo giocato.

“Quasi quarantasette.” Precisò lui, a denti stretti, leggermente offeso dal paragone con un genitore che aveva fatto il tutto per tutto per tenerlo in gabbia e che non gli aveva  più rivolto la parola (nonostante i molteplici tentativi a base alcolica di Eliot) da quando si era arruolato a 18 anni.

“Oh, accidenti… come faccio ad essere così vecchia da avere un figlio di quarantasette anni?” Cinguettò tra le risate lei, attirando l’attenzione di tutti.

Potresti smetterla, ci stanno guardando tutti…” Sibilò a denti stretti. Non riusciva a credere che ovunque andasse, ci fossero solo idioti sulla sua strada.

“Ascoltami bene, Eliot Olaf Spencer, sono tua madre e tu mi rispetterai, e soprattutto, tu rispetterai le scelte che ho fatto nella mia vita, va bene?” Si mise a strillare acuta lei, neanche fosse stata una gallina. Si era messa in piedi, era paonazza e aveva sbattuto i pugni sul tavolo, facendo traballare le birre ed i piatti- la classica scenata che Eliot avrebbe voluto evitare.

Nell’auricolare, Hardison se la stava ridendo di brutto, mormorando il nome “Olaf” tra un attacco di ridarella e l’altro- Eliot sperava che stesse ridendo così tanto da farsela addosso, almeno Parker non sarebbe stata più in grado di vederlo nello stesso modo (né di tollerare la vista di lui nudo).

“Ascoltami bene, piccolo saputello ingrato,” sibilò lei a denti stretti, incombendo su di lui, terrorizzandolo come nemmeno i terroristi che lo avevano catturato in Myanmar. “Io non ero fatta per la vita di provincia, dopo il liceo me ne sarei andata via, ma, indovina? A tuo padre si ruppe il profilattico, e così mi sono dovuta sposare a 19 anni. Ho resistito, e alla fine, ho fatto quello che era più giusto per me e per voi, perché se fossi stata infelice, non sarei stata una buona madre, e a malapena io ero decente. Ci siamo capiti?”

Senza fiatare, Eliot acconsentì, e la madre si sedette, composta, lisciandosi la gonna del tailleur e risistemandosi il filo di perle che portava al collo.

“Ascolta Eliot, da quando il mio secondo marito è morto, io sono stata di nuovo libera, ma alla mia età, non me la godo più allo stesso modo. Ho riflettuto, e ho deciso che fosse il momento di vedere come stavano i miei ometti.” Eliot le lanciò un’occhiataccia, che tradotta sarebbe dovuta suonare come ometto, col cavolo…. Ho quasi cinquant’anni, nel caso non te ne fossi accorta.

Ma forse la capì, perché la parte seguente del discorso verteva sull’età del figlio. “Dì un po’, non sei un po’ troppo vecchio per avere una “ragazza”? E poi, quanti anni ha quella ragazzina? Venticinque?”

 “Veramente, Becks ha dieci anni in meno di me, non venti.” Ma ne capisce qualcosa di età? “e se l’ho definita la mia ragazza è solo perché non siamo ancora ufficialmente fidanzati.”

“Quindi state insieme da poco,  giusto? E non è una cosa seria…”

“In realtà, sono quasi due anni che stiamo insieme, quindi sì, è parecchio seria.” Abbastanza seria da farmi diventare monogamo, pensò, ma ritenne meglio non aprire bocca. Con sua madre, non si sapeva dove sarebbe potuta andare a parare, lei con i suoi voli pindarici…

“Beh, allora ti conviene metterle l’anello al dito. Non sei più tanto giovane, e potrebbe trovare carne più fresca. Sai, da l’aria così giovane, e poi le donne al giorno d’oggi preferiscono il boy-toy poco più che adolescente al vecchietto di cui doversi prendere cura….”

“Sì, certo, capisco…” sibilò, avendo la netta impressione che lei lo avesse di nuovo insultato (dandogli quello che sembrava del vecchio incontinente). Si voltò verso il bancone, e vide una lunga fila, giovani che aspettavano i loro manicaretti, e un tizio che sembrava essere parecchio a disagio, forse un timidone. “Okay, senti, io vado.  Hanno bisogno di me e… ciao. Ci sentiamo. Anzi no, a lunedì, stesso posto stesa ora.”

