Locked-in

di Serpentina
(/viewuser.php?uid=35806)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Le attività extracurricolari di Frida Weil ***
Capitolo 3: *** Nella tana del corvo ***
Capitolo 4: *** Tre tipi di lacrime ***
Capitolo 5: *** Cercare risposte è meglio che fare domande ***
Capitolo 6: *** Rock the casbah ***
Capitolo 7: *** Rivelazioni con contorno di cioccolato ***
Capitolo 8: *** L'ascesa di Zelda ***
Capitolo 9: *** Zoè e Bios ***
Capitolo 10: *** Bittersweet symphony ***
Capitolo 11: *** Williamsofia ***
Capitolo 12: *** Frida Fast&Furious ***
Capitolo 13: *** In memoriam ***
Capitolo 14: *** Il braccio violento dell'amore ***
Capitolo 15: *** Nella rete ***
Capitolo 16: *** Flashback ***
Capitolo 17: *** Nostalgia canaglia ***
Capitolo 18: *** Tu chiamale, se vuoi, complicazioni ***
Capitolo 19: *** Ricreazione ***
Capitolo 20: *** One step closer ***
Capitolo 21: *** Under pressure ***
Capitolo 22: *** Morto, ma non sepolto ***
Capitolo 23: *** Aria di tempesta ***
Capitolo 24: *** Extra: one punch girl ***
Capitolo 25: *** Feuer frei ***
Capitolo 26: *** L'ora della verità ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 
La cosa peggiore non è cadere, bensì non rialzarsi e giacere nella polvere.
Paulo Coelho

 
–Coraggio, Aisling, ancora pochi passi e sarà tutto finito.
–Non… voglio…- biascicò la ragazza mentre veniva sospinta verso la finestra della sua camera, incapace di opporre la benchè minima resistenza.
–Non vuoi che gli incubi finiscano, Aisling?
–Io… sì. Basta… incubi.
–Sì, così, da brava. È ora di farla finita.
Una spinta poderosa, e la povera ragazza, ancora intontita dal cocktail di droghe e farmaci che aveva assunto, cadde oltre il davanzale della finestra.
Si dice non esista paura più grande di quella che si prova nel percepire il vuoto intorno a sé mentre si precipita.
Non importa l’altezza di caduta, o l’intenzionalità del gesto, la necessità di tenere i piedi ben saldi su una superficie solida è connaturata nell’essere umano; scindere questo legame non può che ingenerare un forte stress.
Nell’osservare il suolo ghiaioso che sembrava muoversi contro gravità per raggiungerla, Aisling Carter si trovò a dissentire: il problema non era tanto la caduta, quanto l’atterraggio.
Tuttavia, negli istanti immediatamente precedenti l’impatto non emise un suono. Venne pervasa da un senso di pace interiore, invece che di panico: non aveva più nulla da perdere, se non la sua misera vita.
Chiuse gli occhi e rivolse un ultimo pensiero alla madre.
“Aspettami, mamma, sto arrivando. Niente e nessuno potrà più separarci”.
Il rumore sordo dato dall’urto del corpo contro il terreno ruppe il silenzio della notte, ma venne udito da una sola persona, che aveva osservato la scena da dietro una finestra, paralizzata sul posto da un miscuglio di orrore e sollievo.
 
***
 
Il sole era sorto da poco quando Evan e Isobel Conworthy, che nella vecchiaia avevano preso l’abitudine di fare una passeggiata di primo mattino, si imbatterono nel corpo di loro nipote Aisling.
Tacitati i cani, immancabili compagni nella passeggiata mattutina, Evan la rimproverò per quella che doveva essere stata una nottata all’insegna di eccessi tali da farle perdere i sensi prima ancora di raggiungere il letto.
–Adesso basta, Aisling! Ti taglierò i fondi, giuro su Dio! Ma guardati, stesa lì come una barbona. Dovresti vergognarti! Ti sei drogata di nuovo, vero?
Isobel, che nel frattempo si era avvicinata alla nipote per aiutarla a rimettersi in piedi, si accorse della pozza di sangue sotto il capo della ragazza, che giaceva riversa a terra in una posa innaturale, inerte agli stimoli esterni, lo sguardo vitreo rivolto al cielo punteggiato di nuvolette.
–Evan, chiama un’ambulanza, presto!
 
***
 
Andrew Carter, infastidito da luci e suoni di una Londra in pieno fermento, si svegliò di malumore. Scacciata in malo modo la scaldaletto di turno, decise che avrebbe saltato i corsi all’università, concedendosi una giornata di puro relax: aveva bisogno di riprendersi dai bagordi del finesettimana.
Incerto su quali attività improduttive imperniare la giornata, pensò di iniziare con un lungo bagno caldo: niente di meglio della schiuma profumata e della musica rilassante per schiarirsi le idee.
Una chiamata in arrivo pose fine a quel momento di pace. Rispose senza degnarsi di controllare l’identità del chiamante, pronto a mandare al diavolo chiunque avesse osato disturbarlo.
Peccato che quel qualcuno fosse sua nonna.
–Andrew, è successa una cosa terribile! Aisling …
Digrignò i denti. Avrebbe dovuto immaginarlo: i nonni non l’avrebbero mai chiamato per parlare di lui e della sua vita, doveva per forza trattarsi di Aisling e dei casini in cui riusciva a cacciarsi persino da sobria. Un giorno i fisici avrebbero scoperto che in realtà l’universo si basava non sull’eliocentrismo, bensì sull’Aisling-centrismo.  
–Di cosa si tratta, stavolta? Ubriachezza molesta? Taccheggio? Streaking? Detenzione e/o spaccio di stupefacenti? Roba già vista! Onestamente, nonna, non me ne può fregare di meno. Credevo che la mia venuta a Londra lo avesse messo in chiaro: mi sono rotto di farle da balia. È ora che paghi le conseguenze delle proprie azioni!
–Non potrà più farlo- singhiozzò l’anziana donna. –È morta.
 
Note dell’autrice:
Piccola premessa: ho deciso di iniziare a pubblicare i primi capitoli di questa storia per sondare un po’ l’opinione pubblica. Non sono sicura di nulla, neppure del titolo, perciò i feedback sono bene accetti.
Confesso che l’idea di scrivere un giallo mi frullava in testa da un po’. Il materiale non manca, dato il mio lavoro,  ma non ho mai avuto il coraggio di mettermi in gioco.
La trama si è dipanata praticamente da sola nella mia mente. Ho avuto più difficoltà, invece, nella scelta del contesto e dei personaggi: da un lato, volevo portare in scena personaggi nuovi; dall’altro, non mi sentivo pronta a dare l’addio definitivo a Faith e Franz, protagonisti delle mie ultime storie.
Alla fine, ho raggiunto un compromesso ambientando la vicenda in un futuro prossimo e lasciando le indagini in mano alla nuova generazione, alias i figli dei miei vecchi personaggi. La storia, comunque, è leggibile a sé.
Spero di essere riuscita ad accendere la vostra curiosità con questo breve prologo. Nel prossimo capitolo verranno introdotti gli altri personaggi (chi ha letto l’extra alla mia long romantica “Baby boom” sa a chi mi riferisco 😉).
Informazioni di servizio: lo streaking è una pratica esibizionista consistente nell'irrompere, completamente nudi, in un luogo pubblico, in particolare nell'ambito di manifestazioni pubbliche con folto pubblico; il nome Aisling deriva dall’irlandese, vuol dire "sogno", "visione" (la scelta, vedrete, non è casuale).
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Le attività extracurricolari di Frida Weil ***


Le attività extracurricolari di Frida Weil
 
La mia vita non è che un continuo sforzo per sfuggire alla banalità dell’esistenza.
Sir Arthur Conan Doyle
 
Ogni mattina l’orologio biologico di Frida Weil precedeva la sveglia di due minuti esatti, che impiegava riordinando le idee prima di schiudere gli occhi sul nuovo giorno. Quella mattina di inizio ottobre, invece, la batté sul tempo di ben sessanta minuti.
Si alzò dal letto bruscamente, incurante dei miagolii di disappunto di Moriarty, lo scorbutico gatto che ronfava acciambellato accanto a lei, e si fiondò sotto la doccia.
Dell’incubo che aveva interrotto prematuramente il suo riposo serbava soltanto la sgradevole sensazione che avrebbe fatto meglio a restare rintanata sotto le coperte, sensazione che neppure il vigoroso getto d’acqua riuscì a lavare via.
Indossò con meccanica precisione la divisa scolastica, lieta di non sprecare tempo prezioso in un’azione secondo lei futile, quale scegliere cosa indossare. Non che trascurasse la cura del proprio aspetto; dopotutto, nulla è insignificante per una mente superiore*. Semplicemente, vi badava il minimo indispensabile a non apparire mai sciatta o fuori luogo, senza perdersi nei fronzoli che, aveva notato, assorbivano molta della materia cerebrale delle sue coetanee.
Al suo ingresso in cucina, suo padre l’accolse con un gioviale quanto sarcastico –Guten Morgen, Fröschlein!1-, ricevendo in risposta un altrettanto sarcastico –Guten Morgen, lieber Vater! Mutti.
Sapeva bene che quell’appellativo così formale lo infastidiva tanto quanto l’essere accomunata a un viscido anfibio gracidante infastidiva lei.
Sbirciò con la coda dell’occhio le carte che sua madre stava rileggendo con espressione soddisfatta. Faith chiuse di scatto il dossier e disse –Assolutamente no! I privilegi bisogna guadagnarseli. Risolvi l’indovinello, e condividerò questo fascicolo con te.
–Sfida accettata. Preparati all’ennesima sconfitta!- replicò la ragazza, che aveva ereditato dalla madre la passione per gli enigmi di ogni genere.
–Un uomo entra in un bar e chiede, con voce spezzata,  un bicchiere d’acqua. Il barista lo guarda per qualche secondo, poi si abbassa a prendere qualcosa sotto il bancone. È una pistola, e la punta direttamente alla testa dell’uomo che gli aveva chiesto un po’ d’acqua. Come lo spieghi?
Frida, dopo un paio di minuti di riflessione, si lasciò sfuggire un risolino.
–Ti sei rammollita, Mutti: è talmente facile che quasi mi sento insultata!
Wirklich?- esclamò Franz, orgoglioso, ma al contempo frustrato, del fatto che sua figlia lo surclassasse regolarmente nella risoluzione degli enigmi proposti da Faith su base quotidiana. –Spero vorrai condividere la soluzione con noi comuni mortali cerebralmente normodotati!
–L’uomo che chiedeva dell’acqua aveva il singhiozzo e il barista ha deciso di spaventarlo per farglielo passare. Avrebbe fatto prima a dargli un bicchiere d’acqua, mia modesta opinione- sciorinò Frida col tono della maestrina che ripete per l’ennesima volta un concetto semplice ad un alunno particolarmente ottuso. –Tutto ha una spiegazione razionale, lieber Vater, esserne consapevoli è la chiave per risolvere qualunque problema: se il rasoio di Occam fallisce, si eliminano man mano le altre ipotesi meno ovvie; l’ultima rimasta, per quanto improbabile, non potrà che essere la verità.
Faith, fiera dell’ingegno di sua figlia, la ricompensò con un breve applauso e allungò verso di lei il dossier.
Riconosceva a Frida un’intelligenza più unica che rara (di cui si attribuiva in gran parte il merito), una buona dose di testardaggine (di cui si attribuiva interamente il merito)  e una certa noncuranza per le regole - oltre alla famigerata presunzione “marca Weil” - e non disdegnava di condividere con lei i suoi casi, anche i più complicati. Il suo contributo si era rivelato prezioso più volte di quante avrebbe mai ammesso (specialmente a sua cognata Serle).
–Leggi pure, ma non perderci troppo tempo. Una povera ragazza ricca, tossicodipendente a intermittenza e con problemi psichiatrici, è caduta da una finestra della residenza di famiglia. Nulla di eclatante. Mi spiace, ma non si può sempre avere tra le mani l’omicidio dell’anno!
–Morte accidentale? Un po’ frettoloso, come verdetto- asserì la ragazza una volta terminata la lettura. –Come spieghi quei graffi sul davanzale della finestra? Hai fatto rilevare le impronte? E se fosse stata drogata? Hai richiesto un esame tossicologico? E una consulenza ingegneristica?
Tacitata la fastidiosa voce interiore - paurosamente simile a quella di Rose Taylor in Irving - che le rinfacciava di aver inculcato in sua figlia un pericolo senso di superiorità  (“Se anche fosse? Meglio che farla crescere timida e insicura come me!”), Faith rispose a quella raffica di domande, scrollando le spalle –Anche il davanzale della finestra della mia camera ha dei graffi, eppure non mi pare sia mai precipitato qualcuno da lì. Ovvio che ho fatto eseguire un esame tossicologico completo, positivo per cocaina e benzodiazepine. Sorprendente, in una che faceva avanti e indietro dai centri di recupero! Non ho richiesto la consulenza di un ingegnere, non vedo perché dovrei. Rassegnati, tesoro: a volte il chi è più interessante del come e del perché.
–A volte basta il chi per immaginare almeno una dozzina di come e perché diversi. Sei decisa a chiudere il caso, Mutti?- ribattè la figlia, lasciando intendere di essersi già figurata, in quel breve lasso di tempo,  una dozzina di moventi e sospettati, con relative percentuali di probabilità.
–Serle concorda con me: abbiamo una soluzione semplice a portata di mano, e nessuna prova a confutarla. Cosa faresti, al nostro posto?
–Comincerei a preoccuparmi. Nulla è più ingannevole di un fatto ovvio*- sbuffò Frida, per poi attaccare famelica una pila di frittelle annegate nella salsa ai frutti di bosco (aveva ereditato dalla madre anche la golosità).
Franz attese che le due donne avessero la bocca piena, prima di prima di sganciare la bomba che avrebbe irrimediabilmente guastato l’armonia familiare. Voleva evitare che un’eventuale interruzione rovinasse l’effetto scenico.
–Che ne diresti se ti accompagnassi a scuola, Fröschlein?- le propose in tono falsamente zuccheroso. –Con la Harley!- si affrettò ad aggiungere, di fronte all’espressione terrorizzata della ragazza. –Tanto devo venirci comunque: il preside vuole deliziarmi con i resoconti delle tue… attività extracurricolari. Reggiti forte, meine Liebe, la notizia potrebbe sconvolgerti: la tua consulente investigativa di fiducia spaccia … compiti. Ai suoi compagni. Per denaro.
Faith per poco non si strozzò con il porridge, e Frida scoccò a suo padre un’occhiata sdegnosa, carica di astio e alterigia, come solo gli adolescenti sanno fare.
Se fosse stata beccata a fumare o, peggio ancora, a “prodursi in effusioni inappropriate al contesto scolastico” (per usare un’espressione cara al suddetto preside), avrebbe ammesso le sue colpe, autopunendosi per l’orrendo crimine di aver sprecato neuroni preziosi in attività indegne del loro potenziale; ma lei era l’incarnazione della figlia ideale: studentessa modello, non fumatrice, astemia e contraria all’uso di sostanze psicotrope di qualunque genere (mai e poi mai avrebbe perso il controllo sul proprio cervello e rischiato di soccombere ad una qualsivoglia forma di dipendenza).
A volte usava le celluline grigie di cui andava tanto fiera per compiere atti di dubbia moralità e legalità. E allora? Cosa c’era di male nel sollevare i suoi compagni dall’onere dei compiti (dietro lauto compenso)? Quel bigotto pisquano del preside ostacolava la sua iniziativa imprenditoriale, e suo padre pretendeva fosse lei a sentirsi nel torto?
–Ovviamente per denaro! Non sono mica scema!- ribatté infine, sprezzante.
Faith, sconcertata, fece per aprir bocca, ma si bloccò ad un’occhiataccia di Franz, il cui cipiglio avrebbe intimidito i peggiori cattivi della letteratura e della cinematografia.
Soltanto Frida, probabilmente perché negli occhi del padre rivedeva i propri (“E non si può avere paura del proprio riflesso”), riusciva a sostenere quello sguardo glaciale con una tranquillità che rasentava la strafottenza.
–Se non ricordo male, lieber Vater, sei stato tu a dirmi che niente dovrebbe impedirmi di volare tanto in alto quanto mi permettono le mie ali.
–Non se ti fanno volare dal preside!- replicò Franz. –Capisco il desidero di mettersi alla prova per il gusto di scoprire quanto in là puoi spingerti senza gravi conseguenze - sapessi quante volte l’ho fatto, alla tua età - ma devi darti una regolata. Spiacente, mi vedo costretto a …- “Scheiße! Come punirla? Cosa potrebbe smuoverla nel profondo? Denk, schnell!” –Vietarti l’accesso ai casi di tua madre!
Frida sbiancò: suo padre non poteva farle questo, era troppo crudele persino per lui!
–Stai bluffando. Non oseresti!
Du willst mich nicht wirklich wütend machen, Fröschlein2- sibilò Franz, in tedesco, per mettere in chiaro che sì, era dannatamente serio, e no, non si metteva affatto bene per lei.
 
***
 
Si stava annoiando. A morte.
Le lancette dell’orologio segnavano un orario sconfortante. Prese a giocherellare con un biondo ricciolo ribelle cadutogli sulla fronte, mentre ingannava il tempo ritraendo l’unico altro studente che aveva il coraggio di mostrare apertamente un livello di noia pari al suo: Frida Weil.
Sedeva scompostamente, spalmata sul banco, con la testa mollemente appoggiata su una mano e lo sguardo rivolto al mondo oltre la finestra, che doveva offrirle attrattive più degne di attenzione dell’oltraggio perpetrato ai danni dell’opera di Mary Shelley da Anthony Midget con la sua voce nasale e monocorde.
“Strano! Di solito si comporta come se avesse un palo su per il culo. Oggi, invece, sembra voler mandare a fanculo il mondo intero!”
La vide scribacchiare qualcosa sul quaderno e realizzò che, come lui, era mancina.
“La conosco da un mese, e soltanto oggi scopro che abbiamo qualcosa in comune? Forse dovrei osservarla meglio … o anche no, potrebbe farsi strane idee”.
Kevin Cartridge, suo compagno di banco (nonché figlio di Ben, amico di lunga data di suo padre), lo distolse da quella sorprendente rivelazione.
–Non mi ero mai accorto che Frida avesse questo stacco di coscia- ridacchiò, indicando la versione cartacea dell’amica, molto fedele all’originale, tranne che per i centimetri quadrati di pelle esposta: la camicetta aveva i primi tre bottoni aperti e la gonna era parzialmente arrotolata, lasciando scoperte le gambe nella loro interezza.
La paura di perdere il primo e, al momento, unico amico che aveva in Inghilterra lo indusse a reprimere l’istinto di mandarlo a quel paese. Della prole degli amici di suo padre, Kevin era l’unico che riteneva passabile: non parlava a vanvera e, soprattutto, sembrava essere stato risparmiato dalla superficialità e dall’ipertrofia dell’ego endemiche nella popolazione inglese in età adolescenziale.
–Sì, beh … un artista si prende le sue libertà- bofonchiò, in lieve imbarazzo.
–Limitati ai disegni- sussurrò Kevin di rimando. –Frida è allergica al contatto umano e ha un gancio micidiale. Il povero Midget ci ha provato con lei, l’anno scorso, e fino all’anno scorso aveva il naso dritto. Comprendi?
–Continua tu, Weil- ordinò il professore, lisciandosi i baffi per nascondere la smorfia di disappunto che aveva fatto capolino sul volto: nemmeno l’allieva più brillante che avesse mai varcato la soglia dell’istituto era dispensata dall’obbligo di prestare attenzione durante le lezioni.
“Ora si ride”, pensò. Frida si era completamente estraniata dalla lezione dopo i primi cinque minuti, non poteva avere idea del punto da cui riprendere la lettura del brano. Rischiò seriamente un infarto nell’udire la sua voce vellutata leggere senza esitazione.
“Mi sembrava di vedere Elizabeth, nel fiore della salute, per le strade di Ingolstadt. Sorpreso e gioioso, l’abbracciavo; ma come imprimevo il primo bacio sulle sue labbra queste si facevano livide, color di morte…”
–Non è possibile! È stata tutto il tempo a guardare fuori dalla finestra!
–E tu a guardare lei … guardone!- lo schernì Kevin.
–Oh, chiudi il becco!- ringhiò. –Stava pensando al nulla cosmico! Come ha fatto?
–Te l’ho ripetuto mille volte- bisbigliò l’altro, alzando gli occhi al cielo. –È un genio!
Deluso per essere stato privato di una ghiotta occasione per deridere la Weil,  ripiombò nel torpore, fino a quando l’insegnante non lo esortò a proseguire nella lettura da dove lei si era interrotta.
“Sono fottuto! Stra-fottuto! Bella figura di merda sto per fare!”
Frida, inaspettatamente, lo trasse d’impaccio, mimando con le labbra “Henry Clerval”. Per sua fortuna, lui conosceva ‘Frankenstein’ a menadito, e quel piccolo aiuto fu sufficiente a evitargli una sicura figuraccia.
“Quando fu più vicina, mi accorsi che era la diligenza svizzera; si fermò giusto dov’ero io e, quando si aprì lo sportello, riconobbi Henry Clerval che, vedendomi, all’istante balzò a terra.”
–E io che credevo di coglierti in flagrante distrazione!- esclamò il professore, stupefatto. –Va avanti.
Concluse lettura e analisi del brano, si girò verso Frida per ringraziarla di avergli salvato le natiche, ma lei aveva ripreso ad osservare il mondo al di là della finestra, indifferente a tutto il resto.
 
***
 
“Qui si mette male”, pensò Kevin appena scorse Frida seduta da sola al solito tavolo in mensa, intenta a infilzare il cibo nel piatto con preoccupante ferocia. L’assenza di Nathaniel e Kimberly non era mai un buon segno, significava che la Weil era di umore tale da rendere necessario tenersi a distanza di sicurezza. Scelse di dare comunque ascolto alla voce dell’amicizia, e oltrepassò l’immaginaria cortina di filo spinato per indagare le cause del suo malumore.
–Cosa ti hanno fatto di male quelle povere salsicce?
–Sto immaginando al loro posto quel bigotto pisquano del preside e deinen neuen besten Freund3, colpevoli di aver trasformato la mia giornata in una torta di Kuhscheiße4. Quirke mi ha messa in punizione per quella sciocchezza dei compiti a pagamento, e il tuo amico Wollestonecraft ha ripagato la mia gentilezza tentando di rovinarmi.
Se suo padre e suo zio Brian fossero stati presenti, gli avrebbero tirato un ceffone ciascuno: tra i primi insegnamenti che gli avevano impartito figurava il non sminuire mai un problema, specialmente se sollevato da una donna. Invece, in preda al panico, fu esattamente ciò che fece.
–Dai, non può essere così grave!
–Quale superiore conoscenza del mondo ti permette di formulare questa asserzione?- gli soffiò contro Frida, simile come non mai al suo gatto.
Kevin, reprimendo a fatica le risate, sospirò e rispose –Tanto per cominciare, ti conosco da che portavamo il pannolino, so che possiedi una certa propensione per la teatralità- ignorò i borbottii dell’amica e proseguì –Inoltre, non puoi lagnarti se il preside svolge il suo lavoro, cioè sorvegliare l’andamento della scuola e  punire chi infrange le regole; dovresti baciare la terra che calpesta, per non essere stata buttata fuori. Infine, si dà il caso che Will sia una delle persone migliori che abbia mai conosciuto. È proprio … buono, capisci? Ma non un buono idiota, che agisce impulsivamente al solo scopo di provare la sua bontà d’animo; un buono intelligente, che segue un - com’è che l’ha chiamato? - imperativo morale: agisce come vorrebbe che agissero tutti per creare un mondo migliore. Non saboterebbe mai volontariamente qualcuno, men che meno qualcuno che si è mostrato gentile nei suoi confronti.
“Un kantiano del cazzo, insomma!”, pensò la ragazza, senza però osare tradurre quel pensiero in parole. Scadere nel turpiloquio avrebbe minato l’aura di perfezione che la circondava, e non poteva permetterlo.
–Il tuo buon samaritano, col suo imperativo morale, mi sta rovinando la piazza: ha convinto Mary Blossom di non aver bisogno dei miei servigi, perché prendere scorciatoie impoverisce umanamente e intellettualmente. “La vera soddisfazione sta nel mettere alla prova le proprie forze e imparare dai propri errori”. Giuro che se dovessi perdere un’altra fonte di guadagno per colpa della legge morale in lui, lo spedirò a calci dritto nel cielo stellato sopra di lui!
–Fossi in te, invece, la pianterei con questa vendita clandestina di compiti, prima che sia troppo tardi. Se venissi beccata di nuovo, rischieresti seriamente l’espulsione, e addio sogni di gloria!- osservò saggiamente Kevin, per poi ridacchiare. –Ehi, se non sapessi per chi batte il tuo tenero cuoricino racchiuso nel granito, penserei che sei attratta da Will. Nessuno era riuscito a farti infervorare, prima d’ora!
–Pessima scelta di parole- lo rimbeccò la ragazza, scuotendo la testa. –In deinem entzückenden Kopf5 attrazione e infatuazione sono sinonimi, quando non è così. Dato che ci conosciamo dai tempi del pannolino, sarò sincera con te: il mio impressionante Q.I. non mi rende meno suscettibile agli ormoni, e gli occhi mi funzionano, così come gli altri sensi. Ovvio che l’abitante delle colonie mi attragga un minimo: è oggettivamente un bel ragazzo, escludendo il naso, troppo a patata, e il solco tra gli incisivi, che risulta fastidioso quando ci si bacia…
–Quale superiore conoscenza del mondo ti permette di formulare questa asserzione?- la scimmiottò Kevin, per poi rinfacciarle quanto la sua scarsa esperienza in baci e affini, oggetto di molte delle prese in giro da parte di Kimberly, superasse comunque quella (inesistente) della Weil. –Se non ricordo male, il tuo conteggio ragazzi è pari a zero, a meno di includere quel patetico sfioramento di labbra con Midget, prima che gli cambiassi i connotati.
Frida provò l’impulso selvaggio di esternare il proprio disappunto sventolando entrambi i medi a due centimetri dalla faccia di Kevin, ma, ancora una volta, riuscì a trattenersi e ad impedire che un attimo di follia macchiasse la sua reputazione.
–Avrò modo di recuperare alla grande, una volta conquistato il mio principe azzurro- rispose in tono pacato, portando dietro l’orecchio una ciocca sfuggita dalla treccia alla francese. –Che c’è? È forse anormale aspettare la persona giusta per fare certe cose?
–Beh, considerato che la persona in questione è più grande, perciò, con ogni probabilità, ha già fatto di tutto e di più…- rispose Kevin, salvo poi mordersi la lingua, davanti allo sguardo da cucciolo ferito dell’amica. –Ehm, ma no, certo che no! È perfettamente comprensibile. Se chiedessi a Kim, ti direbbe che sei da internare, ma io ti capisco.
–Sei un becero ipocrita. Taci, fai più figura!- sbuffò Frida, alzando gli occhi al cielo. –Tua sorella, perlomeno, è come appare; non si atteggia a Vergine Maria per poi comportarsi in segreto da Maddalena pre-conversione! A proposito: da come lo guarda, temo voglia usare deinen neuen besten Freund per ingelosire Nate; quello, oppure vuole cannibalizzarlo. Se non avesse già un ragazzo d’oro, che la adora, la spingerei a provarci. Farebbe jackpot: oltre che un piacere per gli occhi e, probabilmente, altre parti del corpo che lascio alla tua immaginazione, l’abitante delle colonie è intelligente quasi quanto me, ironico quanto basta … non sembra neanche troppo socievole, il che, per me, è un pregio …
–Però! L’hai osservato bene!- commentò Kevin, lanciandole occhiate maliziose.
–Smettila di guardarmi in quel modo. Sembri Kimmy con un accenno di barba, è disturbante!- lo redarguì Frida. –Tutti i pregi del mondo non basterebbero a farmi provare qualcosa per lui, o per chiunque altro. Come hai giustamente detto, il mio cuore di tenera scioglievolezza è già occupato. E, di nuovo: pessima scelta di parole. Non l’ho osservato, ho valutato a distanza la sua fitness - nell’accezione darwiniana del termine - perché, nonostante abbia tentato di rovinare tutto facendo lo str… psicologo da due soldi, ho una mezza idea di includerlo nel nostro gruppo.
–Nate non lo accetterebbe. Gli sta antipatico, non capisco perché- ammise Kevin, scrollando le spalle. –Peccato: credo che tu gli piaccia. Di sicuro ti trova sexy, altrimenti non avrebbe… oh, merda! Ho detto troppo!
–Non avrebbe cosa?
Kevin sussultò, diviso tra due degli istinti primordiali propri di ogni animale davanti a un predatore: scappare o fingersi morto (aveva rinunciato a priori a ingaggiare una lotta, Frida era un avversario fuori dalla sua portata). Un barlume di razionalità gli fece realizzare di non poter attuare nessuno dei due. Decise quindi di rivelarle dell’opera d’arte venuta alla luce durante la lezione di letteratura. Frida, naturalmente, non ne fu affatto felice e si dichiarò disposta a tutto, pur di appropriarsene.
–Ti prego, dimmi che non gli farai fare la fine di Midget: la faccia di Will è patrimonio UNESCO!
Frida lo lasciò crogiolarsi nel dubbio, prima di degnarlo di una risposta.
–Escludendo il naso patatoso e il solco tra gli incisivi, ti do ragione. Tranquillo, Kev, sono contraria alla violenza non necessaria- gli assicurò. –Grande è il condottiero che vince senza combattere. Esattamente ciò che intendo fare: tramite la diplomazia, otterrò quel disegno osceno direttamente dalle mani del suo creatore!
 
***
 
Non era un misantropo, ma preferiva la compagnia di se stesso a quella di gente che non gli si confaceva, e, senza offesa per Kevin, la cricca dei suoi amichetti prediletti - composta dalla sorella Kimberly, il suo ragazzo “tira-e-molla” Nathaniel Jefferson-Keynes e Frida “Sherlock Holmes in gonnella” Weil - proprio non gli si confaceva.
Avrebbe forse potuto tollerare i primi due, le cui contorte dinamiche di coppia offrivano un interessante spunto di studio psicologico, ma la Weil assolutamente no. Ufficialmente, non la sopportava per via della sua algida, irritante imperturbabilità; ufficiosamente, perché non riusciva ad inquadrarla. Aveva sentito troppe voci contrastanti su di lei: secondo alcuni era un’eroina geniale che aiutava i suoi compagni di sventura; secondo altri, invece, una “bastarda manipolatrice che lucrava sulle debolezze altrui”; secondo altri ancora, era una “pallona gonfiata con tendenze sociopatiche”.
Nonostante la recente scoperta della losca attività di spaccio di compiti paresse confermare il cumulo di dicerie infamanti sul suo conto, non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che quella ragazza fosse migliore di come voleva apparire: contribuire concretamente alla risoluzione di casi criminosi e averlo aiutato in un momento di difficoltà erano, senza ombra di dubbio, atti encomiabili, che mal si sposavano con l’immagine che traspariva da condotte eticamente discutibili quali farsi pagare per svolgere l’assegno di altri o rompere il naso a un ragazzo.
Sentiva che la Weil celava un mondo, dietro quegli occhi di ghiaccio, e, bonus non di poco conto, un corpo niente male sotto l’austera divisa, e la detestava per il suo trincerarsi dietro una impenetrabile cortina di freddezza, impedendo a chiunque (soprattutto lui) di avvicinarsi.
Seduto nell’angolo più remoto del cortile, cercò di chiudere la mente ai pensieri su Frida mentre provava a tratteggiare a memoria il panorama che si godeva dalla sua camera a Canberra: il gazebo bianco, la staccionata dello stesso colore, le siepi ben tenute e le aiuole colme di fiori variopinti, vanto di sua madre, il monte Taylor che si stagliava maestoso all’orizzonte.
Quanto gli mancava l’Australia! Londra in confronto era fredda e smorta, come i suoi abitanti. Eppure, la nostalgia per la terra natale non riusciva a fargli rimpiangere di essersi trasferito nel vecchio continente: suo padre era tornato nel Regno Unito dopo il divorzio, e aveva sofferto la sua lontananza più di quanto avrebbe mai sofferto la mancanza dei pomeriggi trascorsi a girovagare nel bush o lungo il fiume Molonglo in cerca d’ispirazione. Certo, sentiva la mancanza della madre, ma era mitigata da un odio profondo nei confronti dell’uomo che aveva sposato e dei di lui figli (mai e poi mai li avrebbe considerati parte della famiglia, non meritavano un tale onore). 
A un tratto, udì lo scricchiolio di un ramo che si piegava, seguito dal quasi impercettibile fruscio prodotto da un corpo in caduta libera, una mela rossa; con uno scatto fulmineo, di cui non si sarebbe mai ritenuto capace, riuscì ad afferrarla prima che toccasse terra. Sorrise compiaciuto del proprio successo e, d’impulso, la morse.
Non fece in tempo a interrogarsi sulla provenienza di quel frutto - l’ingegneria genetica non era ancora progredita al punto da far produrre mele a un faggio - che Frida balzò giù dall’albero, cogliendolo di sorpresa, si sedette di fianco a lui e trillò –Complimenti, Wollestonecraft, ottimi riflessi! Sono favorevolmente impressionata.
Seccato per aver perso la tanto agognata quiete, soffiò sprezzante –Se almeno metà delle voci sono vere, Weil, dovresti essere in punizione, o impegnata in qualcosa di meglio che tirare frutta alla gente. Nessun omicidio degno della tua attenzione? Oppure i tuoi amici avevano le scatole piene di te?
–Il mio cognome è tedesco, la pronuncia corretta è “vail”. Inoltre, per tua informazione, potrei avere un caso interessante per le mani, e avevo io le scatole piene dei miei amici: Kimmy ha iniziato a civettare con i suoi fan adoranti, Nate si è risentito e ha minacciato di lasciarla per l’ennesima volta, al che San Kevin, patrono degli impiccioni, è partito con un sermone sul valore della decenza e del perdono. Una noia mortale, e io detesto annoiarmi!
–Sì, beh, io detesto essere disturbato in piena fase creativa; perciò, se potessi …
Non riuscì a finire la frase; Frida aveva afferrato un foglio che faceva capolino dall’album da disegno: il ritratto che le aveva fatto poche ore prima.
–Ehi, ma questa sono io!- esclamò, ostentando stupore. –Schön! Du hast wirklich Talent!6 Lo immaginavo: la mediocrità non riconosce nulla che le sia superiore; ma un genio riconosce istantaneamente il talento*.
“Ok, è una pallona gonfiata!”
–Genio? Hai un’alta opinione di te stessa.
–E di te. Non potrebbe essere altrimenti: una persona che si basa sulla logica deve vedere ogni cosa esattamente com’è; sottovalutare se stessi e gli altri costituisce una deviazione dalla verità tanto quanto esagerare le proprie e altrui capacità*. Ah, vielen Dank7 per non aver gonfiato oltre misura le mie tette, una quarta abbondante basta e avanza!
William rimase sbalordito tanto dalla prontezza, quanto dalla inusitata sfacciataggine della replica.
“Sbaglio, o mi ha appena spiattellato la sua taglia di reggiseno?”
Arrossì a quel pensiero, ma recuperò quasi subito un contegno dignitoso. Colse un repentino mutamento nella sua espressione, ora simile a quella di una bambina in procinto di chiedere ai genitori il permesso di tenere un animaletto raccattato per strada. Capì all’istante cosa le passava per la mente, ma preferì non risparmiarle il disagio di formulare la richiesta ad alta voce.
–Posso tenerlo?
–Non è finito.
–Mi piace così com’è- concluse lei in un tono che non ammetteva repliche, gli tolse di mano la mela e l’azzannò. –Allora, posso tenerlo?
 
Note:
Ce la farà la nostra eroina a sottrarre il disegno dalle mani di Will? Lo scoprirete nel prossimo capitolo (che probabilmente pubblicherò a inizio settembre)!
Vi anticipo che non si entrerà subito nel vivo dell’indagine. Ho deciso di prendermela comoda e approfondire prima i personaggi, lasciando l’attività investigativa, almeno in un primo momento, un po’ in secondo piano; tranquilli, però, Sherlock Weil si sta già arrovellando per risolvere quello che, per ora, soltanto lei considera un mistero.
A proposito di Frida e compagnia, ci terrei ad avere la vostra opinione spassionata sui protagonisti: sono credibili e caratterizzati decentemente?
Nel caso ve lo steste chiedendo, nella mia mente Kevin ha l’aspetto di Ben Barnes, Kim di Kaya Scodelario, Nate di Alex Pettyfer, William di Danny Griffin e Frida di Chloe Marshall.
A presto (spero)!
Serpentina
P.s.: il Rasoio di Occam è il nome di un principio metodologico, espresso nel XIV secolo dal filosofo e frate francescano inglese Guglielmo di Occam, che suggerisce, per risolvere un problema, di scegliere, tra più ipotesi, quella più semplice, a meno che non sia necessario e utile prendere in considerazione altri fattori.
P.p.s.: mi sto flagellando per la frase “kantiano del cazzo”. Immanuel, perdonami questa eresia, ti giuro che non riflette in alcun modo il mio pensiero. Io ti adoro!
*citazione di Sherlock Holmes
1In tedesco i diminutivi si formano aggiungendo alla parola il suffisso -chen o -lein. Spesso la vocale radicale del diminutivo prende la umlaut (dieresi). Frosch = rana à Fröschlein = ranocchietta.
2Non ti conviene farmi arrabbiare, Ranocchietta.
3Il tuo nuovo migliore amico
4Sterco di mucca
5Nella tua adorabile testolina
6Bello! Hai davvero talento!
7Grazie mille

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Nella tana del corvo ***


Nella tana del corvo
 
“La gelosia è in un certo senso giusta e ragionevole, poiché tende solo a conservare un bene che ci appartiene, o che crediamo ci appartenga; mentre l'invidia è un furore che non può sopportare il bene altrui.”
François de La Rochefoucauld
 
Kimberly Cartridge non era immune all’invidia spicciola che fomentava la competizione per il titolo di più bella del reame; la sua (unica vera) amica Frida Weil era, a sua insaputa, compresa fra la concorrenza. Si sentiva un verme a provare simili sentimenti, ed era cosciente del fatto che fossero a senso unico, ma non poteva farne a meno: la voce interiore che le rinfacciava quanto fosse immaturo - e anti-femminista - invidiare Frida si riduceva a un flebile sussurro non appena questa entrava nel raggio d’azione del suo radar.
Non le invidiava tanto la genialità - che a suo parere era una maledizione, più che un dono - quanto la grazia innata: era frustrante che la postura e l’incedere elegante da modella in passerella alla Weil riuscissero naturali come respirare, mentre lei doveva concentrarsi per infondere in ogni movimento quel tocco di seduttività che le garantiva di non passare mai inosservata.
Irritata dall’espressione trionfante dell’amica in avvicinamento - e ancor di più dal sorriso a trentadue denti che le rivolse il suo ragazzo, Nathaniel Jefferson-Keynes - Kimberly si limitò a salutarla con la mano, senza proferire parola: stava morendo dalla curiosità di scoprire cosa la rendesse tanto felice, ma, allo stesso tempo, non voleva concederle la soddisfazione di vantarsi della sua ultima impresa. Ad appagare la sua curiosità, preservando allo stesso tempo l’orgoglio, provvide suo fratello gemello Kevin.
–È quello che penso?- chiese a Frida, puntando l’indice verso il foglio che rigirava tra le dita.
–Se stai pensando al Kunstwerk del tuo nuovo amico del cuore … Du hast Recht.1
–Allora è per questo che eri interessata all’abitante delle colonie: fregargli quel foglio!- constatò Nathaniel con evidente sollievo. –Meno male! Cominciavo a pensare ti piacesse … in quel senso.
–Geloso anche della nostra Frida, Natie?- intervenne allora Kimberly, sdraiata sulle gambe del fratello. –Non ti basto io?
–Si può avere una miriade di buone ragioni per avvicinare una persona, anche se non ci piace; non da ultimo, impedire che altri occhi, oltre a quelli di Kev, possano posarsi su questo kleine Meisterwerk2- spiegò Frida, inserendosi nel nascente battibecco tra i due litigiosi piccioncini. –Il solo pensiero che l’abitante delle colonie abbia fantasticato su di me in pose sconce mi dà l’orticaria; se penso che altri avrebbero potuto vedermi mezza nuda, poi, mi viene da vomitare!
–Drama queen- ribatté Kimberly, occhieggiandola maliziosamente, per poi portarsi una ciocca dei lunghi capelli castani (che portava rigorosamente sciolti, in barba al regolamento scolastico, con buona pace del corpo insegnante) sul labbro superiore a mo’ di baffi. –Il Maori biondo è un gran figo. Se solo non stesse sempre sulle sue! Personalmente, non mi abbasserei mai a provarci con un ragazzo - è compito loro! - ma, fossi in te, mi sentirei lusingata di ispirarlo e cercherei un contatto ravvicinato, se capisci cosa intendo. Dovrai pur prenderlo da qualcuno, prima o poi, e nessuno di quelli da cui potresti considerare di prenderlo può o vuole dartelo. Tanto vale accontentarsi. Meglio lui di un cesso a pedali, no?
–Chissà perché, amore, da te mi aspettavo una risposta del genere. Però è vero, Frida, la tua reazione a quel disegno è esagerata. Cosa dovrei fare io, allora, una carneficina al giorno?- sbottò Nathaniel, adirato, indicando la sua ragazza, che teneva la camicia aperta ai limiti dell’indecenza e le gambe accavallate. Un gruppetto di ragazzini del primo anno la stava fissando con evidente apprezzamento; mancava solo che iniziassero a sbavare.
Di fronte al sorrisetto strafottente di Kimberly, che aveva pure inarcato la schiena per mostrare al meglio le proprie curve, Nathaniel serrò i pugni e digrignò i denti; non bisognava essere Sherlock Holmes per subodorare che la situazione stava degenerando, e rischiava di scapparci il morto o, peggio ancora, uno dei noiosi sermoni di Kevin sulla tolleranza e il rispetto reciproco.
Frida, irritata da cotanto infantilismo, sbuffò –L’omicidio di massa non è una cattiva idea: il pianeta è sovrappopolato, soprattutto da Dummköpfe3, e poi daresti lavoro meiner lieben Mutter. Nel caso, però, fammelo sapere prima, così potrà preparare le celle frigo per accogliere tutti i cadaveri. Ora posso andare al martirio, alias immeritatissima punizione, senza temere che vi scanniate in mia assenza?
Kimberly si affrettò a mettersi in piedi e rispose –Potrai sorvegliarci di persona: anche io e Natie siamo in punizione. Andiamo, miei prodi!
 
***
 
Contrariamente all’atteso, i tre non ebbero modo di interagire, mentre sgobbavano per ripulire la scuola “insozzata dalla loro laida condotta” (testuali parole del preside). Fu solo quando, in metropolitana, il palese nervosismo di Nate arrivò ad urtarle i nervi, che Frida si decise a riesumare la questione.
–Io forse - ripeto, forse - me lo sono meritato, ma tu com’è che sei finito in punizione?
–Quirke ha beccato me e Kim a scambiarci “effusioni inappropriate al contesto scolastico”. Ogni tanto si ricorda di avere un ragazzo- sospirò mestamente, evitando di incrociare lo sguardo dell’amica mentre salivano sull’affollato treno della metropolitana.
–Ah, la cara Kimmy, origine e soluzione di quasi tutti i tuoi problemi! Sai, meine Mutti dice sempre che, se non l’avesse vista nascere, penserebbe sia la figlia segreta di zia Bridget, quella che ha avuto quattro mariti- scherzò lei di rimando, per poi tornare seria. –Non ti stai nemmeno sforzando di nascondere che qualcosa non va, Nate, tanto vale che ti sfoghi. Sai che puoi confidarmi tutto. Tu sei mio fratello e io tua sorella, ricordi?
–Per sentirmi ripetere le solite perle di saggezza? No, grazie!- si lagnò il ragazzo, salendo con lei sul treno della metropolitana. –Senza offesa, sorella, sarai geniale sotto molti punti di vista, ma non capisci un cazzo di sentimenti! Come potresti? Credi che amare significhi trascinare per anni una cotta infantile che è quasi impossibile sia ricambiata! Non hai mai … sì, insomma … non permetti a nessuno di avvicinarti. Stai nella tua torre d’avorio, a fare la principessina sospirosa, in attesa di un principe che non si è accorto di dover venire a liberarti, forse nemmeno lo desidera.
Frida alzò gli occhi al cielo, mossa dall’esasperazione: come osava? Lei era onnisciente! Lui, piuttosto, non capiva un cazzo di sentimenti!
“Caro il mio fratello non di sangue, il vero amore è paziente, sa attendere il momento giusto per sbocciare: mi dichiarerò quando i tempi saranno maturi. Ci arrivi da solo, o devo farti uno schemino? Ah, lasciamo perdere, meglio evitare lo scontro, non ho forze sufficienti a vincere una guerra verbale. Meglio rigirare la frittata. Mmm … frittata… wie sehr liebe ich es!4 spero che Papi la prepari per cena!”
–Ti è mai passato per la testa che, forse, sono gli altri a non volersi avvicinare? Ora basta parlare di me, sei tu ad avere un problema.
–Comincio a pensare che abbiano ragione i miei padri: io non ho un problema, io sono il problema. Kim si comporta così per provocarmi, è la mia gelosia a fomentarla. Forse sto diventando patologico.
–Se fossi un geloso patologico me ne sarei già accorta, e avrei fatto di tutto per renderti inoffensivo. Dopo attente riflessioni, sono giunta alla conclusione che il comportamento deliberatamente provocatorio di Kimmy - è mia amica, le voglio bene, ma bisogna ammettere che qualunque cosa dica o faccia trasuda allusioni sessuali! - non ha il solo scopo di irritarti: ama stare al centro dell’attenzione e, per motivi a noi ignoti, necessita di continue conferme per tenere a galla la sua autostima. Hai commesso il colossale errore di mettere la ragazza che ami su un piedistallo; per tua sfortuna, la ragazza in questione sul piedistallo ci sta fin troppo bene: è popolare e cosciente di esserlo; di più: ha bisogno di esserlo, quanto dell’aria per respirare. Se non riesci a sopportare il suo modo di fare, ti conviene lasciarla. È inutile che perdiate tempo a prendervi in giro!
–Ma io la amo! E, anche volendo, non posso mollarla: Kev mi ucciderebbe! Devo cercare di tenere in piedi questa storia a ogni costo. Potrei provare a parlarne con lei; sì, insomma, chiederle di, ecco, tentare di, uhm, calmarsi un pochino. Per me.
Una risata risuonò alle loro spalle, seguita da una voce ormai familiare, che esclamò –Cielo, J.K., mi avevano detto che eri intelligente! Illudersi che una come Cartridge possa - cito - calmarsi un pochino, solo perché glielo hai chiesto tu, è folle quanto pensare che un piattino di latte basti a soddisfare l’appetito di un ghepardo*!
–Mi hai letteralmente tolto le parole di bocca- annuì Frida in segno di approvazione. –Nonostante ti diletti in disegni che rasentano il pornografico, meriti la mia stima, Wollestonecraft. Sei cosciente di avere un cognome poco funzionale alla comunicazione? Troppo lungo! Posso chiamarti William? O Will? No, Liam! Ancora meglio!- senza aspettare una risposta, aggiunse –Nate, il nostro- calcò l’accento sul “nostro” –È solo un consiglio, sta a te decidere cosa fare. Ad ogni modo, ti pregherei di non lasciare Kimmy prima di sabato, mi serve che tolleriate di respirare la stessa aria. Devo incontrare un paio di persone al Tipsy Crow e mi sarà più facile negoziare un’uscita serale con i miei, se sapranno che i miei angeli custodi veglieranno su di me!
–Non pensi di finire ai domiciliari, dopo la storia della vendita clandestina di compiti?- inquisì Nathaniel.
Faith e Franz non gli sembravano genitori particolarmente severi, ma Frida - checché ne dicesse - stavolta l’aveva combinata grossa. Secondo lui, sarebbe stata miracolata se le avessero permesso di uscire in tempo per le compere natalizie.
–I miei hanno meditato un castigo particolarmente crudele: mi hanno privata di ciò che più amo al mondo: immischiarmi nel lavoro meiner lieben Mutti. Ho già pensato a come ricambiare il favore, natürlich- rispose lei, ammiccando in direzione di un sempre più perplesso William. –Nondimeno, ho il sacrosanto dovere di evitare che meine Mutter commetta un errore madornale: non vuole darmi retta e, mi spiace dirlo, rischia di prendere un grosso granchio.
–Ho capito: vuoi dimostrare a Faith che si sbaglia e gongolare!- esclamò Nate, prima di scendere alla fermata più vicina a casa. –Conta su di me, a patto che porti qualcuno munito di pass per gli alcolici. Mi conosci: considero sprecato ogni finesettimana in cui non mi sbronzo. Hasta la vista, baby!
–Mi lasci affrontare da sola la seduta di bartitsu? Pusillanime!- gli urlò dietro Frida.
William inspirò a fondo, calcolando al millisecondo il momento perfetto per sibilare, storcendo il naso –Adesso si spiegano molte cose. Anche i tuoi hanno qualche rotella fuori posto: se mia figlia si comportasse come te, non vedrebbe la luce del sole fino alla prossima era geologica, altro che palestra e serate nei locali!
Frida provò un istantaneo moto di stizza; non era abituata a ricevere insulti - nemmeno troppo velati - alla sua persona o alla sua famiglia.
–Non dovevi scendere a Shaftesbury Avenue?
–Evidentemente no. Per essere un genio fai domande incredibilmente stupide!
Arschloch! Schwanzlutscher! Scheißkerl!5 Come osa parlare così a me?”
–Insolente! E io che, nella mia infinita generosità, volevo tirarti fuori dal tuo guscio, darti un assaggio di vita mondana londinese …
–Mi stai invitando a unirmi alla Scooby gang? No, grazie, non sono così disperato!
“Gli tendo la mano e lui la rifiuta? Chi si crede di essere?”
Il contegno freddo e distaccato di Frida vacillò per un attimo; dopo una serie di respiri profondi, riuscì a calmarsi abbastanza da replicare in maniera civile.
–Per essere chiari, Liam: sei qui da un mese e non ti si vede fare altro che studiare e scarabocchiare sul tuo album da disegno, senza degnare di considerazione nessuno, a parte Kev. Ovvio che tutti, a scuola, si siano fatti l’idea che sei strambo! Alla Scooby gang manca uno Scooby Doo, e farti vedere a fare cose normali, con la gente giusta, confermerebbe che sei effettivamente normale, così magari gli altri la smetterebbero di chiamarti “abitante delle colonie”, “Maori biondo”, “Mr. Koala Dundee”, eccetera!
–I rapporti interpersonali non sono il tuo forte. Lo sai, sì? Dare dello “strambo” e del “cane” a qualcuno che vorresti farti amico … non è una tattica vincente. Per essere chiari, Weil: tu non mi piaci.
–Però ti piace disegnarmi, razza di pervertito!- mormorò Frida tra i denti, ad un volume sufficientemente alto da essere udito da William, che  non la prese bene: per la seconda volta in vita sua (la prima era stata quando la madre gli aveva presentato il suo attuale marito), provò il bruciante desiderio di schiaffeggiare una donna.
–Fammi capire: per te un essere umano con delle fisiologiche pulsioni sessuali, che per qualche strana ragione ti trova attraente, sarebbe un pervertito? Sei una bella ragazza, e io un diciassettenne eterosessuale che, finora, mi pare, ti ha trattata col massimo rispetto- si incupì ulteriormente e aggiunse –Ti ho ritratta con tutti i vestiti addosso, puritana che non sei altro! E io sarei un pervertito? Tu non stai bene!
–Non voglio che pensi a me in quel modo, ok?- pigolò la Weil, distogliendo lo sguardo. –Vorrei che nessuno pensasse a me in quel modo… a parte il mio ragazzo, natürlich, se ne avessi uno.
William eruppe in una risata priva di allegria.
–Inizio a pensare che in te alberghi un’antica anima del quindicesimo secolo, probabilmente un membro dell’Inquisizione spagnola.
Frida riuscì ancora una volta a spiazzarlo: aveva visto fiamme bluastre ardere in quegli occhi di ghiaccio, perciò si aspettava una reazione veemente, uno scoppio di rabbia (“Almeno avrei conferma che è umana!”); invece, gli rispose con una battuta del gruppo comico che aveva segnato la sua infanzia.
–Nessuno si aspetta l’Inquisizione spagnola.
Se l’intento era di calmarlo, fece centro: il ragazzo si lasciò sfuggire una risatina e disse –Citi i Monty Python? Potrei seriamente chiederti di sposarmi!
–Conosci i Monty Python? E non li consideri vecchiume del secolo scorso? Potrei seriamente accettare la proposta- ridacchiò la Weil, seppellendo l’ascia di guerra con un sorriso. –Comunque, ero seria, prima: ti stimo, Liam. Davvero. E… mi servi. Devo chiederti un favore enorme.
William si divertì a metterla a disagio, avvicinandosi a lei fino a sfiorarne i capelli con la punta del naso, per poi fingere di annusarla.
–Percepisco un sentore di agrumi, sudore … e sincerità. Intrigante- quindi, a sorpresa, aggiunse, profondendosi in un inchino –Ok, sono troppo curioso per non dartela vinta. In cosa posso esservi utile, madamigella?
 
***
 
Quel sabato si prospettava interessante. Come da tradizione, si sarebbe recata al Tipsy Crow, principale crocevia della rete urbana del divertimento e del pettegolezzo. Di solito, una volta raccolte le informazioni che le servivano, finiva irrimediabilmente con l’annoiarsi e/o col fare da balia agli amici, ubriachi fradici. Non quella sera: aveva un’importante missione da portare a termine.
Confermato per questa sera: Tipsy Crow, all’ora di Cenerentola. A.
Frida curvò le labbra in un mezzo sorriso e si affrettò a rispondere: “Cenerentola avrà l’ombretto blu e un cerchietto con le orecchie di gatto tra i capelli”.
–Tieni ferme quelle zampacce!- le intimò Kimberly.
Seccata per l’interruzione al flusso di pensieri che si stavano susseguendo nella sua mente, ma incapace di contraddire l’amica, posò immediatamente il cellulare sulla scrivania e smise di tirare giù l’orlo del tubino nero di pizzo che era stata praticamente costretta ad indossare.
Non soffriva di scarsa autostima, anzi, aveva da sempre un rapporto neutro col proprio corpo: non lo riteneva né bello, né brutto, semplicemente indegno di considerazione. A differenza dell’altra, non traeva compiacimento dall’essere al centro dell’attenzione e ricevere, da perfetti sconosciuti, occhiate e apprezzamenti nel migliore dei casi imbarazzanti, nel peggiore molesti e lesivi del suo spazio personale. Si considerava principalmente un cervello, il resto di lei era una semplice appendice*; tuttavia, l’idea di mostrarsi in pubblico con buona parte della propria “appendice” scoperta la metteva a disagio, perché non gradiva di essere giudicata in base all’involucro, piuttosto che al contenuto.
Il suo ritratto in posa provocante era l’ennesima prova della necessità di coprirsi il più possibile: nonostante si premurasse di indossare la giacca della divisa completamente abbottonata e la gonna della lunghezza regolamentare (al ginocchio), quel Wollestonecraft era riuscito non solo a indovinare le sue forme, ma addirittura a farle irradiare una sensualità che mai avrebbe immaginato di possedere. Sulle prime, era stata tentata di disfarsene, così da non doversi più confrontare con un lato di sé che avrebbe preferito non conoscere. Memore delle parole di sua madre (“Danneggiare quanto c'è di bello a questo mondo equivale a firmare il contratto per l'involuzione ad australopiteco”), aveva però desistito da quel proposito, lasciando che fosse Moriarty a decidere il destino di quel pezzo di carta con la sua effige. Il gatto, manco a dirlo, lo aveva snobbato, preferendo accanirsi sulla lampada nuova, ormai spacciabile per un’opera di Fontana.
Determinata a non somigliare più del necessario alla se stessa del ritratto, protestò con l’amica –Ci sarà una ragione, se mi sono sempre rifiutata di tirar fuori dall’armadio il tuo regalo: mi basta sollevare le braccia per far vedere le mutande!
–A questo serve l’intimo in pizzo. Peccato tu abbia soltanto mutandoni che manco mia nonna!- replicò l’altra senza scomporsi, per poi tentare di far leva sulla vanità femminile. –Certo, però, capisco se vuoi nascondere le smagliature … e l’interno coscia non proprio tonicissimo …
Frida alzò gli occhi al soffitto, scuotendo il capo: se Kimberly stava giocando quella carta, doveva essere disperata. In un impeto di infantilismo, le fece la linguaccia e rise.
–Sicura di voler scadere così in basso, Kimmy? Ne sei proprio sicura? Sai che me ne frego di queste stronzate. Mi piaccio così come sono e, fosse per me, andrei a bere il tè con la famiglia reale in tuta. Leider6, una miriade di studi neuropsicologici ha dimostrato che l’abito fa il monaco: è più semplice ottenere quello che vuoi se appari curato e ben vestito, e a me piace semplificarmi la vita. Nein, nein, nein! Ich schaffe es nicht!7 Metto i pantaloni!
–Fai come ti pare- sbuffò Kimberly, stiracchiandosi sulla sedia. –Considera, però, che se vuoi che i tuoi si bevano la storia che esci con l’abitante delle colonie, così da poter evadere dai domiciliari, devi essere credibile, e una ragazza normale, quando esce con un ragazzo che le piace, normalmente esibisce la mercanzia, non la nasconde!
Frida rivolse al proprio riflesso un’occhiata tra il disgustato e il supplichevole, prima di arrendersi a quella triste verità.
Na gut, vada per questo fazzoletto che chiami impropriamente vestito!
 
***
 
Sebbene Frida lo avesse messo a parte del suo machiavellico piano, nel breve, quanto imbarazzante, lasso di tempo trascorso sulla soglia di casa Irving-Weil in attesa che la principessina finisse di farsi bella, William sperò di essere inghiottito da una provvidenziale voragine: era conscio del fardello che gravava sull’unica femmina di una famiglia, nonché dei rischi che correva qualunque maschio non consanguineo che osasse avvicinarla (specialmente se con il di lei consenso); tuttavia, non si aspettava un’accoglienza così apertamente ostile. I Weil non solo non l’avevano invitato a entrare in casa, ma avevano risposto al suo educato saluto fissandolo con aria truce, Franz, e allibita, Faith, la quale, quando si era presentato, era impallidita al punto da fargli temere potesse andare all’altro mondo davanti a lui.
Frida fece finalmente la sua comparsa in grande stile e, dopo aver assicurato ai genitori che si sarebbe comportata bene, chiese se approvassero la sua scelta del cavaliere per la serata esibendo il sorrisetto più irritante che William avesse mai visto; fu tentato di contravvenire ai propri ferrei principi morali e prenderla a ceffoni.
Fu nuovamente tentato di ricorrere alla violenza quando, una volta in strada, si sentì dire –Nonostante tutto, piaci ai miei genitori: hai lasciato casa mia incolume! Però erano incazzati neri, come avevo pianificato. Wunderbar!
“Signori Weil, la testa di cazzo che avete cresciuto suscita in me istinti violenti. Posso prenderla a sberle qui e subito? Vi assicuro che se l’è cercata.”
–Oh, sì, davvero wunderbar!- la schernì, per poi esprimere il proprio parere con la consueta brutale sincerità. –Usarmi come burattino per infastidire mamma e papà. Maturo, da parte tua. Quanti anni hai, tre?
–Mia madre ha un libro sulle torture medievali. Questiona la mia maturità un’altra volta e le sperimenterò su di te!
–Confermeresti la mia tesi, Weil. Certo, pure i tuoi … tuo padre pareva pronto a uccidere, tua madre sembrava avesse visto un fantasma!
Frida riuscì a sorprenderlo per l’ennesima volta: si aspettava una reazione rabbiosa, addirittura violenta; tutto, tranne che scoppiasse a ridere e si aggrappasse al suo braccio, come se fossero una coppietta.
Prese l’appunto mentale di correggere Kevin alla prima occasione: la Weil non era affatto allergica al contatto fisico, a patto che fosse di breve durata e finalizzato all’attuazione dei piani elaborati dalla sua mente contorta.
–In un certo senso, è così- rispose, rivolgendogli uno dei suoi tipici “sorrisi da Stregatto”. –Niente di personale, è solo che sei la copia sputata di tuo padre da giovane.
–Cosa ne sai tu di mio padre?
Un lampo di incredulità attraversò gli occhi di ghiaccio della giovane, sostituito dal luccichio di chi freme dalla voglia di condividere una preziosa informazione.
–Io sono onnisciente. Al contrario di te, a quanto pare. Credevo mi avessi assecondata proprio perché… Ma se non sai niente… Davvero non sai niente? Non stai facendo il finto tonto? La situazione è peggiore del previsto!- sbottò, gesticolando con la mano libera come una consumata teatrante. –Tieniti forte, Liam, ho una confessione da fare: non sono stata del tutto sincera con te- “Sai che novità!”, pensò lui. –Ho insistito tanto per farmi venire a prendere a casa non soltanto perché avevo bisogno di un alibi per poter uscire, ma, soprattutto, perché contavo che, al vederti, mia madre avrebbe rischiato l’infarto e mio padre una condanna per omicidio. Una piccola vendetta per avermi messa in punizione. Sei il ritratto di tuo padre da giovane e lui… stava con mia madre. Erano a tanto così dal matrimonio, ma l’ha mollata a, tipo, una settimana dal giorno fatidico, procurandole un gravissimo trauma emotivo. Talmente grave, che ci ha messo quasi un anno a fidarsi di mio padre. Adesso capisci perché ai miei è venuto un colpo? Io, ihre einzige Tochter8, con te … per loro è stata la materializzazione di un incubo! Oh, non fare quella faccia! Vedi il lato positivo: hai scampato il pericolo di avermi come sorella. Ti pare poco?
Sconcertato dalla scioccante rivelazione, e dall’ancor più scioccante trama machiavellica nella quale era stato invischiato suo malgrado, William iniziò uno sciopero della parola. Frida non poté tollerarlo, e decise di provocarlo fino al punto di rottura.
–Hai intenzione di tenermi il muso tutta la sera? Sul serio? Maturo, da parte tua! E su, dai, parlami! Ti garantisco che non sarà così terribile, anzi, è uno scambio mutuamente vantaggioso: io posso indagare in pace e tu passerai una serata divertente, che, chissà, potresti continuare in dolce compagnia. Mi servi come alibi per giustificare le mie uscite ai miei genitori; una volta nel locale, ti lascerò libero di razzolare quanto e con chi ti pare. Contento?
Lui, per tutta risposta, fermò lo sciopero e si grattò una guancia, pensieroso.
–Spero di aver capito male: i tuoi ti hanno lasciato uscire, nonostante tu sia in punizione, perché credono che io e te … sì, insomma … che noi …
–Ci stiamo incollando? Bingo!- trillò Frida, mollando la presa sul braccio del suo accompagnatore. –Se in metropolitana mi avessi ascoltato, invece di fissarmi le tette - non negare, ti ho visto - sapresti che spesso e volentieri affianco meine Mutti und Tante Serle nel loro lavoro. Purtroppo, stavolta i miei me l’hanno vietato, come punizione per quella faccenduola di poco conto dei compiti a pagamento. Dovendo indagare per conto mio …
–Indagare?
–Se c’è una cosa che sopporto ancora meno di essere fissata come una gustosa torta tutta da assaggiare, è venire interrotta mentre sto parlando- lo rimproverò Frida, e attese che l’altro si scusasse, per riprendere il discorso. –Dunque, dicevo? Na ja: stavolta mi tocca indagare da sola, tenendo i miei all’oscuro di tutto, così ho pensato di usare la scusa dell’acchiappo con un ragazzo. Incredibile a dirsi, hanno abboccato subito: se tu non fossi tu, cioè il figlio del quasi marito di mia madre- William digrignò i denti –Avrebbero fatto i salti di gioia. In effetti, prima di incontrarti, erano eccitatissimi all’idea che facessi “finalmente una cosa da adolescente normale”, testuali parole di mio padre. Talmente entusiasti, da dimenticarsi di dettagli insignificanti, tipo l’avermi messa in punizione- incurante dell’espressione basita del suo interlocutore, aggiunse –Sbaglio a pensare che anche tuo padre sia contento che usciamo insieme? Suo figlio ed erede ha qualche chance di inzuppare il biscottino!
Sebbene maturo per la sua età, William era - e rimaneva - un adolescente permaloso; non c’è da stupirsi, dunque, se la sua secca risposta fu –“Ino” è il tuo cervello, Weil! E noi non usciamo insieme! Stiamo … facendo un pezzo di strada insieme per raggiungere degli amici. Ecco, messa in questi termini, riesco a sopportare il pensiero di trascorrere la serata con te- ringhiò. –Per tua informazione, comunque, mio padre ha riso. A crepapelle.
–Incredulo che un solitario come te abbia acchiappato?
–Nel senso di rimediato un appuntamento? No- replicò subito lui, avvampando per l’orgoglio maschile ferito una seconda volta. –Mi è scappato di confessargli che mi hai manipolato per coinvolgermi in … questo. La cosa lo ha divertito enormemente: vuole conoscerti.
–Ricambio la curiosità- annuì Frida. –Vorrei vedere in carne ed ossa l’uomo che ha quasi sposato mia madre!
William contorse i lineamenti in una smorfia di dolore, e ringhiò –Evita di ricordarmelo, per favore!
L’arrivo dei fratelli Cartridge, tallonati dall’onnipresente Nathaniel Jefferson-Keynes, impedì a Frida di replicare con un’uscita pungente delle sue.
Kevin rivolse un’occhiata di apprezzamento all’amica ed esclamò –Dovresti fingere di uscire con qualcuno più spesso, F, sei sexy quasi quanto nel ritratto che ti ha fatto Will!
Il giovane Wollestonecraft si girò verso di lei, pronto a deriderla, ma non ci riuscì: Frida teneva lo sguardo fisso sul piede, che stava sfregando febbrilmente contro il lastricato del marciapiede.
“Non ha tutti i torti, poverina, al suo posto mi sentirei in imbarazzo anch’io: Kev la sta praticamente mangiando con gli occhi!”
Non riuscì a fare finta di niente: un conto era lasciarsi andare a comportamenti del genere nella realtà virtuale, ma con una ragazza vera no! Per quanto antipatica, era comunque meritevole di rispetto, come ogni essere umano.
–Contieniti, Kev, non stai guardando il cabaret di dolci in pasticceria!
La comparsa di un allegro trio di studenti universitari catturò provvidenzialmente la sua attenzione, impedendogli di notare il cenno d’intesa che si scambiarono i gemelli Cartridge.
–Ha ragione, cugino. Mi ricordi mio padre!
A parlare era stato l’essere più incredibilmente bello che William avesse mai visto, tanto da lasciarlo a bocca aperta. Neppure gli occhialetti da nerd a lenti rettangolari riuscivano a scalfire il suo fascino; anzi, se possibile, lo accrescevano. A completare l’immagine di perfezione quasi ultraterrena, esibiva un sorriso smagliante, che non avrebbe sfigurato nella pubblicità di un dentifricio. Non si sarebbe stupito se, all’improvviso, gli fossero spuntate un’aureola e un paio di bianche ali piumate.
“Se fosse gay, per lui potrei diventarlo!”
Frida si rianimò immediatamente, e corse ad abbracciarlo urlando –Aidan! Was für eine tolle Überraschung!9
Sui volti di Kevin, Kimberly e Nathaniel comparvero tre identici sogghigni; William si strofinò gli occhi, incredulo: stava allucinando, oppure la Weil aveva una gemella, non c’era altra spiegazione.
Aidan ricambiò lo stritolamento con entusiasmo, e chiocciò, in tono da fratello maggiore premuroso –La mia piccola Frida! Sei l’unica che si ostina a non chiamarmi AJ- equivocando il motivo della delusione della ragazza, aggiunse, a mo’ di scuse –Rassegnati, per me sarai sempre la piccola Frida, anche a cinquant’anni!
–Nel dubbio se avessi invitato o meno dei maggiorenni, Kev e io abbiamo pensato di chiamare AJ- celiò Kimberly, avvinghiata al suo ragazzo, sorridendo compiaciuta nel constatare che la cute pallida di Frida si era tinta di rosa sulle guance. –Di solito condivide la tua disapprovazione per le nostre sbronze del sabato sera, ma stavolta ha acconsentito a prestarci il suo pass per gli alcolici. A quanto pare è in vena di festeggiare, però non ha voluto dire cosa. Cattivo! Odio stare sulle spine!
Il ragazzo alla sinistra di Aidan tossicchiò insistentemente, nel tentativo di attirare l’attenzione; quando si rese conto di non riuscire nell’intento, sbuffò –Begrüßest du nicht deinen Lieblingscousin10, Zelda?
La brunetta ricciuta che lo teneva per mano ridacchiò –Di cugini ne ha tre- per poi sussurrargli –Di AJ ce n’è soltanto uno!
William si guardò intorno, in cerca di questa Zelda, e rimase di stucco nel vedere Frida staccarsi di botto da Aidan, andare incontro al ragazzo, puntargli l’indice al centro del torace e sibilare, con minacciosa freddezza –Osa chiamarmi così un’altra volta, du Scheißkerl, e …
Was? Mi trafiggerai con il tuo sguardo di ghiaccio? Ich hab‘ solche Angst! 11 È il tuo secondo nome, cuginetta, che ti piaccia o no. Ringrazia che Onkel Franz abbia impedito a Tante Faith di affibbiartelo come primo nome!
Provò per lui subitanea simpatia: chiunque riuscisse a tenere testa alla Weil meritava la sua ammirazione; se poi quel qualcuno era un geek che sembrava aver messo le dita in una presa di corrente, ancora meglio.
–E tu ringrazia che mi sei utile, o ti avrei già dato un pugno in faccia- ribatté Frida.
Ernst scoppiò in una sonora risata.
–“Utile” è un eufemismo: sono il tuo hacker personale, stronzetta!
–Fossi in te, Ernst, non lo urlerei ai quattro venti- gli suggerì la sua ragazza, rimarcando il concetto con una poderosa gomitata nel costato.
William spostò ben presto l’attenzione su alcuni ragazzi in fila all’ingresso del locale, che stavano improvvisando tragicomici stacchetti musicali. Il famigerato Tipsy Crow era letteralmente underground: vi si accedeva da una rampa di scale nere, segnalata dalla vistosa insegna raffigurante un corvo che reggeva tra le ali una bottiglia di whisky.
Impiegò quasi mezzo minuto a realizzare che la musica di sottofondo proveniva dall’interno del locale, e non poté fare a meno di pensare che in Australia - Paese, a quanto pareva, più civile dell’Inghilterra - i proprietari avrebbero beccato un multone per inquinamento acustico.
Cercando, con fatica, di ignorare il martellante “tunz tunz” di sottofondo, si schiarì la gola e disse –Un po’, ehm, cupo, per i miei gusti, ma d’atmosfera. Certo che hanno dei caschi di merda: l’isolamento acustico è praticamente inesistente! Pretenderò uno sconto sul noleggio, col cavolo che pago un cinquantino per una qualità così infima!
Le grasse risate che seguirono gli fecero temere di non avere dietro abbastanza soldi, finché, senza smettere di sghignazzare, il cugino di Frida gli spiegò, brutalmente, che non gli sarebbe servito alcun casco.
–Intendi un C.R.V.? Sei proprio un abitante delle colonie! Nel Regno Unito vige la controtendenza: più le ex colonie dell’Impero vengono travolte dalla deriva ipertecnologica, più il vintage diventa un simbolo di status sociale. Qui la realtà è più chic - e costosa - della realtà virtuale: abbiamo cinema, teatri, locali notturni ancora vecchio stile …
–Niente caschi e avatar- intervenne Frida. –Una vera discoteca, con un vero dj che mixa vera musica…
–Dance anni ’80, ’90 e primi 2000- proseguì Aidan. –Niente di più recente del 2005; almeno, non al Tipsy Crow.
–Un vero barista che serve veri alcolici…
–E vere ragazze che ti si strusciano addosso … se sei fortunato- concluse Nathaniel, scoccandogli un’occhiata di puro disprezzo.
–E single- aggiunse Kimberly, scoccandogli un’occhiataccia, prima di riprendere l’esplorazione speleologica del suo cavo orale.
–Ma è inquinante da morire!- gnaulò William. –E dispendioso: tra elettricità, personale, manutenzione, attrezzature varie … mantenere un posto del genere costerà un botto!
–Proprio per questo costa un botto l’ingresso- rispose Kevin con sussiego. –Però vuoi mettere scatenarsi e ubriacarsi di persona, piuttosto che alienarsi dentro un C.R.V. e socializzare tramite avatar?
William non fece in tempo a formulare una replica intelligente, che Frida lo prese per mano, conducendolo nel caotico semibuio del locale.
–Per qui si va tra la perduta gente. Lascia ogni speranza, o tu che entri!
 
Note dell’autrice:
Chi sarà questo A. (PLL, much? XD), e come si collega alla missione di Frida? Quale grande novità ha in serbo Aidan?
Riguardo al titolo: so che i volatili (per la maggior parte) nidificano, ho scelto il termine “tana” perché richiama un luogo sotterraneo, come, appunto, il Tipsy Crow.
Riguardo, invece, alle licenze creative sul livello tecnologico e il linguaggio giovanile: essendo la storia ambientata nel futuro (prossimo), mi sono immaginata un verosimile progresso della tecnologia e del linguaggio parlato; è impensabile che in diciassette anni non si verifichi una qualche evoluzione.
Informazioni tecniche: Lucio Fontana è stato un pittore, ceramista e scultore italiano, fondatore del movimento spazialista, famoso soprattutto per i suoi tagli su tela; il bartitsu è un mix fra jujitsu, pugilato, judo e il savate francese. Il nome deriva dall’unione del cognome del suo ideatore, Edward William Barton-Wright, e il jujitsu. Era molto popolare in età vittoriana (provate a indovinare chi lo praticava? Vi do un indizio: il suo nome comincia per S) e ha visto un rinnovato interesse nei primi anni 2000.
Grazie ai lettori silenziosi, a chi ha inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite e, naturalmente, grazie di cuore a chi mi ha lasciato un commento. <3 <3 <3
Non mi stancherò mai di ripetere che ho bisogno di feedback per capire se sto dando vita a un giallo decente, o se invece mi conviene darmi all’ippica.
P.s.: adoro lo humor inglese; potevo non inserire una pietra miliare della comicità britannica del calibro dei Monty Python? Lo sketch sull’Inquisizione spagnola è uno dei miei preferiti (gli inquisitori puniscono gli eretici a cuscinate… non dico altro) e, senza dubbio, il più famoso, tanto da essere citato nel film “Sliding doors”.
P.p.s.: le mie storie a volte sono “politicamente scorrette”; mi riferisco in particolare a quando William è tentato di prendere a schiaffi Frida. Voglio precisare che non giustifico in alcun modo la violenza (anche se, al posto di Will, avrei dato a Frida una sberla da capogiro), e spero di non aver urtato la sensibilità di nessuno.
*citazione di Sherlock Holmes
1Kunstwerk = opera d’arte. Du hast Recht =  hai ragione.
2Piccolo capolavoro
3Idioti, teste di rapa
4Quanto mi piace!
5Liberamente tradotto in “Testa di cazzo! Coglione! Stronzo!”
6Purtroppo
7No, no, no! Non ce la faccio!
8La loro unica figlia
9Aidan! Che bella sorpresa!
10Non saluti il tuo cuginetto preferito?
11Ho una paura matta!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Tre tipi di lacrime ***


 Di solito inserisco le note alla fine, ma stavolta è necessaria una piccola premessa: consiglio di leggere il capitolo ascoltando “Lullaby” dei Nickelback, il brano che mi ha ispirato nella scrittura. Buona lettura!
 
Tre tipi di lacrime
 
“Non dovremmo mai vergognarci delle nostre lacrime, perché sono pioggia sulla polvere accecante della terra che ricopre i nostri cuori induriti.”
Charles Dickens
 
Mettere piede al Tipsy Crow fu per William un’esperienza mistica, al pari di varcare il passaggio per un’altra dimensione: abituato com’era al silenzio e all’asetticità dei locali notturni australiani, i suoi sensi vennero travolti da un tripudio di stimoli tale da stordirlo. Quel luogo pulsante di vita e di musica appagò le sue aspettative abbastanza da non fargli rimpiangere la possibilità di personalizzare l’ambiente e la musica.
Come ogni volta in cui metteva piede in un posto nuovo, chiuse gli occhi e inalò a pieni polmoni l’aria circostante, lasciando che le porzioni più primitive del suo encefalo, senza l’ingombrante interferenza degli stimoli visivi, elaborassero la complessa mescolanza di suoni e odori, trasformandolo in emozioni.
Dopo un po’ riaprì gli occhi e si guardò intorno, in attesa che si abituassero alle luci stroboscopiche. I movimenti sinuosi e cadenzati del carnaio che gli si parava davanti avevano un che di ipnotico, ma la sua attenzione venne rapidamente catturata dal punto più luminoso della stanza, dove stazionava un personaggio piuttosto singolare.
–Chi è quel tipo conciato come un black bloc?- chiese a Frida, ma rispondergli fu la ragazza di Ernst, che poco prima si era presentata come Emma James.
–Mio fratello. Il DJ. Di nome e di fatto.
–Ti prego, Emma, non la battutaccia su tuo fratello! Lascia che Liam si illuda ancora per un po’ di essere in mezzo a gente sana di mente!- gnaulò Frida.
–Perché? A me fa ridere!- replicò l’altra, cercando conforto in Ernst, che però sembrava più interessato a ricambiare lo sguardo minaccioso del dj con uno di sfida. –Mio fratello si chiama Derek James. Capito? Derek… James… D… J…
–L’abbiamo capita. Non fa ridere- soffiò Frida, prima di addentrarsi nel groviglio di gente che si dimenava sulla pista da ballo per raggiungere Aidan, abbandonando William al suo destino senza tante cerimonie.
“Non si può dire che non sia di parola”, pensò l’australiano, stranito dal constatare che stava provando un inspiegabile senso di fastidio.
–Come mai tiene il volto coperto?- chiese poi ad Emma, nella speranza che smettesse di guardarlo con espressione compassionevole, neanche fosse un cucciolino di foca abbandonato dalla mamma.
Sia lei che Ernst scoppiarono a ridere sguaiatamente.
–Ufficialmente per non essere riconosciuto dalle fan sfegatate- gli rispose infine, scossa da risatine. –Secondo me, invece, si vergogna di mostrare in pubblico il suo brutto muso.
William avrebbe voluto farle notare che non era carino parlare in quel modo di suo fratello, ma lei era già sparita tra la folla.
Dopo quella che gli parve un’eternità, Kevin si materializzò alla sua sinistra, distogliendolo dai suoi pensieri.
–Non prendertela, amico.
“Perché Frida mi ha scaricato come un sacchetto di spazzatura in un posto a me sconosciuto, in mezzo a perfetti estranei? Cosa vuoi che sia! Quisquilie!”
–Se ti riferisci alla maleducazione della Weil, non me la sono presa- mentì. –Davvero!
In realtà, la cosa lo infastidiva eccome, sebbene non ne capisse la ragione: Frida aveva promesso di lasciarlo libero di “razzolare in giro” e rimorchiare a tutto spiano, se avesse voluto, ed era normale che preferisse dedicare tempo ed attenzione ad Aidan, che conosceva da quando era nata e non vedeva da parecchio, a causa dei suoi impegni da universitario, piuttosto che a lui.
“Allora perché mi fa incazzare che mi abbia scaricato come un deficiente per scodinzolare dietro a quel Cartridge?”
Si convinse che ad irritarlo fosse stato l’abbandono in sé e realizzò in quel momento quanto la tecnologia lo avesse influenzato a sua insaputa, disabituandolo al rifiuto e alla solitudine, che nel mondo virtuale, semplicemente, non esistevano: si era sempre collegati, circondati da altri utenti o avatar creati appositamente per far sì che nessuno si sentisse solo; era impossibile venire rifiutati o, appunto, mollati in un angolino. Ogni utente era il Dio del proprio Eden virtuale, che aveva la facoltà di plasmare a suo uso e consumo. Stare in disparte era sempre stata una sua scelta, prima che la Weil gli facesse sbattere il muso contro la dura realtà, ben diversa da quella fatta di pixel.
–Sarà. Ad ogni modo, ti vieto di fare il tristo eremita per tutta la sera. Coraggio, vieni a ballare!- lo esortò l’amico, tentando di trascinarlo in pista.
William diede una rapida occhiata alla giungla umana compressa in quello spazio ristretto; la debole tentazione di gettarsi nella mischia svanì non appena DJ il dj mise su un lento. Storse le labbra: decisamente, l’universo stava congiurando per non fargli muovere un muscolo. Nella confusione riuscì a scorgere Kimberly e Nathaniel, avvinti come due polpi in calore (–Per pietà, prendetevi una camera!- sbottò Kevin), Ernst ed Emma, che si limitavano a dondolare sul posto, incollati per le labbra (immaginò che il fratello di lei si stesse pentendo amaramente di non aver scelto un brano più movimentato), e Aidan e Frida.
Gli venne da ridere: era chiaro come il sole che la Weil avesse una “cotta ridicola” per quel tipo; ne era prova il modo in cui lo guardava e cercava di attirare la sua attenzione (per non parlare delle risatine di Nate e dei gemelli quando era corsa ad abbracciarlo). Eppure, a differenza delle altre coppie, ballavano mantenendo una minima distanza tra loro.
“Non è poi tutto questo genio, se non le riesce di sfruttare a suo vantaggio una situazione del genere. Nemmeno ci prova!”, pensò, scuotendo il capo. “Razza di idiota! Nella remota eventualità che Aidan ricambi - molto remota: nessuno sano di mente tratta da sorellina scema una ragazza, se spera che diventi la sua ragazza - come potrebbe rendersi conto di avere una possibilità con lei? Non lo sfiora manco per sbaglio! Qualche lezione di seduzione dalla sorella di Kev le farebbe bene.”
Si accorse che Kevin lo stava fissando, in attesa di una sua decisione; si schiarì la voce e rispose –Ehm… Magari dopo. Preferisco bere qualcosa, prima.
–Ti offendi se non vengo con te? Chiedi a Ernst o AJ di accompagnarti.
William, accortosi che lo sguardo dell’amico si era posato su un branco di ragazze, una delle quali lo stava praticamente spogliando con lo sguardo, esclamò –Non preoccuparti per me. Vai e colpisci, degno nipote di Brian Cartridge, così Kim la pianterà di dire che dovresti donare il cazzo alla scienza, per quanto lo usi!- facendolo arrossire. –E grazie, ma non ho bisogno di un babysitter, so badare a me stesso.
–Lo so!- replicò Kevin, spazientito. –Ma sei minorenne, quindi privo di pass per gli alcolici, A.P. per gli amici, e niente pass, niente roba buona. Ergo, hai bisogno di un babysitter… a meno che tu non voglia un analcolico. Vuoi un analcolico?
–Cielo, no! Per chi mi hai preso?
–Non è un crimine essere astemi!
–In Australia sì- ridacchiò William. –Chi non beve finisce rinchiuso nei campi di detenzione. Non lo sapevi?
Kevin boccheggiò, sconcertato –Cosa? Ma è una violazione dei diritti umani!
–Sto scherzando- lo tranquillizzò William, prima che scoppiasse l’incidente diplomatico. –Noi aussie non siamo dei barbari. Quand’è che voi inglesi la smetterete di considerarci tali?
–Non barbari… sudditi- lo corresse Kevin, per poi cambiare subito argomento. –Ehm… ma… tu non volevi bere?
–Bere, sì! Idea grandiosa!- gridò Kimberly, sudata ed euforica, facendosi largo verso di loro. –Devo idratarmi, dopo tutta questa attività fisica- Nathaniel sbuffò una risatina –E tu, Will, devi assolutamente provare la specialità della casa.
–Ah, è Will adesso?- le sussurrò suo fratello direttamente nell’orecchio. –Non è più il Maori biondo?

 
***
 
–Carino il vestito. Un po’ corto, forse, ma ti sta molto bene. Vuoi fare colpo, eh?- Frida divenne color pomodoro, ma al solito Aidan, nella sua ingenuità, male interpretò quella reazione, e aggiunse –Ah, che tenera! Sei proprio cotta!
–C-Chi, io? D-da c-cosa l’hai capito? C-Cioè, voglio dire… ecco… non avresti dovuto scoprirlo così- balbettò la ragazza. –Avrei voluto dirtelo al momento giusto, nel modo giusto, non in mezzo al frastuono!
–Il momento giusto per qualcosa è quando accade- asserì Aidan, aggiustandosi gli occhiali, scivolati sul naso. –E così, la mia piccola Frida è innamorata. Lui lo sa?
–Voglio sperare che, a questo punto, sospetti qualcosa- pigolò lei, evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo. Anche solo pensare ad Aidan le mandava in pappa il cervello, figurarsi averlo a pochi centimetri di distanza: i suoi neuroni entravano in sciopero e si trasformava nella protagonista demente di un romanzetto rosa confetto tutto arcobaleni, unicorni e zuccherini. –Credo sia intelligente abbastanza da aver colto i miei segnali.
–Ovvio! Non avresti mai degnato di attenzione uno stupido. Beh, sappi che approvo.
“Pessima scelta di parole. In che senso, approva? Non ho bisogno di approvazione, ho bisogno che mi baci e mi dica che prova lo stesso!”
–Approvi?
–Non dovrei?- rispose Aidan, scrutandola con affettuosa apprensione. –Una parte di me penserà sempre a te come alla piccola Frida, ma so bene che non sei più la bambina che si divertiva a osservare il cielo insieme a me. Sei cresciuta, è naturale che…  
Ja! Du hast Recht!1 Sono cresciuta!- lo interruppe lei, annuendo vigorosamente, illuminata da un barlume di speranza: che finalmente il corso degli eventi avesse imboccato la giusta direzione? –Non sono più una bambina. Sono lieta che tu l’abbia notato.
–Difficile non notarlo. Voglio dire, guardati: eri una palletta cicciottella, e adesso hai bicipiti più grossi dei miei!- Frida, mortificata, si toccò nervosamente le braccia muscolose. –Ok, torno serio. Mettendo da parte, un po’ a fatica, il mio istinto protettivo da fratello maggiore, ammetto che hai scelto bene: sembra un bravo ragazzo.
Alla giovane Weil mancò un battito: solo gli stupidi parlavano di sé in terza persona, e Aidan era tutto fuorché stupido. Possibile l’avesse fraintesa per l’ennesima volta?
“Cosa devo fare perché capisca, ballare davanti a lui coperta solo da un cartello con scritto ‘Ti amo, AJ’?” 
–Sì, lui è… il migliore.
–Addirittura?- ridacchiò lui, strizzandole amorevolmente le guance. –Scusa, non ho resistito. È una fortuna che queste guanciotte adorabili non siano andate perse con la crescita! Comunque, sono felice di sapere che ti lascio in buone mani.
–L-Lasciarmi?
–È il motivo per cui stasera voglio festeggiare. Vedi…
La frase venne troncata sul più bello dall’arrivo degli altri quattro; in particolare, Kimberly, barcollante sui tacchi, si gettò addosso al cugino urlando –Urge il tuo A.P., AJ, sono le undici e non ho ancora un goccio d’alcol in corpo!
Frida si lasciò sfuggire sottovoce un’imprecazione.
 
***
 
–Un attimo che mi concentro… Ok, sono pronto. Charme Cartridge, compi la tua magia!- esclamò Aidan, prima di avvicinarsi al bar e salutare allegramente la barista. –Ehi, Becky. Quanto tempo! Come te la passi?
–AJ! In effetti, non ti si vedeva da parecchio. Come stai? Io sono tornata da poco single. Allora, cosa posso darti?- celiò lei, lasciando chiaramente intendere che gli avrebbe dato volentieri ben più di qualche drink.
Alle spalle di Aidan, Frida emise un ringhio sommesso, conficcandosi le unghie nella carne per trattenersi dal pestarla a sangue, mentre Kevin mormorò, deluso –Anch’io sono un Cartridge. Com’è che a me questo giochetto non riesce?
–Sarai stato adottato, sfigatello verginello- rispose perfidamente Kimberly, scrollando le spalle.
–Siamo gemelli, deficiente- ribatté Kevin con calma innaturale, prima di venire azzittito da Frida, Nathaniel e William in perfetto sincrono.
–Sei Vaporwave, di cui uno analcolico, per favore- ordinò Aidan, sfoderando l’Alcohol Pass e tutto il fascino ereditato dal padre, l’incallito playboy Brian Cartridge, nella speranza che Becky non gli facesse questioni.
Divenuto padre suo malgrado, Brian si era impegnato affinché il figlio (che di secondo nome faceva James, in onore del nonno paterno, da qui AJ) - frutto della relazione clandestina con Crystal Ryan, allora moglie di Carter Ryan - gli somigliasse soltanto nell’aspetto. A giudicare dai risultati, era riuscito nel suo intento (forse anche troppo): Aidan era un nerd con la testa tra le nuvole, generoso e altruista, che di rado ricorreva allo charme e al cognome di famiglia per fini personali (quasi sempre pressato dai cugini, bramosi di sfruttare i suoi privilegi da maggiorenne); quando lo faceva, tuttavia, colpiva immancabilmente nel segno.
–Arrivano subito.
William trasalì nel ricevere per primo il cocktail: quel ributtante liquido azzurro fluo, rigurgitato direttamente da un incubo anni ’80, era la specialità della casa? Represse l’istinto di buttar via l’intruglio e, per non risultare scortese, ne assaggiò un sorso: tutto sommato bevibile, ma niente di speciale; sempre per non risultare scortese, millantò la bontà della bevanda, asserendo fosse migliore di qualsiasi altra avesse mai provato.
–Bene, ora possiamo brindare- trillò Aidan, sollevando il proprio bicchiere, ancora pieno. –Direi… alla prossima bevuta tutti insieme! Non so quando potrete approfittare di nuovo del mio Alcohol Pass, ragazzi: la mia domanda di dottorato… è stata accettata! MIT, aspettami, sto arrivando!
–I-Il M-MIT di Boston?- pigolò Frida, con gli occhi lucidi e le guance rosate dallo sforzo di mantenere un contegno dignitoso.
Aveva progettato di aspettare il suo diciottesimo compleanno per dichiararsi, convinta che Aidan ricambiasse i suoi sentimenti, e l’unico freno al loro amore fosse il suo essere minorenne. Per un glorioso minuto, aveva creduto che, finalmente, si fosse accorto che ormai era cresciuta, che aveva davanti una donna, invece si era illusa. Stupida, stupida, stupida. E ora le carte in tavola erano cambiate prima ancora che potesse anche solo pensare di puntare. Il briciolo di raziocinio che aveva conservato le permise di evitare una sicura figuraccia: realizzò che non avrebbe avuto senso, a quel punto, rischiare il tutto per tutto e rendere noti i suoi sentimenti, tanto lo aveva perso per sempre. Aidan sarebbe volato via da lei, al di là dell’oceano, a sei ore di fuso orario di distanza, e lei non poteva farci nulla. Si sentì soffocare. Dov’era finito tutto l’ossigeno? Ne aveva bisogno!
–L’unico e il solo. Ah, non vi ho detto la parte migliore: lavorerò col professor Gimpsky. È un sogno che si avvera!- ridacchiò Aidan, al settimo cielo, per poi scompigliarle affettuosamente i capelli e aggiungere –Oh, la mia piccola Frida si è commossa! Che cucciola! Sapevo che saresti stata felice per me.
William per poco non si strozzò col cocktail. Strabuzzò gli occhi, allibito da cotanta ingenuità, che dubitava essere autentica.
“O è scemo, oppure il peggior sadico mai esistito: cazzo, persino lo sgabello sotto di me ha capito che la Weil vuole saltargli addosso! E un essere del genere avrebbe ottenuto un dottorato con Albert Gimpsky? La fine del mondo è vicina!”
Frida chiuse gli occhi e si morse la lingua: ancora una volta, Aidan l’aveva fraintesa, scambiando la sua disperazione per gioiosa commozione. Forse, mostrarsi a lui coperta solo da un cartello con scritto ‘Ti amo, AJ’ non era poi una cattiva idea, anche se, al momento, la allettava maggiormente la prospettiva di venire inghiottita dalle acque del Tamigi.
–Beh, wow! Congratulazioni, cugino!- esclamò Kevin, per stemperare la tensione. –Boston non è lontanissima da New York... potresti cogliere l'occasione per rivedere tua madre!
William deglutì a vuoto un paio di volte e fece instintivamente un passo indietro, terrorizzato dall'espressione omicida di Aidan. Non lo avrebbe sorpreso vedere i suoi occhi diventare all'improvviso rossi, e fiamme uscire dalla sua bocca; era furente.
–Io non ho una madre- ringhiò, scosso da lievi tremori, chiaro segno dello sforzo di contenere la rabbia. –Crystal ha smesso di cercarmi non appena ha trovato un nuovo pollo da spennare, e tornerà da me strisciando se e soltanto se dovesse restare a corto di soldi, che ovviamente le rifiuterò: sono suo figlio, non il suo bancomat.
Kevin abbassò lo sguardo, mortificato, imitato dagli altri presenti; William, in particolare, si sentiva in imbarazzo, fuori posto, e anche un po' in colpa per averlo mal giudicato: continuava a considerarlo un bamboccio, ma meno di prima. Quando la cortina di silenzio divenne troppo spessa perfino per lui, si decise a romperla, portando la conversazione su temi più allegri.
–Gimpsky come Albert Gimpsky? Il fisico?
–Proprio lui!- annuì Aidan. –Lo conosci?
–Se lo conosco? Ho letto tutti i suoi libri! L’ultimo, “Filosofia quantistica”, l’ho divorato in un giorno. Quell’uomo è un autentico genio- rispose, stupendo tutti, compreso Aidan, che lo osservò con tanto d’occhi, per poi sbuffare (tradendo una punta d’invidia mista ad incredulità) –Hai letto un libro di 800 pagine in un giorno solo?
–Ho iniziato alle 8 di mattina e finito a mezzanotte… interrompendo all’ora dei pasti, naturalmente. Che posso dire? Io non sfoglio, io leggo senza pietà.
Kimberly, fino a quel momento assorta nella contemplazione dello schermo del cellulare, tornò a prestare attenzione agli altri, e cinguettò –Scusate, stavo rispondendo ai commenti al mio selfie con il mio Natie. Sta avendo un successo strepitoso! HornyHolly chiede se hai un fratello da presentarle, e… se ti imbottisci il pacco o è tutto merito di madre natura. Credo che lascerò un alone di mistero su questo punto.
–Sì, per piacere!- gnaulò Kevin, che desiderava rimanere all’oscuro sulle “caratteristiche tecniche” del ragazzo di sua sorella.
Kimberly degnò il proprio gemello di un’occhiata sprezzante, prima di dirottare la smania social su Aidan.
–Dovresti aprire anche tu un profilo social, AJ; privare l’umanità della possibilità di stellinare e commentare le tue foto in costume da bagno è semplicemente un crimine!
–No, grazie- rispose lui, terrorizzato al pensiero che perfetti estranei potessero invadere la sua privacy e commentare le sue parti intime.
–Credevo che il crimine fosse non stellinare e lasciare commenti alle tue foto, Kimmy. Non è per questo che hai creato un mio profilo Instaface a mia insaputa?- la derise il fratello, che non perdeva occasione per metterla in imbarazzo.
–Chiudi la fogna, Kev!- lo rimbeccò lei, dandogli pure uno scappellotto. –E tu rifatti gli occhi, cugino. Scommetto che, dopo questo, cambierai idea sulla tua asocialità!
–Perché solo lui, scusa?- protestò Kevin, accalcandosi insieme agli altri due ragazzi intorno allo smartphone, per poi commentare –Potrei seriamente rivalutare le tue follower, sorellina. Finalmente una che, pur figa, non sembra fuggita dal pollaio!
–Ma chi la conosce!- sbottò Kimberly, riprendendosi il telefono. –Il tag recita "Jodie Gimpsky". Ehi, non è il cognome del tuo professore adorato, AJ?
–Accidenti! Complimenti a mamma e papà!- esclamò Nate, lieto di essere lui, per una volta, a suscitare la gelosia della sua ragazza, e non viceversa. –Tu che puoi, vedi di darle qualche ripassino di fisica quando papà non c’è, AJ!
William capì subito che doveva averlo pensato anche Aidan: sebbene si fosse avvalso della facoltà di non rispondere, la leggera curvatura verso l’alto degli angoli della bocca e la dilatazione pupillare indicavano chiaramente che quell’idea non gli dispiaceva affatto. Provò un pizzico di pena per Frida, i cui sogni romantici erano, evidentemente, nati sotto una pessima stella. Poteva immaginare cosa stesse provando, ci era passato anche lui; si guardò intorno per osservare la sua reazione, magari provare a tirarla su di morale, ma era scomparsa.
“Dove si è cacciata?”
–Fermi tutti: dove diavolo è la Weil?
Lo sconcertò realizzare che la sua assenza non preoccupava nessuno, a parte lui. Difatti, Nathaniel fu l’unico a rispondergli; scrollò le spalle e disse –So che doveva incontrare delle persone. Sarà con loro.
–Va bene. Chi sono queste persone? Perché doveva incontrarle? Possibile che nessuno di voi se lo sia chiesto? Begli amici, siete, complimenti!- ruggì l’australiano.
–Abbiamo imparato a non farci domande- rispose Kevin. –Frida sa quel che fa.
–Infatti- confermò Kimberly, apparentemente più interessata allo stato delle sue unghie che alla sua amica. –È una tale drama queen. Inutile preoccuparsi, la tua isteria basta e avanza!
“Possibile che a nessuno importi di lei? Potrebbe esserle successo di tutto!”
–Fate cosa vi pare, io vado cercarla.
 
***
 
–Coraggio, Frida, puoi farcela. Il mondo non finirà per questo.
“Il mondo forse no, ma il mio cuore sì. È rotto, lo sento. È rotto e sanguina. È rotto, e non so se e come potrei ripararlo.”
Fick dich, dummes Herz!2- urlò, prima di colpire con violenza la parete di fronte a lei.
Ironia della vita, si era isolata per potersi abbandonare al pianto lontano da occhi indiscreti, ma, una volta da sola, aveva scoperto di aver trattenuto troppo a lungo le lacrime. Proprio non volevano saperne di uscire; stavano lì, inerti, nelle ghiandole lacrimali, per il gusto di darle la sgradevole sensazione di avere gli occhi gonfi da scoppiare.
“Oppure, semplicemente, ho dimenticato come si fa. Ci sono casi di persone che hanno disimparato a guidare o camminare; perché non dovrebbe essere possibile disimparare a piangere?”
–Non so se la tua capacità di svignartela indisturbata sia più ammirevole o inquietante.
“Wollestonecraft! Riconoscerei la sua voce irritante tra mille!”
–Questo è un bagno delle ragazze, Liam. Tu non sei una ragazza- soffiò, sulla difensiva: era convinta fosse venuto a ridere di lei, ma non era dell’umore adatto a discutere; sperava solo che la lasciasse in pace.
–Però, che occhio! Scusate, gentili fanciulle; sareste così gentili da interrompere le operazioni di restauro e sloggiare? Gradirei restare da solo con questa brunetta dal cuore spezzato. Grazie!- rispose lui, salutando con la mano tre ragazze intente ad osservarli mentre fingevano di ritoccarsi il trucco, che si dileguarono alla velocità della luce. –Bene. La mia intuizione si è rivelata esatta. Onestamente, però, credevo di trovarti rintanata in un cubicolo. Avresti avuto più privacy!
–Sono tutti occupati- sospirò Frida, alzando gli occhi al soffitto.
Dai cubicoli provenivano rumori inequivocabili, che strapparono a William una mezza risata: si era fatto tanti problemi a entrare in un bagno femminile - che, oltretutto, per essere così frequentato, era ancora sorprendentemente pulito - quando c’era chi ci stava dando dentro con la foga di conigli in calore!
–Sì, lo sento.
–Difficile non farlo. Ora che ti sei accertato che sto bene, puoi sloggiare anche tu- gli ordinò Frida, poggiandosi al lavabo più vicino alla finestra, quasi a volersi garantire una via di fuga.
–Ma tu non stai bene, Weil- replicò William, per poi avvicinarsi di qualche passo. –Te lo leggo in faccia.
–Anche se fosse, voglio stare sola.
–Perché?
Quella domanda la lasciò spiazzata: aveva preparato nella sua mente risposte acide ad ogni possibile replica, piagnisteo, frasetta motivazionale. Tutto, tranne quello.
–In che senso?
–Perché stare da sola. Non è meglio avere una spalla su cui piangere?
–Non mi serve. Io non piango, non ne sono capace.
–Sciocchezze! Tutti i mammiferi piangono. Sei tu stessa a bloccarti. Perché? Per non far capire niente ai tuoi amici? Sanno già tutto, hanno fatto due più due esattamente come ho fatto io. Perché credi abbiano invitato Aidan qui, stasera?- “Sta tremando. Sono riuscito a smuoverla. Uno a zero per me!” –Oh, aspetta: è questo il problema? Ti dà fastidio che i tuoi amici abbiano scoperto la tua kryptonite? Oppure ti rode che con Aidan non sia andata come avevi pianificato, perché sei abituata ad ottenere tutto ciò che vuoi? Se è così, beh… sei meno intelligente di quanto pensassi!
In un impeto di rabbia - e con la proverbiale coda di paglia in fiamme - Frida scattò in avanti e prese a colpirlo al petto con entrambi i pugni, al grido di –Geh weg, Arschloch!3
–Difficile accontentarti, se non capisco quello che dici.
–Ho detto “vattene, stronzo”, stronzo!
–Sto bene dove sono.
Era certo di ricevere un altro pugno, stavolta dritto in faccia, invece Frida lo soprese per ancora una volta, prima iniziando a piangere, poi… avvinghiandosi a lui con più tenacia di un koala a un eucalipto.
“Oh, merda! E adesso?”
Non sapeva cosa fare. Una parte di lui desiderava ricambiare la stretta e consolarla come meglio poteva, l’altra era paralizzata dalla paura di una sua reazione negativa: aveva capito che Frida si atteggiava a principessina perfettina, ma detestava essere trattata come tale, e non voleva rischiare di incorrere nella sua ira dandole l’impressione del classico maschio alfa che avvolge tra le sue braccia possenti la fragile donzella piangente per proteggerla dagli orrori del mondo. Con ogni probabilità avrebbe rimediato un pugno in faccia, se non peggio.
“Non voglio fare la fine di Midget, il mio naso mi piace così com’è!”
Rimase immobile, in quella posa da Cristo in croce, per un tempo che gli parve infinito, finchè, intenerito da quella inaspettata manifestazione di vulnerabilità da parte di una persona che fino a quel momento aveva ritenuto dal cuore di ghiaccio, non trovò il coraggio necessario a ricambiare l’abbraccio.
Frida non smetteva di piangere, ormai era un fiume in piena. Afferrò il tessuto della camicia di William, stringendolo convulsamente.
–S-scusami, i-io… io non sono così, io… non piango mai- singhiozzò.
Senza riflettere, la baciò sulla fronte e poggiò il mento sulla sua testa. Non sapendo bene cosa fosse appropriato dire in simili occasioni, emise dapprima una serie di balbettii incomprensibili, poi si lanciò in un monologo ai limiti del surreale.
–Probabilmente già lo sai, figurati se una so-tutto-io come te non sa certe cose, ma, ecco, per restare in tema: esistono tre tipi di lacrime. Pazzesco, vero? Sembrano tutte uguali, a occhio nudo, invece sono tutte diverse, come i fiocchi di neve. Ti starai chiedendo come faccia a saperlo. Semplice: sono un ammiratore delle bio-fotografie di Rose-Lynn Fisher, che ha ritratto i vari tipi di lacrime al microscopio, evidenziando addirittura le differenze tra le lacrime da tristezza e quelle da felicità. Ancora più pazzesco è il fatto che, sebbene non ci facciamo caso, piangiamo continuamente: le lacrime basali, infatti, vengono prodotte per idratare e pulire la cornea; sono composte al 98% da acqua, ma contengono anche elettroliti (sali di sodio, potassio e cloro), circa 60 tipi di proteine diverse e lisozima, un enzima battericida. Poi ci sono le lacrime da fisiologiche, prodotte in risposta a stimoli irritativi - le “lacrime da cipolla”, per intenderci - che contengono bicarbonato, il quale svolge un ruolo di protezione della superficie esterna dell’occhio. Ultime, ma non meno importanti, le lacrime emotive, che parrebbero contenere, stando alla ricerca di William Frey, alcuni neurotrasmettitori, tra cui leucina-encefalina e prolattina, capaci di alleviare il dolore, perciò, probabilmente, piangere è un modo per eliminare tossine da stress. In teoria, ora dovresti sentirti meglio. Probabilmente non ti frega nulla della mia opinione, però devo dirtelo: secondo me, ti ha fatto bene. So che ora ti senti debole, vulnerabile, che ti vergogni per avermi permesso di vederti debole e vulnerabile, ma non sei mai stata tanto forte: lasciare che la passione - nel senso di pathos - ti travolga come uno tsunami è l’unico modo per esorcizzarla completamente. Anche un seguace duro e puro della razionalità ha bisogno di un momento di catarsi, ogni tanto. Non ti sarai liberata delle tossine del corpo, ma di quelle dell’anima sì.
Frida si staccò da lui e gli rivolse la pallida imitazione di un sorriso, prima di accigliarsi alla vista dei danni arrecati alla malcapitata camicia in quel momento di sfogo. Non si capacitava che William fosse rimasto stoicamente al suo posto mentre lo prendeva a pugni frignando come una mammoletta. Si sentì in colpa: a parti invertite, dubitava che gli avrebbe offerto una spalla su cui piangere; lui, invece, aveva sacrificato una camicia firmata e tutto il torace, riuscendo nell’impresa di farla stare meglio, nonostante lei volesse stare peggio.
“È proprio un kantiano del cazzo!”, pensò, dannandosi perché quel pensiero le provocava una inspiegabile voglia di ridere; ma non poteva: aveva appena pianto per Aidan, avrebbe dovuto essere afflitta, non ridacchiare del “fottuto imperativo categorico” di Wollestonecraft!
–Devi proprio ficcare la filosofia in qualunque frase esca dalla tua bocca?- sbuffò, cercando di recuperare il consueto aplomb: la vergogna per essersi lasciata andare in quel modo, per di più in una toilette, era più che sufficiente, non voleva aggiungervi  l’onta di essersi fatta compatire. –Comunque, chiedi scusa a tuo padre da parte mia per avergli rovinato la camicia- ridacchiò sommessamente - chiaro segno che stava riacquistando il controllo - godendo della sua espressione perplessa, poi aggiunse –Non fare quella faccia, Liam, è chiaro che non ti appartiene: ti sta leggermente stretta di spalle e corta di maniche… senza contare che, decisamente, non è nel tuo stile.
–Che ne sai del mio stile? Finora mi hai sempre visto con la divisa della scuola.
–Divisa che porti con la giacca sempre sbottonata, la camicia, a volte stropicciata, fuori dai pantaloni e il nodo della cravatta allentato; ergo, mal tolleri le imposizioni e prediligi comodità e praticità sopra ogni cosa. Forse detesti davvero sentirti un pinguino incravattato, oppure, più probabilmente, vuoi distinguerti da tuo padre, che deduco sia invece piuttosto stiloso. Ma torniamo alla camicia: ci avevo immerso la faccia, ho sentito l’odore; troppo diverso dal tuo solito. L’olfatto è un senso ancestrale quanto evocativo: nella mia esperienza, chi usa un certo profumo di rado lo cambia; ergo, è statisticamente più probabile che indossi un indumento prestato.
William, diviso tra lo stupore e l’imbarazzo, si ripromise di darle una botta in testa, se l’avesse pronunciare la parola “ergo” una terza volta, e si annusò tentativamente le ascelle.
–Stai dicendo che puzzo?
–Ho detto odore, non puzza- puntualizzò Frida. –Le parole sono un potentissimo mezzo di comunicazione; mi assicuro di sceglierle sempre con la massima cura. Sai di buono, tranquillo… per quanto possa sapere di buono un maschio adolescente; ma non è colpa tua, è colpa degli ormoni. Odorate di testosterone, è normale. In questo senso, potrei averti… aiutato- rispose all’espressione “da pesce rosso morente” di William con un secco –Lascia che ti illumini: Noam Sobel, del Dipartimento di Neurobiologia del Weizmann Institute of Science a Rehovot, ha dimostrato che le lacrime femminili provocano una risposta inconscia negli uomini, abbassando i livelli di testosterone e riducendo, di conseguenza, l’attività delle aree neurali responsabili dell’eccitamento sessuale e dell’aggressività.
William scosse il capo, tentando malamente di nascondere il sorriso che aveva fatto capolino sul suo viso: per qualche strana ragione, era felice che Frida fosse di nuovo in sé; adesso che aveva scoperto il suo lato “umano”, la sua saccenza gli risultava sopportabile, anzi, quasi divertente.
–Bentornata, Weil. Pronta a rientrare nella fossa dei leoni?
Lei si limitò a stringergli la mano, in una tacita dichiarazione di gratitudine, prima di voltarsi verso lo specchio sopra i lavabi per controllare lo stato del trucco.
–Lo sarò, una volta recuperato un aspetto decente. Scheiße! Ich sehe wie eine Mülltonne aus!4- replicò, mentre ripuliva le tracce di mascara sciolto e ri-applicava l’ombretto dove necessario. –Ah, sehr gut!5 Come nuova! Che c'è di meglio delle lacrime per ricordare a una ragazza l'importanza di un buon trucco?
 
Note dell’autrice:
Ecco scoperta l’identità della cotta di Frida. Chi ha letto le avventure di Faith (in particolare “Baby boom”) conosce già Aidan James Cartridge, ormai cresciuto e pronto a spiccare (letteralmente) il volo. Parafrasando William: è ingenuo come sembra, o il peggior sadico mai esistito? A voi l’ardua sentenza!
A proposito del nostro William: si è dimostrato un cavaliere senza macchia e senza paura (o quasi): non tutti avrebbero saputo gestire la Weil piangente e disperata.
Altro piccolo easter egg: il professor Gimpsky, meglio noto come Albert o Al, è una vecchia conoscenza per chi ha letto la mia commedia romantica “Love Quest”. 😉
Di questo passo, potrei creare il FLU, Faith Literary Universe!
Tenetevi forte, perché nel prossimo capitolo Sherlock Weil entrerà finalmente in azione e ci saranno rivelazioni sulla fu Aisling Carter.
Serpentina
PS: mini-ripasso di filosofia: l’imperativo categorico, cardine del pensiero kantiano, sostiene che bisognerebbe agire "soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale"; in altre parole, la decisione di agire o meno dovrebbe derivare dalla risposta alla domanda: se tutti si comportassero come me, il mondo sarebbe un posto migliore o peggiore?
Ovviamente, Frida non condivide questa visione, anzi, la sua filosofia punta verso il polo (più o meno) opposto, l’utilitarismo: è etica ogni azione che assicuri "il massimo utile per il massimo numero di persone", a prescindere dalla moralità intrinseca dell’atto.
* Citazioni da Sherlock Holmes
1Sì! Hai ragione!
2Fottiti, stupido cuore!
3 Vattene, stronzo!
4 Merda! Sembro un cassonetto della spazzatura!
5Molto bene!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Cercare risposte è meglio che fare domande ***


Bentrovati ad un altro appuntamento con “Locked-in”! Innanzitutto, grazie a chi segue la storia, a tutti i lettori silenziosi (ma, fortunatamente, numerosi) e a chi ha voluto lasciarmi un commento. * lancia caramelle *
Non so se diventerà una consuetudine, ma anche stavolta ho deciso di introdurre il capitolo consigliando una colonna sonora per la lettura (la versione remixata di un pezzo dei Depeche Mode che adoro, "Policy of truth"). Basta ciance, vi lascio immergervi nelle avventure di Frida&co. Buon divertimento!
 
Cercare risposte è meglio che fare domande
 
“Solo le buone domande meritano buone risposte”.
Oscar Wilde
 
Sulla soglia della toilette trovarono ad attenderli Kevin, Kimberly e Nathaniel, tutti e tre a braccia conserte, tutti e tre con lo stesso scintillio malizioso negli occhi. Era chiaro avessero intenzione di bombardarli con domande scomode.
–Prima che spariate, ho una domanda per il plotone d’esecuzione- scherzò William. –Come avete capito dove fossimo?
–Tre dementi stavano andando in giro a blaterare di un “tizio biondo maleducato e strafatto” che le ha sbattute fuori dal bagno per aggredire una ragazza- rispose Nathaniel con semplicità. –Non c’è voluta un’intelligenza superiore per fare due più due. Fortunatamente, siamo riusciti a intercettarle prima che chiamassero la sicurezza.
–Peccato, però, sarebbe stata una scenetta davvero spassosa!- ridacchiò Kimberly, prima di rivolgersi a Frida e provare a farla morire di vergogna. –Sono molto delusa, F: ti si legge in faccia che non hai sfruttato questa ghiotta occasione per prendere una sana dose di vitamina C. La varietà australiana sembra niente male!
Kevin, nel tentativo di esserle d’aiuto, finì col rincarare la dose; mentre tratteneva per un braccio Nathaniel, geloso pazzo, tacitò la sorella con uno stizzito –Non ti passa per la mente, Kim, che Will potrebbe non essere, ehm… disponibile alla somministrazione?
Il diretto interessato, non appena ebbe compreso a quale specifica “vitamina C” si riferissero i gemelli, assunse un intenso color pulce e boccheggiò un flebile –Con voi due persino Freud getterebbe la spugna!
–Ehi, nessuno ha bisogno di vitamina C più del nostro geniaccio preferito!- soffiò Kimberly, alternando l’indice accusatorio tra lui e Frida. –Avresti dovuto comportarti da gentiluomo e offrirle…
–Da bere? Magari un cocktail alla frutta, per fare il pieno di vitamina C?
Stavolta William non fu l’unico a stralunare gli occhi di fronte all’ingenuità (ai limiti dell’idiozia) dell’esclamazione di Aidan, comparso alle loro spalle col solito sorriso radioso stampato in faccia. Dopo aver visto la Weil piangere per lui, il suo atteggiamento gioviale gli risultava ancor più irritante, ragione per cui non si trattenne dal fulminarlo con lo sguardo.
Calò un silenzio carico di imbarazzo, rotto da Kevin, ma non prima di essersi accertato che nessun altro avesse intenzione di assumersi quell’onere.
–Secondo giro di bevute? Io ci sto… a patto che paghi tu, cugino!
–Volentieri- rispose Aidan, per poi chiedere a Frida –Mi hai fatto prendere un colpo, piccola: ti sei praticamente volatilizzata! Qualcosa non va?
Frida avvampò e distolse lo sguardo. Non sapeva cosa rispondere: non la verità, ovviamente, ma, caso più unico che raro, non riusciva a farsi venire in mente uno straccio di scusa da rifilargli. Nonostante la cocente delusione e tutte le lacrime versate, Aidan continuava a mandarle in pappa il cervello con la sua sola presenza. Si sentì una completa idiota, e si chiese se e quando sarebbe guarita dalla “Aidanite” (neologismo coniato da suo cugino Ernst).
Per sua fortuna, tra lo stupore generale, William venne in suo soccorso ancora una volta, esibendosi in una prova attoriale di tutto rispetto, tale da impressionare favorevolmente Nathaniel, che ambiva a calcare le scene di professione.
–Frida non si è sentita bene: un forte mal di stomaco- asserì con studiata nonchalance, e le carezzò il dorso della mano con la sua (in maniera molto discreta), in una tacita esortazione a reggergli il gioco. –Forse qualcosa che ha mangiato… o bevuto.
–Bevuto, probabilmente. Il mio Vaporwave aveva uno strano sapore: credo di aver preso per sbaglio uno dei vostri, alcolico, e il mio stomaco non ha gradito. Sono corsa in bagno a, ehm… liberarmi. Tutto qui, niente di cui preoccuparsi- confermò lei, massaggiandosi l’addome per dare maggiore credibilità alle sue parole.
–In effetti, ora che ci penso, il mio cocktail sapeva di poco… mancava l’alcol, ecco cosa!- rilanciò William, strizzando l’occhio nella sua direzione quando fu sicuro che nessuno li guardasse.
–Motivo ulteriore per bere di nuovo alla nostra salute… e a spese di AJ- trillò Kimberly, per poi arpionare Nathaniel e un riluttante William. –Andiamo, su, prima che Becky finisca il turno e subentri quell’antipatico che controlla i documenti!
–Andate pure senza di me- mormorò Frida con voce inespressiva, sentendosi improvvisamente svuotata di ogni emozione, apatica, desiderosa soltanto di un po’ di quiete. –Fate i bravi, mi raccomando. Io vi terrò d’occhio dalla piccionaia.
 