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Capitolo 7
*** Mission Impossible ***


Prompt #17: adesso ti metterai comodo e mi racconterai tutto! (Per il loink alla challenge just stop for a minute and smile, capitoli precedenti)

“Ma tu non dovevi cenare con tua madre stasera?” Becks, dato che avevano fatto il colpaccio con ampio anticipo e avevano già  distribuito il ricavato del loro duro lavoro, stava piluccando delle verdure bollite in insalata condite con salsa di soia dietro al bancone del bar, mentre vide Eliot gustarsi uno dei suoi sandwich gourmet, fulminandolo con lo sguardo. Quando lo vedeva mangiare quelle prelibatezze ipercaloriche, lo detestava, perché lei doveva stare a stecchetto per mantenere un peso decente, lui invece mangiava tutti ti tipi di grassi possibili in tutte le versioni presenti e aveva quella stramaledetta tartaruga addominale. 

Porca miseria se lo detestava. Certo, da nudo era un gran bel vedere, però, sì, a volte lo detestava. E pure parecchio.

“Sorpresa delle sorprese,” disse tra un morso e l’altro. “Né si è presentata, né si è preoccupata di avvisare che mi dava buca. La cosa positiva è che almeno so come si sentiva Hardison al liceo- le ragazze, per uscire con me, facevano la fila.”

“Spiritoso. Vorrei ricordarti che le ragazze adesso fanno la fila per uscire con i nerd come ero io al liceo, perché sanno che sono i ricchi di domani.” Hardison lo punzecchiò, triandogli addosso uno strofinaccio fradicio appallottolato.

“Però è ai quarterback come ero io che la danno,” ripose Eliot da uomo maturo quale era, facendo la linguaccia ad Hardison, dimostrando di essere entrambi, mentalmente,  adolescenti. Se non peggio. C’erano davvero giorni in cui Becks si sentiva come una maestra d’asilo, a stare in mezzo a quei due.

“Allora, su cosa stanno litigando questa volta?” Nathan le chiese quando arrivò con Sophie. Lei si sedette su uno sgabello, mentre lui fece segno al barista di portargli il suo solito- ovvero acqua frizzante con una spruzzata di lime con cubetti di ghiaccio, servita in un bicchiere da whisky che lui guardava come un cucciolo affranto perché, certi giorni- soprattutto quando doveva sorbirsi i battibecchi tra i membri della sua squadra- il bere gli mancava davvero tanto, tanto, tanto. 

“Hardison al liceo andava in bianco mentre Eliot no.” Parker rispose, candida, apparendo dal nulla, come suo solito, e facendo passare l’appetito a Becks. Quel poco che aveva. Nathan alzò gli occhi al cielo prima di stropicciarseli, mentre Parker, candida come sempre, del tutto  inconsapevole delle normi sociali, e dei clienti che li stavano guardando e che lasciavano il tavolo a sentire parlare di sesso così, come se nulla fosse, metteva il dito nella piaga. “E a te come andava al liceo?”

“Ma Tara non aveva detto che Parker era diventata normale?”  Sophie chiese, parlando con tutti e nessuno in particolare.

“Tara per un colpo ci ha presentato regolare fattura per “opera di consulenza” - Eliot virgolettò con le dita-  con tanto di tariffa oraria e IVA, davvero prendi per buono cosa esce dalla sua bocca?”

“Scusalo Sophie, è di cattivo umore. Credo che sia sincronizzato con il ciclo di Becks. Quando va in sindrome lei, ci va pure lui.” All’ultima affermazione di Parker- che fece scappare un altro cliente- Becks gettò nel lavandino il suo pasto. La fame le era decisamente passata.

Il cellullare di Eliot- che lui odiava, come odiava ogni dispositivo tecnologico, Smart Tv inclusa – trillò, e lui, distrattamente e svogliatamente, lo controllò. Lo sentirono digrignare i denti e  ringhiare manco fosse stato un cane da guardia- chiara indicazione che, visto che Hardison era con loro, poteva trattarsi solo di sua madre o di Sterling- e poi fece Ah.

Solo quello. E basta. E poi si rimise il telefono in tasca, e li guardò, uno ad uno, con fare colpevole.

Beh?  Becks gli chiese mentalmente, alzando un sopracciglio.