***
 
Il dj aveva messo su il remix - piuttosto fedele all’originale - di un pezzo che a William suonava familiare, sebbene non riuscisse a ricordarne il titolo. Si ripromise di cercarlo una volta a casa o, se avesse trovato il padre ancora sveglio, di chiederlo a lui; sembrava proprio il genere di musica che quelli della sua generazione ascoltavano da giovani.
Cullato dalla cadenza ipnotica del ritmo e dalla voce profonda del cantante - cercando di reprimere i conati provocati dal secondo Vaporwave che era stato costretto a ingurgitare - salì sulla cosiddetta piccionaia, alias il soppalco che circondava tre quarti del perimetro del locale; con passo felpato si avvicinò a Frida, appoggiata alla balaustra, apparentemente assorta nella contemplazione della piccola folla che ancora si scatenava in pista - in realtà persa nei propri pensieri - mentre muoveva la testa seguendo la musica. Gli sovvenne il ricordo della prima volta che l’aveva vista, così fredda e distaccata, quasi aliena; una divinità epicurea che guardava il mondo dall’alto, nutrendo per l’umanità che brulicava sotto di lei lo stesso interesse che l’uomo comune riservava alle formiche.
–Ne hai abbastanza di questa bolgia? Ti capisco!
La ragazza sussultò, come se avesse interrotto uno stato di trance, e posò su di lui quegli occhi che l’ombretto di uno sgargiante blu elettrico faceva apparire ancora più azzurri.
Si maledisse per averlo pensato, ma non poté fare a meno di sentirsi vivisezionare da quello sguardo tagliente. Nelle innumerevoli serate trascorse a fare baldoria in realtà virtuale, si era abituato a ricevere parecchi di quelli che chiamava “sguardi che spogliano”, tutto sommato piacevoli; quello di Frida era completamente diverso: “lo sguardo che taglia”. Per la prima volta in tutta la sera, fece caso al suo aspetto, e notò che, senza la divisa e la treccia d’ordinanza, sembrava un’altra persona. Lo era; eppure, ci avrebbe messo la mano sul fuoco, nemmeno questa versione “tirata a lucido” che aveva davanti era la vera lei. La vera Frida, l’uno che si nascondeva dietro centomila facce diverse finendo col diventare nessuno, non l’aveva ancora conosciuta.
Si chiese se fosse opportuno o meno farle qualche complimento, magari sul vestito, che effettivamente le stava bene, poi gli piombò addosso la triste consapevolezza che avrebbe preferito riceverli da qualcun altro. Tuttavia, la stessa Frida gli dimostrò che aveva fatto bene a tacere.
–Anche volendo, non posso andarmene: ho appuntamento con un paio di persone. Vorrei ballare, forse così il tempo passerebbe più velocemente, ma questa sottospecie di Taschentuch1 me lo impedisce: mi basta alzare le braccia che si intravedono le mutande! E, spiacente di rovinare le tue fantasie della buonanotte, non sono belle mutande. L’unica cosa che posso fare è questo- sbuffò, ancheggiando sul posto in una riuscita imitazione delle movenze sensuali di Kimberly. –Ma non mi renderò ulteriormente ridicola senza motivo; ho già dato abbastanza spettacolo prima, con Aidan, e a cosa è servito?
–Probabilmente te ne freghi della mia opinione, ma ci tengo lo stesso a dirti cosa penso: secondo me, quel senza palle aveva capito da tempo cosa provi per lui; ha finto di ignorare i tuoi sentimenti perché non ha, appunto, le palle di affrontarti. Mi rifiuto di credere il contrario.
Frida piegò la testa di lato come un pappagallo, e lo guardò di sottecchi attraverso le palpebre semichiuse per più di un minuto, prima di decidersi a parlare.
–Nonostante l’assenza di prove, voglio credere alla tua tesi. Preferisco convincermi che Aidan sia- sorrise sardonica –Senza palle, piuttosto che arrendermi all’evidenza della mia stupidità.
Dal poco che la conosceva, William aveva intuito che la Weil non era tipo da autocommiserarsi; lo sorprese quella melodrammatica esternazione di patetismo, che interpretò come un tentativo di indurlo a compassione per strappargli qualche favore. E lui detestava chi usava la compassione altrui per ottenere quello che voleva. Decise quindi che non l’avrebbe assecondata.
“La principessina ha bisogno di una sana dose di vitamina C, nel senso di contraddittorio!”
 –Eh sì, sei stata proprio una stupida- si compiacque della sua espressione basita e aggiunse –Non è la risposta che ti aspettavi, vero? Forse i tuoi cosiddetti amici non ne hanno il coraggio, ma io dico quasi sempre e solo ciò che penso, e in questo momento penso che tu sia stata una vera stupida a non accorgerti che quel bamboccio ti vede come una sorellina cresciutella. Credimi, il fato ha voluto farti un favore spedendolo al di là dell’Atlantico: ora sei libera di guardarti intorno e trovare qualcuno…
–Con le palle?- scherzò lei.
–Tra le altre cose- scherzò lui di rimando, dandole una spallata amichevole. –Più che altro, qualcuno che ti piaccia davvero… e, possibilmente, ti voglia. A meno che tu non l’abbia già trovato: chi devi incontrare, un ammiratore segreto?
Frida impallidì, sconcertata da quella domanda diretta. Aveva capito da tempo che William non aveva peli sulla lingua, ma la sua franchezza la lasciò comunque esterrefatta; per lei, avvezza a giri di parole, sincerità calibrata e sotterfugi, la nuda verità era qualcosa di inconcepibile. Si mordicchiò un labbro, titubante se rivelargli della sua missione o meno.
–Ecco, io… non so se sia il caso di parlartene.
–Segreto segretissimo, riservato alla tua cerchia di eletti?- sibilò William, stizzito dalla mancanza di fiducia nei suoi confronti, specie dopo quanto era successo nella toilette del locale. –Ho una notizia-bomba per te, Weil, roba da prima pagina sul Times: i tuoi amichetti del cuore non sono stati colti da un attacco di stronzite acuta; il loro comportamento merdoso era un test della mia - come ha detto Kev? - fibra morale. Una sorta di rito d’iniziazione, che, a quanto pare, ho superato brillantemente. Considerami parte della- arricciò le labbra in una teatrale manifestazione di disgusto –Gang.
Frida scosse il capo, sbuffando una mezza risata.
Na ja. Avrei dovuto immaginarlo: Nate non mi avrebbe mai abbandonata in un momento di crisi. Anche Kimmy, in realtà: è meno frivola di quanto voglia apparire.
–Gattamorta e uso e consumo del suo ragazzo, insomma. E Kev è l’ultima persona al mondo che guarderebbe una ragazza come un pezzo di carne- asserì l’altro, annuendo vigorosamente.
–Una fetta di torta. Preferisco- replicò Frida con sussiego. –La carne è materia morta e sanguinolenta, Kuchen sind kulinarische Kunstwerke2: deliziose, morbide, succulente…
–Parli di cibo in un posto senza niente da mangiare? Sto scoprendo il tuo lato sadico, Weil!- ridacchiò William, suscitando la medesima reazione nella sua interlocutrice, che poco dopo replicò, in tono grave –Nel caso te lo stessi chiedendo: non ne sapevo nulla, è stata una loro idea. Bello sapere che quei tre hanno spirito d’iniziativa, comunque.
–Allora, questo segreto segretissimo? Ha a che fare con la tua indagine?
Frida rimuginò ancora un po’ sull’opportunità di confidargli della sua indagine non ufficiale; alla fine, giunse alla conclusione che, sebbene avesse agito sempre da sola, aiutata marginalmente - in rare occasioni - dai suoi amici, forse era giunto il momento di avere un socio a tutti gli effetti per le sue attività extracurricolari, e William si era dimostrato un’eccellente spalla: intelligente, sveglio, persino capace di mentire in maniera convincente, laddove le circostanze lo richiedessero.
“Che abbia finalmente trovato un degno socio?”
Godette nel tenerlo sulle spine, prima di metterlo a parte della sua missione segreta.
–Dimmi, Liam: cosa sai della morte di Aisling Carter?
 
***
 
Andrew Carter non gli fece una buona impressione: vanesio, decisamente immaturo per i suoi ventitré anni, e debole. Senza nerbo. Un lombrico. Alla moda, ma pur sempre lombrico. Le premesse, per quanto lo riguardava, non erano delle migliori, e si chiese come mai Frida gli avesse concesso udienza.
Sedeva sul ciglio di un divanetto, di fianco a una silfide che rispondeva al nome di Nita Burnett, senza neppure tentare di nascondere il nervosismo: grattava insistentemente il dorso della mano destra, la gamba sinistra gli tremava e gli occhi parevano incapaci di fissarsi sullo stesso punto per più di due secondi, forse per evitare di incrociare, anche solo per sbaglio, quelli di Frida, più glaciali che mai, fissi su di lui. Una reazione alquanto strana, dato che quell’incontro era una sua idea.
Si trovavano in uno dei “nidi di corvo”, i salottini privati nel retro del Tipsy Crow, al riparo da occhi e orecchie indiscreti. Frida sedeva su una poltrona dal design rotondeggiante che a William, poggiato su un bracciolo alla sua destra, parve molto scomoda, ma funzionale a farle assumere una posa da regina assisa sul trono. Se l’intenzione era di trasmettere professionalità e autorevolezza, ci stava riuscendo perfettamente.
Rimase in silenzio, limitandosi a scrutare con educata curiosità gli occupanti del divanetto di fronte a lei. William intuì che stava temporeggiando non perché non sapesse cosa dire, bensì per accrescere il disagio di Andrew e Nita fino al punto di rottura, in modo da indurli a colmare il vuoto acustico rivelando più informazioni del previsto.
Una trovata semplicemente geniale, secondo William: per lui il silenzio era una dimensione aliena, in cui potersi concentrare e ascoltare con la tranquillità di una temporalità dilatata rispetto ai frenetici ritmi mondani; tuttavia, era ben conscio di essere una bestia rara in quell’epoca rumorosa e senza armonie, ricca di voci, ma povera di parole.
La tattica si rivelò vincente: Andrew, insofferente a quella situazione di stallo, racimolò la calma necessaria ad osservare la ragazza che aveva davanti, per poi esclamare –È uno scherzo?
Frida, oltraggiata, digrignò i denti e dilatò le narici: una predatrice pronta all’attacco.
–Mettiamo subito in chiaro una cosa- sibilò, in un tono che trasudava rabbia repressa. –Io non scherzo mai. Non sulle cose serie.
–Chiedo scusa, milady! È solo che non sei proprio come… sì, insomma… mi aspettavo qualcuno di più… adulto. Tu no, Nita? Santo cielo, sei una ragazzina! Quanti anni hai?
–Ne compio diciotto in aprile.
Il giovane Carter balzò in piedi, violaceo in volto, e sbraitò –Cosa? E noi dovremmo dare credito a una liceale minorenne?
–Una liceale minorenne con un’esperienza investigativa sicuramente superiore alla vostra. Quanti casi avete contribuito a risolvere?
Nita si stropicciò le palpebre, e aprì e richiuse la bocca un paio di volte, prima di domandarle –È vero che sei la figlia di Faith Irving, la patologa forense?
–Così è scritto sul mio certificato di nascita- fu la secca risposta di Frida, che storse il naso, a far intendere che quelle domande insulse la stavano indisponendo, e fece segno ad Andrew di risedersi.
–Ho voluto questo incontro perché, se ho ben capito, sostieni che tua madre abbia liquidato un po’ troppo frettolosamente la morte di mia sorella. Che razza di figlia non si fa scrupoli a sputtanare sua madre?
–Una dotata di un cervello funzionante. Meine liebe Mutter è fallace come qualunque essere umano, e i vincoli parentali sono nulla, in confronto al superiore interesse della giustizia. Ma non siamo qui per parlare di me. Se avete finito con le domande stupide, ne avrei una io. Una intelligente, tanto per cambiare: perché siete qui?
–Perché non credi che la morte di Aisling sia accidentale. Voglio sentire quello che hai da dire in proposito- rispose, con voce tremante, Nita.
–Niente stronzate, per favore. Mi indispongono. Non sono qui per fare domande, sono qui per cercare risposte, e gradirei che mi aiutaste, invece di farmi perdere tempo! Di nuovo: perché siete qui? Si vede lontano un miglio che avete paura di cosa potrei dirvi. Riesco quasi a sentire l’elettricità scorrere lungo le vostre terminazioni nervose. Vi state chiedendo: quanto sa questa supponente ficcanaso? E, soprattutto, cosa sa di Aisling? La risposta è: più di quanto pensiate… ma meno di quanto vorrei. Adesso, per la terza e, spero, ultima volta: perché siete qui?
–Perché sono determinato a chiudere questa storia una volta per tutte, e una ragazzina che va in giro a fare domande su mia sorella me lo impedisce- sputò Andrew, scoccandole uno sguardo di sfida. –Forse la morte di Aisling è stata davvero un tragico incidente, forse no; qualunque sia la verità, una cosa è certa: ha fatto tutto da sola. Basta alimentare voci su un presunto omicidio. Vale anche per te, Nita!
La ragazza esile seduta nell’angolo del divanetto si lasciò scappare un singulto, difficile a dirsi se dalla sorpresa per essere stata menzionata, o per la freddezza di Frida. Ad ogni modo, le parole dure di Andrew ottennero l’effetto opposto all’atteso, perché Nita smise di singhiozzare e tirò fuori una grinta di cui nessuno, lei compresa, avrebbe immaginato potesse essere dotata.
–La Aisling che conoscevo non si sarebbe mai tolta la vita! Vuoi sapere perché sono qui, Frida? Perché qualcuno, non so chi, né per quale motivo, ha voluto portarmi via la mia migliore amica, e spero che tu riesca non solo a convincere Andy, ma anche a scovare il bastardo che le ha fatto del male- esclamò tutto d’un fiato, abbassando lo sguardo alle proprie mani giunte, come in una muta preghiera. –Conosco Aisling da quando eravamo bambine, non può… non avrebbe mai…
Scoppiò a piangere e si protese verso Andrew, che le circondò le spalle con un braccio e rivolse un’occhiata penetrante prima a Frida, poi a William, il quale si rese conto solo in quel momento di non essere stato presentato.
“Ovvio che questo tizio mi guardi male, sono un signor nessuno per lui!”
Si schiarì la gola, in evidente imbarazzo, e propose di lasciarli soli.
–Forse preferite proseguire la conversazione in privato …
Frida lo bloccò con un’occhiata raggelante, quasi sfidandolo ad andarsene, quindi, con invidiabile faccia tosta, disse –Scusate, ho dimenticato di presentarvi William Wollestonecraft, il mio socio. Potete parlare liberamente, davanti a lui.
I due lo guardarono straniti, quindi Andrew, pur senza smettere di palesare una certa diffidenza nei suoi confronti, espose la sua sincera opinione sulla morte della sorella.
–Concordo nel non ritenere la faccenda un incidente, ma un omicidio… andiamo! Va bene che mia sorella non era una persona facile, e che aveva tanti detrattori quanti ammiratori, ma da qui a volerla morta… - indicò con un cenno la ragazza che ancora stringeva tra le braccia –Nita è accecata dall’affetto, non vede la faccenda con la giusta obiettività. Per me, Aisling si è suicidata.
–Come puoi anche solo pensarlo?- gli urlò contro Nita, battendo i pugni contro il suo torace. –Aisling amava la vita!
–Ah, sì? Aveva uno strano modo di dimostrarlo: la sprecava tra droga e alcool!- ribatté un Andrew sempre più aggressivo.
–Tu sprechi la tua tra alcol e scopate occasionali, non mi sembra molto meglio!- rispose piccata Nita. –La Aisling che conoscevo era solare, piena di energie, attaccata alla vita come una cozza allo scoglio; si divertiva, sì, combinava qualche cazzata, ma niente di grave. Poi, all’incirca un anno fa, da un giorno all’altro cominciò a esagerare: era un continuo di festini dove scorrevano a fiumi alcolici e droghe di ogni genere. Finché si trattava di ubriacarsi e basta le feci compagnia, ma mi rifiutai di seguirla quando oltrepassò il limite. Ogniqualvolta le chiedevo il motivo di questo cambiamento, mi ripeteva di averne bisogno, che era l’unico modo per tenere a bada gli incubi.
–Ah, queste farneticazioni non ti sembrano i discorsi di una aspirante suicida?
–Sicuro di aver conosciuto davvero tua sorella? Se Aisling avesse voluto suicidarsi, non avrebbe scelto un metodo così destruente, bensì qualcosa di più… estetico!
–Interessante- commentò Frida, riappropriandosi per un momento della parola.
–Molto interessante- annuì William.
Dall’occhiata che si scambiarono subito dopo, capirono entrambi di aver dedotto esattamente gli stessi elementi dallo sfogo di Nita: innanzitutto, Aisling Carter era una ragazza apparentemente tanto frivola, da non voler rinunciare ad apparire perfetta neanche da morta; eppure, la sua vita sregolata e gli “incubi” che la affliggevano, lasciavano trasparire un animo tormentato, sotto la superficie.
–Bene. Analizziamo la questione con razionalità: cosa vi fa pensare non si tratti di una morte accidentale? Si può cadere da una finestra per sbaglio- domandò Frida, aggrottando la fronte, rivolta più a se stessa che ai suoi interlocutori.
–E come? Vinta dal caldo fuori stagione, mia sorella sarebbe andata ad aprire la finestra, cadendo maldestramente di sotto? Poco credibile!
–Sono lieta che siamo d’accordo almeno su questo punto.
–Inoltre, suicidarsi sarebbe … da lei. Ha dato problemi da quando è nata. All’inizio solo robetta - taccheggio, atti esibizionistici in preda ai fumi dell’alcool - ma da un anno a questa parte, si è aggiunto alla lista l’uso di droghe sempre più pesanti. Come diceva prima Nita, ripeteva che le servivano a non pensare, a tenere lontano gli incubi.
–Era in cura da uno psichiatra?- chiese William senza riflettere, per poi mordersi la lingua un istante dopo, certo che Frida non avrebbe mancato di rimproverarlo, raggelandolo con quel suo tremendo sguardo di ghiaccio. Invece, con suo enorme stupore, gli rivolse un cenno di assenso.
–Credo ne abbia cambiati diversi, ma non saprei dirvi con precisione quanti; in questo, la migliore fonte di informazioni sono i miei nonni. Io, appena ho potuto, sono fuggito da Villa Conworthy. Odio ammetterlo, ma non sono stato il migliore dei fratelli: invece di starle accanto e supportarla, l’ho abbandonata a se stessa.
Frida sbuffò, imbronciandosi –Sentite: siamo tutti d’accordo che Aisling non è rimasta vittima di un errore fatale. Resta da stabilire se l’ipotesi dell’omicidio sia plausibile, dato che un atto suicidario è in linea con la sua personalità… e familiarità.
Andrew perse il poco colore che aveva riguadagnato durante la discussione. Era più che stupito: scioccato. Gli ci vollero qualche minuto e due Negroni per riprendersi.
–C-Come sai…
–Che c’è una vena di fragilità psichica, per non dire di vera e propria follia, nel ramo materno della tua famiglia? Semplice: mi sono documentata. Lo faccio sempre. Confesso, però, di preferire le notizie di prima mano. Avanti, Carter, sputa il rospo, non farmi perdere altro tempo: dammi un indizio interessante, bitte, comincio ad annoiarmi!
Andrew serrò le mascelle e i pugni, e William si alzò di scatto in piedi, pronto a placcarlo, in caso avesse tentato di colpire Frida. In un secondo momento, realizzò che la ragazza praticava arti marziali, avrebbe potuto metterlo fuori combattimento con facilità anche senza il suo aiuto. Tornò al proprio posto e lo esortò a raccontargli tutto.
–Che dire? È vero: la pazzia è un tratto caratteristico dei Conworthy, la famiglia di mia madre. Tra suicidi, omicidi, persino infanticidi, è un miracolo che il nome sia giunto ai giorni nostri. Aisling non è che l’ultima della lista. Io sono uno dei pochi fortunati con le rotelle a posto.
–Le patologie psichiatriche hanno raramente un substrato esclusivamente genetico. C’è stato un qualche evento traumatico che avrebbe potuto, ecco … innescare la cosa? Nel caso di Aisling, intendo- inquisì William, ormai calato nel ruolo di “poliziotto buono”.
–Rinvenire il cadavere della propria madre il giorno del compleanno è sufficiente?- ringhiò Andrew. –Nostra madre manifestò i primi segni di squilibrio tardi, dopo - e forse proprio a causa della - nostra nascita. Nostro padre ne fu terrorizzato; era troppo per lui. Tornò negli Stati Uniti, dove si è rifatto una vita; so che è sposato e ha dei figli, ma non li ho mai conosciuti. Mia madre lottò fino alla fine per lui e, quando comprese che stava lottando invano, per la disperazione si suicidò … il giorno del decimo compleanno di Aisling. Fummo io e lei a trovarla.
–Lo so- sospirò Frida, rimirandosi le unghie laccate di rosa cipria. –Si tagliò le vene nella vasca da bagno, giusto?
–Esatto. Venimmo affidati ai nonni, nonostante le insistenze di nostro padre, perché il tribunale ritenne che cambiare continente avrebbe potuto aggravare il trauma psicologico, infatti ci costrinse a mesi di analisi…
–Bla, bla, bla. Noioso! Possibile che nessuno sappia raccontare per bene una storia, Cristo santo?- sbottò Frida, battendo entrambi i pugni sui braccioli della poltrona. –In tutto questo mare di nulla, non mi avete fornito un particolare degno di nota! Uno! È forse chiedere troppo?
Preso in contropiede, il ragazzo balbettò –Beh, io, ecco … ci stavo appunto arrivando. Non è facile, per me!
William tacitò Frida, sul punto di replicare in malo modo, e rispose, conciliante –Ma certo, tutto il tempo necessario. È un’impresa titanica riaprire ferite tanto profonde.
–Trenta secondi, non di più- concesse la Weil, a malincuore. –È quanto vi do per convincermi di non aver perso tempo.
Nita, asciugate le lacrime, sbraitò –Oh, e va bene! Se non vuoi dirglielo, Andy, lo farò io: Andy crede che Aisling si sia suicidata per imitare Rory!
–Rory?
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, come se rispondere a quella domanda gli costasse ogni briciolo di forza d’animo in suo possesso.
–Aurora … l’altra mia sorella. La più piccola.
William rimase a bocca aperta, e rischiò di lussarsi la mandibola quando vide Frida battere le mani ed esultare.
–Alleluia! Dopo un lungo travaglio, il particolare degno di nota è venuto alla luce! È stato un parto difficile, ma ne è valsa la pena. Quindi, eravate tre fratelli. Come mai i giornali non lo hanno accennato?
–Se devo tirare a indovinare, probabilmente perché non fa notizia. Non più, almeno. Aurora ebbe un vero e proprio tracollo, dopo la morte di nostra madre. Restammo tutti sconvolti, specialmente i nonni: pensavano che, data la sua età, non ne avrebbe risentito quanto me ed Aisling, invece la prese peggio di tutti. Iniziò a comportarsi in modo strano: dormiva poco e male, mangiava sempre meno, soffriva di incubi e attacchi di panico. Un po’ come Aisling nell’ultimo anno, ora che ci penso. Poi, una sera di otto anni fa, si gettò dalla finestra della vecchia camera di nostra madre.
William si portò le mani alla bocca, sconvolto.
–Cielo! È morta anche lei?
–Peggio: è un vegetale senziente. Il termine medico è sindrome locked-in: la coscienza è integra, ma le funzioni motorie sono quasi del tutto perse. Per venire incontro alle sue esigenze, i miei nonni hanno trasformato la villa nella succursale di un ospedale. Io non ho mai sopportato quell’atmosfera deprimente, ed evitavo il più possibile di nominarla o andare da lei; vedere mia sorella allettata, incapace di muoversi, in mezzo a una giungla di tubicini … non ce la facevo. Me ne sono disinteressato, forse anche per… gelosia: era Aisling la sua preferita, lo è sempre stata. Passava con Rory ogni momento libero della giornata: leggeva per lei, le faceva ascoltare la sua musica preferita … le parlava normalmente, come se si aspettasse che Rory potesse risponderle…
La Weil si grattò il mento, pensierosa: il tentato suicidio della sorella avvalorava l’ipotesi che Aisling Carter avesse scelto di porre fine alla propria vita, magari nel pieno di una “botta” da cocaina, o per puro spirito di emulazione. Eppure, il tarlo del dubbio non si decideva ad abbandonarla: qualcosa, in quella storia, non la convinceva. Era troppo semplice.
–Si è scoperto perché Aurora ha tentato il suicidio? No? Uhm… Interessante- soffiò, agitando una mano per congedare Andrew e Nita. –Bene! Racconto strappalacrime a parte, sento di non aver sprecato il mio tempo. Meno male! Per oggi è tutto, devo metabolizzare quanto ho appreso, ma la prossima volta sarà il caso che mi raccontiate qualsiasi cosa pensate possa essermi utile. Per bene, possibilmente.
 
***
 
Terminato il colloquio (o, per meglio dire, l’interrogatorio), Frida e William si concessero un altro paio d’ore di baldoria e un drink che non fosse un Vaporwave, prima di dichiarare conclusa la serata.
Camminavano fianco a fianco, e nessuno dei due sembrava intenzionato a rompere la cortina di assoluto silenzio che li avvolgeva, limitandosi a lanciarsi, di tanto in tanto, occhiate in tralice e mezzi sorrisi imbarazzati, senza avere il coraggio di interrompere il flusso di pensieri che le loro menti stavano generando senza sosta.
–Weil, sei stata pazzesca! Paragonato a te, Sherlock Holmes è l’ispettore Lestrade!
Contrariamente a ogni previsione della ragazza, alla fine William aveva parlato; peccato non avesse enunciato le risposte che sperava di ricevere. Tuttavia, non poté negare a se stessa che era piacevole ricevere un simile complimento, specie perché proveniente da qualcuno che, poche ore prima, aveva dichiarato di trovarla insopportabile.
–Ordinaria amministrazione. Allora, che idea ti sei fatto di questa storia?
–Ancora nessuna. In mancanza di elementi suggestivi, è meglio tenere la mente aperta e non restringere il campo delle ipotesi possibili. Una cosa, però, posso dirtela: quell’Andrew è un coglione- sentenziò William. –Come fa a non accorgersi che l’amica della sorella gli muore dietro?
–Che stai dicendo?
–Pensaci: non gli ha staccato gli occhi di dosso; quando è scoppiata in lacrime, ne ha approfittato per accucciarsi tra le sue braccia, e gli ha fatto una poco velata scenata di gelosia, rinfacciandogli di andare a letto con chiunque… “a parte lei”, era implicito. Bisogna essere proprio ciechi e sordi per non capirlo!
Frida, dopo un attimo di sbandamento, riacquistò il consueto aplomb.
–L’avevo notato anch’io, natürlich, ma non lo ritengo un elemento importante ai fini della risoluzione del caso- controbattè freddamente, decisa a negare al suo socio la soddisfazione di aver colto dei particolari che a lei, concentrata sui fatti, erano sfuggiti.
William la sgamò in un nanosecondo, ma la tentazione di prenderla in giro fino a farle perdere il controllo fu quasi subito sostituita dal desiderio di discutere seriamente di quanto era emerso dal colloquio con Andrew e Nita.
–In ogni caso, è un coglione. E sfigato: sul dizionario, accanto alla definizione di “mai una gioia”, dev’esserci la sua foto! Tra l’abbandono del padre, la madre e una sorella morte suicide, un’altra sorella, tentata suicida, vegetale nel letto …
–Credi possa essere il prossimo?
–L’esatto contrario. Non lasciarti ingannare dalla - devo ammettere, credibile - recita del fratello in lutto; quello sprizza gioia da ogni poro. Ora è un elfo libero! Tra la sorella drogata e quella allettata, secondo te quanta attenzione gli hanno riservato i nonni? Meno di zero! Non lo hai sentito? “Aisling ha dato problemi da quando è nata” … “Appena ho potuto, sono fuggito” … Con ogni probabilità, è arrivato a odiare quelle sorelle che lo mettevano in secondo piano, ma delle quali era obbligato a occuparsi.
–Vacci piano, Jung!- lo irrise Frida. –Atteniamoci a dati concreti. È un errore enorme teorizzare a vuoto: senza accorgersene, si comincia a deformare i fatti per adattarli alle teorie, anziché il contrario!*
–Parli come mio padre- esalò mestamente William. –“Sii più concreto, Will. Tieni i piedi per terra, che la testa è fin troppo tra le nuvole”. Tsk! Pretende che segua le sue orme, nessuna delle mie passioni incontra la sua approvazione: per lui l’arte è un passatempo che in rari casi consente di pagare le bollette, e ha una considerazione della psicologia e della filosofia… credo pari alla tua.
Frida, sentendosi in colpa, lo prese per mano e pigolò –Scusa, Liam. Non intendevo sminuirti, solo…
–Invitarmi a mettere al guinzaglio la fantasia- sbuffò, colto dallo stesso, identico senso di frustrazione che provava ad ogni discussione con suo padre. –Recepito. D’ora in poi, mi atterrò ai fatti nudi e crudi.
–Intendevo invitarti a leggere un po’ meno tra le righe, tutto qui- gli assicurò Frida. –Ammiro la tua creatività e cosa riesce a produrre, però ci sono contesti nei quali non va lasciata a briglia sciolta. Mi capisci, ja?
–Credo di sì. Tuttavia, sarai d’accordo con me nel ritenere Andrew Carter il sospettato perfetto: si è liberato della “zavorra” e spinge per la tesi del suicidio allo scopo di pararsi il culo. Non credo abbia le palle per ammazzare qualcuno a sangue freddo, però la precipitazione farebbe pensare a un crimine d’impulso e non richiede particolare forza o coraggio, soprattutto se la vittima è sotto l’influsso di droghe. Una spintarella, e addio!
–Seguirò il tuo consiglio e terrò la mente aperta, perciò … perché no? Se sospettiamo di lui, però, anche Nita va inclusa nella lista di sospettati: potrebbe aver tolto di mezzo Aisling perché invidiosa di lei, oppure per avere campo libero con Andrew, o ancora… potrebbe aver voluto liberare l’amato dal peso di una sorella inutile - o entrambe, chissà - nella speranza che le sia grato, e la gratitudine evolva in amore. Non c’è pazzo più pazzo di un innamorato pazzo! Se davvero provasse qualcosa per Andrew, i suoi sentimenti sarebbero un valido movente. Danke, socio, le tue elucubrazioni psicologiche mi sono state inaspettatamente utili. Mutti hatte recht3: non c’è nulla che chiarisca le idee quanto esporle a un’altra persona!*
–Lo dice sempre anche mio padre- “Che stava con sua madre. Che le abbia rubato la frase a effetto? Ma quanto cazzo è stronzo?” –Comunque… prego? A proposito, ecco … essere socio tuo… non che mi dispiaccia, solo … mi fa un po’ strano. Ti credevo un dingo solitario.
–Lo sono! Prima di conoscerti non avrei mai pensato di fare coppia… no, no, pessima scelta di parole. Io… quello che voglio dire è…
–Vai tranquilla. Sono un pervertito innocuo, mi limiterò a sognarti in mutande stanotte!
Frida, che non aveva colto l’ironia nel tono della voce di William, assunse tutte le tonalità di rosso esistenti, lo sbatté con violenza contro un muro e ululò –Se non vuoi fare la fine di Midget, giura che stai scherzando!
–Ironia, questa sconosciuta!- replicò lui, scuotendo mestamente il capo. –La tua conoscenza dei Monty Python mi aveva ingannato, invece sei ordinaria quanto gli altri. Usa la logica di cui ti vanti tanto, Weil: poco fa mi hai detto di avere delle brutte mutande. Cosa le sogno a fare?
 
Note dell’autrice:
La strana coppia/dinamico duo è finalmente entrato in azione. Che ve ne pare di Frida in versione Sherlock? Let me know! Dico sul serio: questo è il mio primo tentativo col genere giallo, ogni critica mi è utile a migliorare (a meno che non sfoci nell’insulto fine a se stesso).
Si scopre anche da dove ha origine il titolo della storia. Ho colto l’occasione per ripassare un po’ di neurologia, materia che mi ha sempre affascinato, anche se alla fine ho scelto un’altra strada.
Povera Aurora (nome, anche questo, non scelto a caso)! Vi do una piccola anticipazione: comparirà nel corso della storia, anzi, avrà un ruolo decisivo. Ora basta, o tanto vale spoilerare tutto e salutarci!
Serpentina
PS: il titolo del capitolo è un aforisma di Benjamin Franklin.
*citazione di Sherlock Holmes
1Fazzoletto
2Le torte sono opere d’arte culinaria
3Mamma aveva ragione

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Rock the casbah ***


Niente introduzione con consigli musicali, stavolta, non ce n’è bisogno: il titolo dice tutto. 😉
Avvertenze: il seguente lavoro contiene la descrizione nuda e cruda di un esame autoptico. Astenersi i deboli di stomaco.
Ciò premesso, grazie, come sempre, a chi segue questa storia e buona lettura.
 
Rock the casbah
 
“Ciò che permette a un abile generale di sottomettere il nemico e conseguire risultati straordinari, è la capacità di previsione”.
Sun Tzu
 
Nell’istante in cui, sulla soglia di casa Weil, William fece per accomiatarsi, Frida realizzò di doverlo ringraziare per esserle rimasto accanto nel suo breve momento di crisi.
Gute Nacht, Liam. Buonanotte, e grazie… di tutto.
–Dovere- rispose lui. –Ho il brutto vizio di mostrare solidarietà a chiunque.
–Da quando essere gentili col prossimo sarebbe un vizio?
–Ne riparliamo se e quando avrai preso tante pugnalate nella schiena quante me, Weil. Sai come si dice: “se fai del bene, dimenticatene; se fai del male, ricordatene”. Sfortunatamente, ho tanto da dimenticare.
“Ecco cosa succede a essere un kantiano del cazzo, caro il mio Wollestonecraft!”
–Mi spiace che tu non abbia imparato dai tuoi errori, Liam- sospirò mestamente Frida, divisa tra il dispiacere di scoprire che il suo neo-socio avesse alle spalle tanta sofferenza, e la consapevolezza che l’acume e la sensibilità che lei tanto apprezzava derivavano proprio da quella sofferenza. –Non che l’altruismo sia di per sé un errore; l’errore è ritenere che tutti lo meritino in egual modo. Senza un po’ di sano egoismo, l’umanità sarebbe già estinta. Ognuno di noi dovrebbe essere la sua priorità: non tradirai mai te stesso, non ti alzerai mai una mattina per dirti che non ti ami più… o che non ti sei mai amato e stai vivendo un’illusione. Tu sei l’unica persona per cui valga la pena di sacrificarsi e fare il lavoro sporco, è il mio motto. Tutto questo per dire: non sopporto la cattiveria gratuita, ma capisco chi azzanna alla gola i suoi simili per autodifesa.
Homo homini lupus. Un concetto molto hobbesiano- asserì William.
–Citazioni in latino a quest’ora di notte, dopo aver bevuto due Vaporwave? Sei mitico!
–Troppo buona. Bene, allora… buonanotte, Weil. Spero applicherai quello che predichi: sii la tua prima scelta. Sempre.
–Dato che, evidentemente, non sarò mai la prima scelta di Aidan…
William reclinò la testa e chiuse gli occhi, incredulo che una persona potesse essere al tempo stesso tanto intelligente e tanto stupida.
–Te lo ripeto: secondo me, non piacergli è la tua fortuna. Adesso pensi che non possa andarti peggio, ma presto capirai che ho ragione. Stare insieme ti avrebbe portato soltanto sofferenza, e non solo per via della storia a distanza. Affronta la realtà: spasimavi per lui da troppo tempo, non è sano- fece una pausa e interpretò il silenzio della Weil come un invito a continuare. –Sei libera di pensare che vaneggi, ma, sotto sotto, sai che ho ragione. Credi di essere innamorata di lui, in realtà sei innamorata del suo simulacro, che negli anni hai idealizzato sempre più. Il vero Aidan Cartridge ha pregi e difetti, il tuo Aidan soltanto pregi. Saresti rimasta delusa. Lo so perché… ci sono passato, con la ragazza della porta accanto.
–Un po’ cliché, ma chi sono io per giudicare?- ridacchiò Frida, nella speranza che dare un tono scherzoso alla conversazione potesse deviarla da quell’argomento, o quantomeno renderla meno sgradevole. –Hai almeno avuto successo nell’impresa?
–Sì … e no. Alla fine ci siamo - come dite qui - incollati, ma è durata quattro mesi. Sottolineo, quattro. Le sono andato dietro per anni ed è durata quattro mesi. Prima che me lo chieda: non è stata la mia partenza a causare la rottura. Ho dovuto fare i conti con la realtà: la Isla che avevo davanti non era la Isla che avevo desiderato per tutto quel tempo. Anelare da lontano mi aveva impedito di scoprire il peggio di lei. Si dice che quando scopri il peggio di una persona puoi scappare, o iniziare ad amarla per davvero. Io sono scappato, e, dal poco che ti conosco, credo lo avresti fatto anche tu.
–Difficile immedesimarmi: non mi piacciono le ragazze!- provò ancora una volta a scherzare Frida, invano; il suo interlocutore la fulminò con un’occhiataccia degna di Franz. –Ok, la pianto. Mi dispiace che la ragazza dei tuoi sogni si sia rivelata un incubo, ma il corso del vero amore non è mai andato liscio. Vale la pena di prendere qualche cantonata, pur di ottenere una simile ricompensa, non ti pare? Ebbene sì, nel mio mondo di logica ferrea ho dovuto far posto all’amore. Ridi quanto vuoi, Liam, non perderò la fede nel potere della forza “che move il sole e l’altre stelle”; sarei una sciocca a non crederci, dopo averne sperimentato la potenza sulla mia pelle.
“La forza che muove sole e stelle? Qualcuno qui necessita di un ripassino di fisica. Newton si starà rivoltando nella tomba!”
–E, dimmi, credi anche in Babbo Natale e nel coniglietto pasquale?- la schernì lui. –Mi deludi, Weil. Sei l’ultima persona che mi sarei aspettato potesse ergersi in difesa di quella che, a conti fatti, è un’invenzione dei poeti. Intuisco dal broncio sul tuo adorabile faccino che questa informazione cozza con l’immagine distorta che ti eri fatta di me: sotto questa invidiabile chioma di riccioli biondi non c’è il tenero angioletto che credevi. Mi spiace disilluderti, ma l’amore platonico, inteso come ricerca dell’anima gemella … non esiste! E, se esistesse, sarebbe un crudele scherzo della natura. Su questa nota allegra, ti auguro, per l’ultima volta, buonanotte.
Lieto di aver lasciato di stucco Frida ancora una volta, girò sui tacchi e se ne andò, senza curarsi di argomentare le sue parole.
 
***
 
Il lunedì seguente non fece in tempo a mettere piede nella scuola, che venne letteralmente placcato da Frida.
–Non pensare di potermi sfuggire! Sei riuscito a ignorare i miei messaggi e chiamate, ma adesso sei mio!
Massaggiandosi una spalla, dolorante dopo il violento urto contro il pesante portone in legno della scuola, William ribatté –Una dichiarazione in piena regola, la tua! Lusingato, Weil, ma, come ho detto, sono più un tipo fisico. Le smancerie non fanno per me.
La ragazza assunse un’intensa sfumatura bordeaux, quasi identica al colore delle loro cravatte, e ringhiò –Vaffanculo, Wollestonecraft! Sii serio, Cristo santo! Dobbiamo parlare.
La solennità con cui aveva pronunciato l’ultima frase parve ridicola, in contrasto con la sonora risata gutturale di William.
–Tsk, tsk! La volgarità non si addice a una boccuccia raffinata come la tua, Weil. Complimenti, comunque, ottimo placcaggio. Potresti giocare nella squadra di rugby della scuola… se solo ammettesse le femmine. Allora, che c’è? Nella mia modesta esperienza con voi leggiadre fanciulle, “dobbiamo parlare” è una diade che prelude al disastro, ma non posso negare niente alla mia adorabile socia, soprattutto se mi guarda con questa espressione truce così dannatamente sexy. Spara!
Frida, di solito amante di allusioni e giri di parole, andò dritta al punto, sconvolgendo il ragazzo, che si aspettava una discussione di tutt’altro tenore.
–Te lo ripeto: solo il mio ragazzo ha il diritto di pensare a me... Ah, che parlo a fare? Sei una causa persa! Veniamo a questioni più serie dei tuoi ormoni a briglia sciolta: ho letto per intero il referto dell’autopsia di Aisling Carter. L’ora della morte è stimata tra mezzanotte e le 3 del mattino del 26 settembre. Oltre ad alcune ecchimosi sul polso destro, che meine Mutter ha poco saggiamente liquidato come “inquadrabili nel contesto della composita lesività contusiva conseguente a un politrauma da precipitazione”, è emerso un altro dato interessante: Aisling è stata in Pronto Soccorso poche ore prima di morire. Le tracce di benzodiazepine riscontrate nel sangue allo screening tossicologico sono, con ogni probabilità, i residui della prescrizione dello psichiatra che l’ha visitata.
Decisamente sollevato che la ragazza non volesse bisticciare sul suo orientamento anti-romantico, William ridacchiò –Sai che non ho capito un’acca di quello che hai detto, sì?
–Ho letto per intero il referto dell’autopsia di Aisling Carter- ripeté Frida in tono scocciato, scandendo ogni sillaba.
–Fin qui c’ero. Allora?
–Sul corpo erano presenti alcune lesioni secondo me sospette, e ho scoperto che i tranquillanti che aveva nel sangue non li ha presi autonomamente, ma le sono stati presumibilmente prescritti in Pronto Soccorso. Non resta che scoprire il motivo dell’accesso… e della dimissione. Se dovesse venir fuori un errore medico, chi l’ha visitata passerebbe guai seri.
–Così è più chiaro- rispose William, sforzandosi di non scoppiare a ridere: i discorsi “alla CSI” della Weil erano esilaranti! Allo scopo di farsi altre due risate, le chiese –Ehm, non che la cosa mi sorprenda più di tanto, ma … mi spieghi come hai fatto a mettere le mani su un documento riservato?
La risposta lo sconvolse oltre ogni immaginazione.
–Ho hackerato il computer di mia madre- rispose lei con naturalezza, come se stesse commentando il meteo.
–Tu cosa?
–Oh, e va bene- sbuffò, irritata per essere stata colta in flagranza di appropriazione indebita di abilità informatiche. –Ernst ha hackerato il computer di mia madre!
–Lui cosa?
Sentendo puzza di predicozzo, Frida di affrettò a sbottare –Non è questo il punto! Il punto è che devo mettere le mani su quel verbale di Pronto Soccorso, è fondamentale per la ricostruzione degli eventi.
Determinato a scoprire fin dove poteva spingersi la follia genialoide della Weil, William alzò le mani in segno di resa e sbuffò –E come conti di riuscirci? Farai hackerare a Ernst il sistema informatico dell’ospedale?
Lo sconvolse realizzare che la sua socia lo aveva preso sul serio.
–Non sarà necessario- rispose, fregandosi le mani come il più stereotipico dei cattivi del grande schermo. –Zum Glück1, ho altre risorse.
 
***
 
Serle Constable, coniugata Weil, si era recata poche volte nel reame di sua cognata Faith. Preferiva di gran lunga fosse lei ad ascendere nel suo ufficio, piuttosto che dover scendere nel luogo che i suoi colleghi chiamavano, (poco) amichevolmente, “Ade”. Non era un tipo impressionabile - avrebbe dovuto cambiare carriera, altrimenti - però non poteva negare di provare un certo disagio, una sorta di timore reverenziale, nei confronti delle sale settorie.
Si fermò qualche secondo davanti alla vetrata, prima di entrare. La scena che le si parò davanti era talmente comica e, al contempo, macabra, che si lasciò sfuggire un sorrisetto: Faith, infagottata in una divisa verde da chirurgo, era intenta a scollare con rabbiosa maestria uno scalpo, muovendo avanti e indietro la testa a ritmo di un grande classico dei Clash, mentre la descrizione dei reperti che osservava man mano compariva sullo schermo di un computer poco lontano.
Si complimentò mentalmente con lei per il buon gusto in fatto di musica e la buona riuscita degli sforzi profusi per rendere l’ambiente di lavoro meno lugubre. Una volta subentrata al dottor Edward “Ned” Noyce, infatti, Faith non aveva perso tempo, introducendo da subito orari di lavoro più umani, un uso massivo dell’autopsia virtuale e la (sana) abitudine di lavorare con un sottofondo musicale, ideale per distrarsi dal rumore delle lame e del trapano.
Intuì che la Irving fosse arrabbiata dal modo in cui si faceva strada tra i tessuti a colpi di bisturi: non la solita delicatezza da pittrice che pennellava su una tela di carne e sangue, bensì veementi stilettate che graffiavano l’osso sottostante.
Sperando che la sua presenza bastasse a ridarle il buonumore, la salutò animatamente.
–Dottoressa, buongiorno. Stai aprendo il Rifiuto Umano?
Faith abbandonò il bisturi sul tavolo e sbuffò una risatina.
–Rifiuto Umano perché è stato trovato in un cassonetto nell’East End? Che fantasia!
–È una prerogativa di noi sbirri- rispose divertita Serle. –Gli hanno sparato, vero?
–Sì. Un lavoro pulito, da professionista. Singolo colpo a contatto, con ingresso in regione nucale e uscita a livello della glabella- sciorinò Faith, salvo poi tradurre il tutto in linguaggio comprensibile. –Il proiettile è entrato dalla nuca e uscito in mezzo alle sopracciglia, il che fa pensare che il killer fosse più basso, o posizionato più in basso, rispetto alla vittima. Ma che… maledetto aggeggio, questo non avresti dovuto scriverlo! E le chiamano intelligenze artificiali. Intelligenza un corno!
–Ma tu guarda: ha scritto proprio tutto, “corno” compreso- ridacchiò Serle.
–Non è divertente, Serle!
–Invece sì. Molto.
Faith emise un ringhio sommesso, poi riprese a parlare nel microfono attaccato al colletto della divisa.
–Med Writer, cancella l’ultimo paragrafo. Adesso scrivi: previo taglio bimastoideo, si procede a scollamento del cuoio capelluto, rilevando infiltrazione emorragica dello stesso nell’area circostante alla soluzione di continuo sopra descritta. Muscoli temporali normotrofici e indenni da alterazioni macroscopiche. Punto e a capo. Pausa. Pausa, ho detto! La smetti di scrivere ogni singola parola che esce dalla mia bocca, dannato aggeggio?
Serle camuffò le risate con un colpo di tosse e, finalmente, rivelò il motivo della visita a sorpresa.
–Frida è venuta da me, ha fatto domande sull’ormai non più caso Carter. Pare non condivida le tue conclusioni. Quella ragazza è curiosa come una scimmia! Ha preso da te, senza ombra di dubbio. Ho provato a scoraggiarla, ma, conoscendola, non si fermerà finché non avrà le risposte che cerca. A meno che non si lasci distrarre da… altro.
La trasformazione da dottoressa in leonessa divenne completa: Faith afferrò la sega circolare e iniziò a segare il cranio con particolare ferocia. Quando ebbe concluso l’operazione, si degnò di replicare, in tono scocciato –Non anche tu, Serle! La situazione è già abbastanza grottesca di per sé: mia figlia esce con il figlio dell’uomo che- esitò per un momento: non aveva confidato a nessuno, oltre Franz, del matrimonio mancato. –Frequentavo prima di suo padre! Roba da commedia romantica di serie Z! Ho passato una pausa pranzo di merda a sentire Abby, la mia più vecchia amica, sproloquiare su quanto IO sia una pessima madre perché ho permesso a mia figlia di uscire la mefitica prole del vecchio Cyril, il tutto condito da discorsi medievali sul mio sacro dovere di “impedirle di darsi via”. Punto primo: Frida è liberissima di fare cosa le pare con chi le pare, a patto che prenda voti eccellenti, non si droghi, non resti incinta e non prenda malattie. Secondo: pensasse alle sue, di figlie! Abby vive su Marte, se non ha ancora capito che Kaori e Kimberly si danno alla vida loca a sua insaputa. Terzo: lei può permettersi di scagliare la prima pietra in virtù della sua morale specchiata - che in confronto la Pamela del libro è una bagascia - io no; ne ho combinate troppe per potermi ergere a giudice, giuria e boia. Sarebbe come vietare a Frida di fumare tenendo una sigaretta accesa in mano. Che razza di esempio le darei?-  ruggì, e con pochi, decisi colpi di martello e scalpello allargò la fenditura nel cranio, fino a staccare completamente la calotta.
Serle storse il naso: quello era uno dei pochi momenti dell’autopsia capace di mettere a dura prova il suo sangue freddo; il suono secco prodotto dalla meninge che si separava dall’osso, simile allo strappo di una chiusura al velcro, le dava la nausea.
–Concordo. Comunque, se può consolarti, a Ernst questo William è sembrato un bravo ragazzo, e, conoscendolo, questo sì che è tutto dire. Lascia perdere la tua amica, fa parte della categoria “mammine perfettine acidine con le fette di prosciutto sugli occhi”. Sapessi quante ne ho incontrate, in vita mia!
–Con tre figli, era statisticamente inevitabile- asserì Faith mentre estraeva l’encefalo. –Scusa un secondo. Medwriter, scrivi: “Previo taglio fronto-bitemporo-occipitale, si separa la calotta cranica, integra sul tavolato esterno, dalla base, rilevando che la pachimeninge è del consueto colore grigio madreperlaceo, ad eccezione di un punto in regione occipitale, in cui risulta lacerata e infarcita di sangue. Si procede quindi ad estrarre l’encefalo, del peso di … 1600 g, che viene immerso in formalina per un successivo esame dopo fissazione. Perfetto. Finito! Dicevi?
–Che mio marito, grazie al suo orario flessibile, mi ha risparmiato parecchie seccature. Per mia fortuna, avevo la carta del lavoro da giocare, così tutte le noie se le è sorbite lui, anche se dubito gli sia pesato: era il beniamino del comitato genitori-insegnanti.
–A proposito di tuo figlio Ernst, riferiscigli un messaggio, per favore: non è una buona idea hackerare il computer della sua zia preferita.
–Lui cosa?- ululò Serle, fuori di sé. –Oh, cielo! Ho chiuso un occhio sull’hacktivismo, ma questo… Roba da matti! Giuro che, appena gli metto le mani addosso, io…
–Tranquilla, il mio è un semplice avvertimento. Non sono arrabbiata. O meglio, lo sono stata, finché non ha confessato che è Frida la mente dietro questa violazione della mia privacy. Non si fermerà davanti a nulla, pur di ottenere delle risposte.
–Come la fermiamo? Non possiamo lasciarla fare!
–Perché no? Frida è il genere di testa dura che deve sbattere contro i propri errori per rendersene conto. Si è incaponita perché non accetta di essere nel torto, per una volta. Inutile discuterci; tanto vale lasciarla fare. Oltretutto, questa azione poco furba mi consente di essere un passo avanti a lei: ora so quale sarà la sua prossima mossa- la rassicurò Faith, per poi sbottare al suo assistente, impalato a fissarla –Se avessi eviscerato torace e addome, McDowell, invece di cincischiare, a quest’ora saresti già a buon punto!
–Ecco, io… è proprio necessario?- pigolò il giovane dall’aria titubante. –Sì, insomma… gli hanno sparato in testa, no? È lì la roba interessante!
Le due donne si scambiarono un’occhiata colma di esasperazione, quindi la prima rispose –Ispettore Constable, cosa diresti, se il tuo sergente ti facesse questa domanda?
–Direi che quando sei qui dentro, ragazzo, cessi di essere una mente e diventi il braccio del tuo superiore. Tutto ciò che il tuo capo ti chiede di fare è automaticamente necessario. Avanti, mettiti al lavoro… mentre io e la boss di fine livello andiamo a berci un tè.
–Mozione approvata. La base cranica può attendere!

 
***
 
Quando William, dopo la scuola, seguì Frida al Queen Victoria Hospital, si diede dell’idiota per non averci pensato prima: dove reperire un documento sanitario, se non in un ospedale?
La ragazza lo condusse a un ingresso secondario e gli spiegò il piano nel dettaglio: da qualche anno a quella parte, tutte le strutture del NHS, il sistema sanitario nazionale britannico, si erano dotate di una rete informatica unificata per ottimizzare gli scambi di informazioni. Dato che la sua ex babysitter lavorava proprio in Pronto Soccorso, non avrebbero dovuto fare altro che chiederle di accedere al sistema con le sue credenziali e scaricare il file desiderato. Un gioco da ragazzi… oltre che una palese violazione del segreto professionale e di tutte le norme sulla privacy vigenti.
Fu solo quando Frida - che nel frattempo aveva sciolto i capelli e aveva inforcato un paio di occhiali dalla montatura spessa - gli lanciò un camice bianco, intimandogli di indossarlo, che William ebbe qualche perplessità.
–Perché dovrei mettermi un camice? Di un certo Sebastian Fraser, oltretutto. È furto d’identità, Weil!
–Quisquilie! Fraser è il cagnolino di mio padre, abbandona il laboratorio soltanto per andare in bagno, è praticamente impossibile incrociarlo! Ci mescoleremo al personale per girare indisturbati.
William pensò, per un attimo, di essere vittima di uno stupido scherzo; quando realizzò che lei faceva sul serio, sbottò –Pronto, ufficio complicazione affari semplici? Ce la facciamo? È un ospedale! Un luogo pubblico! A cosa serve questa pantomima? Entriamo dall’ingresso principale, chiediamo di questa Lauren, ci facciamo dare il file e via, dritti a casa mia a berci una birr… del tè. Tè. Perché noi due intrepidi giovani detective non abbiamo paura ad alimentare gli stereotipi sugli inglesi. Cazzo, Weil, è già grave che stiamo per appropriarci di informazioni riservate senza il consenso dell’interessata; cerchiamo almeno di non dare nell’occhio!
–Piantala di dire scemenze e mettiti quel camice. Ich habe keine Zeit zu verlieren2- lo redarguì lei. –Non possiamo entrare e chiedere di Lauren così, alla luce del sole: i miei mi hanno vietato di immischiarmi nel lavoro meiner Mutter, perciò non devono assolutamente scoprire cosa stiamo combinando; ergo, dobbiamo tenere un basso profilo. Fingendoci due anonimi tirocinanti, passeremo facilmente inosservati. Keine Sorge3, mi sono assicurata che nessuno degli amici di mio padre fosse di turno: mi conoscono da prima che nascessi, manderebbero a monte la copertura in un nanosecondo.
William ci tenne ad esprimere il proprio parere ancora una volta, prima di arrendersi.
–Rimango della mia opinione: daremmo meno nell’occhio come semplici visitatori.
–La tua sfiducia è commovente!- sibilò la ragazza. –Conosco questo posto come le mie tasche: la via più diretta per l’ufficio di Lauren è attraverso il percorso sanitario, dove - spero ne converrai - daremo meno nell’occhio travestiti da medici. Ora, se hai finito di obiettare, mettiti quel cavolo di camice e seguimi… a meno che non te la faccia sotto. È così, Liam? Hai paura?
Non volendo concederle la soddisfazione di una risposta, William si limitò a un cenno di diniego, prima di infilarsi nella porta secondaria, in barba al cartello “Ingresso riservato al personale”. Sebbene avesse già avuto prova del fatto che Frida di rado esagerava le proprie abilità, lo sorprese constatare quanto bene conoscesse quel luogo. A giudicare dalla disinvoltura con la quale si muoveva lungo quei corridoi tutti uguali, chiunque avrebbe pensato fosse davvero una studentessa di medicina.
Lei dovette aver intuito i suoi pensieri, perché, a un certo punto, sospirò –Quando ero piccola, ogniqualvolta Mutti riceveva una chiamata urgente - e credimi, succedeva spesso; sembra che la gente lo faccia apposta a crepare la sera, nei finesettimana o nei festivi - se meine Großeltern4 non potevano badare a me, mi scaricava da meinem Vater… qui.
–Non avevi una babysitter? La tizia che dobbiamo incontrare?
–Lauren. Sì, è stata la mia babysitter per un periodo. Una volta iniziata la specializzazione, però, è stata fagocitata dai suoi pazienti, e Papi è diventato il mio babysitter.
–Immagino la sua gioia! Mio padre, se mia mamma avesse osato scaricarmi al suo studio, sarebbe andato in autocombustione! Non c’era nessun altro a cui sbolognarti?
–I miei zii, Abby, la madre di Kimmy e Kev, o Brian, il padre di Aidan, mi avrebbero dato volentieri ospitalità per qualche ora, ma Mutti era troppo orgogliosa per “approfittare della loro gentilezza”. E poi, non era male stare al Queen’s: i colleghi e amici meines Vaters facevano a gara per viziarmi. Natürlich, ero turbolenta già allora: non c’era verso di tenermi buona nel suo studio; appena lo vedevo entrare in laboratorio, partivo all’avventura, divertendomi a esplorare l’ospedale in lungo e in largo, finché qualcuno si accorgeva di una bambina a zonzo nei corridoi e mi riportava da meinem Vater. Lui mi sgridava, mi richiudeva nel suo ufficio, e il ciclo ricominciava.
–Un’esistenza piuttosto solitaria- commentò William, ripensando alla sua infanzia da figlio unico poco propenso alla socialità.
Ein bisschen5- ammise lei, distogliendo lo sguardo. –Però non so quanto avrei resistito in mezzo ad altri bambini. È la maledizione degli introversi, ja? Buoni amici, ma pochi. Non fraintendermi, so essere brillante, quando voglio, e mi piace uscire e stare in compagnia, però… socializzare mi sfianca. Dopo un tot di tempo, sento la necessità impellente di ricaricare le pile in solitudine.
“A quanto pare, io e la Weil abbiamo in comune più di quanto credessi”.
–Ti capisco. Per me è lo stesso… più o meno. In realtà, mi sarebbe piaciuto avere tanti amici, ma non stavo granché simpatico agli altri bambini. Sono sempre stato polemico e allergico al bullismo, non proprio la combo ideale per guadagnare popolarità.
–Decisamente no. Il mondo è per gli stronzi- asserì saggiamente Frida, per poi arrestarsi di colpo davanti a una porta arancione. –Gut, siamo arrivati a destinazione.
William lesse la targhetta a destra della porta –“Dr. L. Quigley, Dr. O. O’Hara e Dr. S. Singh”. La L sta per Lauren, suppongo. Come pensi di sbarazzarti degli altri due?
–È altamente improbabile siano in stanza. Lo mi ha parlato di loro: quando non sono impegnati a salvare vite, O’Hara e Singh sono impegnati nella ricerca di un luogo appartato dove ficcarsi la lingua in bocca a vicenda.
William, piacevolmente sorpreso, la guardò con fervente ammirazione.
–Ti ho mai detto che sei pazzesca?
Frida si colorò di rosa sulle gote, gli rivolse un sorriso radioso e rispose –Una volta. Ma non mi sentirai lamentarmi, se decidessi di dirmelo più spesso.
Bussò alla porta e, ricevuto l’assenso a entrare, mise piede in una stanza ingombra di carte e strumenti medici. Come previsto, delle tre scrivanie soltanto una era occupata, da una donna bionda sulla quarantina, impegnata in una telefonata. A William diede l’impressione del brutto anatroccolo trasformatosi tardivamente in cigno; un cigno, invero, un po’ spiumato. Eppure, nonostante il colorito spento e le occhiaie, la trovò piuttosto affascinante; non la classica figona da togliere il fiato, però, provando a immaginarla in vesti decenti, faceva ancora la sua figura.
Lauren li salutò con la mano, invitandoli a sedersi. Conclusa la chiamata, si rivolse a loro ridacchiando.
–Ero al telefono con tua madre. Ne sa una più del diavolo! Mi ha avvisato che saresti venuta a chiedermi di procurarti un verbale di PS, ed eccoti qui. In compagnia, vedo. Novità assoluta! Sei sempre stata un lupo solitario.
–Liam è il mio socio.
–Ah, sì? Riesco a immaginare due soli validi motivi per lasciarsi coinvolgere nei tuoi affari: o il qui presente Liam è folle quanto te, oppure ambisce a un giro turistico nelle tue mutande- la cute di Frida passò dal rosa al rosso. Lauren non infierì, rivolgendosi invece a William. –Nel primo caso, auguri; nel secondo, auguri doppi: Frida ha occhi solo per l’altissimo, purissimo, bellissimo Aidan. Ti sei arruolato per una missione suicida!
–Il nome è William, e non si preoccupi, tendo a evitare le missioni suicide- replicò lui senza scomporsi.
Frida provvide subito a spostare la conversazione su temi più pregnanti.
–Lo, in che senso Mutti ti ha avvisata del mio arrivo?
–Secondo te? Mi ha chiamata, dicendomi che saresti venuta a chiedermi di usare le mie credenziali per scaricare il verbale dell’accesso in PS di Aisling Carter del 25 settembre scorso- Frida rimase letteralmente a bocca aperta. –Oh, non fare quella faccia! Credevi davvero che tua madre, la donna che ti ha portato nell’utero nove mesi e ti ha cresciuto, non ti avrebbe scoperta? L’ego ipertrofico l’hai preso da tuo padre, ma il cervello è marca Irving. Deduco dalla tua espressione che in questo preciso istante stai imprecando mentalmente contro Faith. Dovresti ringraziarla, invece: quando hai bussato alla mia porta, stavo giusto scaricando il documento che ti serve. Ti ha fatto risparmiare tempo, e tu non hai mai tempo da perdere.
Was6? Mutti non ha obiettato? O spifferato tutto a Papi? Non ci credo!
–Te lo giuro!- le assicurò Lauren. –Era divertita dalla tua testardaggine… e, paradossalmente, fiera di te, della donna che stai diventando.
–Oppure, più probabilmente, è talmente sicura di sé da essere certa che la mia indagine non porterà a niente. Neanche prende in considerazione l’idea che possa esserci del marcio, dietro la morte di Aisling Carter!- sbuffò Frida, indignata, chiudendo di scatto il mastodontico tomo dalla copertina viola che stava sfogliando: “Harrison. Principi di Medicina Interna”. –Lo porterò alla luce, e allora vedremo chi riderà!
–Ammesso ci sia veramente del marcio, so che ci riuscirai: scavare nel torbido è la tua specialità. Intanto, ti do un tassello del puzzle: il 25 settembre sera, Aisling Carter è stata portata da un’amica in Pronto Soccorso all’ospedale universitario del King’s College.
–Nita Burnett, ci scommetto!- esclamarono in coro William e Frida. –E ce l’ha tenuto nascosto, la bastarda!
–Data l’anamnesi - abuso di alcolici e stupefacenti, precedenti psichiatrici in famiglia, PTSD - quegli asini non si sono sprecati a visitarla, smollandola subito allo psichiatra, che scrive: “stato di agitazione psicomotoria, riferito dall’accompagnatrice perdurare dalla sera prima, insorto in seguito a consumo di stupefacenti (cocaina). Accede al colloquio con un certo timore; si colgono aspetti a tratti dolorosamente depressivi nel contesto di deliri di stampo paranoide che la riportano al suicidio della madre, circa 10 anni fa, e al tentato suicidio della sorella, circa 8 anni fa”. Questo genio del male formula diagnosi di “confusione mentale e agitazione psicomotoria in paziente che fa uso di stupefacenti” - che non è una diagnosi - le dà 30 gocce di Diazepam, una benzodiazepina… e la dimette. La dimette! Porca di una miseria, la dimette. Senza nemmeno aspettare che il farmaco faccia effetto.
–Tradotto in termini comprensibili?- intervenne William, stordito da tutto quel medichese.
–Quello che non è scritto in cartella, nero su bianco, non esiste. Ciò premesso, a mio modesto parere si possono ravvisare almeno due errori nella gestione di questa paziente. Numero uno: mancano anamnesi - la storia clinica - ed esame obiettivo; questa ragazza arriva in PS e, solo perché confusa, il collega pensa subito a un problema di pertinenza psichiatrica. La invia dallo specialista senza nemmeno prendere i parametri vitali - frequenza cardiaca e respiratoria, pressione arteriosa, temperatura corporea e così via - nè visitarla un minimo. Per quanto ne sappiamo, la sintomatologia avrebbe potuto essere di origine infettiva, o causata da una grave alterazione degli elettroliti - sodio, potassio e compagnia bella - oppure da una malattia fino a quel momento latente. Ci sono così tante diagnosi differenziali, per ogni sintomo, che spedire una paziente dallo psichiatra, senza dimostrare di aver prima escluso una causa cosiddetta organica, è da idioti!- spiegò Lauren tutto d’un fiato, fece un respiro profondo e proseguì –Mi spiego meglio: se avessi davanti una visita medica che attesta lo stato di apparente buona salute di Aisling Carter, e degli esami del sangue e radiologici negativi, allora direi: ok, questa ragazza non aveva niente che non andasse dal punto di vista fisico, il problema era di altra natura. Ma qui non c’è scritto niente! Veniamo quindi al secondo punto. Non entro nel merito della diagnosi psichiatrica perché non è il mio campo, ma santo cielo, anche qui: manca l’anamnesi; per quanto ne sapeva il collega, la ragazza avrebbe potuto essere allergica al farmaco che le ha prescritto, oppure avere una patologia che lo rendeva controindicato. Inoltre, la dimette poco dopo. Voglio presumere che Aisling Carter stesse, tutto sommato, bene, altrimenti la sua amica l’avrebbe riportata in PS, ma, onestamente, un minimo l’avrei tenuta in osservazione: le benzodiazepine possono, anche se raramente, dare reazioni paradosse, cioè effetti opposti all’atteso: agitazione, aggressività, delirio, incubi, allucinazioni, psicosi, alterazioni del comportamento.
–Perciò… Aisling potrebbe essersi effettivamente suicidata, gettandosi dalla finestra in preda alle allucinazioni- teorizzò William.
–Possibile, ma improbabile: le reazioni paradosse sono rare, si verificano soprattutto in età pediatrica e negli anziani, dopo somministrazione endovenosa e ad alti dosaggi. Eccessiva sedazione e amnesia sono effetti collaterali decisamente più frequenti.  
–Ed è inverosimile che una persona sotto tranquillanti abbia avuto la forza fisica e mentale di andare alla finestra e buttarsi di sotto. Qualcuno che non aspettava altro ha colto l’occasione per darle un “aiutino”. Forse al King’s non si saranno comportati egregiamente, però possiamo imputargli soltanto di non averla trattenuta, posticipando l’inevitabile. La domanda, adesso, è: chi poteva volerla morta, a parte suo fratello, la sua migliore amica e il buon gusto?- rifletté Frida, mentre rimuginava sulle parole dello psichiatra; di fronte all’espressione sgomenta del suo socio, ridacchiò –Che c’è? Non posso fare una battuta, ogni tanto? Ho dato un’occhiata ai suoi profili social: si conciava maluccio, per una che dava consigli di moda- rabbrividì di disgusto. –Comunque, continuo ad avere la sensazione che ci sia dell’altro, qualcosa che dobbiamo ancora scoprire- all’improvviso, venne colta da un’illuminazione. –Ehi, Lo, se non sei già uscita dal sistema, potresti scaricare anche la documentazione clinica di Aurora Carter? Chiamalo intuito, deduzione, come ti pare: la chiave per la risoluzione del mistero sta nel tentato suicidio della sorellina di Aisling.
 
***
 
–Un penny per i tuoi pensieri- scherzò William, molto più tranquillo e rilassato, una volta uscito impunemente dall’ospedale.
Frida si grattò il mento, con fare meditabondo, e gli chiese –Secondo te, quanto siete abitudinari voi uomini? Nel senso: secondo te, tendete a cercare sempre lo stesso tipo di donna, o c’è un certo margine di variabilità?
Ricevette in risposta un’occhiata penetrante e un lungo silenzio, seguito dal titubante –Ehm, non saprei. Cioè, dovessi parlare per esperienza, direi che, come i serial killer, puntiamo vittime con caratteristiche simili. Considera, però, che Isla è l’unica, finora, per la quale abbia provato un interesse che andasse oltre il piano fisico.
–Chi se ne frega di te e della tua ex!- sbottò la ragazza, sforzandosi di reprimere la punta di irritazione provocatale dalla menzione della fantomatica Isla. –Stavo pensando a tuo padre.
William comprese quasi subito dove volesse andare a parare la Weil, ma decise di prenderla un po’ in giro, prima di ascoltare l’assurdità che, supponeva, la sua mente aveva partorito (probabilmente per un calo di zuccheri).
–Se non ti scoraggiano l’enorme differenza d’età e il fatto che ha quasi sposato tua madre…
–Non in quel senso, deficiente! Stavo provando a immaginare com’è tua madre, se…
–Mio padre non ha sposato una sosia di tua madre per colmare un vuoto nel suo cuore, se è questo che pensi- ringhiò l’australiano, infervorandosi; dopotutto, si stava parlando della donna che l’aveva messo al mondo. –Sono… non dico diametralmente opposte, ma molto, molto diverse. Al di là dell’aspetto fisico, mia madre è - non ridere, per favore - un tipo new age. Insegna yoga. Casa a Canberra è piena di cristalli e mandala: per l’armonia familiare, per dormire bene, per andare bene a scuola... si è innamorata del suo attuale marito perché “aveva l’aura più potente che avessi mai sentito”.
Frida non rimase troppo sorpresa: in effetti, era scontato che, dopo aver lasciato malamente sua madre, Mr. Wollestonecraft avesse cercato una donna che non gliela ricordasse manco per sbaglio. Faticò a trattenere le risate: non voleva ferire il suo socio, ma rischiava di soffocare. Dopo una dura lotta con se stessa, cedette all’istinto ed esclamò –Non vorrei dirtelo, Liam, ma mi sa che non è “l’aura” del tuo patrigno ad aver colpito tua madre, se capisci cosa intendo.
–Grazie, avevo proprio bisogno di qualcosa che non mi facesse dormire stanotte!- sbraitò William. –E, per tua informazione, non considero quell’essere parte della famiglia. È il marito di mia madre, non il mio patrigno.
Frida capì di essersi spinta troppo oltre; peccato non sapesse come fare un passo indietro. Decise quindi di spingersi ancora più in là.
–Dovessi mai incontrarlo di persona, lo ringrazierò: da come ne parli, deduco sia lui la ragione del tuo impulsivo cambio di emisfero. È davvero così insopportabile?
–Io non lo sopporto, e tanto basta.
–Lo, invece? Che pensi di lei?
A quel punto, William non poté più fare il finto tonto.
–A parte la scoraggiante differenza d’età e il fatto che sono ancora minorenne… non è da buttar via. Oh, aspetta: è a mio padre che stavi pensando? La risposta è sempre no! Adesso che è finalmente sereno e davvero felice della sua vita, non voglio interferire in alcun modo. E poi, che ne sai? Magari ha già una donna!
–È divorziato da tanto, mi stupirei del contrario- asserì Frida in tono pratico. –Quasi sicuramente colleghe di lavoro, con cui va a letto al bisogno. Però, da quel che mi hai detto di lui, dubito abbia una donna fissa, al momento. Possiamo interferire senza timore di rovinare una storia d’amore.
“Perché deve mettermi in testa queste brutte immagini? Adesso sì che non chiuderò occhio, stanotte!”
–Il mio unico timore è l’uso del plurale- sbuffò William, le unghie conficcate nei palmi delle mani per incanalare la rabbia nel dolore. –Cosa c’entri tu con la vita sentimentale di mio padre?
–Nulla- rispose Frida scrollando le spalle. –Mi piace rendermi utile!
La sarcastica replica di William morì sul nascere: una ragazza sulla ventina, alta e magrissima, riconoscibile nonostante gli occhiali da sole, si fiondò dentro il Queen Victoria Hospital senza guardarsi intorno.
–E' Nita Burnett! Cosa ci fa qui?
–Non una partita di bridge, poco ma sicuro.
–Presto, seguiamola! Ci deve parecchie spiegazioni- esclamò William, che le corse dietro, determinato ad ottenere le informazioni di cui avevano bisogno; estorcergliele, se necessario.
–William, aspetta!
Se fosse stato meno concentrato sul pedinamento, si sarebbe accorto che Frida l’aveva chiamato per la prima volta in assoluto col nome completo, e che la sua corsa era stata bloccata nel bel mezzo dell’atrio da una mano, che si serrò prepotentemente su una spalla.
–Ehi, bellezza, dove credi di andare?
 
Note dell’autrice:
A chi apparterrà la mano misteriosa? Lo scoprirete nel prossimo capitolo.
Avreste mai detto che Frida, nel profondo, è una romanticona? Non crediate che la discussione su amore e affini sia conclusa... è appena cominciata! 

Intanto, sono venuti alla luce scorci sul passato della strana coppia di detective, oltre che sulla madre di Frida. Per chi non ha mai letto di lei, ho una domanda: che ve ne pare della mia Faith?
Frida vuole improvvisarsi cupido, seguendo le orme della madre… chissà cosa ne verrà fuori. C’è da avere paura di Sherlock Weil!
Informazioni di servizio: Pamela, o la virtù premiata, è un romanzo epistolare scritto da Samuel Richardson nel 1740. Non mi dilungo sulla trama, che riassumo con le parole della mia professoressa d’inglese del liceo: “l’Elisa di Rivombrosa inglese”.
1Fortunatamente
2Non ho tempo da perdere
3Non preoccuparti
4Nonni
5Un po’
6Cosa?

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Rivelazioni con contorno di cioccolato ***


Innanzitutto, grazie di cuore a chi sta seguendo questa storia, che spero sia di vostro gradimento, e a elev per le sue recensioni. * lancia caramelle *
Prima di augurarvi buona lettura, due parole (non di numero): prendete tutto quello che credete di sapere su William e Frida.... e buttatelo nella spazzatura. Fatto? Perfetto, potete proseguire!
 
Rivelazioni con contorno di cioccolato
 
“Dimenticate i diamanti. È il cioccolato, credo sarete d'accordo, il miglior amico delle ragazze.”
Carole Matthews
 
Era in trappola.
Era in trappola, nonostante si trovasse a pochi metri da una via di fuga, pure bella grossa.
Che ironia.
“Se non è scalogna questa…”
Certo, avrebbe potuto liberarsi dalla presa, assestare un calcio o un pugno al marrano che aveva osato metterle le mani addosso senza permesso e scappare, ma le circostanze glielo impedivano: non poteva aggredire fisicamente qualcuno in un luogo pubblico, al cospetto di testimoni, soltanto perché le aveva afferrato una spalla; ad occhi esterni e inconsapevoli, la sua reazione sarebbe risultata sproporzionata rispetto all’evento che l’aveva provocata. Decise perciò di “congelarsi” sul posto, attanagliata da una nauseabonda sensazione di disgusto; se avesse potuto, si sarebbe disinfettata il punto in cui avvertiva la sua presa su di lei.
–Cos’è, non si salutano più i vecchi amici?
Di bene in meglio: tra tutte le persone sgradite che avrebbe potuto incontrare sulla sua strada, si era imbattuta nella più sgradita di tutte.
Quella frase, in apparenza innocente, la fece ribollire di rabbia, dandole la forza di “scongelarsi” e controbattere –Noi non siamo amici, Bryce. Gli amici non si baciano, e non approfittano di momentanee perdite della capacità di giudizio dell’altro provando a farlo ubriacare, sapendo che questi non ha mai bevuto in vita sua, quando si rifiuta di andare oltre.
Bryce spostò una ciocca castano chiaro dal viso e rispose –Fino a prova contraria, sei stata tu a cominciare. Le mie intenzioni erano nobili. Dicevi di voler “fare pratica”… perché non darti il pacchetto completo?
Frida si sentì andare a fuoco: quel dannato Schwanzlutscher1 aveva la faccia tosta di rinfacciarle il peggior errore della sua vita? Meritava di mangiare Kamelscheiße2 per il resto dei suoi miserevoli giorni sulla faccia della Terra (che, se non si fosse allontanato da lei al più presto, sarebbero stati ben pochi)!
–Spero di aver inteso male- sibilò Frida, pentendosi di non averlo ancora colpito con i mezzi contundenti di cui l’aveva dotata Madre Natura. –Stai per caso insinuando che me la sono cercata?
–Dico solo che un altro, al mio posto, non si sarebbe fermato. Ti è andata di lusso- osservò lui, scrollando le spalle.
–Cos’è, vorresti una medaglia al valore? Un ringraziamento?- ruggì Frida di rimando, rendendosi conto di aver alzato pericolosamente il volume della voce quando si accorse che diversi astanti li stavano osservando con pettegolo interesse.
Avrebbe tanto desiderato urlargli contro che avrebbe dovuto ringraziarla di non aver detto niente a suo padre, ma non voleva passare per una viziata cocca di papà (che in realtà era), incapace di difendersi da sola. Non ci avrebbe fatto una bella figura e non ne valeva la pena; Bryce non era un avversario alla sua altezza. Era ottuso quanto bello (molto), motivo per cui aveva ingenuamente creduto di potersi approfittare di lui impunemente, usandolo come “cavia” per non arrivare del tutto impreparata al fatidico momento in cui Aidan le avrebbe dichiarato amore eterno, baciandola come mai nessuna era stata baciata. Col senno di poi, era stata una pessima idea.
–Se fosse in natura…
Frida chiuse le mani a pugno, pronta a sferrare un gancio letale dei suoi, ma tempo due respiri profondi e riuscì a calmarsi. Non poteva dare spettacolo, doveva mantenere un basso profilo: se suo padre avesse scoperto cosa stava combinando, l’avrebbe murata viva fino alla fine dei suoi giorni. D’altro canto, non poteva neppure starsene zitta e buona a lasciarsi molestare.
–Ghiaccerà l’inferno, prima che io te la dia!
Bryce diede prova di quali abissi potesse raggiungere la sua idiozia (insieme al suo ego) grattandosi il mento mentre le domandava –Non sembravi pensarla così, quando hai provato a usarmi come uomo-oggetto! Comunque, scusa, ma… se non sei venuta per vedere me, cosa ci fai qui?
La ragazza non si scompose; impiegò solo pochi secondi per elaborare una scusa convincente.
–Oh, ehm… Giornata di orientamento. Per quelli all’ultimo anno delle superiori ancora incerti sulla strada da intraprendere.
–Uhm… ha senso. Stai pensando di seguire le orme di mamma e papà?
“Sei matto? Verrei a letto con te, piuttosto che fare Medicina!”
–Potrei averci fatto un pensierino, sì- mentì lei, ostentando un sorriso fintamente entusiasta che avrebbe insospettito chiunque, ma non Bryce, che le offrì con irritante insistenza un tour delle sale operatorie.
Frida dovette appellarsi a tutta la propria razionalità per rifiutare pacificamente, e con un minimo di cortesia, quella “gentile offerta” e l’invito alla festa di Halloween organizzata da lui e alcuni amici. A riprova della incrollabile tenacia di Bryce, questi riuscì comunque a infilarle in borsa degli inviti per la festa, nella speranza che i suoi amici, di fronte alla prospettiva di folleggiare in un contesto più “adulto”, la convincessero a partecipare. 
Una volta liberatasi, a fatica, dall’ingombrante presenza dell’aspirante chirurgo col fisico da surfista californiano, si guardò intorno in cerca del suo socio, che però parve essersi volatilizzato.
Scheiße! Wo zum Teufel ist er hingegangen?3
 
***
 
–Ehi, tu! Burnett! Fermati!- intimò William con voce resa leggermente ansante dalla corsa e dall’ansia.
Si era reso conto troppo tardi di aver perso per strada la sua socia, ma a quel punto non poteva più tirarsi indietro. Conoscendo Frida, era sicuro che se avesse rinunciato a braccare l’amica della defunta Aisling Carter per cercare lei, lo avrebbe evirato con un bastoncino di zucchero spezzato a metà.
Era il suo momento: avrebbe dovuto cavarsela da solo.
Nita si voltò di scatto e strabuzzò gli occhi - che sembravano grandi il doppio, incastonati in quel viso allungato, dagli zigomi alti e aguzzi - respirando affannosamente, le labbra pallide e screpolate socchiuse quel tanto che bastava al passaggio dell’aria.
–Tu?- esclamò, esterrefatta, poi, letto il nome sul camice, aggiunse –Credevo ti chiamassi William.
L’australiano si rese conto di avere ancora addosso il camice di Sebastian Fraser, l’uomo che la sua socia aveva paragonato a un cagnolino scodinzolante; riuscì però a non tradirsi.
–È il mio secondo nome- rispose con studiata noncuranza.
–Cosa ci fai qui? Cosa vuoi da me?
Di fronte alla risolutezza della ragazza, William smise i panni del poliziotto buono, optando per un approccio diretto.
–Innanzitutto, sapere perché hai tenuto nascosto il fatto che hai portato in Pronto Soccorso la tua amica il giorno della sua morte. Poi, se ci sarà tempo, varie ed eventuali.
La reazione di Nita lo sorprese: dopo un fugace attimo di autentico sbalordimento, gli rivolse una strana occhiata, un misto di stupore e sollievo, quasi come se non vedesse l’ora di vuotare il sacco; difatti, pur lasciando trasparire un certo disagio, non esitò a dargli una risposta onesta.
–Non è ovvio? Aisling è stata uccisa e io, probabilmente, sono l’ultima persona ad averla vista viva… a parte l’assassino, è chiaro. Non volevo che la tua ragazza si facesse un’idea sbagliata. Ora, se vuoi scusarmi, ho appuntamento per una visita.
William non si arrese: la seguì dentro l’ascensore, schiarendosi nervosamente la voce varie volte, prima di puntualizzare –Frida non è la mia ragazza, e quasi mai si fa delle idee: secondo lei è sbagliato teorizzare a vuoto, perché, senza accorgersene, si comincia a deformare i fatti per adattarli alle teorie, anziché il contrario*. Lascia che siano i fatti a parlare da sé, traendone le sue deduzioni. Cercò di ricordare l’espressione latina che suo padre usava per esprimere lo stesso concetto - così, perlomeno, avrebbe mostrato di possedere una discreta cultura - ma non gli sovvenne. Maledicendo la sua scarsa memoria episodica, si soffermò a osservare il linguaggio del corpo di Nita: aveva assunto una posizione di difesa, con le braccia conserte e il capo leggermente piegato in avanti a coprire il collo, zona notoriamente vulnerabile. Non gli stava mentendo, ma era innegabilmente sulla difensiva: nascondeva qualcosa di grosso. –Credimi, è stato stupido, da parte tua, non rivelarle qualcosa di così importante. Non mi riferisco solo alla faccenda del Pronto Soccorso: c’è dell’altro, lo intuisco dal tuo atteggiamento. Qualcosa che, alla luce della morte di Aisling, ti sembra sospetto. Ho ragione?
–Io… io… beh… non proprio sospetto. Strano, ecco.
–Qualcosa che hai sentito? Qualcosa che ti ha detto Aisling? Oppure… qualcosa che hai visto? Anzi, qualcuno- la vide irrigidirsi ulteriormente, e capì di aver colto nel segno. –Chi, Nita? Chi hai visto?
–Ti prego, no! Non farmelo dire. Ti prego.
Non ebbe difficoltà ad arrivare da solo alla soluzione: la Burnett era convinta che Aisling fosse vittima di omicidio, aveva chiesto a Frida di indagare per cercare prove a sostegno di questa ipotesi; non avrebbe perso l’occasione di fornirle indizi utili, a meno che questi non facessero emergere il coinvolgimento di una persona che lei avrebbe protetto a ogni costo.
–Non sarà necessario- sospirò. –Era Andrew, vero? Il fratello di Aisling.
–I-Io … io … sono sicura che non stesse facendo niente di male! S-Solo…
Uscirono dall’ascensore e camminarono lungo un dedalo di corridoi. Concentrato sul ricordare il percorso, William attese che l’altra si fermasse davanti a un ambulatorio, per incitarla a raccontargli cosa fosse successo.
–Quando e dove hai visto Andrew Carter il 25 settembre scorso, Nita?
–Lui non c’entra niente con questa storia!
–Può darsi di sì… e può darsi di no- asserì William, per poi giocare il tutto per tutto con un po’ di psicologia spicciola. –Ascolta, Nita: comprendo benissimo il tuo desiderio di proteggere qualcuno a cui tieni, al tuo posto mi comporterei esattamente allo stesso modo; però so quanto tu tenessi ad Aisling. Non ti interessa più sapere cosa le è capitato di preciso, e per colpa di chi? Qualsiasi cosa, anche la più insignificante, può aiutare Frida a far luce sul caso, perciò non avere timore a dirmi tutto quello che ricordi di quella sera. Fallo per Aisling, perché merita che sia fatta giustizia. Chi le ha tolto la vita merita di marcire in galera, non sei d’accordo?
–No. Se, come credo, è stata assassinata, il colpevole farà la stessa fine, parola mia!- esclamò lei, per poi accasciarsi su una sedia in plastica dura di un abbacinante color arancione, cedendo definitivamente allo stress. –Hai ragione, è stato sciocco tenerlo segreto. Andy era a Villa Conworthy, quella sera. Una volta lasciato il Pronto Soccorso, ho riportato Aisling a casa: non era in condizione di guidare, ovviamente, stordita com’era dai sedativi. Sembrava stare bene, però, quindi l’ho affidata al fratello e me ne sono andata.
–L’hai portata su per le scale da sola?
–Aisling è… era magra, e io meno debole di quanto immagini. Lo ammetto: ho faticato a trascinarla su per le scale - sai com’è, non era molto collaborativa - ma era tardi, non volevo rischiare di svegliare i suoi nonni. A parte che sono anziani, non gli avrei mai chiesto di darmi una mano a trasportarla, so che sono molto severi. Una volta hanno minacciato di diseredarla, se non si fosse messa in riga. Volevo evitarle l’ennesima ramanzina, o peggio.
–Quindi hai cercato Andrew, per farti dare una mano.
–Andrew non abita alla villa da anni!- ridacchiò Nita. –I nonni lo invitano di continuo, ma lui ci va il minimo indispensabile, alle feste comandate o poco più. Ecco perché non ve lo avevo detto: lì per lì non ci ho dato peso - mi premeva soltanto che Aisling stesse bene - però, col senno di poi, la sua presenza mi è sembrata… insolita.
–Dove lo hai visto, esattamente?
–Stava impalato davanti alla porta del lazzaretto… la camera di Rory, una sottospecie di ospedale a domicilio, invaso da macchinari e tubicini. Aveva un’aria strana, depressa e un po’ colpevole, come se avesse fatto qualcosa di imperdonabile. Appena si è accorto di me è accorso ad aiutarmi, assicurandomi che se la sarebbe cavata da solo, e che potevo andare a casa a riposare. Sinceramente? Non me lo sono fatto ripetere due volte. Questo fa di me una brutta persona, vero?
–Fa di te un essere umano- la rassicurò l’australiano. –Non essere troppo dura con te stessa. Senti, a proposito di Aurora…
Un’infermiera dall’aria materna informò Nita che il dottor Patterson era pronto a riceverla, stroncando sul nascere il proposito di William di apprendere, da una fonte esterna alla famiglia, qualcosa sul carattere della tentata suicida Aurora Carter.
Ripercorse quindi i propri passi alla ricerca della socia perduta, nutrendo il segreto timore che lo avesse abbandonato per tornarsene a casa. Con suo enorme sollievo, la trovò nell’atrio, e decise di coglierla di sorpresa: si appropinquò con passo felpato alle sue spalle e le tappò gli occhi con le mani, esclamando –Indovina chi è?
William non si aspettava certo salti di gioia da parte della Weil, ma mai e poi mai avrebbe pensato potesse reagire con violenza a quello scherzo innocuo: gli afferrò una mano, conficcando le unghie nella cute più a fondo che poté, e si liberò, ribaltando le posizioni; forse gli avrebbe tirato il braccio fino a spezzargli un osso o lussargli una spalla, se non avesse realizzato di stargli facendo male. La sua espressione gli sembrò simile a quella di chi esce da uno stato di trance; lo lasciò andare immediatamente, scusandosi per il suo comportamento.
–Tranquilla, ci vuole ben altro per mettermi k.o.! Tu, piuttosto, sicura di stare bene?
La ragazza chiuse gli occhi per qualche secondo, e quando li riaprì era tornata la solita Frida fredda e impassibile.
–Ho creduto fossi… non importa. Sto bene. Benissimo. Alla grande. Mai stata meglio! Vogliamo andare?
 
***
 
–Andrew Carter era alla villa la notte in cui è morta sua sorella?
–Per la terza volta: sì, Weil- esalò William, sull’orlo dell’esasperazione.
Come promesso, aveva portato Frida a casa sua. Li aveva accolti un silenzio di tomba; suo padre non era ancora rientrato dal lavoro. A lui non era dispiaciuto più di tanto avere la casa tutta per sé; la Weil, invece, si era lamentata più volte di non poter conoscere di persona il “quasi marito” (come si divertiva a definirlo) di sua madre. Ci aveva pensato il suo cane, Dylan, a rallegrare l’atmosfera, assalendola tra abbai e scodinzolii entusiastici, sovreccitato dalla nuova presenza in casa. Lei non aveva battuto ciglio, anzi, si era chinata a coccolarlo, squittendo deliziata quando le aveva permesso di accarezzargli la pancia.
Messo a cuccia il cane, le aveva mostrato la sua camera, restando sulla soglia ad osservarla con apprensione mentre lei si guardava intorno. Non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma aveva temuto un giudizio negativo sul suo habitat. Dopo un tempo che gli era parso infinito, Frida aveva asserito, con una serietà paradossalmente comica –Hai la stanza più ordinata che abbia mai visto. Quelle di Nate e Kev sembrano campi di battaglia!
–Mi stupisci, Weil: entri impunemente nelle stanze dei ragazzi? Da te non me lo sarei mai aspettato! Aidan lo sa?
La sua replica pungente non aveva tardato ad arrivare.
–Mi stupisci, Wollestonecraft: sei uno di quelli che pensa che una ragazza entra nella stanza di un ragazzo soltanto per fare certe cose? Da te non me lo sarei mai aspettato! Devo prendere lo spray urticante dalla borsa?
–Touché! Ti chiedo scusa.
La Weil, abbandonata la parte della brava ragazza beneducata, seguendo alla lettera la formula di cortesia “fa’ come se fossi a casa tua” si era gettata di peso sul letto, accavallando le gambe lunghe e muscolose senza pudore alcuno e offrendogli, seppur involontariamente, una visuale che non gli dispiacque affatto. Naturalmente, William non riuscì a godersi in santa pace il panorama senza rovinare tutto stuzzicandola con l’ironia che lo contraddistingueva.
–Sai che avevi proprio ragione?
Ich habe immer Recht4- replicò lei seccamente. –Su cosa, di preciso?
–Le tue mutande. Sono inguardabili!
Frida, dopo un attimo di sbigottimento, si mise a sedere guardandolo in cagnesco. William ci avrebbe giurato: lo stava insultando in tedesco nella sua testa mentre immaginava a quali e quanti supplizi medievali avrebbe potuto sottoporlo. Era talmente livida di rabbia che quasi riusciva a scorgere delle fiamme in quelle iridi di ghiaccio, il che gli procurò un masochistico senso di soddisfazione. Irritare la Weil era diventato il suo nuovo scopo nella vita: lo divertiva da morire vederla perdere le staffe, trasformandosi da algida principessina in dragonessa sputafuoco. La sua impeccabilità, la sua smania di perfezionismo gli davano sui nervi; la preferiva di gran lunga passionale, ardente, spontanea… in parole povere, come quando si arrabbiava con lui.
–Come osi guardare la… le mie… parti private?
–Parti private? Sei proprio una puritana! Ho letto romanzi vittoriani con linguaggio e contenuti decisamente più espliciti. Inoltre, vorrei farti notare che le tue “parti private” sono ben coperte. Da un paio di mutandoni pescati direttamente dall’armadio degli orrori di Bridget Jones, ma comunque coperte- replicò William, sul punto di scoppiare a ridere. –Cos’è, i tuoi non ti passano abbastanza soldi da comprare dell’intimo decente? Oppure lo tenevi da parte per Aidan?
Furibonda, Frida si avventò su di lui, mancando di notare le pantofole abbandonate disordinatamente sul pavimento; incespicò, mulinando le braccia nel tentativo di mantenere l’equilibrio, e solo il tempestivo intervento di William le impedì di cadere.
Lungi dall’essergli grata, Frida si rimise in piedi, scostandolo con fare altezzoso, stirò il tessuto della gonna - perfettamente liscio - con le mani e sbuffò –Cos’era, un patetico tentativo di guardarmi le tette?
–No. Troppo coperte- rispose lui, senza curarsi di nascondere quanto se la stesse spassando. –Dai, non fare quella faccia: non ho mai fatto mistero di quanto ti trovi sexy. A differenza di molti non ho peli sulla lingua, non mi vergogno di dirti che, se me lo concedessi, ti farei di tutto.
–Piccola lezione di corteggiamento: una frase del genere è inquietante, non eccitante. A meno che tu non voglia provarci con Kimmy; in quel caso, però, credo sarebbe lei a farti di tutto- replicò Frida.
–Qualcosa mi dice che, in quel caso, poi vorrebbe farmi di tutto anche Nate… e non in senso buono- ridacchiò William. –Fortuna che un simile scenario è puro fantasy: la tua amica non è il mio tipo.
A quella notizia, Frida si sentì inspiegabilmente felice… e sollevata, ma si sforzò di non darlo a vedere, reprimendo il sorriso che stava facendo capolino sul suo volto.
“Sei ammattita, Frida Weil? Sei un cervello, ricordi? Dovresti fregartene di come appari ad occhi altrui, senza contare che dovresti patire per la partenza di Aidan, che quasi certamente non sarà mai tuo, non rallegrarti di essere l’oggetto dei sogni a luci rosse del tuo socio. Contegno, ragazza! Lascia uno spiraglio all’irrazionalità, e lei prenderà il sopravvento!”
–Perchè?
–Cosa?
–Perché Kimmy non è il tuo tipo?
William le rispose con disarmante sincerità –Lo stesso motivo per cui ad alcuni non piace il cioccolato: gusto personale!
–Esistono persone a cui non piace il cioccolato?- pigolò Frida, sconcertata, poi gli puntò l’indice contro lo sterno e sibilò –Ti avverto, Wollestonecraft: se fai parte di questa categoria, io e te potremmo avere grossi problemi!
–Vuoi scherzare? Lo adoro! La cioccolata calda è la mia specialità!
Bitte! Tutti sanno preparare una cioccolata calda!
–La mia è speciale- ribatté lui, la prese per mano e la trascinò in cucina per una dimostrazione pratica. –Ogni volta che gliela preparavo, mia madre diceva che le si aprivano tutti i chakra.
–La propensione a pronunciare frasi dai risvolti inquietanti è ereditaria, a quanto pare. Preferisco che i miei chakra rimangano chiusi- replicò Frida con sussiego, salvo poi accettare con malcelato piacere la tazza fumante piena fino all’orlo che William le porse, il cui contenuto emanava un profumo paradisiaco. Non poteva farci niente: la gola era il suo peccato capitale. Cercava di non indulgervi troppo, ma finiva quasi sempre col cedere: perdeva la testa, di fronte ad un buon dolce. Tuttavia, assaporò la bevanda con una certa diffidenza: dubitava esistesse al mondo una ricetta per la cioccolata calda migliore di quella tramandata da Beatrice, la sua bisnonna italiana dall’indiscutibile talento culinario (prima di lasciare l’Italia insieme al marito, un soldato inglese conosciuto durante la guerra, aveva raccolto un centinaio di ricette che Faith, negli anni, aveva pazientemente tradotto, di modo che Franz e Frida, più abili di lei ai fornelli, potessero replicarle). A malincuore, dovette ammettere che era la migliore cioccolata calda che avesse mai gustato. –Mein Gott, es schmeckt sehr gut!5 Rimangio tutto: non so che effetto abbia avuto sui miei chakra, ma di sicuro ho provato qualcosa di… indescrivibile.
“Ottimo! Anche se indirettamente, sono riuscito a regalarti un orgasmo!... Questo è quello che direi se non tenessi alla mia vita, ma, dato che ci tengo moltissimo, eviterò una morte lenta e dolorosa per mano della mia permalosissima socia”.  
–Un successo su tutta la linea, insomma.
La Weil rigirò un paio di volte il cucchiaio nella tazza, quindi riesumò l’argomento della discussione che il suo socio aveva interrotto per colpa della sua totale mancanza di filtri.
–E così… Andrew Carter era alla villa, la notte in cui è morta sua sorella.
–Per la quarta volta: sì, Weil, se prendiamo per buono il racconto di Nita.
–Noi non dobbiamo prendere per buone o cattive le cose, Liam, dobbiamo indagare per confermare o smentire. Perché se si inizia a teorizzare a vuoto…
–Senza accorgersene, si finisce col deformare i fatti per adattarli alle teorie, anziché il contrario- concluse lui al suo posto. –Lo so.
–Ad ogni modo, non vedo perché non credere al racconto di Nita, fino a prova contraria- concesse Frida. –Finora, l’unico movente valido per l’omicidio di Aisling, ammesso non mi stia sbagliando - eventualità altamente improbabile, ma non del tutto impossibile - è un’esplosione di gelosia fraterna. Ergo, al momento Andrew Carter è il principale sospettato. Ergo, devo assolutamente interrogarlo.
–Ergo, prova a chiamarlo, mandagli un messaggio, un piccione viaggiatore…
–Mi sta evitando manco avessi la lebbra, il bastardo! Ma lo stanerò, prima o poi!
In quel preciso istante, risuonò nella stanza il tema del film “Halloween” di John Carpenter. I due, colti alla sprovvista, sobbalzarono, dopodiché Frida si mise a frugare nella borsa in cerca del cellulare, maledicendo il suo vizio di ficcarci dentro l’inverosimile, neanche fosse Mary Poppins.
Scheiße! Wo ist mein Handy?6 Mio padre si incazza da morire, se non rispondo subito!
–Come sai che è tuo padre?
–È la sua suoneria-gli spiegò con semplicità.
–Hai messo il tema di Halloween come suoneria personalizzata per tuo padre?- ridacchiò William, tra l’incredulo e il divertito. –E per tua madre cosa, la colonna sonora de “L’esorcista”?
–Come hai fatto a indovinare?- esalò la Weil, sbalordita.
Ancora più sbalordito di lei, William esclamò –Cos… Sei seria? Guarda che scherzavo! Santo cielo, non oso immaginare quale suoneria abbia riservato a me, allora!
–Elementare, Wollestonecraft: la sigla di “Sherlock”!- replicò Frida, stroncò ogni suo tentativo di replica con un elegante movimento della mano destra e accettò la chiamata in arrivo.
Si allontanò parlando fittamente in tedesco e William, approfittando della sua distrazione, seppure conscio di stare sbagliando, sbirciò il contenuto della borsa, da cui facevano capolino dei rettangoli di cartoncino color blu navy.
Spinto dalla curiosità, ne afferrò uno, lo lesse, e per poco non si lasciò sfuggire uno strilletto eccitato degno della più oca delle protagoniste dei più beceri film horror. Non appena la Weil ebbe finito di tranquillizzare il padre che sarebbe tornata a casa prima possibile, ed ebbe ripreso posto al tavolo della cucina, glielo sventolò davanti al naso, esclamando –Guarda chi è tra gli organizzatori della festa!
–Andrew Carter. Bel colpo, socio! Abbastanza da perdonarti per aver rovistato nella mia borsa- esultò lei. –È l’occasione perfetta per torchiarlo! Incredibile, ma vero: Bryce si è dimostrato utile, per una volta.
–Chi è Bryce?
Avrebbe dovuto pazientare qualche giorno per scoprirlo, perché, prima che la Weil potesse aprir bocca, si aprì la porta d’ingresso e suo padre Cyril entrò in casa reggendo un ombrello gocciolante.
–Mamma mia, che giornata! Solo il temporale ci mancava! Non vedo l’ora di farmi una doccia- appese l’impermeabile all’attaccapanni, poi, sentendosi osservato, si girò e vide, sulla soglia della cucina, suo figlio in compagnia di una ragazza. –Bene, bene, bene… buonasera, ragazzi. Will, avresti potuto avvisarmi che eri in dolce compagnia.
–Ancora per poco, Mr. Wollestonecraft- celiò Frida e andò a stringergli la mano. –Frida Weil. Vado a scuola con suo figlio. Lieta di incontrarla di persona, finalmente. Liam mi ha parlato talmente tanto di lei, che praticamente già la conosco!
Cyril rimase interdetto dalla grazia felina e dalla sicurezza con cui quella che per età considerava una ragazzina gli si era avvicinata per presentarsi. Aveva un’aria familiare che non sapeva spiegarsi: era certo di non averla mai vista prima, né di aver mai conosciuto qualcuno con quel cognome. La squadrò da capo a piedi, ricavandone l’impressione di avere davanti una persona estremamente sveglia, che non si lasciava intimidire o mettere all’angolo facilmente e che era meglio non contrariare. Mai. Tutto sommato, una frequentazione dalla quale William avrebbe potuto ottenere qualcosa di buono. Ricambiò la stretta di mano con calore e, data l’ora, le propose di restare per cena.
–Non sarò uno chef provetto, ma ti assicuro di non aver mai avvelenato i miei ospiti!
–Grazie, ma non posso. I miei genitori mi hanno richiamata al nido e vorrei approfittare della tregua meteorologica per arrivarci asciutta.
Cyril si voltò verso la finestra, constatando che aveva appena smesso di piovere. Represse a stento un’imprecazione.
–Comprensibile- concesse. –Un’altra volta, magari.
–Volentieri. Arrivederci, Mr. Wollestonecraft, è stato un piacere. A domani, Liam. Grazie per la compagnia e la cioccolata- cinguettò Frida, per poi rivolgergli una fulminea strizzata d’occhio e aggiungere –Oh, e fammi sapere per la festa. Spero verrai, sarà assolutamente memorabile!
 
***
 
Una volta a casa, Frida non fece tempo a chiudere la porta che venne letteralmente stritolata da suo padre.
Insospettita da quella inconsueta quanto plateale esternazione di affetto, gli chiese –Was passiert?7 Non è da te comportarti da orsacchiotto coccoloso!
–Ho pensato che un abbraccio avrebbe addolcito la pillola, Fröschlein- rispose lui, per poi mordicchiarsi il labbro nervosamente, abitudine che aveva trasmesso alla figlia. –Deine Mutter hat beschlossen, heute Abend zu kochen.8
Was? E tu non ti sei opposto?- sibilò Frida, talmente sconcertata dalla notizia da tornare ad esprimersi nella sua lingua madre. –Ti avverto: non ho intenzione di visitare la sala della lavanda gastrica perché tu - quanto mi detesto per ciò che sto per dire - non sei riuscito a controllare la tua donna!
Franz si limitò a scuotere il capo, e sospirò mestamente –Deine Mutter ti sembra il genere di donna che si lasci comandare a bacchetta? E poi ci teneva talmente tanto a cucinare lei, stasera, che non ho avuto il coraggio di negarglielo. Era così entusiasta, mentre spignattava… come quando fa un’autopsia! Avanti, su, sforzati di mostrare un po’ di apprezzamento per l’impegno e la buona volontà… a prescindere dai risultati.
I due si scambiarono un’occhiata complice, prima di entrare in cucina. Faith, intenta a controllare la cottura delle pietanze, non si accorse di loro. Si muoveva freneticamente tra i fornelli e l’antistante penisola, dove troneggiava una torta al cioccolato apparentemente commestibile. Frida pensò, malignamente, che l’avesse acquistata al supermercato (un dolce di pasticceria l’avrebbe sbugiardata all’istante) e decorata alla buona in un secondo momento per spacciarla come fatta in casa.
Franz si avvicinò di soppiatto a Faith e le fece il solletico, facendola sobbalzare. Per tutta risposta, lei lo colpì col mestolo, rimproverandolo aspramente quando lo vide intingere un dito nello spesso strato di glassa che ricopriva la torta; ma si vedeva lontano un miglio che era divertita quanto lui: difatti, lo afferrò per un polso e leccò via la glassa dal dito, prima di baciarlo con passione (e altrettanta lingua).
Frida osservò con un misto di imbarazzo e invidia quel siparietto comico e romantico al tempo stesso, domandandosi se avrebbe mai trovato qualcuno con cui condividere momenti simili. La partenza di Aidan aveva inferto un duro colpo alle sue certezze: era convinta fosse lui la sua anima gemella, ma era stata costretta a ricredersi. I recenti avvenimenti avevano insinuato in lei il dubbio che la sua anima gemella fosse come il suo talento artistico: inesistente. Per questo le maldestre avance di William l’avevano spiazzata: finora non aveva avuto occhi che per Aidan, non riusciva a concepire che qualcun altro potesse essere attratto da lei e avere l’ardire di dirglielo in faccia. Soprattutto, non qualcuno capace di far vacillare la sua granitica razionalità; quando si trovava in sua compagnia, faticava a tenere nell’ombra la parte di lei che reprimeva costantemente. Inconsciamente, il suo socio non le era indifferente; comprensibile: era oggettivamente un bel ragazzo (escludendo il naso, troppo a patata per i suoi gusti, e il solco tra gli incisivi), dentro e fuori. Ciononostante, si era imposta di non perdere la testa, innanzitutto per non rischiare di compromettere un promettente sodalizio investigativo; in secondo luogo, per evitare di scottarsi: sebbene non avesse avuto occasione di approfondire l’argomento, aveva capito che, se lei era il Babbo Natale del romanticismo, William era il Grinch. Desideravano cose troppo diverse per poterle realizzare insieme, e si augurava che, prima o poi, avrebbero trovato ciascuno la propria strada e la persona giusta con cui percorrerla.
Si riscosse da quei pensieri e decise che l’attacco di adolescenza tardiva dei suoi genitori era durato abbastanza. Si schiarì rumorosamente la gola per attirare la loro attenzione e disse –Datevi una calmata, voi due, prima che lo spettacolo diventi vietato ai minori!
Faith le puntò contro il mestolo e rispose –So che tu sai che io e tuo padre abbiamo fatto di molto peggio… altrimenti non saresti qui.
–Preferirei non pensarci… potrebbe passarmi la fame- ribatté l’altra, prima di sedersi a tavola. Il suo gatto, Moriarty, le balzò in grembo, nella speranza di ricevere coccole e qualche bocconcino extra. Come di consueto, Frida non lesinò su carezze e grattini, ma fu irremovibile nel negargli spuntini poco sani, se non dannosi. –A cosa è dovuto il tuo inedito estro culinario, Mutti?
La madre si limitò a posarle un bacio delicato sulla fronte, per poi mettere in tavola uno dei frutti delle sue fatiche: un rotolo di pasta sfoglia ripieno di salmone, salsa verde ed erbe varie.
Franz e Frida ispezionarono e annusarono il piatto con circospezione, prima di assaggiarlo.
–Non posso credere alle mie papille- esclamò la ragazza. –È buono!
–Certo che è buono!- uggiolò Faith, indignata. –Le ricette di nonna Beatrice sono una garanzia!
–Infatti non dubitavamo della ricetta, bensì della cuoca- replicò Franz, a testa bassa per non scoppiare a ridere. –Il tuo massimo, di solito, sono pancake e muffin. Ci scuserai, per aver temuto che ci avresti avvelenati tutti!
–Questa poi! Begli ingrati, siete: per una volta che mi cimento a cucinare con amore per la mia famiglia, questo è il ringraziamento che ricevo. Benissimo. Prima e ultima volta che perdo mezzo pomeriggio a preparare qualcosa di più sostanzioso di pancake e muffin!
Gli altri due eruppero in una sonora risata, seguita da un profluvio di scuse e rassicurazioni sul gradimento del piatto. Il resto della cena venne consumato in religioso silenzio, finché, al momento di servire il dolce, Frida non chiese alla madre quale fosse l’occasione da festeggiare.
–Sei finita sulla televisione nazionale? Vater ha pubblicato su Nature? Abbiamo vinto alla lotteria? Ci trasferiamo a Boston? Quale straordinario evento merita una torta, per di più al cioccolato?
Faith scambiò un cenno d’intesa con Franz, quindi ammise –Ecco, tesoro… a dire il vero, questa cenetta è il mio modo per scusarmi.
–Scusarti di cosa?
–Beh, ecco… della figura che ti ho fatto fare con il tuo ragazzo. Mi dispiace. È solo che William somiglia molto a qualcuno che conoscevo, e…
Frida colse la malinconia nello sguardo e nel tono di voce di sua madre, e avvertì il fastidioso tarlo del senso di colpa per la piccola vendetta infantile che aveva messo in atto. Come al solito, però, preferì scaricare la responsabilità su qualcun altro: lei era infallibile, non poteva essere in torto.
“Dannati siano Wollestonecraft e il suo ferreo senso morale! Di questo passo, diventerò una kantiana del cazzo come lui! Ma non cederò, nossignore! Non senza combattere. Il cinismo è il profumo della vita!”
–Qualcuno di sgradito, a giudicare dalla reazione: sembravi Macbeth davanti al fantasma di Banquo!
Faith avvampò e bevve un paio di sorsi di vino per temporeggiare; infine, rispose –Sì, beh… ad ogni modo, mi scuso per il mio comportamento e ti comunico che approvo. Sembra un ragazzo decente.
Frida, sul punto di confessare di averla intenzionalmente messa di fronte alla prole dell’uomo che l’aveva lasciata a pochi giorni dal matrimonio, si bloccò giusto in tempo: dato che sua madre sembrava voler continuare a tacerle avvenimenti cruciali del suo passato, l’avrebbe ripagata con la stessa moneta.
–Liam? Anche troppo- “È un kantiano del cazzo col pallino dell’onestà a tutti i costi, ma, ehi, nessuno è perfetto! A parte me e Mary Poppins.” –Sarebbe stato meglio un teppista: la disapprovazione dei genitori è la benzina che alimenta l’ardore di quasi tutte le passioni giovanili. Pazienza, me ne farò una ragione!
Keine Sorge, Fröschlein: io non approvo affatto- replicò freddamente suo padre.
Vielen Dank, Vater. Mi sento molto meglio, adesso- trillò garrula Frida.
Franz provvide a raffreddare immediatamente il suo entusiasmo.
Ich bin nicht fertig9. Sebbene non approvi l‘idea che meine geliebte Tochter10 se la faccia con quel… putto troppo cresciuto, devo ammettere che ha un influsso positivo su di te: nell’ultimo periodo sei stata sensibilmente meno turbolenta. 
–Vero- annuì la figlia, pronta a volgere quella dichiarazione a suo vantaggio. –Potresti premiare la mia buona condotta permettendomi di andare con i miei amici alla festa di Halloween di Bryce Martin. Che ne dici, Vater? Abbiamo un accordo?
 
Note dell’autrice:
Morale del capitolo: anche Frida può sbagliare. Con Bryce ha toppato alla grande! William non è da meno: quel commento sulle mutande avrebbe potuto tranquillamente evitarlo. Non si può dire, però, che gli manchi il coraggio di dire ciò che pensa, anzi, qualche filtro verbale gli farebbe bene!
Come avrete potuto notare, non ho resistito alla tentazione di inserire un omaggio a due dei miei horror preferiti e alla serie “Sherlock”, che ho adorato dalla primissima scena. Vi consiglio di ascoltare i meravigliosi main themes che Frida ha scelto come suonerie per i suoi genitori… probabilmente per incentivarsi a rispondere alla velocità della luce!
Ma veniamo alla trama gialla: Andrew era alla villa, la notte della morte di sua sorella Aisling. Questo cambia le carte in tavola: se prima era sospettato pari merito con Nita, adesso è balzato in pole position. E voi? Cosa ne pensate? Let me know!
Informazioni di servizio: la memoria episodica è la memoria di tutti gli avvenimenti della nostra vita, ed è un tipo di memoria a lungo termine. Insieme alla memoria semantica costituisce la categoria della memoria dichiarativa, una delle due principali divisioni della memoria (l'altra è la memoria implicita). A differenza della memoria semantica è personale: per esempio, il ricordo "l'uomo è un mammifero" fa parte della memoria semantica, mentre il ricordo "alle elementari ho imparato che l'uomo è un mammifero" fa parte della memoria episodica (in particolare, della memoria autobiografica).
*citazione di Sherlock Holmes
1liberamente tradotto in testa di cazzo
2Merda di cammello
3Merda! Dove diavolo è andato?
4Io ho sempre ragione
5Mio Dio, ha un sapore delizioso
6Merda! Dov’è il mio cellulare?
7Che succede?
8Tua madre ha deciso di cucinare, stasera
9Non ho finito
10La mia adorata figlia

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** L'ascesa di Zelda ***


Vi anticipo che questo capitolo, nonostante la musica che mi ha ispirata, sarà un po’ meno movimentato e più “Frida-centrico”. Una pausa nelle indagini per fare una gita nella mente della nostra (spero) Weil preferita. Buona lettura!
 
L’ascesa di Zelda
 
“Ognuno di noi è una luna: ha un lato oscuro che non mostra mai a nessuno”.
Mark Twain
 
Franz Weil era un uomo serioso e severo, ma non cattivo o anaffettivo verso la figlia. È vero, all’inizio aveva rigettato l’idea di diventare padre, arrivando al punto di lasciare la sua compagna ad affrontare da sola buona parte della gravidanza; alla fine, però, era tornato sui propri passi, scegliendo di lanciarsi insieme a lei nell’avventura della genitorialità.
Inconsapevolmente, aveva applicato all’educazione di Frida i medesimi principi con i quali suo padre - un padre assente e poco amato - aveva cresciuto lui e il fratello Alexander: sebbene l’istinto gli suggerisse di tenere la sua geliebte Fröschlein lontano dal marciume del mondo, sapeva che, così facendo, non l’avrebbe resa una donna forte e indipendente, capace di cavarsela da sola e farsi rispettare, come invece era suo desiderio. Perciò, talvolta scontrandosi con Faith, non aveva esitato a gettare sua figlia nella fossa dei leoni… armata di tutto punto, naturalmente.
Difatti, quando Frida, alla tenera età di sei anni, gli aveva confidato di sentirsi inutile perché non era riuscita a fermare i bulli che avevano preso di mira lei e il suo amico Nathaniel, invece di avallare il consiglio materno di rendersi impermeabile alle provocazioni e/o ricercare una soluzione pacifica, le aveva chiesto se le sarebbe piaciuto imparare un’arte marziale.
La bambina, una volta compreso cosa fossero le arti marziali, aveva trillato estasiata che non vedeva l’ora di cominciare. La disapprovazione di Faith, poco propensa a farle praticare sin da piccola discipline di lotta, aveva contribuito a rafforzare la sua determinazione.
–Non voglio che nostra figlia di sei anni torni a casa due giorni a settimana coperta di lividi! È chiedere troppo?
La risposta Franz all’apprensione della sua compagna era stata una sonora risata. Ovviamente, non le aveva dato ascolto, e aveva iscritto Frida al corso serale di kung-fu nella palestra che frequentava dopo il lavoro, in modo da poterla tenere d’occhio.
Al termine della prima lezione, aveva dispensato alla pargola tutto l’amore paterno che era riuscito a condensare in un abbraccio, e una perla di saggezza che l’avrebbe accompagnata negli anni a venire.
–Sono fiero di te, Fröschlein. Ti voglio capace non solo di difenderti, ma anche di attaccare. In giro ci sono tanti Dummköpfe che trovano gusto nel prevaricare gli altri; alcuni di loro si sentiranno ancor più in diritto di farti sentire inerme e insignificante perché sei femmina, che nelle loro teste bacate è sinonimo di inferiore. Voglio che tu sia in grado di rendergli il favore… e, magari, dargli pure il resto.
Non sapeva di aver creato un mostro.
 
***
 
Nathaniel Jefferson-Keynes era l’avversario ideale; non faceva sconti a nessuno e, con la sua sbruffonaggine, motivava a dare il meglio di sé, tramutando la brama di vittoria in una vera e propria missione: cancellargli dalla faccia quell’irritante sorrisetto compiaciuto.
Peccato non fosse una missione facile.
–Ops, mancato! Mancato ancora! Coraggio, tigre, sai fare di meglio!
La destinataria di quelle frecciatine ringhiò la propria frustrazione e, asciugato il sudore che le imperlava la fronte, sferrò l’ennesimo calcio a vuoto. Nate si scostò appena in tempo, le bloccò la gamba e, per la prima volta dall’inizio del match, contrattaccò, mandandola a sbattere di schiena contro la dura superficie del ring. Frida ricambiò subito il favore colpendolo su entrambi i tendini di Achille - mossa semplice, ma efficace - e sorrise di gioia vendicativa nel sentirlo uggiolare di dolore e vederlo perdere l’equilibrio, finendo col cadere a poca distanza da lei.
Mentre entrambi si rimettevano in piedi, la Weil si pentì di averlo sottovalutato. Dovette ammettere, a malincuore, che l’amico - momentaneamente avversario - le stava dando del filo da torcere. Anche per merito della sua struttura fisica, la batteva di gran lunga in agilità, schivando ogni attacco con una rapidità che lei non avrebbe mai potuto eguagliare.
Non che lo desiderasse: le era stato insegnato, sin dal primo giorno, ad adottare uno stile di combattimento a lei congeniale, in modo da renderlo “parte integrante del suo essere” e, di conseguenza, mantenere più facilmente la padronanza di sé in situazioni di emergenza. E così aveva fatto. A dispetto delle apparenze, Frida celava una bestia carnivora, dietro la cortina di compostezza e perfezionismo quasi maniacale: i suoi movimenti, benché non privi di una certa fluidità, erano connotati principalmente da potenza e violenza, ai limiti della brutalità; erano, in altre parole, finalizzati all’abbattimento della preda.
Nate, oltremodo sicuro di sé, si soffermò a deriderla. Un errore che avrebbe pagato caro.
–Batterti sarà più facile del previsto… oltre che un vero piacere!
–Parli così perché sono una ragazza!
–Frida, sono amico tuo da prima che entrambi imparassimo a parlare. Potrei mai pensare che le ragazze siano deboli? Ti batterò perché sono migliore di te.
Aveva a malapena finito la frase, che un pugno lo colpì dritto sugli incisivi (per sua fortuna, indossava le protezioni del caso), mettendolo al tappeto. In un nanosecondo lei gli fu sopra e lo bloccò sul pavimento.
Neanche di fronte alla sconfitta Nate perse la sua inguaribile sfrontatezza: sbuffò una risatina ed esclamò –Per quanto adori avere una bella ragazza sopra di me, ho promesso a Kim l’esclusiva!
Frida, per tutta risposta, gli tirò un altro pugno; poi, dopo essere stata dichiarata vincitrice dell’incontro - ricevendo in premio uno dei rari sorrisi di Naoko, la loro istruttrice - lo aiutò ad alzarsi, complimentandosi sportivamente con lui.
–Bella prova, Natie! Sei stato un degno avversario.
–Grazie. Tu, invece, sei stata la solita tigre. Nick Hunter e Kitara Graves ti spicciano casa!- si tastò il labbro, sanguinante e tumefatto, e aggiunse –Un quarto d’ora di tapis roulant per rilassarci, o sei troppo stanca?
–Ce ne vorrebbero due di te per stancarmi- si vantò la Weil, per poi curvare le labbra in una smorfia divertita. –Muoviti, pretendo una postazione con vista piscina!
Nathaniel non capì il motivo dell’ostinazione dell’amica nell’accaparrarsi una visuale sulla piscina sottostante finché non scorse una figura familiare, coperta soltanto da un anonimo costume nero e una cuffia dello stesso colore, tuffarsi in acqua.
–Tanto rumore per vedere l’abitante delle colonie in mutande? Bastava chiedere: quello non aspetta altro!
La Weil manifestò il proprio sdegno allargando le narici e serrando le mascelle, e incrementò la velocità della corsa.
–Non dire scemenze!- sibilò, una volta fatta evaporare la rabbia insieme al sudore. –Liam sentiva la mancanza delle nuotate nel fiume Mo… longio? Mongolo? Boh, qualcosa del genere. Così gli ho offerto un sostituto. Tutto qui. Il Tamigi è impraticabile: troppo trafficato- spiegò in tono pratico.
Lui non si scompose; scrollò le spalle e rallentò la velocità della corsa quel tanto che bastava a replicare, indicandosi –Fossi in te, darei retta al tuo migliore amico, il quale, dopo aver osservato il comportamento di un altro maschio suo coetaneo, ti sta dicendo che quello vuole farcirti come un pudding di Natale.
–Gli stupidi parlano di se stessi in terza persona- replicò freddamente Frida, nel tentativo di sviare la discussione. –Non costringermi a perdere la stima che ho di te. E, per piacere, limita le volgarità, mi irritano.
–Signore e signori, ecco a voi la fantasmagorica trasformazione in struzzo di Frida Weil, che tenta di infilare la testa sotto terra! Un applauso per questo mirabolante numero di magia!
La ragazza gli chiese, con voce resa ansante dalla corsa –Nate, sei geloso, per caso?
–Tu sei mia sorella e io tuo fratello. Perciò no, non sono geloso, piuttosto… protettivo, come Kevin con Kim-  rispose lui, senza staccare gli occhi da William, che nel frattempo stava percorrendo a ritroso la vasca in stile libero. –Non ho problemi se ti fai l’abitante delle colonie perché ti piace - anche se, personalmente, lo ritengo una testa di cazzo - mi preoccupa che possa farlo per i motivi sbagliati, tipo toglierti dalla testa AJ, o… liberarti della zavorra, se capisci cosa intendo. So che suona strano, detto da me, ma la zavorra va sganciata al momento giusto e con la persona giusta. Non a caso, Kim è la mia prima ragazza.  
–Non ho bisogno di protezione, neanche da me stessa. E, per l’ennesima volta: limita le volgarità.
Jamais! La volgarità è il profumo della vita! E continuerò a vegliare su di te, non perché ti considero una principessina inetta, ma perché ti voglio bene.
Frida si sporse verso di lui per dargli un bacio sudaticcio sulla guancia.
–Anch’io ti voglio un mondo di bene, fratello non di sangue!
La parte “cazzara” dell’animo di Nathaniel decise che era giunto il momento di smorzare tutta quella melensaggine caria-denti con un commento fuori luogo dei suoi.
–Comunque, sono abbastanza uomo da ammettere che il colonico in costume fa la sua figura. Me l’aspettavo meno piazzato!
William, poggiato a bordo vasca, dovette sentirsi osservato, perché tolse gli occhialini e sollevò il capo verso la vetrata della sala attrezzi. Accortosi di Nate e Frida, ignorò deliberatamente il primo, mentre alla seconda rivolse un sorriso radioso e una maliziosa strizzata d’occhio, infine, prima di reimmergersi, le soffiò un bacio. La ragazza reagì con compostezza e maturità, pavoneggiandosi in una serie di acrobazie sul tapis roulant, che si conclusero con un disastroso scivolone sul pavimento.
–Credo di essermi allenata a sufficienza, per oggi- esalò, prima di trascinarsi nello spogliatoio.
Mentre si spogliava, in beata solitudine, sorrise alla ragazza nello specchio. Tutto di lei comunicava la sua indole selvaggia: dalle ciocche ribelli che fuoriuscivano dalla treccia mezza disfatta alle gote, colorate di rosso ciliegia; dal sorriso maliziosamente beffardo allo sguardo, illuminato di una folle determinazione.
–Ti sei battuta bene, Zelda- le disse Frida –Ma è ora che torni a cuccia.
 
***
 
Frida aveva preso coscienza del suo lato oscuro all’età di otto anni. Col tempo, era arrivata a dargli un nome - il suo odiato secondo nome, Zelda - in un vano tentativo di razionalizzarlo.
Zelda era sorta in tutta la sua potenza in seguito alle provocazioni di alcuni bulletti, i quali avevano osato infastidire lei e Nate a pranzo, tirandogli addosso il cibo mentre lo subissavano di insulti omofobi, chiaramente introitati dai quei “trogloditi di merda” (espressione usata da sua madre quando parlava con Demon e Jeff, i padri di Nate, credendo di non essere udita) dei loro genitori.
Frida non riusciva a credere che nel 2028 potessero esistere ancora persone dalla mentalità tanto ristretta, né tantomeno che in una società civile fosse loro concesso di esprimere liberamente le loro idee discriminatorie.
“Qualcuno dovrebbe zittirli, per il bene di tutti”, aveva pensato. Qualche anno dopo avrebbe appreso, da un ragazzo di nome William venuto dall’Australia, che il filosofo Karl Popper aveva trattato lo stesso concetto, con un linguaggio decisamente più aulico, definendolo “il paradosso della tolleranza”.
Man mano che quei decerebrati blateravano, le mani avevano cominciato a pruderle sempre più, in un tacito invito ad usarle per zittirli. Si era sentita preda di un’inspiegabile frenesia, un’urgenza, un bisogno irrefrenabile di picchiarli, ma aveva provato a resistere alla tentazione di inculcare in quelle teste di rapa un po’ di educazione a suon di pugni, esortando anche Nate a ignorarli: innanzitutto perché erano più grossi di loro, e poi per non dare loro la soddisfazione di sapere che quelle becere provocazioni avevano sortito l’effetto sperato.
Avrebbe battuto in ritirata per consolare l’amico in lacrime, dopo averli mandati al diavolo, se uno di quegli scimmioni non avesse pronunciato la frase che l’aveva fatta traboccare.
–Guardate, Jefferson piange. È una femmina! Gnè gnè, femminucce!
Frida non ci aveva visto più e, pervasa da una forza oscura e assetata di sangue, aveva tirato un pugno con tale violenza da far barcollare il bulletto, che era finito con l’incespicare nei propri piedi e cadere sul pavimento, tra gli sguardi attoniti e le risate degli altri bambini. Avrebbe potuto limitarsi a deriderlo, invece aveva approfittato di quella momentanea posizione di vantaggio per avventarsi su di lui e colpirlo ancora, e ancora, mentre i tirapiedi la fissavano spaventati, incapaci di muovere un muscolo.
Si era resa conto di stare ancora colpendolo quando Nate le aveva stretto una spalla, mormorando –Può bastare. Credo che non ci romperanno più le scatole, d’ora in poi.
I compari del bullo, senza staccare gli occhi dalla piccola Weil, avevano annuito, prima di dileguarsi.
Frida, dal canto suo, non appena aveva realizzato di avere le mani macchiate di sangue, era corsa in bagno. Un altro, nella stessa situazione, sarebbe scoppiato a piangere, avrebbe urlato, o battuto i pugni contro il muro; lei no: dopo aver lavato con meticolosità quasi ritualistica il viso e le mani, aveva sospirato di sollievo nel vederle di nuovo linde, poi aveva chiesto alla bambina nello specchio –Ho fatto la cosa giusta, vero?
La bambina nello specchio le aveva rivolto un sorriso condiscendente che, invece di confortarla, aveva terrorizzato Frida, impaurita da ciò che, evidentemente, riusciva a fare quando perdeva il controllo.
Da quel giorno lei e Nate, da semplici amici, erano diventati come fratelli, e Zelda era entrata di prepotenza nella sua vita.
Frida aveva giurato che non l’avrebbe più lasciata uscire allo scoperto, salvo poi constatare che era impossibile reprimerla del tutto. Zelda era un fuoco perenne sotto la cenere, il suo “stato di natura”, il suo Es, quella parte istintiva e indomabile che di tanto in tanto esplodeva con la potenza del Vesuvio nel 79 d.C., spingendola ad atti inconsulti - ad esempio, limonare con Bryce per impratichirsi in vista di futuri scambi di fluido salivare con Aidan - dei quali il suo Io inevitabilmente si rammaricava; era la parte di lei che agognava di menare le mani, tanto da farle sperare, quando tornava a casa da sola di notte, di essere oggetto di attenzioni non gradite da parte di qualche delinquente, solo per avere occasione di pestarlo.
Alla fine aveva ceduto, accordandole una valvola di sfogo: il duro allenamento fisico. Aveva sperimentato varie discipline, inclusa la danza, prima di dedicarsi al bartitsu, un misto di ju-jitsu, boxe e altri stili di combattimento, che insegnava a battersi efficacemente nella vita di tutti i giorni utilizzando come armi oggetti quotidiani e, ovviamente, giocando sporco (tranne che negli incontri tra allievi del corso, nei quali vigevano alcune norme basilari, quali il divieto di graffiare l’avversario o colpirlo ai genitali). Quando era sul ring poteva lasciare Zelda a briglia sciolta, per poi rimetterla al guinzaglio in un secondo momento, durante la doccia post-allenamento.
Prima di uscire dallo spogliatoio, controllò di essere in ordine e, per ragioni ignote persino a lei, decise di sciogliere i capelli, lasciandoli ricadere sulle spalle come una colata d’inchiostro.
Trovò ad attenderla pazientemente Nathaniel, e i due si incamminarono abbracciati verso la metropolitana. All’improvviso, una voce squillante squarciò il silenzio di quella tranquilla sera autunnale.
–Natie, tesoro!
Nathaniel si staccò subito da Frida, che invece non si mosse di un millimetro, finché l’espressione omicida di Kimberly non la persuase a mettere qualche centimetro di distanza tra lei e Nate. La occhieggiò con educata perplessità: non capiva perché la loro intimità le desse così fastidio, né tantomeno perché stesse cercando di farla sentire in colpa per un gesto innocente: Nate era, per lei, un fratello nato da genitori diversi; cosa poteva esserci di male nell’abbracciarlo koalescamente?
Avendo subodorato una brutta aria, Nathaniel corse a salutare - e tranquillizzare - la sua ragazza con un bacio poco casto, che fece stralunare gli occhi alla Weil, contraria ad effusioni eccessivamente plateali in pubblico.
–Cosa ci fai qui, Kimmy? Vestita così, poi. Sei uno schianto!
–Ho pensato di farti una sorpresa. È tanto che non ceniamo insieme, ti va? Io e te da soli. Sempre che tu non abbia altri impegni.
Frida intuì che quella era la sua battuta d’uscita. Si congedò dalla coppia felice e tornò dentro la palestra ad aspettare che William uscisse dall’acqua. Aveva bisogno di parlare con qualcuno, o sarebbe esplosa.  
 
***
 
–Problemi in paradiso, Weil?- chiese William mentre prendeva posto in mensa, corroso internamente dal senso di colpa: aveva infatti notato che, da qualche giorno, la sua socia aveva preso le distanze dal resto della “gang” - in particolare Nathaniel - e temeva di essere lui la causa.  
–Certo che no!- mentì lei. –Perché?
–Semplice- rispose, indicando il trio dal lato opposto della lunga tavolata. –Tu sei qui e loro… lì. È chiaro che qualcosa non va.
Frida emise un lungo e mesto sospiro, e pigolò –Nate non va. Secondo lui - e Kev - siamo troppo appiccicati, il che rende il nostro rapporto “fraintendibile”, specialmente da Kimmy, che si sente minacciata dalla mia intelligenza e dal mio charme… oh, e dalle mie tette, a quanto pare.
Contrariamente all’atteso, William non cercò di confortarla; impallidì, strabuzzò gli occhi, aprì e richiuse la bocca un paio di volte, infine esalò –Oh, merda!
Avuta conferma dei suoi sospetti, Zelda tornò alla ribalta per sistemare la faccenda a modo suo. Balzò in piedi, battendo i pugni sul tavolo, lo afferrò per la cravatta e ruggì –Lo sapevo che c’era il tuo zampino, du dreckiges Stück Scheiße1! Nate e Kev non avrebbero mai concepito da soli ganzen Scheißideen2, soprattutto non sulle mie tette! Hai rovinato un’amicizia lunga diciassette anni, du Arschloch! È ora di saldare il conto.
L’australiano, di fronte a quella forza della natura, rimase immobile, inerme e privato dell’ossigeno.
–Aiuto… s-soffoco…
La provvidenziale comparsa del preside lo salvò dall’ira funesta della Weil, che gli scoccò un’occhiata sprezzante, prima di riprendere posto e azzannare il suo pasto con una ferocia degna di Grendel.
William, però, non avrebbe tollerato in silenzio quella che, a conti fatti, era una vera e propria aggressione.
“Tira fuori il tuo 50% di geni inglesi, Will! Contegno e coraggio!”
–Mi piace il tuo lato dionisiaco, Weil, ma devi imparare a controllarlo. Se mi avessi strangolato, mio padre avvocato ti avrebbe spedita a marcire in galera per il resto dei tuoi giorni.
–Ne dubito: innanzitutto, non sono così stupida da ucciderti al cospetto di decine di testimoni; inoltre mia madre, medico legale, avrebbe fatto passare la tua prematura dipartita per un tragico incidente. Uno shock anafilattico, magari, così tuo padre avrebbe potuto elaborare il lutto facendo causa a quel bigotto pisquano di Quirke!- i due presero a fissarsi con astio via via minore, finchè non scoppiarono a ridere. Dopo una rapida quanto attenta riflessione, Frida pensò fosse il caso di scusarsi. –Ehi, mi… dispiace, per prima. Non so cosa mi sia preso. Tendo ad avere reazioni un po’ esagerate, a volte.
–Un po’ esagerate, l’ossimoro dell’anno! Tranquilla: io sono vivo e tu non andrai in galera. Nessun danno permanente, e, bonus, ho imparato una preziosa lezione: se ti provoco, è a mio rischio e pericolo. In parte hai ragione tu, non avrei dovuto immischiarmi, ma Kim e J.K. erano talmente depressi da muovermi a compassione: per qualche strana ragione si amano, sebbene siano pessimamente assortiti, e nessuno dei due vuole accettare la verità che prima o poi scoppieranno.
Frida si morse le labbra, prima quello superiore, poi l’inferiore: malgrado la sua parte razionale avesse intuito che la coppia Nathaniel-Kimberly non era destinata a superare la prova del tempo, il suo io romantico e sognatore desiderava per loro un lieto fine, a riprova della capacità di due opposti di attrarsi e resistere alle intemperie della vita.
–Quale superiore conoscenza del mondo ti permette di formulare questa asserzione?- sbuffò, infine.
–Non serve essere un genio per capire che quei due sono come l’acqua e l’olio- rispose l’altro, scrollando le spalle. –Volevo evitare che l’inevitabile accadesse a causa tua: conoscendoti, so quanto ne avresti sofferto. In un certo senso, ti ho fatto un favore.
–Un favore? I miei amici non mi rivolgono più la parola!- sibilò a denti stretti Frida.
–Rivolgigliela tu, allora. Fa’ loro “un’offerta che non potranno rifiutare”- ribatté William, imitando l’accento e le pose di Vito Corleone. Frida, cresciuta con tutt’altro genere di film, non colse la citazione; si limitò ad aggrottare la fronte, perplessa. –Vedrai che tornerai magicamente nelle loro grazie. Coraggio, Weil, consegna gli inviti per quella stupida festa.
 
***
 
Capì che Frida si era riappacificata con i suoi amichetti prediletti quando la vide sedersi di fianco a Kevin e fargli cenno di unirsi a loro. Capì inoltre che, se la componente maschile della gang aveva sotterrato l’ascia di guerra, quella femminile era ancora armata: Kimberly lo salutò con fare seducente, invitandolo a sedersi accanto a lei (con sommo disappunto di Nathaniel), e celiò –Arrivi giusto in tempo, Will: Frida stava proponendo costumi coordinati, per Halloween, in tema con la sua serie preferita- non sapendo cosa dire, l’australiano scelse il silenzio. –Che c’è? Sei rimasto senza parole perché non immaginavi che la nostra Sherlock Weil potesse interessarsi a qualcosa di futile come una serie televisiva? Ti verrà un infarto, allora, appena scoprirai qual è: nientepopodimeno che… “Night Hunter”!
William si lasciò sfuggire una mezza risata: le avventure dei cacciatori di demoni - e amanti sfortunati - Nick Hunter e Kitara Graves era il suo guilty pleasure, un segreto da custodire gelosamente; adorava quella serie così volutamente trash, ma mai e poi mai avrebbe creduto che potesse appassionare anche un tipo razionale come la Weil. Il divertimento misto a incredulità durò poco: gli bastò scorgere l’espressione ferita della ragazza, palesemente convinta che la stesse giudicando e avrebbe riso di lei da un momento all’altro, per sentirsi più stronzo di una merdina da marciapiede calpestata a ripetizione. Sapeva bene cosa si provava ad essere malvisti per le proprie passioni, lo aveva vissuto sulla propria pelle in Australia e, proprio per questo, non lo avrebbe mai fatto, non a lei.
Attese qualche secondo, per il gusto di tenerla sulle spine, prima di aprirsi in un sorriso luminoso e chiederle –Nickitara o Carlitara?- notò del genuino stupore attraversare quegli occhi di ghiaccio, ma fu questione di millesimi di secondo; tempo un battito di ciglia, e la consueta espressione guardinga era di nuovo al suo posto. Quella reazione estemporanea, tuttavia, lo incoraggiò ad aggiungere, in tono scherzoso –Ti avverto: se shippi Carlitara, io e te potremmo avere grossi problemi!
Con enorme sorpresa sua e degli altri presenti, Frida lo abbracciò con tale slancio da farlo barcollare. Riuscì, nemmeno lui seppe come, a mantenersi saldo sulla panca, e ricambiò la stretta stritolante. Da quel che gli era stato dato capire, la Weil non era tipo da baci e abbracci; il supporto che le aveva appena mostrato davanti ai suoi amici doveva significare molto, per lei.
Si staccò da lui poco dopo e, sforandosi di recuperare il solito contegno da regina delle nevi, rispose –Certo che shippo Nickitara! Ti pare che potrei tollerare l’idea di Kit insieme a quel cane pulcioso?
–Non definirei “cane pulcioso” un sexy licantropo quasi sempre mezzo nudo!- intervenne Kimberly, bellamente ignorata dagli altri due, lanciatissimi in un’accesa discussione sui momenti migliori della loro coppia del cuore, che speravano di vedere definitivamente riunita nella prossima stagione. –Io e le mie follower abbiamo boicottato la serie quando i produttori hanno deciso di vestirlo!
–E i produttori hanno ricevuto il messaggio forte e chiaro, sorellina: siamo alla quarta stagione! Nessuno shippa i Lucaphine, a parte me? Che palle!- gnaulò Kevin, fan sfegatato della coppia sin dal loro primo incontro. –Cosa c’è di più bello di un amore tormentato, che non può sbocciare perché ostacolato da una maledizione? Provate a immaginare di amare qualcuno e non poterlo toccare, perché incenerite tutto ciò che sfiora la vostra pelle! Cioè, dai! Poveri Luc e Seraphine, non possono neppure baciarsi! Ogni volta che quei due si guardano lo sai, lo percepisci che vorrebbero saltarsi addosso, ma non possono. È … semplicemente pazzesco!
–Sicuro di essere nato maschio, fratello?- lo schernì Kimberly, ricevendo in risposta un’eloquente alzata di dito medio.
Ogni tentativo di troncare sul nascere la lite tra i gemelli fu vano, e alla fine della discussione si ritrovarono tutti con un personaggio assegnato… e un’emicrania.
 
***
 
Non sapeva spiegarsi perché si fosse auto-invitato da Frida; semplicemente, aveva dato aria alla bocca senza prima collegarla al cervello. La Weil, faticando a nascondere un ingiustificato compiacimento, non aveva battuto ciglio e, da perfetta padrona di casa, dopo aver fatto accomodare William e avergli offerto tè e tramezzini, lo aveva condotto nella sua camera, il suo sancta sanctorum, la sua oasi di pace.
Quella stanza lo aveva lasciato letteralmente di stucco: se l’era immaginata vecchio stile, con pareti e mobilio dalle tinte pastello, uno specchio a figura intera in un angolo e una scrivania disgustosamente ordinata sotto la finestra; invece era moderna, disseminata di libri e più disordinata di quanto avrebbe creduto possibile, considerata la sua occupante. La tipica stanza di un’adolescente. Aveva indovinato soltanto la predominanza di colori pastello: tutto, dalle pareti - tappezzate di poster e quadri - ai mobili, era nei toni del blu (colore preferito di Frida), computer incluso.
Wilkommen in meinem Wunderzimmer. Oh, scusa, dimentico sempre che non parli tedesco. Benvenuto nella mia camera delle meraviglie. Non per metterti a disagio, ma, ecco… sei il primo ragazzo che faccio entrare qui. A parte Nate e Kev, natürlich. E i miei cugini.
–Quale onore! Devo profondermi in un inchino, o basta la mia sincera gratitudine?- aveva ridacchiato, per poi ululare di dolore: il gatto dei Weil, Moriarty, che mal tollerava di non essere al centro dell’attenzione, aveva pensato bene di tornare sotto i riflettori tentando la scalata della sua gamba destra.
Frida era intervenuta prontamente, ma ogni tentativo di staccare il gatto aveva solo peggiorato la situazione, inducendolo a conficcare gli artigli più in profondità.
Al povero William non era rimasto che mordersi una mano, sperando che la belva si stancasse in fretta, e sedersi alla scrivania, tattica rivelatasi vincente: tempo due minuti e Moriarty gli si era acciambellato placidamente in grembo, facendo le fusa.
–Gli piaci! Non l’avrei mai detto!- aveva esclamato Frida. –Nel senso… siccome hai un cane, ero convinta che avrebbe sentito l’odore e … lascia perdere. Meglio così. Al povero Nate, invece, soffia sempre.
Approfittando di un attimo di distrazione della Weil, si era chinato per sussurrare al gatto –Bravo, micio, soffia a quell’antipatico!
Il duo, più Moriarty, aveva quindi dato inizio a una proficua sessione di studio. Erano nel mezzo di una sfilza di reazioni chimiche da bilanciare, quando la Weil ricevette un messaggio; lo aprì e la voce di Kevin, incazzato nero, echeggiò nella stanza.
–Di’ addio al nostro solito venerdì sera a base di tv e dolcetti: quella figlia di put… ah, no, aspetta, abbiamo la stessa madre. Cazzo! Ok, ricomincio: quella grandissima cogliona di mia sorella- Frida borbottò qualcosa a proposito di volgarità gratuite, ma William non ci badò. –Ha risposto a nostra madre, che le aveva chiesto cosa facciamo di tanto speciale ogni santo venerdì: “Quello che fanno tutti i teenager: scoliamo superalcolici direttamente dalla bottiglia mentre guardiamo un porno”! Cioè, dico, ti rendi conto? Come le è saltato in mente di dire una cosa del genere? A nostra madre! Non sono riuscito a convincerla stesse scherzando, e adesso siamo reclusi in camera in punizione per non si sa cosa!
William deglutì a vuoto, sconcertato.
–Perché, da come l’ha detto, sembra che Kimberly non stesse scherzando? E poi… davvero la madre li ha presi sul serio? La mia mi avrebbe riso in faccia!
–Non conosci Abby: è adorabile, ma tragicamente priva di senso dell’umorismo, oltre che fastidiosamente puritana- celiò Frida; mise a tacere l’australiano con un aggraziato cenno della mano, e aggiunse –So cosa stai per dirmi: che sono una puritana anch’io. Può darsi, però io, a differenza di Abby, non rompo le scatole al prossimo affinché abbracci la mia linea di pensiero.
–Devo riconoscertelo: sei una puritana che non rompe le palle- concesse. –Allora, cos’è questa storia dei venerdì sera selvaggi a base di alcool a fiumi e porno?
–Ti rode di non essere stato invitato, Liam?- lo schernì Frida, sorniona. –Lo avrei fatto, ma non ne ho avuto occasione. Comunque, non è niente di che: ci riuniamo per guardare insieme “Night Hunter” e, a seguire, D&D, “Decoro e Desiderio”, la trasposizione delle fantasie erotiche di Jane Austen. Adesso che conosci il nostro segreto, ti pregherei di essere discreto: non c’è bisogno che i nostri genitori lo sappiano. La maggior parte degli adulti ha il difetto di operare un’amnesia selettiva delle cavolate di gioventù: persino chi ha combinato le peggiori nefandezze si scandalizza se i suoi pargoli, supposti casti e puri, deragliano dai binari di castità e purezza!
William la fissò a bocca aperta, incerto su cosa dire: quando gli capitava di pensare a Frida - piuttosto spesso, ultimamente - la immaginava in posizioni da far arrossire i pornodivi della vecchia scuola; eppure, non riusciva a figurarsela guardare serenamente e senza imbarazzi un film a luci rosse. Naturalmente, non riuscì a tenere per sé quel pensiero.
La disarmante replica di Frida lo sconcertò.
–Il fatto che voglia aspettare la persona giusta per quello non significa che mi faccia schifo; tutt’altro: quando arriverà il momento, voglio fare bella figura!
“Fa sul serio?”, pensò William. “Non può fare sul serio! Entità superiore in cui non credo, ti prego, mandami un segno che non fa sul serio!”
Infilò una mano sotto la camicia e cercò grattar via la punta di fastidio in regione sternale provocatagli dal pensiero che la persona giusta per “quello” nell’immaginario di Frida continuasse a essere “quella sottospecie di Ken pene-munito” di Aidan James Cartridge.  
–Tralasciando la tua discutibile scelta della “persona giusta” da cui farti traforare - sai a chi mi riferisco - per tua informazione, Weil, i porno non sono esattamente filmini didattici. 
–Sei volgare e inopportuno. Trovo i porno sufficientemente didattici: i miei non mi hanno mai rifilato ridicole storielle su cicogne, cavoli o api per spiegarmi come nascono i bambini, e mi hanno spiegato nel dettaglio i mezzi di contraccezione e prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. Dopotutto, sono medici, qualcosina sull’argomento la sanno. Questo, però, non significa che andrei tranquillamente da mia madre a chiederle come si fa un pompino o robe del genere. Inoltre, per tua informazione, non ho intenzione di lasciarmi “traforare” come il fianco di una montagna; nei miei progetti rientra fare l’amore col mio ragazzo, quando ne avrò uno.
–La meccanica è la stessa- ridacchiò William.
Se Frida, per quieto vivere, avrebbe incassato l’affronto senza ribattere, Zelda assolutamente no: si irrigidì sulla sedia, tirò in su il naso e sibilò, furente –Va’ a farti fottere!
–Ottimo consiglio, lo seguirò alla prima occasione- rispose lui, determinato a non dargliela vinta. –Mi troverò una ragazza da portare alla festa di Halloween!
Wage es nicht, du Schwanzlutscher!”3, pensò Frida; tuttavia, le parole che uscirono dalla sua bocca furono ben diverse.
–Liberissimo! Trapana chi ti pare!
–Sicura? Ho la tua benedizione?
–Ama e fa’ ciò che vuoi.
Anche William pensò qualcosa di molto diverso da ciò che disse.
“Sì, sì, ci credo proprio! Weil, fai pena come attrice!”
–Ah, però! Citi Sant’Agostino d’Ippona: si vede che fai sul serio! Comunque, ad essere pignoli, ho detto di voler andare alla festa con una ragazza, senza specifiche. Potresti benissimo essere tu.
Senza distogliere lo sguardo dal libro, Frida mormorò –Dici così perché ti faccio pena. “Povera sfigata, illusa e delusa, merita un atto di carità”. No, grazie: ho ancora una dignità.
–Non mi fai pena- replicò William, per poi prenderle una mano tra le sue e aggiungere –Mi piace passare del tempo con te, è tanto difficile da credere?
Il consueto pallore della Weil si chiazzò di rosa, e, superata un’iniziale esitazione, la ragazza dovette ammettere che no, non era difficile da credere.
–Formiamo una bella squadra, socio- disse, accorgendosi solo in quel momento di quanto i loro visi fossero vicini. –Perché mi guardi così?
–Così come?
–Così.
Frida si chiese se stesse davvero per baciarla, o se invece, come con Aidan, avesse semplicemente interpretato male il linguaggio non verbale; si chiese, poi, come comportarsi: una parte di lei, quella razionale e prudente, spingeva per mantenere le distanze, mentre quello che lo stesso William aveva chiamato il suo lato dionisiaco, Zelda, pressava a che si lasciasse andare.
“Santo cielo, ragazza, dai sfogo agli ormoni, per una volta! Non potrà essere peggio di quell’imbranato di Midget, che sembrava volesse infilarti in bocca un polpo vivo!”
William, che effettivamente sperava di cogliere la palla al balzo e tramutare i suoi sogni in realtà (perlomeno la parte iniziale), nell’udire lo scatto della serratura della porta d’ingresso, emise un sospiro di esasperazione e mimò il gesto di mordersi le mani, tanta la frustrazione per aver perso l’attimo fuggente; Frida, che gli dava le spalle, non se ne accorse.
Hallo, Mutti. Non dovresti essere a cena da Abby e Ben, stasera?
–Ciao, tesoro. Hai detto bene: dovrei. Sono in ritardissimo, cazzarola! Doccia di corsa e via, più veloce della luce! Tuo padre, il solito genio del male, mi raggiunge direttamente a casa Cartridge. Spero si sia portato a lavoro un cambio d’abito decente- trillò Faith, tutta trafelata, salvo poi attardarsi a salutare William, comparso sulla soglia. –La cena è in frigo, pronta da riscaldare. Tranquilla, ha cucinato tuo padre. Oh, ciao, William! Come stai? Scusa, non ti avevo visto; sai, vado un po’ di fretta.
–Me ne sono accorto. Buonasera, signora.
La successiva affermazione di Frida venne accolta dal gelo più totale.
Meine Mutter non è una signora.
–Frida!- esclamarono in coro gli altri due, allibiti.
–Che c’è?- esclamò lei di rimando, ostentando una finta innocenza assai poco credibile, per chi la conosceva bene. –È la verità: lo sarai per educazione, ma tecnicamente… tu e Papi non siete sposati. Mi avete concepita nel peccato!
Faith fulminò la figlia con un’occhiataccia degna di Franz e marciò a prepararsi per la cena elegante che la attendeva.
William, invece, pensò che, per quanto assurdo, il discorso non faceva una piega. Gli sfuggì una risatina: la Weil era un vero spasso, oltre che intelligente e sexy.
“Ok, datti una calmata, c’è sua madre in casa. Attivare modalità doccia fredda! Però… Chissà che altro sa fare, con quella lingua biforcuta che si ritrova. Non vedo l’ora di scoprirlo!”
 
Note dell’autrice
Premessa iniziale: Zelda non è un rimando alla principessa del videogame (confesso di non averci mai giocato), bensì a Zelda Sayre, moglie di Francis Scott Fitzgerald. Un modo come un altro per omaggiare, indirettamente, uno dei miei scrittori preferiti.
A proposito di Frida: non so come l’abbiate immaginata, ma nella mia mente ha il fisico di Cara Dune (personaggio di “The Mandalorian”, serie che adoro). In pratica, è una “Faith palestrata”: muscolosa, ma con le curve.
Informazione di servizio: il paradosso della tolleranza è stato enunciato dal filosofo Karl Popper, e stabilisce che una collettività caratterizzata da tolleranza indiscriminata è inevitabilmente destinata ad essere stravolta dalle frange intolleranti al suo interno. Pertanto, paradossalmente, l'intolleranza nei confronti dell'intolleranza stessa è condizione necessaria per la preservazione della natura tollerante di una società aperta. Grendel, invece, è il mostro sconfitto dall'eroe Beowulf. 
Spero traspaia il simbolismo della scena in cui Frida si purifica con l’acqua di ciò che ha fatto, in una sorta di battesimo. L’acqua ha da sempre un forte valore simbolico: veicola l’idea di trasparenza, purezza, lealtà, bellezza; l’atto di lavarsi riveste, quindi, un valore non solo igienico, ma anche, in un certo senso, “sacrale”.
1Dannato pezzo di merda
2Queste idee di merda
3Non osare, stronzo!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Zoè e Bios ***


Bentrovati! Premetto che questo capitolo tratterà nella seconda parte tematiche delicate, che potrebbero urtare la sensibilità di qualcuno. Siete stati avvisati.
Non lo faccio sempre perché non voglio essere ripetitiva e petulante, ma sappiate che ringrazio tutti voi che passate a dare un’occhiata e/o lasciare un “mi piace” o un commento alla storia. <3
Per questo viaggio nella filosofia greca, consiglio come sottofondo musicale “Breaking the habit” e “Faint” dei Linkin Park (RIP Chester).
Detto questo: allacciate le cinture, si parte!
 
Zoè e bios
 
“La vita non sempre va conservata; non è un bene il vivere, ma il vivere bene.”
Seneca, Lettere a Lucilio
 
Le eccentricità della madre erano il miglior antidoto alla nostalgia di casa. Sebbene, col senno di un (quasi) giovane adulto, William avesse riconsiderato sotto una luce più benevola alcune discutibili scelte materne (in fondo, era mossa da sincero affetto e buone intenzioni), riteneva che l’aver messo parecchie miglia di distanza tra lui e le sue buone intenzioni fosse la decisione migliore che avesse mai preso: come insegna Marx, le buone intenzioni lastricano la strada per l’inferno, non certo per il paradiso.
Provava ancora un brivido lungo la schiena al ricordo delle lunghe sedute di meditazione destinate a potenziare il suo “dono”, alias l’innata capacità di ricordare vividamente le rappresentazioni notturne create dal subconscio, comunemente note come sogni, capacità che sua madre attribuiva ad un’aura eccezionalmente potente.
Avrebbe rinunciato volentieri al “dono”, pur di dimenticare gli incubi che di tanto in tanto turbavano il suo sonno; in realtà, più che di incubi, si trattava di brutti ricordi, che riaffioravano durante la notte. Quello che più di frequente tornava a tormentarlo riguardava il giorno peggiore della sua vita, secondo solo alla partenza di suo padre dopo il divorzio: aveva dieci anni e sua madre, detrattrice dei costumi “commerciali di personaggi stereotipicamente occidentali, venduti a prezzi super-gonfiati”, lo aveva fatto vestire da piccolo Buddha per Halloween. In mezzo ai vari Harry Potter, Harley Quinn e Capitan America si era sentito un emerito deficiente, specialmente quando i vari maghetti, supercattivi e supereroi in erba avevano iniziato a rimarcare il suo essere una voce fuori dal coro con la crudeltà di cui solo i bambini sono capaci (con buona pace di chi li considera innocenti angioletti senz’ali).
Da allora, aveva evitato le feste come la peste, specie quelle in maschera. Eppure, non era riuscito a dire di no alla Weil quando aveva proposto, per quell’anno, travestimenti coordinati, ispirati ai protagonisti della serie “Night Hunter”: Nathaniel e Kimberly si erano accaparrati i panni degli antagonisti, i vampiri Anton e Celina; Kevin, invece, quelli del terzo lato del triangolo amoroso, il licantropo Carl Levine, lasciando a lui e Frida l’onere e onore di ricoprire, per una sera, il ruolo della loro coppia del cuore, Nick e Kitara. 
Sorrise nel cuscino, pensando alla faccia che avrebbe fatto sua madre quando lo avrebbe scoperto; perché lo avrebbe scoperto, senza ombra di dubbio: quella donna, con la scusa che tenere dei segreti nuoceva all’aura, era un’impicciona di prima categoria, senza contare che lui stesso non vedeva l’ora di dirglielo, per assistere in diretta alla sua reazione.  Il sorriso venne meno quando la luce del giorno lo colpì impietosamente sul viso, calda e tagliente come una lama appena affilata. Emise un gemito di disappunto e, quando si sentì scuotere delicatamente, tirò le coperte fin sopra la testa, in un vano tentativo di prolungare la notte finché non fosse stato pronto ad alzarsi.
–Ancora cinque minuti!- mugolò dall’interno del bozzolo di tessuto nel quale si era avvolto. Gli sembrò di udire la voce della madre, che gli intimava di alzarsi per cominciare la giornata risvegliando i chakra; mosso dall’esasperazione, esclamò –Fanculo i chakra!
Quello che non si aspettava, e che gli fece rischiare l’infarto, fu sentire una voce femminile, diversa da quella di sua madre, rispondergli animatamente –Concordo in pieno!
Convinto di stare ancora sognando (sua madre non avrebbe mai pronunciato una simile eresia), sarebbe rimasto volentieri sotto le coperte, se fosse  stato scosso con violenza finché non era riemerso dalle coltri con la grazia di un orso che esce dal letargo. Rischiò l’infarto per la seconda volta nel vedere ai piedi del letto una pimpante Frida Weil, vestita a festa, intenta a fissarlo mentre limava le unghie ben curate, laccate di smalto color pesca. Unica nota stonata nell’aspetto impeccabile della ragazza erano alcuni capelli carichi di elettricità statica che spuntavano dritti dalla chioma altrimenti liscia, raccolta in una stretta coda di cavallo.
–Weil? Che diavolo…?
–In Inghilterra - come nel resto del mondo, spero - è buona educazione esordire augurando buongiorno. Buongiorno, Liam. Dormito bene? Pulisciti la guancia sinistra, hai un po’ di saliva rappresa. Ah, prima che me lo domandi: non sono un’allucinazione- lo interruppe lei, per poi deviare lo sguardo in basso e aggiungere –Adesso capisco a cosa si riferivano Nate e Kev quando si lamentavano di dover “smontare la tenda” al mattino!
Arrossendo come non mai, William portò entrambe le mani a coprire la zona incriminata, dopodiché, recuperato un minimo di autocontrollo, rispose –Buongiorno, Weil. Si può sapere cosa cazzo ci fai qui?
La ragazza arricciò il naso, infastidita dal linguaggio triviale, e ridacchiò –Per stavolta, soprassiederò sulla volgarità. Davvero non ricordi? Accidenti, eri messo peggio di quanto pensassi!- andò a spalancare la finestra e, dandogli le spalle, aggiunse, mesta –Forse è meglio così.
–Perché? Cosa ho combinato?
Frida scosse leggermente il capo, fece comparire un sorriso tirato e, dirottato lo sguardo sui pantaloni neri coperti di paillettes per ridurre il rischio di tradirsi, gli mentì spudoratamente.
–Tu niente. Lo stesso non può dirsi dei neo-maggiorenni. Ricordi almeno che ieri Kimmy e Kev hanno festeggiato l’ingresso nella maggiore età?
–Sì, questo lo ricordo- biascicò l’australiano, ancora intontito, passandosi una mano sul volto. –Ricordo anche Kimberly che si pavoneggiava sventolando l’Alcohol Pass manco fosse l’Oscar, ubriaca fradicia; come quasi tutti, del resto. A un certo punto lei e Kev sono saliti su un tavolo e si sono messi a ballare il can can, per la gioia di Nate, incazzato nero. Se non ricordo male, ha minacciato di morte chiunque osasse sbirciare le sue mutande. Come se ci fosse chissà cosa di interessante nelle sue mutande. Non le avesse indossate, avrei potuto capire, ma….- si bloccò di fronte all’occhiata raggelante della Weil. –È successo veramente?
–Vorrei poterti dire che è frutto della tua perversa immaginazione.
–In quel caso, Weil, a ballare sul tavolo ci saresti stata tu, e… lasciamo perdere, va- ignorò volutamente i suoi intellegibili borbottii di rimprovero e pose la fatidica domanda –Dal taglio della torta in poi è black out totale. Come sono tornato a casa?- gli sovvenne un terrificante sospetto. –Non hai chiamato mio padre, vero?
Frida manifestò lo sdegno per quell’insinuazione incrociando le braccia e socchiudendo gli occhi.
–Ti sembro stupida? Certo che no! Quando mi sono resa conto che eri completamente andato, ho chiamato un taxi. Avrei voluto andarmene, dopo averti portato a letto- ignorò il commento sarcastico dell’australiano su quel doppio senso involontario e proseguì –Però non me la sono sentita di lasciarti solo. Ero preoccupata per te. Ho scritto ai miei che avrei passato la notte da mio cugino Ernst, fidato alibi per le scappatelle notturne, e… sono rimasta qui.
–Ti ho avuta nel mio letto quando ero troppo sfatto per provarci? Questa sì che è sfiga! Frida tossicchiò, a disagio, e mostrò un rinnovato interesse per le proprie unghie, evitando di rispondere. –Anche se, conoscendoti, dubito sarebbe successo qualcosa. Come hai ammazzato il tempo, allora? Non sarai rimasta lì impalata a vegliarmi tutta la notte! È malsano, cazzo! E inquietante.
–Per chi mi hai presa, una stalker? Una volta assodato che non saresti soffocato nel tuo vomito o roba del genere, sono andata a dormire sul divano. Complimenti a tuo padre per la scelta, è davvero comodo. Peccato che un’oca starnazzante, sbucata fuori dalla stanza in fondo al corridoio, abbia interrotto una piacevole fase REM. Allora sono tornata da te, e, beh… il resto lo sai.
L’altro esalò, massaggiandosi le tempie –L’avrai sognata, Weil. Nella stanza in fondo dorme mio padre- maledisse la sbronza colossale della sera prima, causa del mal di testa e del rallentamento ideo-motorio che stava sperimentando. In condizioni normali, infatti, avrebbe impiegato pochi secondi, e non tre minuti buoni, a realizzare le implicazioni di quanto aveva appena sentito. –Aspetta, aspetta, aspetta. Frena, frena, frena. Stai dicendo che mio padre, con me in casa…
–In sua difesa, contava che tu non fossi in casa- puntualizzò lei. –Comunque, di cosa ti stupisci? Te l’avevo detto che ha una o più… amicizie femminili. È chiaro che soffre la solitudine, poverino.
–La soffrissi io, questa solitudine!
–Non dire assurdità! È chiaro che entrambi avete bisogno di trovare il vero amore. Per te c’è poco da fare, tuo padre è già un osso meno duro: gli darò il numero di Lauren alla prima occasione utile.
Di nuovo, William maledisse l’ubriacatura della sera prima: in condizioni normali, avrebbe notato la freddezza della Weil, che si teneva a debita distanza da lui, e avrebbe commentato con una frecciatina sarcastica alla sua fissa di voler aiutare suo padre a trovare l’amore (impresa, secondo lui, impossibile sia dal punto di vista pratico, sia filosofico); invece, gli riuscì soltanto di piagnucolare –Mio padre scopa più di me. Voglio morire!
Frida lo mise a tacere con un secco –Sono sicura che domani alla festa sarà pieno di belle ragazze arrapate. Ti conviene rimetterti in sesto per loro. Coraggio, stellina, smettila di piagnucolare, alzati e risplendi! Un buon caffè e una vagonata di grassi saturi ti restituiranno la voglia di vivere.
Lo stomaco di William manifestò il proprio dissenso contorcendosi dolorosamente.
–Lasciami in pace!
–Benissimo! Dato che la mia presenza non è più necessaria, né tantomeno gradita, ti lascio smaltire la sbronza da solo- sbottò lei, prima di uscire dalla stanza sbattendo la porta. –E se non ti è di troppo disturbo, cerca di restare sobrio fino a domani, mi servi sveglio e operativo per acchiappare al lazo Andrew Carter.
 
***
 
La sera del 31 ottobre si erano riuniti a casa Cartridge per indossare i costumi e avviarsi in gruppo alla festa. I ragazzi si erano cambiati in camera di Kevin, le ragazze in quella di Kimberly, sotto l’invadente sorveglianza (mascherata da ospitalità) di Abigail Venter in Cartridge, madre dei gemelli.
–Senza offesa per tua madre, Kev, ma è peggio del Grande Fratello! Cosa teme, che lasciati da soli diamo il via a un’orgia?
–Appartiene alla generazione traviata da “Il Trono di Spade”: con due gemelli di sesso diverso in casa, teme di peggio di una “semplice” orgia!- ridacchiò Nathaniel.
Gli altri due scoppiarono a ridere, dopodiché William, fingendosi affaccendato ad allacciarsi le scarpe, chiese –Posso farvi una domanda?
–Un’altra?- scherzò Nathaniel Jefferson-Keynes, per poi sospirare, rassegnato –Va bene, va bene, proverò a essere serio. Avanti, spara.
–Quanto avete bevuto, l’altra sera?
Nathaniel avrebbe replicato a quella domanda indiscreta in malo modo, se Kevin non l’avesse bloccato, rispondendo –Meno di te, poco ma sicuro. Mai visto nessuno ingurgitare così tanto alcol in così poco tempo! Sicuro di avere ancora un fegato?
L’australiano abbozzò una mezza risata divertita, e pose una seconda domanda.
–Quindi ricordate… tutto?
–Tutto. Imbarazzante balletto improvvisato compreso.
–Tutto quello che vale la pena ricordare- asserì Nathaniel, esibendo un sorriso enigmatico degno della Gioconda. –Perché, tu no?
Davanti all’espressione mortificata di William, Kevin e Nathaniel sbottarono in contemporanea –Merda!
–Potreste per favore aiutarmi a capire perché Frida è così dannatamente formale? Cortese, ma fredda. Non è normale. Non è da lei. Non con me, almeno. Dev’essere successo qualcosa… se solo riuscissi a ricordare cosa!
Nathaniel rivolse un’occhiata di sbieco a Kevin, incerto sul da farsi; ricevuto dall’amico un cenno di assenso, esalò –Dovrai chiederlo a lei. Non so cosa sia accaduto di preciso, si è rifiutata di dirmelo; so solo che a un certo punto siete spariti, e quando è ricomparsa era sconvolta.
–Più che sconvolta, furiosa- lo corresse Kevin. –Qualsiasi cosa tu abbia fatto, l’hai fatta incazzare. Per tua fortuna, non abbastanza da abbandonarti semi-svenuto su un divano.
–Se può consolarti, non sei l’unico ad avere problemi con una ragazza- disse Nathaniel, insolitamente gentile.
Kevin stralunò gli occhi e sbuffò –Ti prego, non dirmi che hai messo in atto la minaccia di lasciare mia sorella perché ha mostrato le mutande a tutti! Ti credevo migliore di così. Siamo negli anni ’30, ma del ventunesimo secolo.
Nathaniel rise, una risata priva di allegria, quasi grottesca.
–Kim si è esibita in quel modo apposta. Voleva vendicarsi dandomi sui nervi. E, liberi di crederci o meno, è stata lei a lasciarmi, per aver baciato Dany Jones.
–Dany come Daenerys Jones, nata dalle Cotswolds, millesima del suo nome, distruttrice di maroni, regina delle manie di protagonismo, khaleesi delle crisi isteriche eccetera?
–Certo che la generazione dei nostri genitori ha veramente dei gusti di merda in fatto di nomi! A scuola con me a Canberra c’erano un Anakin e i gemelli Luke e Leia- osservò William. –Comunque, per una volta sto con Kim: hai baciato un’altra, Nate. Non concepisco l’obbligo sociale di ingabbiarsi in una relazione monogama, però concepisco ancora meno il tradimento. Se qualcosa non va ci si lascia, punto.  
–Era un fottutissimo bacio di scena!- ruggì Nathaniel, dando sfogo alla frustrazione. –Ok, più di uno, ma la sostanza non cambia. Io e Dany ci schifiamo a vicenda, ma, avendo saputo dalla professoressa Beckett che alcuni suoi amici dell’ambiente verranno alla prossima recita scolastica, un adattamento del Dracula di Stoker, abbiamo pensato che aggiungere un po’ di pepe alla scena avrebbe aumentato le possibilità di ottenere parti da protagonista.
–Se conosco un minimo mia sorella, non ha voluto sentire ragioni. Spero ne sia valsa la pena. Hai ottenuto la parte?
–Sì, anche se non quella che volevo. Secondo la professoressa Beckett, il mio “faccino pulito” è perfetto per interpretare quel bamboccio di Jonathan Harker. È un vizio: già l’anno scorso mi relegò al merdoso ruolo di Cassio, quando sarei stato un perfetto Iago; e l’anno prima ancora mi negò la parte di Puck in “Sogno di una notte di mezza estate”. Giuro che prima o poi le dirò in faccia cosa penso di lei e della sua attenzione ossessiva all’esteriorità dei personaggi, piuttosto che all’interpretazione!
–Se hai davvero la coscienza pulita, lascia che Kim sbollisca e torni da te strisciando- asserì l’australiano scrollando le spalle.
Kevin si dichiarò d’accordo e, insieme all’amico, andò a controllare a che punto fossero le ragazze. Appena la porta si fu richiusa alle sue spalle, Nathaniel chiuse gli occhi e sospirò –Non sono sicuro di volere che torni.  
 
***
 
“Homo homini lupus”, sosteneva Hobbes: la natura umana è tendenzialmente egoistica, determinata dall’istinto di prevalere sui propri simili. Sebbene William si considerasse kantiano fino al midollo, non poté negare che quell’aforisma celasse un fondo di verità: nonostante il forte senso etico, infatti, non era riuscito a non gioire segretamente del subitaneo interesse di Bryce per Kimberly, la quale non aveva perso occasione per ingelosire il suo ex-ragazzo flirtando spudoratamente con l’aspirante chirurgo col fisico da surfista californiano. Dovendo scegliere, preferiva che quel “gorilla con la parrucca” rubasse la ragazza a Nate, piuttosto che a lui.
L’istintiva possessività nei confronti della Weil avrebbe dovuto indurlo a porsi due domande sull’effettiva natura del loro rapporto, ma si limitò a non staccarle gli occhi di dosso durante tutta la sera.
Gli risultava pericolosamente facile perdersi a contemplare la concentrazione quasi inumana con cui scannerizzava gli invitati in cerca del latitante Andrew Carter, il modo in cui si era mossa tra la piccola folla in cerca di un punto di osservazione privilegiato che le consentisse di braccarlo al momento giusto, il suo insistente mordicchiarsi le labbra, che tradiva un certo nervosismo. Aveva provato a chiederle di ballare o bere qualcosa, ricevendo due secchi rifiuti. “Non voglio distrarmi e rischiare così di lasciarmelo sfuggire”, aveva detto. Motivazione logica e valida, per carità; eppure, William sentiva che c’era dell’altro, qualcosa che doveva assolutamente ricordare. Aveva quindi deciso di restarle accanto, in parte nella speranza che la stessa Frida provvedesse a rinfrescargli la memoria, in parte nel timore che Bryce potesse stufarsi di una preda facile come Kimberly e tornare all’attacco.
–Sarai felice, immagino.
Nel dubbio su cosa rispondere, optò per una battuta.
–Mica tanto! Mi avevi promesso universitarie sexy e arrapate, ma quelle che ho davanti sono carine, non sexy - a meno di trovare sexy ragazze dal colorito verdognolo per il troppo alcol, sul punto di rimettere anche l’anima - e troppo sbronze per poterci anche solo provare senza sentirmi uno stupratore.
Vielleicht1 sei tu ad essere- “Un kantiano del cazzo” –Troppo esigente.
A quelle parole, William ebbe come un’illuminazione: un frammento di memoria riaffiorò dalle tenebre dell’amnesia. Pensò bene, quindi, di indagare in quella direzione.
–Sì, beh, la persona più intelligente che conosco ha detto che quelli come noi dovrebbero volare tanto in alto quanto riescono a librarsi- capì di essere sulla pista giusta quando vide Frida, l’imperturbabile, algida Frida, arrossire e riprendere a mordicchiarsi le labbra. –Alla festa di Kim e Kev, se non sbaglio. Sai, è incredibile come tu riesca a dire certe cose da sobria senza scoppiare a ridere! Comunque, se non per la fauna locale, per cosa dovrei essere felice?
–Per aver previsto la rottura tra Nate e Kimmy. Rottura irreparabile- mormorò Frida, prima di puntare il dito verso un divanetto. –Guarda là.
Di fronte alla scena che gli si parò davanti, William venne colto da un misto di nausea e pena (per il povero Nate) che gli annodò lo stomaco: Bryce e Kimberly erano avvinghiati come koala, e sembravano starsi divorando la faccia a vicenda.
–Grandioso! Avrò incubi per un mese!- gnaulò, per poi trangugiare in un sorso il contenuto del suo bicchiere: in certi casi, bere per dimenticare era la migliore soluzione. E lui avrebbe decisamente voluto dimenticare la conversazione che seguì.
Frida, infatti, assunse un’intensa sfumatura bordeaux e ridacchiò –Esagerato! Bryce è viscido e ha più tentacoli di un polpo, ma non bacia male. Cioè… credo. Non che abbia chissà quale esperienza, però… voglio dire, non bisogna essere registi per giudicare se un film ci piace o meno, ja? Cioè… a me non è dispiaciuto. Meglio di Midget, ecco.
Per William fu come venire investito da un treno in corsa. Avrebbe voluto rifiutarsi di credere che Frida si era lasciata baciare da quello scimmione, ma la razionalità prevalse: rifiutarsi di crederci non lo avrebbe reso meno vero.
–Tu… tu hai… con quello? Il figlio segreto di Trazan e Cita? Cazzo, Weil, credevo avessi una dignità!
Lo schiaffo bruciò meno della consapevolezza di esserselo meritato. Non aveva mai visto la Weil tanto livida di rabbia; avrebbe giurato di aver visto un lampo omicida nel suo sguardo di ghiaccio. Tuttavia, la ragazza mantenne la calma, limitandosi a replicare, in tono pratico –Ti proibisco di giudicarmi. Ho agito spinta dalla determinazione a non farmi trovare impreparata quando Aidan avrebbe… na ja
–Accidenti, eri proprio cotta di lui! Talmente cotta, che immagino non abbia… hai capito no? Con Bryce, dico, non hai… Cielo, riesco a stento a pensarlo, figurati a dirlo!
Keine Sorge, ich habe dich verstanden.2 E mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Farebbe una qualche differenza, per te, se fossi “stata” con lui?
Colto alla sprovvista, William perse il poco colore che aveva sulle guance e boccheggiò –Nessuna! Assolutamente! No, no! Ama e fa’ ciò che vuoi, giusto?
–Ho capito: ti roderebbe!- esalò Frida, sorpresa e al contempo un po’ compiaciuta della reazione del suo socio. –Warum3? A me non fa né caldo né freddo che tu sia stato con altre ragazze. Davvero. Non ho il diritto di recriminare.
–Sì, beh… a parte Isla, erano tutte cose prive di significato. Incontri in realtà virtuale.
–Basta questo a privarli di significato? La realtà virtuale è reale, Liam. Hai creato un avatar a tua immagine somiglianza, lo hai fatto agire secondo la tua volontà e hai provato le stesse, identiche sensazioni che ha provato lui. Perciò non venirmi a dire che non conta, soltanto perché non eri tu in prima persona. Conta eccome! Anzi, no, non conta niente: io e te non abbiamo quel genere di rapporto.
Conscio che qualsiasi tentativo di portare avanti la discussione in maniera civile sarebbe stato accolto da un freddo silenzio e un’occhiataccia, William incrociò le braccia e rimase immobile a scrutare torvo la stanza gremita di gente che si stava divertendo, al contrario di lui.
Perso nei propri pensieri, stava meditando di lasciare la festa, quando venne riportato alla realtà da Frida con una gomitata poco delicata e un cenno del capo in direzione della porta: sulla soglia stazionava un nervosissimo Andrew Carter, il quale, per loro fortuna, indossava un costume che lasciava scoperto il volto.
Mandò al diavolo il proposito di abbandonare la socia e si lanciò insieme a lei all’inseguimento di Carter - che al solo vederli era sbiancato e aveva tentato fuga - in parte perché non voleva perdersi la scena della Weil che metteva sotto torchio quel mollusco, in parte, la maggior parte, perché desiderava far sparire la delusione che da un paio di giorni a quella parte velava il suo sguardo appena si posava su di lui. Era schifato da se stesso, non solo per averla delusa, ma soprattutto… perché non riusciva a ricordare cosa avesse combinato.
Udì il rumore di un corpo sbattuto prepotentemente contro il muro, e si complimentò mentalmente con Frida, la quale era riuscita a intercettare Carter e, compiaciuta per l’eccellente placcaggio, dimentica per un attimo di avercela con lui, gli rivolse il più luminoso dei sorrisi, quasi ad invitarlo ad essere fiero di lei; gli parve talmente bella in quel momento, che si trattenne a stento dal mandare al diavolo Andrew Carter, Bryce e il resto del mondo per baciarla. Il tutto, però, durò un battito di ciglia, e in futuro William si sarebbe chiesto spesso se non si fosse trattato di un gioco di luci.
–Chi non muore si rivede. Hallo, Andrew. Quanto tempo!
William storse il naso per quel rimando di dubbio gusto alla prematura morte di Aisling Carter, sorella di Andrew, ma rimase in silenzio.
–Toglimi le mani di dosso, o ti denuncio per aggressione!
–Tremo di paura al solo pensiero!- sbuffò la Weil, serrando la presa per fargli capire chi, tra i due, aveva il coltello dalla parte del manico. –Non sprecare ossigeno prezioso tentando di divincolarti. Rispondi onestamente alle mie domande, e ti lascerò andare ad ubriacarti fino a ritrovarti con l’alcool al posto del plasma. No sbronza, no party, ja?
Il guaito da cucciolo maltrattato di Carter intenerì l’animo sensibile di William, che ebbe l’impressione di essere il reale destinatario di quella frecciatina; sconcertato dall’impassibilità di Frida, ebbe sufficiente faccia tosta da farle notare –Ehm, Weil… Credo gli sia un tantino difficile risponderti se lo soffochi.
–Tranquillo- rispose lei con la stessa naturalezza con cui si discutevano le previsioni meteorologiche. –Mutti mi ha spiegato che l’organismo manifesta l’ipossiemia critica con la cianosi; finché non diventa blu, è tutto a posto. Adesso basta chiacchiere, veniamo al sodo: Andrew, potresti fornirci una valida motivazione per giustificare la tua presenza a villa Conworthy la notte della morte di tua sorella, bitte? Macchiarti del suo omicidio rientra le motivazioni valide, natürlich.
La reazione di Carter gli fece provare, se possibile, ancora più pena per lui: si mise a singhiozzare come un animale ferito allo stremo delle forze. L’atteggiamento aggressivo di Frida non lo incentivava certo ad aprirsi. William non riuscì a trattenersi oltre: spronato dal pensiero che Frida ce l’aveva comunque a morte con lui, tanto valeva compiere un atto di coraggio, si appellò a tuttala propria forza interiore per ribattere –Adesso basta! Tu non sei Torquemada e questo non è un processo dell’Inquisizione. Comportati con un minimo di umanità, cazzo!
L’occhiata sprezzante della Weil gli fece temere che lo avrebbe pestato a sangue, invece, dopo un attimo di esitazione, esalò un secco –E va bene!- e liberò Andrew, che si accartocciò su se stesso e guaì –Perché non mi lasciate in pace? Non è abbastanza aver perso una sorella? Aisling si è suicidata!
Schwachsinn!4- tuonò Frida, livida. –Aisling non era nelle condizioni per suicidarsi, lo sai meglio di me.  L’hai vista, l’hai portata nella sua stanza, l’hai aiutata a mettersi a letto e magari le hai pure rimboccato le coperte, da bravo fratello maggiore. Stai negando l’evidenza per mettere a tacere un inutile senso di colpa: credi che, se non te ne fossi andato, se non l’avessi lasciata sola, Aisling non sarebbe morta. Beh, notizia bomba: se non te ne fossi andato, adesso non staremmo qui a discutere, perché, molto probabilmente, saresti sotto terra anche tu! O è stata cremata?- qualcosa nell’espressione di Andrew le fece intuire che era pronto a capitolare, e aggiunse –Verstehest du das nicht?5 Io non bisogno che tu mi dica per quale più o meno assurda ragione ti trovavi alla villa; ci arriverò da sola, con la mia intelligenza, che tu collabori o no. Ti sto soltanto offrendo una chance di darmi la tua versione dei fatti, e spero vivamente che la tua abilità di narratore sia migliorata, dal nostro ultimo incontro.
Il cenno di assenso e il sorriso conciliante di William gli diedero il colpo di grazia; Andrew si coprì il viso con le mani e confessò –Dovete giurare che non lo direte a nessuno, specie alla polizia. Sì, ero alla villa quella sera. Immagino ve l’abbia detto Nita. Ciò che Nita non sa, che non nessuno avrebbe mai dovuto sapere, è che ero lì per … lasciamo perdere. Non capireste. Quello che per pochi è un atto d’amore e coraggio, per molti è omicidio.
–Prova a spiegarci.
–Cosa c’è da spiegare? Ha praticamente confessato!- sbraitò Frida, scoccando a Carter un’occhiata di profondo disprezzo.
William riflettè che, a quel punto, tanto valeva contraddirla fino alla fine.
–A me non sembrava una confessione, e, anche se fosse, Andrew potrebbe spiegarci perché l’ha fatto. Si tratta comunque di un atto che non si compie a cuor leggero.
–Ehi! Non ho confessato un bel niente, anche perché non ho fatto niente! All’ultimo momento ho ceduto; non potrò mai perdonarmelo. Rory è ancora in gabbia, ed è tutta colpa mia.
–In che senso?
–Nell’unico senso possibile- ringhiò Andrew. –Immaginate di essere imprigionati nel vostro corpo, costretti a letto, incapaci di muovervi, di parlare, di mangiare, di bere, di respirare autonomamente. Le pareti della stanza che prima occupavate soltanto per dormire sono diventate il vostro orizzonte. I giorni si susseguono tutti uguali, uno dopo l’altro, e siete consapevoli che la situazione potrà solo peggiorare. Dopo un po’, si inizia a vedere una sola via d’uscita. Vi sembra libertà, questa? Vi sembra vita? A me no, e neppure a Rory. Credo che Aisling avesse trovato un modo per comunicare con lei, perché mi disse che l’aveva supplicata di liberarla da quell’esistenza infelice. Non sono un mostro, voglio bene alle mie sorelle, anche se a volte può sembrare il contrario.
–Non ho fratelli o sorelle, però credo sia normale provare frustrazione nel sentirsi messi da parte. Anzi, mi sorprende che tu non sia ricorso ad azioni pericolose o autolesive per attirare l’attenzione.
–Ho smesso quando mi sono accorto che non faceva alcuna differenza: sarei sempre stato il nipote invisibile. Aisling mi riferì della richiesta di Rory, aggiungendo che aveva pianto dalla disperazione. Lessi tra le righe che non avrebbe mai rischiato la galera per esaudire quello che, nei suoi piani, sarebbe stato il suo ultimo desiderio. Ripensai a quando giocavamo da piccoli; a me toccava sempre la parte del principe che doveva salvare le principesse dal drago o l’orco di turno. Decisi che sarei stato il principe di Rory per l’ultima volta, salvandola dal mostro peggiore di tutti. Ora che sapete, cos’avete intenzione di fare, denunciarmi? Per cosa, poi? La codardia non è illegale, e non si può nemmeno parlare di tentato omicidio: non ho tentato niente.
–In pratica, volevi essere l’angelo della morte per tua sorella. Cos’è andato storto? Aisling ha provato a fermarti e l’hai uccisa per tenerle la bocca chiusa?
–Ma se poco fa hai detto che Aisling era sedata! Anche volendo, come avrebbe potuto fermarmi? Oltretutto, era stata lei a dirmi del desiderio di Rory. Volevo ridarle la libertà, tutto qui… ma immagino sia un concetto troppo difficile da capire.
–Tutt’altro- lo contraddisse William, incurante dei mormorii di disapprovazione di Frida. –Sono convinto anch’io che Zoè non sia sinonimo di Bios. Non è un caso che gli antichi Greci usassero due parole distinte per definire il termine “vita”: la vita in sé per sé non implica una vita degna di essere vissuta. Persino il più primitivo organismo unicellulare ha una Zoè, ma solo l’uomo è capace di apprezzare a pieno il dono della vita, in quanto cosciente della sua mortalità. In altre parole, l’uomo è l’unico essere vivente dotato di Bios; perderla, equivale a morire.  
–Esatto!- esclamò Andrew, meno sulla difensiva. –Volevo solo che mia sorella smettesse di soffrire. Non stavo facendo nulla di male.
–Nell’antica Grecia, forse- intervenne Frida. –Ma, sfortunatamente per voi, ci troviamo nel ventunesimo secolo, dove portare qualcuno all’altro mondo anzitempo è considerato omicidio, a prescindere dalla nobiltà del movente!
–Fortunatamente per te ci troviamo nel ventunesimo secolo, o non avresti il diritto di parlarci così, donna!- la redarguì aspramente William.
Frida non riuscì a trattenere Zelda: si avventò sull’australiano, che riuscì a scansarsi appena in tempo, facendola sbattere contro il corrimano delle scale. La ragazza, seppur piccata, non si arrese, e ringhiò –Non ti è bastato lo schiaffo di prima? Vuoi anche un calcio nelle palle?
–La minaccia di violenza è l’ultimo rifugio di chi ha esaurito le argomentazioni. Vorrei che allargassi i tuoi orizzonti, Weil: il fatto che un’azione sia illegale non la rende automaticamente immorale!
–Peccato che viviamo in uno Stato di diritto, non nel far West. L’omicidio non è disobbedienza civile, è un atto immorale e illegale!
–Alleviare le sofferenze di un altro essere umano non è omicidio!
–Al momento attuale, lo è, perciò sei still6, non sprechiamo fiato per una discussione inconcludente. 
Tirava palesemente una brutta aria, tanto che Andrew fu tentato di sgattaiolare via. Lo trattenne la certezza che Frida lo avrebbe riacciuffato, e il suo esile corpo non avrebbe retto un secondo placcaggio. Pertanto, con le membra dolenti e l’orgoglio ferito, sbuffò –Se non c'è altro, vi lascerei bisticciare come una vecchia coppia di sposi.
–Ancora una domanda: se non sei stato tu, chi pensi abbia potuto far fuori tua sorella?
Andrew si grattò il mento, mentre soppesava le varie possibilità.
–Ammesso e non concesso che mia sorella non si sia suicidata… mi verrebbe da puntare il dito contro Nita. Erano amiche praticamente da sempre, e so per esperienza quanto possa essere difficile vivere all’ombra di qualcuno a cui tieni.
–Capisco- sibilò la Weil. –Vorrei parlare con i tuoi nonni, se possibile. Con discrezione, natürlich.
–In occasione dei due mesi dalla morte di Aisling, i miei nonni terranno un memoriale in suo onore. Mia sorella conosceva un sacco di gente, mescolarvi tra gli ospiti è il modo più facile per incontrarli senza destare sospetti.
Wunderbar! Grazie per la collaborazione, non me l’aspettavo.
–Se servirà a evitarmi altre imboscate…
Frida lo osservò allontanarsi pensierosa, dopodiché sbuffò –Spero che tu abbia un abito nero, socio.
–Mio padre sarà deliziato di accompagnarmi a comprarne uno e darmi qualche lezione di stile: dice sempre che vesto come un portuale di Mackey! Comunque, ora che siamo soli, potresti spiegarmi perché ce l’hai con me?
Frida si girò deliberatamente dall’altra parte.
–Stai diventando paranoico, Liam. Nessuno ce l’ha con te!
–Non offendere la mia intelligenza, Weil! Ho combinato qualcosa, al compleanno dei gemelli, qualcosa di grosso… e non riesco a ricordare cosa, dannazione!
–Se ti interessa scoprire cosa hai combinato per poterti flagellare, sappi che puoi chiedermi scusa anche senza saperne la ragione, le accetterei lo stesso. O è una questione di principio?
–La seconda.
“Avrei dovuto prevederlo. Maledetto kantiano del cazzo!”
Frida esternò il proprio disappunto gesticolando e soffiando come un gatto arrabbiato –È una stupidaggine, davvero! Credimi, Liam, non è utile a nessuno rivangare…
–Dimmelo subito!- ruggì William, furente.
–Cedo alla violenza- gnaulò Frida. –Visto che ci tieni tanto: in preda ai fumi dell’alcool, mi hai chiesto di essere la tua ragazza.
La fissò incredulo per qualche secondo, mentre assimilava l’informazione. Si era arrovellato per due giorni… per questo?
–Tutto qui? Sul serio? Dev’esserci dell’altro, non te la saresti presa per una sciocchezza simile. Sei troppo intelligente. O devo credere che il tuo atteggiamento sia frutto dell’imbarazzo per avermi rifiutato?
Piccata, Frida sputò il rospo che teneva in corpo da due giorni.
–Chiunque sano di mente ti avrebbe rifiutato! Vuoi sapere cosa sei stato capace di dire e fare ubriaco perso? Ebbene, caro il mio Liam, nell’ordine: hai iniziato a blaterare su quanto mi trovi sexy, mi hai baciata - e sarebbe stato bello, se il tuo alito non avesse odorato di alcool - hai provato a infilare le mani sotto la mia maglia e, quando ti ho scostato - con non poca fatica; sei fastidiosamente persistente - mi hai chiesto di diventare la tua ragazza nel modo più becero possibile. “Ah, già, dimenticavo: sei una di quelle. Che palle! Ma se è quello che serve ad averti tutta per me… in fondo, potrei capitare peggio. E poi, se andasse male posso sempre lasciarti”. Devo continuare?
–Io… non posso… non posso averlo fatto. Non è da me!
–Oh sì, invece. Volevi che ci mettessimo insieme per… infiocinarmi, traforarmi o come cavolo si dice oggigiorno perché scopare non è educato!
–Vedi il lato positivo: sono stato sincero!
–Sei stato una merda! E io in questo momento ti detesto! Ah, in tutto ciò, non ti ho ancora detto la parte peggiore: quando ti ho risposto che dopo un comportamento del genere mi avresti vista nuda soltanto se avessi assistito alla mia autopsia, hai pronunciato la frase più orrendamente sessista e infamante che sia mai uscita dalla tua bocca.
–Weil, mi dispiace…
–“Cielo, quanto la fai difficile! A volte sai essere insopportabile. Se tua madre da giovane era così, non mi stupisce che mio padre l’abbia mollata!”
“Merda, merda, merda! Entità superiore in cui non credo, fulminami qui e subito!”
–Oh, cazzo! Non so cosa dire…
William allungò una mano, ma Frida si tirò indietro: ne aveva abbastanza.
–Spero sarai d’accordo con me che quando non si ha niente da dire, è meglio non dire niente. Possiamo, per favore, fingere che non sia mai accaduto e andare avanti con le nostre vite?
–Sono stato un coglione. Un vero deficiente. Un… parente di Bryce. Cosa posso fare per rimediare?
Lo consolò constatare che la battuta su Bryce l’aveva divertita; perlomeno, non lo odiava al punto da rifiutarsi di condividere con lui momenti di ilarità. La sua risposta, poi, accese un barlume di speranza: non tutto era perduto.
–Aiutami a risolvere il caso, e prenderò in considerazione l’idea di perdonarti. Ci stai?
–Sì.
 
Note dell’autrice
Chissà cosa succederà al memoriale di Aisling Carter... 😉
Spero vi sia piaciuto (o non troppo dispiaciuto) il tocco di drama: ho pensato servisse a spezzare la tensione. Elev, perdonami per aver maltrattato il tuo colonico del cuore!
Sulla scena a inizio capitolo: non me ne vogliate, ma ho sempre trovato disturbante l’idea del belloccio di turno che si infila nella camera della ragazza - o in qualunque altro luogo - per fissarla mentre dorme. Letteratura e cinema hanno inculcato il concetto che osservare l’amato che ronfa beato sia romantico; mi permetto di dissentire: è inquietante, porca di quella miseria! (passatemi il linguaggio)
Tutto questo preambolo per mettere in chiaro che la scena a inizio capitolo è un rovesciamento/presa in giro del classico topos della bella addormentata: per quanto William sia un bel ragazzo, mentre dorme non ha certo un’aria angelica, e la sua reazione al risveglio è quella che ritengo essere fisiologica in situazioni del genere.
Detto questo, mi aspetto di venire lapidata, per questo ed altro, in tre, due, uno…
Alla prossima (se sopravvivo)!
Buon Natale e buon anno nuovo! Vi auguro di trascorrere le feste serenamente in compagnia di tutti i cari consentiti dal DPCM. Ci rivediamo a gennaio!
Serpentina
PS: in giro ci sono davvero Daenerys, Khaleesi, Arya, Sansa e compagnia bella. Quando le passioni dei genitori si riversano sui figli!

1Forse
2 Non preoccuparti, ho capito
3Perchè?
4Stronzate!
5Non ci arrivi?
6Taci

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Bittersweet symphony ***


Bentrovati! Spero abbiate trascorso delle feste serene, nonostante tutto. Un po’ in ritardo, auguri di un 2021 infinitamente migliore dell’anno che lo ha preceduto.
Ormai è tradizione che consigli un sottofondo musicale per la lettura; stavolta ho scelto il brano che dà il titolo al capitolo: “Bittersweet symphony” (che non ha bisogno di presentazioni).
Bando alle ciance: anno nuovo, capitolo nuovo, che farà felici (credo… spero) i fan di mamma Faith. 😉
Buona lettura!
 
Bittersweet symphony
 
“–Che mi dici dell'amore?
–Sopravvalutato. Biochimicamente, non è diverso da una grande scorpacciata di cioccolata”.
L'avvocato del diavolo
 
Distesa sul letto, Frida Weil fissava torva il soffitto, quasi aspettandosi di riuscire a bucarlo con la sola forza di volontà. Non desiderava altro che un salvagente, per non annegare nel mare in tempesta delle emozioni che la stavano scuotendo dalle fondamenta. Tutto per colpa di quel “kantiano del cazzo”. Maledisse la propria debolezza: lo aveva lasciato avvicinare troppo, gli aveva permesso di deluderla. Come aveva potuto essere così stupida?
Glückwunsch, Frida, du bist die würdige Tochter deiner Mutter! Und er seines Vaters. Übrigens, der Apfel fällt nicht weit vom Stamm.1 Cos’altro avrei dovuto aspettarmi dall’erede di una stirpe di Scheißkerle, figlio del bastardo che ha fatto soffrire Mutti? Vorrei non averlo mai incontrato!”
Odiava sentirsi così; inerme, impotente, abbattuta, ma allo stesso tempo piena di una rabbia che le premeva contro le viscere, pronta a esplodere con la potenza di una supernova. Neppure la playlist di musica deprimente impostata da Pandora, l’intelligenza artificiale di casa, era riuscita a placare il bruciante desiderio di urlare e spaccare qualunque cosa le capitasse sotto mano. Forse rileggere per la quinta volta “L’urlo e il furore” non era stata una buona idea; un manuale sulle tecniche di rilassamento sarebbe stato una lettura più appropriata, ma era impossibile per lei resistere al richiamo di Faulkner. Non potendo permettersi il lusso di urlare, in un impeto di quel furore che ormai faticava a reprimere, afferrò il libro che teneva poggiato sulla pancia e lo scagliò dall’altro lato della stanza, per poi rannicchiarsi in posizione fetale, volgendo lo sguardo alla finestra. Non si era preoccupata di tirare le tende o abbassare la tapparella. Sapeva che quella notte non avrebbe chiuso occhio; avrebbe atteso l’alba osservando le tremule luci della città sbiadire nell’aria sempre più pallida e chiara.
Avvertì il bisogno impellente di confidarsi con qualcuno, e l’unica persona che avrebbe sicuramente trovato sveglia e recettiva a quell’ora antelucana era...
 –Hallo, Aidan! Ti disturbo?
–Frida? Hai idea di che ore sono?- esalò il destinatario della videochiamata, reduce da una giornata di studio pazzo e forsennato, prima di inforcare gli occhiali.
–Secondo il tuo fuso orario, le dieci di sera. Non prestissimo, ma…
–Veramente, qui a Boston sono le undici e… due minuti- precisò lui, scuotendo il capo divertito all’immediata replica di Frida (“E’ comunque un orario semi-decente per romperti le scatole!”). –Infatti, quello che intendevo è: hai idea di che ore sono a Londra?
–Le quattro del mattino- rispose la ragazza col tono pratico di chi annuncia le previsioni meteorologiche. –E allora?
–E allora... ti pare normale chiamare qualcuno alle quattro del mattino?
Auf keinen Fall!2- esclamò Frida, ansiosa di andare al punto. –Infatti ho chiamato te, che vivi cinque ore indietro.
“Logica inattaccabile!”
–Lasciamo perdere. Sono talmente contento di sentirti che sorvolerò sull’orario. Mi sono mancate le nostre chiacchierate, piccoletta.
La Weil realizzò, con un misto di sconcerto e compiacimento, di non provare lo stesso; non aveva pensato a lui nemmeno per un secondo, dopo la sua partenza per gli Stati Uniti. Certo, teneva ancora ad Aidan, ma sentiva di essersi tolta dal cuore lo scomodo peso di quell’assurda cotta che avrebbe avuto chance di essere ricambiata soltanto in una commedia romantica per adolescenti (e lei odiava le commedie romantiche). Se suo cugino Ernst avesse potuto assistere alla conversazione, le avrebbe di sicuro detto che era sulla via della guarigione dalla “Aidanite”.
Mise a tacere la voce fastidiosa che le ricordò il fondamentale contributo di un certo abitante delle colonie al processo di guarigione, e  celiò, esibendo un sorriso affettuoso –Anche a me. Scusa davvero per l’ora, ho assoluto bisogno della tua saggezza da fratello maggiore.
Gli raccontò per filo e per segno delle disastrose avances di William alla festa dei gemelli e di come avesse cercato di tenerlo all’oscuro di tutto, approfittando dell’amnesia indotta dall’eccesso di alcolici. Naturalmente, omise il dettaglio della passata relazione tra sua madre e Mr. Wollestonecraft: i suoi (pochissimi) difetti non includevano la propensione al pettegolezzo.
–Accidenti! E dire che pareva un bravo ragazzo!- commentò Aidan, incredulo. –Però, come sempre, nessuna delle parti coinvolte è senza colpa. Hai sbagliato anche tu: quante volte devo ripeterti che fingere che non sia successo non è la soluzione, è la fonte di ogni complicazione? Detesto rimproverarti, ma preferisco essere sincero: stavolta ti sei comportata da ragazzina viziata e immatura. Se William non ti avesse pressata per conoscere la verità, lo avresti privato dell’opportunità di farsi un esame di coscienza e rimediare al suo errore; e tutto solo per non dover rivivere un momento di disagio. È gravissimo!
Frida chinò il capo, in parte per l’imbarazzo di essere stata redarguita come una bambina, in parte perché colpita dalla verità di quelle parole. Inconsciamente, il pensiero volò proprio a William: se fosse stato al posto di Aidan, avrebbe, con ogni probabilità, pronunciato un discorso del genere. In effetti, quando gli aveva rivelato la verità, si era mostrato sinceramente mortificato per quello che aveva fatto, e le aveva subito chiesto come rimediare; sebbene le sue scuse, per quanto sentite, non bastassero a pareggiare i conti, Frida fu costretta ad ammettere che si poteva dubitare di molte cose, ma non della sua buona fede. Ben presto, tuttavia, il senso di colpa venne sostituito dalla frustrazione: lei era Frida Weil, praticamente perfetta sotto ogni aspetto, non avrebbe dato ad un Cartridge, né a nessun altro, la soddisfazione di farle ammettere un errore.
–È più grave  quello che ha fatto lui!- ribatté, mettendo il broncio. –Mi ha delusa.
Ad Aidan scappò una risatina: era tipico di Frida non cedere senza combattere. In una storia di fantasia, molto probabilmente sarebbe stata la cattivissima di turno che riesce ad uccidere l’eroe un istante prima di esalare l’ultimo respiro.
–Un crimine imperdonabile. Tagliategli la testa!- replicò, sforzandosi di tornare serio. –Una persona può deluderti soltanto se ti importa di lei, Frida. E se ti importa abbastanza da lasciare che ti deluda, allora ti importa di lei abbastanza da perdonarla… a tempo debito.
Non era la risposta che si aspettava, eppure, a quelle parole, Frida si sentì sollevata: non l’avrebbe ammesso nemmeno a se stessa e sotto tortura, ma era segretamente felice di poter sperare che, prima o poi, sarebbe stata capace di perdonare William… dopo una congrua espiazione, naturalmente.
Vielen Dank. Grazie mille, Aidan, mi sento decisamente meglio. Tu, invece, come stai? Come ti sta trattando l’America?
–Abbastanza bene. Gimpsky è un osso duro, mi spreme come un limone, quindi finora ho avuto una vita poco movimentata, ma non posso lamentarmi… se non per le botte in testa che mi rifila Mariposa - la figliastra del prof - quando- "Mi becca a fissare il culo di sua sorella" –Non mi ritiene sufficientemente dedito allo studio.
–Tu... poco dedito allo studio. Tu. Aidan James Cartridge. Non ci crederei neppure se lo vedessi: sei talmente nerd che c’è la tua foto accanto alla definizione sul dizionario!
Aidan arrossì; l’incapacità di dissimulare le emozioni era una delle qualità che Frida apprezzava maggiormente in lui; lei non ne sarebbe mai stata capace, aveva troppa paura di mostrarsi vulnerabile.
Non potè non ridacchiare –Scommetto che è questa Mariposa la causa della tua distrazione. Bin ich richtig?
–Mariposa? La scienziata pazza specializzata in esplosioni, che per mia disgrazia frequenta il mio stesso dipartimento? Neanche se fosse l’ultima donna sulla Terra! È una minaccia per la società civile! No, no, è sua sorella  Jodie che…
–Ti “distrae”- scherzò Frida, piacevolmente sorpresa dalla naturalezza con cui stava affrontando quella conversazione. Niente cuore gonfio da scoppiare, niente graffi e morsi del mostro dagli occhi verdi, soltanto quattro chiacchiere in amicizia. –Descrivimela.
–Non "distrae" soltanto me, purtroppo. Nonostante sia una matricola, è molto popolare. Meglio se la cerchi sui social, sono una frana nelle descrizioni. Quanto mi piacerebbe potertela presentare, piccoletta. Ti piacerebbe. È un vero angelo!
Ein Engel? Scheiße, hai scelto la parola giusta per farmi passare la voglia di conoscerla. La sorella bombarola, invece… lei sì che sembra un tipino interessante! Presentami lei, se mai dovessi venire a trovarti!
–Non è una bombarola- esalò Aidan. –Studia chimica, ed è pure brava. Solo, ha il vizio di dilettarsi a creare miscele esplosive e/o viscide, tipo gli Slimo. Non ricordo se fossero ancora popolari quando andavi a scuola; erano questi ammassi amorfi che si appiccicavano dappertutto. Confesso di averne infilato qualcuno tra i capelli delle mie compagne di classe, quando ero ancora giovane e folle. 
“Senti senti… la difende! Lui può chiamarla minaccia per la società, io però non posso darle della bombarola. Oh, Aidan, sei così facilmente manipolabile che provo quasi pena per te: sei troppo buono per questo mondo!”
–So cosa sono gli Slimo, grazie tante! E tu non sei mai stato folle, non dire scemenze! Comunque, rinnovo il mio desiderio di conoscere la tua scienziata pazza.
Aidan non era ingenuo come appariva: si era accorto dell’uso dell’aggettivo possessivo, ma non aveva avuto cuore di correggere Frida, che fin da piccola si era messa in testa l’idea di accoppiare amici e parenti, come aveva fatto a suo tempo la madre, non a caso soprannominata “Asso di cuori”. Lo rassicurava la consapevolezza che la considerevole distanza lo avrebbe protetto da qualsiasi machiavellico tentativo di incollarlo a chiunque non fosse Jodie Gimpsky.
–Scienziata pazza e Cerbero. Se e quando verrai a Boston, te la farò conoscere. Quel che è peggio, è che Jodie tiene in grande considerazione il giudizio della sorella: se voglio sperare di avere anche solo una misera possibilità con lei, devo ingraziarmi Mariposa.
“Sul serio? E, nonostante ciò, gli piace? Un’invertebrata che non sa manco decidere da sola se uscire o no con un ragazzo? Dev’essergli entrato qualche neutrino nel cervello, non c’è altra spiegazione! Mi rifiuto di credere di averlo sempre sopravvalutato.”
Viel Glück! Da come ne parli, ha la testa dura.
–Come l’adamantio. A proposito: alcuni amici dell’università partono domattina per un finesettimana di, cito, “stravizi e depravazione” a New York. Mi avevano invitato ad unirmi a loro, ma avevo rifiutato perché la scienziata pazza è compresa nel gruppo. Parlare con te, però, mi ha aperto gli occhi: non sarò io bloccato per tre giorni nella Grande Mela con lei … sarà lei ad essere bloccata con me. È ora di uscire dal mio bozzolo di asocialità. Spero di essere ancora in tempo! Li avviso e corro a fare i bagagli- si fermò un attimo, pensoso. –Che poi, bagagli… cosa mai potrà servirmi, a parte un cambio e lo spazzolino da denti?
Frida rimase sconcertata quanto lui nel sentirsi pronunciare una frase decisamente più “da Kimberly” che da lei.
Dein Vater direbbe: una vagonata di preservativi!
–Chi sei tu, maliziosa creatura, e cosa ne hai fatto della mia piccola Frida?
Ich frage mich das auch”.3
–Sarò sempre la tua piccola Frida, l’hai detto tu stesso. Gute Nacht, mein lieber Freund, auf Wiedersehen.
 
***
 
–Credi sia diventata sorda e cieca?
Frida trasalì, colta di sorpresa, e imprecò mentalmente in tedesco.
Era entrata in cucina con tranquillità, convinta che i suoi genitori stessero ancora dormendo, invece aveva trovato la madre seduta al tavolo, intenta a bere caffè mentre leggeva delle carte. Conoscendo la tendenza di Faith ad entrare in una bolla dimensionale che la estraniava dal resto del mondo, quando era assorta nella lettura, aveva sperato che, muovendosi nel modo più silenzioso possibile, sarebbe riuscita nell’impresa di prepararsi la colazione e sgattaiolare in camera sua a consumarla senza palesare la propria presenza. Non aveva calcolato l’eventualità che la bolla potesse rompersi nel momento meno opportuno.
Mutti!- pigolò, a disagio, alternando lo sguardo tra sua madre e la porta. –Guten Morgen. Come mai sveglia a quest’ora?
–Potrei farti la stessa domanda, ma al momento ho altro per la testa- rispose freddamente Faith, riferendosi alle carte che teneva in mano.  
Frida sospirò, incapace di incrociare lo sguardo di sua madre: il tarlo del senso di colpa per averla derisa alla presenza di William la tormentava da giorni, spingendola ad evitare il confronto. Le risultava estremamente difficile chiedere scusa: ammettere un errore equivaleva a rivelare un punto debole, offrire all’avversario un pugnale col quale trafiggerla. E, nella sua peculiare visione della vita, l’umanità intera era sua avversaria; le eccezioni si contavano sulle dita di una mano. Se avesse avuto il coraggio di guardarla, si sarebbe resa conto che l’espressione di Faith non era arrabbiata, quanto piuttosto stanca e sfiduciata, e non per colpa sua.
Si sedette di fronte a lei e trangugiò frettolosamente la colazione, in ansia per un’imminente sfuriata che però non avvenne. Faith, infatti, si limitò ad osservarla con la testa leggermente inclinata di lato e il busto proteso in avanti, sulla difensiva, quasi fosse lei ad aspettarsi di essere aggredita (verbalmente).
Abbandonata definitivamente ogni tentazione di continuare ad ignorare l’elefante nella stanza, Frida si raddrizzò sulla sedia con tutta la dignità consentita a una reduce da una notte insonne con gli angoli della bocca sporchi di caffellatte, e disse –Mutti, ti devo delle scuse. Sono stata una vera Scheißkerl, una Dummkopf della peggior specie, una…
Faith la interruppe con una pacata alzata di mano, curvò le labbra in un sorriso materno e rispose –Non è necessario autoflagellarti, tesoro. Scuse accettate. Non nego che mi abbia ferita, sentirmi rinfacciare una scelta che riguarda solo me e tuo padre, ma ho esagerato. Tra noi due, dovrei essere io la persona adulta e matura, invece me la sono presa per quella che, tutto sommato, è una sciocchezza! Ammetto che, più di tutto, mi ha infastidito sia successo davanti a William. Non che abbia qualcosa contro di lui… adesso che l’ho conosciuto meglio. All’inizio non tolleravo neanche l’idea che respirasse la tua stessa aria. Mi sono lasciata accecare dal pregiudizio, e di questo ti chiedo scusa. Vedi, io… conoscevo suo padre. Intimamente. Sì, insomma… siamo stati insieme per qualche anno- Frida si morse la lingua per impedirsi di spiattellare che sapeva già tutto, ed era esattamente per quello che aveva avvicinato William in primo luogo, e la esortò a continuare. –Avrei dovuto e voluto dirtelo prima; se non l’ho fatto, è stato nel tuo interesse: desideravo risparmiarti l’imbarazzo di scoprire che stai uscendo con il figlio di un ex di tua madre. Lo so, adesso che l’ho detto ad alta voce capisco quanto fosse assurda come idea, e penserai che sono ammattita, ma ti ricordo che ci separano la bellezza di trent’anni: tu sei una ragazza giovane ed emancipata, io una signora - non sposata - di mezza età che non sa cucinare, né stirare…
Frida sospirò, incerta su come rispondere. Sua madre aveva avuto un tale successo nel renderla una persona determinata e sicura di sé, che le risultava difficile empatizzare con chi aveva imparato a mascherare la scarsa autostima da modestia, specialmente perché, ai suoi occhi, Faith era il paradigma della donna di successo. Il fatto che non riuscisse a capirla fino in fondo non significava, però, che minimizzasse le sue insicurezze, anzi: il suo continuo anelare ad una perfezione iperumana, oltre che dal desiderio di realizzazione personale, derivava dalla volontà di renderla fiera di lei, di dimostrarle che era un’ottima madre (un po’ atipica, forse, ma la migliore che le potesse capitare).
Keine Sorge, Mutti, comprendo le tue ragioni. Non eri obbligata a dirmi niente. E sappi che sei la donna più figa che conosco! Riesci a gestire me e Papi, e il lavoro dei tuoi sogni (che, tra parentesi, comporta dover aprire altre persone con la sega). Come direbbe la zia Bridget: tu sì che spacchi i culi! Non sai cucinare? Es ist mir egal!2 C’è Papi che è praticamente uno chef dilettante, e poi esistono il cibo da asporto ed elettrodomestici appositamente progettati per lavatura e stiratura dei panni. Sai com’è, viviamo nel ventunesimo secolo­- allungò una mano verso la madre, sorridendole con calore, e aggiunse –Ora che ci siamo chiarite… ti prego, dimmi che hai un caso interessante per le mani, ich brauche ein bisschen Spaß!3
–Perché no? Un nuovo caso potrebbe finalmente distogliere la tua attenzione dal suicidio di Aisling Carter. Io e tua zia siamo preoccupate per questa tua malsana fissazione- Frida digrignò i denti, ma non ribatté; avrebbe lasciato fossero i fatti a parlare da sé, una volta risolto il mistero. Ride bene chi ride ultimo. –Prima, però, devi guadagnarti l’accesso a questi documenti riservatissimi risolvendo un semplice (per te) indovinello: cinque persone, quattro uomini e una donna, percorrono lentamente una strada senza traffico. Improvvisamente comincia a piovere, per cui gli uomini accelerano l’andatura. La donna no, eppure riesce ad arrivare a destinazione insieme agli uomini, per di più completamente asciutta. Di che colore sono i vestiti degli uomini?
–Wow, Mutti, ti sei superata! Ammetto di aver bisogno di un minuto o due per riflettere. Dunque, vediamo: quattro uomini e una donna… una strada senza traffico… il colore dei vestiti… perché è importante? Mi viene da pensare possa trattarsi di una cerimonia, un’occasione speciale. Una parata? No, troppo poche persone. Un corteo nuziale? No. L’accento sarebbe stato sull’abbigliamento della donna; senza contare che, va bene il detto “sposa bagnata, sposa fortunata”, va bene che è difficile correre sui tacchi, ma nessuna donna sana di mente passeggerebbe tranquillamente sotto la pioggia in un giorno così importante. A meno che… la donna aveva con sé un ombrello?- il cenno di diniego di Faith smentì quella che sembrava una soluzione promettente. –Niente ombrello. Ok. Allora come ha fatto a ripararsi dalla pioggi… ah! Ma certo! Non è un matrimonio… è un funerale! I quattro uomini, vestiti di nero, stanno trasportando la bara con dentro la donna, che quindi arriva al cimitero perfettamente all’asciutto. Ho indovinato?
–Avevi dubbi? Io no! Ho la massima fiducia in te, tanto da rivelarti - in via del tutto confidenziale - che hanno trovato un secondo “Rifiuto Umano” in una traversa di Vauxhall Road. Stesso calibro di proiettile, stesso modus operandi: singolo colpo esploso a contatto in regione occipitale, foro d’uscita poco al di sopra della glabella, il minimo sindacale di sangue e nessun documento sulla vittima. Un lavoro pulito, professionale. Se non si trattasse di criminali, ci sarebbe da ammirarli!
Frida chiuse un attimo gli occhi per figurarsi il percorso del proiettile, quindi trillò, battendo le mani –Tramite diretto dal basso verso l’alto e da dietro in avanti. Il killer era posizionato alle spalle della vittima, letteralmente in posizione di inferiorità.
–Le stesse mie conclusioni- ammise Faith con evidente orgoglio. –Ora, però, basta parlare di sconosciuti trovati morti nei cassonetti dell’immondizia. Basta giraci intorno: qualcosa ti turba, tesoro. Cosa c’è?
Quella singola domanda bastò a ghiacciare l’entusiasmo di Frida, che sbottò –Ho litigato con Liam. Non caverai altre informazioni da me.
–Scommettiamo?- replicò Faith. –Serle mi ha insegnato qualche trucchetto da interrogatorio. Potrebbe essere l’occasione giusta per metterli in pratica.
Fiaccata nel corpo e nello spirito dagli avvenimenti della sera precedente, Frida alzò immediatamente bandiera bianca. Non aveva voglia di discutere.
–E va bene! Se proprio ci tieni a saperlo, al compleanno dei gemelli, Liam ha bevuto troppo e… ehm… lui ha… ecco, ci ha provato. In quel senso. Non ha preso bene il mio rifiuto e… mi ha chiesto di incollarci. Metterci insieme, intendo.  
–Oh!- esclamò Faith. –Credevo steste già insieme. Strana reazione, comunque: di solito, davanti ad un rifiuto, i ragazzi di quell’età non rischiano il ridicolo perseverando con chi che non ha alcuna intenzione di dargliela.
Sconcertata dalla franchezza ai limiti della volgarità di sua madre, Frida, evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo, sbottò –Non è strano. Gli ho ripetuto mille volte che avrei permesso solo e soltanto al mio ragazzo di fare un giro nelle mie mutande (che, per inciso, reputa orripilanti). Ha praticamente ammesso di voler stare con me solo perché sono “una di quelle”; perché era l’unico modo per potermi…
–Farcire come un pudding di Natale?- intervenne Faith, risparmiandole ulteriori imbarazzi, senza smettere per un secondo di fissarla con occhio critico, sconcertata dal comportamento imperdonabile di William almeno quanto dalla rigidità di sua figlia: lui aveva pronunciato parole orribili, era innegabile; però, ci avrebbe scommesso, era stato l’alcol a parlare. –Non molto di classe, lo ammetto… però è stato sincero. Un punto a suo favore.
–Sincero? È stato uno stronzo!
–Tesoro, potrai strafregartene del tuo aspetto, però non hai specchi di legno in camera: non perché sei mia figlia, ma sei una bella ragazza. Grazie al cielo, somigli a tuo padre! William non è certo l’unico ad fare determinati pensieri su di te. È semplicemente stato l’unico sincero al riguardo. Grazie ad una dose eccessiva di “coraggio liquido”, ma comunque…- scacciò con un gesto teatrale le rimostranze di Frida, e aggiunse –Oh, non fare quella faccia! È perfettamente normale, tesoro: cosa credi abbia pensato di tuo padre la prima volta che l’ho visto? “Ecco l’uomo col quale guardare il tramonto per il resto della mia vita?” No! Ho pensato…
–Preferisco non saperlo- gnaulò Frida, tappandosi le orecchie in caso sua madre decidesse di farle dispetto. –E poi, ho appreso da fonti affidabili che al vostro primo incontro Papi insinuò fossi vestita wie eine Hure.4  
Faith eruppe in una fragorosa risata. Mentre asciugava le lacrime, rispose all’espressione allibita della figlia con un divertito –Non l’apoteosi del romanticismo, te lo concedo, ma questo non mi impedì di pensare avesse un gran bel…
Frida chiuse gli occhi, si coprì le orecchie con le mani e cantilenò –La, la, la, non ti sento! Calma, respiri profondi e regolari. Non sta succedendo davvero. Sono sulla Transiberiana, come ho sempre sognato, non in cucina a parlare dei pensieri sconci meiner Mutter!
–Ehi, tuo padre meritava! Merita tuttora- ridacchiò Faith. –Ok, la smetto. Comunque, se ti va, potremmo trascorrere un po’ di tempo madre-figlia. Io mi distrarrò dai due rifiuti umani, e tu da quel figlio di… suo padre. Ho in mente qualcosa di catartico. Vedrai, ti piacerà. Già che ci sei, estendi l’invito a Nathaniel: Jeff e Demon mi hanno detto che Kimbely l’ha lasciato. Poverino, dev’essere a pezzi!
 
***
 
–L’ho sempre sostenuto, ma adesso ne ho la conferma: tua madre è la donna più figa che conosca!- esclamò Nathaniel, estasiato. –Ha salvato il mio bacon: se non mi aveste raccattato da casa, sarei rimasto tutto il giorno a letto ad affliggermi come un’ameba.
Frida gli rivolse un sorriso radioso, per poi riprendere la propria opera distruttiva con rinnovata energia.
A dire il vero quando, contro ogni previsione, sua madre li aveva condotti in un vicolo che definire losco era un complimento, poi all’interno del posto più strano nel quale avesse mai messo piede, aveva seriamente temuto per la loro incolumità, e non a torto: sembravano essere finiti sul set di un film horror. Tutto - dalle pareti ai pavimenti, dai soffitti, al mobilio - era di colore nero, ad eccezione dei lampadari, di un rosso acceso. L’atmosfera, di per sé opprimente, era resa vagamente inquietante dalla musica elettronica sparata ad alto volume e dalla versione contemporanea di Caronte preposta a scaglionare gli ingressi (oltre che ad assicurarsi il pagamento dell’obolo richiesto).
Di fronte alla sua espressione allibita, Faith aveva reagito con una risata, seguita da un ghigno decisamente poco raccomandabile, dopodichè aveva provveduto a rassicurarla: si trovavano nel “Distretto della distruzione”, dove, dietro pagamento, avrebbero potuto vivere il sogno di una vita: spaccare qualunque cosa capitasse loro sotto tiro senza conseguenze, in realtà virtuale.
Frida, naturalmente, aveva colto al volo l’opportunità di sublimare rabbia e frustrazione seminando caos e distruzione. Aveva potuto sguinzagliare la Zelda che era in lei, dandosi alla pazza gioia. Era nel suo elemento, regina di una città di macerie da lei stessa prodotte. Inoltre, ciliegina sulla torta, Nate sembrava altrettanto felice e destruente.
“Chissà, forse immagina di ridurre Bryce a una polpetta di sangue e budella!”
L’idea non le era dispiaciuta. Nemmeno un po’. E se questo faceva di lei una brutta persona, pazienza: esistevano peccati peggiori.
Quando, allo scadere del tempo, erano riemersi nel corridoio, sudati ma soddisfatti, la Weil aveva chiesto alla madre, sudata quanto lei –Come hai scovato questo posto?
–Questo in particolare? Ci feci un sopralluogo anni addietro. Un tizio morto d’infarto, niente di interessante. Il caso divenne mediatico, e portò alla ratifica di un’apposita legge, che rende obbligatorio autocertificare il proprio stato di salute prima di sottoporsi a qualunque attività stressante, anche se in realtà virtuale. Perlomeno, quel pover’uomo non è morto invano. Onestamente, vengo qui quando ho bisogno di allentare la tensione. Distruggo per creare un nuovo equilibrio interiore. Senza contare che è un ottimo modo per fare esercizio per chi, come me, detesta correre e si annoia in palestra- asciugò il sudore e, ignorando i cenni d’avvertimento della figlia, chiocciò –A proposito di equilibrio… come stai, Nate? Posso solo immaginare quanto stia soffrendo per la rottura con Kimberly. Ho saputo da Jeff e Demon che è stata lei a lasciarti.
Il ragazzo, che fino a quel momento aveva dardeggiato occhiate assassine in direzione di Frida, convinto fosse lei la spia, avvampò, imbarazzatissimo, per poi borbottare –Oh, ehm… Beh, sì, ora come ora sto un po’ come un uovo nello sbattitore, ma passerà.
Si morse la lingua per impedirsi di dire qualcos’altro, qualcosa di cui avrebbe potuto pentirsi: Faith era una cara amica tanto dei suoi genitori quanto di quelli di Kimberly, non voleva metterla a disagio.
–Spero ti sia di consolazione sapere che il tasso di tradimenti e divorzi nelle coppie che stanno insieme dal liceo è venti volte superiore a quello delle coppie formatesi negli anni dell’università- sciorinò Frida, in un maldestro tentativo di confortare il suo più caro amico, per poi replicare alle proteste di sua madre e dello stesso Nate –Che c’è? È vero! Anche piuttosto logico, se ci pensi: si cambia talmente tanto, crescendo, che due persone che stanno insieme fin dall’adolescenza finiranno, prima o poi, col ritrovarsi accoppiate a un estraneo!
Il ragazzo scosse il capo, divertito, più che irritato, dalla totale mancanza di tatto della Weil, e sospirò –Stai dicendo che avremmo finito col cornificarci a vicenda? Bella prospettiva! Tuttavia, sebbene non condivida la tua visione deprimente e assolutista, devo darti in parte ragione: dopo due anni insieme stentavo a riconoscere la Kim di cui mi ero innamorato, figurati dopo dieci! Non eravamo fatti l’uno per l’altra. Mi consola pensare che almeno siamo bruciati, invece di spegnerci lentamente.
–Lascia riposare in pace Kurt Cobain, per favore. Per quanto mi dispiaccia, tocca a me darti ragione: sebbene abbia sempre tifato per te e Kimmy - eravate i miei personali Elizabeth e Darcy - sapevo, in fondo, che non avreste retto la prova del tempo… e della distanza. Se tutto andrà come deve andare, a settembre Kimmy spiccherà il volo verso l’Accademia di Moda e Design a New York, mentre tu frequenterai la Reale Accademia di Arte Drammatica per diventare il figlio che Laurence Olivier e Ian McKellen non sapevano di volere. Realizzare i vostri sogni vi avrebbe allontanati comunque, avete semplicemente accelerato i tempi- asserì Frida, sforzandosi di ignorare la punta di fastidio che le stava perforando il cuore.
Era intelligente, indubbiamente; geniale, persino, ma genialità non era sinonimo di talento, ciò che invidiava a chiunque ne fosse provvisto, compresi i suoi amici: Kimberly era destinata ad entrare nell’Olimpo della moda, Kevin ad incantare il mondo con le dolci note del suo violino e Nate ad emozionare intere platee di spettatori con le sue performance attoriali. E lei? Cosa ne avrebbe fatto della sua vita? L’incertezza sul proprio futuro la angustiava, specie se raffrontata alla determinazione dimostrata da molti suoi coetanei nello scegliere la strada da percorrere; al contrario di lei, che ondeggiava nel mare delle possibilità come una nave senza timone. Si era focalizzata sul presente, persuasa che avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per forgiare il proprio avvenire, ma l’entusiasmo e la determinazione con cui gli amici parlavano delle avventure che li attendevano una volta finita la scuola la facevano sentire in difetto, tragicamente “indietro”, come l’Achille del paradosso di Zenone, condannato a non raggiungere mai la tartaruga. E lei detestava sentirsi da meno rispetto agli altri almeno quanto detestava annoiarsi.
Faith intervenne, stemperando la tensione con una battuta.
–Se dessero la medaglia d’oro per il miglior monologo consolatorio, Frida… non la vinceresti sicuramente- assestò al ragazzo un’affettuosa quanto poderosa pacca sulla spalla e aggiunse –Coraggio, Nate, ci siamo passati quasi tutti. Concentrati su ciò che ti rende felice - la recitazione, ad esempio - e cerca di passare meno tempo possibile a contatto con Kimberly. Ti accorgerai che, prima di quanto immagini, sarai anestetizzato alla sua presenza.
In quel momento, Frida ricevette un messaggio privo di logica dall’ultima persona che si sarebbe aspettata.
Preoccupata (per la salute mentale del mittente) e infastidita (dalla faccia tosta) al tempo stesso, mormorò tra sé e sé –Avevi la mia curiosità, Wollestonecraft, ora hai la mia attenzione- sollevò lo sguardo su Nate e sua madre, che la stavano osservando con aria perplessa, soffiò –Devo andare. Der Arschloch braucht mich6- e corse via, senza dare loro modo di domandarle dove.
 
Note dell’autrice
Premetto che questo capitolo ha subito moltissime modifiche, non da ultimo l’ampliamento del dialogo tra Aidan e Frida. Mentre lo revisionavo, mi è venuta l’idea per un’eventuale (breve) spin-off su di lui, e ho deciso di inserire qualche elemento in Locked-in. Presa dall’ispirazione, alla fine erano venute fuori venti pagine di Word. Troppe, secondo me. Tagliato il tagliabile, le pagine erano scese a quota diciotto. Ancora troppe. Ho quindi preso la sofferta decisione di tagliare l’ultimo paragrafo, il più corposo, e inserirlo nel prossimo capitolo. Perdonatemi, fan del colonico!
Ma veniamo al povero Nate: venghino, siore, venghino! Qualche volontaria si offre di consolare questo baldo giovane? Frida non ha fatto un gran lavoro! XD
Per favore, non giudicatela troppo duramente. In questo capitolo è particolarmente sgradevole, lo riconosco, ma non è colpa sua, è che l’ho scritta così. Preparatevi: nel prossimo sarà persino peggio!
Quanto a Faith: inizialmente non contavo di renderla un personaggio tanto presente; poi, però, mi sono resa conto che non si sarebbe mai astenuta dal ficcare il naso negli affari della figlia (nei limiti della decenza). Permissività (senza eccessi) e comprensione sono una cosa, la negligenza parentale un’altra.
Per chi avesse bisogno di un ripassino di filosofia, il Paradosso di Achille e la tartaruga  è uno dei paradossi più famosi di Zenone; afferma che se Achille (detto "piè veloce") venisse sfidato da una tartaruga nella corsa e concedesse alla tartaruga un piede di vantaggio, non riuscirebbe mai a raggiungerla perché dovrebbe prima raggiungere la posizione occupata precedentemente dalla tartaruga che, nel frattempo, sarà avanzata raggiungendo una nuova posizione che la farà essere ancora in vantaggio. Questo stesso discorso si può ripetere per tutte le posizioni successivamente occupate dalla tartaruga e così la distanza tra Achille e la lenta tartaruga, pur riducendosi verso l'infinitamente piccolo, non arriverà mai ad essere pari a zero.
Ps: l’adamantio è una lega metallica immaginaria virtualmente indistruttibile presente nei fumetti della Marvel Comics; è il materiale di cui è fatto lo scudo di Capitan America.
1Complimenti, Frida, sei la degna figlia di tua madre! E lui di suo padre. D’altronde, la mela non cade mai lontano dall’albero.
2Assolutamente no!
3Me lo chiedo anch’io.
4Come una puttana.
5Ho bisogno di divertirmi un po’.
6Lo stronzo ha bisogno di me.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Williamsofia ***


Salve salvino! Mi scuso per l’attesa, purtroppo (o per fortuna, a seconda dei punti di vista) quest’ultimo periodo è stato pieno di impegni lavorativi, lasciandomi pochissimo tempo per scrivere.
Come sempre, grazie ai lettori silenziosi e a chi recensisce la storia. * manda baci *
Chi shippa, o anche solo adora vedere interagire, William e Frida avrà parecchie soddisfazioni da questo capitolo. 😉
Vi lascio i link ai brani che mi hanno ispirata: "Mantra" e "Medicine" dei BMTH.
 
Williamsofia
 
“Ma l'amore è cieco e gli amanti non possono vedere le piacevoli follie che essi commettono.”
William Shakespeare
 
Cyril Wollestonecraft si era spesso chiesto se il suo unico figlio avesse qualche difetto della termoregolazione: non era possibile che avesse sempre caldo! Poteva capire in Australia, dove il clima tendeva al mite quasi tutto l’anno, ma non in Inghilterra, dove da settembre ad aprile imperava un freddo umido che penetrava fin dentro le ossa. Eppure, l’unica volta in cui non l’aveva sentito lamentarsi era stata quando, otto anni prima, avevano trascorso le festività natalizie in Finlandia.
Da quando abitavano sotto lo stesso tetto, ogniqualvolta William faceva una doccia rigorosamente gelida, o entrava nel suo campo visivo coperto soltanto dalle mutande, non poteva non pensare, con una punta d’invidia, “I miracoli degli ormoni” o “Beata gioventù”. Seguiva un mezzo rimprovero con annesso invito a coprirsi.
–Cristo santo, Will! Mettiti qualcosa addosso, non sei Tarzan! E se arrivasse all’improvviso un ospite?
Quella domenica lo aspettava al varco: era di pessimo umore, e non desiderava altro che una valvola di sfogo. Ormai conosceva abbastanza bene le abitudini di William da sapere che sarebbe rimasto chiuso in camera a fare non si sa cosa (sperava ardentemente che la musica ad alto volume - si complimentò mentalmente con se stesso per avergli trasmesso il suo buon gusto almeno in un ambito - servisse da catalizzatore per il suo estro artistico, non da copertura per “strani rumori” derivanti da attività disdicevoli) fino a mezzogiorno, per poi fare capolino in salotto e chiedere a che ora e cosa avrebbe pranzato, ché moriva di fame. Guardò l’orologio: erano le undici. “Meno uno”, pensò, prima di riprendere la lettura del giornale domenicale. Poco dopo, un insistente bussare alla porta interruppe la sua quiete.
–Dannazione! Chi osa rompere le scatole la domenica mattina?
 