“Sentite ragazzi, perché non andiamo di là e ci mettiamo comodi, così vi spiego tutto?” Disse, un po’ in imbarazzo- perfino di più della volta che dovette convincere Nathan ad aiutare una ex con cui era stato fidanzato ufficialmente e che aveva mollato per la divisa (o la volta in cui l’intera ciurma aveva sorpreso Becks nuda alla birreria, nel tentativo di irretirlo).

“Eliot, cosa hai combinato stavolta?” Nathan domandò, stropicciandosi gli occhi e sentendo il bisogno di ubriacarsi. Davvero, certi giorni era davvero dura.

“Perché devo aver combinato qualcosa?” Eliot fece il muso, indignato. “Io sono quello che combina meno guai di tutti, eppure tutte le volte che capita qualcosa mi chiedi che cosa ho fatto! Solo perché faccio a pugni non vuole dire che sia un cretino!” Sbuffò, e fece vedere loro il telefono- era un messaggio, solo che non c’era testo, né audio, solo un’immagine -sua madre. Legata ad una sedia, con tanto di bavaglio stile film western. E una pistola puntata alla testa.

Una pistola con il tappo rosso. Di quelle finte. Ma che cretino si scordava di togliere il tappo prima di fare una foto del genere?

Probabilmente lo stesso cretino che faceva una foto in cui si vedeva la sua faccia nel vetro a specchio, ecco chi.

Becks alzò lo sguardo. “Beh, almeno sai che non ti ha dato buca perché è una strega menefreghista ma perché è stata catturata…”

Eliot la fulminò con lo sguardo, mandandola mentalmente a quel paese- eh, effettivamente se l’era cercata, se doveva essere sincera.

“Fammi vedere una cosa…. Dietro alla mammina c’è una finestra….” Hardison prese il telefono e poi il suo portatile, zoomò sulla foto sul primo e poi sul secondo, e guardò pensieroso prima una poi l’altra foto. “Una domanda: non vi sembra che il tipo che è riflesso nella finestra assomigli incredibilmente all’assistente di Woodward?”

 “Ah, ma vuoi vedere,”  Parker indicò la foto con fare pensieroso, ma sicura di sé. “che la vera mente della cosa era l’assistente, che agiva nell’ombra?”

“Mente mi sembra una parola un po’ grossa…” Becks sghignazzò. Effettivamente, il tipo era piuttosto sbadato.

“Ma che… l’altra sera era al bar, me lo ricordo, tutte le volte che qualcuno lo sfiorava faceva dei salti alti così!” Eliot sospirò, stringendo gli occhi. “Come diavolo ha fatto a trovarci?”

“Ah, non guardate me,” Becks grugnì quando Nate la fulminò con lo sguardo. “Il mio piano era perfetto. se c’è qualcuno che ha fatto casini quelli siete voi!”

“Quindi abbiamo fatto tutta quella fatica per niente?” Sophie, che odiava i film dell’orrore, specie quelli che parlavano di case infestate (Nathan l’aveva pressoché costretta a guardare Hill House, per poi lamentarsi del fatto che trovava affascinante Timothy Hutton*) aveva gli incubi da quando avevano architettato il colpo, anche se sapeva che era tutto finto. Aveva odiato ogni minuto di quel piano, e adesso scopriva che aveva fatto tanta fatica per niente. (Ma possibile che le vittime non sapessero nemmeno dire chi le truffava?)

“Hardison, riesci a capire dove sono dalla finestra?” Nathan gli chiese, studiando la foto che intanto era passato sul maxischermo.

“Credo di essermi buttata dal tetto di quel palazzo il mese scorso…” Parker osservava l’immagine sfocata a braccia incrociate ed il capo chinato da una parte. “Dev’essere il Mirabella: leggermente curvo, non eccessivamente alto, si e no cento piedi… sicurezza da schifo, non  hanno nemmeno un sistema centralizzato, è uno di quei posti dove ognuno pensa per sé, il che rende facile rubare, ma anche complicato, perché non sai mai che tipo di sistema d’allarme ti troverai davanti, non che  sia un problema per me, insomma, io sono quella che ha battuto il fiore all’occhiello dei sistemi d’allarme!

“Cento piedi per te è basso?” Sophie le chiese, pentendosi subito dopo della domanda. Come se Parker fosse stata normale.

“Ho già detto ad Hardison che se ci sposiamo, voglio che in viaggio di nozze andiamo a visitare il Burj Khalifa, è un grattacielo di Dubai, il più alto del mondo, quasi 930 metri. Sono indecisa se scalarlo con le ventose magnetiche come Tom Cruise in Mission Impossible: Ghost Protocol o se salire in ascensore, e poi paracadutarci dal tetto.”