***
 
–Sono qui per vedere Liam e lo vedrò, Mr. Wollestonecraft. Nudo, se necessario. Non mi scandalizzo mica! Ho visto di tutto e di più nei libri dei miei genitori… sono medici, nel caso se lo stesse chiedendo.  
William avrebbe riconosciuto quella voce tra mille. Rimase paralizzato, mentre una macchia di inchiostro di china si spandeva sul foglio, fortunatamente senza intaccare la sua ultima creazione.
“Com’è che si dice? Parli del diavolo e spuntano le corna”.
Nel suo caso, il diavolo era una diavolessa dai capelli neri e gli occhi di ghiaccio, che mai avrebbe sperato di rivedere così presto dopo la loro ultima discussione. Invece era lì, a casa sua, a scambiare convenevoli con suo padre, mentre lui, in preda al panico, si sforzava di mantenere un minimo di concentrazione e padronanza di sé.
Sentì dei passi in avvicinamento, e realizzò con orrore di non avere tempo a sufficienza per rendersi presentabile e occultare la sua ultima creazione. Diede quindi priorità a quest’ultima: non poteva assolutamente rischiare che la Weil vedesse quello che considerava, con ragione, il suo miglior lavoro finora; puritana com’era, lo avrebbe ammazzato di botte.  Lo aveva definito un pervertito solo per averla ritratta con una generosa scollatura e le gambe in bella vista; come avrebbe reagito, se avesse scoperto che stavolta l’aveva disegnata completamente nuda?
Mise al sicuro il disegno e sorrise, autocompiacendosi del prodotto della sua creatività (e una notte insonne): il ritratto a mezzo busto di Frida sotto un getto d’acqua di ignota provenienza - il soffione di una doccia? Una cascata? - trasmetteva sensualità senza scadere nel volgare. La ragazza, girata di tre quarti, teneva il capo reclinato all’indietro, gli occhi chiusi, la bocca semiaperta, l’espressione estatica. Forse per la sensazione rinfrescante dell’acqua che scivola sulla pelle, forse per… altro.  Dei due arti superiori, infatti, solamente uno era visibile, poggiato al torace di modo che la mano potesse arrivare a coprire il seno controlaterale; l’altro si vedeva per metà, lasciando all’immaginazione indovinare se giacesse immobile lungo un fianco, o se invece avesse deviato verso zone del corpo più interessanti. Si complimentò con se stesso: si era davvero superato. 
Aveva appena nascosto l’opera d’arte, quando la porta della sua stanza si spalancò e sulla soglia apparvero Frida e suo padre. Sorrise sadicamente nel constatare che la Weil era rimasta a bocca aperta, e per dispetto si sedette scompostamente, a gambe larghe, lasciandone una penzoloni dal bracciolo della comoda sedia ergonomica che gli era costata un occhio della testa, ma gli aveva salvato la schiena. Il sorriso si allargò quando vide la sua faccia assumere il colore di un pomodoro maturo.  
“Guarda guarda, la principessina è imbarazzata! Ma come? Non si vantava di aver visto di tutto nei libri di mammina e papino?”
Lei, dal canto suo, era imbarazzata non tanto dalla reazione in sé, che reputava fisiologica, quanto dalla sua incapacità di dissimularla. Credeva, infatti, che aver spulciato gli atlanti di anatomia ihrer Eltern1 l’avesse anestetizzata a certi “panorami”; invece, accidenti a lei, suo malgrado era arrossita come una scolaretta (e poco importava che a tutti gli effetti lo fosse, una scolaretta), incapace di distogliere lo sguardo e mantenere un minimo di contegno.
“Smettila di fissarlo! Ha i boxer. Attillati, ma pur sempre boxer. È come se fosse in costume, e non c’è assolutamente niente di speciale in un tizio in costume, richtig? Inspira, espira. Inspira, espira. Di’ qualcosa, verdammt2, o sein Vater ti prenderà per pazza!”
Guten Morgen, Liam. Herrgott3! Hai un aspetto orribile!
“Ah, però! Dritta al punto!”
–Neppure tu sei una pesca, Weil. Vai da qualche parte? Hai un set di valigie sotto gli occhi da far paura!
Dall’espressione costernata di suo padre intuì da che parte stava e, sarcasmo a parte, non poteva dargli torto: da quale pulpito si era permesso di criticare l’aspetto della Weil, mille volte migliore del suo (sebbene lontano anni luce dalla consueta perfezione quasi ultraterrena)? Non solo aveva l’aria sbattuta di chi ha passato una notte in bianco (quando veniva colto dall’ispirazione la lasciava fluire liberamente, a prescindere dall’ora), non si era neanche dato pena di infilare la vestaglia e, dulcis in fundo, non si era ancora lavato e pettinato. Insomma, era l’opposto dell’immagine di Adone lindo e pinto che il genitore pretendeva di cucirgli addosso.
Avvertendo il peso della crescente tensione, Cyril pensò bene di svignarsela, ma non prima di aver lanciato al figlio uno dei suoi “sguardi parlanti”. Negli anni, infatti, i due - complice anche la necessità di tramare alle spalle della ex Mrs. Wollestonecraft -avevano raggiunto un’intesa tale da riuscire a condensare frasi intere in una sola occhiata.
Voglio fidarmi a lasciarvi soli, ma tu vedi di tenere addosso quei boxer!”.
William rispose alzando gli occhi al cielo.
Sì, certo! Come se tu non facessi di peggio, persino con me in casa!”
Cyril socchiuse minacciosamente i suoi.
“Will, sono tuo padre!”
William, per nulla intimidito, ricambiò con un’eloquente alzata di sopracciglia.
“Ho immaginato che lo dicevi con la voce di Darth Vader, sappilo!”
“Credimi, se avessi i poteri di Vader, li starei usando per strozzarti!”
Stufa di fare da tappezzeria, Frida si schiarì rumorosamente la gola. Cyril, sconvolto (ma, sotto sotto, anche un po’ divertito) dalla sfrontatezza della ragazza, acconsentì alla poco velata richiesta di sloggiare.
–Bene- disse. –Vi lascio soli.
Appena la porta si fu richiusa alle sue spalle, la Weil, dimentica del proposito della visita, chiese a William –Problemi di cuore o di lavoro?
–Di che parli?
–Presumendo non abbia raccontato deinem Vater del nostro, ehm, diverbio, non vedo altre giustificazioni al suo malumore. Perché si vede lontano un miglio che è di cattivo umore.
Dopo qualche secondo di boccheggiamento, arrivò la replica di William.
–Oh! Ehm, in realtà… nessuno dei due. Ha avuto una, uhm, accesa discussione con una tizia al supermercato, e la cosa lo ha, beh, fatto arrabbiare.
–Non mi stupisce- commentò Frida. –Dein Vater è un uomo da non contrariare.
–Al contrario: gli fa decisamente bene venire “messo a cuccia” di tanto in tanto- dissentì il suo interlocutore, che in cuor suo, ringraziava la sconosciuta almeno una volta al giorno, da quando suo padre era tornato a casa fumante di rabbia, sbraitando di una “frustrata polemica”, colpevole di avergli fatto perdere quindici preziosi minuti di vita. –Mia madre non ha mai avuto sufficiente spina dorsale da osare contraddirlo, specie quando era di cattivo umore, e il risultato non è stato dei migliori. Gli voglio bene, ma devo riconoscere che il suo ego va ridimensionato.
–Ne sei sicuro? Conoscendola, meine Mutter deve averlo ridimensionato, ai tempi, e guarda com’è andata a finire! Comunque, in che modo questa geheimnisvolle Frau4 avrebbe attentato all’ego deines Vaters?
–Lo ha costretto a farla passare avanti nella fila per la cassa perché lui aveva un carrello stracolmo e lei solamente tre articoli. Il supermercato era affollato, la scena si è svolta tra gli applausi generali. La tizia - che per inciso, si è pure beccata gli insulti di mio padre e dei suoi (pochi) sostenitori - è stata acclamata come un’eroina, e per me aveva perfettamente ragione: il tempo è un bene inestimabile in quanto limitato e irrecuperabile, perché sprecarlo in fila alla cassa di un supermercato? Far passare avanti chi ha meno articoli, dal punto di vista pratico, permette di risparmiare tempo; da quello etico, significa regalare minuti preziosi a un’altra persona, e cosa può esserci di più intrinsecamente aderente alla legge morale universale? A ruoli invertiti, mio padre avrebbe indubbiamente preteso di passare avanti; è giusto che, per una volta, sia toccato a lui cedere il passo.
“Ecco che esce fuori il kantiano - del cazzo - che è in lui!”
–Sarebbe ironico, oltre che molto romantico, se…
–Oddio, no!- ruggì William. –No, ti prego, non finire la frase! Non voglio nemmeno pensarci! Piuttosto, potrei sapere a cosa devo questa sorpresa, Weil?
La risposta fu un ceffone che avrebbe lasciato il segno per giorni. 
–Mi prendi in giro? Sei stato tu a mandarmi un messaggio fuori di testa, du Arschloch!
–Ahia! Fa male, cazzo!- sinceramente perplesso, William, massaggiandosi la guancia dolente, chiese –Quale messaggio?
–“Esiste un posto dal quale si esce senza prima esservi entrati: l’ospedale dove si nasce. Riflettici”- lesse Frida. –Puoi facilmente immaginare la mia faccia quando l’ho ricevuto. Ho pensato ti fossi ubriacato, o peggio, pur di non pensare alla discussione, ehm, poco civile che abbiamo avuto circa dodici ore fa, perciò sono corsa qui - mollando Mutti e Nate, tra l’altro - per vedere come stessi ed eventualmente farti passare la sbornia io stessa- fece due profondi respiri –Perché, nonostante tutto, mi… preoccupo per te. Ecco, l’ho detto!
Era un gesto tenero, insolitamente affettuoso per gli standard di Frida, eppure William non riuscì a trattenersi dallo scoppiare a ridere.
–Fammi capire bene: ti sei precipitata qui sulla base di un messaggio? Tu non stai bene! Anche se devo ammettere che la tua apprensione è commovente. Sto ridendo, ma sono serio, giuro! Scusa, è che… è troppo divertente! Vedi, quel messaggio… non era per te- anche se a fatica, soppresse la risa e si spiegò meglio. –Io e il mio amico Freddie, una delle poche persone che ho rimpianto di aver lasciato in Australia, ci sfidiamo a colpi di cazzate pseudo-profonde. Ti ho inviato per sbaglio la mia cazzata del giorno- ignorò i borbottii di disappunto della Weil, che disapprovava il linguaggio triviale –Beh, ormai sei qui, posso approfittarne per chiederti ancora una volta scusa per essermi comportato da testa di cazzo - letteralmente: per trattarti in quel modo, dovevo stare ragionando col cervello nei pantaloni, sicuro come il marsupio di un canguro - e, se possibile, spiegarmi.
–Potresti cominciare mostrandomi il tuo ultimo capolavoro pornografico.
–Non so di cosa tu stia parlando, Weil.
Sentirlo mentire così spudoratamente le fornì la determinazione necessaria a spintonarlo mente gli riversava addosso un fiume in piena di rabbia repressa.
–Hai il coraggio di guardarmi negli occhi e mentire? Wirklich? Con chi credi di avere a che fare? No, non fiatare. Rispondo io per te: hai davanti la migliore detective della sua generazione, perciò non pensare di potermi prendere in giro. La tua scrivania è insolitamente caotica, tranne per quello spazio vuoto a misura del tuo album da disegno. Hai delle macchie di inchiostro sulle dita, e la tua preziosa china giace aperta e gocciolante. È evidente che stavi lavorando a qualcosa, quando sono piombata qui senza invito, qualcosa da tenermi nascosto a ogni costo, tanto che hai preferito usare il poco tempo a tua disposizione per occultarlo, piuttosto che vestirti. Ergo: è un altro mio ritratto a luci rosse. Esigo di vederlo.
Incapace di negare l’evidenza, William alzò le mani in segno di resa, recuperò l’album e lo porse alla sua (fastidiosamente) geniale socia.
–Ecco, dannata impicciona! Rifatti gli occhi con la mia arte!
La prima reazione di Frida fu sconcerto misto a irritazione (e un’insana voglia di picchiarlo): possibile non fosse penetrato a dovere in quella adorabile testolina bionda il concetto che soltanto il suo ragazzo aveva il diritto di pensare a lei in quel modo?
Eppure, non riusciva ad essere arrabbiata come forse avrebbe dovuto. Non lo avrebbe confessato neppure sul letto di morte, ma una parte di lei - per quanto microscopica - si sentiva stranamente compiaciuta.
Nochmal: du hast wirklich Talent, Liam. Nudità a parte, das ist… super toll. 5
–È un complimento, vero?- le chiese, occhieggiandola perplesso. –Perdona la domanda stupida, ma per chi non parla tedesco ogni parola suona come un insulto. Nel senso: per quanto ne so, “nochmal” potrebbe significare “puttana tua madre” o qualcosa del genere!
Frida socchiuse le palpebre e sibilò –Fingerò di non aver sentito, sia la frase che deinen schrecklichen Akzent6. Per tua informazione, comunque: era un complimento.
–Oh, ok. Grazie.
Bitte. A scanso di equivoci: vuol dire “prego”- soffiò la ragazza in tono grondante sarcasmo, salvo poi aggiungere, con sincera incredulità –Non posso credere che tu, ehm… sì, insomma… davvero mi vedi così?
William avrebbe potuto irriderla, replicare in maniera sprezzante; la consapevolezza che decidere il verso che avrebbe preso il resto della discussione era interamente nelle sue mani gli diede il coraggio di ammettere –Credo di averti dimostrato quanto ti trovi sexy, Weil. Probabilmente riceverò un pugno in faccia per averlo detto, ma non rimpiango di averti baciato alla festa dei gemelli; il mio unico rimpianto è di essere stato troppo ubriaco per ricordare cosa ho provato.
Frida dovette fare appello a tutto il proprio autocontrollo per reprimere l’istinto di annullare la (breve) distanza che li separava e rinfrescargli la memoria.
“Cosa mi succede? Herrgott, sembro Kimberly! Tutta colpa del maledetto saliscendi ormonale mensile e di quei maledetti boxer attillati! Oh, e del maledettissimo abitante delle colonie, natürlich! Riprenditi, Frida, tu sei meglio di così. Lasciarti andare può sembrarti la scelta giusta, invece è la scelta comoda, che ti farà stare bene sul momento e male nel lungo termine. Datti una regolata, ragazza!”
Sei still7! Smettila di atteggiarti a paladino senza macchia. Nulla potrà mai cancellare il tuo schifoso comportamento di quella sera. Hai avuto la faccia tosta di ficcarmi la lingua in bocca e palpeggiarmi, prima di ammettere che mi vedi come- in mancanza di espressioni più raffinate, riciclò quella usata dalla madre –Un pudding da farcire!
–Potresti usare un’altra metafora? Mi piacciono i pudding, vorrei continuare a mangiarli- ribatté lui. –Ehi, so di non averti trattato da gentiluomo, ma almeno sono stato onesto con te. Avresti preferito che mentissi? Per essere chiari: all’inizio non ti sopportavo; eri così…- “Piena di te, distaccata, supponente.” –Non ha importanza. Quello che conta è che, conoscendoti, ho imparato ad apprezzarti. Sei la persona più pazzesca che abbia incontrato finora. Ci tengo a te, credo di avertelo provato in ogni modo possibile, come, ripeto, credo di averti dimostrato quanto ti trovi sexy. Questo non significa che provi dell’interesse romantico. Sarebbe contrario alla Williamsofia.
Frida storse il naso: da quale perverso meandro del labirinto della mente il suo socio aveva pescato un nome tanto ridicolo?
–Vediamo se ho ben capito: la Wil… la tua filosofia considera esclusivamente i bassi istinti?
–Non li definiresti “bassi” se avessi scopato in vita tua.
Verdammter Schweine! Ich schwöre, ich werde dich töten!8
Repressa la marea di imprecazioni, più qualche bestemmia, che avrebbe voluto riversare sull’australiano, Frida si costrinse a un sorriso tirato e gli tese un ramoscello d’ulivo.
–Potresti aiutarmi a capire. Prometto di ascoltare senza giudicare.
–Ormai ti conosco, Weil: tu vuoi capire per poter giudicare. Tutto sommato, perché no? Potrei addirittura persuaderti a pensarla come me! Innanzitutto, voglio precisare che non è vero che non credo nell’amore. Non credo in un certo tipo di amore, è diverso. Secondo me il romanticismo è il vero oppio dei popoli, la monogamia a vita un’invenzione, e chiunque sostenga il contrario è un povero illuso- rispose lui, per poi ridere dell’espressione imbronciata di Frida, che replicò con la consueta (scarsa) sensibilità.
–Parli così perché i tuoi hanno divorziato!
Incassò quel colpo basso con ammirevole compostezza; provò anzi una sorta di perverso divertimento nel sentirsi sbattere in faccia uno degli avvenimenti peggiori della sua vita. Tempo due frasi, e avrebbe avuto la sua vendetta, smontando pezzo per pezzo l’ultimo baluardo dell’innocenza della Weil: la sua cieca fede nella forza dell’amore.
–Delicatissima come sempre. Spiacente di contraddirti, ma il divorzio dei miei genitori ha semplicemente confermato una  convinzione che avevo maturato da tempo.
–Come puoi negare l’esistenza di qualcosa che tu stesso hai provato? Isla, la ragazza della porta accanto. Il modo in cui parlavi di lei, il linguaggio non verbale … Tu l’amavi!
William gettò il capo all’indietro ed emise un sospiro scocciato, osservandola attraverso le palpebre semichiuse: non si capacitava che fosse pronta a sostenere una tesi ai limiti del surreale.
–Credevo di amarla, come credo in tante altre cose. Non sono senza cuore, ho un ricco mondo interiore. Credo nell’amoroso abbraccio dell’universo, che penetra persino i buchi neri; credo nell’affetto universale, nella solidarietà intra- e inter-specie, nell’imperativo morale- sciorinò, infervorandosi: voleva discutere con lei, scontrarsi, se necessario; qualunque cosa, pur di dissuaderla dal suo insensato romanticismo. –È un peccato mortale pensare che l’amore di coppia sia una pericolosa mistificazione, che ha come unico aspetto positivo ispirare gli artisti? Rifletti: se non ti fossi fatta incantare dall’idea romantica di Aidan, avresti evitato di soffrire e ti saresti concessa dei piaceri che invece ti sei negata. E per cosa? Per uno che ti vede come la sua sorellina, che ti tratta come la sua sorellina!
–Puoi provarci quanto ti pare, non mi convertirai alla tua visione cinica!
–Esistenzialista, più che cinica. Nel linguaggio comune, il termine cinico si riferisce a  chi ostenta disprezzo e beffarda indifferenza verso gli ideali o le convenzioni della società in cui vive, ma è un errore concettuale. In realtà, la scuola cinica esaltava il rigore morale e l’autarchia, sostenendo la disobbedienza ai costumi di una società corrotta. Parecchio lontano dal concetto esistenzialista di uomo "condannato a essere libero"- sciorinò William, felice di essere, per una volta, il più ferrato sull’argomento. –L’amore è un atto sadomasochistico, che ha come motivo e fine possedere l’amato. Per questo è anche conflitto, perché l’amante vuole imprigionare la coscienza dell’amato, essere tutto il suo mondo; non una delle tante cose del mondo, ma l’universo all’interno del quale l’amato vive. Una sorta di dolce prigione, costruita dalle mani dell’altro. L’amante è prigioniero della sua stessa esigenza di essere amato ad esclusione di qualsiasi altro, diventare il limite oggettivo della libertà dell’altro. In altre parole: nella coppia, ciascuno ha la pretesa di essere l’oggetto per il quale la libertà dell’altro si aliena, e qualora così non dovesse essere, ne soffrirebbe terribilmente. In pratica, ognuno dovrebbe alienarsi nella persona amata; l’amato e l’amante diventano mutuamente indispensabili per la realizzazione dell’impresa, la quale, tuttavia, a causa della sua intrinseca contraddittorietà, è inesorabilmente votata al fallimento. Proverò ad essere più chiaro: lasciate ogni speranza, o voi che vi innamorate. Quell’amore assoluto e totalizzante che insegnano ad agognare, soprattutto a voi ragazze, non può esistere, perché si fonda sulla pretesa egoistica di essere il centro dell’universo dell’altro, e, poiché l’amore può considerarsi tale soltanto se il fine è possedere l’amato senza lederne la libertà, allora si può affermare che nessuno ama davvero. Ergo, l’amore non esiste.
Frida, che aveva ascoltato senza battere ciglio il lungo e verboso monologo, completamente rapita dall’abilità oratoria di William, si adirò con se stessa per essersi lasciata irretire, anche solo per pochi istanti, da quella concezione anticonvenzionale dell’amore. L’abitante delle colonie era decisamente più pericoloso di quanto pensasse: non ricordava di aver mai incontrato qualcuno in grado di farla pendere dalle sue labbra; ma non avrebbe dato a nessuno, men che meno a lui, il privilegio di metterle idee in testa.
In mancanza di valide argomentazioni con cui controbattere, si affidò all’espediente più vecchio al mondo per sfuggire da una situazione scomoda, senza dichiararsi esplicitamente sconfitta, dopo la fuga: cambiare argomento.
–Molto interessante- sbuffò. –Ma veniamo a questioni più serie della giustificazione al tuo goffo tentativo di sedurmi: dobbiamo elaborare una strategia per riuscire a interrogare quante più persone possibile alla commemorazione in onore di Aisling Carter.
–Facile: coinvolgi anche il resto della gang. Cinque persone coprono più terreno di due.
–Giusto! Perché non ci ho pensato io?-  esclamò Frida, rivolgendogli un cenno di approvazione. –Tu, però, sei e rimani l’unico a cui potrei mai affidare un compito fondamentale: escogitare un diversivo che mi consenta, durante il memoriale, di sgattaiolare nella stanza di Aurora e parlarle.
Pur conscio della gravità della conversazione, William non perse l’occasione per deriderla.
–Aurora Carter? La tentata suicida, sorella della tossica presunta suicida e del lombrico con il complesso d’inferiorità? La bella allettata nel bosco? Quella Aurora Carter? Se dovessi riuscirci fai un fischio a Stoccolma, il prossimo Nobel per la Medicina sarà tuo di sicuro!
Frida, di fronte a cotanta immaturità, stralunò gli occhi, per poi replicare –Sei kein Narr9! So benissimo che Aurora Carter non può parlare. È un miracolo che sia viva!
–Ammesso che quella si possa chiamare vita- commentò l’altro, ancora piccato per la rigida presa di posizione della socia nei confronti di una delle problematiche bioetiche più controverse.
–Non ho intenzione di discutere con te di questo argomento. Eigentlich10, non ho intenzione di discuterne affatto. Credo fermamente nella giustizia e nel rispetto delle legge, e tanto basta- ribatté la Weil in un tono che non lasciava adito a dubbi sul fatto che per lei la questione era chiusa. –Comunque, non esagero: ho dato una letta alla documentazione clinica; Aurora nella caduta ha riportato un grave politrauma prevalentemente cranico, con ematoma subdurale in sede parietale sinistra, focolai lacero-contusivi cerebrali biemisferici, prevalentemente in sede occipitale, multiple fratture ossee sia del neuro- che dello splancnocranio, frattura del processo trasverso della vertebra D1, con concomitante lesione della radice nervosa, e fratture costali multiple. C’è chi stira le zampette per molto meno!
–Sì, beh, non mi pare se la sia cavata con poco: è praticamente imprigionata nel suo corpo!- osservò William. –Non può camminare, non può alimentarsi da sola, non può parlare…
–Non è un vegetale, Liam! Posso comunque ricavare da lei informazioni utili. Ricordi cosa disse il lombrico, alla festa? Che Aurora aveva supplicato la sorella di, cito, “liberarla da quell’esistenza infelice”. Aisling aveva trovato un mezzo di comunicazione alternativo; non mi resta che trovarne uno anch’io.
 
***
 
Nonostante i buoni propositi, nelle settimane successive divenne evidente che la rottura tra Nathaniel e Kimberly aveva causato una spaccatura nella gang. Nei rari momenti in cui capitava si trovassero nella stessa stanza, l’atmosfera era talmente tesa da potersi fendere con un coltello; altrimenti, lei trascorreva la maggior parte del tempo libero con Bryce, lui nell’aula di teatro a provare e riprovare le battute insieme alla co-protagonista dello spettacolo, Dany Jones, oppure appiccicato a William e Frida, che aveva eletto, rispettivamente, guru e valvola di sfogo per superare presto e bene la batosta sentimentale.
William, in particolare, si era guadagnato la sua simpatia rimproverando in malo modo Kimberly per aver “frantumato i coglioni a tutti flexando il suo nuovo boyfriend chirurgo”. Secondo Frida, il seppellimento dell’ascia di guerra da parte di William e Nate poteva considerarsi l’unica nota positiva della situazione.
Reduce da una sfiancante sessione di bartitsu, la ragazza si illuminò alla vista di William, che contro ogni previsione l’aveva aspettata, e non poté non pensare - vuoi perché dotata di due occhi funzionanti, vuoi perché l’allenamento l’aveva lasciata con un eccesso di testosterone in corpo - che anche in tuta faceva la sua figura, ma avrebbe preferito di gran lunga vederlo senza.
–Finalmente soli. Senza offesa per Nate, da quando ha smesso di detestarmi è un’ottima compagnia… però, cazzo, è praticamente la nostra ombra!
Frida ridacchiò, lo salutò con un bacio sulla guancia, quindi sospirò –Ho una buona e una cattiva notizia, socio.
–La cattiva è peggio del tuo occhio?
–Intendi questa bazzecola?- celiò, indicando l’area tumefatta, rosso-violacea, che contornava la metà laterale dell’occhio sinistro.
L’australiano non poté credere alle sue orecchie.
–Bazzecola? È un occhio nero, cazzo! Devi… devi metterci sopra del ghiaccio, e… e… come si chiama?… quella pomata che fa sparire i lividi in metà tempo.
–Carino da parte tua preoccuparti per me. Inutile negarlo, Nate stasera ci è andato giù pesante - da quando è tornato single è più aggressivo del solito  e a volte gioca sporco - ma ti assicuro che mi sono difesa bene: è più malconcio di me!
William, che fino a quel momento aveva tenuto la lingua stretta tra i denti per evitare un commento acido di cui pentirsi, sbottò –La cosa dovrebbe farmi piacere? Sono sedute di allenamento, Weil, non il fottuto Mortal Kombat! Il tuo presunto migliore amico ti ha fatto un occhio nero, te ne rendi conto?
–Naoko prova a impartirgli un po’ di disciplina affibbiandogli penalità su penalità, ma lui se ne sbatte altamente. Comunque, tranquillo, appena arrivo a casa metto il ghiaccio e NoBruise, promesso!
–Un vero peccato: speravo avremmo cenato insieme, stasera. Tanto più che, miracolo dei miracoli, non abbiamo la palla al piede tra i piedi.
–Non essere troppo severo con lui: ha bisogno di affetto, sta passando un momento difficile.
“Ha avuto un trauma cranico oltre all’occhio pesto, non c’è altra spiegazione. Adesso la acchiappo e le faccio sbattere la testa contro il muro finché non rinsavisce!”
–Non giustifica il suo atteggiamento. Passi l’accollo, l’occhio nero però no! Domani gli parlo, non può passarla liscia!
–Apprezzo la galanteria, ma non è necessaria: se c’è una principessa in grado di affrontare i mostri da sola, sono io.
–Mi arrendo. Fa’ come credi- esalò William, rassegnatosi all’ostinazione della Weil. –Allora, quali notizie mi porti? Prima la buona, per favore.
Meine geliebter Vater ha pubblicato un lavoro sul New England Journal of Medicine. È l’uomo del momento, tutti vogliono un pezzo del celebre dr. Weil. È stato invitato a vari simposi, congressi eccetera, tra cui uno molto importante a fine novembre in California. Mutti lo accompagnerà.
–Complimenti a tuo padre. Cosa c’entra con noi?
–Non capisci, Liam? Il giorno del memoriale di Aisling Carter, meine Eltern saranno dall’altra parte del mondo!
–Eccellente- rispose lui, tentando di imitare la voce e l’atteggiamento di Monty Burns. –Tuo padre ti ha vietato di indagare; sarai senz’altro più tranquilla, sapendolo lontano nel giorno fatidico.
–Non solo: niente mamma e papà a casa uguale niente coprifuoco. Possiamo concludere degnamente la giornata scatenandoci col resto della gang al Tipsy Crow! Ce lo meritiamo, non sei d’accordo?
–In effetti, dopo il dovere un po’ di piacere ci starebbe bene.
–E qui arriva la cattiva notizia: Nate, Kimmy e Kev hanno acconsentito a fare nottata al Tipsy Crow… ma non saranno dei nostri al memoriale. Dovremo cavarcela da soli.
–Ce la faremo. Siamo un duo pazzesco, io e te- asserì William, sperando di trasmettere positività, prima di realizzare che il piano, a questo punto, presentava una falla non di poco conto. –Ehi, un momento: Nate è l’unico patentato. Chi ci scarrozzerà?
Frida scrollò le spalle e rispose –Io, natürlich.
William eruppe in una sonora risata: era convinto che la sua socia scherzasse. Si accorse quasi subito che invece era serissima.
–Tu non sai guidare, Weil- osservò. –Non hai la patente.
Provò un brivido lungo la schiena nel vedere un sogghigno diabolico sul volto di Frida, che replicò con naturalezza –La tua asserzione è concettualmente sbagliata, perché parte dal presupposto che soltanto chi ha la patente sappia guidare, il che non è assolutamente vero. Nicky, un’amica meiner Mutter, ha la patente, ma guida malissimo, mentre Meine Mutters Oma11 non ha mai preso la patente, eppure guidava le camionette durante la seconda guerra mondiale. Fidati di me, sono la nuova Susie Wolff: ti porterò a destinazione tutto intero!
 
Note dell’autrice
Allora, che ve ne pare di papà Cyril? Pensate se Faith lo avesse sposato! F&C invece di F&F, riuscite a immaginarlo?
La gita a villa Conworthy, che avrebbe dovuto avere luogo in questo capitolo, è rimandata al prossimo. Mi sono lasciata prendere la mano da Will e Frida, e quando me ne sono resa conto era troppo tardi. Perdonatemi, ma non me la sono sentita di tagliare il loro dialogo, era necessario un confronto.

Alla prossima! Vi assicuro che ne vedremo delle belle, tra cui Frida al volante (non mente sulla sua abilità alla guida), perciò stay tuned.
Serpentina
PS: i pensieri di William sull’amore sono liberamente ispirati all’opera di Jean-Paul Sartre, e Susie Wolff è una pilota inglese di Formula Uno.
1I suoi genitori
2Dannazione!
3Cristo santo!
4Donna del mistero.
5 Lo ripeto: hai davvero talento. È stupendo.
6 Il tuo terribile accento.
7 Sta’ zitto!
8 Porco schifoso! Giuro che ti ammazzo!
9 Non essere sciocco!
10 Anzi
11 La nonna di mia madre

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Frida Fast&Furious ***


Salve salvino, e bentrovati a un nuovo appuntamento con Frida&co.
Vi devo delle scuse per le ere geologiche che faccio passare tra un aggiornamento e l’altro. Come ho spiegato in un post su Facebook, ho attraversato un periodo di profondo cambiamento, che mi ha privato della voglia di fare qualunque cosa non fosse strettamente necessaria al mio sostentamento. Inoltre, appena ho ripreso in mano la storia, la bozza di quest’ultimo capitolo mi ha fatto schifo, e ho deciso di riscriverlo daccapo. Il risultato è quanto state per leggere. Spero di essere riuscita comunque a non deludervi. * occhioni cucciolosi *   
Colonna sonora consigliata: “Throne” dei BMTH e “Faster” dei Within Temptation. Enjoy!
 
Frida Fast&Furious
 
“Ciò che ti uccide, ti uccide, perché ti cambia. E non c’è peggiore morte della morte di se stessi. Chi muore dentro, muore infinite volte.”
Jennifer El Khattabi
 
Diciassette anni prima (mese più, mese meno)
–Questa è una delle poche cose che mi mancherà dell’essere incinta- asserì Faith mentre afferrava una manciata di pop corn dalla ciotola che teneva bellamente poggiata sul pancione al sesto mese di gravidanza.
Reduce da una minaccia di aborto, era stata costretta al riposo. All’inizio aveva gioito, finché non aveva fatto capolino una opprimente sensazione di noia, che a volte si tramutava in un vero e proprio horror vacui: accudita e coccolata da sua madre Rose e Gertrud, la madre di Franz, che la trattavano alla stregua di un’invalida, non aveva granché di che riempire le giornate, e la pigrizia perde molta della propria attrattiva, senza la prospettiva di poterla abbandonare da un momento all’altro per dedicarsi ad attività alternative.
Franz, spaparanzato sul divano al suo fianco, era di tutt’altro avviso: sfiancato nel corpo e nello spirito da una dura giornata di lavoro in ospedale, invidiava quella che lui stesso, con poco tatto, definiva “nullafacenza obbligatoria”. Non immaginava che Faith avrebbe volentieri fatto a cambio, oppure, se anche lo immaginava, preferiva glissare sopra questo punto e limitarsi ad invidiarla.
Annuì vigorosamente e ridacchiò, prima di piluccare anche lui qualche pop corn.
Mir auch.1 Sei un ottimo tavolino.
Calò nuovamente il silenzio: i due condividevano l’abitudine di immergersi completamente nella fruizione del medium di intrattenimento prescelto, e guai ad infrangere la bolla d’isolamento, si rischiava come minimo l’amputazione di parti del corpo che, seppur non vitali, sarebbero mancate molto nella vita di tutti i giorni.
Poco dopo, tuttavia, Franz ruppe la bolla ruggendo, con evidente autocompiacimento –Fatality!- ripetè l’esclamazione altre due volte, quindi commentò –Scheiße, questo è morto malissimo! Eh, Faith? Faith? Was passiert, meine Liebe?
Lei, assorta nei propri pensieri, sussultò, e rispose alla domanda con un’altra domanda.
–Tutto a posto. Perché?
–Ti accarezzi la pancia fissando il vuoto, invece di stracciarmi nella gara a chi urla per primo “Fatality!” ogni volta che qualcuno muore male in “Attack on Titan”. Se ti sembra normale…- una terrificante idea si fece strada nella sua mente. –Il pupo non starà di nuovo cercando di uscire prima del tempo!- puntò l’indice dove, se le sue reminiscenze di ginecologia non lo ingannavano, avrebbe dovuto trovarsi il viso del feto, e asserì, con assoluta quanto comica serietà –Hör mir gut zu2, Kind: devi stare altri tre mesi lì dentro, fattene una ragione. E sappi che nessuna insubordinazione sarà tollerata fuori dall’utero. Ist es klar
Contrariamente alle aspettative, Faith non rise, né sorrise; si coprì gli occhi con le mani, scosse il capo e sospirò –Ecco, è esattamente a questo che stavo pensando: andiamo, guardaci! Secondo te siamo pronti per crescere un figlio?
La domanda lo colse alla sprovvista. Aveva riflettuto di rado sull’evento che da lì a poco avrebbe stravolto la sua vita in modi che neppure osava immaginare. A dire la verità, non ci aveva riflettuto affatto, se non superficialmente, preferendo rifugiarsi nell’illusione che nulla si sarebbe davvero modificato, che tutto sarebbe cambiato affinché tutto rimanesse esattamente com’era. Perciò, piuttosto che sbattere il muso contro la dura realtà e cogliere l’occasione per instaurare un confronto costruttivo con Faith, nel quale condividere le proprie vulnerabilità, si trincerò dietro la corazza di ironia - talora sconfinante nel sarcasmo - che ormai era diventata la sua seconda pelle.
–Un po’ tardi per fare marcia indietro, non ti pare? Na komm3, finiamo di vedere l’episodio, prima che deine Mutter chiami per il bollettino ostetrico quotidiano!
Lei, bisognosa di sfogarsi, gli strappò di mano il telecomando, mise in pausa il video e ringhiò –No, Franz. Tu adesso mi dici se, secondo te, noi due abbiamo il potenziale per essere buoni genitori!
Scheiße! Perché adesso? Perché a me? Devo essere stato un dittatore genocida in una vita precedente, altrimenti non si spiega! A meno che…”
–Definisci “buon genitore”. 
Faith, presa in contropiede, boccheggiò, a corto di parole.
–Beh, ecco… un buon genitore è sensato, responsabile, mette in tavola cibo sano e… non si comporta come un bambino quando ha il dovere di educarne uno.
–Aha! Ich wusste es!4- ululò Franz, sbattendo con violenza il pugno sul ginocchio; la conferma dei propri sospetti lo fece ardere di una tale rabbia che non provò alcun dolore. –Lo sapevo che la donna che amo anima e corpo - e i risultati si vedono - non poteva concepire simili stronzate! Sono state quelle due a farti il lavaggio del cervello, ja?
Non era la prima volta che le loro madri li criticavano, accusandoli di essere immaturi. Per certi versi lo erano ancora (avevano ancora bisogno della mamma per prenotare le visite mediche), ed anche disperatamente impreparati alla grande avventura che li attendeva - in cui si erano imbarcati per puro caso - ma ciò non implicava fossero destinati al fallimento. Anzi, era sicuro che abbracciare il loro lato giocoso e un po’ “strano” li avrebbe aiutati a crescere un bambino felice. La generazione precedente si era approcciata in maniera più “convenzionale” alla genitorialità - con risultati discutibili - ma i tempi erano cambiati, che a loro piacesse o meno.
Faith, che mal tollerava qualsivoglia insinuazione di debolezza d’animo, ribatté sprezzante –Ah, certo! Non posso aver formulato un mio pensiero critico, devono per forza essere state le nostre madri a manipolarmi, perché io sono una fragile donna incinta in preda agli ormoni!
Come sempre, divertito dalla vena polemica della Irving, Franz curvò le labbra in un sorrisetto di scherno, poi chiese –È un tuo pensiero critico? Wirklich? Ci ritieni due irresponsabili che a trent’anni - qualcuno in più per me, ma non sottilizziamo - perdono ancora tempo dietro ai cartoni animati e altre “sciocchezze”?
Dopo un’ardua lotta tra il desiderio di sincerità e quello, altrettanto forte, di non dargliela vinta, Faith, imbronciata e a braccia conserte, come una bimba costretta a confessare una marachella sbuffò un rancoroso –No.
Ich wusste es.
–Forse hai ragione, ho esagerato. Tra questo nuovo virus e il timore che qualcosa possa andare storto col bambino… potrei essere diventata un tantino paranoica e suggestionabile. E le nostre madri sanno esattamente dove colpire, quando vogliono farmi sentire inadeguata. Specie la mia.
–In che senso?
–Lascia perdere, non puoi capire.
–Mettimi alla prova.
Faith gli rivolse un’occhiata colma di scetticismo, però alla fine cedette, rivelandogli la sua più profonda paura.
–Ho paura di ciò che il futuro potrebbe riservare a nostro figlio, se dovesse essere troppo… fuori dal coro per colpa nostra. Non hai idea di come ci si senta, ad essere isolati. Tendo a non parlarne perché mi vergogno: ho subito bullismo a scuola. Sono sempre stata quella diversa, quella “strana”, la ragazzina cicciottella sempre distratta, col naso tra le pagine di un libro o puntato verso un’opera d’arte. Naturalmente, sono sempre stata la prima della classe, e senza tanta fatica- aggiunse, con palpabile orgoglio. –Prima di incontrare Abby e Bridget, non avevo amici; mi sentivo sbagliata, indegna di un tale privilegio, senza contare che isolandomi speravo di ridurre le chance di subire prese in giro o peggio. Poi le ho conosciute, e grazie a loro ho avuto la conferma che ad essere sbagliata non ero io, bensì gli stronzi che hanno reso la mia vita un inferno. E li odio per questo. Ancora adesso, li odio con tutta me stessa. Non hanno idea del male che mi hanno fatto. Sono in debito con me, e no, sbattergli in faccia il mio successo non è un risarcimento sufficiente. A volte sogno di trovarli sul tavolo settorio, ammazzati male. Li aprirei con un piacere che non si può descrivere a parole.
Franz deglutì a vuoto, a disagio; era sinceramente dispiaciuto per lei, ma, al contempo, un tantinello intimorito: stentava a riconoscere nella Faith che aveva davanti la donna brillante e solare della quale si era innamorato.
–È triste che abbia dovuto patire tutto questo, però, se sei diventata la persona meravigliosa che…
–Ti prego, non finire la frase, vorrei conservare intatto il mio record di due mesi e mezzo senza vomitare. Sono ciò che sono nonostante loro, non grazie a loro. Il bullismo non mi ha resa più forte, mi ha soltanto riempita di frustrazione, rabbia e rancore. Mi terrorizza il pensiero che possa capitare a nostro figlio. Spero tanto venga su abbastanza normale da inserirsi senza problemi. Non desidero altro!
“Il coso deve ancora nascere e siamo già alle seghe mentali? Perché a me? La teoria della punizione karmica per essere stato un genocida pazzo diventa sempre più probabile!”
–Definisci “normale”, meine Liebe. Una mia ex si limava le unghie dei piedi con la grattugia, e un mio coinquilino in Erasmus pisciava nel lavello. Per loro quello era normale, per me semplicemente disgustoso- scherzò Franz, pentendosene subito, di fronte all’occhiataccia assassina di Faith. –Entschuldigung5. Torno serio. È inutile nascondersi dietro a un dito: tra il mio DNA e il tuo, il pupo nascerà con una buona dose di stranezza genotipica; ma, in tutta onestà, se pure la stranezza dovesse diventare fenotipica, dubito sarà perché gli abbiamo letto Tolkien o cantato canzoni rock per farlo addormentare. Non posso garantirti che il pupo vivrà una vita liscia come l’olio - né glielo auguro: sono le sfide a creare la forza di una persona - eppure, chiamalo sesto senso, intuito o come ti pare, sento che sarà quanto di più noiosamente normale si possa desiderare!
 
***
 
–Sapevi che conviene annegare in acqua dolce? Il processo è più veloce: 3-5 minuti contro 6-8 in acqua salata. Questo perché l’ipotonia dell’acqua dolce rispetto al sangue innesca aritmie cardiache fatali; invece in acqua salata, che è ipertonica, ad ammazzarti è l’edema polmonare. Una morte più lenta.
–Grazie dell’informazione assolutamente non richiesta, Frida. Me ne ricorderò, se mai volessi suicidarmi- ridacchiò Nathaniel, ansante per la strenua sessione di allenamento alla quale lo aveva costretto l’amica, quasi a voler compensare il fatto di non potervisi sottoporre lei. –Lasciatelo dire, ragazza: tu non sei normale! Come cazzo fa a venirti in mente una roba del genere adesso?
–Vederti boccheggiare dopo quel malriuscito tentativo di calcio rotante mi ha portato alla mente le immagini di tizi annegati male. Dovresti impegnarti di più- rispose lei con la stessa naturalezza con cui di solito si commenta il meteo, dopodiché prese la rincorsa e sferrò un calcio volante al povero, maltrattato manichino, tra lo stupore e l’ammirazione dei (pochi) presenti.
–Porca troia!- esclamò lui, esterrefatto. –Meglio di Kitara Graves!
Frida, che sapeva resistere a tutto, tranne ai complimenti, stava per dargli un’altra dimostrazione della sua potenza e bravura, quando udì la voce di William rimproverarla aspramente.
–Non ti si può lasciare sola un attimo, Weil. Devo ricordarti che mi avevi promesso un allenamento non violento? Anche se il viola è il colore pantone dell’anno, non sta bene presentarsi a una commemorazione funebre ricoperta di lividi!
Frida, che quando si allenava metteva da parte la razionalità e lasciava fluire liberamente Zelda, il suo lato selvaggio, divenne livida e serrò i pugni, pronta a colpire. Nathaniel, intuite le sue intenzioni, si parò immediatamente davanti a William: per quanto atletico e ottimo nuotatore, l’australiano possedeva l’abilità di combattimento di un budino.  La mossa sortì l’effetto sperato: Frida, senza smettere di guardarli in cagnesco, abbassò le mani e sbuffò –Voi due pacifisti non mi date mai soddisfazione!
William non riuscì a trattenersi dal replicare –Potrei darti tutta la soddisfazione del mondo, se mi concedessi l’accesso alle tue parti private.
Sia Frida che Nathaniel strabuzzarono gli occhi, e quest’ultimo pensò “Ma allora è una testa di cazzo! Vuole morire!”
Difatti Frida, irrigiditasi in una fredda indignazione, sibilò –Glielo dai tu un pugno, o devo farlo io?
Nathaniel si morse un labbro, si voltò verso William, troppo terrorizzato per accorgersi il cenno d’intesa che si erano rivolti quei due, e disse –Scusa. Cercherò di farti meno male possibile. Ti assicuro che lo faccio per il tuo bene: Frida non sarebbe così gentile. L’ultima volta che ha preso a pugni qualcuno, gli ha fatto saltare un dente.
La Weil, infastidita dalla titubanza dell’amico, lo spintonò via ringhiò –Ho capito: se voglio un lavoro fatto bene e in fretta, devo fare da sola!
William non deluse le sue aspettative: sebbene con gli occhi chiusi per la paura, riuscì a tendere le mani in avanti e bloccarle la mano prima che arrivasse anche solo a sfiorargli la faccia. Non avrebbe resistito a lungo, avvertiva il tremore dei muscoli sotto eccessiva tensione, sul punto di cedere; se avesse voluto, Frida avrebbe spezzato la sua resistenza come un grissino, ma non era questo il suo fine.
–Oddio! Ce l’ho… fatta?
Gli altri due risero della sua incredulità, poi la Weil ridacchiò, stranamente compiaciuta –Guarda, guarda, il pesciolino sa difendersi. Non abbastanza bene da licenziarti da guardia del corpo, Natie, ma meglio di quanto credessi.
–Un altro esperimento brillantemente riuscito!- esclamò Nathaniel, quindi assestò una poderosa quanto amichevole pacca sulla schiena al sempre più perplesso William, che non poteva credere alla loro faccia tosta. Avevano colto l’occasione e creato un pretesto per fingere di volerlo colpire; il tutto per dimostrare che, sotto pressione, tirava fuori una forza ignota persino a lui.
“Roba da matti! Ma, in fondo, che fossero matti lo sapevo. Forse lo sono anch’io: tutti i migliori sono matti.”
–È stato divertente. Vado a farmi una doccia- annunciò Frida. –Cerca di non trarne ispirazione per altre opere pornografiche, Liam. Ah, quasi dimenticavo: tarderò un po’; Mutti è rimasta a Londra, ha ricevuto un invito irrifiutabile per non so quale congresso di scienziati forensi. Preferisco avere via libera, prima di prendere la macchina senza permesso.
Fu una fortuna, per William, non avere aneurismi occulti: lo shock li avrebbe fatti scoppiare tutti insieme.
–È questo il tuo piano geniale? Rubare l’auto a tua madre?
–Non è rubare, se è meiner Eltern6. Inoltre, per tua informazione, non sono così scema da prendere l’auto meiner Mutter, dato che la usa tutti i giorni e si accorgerebbe subito del chilometraggio sballato. Prenderò quella meines Vaters: guida talmente poco le quattro ruote che nemmeno lo guarda, il contachilometri! Discorso diverso per la Harley; lì sì che rischierei grosso, ama quella moto quasi quanto me e Mutti!
 
***
 
–Sei in ritardo.
William, distratto dai centimetri pelle lasciati scoperti dal tubino nero che Frida indossava sotto il cappotto, venne bruscamente riportato alla realtà, la dura realtà in cui per ottenere ciò che voleva da lei sarebbe dovuto scendere a compromessi, il che, per la sua rigida bussola morale, era inaccettabile. Chiuse gli occhi e inalò quanta più aria possibile, nella speranza che l’eccesso di ossigeno potesse stordirlo abbastanza da non mandarla a quel paese, o lasciarsi sfuggire commenti inappropriati sul suo aspetto.
–Di due minuti. Ciao anche a te, comunque! Come stai, socia? Tua madre ha tentato di avvelenarti col pranzo, oppure hai cucinato tu?
La ragazza, per nulla divertita, sbuffò –Ich habe keine Zeit für deinen Mist7! Sali, schnell!
Non se lo fece ripetere due volte: prese posto, allacciò la cintura e ridacchiò –Nervosetta, eh?
L’altezzosa - e menzognera - replica di Frida non si fece attendere.
–Io non sono mai nervosa. Il nervosismo è per le persone deboli, insicure e disorganizzate. Io sono… concentrata. Na ja. Super concentrata. Solo che, ecco… è la prima volta che guido con accanto qualcuno che ha meno esperienza di me.
“Cosa? E me lo dice adesso? Non ho nemmeno fatto testamento!”
–Oh!- esclamò William, per poi aggiungere, in un contorto tentativo di farle un complimento –Beh, già solo il fatto che tu sappia guidare ha del miracoloso, perciò, fossi in te, non mi farei tanti problemi- attese che la ragazza si incanalasse con maestria nel traffico cittadino per chiederle –A proposito: chi ti ha insegnato?
Sul viso della Weil si dipinse un sorriso compiaciuto, seguito dall’ancor più compiaciuto –Meine Mutter. Sostiene che l’emancipazione femminile passi anche attraverso la totale indipendenza nel trasporto: finché ci saranno persone che crederanno e/o perpetueranno lo stereotipo che le portatrici di doppio X non sono buone a guidare, non andremo - letteralmente - da nessuna parte. Perciò, quando gliel’ho chiesto, non ha potuto tirarsi indietro - sarebbe stato ipocrita da parte sua - anche se si vedeva lontano un miglio che mi riteneva troppo giovane per imparare.
–Perché? Quanti anni avevi?
–Tredici. Infatti si è limitata a darmi un’infarinatura. Non sapeva che avevo già maturato una certa esperienza giocando a GTA con Aidan e Kaori da quando ero un’innocente mädchen8 di otto anni.
William per poco non si strozzò con la saliva. Conosceva troppo bene la Weil per perseverare nel dubitare della sua parola; il che, in questo caso, non era propriamente un bene: la sua infanzia, in confronto, assurgeva a paradigma di normalità. 
–GTA come Grand Theft Auto? Il videogioco? Tu e quel bamboc… ehm, Aidan da piccoli giocavate a una cosa tanto violenta e diseducativa? Lo credo bene che sei uscita così…- “Sei impazzito? Non puoi finire la frase, rischi che ti scaraventi fuori dall’auto!” –Ehm, straordinaria. Eccezionale. E i vostri genitori non vi dicevano niente?- esalò, esterrefatto, mentre agitava convulsamente le mani. –Hanno la merda in testa, non c’è altra spiegazione! Se mai dovessi avere dei figli non dico che diventerei il Grande Fratello orwelliano, però un minimo di controllo parentale proverei ad esercitarlo, cazzo!
Non avrebbe mai saputo se Frida lo avesse fatto apposta, o se invece stesse scivolando verso il baratro della paranoia e lei avesse semplicemente colto un’opportunità; fatto sta che, in quel preciso istante, la ragazza si lanciò in un sorpasso talmente azzardato che William si vide proiettato davanti agli occhi il film della sua vita.
“Che, per quanto misera e miserabile, mi piace. Per favore, divinità in cui non credo, fammi sopravvivere qualche altro anno. Se non per me, per mio padre: dagli almeno la soddisfazione di vedermi laureato!”
Quando Frida, che era riuscita ad evitare per un pelo la collisione con il furgone in transito sull’altra corsia, si decise a rivolgergli la parola, per lui fu come ricevere una secchiata d’acqua gelida.
–Ce la fai a contenere le volgarità? Mi irritano. Danke schön! Ah, für deine Information: Kaori - la sorella maggiore dei gemelli, una Kimberly bionda e dieci volte più stronza, che con mia somma gioia vive a Tokyo - si divertiva a traumatizzare me e i suoi fratelli esponendoci a contenuti decisamente inadatti alla nostra età. Io, però, non mi divertivo affatto, ma sopportavo per non apparire una pappamolla, perché temevo che, se mi fossi mostrata debole, Aidan e Kaori non mi avrebbero più lasciato giocare con loro, ed era così figo giocare con loro, che erano più grandi. Prima che me lo chieda: Kaori aveva imparato a forzare la serratura del mobile dove suo padre teneva dvd e videogiochi troppo adulti per noi. Ricordo che, quando avevo quattro anni, mi fece vedere un tizio che veniva decapitato, e quando chiesi cosa fosse la roba rossa che colava, Kaori prima mi disse che era marmellata di fragole, poi scoppiò a ridere e mi rivelò che invece si trattava di sangue, e che quel tizio era morto, perché quando perdi tanto sangue alla fine muori. E la prima volta che ho giocato a GTA mi disse che le prostitute erano ragazze scout che vendevano biscotti agli angoli delle strade. Immagina cosa ho provato nello scoprire la verità! Da lei, tra l’altro! Und ich konnte meinen Eltern nichts sagen, weil meine Mutter ihre Patin ist, und dann würden sie mir nicht glauben, weil dieser Bastard zu liebenswert ist, um ihr zu glauben, dass sie dazu fähig ist7, und...
“Wow. Doppio wow! La sorella dei gemelli sembra uscita da un manuale sui serial killer: zero empatia, tendenze sadiche, eccitazione per la violenza… manca solo scoprire che si divertiva a torturare piccoli animali, e il profilo è completo!”
William, travolto da quello tsunami di parole incomprensibili, intuendo che la Weil era sull’orlo delle lacrime (e di una crisi di nervi), cercò di calmarla.
–Whoa, whoa, whoa! Frena, Weil, non ho capito mezza sillaba!- “È questo il tuo modo calmarla? Sei un deficiente!” –È passato, ok? Kaori è dall’altra parte del mondo, e tu non sei più una bambina suggestionabile. Sei Nitara con le tette di Lara Croft, un concentrato di - passami il termine - cazzutaggine! E se Kaori è esile come Kim, potresti stenderla con un pugno quando ti pare. Così, tanto per dire, eh! Non ti sto istigando a pestare a sangue la sorella di una tua amica.
Keine Sorge, nel caso ti riserverei un posto in prima fila!- esclamò Frida, decisamente più rilassata. –Cambiando argomento: occhi e orecchie aperti alla commemorazione, dobbiamo braccare un certo Alex.
–Alex?
Ja. Smanettando qua e là, ho recuperato - cioè, Ernst ha recuperato - un fitto scambio di messaggi che proverebbero una relazione tra Aisling Carter e questo Alex, perciò sono sicura che non mancherà. Dobbiamo scoprire se aveva un valido movente o un alibi per la notte del 26 settembre.
William non si mostrò affatto collaborativo; anzi, eruppe in una fragorosa risata ed esclamò –Ho una notizia per te, Weil: noi esseri umani normali abbiamo una memoria limitata. Voglio dire: io ricordo a malapena cosa ho mangiato ieri sera a cena, avrebbe del miracoloso se questo tizio ricordasse cosa ha fatto una serata qualunque di due mesi fa!
La ragazza sbuffò –Possibile debba questionare ogni mia decisione? Strano che uno strizzacervelli in erba non abbia pensato che, persino qualora questo Alex non ricordasse niente, parlandoci potremmo ottenere elementi utili a comprenderne il carattere. E poi la faccenda mi puzza: nessuno collegato al caso lo ha mai nominato neppure per sbaglio; eppure Aisling Carter postava praticamente ogni aspetto della sua vita, poco ci mancava condividesse persino le visite al bagno, ergo si è impegnata a tenerlo segreto. Un comportamento poco coerente con il suo carattere. Quale motivo aveva di intrattenere una relazione all’insaputa di tutti?
–Ammesso tu abbia ragione, non è detto fosse effettivamente segreta- replicò William scrollando le spalle. –Aisling potrebbe averlo rivelato soltanto al fratello, o a Nita. Comunque, anche nel caso l’avesse tenuto segreto, sarebbe perfettamente comprensibile: magari non se l’è sentita di rendere ufficiale una storia molto recente, o non emotivamente significativa… sì, insomma… puramente sessuale. È concesso usare questo termine, oppure vi turba, Vostra Extraverginità?
Frida alzò gli occhi al cielo, in parte per trattenere Zelda dal prendere il sopravvento e ridurlo a una polpetta sanguinolenta, in parte per un moto di irritazione verso l’idiozia acuta del suo socio. Non riusciva a capacitarsi che un ragazzo tanto intelligente potesse impuntarsi su posizioni illogiche pressoché impossibili da difendere. Quando ebbe riacquistato un livello di calma accettabile, sibilò a denti stretti –Innanzitutto, è altamente improbabile che Andrew e Nita ne fossero a conoscenza, altrimenti avrebbero puntato il dito contro questo tizio alla prima occasione; perfino i sassi sanno che i partner, specialmente se supposti segreti segretissimi, sono i primi sospettati. Inoltre, siamo negli anni ’30, è vero, ma del ventunesimo secolo. A meno che questo Alex non sia sposato con figli, o un… che so io… influencer rivale, roba alla Romeo e Giulietta Instaface version, quale motivo avrebbe potuto avere Aisling per “frequentarlo” di nascosto?
–Forse era un cesso a pedali- ipotizzò William con disarmante bruta sincerità.
–La tua profondità d’animo rivaleggia con quella di Kim.
–È una delle mie innumerevoli qualità, bellezza.
Frida non gradì.
–Chiamami un’altra volta bellezza, e dovrai spiegare deinem Vater perché non avrà nipoti!
Senza scomporsi, William rispose –E tu dovrai spiegare alla tua vagina perché l’hai privata del miglior sesso che potrà mai desiderare!
–Hai un’opinione molto alta del tuo arnese.
–Non di lui, di me! Sono io a manovrarlo- attesa invano una replica da Frida, chiese poi –Per restare in tema domande: nel caso ci fermasse la polizia, hai pensato a come giustificare la guida senza patente?
–Oh, ma io ce l’ho, la patente. Se non mi credi, guarda pure nella mia borsa.
William allungò e ritirò la mano svariate volte, prima di decidersi ad aprire la borsa della ragazza: da un lato, era curioso e scettico (come San Tommaso aveva bisogno di vedere, per credere); dall’altro, si sentiva in colpa a violare la privacy di colei che considerava un’amica fraterna, prima ancora che una (bella) ragazza. Alla fine, prevalse la curiosità, seguita da uno tsunami di stupore.
–Contento, uomo di poca fede?
–Sul serio, Weil? Una patente falsa?- sconcertato, scosse la testa, in un vano tentativo di scacciare quanto aveva appena visto. –Ti atteggi a paladina della giustizia, e poi sguazzi nell’illegalità? Ti rendi conto dell’assurdità di questa cosa? Non voglio neanche sapere come l’hai avuta!
“Kantiano del cazzo! Come si permette di parlarmi così?”
–Io non sguazzo nell’illegalità, du Arschloch, osa ripeterlo e dovrò spiegare deinem Vater perché gli toccherà andare al cimitero per parlarti! Nella vita le occasioni arrivano solo a colui che è ben preparato*; perciò, faccio in modo di avere sempre a disposizione i mezzi giusti per ottenere la preziosa opportunità di raggiungere il più agevolmente possibile il fine prefissato. E pazienza se questi mezzi non sono sempre… pulitissimi (in tutti i sensi)- ribatté Frida. –Quanto alla patente, temo sia una storia piuttosto deludente, priva di pathos: conosco un tizio che mi deve qualche favore, e ho deciso di cominciare ad incassare. Tutto qui.
“Interessante. E questo tizio potrebbe farmi avere un Alcohol Pass per bere quanto mi pare senza un maggiorenne a farmi da balia?” fu il primo pensiero di William, subito sostituito dalla consapevolezza che un documento falso non gli sarebbe servito a molto, dato che avrebbe compiuto gli anni a dicembre, e da un soffocante senso di sporcizia interiore per aver anche solo pensato di piegare ad angolo retto il suo senso etico e violarlo così a cuor leggero. Imprecò mentalmente contro la Weil per essere quasi riuscita a traviarlo con la sua morale fluida, tra il machiavellico e l’utilitarista, salvo poi realizzare che, pur con fini e strategie differenti, erano l’uno il serpente tentatore dell’altro, e nessuno dei due avrebbe mollato la presa senza aver raggiunto il proprio scopo.
“Ma se credi che ti renderò il compito facile, ti sbagli di grosso. Io non sono come te. Io credo che si possa sopravvivere in questo mondo di merda senza sporcarsi le mani, e chi lo fa, a suo rischio e pericolo, è perché ha del marcio dentro”.
Il resto del viaggio trascorse in assoluto silenzio. Tuttavia, non contenta, Frida pensò bene di sganciare una seconda bomba, mentre, superati i cancelli, percorrevano il viale sterrato che conduceva alla residenza dei Conworthy.
–Potrei insegnarti, sai? Se la piantassi di essere così giudicante.
–Insegnarmi cosa?
–A guidare, ovviamente!- trillò la ragazza, per poi esibire un sorriso a dir poco mefistofelico. –Immagino che tuo padre sia restio a lasciartelo fare. Irrazionale, ma comprensibile: immagino che la morte del fratello in un incidente d’auto l’abbia traumatizzato.
William, sicuro di aver capito male, esalò –Scusa, puoi ripetere?
Il sorriso di Frida, se possibile, si allargò, assumendo un aspetto inquietantemente simile a quello del Joker, e soffiò –Il fratello di tuo padre, Vyvyan, è morto in un incidente d’auto quando aveva appena diciotto anni. Me l’ha detto mia madre, che gli era molto affezionata, e tuttora visita la sua tomba quando può. Credevo lo sapessi- posò l’indice sulle labbra di William, in procinto di replicare in malo modo, e aggiunse –Non mi credi? Comprensibile, sebbene lievemente offensivo: ti ho mai mentito, finora?- colse un velo di curiosità nello sguardo del socio e decise di sfruttarlo a suo favore. –Aiutami a scovare Alex e interrogare con discrezione i nonni di Aisling, e ti porterò da lui.
 
Nota dell’autrice
Forse sarà un filler, sarà un capitolo privo di azione, ma, personalmente, ritengo fondamentale presentare i personaggi in tutte le loro sfaccettature (ammesso ne abbiano; ogni riferimento a Mary Sue e Gary Stu vari è puramente intenzionale) attraverso pensieri e interazioni. Secondo me, non si può apprezzare a pieno un’azione se non si è prima entrati appieno nella mente del personaggio che la compie.
Non so se siate o meno appassionati di manga&anime; io, personalmente, sono una casualona, nel senso che li guardo, ma non ne vado pazza; proprio per questo, dal basso della mia ignoranza, mi permetto di dirvi: guardate AOT, non ve ne pentirete. Fidatevi, sono di gusti difficili, se mi ha preso così tanto un motivo ci sarà. È anche Faith&Franz approved. Cosa state aspettando? Recuperatelo! Ora. Sofort! Schnell!😉
A proposito di F&F, direi che la preghiera di Faith è stata in parte esaudita: Frida è tutto, fuorché normale, ma non si lascia certo bullizzare; anzi, in certi momenti è lei a bullizzare il povero colonico! * abbraccia William *
Piccola curiosità: è chiaro che in molti shippate Frida e William; c’è qualcuno che shippa Kim e Nate, e spera in un ritorno di fiamma? Mi piacerebbe saperlo!
E se tra voi c’è qualcuno che si chiede che fine abbia fatto il dolce Kevin, non preoccupatevi, non è sparito dalla circolazione; anzi, tornerà a breve. 
Tanto per restare in tema, chiudo con qualche domanda (che spero vi renderà difficile dormire): riuscirà Frida a incontrare Aurora? Chi è davvero Alex? C’entra con la morte di Aisling?
Lo scoprirete nel prossimo capitolo!
XO XO
Serpentina
*citazione di Baruch Spinoza, filosofo
1Anche a me
2Ascoltami bene
3Dai, su
4Lo sapevo!
5Scusa
6Dei miei genitori
7Non ho tempo per le tue stronzate
8Ragazzina
9E non potevo dire niente ai miei genitori perchè mia madre è la sua madrina, e poi non mi avrebbero creduto, perché quella bastarda è troppo adorabile per crederla capace di ...
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** In memoriam ***


Preparate i vostri abiti neri migliori, si parte!
Piccolo ripasso: Frida e William si autoinvitano alla commemorazione in onore di Aisling Carter per interrogare sua sorella Aurora e scovare il suo fantomatico amante, Alex. Riusciranno i nostri eroi nell’impresa? Per scoprirlo, non vi resta che leggere.
Colonna sonora consigliata: “Painkiller” dei Three Dyas Grace e “Like you” deiìgli Evanescence.
 
In memoriam

 
 
“Dei mali della vita ci si consola con la morte, e della morte con i mali della vita. Una sgradevole situazione.”
Arthur Schopenhauer
 
Alcune ore prima, in un appartamento nel centro di Londra
 Andrew Carter non era tipo da assumersi le proprie responsabilità; ogni fallimento, ogni imperfezione, ogni “anomalia” del suo essere, era colpa di qualcun altro. La sua patologica incapacità di allacciare rapporti di amicizia o amore duraturi non derivava dal suo essere superficiale, o dalla repressione del suo autentico orientamento sessuale; non scherziamo: era tutta colpa di suo padre, che lo aveva abbandonato per rifarsi una vita lontano dalla moglie mentalmente instabile, e delle sue sorelle, Aisling e Aurora, ree di avergli sottratto la quota di affetto ed attenzioni che, secondo lui, gli spettava di diritto. Non era a un passo dal farsi cacciare con disonore dall’università in quanto pessimo studente - in parte per svogliatezza, in parte perché affetto da un’insonnia cronica che preferiva esorcizzare con un’ossessiva dedizione ai piaceri della vita mondana, invece di rivolgersi ad un professionista qualificato per dargli l’aiuto necessario - assolutamente no; era colpa di “quella stronza egoista” di sua madre, che lo aveva traumatizzato a vita dapprima esasperando quel povero martire di suo padre fino a costringerlo alla fuga, infine suicidandosi in maniera cruenta.
Steso nel letto, dopo l’ennesima notte insonne, salutò il nuovo giorno dedicando un pensiero rancoroso alla sua defunta madre.
“Maledetta idiota! Non poteva infilare la testa nel forno o imbottirsi di pillole, come le persone normali? No. Troppo mainstream il gas e le pillole; molto meglio tagliarsi le vene nella vasca da bagno. Ma vaffanculo!”
L’altro occupante del letto sbadigliò e si stiracchiò, al che Andrew, ancora preda di una rabbia cieca, da sfogare sul primo malcapitato, fu tentato di sbatterlo fuori senza nemmeno dargli il tempo di rivestirsi. Come osava quello sconosciuto essere ancora lì? Aveva esaurito la sua utilità da un pezzo, sarebbe dovuto essere lontano, perso nelle tentacolari strade della capitale, non accanto a lui, a rinfacciargli con la sua sola presenza una realtà che non riusciva ad accettare.
Sebbene fosse ormai fuori dal raggio d’azione dei nonni e dalla loro rigida morale all’antica, infatti, Andrew faticava a venire a patti con l’attrazione che provava - anche - nei confronti di persone del suo stesso sesso. Alienò da se stesso ogni responsabilità per quel - piacevole, doveva ammetterlo - atto inconsulto: non aveva trascorso la notte con un ragazzo a caso rimorchiato in un anonimo bar perché attratto da lui; era, indirettamente, colpa di Aisling, il cui suicidio - omicidio, secondo la detective in erba Frida Weil - si era recentemente aggiunto alla già nutrita lista di traumi da annegare in distrazioni di ogni tipo.
–Buongiorno- disse il ragazzo, di cui Andrew non riusciva a ricordare il nome (non che gli importasse; semplicemente, voleva evitare figuracce).
Colto alla sprovvista, borbottò un sommesso –Buongiorno- e si coprì gli occhi col braccio, nella speranza che, quando li avrebbe riaperti, non avrebbe più trovato lo sconosciuto nella stanza.
L’altro, tuttavia, sembrava intenzionato a restare sotto le coperta e fare conversazione; ignaro, o forse incurante, dell’atteggiamento meno che socievole di Andrew, si lanciò in un monologo carico di imbarazzo.
–Sai, volevo, ecco… ringraziarti? Sì, ringraziarti. È stato bello. È la prima volta che… sì, insomma… la migliore finora. Non che abbia chissà quale esperienza, eh! Non vado mica in giro a scopare gente a caso!
–Con me l’hai fatto- osservò Andrew, la cui soglia di tolleranza si stava pericolosamente abbassando.
–Hai ragione. Scusa.
–E di che? Non hai commesso un crimine!
La risposta a quell’asserzione lo lasciò di stucco.
–Dipende dai punti di vista. Per mia madre, quello che abbiamo fatto è passibile di pena di morte. A volte dice certe cose talmente… offensive… mi fa sentire sbagliato, mi fa vergognare di me stesso, perché non sono il figlio modello che crede, anzi, pretende io sia. Io provo a recitare al meglio la parte - sperando che fingere, alla fine, mi cambi davvero - ma so che non potrà durare per sempre; prima o poi lo scoprirà, e non vorrà più saperne di me!- curvò le labbra in un sorriso triste e aggiunse –Perdona lo sfogo. Mi rivesto e tolgo il disturbo. Qualcosa mi dice che non mi inviterai per colazione.
Andrew, che nel frattempo si era messo seduto, esalò –No, vabbè… fai con calma. Usa pure la doccia, se vuoi. Comunque ti capisco, sai? Anche i miei nonni sono così. Nel loro caso riesco - a fatica - a giustificarli perché sono vecchi; tua madre e quelli della sua generazione, invece, non hanno scusanti- poi, sentendosi in colpa, bofonchiò, lo sguardo fisso sul pavimento –Poco fa mi hai chiesto scusa senza motivo. Sono io a dovermi scusare: abbiamo passato la notte insieme e nemmeno ricordo come ti chiami.
L’altro ridacchiò –Perché non me lo hai chiesto, e io non te l’ho detto. Sembrava non interessarti.
–Mi interessa adesso.
L’insistente squillare del cellulare impedì all’altro di rivelargli il suo nome; avvicinò il telefono all’orecchio e ridacchiò –Parli del diavolo… Ti dispiace se rispondo, prima di andare?- Andrew scosse il capo, e per poco non ebbe un infarto nel sentire –Ehi, mami, come stai? Io e Kimmy siamo ancora ancora da Frida. Non te la passo perché le ragazze sono in bagno a farsi il restauro… ehm, volevo dire, a farsi belle. Faith ha insistito per offrirci la colazione - tranquilla, cucina Franz - e pensavo di passare a ritirare il violino, prima di tornare a casa. Un bacione, a dopo!- lo sconcerto di Andrew crebbe a dismisura nell’assistere ad una seconda scenetta, se possibile più surreale della precedente: lo sconosciuto, infatti, inviò un messaggio vocale –Ascolta e cancella, sorella: mamma sa che siamo da Frida, ci fermiamo a colazionare da lei, e io poi vado a ritirare il violino. Tu sei ancora con… com’è che si chiama il tuo nuovo scimmione? Lascia stare, non ci tengo a saperlo. Nate era molto meglio! Comunque: non tornare subito a casa, o mamma si insospettirà, e se dovesse chiamarti, rifilale la storiella che ti ho detto, ok? Baci baci!
–Wow! Sei stato… wow! Mai pensato di fare l’attore?
–Ordinaria amministrazione. Quando hai una madre rompicoglioni, o cresci da disadattato, oppure impari a farti furbo. Mi dispiace mentirle, ma è l’unico modo per avere una vita.
Sforzandosi di suonare naturale, Andrew gli rivolse un sorrisetto nervoso e chiese –Questa Frida che usi come alibi… per caso è Frida Weil?
–Sì! La conosci?
“Non ho parole! Il mondo è veramente così piccolo?”
–Fin troppo bene.
–Non mi sorprende: Frida conosce tutti, in questa città… tutti quelli che vale la pena conoscere, intendo.
–Quella conosce anche il diavolo, fidati! Senza offesa, ma come fai a sopportarla? Mette i brividi! Oggi pomeriggio devo incontrarla, e al solo pensiero mi assale un’ansia che…
–Attento, allora: Frida si nutre di paura; ne avverte l’odore, come un animale… e ti divora vivo- sibilò il ragazzo, mimando un morso alla fine della frase, salvo poi scoppiare a ridere di gusto della reazione di Andrew, che era sbiancato di botto, le pupille dilatate dal terrore. –Rilassati, sto scherzando! Se può consolarti, Frida a volte fa paura persino a me, che la conosco dalla culla. Sa essere intimidatoria, quando vuole, e ha una corazza quasi impenetrabile, ma ti assicuro che è estremamente leale e, anche se preferisce lasciar credere il contrario, ha buon cuore. Qualunque sia il motivo per cui ti serve il suo aiuto, sta’ certo che farà letteralmente di tutto per risolvere il problema.
Andrew rimase a bocca aperta: la sua opinione della Weil era completamente diversa (nonché molto meno lusinghiera). L’aveva forse mal giudicata?
–Bene, allora io… vado- si tastò il polso, e stavolta fu lui a impallidire. –Oh, no! Il bracciale dell’amicizia! Non posso averlo perso!
–Il cosa?
–È un braccialetto di cuoio, con un nodo gordiano dorato. Non me ne separo mai. Non posso averlo perso!
Andrew, che pian piano si era acclimatato alla presenza del ragazzo ancora senza nome in casa, pur non sapendo cosa accidenti fosse un nodo... goridano? Gardano? Acconsentì ad aiutarlo nella ricerca; sfortunatamente, senza risultato.
–Niente. L’ho perso- piagnucolò, gli occhi lucidi. –So che è stupido prendersela tanto per un oggetto, però…
–Ha un valore sentimentale. Lo capisco- mormorò Andrew, ripensando alla sciarpa, secondo lui pacchiana, regalatagli da Aisling, che aveva tirato fuori dall’armadio soltanto dopo la sua morte; nonostante i loro alti e bassi, era pur sempre sua sorella, e quella sciarpa lo aiutava a sentirla vicino. Gli dispiacque sinceramente per lui, perciò, emesso un sospiro di rassegnazione, aggiunse –Senti, uhm… non mi hai ancora detto il tuo nome.
–Kevin.
–Ascolta, Kevin: non disperare, continuerò a cercare questo bracciale; lasciami il tuo numero, così potrò chiamarti, in caso dovessi trovarlo.
Kevin, poco convinto, rispose –È il peggiore pretesto che qualcuno abbia mai usato per avere il mio numero- tuttavia, mosso dal briciolo di speranza che è sempre l’ultimo a morire, alla fine acconsentì alla richiesta. –Devo sperare di risentirti presto. Buona giornata!

 
***
 
–Liam? Liam? Insomma!
–Che c’è?
–C’è che non mi stai ascoltando! Si può sapere cosa la tua adorabile testolina bionda reputa più importante di concordare un piano d’azione?
“Concordare, come no! Tu non concordi, Weil; tu ordini. Sei una cazzo di dittatrice. Di’ piuttosto che ti dà fastidio non essere al centro della mia attenzione, per una volta!”, pensò William, senza tuttavia avere il coraggio di dare voce a quel pensiero e così rischiare una morte violenta per mano della sua socia. Si passò nervosamente le mani tra i capelli ed emise un sospiro; mai e poi mai, forse solo di fronte a morte certa, avrebbe confessato di aver irrimediabilmente perso la concentrazione proprio per colpa della ragazza: come poteva pensare che sganciare una notizia bomba del calibro di “avevi uno zio, ma è crepato male a diciott’anni” non avrebbe avuto conseguenze? Qualunque essere umano sarebbe stato divorato dai dubbi, nel migliore dei casi, o traumatizzato a vita, nel peggiore. “Ah, già, dimenticavo: lei non è umana!”
Per quieto vivere, decise di rispondere un atono –Niente.
Frida, però, non la bevve, e sbuffò –Liam, il “niente” pregno di significati impliciti che l’altro dovrebbe cogliere al volo, mentre invece brancola nel buio più totale, è appannaggio del sesso femminile. Zumindest für jetzt1, tu sei un maschio; perciò sputa il rospo, non ho tutto il giorno.
William fu seriamente tentato di mandarla al diavolo, persino di schiaffeggiarla fino a rendere quella pelle dal candore lunare rossa come un tramonto tropicale, ma desistette; in parte perché non voleva rischiare di rimanere appiedato (dei due, Frida era l’unica a saper guidare la macchina), in parte perché non voleva darle la soddisfazione di capire quanto profondamente riuscisse a scuoterlo, seppur in negativo. I suoi costanti sforzi per rendere la Weil una persona migliore stavano sortendo come unico risultato di rendere lui una persona peggiore.
“Bella merda!”, pensò, sbuffando una risata priva di allegria, dopodiché le rifilò una mezza bugia, alla quale però sapeva che lei avrebbe dato credito.
–So che è ridicolo - mia madre deve aver esercitato su di me un’influenza maggiore di quanto pensassi - ma, ecco… questo posto mi inquieta. Sul serio: emana vibrazioni negative.
Come previsto, Frida abboccò all’esca, e senza indagare oltre, lo liquidò con un secco –Non crederai sul serio a questa roba! Ah, già, dimenticavo: metà del tuo patrimonio genetico è “new age”, è già tanto se non giri con qualche strano amuleto al collo!
Dato che “la mamma è sempre la mamma”, sebbene fosse il primo a deriderne le credenze, l’australiano si sentì in dovere di ribattere –Per essere un genio sei veramente ottusa, lo sai? Solo perché non puoi percepire qualcosa con i cinque sensi, non vuol dire che non esista!
Frida, oltraggiata per essere stata definita ottusa, strinse i pugni e digrignò i denti, finché non ebbe sbollito sufficiente rabbia da ribattere in maniera non violenta. –“Solo perché non puoi percepire qualcosa con i cinque sensi, non vuol dire che non esista”? Detto da un ateo convinto, suona quasi grottesco! Jedoch2, anche volendo prendere per buone tutte le Quatsch3 su aura, vibrazioni di energia e simili - dopo un trauma cranico commotivo, natürlich - potrei al massimo credere che vengano emanate da esseri viventi. In altre parole: non è la casa a trasmetterti inquietudine, ma le persone che vi sono dentro. Oppure, se vogliamo analizzare la cosa con un minimo di raziocinio, deine sensible Seele4 si sente a disagio perché sa di trovarsi nel luogo dove una donna si è tolta la vita e sua figlia ha tentato di fare altrettanto.
L’altro non rispose, limitandosi a pensare, mentre si chinava ad accarezzare uno scodinzolante setter palesemente in cerca di coccole, che la faceva facile, lei, a sputare sentenze senza fermarsi un attimo ad empatizzare, e decise di vendicarsi affondando il proverbiale coltello nella piaga, alias una evidente falla nel piano.
–Lasciamo perdere. Comunque, ammesso che riusciamo a intrufolarci nella camera di Aurora, come farai a parlarle? La poveretta è paralizzata dalla testa ai piedi!- attese qualche secondo, beandosi del misto di furia e panico che riuscì a scorgere negli occhi di lei, prima di rigirare il succitato coltello con sadico piacere. –Non ci hai pensato, vero? Ahi, ahi, ahi! Sherlock Weil, una simile superficialità da te non me la sarei mai aspettata! La vedo dura, interrogare qualcuno totalmente incapace di comunicare!
–Cancella quel sorrisetto compiaciuto dalla faccia e smettila di pavoneggiarti! Essendo io una persona intelligente e, soprattutto, matura- a William sfuggì una risata sommessa, che camuffò da colpo di tosse. –Ammetto di aver trascurato questo Kleinigkeit.5; tuttavia, se Aisling Carter, il cui quoziente intellettivo era più vicino a quello di questo cane che al mio, ha superato l’apparentemente insormontabile barriera comunicativa con la sorella, non vedo perché non dovrei riuscirci.
–Modesta come sempre, Weil.
Frida sorrise, e ripeté uno dei mantra di suo padre Franz.
–La modestia è la virtù delle persone modeste, e io sono straordinaria. Oh, ecco Carter!
Salutò animatamente Andrew Carter, dall’aria fosca e tormentata - che su un ragazzo più fascinoso avrebbe creato un’aura di sensuale tenebrosità, su di lui risultava solo deprimente - il quale cingeva le spalle di una donna dall’aspetto formidabile, la cui età era tradita soltanto dall’argento della chioma, scolpita in un’acconciatura elegante, e dalle rughe d’espressione (Frida si chiese a chi avrebbe dovuto vendere l’anima per arrivare a quell’età nelle stesse, eccellenti condizioni). Non bisognava essere dei super detective per intuire che si trattava della nonna di Aisling, e l’uomo accanto a lei - che sembrava talmente sopraffatto dal dolore da dare l’impressione di essere fatto di cristallo - non poteva che essere suo marito.
A quella vista, William e Frida sibilarono, all’unisono –Lombrico patetico! A differenza della Weil, però, William se ne pentì subito: da quando era diventato il genere di persona che riversa cattiveria gratuita su qualcun altro, solo perché gli stava antipatico?
“Sono una merda! ‘Sto poveraccio è ancora a lutto, e io cosa faccio? Lo insulto! Chi se ne frega se è un patetico lombrico? Anche i lombrichi hanno diritto di piangere la sorella morta! Non posso empatizzare fino in fondo perché sono figlio unico - e meno male, sennò col cazzo che mamma mi avrebbe permesso di trasferirmi agli antipodi da papà - ma immagino che se perdessi una sorella in circostanze poco chiare cadrei in una tale depressione da non riuscire neppure ad accennare un sorriso per mesi”.
Senza aspettare un segnale da Frida, si diresse verso di lui, seguito a ruota dalla ragazza, preoccupata che una sua mossa inconsulta potesse minare alla base un piano studiato nei minimi dettagli (o quasi).
–Siete amici di Aisling? Non ricordo di avervi mai visti qui.
I due si scambiarono un’occhiata tra l’allarmato e l’imbarazzato, ma, inaspettatamente, fu Andrew a trarli d’impaccio.
–Sono amici miei, nonna.
–E follower di Aisling- aggiunse William, esibendo un sorriso a trentadue denti degno della pubblicità di un dentifricio. Si rese conto di aver detto la cosa sbagliata, però, quando la Weil lo fulminò con un’occhiataccia e mimò il gesto di sgozzarlo.
La conferma di aver commesso un errore madornale giunse dall’anziana donna, la quale, occhieggiandolo con diffidenza, esclamò –Tutti e due?
“Cazzo, è vero: Aisling si occupava di moda e cosmesi! Roba virile, proprio! Merda, merda, merda! Ora che mi invento? Pensa, William, pensa. Come dice papà? Non c’è situazione troppo disperata da non riuscire ad uscirne usando il cervello… se si ha la fortuna di averne uno funzionante”.
Il suo cervello, fortunatamente, funzionava, e in pochi istanti l’australiano riuscì a riappropriarsi del sorriso smagliante e di sufficiente faccia tosta da replicare –Anche i ragazzi possono volere pelle liscia e ricci perfetti!
Inspiegabilmente, riuscì a strappare un sorriso a Mr. Conworthy, che esclamò –I tempi sono proprio cambiati! È inutile che ti sconvolgi, Isobel, alla nostra età non si può sperare di capire i giovani; sono un mondo a sé. Al massimo, possiamo provare con i bambini, con cui abbiamo di più in comune.
Altrettanto inspiegabile fu la reazione di Mrs. Conworthy: perse il poco colore che aveva sulle guance, scoccò al marito un’occhiata colma di un dolore talmente profondo da far accapponare la pelle a chiunque possedesse un minimo di sensibilità, e scoppiò in lacrime.
–Vi chiedo scusa per mia moglie. La morte di Aisling è stata una dura prova per lei. Sarà meglio che la porti di sopra a riposare.
Alla sua destra, William udì quella che, se ben ricordava, era un’imprecazione in tedesco. Si accigliò immediatamente: va bene che la presenza dei signori Conworthy al piano superiore costituiva un ostacolo non indifferente al suo piano di intrufolarsi in camera di Aurora per provare a cavare qualche informazione utile, ma possibile che, per raggiungere i propri scopi, la Weil non si fermasse nemmeno davanti al dolore di una povera donna? La prossima volta in cui sarebbero stati soli gliene avrebbe dette quattro, anzi, otto; un conto era avere una morale elastica, un altro nessuna morale.
–Vi accompagno- intervenne Andrew, bloccato però dal nonno, che lo esortò a rimanere con i suoi amici e fare le veci di padrone di casa.
–Tranquillo, la nonna è in buone mani.
Frida attese che fossero spariti su per le scale, prima di soffiare, come un gatto arrabbiato –Grazie del salvataggio di prima, Carter. Quanto ci vorrà, secondo te, per avere via libera? Dobbiamo andare da tua sorella.
–Cinque minuti, più o meno. I nonni sono abbastanza arzilli, ma non si muovono più con la stessa rapidità di quando erano giovani.
–Patirò ogni minuto come fossero cinque, sappilo- si lagnò Frida, storcendo il naso; poco dopo, notò qualcosa che la indusse ad un repentino cambio di programma. –Ripensandoci: sarebbe troppo sospetto se sparissimo entrambi dalla circolazione, Liam. Andrò io da Aurora. Tu, intanto, bracca Alex.

 
***
 
Non aveva mai preso in considerazione la carriera militare, sia perché pacifista convinto, sia perché intrinsecamente incapace di obbedire ciecamente agli ordini. Difatti, non appena Frida si era allontanata in compagnia del lombrico alla moda, invece di mettersi alla ricerca di Alex, aveva cercato su internet prove a conferma dell’esistenza di suo zio; per quanto avesse imparato a fidarsi della Weil, che non gli aveva mai mentito, parte di lui si rifiutava di credere a quanto gli aveva raccontato, probabilmente perché crederle avrebbe significato perdere irrimediabilmente la fiducia in suo padre.
Inserì nome e cognome nel motore di ricerca, incrociò le dita e chiuse gli occhi; quando li riaprì, vide che internet aveva restituito una serie di articoli e immagini.
La verità lo colpì con la forza di un treno in corsa, lasciandolo frastornato, triste e arrabbiato. Triste perché non avrebbe mai conosciuto lo zio Vyvyan (“Zio. Che assurdità! Nelle foto sembra mio fratello!”); arrabbiato con la vita, che gli aveva negato quella possibilità, e con suo padre, così stronzo da tenerglielo nascosto.
“Questa non te la perdono, papà! Se me ne avessi parlato, lo zio sarebbe diventato parte di me, avrebbe continuato a vivere anche nei miei ricordi. Invece no! Ho dovuto scoprirlo dalla Weil. Dalla Weil, cazzo! Capisco il dolore che devi aver provato, che provi tuttora, ma… non è giusto. Sono tuo figlio, avevo il diritto di sapere.”
Devastato nello spirito, mentre racimolava informazioni sul defunto fratello di suo padre, non si accorse di essere in rotta di collisione con un ragazzo, anch’egli assorto nella contemplazione dello schermo del cellulare. Lo scontro fu inevitabile, e i telefoni di entrambi finirono a terra.
–Guarda dove vai!- ringhiò quello.
–Io? Tu, piuttosto!- ringhiò William di rimando, salvo poi tornare in sé e chiedergli scusa per la sua disattenzione.
L’altro, però, non sembrava incline ad una soluzione pacifica. Dopo alcuni, futili tentativi di reinserire la scocca posteriore del cellulare, infatti, disse –Puoi ripetere?
–O-Ok. Scusa. Mi dispiace. Non volevo.
Il ragazzo provò nuovamente a richiudere la scocca a protezione della batteria, fallendo miseramente, sputò –Come vedi, le tue scuse non sono servite a rimediare al guaio che hai combinato. Perciò sai dove puoi ficcarle?
–Kenny!- lo rimproverò il ragazzino sui tredici anni che lo accompagnava, riuscendo a far emettere all’altro uno sbuffo esasperato, prima di girare sui tacchi e andarsene. –Stai bene?- domandò poi a William. –Ti chiedo scusa per mio fratello, di solito non è così- ridusse il volume della voce ad un sussurro –Stronzo. La morte di Aisling lo ha sconvolto. Ha sconvolto chiunque la conoscesse.
In altre circostanze, William si sarebbe limitato ad accettare le scuse e chiudere la faccenda, ma la recente scoperta gli aveva lasciato l’amaro in bocca, per cui replicò, senza curarsi di apparire sgarbato –Siete gemelli geneticamente identici? Cloni creati in laboratorio? No? Allora non posso accettare che tu risponda per lui. È stato lui a urtarmi e sbraitare, dev’essere lui a scusarsi; e gli conviene farlo quanto prima, perché a chi non ha le palle di chiedere scusa, cadono. Dillo al grand’uomo.
Caso volle si imbattesse di nuovo in loro nell’armeria, dov’era capitato mentre girovagava in cerca di Alex (dopo una ramanzina da parte della propria coscienza aveva riacquistato la giusta concentrazione), e fu un colpo di genio decidere di fermarsi ad origliare fingendosi interessato alla collezione di pistole, fucili e corni da caccia.
–Potresti sforzarti di mostrarti un minimo dispiaciuto, Kenny: nel caso non l’avessi notato, siamo a un funerale- lo rimproverò il minore.
–E’ una commemorazione, Noah. Il funerale c’è già stato. Quando hanno seppellito Aisling sotto terra in una bara, ricordi?- rispose l’altro, palesando con l’espressione e il tono di voce la propria insofferenza.
Sconcertato da cotanto cinismo (“Questo fa concorrenza alla Weil!”), William non poté non concordare con Noah quando questi replicò –E’ comunque una commemorazione funebre. Dobbiamo essere tristi, o quantomeno apparire tali. Ricorda cosa ha detto papà: non possiamo permetterci di metterlo in imbarazzo, questo sarà un anno importante per lui. Comunque, credevo che Aisling fosse tua amica. Non dovresti essere triste per la sua morte?
L’antipatia nei confronti di colui che aveva ribattezzato “Faccia da cavallo” crebbe nel sentirlo rispondere, sempre in tono monocorde –Proprio perché ero suo amico, e la conoscevo bene, mi è impossibile rattristarmi a dovere: Aisling non avrebbe voluto tutto questo. Sono sicuro che, ovunque sia, ci sta guardando delusa del fatto che sprechiamo tempo a piangerla, invece di onorare davvero la sua memoria godendoci la vita e facendo festa fino a star male. Dico bene, Alex?
Una figura allampanata in completo nero dal taglio maschile si voltò, e per poco William non si lasciò sfuggire un’imprecazione.
“Sono un idiota! Un coglione spaiato! Un perfetto esempio di come la ristrettezza mentale ancora infetti la società! Perché non mi ha sfiorato nemmeno per sbaglio l’idea che Alex potesse essere una ragazza?”
Alex, esibendo un’espressione annoiata da rivaleggiare con quella di Kenny, scostò una ciocca castana e ribelle dagli occhi, e rispose –Non saprei. Non la conoscevo così bene.
William trattenne a stento una risata di scherno: a giudicare da quanto gli aveva riferito Frida, e dal poco che era riuscito a leggere in macchina, le due si conoscevano non bene, benissimo! Anche se, ad essere onesti, da quei messaggi trasparivano sentimenti parecchio più profondi da parte di Alex; in parole povere: poesie di Prevert da una parte, frasette mielose da Baci perugina dall'altra.
Pure Kenny, per ragioni completamente diverse, dovette avere dei dubbi sulla veridicità di quell’affermazione, perché sbuffò –Sei la sorella della sua migliore amica, come puoi dire che non la conoscevi?
La rivelazione sconvolse William, finché la voce della razionalità (che, guarda caso, era la voce di Frida) non gli impose di osservarla meglio alla luce della nuova informazione in suo possesso.
Fu costretto ad ammettere che la Weil, ancora una volta, aveva ragione (“E quando mai!”): si era lasciato traviare dal look androgino di Alex, scotomizzando i numerosi, evidenti punti di somiglianza tra lei e Nita; scrutandola con più attenzione, riuscì a notare svariati punti di somiglianza tra le due.
Un lampo di rabbia trapassò gli occhioni scuri di Alex, che apparivano ancora più grandi, incastonati nello smunto viso a cuore. Era chiaro che desiderava porre fine prima possibile a quella conversazione.
–Ho detto che non la conoscevo bene, non che non la conoscevo affatto- emise un sospiro mesto e aggiunse –In fondo, sono solo la sorellina di Nita. Nessuno di importante.
Fece per allontanarsi, ma Kenny, gli occhi nocciola scintillanti di malizia, la stuzzicò colpendo sapientemente un nervo scoperto.
–Peccato. E io che speravo fossi importante abbastanza da costituire una fonte di pettegolezzi succosi sul suo suicidio! Ammesso che di suicidio si tratti.
–È morta, che differenza fa il come?
–Una differenza enorme- latrò lui. –Non sopporto venga ricordata come un’anima miseranda, disperata la punto da togliersi la vita. Lo sai tu, lo so io, lo sa chiunque conoscesse Aisling - la vera Aisling, non la versione patinata e perfettina da migliaia di follower - che non aveva un motivo al mondo per ammazzarsi. L’unica altra spiegazione plausibile è che fosse strafatta e sia caduta per errore mentre apriva la finestra; il che sarebbe desolante: crepare per errore è da idioti!
Alex piegò di lato la testa, in maniera del tutto simile a un pappagallo, ed esalò –Io so di non sapere, Kenny. Anzi, no, una cosa la so: mi sono rotta di sentirti blaterare. Cia’!
Piccato, Kenny ribatté con tutta la perfidia di cui disponeva –Che ti è successo, Alex? Un tempo eri divertente! … Ed eri chiaramente una ragazza- prima di rivolgersi a William. –E tu, Riccioli d’oro, non sai che è maleducazione origliare?
Pervaso una seconda volta da una rabbia che non sapeva di poter provare, l’australiano ruggì –Oh, chiudi quella fogna, Faccia da cavallo!- e corse via, tirandosi dietro una perplessa Alex, prima che Kenny potesse registrare le sue parole.
***
 
–Puoi mollare la presa, adesso. Dico davvero: mi fai male.
William, caduto in una sorta di trance indotta dalla rabbia, a quelle parole si riprese all’istante, e si accorse di stare ancora stringendo il polso di Alex, la quale, tuttavia, non pareva tanto turbata, quanto infastidita dalla presa troppo salda.
–Scusa!- disse, poi, dopo averci riflettuto, aggiunse –Che stupido, non mi sono presentato! Piacere, William. Condoglianze per la tua perdita.
–Alexis, ma tutti mi chiamano Alex- rispose lei, squadrandolo da capo a piedi. Una volta stabilito che il biondino non costituiva una minaccia, aggiunse –Grazie. Sei il primo a farmele. Gli altri si sono precipitati a offrire conforto e osservare voyeuristicamente il dolore di mia sorella.
–Lei e Aisling erano amiche d’infanzia, è normale.
–Sì, beh, ci sono anch’io!- ululò Alex, serrando i pugni. –Anch’io ho perso… qualcuno.
–Lo so, e mi dispiace- chiocciò William in tono paterno. –Dev’essere tremendo perdere la persona amata e dover tenere tutto dentro. Perché tu amavi Aisling, non è così?
La postura della ragazza si fece più rilassata, lo sguardo meno accigliato. Intuì di aver fatto centro. Dal modo in cui aveva risposto a tono a Faccia da cavallo, aveva dedotto che Alex era sicura di sé, schietta, senza peli sulla lingua; l’opposto di Nita, insicura e nevrotica. Con lei le tattiche manipolatorie tanto care a Frida sarebbero state controproducenti, molto meglio giocare a carte scoperte.
–Chi sei tu? E non rifilarmi la balla dell’amico di Andrew: Andrew non ha amici, li ha fatti scappare col suo brutto carattere. Mi domando cosa ci trovi in lui Nita.
“A Nita piace Andrew! Avevo visto giusto! Beccati questa, Weil! Tu sarai Sherlock, ma sono io il detective Stranamore!”
–Sono uno che, per quanto mi costi ammetterlo, concorda con Facc… Kenny. Ehm… facciamo due passi?
–Per parlare lontano da orecchie indiscrete? In questa casa persino i muri hanno le orecchie; possiamo benissimo restare qui. Metterò il naso fuori solo e soltanto se hai da fumare.
William non perse tempo; estrasse dalla tasca un pacchetto di sigarette e un accendino, e li porse ad Alex, che annuì in segno di approvazione e disse –Fai strada.
 
Nota dell’autrice
Note dell’autrice Con imperdonabile ritardo, rieccomi! Spero che il capitolo sia valso l’attesa. * occhioni cucciolosi *
Riecco anche Kevin! Era da un po’ che scalpitava per tornare alla ribalta. Vi era mancato?
E che mi dite di William: poverino, non ha un momento di pace; prima la scoperta di avere (avuto) uno zio, poi l’incontro-scontro con Kenny… qualche volontaria che vuole dargli un po’ di conforto?
Frida invece era insopportabile, vero? Bene, è così che deve apparire!
Piccolo “spoiler” (se così si può chiamare): ho letteralmente sognato la trama del sequel di Locked-in, e deciso di introdurre un personaggio chiave del seguito proprio in questo capitolo. 😉
PS: credo che i nomignoli che si sono dati, in italiano non rendano; voglio dire, Horseface e Goldielocks suonano molto più fighi di Riccioli d’oro e Faccia da cavallo, ma pazienza, non si può avere tutto dalla vita!
PPS: non dimenticate che la storia è ambientata nel futuro, quindi è credibile che persino i più anziani conoscano e/o usino i social (magari non quelli di ultima generazione), ergo non stupitevi del fatto che la nonna di Aisling abbia compreso il significato di follower (e non abbia pensato che William fosse una specie di stalker).
A presto (spero)!
1Almeno per il momento
2Comunque
3Stupidaggini
4Il tuo animo sensibile
5Dettaglio
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Il braccio violento dell'amore ***


Bentrovati, miei prodi lettori!
Grazie, come sempre, ai lettori silenziosi e, naturalmente, a chi lascia un commento. * manda baci e abbracci * <3 <3
Avvertenze: le rivelazioni contenute nel capitolo potrebbero causare tachicardia, fiato corto, finanche shock. Si raccomanda di non intraprendere la lettura senza una comoda superficie di appoggio, una bevanda calda e, possibilmente, snack golosi e un gatto coccoloso.
Colonna sonora consigliata (soprattutto per la seconda metà del capitolo): “Can you feel my heart” dei BMTH (la versione originale, o l’ottima cover di Ai Mori feat. Halocene), e l’incommensurabile “Numb” dei Linkin Park.
 
Il braccio violento dell’amore
 
“Conosce l’amore solo chi ama senza speranza”.
Friedrich Schiller
 
Sebbene non fosse mai stato un tipo atletico, Andrew salì le scale a due a due, nella speranza di liberarsi il prima possibile di Frida. I pochi minuti trascorsi in sua compagnia, infatti, lo avevano persuaso della necessità, per salvaguardare la poca sanità mentale che gli rimaneva, di condurla da Aurora e poi accampare subito una scusa per dileguarsi. L’ingombrante  presenza della ragazza non gli procurava semplice ansia… bensì una sorta di timore reverenziale. I penetranti occhi di ghiaccio, la lingua tagliente, quel fastidioso atteggiamento di superiorità. Ogni secondo accanto a lei lo faceva sentire un supplice mortale al cospetto di una impietosa divinità.
Deciso, tuttavia, a non darle la soddisfazione di capire quanto lo mettesse a disagio, esalò, con fiato corto –Sono tre ore che mi fissi con quella strana espressione. Ti piaccio così tanto?- si sorprese nel constatare che, a quelle parole, l’irritante sorrisetto di lei si era allargato, e aggiunse  –No, perché, spiacente di deluderti, ma non sei il mio tipo!
La risposta di Frida fu una sonora risata, seguita dal divertito –Vorrei ben sperare! Liam, psicologo in erba, ha detto che non hai bisogno di una donna, quanto piuttosto di un surrogato di mammina amorevole che ti colmi dell’affetto e delle attenzioni che ti sono mancate quando eri piccolo; e a me non piacciono i bambini piagnucolosi.
Offeso dalla sincerità (sconfinante nella maleducazione) della Weil, Andrew mise a tacere la parte di lui che concordava con il profilo psicologico delineato da William, ricacciò a fatica il fiume di epiteti poco lusinghieri che avrebbe voluto rivolgerle, ed invece chiese –Cosa ti piace, allora?
Frida gli rivolse un’occhiata deliberatamente maliziosa, studiata per metterlo a disagio; peccato che, contrariamente all’atteso, invece di acuire il timore reverenziale di Andrew, gli risultò quasi comica, inducendolo a pensare che una persona così “fuori dal comune” - per non utilizzare espressioni ingiuriose o volgari - sarebbe sicuramente andata d’amore e d’accordo con Kenneth Rhys-Jones, il più “fuori dal comune” tra i compagni di merende di Aisling (e, non a caso, quello che meno poteva soffrire).
“Forse dovrei presentarli. Unire due anime gemelle potrebbe giovare al mio karma!”
–Ti ritengo abbastanza intelligente da non insultarti con una risposta. Ora, se hai finito di dare fiato alla bocca, avrei una domanda; una intelligente, tanto per cambiare. Come conosci meinen Freund1 Kevin?
A differenza della Weil, Andrew non era abile nel dissimulare le proprie emozioni: preso in contropiede da quella domanda diretta, venne colto dal panico, impallidì, iniziò a sudare freddo e balbettò qualcosa di incomprensibile, il tutto sotto lo sguardo sempre più divertito di lei.
“Si sta prendendo gioco di me, la stronza! Ma se crede che spiffererò tutto così facilmente, casca male!”
–Non so di cosa parli. Non conosco nessun Kevin.
Komm, verarsch mich nicht2!- ruggì lei, facendolo trasalire per l’asprezza sia del tono di voce che delle parole. –Lo conosci eccome! Solo, non vuoi ammetterlo, e non capisco proprio il perché: cosa c’è di male nell’aver rimorchiato un bel moretto con l’aria da artista bohémienne? Personalmente, “una botta e via” è una formula che non mi si addice, ma non giudico- picchiettò l’indice sul mento con fare pensoso, e aggiunse –Aber, jetz wo ich darüber nachdenke3, ci sta che tu lo conosca sotto un altro nome: a volte usa degli alias, specie se non è interessato a ripetere l’esperienza.
Represso a forza l’istinto di curvare le labbra in un sorriso, lieto che Kevin avesse dimostrato sufficiente fiducia in lui da rivelargli il suo vero nome, Andrew ribatté, fingendosi schifato –Io rimorchio soltanto ragazze, Weil. Per la precisione, ragazze fighe. Non sono frocio, io! Chiaro? Mi sorprende che tu abbia degli amici, comunque.
Lei, lungi dal sentirsi oltraggiata, sbuffò una risatina di scherno e replicò, in tono pratico –Mi sorprende che ti sorprenda. L’essere umano è un animale sociale; io sono un essere umano, pertanto sono un animale sociale. È un sillogismo aristotelico, nel caso te lo stessi chiedendo.
–Non me lo stavo chiedendo.
–Oh, è semplicemente un tipo di ragionamento dimostrativo, teorizzato appunto da Aristotele, con cui si connettono tre proposizioni dichiarative in modo tale che dalle prime due, assunte come premesse, si possa dedurre una conclusione- ignorò l’espressione vuota di Andrew, che si era perso alla parola “sillogismo”, e proseguì come niente fosse. –Ah, un’altra cosa: künftig4, evita di utilizzare una certa parola che non sto a ripetere; offen gesagt5, la trovo riprovevole.
Ormai determinato a continuare la farsa, Andrew scosse il capo con condiscendenza, e sospirò –Il politicamente corretto è una cazzata, Weil: una rosa sotto un altro nome non muta il suo profumo- salvo poi cedere, di fronte alla luce vagamente omicida comparsa negli occhi di lei. –Però, se ti dà così tanto fastidio, cercherò di eliminare certe parole dal mio vocabolario. In che lingua devo ripetertelo, comunque? Non so chi sia questo Kevin, e di sicuro non me lo sono scopato!- un brivido gli percorse al contrario la spina dorsale nel vedere il lampo di furia omicida comparire nei suoi occhi una seconda volta, e non poté fare a meno di pensare che a una puritana come lei un giretto con Kenny avrebbe fatto senz’altro bene; peccato che, in un ennesimo colpo di coda dei suoi, negli ultimi tempi avesse adottato lo stile di vita del vicario di provincia, sia per essere di esempio al fratello minore Noah, sia per non intralciare le ambizioni politiche del padre. –Perché, mettitelo bene in testa: io non sono f… quello che credi! Ok?
La reazione della ragazza lo inquietò: invece di arrabbiarsi, come previsto, si limitò a sorridergli placida; un sorriso irritante, a labbra chiuse, che non si estendeva agli occhi, freddi e inespressivi.
Incurante di non essere compresa, sibilò in tedesco –Belüge dich selbst, wenn du willst, aber nicht mich. Nie mich.6 Se non hai passato la notte con Kevin, come mai indossi il suo bracciale, un bracciale che non si toglie nemmeno sotto la doccia?
–Tu sei pazza!- ruggì Andrew, paonazzo, maledicendo la pessima quanto impulsiva decisione di mettersi quel dannatissimo affare (neanche lui sapeva perché). La Weil era l’ultima persona al mondo alla quale avrebbe confessato le sue inclinazioni. “Negare, negare l’evidenza fino alla morte!” –Questo è mio! Mio, capito?
Per tutta risposta, Frida sollevò una manica del vestito a mostrare, al polso destro, un bracciale identico a quello indossato da Andrew, che rimase di sasso.
“Merda, merda, merda, MERDA!”
–Conoscendoti, ho quasi paura di scoprire che è il simbolo di una setta.
Unwissend und lügend.7 Andiamo bene! Devi avere doti nascoste, o non si spiega cos’abbia spinto Kev a lasciarsi rimorchiare da te! Für deine Information8, questo è un nodo gordiano, dall’antica città di Gordio. Secondo la leggenda era impossibile da sciogliere, e chi ne fosse stato in grado avrebbe regnato sull’Asia Minore; si narra che neppure Alessandro Magno ci riuscì e, frustrato dall’ennesimo tentativo infruttuoso, lo tranciò di netto con la spada… per poi partire alla conquista dell’Asia allora conosciuta. “Indissolubile, come la nostra amicizia”, così disse Kev. Fu lui a regalarli a me, Kimmy e Nate. Gli sono sempre piaciute le esternazioni di affetto eclatanti.
–Scusa, eh, ma questo non significa niente!
Frida giocherellò per qualche attimo con il suo bracciale, quindi esalò –Quante probabilità ci sono che due prodotti artigianali siano perfettamente identici? Forse ti sono sfuggite, ma io ho subito notato le intaccature sui cordini, e le unghiature nel cuoio accanto all’attaccatura del ciondolo.  Tutti segni degli sfoghi d’ansia di Kev. Allora, sei ancora intenzionato a negare l’evidenza?
Andrew fu tentato di darle ancora una volta della pazza (anche perché lo pensava), ma poi parve ripensarci, e rimase con la bocca socchiusa e l’indice della mano destra a mezz’aria. Un quadretto piuttosto ridicolo, che suscitò l’ilarità di Frida.  
–Sai, Weil, credo di non averti mai sentita ridere così tanto. Preferirei che non fosse a mie spese, ma devo ammettere che ti rende più… umana.
–Di solito non lo sembro?
Imbarazzato per quella gaffe, Andrew si grattò la nuca, ridacchiando istericamente. Perché non si era morso la lingua, accidenti a lui?
–Ehm… beh… ecco… Sai che ti dico? Basta stronzate. Hai ragione: il tuo amico ha perso il suo bracciale nel mio letto, mentre…
–Risparmiami i dettagli, bitte!
–Scusa. Anche per averti mentito, prima. È che io per primo fatico ad accettare di essere... sì, insomma, che non mi piacciono solo le ragazze. Il fatto che i nonni uscirebbero di testa, se lo venissero a sapere, non facilita le cose. È terribile, non poter essere se stessi con le persone che, in teoria, dovrebbero volerti più bene al mondo- rispose lui, mentre sfogava il nervosismo tormentandosi le mani, dopodiché sfilò il bracciale e glielo porse. –Kevin sarà felice di riaverlo.
La ragazza gli sorrise sorniona, replicò –Volerà nell’iperuranio se sarai tu a restituirglielo, fidati- sbuffò una risatina, divertita dalla reazione di Andrew, che aveva assunto una decisa tonalità rosso pomodoro, e celiò, scrollando le spalle –Sono un’inguaribile romantica, non posso farci nulla!
Sconcertato da quell’affermazione - mai avrebbe pensato di accostare l’aggettivo “romantico” alla Weil - Andrew si limitò ad annuire, prima di avanzare verso la camera di Aurora, all’estremità opposta del corridoio. Dopo tre passi, però, venne sospinto contro il muro con bruta forza senza avere tempo e modo di opporre resistenza, e si ritrovò, come alla festa di Halloween, l’avambraccio di Frida premuto sul collo. Se non lo avesse liberato presto, avrebbe finito col soffocare.
–W-Weil… non… respiro…
Es ist mir egal.9 Devo assicurarmi che il messaggio penetri. C’è un numero limitato di vite a cui posso dare valore; Kevin rientra tra queste, tu no. Pensaci, prima di anche solo provare a fare lo Scheißkerl10 con lui. Intesi?
In quel momento, Andrew comprese pienamente la portata della lealtà di Frida: in tanti millantavano di essere disposti a tutto, persino uccidere, per le “vite a cui davano valore”; lei - glielo lesse nei due iceberg incastonati in quel volto dai lineamenti morbidi - ne sarebbe stata capace, senza battere ciglio. Era un braccio violento dell’amore.
La necessità di centellinare il poco ossigeno che la presa della ragazza gli consentiva di inalare monopolizzò la sua attenzione; quando, persuasa che la minaccia avesse sortito l’effetto sperato, Frida lo lasciò andare, Andrew si accorse di qualcosa che lo mise immediatamente in allarme.
–La porta della camera di Aisling… è aperta!
 
***
 
Alex, la sigaretta fumante stretta tra le labbra esangui e leggermente screpolate, camminava fissando il ragazzo biondo al suo fianco con il medesimo miscuglio di curiosità e diffidenza che un gatto randagio adottato riservava alla nuova casa. Nel poco tempo trascorso in sua compagnia, era giunta alla conclusione che quel tipo era strano. Molto strano.
Restava da vedere se avrebbe prevalso la curiosità o la diffidenza: se, da un lato, apprezzava la sensibilità mostrata nel non forzarla a parlare, limitandosi ad incedere lentamente, soffermandosi di tanto in tanto a rivolgerle un sorriso rassicurante o a scorrere le dita affusolate tra le foglie degli arbusti e degli alberi, sebbene fosse chiaro quanto stesse smaniando per inondarla di domande sul suo rapporto con Aisling; dall’altro, la disturbava il fatto - ancora più strano, quantomeno agli occhi di una fumatrice accanita come lei - che le avesse offerto una stecca senza accenderne una per sé.
Da persona senza filtri quale era, dopo aver aspirato e disperso nell’aria una boccata di fumo grigiastro dall’odore acre, gli domandò come mai non si fosse unito a lei nel godere del prototipo del piacere perfetto secondo Oscar Wilde.
La sua risposta confermò l’opinione che aveva di lui: era davvero strano.
–Io non fumo.
–Allora perché giri con stecche e fuochino portatile in tasca? Sei un piromane?
–Vorrei poter dire che le uso per rompere il ghiaccio con le ragazze- sospirò teatralmente, la schiena spalmata contro il tronco di un albero. –Ahimè, l’amara verità è che faccio da ricettatore per il mio amico Kevin. I suoi sono parecchio severi su certe cose, per cui è costretto a…
–Vivere di nascosto? Triste! Lo dico per esperienza.
–L’alternativa è una vita pressoché ascetica. Non mi sembra granché allettante. Comunque, dubito esista qualcuno che da adolescente - persino adulto - non abbia mai nascosto qualche vizio o cazzata ai genitori. È praticamente un rito di passaggio.  
Alex scrollò le spalle, tirò un’altra boccata di fumo, infine asserì, con assoluta serietà –Secondo me quando hai figli ti si resetta il cervello, cancellando i ricordi dei tuoi vecchi sotterfugi e cazzate.
William ridacchiò: quella ragazzina indurita prematuramente gli stava sempre più simpatica.
–Teoria interessante. Spiegherebbe molte cose- il pensiero andò ancora una volta a suo padre; si chiese quali e quante stronzate avesse combinato alla sua età, magari con la complicità del fratello, lo zio che gli era stato tenuto nascosto, lo zio che non avrebbe mai conosciuto e che, proprio per questo, gli sarebbe piaciuto immaginare attraverso i ricordi di chi invece lo aveva conosciuto. D’istinto strinse i pugni e digrignò i denti, scosso da un tornado di rabbia che, lo avesse avuto davanti, avrebbe sfogato sul genitore; pur essendo stato bullizzato, non aveva mai alzato le mani su nessuno, nemmeno per difendersi, perché andava contro il suo senso dell’etica (una volta, non a torto, la Weil lo aveva definito “novello Gandhi”), ma in quel caso avrebbe fatto volentieri un’eccezione.
Quel repentino mutamento d’umore preoccupò Alex, che si affrettò a domandargli se stesse bene.
–Senza offesa, ma la tua faccia è passata in un nanosecondo da boy scout dell’anno a potenziale serial killer. Devo avere paura?
Recuperata la calma, William scosse il capo e disse –Non oggi. Esilarante, comunque, come la gente nutra l’assurda convinzione che premettere o concludere un’affermazione offensiva con “senza offesa” possa valere come scusa- scorse una panchina poco lontano, ma esitò ad avvicinarsi: la sua interlocutrice tendeva a chiudersi a riccio e rizzare gli aculei con chiunque si avvicinasse troppo; non voleva metterla a disagio confinandola tra due braccioli. Rimase perciò a debita distanza, mollemente poggiato al tronco di un platano. –Tranquilla, sto scherzando. Non me la sono presa.
La replica di Alex, niente affatto impressionata dall’eloquenza dell’australiano, fu il secco –Non me ne può fregare di meno. Ora, per favore, possiamo andare al punto? Come sai di me e Aisling?
–Ho letto i messaggi che vi scambiavate- rispose William con semplicità, facendola arrossire. –Molto poetici i tuoi. Complimenti. Anche se, forse, il merito va agli autori dai quali hai attinto.
Lungi dal sentirsi malamente smascherata, Alex, persa ogni traccia di rossore sul viso, confessò con una punta d’orgoglio –Ling era molte cose, ma non una letterata. Tanto valeva approfittarne, no? Prévert, Neruda e Garcìa Lorca approverebbero.
–Che tu abbia spacciato le loro opere come tue? Ho i miei dubbi. A nessuno piace che altri si approprino dei frutti della propria creatività. Oltretutto, se Aisling non possedeva tutta ‘sta gran cultura, a che pro barare?
–Perché Ling, sebbene non abbia mai letto niente di più complesso dell’etichetta dello shampoo - per citare una delle migliori battute al vetriolo di Kenny - era sensibile al fascino delle belle parole. Si eccitava tutta a sentirmi declamare quando stavamo insieme- alzò una mano a censurargli il volto, e sbraitò –Oh, piantala di guardarmi così, Mr. Moralità! Non puoi farmene una colpa: tutti bariamo in amore. Nessuno si mostra mai per come realmente è.
William alzò le mani in segno di resa, e preferì cambiare argomento.
–A proposito del buon vecchio Faccia da cavallo - lo chiamo per nome, tanto ormai siamo amici del cuore - secondo te diceva sul serio, prima? Nutre dubbi sulla morte di Aisling? Perché, ad essere sincero… non sarebbe l’unico.
Alex rimase pietrificata, incapace di credere alle proprie orecchie: era già abbastanza doloroso elaborare il suicidio della persona amata in silenzio, senza alcun conforto; non aveva bisogno di gettare sale su delle ferite che faticavano a rimarginarsi (e forse mai lo avrebbero fatto).
–Kenny è un idiota, non darei peso alle sue parole. Gode nel provocare; è il classico tipo che appicca il fuoco e getta via il fiammifero, per poi guardare tutto ardere intorno a lui. Poco fa voleva semplicemente infastidirmi… e ci è riuscito- finì di consumare la sigaretta e la spense, prima di riaprire bocca. –Cos’è ‘sta storia che Ling non si sarebbe tolta la vita? So che il patologo non ha trovato roba sospetta sul corpo, e la polizia ha archiviato il caso.
William ponderò accuratamente la risposta: non poteva tenere del tutto all’oscuro dei fatti Alex, se sperava di indurla a collaborare; d’altro canto, in quell’indagine ufficiosa in cui tutti erano potenziali sospettati, non poteva neppure rischiare di rivelare troppo.
–Il patologo ha fatto il suo lavoro, cioè individuare l’epoca, la causa e i mezzi del decesso; non si può esigere che conduca le indagini al posto degli inquirenti. Aisling è deceduta per un politrauma da precipitazione, ossia un gran numero di lesioni gravi a ossa e organi dovute alla caduta. E, diciamocelo, pensare che si riescano a trovare segni inequivocabili di un aiutino esterno in un simile sfacelo, sarebbe come pretendere di risalire al numero esatto di uova osservando una frittata. Però, ecco, la mia, uhm, socia Frida ritiene che la dinamica degli eventi sia poco, ehm, compatibile con la tesi del suicidio, o del tragico incidente: Aisling era stata in ospedale, poche ore prima di morire, e il medico l’aveva riempita di tranquillanti, rinvenuti anche all’esame del sangue; come avrebbe fatto ad alzarsi nel cuore della notte, raggiungere la finestra e lanciarsi nel vuoto?
Alex parve prenderla bene: a parte un lieve tremore alle mani e gli occhi sgranati, nulla, della sua persona, lasciava trapelare il turbinio di emozioni contrastanti che le stavano squassando mente e anima.
–Capisco. Quindi è per questo che mi hai avvicinata. Tu e la tua… socia pensate sia stata io?
“Pressure test superato. Peccato, speravo in una reazione meno composta! Vediamo come reagisce a un’accusa diretta.”
–Avresti potuto guidare fin qui, intrufolarti in casa mentre tutti dormivano, trascinare Aisling fuori dal letto e scaraventarla giù. Era di corporatura esile, e mezza stordita dai farmaci, non avrebbe opposto resistenza. 
Alex incassò anche quel colpo con ammirevole aplomb; ostentando indifferenza ribatté, con voce atona –Non ho la patente. A parte questo, plausibile, devo concedertelo. Movente?
Ripensando alla guida spericolata della Weil - roba che avrebbe fatto impallidire Dominic Toretto - per un istante William fu tentato di ribattere che non era necessario avere uno stupido rettangolo di plastica rosa per essere dei bravi guidatori. Fortunatamente, rinsavì prima che la sua lingua lunga mettesse lui e Frida nei guai.
–Un crimine passionale. L’amore si tramuta in odio così facilmente! Forse, ti sei scocciata di stare nell’ombra; volevi vivere la vostra storia alla luce del sole- gli parve di scorgere un fugace velo di panico negli occhi da cerbiatta di lei, e, determinato a cavalcare l’onda montante - oltre che a darsi un tono - si lanciò in un’ardita citazione. –“Odio e amo”, cantava il poeta. “Forse chiederai come sia possibile; non lo so, ma mi tormenta”. Più o meno. Una roba del genere.
–Lascia riposare in pace Catullo, per carità!- gnaulò la ragazza, coprendosi gli occhi con le mani, inorridita dal becero trattamento riservato a quei versi immortali. –Hai appena macellato uno dei carmi più belli mai scritti, te ne rendi conto? Probabilmente no. Ah, per rispondere alla tua ridicola accusa: amavo Ling, non le avrei mai fatto del male! Sì, dovermi accontentare di incontrarci in segreto cominciava a pesarmi, ma capivo che uscire allo scoperto avrebbe nuociuto al suo successo. Il popolo del web è quantomai volubile, nello scegliere le proprie divinità.
–O forse, hai pensato di essere tu il problema, che Aisling si vergognasse di te. E ti sei arrabbiata.
–Ti sembro tipo da infuriarsi e dare di matto? Non avrei fatto niente che potesse farmi rischiare di perdere Ling! Non dopo aver rinunciato a tutto, per lei… compresa la mia identità.
Anche se, in fondo, aveva già intuito la risposta, William non poté fare a meno di chiederle, esibendo una mancanza di tatto degna di Frida –Nel senso che Ling non amava te, ma il tuo essere la sorellina copia sputata di Nita?
Aveva sperato in uno sprazzo di emotività, ed eccolo servito: Alex prese a sussultare, singhiozzante, mentre copiose lacrime le rigavano le guance, per poi precipitare sul terreno come foglie in autunno.
–Però! Perspicace!- gracchiò, la voce arrochita dal pianto. –I miei complimenti. Ci hai messo meno di me a capirlo.
–Non è stato difficile- asserì William, tronfio per le proprie capacità deduttive. “Beccati questa, Weil! Chi è il vero genio, qui?” –È bastato unire i puntini: la relazione segreta con Aisling, l’incredibile somiglianza tra te e Nita e, dulcis in fundo, il commento di Faccia da cavallo sulla tua inversione a U stilistica. La gemella del mio amico Kevin sostiene, secondo me a ragione, che la moda è un mezzo di comunicazione: tramite quel che ci mettiamo addosso veicoliamo, più o meno consapevolmente, un messaggio; perciò, cambiare look equivale ad urlare al mondo “adesso sono così”. Nel tuo caso, “Io non sono Nita, capito? Sono Alex! E per dimostrarlo, comincerò a vestirmi da maschio, per discostarmi il più possibile da lei, che è iperfemminile.”
–Acci, sei bravo! Sembri Hannibal Lecter… meno la parte cannibale.
William ridacchiò –Per carità! Oltre ad essere rivoltante e antietica, l’antropofagia è malsana: batteri pompatissimi dagli antibiotici, virus, prioni… la carne umana è un pulciaio! Dite no al cannibalismo, e sì alla soia!- prima di tornare serio. –Cazzate a parte: mi dispiace per come ti abbia manipolata Aisling, senza riguardo per i tuoi sentimenti. Deve fare male.
–Tu come ti sentiresti, se ti rendessi conto che alla persona che ami, e che credi ricambi, non importa un fico secco di te? Anzi, ti sta solo usando come sostituta di tua sorella?
–Uno schifo.
–Sbagliato!- latrò lei, asciugandosi le lacrime. –Più o meno. Nel senso: fa male adesso; la consapevolezza di essermi annullata per Ling avvelena ogni bel ricordo che avevo di lei, impendendomi di voltare pagina. Lì per lì, però, mi andava bene così. Non mi importava di essere usata, non mi importava che Ling non mi amasse; avrei amato io con tanta intensità da essere sufficiente per tutte e due! Ero talmente disperata, talmente smaniosa di avere tutta per me, da accettare di essere null’altro che la sua bambolina. Non potevo rischiare che si stancasse di me e mi rimpiazzasse.
–Ovvio! L’amore è un costrutto sociale basato sull’egoismo mascherato da abnegazione, e sull’illusione. Tu ti illudevi che, prima o poi, Aisling ti avrebbe amata per come sei, mentre lei si illudeva di aver coronato il suo sogno- sentenziò William con saccente acrimonia, impallidendo nel sentirsi rispondere –Non sarò brava quanto te in psicologia, ma ho idea che tutto questo cinismo abbia nome e cognome. Santo cielo! Io sarò pure triste e sconsolata, ma tu sei messo peggio: disilluso e miserabile. Ti compatisco.
Punto sul vivo, l’australiano sbottò –Dammi le informazioni che cerco, invece di sprecare tempo a compatirmi!
–Ho toccato un nervo scoperto, eh?- lo schernì Alex con un pizzico di sadica goduria. –Mi domando quali oscuri segreti nascondi dietro quegli occhi blu. E… basta, non ce la faccio, mi sento ridicola. Uffa! Perché non riesco a reggere la parte dell’irritante rompicoglioni per più di due secondi?
–Chiedi consiglio a Faccia da cavallo: lui ci riesce benissimo!
Lieto di averle strappato una risata, William la incalzò per ottenere da lei, che conosceva intimamente Aisling, qualche elemento utile alle indagini.
–Informazioni utili. Vediamo… L’ultima psicologa che ebbe in cura Ling - non ricordo il nome, forse Andrew lo sa - usò l’ipnosi per aiutarla ad elaborare il trauma del suicidio della madre e del tentato suicidio di Rory. Accadde… circa un anno fa. Poi Ling interruppe bruscamente le sedute, e si rifiutò di tornare in terapia. Guarda caso, fu allora che riprese a soffrire di incubi notturni, ubriacarsi e fare uso di robaccia. Chiaramente, quali che fossero, i ricordi riemersi durante quelle sedute erano talmente scioccanti da spingerla ad autodistruggersi, pur di annegarli nuovamente. È un’informazione utile? E senti questa: il giorno prima di morire Ling si è dichiarata a mia sorella. L’ha persino baciata! Ovviamente, ha ricevuto un rifiuto. Nita non ha occhi che per quel mollusco senza carapace di Andrew, il che la dice lunga sulla sua totale mancanza di buon gusto.
Sinceramente stupito, William rispose –Finora avevi la mia curiosità, ora hai la mia attenzione. Eri presente, quando hanno discusso?
–No, ma la mia perfetta sorella mi ha riferito tutto con notevole dovizia di particolari. Oh, era una furia: entrò in casa sbattendo la porta, addirittura corse a sciacquarsi la bocca col sapone per eliminare quel “sapore immondo”. I sentimenti di Ling la orripilavano. Stupida, stupida Nita! Come ha potuto disprezzare tutto ciò che io ho sempre desiderato?
–Ehm… Scusa la domanda: perché queste cose le stai dicendo a me, adesso? Perché non dirle alla polizia?
–La polizia non me le ha chieste. Perché avrebbero dovuto? Tutto fa pensare a un suicidio, e, comunque, io sono soltanto la sorellina di Nita. Nessuno di importante.
–Alexis- intervenne William dopo un breve silenzio, appellandola col nome di battesimo per mettere in chiaro che non scherzava. –Ti rendi conto di avere appena fornito un movente sia a te che a tua sorella?
–Non ti seguo.
Ormai calato nel ruolo di versione giovane, aitante e australiana di Poirot, William espose le proprie personali considerazioni. Se la Weil fosse stata presente, probabilmente lo avrebbe tacitato con un’occhiataccia delle sue; ma la Weil non era lì, per cui poté esibirsi senza il timore che gli rubasse la scena.
–Davanti a me si aprono due diversi scenari, entrambi plausibili. Numero uno: Nita propone a Aisling di vedersi per chiarire il bacio scottante, oppure è Aisling stessa a cercare un confronto. Le due trascorrono la serata insieme, poi Nita riporta Aisling a casa; vuoi per una parola di troppo di Nita, vuoi per una, uhm, avance di Aisling, la situazione degenera, e…- mimò uno spintone, sotto lo sguardo perplesso di Alex. –Numero due: Nita torna a casa, disgustata dalla scoperta che la sua amica d’infanzia ha una cotta per lei. Racconta tutto a sua sorella, senza sapere che questa si vede segretamente proprio con Aisling. Delusa e amareggiata, la sorella di Nita si fionda a chiedere spiegazioni. Quelle spiegazioni la fanno esplodere, e…- mimò una seconda volta una violenta spinta.
Alex smontò il suo teatrino in un colpo solo.
–Ipotesi convincenti… come trama di un romanzo giallo. La vita vera è un’altra cosa. Nella vita vera la gente non litiga di notte; si aspetta il mattino, per discutere a mente fredda. Inoltre, conosco mia sorella: è un po’ uno struzzo, nasconde la testa sotto terra, piuttosto che affrontare i problemi- allungò una mano e chiese –Di’, non è che posso prendere un’altra stecca?
William decise di averla torchiata abbastanza, e acconsentì alla richiesta con un sorriso.
–Serviti pure.
Alex non se lo fece ripetere due volte: afferrò il pacchetto di sigarette e l’accendino con la letizia di un bambino che scarta i regali di Natale, ne accese una, tirò un paio di boccate, ringraziò William, infine esclamò –Ci voleva! Niente di meglio di una sana stecca della felicità per rimediare alla gola secca. Dannazione a te e alla tua capacità di mettermi a mio agio, straniero: mi hai fatto cantare come manco i fringuelli di mia nonna!
–Si chiama empatia, e non sei la prima di dirmelo.
–Sono almeno la prima a dirti che sei pericoloso?
–Pericoloso? Io?
–Oh, sì! Assolutamente! Tu comprendi le persone, sei capace di indurre chiunque ad aprirsi in modi che…- rabbrividì. –In pratica, credo tu riesca a penetrare nelle menti degli altri con una facilità disarmante, e spesso e volentieri col loro permesso. Spero sia davvero il bravo ragazzo che appari, o c’è da avere paura di come potresti usare le informazioni che ottieni.
Il cervello è un sadico bastardo: di tutti i ricordi che avrebbe potuto riportare a galla, in associazione a quel commento, selezionò uno tra i più dolorosi per William, che infatti lo teneva relegato nelle profondità dell’ippocampo, consentendogli di tormentarlo solo quando ascoltava musica deprimente.
Si rabbuiò, in maniera non dissimile da quando, poco prima, aveva ripensato al padre, al che Alex - un po’ per deriderlo, un po’ per svegliarlo da quella sorta di trance - violando le sue personali regole sul distanziamento (a)sociale, gli si avvicinò quel tanto che bastava per scuoterlo.
–Ti è venuta di nuovo la faccia da serial killer. Sicuro di non essere pazzo?
–Tutti i migliori sono matti- rispose lui sogghignando. –Scherzo! Sono un bravo ragazzo, fidati. Anche se non saprei dire se ciò sia un pregio o un difetto. Per la mia ex, era un difetto.
–Aha!- ruggì Alex, e agitò il pugno, trionfante, catapultando in aria fumo e cenere. –Lo sapevo! Lo sapevo che c’entrava una ragazza! Nessuno diventa così miserevole senza un valido motivo. Che è successo? Ti ha friendzonato male? Mollato per tuo fratello? Ha scoperto la religione? Oppure, come me, si è scoperta dell’altra sponda?
–Mi ha tradito- esalò William senza guardarla. –Con Bill Sanders, il mio bullo di fiducia. Hai sentito bene: potrai non crederci, ma venivo bullizzato male perché mi piace disegnare, adoro i fumetti e… sono un cagasotto, che è scappato urlando quando è stato preso di mira da un koala, che lo ha inseguito bellicoso per tutta la riserva.
Il residuo di ingenua immaturità in Alex si manifestò nella sua replica infantile: rivolgere al povero William parole di conforto avrebbe dimostrato maturità; irriderlo, una certa cattiveria. Lei, invece, se ne uscì con –Ti ha cornificato con un tizio col tuo stesso nome? Che trash!
–Già. E poiché al trash non c’è mai limite, i due stronzi si sposeranno perché lui l’ha, come si dice dalle mie parti, fertilizzata.
–Mi prendi in giro!
–No, no!- le assicurò William, mulinando le mani per rafforzare il messaggio. –Sono serissimo, giuro! Uno dei motivi per cui sono stato felice di venire qui è che non avrei più rischiato di imbattermi in loro mano nella mano nei corridoi della scuola, o che facevano i piccioncini a mensa, o che slinguavano nel cortile, o…
–No, intendevo: in quale posto barbaro si dice “fertilizzare” riferito a una donna?
–In Australia.
–Che Paese di merda!- sentenziò Alex, salvo poi aggiungere la formula magica che tutto rendeva perdonabile e, per buona misura, scroccare un’altra sigaretta. –Senza offesa!
 