Hardison singhiozzò, e decise che mai e poi mai avrebbe dato l’anello di fidanzamento a Parker (anche perché tanto lei lo avrebbe rubato prima): in tanti anni non le aveva mai detto di soffrire di vertigini, e se qualche piano poteva ancora andare bene, ma buttarsi da quasi mille metri era tutt’altra storia.

No. Se lo poteva scordare. Parker sarebbe rimasta signorina vita natural durante.

“Okay,  comunque, come stavo per dire,  il tizio non ha nascosto il numero. Quindi adesso gli mando un messaggio con trojan annesso e attivo il GPS del telefono per localizzarlo. Persino Chaos sarebbe in grado di farlo. Cosa dico, forse perfino Eliot potrebbe farlo!” Il suddetto Eliot gli diede una gomitata nelle spalle, e lo guardò come se lo volesse uccidere, cosa assai plausibile, dato che Eliot odiava essere preso in giro, specie se si trattava di tecnologia. “Beh, tu mi prendi in giro per come faccio i nodi, io ti prendo in giro perché a malapena sai usare un telefono!”

“Questi aggeggi non sono telefoni, sono… sono aggeggi giapponesi! Un telefono serve solo a telefonare, questi fanno tutto tranne quello!”

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Capitolo 8
*** Jakie Chan ***


Ennesimo capitolo uscito grazie alla Just Stop for a minute and smile challenge (il link lo trovate nel primo capitolo), realizzato con i prompt: 

5. "Da dove l'hai pescato?" e  24. "Cosa ci fai lassù?"

Non troppo lontano dal Mirabella- Parker ci aveva visto giusto, a ragione, dato che lei di palazzi se ne intendeva- c’era un vecchio magazzino che una holding consociata di una sussidiaria di una divisione della casa madre possedeva tramite un’immobiliare creta ad hoc (sì, c’erano parecchi passaggi) dalla casa di produzione dello show del pseudo-sensitivo.

In realtà, chiamarlo vecchio magazzino era fargli un complimento: c’erano quattro muri marci con sopra un tetto di lamiera consumata a rugginosa che rischiava di cadere addosso a ogni passo che facevano.

E, sorpresa delle soprese, non c’era sistema d’allarme. Non c’erano telecamere. Non c’erano nemmeno guardie. Non c’era nulla a fermarli.

Se non l’assistente del sensitivo, che, mistero misterioso, come avrebbe detto Martyn Mystere (per Hardison) o il divulgatore scientifico Stefano Bagnasco (col cui lavoro Eliot era più affine, dato che lavorava anche nel campo del cibo) era in qualche modo riuscito a scoprire dove fosse la loro base, che Eliot era uno di loro e che la sua debolezza era sua madre.

Beh, debolezza, parola grossa… ma di certo non poteva lasciarla in mano ad un truffatore e ladro. Suo fratello non glielo avrebbe mai perdonato, se lo avesse saputo (e Becks avrebbe fatto in modo di farglielo sapere).

In mezzo alla stanza, piagnucolando forse più per i ragni, i topi e la polvere che per l’essere stata rapita, Samantha, alias la mammina di Eliot, singhiozzava disperata, legata ad una sedia, mentre il suo rapitore si metteva in una posa da Bruce Lee dei poveri ad accogliere Eliot, che si tolse la giacca di pelle (non voleva rovinarla) e scosse il capo, alzando gli occhi al cielo.

“Ma da dove diavolo ti aveva  pescato il tuo capo?” Gli chiese, senza nemmeno preoccuparsi di mettersi in una posa difensiva. Conosceva i tipi come quello: tutto fumo e niente arrosto. Erano bravi a fare scena,  a fare coreografie, ma se si trattava di fare effettivamente qualcosa, nisba.

Il tizio si mise in un’altra imbarazzante posizione da pseudo-ninja, ed Eliot si vergognò. Aveva imparato a combattere dai migliori del mondo, era imbarazzante sprecare le sue doti in quel modo, con… feccia del genere.

Sul serio. Tipi come quello erano la vergogna dei lottatori. Di qualsiasi categoria.

“Senti, amico…” Eliot sospirò, spalancando le braccia. “io non voglio dartele e tu non vuoi prendertele, perciò tagliamo corto, tu lasci andare mia madre e io lascio andare te.”