***
 
Frida si appropinquò alla camera di Aisling con circospezione, invitando Andrew a fare altrettanto, non per rispetto della memoria della defunta, quanto piuttosto per incrementare le probabilità di cogliere di sorpresa chiunque vi fosse entrato.
–Dobbiamo proprio?- gnaulò Andrew. –Non metto piede lì dentro da quando… beh, hai capito.
–Sono sicura che ad Aisling non dispiacerà.
Entrambi rimasero straniti nel trovare Evan Conworthy, che credevano intento ad accudire la moglie, inginocchiato sul pavimento a rovistare nei cassetti della biancheria borbottando –Dov’è? Dove l’ha messo, quella maledetta?
“Che fine ha fatto il vecchino distrutto dal dolore?”, si chiese Frida. L’uomo che aveva davanti si muoveva con agile veemenza. Se non fosse stato contrario alla logica, avrebbe pensato che un demone si fosse impossessato di lui, oppure che potesse trattarsi di un sosia.
In una prova di idiozia che le fece levare gli occhi al cielo, Andrew palesò la sua presenza sporgendosi sulla soglia per domandare al nonno –Cosa ci fai qui? Non dovresti stare con la nonna?
Evan si irrigidì all’istante, lasciando cadere il paio di calze che teneva in mano, si girò di scatto e, con un sorriso che forse sperava risultare rassicurante, ma che invece fece rizzare ogni pelo sfuggito all’estetista sul corpo di Frida, rispose –La nonna ha avuto un tracollo nervoso, Andy. Avrei dovuto immaginare che questa giornata sarebbe stata troppo per lei. Vorrei che riposasse, ma continua ad agitarsi, così ho pensato di darle un po’ delle pillole di Aisling. Per caso ricordi dove le teneva? Non mi riesce di trovarle da nessuna parte!
Se Frida accolse quella dichiarazione storcendo il naso, Andrew diede in escandescenze.
–Sei forse impazzito? Hai un attacco di senilità? Non puoi dare degli psicofarmaci a qualcuno così, come caramelle! Rischi di spedire la nonna ovunque si trovino Aisling e la mamma!
La menzione della figlia parve ricondurre Mr. Conworthy alla ragione. Si afflosciò come uno straccio logoro, scusandosi per “la follia di un vecchio”.
–Sono vecchio e stanco. Tu non puoi saperlo, perché sei sempre via, e non vieni mai trovarci; ci hai abbandonato, Andy. Me, tua nonna, Aurora… ci hai lasciati soli. Forse raggiungere Marlene non è una cattiva idea.
–Marlene era mia madre- bisbigliò Andrew a Frida, celata dietro la porta, per poi avvicinarsi al nonno e cingerli le spalle con un braccio. –Che ne dici se andiamo a vedere come sta la nonna? Dai, vengo con te.
Per lei fu impossibile rimanere nascosta; abbozzò un sorriso di circostanza - stupendosi del panico che per un fugace momento attraversò il viso di Evan, al vederla - e accampò la prima scusa credibile che le venne in mente, ovvero che cercava il bagno.
–Oh, è facile: in fondo a destra- rispose Andrew, indicando però con la testa una porta all’estremità sinistra del corridoio. Dalla strizzata d’occhio che Frida gli rivolse, capì che aveva capito, e si affrettò ad allontanarsi insieme al nonno per lasciarle campo libero. Inizialmente scettico, stava cominciando a pensare che quella strana, terrificante liceale detective potesse avere ragione: ora che aveva in mano i pezzi di quel macabro puzzle, si era reso conto che molti non combaciavano; se solo fosse stato meno egocentrico, meno preso dall’autocommiserazione, se ne sarebbe accorto prima.
“Ma meglio tardi che mai, giusto?”
 
***
 
Nonostante le migliori intenzioni e gli sforzi di chi li progetta, raramente le stanze d’ospedale hanno un aspetto accogliente. La camera di Aurora Carter, però, a dispetto dell’arredamento e delle pareti, di un bianco abbacinante, che sembravano mettercela tutta per spersonalizzare l’ambiente conservava ancora tracce del suo passato da nido di una ragazzina che aveva lottato strenuamente per non lasciarsi travolgere da una slavina di eventi più grandi di lei.
Giaceva supina, lo sguardo fisso sul soffitto, la bocca semiaperta, i lunghi capelli caoticamente sparsi sul cuscino. Il primo pensiero di Frida fu che sembrava la Bella Addormentata (dopotutto, si chiamava Aurora); una versione un po’ futurista, magari, sommersa com’era da quella marea di tubicini, che collegavano il suo corpo a macchinari ronzanti e bippanti e infusori di farmaci. E chissà, forse le sarebbe piaciuto davvero, scivolare in un sonno profondo, lontano da quella realtà squallida, fatta di giorni sempre uguali.
Si avvicinò al letto lentamente, per non spaventarla, poi, spinta dall’irrefrenabile propensione a ficcanasare che la contraddistingueva, esaminò il contenuto di una scatola lasciata incustodita sul comodino. Emise un verso di disappunto nell’appurare che era piena zeppa di fiale di morfina.
“Roba da denuncia!”
A un tratto, udì dei “bip” sempre più veloci, indicativi di un aumento della frequenza cardiaca: Aurora aveva spostato l’attenzione dal soffitto a Frida.
Questa, dal canto suo, la osservò con placida curiosità, mentre tentava di tranquillizzarla, assicurandole di essere amica di Andrew, e di non avere cattive intenzioni.  
–A differenza del decerebrato che ha lasciato in giro della morfina. Dico, si può essere più idioti?
Il rientro nella norma del diametro pupillare e della frequenza cardiaca e respiratoria le suggerì che Aurora, una volta constatato che non le avrebbe fatto del male, si stava abituando alla sua presenza. Forse sarebbe riuscita a interrogarla, dopotutto… restava solo da stabilire come.
Na komm, Frida! Se ci è arrivata Aisling Carter, puoi arrivarci anche tu, e in metà tempo!”
La missione avrebbe potuto rivelarsi impossibile, ma ebbe un inaspettato colpo di fortuna: Aurora sbatté le palpebre, e lei sorrise: aveva finalmente trovato un modo per comunicare.
 
Note dell’autrice:
Will e Frida sono sempre più invischiati in una rete di inganni e verità nascoste… riusciranno a scoprire cosa è successo davvero quella fatidica notte? Lo scoprirete solo leggendo (i prossimi capitoli, che arriveranno col contagocce)! 😉
Vi è piaciuto il confronto William/Alex? Volevo che emergessero appieno le rispettive personalità. Spero di esserci riuscita, come spero che Alex vi abbia fatto venire voglia di abbracciarla e di prenderla a ceffoni allo stesso tempo. In quel caso, saprei di aver fatto bene il mio lavoro.
E che dire del nonno di Aisling? Frida non si inquieta facilmente, eppure stavolta un brividino l’ha provato.
Si è capito che adoro le dinamiche psicologiche complesse? XD
Alla prossima!
Serpentina
PS: è quasi certo che revisionerò pesantemente il capitolo, ma ci tenevo a pubblicarlo adesso. Mi attendono molte scadenze al lavoro, per cui dovrò, a malincuore, accantonare la scrittura per un po’.
1Il mio amico
2Andiamo, non prendermi in giro!
3Però, ora che ci penso…
4In futuro
5Francamente
6Menti a te stesso, se vuoi, ma non a me. Mai a me.
7Ignorante e bugiardo
8Per tua informazione
9Non me ne frega
10Stronzo

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Nella rete ***


Buone feste! Spero le stiate passando al meglio! Io cerco di sopravvivere al lavoro scrivendo nei ritagli di tempo… ed ecco il risultato! Il duo Will&Frida, più Andrew, è tornato!
Quali scottanti segreti scopriranno?
Stavolta la colonna sonora non c’entra con le tematiche del capitolo, è semplicemente la musica che ho ascoltato mentre lo scrivevo; due grandi classici: “(I can’t get no) Satisfaction” dei Rolling Stones e “My Sharona” dei Knack. Enjoy!
 
Nella rete
 
“Sapere che un segreto esiste, è metà del segreto”.
Joshua Meyrowitz

 
–Nonna?- mormorò tentativamente Andrew mentre si avvicinava al letto dove l’anziana donna piangeva e martoriava il cuscino. –Ti senti bene?
Suo nonno lo rimbeccò con un secco –Ha un crollo nervoso. Può mai stare bene, secondo te? Ecco perché voglio darle le goccine di Aisling- poi aggiunse, senza dare tempo al nipote di replicare –Se mi assicuri di restare accanto a lei, torno di là a cercarle.
Corse via con sorprendente agilità, prima che Andrew potesse anche solo pensare a un modo per dissuaderlo, e al ragazzo non rimase che afferrare una mano della nonna tra le sue e sedersi accanto a lei.
A un tratto, udì un flebile gemito, seguito dall’ancor più flebile (se possibile) –Evan.
–No, nonna, sono Andrew. Il nonno è…- “Andato a frugare in camera di mia sorella in cerca di psicofarmaci da somministrarti senza ricetta né controllo medico. Nulla di anomalo o preoccupante” –Tornato giù, dagli ospiti. Ma non preoccuparti, ci sono io con te. Sei contenta? Ti lamenti sempre che non vengo mai a trovarvi, invece eccomi qui!
La donna non diede segno di averlo sentito; scossa dai singhiozzi, cominciò ad alternare il nome del marito e quello della nipote defunta, in una sorta di lagnosa litania.
Andrew si sentì allo stesso tempo impotente e irritato: se, da un lato, era comprensibile che la donna fosse particolarmente provata dall’ennesima sventura che aveva funestato la loro sfortunata famiglia, dall’altro gli dava fastidio che non avesse fatto tutte quelle scene alla morte della sua stessa figlia, né tantomeno per l’altra nipote, la piccola di casa. Ricordava bene lo sconcerto provato in ospedale quando, alla notizia che Rory era ancora viva, anziché manifestare gioia e sollievo, la nonna aveva reagito afflosciandosi sulla sedia come uno straccio liso, per poi esalare –Perché? Perché non l’hai presa con te, Marlene?
Nel tentativo di consolarla, Andrew affermò, con scarsa convinzione –So che ti manca, nonna. Manca a tutti, ma devi trovare la forza per andare avanti nella consapevolezza che adesso Aisling è in pace. So che è brutto da dire, ma non era felice; una persona felice non cerca di sfuggire alla realtà.
Contrariamente all’atteso, la donna smise all’istante di piagnucolare, aprì gli occhi e gli pose la domanda più strana che avesse mai sentito.
–L’hai trovato tu, non è così?
La palese perplessità di Andrew, che espresse sia verbalmente che attraverso la mimica facciale di non avere idea di cosa stesse parlando, non riuscì a scalfire la granitica quanto terrificante convinzione di Isobel Conworthy, ormai in piena paranoia.
–Non mentire. L’hai trovato- ripeté con voce tremebonda. –L’hai trovato, l’hai letto, e ora sai che razza di persona orribile sono!
In mancanza di alternative migliori, Andrew si limitò a rispondere –Non dire scemenze, nonna. Non sei una persona orribile; sei una persona che ne ha passate tante. Troppe.
–Sì, invece!- ululò Isobel, sempre più agitata. –Sono una persona orribile, che ha guardato accadere cose orribili senza muovere un dito! E se, sapendo cosa ho fatto, non pensi che sia una persona orribile, indegna di vivere, allora sei anche tu una persona orribile!
Sconvolto da quel fiume di parole deliranti, Andrew pregò che il  nonno tornasse presto, scosse il capo e sospirò –Non dire così, nonna. Che discorsi sono?
Come se evocato, in quel preciso istante apparve Evan, il quale, spinto da parte il nipote, celiò con eccessiva – e inappropriata – giovialità –Infatti! Che discorsi sono questi, Izzy? Tu devi vivere per portare fiori sulla mia tomba!
Isobel rispose con inquietante lucidità.
–No, Evan. Sarai tu a raggiungermi, poco dopo che me ne sarò andata, e nessun fiore adornerà le nostre tombe. A questa età, si percepisce quando la propria ora si avvicina.
–Probabilmente perché a questa età la nostra ora può arrivare da un momento all’altro, Izzy.
Ad Andrew parve di avvertire un non so che di minaccioso nello sguardo e nelle parole del nonno, quasi che il suo, più che un goffo atto consolatorio, fosse un avvertimento; ma scacciò quel pensiero in fretta, dandosi del paranoico.
“Nato e cresciuto in una famiglia di matti, era destino che ammattissi anch’io!”
Se Frida fosse stata presente, con ogni probabilità avrebbe alzato gli occhi al cielo di fronte ad un’altra azione idiota del giovane Carter, il quale, invece di recarsi da sua sorella per accertarsi che la Weil non l’avesse torchiata e ragguagliare la suddetta Weil su quanto accaduto,  pensò bene di intromettersi rimproverando il nonno.
–Non ti ci mettere anche tu con questa storia della morte! E poi, si può sapere di che diamine state parlando? Perché la nonna crede di essere una persona orribile?
Evan si voltò verso il nipote; a differenza di prima, sembrava improvvisamente gravato dal peso di tutti i suoi anni. Posò entrambe le mani sulle spalle di Andrew, ed esalò –A volte, ragazzo mio, quando vedi tante persone care morire intorno a te, una vocina nella tua testa inizia a ripeterti che forse un po’ è colpa tua. La nonna, purtroppo, ha scelto di darle retta, e questo è il risultato.
Un briciolo della sospettosità di Frida doveva essergli passato per osmosi, perché Andrew, nonostante l’istintivo desiderio di chiedere ulteriori spiegazioni, preferì tacere al nonno del fantomatico oggetto che lui avrebbe trovato e letto, prova documentale di quanto sua nonna facesse schifo come persona; ne avrebbe discusso con “quella sottospecie di signora in giallo” alla prima occasione. Invece annuì, stiracchiando faticosamente le labbra in un sorriso di circostanza, e cambiò argomento.
–E le goccine da dare alla nonna?
–Che goccine?
–I farmaci di Aisling. Hai detto che volevi darli alla nonna, per calmarla.
–Oh, quelle goccine! Devi scusarmi, ragazzo, questo vecchio macinino inizia a perdere colpi! Eh, sfortunatamente non le ho trovate. Chissà dove le teneva nascoste tua sorella!
La confusione di Evan lo colse di sorpresa, dato che non aveva mai avuto problemi di memoria; qualche acciacco dovuto alla vecchiaia sì, ma la testa funzionava ancora a meraviglia.
Si domandò se suo nonno non stesse per caso fingendo, ma scacciò quel pensiero e si diede del paranoico per la seconda volta.
“Devo stare alla larga dalla Weil, ha una pessima influenza su di me!”

 
***

Spesso, i mutamenti d’umore di Frida si succedevano con la velocità di un battito di ciglia. In quel caso, alla gioia e al compiacimento per aver trovato un mezzo di comunicazione con Aurora Carter era subentrato un senso di ansia e frustrazione non appena la mente brillante della ragazza aveva realizzato il principale limite di quel metodo: l’impossibilità di porre domande complesse.
Avrebbe dovuto ingegnarsi per ricondurre la miriade di quesiti che le frullavano nella testa a banali domande “sì/no”, il che significava doverne lasciare alcune senza risposta.
Scheiße!”
Emise un sospiro di rassegnazione, e diede inizio ai giochi.
–Aurora, sono qui per chiederti alcune cose. Te la senti? Sbatti le palpebre una volta per dire sì, due per dire no.
La minore dei fratelli Carter sbatté le palpebre una volta, per la gioia di Frida, che in un colpo solo aveva testato l’effettiva comunicabilità con quella ragazza e le sue capacità cognitive; non le andava di perdere tempo con qualcuno duro di comprendonio.
Sehr gut.1  Cominciamo con una domandina facile facile: sai che Aisling è morta?
A giudicare dall’improvvisa accelerazione della frequenza cardiaca e respiratoria, oltre che dalle lacrime che avevano preso a scorrere copiose sul viso di Aurora, la risposta era negativa.
Vielleicht2 Liam ha ragione: il tatto non è il mio forte!”
–Oddio! Ehm, mi dispiace di averti dato io la notizia, ma non c’è tempo da perdere in piagnistei: sono qui per questo. Tutti pensano si sia tolta la vita - specie alla luce del precedente di vostra madre - ma io so che è stata uccisa- attese che Aurora si fosse calmata, prima di riprendere l’interrogatorio. –Non ti mentirò: Andrew - sì, tuo fratello - e Nita sono i miei principali sospettati. Lei ha dichiarato di aver riportato Aisling  a casa dall’ospedale e di averla lasciata alle cure di Andrew, il quale ha ammesso di essere stato qui, la notte in cui Aisling è morta. A quanto pare, voleva assecondare il tuo desiderio di farla finita. È vero? Gli hai chiesto di aiutarti a morire?
Aurora sbatté le palpebre due volte. Se avesse potuto, avrebbe urlato “No!” talmente forte da essere udita fino in Francia.
Frida alzò le mani, esibendo la migliore faccia tosta del suo repertorio, e la incalzò –Riformulo la domanda: hai mai chiesto a qualcuno di aiutarti a morire? Che so… tua sorella?
Vide un accenno di mestizia e panico nello sguardo di Aurora, rimanendo impressionata dall’espressività che, nonostante la paralisi muscolare pressoché totale, residuava in quegli occhioni, così simili a quelli di Aisling, su cui era calato permanentemente il sipario.
–Non sono qui per giudicare, Rory - va bene se ti chiamo Rory? So che Andrew ti chiama così - ma per capire. Soltanto per capire. Ripeto la domanda: hai mai chiesto ad Aisling di aiutarti a morire?
Tra le lacrime, che non avevano smesso di rigarle le guance, Aurora sbatté le palpebre una volta.
Jetzt wird es was3! Pretendo la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità! Ist das klar?- esclamò la Weil, dandole un cenno di approvazione. –E ritieni possibile che Aisling possa aver passato il testimone ad Andrew perché incapace di esaudire il tuo desiderio?
Dopo quella che le parve un’eternità, Aurora sbatté le palpebre una volta. Se Frida avesse avuto la facoltà di leggerle nella mente, avrebbe colto tutta la frustrazione per non poter esprimere compiutamente i propri pensieri. Si sentiva come la donna di quella vecchia serie che aveva visto di nascosto insieme ai fratelli, intrappolata in una scimmia peluche, condannata a condensare l’infinita gamma di complesse emozioni e pensieri umani nelle patetiche frasi “La scimmia ti vuole bene” e “La scimmia vuole un abbraccio”.
Eppure, Frida riuscì in qualche modo a interpretare quel che le passava per la testa.
–È dura, eh? Non riuscire a comunicare, sentire che il tuo corpo non è più tuo… mi dispiace stia patendo tutto questo- chiocciò con inusitata tenerezza, salvo poi tornare la solita, impietosa Frida, foriera di scomode verità. –Bada bene: mi dispiace per te, però non ti compatisco; dopotutto, se analizziamo la faccenda con un minimo di razionalità, te la sei cercata. A differenza di Aisling, ti sei lanciata dalla finestra di tua spontanea volontà. Ecco, forse è questo che più di tutto mi fa provare dispiacere per la tua situazione: dovevi passartela davvero male per tentare di interrompere un viaggio appena cominciato. Cosa ti hanno fatto, Rory?
Aurora, stupita di come un essere tanto razionale e distaccato potesse mostrare di possedere un briciolo di empatia, chiuse gli occhi; per la prima volta da quando la Weil aveva messo piede nella stanza, si sentì veramente a suo agio, sentì di potersi fidare. Se solo avesse potuto parlare…
–Ok, basta introspezione psicologica, o finirò per trasformarmi nel mio socio, Liam, e dubito mi piacerebbe: giorni rossi esclusi, è bello essere donna! Torniamo a noi: ricordi se Andrew è mai entrato in camera tua, negli ultimi mesi? So che non viene spesso qui, e se può evita la tua stanza, perciò dovrebbe essere facile da ricordare.
Aurora batté le palpebre una volta.
–Ok, l’alibi di Andrew è confermato… in parte. Potrebbe aver litigato con Aisling in un secondo momento - magari perché aveva scoperto la sua bisessualità e aveva minacciato di rivelarlo ai nonni - e averla scaraventata di sotto.
Aurora, messo da parte lo sconcerto per quella scioccante rivelazione, prese ad agitarsi, maledicendo quel corpo-prigione che le impediva di difendere il proprio fratello. Andrew aveva i suoi difetti, certo, e tra lui e Ling non era mai scorso buon sangue, ma non le avrebbe torto un capello, ne era sicura. Non si sarebbe mai intenzionalmente privato di un altro membro della famiglia.  
Nein!- esclamò poi Frida, tranquillizzandola. –Per quanto plausibile, è uno scenario improbabile. Andrew non ha sufficiente spina dorsale per uccidere qualcuno a sangue freddo, perché di questo si tratta. L’assassino, furbamente, ha cercato di farlo sembrare un suicidio, e la precipitazione, anche accogliendo la tesi dell’omicidio, parrebbe suggerire un delitto commesso impulsivamente, ma la realtà è un’altra: chi ha eliminato Aisling, sapeva quel che faceva. Quanto a Nita, fatico a trovare un valido movente; l’unico che mi viene in mente è che Aisling potrebbe aver indovinato i suoi sentimenti per Andrew, interferendo per stroncare sul nascere un’eventuale relazione. Roba adatta ad un romanzo giallo ambientato negli anni ’30 del ventesimo, più che del ventunesimo secolo, meinst du nicht auch4?
Aurora, pur non comprendendo il tedesco, intuì che l’altra le aveva chiesto se fosse d’accordo con lei, pertanto assentì, a modo suo.
–Il problema è che, esclusi loro due, non riesco a pensare a una sola persona che potesse odiarla al punto da ucciderla. L’ipotesi alternativa è quella del fan(atico) stalker, ma non mi convince: un estraneo sarebbe stato notato all’interno della proprietà, senza contare che simili soggetti di solito non defenestrano gli idoli che asseriscono di adorare; gli sparano o li accoltellano. Non hanno abbastanza neuroni per simulare un suicidio. Se solo potessi chiederti direttamente di chi sospetteresti! Da quel che so, voi due sorelle eravate molto legate; scommetto che a volte, quando veniva trovarti, Aisling prendeva quella bella spazzola sul comodino e ti pettinava, intrattenendoti con pettegolezzi, avvenimenti della sua vita mondana e, perché no, i suoi più intimi segreti. Tanto, non li avresti rivelati ad anima viva!
Si perse nei propri pensieri finché un rumore di passi non la riportò alla realtà. Si guardò intorno, in cerca di un nascondiglio - sibilando un’imprecazione nel constatare che il letto di Aurora era troppo basso perché potesse scivolarci sotto - infine, in assenza di alternative migliori, si acquattò accanto alla porta, nella speranza di riuscire a sgattaiolare via senza essere vista. E attese. Attese. Attese.
Ormai certa che nessuno sarebbe giunto a disturbarla, si decise ad arrischiarsi a dare un’occhiata in corridoio: era deserto, ma la porta della camera di Aisling era di nuovo aperta.   
Si avvicinò lentamente, con passo felpato, e non si sorprese affatto nel cogliere Evan Conworthy in flagranza di ficcanasare tra gli effetti di sua nipote, ripetendo a mo’ di mantra –Dov’è? Dove l’ha messo, quella maledetta?
Probabilmente, la vicinanza di Andrew Carter noceva alle sue doti deduttive, perché, in quel momento di riflessione solitaria, le sue celluline grigie furono in grado di osservare: innanzitutto, che Evan non amava la nipote tanto quanto voleva far credere, e si chiese come mai; due, che parlava al singolare, dunque stava cercando un preciso oggetto appartenuto ad Aisling; tre, che il suddetto oggetto doveva essere di piccole o medie dimensioni, tali da rendere facile nasconderlo; e quattro, doveva rivestire una qualche importanza, se la ragazza aveva avvertito la necessità di occultarlo.
E l’aveva occultato davvero bene, perché Evan, nonostante la buona volontà condita da maledizioni ai nipoti, in particolare Aisling, fu costretto ad arrendersi all’evidenza.
–Non è qui. Quella maledetta figlia di sua madre sapeva che l’avrei cercato, e che questo sarebbe stato il primo posto in cui avrei guardato. Dannazione! Dove l’avrà ficcato? In camera di Andrew?- picchiettò sul mento con fare pensoso. –Poco probabile, ma proprio per questo vale la pena provare. Dopo. Ora sarà meglio che torni di là, prima che Izzy esca del tutto fuori di testa e mandi fuori di testa pure Andrew! Il ragazzo già non brilla per intelligenza, non roviniamo il poco cervello che ha!
Frida riuscì fortunosamente a tornare da Aurora senza dare nell’occhio. Le sorrise amabilmente, per poi raccontarle per filo e per segno quanto aveva visto.
–Uno strano comportamento, senza dubbio. Mi domando cosa il vecchio vada cercando… Peccato che, anche se lo sapessi, non potresti dirmelo. Comunque, vielen Dank für deine Hilfe5, mi sei stata molto più utile di quanto io mi aspettassi e di quanto tu creda.
Nuovamente persa in un turbinante flusso di coscienza, prese ad attorcigliarsi una ciocca di capelli nerissimi intorno all’indice mentre rimirava la chioma ondulata, soffice e lucente di Aurora, la quale, oltre al nome, aveva anche i capelli da principessa.
Aurora, che Aisling amava più di chiunque altro, tanto da non abbandonarla a se stessa e ricercare ad ogni costo un modo per infrangere la barriera dell’incomunicabilità, tramutando i loro momenti insieme da una lunga serie di monologhi in conversazioni (atipiche).
Aurora, la sorellina sfortunata, l’unica con cui Aisling potesse sfogarsi e confidarsi.
Venne colta da un’illuminazione.
–Un’ultima domanda, Rory, e toglierò il disturbo: tua sorella ha per caso nascosto qualcosa in questa stanza?
Aurora sbatté le palpebre.

 
***

Ancora sovreccitata dalla scoperta, Frida caracollò giù per le scale, rischiando più volte di inciampare perché troppo impegnata a comunicare ad Andrew di avere grandi notizie - che avrebbe divulgato la sera stessa al Tipsy Crow - per curarsi a dove metteva i piedi; ma poco importava: aveva concluso la sua missione, non le restava che raccattare il suo socio e filare a casa prima che sua madre si accorgesse che aveva preso la macchina del padre. Conoscendola, sapeva che Faith si sarebbe fatta cogliere dal senso di colpa per averla lasciata a casa da sola, e avrebbe videochiamato per assicurarsi che la sua bambina stesse bene, al caldo e nutrita.
Andò letteralmente a sbattere contro William, il quale, sconvolgendo Alex, che lo seguiva con aria annoiata, ridacchiò –Ti stavo giusto cercando, socia! Come promesso, eccoti qui Alex!
Frida la degnò di una misera occhiata in tralice, dopodiché, afferrato il povero australiano per un braccio, lo trascinò via dicendo – Ja, ja, wunderbar. Adesso vieni, devo farti vedere una cosa.
Fu soltanto in prossimità dell’auto che William riuscì a pensare ad una replica ironica che mandasse la Weil su tutte le furie.
–Ti prego, dimmi che si tratta delle tue tette!
Sortì l’effetto sperato: Frida si bloccò di colpo, si girò e, fulminandolo con un’occhiataccia, gli diede del maiale “erede di una laida stirpe suina”. 
“Devo piaciucchiarle almeno un po’”, pensò, “O mi avrebbe già cambiato i connotati!”
In effetti, Frida era stata tentata di assestargli un ceffone, se non addirittura un gancio spacca-mascella dei suoi, ma aveva deciso di soprassedere per condividere con lui una clamorosa svolta nella loro indagine privata. –Piantala di fare il clown e guarda qui che cos’ho!
–Una chiavetta USB? Tutto qui?
–Tutto qui?- ruggì lei, spintonandolo. –Tutto qui? Ma lo sai cos’è questa? Dove l’ho pescata?
–Finché non me lo dici, o acquisisco i poteri del dottor Strange… no.
Dopo averlo fulminato con lo sguardo una seconda volta, Frida lo mise al corrente di quanto accaduto in sua assenza, senza tralasciare il suo ennesimo “colpo di genio”.
–In breve: la chiavetta era nel cuscino di Aurora. Non vedo l’ora di scoprire cosa contiene. Ommioddio, sono così eccitata! Finalmente inizio a scorgere una luce in fondo al tunnel!
William, risentito per il gelido trattamento riservato da Frida ad Alex, salì in macchina senza dire una parola, e si rifiutò categoricamente di discutere con lei degli elementi utili acquisiti separatamente.
–Non fare il Dummkopf, Liam!
–Io? Tu, piuttosto! Avevi promesso che se avessi scovato Alex, mi avresti provato l’esistenza di mio zio. Io la mia parte l’ho fatta; non è colpa mia se non hai colto l’occasione e hai dimesso Alex come l’ultima delle stronze. Adesso  sta a te essere di parola.
Frida, per nulla soddisfatta dell’insubordinazione di William, che la costringeva ad una deviazione di percorso e conseguente ritardo sulla sua personale tabella di marcia, sbuffò –E va bene! Ma che sia breve, questa Cenerentola dev’essere a casa prima che la mammina si accorga che ha preso in prestito la zucca-carrozza!
 
***
 
Seduta in prima fila nell'aula magna del Guy's Hospital, Faith Irving attendeva impazientemente i suoi quindici minuti di celebrità al congresso della BAFM, la Società Britannica di Medicina Forense.
Non era nervosa, nella maniera più assoluta; anzi, ardeva dal desiderio di presentare i promettenti risultati delle sue ricerche sul potenziale dei cosiddetti "geni zombie" nella stima dell'intervallo post-mortem. Se avesse dovuto descrivere con una parola il proprio stato d'animo, avrebbe probabilmente scelto "inquieta". Sì, decisamente quello che stava provando era un senso di inquietudine, che nemmeno lei sapeva spiegarsi; una sensazione "di pancia", avrebbe detto sua nonna Beatrice.
Scosse il capo e annuì sorridendo cordialmente a Damien Swift, il collega irlandese che l'avrebbe preceduta sul palco dei relatori, sforzandosi di non lasciar trapelare l'aver a malapena ascoltato il suo monologo lamentoso sul meteo e l'inefficienza dell'aeroporto di Dublino.
Il pensiero volò a Franz, e si chiese se la propria inquietudine non fosse semplicemente il tarlo del senso di colpa per non averlo accompagnato a San Francisco, sebbene fosse stato proprio lui a insistere affinché non rifiutasse l'invito della BAFM per seguirlo nella sua trasferta statunitense.
"Meine Liebe", le aveva detto, "Se fossi il genere di grande donna che sacrifica se stessa per stare dietro al suo grande uomo, non saresti la mia donna. Tu andrai a quel congresso, punto. Questione chiusa! Spero solo che poi pubblichino le registrazioni sul loro sito, perché voglio vederti."
Ironia della sorte, data la differenza di fuso orario, avrebbero parlato in contemporanea.
Diede un'occhiata all'orologio, storse le labbra contrariata ed emise un pesante sospiro: meno venticinque minuti alla sua performance. Così tanto? Davvero il barbagianni scozzese sul palco (che purtroppo ricordava per averle palpato il sedere al convegno dell'anno precedente) stava blaterando da soli cinque minuti?
Decise di scrivere a Franz, sia per ingannare il tempo che per fargli sentire la sua vicinanza nonostante la distanza, e si illuminò nel leggere la risposta: "Quanto vorrei fossi qui, anche solo per sentirti commentare il discutibile vestiario e gli ancora più discutibili lavori "scientifici" di certi elementi. Adoro il tuo sarcasmo... quasi più delle tue tette (che rimangono comunque l'ottava e la nona meraviglia del mondo)! Ma sono fiero di te, e quindi felice che sia rimasta a Londra. Vai e spacca, meine Liebe, festeggeremo al mio ritorno!"
Ricordando il Franz degli inizi, introverso e musone, le sfuggì un risolino; forse aveva ragione nonna Beatrice, dispensatrice di saggezza popolare: "goccia a goccia si scava la roccia". E lei quella roccia l'aveva scavata volentieri, anno dopo anno, perché, anche se ci era voluto un po', aveva scorto al suo interno un magnifico diamante grezzo. Il suo diamante. Il padre della sua diamantina Frida.
“Ecco svelato l’arcano”, si disse. “Il tuo non è un irrazionale senso di colpa per aver lasciato partire da solo Franz, ragazza mia, bensì il secolare senso di colpa della madre lavoratrice che ha lasciato la prole a casa. Datti una regolata, Frida ha diciassette anni, è più autosufficiente di te alla sua età e, soprattutto, non vorrebbe vederti fallire per una ragione tanto stupida!”
Annuì, e si acquietò con la promessa di videotelefonare alla sua cucciola appena possibile per assicurarsi che stesse bene,, al caldo e nutrita.
L’inquietudine, però, tornò ben presto a tormentarla, impedendole di godersi il meritato plauso al suo lavoro da parte della platea e del comitato organizzatore dell'evento.
Sarebbe successo qualcosa di brutto, ne era certa. Non sapeva quando, non sapeva cosa, ma sarebbe accaduto. Purtroppo, o per fortuna, finora il suo intuito non l'aveva mai ingannata.

 
***

–Soddisfatto, signorino? Possiamo andare adesso?
William, impalato davanti alla tomba del fratello di suo padre, pensò che no, soddisfatto non era l’aggettivo giusto per descrivere il suo stato d’animo in quel momento. Amareggiato, addolorato, arrabbiato erano decisamente più calzanti.
–Oh, sì! Soddisfattissimo!- sputò in tono grondante sarcasmo. –Non c’è soddisfazione più grande di scoprire che tuo zio è morto e tuo padre ti ha mentito per tutta la vita! Cazzo, Weil, ti ascolti quando parli?
Frida, oltraggiata dall’ingratitudine del suo socio - il quale, lungi dall’esserle riconoscente per avergli rivelato un pezzo del suo passato, un ramo ingiustamente potato dall’albero genealogico dei Wollestonecraft da quel suino antropomorfo di nome Cyril, pareva accusarla di avergli inferto un doloroso colpo - obiettò –Ehi! Mi hai chiesto tu di portarti qui!
L’australiano levò gli occhi al cielo, mordendosi la lingua per evitare di tradurre in parole pensieri che era meglio restassero tali. Una volta riconquistata la calma, rispose –Lo so, ma speravo scherzassi, per una volta.
–Uno scherzo tanto crudele? Non è da me!
–Lo avrei preferito, guarda- mormorò mestamente William mentre asciugava gli occhi gonfi di pianto.
Sì, aveva pianto, e non se ne vergognava; perché non avrebbe dovuto? È normale piangere quando si è a lutto, no? E lui lo era; aveva anni di assenza e rimpianto da recuperare.
“Anzi”, pensò, “Se papà mi avesse parlato di lui, forse adesso non starei così da cani. Se papà mi avesse parlato di lui, sarebbe stato quasi come averlo con me.”
Non si era vergognato di piangere, però si vergognò di confidare alla Weil quei pensieri. Si limitò a stringerla a sé, stupendosi del calore col quale la Regina delle Nevi (come l’aveva segretamente soprannominata) ricambiò l’abbraccio, affondando la testa nell’incavo della sua spalla.
–Mi spiace, zio, non ho niente con me, stavolta. La prossima ti porterò… non so, dei fiori? Ti piacevano i fiori? O preferivi le piante? So così poco di te… praticamente solo il tuo nome, il tuo segno zodiacale, e le date di nascita e morte. Un po’ pochino, ma non è colpa mia; prenditela con quel grandissimo pezzo di… tuo fratello!- diede una delicata pacca sulla schiena a Frida e aggiunse –Adesso possiamo andare.
Gli eventi successivi si avvicendarono con tale rapidità che William, a distanza di anni, avrebbe faticato a ricordare come lui e la Weil fossero passati dallo scambiarsi sorrisi colmi di tenerezza all’essere incollati per le labbra.
“Oh. Mio. Dio”, gridò, nella sua testa, uno dei pochi neuroni non ancora migrati nelle parti basse. “L’ho fatto! L’ho baciata! In un cazzo di cimitero! Ma che… cazzo! Cioè, prima o poi sarebbe successo, solo… Vabbé! Qualcosa mi dice che lo zio approverebbe; non so perché, ma ho idea che fosse l’opposto di papà. Anzi, lo spero proprio! Meglio di quanto mi aspettassi, comunque: la ragazza ha poca pratica - e per quella ci sono io - ma tanta buona volontà! In più, sa di fragola. Chissà se sa tutta quanta di fragola…
Frida, al contrario, nonostante la tempesta ormonale aveva conservato un barlume di razionalità, e si stava domandando quale sinapsi neuronale fosse andata in cortocircuito per spingere il suo socio a baciarla quando lei, in un inusuale impeto di dolcezza, gli aveva carezzato il viso.
“Insomma! Siamo in un cimitero, porca di quella… porca! Non mi dispiace si sia deciso, endlich6 - ci sa pure fare con la lingua - ma avrei preferito un contesto più… angebracht7. RomantischGroßartig8. Invece no, quando Kimmy mi chiederà cosa mi rende radiosa, dovrò rispondere che io e Liam ci siamo dati allo scambio di fluidi salivari al camposanto. Toll9!”
Si fermarono per riprendere fiato, e fu Frida a rompere il silenzio carico di imbarazzo.
–E’ stato bello. Possiamo andarcene, prima di attirare su di noi gli sguardi scandalizzati di qualche vecchia vedova?
William, recuperato un adeguato flusso sanguigno al cervello, la schernì, mentre metteva in moto –Sì, sì, ti frega proprio che una vedova ci veda e le si riaccenda l’ormone! Ma dai! Confessa, socia: ti preoccupa che la tua adorata mammina possa beccarti! Beh, te lo meriteresti: non si ruba l’auto di papà per scorrazzare di nascosto e giocare alla signora in giallo!
Frida, punta sul vivo, anziché rispondere pigiò il piede sull’acceleratore e partì a folle velocità, pompata dal ritmo incalzante del successo dei Knack "My Sharona", sentendosi come Crudelia De Mon al volante del suo bolide. Aveva sempre tifato per i cattivi, sentiva una certa affinità di spirito.
Concentrata sulla strada e sulle maledizioni da scagliare su William - che nel frattempo aveva avuto l’ardire di appisolarsi - e discendenti fino alla fine dei tempi, Frida non si accorse della volante dietro di lei, se non quando era troppo tardi per anche solo pensare di seminarla.
Accostò, svegliò William con una gomitata, estrasse la patente falsa dalla borsa e, stampato in faccia il suo sorriso “da brava ragazza che non si mette mai nei guai” aprì il finestrino, cinguettando –Buonasera, agente. Andavo forse troppo velo… Oh, Scheiße!
William, sul sedile accanto, non comprese il perché la sua diabolica socia fosse improvvisamente sbiancata, finché non udì una voce baritonale soffiare –Guten Abend, liebe Cousine10. Ti consiglio di mettere via quella patente, che so essere falsa e che fingerò di non aver visto, e di seguirmi senza fare storie- puntò la luce della torcia che teneva in mano dritto sulla faccia di un esterrefatto William, e aggiunse –Anche tu. Raus aus dem Auto. Schnell!11
 

Note dell’autrice
Piaciuto il regalino di fine anno?
Innanzitutto, grazie come sempre a chi segue questa storia e mi fa sentire il suo supporto. Non avete idea di quanto sia importante, per me. * manda baci *
Frida, come al solito, si è messa nei guai, trascinando il povero colonico con sé. Ma non temete, i nostri eroi riescono sempre a cavarsela. Mi preoccuperei di più delle strigliate e punizioni che riceveranno dai loro genitori! * trema di paura *
A proposito di genitori: preparatevi, perché nel prossimo capitolo ci sarà un incontro-scontro EPICO! Faith versus Cyril! Imperdibile!
A presto (forse)!
Serpentina
Ps: la “vecchia serie” a cui fa riferimento Aurora è Black Mirror, e precisamente l’episodio 4x06 (Black Museum).
PPs: i geni zombie esistono davvero! Non è una figata? *.*
1Molto bene
2Forse
3Adesso sì che si ragiona!
4Non sei d’accordo?
5Grazie per il tuo aiuto
6Finalmente
7Appropriato
8Favoloso
9Bello!
10Buonasera, cugina cara
11Fuori dall’auto, svelti!

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Flashback ***


Bentrovati!
Chiedo scusa per la lunga attesa, spero che il capitolo basti a farmi perdonare. ;-)
Quelli di voi che hanno seguito le (dis)avventure di Faith potranno fare un viaggio lungo il viale dei ricordi, gli altri invece potranno conoscere un po’ meglio la nostra Frida e la sua Mutti. Enjoy!
Sottofondo musicale consigliato: “Man! I feel like a woman” di Shania Twain e “Confident” di Demi Lovato.

 
Flashback
 
 “Ognuno ha il proprio passato chiuso dentro di sé come le pagine di un libro imparato a memoria e di cui gli amici possono solo leggere il titolo.”
Virginia Woolf

 
“–Weil, mi stai ascoltando? WEIL!
Frida, che effettivamente non stava prestando attenzione alcuna alle interminabili ciance della preside, le rivolse uno sguardo annoiato, e sospirò –Mi stava esortando a comprendere la gravità delle mie azioni e pentirmi di conseguenza. Ah, il mio cognome è tedesco, si pronuncia “Vail”.
La donna, sconcertata dalla freddezza nella voce della bambina, rimase a bocca aperta per una manciata di secondi, prima di riacquistare il controllo di se stessa e ribadire  –Ehm… esatto! Ti assicuro che Martin è estremamente pentito per le brutte cose che ha detto a te e Nathaniel; è di là che piange, non desidera altro che scusarsi. Sei pronta a fare altrettanto?
La bambina spostò lo sguardo dalla preside alle nocche escoriate; se avesse potuto, avrebbe tappato la bocca di quella barbagianni impagliata con un pugno, come aveva fatto con quel verwöhnter Bastard1 di Martin, anche a costo di fratturarsi ogni singola falange.
–Non credo proprio- rispose. –Martin non è pentito delle sue azioni… e io neppure. Piange perché una femmina l’ha pestato a sangue davanti a tutti, e non ho intenzione di scusarmi per questo. È un bullo, e i bulli comprendono un solo linguaggio- aggiunse, alzando entrambe le mani strette a pugno.
Ne era derivato un braccio di ferro verbale, conclusosi con la sospensione di Frida, salvata da un destino ben peggiore - l’espulsione -  dai suoi voti eccellenti. Come previsto, i suoi genitori, oberati di lavoro, avevano delegato ad Hans - il maggiore dei suoi cugini, nonché suo idolo personale - il compito di andarla a raccattare.
–Frida! Meine Kriegerprinzessin! Was hast du jetzt wieder angestellt?2
–Nichts Besonderes. Ich habe diesem idiotischen Martin nur eine praktische Demonstration gegeben, was passiert, wenn man mich und meine Freunde schikaniert.3
Il ragazzo, che la superava in età di dieci anni, ridacchiò –Beh, a giudicare da come sei conciata, deduco che anche lui abbia voluto darti una dimostrazione pratica… di lotta libera- disinfettò le zone escoriate e chiese –È più grande di te?- per poi annuire alla risposta affermativa della cugina e aggiungere –Ricordami di insegnarti un paio di tecniche di leva articolare, sono utilissime contro avversari di una certa stazza.
–Wirklich?- trillò Frida, illuminandosi di colpo. –Ich kann's kaum erwarten!4
Hans ricambiò il sorriso e prese nuovamente a ridacchiare.
–Sai, hai l’aria fin troppo felice per una che le ha prese… ed è stata appena sospesa. È un po’ inquietante.
–Le ho prese, sì- mormorò lei, più a se stessa che al cugino, mentre il sorriso si allargava al punto da rivaleggiare con quello del Joker. –Ma ne ho date molte di più, e più forte di quel Dummkopf.
Hans, orgoglioso come non mai della piccola Frida, le scompigliò affettuosamente i lunghi capelli neri come l’inchiostro, e chiocciò –Questo è parlare da Weil! Ich bin stolz auf dich, Cousinchen!5 Come dice sempre mein gleichnamiger Opa6: discendiamo da un’ingloriosa stirpe di tagliagole mercenari, non dobbiamo dimenticarlo. Ah, Onkel und Tante non devono saperne niente, ok? Non oso immaginare come la prenderebbero, se sapessero che ti sto insegnando a picchiare duro!
–Keine Sorge- gli assicurò Frida, serissima. –Das ist unser kleines Geheimnis.7
Hans le rivolse un cenno di approvazione e le sussurrò in un orecchio, per la sua gioia –Brava. Continua così, e appena sarai abbastanza grande ti insegnerò a sparare.”
 
–Frida, mi stai ascoltando? FRIDA!
Frida, che effettivamente non stava prestando attenzione alcuna al predicozzo di Hans - pardon, agente Weil - gli rivolse uno sguardo annoiato, e sospirò –Mi stavi esortando a comprendere la gravità delle mie azioni e pentirmi di conseguenza.
William, seduto al suo fianco, incredulo di cotanta sfrontatezza stralunò gli occhi: nonostante la statura non proprio da gigante (gli arrivava a malapena alla spalla), Hans Weil - col suo fisico muscoloso e gli occhi, cerchiati da occhiaie violacee e parzialmente coperti da alcune ciocche bionde ribelli, socchiusi in un’espressione di perenne ribrezzo - era l’essere più intimidatorio che avesse mai incontrato (secondo forse soltanto a Franz, il padre di Frida). Sin dal primo istante, gli era sembrato uno da non contrariare, a meno di non avere desideri suicidi. Come diavolo faceva allora lei a conservare il sangue freddo? Lui era terrorizzato!
Il terrore raggiunse l’acme quando Frida, con il consueto sorriso da Stregatto, aggiunse, sprezzante –Shäm dich8, Hans: sei diventato ciò che avevi giurato di distruggere. Il teppistello che mi ha insegnato a battermi e a sparare… uno sbirro. Dove andremo a finire?
–Si chiama crescere, Counsinchen. Dovresti provare anche tu- replicò Hans senza degnarla di uno sguardo. –In questo, ti aiuterà affrontare le conseguenze delle tue azioni.
–I-In c-che s-senso?- balbettò William, sull’orlo di un attacco di panico.
–Guida senza patente di un veicolo rubato. Qui si va sul penale, ragazzi- soffiò l’agente quasi ridacchiando, e William, colto da un improvviso groppo in gola, fu tentato di schiaffeggiare la sua socia, quando la sentì ribattere –Meines Vaters Auto? Non lo definirei “rubare”!
Hans, però, che l’aveva vista nascere e la conosceva bene, forse persino meglio dei suoi genitori, non si fece ingannare, e replicò, sogghignando –Na ja? Immagino, dunque, non sia un problema per te se chiamo Onkel Franz per chiedergli conferma. Se non hai nulla da nascondere, non hai nulla da temere.
–Fai pure- concesse lei, sforzandosi di mascherare il nervosismo. –Disturba mio padre - che considera il sonno sacro - in piena notte. Avanti, su, chiamalo!
–Piena notte? Strano, credevo che il fuso orario di San Francisco fosse otto ore avanti al nostro; perciò, al massimo disturberei Onkel Franz a ora di pranzo. Che poi, quale disturbo? Sarà contentissimo di sentirmi: sono sein Lieblingsneffe9!
Messa alle strette, Frida perse ogni traccia di compostezza: incurante di stare, di fatto, aggredendo un pubblico ufficiale, si avventò su Hans come una tigre, tentando di strappargli di mano il telefono; ma il cugino, con uno scatto fulmineo, scartò di lato, la afferrò per un braccio e, facendo leva sulla spalla, la fece roteare su se stessa, mandandola a sbattere di schiena contro il duro pavimento dell’ufficio (opportunamente deserto).
Ignorò William, che lo stava fissando con gli occhi sbarrati, pallido come un fantasma, recuperò una salvietta disinfettante e si nettò le mani, mentre osservava sdegnoso Frida rimettersi in piedi.
–Ne hai di strada da fare prima di superare il maestro… Counsinchen. Ora, se avete finito di farmi perdere tempo, devo contattare i vostri genitori per formalizzare le accuse.
La prospettiva di macchiarsi la fedina penale scosse William, dandogli la forza di scattare in piedi e ruggire –Ehi! Non siamo dei criminali minorili: avevamo una buona ragione per violare le regole!
–Tutti credono di avere una buona ragione per violare le regole- rispose Hans. –Salvo poi scoprire che avrebbero potuto ottenere lo stesso risultato seguendole.
–Non è sempre vero.
Hans emise un gemito di esasperazione e chiuse gli occhi.
–La pensavo come te, alla tua età. Poi, come ho già detto, sono cresciuto.
“Mica tanto!” pensò Frida, faticando a trattenere un risolino. Scoccò un’occhiata complice a William, e capì che doveva aver pensato la stessa cosa.
Decise infine di giocare a carte scoperte, e sbottò –Vuoi sapere perché ho preso la macchina, Hans? Per indagare sulla morte di Aisling Carter, visto che chi dovrebbe farlo se ne sbatte!
–Ancora questa storia? È stato suicidio. Caso chiuso!
–Aisling Carter era drogata, quando è morta. Una persona sedata non si alza dal letto di notte per gettarsi dalla finestra. È omicidio! E il movente si trova qui dentro- obiettò lei, infiammata di ardente determinazione, parandosi davanti la chiavetta USB scovata in camera di Aurora Carter.
–Che diavolo è quella?
–Ah, adesso sei curioso?- celiò Frida, al settimo cielo per aver catturato l’attenzione del cugino, notoriamente un osso duro. –Sii clemente, e ti dirò tutto.
Hans rimase impassibile; poi, dopo quella che agli altri due sembrò un’eternità, si avviò fuori dalla stanza senza proferire parola.
In preda ad un terrore cieco (ed egoistico), William gli urlò dietro –Non subirò la sua stessa pena, vero? Insomma, ero trasportato! Un passeggero! Non è giusto venga punito anch’io!
La reazione di Hans lo lasciò esterrefatto: si fermò di colpo, si voltò e, con aria estremamente divertita, esclamò, con voce grondante sarcasmo –Il tuo ragazzo ha le palle, Cousinchen, non c’è che dire!
Frida avrebbe voluto rispondergli che era un kantiano del cazzo, cos’altro poteva aspettarsi, ma William la precedette con un secco –Non sono il suo ragazzo!
Sforzandosi di mantenere un contegno dignitoso, Frida si impose di tenere lo sguardo fisso sul cugino, intravedendo nei suoi occhi un lampo di consapevolezza, seguito da sadico divertimento.
Il timore che Hans avesse colto la sua cocente delusione, indovinando di conseguenza i suoi sentimenti per William, ebbe conferma quando lo sentì sibilare –Interessante. Lei lo sa?- per poi aggiungere, di fronte all’imbarazzo dell’australiano –Vi lascio soli, avete parecchio di cui discutere. Lara- latrò all’indirizzo di una rossa esile dai tratti infantili, che scattò subito sull’attenti –Tienili d’occhio per me.
 
***
 
Negli anni, Faith aveva sviluppato un’efficace tecnica per dare il meglio di sé durante le performance importanti: si ritirava nel suo palazzo mentale e riportava alla mente uno dei ricordi più belli depositati in memoria.
“La doccia fredda era un vero toccasana, dopo una notte trascorsa a fare di tutto, meno che dormire, in compagnia del suo nuovo ragazzo.
Peccato che uno dei suoi coinquilini avesse deciso di invadere la sua oasi di pace.
La porta del bagno non si chiudeva a chiave, per cui bussare prima di entrare era più di un mero atto di educazione: era un obbligo.
–È libero?- domandò una voce irritantemente familiare.
“Merda!” pensò Faith, per nulla felice all’idea che Cyril, l’essere che più detestava nell’intero universo, potesse vederla nuda. “Ti prego, ti prego, ti prego, fa’ che non entri! Non voglio che quel muso odioso derida i miei rotolini di prima mattina!”
Nella sua testa si susseguirono altre imprecazioni quando sentì il rumore della porta che si apriva e di passi nella stanza. Per il bene della sua sanità mentale - e della sua dignità - decise di non palesare la propria presenza: con un po’ di fortuna, Cyril avrebbe fatto quel che doveva fare (non una doccia, sperava) e sarebbe uscito.
Sfortunatamente per lei, si accorse della camicia appesa accanto all’accappatoio.
–Ho chiesto se c’era qualcuno- sbuffò con evidente fastidio. –Avresti potuto rispondermi, stronzo. Oh, beh, chissene: lavati pure, io devo pisciare!
Chiaramente era giunto alla conclusione che sotto la doccia ci fosse Kyle (la camicia apparteneva a lui), o non avrebbe avuto l’ardire di vuotare la vescica con tanta disinvoltura.
Cercò, con scarso successo, di estraniarsi dal mondo e dal riflettere su quanto fosse surreale essere bloccata sotto lo scroscio d’acqua della doccia, nascosta da un telo di plastica, mentre a due passi da lei la sua nemesi faceva allegramente pipì. A un tratto, però, si fece strada in lei una sensazione inedita: l’ebbrezza del potere, la consapevolezza di avere il coltello dalla parte del manico; se avesse deciso di rivelarsi, sarebbe stato lui quello col pendolo di fuori, non lei, che naturalmente avrebbe mostrato soltanto la testa, al massimo un braccio. Quello stronzetto aveva passato la sua vita a denigrarla, a farla sentire inadeguata; era ora di una rivincita.
“La domanda è: ho davvero il coraggio di farlo? Sono davvero così stronza?”
La risposta fu: assolutamente sì!
Pensò di scomodare Shania Twain per la sua entrata in scena: avrebbe reso nota la sua presenza mettendosi a cantare, prima di mostrarsi.
–“I’m going out tonight, I’m feelin’ all right. Gonna let it all hang out. Wanna make some noise, really raise my voice. Yeah, I wanna scream and shout!
Non aveva calcolato che Cyril, sconcertato nell’udire una voce inequivocabilmente femminile, anziché scappare in preda all’imbarazzo, potesse prendere l’iniziativa e scostare di prepotenza la tenda della doccia.
Arrossì e cacciò un urlo, coprendosi alla men peggio con le mani; magra consolazione: lui appariva imbarazzato quanto lei.
A completare il quadretto di disagio giunse Kyle, il quale rimase un attimo interdetto dalla scena che gli si parava davanti, prima di chiedere cosa stesse succedendo.
–Amico, non è come sembra!
Kyle sollevò un sopracciglio e Faith, sebbene tentata di accendere la miccia e godersi l’esplosione, preferì intervenire per placarlo: un conto era divertirsi un po’ a spese di Cyril, un altro lasciare che il suo scimmionesco ragazzo lo riducesse a una polpetta.
–Riccioli d’oro ha visto la tua camicia e ha pensato stessi facendo tu la doccia, così è entrato senza pensarci due volte a rilasciare la cascata del Niagara.
–Oh, andiamo, Cy!- sbottò Kyle, e per un istante gli altri due temettero si sarebbe abbandonato a una sfuriata delle sue. –Ti pare vada in giro con le palle al vento?
Sollevato di averla scampata, Cyril rispose –Te lo giuro, non toccherei la Irving con un dito neanche se fosse l’ultima donna sulla Terra!- ma Kyle non lo ascoltava più.
–A che punto sei con la doccia, bellezza?
–Ho quasi finito- celiò, poi colse l’occasione per mettere ulteriormente in imbarazzo Cyril e propose a Kyle –Ma se vuoi compagnia mi trattengo. Riccioli d’oro, ti dispiace? Un po’ di privacy, per favore!
Al termine di una lunga doccia a due, rincontrò Cyril in cucina, decise di non fargliela passare liscia: quell’incidente le avrebbe permesso di deriderlo per mesi! Avrebbe mollato l’osso solo quando avrebbe smesso di essere divertente.
“Adesso basta fare la brava bambina! Piacere a lui non è la tassa da pagare per occupare spazio su questo pianeta!”
Gli si avvicinò ancheggiando a ritmo di musica, e riprese a cantare.
–“The best thing about being a woman is the prerogative to have a little fun and… Oh, oh, oh! Go totally crazy, forget I’m a lady. Men shirts, short skirts… Oh, oh, oh!”
–Lasciami in pace, Irving! Evapora in un universo in cui sei guardabile!
–Andiamo, Riccioli d’oro, balla con me! “We don’t need romance, we only wanna dance”. Oh, yeah!
Sempre più stizzito, Cyril passò alle minacce.
– Sei una piaga, Irving. Piantala, o ti rovescio il tè bollente in testa. Cosa ci trovano Kyle e Brian in te? Potrebbero avere letteralmente qualunque ragazza desiderino, e perdono tempo con una…
–Ippopotama come me?- finì lei al suo posto, sfoggiando uno smagliante sorriso di scherno. –Ho costretto Kyle a guardare “Madagascar” ieri sera. Alla fine si è divertito. Chi l’avrebbe mai detto?- avvertì l’effetto esilarante di poco prima scemare, e pensò bene di rinvigorirlo un po’. Avvicinati, Riccioli d’oro, e ti svelerò il mio segreto- dato che lui non aveva intenzione di ridurre la distanza che li separava, fu lei ad allungarsi sul tavolo della cucina, arrivando quasi a far sfiorare i loro nasi, per poi asserire, con fare fintamente serio –Extra impegno. È questo il mio segreto.
–Impegno in cosa?
–Lascio la risposta alla tua immaginazione- celiò, intenzionata ad uscire di scena alla grande. Oppure, se i tuoi neuroni sono particolarmente pigri in questo periodo, chiedi a Kyle. Ci vediamo!”

Da allora, aveva teso ogni suo sforzo al riprodurre le magnifiche sensazioni di quella mattina; si era ripromessa di essere sempre sicura di sé e impermeabile al giudizio altrui. Niente e nessuno avrebbe più avuto il potere di farla vacillare. La maternità aveva rafforzato questo proposito: doveva mostrarsi forte e di successo anche per sua figlia; non si sarebbe mai perdonata, se le avesse trasmesso le sue insicurezze.  
Il cronometro segnalò lo scadere dei suoi quindici minuti di celebrità congressuale, ma non se ne preoccupò, e parlò per altri cinque minuti buoni: il suo era di gran lunga il lavoro più interessante della sessione, se non dell’intero congresso, quei pisquani dei moderatori avevano solo da tentare di interromperla; li avrebbe divorati vivi.
Quanto desiderava che la se stessa più giovane potesse vederla; avrebbe stentato a riconoscersi.
Eppure, non riusciva a scrollarsi di dosso l’angoscia che qualcosa potesse andare storto e, dato che la presentazione era stata un successo, dedusse che si trattava di sua figlia.
Niente di sorprendente: le era bastato incrociare quegli occhioni di ghiaccio spalancati sul mondo in un’espressione di perenne curiosità per capire che, al contrario di quanto promessole da Franz, Frida era tutto fuorché “noiosamente normale”.
Metterla al mondo le era quasi costato l’utero, e da allora la pargola non aveva fatto che darle tanti problemi quante soddisfazioni, dimostrandosi da subito estremamente precoce e altrettanto indisciplinata.
Aveva perso il conto di tutte le volte in cui lei o Franz erano stati chiamati a rispondere della condotta di Frida, la quale si cacciava spesso nei guai, convinta com’era che possedere un’intelligenza superiore alla media la ponesse automaticamente al di sopra delle regole.
Spesso si era data la colpa dell’irrequietezza di sua figlia. Forse era stata troppo permissiva con lei; forse avrebbe dovuto frenarla, contenerla, arginarla, invece di stimolarla a darsi dei limiti al solo scopo di superarli. Invece no, le aveva insegnato che l’orizzonte non esiste, è soltanto il nome che diamo a ciò che ci sembra irraggiungibile, e non appena l’abbiamo raggiunto, diventa semplicemente parte del paesaggio.
In questo, doveva ammettere che William stava avendo un’ottima influenza su di lei: da quando lo frequentava, Frida sembrava essersi data una calmata, smettendo i panni di Sherlock Holmes per indossare quelli della diciassettenne.
Avrebbe preferito che l’artefice di tale mirabolante trasformazione non fosse il figlio dell’uomo che le aveva ridotto il cuore in frantumi, ma tant’era; ad ogni modo, a dispetto dei geni paterni, William le era parso un ragazzo più che decente, capace di tenere a bada quella testa calda di Frida, perciò non aveva ritenuto opportuno intromettersi nel loro rapporto. Da buona madre, si era limitata a suggerire alla figlia una visitina dal ginecologo per farsi prescrivere un contraccettivo, sogghignando nel vederla arrossire e balbettare sillabe sconnesse.
Da quella reazione, aveva intuito che i due non erano ancora, per così dire, “entrati in intimità”, ma era sicura che avrebbero approfittato dell’assenza sua e di Franz quella sera per rimediare. Che fosse quello a preoccuparla?
Scosse il capo: si fidava troppo della figlia per preoccuparsi di quella che, da madre moderna qual era, considerava una fisiologica tappa della crescita. Si guardò intorno, respirando a pieni polmoni per acquietarsi: la sua presentazione si era conclusa tra gli applausi dell’uditorio, si trovava in uno dei migliori ristoranti della capitale a rifocillarsi dopo un simposio scientifico, i tacchi che si era costretta a calzare per amor di eleganza non le avevano distrutto i piedi e la sua bambina si stava, con ogni probabilità, divertendo quanto - se non più di - lei. Andava tutto bene. Forse troppo bene. Aveva imparato a diffidare della calma assoluta: di solito preannunciava una tempesta.
Non la sorprese ricevere una telefonata da Hans, primogenito di Alexander, fratello di Franz, che aveva seguito le orme materne entrando in polizia. Emise un sospiro carico di rassegnazione, chiuse gli occhi e gli chiese –Cos’ha combinato, stavolta?
 
***
 
Cyril Wollestonecraft si era innamorato a prima vista di suo figlio, che aveva tirato su con amorevoli severità e apprensione, tanto da meritarsi, da parte dell’ex suocero - un australiano tutto d’un pezzo, da fare concorrenza a Mr. Crocodile Dundee - l’appellativo di “mammo”.
Il divorzio, però, lo aveva cambiato profondamente, inducendolo a riconsiderare molti dei suoi paradigmi educativi e ad adottare una morale più… elastica.
Al tarlo del senso di colpa, che ogni tanto lo punzecchiava, rinfacciandogli di costituire un pessimo esempio per William, ribatteva che il suo lo aveva fatto, che ormai il ragazzo era cresciuto, pertanto i suoi obblighi educativi potevano considerarsi assolti.
La riprova che il goffo bambino con la testa tra le nuvole era diventato un giovane uomo, molto più maturo di quanto non fosse stato lui alla sua età, l’aveva avuta quando alla sua domanda su quale genere di rapporto intrattenesse con una certa Frida, aveva risposto senza esitazione, guardandolo fisso negli occhi –Non è la mia ragazza, e non credo mi piaccia fino a quel punto… però mi piace. Piacerà anche a te, quando la conoscerai meglio.
Cyril si era limitato ad annuire; in effetti, la ragazza gli aveva fatto una buona impressione, sebbene ci fosse in lei qualcosa che gli aveva messo addosso una strana inquietudine. Gli occhi, probabilmente, così chiari da rivaleggiare con quelli di un husky, oppure l’espressione indagatrice con cui scrutava ogni cosa, o il sorrisetto sardonico che aveva visto fare capolino sulle sue labbra, e che gli aveva dato una inspiegabile sensazione di déjà vu.
William gli aveva detto che avrebbero fatto un giro dalle parti del British Museum, prima di unirsi ai loro amici per fare baldoria al Tipsy Crow. Naturalmente, non aveva avuto da obiettare: erano finiti i tempi in cui era necessario badargli, il suo (non più) bambino era abbastanza intelligente e responsabile da poterlo lasciare vagare senza preoccuparsi per la sua incolumità.
Ripensando al Tipsy crow, invece, storse il naso: ai suoi tempi - si diede immediatamente dello stupido per aver implicitamente affermato di essere un matusa - era un malfamato covo di qualsivoglia genere di brutti ceffi; non si capacitava di come i nuovi proprietari fossero riusciti a riqualificarlo, rendendolo di super tendenza.
“I tempi cambiano, c’è poco da fare”.
Sorrise alla collega infelicemente sposata che gli aveva tenuto compagnia a cena - e, a giudicare dalle poco velate provocazioni, anche per il resto della serata - rifiutò elegantemente la sua (fintissima) offerta di dividere equamente il conto e fece per prendere il cappotto, quando ricevette una telefonata da un numero sconosciuto.
Incuriosito rispose, e per poco non ebbe un infarto.
–Dove… dove ha detto che si trova mio figlio?
 
***
 
–Sai, Weil, prima di venire in questo noiosissimo Paese, non avevo mai capito che gusto ci fosse a scarpinare e sbattersi tanto per vedere roba dal vivo. Insomma, la realtà virtuale non è meglio? Poi ho sperimentato la sindrome di Stendhal, e mi sono ricreduto. Un luogo però che mi sarei risparmiato volentieri di visitare in prima persona è una stazione di polizia;  invece, grazie a te, è esattamente dove mi trovo.
Frida, seduta a braccia conserte, lo fulminò con lo sguardo.
–Piantala di lamentarti, Liam. In caso non lo avessi notato, siamo sulla stessa barca.
–Una barca colata a picco, Weil.
La ragazza arricciò le labbra, e, in mancanza di repliche migliori, sbuffò –Deine Mutter non ti ha insegnato che tenere il broncio ti fa emanare vibrazioni negative?
William non poté credere alle proprie orecchie: la sua socia stava davvero ironizzando sulla disgraziata situazione in cui erano?
–Hai sentito tuo cugino: rischiamo il penale. Che cazzo di vibrazioni dovrei emanare?
Stanca del continuo sbuffare e dell’andirivieni di William, Frida sbottò –Hör auf! Ich werde Ihretwegen Kopfschmerzen bekommen!10
Lui, che non aveva compreso una sola parola, ma ormai la conosceva abbastanza bene da intuire quale fosse il problema, replicò seccato –Che c’è? Ti dà fastidio che sfoghi l’ansia andando avanti e indietro? Beh, a me dà sui nervi che tu sia così calma. È innaturale.
Senza scomporsi, Frida curvò le labbra in un accenno di sorriso, e rispose –Credo che tu sia abbastanza isterico per tutti e due, Liam.
L’australiano strabuzzò gli occhi.
–Isterico? Io?- ululò, salvo poi rendersi conto di aver appena confermato l’asserzione della sua socia. –Cazzo, sì! E con ragione! Siamo in una fottuta stazione di polizia ad aspettare che i nostri genitori ci mangino vivi! Sinceramente, se non è questo un momento per abbandonarsi all’isteria, quale?- si accasciò nuovamente sulla sedia alla destra di Frida e mugolò –Rischiamo la fedina penale macchiata a vita! I tuoi forse sono più morbidi, ma mio padre mi ucciderà per questo! Non vedrò l’alba di domani!
La ragazza levò gli occhi al cielo, irritata da quella sceneggiata degna delle peggiori soap opera sudamericane, e, nel tentativo di tranquillizzarlo, fornì un’analisi razionale della situazione.
–Te lo ripeto: non c’è nulla di cui preoccuparsi. Innanzitutto, non per vantarmi, ma ci hanno fermato per pura fortuna; avrei potuto seminarli, volendo, però ho preferito non peggiorare la mia posizione. Inoltre, ero io al volante, e tu un semplice passeggero, come non hai mancato di far notare a mio cugino. Ah, dulcis in fundo, siamo ancora minorenni: il massimo della punizione che riceveremo è una bella multa e una strigliata da unsere Eltern.
Sfortunatamente, il discorsetto di incoraggiamento sortì l’effetto opposto a quello sperato: William, lungi dal sentirsi confortato, scosse il capo e sibilò –Come accidenti fai a non uscire di testa? Ci stiamo giocando il nostro futuro, qui! Non lo capisci?
Frida alzò nuovamente gli occhi al cielo, emise un profondo sospiro di esasperazione, infine, dopo aver ponderato accuratamente le parole, disse, con la consueta calma ai limiti dell’umano –Ho due ragioni per rimanere calma: la prima, è che non vedo motivi validi per non esserlo; dare di matto non apporterebbe alcun vantaggio materiale. La seconda, è che tu non vuoi vedermi “uscire di testa”, per usare il tuo linguaggio.  Glaub mir11. Perché io non ho mezze misure: le rare volte in cui sclero, sclero di brutto. Sono una bomba a mano: una volta tolta la sicura, l’esplosione è assicurata.
Per tutta risposta, William scoppiò a ridere.
–Una bomba a mano? Tu? Ma fammi il piacere! Tu sei un’impassibile creatura di ghiaccio!
“Frida, forse. Zelda è di un’altra pasta” pensò la ragazza, ma decise di tenere quel pensiero per sé nel timore che il suo socio - che già la considerava strana - potesse ritenerla pazza. Pensò bene di cambiare argomento.
–Invece di dare aria alla bocca tanto per, potremmo cercare di non sprecare questi momenti di tranquillità e aggiornarci sul caso. Oppure, se la cosa non ti turba troppo, potresti spiegarmi perché mi hai baciato, dato che evidentemente non vuoi che diventi la tua ragazza.
Bramoso di una valvola di sfogo, William si aggrappò a quell’appiglio per sfogarsi su Frida.
–Quanto sei pesante, Weil, e che cazzo! Ti ho baciato perché mi andava. Questione chiusa. Non ti devo spiegazioni.
Prima che lei potesse ribattere, Hans fece ritorno.
–Tuo padre è qui, William. Sta pagando la multa, sinceramente sorpreso che te la sia cavata “così a buon mercato”. Parole sue, eh! Uhm, questa scrivania è sporca.
La strizzata d’occhio bonaria di Hans accese una lampadina nella testa dell’australiano.
–Le tue erano minacce a vuoto! Volevi solamente farci cagare sotto! Sì, insomma: darci una lezione.
–Ti sembro tipo da minacce a vuoto?- replicò lui, sforzandosi di apparire serio mentre puliva la scrivania già linda. –Hai davvero rischiato grosso; ma mi è bastato parlare due minuti con tuo padre per capire che non esiste punizione peggiore del lasciarti nelle sue mani. Idem per te, Cousinchen: non la passerai liscia, Tante Faith è furiosa! Ah, quasi dimenticavo: potrei essere tentato di aiutarvi; avete trenta secondi per convincermi che non state farneticando a credere che Aisling Carter sia stata uccisa.
–Ma come? E il tuo discorso sul seguire le regole?
–Convincimi che è nell’interesse della giustizia… aggirarle. Questa volta. Che non diventi la regola, klar?
–Aisling soffriva di incubi, aggravatisi da circa un anno. Era talmente disperata da ricorrere all’ipnosi! Il giorno in cui è morta ha avuto una crisi particolarmente grave, è andata in Pronto Soccorso, accompagnata dalla sua amica Nita. Era in uno stato pietoso, tanto che il medico le ha prescritto dei sedativi. Nita l’ha poi riportata alla villa dei nonni, dove si è imbattuta in Andrew Carter, che l’ha congedata, assicurando che avrebbe provveduto lui a metterla a letto e vegliare su di lei.
–Ho letto le deposizioni, non risulta nulla di tutto ciò.
–Nita è innamorata di Andrew- osservò William. –Ha taciuto per non metterlo nei guai.
–Ok, ma il movente?
–Liberarsi di una sorella problematica e, bonus, accaparrarsi una fetta più grande di eredità.
–E Nita?
–Mi sembra una colpevole meno probabile: l’unico possibile movente è che Aisling si fosse intromessa nella sua campagna di conquista di Andrew.
William emise uno sbuffo derisorio, seguito dal rancoroso –Se non avessi dismesso Alex come una zanzara che ti ronzava attorno all’orecchio, Weil, sapresti che: uno, lei e Aisling avevano una relazione segreta; e due, che Aisling in realtà era innamorata di Nita, sorella di Alex e sua amica d’infanzia, e il giorno prima di morire ha provato a baciarla.
Wirklich? E Nita?
–L’ha rifiutata, ovviamente. In malo modo.
“Alex non l’avrà presa bene!”
La replica di Frida venne ancora una volta stroncata sul nascere dal commento di un esterrefatto Hans.
–Davvero avete scoperchiato questo vaso di Pandora da soli? Wow! A questo punto, la domanda non è più se aiutarvi o meno, quanto piuttosto: a cosa vi servo?
 
***
 
Cyril si diresse da suo figlio con passo marziale. Era una furia: poteva tollerare qualsiasi atto di ribellione adolescenziale, ma non quello, non dopo aver perso suo fratello.
Mettersi al volante di un’automobile. Come gli era saltato in mente? Dove l’aveva trovata? Ma soprattutto: chi gli aveva insegnato a guidare? Non lui, che aveva cercato di rimandare il più possibile il temuto evento, ormai imminente, dato che William sarebbe diventato maggiorenne a dicembre, e allora non avrebbe più potuto fermarlo.
–Sei impazzito, per caso?- ringhiò, puntandogli contro un indice accusatorio. –Ti rendi conto della gravità delle tue azioni? Guidare è pericoloso! Persino i più esperti fanno incidenti, figurati tu! Saresti potuto morire!
Fu la scintilla che fece divampare William.
–Morire? Come lo zio Vyvyan?- ululò, tremante di rabbia. –Ecco, non cerchi neanche di negarlo! Avevo uno zio, e me l’hai tenuto nascosto. A me! Tuo figlio! Non ti vergogni?
–E tu non ti vergogni ad aver preso chissà dove un’auto, e di esserci andato in giro impunemente?
–L’auto è di mio padre- intervenne Frida per evitare che padre e figlio venissero alle mani. Cyril non le sembrava un tipo manesco, ma William aveva gli occhi iniettati di sangue e pareva seriamente disposto allo scontro fisico. –E non la guidava lui. Ero io al volante. Ein bisschen maschilista dare per scontato sia il ragazzo a guidare.
Contro ogni previsione Cyril, anziché andare su tutte le furie, si mise a ridere, scusandosi con Frida per l’erronea presunzione. La ragazza segnalò con un elegante movimento della mano che non se l’era presa e invitò William a risedersi.
Gut. Sono lieta che la tensione si sia stemperata. L’aria si stava facendo irrespirabile!
–A proposito di aria- le bisbigliò William. –Hai l’aria fin troppo felice per una che probabilmente dovrà scontare lavori socialmente utili o simili… ammesso che la madre non la faccia fuori prima.
–Abbiamo posti in prima fila per lo scoppio della terza guerra mondiale, Liam: mica roba da tutti i giorni!
Perplesso, le chiese cosa intendesse con quella frase sibillina, ma la risposta non tardò ad arrivare, sotto forma di un ruggito da leonessa privata dei cuccioli che echeggiò nel corridoio.
–Dov’è? Dov’è mia figlia?
Cyril impallidì, ripetendo a bassa voce che non era possibile fosse lei, che soffriva di allucinazioni uditive, e per poco non svenne quando si trovò davanti Faith, realizzando che no, non era un frutto malato della sua psiche. Eppure, nonostante tutto, necessitava ancora di una prova tangibile.
–Irving? Sei davvero tu?
Lei, che nel frattempo si era fiondata dalla figlia, subissandola di rimproveri misti ad assicurazioni che stesse bene, reagì con maturità e compostezza: digrignò i denti, si voltò, stiracchiò le labbra in una smorfia che solo qualcuno gravemente miope avrebbe potuto confondere con un sorriso, e avanzò di qualche passo verso Cyril, che dal canto suo cominciava a sudare freddo.
–Bene, bene. Cyril Wollestonecraft. Quanto tempo!
E, detto questo, gli diede uno schiaffo.
 
 
Note dell’autrice
L’attesa è stata lunga, ma lo è anche il capitolo.
Chi conosce i trascorsi di Faith e Cyril avrà goduto parecchio, immagino. Almeno quanto me nello scrivere la scena finale.
Quanto ad Hans, che vi pare di lui? Ci sarà da fidarsi? Vi lascio indovinare a chi mi sono ispirata nell’immaginare il suo aspetto. Vi do un indizio: è un personaggio di fantasia. Se invece preferite riferimenti reali, figuratevi Dane DeHaan.
Alla prossima! (spero presto, ma non garantisco)
1 Bastardo viziato
2La mia principessa guerriera! Cos’hai combinato, stavolta?
3Niente di particolare. Ho soltanto dato a quell’idiota di Martin Higgs una dimostrazione pratica di cosa succede a chi bullizza me e i miei amici.
4Sul serio? Non vedo l’ora!
5Sono fiero di te, cuginetta!
6Mio nonno omonimo
7Tranquillo, è il nostro piccolo segreto.
8Vergognati
9Il suo nipote prediletto
10Smettila! Mi farai venire mal di testa!
11Credimi
 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Nostalgia canaglia ***


Ben trovati! Non so se scusarmi anche stavolta per le ere geologiche tra un capitolo e l’altro, tanto ormai dovreste esservi abituati alla mia lentezza da bradipo nell’aggiornare. * china il capo e si inginocchia sui ceci secchi *
Fosse per me passerei il tempo a scrivere, ma non posso. Spero, comunque, che quanto leggerete sia valso l’attesa.
 
Nostalgia canaglia
 
“E poco importa se il tempo non ci ha lasciato sperimentare. Da qualche parte siamo invecchiati insieme, da qualche parte continuiamo a rotolarci e a ridere.”
Margaret Mazzantini
 
A prescindere dal come e dal perché si sia deciso di prendere strade diverse, incontrare un ex partner risulta sempre imbarazzante, specie se il motivo della rottura è stato una sfuriata carica di accuse infamanti su un presunto tradimento, a una settimana dal matrimonio. In casi del genere, all’imbarazzo è naturale si aggiunga una certa dose di risentimento, da una o ambo le parti.
In realtà, sulle prime Cyril non aveva provato nulla di tutto ciò; semplicemente, si rifiutava di credere che la donna che aveva quasi sposato fosse davvero lì, davanti a lui, e nemmeno un ceffone era riuscito a convincerlo di non stare vivendo un’allucinazione.
Lo stupore aveva ridotto al minimo le sue facoltà mentali, al punto che, in risposta allo schiaffo, non gli sovvennero idee migliori che massaggiarsi la guancia dolorante e ripetere, in una prova d’idiozia che rasentava il ridicolo –Non è possibile. Sei davvero tu, Irving?
–Ne vuoi un altro, per fugare ogni dubbio?
La pungente replica di lei fu la prova definitiva che no, non stava allucinando e sì, il karma esisteva, ed era uno stronzo.
–Sei decisamente tu- ridacchiò. –Non sei cambiata di una virgola.
Nel momento esatto in cui quelle parole uscirono dalla sua bocca, si pentì di averle pronunciate. Se il suo intento era di lusingarla, aveva fallito miseramente, e Faith non mancò di rinfacciarglielo.
–Nel mio caso non è un complimento, lo sai bene. Sono migliorata tantissimo, da quando mi hai lasciata.
Colpito dalla franchezza e verità di quelle parole, incapace di formulare una frase di senso compiuto, preferì limitarsi ad annuire; in effetti, sebbene la Faith che gli aveva rifilato una rispostaccia e lo stava fissando con astio era effettivamente mutata poco nel fisico - il tempo era stato clemente con lei, donandole solamente un accenno di rughe di espressione ai lati degli occhi - e nel carattere, la sicurezza che traspariva dallo sguardo e dalla postura era un’assoluta novità. La donna che ricordava era sì intelligente e grintosa, ma la grinta palesemente autoimposta non bastava a nascondere un’insicurezza di fondo, della quale era (solo in parte, secondo lui) l’autore.
Gli sovvenne un pensiero, penetrante e doloroso come una stilettata: per sbocciare, Faith aveva dovuto liberarsi di lui. Lui che, invece, si era bruciato nella corsa per agguantare tutta la felicità possibile; aveva avuto successo - riusciva sempre in ciò che si prefiggeva - ma il genere di felicità di cui si era abbuffato era troppo ardente per durare, e alla fine era avvizzito nel pieno della fioritura, come un girasole sotto il solleone.
Chissà cosa ne sarebbe stato di loro, se si fossero sposati.
Non ebbe modo di darsi una risposta, perché Hans li riportò alla realtà informandoli che erano liberi di andare, per poi aggiungere, rivolgendosi a Frida con severità quasi paterna –Du bist ein großes Risiko eingegangen, Cousinchen. Wenn du denkst, dass du immer damit durchkommst, weil du klüger bist als alle anderen, dann liegst du falsch1: non sei davanti a un giudice solo perché l’auto è di Onkel Franz, che dubito ti denuncerebbe per furto. La prossima volta non sarò altrettanto indulgente, ist es klar?
–Perché questo tizio parla tedesco?- bisbigliò Cyril, ricevendo in risposta uno sprezzante –Perché è la reincarnazione di Hitler- da Faith, la quale aggiunse subito dopo –Si chiama Hans Weil. Nome tipicamente inglese, no? Fai due più due, Cyril, so che puoi farcela!
–Idiota!- sibilò lui a denti stretti, constatando che la lingua biforcuta della Irving - una delle caratteristiche di lei che più lo aveva intrigato, ai tempi - era rimasta immutata.
“Pazzesco come una persona tanto dolce e genuinamente di buon cuore riesca ad avere dei picchi di acidità che in confronto l’acido cloridrico diventa bicarbonato!”
La ragazza bofonchiò, arricciando il naso con fare sprezzante –Se non sono davanti a un giudice è perché sai di averci trattenuti illegittimamente, du Arschloch. Speravi di farmi cagare sotto? Di mettermi in riga? Beh, caschi male. Du wirst dafür bezahlen, Zwerg!2
William fu il solo a sentirla, ed, esterrefatto da tale immaturità, non potè fare a meno di pensare “Non ho idea di cosa cazzo abbia detto, ma suonava fottutamente minaccioso. Possibile debba essere sempre sul piede di guerra? Ha ragione il cuginetto: datti una regolata, Weil!”
Incapace di trattenersi, decise di redarguirla; la afferrò per un braccio e, incurante della sua espressione men che lieta, le sussurrò all’orecchio –Ti sembra saggio incazzarti con chi ha appena accetta­to di aiutarci nelle indagini?
–Chiudi il becco. Io con te non parlo.
–L’hai appena fatto, genio!
Dimostrando di essere, nonostante le pretese di inamovibile razionalità, una teenager permalosa, Frida si liberò con veemenza dalla presa (debole), emise uno sbuffo sprezzante e chiese di restare sola con il suo “cuginetto adorato”.
Una volta a porte chiuse, Hans si rilassò visibilmente, al punto da scherzare –Also, Cousinchen, worüber willst du mit mir reden3? Non i tuoi piccoli problemi di cuore, spero! Perché, nach meiner bescheidenen Meinung4, non sono affatto piccoli.
L’ilarità non contagiò Frida, che rimase impassibile, in attesa che l’altro smettesse di ridacchiare come la piccola canaglia che era stato prima di diventare uno sbirro.
Ich vertraue dir, Hans- disse infine, con una serietà a tratti minacciosa, prima di piazzargli davanti la chiavetta USB con fare teatrale. –Enttäusch mich nicht.5
Sag, habe ich dich jemals enttäuscht?6
Niemals. Deshalb vertraue ich dir, obwohl du ein Cop bist7. Trattala coi guanti: potrebbe essere l’unica prova in mio possesso che la morte di Aisling Carter non è stata accidentale.
Hans sospirò stancamente, aggrottando la fronte, mentre rigirava la chiavetta tra le dita, incerto sul da farsi. Frida aveva mostrato un precoce talento investigativo, e finora non si era mai sbagliata; perciò, se era convinta ci fosse qualcosa di losco nella morte di Aisling Carter, doveva esserci un fondo di verità. Tuttavia, se fosse effettivamente saltato fuori che qualcuno era implicato nella morte di Aisling Carter, Tante Faith e sua madre avrebbero passato dei guai per aver liquidato il caso come suicidio (in misura maggiore sua madre, dato che Faith nelle sue relazioni si esprimeva sempre in termini di compatibilità, mai di certezza, in modo da poter rigirare la frittata a suo piacimento); d’altro canto, si disse, se fosse stato lui l’agente modello a scoperchiare il vaso di Pandora, anche a costo di mettere in cattiva luce la sua stessa madre, pur di fare giustizia… ne avrebbe certamente guadagnato in termini di popolarità, e a quel punto la tanto ambita promozione sarebbe stata garantita. Decise quindi di assecondare ancora una volta le apparentemente strampalate idee della geniale cugina.
–La darò ad Ernst, vediamo cosa riuscirà a cavarne. Hai già un’idea di cosa potrebbe contenere?
Dopo un’attenta riflessione, Frida rispose –Se l’intuito non mi inganna… un diario, o qualcosa del genere.
–Un diario?
–Sì. Ho assistito ad una scenetta interessante, alla commemorazione in onore di Aisling…
–Sei andata là? Su quella che ritieni la scena del crimine? Bist du verrückt geworden?8
Natürlich! Era l’unico modo per ottenere informazioni preziose. Comunque, dicevo: ho beccato l’apparentemente a lutto nonno di Aisling intento a rovistare nella camera della nipote. “Dove l’ha messo, quella maledetta”, ripeteva. Lo. Maschile singolare. Si stava dunque riferendo a un singolo oggetto, abbastanza piccolo da poter essere nascosto con facilità in un cassetto o qualunque anfratto della stanza. Inoltre, questo oggetto deve contenere roba che scotta; altrimenti perché darsi tanta pena per occultarlo?
–Ok, ma perché proprio un diario?
–Di certo non può trattarsi di un testamento; Aisling era maggiorenne, sì, ma troppo giovane per anche solo pensare di aver bisogno di redigerne uno. A meno di sapere di essere condannati, alla nostra età non si pensa alla morte. Aggiungici che era stata in cura da una psicoterapeuta per liberarsi degli “incubi” che erano tornati a tormentarla, et voilà: viene da pensare che la psicologa possa averle consigliato di mettere nero su bianco i suoi demoni. Ho vagliato anche la possibilità di una lettera d’amore, scritta di suo pugno per Nita, o da Alex per lei - i vecchi Conworthy non mi sono sembrati granché aperti di mente, nei panni di Aisling anch’io avrei cercato a qualunque costo di nascondere la mia omosessualità - ma ormai non le scrive più nessuno; via di emoticon e tanti saluti al romanticismo! Beh, meglio che vada, prima che Mutti mi abbandoni.
Keine Sorge, ti darei asilo a casa mia- le assicurò Hans.
–Sonja avrebbe da ridire: il vostro bugigattolo è grande a malapena per due persone!
Alla menzione della sua fidanzata, Hans si illuminò, regalando a Frida uno dei suoi piuttosto rari sorrisi.
–Infatti stiamo cercando una spelonca dotata di stanza per gli ospiti. Ah, quasi dimenticavo: tieniti libera il dieci giugno.
Colta da un misto di incredulità ed eccitazione, Frida batté le mani e iniziò a saltellare sul posto. Normalmente, Hans le avrebbe intimato di smetterla (seine Kriegerprinzessin non poteva comportarsi come la protagonista scema di un anime per ragazzine), ma la felicità condivisa lo fece soprassedere.
Mein Gott: ti sposi!
Il sorriso di Hans si fece, se possibile, più largo e radioso; l’aveva vista nascere e crescere, eppure la capacità di Frida di passare in un nanosecondo dalla freddezza più assoluta ad un vulcanico entusiasmo continuava a sorprenderlo.
–Secondo Sonja non ha senso rimandare oltre. Io, invece, ne avrei fatto volentieri a meno; sai quanto detesto le cerimonie ed essere al centro dell’attenzione. Avevo proposto di sposarci in segreto alle Bahamas, ma no, la futura Frau Weil pretende che diamo il tradizionale spettacolo a beneficio di parenti e amici. Cosa non si fa per amore!
–Suvvia, non essere cinico! È una bella cosa. Meravigliosa, anzi. Potrei scoppiare di gioia!
–Non in senso letterale, spero, o finirò di pulire l’ufficio in tempo per la pensione… e Sonja si troverà a corto di una damigella.
“Bomba sganciata. Adesso, se la conosco bene, strepiterà e correrà ad abbracciarmi: per qualche strana ragione, pure lei va pazza per queste stronzate!”
Frida non si smentì: eruppe in una serie di urletti estatici e si precipitò a stritolare il cugino in una morsa affettuosa.
–Io… una damigella? Danke, danke, danke!
Irritato dal divario in altezza, reso più evidente dalla distanza ravvicinata, Hans si divincolò e sbottò –Come ti sei permessa di diventare più alta di me?
–Non sono io alta, sei tu ad essere rimasto formato tascabile, Zwerg!
–Vuoi che ti mandi a sbattere contro qualche altra superficie, Cousinchen? Potrai superarmi in altezza, ma non nel corpo a corpo- ignorò la linguaccia di Frida e aggiunse, in tono malizioso –Che dici, dein Traumprinz9 caccerà fuori le palle in tempo per farti da cavaliere al mio matrimonio? Si accettano scommesse!
–Liam non è il principe di nessuna storia, men che meno della mia. Ci ha tenuto a metterlo in chiaro- replicò mestamente lei. –Bis bald10, Hans. Aggiornami appena hai notizie degne della mia attenzione.

 
***
 
–Alla buon’ora!- abbaiò Cyril. –Tua madre stava per fare irruzione!
–Non l’avrebbe mai fatto- obiettò Frida scrollando le spalle. –Stravede per Hans, probabilmente perché la lusinga che da piccolo avesse una mezza cottarella per lei.
–Frida!
–Che c’è? È vero! Me l’ha detto Oma Gertrud!
–Un giorno taglierò la lingua a tua nonna- ringhiò Faith a denti stretti.
–Impossibile: non sei violenta per natura- asserì sua figlia. –Piuttosto: cosa ci fanno loro qui?
Faith non riuscì a nascondere un certo imbarazzo.
–Oh, ehm.. ecco… William ha insistito per… sì, insomma… vorrebbe cenassimo insieme.
In un impeto di sadismo manipolatorio, infatti, William aveva formulato quella che a parere di tutti era una vera e propria proposta indecente: mangiare tutti insieme, in modo da prendere i due proverbiali piccioni con una fava; in altre parole, punire adeguatamente suo padre per avergli nascosto dello zio morto, e la Weil per il modo meschino in cui lo stava trattando. Faith sarebbe stata un danno collaterale, non aveva niente contro di lei.
“Ben le sta! Così impara ad ignorarmi! È lei dalla parte del torto. Io ho soltanto detto la verità: non stiamo insieme. È colpa mia se lei si è fatta i film in testa per un bacetto?”
Da egregio conoscitore della psicologia umana, aveva previsto che nessuno dei due adulti avrebbe avuto il fegato di rifiutare, per non dare all’altro la soddisfazione di palesare quanto lo infastidisse respirare la stessa aria. Idem per la Weil: sarebbe crepata di rabbia, piuttosto che ammettere la delusione nello scoprire che non bastava scambiarsi un po’ di saliva per essere “incollati”, come usavano dire gli inglesi. Amava atteggiarsi a donna matura e forte, quando in verità era ancora una ragazzina troppo furba e intraprendente (e permalosa) per il suo stesso bene.
Come previsto, nonostante le espressioni tradissero tutt’altro, Cyril aveva acconsentito quasi subito, al contrario di Faith, la quale tentò una flebile resistenza.
Frida, invece, non si fece remore a rifiutare categoricamente.
–Gentile, da parte tua, però, ecco… non credo sia il caso. Ma grazie dell’invito!
Sollevato che qualcun altro si fosse caricato dell’onere di rifiutare, Cyril manifestò la propria approvazione.
–Sono d’accordo, non è assolutamente il caso: tua figlia ha combinato abbastanza guai per una sera!
Faith, che nel frattempo si era mossa di tre passi verso l’uscita, si bloccò di colpo, voltandosi verso di lui con l’aria belligerante dell’orsa privata dei cuccioli.
–Come, prego?
Per sua sfortuna, Cyril era affetto dalla nascita da “impertinenza a intermittenza” (come la chiamava Vyvyan): in breve, era il classico tipo che scappava dopo aver lanciato il sasso, e aveva bisogno di ricaricare le pile del coraggio, prima di rifarlo.
Nel timore di un altro ceffone - le “pizze” della Irving, a quanto pareva, negli anni erano diventate dannatamente poderose - iniziò a balbettare –N-no, n-nel senso…
–Il senso era abbastanza chiaro, grazie tante!- sbottò Faith. –Avanti, ripeti cosa hai detto, se ne hai il coraggio. Conoscendoti, scommetto di no.
Alle sue spalle Frida, al settimo cielo, mimò con mani e labbra un trionfale “Boom, bitch!” da vera diva. William per poco non soffocò nel tentativo di camuffare le risate in colpi di tosse.
Sentitosi messo all’angolo, Cyril recuperò in fretta sufficiente audacia da replicare – Ho detto, Irving, che tua figlia ha combinato abbastanza guai per una sera. Vuoi forse darmi torto? È colpa sua se siamo qui.
–Mia figlia ha indubbiamente la sua dose di colpa- convenne Faith, ignorando le esternazioni di disappunto della figlia. –Sì, Frida, checché ne strilli: se ti comportassi bene, non finiresti così spesso nei guai, oltretutto trascinando con te chi non c’entra niente. Però - sì, Cyril, c’è un però, checché ne strilli - neanche tuo figlio è un angioletto: non mi pare che Frida lo abbia costretto con la forza a seguirla nelle sue scorribande- si girò verso Frida e le chiese, memore della sua abilità nel combattimento e della sua noncuranza per le regole –Non l’hai costretto, vero?
Mutti! Ma ti pare?
Faith le rivolse un cenno di approvazione, prima di riportare l’attenzione su Cyril.
–Bene, direi che la questione è chiusa. Andiamo, cucciola, abbiamo entrambe bisogno di riposo. Tuo padre torna domani, e vorrà la mia testa.
–Se può consolarti, Mutti, credo che Papi vorrà anche la mia, di testa.
–Non mi consola affatto: ho impiegato nove mesi a fartela, quella testa, e diciassette anni per riempirla di neuroni funzionanti!
Mentre le osservava allontanarsi, a Cyril sovvenne un dubbio, troppo impellente per lasciarlo insoluto.
–Aspetta, Irving: tu sapevi… che William è mio figlio?
La risposta fu devastante, nella sua semplicità.
–Basta guardarlo.
–Già- esalò lui, grattandosi la nuca nervosamente. –Quindi, lo hai saputo per tutto questo tempo. Eppure…
–Non è mia abitudine interferire più del necessario con la vita di mia figlia. Inoltre, malgrado abbia in dotazione i tuoi geni, William mi pare un ragazzo decente. Perciò, a meno che non scarichi Frida in malo modo, accusandola di qualcosa che non ha fatto, rovinandole così la vita…- sibilò Faith, scoccandogli un’occhiata penetrante; vederlo sussultare alla menzione del suo comportamento barbaro la fece godere come non mai. –Rimanendo in argomento: non mi sorprende invece che tu non abbia pensato Frida potesse essere mia figlia; nel suo caso, il collegamento non è altrettanto intuitivo.
“Effettivamente…”
–Col senno di poi, avrei comunque potuto sospettarlo: avete lo stesso sorriso e la stessa struttura fisica.
–Intendi che Frida ha il fisico che avrei potuto avere, se mi fossi degnata di schiodare il culo dal divano per andare in palestra cinque giorni a settimana?
“Beh, ecco… sì! Tuttavia, riflettendoci, la morbidezza aveva dei lati positivi: innanzitutto, era parecchio piacevole al tatto; inoltre, con una muscolatura del genere, quando l’ho lasciata avrebbe seriamente potuto cambiarmi i connotati!”
–L’hai detto tu, non io- ridacchiò Cyril, poi, sorprendendo tutti (ad eccezione di suo figlio), aggiunse –Sai, ripensandoci… sarebbe molto più pratico mangiare un boccone qui vicino, senza la noia di dover cucinare, lavare piatti, eccetera. Che ne dici?
Faith curvò le labbra in una smorfia indecifrabile. Da un lato, voleva tornare a casa e fingere che tutto ciò non fosse mai avvenuto; dall’altro, voleva concedersi una breve parentesi nostalgica, per chiudere in bellezza un capitolo importante della sua vita.
–È un’offerta di pace, la tua?
Regredendo di quattro decadi, Cyril reagì incrociando le braccia e girandosi dall’altra parte con il suo tipico broncio da primadonna.
–Accettala, prima che me ne penta.
–Va bene.
***
 
–Non capisco perché Sherlock Weil abbia insistito nel volerci tutti qui- sbuffò Kimberly, accigliandosi, mentre faceva roteare distrattamente l’ombrellino nel cocktail. Contrariamente al fratello, fanatico adoratore del vintage, lei era immune dalla nostalgia degli anni ’80 e ’90 tipica della sua epoca; purtroppo per lei, il Vaporwave andava di moda, e lei, da buona vittima della moda, si era rassegnata a ingurgitare quel liquido bluastro più simile a un medicinale che a una bevanda dissetante. –Specialmente se non ha intenzione di farsi viva. Dove diavolo si sarà cacciata?
Al solito, Kevin comprese immediatamente il suo stato d’animo.
–Cosa ti dà più fastidio, sorellina: essere alla mercé di Frida, o dover tollerare la presenza di Nate?- la osservò scoccargli un’occhiata trasudante rimpianto, e sospirò –Ok, la seconda. Sai che ancora non capisco per quale assurdo motivo lo abbia mollato? Si vede lontano un miglio che ti piace ancora! Un Sex on the beach, per favore, con poca beach e tanto sex!
Rossa più di un pomodoro maturo, Kimberly sbraitò –Sei un coglione. E io un’idiota per essermi lasciata scappare Natie. È questo che volevi sentire?
–Non proprio. Mi interessava di più il contorto processo mentale che ti ha portata a credere che lasciare un ragazzo d’oro come Nate fosse una buona idea.
Kimberly, un attimo prima gonfia di rabbia, si afflosciò sullo sgabello. Non aveva senso tenersi tutto dentro, avrebbe ottenuto soltanto una bella gastrite, e chi meglio di suo fratello, per di più gemello, poteva ricoprire il ruolo di confidente? Dopo la partenza di quella mina vagante di Kaori, Kevin - il buono, affidabile Kevin - era stato il suo porto sicuro. Nonostante liti e prese in giro - fisiologiche, tra fratelli - si volevano un gran bene, e non avevano mai avuto segreti l’uno per l’altra. Sarebbe morta di dolore, se avesse scoperto che Kevin le teneva nascosto qualcosa.
–Prometti di non ridere?
–Ho mai riso? A me puoi dire tutto. Tendo a farti delle prediche che l’arcivescovo di Canterbury può solo accompagnare, è vero, ma non ti ho mai giudicato e mai lo farò- “Anche perché sono l’ultima persona al mondo che può permettersi di farlo. Ah, Kimmy! Se solo sapessi quanto c’è di sbagliato in me… mi rinnegheresti, come mamma e papà con Kaori?” –Avanti, su, sputa ‘sto benedetto rospo!
–Ho lasciato Natie per paura che mi tradisse… con Frida.
Kevin sputò il cocktail che stava sorseggiando.
–Merda! Perché ho promesso di non ridere? Questa è l’assurdità più ridicola che abbia mai sentito!- fece due respiri profondi per riprendersi dallo shock e analizzare la questione con un minimo di raziocinio. –Ok, adesso mi calmo. Sono calmo. Calmissimo. Super zen! Puoi ripetere quello che hai appena detto? Una parte di me si rifiuta di credere alle mie orecchie!
–Ho lasciato Natie per paura che mi tradisse con Frida.
–Ok, prova a ripeterlo ancora una volta… no, è inutile, sembra sempre più una cazzata ogni volta che lo ripeti- sospirò Kevin. –Hai la segatura nel cervello?
–Adesso che l’ho confessato ad alta voce, pare anche a me la cazzata del secolo- annuì l’altra. –Insomma, Nate che tradisce me… ridicolo!
–Non è tanto quello- replicò Kevin tra una sorsata e l’altra di Sex on the beach. –La monogamia - tralasciando tutti i risvolti etici e filosofici, che sono più il campo di Will - è una questione di volontà: c’è chi l’ha più salda e chi più debole, tutto qui; tutti siamo potenzialmente dei traditori. Voglio pensare che Nate abbia la decenza di non cornificare la sorella del suo migliore amico, ma se l’avesse fatto non mi stupirei. Mi incazzerei, quello sì. No, la ridicolezza sta nell’altra metà della coppia di traditori: cioè, tra tutte, proprio Frida? Frida, che per Nate è come una sorella? Non siamo in GOT!
–È che… stanno sempre appiccicati. Un po’ meno dall’arrivo di Will, però…
–Che ragionamento è? Anche io e Nate stiamo appiccicati, eppure non pensi voglia scoparmelo!- sbottò Kevin allargando le braccia per palesare il suo sconvolgimento.
–Dio, Kev, non mettermi certe immagini in testa! Che schifo!
“Schifo, eh? Forse hai ragione, sorellina. Sono difettoso, ma cosa posso farci se sono così?”
Fortunatamente, Kimberly parve non accorgersi del fugace mutamento di umore del fratello, che riuscì a tornare il solito, affabile se stesso in tempo record.
–Si scherza, Kimmy! Allora, ti sei resa conto dell’assurdità di questa tua paranoia?
–Non è una paranoia! Frida è una bella ragazza. Non al mio livello, ma decisamente scopabile- rise dell’imbarazzo di Kevin, e decise di stuzzicarlo un po’. –Tu non la trovi scopabile?
“No, ha troppa roba sopra e troppo poca sotto per essere appetibile”. 
–Ma che domande fai? No! Santo cielo, è... è... sbagliato! Mi sento un maniaco solo a pensarci!
–Lo so, stupido, stavo scherzando! Rilassati, respira...
–E tu piantala di fare discorsi idioti.
–Sei stato tu a cominciare! E mi ascolterai fino alla fine. Dicevo: Frida è indubbiamente una bella ragazza; in più è molto intelligente, sicura di sé… ha quell’aria altera da “io sono io e voi non siete un cazzo” che manda ai pazzi voi pene-dotati… spiegami il perché, ti prego, che io ancora non l’ho capito…
“Lo stai chiedendo alla persona sbagliata, sorella!”
–Non saprei. Io, personalmente, non le posso vedere le persone del genere. Infatti, Frida non è come la dipingi: la sua non è freddezza, è razionalità allo stato puro; non è altera come dici tu, semplicemente vive nel suo mondo. È proprio… oltre. Non so come spiegarmi.
–Non farlo, è meglio.
–Ad ogni modo, e non perché sei mia sorella, ti assicuro che non sei da meno. Sei stupenda, l’hai detto tu stessa; sei solare, simpatica, una talentuosa stilista. Frida non sa tenere in mano una matita!
–Però, magari, Nate…
–Stava con te, o sbaglio? Basta complessi d’inferiorità, basta paranoie! Se lo rivuoi, riprenditelo. Conoscendolo - e lo conosco bene - non aspetta altro.
–Vorrei, ma non posso. A volte mi prende una tale nostalgia - dopotutto, tre anni nel complesso felici non si cancellano con un colpo di spugna - ma no- asserì Kimberly, scuotendo il capo.
–Preferisci vivere nel rimpianto di ciò che avrebbe potuto essere?
–Tra pochi mesi andrò a New York; non sarebbe giusto imporgli una relazione a distanza. Meglio lasciare le cose come stanno. Resisterò fino alla fine della scuola, dopodiché prenderemo strade diverse. Ma grazie del supporto, è bello sapere che potrò sempre contare su di te.
Un messaggio di William troncò sul nascere la melensa dichiarazione di affetto fraterno di Kevin. Tacitò sua sorella, che stava per chiedergli cosa ci fosse da ridere, quindi esclamò –No, vabbé. Non ci posso credere. Su col morale, Kimmy, ti faccio ridere: sai perché Frida e Will sono latitanti? Perché sono stati pizzicati! Si trovano in una stazione di polizia, e a giudicare dalla quantità di GIF coi lacrimoni, si mette male per loro.
–Quindi sua signoria non viene. Fantastico! Ho sopportato la presenza di Nate per niente!
Come evocato, Nathaniel si avvicinò al bancone, lamentando una sete ai limiti dell’umana sopportazione, al che San Kevin, patrono delle sbronze del weekend, gli offrì da bere. Cinque cocktail dopo (al sesto partiva la segnalazione al servizio sanitario locale, con conseguente obbligo di visita alcologica), aiutato dall’infusione di coraggio liquido, si decise a smettere di ignorare la sua ex ragazza. Peccato scelse il modo più sbagliato possibile.
–Dove l’hai lasciato il tuo nuovo amichetto?
Incattivita dall’acrimonia nella sua voce, Kimberly mandò al diavolo i buoni propositi di mantenere un minimo livello di civiltà nelle loro conversazioni e ululò –In ospedale a salvare vite. Non come te. Cos’è? Sei geloso?
–Di te? Manco morto! Quanto alla tua scimmia ammaestrata, se lui salva vite io sono Laurence Olivier! Considerato che è agli inizi della formazione da chirurgo, probabilmente il massimo che gli concedono è di togliere la colecisti a qualche vecchia!
Punta sul vivo, Kimberly lo spintonò sbraitando –Sempre meglio di pavoneggiarsi su un palcoscenico!
–Senti chi parla, la Coco Chanel dei poveri!
Stranito dalla rapidità di quella escalation di rancore represso, Kevin uscì in strada a fumare. Se proprio doveva intossicarsi, meglio la nicotina dei battibecchi di quei due testoni.
Chiuse gli occhi, per risparmiarsi lo spettacolo delle luci cittadine e del deprimente cielo senza stelle sopra di lui, affogando noia e frustrazione nell’aroma dolciastro del fumo di cigarillo. Naufragato nel mare dei propri pensieri, perse la cognizione del tempo; quando riaprì gli occhi, però, vide che erano rimaste soltanto tre sigarette nel pacchetto, segno che si trovava lì da un po’.
“Ad aspettare il nulla”, disse una voce malevola nella sua testa.
Una parte di lui, quella romantica e sognatrice (che gli era valsa anni di prese in giro da Kim e Nate), sperava di veder comparire Andrew da un momento all’altro: andando contro ogni fibra razionale del proprio corpo gli aveva scritto, spinto da un’insana voglia di rivederlo.
“Insana è un eufemismo. Si chiama sindrome della crocerossina: vuoi dominare la bestia oscura e salvarla con la forza dell’amore”, osservò la voce di prima. “Beh, non funzionerà, e sai perché? Innanzitutto, perché tu stesso sei una bestia oscura; secondo: perché non tutti possono essere salvati, anzi, molti neppure lo desiderano. Questa storia finirà male, tanto vale stroncarla sul nascere”.
–È vero, quasi sicuramente mi ritroverò a piangere sul mio cuore spezzato, ma chissene: meglio aver amato e perso, che non aver amato affatto.
–Ben detto!- esclamò una voce femminile, facendolo sobbalzare. –Hai da accendere?
A parlare era stata una brunetta esile dal look androgino. Kevin la riconobbe immediatamente, e dallo stupore lasciò cadere l’accendino, limitandosi a fissarla a bocca aperta.
Dopo un po’, seccata, la ragazza sbottò –Allora, mi accendi una stecca o no?
–T-Tu… tu sei…
–In astinenza da nicotina, gioia. Allora, vuoi accendermi ‘sta benedetta stecca o no?
–Tu sei Sledge, la chitarrista dei W.O.F! Sei... wow! Oddio! Non posso credere di stare a mezzo metro da te!
–Colpevole di tutte le accuse- celiò lei, squadrandolo dalla testa ai piedi mentre attendeva pazientemente l’agognata sigaretta. –Ecco spiegato perché hai un’aria familiare: sei un fan. Strano, però: di solito non ricordo le facce. Per caso sei quello che si è spogliato nudo come il verme che è e ci ha provato con Coco al nostro ultimo evento?
Prima che Kevin potesse replicare, squillò il telefono; dopo essersi scusato profusamente, rispose con un sentito –Finalmente! Ancora un giorno, e avrei chiamato la polizia!
La ragazza lo osservò con crescente curiosità gesticolare animatamente mentre parlava in una lingua a lei sconosciuta. Storse il naso: non raggiungeva i livelli di pettegolume di sua sorella, ma le sarebbe piaciuto ascoltare la conversazione; a giudicare dai toni, con ogni probabilità sarebbe stato uno spasso.
“Questo tizio è decisamente più interessante di come appare. E dire che lo stavo per bollare come buono soltanto per scroccare stecche di felicità! Kenny ha ragione: sono una pippa nel giudicare le persone.”
Al termine della videochiamata Kevin ridacchiò –Che idiota! Ma quanto mi manca!- poi, voltandosi verso Sledge, si schiarì la voce e disse –Ah, riguardo a prima: non sono il pazzo che si è avventato su Coco come mamma l’ha fatto. A dire il vero, anche se sono un vostro fan, noi due ci conosciamo da parecchio; capisco, però, se non ti ricordi di me: tendo a passare inosservato.
“Inosservato? Questo qui? Mi prende per il culo!”
–Dubito fortemente che un così bel faccino passi inosservato. Sono io che faccio pena a ricordare le facce della gente- assicurò la ragazza. –Aiutino dal pubblico? Dove dovrei averti incontrato? Non ho passioni, all’infuori della music… Ah! Ci siamo visti in conservatorio!
–Bingo! Pollici in su per te!- esclamò Kevin, tendendole una mano. –Io sono Kevin, comunque.
Superata l’iniziale diffidenza, la ragazza gli strinse la mano e rispose –Alexis, ma puoi chiamarmi Alex- per poi aggiungere, divertita dallo sgomento dell’altro –Che c’è? Non avrai mica creduto che Sledge fosse il mio vero nome!
Kevin scrollò le spalle, e replicò con semplicità  –Sempre meglio di X Æ A-12 Musk.
–Vero, vero. Mi stupisce non abbia ancora chiesto di cambiarlo legalmente in… che so… Bob.
I due ridacchiarono, finché la comparsa di Andrew Carter non spense le risate di Kevin, che gli corse incontro, fregandosene della vocina che lo invitava a mantenere un minimo di contegno.
–Drew! Cosa ci fai qui?
–Avevo voglia di vederti, a dirla tutta, ma non trovavo il coraggio di scriverti. Grazie di averlo fatto tu. In più, unisco l’utile al dilettevole: la signora in giallo tua amica mi ha gentilmente invitato a raggiungerla qui per “discutere di alcune scottanti novità riguardanti la morte di mia sorella” e… darti questo. 
Kevin arrossì come una scolaretta: scoprire che Andrew aveva pensato a lui lo rendeva immensamente felice.
–Il bracciale dell’amicizia! Allora era davvero a casa tua!
–Non so come, era finito dietro il letto.
“Lo so io come!”, pensò Alex, lasciandosi sfuggire una risatina di scherno alla vista dei due intenti a rivolgersi occhiate di fuoco, col risultato di far scoppiare la bolla idilliaca che li aveva avvolti.
–Alex!- esalò Andrew, palesemente in imbarazzo, allontanandosi con uno scatto fulmineo da Kevin. –Scusami, non ti avevo vista!
–E quando mai?- bofonchiò lei, imbronciandosi - era stufa di passare sempre in secondo piano, l’etichetta di “sorellina di Nita” cominciava a starle stretta - salvo poi stiracchiare le labbra in un mezzo sorriso e replicare –Tranquillo, ci sono abituata. Eri distratto.
Represse istantaneamente la voce della coscienza e godette come non mai al pensiero che Nita, la perfetta sorella a cui era stata paragonata, uscendone perdente, fin dal primo vagito, colei che le aveva portato via il suo primo vero amore, fosse senza speranza: solo un cieco, infatti, avrebbe potuto ignorare l’attrazione quasi palpabile tra quei due. Era un pensiero confortante.
–Cosa ci fai qui? Detesti il Tipsy Crow!
–Il compare della signora in giallo ha richiesto la mia presenza. Cristo santo, quanto è insistente! Di questo passo, nessuna ragazza sana di mente lo vorrà mai!- sbuffò Alex incrociando le braccia, prima di assestare a Kevin una poderosa pacca sulla schiena. – Comunque, sai che non avrei mai detto fossi amico della Sherlock in gonnella? La miseria! Peggio di Beautiful: tutti conoscono tutti, in un modo o nell’altro! Mi diventi ogni secondo più interessante, Kev! Posso chiamarti Kev, vero?
Sconcertato, Kevin riuscì a boccheggiare –Ehm, ragazzi… credo mi dobbiate qualche spiegazione.
 
 
Note dell’autrice
Forse non saranno i fuochi d’artificio che vi aspettavate, ma dovete ammettere che, anche a distanza di anni, Faith&Cyril fanno scintille (non ditelo a Franz, mi raccomando)!
Mi scuso per non aver inserito la cenetta a quattro in questo capitolo. Ho preferito dare spazio ai personaggi secondari, ma non per questo meno importanti, e alla trama “gialla”. Cosa ci sarà sulla chiavetta usb? Il suo contenuto fornirà elementi utili alle indagini? Ma soprattutto: riuscirà Frida a convincere William ad accompagnarla al matrimonio? Per citare Hans: si accettano scommesse!
L’Alcohol Pass e il suo funzionamento sono di mia invenzione, anche se mi sorprende che nell’era digitale nessuno abbia pensato di monitorare il consumo di alcolici obbligando la popolazione ad esibire una tessera elettronica (anche in caso di acquisto nei negozi, sì), consegnata dallo Stato al compimento della maggiore età; faciliterebbe enormemente la raccolta di dati per fini sanitari, epidemiologici e statistici.
Alla prossima (era geologica)!
Serpentina
PS: traspariva la nostalgia canaglia del titolo? Se avete concluso la lettura con un po’ di magone, saprò di aver raggiunto il mio scopo. Let me know.
1Hai rischiato grosso, cuginetta. Se credi di potertela sempre cavare perché sei la più furba di tutti, ti sbagli.
2Me la pagherai, nanerottolo!
3Allora, cuginetta, di cosa vuoi parlarmi?
4A mio modesto parere
5Mi sto fidando di te, Hans. Vedi di non deludermi.
6Ehi, ti ho mai deluso finora?
7Mai. Per questo ti sto dando fiducia, malgrado tu sia uno sbirro
8Sei diventata matta?
9Il tuo principe azzurro
10A presto

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Tu chiamale, se vuoi, complicazioni ***


 

Bentrovati!