Il tizio non lo stette nemmeno a sentire; fece una faccia che nemmeno fosse stato costipato, e si lanciò contro Eliot in una mossa di kung-fu. Colpendolo in pieno volto. E spaccandogli il labbro. 

Mentre si massaggiava, Eliot guardava il tizio stupito, e mentre suddetto tizio si mise di nuovo in posizione, per la prima volta nella sua carriera, Eliot si ritrovò a fare un paio di passi indietro per proteggersi.

(In realtà era la seconda, ma non avrebbe mai ammesso di ricordarsi che aveva tentato di schivare le sberle di Becks e Sophie quando avevano proposto che lui uscisse col chimico.)

Il tizio lo colpì. Ancora, e ancora, e ancora. A ripetizione.

“Ma la vuoi piantare!?” Eliot sbottò, mettendosi in posizione difensiva come quando faceva boxe. Intanto, sua madre sentì un movimento alle sue spalle,  e tentò di attirare l’attenzione del figliolo, che per favore, al proteggesse, ma non servì a nulla: con la sua visione periferica, vide una biondina in pelle nera calarsi dal soffitto attaccata ad una corda.

Chiuse gli occhi e li riaprì.

Sì, c’era effettivamente una biondina attaccata ad una corda che pendeva dal soffitto.

E le stava togliendo il bavaglio. Con un sorriso disarmante sul volto.

“Ma chi... cosa… cosa ci facevi lassù?” Fu l’unica cosa che le venne in mente di chiedere. Perché, effettivamente, non era del tutto normale avere una biondina tutta eccitata che scendeva dal soffitto attaccata ad una corda.

“Che razza di domanda, mamma di Eliot, sono venuta a salvarti! Sai, per citare una bambina molto saggia di cui non ricordo il nome, io sono un lupo buono!” La biondina la agganciò alla corda, tutta sorridente, come se calare dal tetto fosse la cosa più normale del mondo, poi si voltò verso Eliot. “Ehi, Eliot, ho preso la tua mamma, adesso puoi picchiarlo!”

“Era ora!” Eliot sibilò a denti stretti, mentre, appena il cretino si rimise in mostra con una delle sue mosse, gli si avvicinò, con fare minaccioso, con lo sguardo di un orso furente.

“Ma si può sapere cosa succede? Chi è quell’uomo? Cosa vuole da me e da mio figlio? Cosa… cosa ci fate qui?” La donna piagnucolò, mentre Parker le copriva gli occhi con una mano.

“Non guardi, mamma di Eliot, a una donna della sua età vedere certe scene di violenza non fa bene!”

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Capitolo 9
*** Ridere per non piangere ***


Prompt #3 "No, aspetta, era una battuta? Non l'ho capita..."

“Scusami…. Potresti ripetere, tesoro?” Samantha, seduta ad un tavolo in disparte della birreria,  chiese al figlio, senza staccargli gli occhi di dosso. Eliot era arrossito, e si stava grattando il collo, imbarazzato e sentendosi leggermente in imbarazzo.

“Il tizio che ti ha rapita, ecco… lui ce l’aveva con me ed i miei amici perché noi gli avevamo mandato a monte un affare.”

“Non capisco….” Lo guardò, confusa. “Quindi voi siete anche, cosa, speculatori finanziari? Oltre che baristi?”

“Mastri birrai, signora, noi siamo mastri birrai. Io lo sono.” Hardison sentì il bisogno di precisare, tutto tronfio e soddisfatto. “ Eliot qui è uno chef che la guida Michelin assaggiasse i suoi manicaretti, gli darebbe dritta tre stelle, e Becks fa dei drink con la birra che sono un’esplosione per le papille gustative.”

L’hacker alzò la mano aperta verso il compare, per farsi dare il cinque, ma Eliot lo fulminò con lo sguardo, nemmeno  avesse avuto a che fare con un pazzo idiota- okay, Hardison aveva una decina d’anni in meno di lui, ma a volte si comportava come se fosse ancora un adolescente, e sapeva essere peggio di Parker.

Sibilando a denti stretti, Eliot si voltò verso la madre, e le fece un sorrisino di circostanza, tamburellando nervoso con le dita di entrambe le mani sul tavolo.