Prima di lasciarvi alla lettura, permettetemi di ringraziarvi per la pazienza e la costanza con cui seguite questa storia. Grazie, grazie, grazie! E un ringraziamento speciale a chi mi lascia un commento; le vostre opinioni contano molto per me, sono davvero utili per migliorare e a volte sono persino d’ispirazione. <3 <3 <3

Mi scuso in anticipo per la lunghezza del capitolo, spero non vi scoraggi (lettura in due tempi, magari?). I personaggi hanno preso il sopravvento su di me, reclamando un po’ di ribalta. In particolare Franz: il lieber Vater della nostra Frida ha preteso una grossa fetta di storia, perciò chi non lo conosce avrà modo di conoscerlo meglio, e i suoi fan avranno parecchia soddisfazione, nonché l’occasione di entrare nella sua contorta testolina.

Forse troverete che il ritmo della storia sta rallentando, ma non temete: ci stiamo avvicinando al gran finale, e vi anticipo che ho in mente un sequel e, perché no, un prequel sulla prima indagine di Frida. A questo proposito: mi piacerebbe sapere quale preferireste leggere prima. Su, coraggio, non siate timidi! ;-)

Stavolta la colonna sonora c’è: “Bhangra Knights” (alcuni di voi la ricorderanno come la canzone dello spot della Peugeot 206),“Someone like you” di Adele e “Heart shaped box” dei Nirvana.

 

Tu chiamale, se vuoi, complicazioni

 

La vita è veramente molto semplice, ma noi insistiamo nel renderla complicata”.
Confucio


 

Al termine di una brillante presentazione Franz Weil, ispirato dal brontolio del suo stomaco e dal cielo terso che pareva posarsi come una coltre azzurra sui palazzi di San Francisco, venne colto dall’irrefrenabile voglia di fare una passeggiata per procacciarsi il cibo. Sorrise al pensiero di cosa avrebbe detto la sua Faith se fosse stata lì. Con ogni probabilità, lo avrebbe redarguito: per certi versi era persino più ligia al dovere di lui, e riteneva sacro degnare della propria presenza tutti i relatori di un congresso, perché “hanno speso tempo ed energie per le loro ricerche, e ascoltato i nostri interventi. È giusto ricambiare. A tutti piace avere un pubblico”.

Certo, ogni tanto capitava che le calassero le palpebre dalla noia, però si sforzava di non darlo a vedere e restava seduta composta fino alla fine della sessione, non mancando mai di applaudire i colleghi. Lui era di tutt’altra pasta.

“Chi se ne fotte di quei Dummköpfe! Ho letto il programma, la sessione pomeridiana sarà un cumulo di stronzate. Machen wir uns nichts vor1: l’ultimo intervento degno di nota è stato il mio! E non ho per niente voglia di farmi venire due palle così per colpa di quei tromboni.”

Non poté fare a meno di immaginare la reazione di Faith; con ogni probabilità, averebbe ridacchiato qualcosa del tipo “Hai sempre una buona parola per tutti, tu!” , gli avrebbe dato dell’insopportabile presuntuoso e avrebbe lottato con le unghie e con i denti nel tentativo di persuaderlo a non disattendere il proprio dovere, salvo poi cedere alla tentazione di trascorrere il pomeriggio in maniera più “produttiva” (possibilmente senza terzi incomodi; e sì, loro figlia era inclusa tra gli incomodi).

Alla fine, prese una decisione irrevocabile: lasciò il Moscone Center e si diresse al porto per gustare una calda e cremosa clam chowder godendosi la vista sul mare.

Das ist alles deine Schuld, meine Liebe. Ich war ein ernsthafter Mensch, bevor ich dich traf!2 Con incrollabile pervicacia e il potere millenario della fi… dell’amore, mi hai malleato in una versione socievole di me stesso. Ho ceduto alla tua testardaggine vent’anni fa, e da allora non ho più smesso.”

“–Oi, Husky!

Ich bin kein Hund!3 Smettetela di chiamarmi così!- ringhiò Franz, seccato per la brusca interruzione di uno dei rari momenti di quiete dei quali poteva godere durante la sua frenetica giornata.

Rassegnati, amico: hai gli occhi di un husky- asserì Christopher Hale, reduce da uno sfiancante turno notturno, tra uno sbadiglio e l’altro.

E la docilità di un dobermann- ridacchiò Robert Patterson all’indirizzo di un contrariato Franz, ancora più contrariato dalla vista di Chris che gli batteva il cinque esclamando –Amen, fratello!

Stranamente, per una volta anch’io sono d’accordo con te, Patty- annuì Harry James, per poi sistemare gli occhiali scivolati sul naso.

Vi sto odiando profondamente, sappiatelo!

La cosa non mi tange- replicò Harry senza scomporsi, mentre si stiracchiava sulla scomoda sedia in plastica del bar del Queen Victoria Hospital. –Tu odi chiunque!

Quasi chiunque- obiettò Robert, enfatizzando il “quasi”, e indicò un punto alle spalle di Franz ed Harry, che si voltarono di scatto.

Faith Irving e la sua amica psichiatra Erin si erano unite alla piccola folla accalcata al bancone del bar in attesa di ricevere la propria ordinazione. Franz non mancò di notare che era particolarmente carina, anche se forse il suo era semplice stupore: di rado la si vedeva al lavoro con addosso qualcosa di diverso dalla divisa d’ordinanza o una tuta.

Harry si lasciò sfuggire una risatina.

Incredibile: mi trovo a concordare con Patty per la seconda volta in un giorno. Devo stare impazzendo!

Probabile- asserì Robert. –Beh, Husky, due graziose fanciulle stanno guardando da questa parte. Che fai, non saluti?

Si era accorto che nell’ultimo periodo l’amico evitava accuratamente sia Faith che Erin, ed era curioso di scoprirne il motivo, oltre che intenzionato ad essere l’artefice del riavvicinamento tra lui e Faith; quei due dovevano stare insieme, punto. Erin o non Erin. In aggiunta, vedere il serio e compassato Franz Friedrich Weil perdere le staffe di fronte alle sue provocazioni non aveva prezzo.

Franz non disattese le aspettative: si accigliò, ringhiò –Chi sei, mia madre?- e si trincerò dietro un grosso tomo che aveva estratto dallo zaino. Salutare la Irving avrebbe implicato che raggiungesse lui e i suoi amici al tavolo, e voleva risparmiarsi il nauseabondo spettacolo di lei e Chris che flirtavano, o non avrebbe risposto delle proprie azioni: il venerdì sera della settimana precedente, per ripicca si era trascinato a casa Erin (fortunatamente non era accaduto nulla di irreparabile); stavolta, sarebbe potuto arrivare a staccargli le gambe e usarle per picchiarlo.

Sarai pure un ex rugbista, Chrissino, ma io pratico arti marziali da quando avevo sei anni. Komm schon4!”

–“Greenfield. Manuale di neuropatologia”. Che palle!- commentò l’ignaro oggetto della furia interiore di Franz, storcendo il naso. Era un uomo d’azione, faticava a comprendere il fascino di una materia che richiedeva di trascorrere buona parte della giornata seduto dietro a un microscopio e/o al freddo schermo di un computer. Si chiedeva spesso come facessero Franz ed Harry, radiologo, a non spararsi un colpo in testa dalla noia. Perlomeno lui vedeva persone, bombardava calcoli, toglieva reni… vuoi mettere il divertimento?

Sto conducendo uno studio sui linfomi cerebrali. Cosa dovrei leggere, Topolino?

Potresti leggere… tu-sai-cosa. È da un po’ che te l’ho prestato, mi piacerebbe riaverlo indietro.

Scusa tanto se ho avuto da fare! Una cosa chiamata lavoro, hai presente? La mia fonte di reddito, la sola e unica ragione per cui ogni mattina dal lunedì al venerdì porto meinen königlichen Hintern5 in questo deprimente luogo?

Mamma mia, che pesantezza! Altro che MMA, tu sei cintura nera di come si schiva il divertimento!- sbottò Chris, prima di salutare animatamente la Irving, invitandola a raggiungerli. –Oi, Faith! Da questa parte!

Buongiorno, disistimabili colleghi!- celiò lei con la vivacità di chi ha appena assunto la dose salvavita di caffeina. A poca distanza Erin, offesa per non essere stata minimamente presa in considerazione (specialmente da Chris), si limitò a un cenno del capo. –Come andiamo?

Si tira avanti- rispose Harry dandosi arie da grande saggio.

Carino il vestito- disse Robert, puntando il dito verso l’abito - forse eccessivamente corto, per un contesto lavorativo - nero con stampa di mele rosse che indossava Faith. Le mele ti donano, anche se dei meloni sarebbero più azzeccati!

Risero tutti, compreso Harry, il quale però tentò di camuffare le risa da colpi di tosse per darsi un contegno. Franz, invece, non lo trovò affatto divertente (“Battute di bassa lega sulle tette? Wirklich?”); intenerito dall’evidente imbarazzo di Faith, reagì con compostezza e maturità: chiuse il libro con un colpo secco di tale veemenza da farli sobbalzare.

Cristo santo, Husky! Vuoi farci venire un infarto?- si lamentò Robert.

Franz lo fulminò con un’occhiataccia da far accapponare la pelle, prima di dirottare l’attenzione su Faith.

Sei in ritardo, Irving.

Guten Tag, Weil! Ci siamo svegliati di buonumore, vedo!- ridacchiò. Che senso ha arrivare in anticipo per stare in panciolle come te? Preferisco prendermela comoda! La proffa o King sono pervenuti? Devo chiedere se noi giovani oggi possiamo uscire prima.

VOI giovani? Io chi sarei, Matusalemme?”

Non solo arrivi tardi, tu e quegli altri lavativi vorreste pure uscire prima? Dovrete passare sul mio cadavere!

La Irving, per nulla impressionata, si chinò verso di lui e gli sussurrò all’orecchio Hai visto di cosa sono capace con un bisturi. Guardati le spalle- dopodiché scrollò le spalle e salutò gli altri con un gioviale Beh, ragazzuoli, è stato un piacere. Con permesso, porto i meloni a fingere di lavorare, così magari riuscirete a far tornare il sangue al cervello e lavorare un po’ anche voi.

Quando mise piede in laboratorio, Franz, ancora adirato per l’insubordinazione di Faith, che aveva osato addirittura minacciarlo, per poco non perse i sensi: al posto del consueto ordine militaresco impartito dal duo Eriksson-King, rispettivamente primario e vice, regnava un caos festoso.

Cosa diavolo sta succedendo qui?

La proffa è impegnata tutto il giorno con le lezioni e King si è rotto una gamba. Devono operarlo, ne avrà almeno per un mese- ululò Chester Sullivan con un entusiasmo che definire inopportuno è un eufemismo. Oggi il capo sono io! Non è meraviglioso?

Franz tirò in su col naso con fare altezzoso e si sedette alla propria postazione.

Presumo che la risposta sia no!- sussurrò Faith a Sullivan, facendolo sogghignare divertito.

Dopo un po’, stordito dagli schiamazzi dei colleghi e dalla musica indiana ad alto volume, Franz sbottò Ne avete ancora per molto?- poi, ricevuta una sonora risposta affermativa, senza dire una parola si alzò e se ne andò sbattendo la porta.

Sperava di trovare pace in biblioteca, ma gli andò male: i suoni della festa clandestina in corso, seppur attutiti, raggiungevano comunque il suo sensibile apparato uditivo, impedendogli di concentrarsi a dovere. Emise un sospiro di rassegnazione e accantonò il Greenfield per dedicarsi a letture meno impegnative. Purtroppo per lui, la tranquillità non era destinata a durare a lungo: una presenza molesta era in avvicinamento. Fece appena in tempo a nascondere il volume prestatogli da Chris dietro il più consonomattone” scientifico, che Faith irruppe con la forza di un ciclone, arrestandosi davanti a lui con aria di sfida. A separarli c’era solo un tavolo, e Franz si sforzò di ignorare sia lei che il senso di disagio provocato dall’eccessiva vicinanza mentre si preparava alla sfuriata, che però tardava ad arrivare. Dopo quella che gli parve un’eternità, cedette alla pressione della pesante cortina di silenzio, e le chiese Vuoi stare lì a rifarti gli occhi, oppure devi dirmi qualcosa?

Entrambe- rispose lei con una tranquillità che lo lasciò completamente spiazzato. Ti sei comportato da stronzo. Più del solito, se possibile. Non stavamo facendo nulla di male, giusto un po’ di casino extra per festeggiare Sandee - tra parentesi: usciremo prima per portarlo a bere qualcosa, con il benestare di Sullivan - approfittando dell’assenza di quel guastafeste di King. Poi ci saremmo rimessi all’opera, giuro!

Oggi è il compleanno di Sandee? Non lo sapevo!

Sì, beh, da quando mi frega sapere qualcosa dei miei colleghi, a parte curriculum e ferie?”

Non mi sorprende: conoscendoti, non ricordi neppure quello di tua madre!- lo rimbeccò Faith, facendolo arrossire. Se avessi un minimo di decenza, torneresti di là per scusarti.

Vielen Dank per questo consiglio non richiesto- sibilò lui a denti stretti, piccato. Ora, se permetti, ho un libro di milleottocento pagine da finire.

Nonostante la scoraggiante scontrosità di Franz, Faith non demorse; si sedette di fronte a lui, poi, anticipando l’ovvia recriminazione che in biblioteca non si cincischia, si studia, prese una copia del Robbins e si mise a sfogliarla distrattamente; infine, raggiunto il punto di rottura, abbandonò ogni tentativo di mantenere la discussione su toni civili.

Sei l’essere più irritante che abbia avuto la sventura di incontrare! Come fanno a sopportarti Robert, Chris e Harry?

Franz sollevò per un attimo lo sguardo dal libro che stava sfogliando febbrilmente, e curvò le labbra in uno strano sorriso.

Me lo domando spesso anch’io.

Come facevano a sopportarti i tuoi colleghi in Germania?

Non mi sopportavano- esalò inespressivo.

Parli come se non ti importasse.

Perché non mi importa. Ero lì per imparare, non per farmi degli amici, e qui non è diverso: l’obiettivo è fare carriera, non risultare simpatico, se non a pochi eletti accuratamente selezionati.

Le due cose non sono incompatibili- obiettò Faith, determinata a scalfire quel cinismo devastante.

Lo sono, se vuoi arrivare in vetta- ribatté Franz, sconcertato dalla stilettata della replica che seguì.

Triste che la pensi così. Mi dispiace per te.

Mi sta compatendo? Nein, nein, nein! Tutto, tranne questo!”

Ingenuo da parte tua pensare il contrario, ma sono sicuro che cambierai idea strada facendo. Oh, sì, farai strada, di questo sono sicuro- rise della sua espressione sconvolta, ed aggiunse –Perché quella faccia? Dovresti averlo capito che ti tengo in grande considerazione. Non perderei tempo a bacchettarti, altrimenti. Adesso, se hai finito di dispensare pillole di saggezza non richieste, ho un articolo - del quale sei co-autrice - da sottomettere entro la fine della settimana.

Faith inclinò il capo verso destra e attese circa mezzo minuto, mordicchiandosi l’interno della guancia, dopodiché si sporse verso Franz e gli sfilò dalle mani il manuale che stava fingendo di consultare, a copertura di tutt’altro genere di letture.

Aha! Lo sapevo che nascondevi qualcosa!- esclamò trionfante. –Bene, bene, bene. Cos’abbiamo qui?

Po… posso spiegare.

Sadicamente divertita dall’imbarazzo di lui, la Irving affondò il proverbiale coltello nella piaga senza pietà; per una volta, era lei ad averlo dalla parte del manico, desiderava godersela fino in fondo.

Prego! Sono ansiosa di scoprire come tenterai di giustificarti. Vuoi forse inserire “Berserk” nella bibliografia del nostro- calcò l’accento sull’aggettivo possessivo –Articolo?

Franz, ormai color pomodoro, pigolò un flebile Me l’ha prestato Chris, volevo restituirglielo quanto prima; e, beh, eccoil vostro casino mi impediva di concentrarmi, così…. Come l’hai capito?

Ti hanno tradito due particolari: il verso in cui voltavi le pagine, e, soprattutto, lo spessore delle due metà del libro- - rispose lei scrollando le spalle. –Se avessi davvero sfogliato il Greenfield a quel ritmo, la metà di sinistra sarebbe dovuta diventare progressivamente più spessa, man mano che si accumulavano le pagine; invece le due metà erano sempre uguali.

Meravigliato da cotanto spirito di osservazione, Franz schiarì la voce e, in un penoso tentativo di riprendere il controllo della situazione, la stuzzicò dicendo –Ammettilo, dai: pensavi fosse un porno!

Impossibile- replicò lei senza scomporsi. –Avevi entrambe le mani in bella vista!

Das dachte ich schon, aber jetzt weiß ich: du bist die erstaunlichste Frau, die ich getroffen habe. Lass uns nach Vegas fliegen!6

Distratto dai propri pensieri, si accorse che Faith si era avviata all’uscita solo quando la sentì aprire la porta.

Warte! Do… dove vai?

So riconoscere una causa persa, Weil. Peccato, però: è brutto venire delusa da qualcuno che, tutto sommato, ammiro.

Warte!- ripeté. –Te ne vai così? Niente battutine o tentativi di ricatto?

Ricatto?

Potresti minacciare di sputtanarmi, se non tornassi in laboratorio a fare ammenda. Il granitico dottor Weil che legge manga di nascosto sul lavoro… roba da prima pagina sul gazzettino del gossip ospedaliero per un mese!

Faith, lungi dall’essere contagiata dalla sua ilarità, gli scoccò un’occhiata di puro sdegno, seguita dall’ancor più sdegnoso –Per chi mi hai presa?

Rimasto solo, Franz si prese la testa tra le mani, indeciso sul da farsi.

Complimenti, Irving, non male come tentativo di manipolazione psicologica. Sottile, soprattutto; sì, sottile come le mura di casa mia! Scheiße! Che fare? È chiaro che l’ho delusa… e offesa: una come lei non cadrebbe mai così in basso, sono stato un vero Scheißkerl a insinuare il contrario. Sie hat Recht8: non so cosa mi sia preso, sta di fatto che ho dato il peggio di me. Dovrei chiedere scusa, a lei e gli altri; però non posso cedere senza lottare: significherebbe legittimarla ad alzare l’asticella sempre di più, sempre di più, fino a chiedermi l’impossibile. Niemals!”

Alla fine, dopo lunghe e profonde riflessioni, mise da parte l’orgoglio e si scusò con i colleghi, spiegando che il suo malumore era dettato dall’ansia di ultimare in tempo l’articolo.

Dopo una pausa che gli parve interminabile, i tre moschettieri - meglio noti come Elmond, Jefferson e Sandee, il festeggiato - annuirono in segno di approvazione, quindi quest’ultimo gli porse una scatola di cioccolatini con dentro un solo cioccolatino, e asserì –Scuse accettate. Ti sei meritato un dolcetto.

Insospettito, come ogni cinico, dalla gentilezza senza (apparenti) secondi fini, Franz storse il naso.

Farcito al Dulcolax?

Certo che no!- protestò Sandee con veemenza. –Per chi mi hai preso?

Io ci avevo fatto un pensierino, a dire il vero, ma la qui presente Faith mi ha dissuaso. E' chiaro che le stai a cuore- ammise candidamente Jefferson, cogliendo l’occasione per tastare il bicipite di uno sconcertato Franz, che desiderò seriamente una pala per sotterrarsi quando il collega aggiunse, malizioso –Meh! Da uno che frequenta la stessa palestra di quella statua greca di Chris Hale mi aspettavo di meglio. È tutto tuo, cara!

Non sapendo bene se e come ribattere, Franz si limitò ad un’occhiataccia delle sue, sentendosi un minimo sollevato nel constatare che la Irving appariva imbarazzata quanto lui.

La vicenda si concluse, dopo l’orario di lavoro, nel migliore dei modi: con un’amichevole bevuta al pub, la prima di una lunga serie.

Quel giorno Franz realizzò che socializzare non era poi tanto male, e che era circondato da aspiranti Cupido: scoprì, infatti, che Robert, in combutta con Harry e Chris, aveva intenzionalmente provocato Faith nella speranza di indurlo a difenderla platealmente e, quindi, diventare ai suoi occhi il principe azzurro. Purtroppo per lui, non aveva fatto i conti con la cocciutaggine di quelle due teste dure: avrebbe dovuto attendere ben nove mesi, prima di vedere realizzato il suo sogno.”

Vinto dalla nostalgia, tirò fuori dalla borsa il telefono e compose il suo numero (guarda caso l’unico che ricordava a memoria, insieme a quello di Frida). Non lo sorprese di dover aspettare svariati squilli, prima che si degnasse di rispondere: data la differenza di fuso orario, doveva trovarsi nel bel mezzo della cena sociale, per cui faticava a udire la suoneria in mezzo al frastuono.

Hallo! So di disturbarti, ma avevo proprio voglia di sentirti. Wie geht’s, meine Liebe?

–Franz!- esclamò lei con voce stranamente acuta. –Che bella sorpresa! Ti credevo ancora al congresso!

–Senza te a mettermi in riga, ho bigiato- ammise candidamente.

–Non rinfacciarmi una scelta che tu stesso mi hai persuaso a fare. Goditi San Francisco, che domani rientri in patria- replicò Faith, insolitamente sbrigativa. Troppo sbrigativa.

“Non è da lei liquidarmi così, senza nemmeno un bacio o un ti amo. Se fosse un brutto momento, me lo direbbe. Was passiert9? O sono io paranoico?”

–C’è un tempo stupendo, troppo per recludermi tra quattro mura a sentir blaterare quei quattro tromboni- ribadì, sperando che non trapelasse il suo reale stato d’animo. –Gente del calibro di Lefevbre, quel francese antipatico che a Miami ti rovesciò addosso il caffè e invece di tentare di rimediare al disastro rimase lì impalato a fissarti le tette. Ricordi?

–Sì. Mi sconvolge che lo ricordi tu: parliamo della bellezza di… ventuno anni fa!

–Io non dimentico.

Calò un silenzio di tomba, rotto poco dopo da Faith, che cercò di chiudere frettolosamente la conversazione, acuendo i sospetti di Franz.

–Bene, allora, buon pomeriggio. Qui è ora di cena, e sono in compagnia, perciò… ci sentiamo dopo, ok?

Sebbene non fosse un tipo particolarmente geloso, e avesse assoluta fiducia nella sua compagna, i modi spicci e la nota colpevolmente acuta nella voce di lei lo avevano insospettito. I sospetti trovarono conferma quando udì una voce inequivocabilmente maschile in sottofondo insinuare che Faith sarebbe stata in guai seri, se avesse scoperto insieme a chi stava trascorrendo la serata; a quel punto, dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non scagliare il telefono in mare.

Si calmò con un paio di profondi respiri, e chiese con studiata noncuranza –Chi c’è lì con te, meine Liebe? Se è Damien, salutamelo!

“Prima di rispedirlo in Irlanda per direttissima!”

–B-beh, e-ecco… n-non è Damien- pigolò lei fievolmente, lasciando intendere che avrebbe preferito una tortura cinese al continuare quella discussione, dopodiché strepitò –No, Cyril!

Il nome risuonò nella testa di Franz, che si lambiccò per ricordare dove l’avesse già sentito, finché non gli sovvenne, e al solo pensiero gli si attorcigliò lo stomaco.

“Cyril, che nome di merd… ah! Ecco chi è: l’esecrabile figlio di una cagna rognosa, partorito in un vicolo buio, che ha spezzato il cuore meiner Geliebten10! Chi gli ha dato il permesso di vagare libero sulla Terra? Quelli come lui hanno un girone infernale tutto per loro!”

Stavolta la respirazione non fu sufficiente: per riacquistare un contegno dignitoso, calciò una lattina di Coca-Cola abbandonata da qualche incivile, spedendola dritta in un bidone poco distante. Ne sarebbero servite altre cento, di lattine, o forse un punching-ball, perché in quel preciso momento Cyril si decise a parlare.

–Perdonami per aver interrotto bruscamente la vostra chiacchierata. Morivo dalla curiosità di conoscere il mio rimpiazzo. Franz, giusto? Piacere, Cyril Wollestonecraft.

–Franz Weil.

“Il piacere è tutto tuo, Arschloch!”

 

***

 

Seduto al tavolo di un ristorante indiano, William si stava annoiando mortalmente. Aveva sperato che costringere Faith e suo padre a stare a stretto contatto avrebbe non solo funto da punizione per non avergli raccontato del suo defunto zio, ma avrebbe anche prodotto un’esplosione di rancore sopito da ambo le parti sufficientemente comica da indurre Frida a parlargli di nuovo senza che fosse necessario chiederle scusa (sebbene fosse consapevole di avere torto marcio, per una volta). Sfortunatamente, aveva fatto male i suoi calcoli: all’uscita dalla stazione di polizia era calato un silenzio di tomba; persino la scelta del luogo dove mangiare era stata compiuta mediante gesti e mugugni.

“Stanno tutti zitti, che palle!”

Ad acuire la sua frustrazione contribuiva in gran parte la Weil, la quale non solo non aveva degnato di uno sguardo lui, ma - peggio ancora - stava fissando spudoratamente suo padre, tormentandosi nervosamente il labbro inferiore e le mani.

“Non sono geloso - sarebbe ridicolo all’inverosimile - ma… un po’ di contegno, e che cazzo! È imbarazzante! Perché lo fissa? Ha cambiato gusti e adesso preferisce la mia versione stagionata?”

Cercò confortò in Faith, ma invano: a differenza sua, non sembrava affatto perplessa dal bizzarro comportamento di Frida; semmai, divertita.

“Va bene che chi ha generato e cresciuto la Weil non può avere tutte le rotelle a posto, però...”

Il suo sconcerto raggiunse l’acme quando Faith sospirò, rassegnata, e disse alla figlia –Non crucciarti, cucciola. Fai quello che devi fare, sono sicura che a Cyril non dispiacerà.

Prima che il diretto interessato potesse anche solo concepire di ribellarsi, Frida si materializzò inquietantemente accanto a lui e, dopo aver chiesto il consenso (senza però attendere una risposta), gli aggiustò la cravatta, per poi risedersi visibilmente sollevata.

Ja, das ist viel besser11!- cinguettò, annuendo con soddisfazione. –La sua cravatta deviava di ben un centimetro verso sinistra. Disturbava la vista, era assolutamente inguardabile!- si accorse all’istante dell’espressione allibita dell’uomo, quindi si affrettò ad aggiungere –Non posso farne a meno: ogni minimo difetto, ogni anomalia, ogni nota stonata… nulla mi sfugge- “Quasi nulla” pensò malignamente William, mentre giocherellava con la forchetta osservandola in tralice. –Questo rende la mia vita pressoché insopportabile, ma si rivela parecchio utile per risolvere crimini.

Sconcertato, Cyril lanciò al figlio una delle loro occhiate in codice, maturate in anni di trame alle spalle della sua ex moglie.

Sta scherzando, vero?”

No, no, è serissima! Lei è Sherlock Weil, paladina anticrimine dai metodi moralmente discutibili, e io il suo socio, nonché voce della coscienza, dr. Wollestonecraft.”

Cyril sollevò un sopracciglio.

A casa mi dirai cosa ci trovi in lei. Caruccia, per carità, ma è matta da legare!”

William ricambiò con uno sguardo malizioso e penetrante.

La mela non cade lontano dall’albero, e tu con l’albero in questione ci scopavi. Hai poco da fare lo spiritoso, genitore uno!”

Cyril lo fulminò con un’occhiataccia.

Modera il linguaggio, William. Sono tuo padre!”

Nella mia mente è appena partito il tema di Darth Vader, sappilo! Dan dan dan, dan da-dan...”

Poco dopo, sempre più frustrato, William decise di prendere in mano le redini della situazione e movimentare un po’ la cena. Peccato che suo padre avesse avuto la stessa idea.

–Certo che...

–Certo che messi così sembriamo proprio “l’allegra famigliola che avrebbe potuto essere”- intervenne Cyril. –Ha un che di grottesco.

“Uffa, pa’! Almeno la frase a effetto potevi lasciarmela!”

–Sei stato tu a volere tutto questo- osservò Faith. –Un’offerta di pace, ricordi?

–Vero, vero- concesse l’uomo tra un sorso e l’altro di lassi al mango. –In tutta onestà: ero curioso di sapere come te la passassi.

–Temevi mi fossi trasformata nella gattara pazza dei Simpson a causa tua?- sibilò Faith, guardandolo con il medesimo disgusto che avrebbe riservato a uno scarafaggio. –Oppure lo speravi? Mi hai spezzato il cuore, confido tu ne sia consapevole.

Pur sapendo di essere nel torto, torto marcio, Cyril giocò la sua carta preferita: quella della vittima.

–Cosa vuoi che ti dica? Ho sbagliato a mollarti su due piedi. Anche tu, però, hai la tua dose di colpa- ignorò - o, forse, non notò - l’espressione omicida sui volti di madre e figlia (quest’ultima aveva persino scrocchiato le nocche) e terminò con la peggiore frase che si possa dire a una persona cui si è fatto un torto in passato. –Fatti un esame di coscienza: se non ho faticato a credere alla panzana che mi tradivi con quel Solomon per facilitarti la carriera, un motivo ci sarà.

Faith aprì bocca per ribattere, ma venne battuta sul tempo da Frida, che ringhiò –Spero di aver capito male: sta forse dando la colpa del suo cortocircuito neuronale alla mia Mutti?

William fece ricorso a tutto il coraggio a sua disposizione per ruggire –Ehi! Non ti permetto di parlare così a mio padre!

–E io non permetto a tuo padre di parlare così a mia madre! Le chieda scusa, sofort11!

Seriamente preoccupato che la situazione degenerasse (“Se la Weil mi ammazza il padre dovrò tornare in Australia, e col cazzo torno a vivere con il coglione che ha sposato mia madre. Piuttosto la morte! Che dici, zio Vyvyan? C’è posto per due nella tua bara?”), il ragazzo trascinò via di peso una recalcitrante Frida con la scusa di lavarsi le mani in attesa del cibo, lasciando i due cosiddetti adulti chiarirsi in pace.

Incredulo, Cyril esalò –Sbaglio, o tua figlia era pronta ad azzannarmi alla gola?

–Non sbagli- fu la risposta assai poco rassicurante di Faith, la quale aggiunse, in una escalation di acredine –Oh, non fare quella faccia: l’avrei fermata. Potrei mai permettere che la mia cucciola macchi la sua fedina penale per te?

–Come sei umana! Grazie di cuore!

–L’ironia non è mai stata il tuo forte. Comunque, puoi metterti l’anima in pace: non c’è ferita che non possa rimarginarsi, anche se residuano le cicatrici. Ho sofferto, toccato il fondo, e da lì sono risalita. Non arrivo a ringraziarti per quello che mi hai fatto, però sono riuscita a superarlo, uscendone più forte- chiocciò lei in tono conciliante, salvo poi aggiungere, quasi a volergli sbattere in faccia quanto fosse soddisfatta e realizzata –Ho trovato la mia strada.

–E avuto una figlia- puntualizzò Cyril, con una punta di rancore: uno dei principali motivi di scontro tra lui e Faith, ai tempi, era stato il suo rigido veto a procreare. Decisione, questa, che aveva subito con stoica rassegnazione, a denti stretti: non sapeva se e quanto c’entrasse la morte di suo fratello, ma aveva iniziato precocemente a provare un forte desiderio di paternità, che la Irving aveva affossato senza colpo ferire. Col senno di poi, avrebbe dovuto capire che era quello il momento di troncare, senza trascinare per inerzia un rapporto con le fondamenta costruite sulla sabbia; per quanto due opposti possano attrarsi, infatti, un rapporto - di qualsiasi genere - presuppone una minima comunanza di vedute, soprattutto se si progetta una vita insieme.

“Non ho parole: ha rotto i coglioni per anni con la storia che non voleva figli per non ingrassare e ritrovarsi con le gambe gonfie come zampogne, non porre freni alla carriera e bla, bla, bla… e poi? Si è fatta ingravidare. Alla faccia della coerenza!”

–Cose che capitano.

–C-capitano?- balbettò, pregando ogni divinità a lui nota di aver inteso male. Purtroppo per la sua sanità mentale, aveva inteso benissimo.

–Frida è quello che succede a dimenticarsi il preservativo- ridacchiò Faith, e Cyril, scongiurata una crisi di soffocamento ad opera della sua stessa saliva, tirò un sospiro di sollievo nel sentirla aggiungere, in tono materno –Mai svista fu più felice. Mia figlia ha reso la mia vita molto più avvincente: con lei non si corre mai il rischio di annoiarsi!

“Infatti, si corre il rischio di finire in manette!”

–A proposito: la mina vagante che hai sfornato ha un padre?

–Tutti abbiamo un padre.

–Intendo: questo tizio è andato a comprare le sigarette in Messico, oppure…

–Stiamo ancora insieme, grazie tante!- sputò Faith, oltraggiata. –Non che la cosa ti riguardi.

–Touche- soffiò Cyril alzando le mani in segno di resa. –Perdonami se ho presunto fossi una madre single per il semplice fatto che sei venuta da sola a raccattare tua figlia. Un fulgido esempio di genitore attento e amorevole, tuo marito!

Faith era sul punto di ammettere di non essersi mai sposata, ma in quel preciso istante il suo telefono prese a squillare. Trasalì nel veder comparire il nome di Franz sul display, e attese qualche secondo, prima di rispondere. Incapace di nascondere l’imbarazzo, lo salutò con un entusiasmo spropositato e palesemente non genuino.

–Franz! Che bella sorpresa! Ti credevo ancora al congresso!

Zittì con un brusco movimento della mano Cyril, che stava commentando tra sé e sé il nome, a suo dire bizzarro.

“Da che pulpito!”, pensò, pronta ad estrarre gli artigli in difesa del suo uomo. Nessuno aveva il diritto di criticarlo. “Solo e soltanto io, chiaro?”

Provò a tagliare corto senza, però, allarmarlo, ma lui si mostrò tenacemente loquace, tanto da farle desiderare di mozzargli la lingua.

“Non è il momento, Franz! Come diavolo devo fartelo capire?”

Cyril, dal canto suo, non era affatto d’aiuto: continuava imperterrito a deriderla, senza preoccuparsi che l’altro potesse sentirlo; esasperata, Faith fece un ultimo, disperato tentativo di risolvere quella spiacevole situazione.

–Bene, allora, buon pomeriggio. Qui è ora di cena, e sono in compagnia, perciò… ci sentiamo dopo, ok?

Realizzò di aver ottenuto l’effetto opposto a quello sperato quando le chiese, in tono forzatamente tranquillo –Chi c’è lì con te, meine Liebe? Se è Damien, salutamelo!

“Oh, no! Ha mangiato la foglia! E adesso? E adesso… si affronta il problema di petto. Coraggio, Faith, puoi farcela!”

–B-beh, e-ecco… n-non è Damien- pigolò flebilmente, prima che Cyril le strappasse di mano il telefono, tramutando in realtà uno dei suoi peggiori incubi. Prostrata nello spirito, non le rimase che assistere impotente alla guerra fredda tra il suo passato e il suo presente, sperando segretamente che il presente avesse la meglio.

–Perdonami per aver interrotto bruscamente la vostra chiacchierata. Morivo dalla curiosità di conoscere il mio rimpiazzo. Franz, giusto? Piacere, Cyril Wollestonecraft.

Quel che seguì fu una scena piuttosto comica: dopo avergli chiesto se fosse tedesco, annuendo con finto interesse alla risposta, Cyril ridacchiò sommessamente e, rivolto a Faith un sorrisetto enigmatico e irritante al tempo stesso, cominciò a raccontare per filo e per segno come fossero finiti in quella situazione, da lui correttamente descritta, poco prima, come “grottesca”.

–Oh, è una storia davvero spassosa. Da scompisciarsi. In pratica, quella testa calda di vostra figlia…

Si interruppe di botto, pallido come un cencio, con l’espressione atterrita di chi ha fame d’aria per un attacco di cuore, e Faith - seppure in allerta, pronta a prestargli soccorso in caso di necessità - non poté reprimere una certa gioia vendicativa: conoscendo la lingua biforcuta di un Franz geloso e incazzato, nella migliore delle ipotesi Cyril sarebbe rimasto traumatizzato a vita, nella peggiore rischiava seriamente un infartuccio; in entrambi i casi, avrebbe avuto ciò che meritava per aver osato denigrare ripetutamente il suo uomo e la sua adorabile bambina.

“Che Ippocrate mi perdoni!”

Fu tentata di mettere da parte le meschinità e fornirgli aiuto medico, ma, prima che riuscisse anche solo ad aprire bocca, Cyril le restituì il cellulare, sempre basito come se avesse parlato con un’anima dipartita. Si accorse che la chiamata era ancora in corso, ed emise un sospiro rassegnato da condannata a morte quando Franz pronunciò l’anatema: “Bis morgen, meine Liebe. 13Abbiamo molto di cui parlare”.

–A domani- esalò, divisa tra l’istinto di precipitare nel nero baratro della disperazione e il lavorio dei neuroni, già all’opera per prepararsi all’ennesima guerra (verbale): perché se Franz, forse, sarebbe passato sopra all’involontario rendez-vous con Cyril, di sicuro non avrebbe fatto altrettanto con l’ultima bravata di Frida, naturalmente addossando gran parte della colpa a lei, rea di averla tenuta “troppo a briglia sciolta”, contribuendo così a renderla una “criminale in erba”. Si prospettava uno scontro degno della battaglia del fosso di Helm, solo meno sanguinoso.

William e Frida, entrambi foschi in volto, riapparvero in tempo per sentire Cyril, che nel frattempo aveva riacquistato l’uso della parola, sbraitare –Tuo marito è pazzo!

Con la bruta sincerità che la contraddistingueva, Frida, mentre riprendeva posto a tavola, replicò –Mein Vater non è pazzo, e non è suo marito. Sono figlia di una madre signorina!

–Frida!- la rimproverò Faith, ottenendo in risposta un secco –Che c’è? È vero!

Si coprì gli occhi con le mani e le chiese –Non hai la più pallida idea di cosa hai appena detto, vero?

–Che sono figlia di una donna non sposata?- rispose Frida tentativamente.

Fortuna che William era lì, pronto a illuminarla.

–Che sei una figlia di puttana, Weil.

Dapprima incredula, la ragazza arrossì come un pomodoro maturo alla vista di sua madre e Cyril che annuivano; meditò persino di andarsi a scavare la fossa quando quest’ultimo aggiunse –Espressione desueta, è il genere di cose che avrebbe detto mia nonna, però sì, è un modo arzigogolato per evitare di ricorrere al linguaggio volgare di mio figlio. Tra parentesi, Will: per l’amor del cielo, sciacquati la bocca; qui non siamo in Australia, dove si usa il turpiloquio come intercalare!- per poi spargere il proverbiale sale sulle proverbiali ferite di Faith, appena riaperte. –Davvero non ti sei mai sposata, Irving? Devo averti traumatizzata sul serio! Oh, cielo, non ci dormirò la notte! Ora capisco perché la tua cara amica Abigail ogni volta che mi vede mi guarda come se volesse uccidermi: l’ho privata della gioia di vederti in abito da sposa! Assolutamente imperdonabile! Le manderò dei fiori.

Lei, sul punto di mandarlo a quel paese, realizzò che un “vaffanculo”, per quanto catartico, non era sufficiente: bisognava colpire nel punto debole, laddove la carne era più tenera, perché avrebbe fatto più male. Poco etico, forse, ma di provata efficacia.

–Conoscendo Abby, te li farebbe ingoiare, stelo compreso. Puoi dormire sonni tranquilli, comunque: tu non c’entri con la decisione mia e di Franz di non sposarci- “Non del tutto, almeno.” –E poi, a conti fatti, in questi anni è stato più marito lui per me di quanto lo saresti stato tu… a giudicare dalla fine che ha fatto il tuo matrimonio.

–Touché, Irving! Noto che ti sei incattivita, rispetto alla Madre Teresa di Calcutta che amavo prendere in giro.

–Quel che non ti uccide, ti stronzifica- asserì Faith con un sorrisetto di superiorità, prima di rivolgersi in tono materno a William e Frida. –Tutto bene, ragazzi? Avete delle facce…

“Sarebbe più preoccupante se non le avessimo, signora”, pensò William, limitandosi tuttavia ad un cenno del capo; Frida distorse i bei lineamenti in un’espressione di disgusto, che lui ricambiò, poi sorrise alla madre e le assicurò che andava tutto benissimo, ma si vedeva lontano un miglio che stava fingendo. Faith, tuttavia, preferì non indagare, per timore (fondato) di scoprire che i due avevano litigato per colpa del rancore residuo tra i supposti adulti.

–Va tutto a meraviglia, Mutti. Ora possiamo mangiare in silenzio e andarcene, bitte? Socializzare stanca!

–Come desideri, cucciola. Prima, però, Cyril deve spiegare perché ritiene che tuo padre sia pazzo.

–Semplice- rispose lui, prima di ingollare in un sorso il poco lassi rimasto nel bicchiere. –Mi ha invitato a cena. Secondo lui, non è giusto che tu abbia l’esclusiva.

 

***

 

Nathaniel Jefferson-Keynes avrebbe volentieri imputato la temporanea perdita della capacità di intendere e volere al cocktail di ormoni che faceva il bello e il cattivo tempo nel suo corpo da adolescente, ma era troppo maturo per mentire a se stesso: si era appartato con la sua ex ragazza, Kimberly, spinto unicamente dalla curiosità di scoprire fin dove si sarebbe spinta, oltre che dalla - tutt’altro che remota - speranza in una riconciliazione, speranza alimentata da Frida, convintissima che Kim di Bryce apprezzasse la tartaruga e poco altro, e lo frequentava al solo scopo di irritarlo.

Ancora una volta, Frida aveva visto giusto: sebbene la serata non fosse partita col piede giusto, una volta rimasti soli, dopo un paio di minuti di silenzio carico di imbarazzo, Kimberly aveva proposto di cercare un posticino tranquillo per parlare; tempo cinque minuti, e avevano trovato impieghi migliori per la lingua. Peccato che una cosa chiamata coscienza avesse deciso di guastare la magia del momento, rammentandogli che Kim stava, per l’appunto, uscendo con un altro, e che non sarebbe stato di classe “riappacificarsi” in un luogo squallido come le toilette del Tipsy Crow.

–Aspetta, Kimmy. Fermati!

–Che c’è?- gnaulò lei, mettendo il broncio. –Ti è venuto un attacco acuto di rimorso? Non può aspettare?

–È questo che vuoi? Una sveltina in un cesso?

–Messa così, suona come una cosa squallida.

–Perché lo è- rispose Nate, allontanandosi da lei quel poco che gli consentivano le ridotte dimensioni del cubicolo. –Squallida… e ingiusta. Posso capire che Bryce si sia rivelato una delusione, ma non è una ragione valida per regalargli delle corna degne del papà di Bambi.

Kimberly reagì al senso di colpa nel solito modo: arrabbiandosi. Odiava essere nel torto.

–Cosa vuoi che ti dica, che ho sbagliato a lasciarti? Che ti amo ancora? Che mollerò Bryce? Lo farò, giuro! Domani stesso! Adesso però bac…

–No!- si rifiutò categoricamente Nate. –Non puoi sganciare una bomba e aspettarti che non esploda. Perché mi hai lasciato?

Kimberly aprì e richiuse la bocca come un pesce rosso, incapace di muovere i muscoli facciali a velocità sufficiente da tradurre i pensieri in parole. Decise, quindi, di provare a riportare il discorso su binari a lei più congeniali.

–È questo che vuoi? Discutere dei massimi sistemi in un cesso?- lo punzecchiò, sperando che ritorcergli contro le sue stesse parole lo inducesse a desistere; ma Nate era dotato di una fibra più resistente di quanto si potesse immaginare, e non diede segni di cedimento. Alla fine, Kimberly fu costretta ad alzare bandiera bianca. –E va bene: io… non so perché ti ho lasciato. Da un lato eri diventato troppo appiccicoso, dall’altro sembrava stessi perdendo interesse. Non ce la facevo più, era esasperante!

–Tu? Tu non ce la facevi? Tu eri esasperata?- ululò Nate, sbattendo il palmo della mano con violenza sulla fredda superficie di fronte a lui, intrappolando sotto di esso ciocche di capelli di Kimberly, che trasalì: non l’aveva mai visto tanto arrabbiato. –Tu hai portato me all’esasperazione col tuo atteggiamento! Non facevi altro che flirtare con chiunque ti stesse intorno, soprattutto con me nei paraggi! Cosa pretendevi, che fossi geloso ventiquattr’ore al giorno, sette giorni su sette? È snervante, cazzo! Però io… ah, io no. Guai se mi azzardavo anche solo a guardare una ragazza! Apriti cielo! Naturale che abbia cominciato a guardarmi attorno: era una situazione insostenibile. Ho rischiato la parte da protagonista in “Dracula” per la scenata che hai fatto alle audizioni, e tutto per un innocuo bacio di scena!

Gettata alle ortiche ogni pretesa di conservare un briciolo di dignità, Kimberly scoppiò in lacrime; “l’arma più potente di una ragazza”, secondo sua madre.

–Mi dispiace! Io… io… non volevo perderti, Natie, e ho perso la testa! Anche se sapevo che era per finta, vederti con un’altra mi… mi dispiace! Non facevo sul serio, te lo giuro! Non me ne frega niente di piacere a qualcun altro, mi comportavo in maniera provocante perché credevo fosse l’unico modo per attirare la tua attenzione! Avevo paura che ti saresti stancato di me e…

–E?

Incalzata da Nate, Kimberly vinse la propria reticenza e, conscia di stare pronunciando un’emerita sciocchezza, ammise –Saresti andato con Frida.

Incredulo di cotale assurdità, il ragazzo scoppiò a ridere.

–È uno scherzo, vero?

–Ho la faccia di una che scherza?-

–Oh, andiamo! Hai gli specchi di legno in casa? Sei diecimila volte meglio di Frida!- replicò in tono scherzoso. –Certo, hai meno tette, ma pazienza, non si può avere tutto dalla vita!

–Idiota!- latrò Kimberly, spintonandolo furente. –È stato questo genere di commenti cretini a mandarmi in paranoia! So di essere più bella di Frida, ma lei è… ecco… più di me in tutto il resto. Prima che arrivasse il Maori biondo eravate attaccati come cozza e scoglio, e io… non lo sopportavo. Ero convintissima che ti saresti accorto di poter avere di meglio, così ti ho mollato prima che lo facessi tu. Sono un’idiota, lo so.

–Sì, lo sei… per aver concepito una simile cazzata. Frida è una sorella, per me- le assicurò lui, accarezzandole i capelli. –Non potrei mai pensare a lei in quel modo. Mi spiace di averti fatto credere il contrario. Vieni qui.

La strinse in un caldo abbraccio, che sarebbe durato a lungo, se qualcuno non avesse preso a battere sulla porta della toilette, sbraitando –Volete darvi una mossa? Qui c’è gente che deve pisciare!

Ritornati nella bolgia stracolma di gente che beveva e si contorceva al ritmo di un classico dei Nirvana sapientemente remixato, Kim e Nate decisero di fare tappa al bar, prima di raccattare Kevin e dichiarare conclusa quella serata inconcludente.

Ad un certo punto, Nathaniel riconobbe un volto noto tra la folla. Assestò una gomitata a Kimberly, la quale per tutta risposta gli diede un calcio negli stinchi e sibilò –Ti sei bevuto il cervello?

Dolorante, le indicò una brunetta solitaria che stava tranquillamente ingollando una pinta di Guinness, muovendo di tanto in tanto la testa a ritmo di musica.

–Per l’amor del cielo, Nate! Ci siamo appena rimessi insieme, e già guardi altre ragazze?- sbottò lei, dopo averla squadrata da capo a piedi. –E poi… quella là? Sul serio? Zero tette e secca come un chiodo. Sembra un maschio riuscito male! Sicuro di non essere miope?

–Si chiama bellezza androgina- replicò lui, mentre la trascinava verso la sconosciuta. –E hai indovinato: non è di mio gusto. Infatti non è per questo che la guardavo. Non posso credere che tu non la riconosca!- ignorò l’ovvia domanda di Kimberly (“Perché la guardavi, allora?”) ed esclamò, elettrizzato –Sei Sledge, la chitarrista dei W.O.F.! Non ti si vede mai in giro, al di fuori dei concerti. Cosa ci fai qui?

La ragazza lo occhieggiò con cauta curiosità da sopra il boccale, indecisa se degnarlo o meno di una risposta, quando Kimberly eruppe in una risata fragorosa, seguita dall’acido –WOF? Perché suonate da cani?

“Tu, morettina, mi stai sul cazzo che non ho!”, pensò l’altra, quindi piegò le labbra sottili in un mezzo sorriso educato e spiegò –W.O.F., non wof. Sta per Wings Of Freedom. Comunque, spiacente di deluderti, biondino, non sono chi credi.

–Ma… ma… tu sei lei! Lei è te! Siete identiche!

“Spiacente, gioia. Non sei interessante, non mi servi, e sei accompagnato da una stronza che è riuscita a starmi sul cazzo in cinque secondi, perciò col cazzo, appunto, ti rivelerò la mia identità!”

–Non sei il primo a dirmelo. Grazie, sono lusingata del complimento: i W.O.F. sono… la mia ragione di vita. Comunque, fareste meglio a rimettervi in fila, se non volete morire di sete.

Kimberly per poco non sferrò un altro calcio a Nate: la gente accalcata al bar era raddoppiata! Tutto perché lui aveva le traveggole e confondeva le persone.

“Lo ammazzo!”

–Mi è passata la sete. Troviamo Kev e andiamocene.

Nate scosse il capo: se la sua ragazza voleva dell’alcool, lo avrebbe ottenuto. La prese per mano e, con l’incommensurabile faccia tosta che lo caratterizzava, si fece largo tra la piccola folla fino al bancone. Ordinò due Screwdriver (basta Vaprowave) e, già che c’era, ne approfittò per chiedere alla barista se avesse visto Kevin.

–Sì, è andato in uno dei nidi di corvo. Uno di quelli verso l’uscita secondaria, mi pare.

–Grazie, Becky, sei un tesoro- celiò Kimberly.

–Figurati. Se senti A.J., salutamelo… e digli che sono ancora single- cinguettò lei di rimando, con tanto di strizzata d’occhio finale.

Kimberly le sorrise, poi, voltate le spalle, vuotò il bicchiere in un solo sorso, sibilò a denti stretti –Dopo questa lavatura di piatti che mi hai rifilato, te lo sogni!- e arpionò uno sconcertato Nate, al quale non rimase che assecondarla.

–Andiamo, Natie! Kevvy è in un nido, e sai cosa significa? Che finalmente potrò beccarlo con una ragazza! Ha!

Peccato che Kevin non fosse con una ragazza.

–Kevin? Co… che significa… questo?- pigolò, prima di scappare via, sconvolta.

–Kim, lasciami spiegare!- le urlò dietro il fratello, lanciandosi all’inseguimento. –Non fare così, ti prego! Kimmy!

Nuovamente presentabile - se con “presentabile” si intende “spettinato e con i vestiti spiegazzati infilati precipitosamente” -Andrew fece capolino dalla saletta fino a qualche attimo prima privata, e chiese ad un attonito Nate –Non capisco, credevo che Kevin fosse... che non avesse una ragazza.

–Infatti quella è la mia ragazza- rispose Nate, ribollente di rabbia: il suo amico gli doveva parecchie spiegazioni, e forse un pugno in una sede a sua scelta per aver fatto piangere Kimberly. –Nonché sua sorella.

 

***

 

In teoria, un hacker noto alle forze dell’ordine alle parole “Aprite, polizia!” dovrebbe reagire tentando la fuga, o quantomeno sobbalzare. Ernst Weil, invece, si limitò a stropicciarsi le palpebre - maledicendo chiunque avesse osato distoglierlo da una proficua sessione di gioco - e stralunare gli occhi, prima di aprire la porta all’inaspettato visitatore notturno, per poi esalare un sospiro colmo di esasperazione.

Das ist nicht witzig, Bruder. Was willst du um diese Zeit von mir14?

Hans, affatto seccato dalla gelida accoglienza, scosse il capo, ridacchiando –Ti sembra il modo di rivolgersi a uno sbirro, Schabe15?

Ernst storse il naso alla menzione del nomignolo affibbiatogli dal fratello perché da piccolo gli stava sempre appiccicato (come, appunto, una piattola), cercando di imitarlo in tutto e per tutto, e ripeté la domanda, stavolta in inglese.

Du weißt, was du bist16. Cosa vuoi, Hans?

–Darti questa- rispose lui, consegnandogli la chiavetta USB recuperata da Frida. –Unsere Cousinchen l’ha trovata non so come a casa di quella ragazza morta, Aisling Carter. Crede contenga informazioni utili per la risoluzione del caso.

Ernst sbuffò una risatina.

–Caso? Ma come? Non si tratta di una tragica fatalità barra suicidio?

Hans soffiò via dalla fronte una ciocca ribelle e scoccò al fratello un’occhiata dannatamente seria.

–All’inizio lo credevo anch’io. Voglio dire: una tossicomane che casca giù dalla finestra dopo una serata di bagordi… chi mai penserebbe a un’ipotesi diversa dall’incidente, o un atto estremo? Eppure, incredibile ma vero, Frida e quel Weichtier17 per cui ha una cotta hanno scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora, gettando diverse ombre sulla faccenda.

–Devono essere ombre enormi, per averti convinto a collaborare- ridacchiò Ernst. –Quindi, fammi capire: nonostante l’espresso divieto di Mutti e degli zii, Frida sta portando avanti la sua indagine personale, oltretutto con risultati migliori di Scotland Yard? Cazzuta, la cuginetta!

“–Zurück! Geht zurück! Schande über euch18: questa gnappetta ha più palle di voi due messi insieme!

Frida confermò involontariamente quell’affermazione esalando, dalla sua posizione di inferiorità, stesa sul pavimento con una mano di Hans intorno al collo –Io non ho le palle. Sono femmina.

Le ovaie non sono altro che palle interne- replicò lui, per poi aiutarla a rimettersi in piedi. Ho deciso: sarò il tuo Pai Mei, Kiddo.

Se lo dici tu.

Significa che mi occuperò personalmente di allenarti. È un grande onore, Cousinchen. Dovresti ringraziarmi.

Lo farò se e quando vedrò risultati”.

–Ti stupisce?- ribatté Hans, nostalgico. –L’abbiamo sempre trattata come se lo avesse anche lei il cazzo!

–Soprattutto tu. Non osare negarlo- gli rinfacciò Ernst, puntandogli l’indice al petto per corroborare le sue parole. –Das Weichtier… per caso ti riferisci al suo “amico” William? A me, personalmente, non dispiace. Un bel salto di qualità, rispetto a quel bamboccio di Cartridge!

Bitte sag, das ist ein Scherz, Schabe19. Hai dei gusti di merda in fatto di uomini!

–Allora è una fortuna che mi piacciano le donne- replicò Ernst, ogni traccia di sonno svanita; conoscendo il fratello, era in procinto di eruttare come il Krakatoa, uno spettacolo imperdibile.

Dummkopf! Come fa a starti simpatico quell’essere? Non ha le palle!- ruggì Hans, iperprotettivo nei confronti della cugina sin dal suo primo vagito. –Li ho fermati per guida senza patente e li ho portati in centrale per farli cagare un po’ addosso. Sai cosa ha fatto, quel Weichtier? Ha provato a scaricare tutta la colpa su di lei perché era lei al volante; lui era solo il passeggero, piccolo angelo! E l’ha pure ferita negando di essere il suo ragazzo, manco fosse un’accusa infamante, tipo che nel tempo libero scuoia cuccioli di foca. Ma vada a caga… cosa c’è da ridere, eh? COSA?

Du bist ein Scherzkeks, Bruder! Redest wie ein eifersüchtiger Vater. Willst du Onkel Franz den Job stehlen20?

Hans rispose con un gestaccio, seguito dal secco –Compi una magia delle tue, e chiamami non appena avrai in mano qualcosa di concreto. Gute Nacht- prima di venire inghiottito dal buio delle scale.

Oramai del tutto desto, nonché ardente di curiosità, Ernst si fiondò sul primo portatile che gli capitò sotto mano, inserì nella porta apposita la chiavetta USB e aprì alla velocità della luce l’unico file presente, dal promettente nome: “Stronzo chi legge”. Il sorrisetto che gli si era formato sul volto scomparve all’istante.

Du verdammtes Stück Scheiße21!- inveì contro Hans, sbattendo i pugni sulla scrivania. –Potevi dirmi che l’unico motivo per cui hai bisogno di me è che il file è criptato!

 

Note dell’autrice:

Che dire? Capitolo pieno zeppo di complicazioni… ed easter egg. Chi ha letto le mie precedenti storie, forse li ha individuati. Vi sfido! ;-)

Apro e chiudo parentesi: l’aggressività del dobermann è uno stereotipo, esattamente come il “caratteraccio” di Franz; che ci può fare se è senza filtri e poco socievole? Su una cosa, però, ha ragione: grazie a Faith è migliorato tantissimo. Ah, l’amore!

Sempre a proposito di Faith: so che a volte ha pensieri o comportamenti discutibili, ma in tutta sincerità servono (credo) a renderla realistica; un essere umano con delle sfaccettature, che a volte fatica a fare cosa giusta, non una Mary Sue. Spero di essere riuscita nel mio intento.

Se vi sono mancati Frida e William, non temete, torneranno in tutto il loro splendore nel prossimo capitolo. L’alternativa era che questo venisse lungo 40 pagine, e onestamente non mi pareva il caso.

Sempre a proposito di Frida: ha fatto centro anche stavolta! Dev’esserci roba che scotta, se Aisling ha sentito la necessità di criptare il tutto. Riuscirà Ernst a compiere una magia delle sue? Lo scoprirete solo leggendo!

Il gioco di parole di Hans purtroppo ha senso soltanto in inglese: Kiddo è una forma affettuosa per indicare un/a ragazzino/a, ma è anche il cognome di Beatrix “La sposa”, protagonista di Kill Bill, allenata dal maestro Pai Mei. Pazienza, anche se non rende, ho voluto inserirlo ugualmente. Sono una testa dura.

Il Moscone Center esiste davvero, ed è dedicato a George Moscone, sindaco italo-americano di San Francisco, assassinato in Municipio nel 1978.

Ultima cosa: c’è chi ha letto “pikkolo ancyeloh” alla Trono del Muori… e chi mente. Prove me wrong! ;-)

Ps: adoro l’espressione “figlio di una madre signorina”, mi fa morire dal ridere da quando l’ho sentita la prima volta nella puntata 2x18 de “I Simpson”; una traduzione parecchio edulcorata rispetto all’originale “S.O.B.”. Non vedevo l’ora di inserirla da qualche parte!

1Non prendiamoci in giro

2Tutta colpa tua, amore mio. Ero una persona seria, prima di conoscerti!

3Non sono un cane!

4Fatti sotto!

5Le mie regali chiappe

6Già lo pensavo, ma ora ne ho la certezza: Irving, sei la donna più incredibile che abbia mai incontrato. Fuggiamo a Las Vegas!

7Aspetta!

8Ha ragione

9Che succede?

10Della mia amata

11Così va molto meglio!

12Immediatamente

13A domani, amore mio

14Non è divertente, fratello. Cosa vuoi da me a quest’ora?

15Piattola

16Mollusco

17Tu sai cosa sei

18State indietro! Vergogna su di voi

19Ti prego, Piattola, dimmi che è uno scherzo

20Sei uno spasso, fratello! Parli come un padre geloso. Vuoi rubare il lavoro allo zio Franz?

21Maledetto pezzo di merda!

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Ricreazione ***


 

Bentrovati!

Dopo un’altra era geologica, riecco le (dis)avventure di Frida, Will e compagnia.

Grazie a chi segue questa storia, dall’inizio o da pochissimo, e naturalmente a chi recensisce; sono felice di constatare che, pian piano, questo esperimento di “giallo a tinte rosa” sta decollando.

Sottofondo musicale consigliato: “Nothing else matters”, un brano che non ha bisogno di presentazioni e “The ending” dei Papa Roach (perché sì).
 

Ricreazione
 

Nessun rapporto è una perdita di tempo: se non ti ha dato quello che cercavi, ti ha insegnato di cosa hai bisogno”.

Charles Bukowski
 

Immerso nel buio quasi totale della propria abitazione, Andrew Carter si abbandonò all’ira, colpendo con calci e pugni qualunque cosa gli capitasse sotto tiro. Era arrabbiato con tutto e tutti: l’universo, se stesso, le sue sorelle, la sorella di Kevin e Kevin stesso. Aveva sperato di trovare in lui uno spirito più forte del suo, qualcuno che lo aiutasse a migliorarsi e gli desse il coraggio di non vergognarsi di ciò che era, salvo scoprire che Kevin era esattamente come lui, solo con qualche trauma in meno e qualche amico intrigante in più. Assestò un calcio al portaombrelli, che si abbatté contro la porta d’ingresso con un clangore che, Andrew ne era certo, gli sarebbe valso l’ennesima reprimenda da parte dei vicini, e si rannicchiò contro il muro in posizione fetale. Se aveva ben capito, i signori Cartridge potevano competere con i suoi nonni quanto ad apertura mentale, e Kevin, messo di fronte al bivio tra essere se stesso e accontentare la sua famiglia, avrebbe certamente scelto la seconda; al suo posto, avrebbe fatto lo stesso: la famiglia è per sempre, un’ancora per chi, come lui, andava alla deriva in questo mondo frenetico e precario.

Distratto dai propri pensieri, impiegò parecchio tempo ad accorgersi di una chiamata in arrivo. Il cuore gli schizzò in gola: era terrorizzato dalle chiamate notturne, non presagivano niente di buono. Purtroppo, le cattive notizie non svaniscono ignorandole, ragion per cui si impose un minimo di autocontrollo e rispose.

–Pronto?

–Andrew?

–Nonna!- esclamò, sconcertato sia dall’ora, sia dall’urgenza nella voce della donna. –Che succede? Non ti senti bene?

–Non c’è tempo per le sciocchezze, ragazzo! Sai tenere un segreto?

–Segreto? Che segreto?

–Uno che io non riesco più a mantenere- esalò lei. –Avere la coscienza sporca stanca. Ma tu sei un bravo nipote, che libererà la sua vecchia nonna da questo peso, sì?

Perplesso e un po’ spaventato, Andrew si chiese se non ci fossero le “goccine” di Aisling dietro quello strano comportamento. Suo nonno si era mostrato estremamente determinato nel volerle somministrare un calmante, in barba ai rischi, non lo avrebbe sorpreso scoprire che aveva ripreso con successo le ricerche della scorta di psicofarmaci di Aisling e li avesse propinati alla moglie. Un’azione sconsiderata, certo; ma, almeno così credeva, animata da buone intenzioni. Nessun uomo degno di tale nome sarebbe rimasto con le mani in mano mentre la persona amata scivolava nel distruttivo tunnel della depressione da lutto.

–Mi stai spaventando, nonna. Che succede? Dov’è il nonno?

–È andato a prendere la mia insulina. Dice che ho dimenticato l’iniezione serale. A me sembrava di averla presa, ma sai, tra la vecchiaia e le… prove della vita, diciamo così, comincio a perdere colpi.

–Non dire così, nonna- tentò di consolarla. –Vai ancora forte! Oggi eri la più figa delle signore presenti, nonostante molte avessero meno della metà dei tuoi anni.

–Grazie, tesoro; ma non è il momento per le frivolezze. Non mi rimane più molto tempo.

–Non dire così, nonna!

–Smettila di interrompermi e ascolta: Aisling non si è suicidata, lei…

Fece appena in tempo ad udire la voce di suo nonno in sottofondo che la comunicazione si interruppe di colpo. In preda all’ansia, prese a mordicchiarsi le unghie. Nonostante una voce interiore gli suggerisse di considerare veritiere le parole della nonna, si risolse a credere che stesse farneticando e basta, perché crederle avrebbe significato non poter più riversare rabbia e frustrazione su quella testa calda di sua sorella, rea di avergli procurato l’ennesimo trauma emotivo; oltretutto, se non si era tolta la vita, allora un assassino stava girando a piede libero, e il solo pensiero gli fece tremare le vene e i polsi.
 

***

 

–Non sei troppo grande per dormire nel lettone con la mamma, vero?

Frida, che dopo quella giornata allucinante anelava a restare sola con i propri pensieri, fu tentata di rispondere che i tempi in cui non desiderava altro che cadere tra le braccia di Morfeo avvolta dall’abbraccio della madre, cullata dalla sua voce rassicurante, erano finiti, ma qualcosa glielo impedì: la consapevolezza che in lei, sotto strati e strati di fredda razionalità, albergava ancora la bambina bisognosa delle coccole e delle strane ninne nanne di Faith (rivelatesi nient’altro che grandi classici della musica rock e metal). Fece segno di no con la testa e si abbarbicò koalescamente alla madre, chiedendole di cantare qualcosa per farla addormentare.

Faith sorrise e cominciò a cullarla sulle note di “Nothing else matters”. Sapeva che prima o poi sarebbe venuto il momento di parlare dell’insubordinazione di Frida e delle sue conseguenze, ma non era quello il momento adatto. Per una volta, lasciava l’onere di rimproverare e cercare di mettere in riga loro figlia interamente a Franz. Era stufa del ruolo di genitore “cattivo”.

“D’altronde”, si disse, “Quante decisioni ha preso lui nonostante il mio parere contrario?”

Ciononostante, ritenne che delle scuse fossero doverose.

–Mi dispiace tanto per stasera.

–È normale che i dissapori tra genitori coinvolgano i rispettivi figli. Cosa ti aspettavi, che restassi a guardare mentre quel Arschloch ti riversava addosso anni di livore sopito?

–Grazie, cucciola, lo apprezzo molto- chiocciò Faith. –Tuttavia, non posso fare a meno di sentirmi in colpa: tu e William avete un bel rapporto; mi odierei se si dovesse guastare per una storia morta e sepolta.

Keine Sorge, Mutti1: io e William abbiamo i nostri problemi, a prescindere dai vostri casini. Ad ogni modo, la storia sarà morta sì, ma sepolta…- ribatté la figlia. –Se io e Liam non fossimo intervenuti, probabilmente vi sareste scannati a vicenda.

Faith sorrise nell’oscurità, e colse l’occasione per sganciare la bomba F (per Franz).

–Dici? Beh, allora spero che tuo padre conceda una deroga alla tua sicura punizione, così potrai badare che lui e Cyril non si scannino, dato che l’ha invitato a cena!

Frida scattò a sedere, serrò i pugni e scoprì i denti, come un predatore pronto a balzare.

–Credevo fosse uno scherzo! Der Arschloch… in meinem Haus? Niemals!2

–Idea di tuo padre. Se hai qualcosa in contrario, parlane con lui. Io mi limiterò a godermi lo spettacolo.

–Speri che Papi lo faccia a pezzi?

–Dio, no!- scherzò Faith. –Non in casa nostra, almeno: le macchie di sangue sono praticamente impossibili da lavare via!

Frida ridacchiò a sua volta e Faith, finalmente serena, si addormentò: i problemi potevano darle scampo per qualche ora.

Frida, invece, scivolata in un sonno senza sogni, agitato e tormentato dal lavorio dei suoi neuroni, si destò nel cuore della notte e, una volta appurato che la madre stesse dormendo profondamente, si trascinò nella sua camera da letto, ripensando agli avvenimenti di poche ore prima.

“–Perché ti sei messo in mezzo?

Divertito dal torrente di - ci avrebbe scommesso - oscenità in tedesco che seguì, William mollò la presa e, al posto della replica che aveva in mente, ridacchiò Baci i tuoi genitori - e, soprattutto, me - con quella bocca?

Cosa stai insinuando? Per quanto ne sai, ho recitato una poesia su unicorni e prati verdi.

Non bisogna conoscere una lingua per riconoscere un’imprecazione- asserì. Le parolacce sono universali.

Lottando contro l’istinto di dargli un pugno, Frida alzò le mani e fece per aprire la porta della toilette.

Perplesso, William le chiese dove stesse andando, ricevendo in risposta un sarcastico Dove, in teoria, non potresti seguirmi- indicò la figura femminile stilizzata. Anche se hai dimostrato in numerose occasioni una certa noncuranza per quisquilie quali decenza e privacy. Perché quella faccia? Ho detto meiner Mutter che sarei andata in bagno a lavarmi le mani e lo farò: non le ho mai mentito- seguito dallo sdegnoso Non guardarmi così, è vero! Posso aver omesso delle informazioni, ma non le ho mai raccontato frottole.

Ti ascolti quando parli, Weil? Omettere equivale a mentire- obiettò l’australiano. Omettendo qualcosa stai nascondendo la verità che, per quanto cruda, è sempre preferibile.

Frida non poté fare a meno di pensare È proprio un kantiano del cazzo!” e replicò freddamente Perché non cominci tu?- prima di svignarsela nella toilette del ristorante.

Quando riemerse, con disposizione meno bellicosa, cercò di portare la conversazione su questioni più pressanti.

Se hai finito con le filippiche moraliste, potremmo affrontare l’elefante nella stanza… oppure, se non te la senti, organizzarci per ciò che verrà.

In che senso?

Il cerchio si stringe. Ho già dei sospetti sull’identità dell’assassino, e non appena Ernst avrà decriptato la USB di Aisling, saprò anche il movente. Purtroppo, unsere Väter ci metteranno di sicuro in punizione; ergo, dobbiamo escogitare un modo per proseguire le indagini senza metterci ulteriormente nei guai. Certo, se preferisci spiegare i processi mentali che hanno portato al nostro scambio inconsulto di fluidi salivari...

No, grazie. Parliamo di omicidi!

Frida curvò le labbra in un sorrisetto sardonico.

Qualunque cosa, pur di glissare sul nostro bacio, eh? Mein Cousin hat Recht: Du hast nicht den Mumm.3

Esasperato, William reclinò il capo, chiuse gli occhi e sospirò. Perché la Weil doveva essere così maledettamente coriacea?

Proprio non vuoi mollare l’osso! Cosa vuoi che ti dica? Ero amareggiato, avevo bisogno di conforto, e ho agito d’istinto. In quel momento, infilarti la lingua in bocca mi è sembrata la cosa giusta da fare; col senno di poi…

Se avevi bisogno di conforto avresti potuto abbracciarmi e basta- lo rimbeccò Frida. –Non si bacia una ragazza, se non ti piace.

Di nuovo, William sospirò era giunto il momento che si era sforzato di rimandare più possibile: la resa dei conti.

Ascoltami bene, perché non lo ripeterò: mi piaci? Sì. Ti trovo sexy? Assolutamente sì. Vorrei scoparti? Cazzo, sì!- sbuffò una risatina di fronte alla sua espressione corrucciata e proseguì –Sono innamorato di te? Beh… difficile provare qualcosa in cui non si crede. Senza offesa: non intendo compromettere la mia integrità per te. Seguirò la mia filosofia fino alla morte.

Allora abbiamo un problema.

William stralunò gli occhi e sbuffò Ah, già, dimenticavo: l’accesso alle tue “parti private” è riservato al tuo ragazzo.

Genau!4- annuì lei, arrossendo. Anch’io seguirò la mia filosofia fino alla morte. Ho deciso di fare… certe cose solamente col mio ragazzo, e non basterà un po’ di ormonella a farmi vacillare!

Contro ogni previsione, William avanzò fino a metterla con le spalle al muro, bloccando ogni possibile via di fuga col suo corpo. Frida avrebbe potuto liberarsi facilmente, persino metterlo ko, ma teneva troppo a lui per anche soltanto pensare di colpirlo; e lui, realizzò quando i loro sguardi si incrociarono, ne era ben consapevole. La stava sfidando a fargli male, solo per il gusto di costringerla ad ammettere la propria debolezza; ma Frida sarebbe morta, piuttosto che ammettere, prima di tutto a se stessa, di avere dei punti deboli. Il suo modus operandi prevedeva, semmai, di scovare e sfruttare a proprio vantaggio quelli altrui.

Messa da parte ogni remora morale, tentò quindi di fare leva sul tallone d’Achille dell’australiano: con lentezza quasi esasperante, ma priva di esitazione, annullò la distanza tra loro, coinvolgendo il suo socio (se ancora si poteva chiamare tale) in un bacio che, a differenza del precedente, era scevro di dolcezza. Per fortuna, pensò, non portava il rossetto. Nel momento esatto in cui capì che ne voleva di più, si scostò da lui quel tanto che bastava a sussurrare Sarebbe così tremendo per te? Stare insieme?

William, che aveva compreso il suo gioco, la scostò con veemenza, scosse il capo ed esclamò Tu sei tremenda, Weil! Mi stai dando l’aut aut che per avere ciò che voglio devo piegarmi alla tua volontà, facendo qualcosa contrario al mio essere? Dalle mie parti, si chiama ricatto.

Frida, dopo l’ennesima dimostrazione che non meritava di scoprire il suo lato tenero, replicò freddamente Dalle mie, invece, si chiama scambio mutuamente vantaggioso; ma non preoccuparti, non ripeterò la mia proposta.

Scheißkerl!- ringhiò, sbattendo i pugni contro il punchingball che usava per allenarsi.

Aveva tanto agognato di rimanere sola con i propri pensieri, eppure, in quel momento, si rese conto che rischiava di venire schiacciata dal loro peso. Allora si sentì fremere, pervasa da una smania irrefrenabile di fare; qualunque cosa, pur di placare il suo animo in tempesta. Dopo averci riflettuto, decise di calmarsi nell’unico modo efficace che conosceva: sfinendosi con lo sforzo fisico. Certo, se la madre l’avesse scoperto avrebbe aggravato la sua posizione, ma Faith ronfava della grossa, e sarebbe finita comunque in punizione; se proprio doveva salire al patibolo, tanto valeva fosse per un montone, piuttosto che per una gallina.

Indossò una tuta, allacciò le scarpe da corsa e, per buona misura, nascose in un calzino il coltello a serramanico tramandatole da Hans, prima di precipitarsi a rotta di collo per le strade deserte della capitale.

E corse. Corse. Corse. Sempre più veloce, fino a vedere la luce dei lampioni diluirsi in una singola linea giallastra che la seguiva, fino a non sentire più la musica che le pompava nelle orecchie; fino a non sentire altro che i muscoli implorare pietà e la testa che vorticava, fino ad avvertire un familiare senso di nausea, che la riportò indietro alle prime volte in cui si era allenata sotto la severa guida del maggiore tra i suoi cugini.

“–Hans! Hans, hilf mir!

Was passiert, Cousichen? Warum bleibst du stehen?

Ich muss gleich kotzen.

Se sperava di trovare comprensione, cascò male: Hans le rispose gelidamente –Weil du schwach bist.

Sebbene affranta dalla replica del cugino e dalla sua scarsa resistenza fisica, trovò la forza di controbattere, prima di vomitare pure l’anima Ich bin nicht schwach, nur müde.

Du bist müde, weil du schwach bist!

Ich kann nicht mehr, Hans! Können wir nicht für heute aufhören?

Nein! Du musst durchhalten und trainieren: um stark zu werden- la esortò Hans, per poi aggiungere, alla vista degli occhioni lucidi di Frida Fang nicht an zu weinen.

Warum weinen große Mädchen nicht?

Weil du nach dem Erbrechen keine weitere Flüssigkeit verlieren sollst.5

Si voltò e riprese a correre. Incitata da Wilhelm ed Ernst, Frida fece un respiro profondo e si fiondò alle sue calcagna. Non importava quanti liquidi avrebbe perso, quanti crampi avrebbe dovuto sopportare: sarebbe diventata forte, più di Hans; glielo doveva.”

Quando recuperò la cognizione dello spazio e del tempo, si accorse con grande stupore di aver raggiunto Chiswick House: aveva percorso più di quattro miglia senza mai fermarsi. All’improvviso, le calò addosso la consapevolezza dei pericoli nei quali sarebbe potuta incorrere, tutta sola in giro di notte, ma si rese anche conto di quanto poco le importasse; anzi, Zelda aveva ripreso a fremere, elettrizzata all’idea di menare le mani. Sfortunatamente per Zelda, non incontrò neppure un cane sulla via del ritorno.

Era appena rincasata quando l’orologio, collegato allo smartphone, cominciò a vibrare insistentemente, e il nome di Aidan James Cartridge comparve a caratteri cubitali sul quadrante. Frida per un pelo non incespicò nei propri piedi, mentre si precipitava in camera a recuperare il portatile: cosa voleva da lei nel cuore della notte?

Alla curiosità si sostituì un misto di imbarazzo e tempesta ormonale nel trovarselo davanti a torso nudo, reso ancora più attraente (se possibile) dall’aria scarmigliata di chi era reduce da un incontro di lotta libera.

–Ciao, piccola Frida! Disturbo?

Sforzandosi di mantenere un contegno dignitoso di fronte alla sua cotta storica, gli sorrise radiosa e trillò –Aidan! Was für eine Uberraschung6! Hai idea di che ore sono?

–Qui a Boston, le dieci di sera. Da te, beh… un orario decisamente poco consono; ma tanto sei una creatura della notte, giusto?

Sebbene tentata di rispondergli che non si era ancora tramutata in un gufo - quella, sì, una creatura della notte - prevalse la curiosità di scoprire perché l’avesse contattata.

Na ja! Allora, come posso aiutarti?

Dal suo mezzo sorriso tirato intuì che qualcosa lo turbava, ma conosceva Aidan da quando era nata, pressarlo avrebbe sortito l’unico effetto di farlo chiudere a riccio. I suoi scioperi del silenzio erano leggendari; poteva passare anche più di una settimana, prima che riprendesse a parlare.

–Ricordi l’ultima volta che ci siamo sentiti, quando chiedesti consiglio per i tuoi piccoli problemi di cuore? È giunta l’ora di ricambiare- sospirò, puntellandosi sui gomiti per poggiare il mento sulle mani in un atteggiamento da brutta copia del pensatore di Rodin.

All’occhio attento di Frida, naturalmente, non sfuggì l’oggetto malamente poggiato sullo schienale del divano che l’altro, protendendosi in avanti, aveva inavvertitamente rivelato alla vista. Reprimendo a stento le risate, celiò, beffarda –Aidan… è un reggiseno, quello?

 

***

 

Menti abbastanza a lungo, e finirai col credere alle tue bugie. William, annoiato sin dal suono della campanella, sperò ardentemente che il suddetto principio valesse anche per immaginarsi in un universo alternativo nel quale la scuola non esisteva. Tirò un sospiro di sollievo nel constatare che, per una volta, la Weil non lo aveva battuto sul tempo; poteva godere di un po’ di tranquillità, prima di tornare ad essere scandagliato dalla lente impietosa del suo sguardo tagliente.

Odiava quella situazione di stallo, e se stesso per esservisi infilato senza pensare alle conseguenze. Purtroppo, non pareva esserci via d’uscita: uno dei due sarebbe dovuto andare incontro all’altro, ammettendo la propria dose di torto, ma nessuno dei due era disposto a farlo.

Lo rallegrò scorgere una faccia amica in mezzo al caos calmo che precedeva la prima ora del lunedì, e quasi urlò il nome di Kevin per attirare la sua attenzione. Questi ricambiò con un sorriso gentile, ma mesto, mentre prendeva posto accanto a lui. Ignaro del suo dramma personale, William credette che Kevin fosse risentito nei suoi confronti, per cui si affrettò ad aggiungere –Lo so, è troppo che non parliamo, io e te. Sono stato una merda in quest’ultimo periodo. Mi dispiace.

L’altro scosse il capo e lo rassicurò.

–Tranquillo. È vero, sono secoli che non riusciamo ad avere un attimo di pace per fare due chiacchiere, ma non è colpa di nessuno. Non è per quello che sono triste, comunque.

–Per cosa, allora?

–Kimmy e Nate ce l’hanno con me. Fingono che non esista- sospirò afflitto Kevin indicando i due, che erano entrati in aula in grande stile, soffermandosi davanti a loro giusto il tempo di scoccargli un’occhiata sprezzante. –Non posso biasimarli: si sentono traditi. A parti invertite, forse mi comporterei nello stesso modo, però… fa male- si accorse della curiosità nello sguardo dell’australiano, e sbuffò –Tanto lo scoprirai comunque. Certi segreti non restano tali a lungo, e meglio venirlo a sapere da me che scoprirlo nel modo peggiore, come loro. Mi spiace di averlo tenuto nascosto, ma non è facile confessare…

–Che sei gay?

Colto del tutto alla sprovvista, uno sconcertato e paonazzo Kevin lo zittì coprendogli la bocca con la mano, mentre si guardava attorno con circospezione, terrorizzato all’idea che qualcuno dei loro compagni impiccioni potesse aver sentito.

–Sei impazzito? Abbassa la voce!

Tutt’altro che imbarazzato, William scostò con malagrazia la mano dell’altro e sbuffò in risposta –Rilassati! Nessuno ha sentito niente. È lunedì mattina, sono tutti o mezzi addormentati, o troppo presi dai cazzi propri per fare caso a noi. Nessun segreto è più al sicuro di quello rivelato in mezzo alla folla.

–Se lo dici tu- replicò Kevin con poca convinzione. –Come lo hai scoperto?

–Frida.

–Te lo ha detto lei? Come ha osato? Aveva promesso di non rivelarlo ad anima viva, incluso il suo gatto!- osservò divertito lo sconcerto di William, e colse l’occasione per punzecchiarlo. –Perché quella faccia? Tra tutte le stranezze di Frida, questa mi pare la meno eclatante. Tu non parli col tuo cane?

–Dylan è più di mio padre che mio. Comunque no, non parlo con gli animali, sarebbe una perdita di tempo e fiato- rispose William. –Quando l’ha scoperto la Weil?

–Più o meno un anno fa. Stando a quanto dice lei, gli sguardi che lanciavo a Connor Drew quando credevo che nessuno guardasse erano “inequivocabili”. Lì per lì mi sono sentito malissimo: un conto è uscire allo scoperto di propria spontanea volontà, un altro venire beccati e messi di fronte alla verità nuda e cruda, specie se a farlo è qualcuno del tutto privo di tatto, come Frida. Ho dovuto ricredermi: è stata inaspettatamente empatica; mi ha lasciato sfogare senza giudicarmi e ha giurato di mantenere il più assoluto riserbo finché non fossi stato pronto a fare coming out. Non posso credere che ti abbia spifferato tutto! Maledetta! Appena la becco, io…

–Frena gli istinti omicidi- lo interruppe l’altro. –La Weil è tante cose, ma non una spia.

–Ne sei assolutamente sicuro?- ridacchiò Kevin. –L’anno scorso girava voce che fosse stata reclutata dai servizi segreti.

–Se venisse fuori che è vero, non mi sorprenderei- asserì William, ripensando alle doti investigative (e alla morale “a maglie larghe”) della ragazza. –Comunque, puoi dormire sonni tranquilli: la Weil non ha cantato, è un paradigma di lealtà. Mi sono espresso male: l’ho capito... grazie alle sue tette.

Kevin strabuzzò gli occhi.

–Le sue cosa, scusa?

–Tette, amico mio. Le sue tette- ripeté William con l’aria di chi si sta trattenendo a stento dallo scoppiare a ridere fragorosamente. –Sono oggettivamente uno spettacolo- “Peccato le tenga sempre coperte, mannaggia al cazzo!” –Persino il fedelissimo Nate ci butta l’occhio, ogni tanto! Tu mai. Zero. Così mi sono insospettito, ho iniziato a osservarti con maggiore attenzione, e ho fatto due più due.

Kevin non ebbe tempo di ribattere che la lupa in fabula fece il suo ingresso trionfale. William non poté fare a meno di notare quanto fosse bella e altera; camminava a testa alta con andatura marziale, i capelli raccolti in un’acconciatura più elaborata del consueto: la metà inferiore della chioma era sciolta, mentre quella superiore era suddivisa in tre trecce, unite tra loro a formarne una quarta, che ricadeva tra le scapole come la nera lama di una spada. Scoccò a William un’occhiata sdegnosa e si accomodò al proprio banco con la grazia di una étoile, per poi mettersi a scribacchiare furiosamente su un bloc notes. Chiunque avrebbe pensato stesse prendendo appunti, da brava studentessa modello, ma lui ormai la conosceva abbastanza bene da sapere che la sua mente era altrove.

–Parli del diavolo…

–Ahia! Quando Frida porta i capelli in quel modo, vuol dire che è sul piede di guerra. Ma non può averti sentito parlare delle sue tette ed essere corsa in bagno ad aggiustarsi- osservò Kevin, guardandola di sottecchi mentre fingeva di prestare attenzione al professore. –Perciò sputa il rospo: cos’hai combinato?

–Che ne sai che è colpa mia?- tentò di difendersi l’australiano, prima di capitolare. –Uffa! E va bene: le ho detto la verità. Non l’ha presa con filosofia.

–Quale verità?- domandò l’altro, temendo già la risposta.

–Che è una sporca ricattatrice- ammise William senza peli sulla lingua, sbuffò una risatina, di fronte allo sconcerto dell’amico, e gnaulò, in una crudele quanto impeccabile imitazione di Frida –Che c’è? È vero! Ha cercato di indurmi in tentazione usando il suo corpo!

–Porca vacca!- esclamò Kevin a volume più alto del voluto, attirando l’attenzione dell’intera classe e dell’insegnante, soprannominato (a sua insaputa), per ovvi motivi, “Gollum”. Questi, tuttavia, anziché rimproverarlo, mostrò apprezzamento per quella che riteneva un’entusiastica esternazione di amore per la scienza.

–Non avrei saputo esprimermi meglio. L’energia sprigionata dalla fusione nucleare è strabiliante!

–É strabiliante lo spessore delle fette di prosciutto che hai sugli occhi, Gollum- bisbigliò William, suscitando l’ilarità di Kevin, che riuscì a camuffare le risate da colpetti di tosse.

–É strabiliante che Frida non ti abbia ridotto in poltiglia- sussurrò, stavolta premurandosi di tenere la voce ad un volume accettabile. –Avevi desideri suicidi, per caso?

–Ho preferito essere sincero- replicò William senza scomporsi. –Tra l’altro, il suo comportamento trasuda disperazione: è figa da far schifo, eppure non vedo la fila per uscire con lei.

–Probabilmente perché molti hanno paura.

–Paura?

–Scusa, mi sono espresso male- si corresse Kevin. –Intendevo che molti provano nei suoi confronti una sorta di… timore reverenziale.

A William sovvenne il ricordo di quando la vide per la prima volta, in piedi sul tetto della scuola, con la treccia che fluttuava al vento; una creatura aliena, ultraterrena… una divinità. Scacciò quel pensiero, e ribatté –Non farmi ridere! È un banale essere umano, come me e te!

–Non l’hai mai vista in modalità berserk, vero? Ti assicuro che dà i brividi. Al primo anno ha messo al tappeto, da sola, quattro ragazzi dell’ultimo che stavano bullizzando Kimmy e Nate.

Sicuro al cento per cento che l’amico volesse prendersi gioco di lui, William soffiò –Quattro conto uno, e ha avuto la meglio lei? Mi prendi per il culo!

–Battuta pericolosa da rivolgere a un omosessuale- scherzò Kevin, cui non difettava l’autoironia. –Se non mi credi, chiedi a chi vuoi, c’erano fior fior di testimoni. Ha rivoltato quei coglioncelli come calzini, uno spettacolo impagabile! A onor del vero, erano dei bulletti di bassa lega, si credevano chissà chi solo perché facevano parte della squadra di calcio: l’hanno attaccata uno alla volta! Frida, invece, è una macchina da guerra, addestrata dalla sensei Naoko e quel suo cugino sexy che non sorride mai. Da quel giorno, la popolarità di Frida è schizzata alle stelle… al contrario delle sue possibilità con l’altro sesso. Tu usciresti con una sorta di Sherlock Holmes femmina, che in più mena manco fosse la figlia segreta di Lucy Lawless e Chuck Norris?

William pensò che, a conti fatti, lui e la Weil uscivano già insieme, sebbene non con intenti romantici; non da parte sua, almeno. La loro, più che una relazione, era un braccio di ferro tossico in cui ciascuno restava arroccato saldamente sulla propria posizione: lui era determinato a seguire la propria filosofia e non invischiarsi in una sadomasochistica lotta per la supremazia, altrimenti nota come “storia d’amore”; lei era altrettanto determinata a convincerlo - o meglio, costringerlo - ad invischiarsi per il suo stesso bene, pena vedersi negato l’accesso alle sue “parti private". Era stata cristallina: niente impegno serio, niente giro nella camera dei segreti, manco a piangere in serpentese.

“Ma io col cazzo che cederò! Non senza lottare!”

Decise, tuttavia, di non condividere i suoi piccoli problemi di cuore (e altre parti del corpo) con Kevin, e sviare invece il discorso.

–Il “cugino sexy che non sorride mai” sarebbe Hans?- sibilò storcendo il naso. –Vai dall’oculista, ne hai bisogno! Dov’è sexy quel nano antipatico?

–Questione di gusti- ribatté saggiamente Kevin.

–Ah, sì? Approfondiremo la questione dopo scuola. Non mi sfuggirai, Cartridge!

–Spiacente di deluderti: ho già un impegno per questo pomeriggio. Mi vedo con Alex.

–Il tuo nuovo boyfriend nerboruto, tatuato e superdotato?

–Tu vedi troppi porno. Alex è una ragazza; e non una ragazza qualsiasi, ma nientepopodimeno che… rullo di tamburi… Sledge!- sussurrò Kevin, contenendo a fatica l’entusiasmo, salvo rendersi conto che l’amico lo stava fissando con l’espressione vacua del tacchino a Natale. Stralunò gli occhi: com’era possibile che settimane di tampinamento non avessero dato risultati? –Ma come non sai chi è Sledge? È l’unica e sola, l’incommensurabile chitarrista dei W.O.F.!

–La band per cui siete in fissa tu e Nate? In effetti, sono piuttosto bravi- concesse William.

–“Piuttosto bravi”? Sono dei fottuti mostri! È stato un miracolo incrociarla al Tipsy Crow sabato. Anche se entrambi frequentiamo il conservatorio, non ci siamo mai parlati, non ne avevo il coraggio. Grazie a una sigaretta e una discreta botta di culo siamo diventati amici, e oggi mi farà conoscere gli altri- mormorò Kevin, eccitato come al primissimo giorno di scuola (peccato che Frida avesse rovinato tutto accapigliandosi con due bambini più grandi, rei di aver offeso lei e Nate). –Incontrerò i W.O.F.! Riesci a crederci?

–Occhio a non fartela nelle mutande!- ridacchiò l’australiano, prima di registrare appieno le parole dell’altro e perdersi in un mare di congetture. “Aspetta: la sorella di Nita si chiama Alex, e sabato era al Tipsy Crow su mia richiesta. Che Alex la sorella di Nita e Alex alias Sledge siano la stessa persona? Oppure si tratta di semplice coincidenza? Vale la pena tentare.” –Ehi, Kev! Se te la senti, avrei un lavoro per te… un lavoro da spia.

Kevin diede segno di essere allettato all’idea, e rispose –Avevi la mia curiosità, ora hai la mia attenzione. Ho soltanto una domanda: io cosa ci guadagno?

–Lo vedrai.

 

***

 

–Ho rinunciato alla mia dose quotidiana di caffeina per aiutarti a entrare nelle mutande di Fri… cosa ci fa lui qui?

William, che aveva previsto quella reazione, si frappose tra Kevin e un iroso Nathaniel. I piani semplici si rivelano spesso i migliori: era stato sufficiente supplicare Nate di dargli in privato qualche dritta per riconquistare la Weil per riuscire a metterlo faccia a faccia con l’amico che si ostinava ad ignorare.

–Ho chiesto di vederti. Non ho mai specificato che saremmo stati soli. Avanti, su, fate pace, che l’aria fosca e tormentata non vi dona!

–Te lo scordi! Andate a cagare!

Fece per allontanarsi, ma Kevin lo trattenne per un lembo della giacca, pregandolo di restare.

–Mi dispiace, Natie. So di averti ferito. Avrei dovuto dirti qualcosa di così importante, non lasciare che lo scoprissi in quel modo. Tu, però, devi comprendermi.

Da furioso qual era, Nathaniel si imbestialì: ancora una volta, Kevin aveva provato di essere il degno gemello di Kimberly. “Egocentrici del cazzo, tutti e due!”

–No!- ruggì, spingendolo via con violenza. –Non meriti comprensione, pezzo di merda!

–Adesso stai esagerando, Nate!- lo rimproverò William, sinceramente in pena per l’amico, che forse aveva sbagliato, ma non meritava un simile trattamento.

–Stanne fuori, colonico, o ne uscirai con qualche pezzo in meno!

Nonostante le migliori intenzioni, a quelle parole anche William perse la pazienza; arpionò Nathaniel per il bavero della giacca e ringhiò –Osi minacciarmi, razza di…

La situazione era sull’orlo del precipizio, ma un intervento esterno fermò il degenero: i due litiganti ebbero appena il tempo di scorgere una figura femminile correre giù per le scale, prima di essere scaraventati in direzioni opposte.

Entschuldigung7- ansò la dea ex machina, immobile con le braccia tese in una posa plastica da Power Ranger. –Tutto questo testosterone nell’aria deve avermi dato alla testa.

 

***

 

–Aero. Il tuo preferito, se ricordo bene.

Frida, appoggiata alla balaustra delle scale esterne della scuola, sollevò la testa dal giornale che stava scrollando sul cellulare e si girò verso Kimberly, impalata dietro di lei col braccio teso nell’atto di porgerle un dolcetto. Allungò una mano e lo afferrò, rigirandolo tra le dita prima di scartarlo e staccare un morso.

–Ricordi bene. Adoro la tua gentilezza interessata, ha un sapore celestiale. Cosa ritieni di doverti far perdonare, stavolta?

Incapace di reggere quello sguardo glaciale, Kimberly spostò il suo sulle scarpe, e rispose –Sono stata un’amica di merda, e una sorella ancor più di merda.

Con il solito tatto, Frida asserì –Vero. Per quanto mi riguarda, un Aero è un prezzo equo per il mio perdono, ma non so se Kev sarà dello stesso parere.

–Perché?

–Secondo Liam, psicologo in erba, la tua freddezza nei miei confronti era dettata dalla gelosia: temevi che Nate potesse preferirmi a te. Per questo l’hai lasciato: non sopportavi l’idea di essere scaricata. Una stupidaggine tutto sommato veniale. Con Kev è diverso: per arrivare a non parlarvi dev’essere successo qualcosa di grave.

–Puoi dirlo forte! Dopo la partenza di Kaori avevamo promesso che tra noi non ci sarebbero stati segreti, eppure ne ha mantenuto uno enorme!

–La sua omosessualità?

Kimberly, basita, emise qualche verso gutturale, prima di riuscire ad articolare una frase.

–Lo sapevi?

–Avresti potuto accorgertene anche tu: le occhiate di fuoco che scoccava a Connor Drew l’anno scorso erano palesi.

–Lo sapevi e non me l’hai detto?

–Non ne avevo il diritto. La decisione spettava a Kevin, che non mi ha mai autorizzata a divulgare la cosa.

–È mio fratello!- latrò Kimberly.

–È mio amico- replicò impassibile l’altra. –Mi mozzerei la lingua, piuttosto che tradire la sua fiducia. Al posto tuo, comunque, invece di piagnucolare, mi chiederei perché Kev non si sia confidato, e la ragione è semplice: paura. Di deluderti, di perderti. La tua famiglia non ha dei precedenti molto rassicuranti con chi deraglia dai binari. Pensa a Kaori!

La menzione dell’amata quanto odiata sorella portò Kimberly sull’orlo delle lacrime: Frida aveva affondato il coltello in una ferita che, nel profondo, non aveva mai smesso di sanguinare.

–Vaffanculo! Mi odi e basta, o ci sono altre ragioni per essere così stronza?

–Ce ne sono diverse- replicò l’altra con la consueta flemma. –Ma odiarti non è inclusa. Vuoi che le elenchi tutte?

–Perché no? Comincia dalla più divertente!

–Sono in punizione. Di nuovo.

–Passare da una punizione all’altra ti pare divertente? È terribile! Cos’hai combinato?

–Niente di che!- si lagnò Frida. –Sono i miei ad essere diventati di botto due bacchettoni! Ho indagato alle loro spalle, nonostante mi fosse stato espressamente vietato, nel corso delle indagini sono stata fermata dalla polizia al volante dell’auto meines Vaters - che natürlich avevo preso a sua insaputa - e sono uscita di casa in piena notte per una corsetta; non mi paiono crimini da pena capitale!

Allibita, Kimberly esalò –La larghezza delle maglie della tua morale non cessa mai di stupirmi.

–Aisling Carter è stata uccisa. Lasciare questo crimine impunito sarebbe un’offesa alla sua memoria- asserì Frida. –Non mi fermerò finché giustizia non sarà fatta. Meine Mutter und Tante devono solo provarci!

–Attenta: labile è il confine tra determinazione e ossessione. Sicura di non ostinarti soltanto per negare di esserti sbagliata, per una volta?- domandò l’amica.

Nein. Più vado avanti, più è evidente che sono gli altri ad essersi sbagliati.

–Scovare chi le ha tolto la vita non la riporterà indietro- ribatté Kimberly. –Il tuo unico risultato sarà di affliggere ulteriormente una famiglia in lutto. Ricorda cosa uscì dal vaso di Pandora: niente di buono.

–E tu ricorda cosa si trovava sul fondo del vaso: la speranza. Non credi che la consapevolezza di avere l’assassino dietro le sbarre aiuterà chi piange Aisling ad elaborare la perdita?

–Mi è stato detto che persino la speranza si può annoverare tra i mali del mondo, perché illude chi vi confida in un falso senso di sicurezza, per poi farlo precipitare nella disperazione.

–Tetra prospettiva. Chi è il corvo del malaugurio che ha partorito questo aforisma de-motivazionale?

–Il tuo “amico” William.

–È proprio un kantiano del cazzo!- soffiò Frida.

–Cosa?

–Niente, niente. Ah, vuoi che ti racconti qualcosa veramente divertente? Aidan si è rifatto vivo con me due notti fa.

–Per dichiararti amore eterno? Questo, sì, sarebbe esilarante!

Nein. Weil er ein Wichser ist.8

–Ehm… tradotto in termini comprensibili?

–Tuo cugino è un- Frida si guardò intorno e ridusse il volume della voce a poco più di un sibilo, prima di finire la frase. –Coglione. Si è cacciato in un bel casino: sperando in una giocata vincente con la sua bella ha usato la carta della pietà, raccontando in giro che è orfano di madre.

–Per lui è così- osservò Kimberly. –Puoi biasimarlo? Una “madre” del genere è meglio perderla che trovarla!

–Ehi, sono la prima a non considerare la menzogna un atto esecrabile sempre e comunque; alcune bugie sono più che necessarie, vitali! Però, se scegli di mentire, sii un attimo furbo: inventa una panzana realistica! La bugia perfetta è una mezza verità, lo sanno tutti. Difatti una ragazza, che oltretutto gli sta antipatica, ha scoperto il teatrino.

–Ahia! Suicidio sociale coi fiocchi! Immagino che il cuginetto si sia rinchiuso in casa!

–E qui ti sbagli- la corresse Frida. –I due sono addivenuti ad un accordo… piacevole per entrambi: diventare - Mein Gott, che espressione orripilante - trombamici. O scopamici. O quel che è. Il tuo caro cugino si è tolto lo sfizio e ora chiede consiglio a me su come scaricarla perché non ha le- abbassò ulteriormente il tono di voce –Palle per farlo da solo, der Schwachkopf9! “Aiutami, Frida, è come una droga per me”, cito testualmente. Dev’essere davvero disperato, per rivolgersi a me per una questione di cuore!

Kimberly non credette a una sola parola: suo cugino, da quando era cessata la cattiva influenza di Kaori, era diventato una persona fin troppo seria, quasi a voler compensare i passati eccessi.

–Se è uno scherzo, F, non è divertente. Stiamo parlando dello stesso AJ? Alto, biondo, occhialuto, con la testa tra i bosoni?

–Pensa anche ad altro, te lo posso assicurare- replicò Frida, ancora sotto shock per quella conversazione notturna ai confini della realtà. –Ah, ci tengo a mettere in chiaro che la mia reazione non è dettata da gelosia. È vero, ho sbavato dietro ad Aidan per anni, ma giuro che mi è passata. E comunque, se vogliamo mettere i puntini sulle “i”, io, a differenza sua, ho atteso pazientemente che si accorgesse di me! Che poi, dico io: non vuoi fare la vita del casto monachello in attesa che la dolcissima, bellissima, levissima Jodie ti noti? Ok. Non condivido, ma ok. Però, Cristo santo, proprio sua sorella devi scoparti?

L’utilizzo, da parte dell’amica, di un linguaggio triviale che normalmente aborriva avrebbe dovuto accendere una lampadina nella testa di Kimberly; sfortunatamente, così non fu: si limitò a scuotere il capo, per poi esclamare –È uno scherzo, dai! Non c’è altra spiegazione.

–Io l’ho vista, Kimmy! Con questi occhi! Ci ho anche parlato!

“–Aidan… è un reggiseno, quello?

Una eventuale risposta di Aidan, tra i balbettii inintelligibili, venne bloccata sul nascere dalla voce squillante di una terza persona, avvolta da un telo doccia, la quale afferrò il reggiseno trillando –Ecco dov’era finito!- poi, senza pudore alcuno, lasciò cadere l’asciugamano per indossarlo, suscitando la curiosità e l’invidia di Frida, che nemmeno tra un milione di anni sarebbe stata tanto a suo agio nell’esporre le proprie grazie.

Le due, squadrandosi con circospezione, domandarono all’unisono –Lei chi è?

Aidan, con l’aria di chi avrebbe preferito trovarsi in qualunque altro luogo nell’universo, avvampò mentre faceva le inevitabili presentazioni.

Mariposa, lei è Frida. Frida, Mariposa.

Negli occhi di entrambe balenò un lampo di comprensione.

La bombarola!- esclamò Frida.

La piccola Frida!- esclamò Mariposa. –Aspetta un momento: bombarola?

Aidan mi ha parlato di te… e di tua sorella- chiocciò la Weil con fare sornione, godendo nel constatare di essere riuscita a metterla a disagio. –So che ti piacciono le esplosioni.

Naturale: sono un chimico!- fu la laconica risposta di Mariposa, che si affrettò ad aggiungere –Tu, invece, sei una sorpresa: da come parla di te AJ, mi aspettavo letteralmente una piccoletta, senza...- passò la mano sulla regione pettorale in un gesto inequivocabile.

Protuberanze toraciche?- concluse per lei Frida, quindi sospirò e tradusse in parole una verità che per lungo tempo aveva tenuto relegata nel subconscio. –Aidan mi considera una sorella minore, prova per me del puro affetto fraterno, ci sta che mi abbia dipinta come una ragazzina.

Mariposa, sulla difensiva, incrociò le braccia sotto il seno e sbuffò, senza peli sulla lingua –Beh, io e il qui presente Aidan andiamo a letto insieme quando ci aggrada. Qualcosa in contrario, sorellina non consanguinea?

Intuendo di trovarsi di fronte una giovane donna intelligente (quasi) quanto lei, per cui le insinuazioni non l’avrebbero portata lontano, Frida decise di giocare a carte scoperte.

Assolutamente no- asserì Frida. –Se a te sta bene andare a letto con uno scarto di tua sorella…

Ehi!- protestò il diretto interessato, azzittito istantaneamente dalle altre due.

Chiudi il becco, tu!”

–Magari era una collega dell’università- obiettò Kimberly, decisissima a negare che AJ potesse avere una vita amorosa e sessuale. –Al MIT non lavorano soltanto uomini.

–C’era il suo reggiseno sul divano. Molto grazioso, tra l’altro; devo cercarlo su Amazon.

–Bene, bene, bene. Alla fine, AJ si è dimostrato il degno figlio di zio Brian!

–Brian non si lascerebbe sfuggire una così. Davvero, la cosa che mi fa più rabbia è che questa chica latina è un pezzo da novanta, come direbbe mia nonna Irving: brillante, ha buon gusto in fatto di intimo - non come me - e, ciliegina sulla torta, a occhio e croce ha la mia, uhm, metratura di davanzale. Il tuo caro cugino, però, si è incaponito nel voler troncare con lei. Solo, povera stella, non ci riesce perché, a quanto pare, la bombarola è una bomba a letto… e lui dopo il sesso lavora di più e meglio. Io non ho parole!

“–Per tua informazione, comunque, non sarebbe la prima volta. Testo sempre i pretendenti di Jo, in un modo o nell’altro: la sua incrollabile fiducia nel prossimo le ha già procurato abbastanza batoste- disse Mariposa. –Finora lui è il mio preferito, l’unico a cui affiderei di buon grado mi hermanita. Peccato che Jo sembri avere i paraocchi!- rise dell’espressione attonita di Aidan e aggiunse –Perché quella faccia?

È la cosa più carina che tu abbia mai detto di me.

Non è vero! Ti faccio un sacco di complimenti, soprattutto con mio padre!

Li fai al mio lavoro, non a me.

Il tuo lavoro non è forse un’estensione di te?

Quella sottospecie di bisticcio da vecchia coppia di sposi diede a Frida un appiglio per defilarsi.

Beh, è stato un piacere. Tolgo il disturbo.

Sì, brava, così io e l’inglese possiamo rimetterci all’opera. La strada per diventare i nuovi Curie è lunga!

Nuovi Curie? Presumo nel senso che vincerete due Nobel tu e uno lui, non che vi sposerete e avrete una figlia anche lei vincitrice di Nobel- ironizzò la Weil.

Mariposa piegò la testa di lato e sorrise.

Sai che ti dico? Mi piaci, piccola Frida. Spero di avere presto il piacere di conoscerti di persona.

È reciproco, bombarola”.

–Nemmeno io: cosa c’entra il sesso con la produttività?

–Non saprei, però comprendo le ragioni della sua oserei dire dipendenza: il sesso è un’ottima attività aerobica, riduce la pressione arteriosa, ha un forte potere analgesico e immunostimolante e favorisce il rilascio di ossitocina, dopamina ed endorfine- spiegò Frida in tono pratico da meteorologo televisivo. –Come una droga.

Kimberly per poco non le rise in faccia: i contorti meccanismi mentali con i quali la Weil tentava di razionalizzare tutto, di per sé risibili, risultavano ridicoli in quel contesto.

–Non capisco se li shippi o li schifi.

–Li shippo, natürlich! So riconoscere una coppia bene assortita quando ne vedo una. Sono o non sono la prole di Faith Asso di cuori?- Kimberly aprì bocca per farle notare che possedere un animo romantico e metà del patrimonio genetico di Faith non la rendeva automaticamente l’Asso di cuori 2.0, ma venne interrotta subito. –In realtà… sono delusa. È lui ad essersi involuto in un piagnucolone col cervello nei pantaloni, o sono io ad essermi illusa fosse diverso?

–Cambierebbe qualcosa per te?

–Credere alla prima ipotesi mi farebbe sentire meno idiota.

L’altra rise, e pronunciò luna delle frasi più sincere che avesse mai proferito.

–Terra chiama Frida: siamo tutti idioti in amore! Essere obiettivi nei confronti di chi ci piace non rientra nelle doti dell’essere umano, lo dimostrano ampiamente le mie paranoie su te e Natie. Eri stracotta di AJ, ovvio che per te fosse il principe azzurro! Sei stata fortunata a disintossicarti da questa infatuazione infantile, anche grazie a Will, prima di scoprire che il mio caro cugino è più simile al principe azzurro di Shrek 2 che a quello dei classici Disney!- fece un respiro profondo, prima di aggiungere –A proposito di Will: dagli una possibilità. Noialtri vi shippiamo tantissimo!

Frida, sul punto di replicare che era disposta a concedergli un’occasione, era lui a non volerla, si bloccò nell’udire la voce di Nathaniel Jefferson-Keynes.

–Non meriti comprensione, pezzo di merda!

Le ragazze si scambiarono un’occhiata attonita, prima di sporgersi dal ballatoio e assistere all’alterco tra Nathaniel, Kevin e William. Senza proferire parola, Frida si fiondò giù per le scale e con un balzo calò tra i due che stavano venendo alle mani, scaraventandoli a distanza di sicurezza.

Entschuldigung- boccheggiò. –Tutto questo testosterone nell’aria deve avermi dato alla testa- quindi si rivolse a Nate e aggiunse –Provo a indovinare: l’oggetto del contendere è l’orientamento sessuale del nostro Kev?

–Grandioso!- sputò questi. –L’unico coglione a non sapere ero io!

Dietro di lui, Kimberly si schiarì la gola e rispose –I coglioni vanno in coppia, amore. Sei in buona compagnia.

Leggermente ammansito, Nathaniel raggiunse la sua ragazza e la attirò a sé.

–Scusa, Kimmy. Dimenticavo che tuo fratello non ha mentito soltanto a me.

Incurante di contraddirsi, William intervenne in favore del primo amico che aveva trovato su suolo inglese.

–Sentite, capisco la vostra delusione, ma Kevin non vi ha mai mentito, solo… omesso delle informazioni. Non avete un briciolo di cuore? Lasciate almeno che si spieghi!

Piccata, Frida abbandonò momentaneamente il ruolo di giudice super partes.

–Omettere equivale a mentire- obiettò, ritorcendogli contro le sue stesse parole. –Omettendo qualcosa stai nascondendo la verità, che, per quanto cruda, è sempre preferibile- Nate eruppe in una risata trionfante, bruscamente interrotta da Frida, che con un elegante movimento della mano gli fece segno di tacere. –Ciononostante, in uno Stato di diritto, quale è il nostro, le controversie si risolvono civilmente. Sono d’accordo con Liam su un punto: Kev ha il diritto di esporre le proprie ragioni.

–La ragione è molto semplice: non sapevo come avreste reagito. Specialmente tu, Kimmy; avevo paura che l’avresti presa male e spifferato tutto a mamma e papà. Non voglio fare la fine di Kaori!

William rifletté che, effettivamente, la fantomatica sorella maggiore dei gemelli era una presenza, appunto, fantasmatica: eccetto Kevin, i Cartridge non parlavano mai di lei, e in casa non c’era una singola fotografia che la ritraesse, o altre testimonianze tangibili della sua esistenza. Si era spesso domandato il perché la famiglia l’avesse condannata a quella damnatio memoriae, ma non osava chiedere; dopotutto, si trattava sicuramente di una questione delicata, che non lo riguardava.

Lo sbuffò derisorio di Kimberly lo riportò bruscamente alla realtà.

–Davvero una finaccia, la sua: vive a Tokyo e frequenta la migliore scuola di manga del Giappone!

–È in esilio! Lo sai tu come lo so io!- ribatté suo fratello. –Ti pare normale che in cinque anni non sia mai tornata a casa, né fatta viva in qualche modo? Mai un biglietto per Natale, Pasqua, i nostri compleanni… niente!

–Beh, la sentono mamma e papà, ogni tanto- pigolò Kimberly con decrescente sicurezza. –Sta bene, è presissima dai corsi e dai lavori nel suo appartamento a Shibuya.

–Akihabara- la corresse Kevin.

–Come lo sa… l’hai cercata! Tu l’hai cercata! Mamma e papà ci avevano pregato di non farlo!

–E ti pare normale?- ruggì Kevin. –Io non sono come te, non ce la faccio a fingere che non sia mai esistita. Non m’importa cosa ha combinato, m’importa ancora meno cosa dicono mamma e papà; è mia sorella e la voglio nella mia vita!

–È anche mia sorella. Manca anche a me. Possibile non capisca? Non sono arrabbiata per ciò che hai fatto o...- si bloccò alla vista di un quartetto di ragazze, notoriamente pettegole. –Ci siamo intesi. Mi fa rabbia che, nonostante avessi promesso di non avere segreti con me…

–Mi dispiace, Kimmy. Davvero. Avevo paura di deluderti, e quindi perderti.

Ripensando alle tristemente vere parole di Frida (“La tua famiglia non ha dei precedenti molto rassicuranti con chi deraglia dai binari”), Kimberly decise di sotterrare l’ascia di guerra. Corse ad abbracciare il fratello, sentendosi un verme; le aveva chiesto scusa, quando a scusarsi avrebbe dovuto essere lei: l’aveva trattato male proprio quando aveva più bisogno di affetto.

–Anche a me, Kev. Mi dispiace di averti dato l’impressione che non ti avrei accettato. Sarò al tuo fianco, sempre.

–Auguri!- sbottò Nathaniel alle loro spalle, fulminandoli con lo sguardo. Appena ebbe gli occhi di tutti puntati addosso, aggiunse, con –Sì, sono ancora qui, e no, non intendo partecipare al quadretto familiare.

–Ti ho chiesto scusa, Nate! Cos’altro devo fare, fustigarmi? Incassare un pugno nell’occhio? Avanti, colpisci!

L’altro, in risposta, eruppe in una risata priva di allegria, seguita da un sospiro.

–Sei un pallone gonfiato, Cartridge! Proprio non ci arrivi? Mi hanno cresciuto due padri! Tra tutti, sono l’unico che, al cento per cento, non ti avrebbe mai discriminato. Perciò non rifilarmi la scusa patetica del “Avevo paura che di venire rifiutato, gne, gne, gne, gne!”: con me non attacca... e non me la merito.

Girò sui tacchi e si allontanò, sordo ai richiami degli amici.

–Merda!- soffiò William. –Mi dispiace, Kev! Non è andata come speravamo.

–Ho riguadagnato una sorella, è già qualcosa. Tranquillo, conosco il mio pollo- gli assicurò Kevin. –Raffreddati i bollenti spiriti, tornerà in sé.

Il fastidioso trillo della campanella li ricondusse tutti in classe. Da gentiluomo, William si fece di lato per lasciar passare Frida e, spinto da un insano desiderio di metterla a disagio, le si avvicinò per sussurrare al suo orecchio –Sei turbata per la ricreazione ad alto tasso di dramma, oppure hai fatto pensieri sconci su di me?

–Nessuna delle due- replicò lei senza tradire alcuna emozione, mostrandogli la pagina dei necrologi. –Mi turba che quel lombrico di Andrew Carter non abbia ritenuto necessario informarci che gli è morta la nonna!

 

Note dell’autrice

Forse avrei dovuto intitolare il capitolo: “L’ormonella”. XD

Scherzi a parte, spero sia trasparito il lato più… diciamo umano di Frida: è forte e sicura di sé, ma ha sudato per diventare così (vorrei approfondire il suo rapporto con Hans in un extra); e, per quanto si sforzi di apparirlo, non è perfetta, lo dimostra il maldestro tentativo di sedurre William. Anche lui, però, non scherza. Bella coppia di testoni, quei due! Ma li amiamo anche per questo, vero? Vero?

AJ, invece, come ha detto Kim si è rivelato degno figlio di Brian! A questo parte spontanea la domanda: spin-off su di lui sì o no? Let me know!

Noi lo sapevamo già, Andrew invece non riesce ad accettarlo: Aisling è stata uccisa. Resta da vedere chi è il colpevole. Che la nonnina stesse per confessare? ;-)

Infine, ripassino di diritto romano: la damnatio memoriae era una pena consistente nella cancellazione di qualsiasi traccia riguardante una determinata persona, come se non fosse mai esistita; si trattava di una pena particolarmente aspra, riservata soprattutto ai traditori e agli hostes, i nemici del Senato romano.

Ps: Frida una di noi! Anche lei shippatrice compulsiva!

Pps: Aero è una tavoletta di cioccolato soffiato; delizioso, garantisco!

 

1Non preoccuparti

2Cosa? Il coglione… in casa mia? Mai!

3Mio cugino ha ragione: non hai le palle.

4Esatto!

5 Hans! Hans, aiutami!

Che succede, cuginetta? Perché ti sei fermata?

Mi viene da vomitare.

Perché sei debole.

Non sono debole, soltanto stanca.

Sei stanca perché sei debole.

Non ce la faccio più! Non possiamo smettere, per oggi?

No! Devi resistere e allenarti, per diventare forte! E non metterti a piangere.

Perché le bimbe grandi non piangono?

Perché non ti conviene perdere altri liquidi dopo aver vomitato.

6Che sorpresa!

7Scusate

8No. Perché è un coglione!

9Imbecille

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** One step closer ***


Salve salvino!

Siamo vicini alla risoluzione del mistero, e mi chiedo quanti di voi avranno azzeccato l'identità del killer. Ormai di sospettati ne sono rimasti pochi! ;-)

Forza e coraggio, che il capitolo è lunghissimo! E ho pure tagliato un sacco di scene! In formato cartaceo, questa storia sarebbe poema! * facepalm * Vabbè, mi consolo pensando ai gialli/thriller da seicento e passa pagine.

Grazie, come sempre, a chi recensisce, a chi segue la storia e ai lettori silenziosi. Vi abbraccio virtualmente uno ad uno! * strizza con affetto *
 

One step closer

 

"Anche più dell’affinità delle loro anime, li univa l’abisso che li divideva dal resto del mondo".

Boris Pasternak

 

Affrontare il lunedì non è facile, specialmente se, come Faith, si è reduci da un fine settimana che definire movimentato è un eufemismo: non solo aveva dovuto recuperare Frida - la quale aveva sottratto di nascosto l'automobile del padre per perseguire un'indagine non autorizzata - da una stazione di polizia, era stata pure costretta a respirare la stessa aria di Cyril, l'uomo che l'aveva lasciata a pochi giorni dalle nozze, dato che i loro figli erano stati "pizzicati" insieme; infine, dulcis in fundo, aveva avuto una discussione parecchio animata con Franz. Certo, aver condiviso parte delle sue rimostranze con Frida le aveva dato un po' di sollievo, in virtù del classico principio "mal comune, mezzo gaudio"; tuttavia, l'essere stata rimproverata al pari della figlia diciassettene la inviperiva, impedendole di concentrarsi sul lavoro. Ciliegina sulla torta, aveva letto tra i necrologi (che spulciava al mattino per abitudine) il nome di Isobel Conworthy, e le si contorceva lo stomaco al pensiero che il cadavere non fosse stato sottoposto ad autopsia. Non che la ritenesse una morte omicidaria, ma da una donna piegata da così tante traversie - che quindi, con ogni probabilità, assumeva psicofarmaci - ci si poteva aspettare un atto anticonservativo, per i non addetti ai lavori: suicidio. Un esamino tossicologico non avrebbe guastato. Peccato che nessuno si fosse degnato di interpellarla.

Arresasi all'evidenza che senza un buon caffè e quattro chiacchiere non sarebbe riuscita a cavare un ragno dal buco, figurarsi terminare il referto dell'autopsia sul "Rifiuto Umano" numero quattro, si recò nell'ufficio dell'ispettore Serle Constable, moglie del fratello di Franz.

–Toc, toc! Si può?

–Tu puoi sempre- rispose la donna, invitandola ad entrare e chiudere la porta con un gesto eloquente. –A dirla tutta, stavo per chiamarti. Si tratta di...

Faith, stremata nel corpo e nello spirito, esalò –Non Frida, ti prego! Ne ho abbastanza!

Fortunatamente per la sua sanità mentale, non si trattava di Frida.

–Tranquilla, volevo semplicemente chiederti se ti va un caffè fuori da qui- dalla fugace strizzata d'occhio Faith intuì ci fosse sotto dell'altro, ma preferì non indagare: in certi ambienti, persino i muri avevano le orecchie. –Agente!- ruggì Serle nell'interfono all'indirizzo di un giovane poliziotto dal fisico muscoloso e i lineamenti duri, il quale nell'entrare rivolse un cenno di saluto e un mezzo sorriso a Faith, che ricambiò con calore. –La lascio a guardia del fortino. Disturbatemi soltanto in caso di vera urgenza, vorrei evitare che mi vada di traverso il caffé. Non ci metterò molto.

Jawohl, Mut... ehm, ispettore.

Serle lo fulminò con lo sguardo. Aveva proibito tassativamente di rivelare la loro parentela; certo, conoscendo la velocità a cui viaggiano i pettegolezzi, era probabile che tutti già sapessero, ma ciò non rendeva giustificabile alimentare eventuali malelingue pronte a gettare fango su di lei e Hans. Nulla avrebbe dovuto interferire con la sua promozione a ispettore capo, nè tantomeno con quella di suo figlio a detective.

Faith lo salutò con un entusiastico –Ciao, Hans. Non lavorare troppo, mi raccomando, o arriverai spompato al matrimonio!

Serle fu di tutt'altro avviso.

Deine Tante ist zu zärtlich. Non darle retta. Leg los, Schwächling1!

Sebbene consapevole che le parole di sua madre avessero il solo scopo di spronarlo a dare il meglio di sé, Hans non potè fare a meno di provare una punta di stizza: non sopportava di venire sminuito; conosceva il proprio valore, lottava ogni giorno con le unghie con i denti affinché fosse universalmente riconosciuto. Decise quindi di pregustare quello che, ne era sicuro, sarebbe stato il suo futuro: appurato che la via fosse sgombra, si accomodò sulla sedia girevole della madre; poi, per interpretare al meglio lo stereotipo del "capo", spinse indietro lo schienale e allungò i piedi sulla scrivania.

Stava godendo dell'inebriante sensazione di onnipotenza donatagli dalla esaltante prospettiva che un giorno quella sarebbe stata la sua sedia, quello il suo ufficio, e che la targhetta sulla porta avrebbe riportato il suo nome, quando bussarono alla porta. Dopo un iniziale spavento, Hans si ricompose, e intimò al misterioso qualcuno di entrare; fu sinceramente sorpreso di trovarsi davanti non uno dei galoppini della madre, bensì colei che a giugno, salvo imprevisti, sarebbe diventata sua moglie.

–Sonja!- esclamò mentre si precipitava a stringerla in una morsa affettuosa. –Was für eine tolle Überraschung2!

Sonja si lasciò travolgere dall'abbraccio, e posò un bacio delicato sul collo di Hans, sorridendo internamente nell'avvertire la cute piacevolmente calda e la pulsazione della carotide. Si scostò da lui quel tanto che bastava ad unire le loro labbra per un breve istante - troppo breve - prima di bearsi del sorriso smagliante che il suo Weil preferito riservava soltanto a lei (e pochi eletti, tra cui la cugina Frida; il che, di quando in quando, la rendeva preda del mostro dagli occhi verdi: il rapporto tra i due cugini, secondo lei, era ai limiti del morboso, ma si consolava pensando che non erano dei Targaryen e l'incesto, dopo un revival nella seconda metà degli anni '20 del ventunesimo secolo, non andava più di moda).

–La sorpresa l'hai fatta tu a me, futuro marito: non è l'ufficio di tua madre?

–Un giorno sarà mio- rispose lui con la consueta sfrontatezza. –Tanto vale che cominci ad ambientarmi. Per esempio, quel ficus lì nell'angolo... Raus!
Sonja eruppe nella risata argentina che Hans tanto amava, e sperava di udire ogni giorno fino all'ultimo dei suoi giorni. Come ogni Weil che si rispettava (escluso, per certi versi, suo padre Alexander) sotto uno spesso strato di ghiaccio (il "permafrost", per citare Faith) celava un cuoricino di morbida scioglievolezza, da rivelare esclusivamente a chi si fosse dimostrato degno: per suo padre, quella persona speciale era Serle; per Onkel Franz, Tante Faith; per lui, la sua Sonja, e per suo fratello Ernst (si sperava) Emma. Teneva le dita incrociate per il fratello di mezzo, Wilhelm - l'unico ad aver schivato, per quanto ne sapeva, le frecce di Cupido - e per Frida, affinché trovasse di meglio di quel Weichtier australiano.

–Pensa piuttosto a come arredare casa nostra!- lo redarguì scherzosamente (ma non troppo).

Jawohl, meine Führerin!- replicò Hans, mettendosi sull'attenti. –Ancora non mi hai detto di cosa devi parlare con mia madre.

La ragazza si passò distrattamente una mano sulla pancia, prima di rispondere –Oh, ehm... Niente di che. Cose da donne.

Lui, che subodorava bugie e mezze verità a un miglio di distanza, si accigliò per un istante, pronto a sottoporla ad un interrogatorio degno del KGB; tuttavia, prevalse l'istinto che gli suggeriva di non pressarla, perché avrebbe raggiunto l'unico risultato di farla chiudere a riccio.

–Intendi quella parte di preparativi in cui non voglio mettere becco?- non gli sfuggì l'evidente sollievo negli occhi di Sonja, e cambiò subito argomento. –A proposito di grandi eventi: dobbiamo uscire a festeggiare il tuo nuovo incarico! Stasera cena fuori, ho deciso!

Non ottenne l'effetto sperato: anziché rilassarsi ulteriormente, Sonja tornò a tendersi come una corda di violino, arretrò di qualche passo e, tenendo gli occhi fissi sul pavimento, borbottò –Oh, quello. Ecco, io... ho rinunciato.

Warum?- ruggì Hans, incredulo. –Eri così entusiasta! Non vedevi l'ora di partire!

Rossa in viso, con lo sguardo ostinatamente fisso sul pavimento a scacchiera, Sonja sospirò –Hong Kong non è dietro l'angolo, e l'idea di stare lontano da te per mesi... senza contare che dovresti accollarti il peso dell'organizzazione del matrimonio...

–Ehi! Così mi fai sembrare un fidanzato di merda! Credi mi piaccia l'idea di stare lontano da te? Ovviamente no! Però mi piace vederti felice, e poche volte ti ho vista più felice. Wenn du lächelst, lächle ich3. E poi non dirmi che hai riflettutto soltanto adesso su questi risvolti. Ti conosco, Sonja Dormer: non rinunceresti mai a un'occasione tanto ghiotta. Devono averti tolto l'incarico, immagino per assegnarlo all'ennesimo raccomandato immeritevole.

–C'è abbastanza marcio al mondo senza vederne dove non c'è, Hans. Ho chiesto io di venire esonerata- ribatté lei, passando di nuovo, inconsciamente, una mano sulla pancia. –Il Ministero degli Esteri potrà fare a meno di me per un po'. A volte bisogna scendere a patti con la realtà, e la realtà è che presto non sarò più in condizione di reggere trasferte tanto impegnative. Questione chiusa.

A dispetto delle parole di Sonja, per Hans la questione era tutt'altro che chiusa; sfortunatamente, nel momento esatto in cui stava per mandare al diavolo i buoni propositi di poco prima ed estorcerle la verità, un ragazzo sulla ventina, pallido e magro, bussò sullo stipite della porta, per poi varcare la soglia con circospezione. Aveva un'aria familiare, sebbene Hans non riuscisse a ricordare dove potesse averlo visto.

Sonja, incredula di un tale colpo di fortuna, si dileguiò alla velocità della luce, informandolo che quella sera avrebbero cenato con hamburger e insalata.

Frustrato dalla miriade di domande senza risposta che si avvicendavano nella sua testa, Hans compì uno sforzo sovrumano per non mandare al diavolo l'inatteso visitatore.

Guten Tag. Posso aiutarla?

–Oh, ehm, spero di sì- rispose titubante il ragazzo. –Scusi, è solo... ecco, credevo che Serle fosse un nome da donna, e... non è un po' giovane per essere già ispettore?

–L'ispettore Constable è momentaneamente fuori sede. Può riferire a me, se vuole. Sono l'agente Weil. Hans Weil.

–Weil? Come Frida Weil?- esalò l'altro, sconcertato nell'apprendere il cognome dell'agente, a lui (tristemente, a suo parere) noto.

Hans, intrigato dalla piega che stava prendendo la situazione, curvò le labbra in un sorriso enigmatico da fare invidia alla Gioconda e lo invitò ad accomodarsi.

–Frida è mia cugina. Prego, siediti - posso darti del tu, vero? A occhio e croce, sei coetaneo di mio fratello, mi suona innaturale darti del lei - e raccontami tutto.

 

***

 

Seccata dalla combinazione letale di traffico cittadino e mutismo ostinato di Faith, Serle sbuffò –Stiamo giocando al gioco del silenzio a mia insaputa? Coraggio, cognata, non tenerti tutto dentro, sputa il rospo: l'ultimo che ho visto con un'espressione identica alla tua sta scontando una condanna a vita per omicidio!

La Irving distolse lo sguardo dalla strada e, dopo una fucage occhiata allo stato della manicure, si girò verso Serle e sospirò –Sono solo stanca. Sai, ieri è tornato Franz, e...

–Aha!- esclamò l'altra, trionfante. –Immaginavo c'entrasse lui col tuo malumore. Avanti, non farti pregare, confidati! Nessuno meglio di me sa cosa significa avere in casa un esemplare di maschio Weil... ne ho ben quattro!

Segretamente lieta di potersi sfogare con qualcuno in grado di comprenderla pienamente, Faith assunse una postura meno rigida e ridacchiò –Io soltanto uno, ma in compenso ho l'esemplare femmina. Che culo!- salvo poi pentirsenene. –Oddio! Cosa mi salta in mente! Così sembro una madre degenere che odia sua figlia!

–Non vergognarti- asserì Serle. –Abbraccia la tua natura e unisciti al club!

–Il club delle madri degeneri?

–Esatto!

–Non sono una madre degenere!- protestò Faith, indignata.

–Sì che lo sei! Come lo sono io- replicò Serle. –Per gli standard delle mammine perfettine siamo degli esseri indegni del grande dono che ci è stato concesso, perché non ci siamo sacrificate sull'altare della prole. E, crimine ancor più terribile... non siamo pentite. Ti sfido a contraddirmi!

–Ogni tanto mi faccio prendere dai sensi di colpa, a dire il vero- ammise Faith distogliendo lo sguardo. –Mi domando se e dove ho sbagliato con Frida; le altre mamme con le figlie condividono sedute di shopping e trattamenti estetici, io il mio lavoro. Che poi è il motivo per cui ho litigato con Franz. Secondo lui, sono eccessivamente "fuori dagli schemi" e a causa mia Frida è fuori controllo.

–No, guarda, meno male che non ce l'ho davanti, altrimenti l'avrei divorato vivo: come si permette di addossare ogni responsabilità a te? Ammesso, e non concesso, che Frida sia ingestibile come la dipinge: lui, in tutto ciò, dov'era? La figlia è anche sua, ha contribuito anche lui alla sua educazione, perciò ha poco da fare lo spiritoso! Senza contare che Frida non mi pare fuori controllo, solo estremamente vivace, un po' come Hans- obiettò Serle. –Ecco, se c'è qualcuno che potresti accusare di averla traviata, è mio figlio.

–Non l'ha traviata- rifletté Faith con un mezzo sorriso enigmatico che suscitò la perplessità dell'altra. –L'ha plasmata a sua immagine e somiglianza; un gioco da ragazzi: sono fatti della stessa pasta. Dico sul serio: non so di quale materia sia composto l'essere umano - sogni, come sosteneva Shakespeare, o meramente carne e sangue - ma ti assicuro che quei due sono fatti di una materia diversa.

–Poco ma sicuro. Capisco cosa stai passando perché ci sono passata. Io e Alexander siamo stati richiamati più volte per Hans che per gli altri due messi insieme! Non ricordo se te l'ho già raccontato - nel caso, mi scuserai - ma quando aveva sette anni - sottolineo, sette - Hans disse a un suo compagno di classe che l'aveva spintonato: "tua mamma porta scarpe col tacco, la mia una pistola. Chi credi sia più pericolosa?"

–Sì, me lo avevi raccontato. Non male. Rilancio con: a otto anni - sottolineo, otto - mia figlia picchiò a sangue un ragazzino di dieci e, nonostante io e il padre l'avessimo costretta a chiedere scusa, non si pentì minimamente perché, e cito: "il mondo è un posto meraviglioso; chi tenta di rovinarlo merita una punizione".

–Non male neppure la tua, ma ho un asso nella manica: a dodici - sottolineo, dodici - anni Hans ruppe il naso e due denti a un ragazzo di sedici; poi, per il gusto di umiliarlo, mentre era a terra dolorante gli rubò il coltello.

–Oh, quello che ha dato a Frida dopo che a soli quattordici anni mise al tappeto da sola - sottolineo, da sola - quattro ragazzi maggiorenni! Roba di cui andare orgogliosi!

–Ehm- esalò Serle, che iniziava a sentirsi in imbarazzo. –E se ammettessimo di avere due figli "particolari" e la chiudessimo qui?

–Particolari quanto vuoi, ma devi ammettere che avevano delle ottime ragioni per fare quel che hanno fatto- obiettò Faith, ergendosi ad avvocato del diavolo. –Il sedicenne pestato da Hans aveva tirato fuori la lama per minacciarlo. Cos'avrebbe dovuto fare, lasciarsi affettare come un roast beef? Quanto alle testine di cazzo picchiate da Frida, al di là dell'essere testine di cazzo, erano dei bulli; e, sebbene a suo tempo abbia dovuto recitare la parte del genitore responsabile e pacifista, concordo con lei su una cosa: i bulli comprendono un solo linguaggio; malmenarne alcuni per educarli tutti non è poi così sbagliato. Qui lo dico e qui lo nego, naturalmente.

–Naturalmente- ripeté Serle, pensando tra sè e sè che adesso capiva cosa Franz avesse visto in quella donna tanto dolce e tranquilla... perlomeno all'apparenza.

–È questo che non riesco a far capire a Franz: quando Frida ha un piano - e, fidati, ha sempre un piano - va lasciata a briglia sciolta, libera di sbagliare e imparare dai propri errori. Non le si può strappare l'osso di bocca, una volta che l'ha addentato; lo mollerà spontaneamente se, e soltanto se, sbatterà di faccia contro la dura realtà. Prendi il caso Carter!

Serle emise un risolino poco rassicurante, prima di confessare –Ecco, a questo proposito... Frida potrebbe, ecco, non avere tutti i torti.

Faith strabuzzò gli occhi: non era possibile. Quel decesso era accidentale, punto! Non poteva essersi sbagliata, non in maniera così eclatante!

"Ho esaminato accuratamente la salma e la scena, cazzarola! No, no, no! Non posso essermi sbagliata. Mi rifiuto di crederlo!"

–Cosa ti ha fatto cambiare idea?- chiese.

–Non cosa. Chi- rispose sibillina Serle. –Ah-ah! Spiacente, voglio tenerti un po' sulle spine. Tanto so che non ti spiace: adori la suspance!

"Non se c'è in ballo la mia credibilità, testa di merda!"

–Se è uno scherzo, non è divertente.

–Rilassati, F! Pensa che, seppure venisse a galla che qualcuno ha effettivamente seccato la Carter, tu avresti più chance di me di uscirne pulita: il tuo compito è stabilire, nei limiti del possibile, epoca, causa e mezzi del decesso, che in quel particolare caso sembravano evidentissimi. Quale persona sana di mente penserebbe a un omicidio per precipitazione? È rarissimo! Senza contare le testimonianze delle "bizzarrie" della ragazza e la tradizione di quella famiglia di matti di non morire di vecchiaia. Se c'è qualcuno che in questa storia ha le spalle coperte, sei tu. Sono io a dovermi preoccupare: un passo falso, e addio promozione!- interruppe sul nascere l'ovvia richiesta di spiegazioni da parte di faith, e aggiunse –Ci siamo. Mentre cerco parcheggio, entra pure. Ah, ordinate quello che volete, offro io!

–Ordinate?- ripeté la Irving in un sussurro quasi impercettibile, per poi scrollare le spalle e mettere piede nel piccolo quanto accogliente baretto indicatole da Serle. I pochi avventori, per la maggior parte studenti, chini sui libri o affacendati con i propri dispositivi portatili, non fecero caso a lei; tranne uno, il quale, al contrario, agitò il braccio con entusiasmo, in un tacito invito a raggiungerlo.

–Bene, bene, bene- disse mentre prendeva posto. –Il mio nipote criminale informatico!

Komm schon, Tante4! Non ce l'avrai ancora con me per quella quisquilia dell'hacking!

–Ma no! Cosa vuoi che sia un attacco informatico al MIO computer? Spero almeno abbia trovato quel che cercava Frida.

–Sì. Oltre a roba che mi ha procurato nausea e incubi per una settimana. Ernsthaft, Tante5, come riesci a dormire la notte?

–Così impari a sbirciare tra i file di un medico legale- sibilò Faith, ancora risentita per "quell'indegno attacco alla privacy". –Spero almeno che mia figlia ti abbia pagato.

–Non abbastanza. La prossima volta le chiederò moneta sonante, altro che tacos!

–Confido non ci sarà una prossima volta. Tua madre si è spesa a sufficienza per coprirti. Allora, di cosa si tratta, stavolta? L'ennesima malefatta digitale?

–Sto rigando dritto, Tante, giuro! Voti eccelsi e hacktivismo ridotto al minimo in cambio della fedina penale pulita; erano questi gli accordi. Ho fatto un'eccezione per Frida perché è della famiglia, e per un Weil la famiglia è tutto.

–Quanto vorrei crederti, Ernst! Ma, se fosse vero, a quest'ora dovresti essere a lezione.

Gut gesagt, Tante6: dovrei- replicò placidamente il ragazzo, passandosi le mani nella chioma. Faith non riuscì a trattenere un risolino nel vederlo faticare a districarle: a differenza dei fratelli, Ernst aveva ereditato i capelli del padre, un groviglio dorato refrattario al pettine, tanto che una volta gli aveva proposto ironicamente di provare con un rastrello. –E ci andrò, promesso; ma prima... ho un regalino per te e Mutti.

Memore della conversazione con Serle, la Irving sbuffò –Fammi indovinare: un indizio per il presunto caso Carter? Hai hackerato i computer della famiglia su richiesta di Frida, scoprendo i loro sporchi segreti?

–Sarebbe stato divertente, ma no- ammise candidamente Ernst, estraendo da una tasca del giubbotto la chiavetta USB consegnatagli da Hans pochi giorni prima. –La mia sveglissima cuginetta mi ha risparmiato la fatica. È davvero in gamba, Tante, dovresti esserne orgogliosa.

–Siete entrambi in gamba, ciascuno a suo modo- chiocciò Faith. –Il problema è come usate i vostri talenti.

Ernst, seppur lusingato, si protese in avanti, poggiò il mento sulle mani incrociate e disse –Vi cagate sotto al pensiero che possa avere ragione, eh? Fate bene. Ma non preoccupatevi, sono qui per questo.

 

***

 

"–Warum das traurige Gesicht, Cousinchen?

Nonostante la nuvola nera del malumore sopra la testa, a Frida scappò un mezzo sorriso. Wilhelm ed Ernst mettevano qua e là parole in tedesco nelle frasi per atteggiarsi a gran fighi; lei e Hans erano gli unici della nuova generazione a parlarlo correntemente. Le era sempre piaciuta questa cosa, rendeva il loro rapporto ancora più speciale.

Darf ich nicht traurig sein?

Voleva solo essere lasciata in pace a meditare su quanto fosse ingiusta la vita. Hans, invece, la sconvolse con un atto inconsulto: un abbraccio, affettuoso quanto saldo, tanto da farle temere che qualche costola non avrebbe retto.

Du bist zu jung, um traurig zu sein.

Gibt es ein Alter, um traurig zu sein?- replicò Frida, passata in un nanosecondo dalla misantropia alla ricerca di uno scontro, verbale o fisico che fosse, per sfogarsi.

Hans, che aveva intuito le sue intenzioni, rispose –Kinder sind normalerweise fröhlich und sorglos. Und vor allem hasse ich es, dich weinen zu sehen. Sag es niemandem: du bist mein Lieblingsmensch auf der ganzen Welt.

Und du meine- celiò Frida, serrando la presa con le sue braccine da seienne.

Lügnerin- la riombeccò Hans. –Sogar die Wände wissen, dass du eine Schwäche für Aidan hast!

Dovette sforzarsi fino allo stremo per non scoppiare a ridere: alla menzione del piccolo cartridge, Frida aveva gonfiato le guanciotte - già adorabilmente paffute - e si era colorata di rosso dalla testa ai piedi. Uno spettacolo impagabile.

Es ist anders!- esclamò, sbattendo i piedi, le mani chiuse a pugno. Ich liebe euch beide, aber anders. Du bist mein Cousin, er nicht.

Wenn ich also wirklich deine Lieblingsperson bin, musst du mir sagen, was falsch ist. Sofort!

Hast du dich je hilflos gefühlt? Ich fühle mich immer so, wenn diese Bastarde meinen Freund ins Visier nehmen. Ich möchte ihnen eine Lektion erteilen, aber kann nicht. Und jetzt redet er davon, die Schule zu wechseln.Ich kann es nicht ertragen, meinen besten Freund wegen dieser Idioten zu verlieren.

Soll ich ihnen eine Lektion erteilen?

Frida rifletté a lungo, prima di rispondere. Da un lato, la tentava chiedere aiuto ad Hans: era più grande, praticava arti marziali e aveva pochi scrupoli morali; non avrebbe avuto remore a pestare come sacchi da boxe i bulletti che tormentavano Nate per il solo fatto di essere allevato da una coppia omosessuale. Tuttavia, chiedergli aiuto avrebbe significato alzare bandiera bianca, e lei non era tipo da arrendersi tanto facilmente.

Danke, aber nein danke- asserì risoluta, lasciando di stucco il cugino, impressionato da cotanta determinazione. Das ist mein Kampf. Aber du könntest mir Waffen zu Kämpfen geben.

Inwiefern?

Ich bin nicht stark genug, um mich ihnen zu stellen. Ich flehe dich an: trainiere mich! Mit deiner Hilfe werde ich nie wieder schwach sein.7"

Emise un lungo sospiro mentre giocherellava con la penna. Hans l'aveva illusa che temprare lo spirito e il corpo le avrebbe donato una corazza impenetrabile; i recenti avvenimenti avevano dimostrato che si sbagliava. Il mito di Achille insegna: nessuno è invulnerabile.

Il suo tallone aveva nome e cognome, e, in quel preciso momento, si stava appropinquando furtivamente alle spalle di Frida, assorta nel proprio personale flusso di coscienza; una volta certo che non si fosse accorta di lui, si chinò per sussurrarle all'orecchio –Chi è l'oggetto dei tuoi pensieri sconci, io o Aidan?

Frida sussultò sulla sedia e si girò di scatto, rossa come un pomodoro maturo, furente con lui, ma soprattutto con se stessa per avergli permesso di coglierla di sorpresa e di farla sentire costantemente insicura.

"Verdammter Scheiβkerl!8"

–Hans.

Pungolato da un'inspiegabile fastidio, William soffiò –Tuo cugino Hans?

–Siamo parenti? L'avevo dimenticato! Oh, e sta pure per sposarsi. Sono proprio una donna amorale!- rispose lei con gelido sarcasmo. –Senti: invece di sprecare energia e neuroni in una scenata di gelosia ai limiti del ridicolo, che ne diresti, già che siamo qui, di tirare le somme del caso Carter? Sempre che tu sia ancora interessato a qualcosa che non sia infilarsi nelle mie mutande.

Per il puro gusto di metterla a disagio, William si accomodò accanto a lei, premurandosi di poggiare una mano sul ginocchio mentre prendeva posto. Adorava vederla arrossire a causa sua.

–Le tue mutande sono un crimine contro l'umanità, Weil. Più che infilarmici, vorrei metterle al rogo!

–Allora ti farà piacere sapere che ho ordinato una caterva di lingerie frou frou, approvata da Kimmy. Non che tu abbia speranza di vederla, dopo quello che mi hai detto sabato.

Senza scomporsi, William replicò, malizioso –Mi permetto di dissentire. Non hai negato di avere fantasie sconce su di me in assoluto; ne deduco che non qui, non ora, ma ne hai. Meglio così: mi stuzzica l'idea di tenerti compagnia la notte; comincia a far freddo.

La rabbia che pervase Frida risvegliò Zelda, assetata di una violenta vendetta.

"Afferralo per il colletto di quella camicia spiegazzata e fallo volare dall'altro capo della stanza. Mostragli cosa accade a chi osa contrariare Frida Zelda Weil!"

"Non posso!", pensò Frida. "Violerei il codice di Hans, e... rischierei l'espulsione".

"Scheiß auf die Konsequenzen!9", ruggì Zelda. "Gewalt macht frei!"10

Sebbene titubante, Frida riuscì a reprimerla e asoltare la voce della coscienza. Rilassò le mani, strette a pugno, e scosse il capo, sorridendo: forse ci sarebbe stato un giorno in cui avrebbe ceduto agli impulsi violenti che squassavano il suo animo, ma non era quello il giorno.

–Non ti arrendi mai, eh? Apprezzo la tenacia, meno il ricatto ormonale.

–Fino a prova contraria sei tu a ricattarmi, Weil. Comunque, io non demordo: prima o poi comprenderai che per uno stupido capriccio mi e ti stai negando qualcosa che vogliamo entrambi. Noi due siamo come lo Yin e lo Yang di un taijitu: presi singolarmente siamo eccezionali, insieme … rasentiamo la perfezione. Ammettilo.

–Non l'ho mai negato- ribatté lei. –Presumo ti sia familiare la teoria di Gardner delle nove classi di intelligenza. Ho intuito ben presto di essere particolarmente dotata in cinque su nove; nelle altre sono, ahimè, terribilmente carente. Quando mi dicesti, quel giorno in metropolitana, che le relazioni interpersonali non sono il mio forte… detesto riconoscerlo, ma avevi ragione! Tu, invece, sai come rapportarti agli altri, sei dotato di un’empatia che io non avrò mai e che può tornarmi utile. Perché sceglierti come socio, altrimenti?

–Lo vedi che ci incastriamo alla perfezione, Weil? Allora perché ti ostini a condannarci all'ascetismo stile Jedi?- sospirò teatralmente William, esibendo un'aria mesta da manuale. –Prova a fare una volta la "bestia a due schiene" con me, non te ne pentirai- le propose, ridacchiando della sua reazione indignata. –Uh, la, la! Che faccia! Stai morendo dalla voglia di colpirmi, vero? Te lo leggo negli occhi.

–Vorrei, ma non posso- ammise la ragazza. –Che tu ci creda o no, ho anch'io un codice morale. La violenza è giustificata soltanto se finalizzata a difendere sé o altri.

–Fammi indovinare: un consiglio paterno?

Nein. Uno dei tanti insegnamenti di Hans.

A William tornò in mente come, alla stazione di polizia, Hans Weil avesse atterrato la cugina con una mossa degna delle migliori pellicole wuxia, ed era sul punto di rinfacciarle che quell'energumeno era il primo a disattendere i propri comandamenti, quando gli sovvenne che in quell'occasione era stata Frida ad attaccare per prima. Richiuse la bocca senza un suono, limitandosi a guardarla in cagnesco. Odiava essere nel torto.

–Posso farti una domanda?

–Tecnicamente, l'hai appena fatta- rispose Frida. –Ma te ne concedo un'altra. Spara!

–Kevin mi ha detto che al primo anno hai messo al tappeto quattro ragazzi dell'ultimo. È una balla, vero? Come la voce che ti ha reclutata l'MI-6!

Frida soffiò, le palpebre semichiuse in un'espressione di puro sdegno –Non mi reputi abbastanza in gamba?

William, resosi conto della gaffe, mise le mani avanti, sia figurativamente che letteralmente, ignaro di star precipitando dalla proverbiale padella nella brace.

–Certo che no! So che sei forte; però... ecco... sei comunque una ragazza. E che una tredici o quattordicenne abbia avuto la meglio in un quattro - maschi - contro uno... francamente, mi sembra poco credibile.

La secca replica della Weil lo lasciò basito.

–Tecnicamente, non era quattro contro uno.

–Ah, ecco! Lo sapevo che le tue gesta erano esagerate! Quanti erano in realtà? Uno? Due?

–No, no. Erano quattro di numero- si affrettò a precisare Frida, indignata come se avessero offeso sua madre. –Ma mi hanno attaccata uno alla volta; perciò, a voler essere pignoli, ho combattuto quattro incontri singoli, dai quali sono emersa vincitrice con qualche livido... e due giorni di sospensione- ridacchiò dell'espressione basita di William, e aggiunse –Ora, se hai finito con le domande inutili, passerei alla disamina dei fatti e dei potenziali sospettati con relativi moventi. Mi sono permessa di stilare uno schema dettagliato.

–Ecco cosa stavi scribacchiando a lezione!

–Precisamente. Nella prima colonna ho inserito i nomi dei sospettati, nella seconda eventuali moventi e nella terza gli alibi; in un riquadro a parte ho riportato un sunto degli eventi: Aisling Carter è stata ritrovata morta alle ore otto del mattino del 26 settembre. L'autopsia ha collocato l'epoca del decesso a sette-otto ore prima. Grazie a Lauren abbiamo avuto conferma che la sera prima è andata in Pronto Soccorso...

–La sua amica Nita l'ha portata in Pronto Soccorso- precisò William, fulminato sul posto da un'occhiataccia.

–Questo lo dice lei- rispose Frida, seccata per l'interruzione. –Adesso stiamo ripercorrendo i dati certi in nostro possesso, e le uniche certezze che abbiamo sono desumibili dal referto autoptico e quello di PS.

–Sì, beh, se ci basiamo sui soli fatti, non abbiamo granché su cui lavorare- obiettò William a voce un po' troppo alta, guadagnandosi svariati inviti a tacere.

–Hai ragione- acconsentì infine Frida, sollevata che il loro parlottare non avesse ancora procurato loro un biglietto di sola uscita dalla biblioteca. –Includiamo nell'analisi anche le dichiarazioni che abbiamo racimolato. Il teorema di Belzebù ci permetterà di valutare l'attendibilità della fonte- rimase sorpresa, e altrettanto delusa, nel constatare che il suo socio ignorava di cosa stesse parlando. –Il teorema di Belzebù, Liam! Non posso credere che tu non lo conosca!

–Illuminami.

–Per valutare l'attendibilità di un dato, bisogna sempre accertarsi se la fonte abbia qualcosa da guadagnarci o da perderci. Esempio classico: crederesti a un religioso o a un ateo, se ti dicessero di aver visto Belzebù?

–Consiglierei a entrambi un giretto in psichiatria.

–E' un discorso ipotetico, Liam! Il concetto è: dovresti credere all'ateo, perché ammettere di aver visto un demone andrebbe contro il suo... non credo, diciamo così; avendo da perderci, si può ragionevolmente supporre che, prima di parlare, abbia vagliato ed escluso altre ipotesi.

–Ok. Peccato che nel gran casino che è la morte di Aisling nessuno, a conti fatti, avesse da perderci: Andrew e i vecchi si sono liberati della sua ingombrante presenza, Nita di una pretendente non corrisposta e Alex di una stronza che la manipolava per illudersi di aver coronato il suo sogno d'amore con la sorella di lei. Ergo, tutti possono aver mentito. Prendiamo Nita: mica l'ha detto alla polizia che Andrew era alla villa quella notte! Potrebbe aver mentito sulla sua presenza lì per assicurare a entrambi un alibi, perché lo ama.

–Andrew ha confermato di averla vista, ammettendo di essersi recato lì per eutanasizzare - si dice così? - Aurora. Chi mentirebbe su una cosa del genere?

–Qualcuno molto furbo e senza scrupoli.

–Furbo e senza scrupoli: il ritratto di Andrew Carter!- scherzò Frida. –Senza offesa, eh! Avrà altre doti. Ad ogni modo, è l'unico che mi sento di escludere... al 90%. In tutta sincerità, dal memoriale ho puntato i riflettori sui nonnini; non sono innocenti come vorrebbero apparire. Mr. Conworthy si è comportato in modo molto strano: frugava in camera della defunta nipote e, quando Andrew l'ha beccato, ha provato a giocare la carta della senilità; peccato fosse lampante che la vecchiaia non ha ancora avuto la meglio sul suo cervello. Col senno di poi, mi sono convinta stesse cercando ciò che io ho trovato.

–La USB?

–Esatto. Anche se, per nostra fortuna, credo non sapesse bene cosa cercare: mia onesta opinione, pensava si trattasse di un oggetto analogico. Resta da scoprire se vuole coprire le sue tracce o quelle della moglie.

–Si accettano scommesse!- ironizzò William in un maldestro tentativo di stemperare la tensione; gli bastava lo stufato a pesargli sullo stomaco. –Uh, c'è qualcosa che vibra, qui. Weil birichina!

–E' il cellulare, Dummkopf!- sibilò lei, avvampando, prima di correre fuori dalla biblioteca.

Al suo ritorno era ancora rossa in viso, ma non per l'imbarazzo: ardeva di eccitazione. Sentendosi particolarmente ispirato, William estrasse dalla borsa l'album da disegno e modificò l'ultimo ritratto della Weil in versione guerriera fantasy, aggiungendo fiamme stilizzate nelle iridi e un paio di nere ali da drago.

Toll!- commentò Frida, materializzatasi al suo fianco, facendolo sobbalzare. –Du hast wirklich Talent!

–Se non sbaglio, dicesti lo stesso quando ci parlammo per la prima volta. Traduzione?

–Il disegno è figo e tu hai del vero talento.

Vielen Dank- la ringraziò William, che a furia di frequentarla aveva appreso qualche parola in tedesco. –Stavolta, però, lo tengo io- ignorò il broncio di lei e chiese –Allora, quale dei tuoi ammiratori ha osato disturbarti?

–Hans- rispose Frida. –Prima che spari einen Schwachsinn11 delle tue: siamo ancora cugini. Se non hai altro da obiettare, ti annuncio una notizia che definire bomba è poco: poco prima di trapassare, Isobel Conworthy ha telefonato al nipote e... rullo di tamburi... gli ha rivelato che Aisling non si è suicidata!

–Vuoi dire che...

–Per tutto questo tempo io ho avuto ragione e la polizia torto. Beccatevi questo, Mutti und Tante!

Presi da incauto entusiasmo, i due eruppero in manifestazioni di giubilo eccessivamente rumorose, suscitando l'ira funesta dell'implacabile bibliotecaria, che li afferrò per il bavero della giacca e li trascinò fuori al grido di –Sparite, disturbatori!

–Ehi! Non si trattano così gli studenti!- le ringhiò dietro Frida, oltraggiata per l'assoluta mancanza di riguardo; nessuno, prima d'ora, le aveva sbattuto una porta in faccia. –Nur zur Info12, Fräulein Rottermeier: saremmo andati via tra poco. Abbiamo del lavoro da fare.

 

Note dell'autrice

La risoluzione del mistero si fa sempre più vicina; in teoria si sarebbero dovuti scoprire il colpevole e il movente in questo capitolo, ma come al solito mi sono lasciata prendere la mano e ho assecondato i miei personaggi. Quando mi sono accorta di essere arrivata a venticinque pagine, ho deciso di mettere il punto e tranciare di netto il capitolo, spostando nel prossimo la "missione sotto copertura" di Kevin e le conseguenze del tradimento di Ernst.

Spero di non avervi annoiato, ma nel dubbiodi riuscire o meno a scrivere l'extra sull'infanzia di Frida, ho pensato di inserire qualche flashback qua e là, in modo da chiarire quanto siano legati lei e Hans.

Info tecnica: i film wuxia sono, banalmente, i film di arti marziali.

1Tua zia è troppo tenera. Datti da fare, smidollato!

2Che bella sorpresa!

3Quando tu sorridi, io sorrido.

4Andiamo, zia!

5Seriamente, zia

6Ben detto, zia

7–Come mai quella faccia lunga, cuginetta?

Non posso essere triste?

Sei troppo giovane per essere triste.

C'è un'età giusta per essere tristi?

Beh, i bambini di solito sono allegri e spensierati. Ma, soprattutto... detesto vederti triste. Non dirlo a nessuno: sei la persona che preferisco al mondo.

E tu la mia.

Bugiarda. Persino i muri sanno che hai un debole per Aidan!

E' diverso! Voglio bene a entrambi, ma in modo diverso. Tu sei mio cugino, lui no.

Allora, se davvero sono la tua persona preferita, devi dirmi cosa c'è che non va. Subito!

Ti sei mai sentito impotente? Io ogni volta che dei bastardi prendono di mira il mio amico Nate. Vorrei dare loro una lezione, ma non ci riesco. E adesso Nate parla di cambiare scuola. Non sopporto di perdere il mio migliore amico per colpa di quei deficienti.

Vuoi che dia loro una lezione?

Grazie, ma no grazie. Questa è la mia battaglia. Tu, però, potresti darmi le armi per combatterla.

Per esempio?

Non sono abbastanza forte per affrontarli. Ti supplico: allenami! Con il tuo aiuto non sarò mai più inerme.

8Dannato figlio di puttana!

9Al diavolo le conseguenze!

10La forza bruta rende liberi.

11Cazzata

12Per la cronaca

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Under pressure ***


 

Salve, utente di EFP. Tu non mi conosci, ma io conosco te. Voglio fare un gioco: se indovinerai a quali brani (celeberrimi) faccio riferimento nel capitolo, basandoti sui pochi indizi a tua disposizione, riceverai una pacca sulla schiena e una pioggia di dolci (o altri alimenti a tua scelta); altrimenti, la tua connessione salterà improvvisamente mentre stai guardando il finale di stagione della tua serie preferita. Vivere o morire (senza internet), fai la tua scelta.

Ok, scusate. Esco dalla modalità Jigsaw e torno una persona (semi) seria. XD

Innanzitutto, buone feste. Spero le stiate trascorrendo nel migliore dei modi. Io a casa con la famiglia, scribacchiando nelle pause dai parenti. Dovrei anche lavorare, ma non ne ho voglia. Stachanov, crocifiggimi!

Avrei voluto pubblicare uno speciale natalizio, ma un po' per mancanza d'ispirazione, un po' per casini vari (leggi: concorso andato male), quel progetto è morto prima di vedere la luce. * si inginocchia sui ceci *

Per accendere la vostra curiosità, una piccola chicca: uno dei personaggi presenti in questo capitolo (esclusi i protagonisti, ovviamente) avrà un ruolo cruciale nel sequel. ;-)

Ebbene sì: non so quando, se e come vedrà la luce, ma ho in mente una bozza di trama per la prossima avventura di Frida e socio. Stay tuned!
 

Under pressure

 

Tre persone possono mantenere un segreto, se due di loro sono morte.”

Benjamin Franklin

 

Frida era talmente assorta nei propri pensieri da realizzare di star trascinando William solamente quando questi protestò, strattonandola –Non muoverò un altro passo finché non mi darai una spiegazione. Non sono il tuo cane!

La risposta della ragazza fu tutt'altro che soddisfacente.

–A dire il vero, sono più gattara- allungò una mano e si mise a grattargli il mento. –Fai le fusa per rallegrarmi, da bravo!

–Ma che caz... non è questo il punto!- sbraitò William, scostandola con veemenza. –Il punto è che siamo soci. Alla pari. Trattami come tale! Dove stiamo andando?

–Lo stesso vale per te, Liam. Niente segreti tra noi. Perciò dimmi, cosa complottavate tu e Kev a lezione, ciarlando come le allegre comari di Windsor?

–Alex, la sorella di Nita, l'ha invitato ad assistere alle prove della sua band. Tutti loro, in un modo o nell'altro, conoscevano Aisling e/o suo fratello. Ho pensato fosse l'occasione perfetta per racimolare informazioni, per cui gli ho chiesto di osservare, ascoltare e riferirmi qualunque cosa gli salti all'occhio... e orecchie. Grazie alla sua aura da bravo ragazzo, nessuno sospetterà di lui.

–In pratica, lo hai mandato a fare la spia?

–Esatto!- esclamò William con notevole auto-compiacimento, che si dissolse appena constatò non fosse ricambiato. –Che c'è? Ti turba che l'abbia coinvolto in questa storia?

Genau!- si lagnò Frida. –C'è già fin troppa gente in mezzo. Non voglio che la nostra indagine si trasformi in un circo!

–Disse quella che non ha esitato un secondo, prima di coinvolgere i suoi cugini.

–Non è la stessa cosa! Hans è un poliziotto, Ernst un hacker esperto; Kevin, invece... apprezzo la buona volontà, però dai! Non è tagliato per l'investigazione!

–Sbagli a sottovalutarlo- obiettò William, suscitando l'indignazione della sua irascibile - e, secondo opinione comune, infallibile - socia. –Pensa a come riesce a tenere nascoste la sua vita sregolata e la sua- si guardò intorno, per assicurarsi fossero soli –Omosessualità ai genitori. A come l'ha tenuta nascosta a noi! Regge bene la pressione ed è capacissimo di mentire, al bisogno.

–Bah!- sputò Frida, incapace di ammettere che William l'aveva battuta in rapidità e spirito d'iniziativa. –Spero vivamente tu abbia ragione. La prossima volta, però, ti pregherei di consultarmi, prima di prendere decisioni tanto importanti.

–Disse quella che mi sta trascinando chissà dove senza dare spiegazioni. Per la seconda, e spero ultima, volta: dove siamo diretti?

–Tu non lo so. Meine Tochter zu Hause. Sofort.

Nell'udire la voce di Franz, William trasalì, avvampò e, istintivamente, si allontanò da Frida, la quale, sconcertata da cotanta codardia, gli scoccò un'occhiata tra il deluso e l'indignato.

"Wirklich?", pensò. "Hans ha proprio ragione: questo ha perso le palle per strada!"

Decise, tuttavia, di soprassedere, dirottando l'attenzione sul padre, impalato a fissarla con espressione severa (più del solito, se possibile).

Hallo, lieber Vater. Was führt dich hierher1?

Sturmwind, liebe Tochter.2 Pare non possa assentarmi senza che combini qualche guaio: guidare senza permesso - e senza patente - mein Auto per andare a ficcanasare nella casa di una povera ragazza defunta, sulla cui morte ti era stato categoricamente vietato di indagare... stavolta hai oltrepassato ogni limite- sibilò Franz. –Detesto dover ricorrere a estremi rimedi, ma io e tua madre non sappiamo che altro fare. Espierai con la clausura: metterai il naso fuori casa solo se strettamente necessario, e soltanto se accompagnata.

–L'accompagno coatto include le pause bagno? Perché, in tal caso, do fin da subito l'esclusiva a Mutti. Questione di pudore, spero comprenderai. Ah, tecnicamente- obiettò lei con assoluta placidità –Mi era stato negato l'accesso ai suoi casi, perciò, essendo stato archiviato dalla polizia, il caso Carter tecnicamente non è più tale, ufficialmente; ergo, non più off-limits per me.

–Non provare a intortarmi con cavilli semantici, Fröschlein. Nichts wird dich vor deiner Strafe retten3.

Il gelo nella voce di Franz fece rabbrividire William, che si chiese come riuscisse Frida a mantenere la calma. Al posto suo, sarebbe scappato in Amazzonia urlando. Al terrore si sostituì lo stupore - per non dire shock - quando gli rivolse un sorriso cordiale e un ramoscello d'ulivo verbale. –Ti chiedo scusa per mia figlia, William: ha il brutto vizio di mettere a repentaglio la sicurezza sua e di chiunque la circondi.

Sforzandosi di ignorare la vocina interiore che si domandava se Weil senior sarebbe stato altrettanto amichevole, avesse scoperto a quale genere di "investigazioni" sognava giorno e notte di dedicarsi con la sua adorata figlia, l'australiano grattò nervosamente una guancia mentre pronunciava delle sillabe scarsamente intellegibili (interpretabili, con un certo sforzo di fantasia, come "Nessun problema").

–A tuo padre le porgerò di persona. Non vedo l'ora d'incontrarlo.

Nell'incertezza sull'opportunità o meno di replicare a quell'affermazione, che a dire il vero suonava più come una minaccia, William si limitò ad annuire con condiscendenza, mentre i suoi neuroni lavoravano febbrilmente per fornire una soluzione all'annoso quesito: quanto dev'essere immaturo e masochista un uomo, per bramare così tanto conoscere l'ex della propria compagna?

Frustrata per lo stravolgimento dei propri piani, Frida giocò un'ultima, disperata carta: la pietà.

Bitte, Papi, concedimi almeno mezza giornata di libertà, prima di mettermi in (immeritatissima, a mio parere) punizione!- "Devo correre da Hans, ha degli aggiornamenti sul caso!" –Liam ha organizzato un appuntamento romantico coi fiocchi. Come puoi vivere, sapendo di averlo rovinato sul nascere? Sei senza cuore!

Franz si accigliò, Frida idem e William, sempre più convinto che quell'uomo in una vita precedente fosse stato un ufficiale delle SS, si trattenne a stento dal prostrarsi ai suoi piedi giurando e spergiurando di nutrire sentimenti purissimi nei confronti di sua figlia.

Il trillo insistente del cellulare di Frida pose fine a quella sorta di stallo alla messicana.

Tante?- mormorò, stranita, per poi accettare la chiamata.

Seguirono alcuni monosillabi onomatopeici e un profondo sospiro; infine, dopo un silenzio che a William parve interminabile, Frida prese a ridacchiare.

Anscheinend hat das Universum eingegriffen, um meine Bestrafung zu verschieben. Entschuldigung, Papi, du musst allein nach Hause4. Mutti und Tante Serle richiedono la nostra presenza.

–Oh, ok- bofonchiò William, prima di realizzare l'uso del plurale e così perdere il poco colore che aveva sulle gote. –Ehi, aspetta un momento: nostra?
 

***

 

–Osserva, ascolta, riferisci. Osserva, ascolta, riferisci.

Kevin stava ripetendo quel mantra da tempo immemore per prepararsi alla missione - se così si poteva chiamare - affidatagli da William. Non ad alta voce, naturalmente, o nel vagone della metropolitana l'avrebbero preso per pazzo; anche se, a giudicare dagli sguardi che saettavano verso di lui da ogni direzione, aveva ottenuto il medesimo risultato mettendosi a canticchiare brani j-rock. Persino nella madrepatria del punk un liceale dall'aria stravolta di chi non ricorda l'ultima dormita degna di tale nome, che cantava in una lingua sconosciuta, esaltato come l'adepto di una setta, muovendo ritmicamente il capo - sul quale campeggiava un paio di vistose cuffie verde acido - non corrispondeva esattamente alla definizione di ordinario (nè tantomeno rassicurante).

In teoria, non avrebbe dovuto essere in ansia: gli erano già capitati, aiutando Frida, dei lavori da spia (finiti malissimo); sebbene, a conti fatti, quello affibbiatogli da William sembrava più un lavoro da spione, nel senso di poco onorevole. Tuttavia, riflettendoci su, si decise ad accantonare ogni remora morale in virtù del principio che il fine giustifica i mezzi. Nel suo caso, il fine era contribuire a che la defunta Aisling Carter ottenesse giustizia; valeva la pena rinunciare a un briciolo d'integrità morale per esso.

C'era un unico, piccolo problema: dubitava di riuscire a controllarsi al cospetto dei suoi idoli. Come avrebbe fatto a trattenersi dallo strillare di eccitazione di fronte ai W.O.F. (acronimo per Wings of Freedom, nome che sperava mutuato da "L'attacco dei giganti", piuttosto che dall'organizzazione terroristica che ambiva a rendere il Regno Unito una repubblica)? Gli era bastato udire in lontananza la voce graffiante e sensuale di Coco l'ambiguo frontman della band, per iniziare a fremere come uno scolaretto delle elementari!

Decisamente, non era tagliato per lo spionaggio. Forse avrebbe dovuto prestare più attenzione a quell'anime per cui era in fissa sua sorella Kaori, quello con la sicaria tettona e il cane veggente; peccato avesse dimenticato il titolo. Ricordava solamente che arrivava a fine puntata con una voglia matta di ingozzarsi di noccioline fino a star male.

Tuttavia, nel momento in cui realizzò che le prove erano in pieno svolgimento - accidenti alla sua incapacità di rinunciare alla merenda pomeridiana, anche a costo di arrivare in ritardo - esitò a varcare la soglia. Rimase impalato per un tempo indefinito a fissare la porta socchiusa, rapito in una sorta di trance, finché non venne ridestato dalla voce di Alex, insoddisfatta della performance.

–No! Così non va!

I suoi compagni dovevano essere avvezzi a scene simili, perché Kevin sentì Coco sospirare, prima di chiederle a denti stretti –Cosa c'è che non va, stavolta?

–Tutto!- ruggì Alex, facendo ridacchiare Kevin: vuoi per i lineamenti delicati, quasi identici a quelli della sorella Nita, vuoi per la corporatura esile ("da stuzzicadenti" avrebbe detto Kaori, che aveva sempre una buona parola per tutti), la sua nuova amica in versione arrabbiata era credibile quanto Lord Voldemort nelle vesti di venditore di dolciumi ai pargoli. –La batteria è troppo forte, copre il basso, che per inciso sembra pronto per l'accompagnamento di un funerale...

–Mi sono rotto delle tue crisi isteriche: possibile non sia mai tu a sbagliare?

–Stavolta è impossibile: sono quattro accordi in croce! Quanto a te, Coco: ricordi come si canta, sì? Non ne stai azzeccando mezza!

–Sei diventata sorda, per caso? Ho un'ugola di platino!

–Non basta essere intonati a rendere decente una performance. Contano anche l'espressione, la corporeità... lasciatelo dire, stai facendo schifo! Non è una cagata pop su strisciate di coca a Ibiza o quanta voglia di cazzo ha chi canta, ok? È un fottuto classico che ha fatto la storia del rock! Chi ti ascolta deve riuscire a vedere il fumo sull'acqua e fuoco nel cielo!- "Il fumo è quello che ha inalato prima di venire qui", pensò Kevin, esterrefatto: durante le esibizioni la band mostrava un affiatamento sbalorditivo, in netto contrasto con la diatriba che stava origliando. –Chiedo la luna?- nessuno dei presenti ebbe il fegato di contraddirla, ma lei confuse il loro pavido silenzio per approvazione. –Come immaginavo. Non usciremo da qui finché non avrò sentito qualcosa di minimamente soddisfacente.

–Dalle mie parti - che poi sono anche le tue - si chiama sequestro di persona- ribatté una quinta persona, che Kevin non riconobbe. –Concedi loro una pausa; vedrai che dopo riprenderanno con più vigore, e non sarà necessario trattenerli contro la loro volontà.

–Rhys ha ragione- annuì supplichevole il batterista Hammer. –Solo cinque minuti, Sledge, ti prego! Non ce la faccio più! Mi stanno venendo i calli alle mani!

–E quelli è preferibile farseli venire per altri motivi- ironizzò il tizio non identificato in un tono trasudante doppi sensi, suscitando l'ilarità generale; persino Kevin si lasciò sfuggire un risolino. L'unica a non ridere fu l'unica ragazza del gruppo.

–Ricordami perché dobbiamo sopportare la tua irritante presenza.

–Perché sono membro onorario della band. È solo grazie al sottoscritto se avete un batterista, dopo che quella feccia di Harris vi ha mollato di punto in bianco per inseguire il suo sogno. Dovreste inginocchiarvi a lustrarmi le scarpe!

Alex storse la bocca, disgustata.

–Solo se posso usare lo sputo di un lama infetto, Faccia da cavallo!

Kevin, allora, si ricordò di un particolare della conversazione sussurrata con William durante il mortorio meglio noto come lezione di scienze.

"–Mi domando se ci sarà anche lui. Sarebbe affascinante studiarlo nel suo habitat naturale.

Kevin, che aveva perso il filo e non capiva se l'altro si stesse riferendo o meno a un animale, decise di palesare la propria ignoranza.

Lui chi?- chiese.

Un deficiente amico di Aisling con la puzza sotto il naso e una faccia da cavallo che solo a guardarla ti vien voglia di prenderlo a ceffoni- rispose sprezzante l'australiano. –Ho avuto la disgrazia di incontrarlo alla commemorazione funebre. Tra una battuta al vetriolo e l'altra, ha insinuato che la morte di Aisling non fosse accidentale o suicidaria. Lì per lì non ci ho dato peso, ma poi, rianalizzando il linguaggio verbale e non assieme a Frida, sono giunto alla conclusione che era serio. Peccato non poterlo mettere sotto torchio personalmente, godrei come una scimmia albina se venisse fuori che il colpevole è lui!"

La curiosità soverchiò il timore, e decise di entrare di soppiatto per osservare la situazione più da vicino. Peccato che la porta, vecchiotta e cigolante, avesse altri piani: con uno stridio spacca-timpani mandò all'aria in tempo zero la pretesa di segretezza di Kevin, il quale si trovò scrutato (e scrutinato) con perplessità mista a fastidio da cinque paia di occhi.

Quattro gli erano familiari, il quinto apparteneva a un ragazzo alto e snello dal viso allungato, in uniforme scolastica. Pur non possedendo doti deduttive fuori dal comune, intuì di avere davanti a sè la nemesi di William, e che la studiata noncuranza con cui aveva sistemato il bavero della giacca costituiva una precisa scelta stilistica, volta ad ostentare lo stemma di una prestigiosa scuola maschile di Greenwich. Un atteggiamento sgradevolmente snobistico che gli fece storcere il naso.

"Chi crede di essere, il principe George? Si salva solo perché ha un bel musetto. Will parla parla, ma mi sa che l'oculista serve più a lui!"

Superati lo stupore e la gioiosa frenesia - da bimbo in un negozio di giocattoli nel periodo natalizio - tipica del fan al cospetto dei propri idoli, dovette ammettere a se stesso che, come sosteneva Flaubert, "non bisogna toccare gli idoli, se non si vuole che la doratura ci resti sulle mani": in abiti civili i quattro membri della band - soliti esibirsi in cross-dressing - apparivano tragicamente insipidi. L'unico guizzo di stranezza era dato da Coco, che non rinunciava ad appariscenti orecchini chandelier e un filo di eyeliner dai colori sgargianti (quel giorno, verde acqua) neppure quando scendeva a buttare la spazzatura.

Venne riportato bruscamente alla realtà proprio da quest'ultimo, che sbottò senza alcuna cortesia –Scusa, amico, le prove sono a porte chiuse. Se potessi evaporare... grazie!

Timido per natura, Kevin invocò il potere dell'impudenza, qualità che aveva sempre invidiato a sua sorella maggiore, capace di giustificarsi per essersi presentata in pigiama ad un party elegante in abito da sera con l'iconica frase: "Quale abito è più da sera del pigiama?", per poi godersi la festa con assoluta nonchalance, ballando scalza e sorseggiando champagne sotto gli sguardi attoniti degli ospiti (più quello furibondo della madre e divertito dello zio Brian, il quale, conoscendolo, avesse avuto venti o trent'anni in meno l'avrebbe imitata).

Sorprendendo tutti, specialmente se stesso, ebbe la sfacciataggine di ribattere a tono. Kaori sarebbe stata fiera.

–Mi ha invitato Alex. Evaporerò se, e soltanto se, sarà lei a chiedermelo- ringhiò, imponendosi di sembrare aggressivo, quindi si voltò verso di lei e aggiunse, in tono di sfida –Devo andarmene, Alex?

–Certo che no! È vero, ragazzi, l'ho invitato io. Scusa, Kev, mi è passato di mente di avvertire gli altri.

A quelle parole, tre dei quattro astanti esclamarono all'unisono –Allora è lui il famoso Kevin! Astronomico! Perché non l'hai detto prima? Credevamo fossi un parto malato della fantasia di Sledge! Ci ha parlato un sacco di te... quando non era impegnata a comandarci a bacchetta.

Circondarono il malcapitato e lo sottoposero ad una sfilza dissonante di domande che viravano dall'indiscreto al francamente importuno. Ovviamente, lo sguardo di Kevin venne attirato dall'unico rimasto a fissarlo in silenzio. Lo stava esaminando, ne era certo, attraverso la lente impietosa di due penetranti occhi nocciola, che sembravano trafiggere qualunque cosa rientrasse nel loro campo visivo, persino nuvole, terra e carne. Rabbrividì.

"Porca troia! Chi è questo, il figlio di Sauron?"

Quando si accorse che l'amico era sul punto di cedere, Alex mise a tacere il trio pettegolo, dopodiché, rivolgendosi a Kevin, borbottò –Non fraintendermi, Kev, è davvero astronomico vederti, solo... credevo avresti preferito stare accanto ad Andrew.

–Andrew Carter? Sei suo amico?- chiese Cork, il bassista, bellamente ignorato.

–Perché? È successo qualcosa?

Allibita, Alex esalò –Non lo sai? Gli è morta la nonna. Arresto cardiaco, pare.

–L'arresto cardiaco non è una causa di morte. A tutti si ferma il cuore quando si crepa- soffiò Kevin d'impulso, poi, per rimediare al commento che definire cinico è un eufemismo, precisò –Almeno, così dice la madre di una mia amica, e lei di cadaveri se ne intende. Cavolo, mi dispiace tanto! Povero Andrew!

"Povero un corno! Se avesse avuto bisogno di conforto avrebbe potuto chiamarmi, lo stronzone!"

–Già- annuì Hammer. –Una bella sfiga: prima la madre, poi la sorella, poi l'altra sorella, adesso la nonna...

–Sì, beh, senza offesa, la madre e le sorelle se la sono cercata- commentò severo Cork. –Non mi pare gli abbiano puntato la pistola alla tempia per spingerle a tagliarsi le vene e buttarsi di sotto!

Kevin, basito da un tale cinismo, si chiese se derivasse da qualche rotella fuori posto, oppure dal trauma di aver perso qualcuno che si era tolto la vita. Tuttavia, non ebbe il tempo di addentrarsi in riflessioni sull'argomento: doveva seguire il filo del discorso.

–Non letteralmente- rifletté Coco. –Ma converrai con me che bisogna provare la disperazione più nera per decidere di chiudere il proprio libro prima del finale, in barba all'istinto di sopravvivenza; specialmente se a farlo è una ragazzina con ancora tanti capitoli avanti a sé. Certo è che quel poveretto sembra perseguitato dalla tragedia. Non ha un attimo di tregua!

–L'avrà presto- sentenziò colui che Kevin aveva ribattezzato "Sauron junior". –Mancano all'appello il nonno e l'altra sorella, che sembra morta ma non lo è, dopodiché...

–Come hai detto, Faccia da cavallo? Scusa, non comprendo i nitriti!- sputò Alex.

Il diretto interessato, con aplomb invidiabile, le si avvicinò, abbassò con una mano la chitarra che la ragazza brandiva a mo' di arma e sibilò –Mi piange il cuore a infangare il tuo candore, Alex, ma sei abbastanza grande da reggere la verità: Aisling riusciva a farsi odiare con la stessa facilità con cui riusciva a farsi amare; e Andrew odiava lei e Aurora perché avevano tutti i riflettori puntati addosso, relegandolo nell'ombra. Starà molto meglio senza di loro, perciò non mi stupirei se dovesse saltare fuori che ha dato una mano al cupo mietitore- puntò l'indice contro gli altri tre e asserì –Insistete quanto volete, non mi convincerò che Ling si è tolta la vita, né tantomeno che è morta da cogliona, cadendo dalla finestra.

La tensione, densa al punto da potersi fendere, divenne talmente opprimente che lo stesso Hammer, in precedenza bramoso di una pausa, esortò gli altri a riprendere le prove.

–Ehm, c-che n-ne direste di darci dentro ancora un po', ragazzi? Spacchiamo i timpani a Rhys e Kevin!

–Ok, ma per favore un altro brano, o il fumo comincerà a uscirmi dalle orecchie!

Alex sogghignò, ammiccando in direzione dei due spettatori.

–Dato che è in scaletta, che ne dite di dedicare il prossimo pezzo a Faccia... ehm, al nostro amico equino antropomorfo? Un uccellino di nome Nita mi ha spifferato che è il tuo preferito... oltre che la tua più grande fobia.

Il suddetto equino riuscì nell'impresa di avvampare sulle guance e al contempo assumere un pallore dal sottotono verdastro nel resto del viso. Incapace di proferire parola, manifestò il proprio disappunto sollevando entrambi i medi in direzione di Alex, che ricambiò di cuore.

–Non potevo crederci. Voglio dire, chi ha paura del buio a diciott'anni?

Scambiò un'occhiata complice con Colin e si lanciò in un assolo da far tremare le pareti. Gli altri la seguirono a ruota, ciascuno dando il meglio. Eppure, notò Kevin, l'insieme suonava, seppur gradevole, disarmonico, come l'incastro tra pezzi dello stesso colore, ma di puzzle diversi.

–Lo senti anche tu, vero? C'è una nota stonata.

–Non è una, sono tutte le note di Alex. Non sta a me farglielo notare, ma sta andando troppo veloce.

Kenny, che voleva divertirsi un po', finse di non sentire.

–Parla più forte, non ti sento!

–Ho detto: ALEX STA ANDANDO TROPPO VELOCE!

–Eh? Ripetilo, se ne hai il coraggio!

Kevin, che fino a quel momento aveva tenuto gli occhi chiusi per escludere interferenze, li spalancò, pietrificato dall'imbarazzo. Che figura!

A trarlo d'impaccio provvide Coco, il quale ansò –Non ha tutti i torti. Sei riuscita a farmi venire il fiatone, Sledge!

–Beh, oggi è peggio del solito - spero non a causa mia - però ho notato che succede spesso: lei parte e voi le correte dietro. È assurdo: dovreste fornirle voi una base, non il contrario! Oltretutto, sforzare così la voce è deleterio, Coco. Posso chiamarti Coco?- rincarò Kevin, nuovamente carico di una buona dose di faccia di bronzo. –Scusate se mi sono permesso.

–Ehi, le critiche costruttive sono sempre bene accette- asserì Hammer. –Specie se sono vere.

–Cosa vai farneticando?- sbraitò Alex.

–Hashtag: "Kevin ha ragione" toda la vida, baby!

–Te ne saresti accorta prima, se guardassi in faccia i tuoi compagni, ogni tanto- osservò Kevin, per poi rimanere in silenzio ad attendere una replica indignata, che non arrivò; Alex si limitò a chinare la testa, mordendosi il labbro fino a sanguinare. –Parlo per esperienza: un gruppo, per funzionare, ha bisogno di coordinazione. Un'orchestra ha il direttore; voi no, perciò comunicate. A parole prima, e in qualsiasi altro modo utile quando siete sul palco.

Al termine di un lungo silenzio, Alex esalò un flebile –Hai ragione. Scusate, ragazzi, tendo a ricadere nelle vecchie abitudini. Devo ricordarmi che non suono più da sola nella mia cameretta... per fortuna.

–No problemo. Ammettere il problema è il primo passo per risolverlo.

Alex annuì con vigore.

–Mi raccomando, quando sbaglio fatemelo notare. Non abbiate paura di farmi arrabbiare; in realtà, mi arrabbio perché so quanto possiamo dare. Allora, riprendiamo? Stavolta pretendo la perfezione, o non metteremo piede fuori di qui, chiaro?

Kevin non poteva credere alla sua fortuna: non era stato picchiato e/o cacciato a pedate. Incredibile! Sfortunatamente, sebbene non desiderasse altro che concentrarsi sulla musica, dopo un po' la voce della coscienza si fece fastidiosamente strada nelle sue sinapsi.

"Bene, bene, battiamo la fiacca!"

"Oh, chiudi il becco! Mi godo un po' di buona musica. È forse un crimine?"

"Lo diventa se ti impedisce di fare l'unica cosa che devi fare: non deludermi. Pensi di riuscirci, o come al solito dobbiamo intervenire io e Frida?"

"Non ti permetto di trattarmi così! Ho aiutato Frida nelle sue indagini più volte di quante tu possa immaginare! Inoltre, a voler essere fiscali, non mi hai ordinato di fare una cosa, bensì tre: osservare, ascoltare e riferire. Adesso sto ascoltando."

"Due cose insieme non ti riescono, testa di minchia?"

Si lasciò sfuggire una risatina: possedeva una fantasia incredibilmente accurata; il vero William si sarebbe espresso esattamente come la versione creata dalla sua mente, marcato accento australiano incluso.

Preda di un mix letale di desiderio di approvazione e senso di colpa, si mise ad osservare di sottecchi Sauron junior (si rifiutava di chiamarlo Faccia da cavallo; sebbene non fosse il suo tipo, lo riteneva un discreto bocconcino), arrovellandosi nella ricerca di un escamotage per riportare la conversazione sulla morte di Aisling e così ottenere informazioni utili; il tutto col sorriso sulle labbra, naturalmente.

L'oggetto delle sue elucubrazioni dovette sentirsi osservato, perché a un certo punto smise di muovere la testa e tamburellare le dita a ritmo per voltarsi verso di lui con una strana espressione in volto.

–Sono così piacevole da guardare?- chiese, per poi commentare, senza dare a Kevin nemmeno il tempo di aprir bocca –Ti unisci a Coco e Alex nel club di chi non ama la figa?

Sbuffò una risatina smorzata, ignaro che alla sua sinistra Kevin si stava sentendo morire. Per quanto si sforzasse, non era come Kaori, né lo sarebbe mai stato; non riusciva a lasciarsi scivolare addosso con noncuranza commenti e battutine, specialmente quando colpivano nel segno. Decise, però, di dare fondo a tutto il suo coraggio, difendendosi attaccando per primo, nella speranza di suscitare nell'altro un imbarazzo pari al suo.

Arrossì furiosamente ed esalò –Ti crea problemi?

–Cosa?

–Quello che hai appena insinuato. Complimenti per la perspicacia!

L'altro, che ancora ridacchiava, si bloccò di colpo.

–In che senso? Aspetta, vuoi dire che... oddio! No, ma... guarda che scherzavo! Io non... cioè, non avrei mai pensato che tu... che t-tu f-fossi davvero...

–Ti sconvolgerà, ma gli omosessuali non vanno in giro con scritto sulla fronte: "Sono gay". A nessuno piace venire etichettato in base a se, chi o cosa gli piace scopare.

–B-Beh, n-no, certo che no! Oddio! Scusami, non volevo! Volevo soltanto fare una battuta idiota!

Appariva talmente imbarazzato che Kevin si affrettò a tranquillizzarlo.

–Beh, ci sei riuscito... a fare una battuta idiota, intendo. Una delle peggiori che abbia mai sentito! Non preoccuparti, però: non mi sono offeso. Fino a ieri sarei morto di vergogna, ma fare coming out con mia sorella e i miei amici mi sta aiutando a venire a patti con questa parte di me.

"Anche se quello stronzo di Nate si rifiuta di parlarmi. Che marcisca all'inferno!"

–Meno male! Ad ogni modo, scusa ancora- esclamò Sauron junior, che sotto i panni del bulletto dall'ego ipertrofico celava un essere umano tutto sommato tollerabile. –Mio padre mi ucciderebbe se mi sentisse, ma credo che definire le persone in base a quello che gli piace leccare sia un'offesa nei confronti della complessità dell'essere umano. Pace, amore e lingua!

Con sua enorme sorpresa, Kevin si trovò a ridacchiare insieme a colui che fino a qualche minuto prima gli era risultato cordialmente antipatico. Sperò che la neonata confidenza tra loro gli consentisse di smuovere un po' le acque e metterlo sotto torchio; tuttavia, per non allarmarlo, scelse un approccio soft.

–Mi piace. Quasi quasi me lo tatuo sul pube! Comunque, uhm, avevi ragione: pochi minuti di riposo hanno fatto miracoli. Sono di nuovo in forma smagliante! Non avrei mai detto che Alex possedesse il piglio del dittatore.

–Da quando hanno cominciato ad avere successo, sente la pressione delle aspettative crescenti: i W.O.F. sono nati quasi per gioco come cover band, adesso la posta si è alzata; devono sfornare originali, e il fardello ricade essenzialmente su lei e Coco, non proprio un tipo affidabile - anche se ha una voce strepitosa e se la cava con le rime - perciò non posso biasimarla per essere diventata una tiranna perfezionista. Ogni gruppo ha bisogno di un leader, qualcuno capace di spronare i compagni e all'occorrenza metterli in riga, però deve capire che a volte tirare troppo la corda è controproducente.

–Vi conoscete da tanto?

–In un certo senso, sto iniziando a conoscerla solo adesso e, anche se le lascio pensare il contrario, sono felice stia tirando fuori un bel caratterino; prima era la versione scolorita di... lascia perdere- si schiarì la voce, e proseguì. –In realtà ho conosciuto prima sua sorella Nita, tramite un'amica in comune. Mi disse che la sua sorellina cercava disperatamente un batterista, cito testualmente, "senza grilli per la testa" e pensai subito a Daniel. Hammer, per intenderci. Quindi, non per vantarmi, ma le tue orecchie sono in visibilio anche grazie a me.

Sorprendendo se stesso una seconda volta, Kevin replicò ridacchiando sotto i baffi (che meditava di farsi crescere, unitamente ad un artistico pizzetto) –Vuoi che ti lustri anch'io le scarpe con bava di lama? O preferisci di cammello?

–Abbiamo un comico tra noi!

–Ma ho anche dei difetti! Senti, toglimi una curiosità: l'amica in comune con la sorella di Alex è la Aisling di cui parlavi prima?

–Aisling Carter, sì.

–La tizia precipitata dalla finestra?

–La conoscevi?

"Pensa a qualcosa, Kev, e in fretta!"

–La seguivo...

–Da bravo stalker?

–Sui social- mugugnò Kevin distogliendo lo sguardo. –Sembrava una ragazza a posto; un po' troppo patinata per i miei gusti, ma a posto. La sua morte mi ha scosso profondamente. Una vera tragedia.

Contrariamente all'atteso, colui che ormai nella mente di Kevin era irrevocabilmente Sauron junior soffiò, socchiudendo le palpebre in uno sguardo predatorio –Non ti sei neppure presentato, e ti aspetti che mi sottoponga di mia spontanea volontà ad un interrogatorio malamente camuffato da conversazione amichevole?

"Altro che figlio di Sauron, questo è il gemello perduto di Frida!"

Ripromettendosi di non lasciarsi intimidire, balbettò –N-Neanche tu t-ti sei presentato.

–Il mio nome non ha importanza- replicò laconico l'altro. –Quanto al tuo, non c'è bisogno che me lo dica: sei Kevin Cartridge, giusto?

"È veramente il gemello perduto di Frida! Come diavolo...?"

–Rilassati, non ho poteri paranormali. Semplicemente, mio fratello frequenta il tuo stesso conservatorio - che, se non erro, è lo stesso di Alex. Piccolo il mondo, no? - e ti segue. Sempre sui social, tranquillo. O sei di quelli che si sentono lusingati a venire stalkerati? Cazzate a parte, dice che hai uno straordinario talento, e potrà ritenersi fortunato se riuscirà a diventare bravo almeno la metà di te.

Kevin sorrise compiaciuto, non soltanto per la (palese) lusinga. Anni passati a seguire Frida nelle sue rocambolesche avventure e divorare serie poliziesche gli avevano impartito una lezione fondamentale: qualunque cosa dica potrà essere usata contro di te. Nel momento in cui aveva registrato che il fratello di Sauron junior (alias gemello segreto di Frida, alias Rhys, l'uomo dai mille nomi) frequentava il conservatorio, aveva intuito di poter usare quell'informazione a proprio vantaggio. Non sapeva come, né quando, ma l'avrebbe fatto.

–Fratello maggiore?

–Minore. Un pidocchio assillante- sospirò. –Mi mancherà l'anno prossimo.

"Bingo! Ecco il suo tallone d'Achille: il fratellino! Frida e Will, siate fieri!"

–Beato te! Io ho due sorelle, mi sarebbe piaciuto avere un fratello. Qualcuno che non mi impiastricciasse la faccia con i trucchi della mamma mentre dormivo.

–Ah, beh- ammise l'altro tradendo una certa ilarità –Quello lo facevo anch'io. Il maggiore deve bullizzare i piccoli, è la dura legge della fratellanza- dopodiché sconcertò Kevin con un aiuto inaspettato. –Senti: sembri un bravo ragazzo; di sicuro, non il genere di persona che nutre un'ossessione morbosa per il true crime. Ti farò un'offerta che non potrai rifiutare: dimmi perché ti interessa tanto la morte di Ling e risponderò alle tue domande, anche le più scabrose. Ci stai?

Aveva ragione, pensò Kevin mentre gli stringeva la mano: non poteva rifiutare una simile offerta. Al contempo, però, non poteva rivelare troppo dell'indagine clandestina di Frida. Cercò di raggiungere un compromesso accettabile.

–Ecco, vedi... potresti non essere l'unico ad avere dubbi sulla faccenda, e sono curioso di sapere da cosa derivano i tuoi.

Sauron junior (per nulla al mondo avrebbe rinunciato a chiamarlo così) soppesò la risposta, prima di dargli un cenno di approvazione.

–Deduco non si tratti di te, bensì di un tuo amico. Lo conosco?

–Il suo nome non ha importanza.

–Touche. Pochi osano ritorcere le mie parole contro di me. Ad ogni modo, reputati fortunato, Kevin Cartridge: hai la stima di mio fratello, e, personalmente, apprezzo la lealtà più dell'onestà, perciò reputo la tua risposta soddisfacente. Come promesso, ecco la mia: la Aisling che conoscevo non era quella che conosceva il suo pubblico, ma ti posso assicurare che, per quanto patinata, non fingeva il suo attaccamento alla vita. Non può essersi suicidata, punto. Non ne aveva motivo.

–Beh, ma....

–So cosa stai per dirmi: non esiste il suicida-tipo; spesso nei giorni precedenti molti suicidi sembrano felici, o comunque normali, probabilmente perché iniziano a vedere la luce - della dipartita - in fondo al tunnel. Vero. Ma ho un asso nella manica: secondo te una che aveva puntato tutto sull'essere figa, bella e fotomodella, con un arsenale di tranquillanti a disposizione avrebbe scelto di morire gettandosi nel vuoto? Rischiando - come è successo - di rovinare quel bel faccino e non potersi far ammirare nella bara? No. Non quadra. C'è del marcio in Danimarca, per citare il Bardo, e su di esso Ling è scivolata.

Sorprendendo se stesso una terza volta, Kevin replicò, tagliente –Interessante teoria. Non mi pare abbia fatto alcunché per verificarla, però.

Punto sul vivo, l'altro replicò di rimando –Per chi mi hai preso, l'ispettore Barnaby? Se la polizia non ha trovato le prove, è impossibile che le trovi io!

Kevin dovette mordersi la lingua per impedirsi di urlare che la sua amica Frida le prove le aveva trovate, eccome, e cominciò a capire perché a William quel tizio stesse così tanto antipatico. Era chiaro come il sole che - per usare un'espressione cara agli insegnanti vecchio stampo - il ragazzo fosse intelligente, ma si applicasse raramente, ed esclusivamente a ciò da cui potesse ricavare un tornaconto personale.

–Chiunque può sbagliare, anche la polizia. Inoltre, a pensar male, il tuo potrebbe essere un elaborato depistaggio: talvolta il killer avanza teorie, si fa coinvolgere nelle indagini o inscena attentati alla sua vita per sviare i sospetti... oltre che per il gusto del brivido.

–Peccato non abbia un movente, caro il mio vice-Poirot. Volevo bene a Ling, ero uno dei pochi a potersi davvero definire suo amico.

–Non è necessario averne uno. In "Nodo alla gola" di Hitchcock l'omicidio viene commesso per mero esercizio intellettuale, volto a dimostrare che il delitto perfetto è possibile. Senza contare che un movente l'avresti eccome: sei di certo al corrente delle voci che giravano su Ling e tuo padre- osservò Alex, materializzatasi davanti a loro col viso chiazzato di rosso e l'aria sofferente di chi stava cercando di ingoiare un limone intero.

Con una flemma innaturale, da far accapponare la pelle, Sauron junior puntualizzò –Defenestrare qualcuno è ben lontano dalla definizione di delitto perfetto, men che meno di esercizio intellettuale. Quanto alle illazioni prive di fondamento su una - Dio, quanto odio questa parola - relazione tra lei e mio padre, eravamo in talmente buoni rapporti che l'ho affrontata a viso aperto: le ho chiesto se - mi viene da vomitare solo a pensarlo - andassero a letto insieme; ha negato, e la cosa è finita lì.

"Come no! Credibilissimo!", pensò Kevin, che aveva intravisto sul suo viso, prima che riacquistasse il consueto aplomb, la medesima espressione rancorosa di Kimberly quando aveva scoperto che il suo primo ragazzo aveva piazzato le tende a casa loro perché in realtà stracotto di Kaori. Vere o meno che fossero, quelle dicerie lo infastidivano non poco. La domanda era: abbastanza da passare all'azione?

Notò anche l'espressione di Alex, passata da un dolore straziante (e per lui inspiegabile) a sollievo misto ad incredulità, quasi che una parte di lei desiderasse con tutto il cuore che Rhys (alias Sauron junior, alias Faccia da cavallo) stesse dicendo la verità.

–Nessun rancore? Davvero?- chiese, con un lieve tremolio nella voce. –Nonostante pettegolezzi del genere siano pericolosissimi in campagna elettorale? I fedifraghi appassionati di carne troppo fresca non sono bene accetti a Downing Street! Nei tuoi panni, avrei eliminato la fonte senza pensarci due volte!

Il cervello di Kevin esplose. Rhys non era il nome del figlio di Sauron, era il cognome! Rhys-Jones, come il candidato conservatore alla carica di Primo Ministro. Sconvolto, gli lanciò una rapida occhiata, e si auto-assolse per non aver unito prima i fili ripetendo che nemmeno Frida "Occhio di falco" Weil sarebbe riuscita nell'impresa: il ragazzo somigliava al padre come lui a un calamaro; sua madre Abigail (anche lei sempre con una buona parola per tutti) avrebbe commentato che probabilmente la signora Rhys-Jones lo aveva concepito con un aiuto esterno.

"Tralasciando la questione paternità, se non è un movente questo..."

–Per piacere, mettiamo fine a questa stronzata, ha smesso di essere divertente. Ho un alibi di ferro per la notte in cui è morta Ling: l'ho trascorsa tra il bar, la pista e un cesso del Tipsy Crow, dove ho rimesso tutto l'alcool ingurgitato negli ultimi tre anni. Chiedete pure a Hammer, se non mi credete, è stato lì tutto il tempo a reggermi la testa.

–Vomitevolmente vero- confermò questi, apparso dal nulla alle loro spalle. Le bacchette, come di consueto, spuntavano tra i cespugliosi capelli castani, malamente trattenuti sulla sommità del capo da una fascia color fango, in una sorta di ammasso decadente soprannominato dagli altri membri della band "il gatto morto". –Quella notte sono morte la mia innocenza e ogni fantasticheria di diventare infermiere!

Kevin, che stava inviando di nascosto un messaggio a William per aggiornarlo degli sviluppi, lo cancellò e scosse il capo; inutile disturbarlo, tanto non stava cavando un ragno dal buco. Chi aveva un movente aveva un alibi, e chi non aveva alibi era anche privo di movente. O era circondato da attori sopraffini, oppure stava davvero abbaiando all'albero sbagliato. Una voce nella sua testa gli fece notare che forse non c'era alcun albero al quale abbaiare, ma la tacitò immediatamente: finora, Frida non si era mai sbagliata, nemmeno quando le apparenze puntavano nella direzione opposta. Rammentava ancora il primo caso nel quale erano rimasti invischiati anche lui e un riluttante Nate: era riuscita a rintracciare - viva - una ragazza della cui scomparsa, non fosse stato per la sua pervicacia e perspicacia, si sarebbero accorti tutti troppo tardi.

–La tua innocenza è morta molto tempo fa, insieme al tuo cervello- sibilò Rhys.

I due presero a battibeccare, ma Kevin non diede loro retta: Alex lo stava fissando con occhi lucidi. Capì che aveva capito il suo secondo fine, e si sentì un verme per averla ferita. Il fine poteva giustificare i mezzi, ma non i danni collaterali; quelli non era disposto a pagarli.

Sebbene si conoscessero solo da pochi giorni, l'affinità con Alex era talmente forte che se uno dei due fosse stato del sesso appetibile all'altro, probabilmente sarebbero diventati una coppia.

–Vuoi che me ne vada?

"Di' di no! Ti prego, di' di no!"

–Voglio la verità: mi hai sfruttato per ottenere informazioni per Weil e socio, o posso sperare di continuare a considerarti un amico?

Avrebbe voluto replicare –Tu non puoi reggere la verità!- citando uno dei suoi film preferiti, ma preferì essere sincero. O meglio, crollò sotto il peso dei sensi di colpa. Decisamente, non era tagliato per lo spionaggio.

–Ma chi me l'ha fatto fare?- piagnucolò. –Io non volevo, è stato Will a insistere! Mi ha chiesto di, ecco, fare leva sulla nostra amicizia per carpire informazioni: tutti, qui dentro, conoscevano Aisling e/o Andrew, che al momento credo sia il principale sospettato, e secondo lui con me vi sareste aperti più che con lui o Frida.

–In pratica, ti ha mandato a spiarci.

–Beh, ecco, non proprio... cioè, insomma... sì- ammise, strofinando il piede contro il pavimento, a capo chino, come quando aveva cinque anni e doveva mentire ai genitori sulle bravate di Kaori. –Ma io non volevo, giuro!

–Se è un tentativo di scusarti, fa pena- lo stroncò Alex. –Credevo volessi essere mio amico.

–Lo voglio! Non sono un bastardo manipolatore, sono un debole patologicamente incapace di dire no. Il velo di tristezza negli occhi delle persone quando neghi loro qualcosa... non lo reggo; tocca corde del mio animo che rendono impossibile dire di no. Dovrebbe essere semplice, è una cazzo di sillaba: NO! Eppure non ci riesco.

–Immagino ci sia la lunga mano nera della tua amichetta Miss Marple dietro questo brillante piano. L’australiano finto empatico, da quel che ho capito, pende dalle sue labbra. Che c’è, allora? Non mi ha torchiato a sufficienza per i suoi gusti? Non crede che chiunque conoscesse da vicino Ling abbia sofferto abbastanza?

–Ripeto: Frida stavolta non c'entra niente; era intenzionata ad interrogarvi uno per uno, faccia a faccia, coi suoi modi ricchi di empatia e tatto. Un'esperienza che non raccomando, a meno di avere tendenze masochiste. Chiedi pure a tua sorella, se non mi credi. È stato Will a ritenere che un approccio più “morbido” fosse preferibile. Inoltre- asserì Kevin, serio come poche volte in vita sua. –Sono d'accordo con Frida: Aisling merita giustizia, e trovare il bandolo della matassa della sua morte, altrimenti senza senso, è l'unico modo per elaborare il lutto e voltare definitivamente pagina.

Alex fu sul punto di ribattere che tutti davano per scontato volesse voltare pagina, quando invece desiderava conservare una traccia di ciò che era stato - nonostante la dolorosa consapevolezza che si fosse trattato di un sentimento a senso unico - e, comunque, prediligeva di gran lunga la brutale sincerità alla finta empatia a copertura di tattiche manipolatorie, ma Kevin la batté sul tempo.

–Percepisco quando la mia presenza non è più gradita. Tolgo il disturbo. Adieu!

Non fece in tempo a muovere due passi, tuttavia, che venne fermato da una salda presa sulla spalla. Si voltò, ma, con sua grande sorpresa, si trovò davanti Rhys (per lui, per sempre, Sauron junior).

–Aspetta- disse in tono imperioso. –La persona che ha dubbi sulla morte di Ling è questa tua amica Frida?- Kevin annuì e il suo sguardo si accese di una luce quasi maniacale. –Non sarà per caso Frida Weil?

–Sì. La conosci?

–Di fama.

–Capisco- sospirò drammaticamente Kevin.

–Che diamine vorrebbe significare?

–Frida si vanta di conoscere tutti, a Londra. Tutti quelli che vale la pena conoscere.

Godette un mondo nel constatare che l'altro aveva colto l'offesa velata, ma non sapeva come replicare. Il velo era troppo spesso perché potesse forarlo senza apparire eccessivamente permaloso.

–Allora esiste veramente.

“Sì, e se fosse qui te ne avrebbe dato prova con un calcio nelle palle!”

–Avevi dubbi al riguardo?

–No! Chi mai dubiterebbe dell'esistenza di una fantomatica Sherlock Holmes al femminile, dal nome improbabile, mai apparsa sui giornali e senza un profilo social?- ironizzò Rhys. –Dunque esiste. E si chiama davvero Frida Weil.

"Certa gente muore proprio dalla voglia di farsi pestare a sangue!"

–Non dispongo del certificato di nascita, ma posso produrre documentazione fotografica, se lo desideri- celiò Kevin, in un semi-fallimentare tentativo di scimmiottare lessico e movenze di Frida.

–No, grazie- rispose Rhys, sogghignando. –Non sono particolarmente superficiale, ma pure l'occhio vuole la sua parte. In genere, chi rifiuta di farsi immortalare lo fa per un buon motivo... estetico. Immagino valga anche per la Weil.

"Sta insinuando che Frida non si mette in mostra perché è brutta? Che imbecille!"

Avrebbe voluto ribattere, ma, ancora una volta, venne messo a tacere ancor prima di aprire bocca.

–Sentito, ragazzi? Pare che il buon vecchio Rhys avesse ragione: la migliore detective in circolazione ha fiutato la pista dell'omicidio. Fareste meglio a spolverare i vostri alibi, ho l'impressione che tra non molto ne avremo bisogno.

 

***

 

–Non c'era bisogno che ci scortassi, Papi- celiò Frida in tono fintamente cordiale, smentito dall'occhiataccia che scoccò al padre.

–Non sto scortando William, Fröschlein, sto scortando te. Quale parte di “non muoverai un passo senza supervisione” non ti è chiara?

William, stanco del loro bisticciare, si estraniò dal mondo per mezzo di cuffie e la playlist creata ad hoc da Kevin per aiutarlo a combattere lo stress.

“Cristo santo, 'sti due sono instancabili! E Faith li sopporta ogni giorno! Pazzesco non si sia ancora sparata un colpo in testa. Rispetto, sorella! Forse saresti stata meglio con mio padre, anche se ti ringrazio per non averlo sposato, altrimenti la Weil sarebbe mia sorella e non potrei provarci con lei. Peggio ancora: non potrei nemmeno fantasticare su di lei perché non saremmo nati! Difficile sgrillettarsi, se neanche esisti! Strano pensare alla straordinaria serie di ordinari eventi che ci ha permesso di venire al mondo. Forse Faith e papà avrebbero avuto figli insieme, ma sarebbero stati altri figli. Nessun William, nessuna Frida; anche perché mio padre col cazzo che avrebbe imposto a sua figlia un nome del genere! Frida. Fri-da. Frriida. No, non suona bene. Troppo fricativo. Troppo germanico. Bleah! Lasciamo perdere i film mentali; tutto sommato, è andata bene per com'è andata. Me ne lamento sempre, soprattutto di mia madre, ma sono contento di essere figlio dei miei genitori, e credo valga lo stesso per la Weil. Una volta tanto, voglio essere fatalista e auto-convincermi che il destino abbia scelto il migliore dei mondi possibile.”

–Terra chiama Liam. Hai finito con le fantasie sconce su di me?

Colto alla sprovvista, William sobbalzò, per poi tingersi di rosso su ogni centrimetro quadrato di pelle scoperta e replicare, occhieggiando Franz –Non stavo pensando a te! Non in modo sconcio, almeno. Mai in modo sconcio!

Frida non mancò di punzecchiarlo.

–Stai parlando con me, perché guardi meinen Vater?

Franz, alle loro spalle, soffocò una risata: William si stava rivelando una costante fonte di divertimento. Era seriamente terrorizzato da lui!

Ripensandoci, non era il primo in cui suscitava una simile reazione; all’inizio la cosa lo infastidiva enormemente, col passare degli anni aveva iniziato a trovarla spassosa.

A volte si domandava se non si fosse innamorato di Faith proprio perché non si era mai lasciata intimidire da lui; in più di un'occasione gli aveva dato (meritatamente) dello stronzo! Poteva sembrare placida, quasi apatica, ma riusciva a infervorarsi per ciò a cui teneva, o in cui credeva. Franz apprezzava soprattutto questo di lei: il coraggio di battersi fino alla morte per un'idea e/o il suo portavoce. Per certi versi, Faith era più coraggiosa di lui, che passava i fine settimana tra parapendio e adrenalinico bungee jumping. Inizialmente, era convinto che Faith, come gran parte delle dolci metà dei suoi amici, avrebbe tentato di scoraggiarlo dal praticare degli hobby tanto pericolosi, specialmente dopo la nascita della loro bambina; invece, nonostante la preoccupazione che di tanto in tanto traspariva nel suo sguardo dolce e amorevole, gli era sempre stata accanto. "Ho detto che ti amo così come sei, e tu sei anche le tue passioni", era solita ripetergli. "Se tentassi di cambiarti il mio amore perderebbe valore, non ti pare?"

Da un lato, era lieto che non lo ostacolasse; dall'altro, negli attimi evanescenti in cui lo assaliva il timore che potesse stancarsi di lui, come una ragazzina insicura dei sentimenti del partner anelava in cuor suo una manifestazione di gelosia, gli era capitato di sperare in una lamentela, anche minima, a fugare qualsiasi dubbio che tenesse ancora a lui.

Fu proprio la voce di Faith a fargli notare l'ovvio: era stato lui ad avallare la tesi di Hans che Frida andasse temprata, e resa in grado di maneggiare un’arma (bianca) e di abbattere un uomo adulto anche disarmata; l’aveva voluta prestante, indipendente e combattiva, non poteva lamentarsi se aveva soddisfatto le aspettative.

Sospirò mestamente: aveva promesso a Faith che loro figlia sarebbe stata noiosamente normale, ma tale promessa era impossibile da mantenere: il frutto dell’amore tra due soggetti singolari come loro non poteva rientrare nei paradigmi della normalità. Frida aveva ereditato la sua sicurezza (Faith avrebbe detto arroganza) e il suo sprezzo del pericolo - oltre a intelligenza e bellezza, s'intende - insieme allo spirito da pasionaria (e un altro po' d'intelligenza, che non guasta mai) della madre. Non c'era da meravigliarsi avesse fatto proprio il motto: "il pericolo è il mio mestiere". Ricordava come fosse ieri quando seine Fröschlein, che fin da piccolissima aveva espresso il desiderio di volare, aveva indotto Hans a spingerla sempre più forte sull'altalena, in modo da guadagnare velocità sufficiente a staccarsi e provare l'ebbrezza di librarsi nell’aria, prima di schiantarsi rovinosamente al suolo rompendosi un braccio. Chiunque, al suo posto, avrebbe urlato dal dolore, pianto, imprecato. Invece, stando a quanto gli aveva riferito in Pronto Soccorso un atterrito Hans, seine kleine Kriegerin5, di appena cinque anni, non aveva battuto ciglio; al contrario, aveva sorriso, ringraziandolo per averle regalato la gioia di volare, prima di perdere conoscenza.

Da genitore apprensivo, confidava si trattasse di una fase e che, come con lui, l'età adulta avrebbe tramutato in braci il fuoco dirompente che ardeva nella sua bambina. Qualche mese tappata in casa, lontano dalle investigazioni, forse avrebbe contribuito in tal senso.

Papi? Alles gut?

Scosse il capo, stordito come la mattina appena sveglio. Si voltò verso la figlia, che lo osservava preoccupata, e le assicurò che stava bene, si era semplicemente perso nei ricordi.

–Stai diventando vecchio, vecchio. Comunque scherzavo, su Liam. Bitte, töte ihn nicht6. E non infartare- disse, prima di sorprenderlo con un abbraccio; lei, così restia alle manifestazioni fisiche d'affetto (come lui, del resto). –Non potrei sopportarlo, se morissi senza aver fatto pace. Ti voglio bene.

–Anch’io, Fröschlein. Ma due moine non ti esimeranno dalla tua punizione- ridacchiò del broncio comparso sul volto della figlia e aggiunse –Ancora convinta di preferirmi vivo?

Frida finse di ponderare la risposta.

–Tutto sommato, sì. Non sei malaccio come padre.

–E tu non sei malaccio come figlia- chiocciò Franz, per poi spingerla verso l’ufficio della zia. –Prima le signore.

Serle li accolse freddamente, invitandoli a sedersi senza nemmeno degnarsi di salutarli, al contrario di Ernst, che sventolò entusiasticamente una mano.

La sua presenza li stranì, ma non ebbero il tempo di chiedersi cosa facesse lì che Serle li richiamò all’ordine.

–Bene arrivati. Vado subito al sodo- disse. –Credo siano necessarie delle scuse...

Frida annuì e la interruppe.

–Scuse accettate, Tante. Riconosco che ad un’occhiata superficiale la morte di Aisling Carter sembrasse tutto, fuorché un omicidio. L’importante è che tu e Mutti vi siate ricredute. Andrew è ancora qui? Vorrei fargli qualche domanda.

–Ispettore Constable, prego- replicò secca Serle. –Quanto alle scuse, dovreste essere tu e i tuoi complici a farmele in ginocchio, pregando le divinità di ogni religione conosciuta che non vi denunci per occultamento di prove- si fece consegnare da Faith, in piedi alla sua destra, una chiavetta USB e la poggiò sulla scrivania. –Riconoscete questa?

Frida e William trasalirono; Hans, furibondo, si avventò sul fratello, che corse a nascondersi dietro la zia, invocando la sua protezione.

Hilf mir, Tante!

Feigling! Versteck dich nicht da hinten! Komm da raus und stell dich mir!7

–Fossi matto!- rispose Ernst, ben protetto dallo scudo umano offerto da Faith. –Mi spiace essere arrivato a tanto, ma non potevo permetterti di sputtanare Mutti und Tante per facilitarti la carriera!

–Sputtanare tuo fratello e tua cugina invece andava bene? Verräter! Du verdienst es nicht zu leben!8

Ernst serrò la presa su Faith.

–Non puoi uccidermi, Bruder! S-sei in servizio, e… e poi… chi farà da testimone al tuo matrimonio, eh?

–Ho un altro fratello. Posso fare a meno di te, subdolo figlio di...- Serle si schiarì rumorosamente la gola, e Hans aggiustò il tiro. –Nostra madre.

Frida, che con indicibile sconcerto di William e suo padre aveva assistito impassibile alla scena, sbadigliò vistosamente, prima di intromettersi nel quadretto familiare.

–Se avete finito di ruzzare, gradirei sapere se hai analizzato la chiavetta, Ernst, prima di darla via.

Fu Serle a rispondere.

–Non ce n’è bisogno, il caso è riaperto chiuso: dalla dichiarazione formale di Andrew Carter emerge chiaramente che la colpevole è sua nonna!

 

 

 

Note dell'autrice

Spero vi siate divertiti a leggere questo capitolo almeno quanto io a scriverlo. Sarà filler, di passaggio, o quel che volete, ma mi sono lasciata trasportare dalla creatività, a briglia sciolta.

Ci sono state comunque svolte importanti: il caso sembrerebbe riaperto e chiuso, ma sarà davvero colpevole la nonna di Aisling? ;-)

Faccia da cav... ehm, Kenny immaginatelo come preferite; per me, ha le fattezze di Harry Lloyd (Vyserys Targaryen di GOT). Lo confesso: ho un debole per il fascino british! * arrossisce *

PS: i brani a cui si fa riferimento sono "Smoke on the water" e "Fear of the dark". Complimenti * applausi * a chi ha indovinato! Se non li avete mai ascoltati, manco per sbaglio, correte a farlo. Ora! Subito! Muovetevi! Idem per chi non ha mai visto "Nodo alla gola", un thriller psicologico che nulla ha da invidiare ad altri capolavori dell'immortale Hitchcock.

Ah, la frase "Tu non puoi reggere la verità" è tratta da "Codice d'onore" (A few good men).

Buon anno a tutti, che sia migliore di quello che sta per finire (non che ci voglia molto)!

 

 

1Ciao, papi caro. Qual buon vento ti porta qui?

2Vento di tempesta, figlia adorata.

3Nulla ti salverà dalla tua punizione.

4A quanto pare, l'universo ha deciso di rimandare la mia punizione. Scusa, Papi, devi tornare a casa da solo.

5La sua piccola guerriera

6Non ucciderlo, per favore

7Pusillanime! Non nasconderti là dietro, vieni fuori e affrontami!

8Traditore! Non meriti di vivere!

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Morto, ma non sepolto ***


Mille grazie e un abbraccio virtuale a voi che avete dato una possibilità a questa storia, pazientando per i miei tempi biblici di aggiornamento. Spero che Frida&co abbiano trovato un posticino nei vostri cuori, e continuerete a seguire le loro avventure. <3 <3

Mettete su "Sweet dreams" a tutto volume e buona lettura!

 

Morto, ma non sepolto

 

Chi non vuol far sapere una cosa, in fondo non deve confessarla neanche a se stesso, perché non bisogna mai lasciare tracce.”

Giulio Andreotti

 

Avrebbe dovuto sentirsi sollevato, invece Andrew non provava altro che un misto di incredulità e stordimento, non dissimile da quello che l'aveva assalito nell'apprendere la notizia della morte di sua sorella. Questa volta, però, prevaleva l'incredulità: se, con non poca fatica, era venuto a patti con l'amara verità che Aisling era stata uccisa, non riusciva ad accettare che ad anticiparne la dipartita fosse stata sua nonna, la stessa nonna che da piccoli rimboccava loro le coperte e leggeva la storia della buonanotte. Non riusciva a immaginare come avesse potuto, da sola, vincere le resistenze di Aisling per scaraventarla incontro alla morte, né tantomeno le ragioni dietro a un atto tanto esecrabile. Persino lui sarebbe stato un sospettato più papabile.

Eppure, come gli era stato fatto notare con fermezza - e una certa insistenza - dall'ispettore Constable, una volta eliminato l'impossibile restava solo la verità, per quanto improbabile. In effetti, rifletté mentre osservava, ricambiato, il suo riflesso - più smunto di quanto ricordasse - lo strano comportamento della nonna dopo la morte di Aisling ben si accordava con l'ipotesi, ormai tesi, che avesse capitolato di fronte alla gravità delle proprie azioni, schiacciata dal fardello di una colpa troppo pesante per la sua fragile psiche.

"Avere la coscienza sporca stanca. Ma tu sei un bravo nipote, che libererà la sua vecchia nonna da questo peso, sì?

Tuttavia, sebbene la ricostruzione dei fatti dell'ispettore Constable - gran bella donna, tra l'altro - fosse convincente, una voce assillante nella sua testa - non a caso, la voce della Weil - ripeteva incessantemente che qualcosa non quadrava e anche la morte di sua nonna era accidentale soltanto in apparenza.

Scartata l'ipotesi di stare scivolando nella paranoia, si rese conto che era inutile rimuginare, l'unica soluzione ai suoi dubbi era ascoltare le deduzioni di Sherlock Weil dalla viva voce della suddetta.

Animato da un'energia tutta nuova, si fiondò alla porta. Restò di sasso nel trovarsi davanti Kevin. Roso dal senso di colpa per averlo bellamente ignorato, preso com'era dai suoi drammi personali, rimase impalato sulla soglia, incapace di formulare anche solo una parola di senso compiuto.

Al contrario, Kevin si riprese in un nanosecondo, e prese a sghignazzare –Wow! Hai la stessa faccia di Frida quando le suggerii di depilarsi la patata!

 

***

 

Se Kevin Cartridge avesse dovuto descrivere la propria vita con una metafora, l'avrebbe senza dubbio alcuno paragonata ad una lunga ed estenuante camminata su un tappeto di gusci d'uovo, con l'obiettivo di giungere al traguardo senza fare troppo rumore. Crescere circondato da donne con le palle - o rompi-palle, a seconda dei casi - lo aveva portato a sviluppare un'indole riservata e accomodante; tuttavia, i recenti avvenimenti gli avevano donato una nuova forza interiore, sufficiente a decidere, già che aveva pestato più uova del previsto, di fare una frittata.

Animato da questa convinzione, stava per bussare alla porta di Andrew Carter, ma questi lo batté sul tempo. Rimase per un attimo interdetto, con il pugno a mezz'aria, poi però, accortosi dell'espressione attonita dell'altro, sghignazzò –Wow! Hai la stessa faccia di Frida quando le suggerii di depilarsi la patata!- ridacchiò nel vederlo strabuzzare gli occhi, e aggiunse –Questa, invece, è la faccia di quando le spiegai perché degli scimpanzé spelacchiati la indicavano sogghignando mentre trangugiava una banana in due bocconi!

Sebbene Andrew gli piacesse, doveva ammettere che tra le sue attrattive non figurava l'intelligenza. Si stupì parecchio, quindi, nel sentirlo rispondere a tono.

–E sei ancora qui per raccontarlo. La valchiria si sta rammollendo!

–Sotto la corazza cela un cuore di tenera scioglievolezza.

Andrew ripensò a quando la Weil aveva asserito di dare valore a un numero limitato di vite, precisando che "Kevin rientra tra queste, tu no". Si chiese quali traumi avesse subito Cartridge da bambino per considerare "tenera scioglievolezza" la freddezza di quella stramba ragazza, ma tenne per sè quel pensiero.

–Immagino non sia venuto fin qui per farmi ricredere sulla tua amica virago. Cosa vuoi?

Senza pensarci su un attimo, Kevin replicò –Dirti che sei uno stronzo. Per telefono non sarebbe stato altrettanto efficace!

Per Andrew fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso. Una parte di lui scalpitava per mandare il rompiscatole al diavolo - aveva ben altro da fare che star lì a subire insulti; piangere la dipartita di sua nonna, per dirne una - l'altra, capitanata dal suo cuoricino, che al solo vedere Kevin aveva cominciato a battere all'impazzata, smaniava per zittirlo con un bacio mozzafiato. Prevalse la prima.

–Te la sei fatta fin qui coi mezzi solo per mandarmi affanculo? Wow!- esclamò, prima di chiudersi la porta alle spalle. –Non per essere scortese, ma stavo giusto uscendo, devo scambiare due parole con la Sherlock in gonnella.

–Mi stai invitando ad andarmene?- ringhiò sommessamente Kevin, irritato dalla piega che stava prendendo la conversazione; si aspettava di venire accolto a braccia aperte, non da un muro di ghiaccio. –Dovrai impegnarti molto più di così per liberarti di me: non sono uno che molla facilmente. Ah, per rispondere alla tua domanda: mi ha dato un passaggio il tuo amico Kenny.

Andrew sbuffò una risata priva di allegria.

–Rhys non è amico di nessuno, a parte se stesso. Chapeau, comunque: se hai avuto il fegato di chiamarlo Kenny in sua presenza senza essere spinto fuori dall'auto in corsa, è un miracolo!

–Cos'ha che non va il nome Kenny? Frida e le mie sorelle, quando sono in vena di scherzare, mi chiamano Kevvy, però non ho mai cercato di accopparle... per questo.

Andrew scrollò le spalle.

–Nella sua testa, sua madre è l'unica degna di chiamarlo in quel modo.

–Un vero cocco di mamma!

–Cocco di mamma surrogata- precisò Andrew, fattosi improvvisamente serio. –Quella che l'ha partorito è morta quando aveva otto anni.

Kevin aprì e chiuse la bocca, turbato dalla notizia: per sviare le domande indiscrete di Kenny - che in una vita precedente doveva aver militato nella CIA o nel KGB - si era sperticato in un'invettiva contro sua madre, con il preciso scopo di annoiarlo a morte. Col senno di poi, quello che aveva interpretato come disinteresse, forse era invidia: lui, perlomeno, aveva una madre di cui lamentarsi. Decise, tuttavia, di sviare ancora una volta il discorso.

–Niente auto, era in moto- replicò, esibendo un sorriso a trentadue denti: sua madre gli aveva sempre proibito di salire su "quelle diavolerie a due ruote" per paura che potesse farsi male o, peggio, "diventare un satanasso barbuto e capellone, tatuato come un pirata dei Caraibi" ("Quella donna ha un serio bisogno di rivedere le sue priorità", pensava ogniqualvolta gli toccava sorbire la predica); montare in sella dietro Kenny, quindi, aveva costituito per lui un vero e proprio atto di ribellione, tanto eccitante da farlo soprassedere dal domandarsi perché mai avesse dietro due caschi. –Non sapevo di questa sua fissa. Strano! Mi era parso un tipo tutto sommato normale; anzi, piuttosto in gamba: è saltato fuori che ha sempre sospettato del marcio nella morte di tua sorella.

–E per tutto questo tempo è stato a guardare senza muovere un dito?- ruggì Andrew, indignato. –Nonostante si professasse suo amico? Figlio di puttana! Per tutto questo tempo l'ho coperto, perché sicuro fosse l'ultima persona al mondo a desiderare la morte di Ling, e come mi ripaga? Fottendosene altamente! Ma vaffanculo! Con il cervello della Weil e le sue conoscenze, a quest'ora il caso sarebbe già stato risolto!

Kevin resistette faticosamente alla tentazione di rinfacciargli la contraddittorietà delle sue affermazioni: come poteva aspettarsi che qualcuno amico solo di se stesso, ossia egoista fino al midollo, si scomodasse, peraltro senza tornaconto, a smuovere delle acque almeno in apparenza tranquille?

–A sua discolpa- asserì, sperando di suonare conciliante –Va detto che si è trovato davanti un muro di gomma: il mondo intero, polizia in primis, era strasicuro non ci fosse alcunché su cui indagare; nessuno sano di mente si sarebbe azzardato a cantare fuori dal coro.

–La Weil lo ha fatto.

–Ho detto "sano di mente", Andrew. Per quanto le voglia bene, Frida non ha una rotella che sia una a posto. Inoltre, a voler pensare male - e, secondo Sherlock Weil, quando si cerca di capire il movente di una persona conviene sempre supporre il peggio - il risentimento che covava nei confronti di Aisling ha spento qualsivoglia fiammella di altruismo in lui. Sai, per via delle voci che giravano su lei e Rhys-Jones senior.

Ancora una volta, Andrew riuscì a prenderlo in contropiede: era sicuro al cento per cento che avrebbe reagito male, addirittura che avrebbe emesso fumo dalle orecchie. Invece, si limitò a stralunare gli occhi e schioccare la lingua contro il palato.

–Se ti riferisci alle dicerie sulla... diciamo, intimità eccessiva tra Aisling e il padre di Rhys, ne ero già al corrente, spiacente di deluderti. È storia vecchia. Morta e sepolta.

–Morta sì, sepolta mica tanto!- lo contraddisse Kevin. –Non l'avresti nascosto a Frida, altrimenti.

–Non volevo gettare fango sulla memoria di mia sorella inutilmente. Avessi avuto il minimo sospetto che Rhys fosse implicato in qualche modo, l'avrei detto, ma so per certo che all'ora della morte di Ling stava rigettando l'anima in un cubicolo del Tipsy Crow. Ah, a costo di deluderti ulteriormente: non sarò una cima, ma nemmeno tanto idiota da credere a insinuazioni infamanti che, onestamente, la dicono più lunga su chi alimenta il pettegolezzo che su chi ne è l'oggetto. Conosco bene Stephen, il padre di Rhys, posso assicurarti che, ammesso abbia tradito la moglie... non l'ha fatto con mia sorella. Mai con mia sorella. I nostri genitori erano molto amici, per forza di cose siamo cresciuti insieme. Dopo aver perso le rispettive madri e, soprattutto, dopo che papà ci ha abbandonato, Steve è diventato una figura paterna, specialmente per Ling. Dio, la gente sa vedere il marcio dove non c'è ed essere cieca di fronte al marciume vero!

–Perciò non ritieni che Kenny, o Rhys, o come diavolo gradisce farsi chiamare, potesse volere Aisling morta?

–Non più di quanto potessi volerlo io- tentò di scherzare Andrew, la cui ilarità ebbe breve durata: scoprì, infatti, di essere stato in cima alla lista dei sospettati finché Frida non aveva sorpreso suo nonno a frugare tra gli effetti di Aisling. –Cos... sul serio sospettavate di me?

–Ehi! Non mettermi in mezzo! I detective dilettanti sono Frida e Will, io sono solo...

–Un tirapiedi?

–Preferisco "collaboratore occasionale"- puntualizzò Kevin, un attimo prima di ricevere un messaggio urgente. Lo lesse e sorrise, divertito. –Toh! Parli del diavolo... Frida è, e cito, "condannata agli arresti domiciliari, sorvegliata speciale ovunque vada, bagno incluso". Segue una lunga serie di quelle che, immagino, siano imprecazioni in tedesco. Se posso dire la mia: era ora! Faith e Franz sono stati fin troppo permissivi con lei.

–Era ora un corno!- obiettò Andrew. –Come faccio a parlarle, adesso?

–Ehm... non saprei. Lasciami riflettere con calma. Ok, neuroni, guadagnatevi la paga in glucosio: CFF?

–Ci-cosa?

–CFF. Cosa farebbe Frida?

–Sei serio?

–Quale migliore guida spirituale della persona più geniale che conosco?

–Ma se poco fa l'hai definita una pazza!

–La follia è il contraltare del genio- asserì Kevin, esibendo un sorrisetto vagamente malizioso che, suo malgrado, Andrew giudicò molto sexy. –Ho la massima fiducia in lei. Conoscendola, e la conosco dalla nascita, si sta già ingegnando ad escogitare un piano per proseguire le indagini in super segretezza. So che ci costerà parecchio sforzo d'immaginazione, ma proviamo a batterla sul tempo, tanto per cambiare.

Nonostante i buoni propositi, e un discreto impegno, fallirono nell'impresa.

–Niente da fare: nel tempo che un essere umano impiega ad analizzare un problema, la Barry Allen delle elucubrazioni mentali ha già trovato una dozzina di soluzioni. Ehi, stavolta la soluzione sono io! Che bello! Oh, ma certo! Come ho fatto a non pensarci? Posso fare da intermediario!- esclamò, battendosi una mano sulla fronte. –E va bene: mi sacrificherò per la giustizia. Sarò il canarino che spilla informazioni a chi di dovere.

–Meglio un pettirosso, più carino; così la tua amica potrebbe vantarsi di essere Batgirl! Ad ogni modo, immagino che questo volatile non si libri gratis. Qual è il tuo prezzo?

Kevin prese a ridacchiare istericamente.

–Beh, dammi pure del pervertito, ma tutto questo parlare di uccelli... ok, scusa, la pianto. No, non ci riesco! Aiuto! Non riesco a smettere di ridere... mentre mi scorrono davanti agli occhi fantasie sconce!

–Sei un pervertito!

–Sempre meglio di te, uno stronzo che limona gente a caso per poi sparire!- ululò d'istinto Kevin, dando finalmente sfogo alla frustrazione imbottigliata per giorni.

Andrew incassò il colpo senza battere ciglio.

–Lo "stronzo" aveva altro a cui pensare; sai com'è, ha appena perso sua nonna.

–Ma se non te n'è mai fregato un cazzo della tua famiglia!

–Non è vero! Casomai il contrario: alla mia famiglia non è mai fregato un cazzo di me. Nonna era l'unica che teneva un minimo a me.

–Sì, beh... anche quest'altro stronzo qui presente tiene a te, e si era illuso di contare qualcosa, abbastanza da essere preso in considerazione come spalla su cui piangere. Invece, a quanto pare, per te non sono che un cazzo ambulante. Buono a sapersi!

"Io ho perso uno dei pochi familiari rimasti, però a soffrire è lui, perché non mi sono gettato piangente e gemente tra le sue braccia? Roba da matti!", pensò Andrew, allibito dall'egocentrismo dell'altro.

–Mi dispiace averti ferito, ma non chiederò scusa: ciascuno elabora il lutto a modo suo; io ho scelto la solitudine.

Faticando a contenere la delusione, Kevin chiese –Sei ancora convinto della tua scelta?

–Fino a un secondo fa, sì- esalò Andrew, incapace di resistere a quel broncio troppo adorabile per essere legale. –Adesso... ho solo voglia di stringerti come un cucciolo di koala. Dannazione! Perché sei così carino?

Ormai certo di averlo in pugno, Kevin celiò maliziosamente, prima di posare sulle sue labbra un bacio delicato –Fammi entrare e ti svelerò la risposta. Mi sei mancato.

 

***

 

Aveva sperato che offrire un passaggio a Kevin gli avrebbe consentito di scoprire ulteriori retroscena sulla morte di Aisling, ma, con suo gargantuesco disappunto, si era sbagliato: il ragazzo aveva giocato a carte scoperte, rivelando loro tutto quanto Sherlock Weil - o chi per lei - gli aveva permesso di divulgare.

Doveva rendergliene merito: Cartridge era un ottimo pappagallo ammaestrato, oltre che un eccellente violinista. Peccato che a lui servisse non un pappagallo, bensì un merlo che chioccolasse informazioni utili a trovare il bandolo di quella matassa sempre più ingarbugliata.

Avendo esaurito la sua utilità, aveva scaricato frettolosamente Kevin a destinazione, per poi immolarsi all'altare del traffico cittadino e raggiungere la sua oasi di pace.

"Pace eterna", pensò, ridacchiando tra sè e sè per la battuta, prima di addentrarsi tra i filari di lapidi.

Nonostante le prese in giro e la consapevolezza di quanto potesse risultare strano - per non dire macabro o peggio - ad un occhio esterno, si rifugiava tra i defunti ogniqualvolta sentiva il bisogno di sfuggire al logorio della vita moderna e restare solo coi suoi pensieri (come di consueto, parecchi).

Ignorando l'incessante vibrazione del telefono cellulare nella tasca del giubbotto, ringraziò mentalmente l'amica defunta e la detective dilettante per averlo distolto dalla recentissima - e altrettanto dolorosa - rottura con la sua ormai ex ragazza (che aveva abbandonato per strada in un quartiere periferico a lei sconosciuto; e pazienza se Babbo Natale lo avrebbe cancellato dalla sua lista per questo): sebbene, infatti, fosse riuscito a non vacillare alla presenza dei suoi amici, la scioccante rivelazione sulla morte di Aisling lo aveva sconquassato al punto da non solo rischiare di compromettere la sua facciata di sarcasmo e cinica imperturbabilità, ma addirittura spazzare via la delusione sentimentale. Un'inezia quale venire mollato senza un valido motivo - a meno di considerare l'incompatibilità caratteriale un valido motivo - impallidiva di fronte alla consapevolezza - tutt'altro che confortante - che i suoi sospetti non erano segno prodromico di un'incipiente paranoia, bensì prova concreta della bontà del suo intuito, che ancora una volta era riuscito a scorgere la verità dietro il velo di Maya. Era quindi scivolato in un turbinio di emozioni in netto contrasto tra loro: autocompiacimento, da un lato, dall'altro senso di colpa per aver indolentemente lasciato che calasse il sipario su un omicidio. Aisling era stata uccisa, lo aveva sospettato per tutto quel tempo, eppure... non aveva mosso un dito. Certo, dubitava che un suo eventuale contributo avrebbe potuto concretamente cambiare lo stato delle cose, ma ciò non lo sollevava dalle proprie responsabilità.

La litania di auto-fustigazione mentale venne interrotta dalla voce della ragione, o, per meglio dire, della coscienza. Inutile vittimizzarsi, sapeva perfettamente perché era rimasto in disparte: puntava a punire Aisling per avergli messo la proverbiale pulce nell'orecchio, una pulce impossibile da scacciare, perché l'unica persona in grado di farlo giaceva sotto terra.

"–Woo-hoo! Non credevo fosse possibile rendere questo pezzo ancora più tamarro, ma il dj ci è riuscito. Alla sua!

Semi-stordito dal ritmo martellante del remix di un classico anni '80 e dal senso di costrizione toracica indotto dall'aria stantia del Tipsy Crow al massimo della capienza, talmente calda, secca e povera di ossigeno da risultare quasi limacciosa a ogni inspirazione, strappò di mano il bicchiere all'amico, tracannò il contenuto in un solo sorso e si giustificò biascicando –Hai bevuto abbastanza, Hammer.

Tu no?

Hai ragione. Mi correggo: io ho bevuto abbastanza, tu hai bevuto troppo.

Buu! Guastafeste!- si lagnò Daniel, per gli amici Hammer, sbronzo perso. –Sei di cattivo umore per quella brunetta di prima? Consolati: il mare è pieno di sirenette. Carina, per carità; non il tuo tipo, però.

Si morse la lingua per reprimere l'istinto di rispondere che stava a lui decidere chi rientrasse nel suo "tipo", ma decise di soprassedere. Parafrasando un noto aforisma, discutere con un ubriaco era come giocare a scacchi con un piccione: si poteva essere anche il campione del mondo, il piccione avrebbe comunque fatto cadere tutti i pezzi e cagato sulla scacchiera, per poi andarsene impettito come se avesse vinto lui. Scrollò le spalle.

Tanto non le interessavo, mi ha usato per ingelosire il suo ragazzo. Non so se offendermi o esserne lusingato.

Se non te l'ha data, sei autorizzato a sentirti offeso.

Privo di interesse a portare avanti una conversazione sull'argomento, si limitò ad annuire distrattamente, mentre scandagliava la folla in cerca di Aisling. Gli bastò individuarla per ritrovare il sorriso: sembrava ancora sufficientemente cosciente da poter affrontare una discussione di una certa importanza. Animato da un'ardente determinazione, si affrettò a raggiungerla.

Ehi, Ling! Ti diverti?

Niente mi diverte più, oramai- gli rispose laconica.

Qualcosa che abbiamo in comune.

Davvero? Eppure, pareva ti stessi divertendo con la tua nuova amica. Ha un nome, o l'hai reputata talmente scialba da non sprecarti a chiederglielo?

Sbuffò una risata.