“No, in realtà, Hardison se la cava in borsa, e pure parecchio, motivo per cui ci possiamo concedere dei piccoli lussi, ma, vedi mamma…” si schiarì la gola, quasi dire la parola gli costasse ancora fatica. “Io sono…  un ladro. Noi siamo ladri. Tutti noi sei, intendo.”

Samantha scoppiò a ridere.

E smise solo quando vide che il figlio non faceva una piega e non si univa alla sua risata, anzi, la guardava imbarazzato.

Ah. Non era una battuta, allora. Cavolo. Suo figlio era un mezzo criminale. Se non un criminale completo, con fiocchi e controfiocchi. Avrei dovuto capirlo, con quella testa di capelli che gli arrivano alla schiena ed i tatuaggi…

No, aspetta, era una battuta, vero? Perché, sul serio, Eliot, non l’ho capita…”

Eliot ripeté la frase, scandendo parola per parola. Più o meno come se stesse parlando con un bambini di cinque anni. “Siamo ladri, mamma. Noi siamo una squadra di ladri. Ognuno con la sua specialità- Nathan è il pianificatore, Sophie l’attrice, Parker conosce tutti i sistemi di sicurezza del pianeta mai esistiti, Hardison è un hacker, Becks è un’esperta di esplosivi, neurotossine e ogni tanto ci ricuce, e io sono una specie di guardia del corpo. Lavoravamo tutti da soli, poi abbiamo capito che l’unione fa la forza e che la somma dei singoli eccetera, eccetera ed eccoci qui.”

“Cioè, fammi capire, tu, cosa fai, rapini banche e negozi?” si strinse la borsetta al petto, e iniziò a guardarsi intorno, nemmeno si trovasse nel più malfamato quartiere della città più malfamata del paese- se non fosse stato tragico, Becks lo avrebbe trovato comico.

(In realtà era comico, ma non le sembrava il caso di esternare le sue opinioni. Eliot sembrava essere piuttosto sensibile al riguardo…)

“Non siamo quel genere di ladri, mamma. Noi non derubiamo banche” Eliot si pizzicò il naso, ad occhi chiusi, respirando profondamente.

“In realtà,” Hardison lo fermò prima che potesse proseguire, alzando la mano nemmeno fosse stato a scuola. “C’è stata la volta in cui abbiamo derubato una banca. E poi se guardi bene, quando andiamo a svaligiare una specifica cassetta di sicurezza, quella tecnicamente è una rapina in banca e…”

“Dannazione Hardison, ma lo vuoi chiudere il becco?” Eliot gli sibilò contro, minaccioso. Sembrava un toro scatenato a cui avessero fatto vedere la banderuola rossa. Sembrava pure che gli uscisse il fumo dal naso, tanto era incavolato. Hardison si fece piccolo, piccolo, e mimò il gesto della cerniera chiusa sulla bocca.

Eliot si ricompose, facendo di nuovo quel sorrisetto di circostanza, e si schiarì la voce. “Come dicevo, mamma, noi siamo ladri, ma non i tipici ladri, noi siamo… siamo come Robin Hood. Quando ricchi e potenti fanno qualcosa di sbagliato e se la prendono con la gente comune, noi interveniamo e li mandiamo sul lastrico, ridistribuendo la loro ricchezza tra le loro vittime.”

“Robin Hood.” Samantha lo guardò, seria, come se non si stesse bevendo quella storia assurda (cosa di cui Becks, che se la stava ridendo a crepapelle, lo aveva avvertito). “Il tizio in calzamaglia verde, con arco e frecce. L’Occhio di Falco dei poveri.”

Hardison alzò la mano, da bravo nerd che amava i fumetti, pronto a sottolineare che tecnicamente anche Occhio di Falco aveva fatto il Robin Hood per un po’, usando i soldi dei malavitosi per fare del bene, ma prima che potesse dire una sola sillaba, si letteralmente piegò in due, dopo una bella e sonora gomitata di Eliot nel fianco, che gli fece mancare il respiro.

“Preferisco jeans e flanella e prendo a pugni quelli che mi stanno sulle scatole ma sì, in spicci sono Robin Hood. Siamo Robin Hood. Ognuno di noi ha la sua specializzazione, ma lavoriamo insieme per il fine ultimo di rubare ai ricchi e corrotti e ridare ai poveri disgraziati che il sistema non considera.”

“Con la sola differenza che, dato che non viviamo in un bosco, ci teniamo una piccola percentuale dei ricavati delle nostre operazioni da reinvestire in modo da poter campare degnamente.”

Stavolta Hardison non aveva alzato la mano per parlare -ma si beccò comunque un’altra gomitata nella bocca dello stomaco, subito prima che l’amico e collega gli mettesse un braccio sulle spalle, tirandoselo a sé fingendo un cameratismo che in quel momento era ben lungi dal provare. “Non gli ho fatto male davvero. Siamo come fratelli. Vero, Alec? Diglielo anche tu che siamo come fratelli.”

“Si….” Hardison sibilò, guadando Eliot un po’ stupito- ma soprattutto un po’ terrorizzato, non volendo contrarialo.

Becks schioccò la lingua contro il palato, lieta di vedere che, nonostante tutto, alcune cose non sembravano destinate a cambiare- e che, tutto sommato, Eliot stava bene, nonostante la bomba (questa volta metaforica) che gli era esplosa davanti.

“Andiamo Alec,” disse dando una pacca all’amico, “lasciamoli soli. Abbiamo un mucchio di lavoro da fare.”

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Capitolo 10
*** Good Romance ***


Ultimo capitolo! Stavolta, il prompt usato è :

15. "Se non esistessi, bisognerebbe inventarti."

Quando Eliot tornò a casa era ormai passata la mezzanotte da un bel pezzo. Becks aveva cenato (con una cosa precotta scaldata al microonde, per cui, definirla cena era una parola molto grossa), e poi si era seduta sul divano, in tenuta da casa, a guardare Netflix in compagnia di una tisana calda, col risultato che si era addormentata in men che non si dica, e che il suo “ragazzo” l’aveva trovata spaparanzata poco elegantemente sul divano a russare leggermente con la bocca aperta e con addosso un pigiamone rosa che avrebbe fatto orrore a chiunque, Shrek incluso.

Eliot si fermò ad osservarla, grattandosi il capo, pensieroso, con il sorriso sulle labbra, incredulo: solo due anni prima, se qualcuno gli avesse detto che un giorno avrebbe avuto una donna da cui tornare a casa la sera, sarebbe scoppiato a ridere. Se gli avessero detto che per  per giunta quella donna sarebbe stata (relativamente) normale, niente a che vedere con le modelle stangone di plastica con cui era sempre uscito una volta archiviata definitivamente la sua storia con Aimee, e che sarebbe andata a dormire (a volte) con un pigiamone felpato rosa e che avrebbe  russato, beh, avrebbe chiamato subito la neuro-deliri.

Eppure, eccola lì, Becks, con occhiali, pigiamone, i capelli che erano un disastro, addormentata sul divano. E sinceramente, era la cosa più adorabile del mondo. Non che non lo avesse pensato quando erano amici- lei era sempre stata una buona fonte di ispirazione e di consigli decenti – ma adesso era diverso. Insomma, adorava la sua compagnia quando si trattava di chiacchierare, di guardare film, quando suonava la chitarra, e se la portava pure a letto. E non era solo il sesso, eh. Certo, il sesso era molto… buono, ma si facevano le coccole. L’ultima volta che aveva fatto le coccole ad una ragazze per il semplice gusto di farle le coccole e non come qualche forma di preliminare era stato… boh, talmente tanto tempo prima che manco se lo ricordava.

Se non fosse esistita, qualcuno avrebbe dovuto inventarla, quella santa donna.

E dire che se l’era quasi fatta scappare. E ben più di una volta. Altro che santa. Sarebbe dovuta andare dritta in Paradiso.

“Ehy…” sbadigliò con la bocca impastata, stiracchiandosi e sollevando la camicia del pigiama. “Uhm… che ore sono?”

“Quasi l’una.” Becks si mise a sedere, accucciandosi contro uno dei braccioli, facendo spazio ad Eliot che si sedette davanti a lei. “Abbiamo parlato fino a dieci minuti fa. Torna a San Francisco tra qualche ora, ma pensavo di andare a farle un saluto il mese prossimo, mi piacerebbe fare un salto a Santa Barbara a salutare mio zio Henry e magari ne potrei approfittare. Potrei…” si schiarì la voce, arrossendo. “Magari potrei conoscere i miei fratelli. E magari tu potresti venire con me. Magari potremmo chiedere a Nathan di prenderci un paio di settimane di vacanza. Potremmo passare prima dall’Oklahoma a salutare mio fratello ed i marmocchi e potrei farti conoscere mio padre dal vivo di già che ci sono.”

Lei sollevò il sopracciglio, un po’ maliziosa. “Sembra una cosa molto da fidanzata. Molto… ufficiale.”

“Magari è il momento di rendere la cosa ufficiale.” Le prese i piedi in grembo, e si mise a massaggiarli. Ecco un’altra cosa che non avrebbe mai immaginato di fare. “Voglio dire, ormai sono due anni che stiamo insieme. Viviamo come se fossimo sposati, perché non farlo?”

Lei lo guardò con gli occhi che le uscivano dalle orbite, più o meno come se avesse appena assistito ad un’autopsia. Era uscito fuori di testa. O era stato sostituito da un alieno. O un clone. Non c’era altra soluzione. A meno che Nate non l’avesse ipnotizzato (sì, lo sapeva fare, e sì, l’aveva già fatto) o Sophie avesse fatto uno dei suoi giochini di programmazione neurolinguistica (sì, li sapeva fare, e sì, li aveva già fatti, anzi, proprio su Eliot).

“Beh?” le chiese, con lo stesso tono con cui avrebbe potuto chiederle se aveva già fatto il sudoku del Tribune.

“Anche sorvolassimo sul fatto che mi hai appena chiesto di sposarti mentre sono in pigiama sul divano e tu sei tutto ammaccato perché te le sei fatte dare dall’assistente di un pseudo-sensitivo…” fece una pausa. Come per ricomporsi e cercare le parole giuste. “Hai sempre detto che tu eri contro gli impegni. Che se avessi voluto il matrimonio o dei figli avrei dovuto guardare altrove.”

“Un uomo è libero di cambiare idea, dolcezza.”  La prese un po’ in giro. “Senti, sui figli io la penso ancora come prima- con il nostro lavoro, non ci vedo a crescere della prole, però, se ci pensi, noi in pratica siamo già sposati, ce lo dicono tutti. Io amo te, tu ami me, e ormai questa cosa va avanti da anni, quindi direi che non posso più dire di non voler legami. So che non sei esattamente pro matrimonio, però, se volessi intanto fidanzarti non mi dispiacerebbe. Uno, due, cinque anni…non mi interessa. Anche tutta la vita. Però, vorrei poter dire “ecco la mia fidanzata”. Abbiamo quarant’anni…”

“Parla per te. Tu li hai superati da un bel po’ i quaranta, a me invece mancano ancora tre anni per arrivarci.” Lo prese in giro, facendogli la linguaccia, col risultato che Eliot le lanciò addosso un cuscino di morbide piume.

“Come dicevo, è stupido dire “ecco la mia ragazza” alla nostra età. Tu non sei la mia ragazza. Non sei una cosetta con cui mi diverto oggi e tra due settimane me ne sono dimenticato. Quindi…” le fece segno di andare avanti con la mano.

“Non devo mettermi ad organizzare il matrimonio, vero? Perché io non ne sono tanto convinta di volermi sposare, visti gli esempi che abbiamo avuto, e poi, non mi hai dato nemmeno un anello, o un diamantino…”

“Per il diamante, potrei comprare da Parker la mia parte del diamante Rosalinda, se ti andasse bene anche un collier,  oppure, potremmo fare un giretto da Tiffany, se proprio volessi un anello…”

“Potremmo fare tutti e due, tanto dubito che lo compreresti. L’anello, intendo.” arricciò lei  il naso. “Perché, in questo caso, io avrei messo gli occhi su Soreste. È un anellino di platino con fedina in diamanti, diamante centrale taglio a cuscino da due carati, con doppia corona di diamanti di cui una rosa, che con il Rosalinda farebbe pure pandant.”

“Giusto una cosettina semplice, eh? Meno male che i diamanti io non li compro….” Ridendo, afferrandola per i polpacci, Eliot la tirò a sé, sistemandosela in grembo, mentre Becks squittiva civettuola e gli metteva le braccia al collo. “Tornando a parlare di matrimonio, pensavo, potremmo iniziare a fare le prove generali per la prima notte di nozze, ti va piccola?”

Mentre lui la teneva in braccio e la portava in camera da letto, Becks rise, nascondendo il volto nella sua camicia di jeans.

Beh, se essere sposata con Eliot Spencer implicava una vita come la loro, forse, tutto sommato, lui aveva ragione, e ne poteva valere la pena.

Specie se le avesse rubato l’anello dei suoi sogni.

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