La tua è semplice curiosità, o sei gelosa? Sinceramente, spero la prima. Teoricamente, ho una ragazza, anche se non so per quanto ancora. Per tua informazione, comunque, la brunetta di prima si chiama Kiley. Ah, no, scusa: Kimberly!

Che razza di nome!

Evitò di farle notare che dal pulpito di un nome particolare come Aisling era forse l'ultima persona al mondo a potersi permettere di giudicare e la invitò a seguirlo in uno dei nidi di corvo sul retro per avere un po' di privacy. Inizialmente recalcitrante, Aisling cedette dopo innumeverevoli insistenze. Rimpianse di non aver annebbiato le proprie facoltà mentali: immaginava di cosa volesse parlarle, non sarebbe stata una conversazione piacevole, nè tantomeno pacifica.

Contro ogni previsione, Kenny esordì evidenziando l'ovvio.

Presumo ti sia fatta un'idea del perché desidero parlarti.

Aisling rimase di stucco: da che lo conosceva, non era mai stato tipo da giri di parole; anzi, spesso veniva rimproverato per essere sgradevolmente diretto. Se fosse stata brillante o arguta, avrebbe potuto metterlo in imbarazzo scoprendo le sue carte con una risposta pungente, ad esempio "Non vuoi parlarmi, vuoi ordinarmi di stare alla larga da Steve"; ma Aisling Carter era tutto, meno che arguta, pertanto si limitò a fissarlo con l'espressione del pesce in pescheria.

Mi dispiace dover arrivare a tanto, ma la situazione è diventata insostenibile. Sta' alla larga da mio padre, Ling. So che lo consideri una sorta di padre putativo...

Puta-che?

So che lo consideri un secondo padre, visto che il tuo è, senza offesa, una merda che ha indotto tua madre al suicidio. Lo capisco; al tuo posto, anch'io mi sarei attaccato a chiunque mi elemosinasse un po' di affetto. Nell'ultimo periodo, però, hai esagerato. La gente mormora, e, di nuovo, senza offesa, non vali abbastanza da rischiare queste elezioni. In caso non fosse chiaro, la mia non è una richiesta- ringhiò Kenny, che stava rapidamente esaurendo la pazienza. –Sta' lontano da lui!

Cos... non è come pensi, Kenny!- ribatté Aisling, rendendosi conto troppo tardi di aver violato la regola d'oro di Kenny: non chiamarlo mai per nome. –Rhys! Rhys. Scusa, a volte dimentico...

Giura che lascerai in pace di mio padre, e lascerò correre.

Ancora con questa storia? Non è come pensi! Ecco, questo posso giurarlo!- latrò Aisling, incredula che l'amico di una vita potesse avere una tale opinione di lei. –Se credo che tuo padre sia infedele? Cazzo, sì! È talmente palese che mi meraviglio non sia ancora finito sui giornali! Ma non sono io la sua amante, nossignore. Non ti fai schifo da solo anche solo a immaginare una cosa del genere?

Ammesso stia dicendo il vero, puoi biasimarmi per averlo pensato? Osi negare la tua ridicola cotta per mio padre?

Sì!- esclamò con forza. –Cioè, no. Cioè... aiuto! Senti, non hai idea di cosa ho passato. Nemmeno io, in realtà, finché non sono stata costretta da quella stronza di psicologa a ricordare perché "elaborare il trauma è l'unica via per la guarigione". Sarà, io continuo a credere che stavo meglio prima, senza sapere quali demoni provavo inconsciamente ad annegare. Purtroppo, ho scoperto che i miei demoni sanno nuotare.

Di cosa diavolo stai parlando?

Ok, lo confesso: è come dici tu; ma, allo stesso tempo, non è come dici tu. La mia non era una vera e propria cotta, era più... un malsano attaccamento per qualcuno che mi dava ciò di cui avevo bisogno! Vizio di famiglia: mio padre fece lo stesso con tua madre.

Lascia mia madre fuori da questa storia!- ruggì Kenny, ma Aisling non gli diede ascolto: una volta aperta la diga, non c'era scampo alla piena.

Ehi, non sto condannando nessuno dei due! Cioè, lui sì - si è comportato da vero stronzo - però, con un po' di sforzo, riesco a capire le loro ragioni.

Non ti seguo. Le ragioni di cosa?

Si sentivano soli, ovviamente! Lei perché tuo padre non c'era mai e lui perché intrappolato in un matrimonio infelice con una donna dalla psiche di cristallo andata in frantumi. Ah, nel caso non lo ricordi, ci tengo a precisare che questa frase è tua; a me non sarebbe mai venuto in mente un pensiero così poetico. Mai pensato di diventare scrittore? Ci sai fare con le parole! Ma non perdiamoci in chiacchiere. Cosa stavo dicendo? Ah, sì: mio padre si sentiva solo e, come chiunque, o quasi, nella sua situazione, ha cercato conforto tra le braccia di qualcuno agli antipodi rispetto a mia madre. Tua madre, insomma. Da quel che ricordo, era una perla rara: gentile, amorevole... in una parola, materna. Triste che se ne sia andata così presto.

Kenny venne assalito da un impellente conato di vomito: Aisling stava seriamente insinuando che i loro genitori avessero avuto una tresca, come nelle peggiori soap opera?

Spero di aver capito male.

Oh, hai capito benissimo! Pure Steve l'aveva capito. Ecco perché ci siamo avvicinati: entrambi cercavamo la verità.

E l'avete trovata?

Io sì- rispose. –A lui è mancato il coraggio di andare fino in fondo".

Due giorni dopo quella discussione ai limiti del surreale Aisling era morta, e lui non aveva versato una lacrima, ad eccezione di quelle socialmente obbligatorie al funerale.

La sua non era altro che una recita, l'ennesimo confortevole bozzolo di menzogne nel quale rintanarsi perché accettare la verità lo avrebbe costretto ad affrontarla, a sforzarsi per metabolizzarla in qualche modo. Ingannarsi era decisamente più comodo. Aveva perfezionato quell'abilità nel corso degli anni, arrivando a tali livelli di maestria da non essere più capace di distinguere il vero nè intorno a sé, né dentro di sé. D'altronde, era cresciuto sentendosi ripetere da suo padre che qualunque idiota può dire la verità, mentre l'arte del mentire richiede intelligenza.

Eppure, mentre stava in piedi davanti alla tomba della madre, ritenne lecito abbandonarsi ad un momento di pura idiozia, confessando apertamente di essersi sentito sollevato che Aisling fosse morta, e con lei i suoi segreti, finché non aveva impattato contro la dura realtà: a differenza dei corpi, segreti e bugie non erano facili da seppellire.

Si voltò, avviandosi verso l'uscita, quando, a dimostrazione del fatto che al peggio non c'è mai fine, incrociò un viso a lui fastidiosamente noto.

–Faccia da cavallo? Cosa ci fai qui?

Storse il naso all'odioso nomignolo che quel biondino dallo strano accento gli aveva affibbiato e replicò, con un sorriso sibillino –Non farmi domande, Riccioli d'oro, e non ti dirò bugie.

Riprese a camminare, ma non fece in tempo a muovere due passi che la fastidiosa voce del ricciolino giunse nuovamente alle sue orecchie.

–Sai, hai l'aria fin troppo felice per un posto come questo. Sei venuto a gongolare sulla tomba di qualcuno che ti stava sul cazzo?

–Di nuovo, ricciolotto: non farmi domande, e non ti dirò bugie.

–E dai, cavallino, toglimi almeno questa curiosità! Io sono venuto a trovare mio zio. Tu?

Sebbene tentato di non degnarlo di una risposta, dopo un interminabile minuto di silenzio emise un profondo sospiro, strinse i pugni e, a costo di sembrare scortese, mantenne lo sguardo fisso in avanti, lottando contro le lacrime bastarde che avevano scelto proprio quel momento per fuoriuscire.

–Mia madre- mormorò, prima di allontanarsi con le mani in tasca e il cuore gonfio della soddisfazione di aver - ne era certo - lavato via il sorriso dalla faccia di Riccioli d'oro.

 

***

 

Avrebbe dovuto essere felice, invece Frida non provava altro che una frustrazione pari a quando aveva scoperto, a un passo dal completarlo, che il puzzle da mille pezzi del Rockefeller Center regalatole per Natale da Ernst difettava di un pezzo. Ancor più snervante era stato apprendere dal cugino che il pezzo mancante lo aveva sottratto lui stesso, con dolo, per farla ammattire. Le vette di fastidiosità che riusciva a raggiungere stupivano persino lei, che nella sua piuttosto breve vita aveva già sperimentato i lati peggiori dell'umanità.

Tuttavia, il grado di irritazione mista a delusione che le procurava l'evidente sollievo di William era impareggiabile: non riusciva a concepire che il suo socio potesse davvero trovare soddisfacente un epilogo tanto banale e pieno di falle. Per tutti il caso era stato riaperto e chiuso. Tutti... tranne lei.

–Cos'è quella faccia mogia, Weil? Alla fine la verità è venuta a galla: avevi ragione tu sin da principio. Dovresti crogiolarti nella tronfiezza!

–William ha ragione, cucciola. Tua zia e io abbiamo riconosciuto di aver preso un abbaglio, ci siamo scusate per non averti dato retta... ancora non sei soddisfatta?

–No, non sono soddisfatta, e non mi crogiolerò in una beneamata- si morse la lingua per evitare volgarità in presenza dei suoi genitori –Fava, finché il caso non sarà risolto- silenziò William e sua madre con un'occhiataccia e precisò –Definitivamente risolto.

Wenn es jemand kann, dann du. Du bist hartnäckig und gibst nie auf, Cousinchen. Du bist eine Kämpferin1.

Ringalluzzita dall'incoraggiamento del cugino prediletto, Frida gli concesse uno dei suoi rari abbracci, incurante dell'espressione meno che lieta di William ed Ernst, al quale mostrò la lingua in una malevola quanto infantile manifestazione di superiorità. Fin da piccoli, si erano contesi le attenzioni e l'affetto di Hans - a differenza di Wilhelm, il quale, forse proprio in virtù della condizione di fratello mezzano, aveva sviluppato uno spiccato individualismo - e, a dispetto del grado di parentela e degli sforzi di Ernst, era la principessa di casa Weil ad occupare il posto speciale nel suo cuore.

Kannst du laut sagen2!

Franz si accigliò, pronto ad esplodere, ma venne placato da un'affettuosa stretta sulla spalla da parte di Faith. Il potere calmante che esercitava su di lui, fortunatamente, non si era affievolito col tempo.

–Cosa non ti quadra?- chiese la donna, serrando la presa sul compagno. Tutto punta verso Isobel Conworthy: aveva l'opportunità di agire, e poco prima di morire ha chiamato il nipote perché, e cito, "avere la coscienza sporca stanca".

–Movente?

–Ti sorprenderà, Frida, ma le persone non sempre si lasciano guidare dalla ragione. A volte commettono atti inconsulti- replicò Faith. –Mrs. Conworthy era una donna mentalmente instabile, è possibile che l'ennesimo crollo nervoso...

A quel punto, la ragazza perse la (poca) calma rimastale e sbottò –Oh, fammi il piacere! La vostra è una soluzione di comodo: se il colpevole è morto non si andrà a processo e l'enorme granchio che avete preso tu e Tante Serle apparirà più piccolo. La vostra è cecità dolosa, oppure siete diventate improvvisamente deficienti. Delle due l'una. In ogni caso, evita di trattarmi da pazza ossessiva, perché non lo sono. La dinamica del delitto suggerisce una certa premeditazione, che mal si accorda con un crollo nervoso: una persona mentalmente esaurita può scaraventare di sotto la nipote durante una lite, non si infila in piena notte nella sua camera col chiaro scopo di simulare una caduta accidentale o un suicidio. Chiunque sia capace di tale premeditazione in genere ha i nervi sufficientemente saldi da non ammazzarsi corroso dai sensi di colpa, né tantomeno telefona al nipote per confessare prima di togliersi la vita inducendo un'ipoglicemia fatale.

–Ipoglicemia?- esalò William.

–Vuol dire che il livello di zuccheri nel sangue è troppo basso.

–So cosa vuol dire!

–Allora il tuo vocabolario supera la tua soglia di attenzione- rispose Frida esibendo il ghigno marchio di fabbrica della famiglia Weil.

–Cosa vorresti insinuare?

–Se ti fossi preso la briga di leggere la testimonianza di Andrew per intero, invece che un rigo ogni dieci, forse ti saresti accorto che la signora era convinta di aver già assunto la dose serale di insulina. Le sue parole, ovviamente, sono state liquidate come i vaneggiamenti di una vecchietta con senilità incipiente. Supponiamo, invece, abbia detto il vero: avremmo una ragionevole causa di morte. Raddoppiare la dose di insulina sarebbe di per sè sufficiente a indurre una grave ipoglicemia; in più la nonnina assumeva un antidepressivo in grado di influenzare il controllo glicemico, aumentando la secrezione e la sensibilità all'insulina. Et voilà, les jeux sont faits!- ignorò il commento di William ("Adesso parli pure francese?") e aggiunse –Certo, per essere sicuri andrebbe eseguita un'autopsia, anche se è dubbio quanto possa essere dirimente. La diagnosi post mortem di coma ipoglicemico è complicata: tanto per cominciare, la morte non è necessariamente immediata e, a seconda del tipo di insulina utilizzata, il tempo per il coma ipoglicemico può essere di venti minuti o più, consentendo quindi il metabolismo e l'eliminazione della molecola, senza contare che le concentrazioni di glucosio e peptide C - sottoprodotto della scissione enzimatica da proinsulina a insulina - nel sangue diminuiscono dopo la morte, rendendo pressoché impossibile, in assenza di dati ulteriori, distinguere una iperproduzione endogena - dovuta, per esempio, a un insulinoma - da un iperdosaggio di insulina esogena. Inoltre, dettaglio non da poco, Tante Serle non richiederebbe un esame autoptico soltanto in base alle mie - pur accuratissime - supposizioni!

–Ci puoi scommettere!- borbottò Serle.

Con sommo sconcerto dei presenti, Faith prese a farsi aria con una mano, in preda alla commozione.

–So che non dovrei mostrarlo platealmente, ma... sono così orgogliosa della mia bambina!- singhiozzò, salvo recuperare prontamente un'aria professionale. –Nonostante ignori che l'immunopurificazione combinata con la spettrometria di massa ad altissima risoluzione/alta precisione, specialmente su matrici meno soggette ad alterazioni post-mortali, quali l'umor vitreo o il liquido cefalospinale, è dotata di sufficiente sensibilità e specificità per dosare e differenziare i vari analoghi dell'insulina. Difatti, è stata impiegata con successo nella risoluzione di un caso di parricidio. Caso pubblicato, tra l'altro. Lo so perché, beh... era mio.

–Viva la modestia!- la punzecchiò Franz.

–Disse l'autore del memorabile: "la modestia è la virtù delle persone modeste, e io sono straordinario"!- lo rimbeccò Frida, che si scompisciava (internamente) nel constatare quali abissi potesse raggiungere la gelosia professionale del padre (ragione per cui Faith aveva abbandonato l'equipe della professoressa Eriksson: prima o poi, lei e Franz si sarebbero trovati a competere per la posizione apicale e, dato che a nessuno dei due piaceva perdere, il loro rapporto ne sarebbe uscito irrimediabilmente compromesso). –Sono fiera di te, Mutti. Weiter so3!

–Grazie, cucciola.

–Sei la persona più intelligente che conosco. Infatti, mi è ancora ignoto quale cortocircuito sinaptico ti abbia indotta a ritenere accidentale la morte di Aisling Carter.

–Certo che non molli l'osso!- sbottò Faith, ogni traccia di amore materno evaporata. –Ho sbagliato, va bene? Gli esseri umani possono sbagliare. Quelli che non stanno tutto il santo giorno a girarsi i pollici, almeno. Ah, mettiamo in chiaro una cosa: non ravvedo alcunché di strano nella morte di Isobel Conworthy. Ammesso, e non concesso, che il decesso sia davvero stato causato da una overdose di insulina, ciò lo renderebbe al massimo materiale per un articolo scientifico, non un'indagine per omicidio.

Superata l'iniziale perplessità, William rifletté –Bisogna ammettere che l'idea di Frida è sensata. Tuttavia, ciò rende l'epilogo della vicenda perfino più insulso del previsto: la morte di Mrs. Conworthy è null'altro che un tragico errore del marito.

Da speranzosa che era, Frida precipitò nuovamente nel tunnel dell'avvilimento.

Mein Gott, Liam, credevo fossi intelligente!

–Cos'avrei sbagliato, sentiamo!

–Smentiscimi arrivandoci da solo.

–Tu, invece, sai dove devi arrivare?

Es reicht!4- intervenne a quel punto Franz, che ne aveva abbastanza. –Vi proibisco di parlare oltre di questa storia! Kaput! Quanto a te: sconterai la tua punizione agli arresti domiciliari, dopodiché fingeremo che tutto ciò non sia mai accaduto e smetterai per sempre di giocare alla signora in giallo!

Frida, per tutta risposta, lo fulminò con lo sguardo e il glaciale –Ad aprile diventerò maggiorenne e a settembre, se tutto andrà secondo i piani, mi trasferirò nell'Oxfordshire. Prova a fermarmi da novanta chilometri di distanza!

Ancora una volta, William si domandò come riuscisse la Weil a rivolgersi con quel tono a suo padre, che sembrava sul punto di sparare laser dagli occhi. A onor del vero, rifletté in un secondo momento, Weil senior aveva mostrato un autocontrollo invidiabile; suo padre, con ogni probabilità, nella medesima situazione lo avrebbe marchiato indelebilmente con l'impronta della mano. Franz, invece, si limitò ad una sonora risata, ma Frida non gli badava più: la sua attenzione era stata interamente assorbita da Ernst, alias il "traditore", che l'aveva afferrata da dietro per sussurrarle, canzonatorio –Onkel Franz hat recht, Cousinchen5.

L'uso del tedesco, che Ernst millesimava come uno champagne pregiato, la mandò su tutte le furie. Adirata, lo scostò con veemenza, ringhiando –Sei still, Ratte! Es ist deine Schuld, dass ich in dieser beschissenen Situation bin!6

–La colpa è solamente tua- ribatté Ernst arretrando di un passo con le mani alzate. –Dovresti conoscermi: sai a quale gioco mi piace giocare.

Capita l'antifona, Frida, in un attacco di istintualità rapido come un battito di ciglia, infilò la mano nella tasca della giacca, dove si trattenne per qualche secondo, e increspò le labbra in un tenue sorriso.

Sperò di tutto cuore che quel gesto fugace e apparentemente inspiegabile fosse passato inosservato a tutti, in particolare a qualcuno che poteva vantava un intelletto (quasi) pari al suo e un'esperienza ultradecennale nel tenerla sott'occhio.

Le sue speranze si vanificarono poco dopo aver messo piede in casa: attirata in cucina dalla golosa prospettiva di concludere la giornata facendo scorta di di serotonina (in altre parole, gustando una cioccolata calda), finì dritta nella trappola tesa da Faith, la quale, senza troppi preamboli, esaurite le domande di rito sui caratteri organolettici della bevanda, tese una mano e chiese, in tono imperioso –Bene, cucciola. Ora ti spiacerebbe consegnarmi qualunque cosa Ernst abbia messo nella tua tasca, illudendosi di fregare me e sua madre?

 

Note dell'autrice

Agli impavidi che sono arrivati fino in fondo, medaglia al valore! Sono curiosissima di sapere se Kenny, aka Rhys, per William Faccia da cavallo, è promosso o bocciato. E Kevin&Andrew, aka Kendrew: ship promossa o bocciata?

A proposito di Andrew: la sua battuta sul pettirosso in italiano rende poco, ma non potevo non inserirla: "robin" in inglese significa appunto pettirosso, ma è anche il nome della spalla di Batman (girl, nel caso di Frida).

A proposito di Frida: poverina, è circondata da menti inferiori!... O almeno, così credeva: pensava davvero di riuscire a gabbare la madre, ma a Faith non la si fa! Franz, invece, sta cominciando a desiderare e temere al tempo stesso il momento in cui la figlia spiccherà il volo. Non ha tutti i torti: Frida ha un vero talento per cacciarsi nei guai!

Ci sto mettendo più del previsto, ma tenete duro, il gran finale si avvicina!

A presto (spero)!

PS: il merlo chioccola, dall'onomatopea "chiò chiò". Non si finisce mai di imparare!

PPS: "Qualunque idiota può dire la verità. Ma per mentire ci vuole intelligenza" è una frase di Dostoevskij. Non si dica che non cito le fonti!

 

1Se c'è qualcuno che può farcela, sei tu. Sei tenace e non ti arrendi mai, cuginetta. Sei una combattente.

2Puoi dirlo forte!

3Continua così!

4Adesso basta!

5Zio Franz ha ragione, cuginetta.

6Taci, traditore! È colpa tua se mi trovo in questa situazione di merda!

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Aria di tempesta ***


Bentrovati, miei prodi!

Spero che il capitolo non vi deluda o, peggio, dissuada dalla lettura per la sua lunghezza: ho deciso di anticipare alcuni eventi per scusarmi per le ere geologiche di aggiornamento. Vi anticipo che per i prossimi sviluppi dovrete pazientare a lungo, perché sto attraversando un periodo di puro caos, senza tempo nè ispirazione per scrivere. * chiede perdono in ginocchio sui ceci *

Posso solo assicurarvi che, dovessi metterci dieci anni, finirò la storia e, chissà, potrei persino pubblicare il sequel, che ho già delineato nella mia mente (non sto scherzando: sogno le scene la notte!), perciò stay tuned!

 

Aria di tempesta

 

Chi ride per ultimo è quello che non ha ancora ascoltato le cattive notizie.”

Bertold Brecht

 

Dopo anni di convivenza, Franz poteva vantare una conoscenza enciclopedica dei segni indicativi dei vari stati d'animo di Faith; gli bastò vederla infilarsi sotto le coperte senza il canonico bacio, nè una lettura della buonanotte, per capire che era più in tensione di un cavo elettrico. Peccato non poterla utilizzare come fonte di energia, avrebbe risparmiato parecchio sulla bolletta.

Si accomodò al suo fianco, beandosi per un attimo della morbidezza del materasso e del profumo delle lenzuola fresche di bucato, prima di venire assalito dall'angoscioso peso del silenzio di tomba, che aveva colmato la stanza come fetida melma di palude. Senza riflettere, le chiese se stesse bene, pentendosene quando era troppo tardi.

–Nel caso ti fosse sfuggito, Franz, tua figlia ha, nell'ordine: disubbidito all'espresso divieto di immischiarsi nei miei casi, rubato la tua macchina, guidato la suddetta macchina senza patente - con tanto di passeggero a bordo - per condurre un'indagine non autorizzata e ultimo, ma non per importanza, rischiato di macchiarsi la fedina penale, mandando - passami il "francesismo" - a puttane il suo futuro. Ah, ciliegina sulla torta: la sua bravata mi ha costretto a respirare la stessa aria della merdaccia antropomorfa che mi ha lasciato a una settimana dal matrimonio! Secondo te posso mai stare bene?

A Franz non sfuggì l'aggettivo possessivo, e trattenne a stento una risata: chissà come mai, quando c'era da vantarsi Frida era frutto di partenogenesi, quando invece combinava qualche guaio diventava improvvisamente figlia sua. Decise quindi di lanciarle una frecciatina.

–Il buon vecchio Cyril. Non vedo l'ora di conoscerlo!

–Per ridurlo in polpette, spero!

–Niente affatto- asserì con una serietà che sconvolse Faith. –Ho un debito nei suoi confronti, e intendo saldarlo.

–Offrendogli una cena?- sibilò lei a denti stretti.

–Ti pare poco?- replicò lui, sforzandosi di mantenere una cortina di serietà. –Dici che dovrei offrirgli una notte con te, per ricordargli cosa ha perso?

Il poco colore sul volto di Faith svanì all'istante.

–Stai scherzando, vero? Vero?

Incapace di trattenersi oltre, Franz passò da un sorrisetto diabolico a una fragorosa risata, guadagnandosi una cuscinata sulla faccia.

–Ti sto odiando profondamente, sappilo!

–Ehi! Non puoi appropriarti della mia frase distintiva, è protetta da copyright!

–Che fine ha fatto il bel tenebroso di cui mi sono innamorata?

–È sempre bello come il sole, ma, grazie al tuo amore, un po' meno tenebroso. - attese che l'accesso di risate si fosse calmato, prima di toccare il nervo scoperto di Faith con la delicatezza di un elefante in cristalleria. –Scherzi a parte, sono estasiato di vedere te, per una volta, incavolata nera con Frida. Di solito tocca a me il ruolo ingrato di Cerbero, è una boccata d'aria fresca!

–Smetti subito di gongolare, sei irritante! E non osare prendere le sue parti: stavolta tua figlia è veramente indifendibile!

–Sarebbe un interessante cambio di prospettiva, ma no, grazie: arrampicarsi sugli specchi è la tua specialità- le assicurò Franz. –Da anni spetta a me il ruolo di Cassandra che predica al vento la necessità di contenere la piccola Anticristo che abbiamo generato, mentre a te quello di avvocato del diavolo. I nostri ruoli genitoriali sono troppo ben rodati per stravolgerli!

–Adesso sei tu ad esagerare: ammetto che Frida sia diventata un tantino ingestibile, però da qui a chiamarla Anticristo...

–Non posso crederci! È più forte di te: sempre pronta a giustificare l'ingiustificabile. Sei veramente l'avvocato del diavolo!

Punta sul vivo, Faith si affrettò a puntualizzare –Ciò non toglie che sia molto, ma molto arrabbiata con lei.

Franzo emise uno sbuffo canzonatorio.

–Fammi il piacere! Puoi mentire a tutti, Liebes, perfino a te stessa, ma non a me. Conosco quello sguardo: non è collera, è paura. L'ennesima bravata deiner Tochter - per par condicio, quando si caccia nei guai è figlia solamente tua - impallidisce di fronte alla terrificante prospettiva che possa aver ragione, e tu torto. Proprio non riesci ad accettare di aver preso una cantonata, eh?

–Punto numero uno: non ho preso alcuna cantonata- obiettò Faith. –Ho scritto nel referto che Aisling Carter è morta per la caduta; sfido chiunque a dimostrare il contrario. Punto numero due: in mancanza di poteri paranormali e/o una sfera di cristallo, stabilire se la suddetta caduta sia stata accidentale o provocata esula dalle mie facoltà.

–Stai perdendo smalto, con l'età!- la schernì Franz.

–Punto numero tre- proseguì Faith ignorandolo completamente. –La mia è preoccupazione, non paura. Per perseguire i suoi elevati ideali, nostra figlia tralascia le conseguenze concrete delle sue azioni. Non capisce - o, peggio, non vuole capire - che pestare i piedi sbagliati può renderle la vita molto, molto difficile.

–Non ti seguo.

–In questo momento, Frida è l'unico ostacolo a frapporsi tra Serle e la tanto agognata promozione ad Ispettore Capo: farà qualunque cosa - nei limiti della legalità, spero - pur di metterla a tacere. Ho esercitato tutta la mia diplomazia per cercare di persuadere entrambe ad abbracciare la tesi della colpevolezza di Isobel Conworthy, alias il compromesso perfetto tra verità e... praticità, per così dire - dopotutto, non si può processare un morto - ma Frida, accidenti a lei, non vuole saperne di collaborare!

Ein Moment, bitte- la interruppe Franz, scuotendo il capo incredulo. –Devo riavermi dallo shock. Stai dicendo che... credi a Frida?

–Adesso sì- ammise Faith, mentre si accoccolava tra le sue braccia. –All'inizio - come tutti - ero sinceramente convinta fosse in errore; poi, però, anche alla luce di alcuni interessanti elementi che ha fatto venire alla luce...

Warte mal1: stai dicendo che, nonostante le creda, hai messo su un teatrino per tapparle la bocca... per quieto vivere? Alla faccia dell'etica e della deontologia!

Faith si irrigidì nuovamente.

–In caso ti fosse sfuggito, oltre che un medico sono una madre; il benessere della mia bambina è la mia priorità. Anche a costo di inimicarmela.

–Anche a costo di lasciare un assassino a piede libero?

Dallo sguardo di Faith intuì che, se avesse avuto un'arma a portata di mano, l'avrebbe usata su di lui. Deglutì nervosamente.

–Attento: a tirare troppo la corda, si spezza; e tu, in questo momento, sei appeso a un filo.

Conscio di stare precipitando dalla proverbiale padella alla brace, Franz pensò bene di battere in ritirata, prima di compromettere la sua posizione con qualche altra uscita infelice.

–A proposito di corde- rispose, attirandola a sè per massaggiarle le spalle, nella segreta speranza che bastasse a distrarla. –Vuoi una mano ad allentare le tue, Liebes? Sei tutta una contrattura!

Con sua immensa sorpresa, Faith si rilassò, sospirando –Effettivamente, un massaggino ci sta proprio bene- prima di accorgersi che le mani stavano deviando verso altri lidi con intenti palesemente poco casti. –Oi! Tieni le mani a posto! Ti pare il momento?

Lo sgomento raggiunse l'apice quando si sentì rispondere, con disarmante sincerità –Sono a letto con la mia donna, mi è salito l'ormone, ci ho provato. Crocifiggimi!

–Sei impazzito? C'è Frida in casa!

–Figurati se, incazzata com'è, non si sta sfondando i timpani con qualche canzone rancorosa su uno psicopatico che sogna di trucidare i genitori!

–Franz...

–Devo tenerti in allenamento, Liebes, se voglio che Cyril invidi la mia fortuna!

Faith, tutt'altro che divertita, ringhiò sommessamente –La voglia che ho di strozzarti, guarda...

–Mentre lo facciamo? Scelta furba: potresti farla passare facilmente per morte accidentale- replicò Franz con un sorriso. –Io ci sto, eh! Perlomeno morirei felice!

 

***

 

Dopo aver trascorso un 'eternità a rigirarsi nel letto, Faith decise di giocare sportivamente quella che ormai era una competizione tra lei e sua figlia. La stimava troppo intelligente per impelagarsi in una missione impossibile; perciò, aveva riflettuto - una volta sbollita l'arrabbiatura - doveva avere le sue buone ragioni per essersi intestardita sul caso (o presunto tale) Carter.

Entrò nella stanza senza bussare: come aveva osservato Franz poco prima, era praticamente impossibile che Frida stesse dormendo. Difatti, la trovò immersa tra le coltri, assorta nella lettura, con il gatto di casa, Moriarty, sdraiato sulle spalle a mo' di sciarpone ronfante e peloso. Un quadretto adorabile che pregava di venire immortalato per i posteri, e la fece pentire di aver lasciato il cellulare in camera.

Senza distogliere l'attenzione dalle pagine del tomo, Frida curvò insù gli angoli della bocca e la accolse con un secco –Hallo, Mutti. Non si usa più bussare?

–Immaginavo di trovarti ancora in piedi- rispose Faith. –In caso contrario, avrei goduto di qualche minuto di materna contemplazione: sei talmente tenera, quando dormi!

–Poi mi sveglio, e la magia svanisce- replicò la ragazza, prima di ridacchiare insieme alla madre.

–Diciamo che, quando quel bel faccino comincia a parlare, a volte diventa difficile restare aggrappata all'amore materno- ammise candidamente Faith. –Cosa leggi? Data l'ora, qualcosa per conciliare il sonno, spero.

–Oh, per favore! Sono dell'idea che, come il sesso, se un libro è buono tolga il sonno, non lo induca.

Ripensando all'attività che l'aveva tenuta impegnata fino a pochi minuti prima, Faith si affrettò a cambiare argomento.

–Capisco. A chi hai concesso l'onore della tua insonnia?

–Epitteto. Me l'ha fatto scoprire Liam. Devo riconoscere che ha visto giusto: sto riscontrando svariati punti di affinità con la sua filosofia, primo tra tutti, che la radice della felicità sta nel buon uso della ragione- asserì Frida, che lasciò cullare la madre in un falso senso di sicurezza, prima di sferrare la stilettata fatale con candido sadismo. –Sag die Warheit, Mutti2: sei piombata qui contando sull'effetto sorpresa garantito da musica a tutto volume e un bel paio di cuffie a coprirmi le orecchie. Spiacente, ho sentito tutto. Sono normali quei versi? Finora li avevo uditi soltanto nei film!

Faith arrossì e boccheggiò come un pesce rosso: per quanto fosse una genitrice di larghe vedute, in quel momento non si stava parlando di un pene e una vagina qualunque, ma del pene di Franz e della sua vagina. Si sentì sprofondare.

–Oh, Dio!- pigolò.

–Lo hai detto anche prima. Più e più volte. Non è blasfemo?

Sebbene imbarazzata oltre ogni immaginazione, Faith adottò una strategia difensiva a lei ormai familiare: nascondersi dietro una cortina di sarcasmo.

–Personalmente, lo vedo più come una sorta di ringraziamento. Grazie, entità superiore, per avermi concesso l'orgasmo. Noi donzelle, sfortunatamente, non possiamo darlo per scontato.

Imbarazzata a sua volta, Frida si girò dall'altra parte, bofonchiando –Una madre normale avrebbe balbettato qualche scusa prima di scappare via.

–Ne sono consapevole- annuì Faith. –Desideri che balbetti qualche scusa e ti lasci alla tua solitudine?

–No, direi di no- concesse la figlia con una scrollata di spalle. –A patto che non parliamo mai più dell'argomento. Ora, madre anomala ancora sessualmente attiva, possiamo passare a cose serie? Che so, le tue debite scuse per aver intralciato me, e di conseguenza il corso della giustizia? Se tu e Tante Serle mi aveste lasciato fare, il caso Carter sarebbe già risolto!

–Non sono qui per litigare.

–Ah, no?

–No- ammise Faith, riuscendo nell'impresa di sorprenderla. –A dire il vero, sono qui per farti vedere ragione, e... restituirti questa- si sedette all'angolo del letto e le allungò la chiave USB che Ernst aveva furtivamente infilato nella sua tasca. –Avevo quasi dimenticato che il gioco preferito di tuo cugino è il doppio gioco. A me non la si fa facilmente, ma devo rendergli il giusto merito: se l'è giocata piuttosto bene. Non soffrisse di una grave allergia all'autorità, potrebbe lavorare per i servizi segreti!

Frida si limitò ad annuire, incerta sulla strategia da adottare: sua madre aveva inspiegabilmente optato per il gioco a carte scoperte; lei, invece, era istintivamente propensa a tenere almeno un asso nella manica.

"Non riesco a essere completamente onesta neppure con mia madre. Questo fa di me una brutta persona? Scommetto che Liam direbbe di sì. Kantiano del cazzo! Desidero baciarlo e strangolarlo allo stesso tempo. Ecco, forse non sono una brutta persona, soltanto pazza."

–Terra chiama Frida. Sei ancora tra noi, cucciola?

–Eh? Scusa, ero un attimo sovrappensiero- disse, per poi strattonare la mano della madre, che non accennava a mollare la presa. –Allora, vuoi ridarmela o no?

–Ah-ah! Non penserai di cavartela così a buon mercato!- rispose Faith, enfatizzando il messaggio facendo oscillare l'indice di qua e di là come un metronomo.

Herrgott! Non vorrai propinarmi un altro dei tuoi indovinelli!

–Lo faccio per te, cucciola! Il pensiero laterale aiuta a, beh, pensare fuori dagli schemi, senza contare che tenere la mente allenata è il miglior antidoto contro la demenza!

–Sono ancora troppo giovane per preoccuparmi della demenza senile, però ok. Spara!

Faith sprizzò felicità da tutti i pori, come un bambino la mattina di Natale.

–Louise abita al quattordicesimo piano di un palazzo. Quando scende, prende l’ascensore dal quattordicesimo piano fino al piano terra. Quando sale, invece, arriva in ascensore fino al decismo piano e fa gli ultimi quattro piani a piedi, nonostante non le piaccia per niente salire le scale. Però, quando piove, oppure quando incontra la sua vicina di casa Camilla, fa tutti i quattordici piani in ascensore. Come mai?

Frida, dopo una breve riflessione, accarezzò Moriarty, che aveva preso a miagolare insistentemente in cerca di attenzioni, emise uno sbuffo derisorio e scosse la testa.

–Lo dico e lo sottoscrivo: o ti stai rammollendo, oppure hai un'opinione infima del mio intelletto; è talmente a prova di Dummkopf che potrei offendermi! Elementare, Mutti: Louise è di bassa statura, quindi non arriva al pulsante del 14° piano, ma quando piove si aiuta con l’ombrello, e quando c’è Camilla lo fa schiacciare a lei. Risposta esatta? Ovvio che sì! Ora molla l'osso!

–A una condizione: che condivida con me, e me soltanto, il contenuto.

–Impossibile, oltre che insensato- obiettò Frida. –Una volta risolto il caso, diventerà comunque di dominio pubblico.

–È davvero necessario? Risolvere il caso, intendo. Non puoi lasciar correre, per una volta?

Frida non riusciva a credere alle proprie orecchie: sua madre, la donna che l'aveva cresciuta inculcandole l'importanza di combattere per le cause che le stavano a cuore, la donna che soleva ripeterle ad nauseam quanto amasse il suo lavoro perché sentiva di contribuire alla scoperta di verità che altrimenti sarebbero rimaste celate, la stava pregando di supportare una menzogna.

Non poteva accettarlo. Non lo avrebbe accettato.

Überhaupt nicht, Mutti3. Perchè io, a differenza tua, non riesco a dormire in pace e guardarmi allo specchio, sapendo che un omicida è rimasto impunito.

–Allora presto diverrai schiava dei sonniferi: hai idea di quanti crimini rimangano insoluti?

–Non quelli su cui indago io.

Il momento di glorioso autocompiacimento durò poco: il sorriso freddo, quasi da cattivo cinematografico, che apparve sul volto di Faith le trasmise un senso di angoscia che raramente aveva provato in vita sua.

–Forse non mi sono spiegata bene- sibilò. –Ti sto - generosamente - concedendo la possibilità di arrivare al fondo della questione; ma non lascerò che la tua indagine non autorizzata danneggi la carriera mia e, soprattutto, di tua zia.

Vielleicht habe ich mich nicht klar ausgedrückt, Mutter4- ribatté Frida. –Non permetterò che il responsabile della morte di Aisling Carter vaghi libero solo perché tu e Tante Serle siete incapaci di assumervi la responsabilità delle vostre scelte sbagliate!

Faith stroncò sul nascere ogni ulteriore replica della figlia e disse, in tono perentorio –Ficcati in quella brillante testolina che sono perfettamente conscia di stare permettendo a un assassino di restare in libertà, ma non me ne frega niente; se per salvaguardare te quella Carter non riposerà mai inpace, così sia. Sei tu mia figlia, sei tu la mia priorità.

–Belle parole, ma sappiamo entrambe che, in questo momento, la tua priorità è di parare den Arsch5 a te e Tante!

–Diciamo che le due cose sono strettamente correlate- concesse Faith. –Temo che, nonostante l'intelligenza sopra la media - o, forse, proprio a causa di essa - tu non comprenda appieno la gravità della situazione: se Serle non verrà promossa a Ispettore Capo per colpa tua, vorrà le nostre teste. Vale veramente la pena rischiare tanto per una morte di cui non importa più niente a nessuno?

In un moto di orgoglio, Frida le strappò letteralmente di mano la chiavetta USB e rispose in tono aggressivo, quasi un ringhio –Importa a me, è più che sufficiente.

 

***

 

Al contrario di Frida, William stava dormendo beatamente, ignaro che, di lì a poco, un'improvvisa telefonata gli avrebbe fatto rischiare l'infarto di ogni organo infartabile. Le chiamate notturne lo terrorizzavano, perché, a meno di essere attese, non annunciavano (quasi mai) nulla di buono.

Con la prontezza di riflessi di un ghiro appena uscito dal letargo e l'acuità visiva di una talpa, tipiche di chi si è svegliato di soprassalto, brancolò nel buio in cerca del cellulare, aiutandosi con l'udito. Maledicendo mentalmente se stesso per aver lasciato il telefono acceso - e chi lo stava chiamando per l'elevato indice di "rompicoglionità" - biascicò un malmostoso –Pronto?

La voce squillante all'altro capo del telefono gli fece venire voglia di prendere a pugni il muro fino a sanguinare.

–Liam, ciao! Ho urgenza di parlarti.

"Cristo santo, Weil! Non potevi aspettare il mattino?", pensò; peccato che dalla sua bocca uscirono parole molto diverse, e di gran lunga più offensive.

–Se non è morto qualcun altro, un vaffanculo non te lo leva nessuno! Hai idea di che ore sono?- esclamò, ricevendo in risposta un laconico "clic", seguito da un lungo, lunghissimo silenzio. –Allora, ti decidi a parlare, o no? Pronto? Pronto? Ma che cazzo!

Ormai sveglio e carico di adrenalina, dopo una sfilza di imprecazioni contro la permalosità della Weil e svariati tentativi, infruttuosi, di ricontattarla, realizzò di averla fatta incazzare sul serio.

"Merda! Proprio adesso che stava iniziando a cedere al mio fascino!"

L'ostinazione della ragazza nell'ignorare le sue chiamate e messaggi rovinò irrimediabilmente il fine settimana e, per la prima volta in vita sua, William accolse l'arrivo del lunedì come una manna dal cielo: a scuola non avrebbe potuto sfuggirgli. Tuttavia, ciò non rese la sveglia mattutina più sopportabile; restava la solita ordalia, da sopportare con stoicismo e scontrosità fino alla prima tazza di caffè.

Quella mattina, contro ogni aspettativa, suo padre riuscì a svegliarlo senza l'ausilio della caffeina. Furono sufficienti cinque parole magiche.

–Ho parlato con tua madre.

Lo shock fu tale da farlo inciampare nei propri piedi, finendo steso sul pavimento della cucina con un tonfo a malapena udibile tra le risate di Cyril.

–Credevo che scenette del genere si vedessero soltanto nei film!

–Non ti vergogni a deridere tuo figlio?- esclamò William, rosso in viso, mentre si rialzava. –Disonore! Disonore su tutta la tua famiglia!

–Famiglia della quale anche tu fai parte, ma va bene.

–Disonore su di te, disonore sulla tua mucca!

–Non avrei dovuto crescerti a pane e classici Disney!- sospirò l'uomo, prima di riportare la discussione sui binari della serietà. –Comunque, aspettati prossimamente un cataclisma che spazzerà via ogni forma di vita sul pianeta, perché, incredibilmente, per una volta tua madre e io siamo sulla stessa lunghezza d'onda.

–Riguarda il mio mantenimento?

–Come sei venale! C'è altro nella vita, oltre ai soldi!

–Sarà, ma non mi vengono in mente valide ragioni per rivolgervi la parola; a parte, forse, un implausibile quanto risibile ritorno di fiamma.

–Puoi dormire sonni tranquilli, sono ignifugo a quella donna. Sei l'unica cosa buona venuta fuori dal disastro chiamato matrimonio e l'unico motivo che ci obbliga a mantenere dei contatti.

–Allora si può sapere di cosa si tratta?

–Delle tue recenti... intemperanze- esalò Cyril evitando accuratamente di incrociare lo sguardo del figlio. –Mi preoccupi, Will. Stai prendendo una direzione che non mi piace. Da quando stai appresso a quella ragazza non sei più tu.

–Non addossare a Frida colpe che non ha! Ho scelto io di assecondarla, in parte perché credo in lei, in parte perché lasciata a se stessa è una mina vagante, ha bisogno di qualcuno che la tenga coi piedi per terra. La verità è che ti dà fastidio che esca con la figlia di una tua ex! Ah, se mi trovi tanto cambiato, probabilmente è perché mi hai lasciato che ti arrivavo a stento alla cintola! Fatti un bell'esame di coscienza, prima di sputare sentenze!

Cyril strabuzzò gli occhi, allibito: aveva dimenticato quanto profondi e repentini potessero essere i mutamenti d'umore e di pensiero di un adolescente.

–Ecco, è a questo che mi riferisco: non sei mai stato così insofferente! Ti sembra il modo di rivolgerti a tuo padre?- sbraitò, ormai a corto di pazienza. –Capisco che stai attraversando un'età difficile, arrivo persino a concepire che questo sia il tuo modo di farmi scontare il divorzio e gli anni di lontananza, perciò in parte me lo merito, ma non posso restare in disparte a guardarti gettare via la tua vita.

–Tu deliri!- ribatté il ragazzo, esterrefatto. –Sì, dev'essere così. Preferisco crederti pazzo, piuttosto che stronzo. Mi reputi veramente così immaturo da danneggiare me stesso per colpire te? E poi... di quali intemperanze parli?

–Dunque, vediamo... avermi costretto a interrompere una cena per raccattarti in una centrale di polizia come lo classifchi?

–Una piccolezza! Alla fine non hanno formalizzato le accuse, no?- rispose William, agitando una mano a voler sminuire la questione. –Oh, non fare quella faccia! Come se tu alla mia età fossi un angioletto!

La furia cieca gli fece perdere momentaneamente il lume della ragione, al punto da urlare –In confronto a te, persino Vyvyan ha l'aureola, e parliamo del genio del male morto per essersi messo al volante ubriaco perché non si fidava a lasciar guidare la sua ragazza!

La menzione dello zio passato a miglior vita fece dapprima impallidire, poi avvampare William, che ringhiò di rimando –Ma bene! Un'altro tassello del passato che mi hai tenuto nascosto! Abbiamo finito, o hai altri scheletri pronti a schizzare fuori dall'armadio?

–Non sei spiritoso!

–Bene, non intendevo esserlo. Ora posso sapere di cosa avete discusso tu e la mamma?

–Dell'opportunità o meno che torni a vivere con lei e, francamente, a giudicare dal tuo atteggiamento, abbiamo preso la decisione giusta.

–Vuoi rispedirmi in Australia senza il mio consenso?- ruggì William, sbattendo i pugni sul tavolo, gesto forse suggestivo di scarsa maturità, ma efficace nel comunicare intenzioni ostili; non avrebbe ceduto senza combattere. –Sono tuo figlio, non un pacco postale!

Col senno di poi, avrebbe potuto e dovuto mantenere la calma e ascoltare le ragioni di un tale cambio di rotta, invece di rinfacciargli la sua incoerenza.

–Di cosa ti lamenti? Hai messo in chiaro fin dal tuo arrivo che stare qui ti fa schifo, e l'unica ragione per cui ti sei trasferito è l'odio per... Coso... come si chiama? Il marito di tua madre. Non hai fatto altro che lagnarti: della pioggia, del freddo, dello smog, dei bus rossi a due piani, della scuola e delle persone.

–Sì, beh, potrei aver cambiato idea... sulle persone. Alcune.

–Al punto da non voler più tornare a Canberra alla fine dell'anno scolastico, come d'accordo?

–Forse. È un problema?

–Considerato di chi stiamo parlando - inutile negarlo: te lo si legge in faccia che il tuo improvviso amore per questo Paese ha nome, cognome e una madre che... sto zitto, va, sennò scado nel volgare - direi proprio di sì!- ammise l'uomo senza peli sulla lingua. –Specialmente dato che i recenti avvenimenti hanno indotto me e tua madre a riconsiderare le tempistiche.

–In che senso?

–Nel senso che abbiamo convenuto di anticipare il tuo trasferimento a dopo le vacanze di Natale, sperando che nel frattempo non combini altri disastri.

–Vorreste farmi cambiare scuola a metà anno? È da pazzi! Inoltre, per allora sarò maggiorenne, tanti auguri a costringermi ad andare dove non mi va!

Cyril non si scompose, e rilanciò con una (poco) velata minaccia.

–Tanti auguri a trovare un lavoro per mantenerti, figliolo!

Senza più frecce nella faretra, a William non rimase che abbandonare il campo (di battaglia) sbattendo la porta.

Se il buon giorno si vede dal mattino, la giornata si prospettava pessima.

 

***

 

L'amichevole pacca tra le scapole e il sorriso a quaranta denti di Kevin ebbero su di lui il medesimo effetto di un concerto di unghie che grattano su una lavagna a prima mattina, dopo una notte insonne.

–Fai schifo, Cartridge! Tanta felicità dovrebbe essere illegale!

–Buongiorno anche a te, Will! Non hai bevuto il caffè, stamattina?

–Mi è andato di traverso- borbottò l'australiano, per poi distogliere lo sguardo e infilare le mani nelle tasche.

–Allora offro io nell'intervallo- trillò Kevin, per nulla intaccato dalla nuvola temporalesca che aleggiava sull'amico. –Mi servi sveglio e performante, ho un lavoro per te.

–Di che genere?

–Un disegno, ovvio! Qualcosa di epico da regalare ad Alex per il suo compleanno.

–Accidenti! Siete diventati intimi!- osservò William, sorpreso da quell'inaspettato sviluppo.

–Siamo amici- replicò l'altro, lo sguardo fisso sui lacci delle scarpe, prima di gettare alle ortiche il proposito di mantenere un po' di compostezza. –Ottimi amici. È come se ci conoscessimo da sempre! Pazzesco! Non mi riesce facile fare amicizia, ma con lei sono entrato subito in sintonia.

–Se solo fosse il tuo tipo...

–Se solo fossi normale- mormorò Kevin, rabbiuandosi alla velocità della luce.

William, se possibile più torvo di prima, lo trattenne per un braccio ed espresse senza peli sulla lingua il proprio pensiero.

–Ehi! Non voglio sentirti mai più sparare cazzate del genere! Tu sei normale. Non lasciare che nessuno, nemmeno i tuoi genitori, ti convinca del contrario.

–Altrimenti? Mi picchi?- ridacchiò Kevin.

–Peggio- rispose l'altro, ridacchiando a sua volta. –Sguinzaglio Frida.

Atterrito alla sola idea, Kevin alzò le mani in segno di resa, e si affrettò a cambiare argomento.

–Va bene, va bene. Basta vittimismo. Ad ogni modo, la mia missione sotto copertura ha esumato diverse cosucce interessanti.

–Quanto interessanti?

–Il nome Stephen Rhys-Jones ti suona familiare?

–No. Dovrebbe?

–Eccome! A parte essere il candidato dei Tory alla carica di Primo Ministro, è il padre del tuo nuovo amico Kenny, alias Faccia da cavallo, amico di famiglia dei Carter e - rullo di tamburi - presunto amante di Aisling Carter!- allargò il sorrisofino a scoprire tutti i denti visibili, beandosi dell'espressione sconvolta del suo interlocutore. –Eh, già! Andrew giura e spergiura che il loro fosse un rapporto totalmente innocente, che sua sorella vedeva in lui una sorta di sostituto paterno, e che la gente ama scovare il marcio dovunque; ma io, da degno discepolo di Sherlock Weil, sono convinto che non c'è mai fumo senza arrosto.

–Inoltre, come direbbe la Weil se fosse qui, a volte il fumo può essere più che sufficiente a fornire un movente; veri o meno che fossero, se girassero pettegolezzi su mio padre, in grado di rovinargli la carriera, metterei a tacere chiunque li alimenti- asserì William, per poi assestare una vigorosa pacca sulla schiena all'amico. –Bel lavoro, Kev! Sei stato mitico!

–Puoi ricompensarmi con un ritratto di Alex degno della Tate Modern. Glielo devo: è sopravvissuta a incontro ravvicinato con mia madre!

William strabuzzò gli occhi, esterrefatto.

–Hai portato una ragazza a casa? Tua madre dev'essere morta dallo shock! Come ha reagito? Ha stazionato davanti alla tua camera per impedirvi di compiere atti indicibili sotto il suo tetto?

–Incredibilmente no. Al contrario, è stata gentilissima con Alex, quasi non sembrava lei. Ero sicuro avrebbe avuto da ridire sul suo aspetto da scappata di casa e i tatuaggi, invece sembrava al settimo cielo!

–Conoscendo entrambe, è un miracolo che Alex non l'abbia mandata affanculo!

–Incredibilmente no. È stata assolutamente perfetta- annuì Kevin. –Sai com'è, conviene a entrambi mantenere la facciata, almeno per il momento. Parafrasando sire Aragorn: verrà il giorno in cui cesseranno di esistere amori conformi e non, e potremo sentirci liberi di amare chi ci pare alla luce del sole, con il benestare dei nostri genitori; ma non è questo il giorno.

–Se stanno così le cose, altro che disegno, un collier di diamanti dovresti regalarle!

–Un tantinello fuori dal mio budget- scherzò Kevin. –Senza contare che vorrei evitare di alimentare più del dovuto le illusioni di mia madre. Un ritratto andrà benissimo. Che so, lei in posa da guerriera con la chitarra al posto della spada, una roba così.

–Si può fare- annuì William, massaggiandosi le tempie. –Dietro adeguato compenso, naturalmente.

Kevin rimase di stucco.

–Da quando sei così venale?

–Da quando mio padre ha minacciato di mandarmi a vivere sotto un ponte, se mi rifiuto di assecondare la follia sua e di mia madre.

–Follia?- chiese, perplesso, facendo eco all'amico.

William strinse i pugni per contenere la rabbia che minacciava di esplodere da un momento all'altro.

–Pretendono che zitto e buono torni in Australia dopo le vacanze di Natale. Col cazzo!

–Che cosa? Vogliono rispedirti senza il tuo consenso nella terra dove ogni singolo animale e pianta vuole vederti morto? Per citare zia Nicky: cazzo di Buddha! Frida come l'ha presa?

–Frida non lo sa- mormorò malinconico William. –E non dovrà mai venirlo a sapere, chiaro?

Kevin balbettò una flebile opposizione.

–Predichi tanto l'imperativo morale del cavolo, ma poi pianifichi di uscire con una ragazza finché puoi e mollarla da un giorno all'altro senza spiegazioni, spezzandole il cuore? Sei una merda!

–Non ho alternative! È fissata con l'assurdità dell'amore romantico, se le dicessi che come coppia abbiamo i giorni contati le mie - già risicate - possibilità con lei scenderebbero sotto lo zero!

–A parte che, ripeto, sei una merda anche solo a concepire una crudeltà simile... davvero pensi di riuscire a tenerla all'oscuro? Stiamo parlando di Sherlock Weil: da una semplice alzata di sopracciglio capirà che le nascondi qualcosa, e il cosa in questione da come ti tormenti le mani o le labbra mentre neghi l'evidenza! Scoprirà tutto prima di quanto immagini, e mi odierà per averglielo taciuto. Sei veramente stronzo a chiedermi di custodire un segreto del genere! Ehi! Mi stai ascoltando?

La risposta era: no, William aveva smesso di dargli attenzione nell'istante in cui aveva scorto l'inconfondibile figura di Frida, in piedi sul tetto con i lunghi capelli neri al vento, esattamente come il giorno in cui l'aveva conosciuta.

"–È troppo figo che sei australiano! Vedrai, in men che non si dica diventerai la bellezza esotica della scuola! Le ragazze faranno la fila per uscire con te! Dico bene, Kimmy?

Kimberly gli rivolse uno sguardo di scuse, e lui sbuffò una risatina: in realtà trovava Kevin davvero spassoso, ed era certo al punto da scommetterci che sarebbero stati ottimi amici. Al contrario, tollerava a malapena la sua gemella Kimberly, e men che meno il di lei ragazzo Nathaniel Jefferson-Keynes. Sperava con tutto il cuore, anche grazie all'intercessione di Kevin, di trovare presto nuovi amici, più simpatici di Kimberly "Ce l'ho d'oro" Cartridge e Nathaniel "Lustrami le scarpe, sudicio" Jefferson-Keynes. Tuttavia, il panorama che gli si presentava davanti non era dei più incoraggianti: con ogni probabilità il suo era un pensiero razzista, eppure non riusciva a non pensare che gli inglesi fossero tutti dannatamente scialbi, ragazze incluse.

Lascialo in pace, Kevvy. Non vedi che non ti sta cagando di striscio?

Ehi, è vero! Potrei offendermi, sai? Che c'è, Will? Hai già adocchiato qualcuna che ti piace? Che velocità!

Annoiato oltre ogni limite dalla piattezza dei suoi nuovi compagni, William era sul punto di ammettere che dubitava avrebbe trovato una ragazza capace di catturare il suo interesse, quando si accorse di una presenza decisamente peculiare.

Stava ritta in piedi sul tetto della scuola, incurante di trovarsi a un passo dal vuoto, con la divisa d'ordinanza perfettamente curata e la folta chioma nera come l'inchiostro che mulinava al vento, donandole un'aura da Gorgone. Sebbene da quella distanza non fosse possibile definirne l'espressione, gli parve di cogliere i medesimi noia e sprezzo che albergavano nel suo animo. La ragazza piegò la testa di lato e, per un attimo, si illuse gli avesse sorriso, quasi a volerlo ricompensare per essere stato l'unico ad aver sollevato gli occhi dal corrispettivo moderno della caverna di Platone: gli schermi degli smartphone.

Temendo di stare allucinando, strattonò Kevin per una manica della giacca e gli chiese, ansante come se avesse corso –Credevo che anche in questo- "Merdoso" –Paese il tetto di una scuola fosse precluso agli studenti.

L'amico seguì il suo sguardo, poi, compreso a chi si stesse riferendo, ridacchiò in risposta –Oh! Ehm, in teoria sì, ma questo non l'ha mai fermata. Ha una fascinazione per i luoghi elevati, specialmente se vietati. Ogni divieto è una sfida per Frida.

Frida?

La gatta sul tetto che non scotta. Si chiama Frida. Frida Weil. È mia amica, vuoi che te la presenti?

Non sapeva spiegarsene il motivo, ma quell'offerta lo infastidì indicibilmente; scosse il capo e, come la volpe della favola di Esopo, preferì fingere che l'irraggiungibile uva fosse acerba.

Non disturbarti. Non è il mio tipo."

D'istinto, incurante delle conseguenze, corse su per le scale a velocità tale da dargli il capogiro e fargli percepire chiaramente le violente pulsazioni cardiache, che non sapeva se imputare alla corsa, oppure alla scarica di adrenalina.

–Oi, Weil!- gridò, incerto se avvicinarsi o meno.

La reazione della ragazza, c'era da aspettarlo, fu di impietosa freddezza.

–Prendi fiato, se non vuoi morirmi davanti- attese un paio di minuti, dopodiché lo esortò a parlare. –Adesso, se nel frattempo non hai perso la lingua, dimmi cosa vuoi. Rimproverarmi perché infrango regolarmente le regole? Mandarmi al diavolo di persona?

–Mi dispiace, ok? Ero assonnato e stanco, ho straparlato. Ti chiedo scusa.

–Non è la prima volta che mi tratti da straccio, Liam. Le scuse, sebbene gradite, non bastano.

–C'è dell'altro. Ho informazioni sul caso Carter- ansò William dopo aver racimolato un briciolo di coraggio. –E intendo condividerle con te dopo scuola, lontano da occhi e orecchie indiscreti, possibilmente in un posto carino dove potrò offrirti da mangiare e/o da bere.

Ebbe successo nell'impresa di costringerla a prestargli attenzione: sbigottita, Frida arrossì, si girò di scatto verso di lui e chiese, esitante –Ein Moment, bitte. Mi stai chiedendo - in modo maldestro e contorto - di uscire?

–Serve sia più esplicito?

–No, tanto non posso accettare.

William, faticando a celare la delusione, incrociò le braccia e bofonchiò –Perché? Il tuo principe azzurro Aidan ha avuto un'epifania e realizzato che sei la donna della sua vita? Auguri e figli maschi! Ti prego di non invitarmi al matrimonio.

Irritata da cotanta immaturità, Frida manifestò il proprio disappunto colpendolo allo stomaco. William, però, seppur piegato in due dal dolore, non emise un lamento; in fondo, sentiva di esserselo meritato.

–Sei scemo o cosa? In caso lo avessi dimenticato, du Arschloch, sono in punizione! La versione softcore degli arresti domiciliari, hai presente?

–T-tutto qui?

–Sì, tutto qui!

Rasserenatosi, l'australiano si erse in tutta la sua altezza e, senza smettere di massaggiare la parte lesa, dopo due profondi respiri per placare la nausea (perlopiù provocata dal pugno, ma in minima parte dall'ansia) replicò –Allora sappi che quella di prima non era una domanda. Non me ne frega un cazzo se sei in punizione, Weil. Tu oggi esci con me!

 

Note dell'autrice

Ormai è guerra aperta tra mamma Faith e la sua "cucciola". Chi la spunterà?

E voi? Siete team Faith o team Frida? ;-)

Intanto, anche William ha i suoi piccoli, grandi drammi: riuscirà a convincere suo padre a non rimandarlo in Australia? Frida lo scoprirà? E, se sì, come la prenderà? Lo scoprirete solo leggendo!

Aufwiedersehen!

Ps: probabilmente non ve lo state chiedendo, ma ve lo dico lo stesso: il titolo del capitolo è un omaggio all'omonimo romanzo dell'inglese P. G. Wodehouse.

Pps: chi di voi ha letto le altre storie della Faith saga (o FLU, Faith Literary Universe) forse avrà colto il piccolo easter egg... la zia Nicky altri non è che Monica, la rossa (più che) amica di Adam Cartridge. ;-)

 

 

1Aspetta un attimo

2Di' la verità, mamma

3Assolutamente no!

4Forse sono io a non essermi spiegata bene, madre

5Il culo

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Extra: one punch girl ***


Non fustigatemi, please! Il nuovo capitolo di "Locked-in" non vuole saperne di delinearsi; in compenso, mi ha colto l'ispirazione per questa storiella-lampo, uno scorcio sul passato di Frida&co. Spero vi piaccia.
Ho deciso di inserirla come extra alla storia principale, ma può tranquillamente essere letta anche da chi non conosce i personaggi (la speranza sarebbe di invogliare quanti più possibile ad esplorare il Fridaverse). È un esperimento, anche di stile: non amo scrivere in prima persona, ma ho strutturato il tutto come una serie di flashback, raccontati dai diretti interessati.
Prima di lasciarvi alla lettura, mille grazie e un abbraccio a chi segue la storia, linko qui il sottofondo musicale consigliato, alias la musica che mi ha accompagnata nella scrittura, da ascoltare rigorosamente in questo ordine: 1 e 2.
 
One punch girl
 
È meglio essere violento, se c'è violenza nei nostri cuori, che mettere la cappa della non violenza per coprire l'impotenza.”
Mahatma Gandhi
 
William Wollestonecraft si era svegliato in pace col mondo, nonostante il meteo sfavorevole. Peccato che l'universo avesse deciso di farlo imbufalire. In ordine, riuscì a: rovesciarsi addosso il latte bollente; indossare, nella fretta, due calzini diversi; ricevere una seconda doccia, grazie al fatale connubio di una pozzanghera profonda quanto ampia e un SUV lanciato alla massima velocità consentita dal traffico cittadino (comunque sufficiente a lavarlo dalla vita in giù); rischiare la vita per recuperare l'ombrello, volato in mezzo alla strada per una folata di vento.
Varcò i cancelli della scuola pronto ad azzannare alla gola chiunque avesse osato contribuire al suo malumore; per fortuna, i primi a rivolgergli la parola furono coloro i quali, in breve tempo, erano ascesi dal rango di "insopportabili larve da tollerare soltanto perché figli degli amici di papà" a "migliori amici sull'intero globo terracqueo": i gemelli Kevin e Kimberly Cartridge, e il di lei ragazzo a intermittenza, Nathaniel Jefferson-Keynes. Il trio lo accolse con fazzoletti e una sana dose di derisione per le sue disavventure. William incassò elegantemente, ma, proprio quando stava riacquistando il sorriso, sentì due compagni sparlare di Frida Weil, ultimo - non certo per importanza - membro della "gang", la cui assenza destò non poca preoccupazione, finché non venne appurato che si era presentata a scuola.
–Hai visto la Weil, stamattina? Ultimamente si è infighita parecchio. Secondo te ha il ragazzo?
William si bloccò di colpo, aguzzando l'udito.
–Ma figurati! Chi mai uscirebbe con lei? Mette paura!
–Ha lo sguardo un po' truce, è vero, però il resto... è sesso puro! Ha le tette più atomiche del nostro anno, se non dell'intera scuola, e da quando ha accorciato la gonna...
I due ridacchiarono, ignari che, poco più avanti, Kevin e Nathaniel si stavano adoperando per trattenere l'amico dal commettere un duplice omicidio, tra le risate di Kimberly, che non mancò di stuzzicarlo.
–Ooh, qualcuno è geloso!
–Non sono geloso!- negò William, rosso in faccia. –Mi dà fastidio che quegli scimmioni parlino così della mia... amica. A voi no?
Kevin e Nate, l'uno grattandosi nervosamente la nuca, l'altro con un sorriso tirato, ammisero che no, a loro quei commenti beceri non facevano nè caldo, nè freddo. William li fulminò con gli occhi, pronto a scattare; l'occasione gli venne fornita da uno dei due primati antropomorfi.
–Vero, come tette è seconda solo a Jessie Mc Cormick - che però è scema come la merda - e ha un bel viso, ma non mi attira comunque: troppo muscolosa. Non uscirei mai con ragazze che hanno bicipiti più grossi dei miei: un passo falso e addio naso!
–Eh, già. Non l'avevo considerato! Peccato, però: una bottarella gliela darei volentieri!
Un tonfo sordo li fece sussultare e voltare verso la fonte, ossia William, il quale, raggiunto il punto di rottura, si fiondò da loro, attirò l'attenzione battendo il pugno contro un armadietto e ringhiò –Lo sacrifico io il naso; tornate a pascolare, sfigati!
–A chi hai dato dello sfigato, Koala Dundee?
Kevin e Nate, auto-eletti angeli custodi, si precipitarono a sventare sul nascere la rissa: arpionarono William e lo trascinarono via di peso, accampando scuse sullo "strano senso dell'umorismo degli abitanti delle ex colonie".
Superato lo sgomento, Kimberly si divertì a pungolarlo nuovamente.
–Ooh, qualcuno è gelosissimo!
–Puoi biasimarlo?- concesse Nate. –Se avessi sentito quei decerebrati parlare così di te, a quest'ora avrebbero potuto mostrare a tutti quanto erano belle e credibili le loro dentiere!
–Il solito esagerato! Ti conviene tenere le mani a posto, Natie; ricorda cosa è successo l'ultima volta che hai provato a menare qualcuno per me!
William, dimentico della rabbia provata fino a un secondo prima, roso dalla curiosità, domandò –Cosa? Cosa? Cosa?
–In realtà, non è una storia particolarmente interessante- rispose Kevin, prontamente contraddetto dalla sorella.
–Riguarda me, è interessante a prescindere. Doverosa premessa: sono un'ape regina nata, circondata da ammiratori fin dall'asilo.
–Fa sul serio?- sussurrò William a Nate, il quale, in risposta, levò gli occhi al cielo.
–Per farla breve, che se lascio la parola a mia sorella finiamo dopodomani- esalò Kevin, in lotta con se stesso per non scoppiare a ridere, riappropriandosi dei riflettori. –Degli stronzetti, che si credevano fighi solo perché vincevano coppe correndo dietro a una palla, avevano importunato Kimmy, che però non era interessata; quando hanno capito che insistere non sarebbe servito a nulla, l'hanno insultata pesantemente - il classico repertorio del troglodita medio che non sa accettare un rifiuto - al che Nathaniel, da vero Grifondoro- il suddetto si profuse in un inchino teatrale –È accorso in suo soccorso - prego, apprezzare la rima - con l'unico risultato di venire battuto come un sacco da boxe.
–Finché non è arrivata Frida.
–Con un'entrata in scena spettacolare: si è annunciata sbattendo una bottiglia di plastica contro il bordo metallico di una presa d'aria, a mo' di gong, si è fatta strada a testa alta fino al capo del quartetto di stronzi e gli ha ordinato, cito testualmente, di "piantarla di ragionare col pene e cominciare a comportarsi da essere umano"; infine, ciliegina sul preludio alla rissa, quando il cretino le ha chiesto "E chi me lo ordina?", ha risposto, serissima "Te lo ordino io!"- sospirò rapito.
–E poi boom! Pugno fotonico allo stomaco, botte da orbi, mic drop!- gli fece eco Nate. –Confesso di aver sperato in una fatality alla Mortal Kombat, col braccio che trapassava l'addome e fuoriusciva dalla schiena schizzando sangue e budella ovunque!
–Ha sempre avuto una certa propensione per la teatralità- sentenziò Kimberly.
–Chi? Lui o Frida?- scherzò William. –Sul serio, comunque: ancora non riesco a credere che una ragazzina - perché, diciamocelo, era una ragazzina - abbia davvero messo fuori combattimento quattro ragazzi - sottolineo, ragazzi, maschi - quasi adulti.
–Credici, Will- gli assicurò Nate. –In un colpo solo, Frida ha salvato il mio deretano e la reputazione di Kimmy.
–È così che siete diventati amici?- chiese l'altro.
–Siamo più che amici- rispose Nate, cingendogli le spalle con fare cameratesco. –Siamo una squadra!
–Sì, di basket!- esclamò William nel (malamente eseguito) tentativo di fare dell'ironia. Davanti alle espressioni perplesse degli altri tre, sbuffò –Incluso me, siamo cinque, no? Come i giocatori in campo di una squadra di basket. Non guardatemi come se fossi matto! Voleva essere una battuta!
–Non l'ho capita.
–Comunque, visti dall'esterno sembrate una squadra di scappati di casa, un'accozzaglia male assortita: avete caratteri e interessi talmente diversi, e la Weil è, beh...- "Non del tutto sana di mente" –Weil. Difficile immaginare cosa possa avervi uniti.
–Ecco, questa è una storia degna di essere raccontata- asserì Kevin, interrotto dal trillo della campanella. –Appena possibile.
 
***
 
Memore di quella che considerava a tutti gli effetti una promessa, un impaziente William decise che era giunto il momento di salvare se stesso e Kevin, suo compagno di banco, da un interminabile quanto tedioso sproloquio su "Il signore delle mosche" (opera che pure aveva apprezzato).
–Lo so io come lo sai tu che non stai ascoltando. Riprendiamo il discorso?
–Stai morendo dalla voglia di saperne di più su Frida, eh? Il tuo interesse per lei sta pericolosamente sfiorando l'ossessione.
–Non sono ossessionato! Voglio farmela, sono sempre stato sincero su questo. È forse un crimine?
–No! Sei un artista e lei la tua musa, giusto? Di', quante volte l'hai ritratta a sua insaputa, finora? Sii uomo e ammetti che ti piace, non te la vuoi solo fare!
William mimò con le labbra il "vaffanculo" più spontaneo della sua vita, poi riprese a implorare l'amico, che stava per cedere alla sua insistenza, quando il professore li riportò alla realtà, invitandoli caldamente, se non erano intenzionati a seguire la lezione, a "nulleggiare in silenzio".
Dovette attendere la pausa pranzo per placare la sua curiosità, resa, se possibile, ancor più ardente dall'inspiegabile assenza di Frida.
–Ora non hai più scuse. Parla!
Kevin bofonchiò qualcosa sulla maleducazione del parlare con la bocca piena, e toccò a Nate intraprendere la narrazione.
–Cos'è che vuoi sapere, di preciso?
–Come siete diventati amici.
–Allora è meglio se comincio io. Come questi due- indicò i gemelli –Conosco Frida da quando è nata perché i nostri genitori sono molto legati, ma sono il suo primo vero amico. Siamo in classe insieme dall'asilo e in questi anni mi ha salvato le natiche più volte di quante mi piaccia ammettere. È come una sorella per me.
–Io, invece, non la sopportavo- confessò Kimberly senza peli sulla lingua. –A dirla tutta, quando infila più su del solito il palo che ha nel culo fatico a tollerarla ancora adesso, nonostante siamo buone amiche. Fino a quattro anni fa, comunque, altro non era, per me, che l'insopportabile figlia di amici di famiglia.
–Sua madre è la madrina di nostro cugino Aidan e nostra sorella Kaori- spiegò Kevin tra un boccone e l'altro. –Scusa se ti ho interrotto, Kimmy-doll.
–Chiamami così un'altra volta e ti faccio diventare una voce bianca, Kevvy Kevvy. E sbrigati a mangiare: sei stato il secondo a cadere sotto il suo incantesimo, tra poco toccherà al tuo punto di vista.
–Adesso, però, a me i riflettori, sgomberate il palcoscenico- intervenne Nate, stroncando sul nascere l'ennesimo diverbio tra fratelli. –Allora, da dove comincio?
"Sebbene fossi da quasi due mesi utente fissi del trasporto pubblico di Sua Maestà, mi ero rassegnato a viaggiare in solitudine: non avevo mai la fortuna di beccare qualcuno con cui scambiare due parole; o meglio, con cui avessi voglia di scambiare due parole. Frida al suono della campanella schizzava fuori da scuola con la rapidità dell'ergastolano che ha appena ottenuto la grazia, per cui non avevo idea di come tornasse a casa, mentre Kimmy e Kev prendevano spesso altre linee per recarsi in conservatorio o nelle vie della moda. Pertanto, fui estremamente sorpreso di imbattermi non solo nei gemelli, ma anche nella Sherlock in erba (allora non ancora ufficialmente Sherlock, ma vabbè, dettagli). Ovviamente, non appena la individuai tra la piccola folla in attesa sulla banchina della metropolitana, corsi a salutarla.
Oi, Frida!
Il volume fece voltare parecchie persone, esclusa l'interessata, una ragazza alta e robusta, dai lunghi capelli neri come l'inchiostro - raccolti in una treccia impeccabile - e penetranti occhi azzurri, talmente chiari da rivaleggiare con quelli di un husky."
–Lo sappiamo com'è fatta la Weil, grazie tante!
–La poesia non è contemplata nel tuo vocabolario, eh, colonico?
–Non se ti impedisce di arrivare al dunque.
"Non mi aveva sentito; e come avrebbe potuto, con le orecchie coperte da vistose cuffie nere che Kevin definì "kawaii" per via delle orecchie da gatto sulla sommità?"
–Ebbene sì: Frida è una gattara sfegatata. Da sempre. Ha addirittura un pigiama - intero, in pile, bianco e nero, inguardabile - col cappuccio con le orecchie da gatto! Ne eri al corrente, Maori biondo, o ti ho appena distrutto un mito?
–Al massimo, hai creato un nuovo kink- insinuò maliziosamente Kimberly. –Farla miagolare. Dico bene, Will?
–Mi avvalgo della facoltà di non rispondere.
"Ad ogni modo, non vidi altra soluzione che avvicinarmi di soppiatto e sfilargliele urlando "Bu!". Non l'avessi mai fatto: mi afferrò il polso e, con un movimento talmente rapido da darmi il capogiro, torse il braccio con forza inaudita, portandolo dietro la schiena. Fortunatamente, appena si rese conto di chi fossi si tirò indietro, scusandosi profusamente. Giuro, poco mancava si mettesse a supplicare in ginocchio!
Le assicurai che non me l'ero presa e, anzi, ero favorevolmente impressionato dalla sua invidiabile prontezza di riflessi, poi le chiesi, in mancanza di argomenti migliori –Anche tu prendi la linea verde?
Non sono qui per turismo, jedenfalls fest1.
Irritata da quell'atteggiamento di superiorità, Kimberly sbuffò, con una nota di fastidio nella voce –Allora potrebbe degnarsi di aspettarci, Sua Signoria, invece di scappare via da scuola! Dio, sei così asociale!
L'altra scrollò le spalle, ed emise un lungo sospiro, ma la battei sul tempo e replicai –Io trovo più sorprendente che voi due vi mescoliate alla plebaglia accalcata in metro. Vostro padre ha i soldi veri, dovreste viaggiare comodamente spaparanzati in un'auto di lusso!
Il tempo scorre in ugual modo per tutti. Essere ricchi non implica poterlo o volerlo sprecare imbottigliati nel traffico solo per ostentare il proprio status!
Io e i gemelli rimanemmo a bocca aperta, allibiti dalla calma quasi innaturale con cui aveva enunciato quella frase, poi questi ultimi puntarono all'unisono l'indice verso Frida, esclamando in sincrono –Quello che ha detto lei!
Riavutomi dallo sconvolgimento, inevitabile quando si aveva a che fare con Frida, nonostante anni di allenamento, le cinsi le spalle con un braccio e chiesi cosa stesse facendo di bello prima del nostro arrivo.
Was ich immer tue, um das Warten zu täuschen2: osservo.
Cosa?
Alles- rispose. –Il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si prende mai la cura di osservare*. Per esempio, lei- indicò con un cenno del capo una ragazza, a occhio e croce appena maggiorenne, in piedi sulla banchina opposta. –Non ho idea di chi sia, eppure, semplicemente osservandola, intuisco che qualcosa non va: cammina avanti e indietro, butta l'occhio sulla mappa della metro a intervalli regolari, non giocherella con la collana e, fatto ancor più interessante, ha divorato un corn dog, per poi passare al MixMex.
Con simili scelte alimentari, il turbamento sarà senz'altro intestinale- ironizzai.
Per tua informazione, ogni giorno, intorno a quest'ora, che piova o splenda il sole, quella ragazza si siede accanto al cestino dell'immondizia, mangia con tutta calma un muffin al cioccolato accompagnato da - presumo - una bevanda calda, infila le cuffie e attende pazientemente l'arrivo del treno rigirandosi tra le dita la collana- mi rimbeccò Frida, serissima.
E allora?- obiettai. –Avrà avuto voglia di cambiare. Oppure è a dieta.
Corn dog e salatini? Bella dieta!
Allora, come hai detto prima, è turbata per qualcosa, e non si preoccupa di cazzate tipo cosa ha ingerito o quante volte si tocca la collana.
La tua psicologia spicciola fa acqua da tutte le parti- ribatté lei. –L'uomo è un animale abitudinario, tanto più quando nervoso o ansioso. È praticamente impossibile che qualcuno in uno stato di grave stress mentale scelga proprio quel momento per fare qualcosa che non ha mai fatto in precedenza. I suoi riflessi seguiranno sempre la via della minore resistenza, in modo da consentirgli di concentrarsi sul problema alla base del suo nervosismo. Inoltre, che motivo ha di controllare le fermate? Prende sempre lo stesso treno, dovrebbe conoscere a menadito il percorso!"
–Annoiati e stanchi dopo una giornata tra i banchi - prego, apprezzare la rima - non demmo peso alla cosa, ignari che di lì a poco saremmo stati trascinati nell'intrico del primo caso di Frida.
–Alleluia! Ha finalmente smesso di mangiare!
–Sei un bradipo alimentare, Kev! La prossima volta ti molliamo qui, così impari!
–Ora che hai la bocca vuota, puoi appagare la mia nuova curiosità: si trattò di omicidio? Rapimento? Furto acrobatico?
–Senza offesa, Will, non abbiamo scritto sulla fronte Chaucer. Deciditi!
Ponderata attentamente la scelta, William preferì non uscire dal tracciato.
–Uhm... no, prevale la curiosità di scoprire come le origini dei fantastici quattro!
–Allora, con il permesso di Natie, procedo.
"Tutt'altro che impressionata, Kimberly sputò con acrimonia –Chi è morto e ti ha eletta Sherlock?
Nessuno. Semplicemente, come il grande Holmes, non posso vivere se non faccio lavorare il cervello- rispose Frida, piegò di lato la testa e pose un quesito decisamente triviale, paragonato al tenore della conversazione fino a quel momento. –Ti hanno detto qualcosa per i capelli?
Persuasa sia il suo unico punto di forza, mia sorella è maniacalmente attenta al proprio aspetto; perciò, atterrita all'idea di apparire meno che perfetta, sbiancò, e con gesto fulmineo estrasse dalla borsa uno specchietto. Appurato di essere splendida come sempre, trasse un sospiro di sollievo.
Consiglio un giro dall'oculista: i capelli sono a posto.
Sono sciolti- puntualizzò l'altra senza tradire alcuna emozione o giudizio. –Il regolamento scolastico impone di tenerli legati; temevo fossi stata ripresa dagli insegnanti.
Ci hanno provato... invano. Nessuno impone a Kimberly Cartridge uno stile che non incontra il suo gusto!
Non indossassi una divisa, suoneresti convincente!
La comparsa di due amiche - o meglio, tirapiedi - di Kim sventò l'ennesimo battibecco tra le due "nemiche-amiche", in competizione tra loro da quando avevano imparato a parlare.
Un giro perlustrativo a Camden Town? Sarei un po' stanca, ma mi sacrifico: senza il mio aiuto rischiate di combinare disastri con le tendenze autunno-inverno!- trillò, dandosi arie di grande importanza (facendo così stralunare gli occhi anche a Frida), salvo poi schiarirsi la voce e aggiungere, nel tentativo di coinvolgere l'amica –Puoi unirti a noi, se ti va.
Non mi va- rifiutò recisamente la Weil; in un secondo momento, però, compresi i reali sentimenti dietro l'invito, concesse, conciliante –Oggi. Un'altra volta, magari.
Kimberly annuì, prima di seguire le tirapied... ehm, le amiche su per le scale, diretta al binario della linea nera, sparendo dalla visuale nell'istante esatto in cui si chiusero le porte dei due treni della linea verde.
Frida le voltò le spalle, dirottando tutta l'attenzione su di me, intento a persuadere quella testa dura di Natie a modificare il programma della serata. Ero giovane e sciocco, talmente sciocco da preferire passare da sfigato, piuttosto che ammettere che i miei genitori avevano negato il permesso di andare alla riapertura del Tipsy Crow, a parer loro troppo malfamato.
Fidati, Natie, non te ne pentirai!
Scommetto di sì, invece. Dammi una sola valida ragione per rinunciare alla riapertura, dopo dieci anni, di un locale storico e guardare un film!
Ovviamente, avevo un'eccellente freccia al mio arco.
Il film in questione è "Kami-sama no iu tōri", mi sembra una ragione più che sufficiente.
Con mio indicibile stupore, provvide Frida a colmare la lacuna cinematografica di Nathaniel, ancora vergine in materia di settima arte nipponica.
Concordo in pieno. Guarda tu che coincidenza: nei miei progetti rientra proprio una maratona di capolavori di Takashi Miike. Ho selezionato i miei preferiti in ordine di uscita: "Visitor Q", "Ichi the killer", "Gozu" und natürlich "Kami-sama no iu tōri", meglio noto agli anglofoni con il titolo "As the gods will".
Bella idea, divertiti!- sibilai a denti stretti, determinato com'ero a non accollarmi una presenza tanto ingombrante. Io e Kimmy, sebbene fossimo peggio di cane e gatto, concordavamo su un punto: Frida poteva essere tollerata soltanto a dosi omeopatiche; la cena mensile organizzata dai miei genitori - tra i cui ospiti fissi figuravano i Weil - bastava e avanzava.
Nathaniel, però, ottuso come una pigna, rovinò tutto estendendo l'invito anche a lei.
Puoi unirti a noi, se ti va.
Ooh, questo sì che mi va!
Avrei potuto, e voluto, fermarlo, ma non ne ebbi il coraggio, non dopo aver visto una Frida incredibilmente kawaii accettare l'invito, raggiante come una supernova. Col senno di poi: grazie mille, Natie."
 
***
 
–Sembri deluso- osservò mentre riprendeva posto per le lezioni pomeridiane.
–Lo sono- ammise William. –Cioè... tutto qui? Galeotto fu il regista giapponese di cui ho già dimenticato il nome? Mi aspettavo una storia scoppiettante, non trita e ritrita!
Una voce femminile li fece trasalire.
–Quale storia?
–Frida!
–Weil! Parli del diavolo...
–E spunto io. Fatti la giusta domanda e datti una risposta, Liam- rispose serafica mentre prendeva posto nel suo banco solitario in ultima fila. –Comunque, il vostro sbigottimento mi perplime: frequentiamo la stessa classe!
–Già, ma tu sei stata assente tutta la mattina. Si può sapere dov'eri finita?- le chiese Nathaniel in tono di rimprovero, puntandole contro un indice accusatore. –Eravamo preoccupati!
Vielen Dank für eure Bereitwilligkeit3, non era necessaria: sono stata sequestrata dall'odioso pisquano. Temevo volesse redarguirmi per le mie, ehm, attività extracurricolari, invece mi ha presentata ad due altri pisquani - glücklicherweise4 non odiosi - di Oxford e Cambridge.
–Oxford e Cambridge?- ripeterono in coro gli altri quattro, ricevendo in risposta una mera alzata di spalle e il laconico –Vi prego, non facciamone un affare di Stato! Also5, cosa mi sono persa?
–Stavamo raccontando a Will come siamo diventati amici.
–Ah, sarebbe quella la storia trita e ritrita.
–Avete cominciato a frequentarvi spinti da passioni in comune, che banalità!
WasNein, nein, nein! Quello fu solo il principio; la vera svolta venne il giorno in cui quattro australopitechi andarono in bianco con Kimmy. Mein Gott! Possibile che nessuno qui sappia raccontare per bene una storia?
–Pensaci tu, allora, Frida Poppins, praticamente perfetta sotto ogni aspetto!- replicò Kimberly con alterigia.
Mit großem Vergnügen6- ribatté l'altra gelidamente.
"Avevo deciso di impiegare la pausa pranzo ripristinando il mio equilibrio psico-fisico in completa solitudine, sul tetto della scuola".
–Un giorno mi spiegherai questa tua fissa per i luoghi elevati e, soprattutto, vietati. Su un lettino. Nel mio studio. Di fronte a un ritratto di Freud che ti scruta giudicante.
–Ehi, se fossero davvero stati intenzionati a vietare l'accesso per motivi di sicurezza, non avrebbero messo un lucchetto da due soldi, facilmente scassinabile con una forcina!
"Mi sentivo strana: irritabile, irrequieta, e al tempo stesso inspiegabilmente spossata. Inizialmente, lo avevo attribuito allo scontro con quei quattro Dummköpfe della squadra di calcio; poi, però, mi sovvenne un dubbio, confermato da FeminApp, la “migliore amica di ogni ragazza” (o almeno, così veniva pubblicizzata): era il giorno X del mese.
Scheiße!"
–Ok, ho sentito abbastanza- la interruppe William, agitando le braccia per corroborare il linguaggio verbale. –Possiamo, per favore, saltare la parte riguardante le tue... cose?
–Ti dà fastidio sentirne parlare, oppure non sapevi cosa sono le mestruazioni?
–La prima, Weil!- ululò, rosso per l'imbarazzo. –E ti sarei grato se non usassi più quel termine.
–Non capisco- pigolò Frida, genuinamente perplessa. –Siamo nel ventunesimo secolo, di altri fluidi biologici si può parlare liberamente, addirittura ci si può scherzare sopra. Perché le mestruazioni sono ancora tabù?
–Perché fanno dannatamente schifo- sputò William arricciando il naso. –Contenta? Possiamo andare avanti?
Ignorando a fatica l'impulso di cambiargli i connotati, la ragazza scambiò un'occhiata di solidarietà femminile con Kimberly, prima di annuire, acconsentendo alla richiesta.
Distratta dai miei pensieri, udii un inconfondibile cigolio, seguito da un rumore secco, quando era troppo tardi per sventare il disastro. Per la cronaca, la porta di accesso al tetto è un vecchio rottame che si apre soltanto dall’esterno. Ero in trappola!
In quel momento, tuttavia, avevo altri problemi più impellenti; per la precisione, i Dummköpfe che avevo suonato come zampogne quella stessa mattina. Una goccia di sudore freddo mi colò lungo la fronte fino all’occhio.
Hans mi ha insegnato che per uscire vincitori dalle sfide della vita non basta reagire alle contingenze, bisogna contemplare ogni possibile combinazione di eventi, ovunque, sempre, nella propria mente, così da non avere mai sorprese, perché qualsiasi accadimento sarà qualcosa di già visto... quantomeno nella propria testa. Pertanto, non ero ingenua al punto da non aspettarmi una ritorsione, specialmente perché la preside - severa, ma giusta, non come l'odioso pisquano che ci ritroviamo oggi - aveva ritenuto le mie azioni un "cavalleresco atto di altruismo", limitandosi ad ammonirmi a non reiterarle; non avevo previsto, però, sarebbe potuto accadere così presto.
Bene, bene, bene- mi irrise il capobanda. –Guardate chi c’è. Ciao, Treccina.
Ovviamente, non gliele mandai a dire.
Spiacente di rivederti, Edgar Lawson, il maledetto da Madre Natura con un nome vecchio già ai tempi del mio bisnonno e la viscidità di un’oloturia. Con tutto il rispetto per le oloturie!
Col senno di poi, avrei fatto meglio a non provocarlo: ero sola, in un luogo isolato, contro quattro avversari incazzati. Le probabilità di uscirne incolume erano sotto zero. Non fosse stato per gli insegnamenti di Hans, sarei caduta in preda al panico; invece, riuscii a mantenere una parvenza di sangue freddo.
« –Devi essere come una papera che galleggia, Cousinchen.
Le papere sono brutte. Stai dicendo che sono brutta?
Hans rise di gusto, prima di spiegarsi. A volte gli passava di mente che, nonostante lo spirito combattivo, Frida restava eine Prinzessin, pure piuttosto permalosa.
Certo che no! Sei bellissima. Che dico, bellissima? Stupendissima!
Sapeva che quella parola non esisteva, ma tanto bastò a restituirle il buonumore.
Così va meglio- disse, raggiante.
Ok, cambiamo formula: sii come un... cigno che galleggia; apparentemente calma, in superficie, in realtà con le zampe che frullano vorticosamente nell’acqua. Di fronte a qualunque problema o avversità, non dare mai a vedere che hai paura. Klar?
Come faccio a non avere paura?

Non ho detto che non devi avere paura. Sarebbe impossibile- la corresse Hans. –Però, puoi nasconderla, come le zampe del cigno. Mostrarti - bada bene, mostrarti - impassibile è un grosso vantaggio. Sai perché? Perchè, per qualche assurda ragione, chi non tradisce emozioni viene percepito come meno umano, quindi, automaticamente più difficile da battere. »
Damit du es weißt: ich heiße Frida7- ringhiò. –Frida Weil, Scheißkerl8!
Come mi hai chiamato?
Capisci il tedesco? Per quanto ne sai, Scheißkerl potrebbe significare “ultra bono”; nel qual caso, però, non l'avrei usato per te.
Sebbene insospettita dal fatto che nessuno avesse ancora alzato un dito contro di me, decisi che la miglior difesa era l'attacco, e applicai un altro mantra di Hans: in condizioni di inferiorità numerica e/o fisica, anche se può sembrare controintuitivo, conviene fingere di puntare l'anello apparentemente più debole, per poi virare sul capobranco; in questo modo si colglieranno impreparati gli avversari e, soprattutto, resteranno disorientati, come polli senza testa.
Sfortunatamente, andò male: quei celenterati avevano imparato la lezione che l'unione fa la forza, e in men che non si dica riuscirono a immobilizzarmi. Lawson ebbe la sfrontatezza di toccarmi con le sue zampacce; mi afferrò la mandibola con tanta forza da farmi dolere i denti e sibilò –Non alzerei mai le mani su una ragazza... ma per te farò un'eccezione.
Come previsto, mi colpì con tutta la rabbia che covava in corpo, accendendo una scintilla di ribellione in Freddie Cox, il meno scimmionesco dei quattro bonobo (con tutto il rispetto per i bonobo).
Ed, sei impazzito? Eravamo d'accordo sul darle una lezione, non mandarla in coma!
Freddie, amico mio, hai pienamente ragione... ma osa mettere in discussione i miei metodi un'altra volta e riceverai lo stesso trattamento.
Rimesso al suo posto dal maschio alfa del branco, Cox abbassò la testa come l'obbediente cagnolino che era, limitandosi a lanciarmi in tralice un'occhiata compassionevole. La banalità del male è anche questo.
Tuttavia, se il sadico bastardo pensava di poter godere della mia sofferenza, non ebbe soddisfazione, perché ebbi il fegato di irriderlo con una delle perle di saggezza di Hans.
Sto sanguinando? Non è un vero pugno se non esce sangue.
Rimediò subito colpendomi ancora, e ancora, finché il sapore metallico del sangue non si mescolò a quello amaro della frustrazione. Per distrarmi, almeno in parte, dal dolore mi sforzai di focalizzare la mia mente sulle possibilità di trarmi d'impaccio, giungendo alla desolante conclusione che non valeva neppure la pena provare a divincolarmi."
–Momento, momento, momento- la bloccò William. –Sei rimasta impalata a farti picchiare? Chi sei, la reincarnazione di Gandhi?
–La mia non era resistenza passiva, semplicemente non avevo altra scelta. Ero immobilizzata gambe e braccia, l'unica via di fuga era bloccata e quel bastardo di Lawson aveva scagliato via il mio cellulare. Mi abbandonai allo sconforto, sperando si stancassero presto.
–Hai ragione, non sei la reincarnazione di Gandhi... sei la reincarnazione di Chamberlain! Sul serio credevi che assecondando il piccolo Hitler, questo si sarebbe dato una calmata?
Frida incrociò le braccia e lo incenerì con gli occhi, mentre Kevin, camuffato l'accesso di risatine con un colpo di tosse, gli sussurrò all'orecchio –Forse alla scuola di Hokuto non lo insegnano, ma sarebbe preferibile non paragonare la ragazza che, cito, ti vuoi "fare" a uno dei Primi Ministri più impopolari della nostra storia. Poi vedi tu, l'uccello è tuo!
William ricambiò con il secondo "vaffanculo" più spontaneo della sua vita e implorò in ginocchio la Weil di non tenerlo sulle spine.
"Fortunosamente, proprio quando stavo perdendo le forze e ogni speranza, avvenne il miracolo: squillò il cellulare di Cox, che sussultò e fece per rispondere, ma Lawson gli abbaiò contro –Che cazzo fai?
Il poveretto si morse un labbro, combattuto tra l'obbedienza al maschio alfa e il richiamo da sirena della suoneria, e piagnucolò –Potrebbero essere i miei, o l'ospedale! Mia nonna sta morendo, lo sai!
Ti morisse tutta la famiglia in un disastro aereo, tu non ti muovi, chiaro?
Le sue parole sortirono l'effetto contrario a quello desiderato: in piena insubordinazione al capobranco, Cox mollò la presa e si affrettò a rispondere alla chiamata.
Non persi tempo, natürlich: esiste un girone infernale dedicato ai Dummköpfe che sprecano una buona opportunità, e io non avevo alcuna intenzione di finirci. Per prima cosa, pestai il piede destro del gorilloide che mi tratteneva per le braccia, all'anagrafe David Bertram, regalai al suo povero ginocchio prematuramente danneggiato dallo sport un incontro ravvicinato col mio calcagno, facendolo uggiolare come un lupacchiotto ferito, infine, al grido di "Ich bin dran!9", lo proiettai di schiena sul pavimento. Finito con lui, mi dedicai all'altro bestione antropomorfo, che resi inoffensivo con un poderoso calcio, prima, e un bel pugno, poi, dritti sul suo brutto grugno".
–Prego, apprezzare la rima- ridacchiò Kevin.
Frida lo premiò con uno dei suoi rari sorrisi, che andò scemando quando William la esortò a non perdersi in sciocchezze.
–Oppure, se vuoi, passa la palla, tanto scommetto che dietro il piccolo miracolo c'è lo zampino di questi tre.
–Colpevoli di tutte le accuse, Vostro Onore- confermò Kevin. –Permetti, Sherlock?
Nur zu, bitte.10
–Suppongo sia un sì.
"L'affamato trio delle meraviglie si era riunito per discutere dei massimi sistemi in un clima conviviale.
Ehi, Kimmy, un parere femminile: io e il tuo coinquilino nell'utero abbiamo deciso di potare le chiome!
Vogliamo tagliarci i capelli come Osamu e Nakajima di BSD!
La mia dolce sorellina reagì alla notizia con il dovuto entusiasmo (a scanso di equivoci, sono ironico): sospirò, scuotendo il capo, e rispose –Non avete il benché minimo gusto.
Punto sul vivo, Nate tentò di ribattere.
Beh, credo sia soggettivo...
No, no- lo zittì lei agitando l'indice in segno di disapprovazione, in un'accurata imitazione di Miranda de "Il diavolo veste Prada" –Non era una domanda. La parte più atroce della faccenda, comunque, è che ho colto alla perfezione la reference del mio coinquilino nell'utero. Spero non si sparga la voce che sono una nerd irrecuperabile!
Cercai, ovviamente, di farla ragionare.
Dovresti essere di mente aperta, sorellina: siamo nel ventunesimo secolo, una ragazza può essere fashion victim e otaku alla luce del sole.
Kim scrollò le spalle e glissò sulla questione, preferendo cogliere l'occasione per attirare a sè Nate e scompigliargli i capelli, rimarcando quanto fossero morbidi e "carezzevoli" così com'erano. Col senno di poi, un gesto tanto intimo avrebbe dovuto accendere una lampadina nel mio cervello; ma ero giovane e sciocco, talmente sciocco da non cogliere i segnali di un amore che stava sbocciando.
Sicuro di volerli accorciare?
Issimo!- asserì lui. –Non voglio fare la fine di quel cugino di Frida che visto da dietro sembra una ragazza!- scandagliò la sala mensa e aggiunse –A proposito: dove si sarà cacciata?
Punzecchiata dal mostro dagli occhi verdi di shakespeariana memoria, Kim se lo scrollò di dosso con veemenza, borbottando –Dove merita, cioè tutta sola! Probabilmente a studiare.
Nemmeno lei è così secchiona! Aspettate, la chiamo, magari non ci ha visti e si è messa a mangiare in un angolo- propose Nate. –Ha il telefono staccato. Strano!
Te l'ho detto: vuole stare da sola a rimuginare sulla caducità dell'esistenza, o qualunque altro pensiero passi per quella sua testa contorta!
Lo ammetto, Frida è un tantino misantropa, però non è da lei estraniarsi totalmente. Qualcosa non va. Vado a cercarla.
Kim, in uno sfoggio di empatia da manuale (di nuovo: sono ironico), lo esortò a lasciar perdere.
Come mai tanto interesse? Non è che per caso... ti piace?
E il premio per la cazzata del giorno va a... Sul serio, sono stufo di ripetere l'ovvio: Frida e io siamo fratelli, nati da genitori diversi. Non riuscirei a vederla come una ragazza... "ragazza" neppure volendo. Ah, complimenti a entrambi: gemelli del menefreghismo! È nostra amica, eppure sono l'unico a preoccuparsi per lei.
Con la coda di paglia in fiamme, mia sorella diede libero sfogo ai suoi reali sentimenti.
Lei di noi se ne frega! Come del resto dell'umanità. Perché non possiamo fare altrettanto?
Ma Nate non avrebbe ceduto tanto facilmente.
Dall'età di sei anni si è sottoposta all'addestramento di quel sergente Hartman di suo cugino per diventare abbastanza forte da difendermi dai bulli. Giusto stamani ha fatto a botte con quattro ragazzi più grandi, rischiando la sospensione, o peggio, per noi. Ci lascia copiare i compiti senza chiedere un penny in cambio. Se questo per te è fregarsene, hai degli standard incontentabili! È un lupo solitario, e allora? È fatta così! Sta a noi accoglierla nel branco.
Bel discorso, ma resto della mia opinione: a perdere tempo appresso alle sue stramberie rischiamo di diventare come lei. Se guardi nell'abisso, l'abisso, prima o poi, ricambia. Quando la rivedrai in classe, le chiederai cos'ha combinato mentre noi persone normali pranzavamo.
È comunque un essere umano; se c'è la benchè minima possibilità che sia nei guai, non possiamo lasciarla nel suo brodo!
Chiamatelo sesto senso, intuito, telepatia o come vi pare: in quell'esatto momento venni colto da un'illuminazione.
Libera di non crederci, sorellina, ma sono dalla parte di Natie, stavolta- dissi. –Ho un brutto presentimento.
E con ragione- assentì lui, prima di trascinarmi via quasi di peso, tallonato da una scocciatissima Kim. –Mancano all'appello anche i quattro stronzi".
 
***
 
William affrontò le ultime ore di lezione sorretto dal pensiero felice che le sue fatiche sarebbero state ricompensate dall'ultimo (sperava) capitolo di una storia che, contro ogni aspettativa, lo stava tenendo col fiato sospeso. Non provava una tale suspance dal finale di stagione del suo guilty pleasure mediatico: "Night Hunter", la serie dark fantasy - un po' trash, in verità - incentrata sulle avventure dei cacciatori di demoni (e altre creature dell'ombra) Nick Hunter e Kitara Graves, con sottotrame romantiche di contorno.
Al dolce suono della campanella, con uno scatto da centometrista olimpico agguantò gli amici, prima che potessero anche solo pensare di darsela a gambe, e ordinò loro di riprendere il discorso da dov'era stato interrotto.
–Lo so che la Weil ha avuto la meglio - non staremmo qui a parlarne, altrimenti - però sono ugualmente curioso come una scimmia di sapere come ci è riuscita!
–Col loro aiuto- rispose lei, indicando gli altri tre, che sogghignarono, dandosi arie di grande importanza.
–In particolare il mio- precisò Kimberly.
–Ma se non hai mosso un dito!
–Sì, invece! Per indicarvi la giusta direzione.
"–Ehi! Dove credete di andare? Ehi! Fermatevi subito!
Al mio ennesimo invito, Nate arrestò la corsa forsennata e si degnò di girarsi, mentre il mio poco atletico fratello, spinto in avanti per inerzia, finì steso sul pavimento come un deficiente".
–C'era proprio bisogno di inserire questo dettaglio imbarazzante?
–Dovere di cronaca.
"–Che c'è? Ti fanno male i piedini a correre con quelle scarpette da principessina? Non sei costretta a seguirci!
Aiutò il mio impedito gemello a rialzarsi e fece per voltarsi, ma venne bloccato dall'inoppugnabilità della mia argomentazione.
Tecnicamente sto vagando, non vi sto seguendo, dato che corriamo senza meta. Perché non sapete dove state andando, vero? Sarebbe questo il vostro piano, setacciare alla cieca l'intero edificio? Geniale!
Dopo aver inutilmente boccheggiato come un pesce fuor d'acqua, in cerca di una possibile replica, Natie fu costretto a darmi ragione.
Hai una vaga idea di dove potrebbe essere Frida in questo momento?
Vediamo: escludendo la mensa e i posti chiusi a chiave, tipo il tetto...
Non lo escluderei- obiettò Kevin. –Anzi, a pensarci bene è l'opzione più logica. Frida ha sempre avuto una fascinazione per le sfide, e accedere dove non le è permesso senza dubbio lo è; inoltre, le piace, come dire, stare in alto, il rischio del vuoto, cose così. Ricordi quando, a casa di zio Brian, si arrampicò sulla libreria?
Chi se lo scorda? La faccia dello zio fu impagabile! Era terrorizzato!
Lo credo bene: se la piccoletta si fosse torta un capello, Faith e Franz gli avrebbero torto le palle!
Tutto molto bello, avremo modo di rivangare questi ricordi in un altro momento, più opportuno- intervenne Nate per riportarli in carreggiata. –Ora muovete il culo!
Signorsì, signore!- esclamammo all'unisono io e Kevin.
Ci precipitammo su per le scale, rendendoci presto conto di essere d'intralcio a Nate, agile e veloce. Faticavamo a stargli dietro; quando gli suggerimmo di proseguire senza zavorra, però, rifiutò con decisione.
Nessuno rimane indietro, a costo di portarvi in spalla!
Tutt'oggi, sono incerta se il colpo di genio che seguì sia stato interamente farina del mio sacco. A volte penso che, stando a contatto con Frida, ho acquisito per osmosi un pizzico del suo ingegno; perciò, tecnicamente, sarebbe merito mio solo in parte.
Di', sei proprio sicuro c'entrino i quattro trogloditi della squadra di calcio?
Non si sono visti in giro e hanno un movente.
Non starai puntando il dito perché speri di poterti vendicare?- osservai.
Sarebbe una deliziosa ciliegina su questa merdosa giornata.
Ero in debito con Nate, sentii di dovevo aiutare. Annuii e avvicinai alla bocca l'orologio ultimo modello che mamma e papà ci avevano regalato per il compleanno. Kev era riuscito nell'impresa di rompere il suo in sole quarantott'ore".
–Di nuovo: c'era proprio bisogno di inserire questo dettaglio?
–Dovere di cronaca.
"–Cosa fai?
Ci faccio guadagnare tempo- celiai, lieta fosse giunto il mio momento di gloria. –Considerarmi una puttanella non ha impedito a quegli stronzi di passarmi i loro numeri di telefono. Allora, chi chiamo?
Vinto l'iniziale stupore, Nate rispose, deciso –Freddie Cox. È il più stupido.
E meno cattivo- aggiunse Kevin, ancora ansante.
Annuii una seconda volta e, con un'aggressività che mai avrei creduto di posseder, cedetti alla tentazione di fare la gradassa pronunciando una frase a effetto da filmaccio d'azione di serie Z anni '90.
Ehilà, Freddie. Salutami Frida. Arrivano gli Avengers, pezzo di merda!
Sollevai lo sguardo fino a incrociare quelli di Kev e Nate. Quest'ultimo mi fissava tra l'allibito e il divertito.
Ricordami di non contrariarti. Mai- ridacchiò, facendomi sentire molto sollevata.
Peccato che il mio perfetto fratello rovinò tutto con un'uscita idiota delle sue.
Avengers? Credevo avessimo deciso di chiamarci Brigata di Hogwarts!
È questa la tua priorità?- gli urlai mentre mi affrettavo a raggiungere Nate, che nel frattempo ci aveva distanziato.
La porta di accesso al tetto era chiusa, il lucchetto no; era stato palesemente forzato. Per una volta, Kevin aveva fatto centro. Nate, però, non mi diede modo di notarlo, sul momento: si avventò sulla porta, spalancandola con un botto assordante, per poi gettarsi nella mischia. Se non avessi provveduto io a bloccarla con una zeppa di fortuna, saremmo rimasti tutti insieme appassionatamente sul tetto. Mio fratello, dotato dell'innata capacità di scegliere i compiti più leggeri, si piazzò a guardia di Paul Sacks, il meno bisognoso di sorveglianza: se ne stava rannicchiato in posizione fetale a piagnucolare. Avrebbe dovuto farmi pena, ma la pateticità era mitigata dalla comicità involontaria della sua voce, alterata dal fazzoletto che gli tamponava il naso.
Me l'ha dato lei!- gnaulò, quasi disgustato. –Lei, capisci? Tre contro uno, ed è comunque riuscita a occuparsi di me!
Kevin salì enormemente nella mia stima con una replica sorprendentemente pungente, per un timidone del suo calibro.
Un'umiliazione del genere marchia a vita, amico. Non ti resta che il seppuku!
Scoppiammo a ridere, complici come non eravamo da anni. Sfortunatamente, non durò a lungo: Nate ruppe quella fragile bolla di calma ruggendo –Ehi, voi! Una mano? Per piacere?
Non posso!- gridò Kevin di rimando. –Sono un pacifista e... e... e un violinista. Le mani mi servono!
Servono a chiunque non sappia farsi una sega coi piedi! Datti una mossa!
Conoscendo quel coniglietto di mio fratello, avrei messo la mano sul fuoco che non si sarebbe schiodato da lì. Meno male non c'erano fuochi nelle vicinanze, perché mi sbagliavo di grosso. Dopo una momentanea e, oserei dire, fisiologica, titubanza, si lanciò nella baruffa al grido di –Tassorosso alla riscossa!
Ovviamente, per il principio detto prima, cioè scegliere sempre l'attività che comporta lo sforzo minore, piuttosto che dare effettivamente una mano a Nate o Frida, puntò la preda più facile, alias Freddie Cox, che se ne stava in disparte, neutrale, a farsi gli affari propri.
Frida, che ha più occhi di una Dodomeki, se ne accorse e, stordito temporaneamente Lawson con una capocciata - inelegante, però innegabilmente efficace - si fiondò a separarli.
Sei uscita di senno? Non puoi difenderlo! Non dopo tutto quello che ti ha fatto!
Lui ha fatto poco e nulla. La sua unica colpa è di essere un pavido ignavo, che si fa scudo di chi percepisce come valido. Di norma, non sarei del tutto contraria a dargli una lezione, ma non mi perdonerei mai se non fosse presentabile al funerale di sua nonna.
Toccato dalla generosità dell'amica, Kevin arretrò e dirottò la foga della lotta su qualcuno che la meritava, ovvero i due ancora in piedi, David Bertram e l'highlander Lawson.
Ehm, e-ecco, a quanto ne so mia nonna è ancora viva- pigolò Cox, facendo quasi pentire la Weil di quel minuscolo atto di bontà. –Ma apprezzo il pensiero.
Sparisci dalla mia vista, prima che cambi idea. Schnell!- inspirò a fondo, gonfiando il torace fino a tendere i bottoni della camicetta già messi a dura prova dal seno esploso nel corso dell'estate, espirò con la furia di un drago che sputa fuoco e aggiunse –Lo stesso vale per te, Arschloch!
Mi hai dato un calcio in faccia, e ancora non hai imparato il mio nome?
Es ist mir egal. Zisch ab11!
Impossibile disobbedire a un ordine in tedesco: la durezza della lingua è di per sè un deterrente a qualsiasi tentativo di ammutinamento; perciò, naturalmente, i due non se lo fecero ripetere due volte e fuggirono a gambe levate, ribaltando la situazione. Eravamo noi in vantaggio, adesso, e ben presto mettemmo in fuga il resto del branco di scimmioni.
Estatica, esclamai –Yatta!
Ma se non hai fatto niente!- mi rimbeccò Kevin, tastandosi il viso in cerca di segni tangibili dello scontro (da tenere tassativamente nascosto alla mamma). I lividi si possono celare con il trucco, tagli e bozzi sono più difficili da camuffare.
Esaurita la scarica di adrenalina, si piegò in due, portando la mano sinistra al petto. –Oddio, il cuore- esalò. –Il mio povero cuore. Sento che sta per scoppiare! Oh, Dio! Oh, mio Dio! Credevo sarei morto di paura!
Io che te la saresti fatta sotto!- replicai, ottenendo un'eloquente alzata di dito medio. Frida eruppe in una scrosciante risata che dava i brividi, da maniaco omicida, poi esclamò –Unsinn12! Scommetto che non ti sei mai sentito così vivo!
Sembrava un'altra persona. Noialtri ci scambiammo un'occhiata vagamente preoccupata: nei suoi occhi, in quel momento, lampeggiò una luce sinistra. Grazie al cielo, durò un battito di ciglia e, prima che se ne rendessero conto, Nate e mio fratello vennero stritolati in una morsa affettuosa e letteralmente mozzafiato. Chissà, forse i Weil discendono da boa constrictor.
Meine liebe Freunde... danke. Und Nate? Niente male per un principiante. Dovresti iscriverti alla mia palestra: Naoko sensei ti trasfomerà da ammasso informe di argilla in una statua greca!
Sentendomi esclusa, misi il broncio.
Ehi! E io?
Dir natürlich auch13- chiocciò, includendomi nell'abbraccio di gruppo.
L'euforia venne presto sostituita dalla triste consapevolezza che avremmo pagato per le nostre azioni, sebbene animate dalle migliori intenzioni.
Lo sapete, sì, che finiremo in guai seri per questo?
Probabile- asserì Kevin. –Ma li affronteremo come abbiamo affrontato quei deficienti: insieme! Qua la mano! Frida, a te l'onore.
Perplessa e un filino in imbarazzo nel non avere la più pallida idea di come comportarsi, balbettò, guardandosi intorno sperando di incappare nella risposta ai suoi dubbi –D-Devo dire qualcosa?
Non sei obbligata- la tranquillizzò Nate. –Però ci farebbe piacere entrassi ufficialmente nella - non guardarmi così, Kimmy, è tuo fratello che vuole riportare in auge il termine - gang.
Frida riflettè un attimo, ponderando i pro e i contro della rinuncia allo status di asociale. Infine, optò per il sì: aveva capito che, al contrario di quanto sosteneva Hans, essere in grado di cavarsela da soli non implicava doversela cavare sempre da soli.
Che devo fare?
Poggia la mano sopra le nostre e ripeti dopo di me: "Brigata di Hogwarts"!
Brigata di Hogwarts!
Uuh!- gridammo a pieni polmoni, librando in alto le mani, dopodiché puntualizzai, prima che la nuova arrivata potesse avanzare pretese –L'unica Casa disponibile è Corvonero; fortunatamente, è perfetta per te... secchiona!
Di nuovo, meno male che non c'erano fuochi nelle vicinanze, perché avrei perso una mano: ero sicura che Frida si sarebbe offesa, invece tirò dietro le orecchie alcune ciocche sfuggite dalla treccia e rispose –Na ja! "Un ingegno smisurato per il mago è dono grato"! Oltretutto, i colori si abbinano ai miei occhi.
Stavamo per tornare ai piani bassi quando Nate, seppur involontariamente, generò un momento di puro disagio.
Frida, sei ferita!
Eh?- si toccò distrattamente il labbro inferiore, scrollò le spalle e sbuffò –Oh, questo! Una sciocchezza, anche se sono sicura che mein Vater vorrà la testa di chi ha osato deturpare il mio bel faccino!
No, non lì... la gamba.
Frida, che aveva attribuito il malessere e i crampi al basso ventre al pestaggio e alla foga della rimonta, realizzò che un rivolo di sangue le colava lungo la gamba.
Scheiße!
Perse il poco colore rimasto sulle guance e prese a iperventilare, sull'orlo di una crisi di panico; un altro mio colpo di genio sventò la tragedia.
Grazie per i vostri servigi, baldi giovani, potete tornare a condividere foto porno. Lo spettacolo è finito! - presi Frida per mano e la strinsi, sorridendole con calore, per farle capire che avevo compreso appieno la situazione. –Vieni, andiamo a medicarti".
–Ok, ho sentito abbastanza- la interruppe William, coprendosi le orecchie. –Possiamo chiudere qui.
Peccato che Kimberly non fosse dello stesso parere: gli si avvicinò pericolosamente, lo costrinse a piegarsi in avanti tirandolo per la cravatta e sibilò –Pure tua mamma perde sangue da lì. Tatuatelo nella mente.
William, rosso a livelli patologici, la scostò con veemenza, sbraitò –Basta! Me ne vado!- e girò sui tacchi.
Nathaniel lo riacciuffò per il cappuccio della felpa che l'australiano portava sotto la giacca, canzonandolo per quel comportamento infantile.
–Se non vuoi genitori con perdite mensili, chiedo ai miei di adottarti!
–Resisti, su, manca poco al gran finale.
"Frida uscì dal cubicolo del bagno femminile felice e soddisfatta.
Ah! Sehr gut! Pulita e impasticcata contro i dolori! Vielen Dank, Mutti, per aver infilato nello zaino un cambio e i farmaci, nonostante le mie proteste!
Ridacchiai –Qualche decennio di esperienza alle spalle aiuta!- e fui tentata di deriderla per la disastrosa disattenzione - sul serio, come si fa a dimenticarsi l'assorbente? - ma vederla sorridere di nuovo mi intenerì al punto da lasciar correre. Avrei serbato quella cartuccia preziosa per un'altra, più ghiotta, occasione. Mi affrettai, dunque, a cambiare argomento. –Posso farti una domanda?
Un'altra?- scherzò lei, mettendosi poi a canticchiare "Tanti auguri", follia che giustificò asserendo che la giusta durata di un lavaggio delle mani effettuato correttamente corrispondeva al doppio della durata della canzone di auguri, il che accrebbe la mia determinazione a portare la conversazione su temi più consoni a delle adolescenti e, soprattutto, non passibili di un consulto psichiatrico.
Secondo te, Natie è un bel ragazzo?
Natürlich! Come, credo, secondo chiunque ci veda e sia sano di mente!- rispose, lasciandomi sgomenta sotto il cumulo di macerie del mondo che mi aveva fatto crollare addosso. Lo aveva ammesso, alla fine: forse Nate credeva davvero alla panzana dell'amore fraterno, ma lei no, e puntava ad averlo tutto per sè."
–Oh, cielo!- sbottò Nathaniel, nascondendo il volto tra le mani. –Non dirmi che la tua gelosia paranoica derivava da questo!
–Puoi biasimarmi?
"Non avevo calcolato, tuttavia, che con quella singola frase mi avrebbe sgamata. Dannazione a lei e quel suo cervello sopraffino!
Mein Gott: stai sondando il terreno! Beh, con me puoi dormire sonni tranquilli: non sono una potenziale rivale. Comunque, spero che questa cotta improvvisa non si fondi sull'atavico istinto a legarti a "l'uomo che ti protegge"; potrei perdere ogni stima che ho di te.
Smacco totale: non solo rimasi a bocca aperta, incapace di formulare una frase di senso compiuto... fu la stessa Frida a chiudermela! Che onta!
Tranquilla, il tuo segreto è al sicuro con me. Faccio il tifo per voi, sappilo!
Finsi di crederci, ma fu difficile mantenere la facciata quando, all'uscita dalla prigione chiamata scuola, Nate le cinse le spalle, proponendo di festeggiare tutti insieme. Lo ammetto: al sentirla declinare, provai una punta di gioia perfida.
Scusate, stasera meglio di no. Non sogno altro che accoccolarmi nel letto con Moriarty sulla pancia e una tazza di cioccolata fumante tra le mani. Però, se vi va, possiamo rimediare domani: nei miei progetti rientra un'occhiata a quel locale riaperto da poco!"
–Per pedinare il sospettato principale nel mio primo caso, ma questa è un'altra storia- precisò la Weil.
–Fu così che ebbero inizio i nostri ragguardevoli sabato sera al Tipsy Crow. Bei tempi!- sospirò nostalgico Kevin.
–Momento, momento, momento- intervenne William. –Non crederete di cavarvela così. Manca il vero finale!
–No.
–Sì, cazzo! Dove sono le conseguenze? Dopo quel rissone è impossibile non siate finiti dalla preside. Sarebbe fantascienza pura!
–Infatti ci finimmo- ribatté Frida. –Tuttavia, trattandosi di una donna intelligente, e non di un odioso pisquano, riconobbe le attenuanti del caso, e la faccenda si risolse nettamente a nostro favore: aiutare a ripulire dopo la scuola per una settimana è nulla, in confronto a due settimane di sospensione più espulsione dalla squadra di calcio alla vigilia di una partita cruciale! Inoltre, extra bonus, Hans fu talmente orgoglioso di me da regalarmi il suo coltello dei tempi d'oro in cui era un teppistello figo, non uno sbirro!
"Ho capito bene? Questa gira armata? La prossima volta che vado a casa sua mi porto lo spray al peperoncino!"
–Co... co... com'è possibile?
–Quando le genitrici di quattro stronzetti, stronzette a loro volta, incontrano i padri dei fantastici quattro, le mammine pancine sono mammine morte. Non sarà terrificante al pari di Franz, ma ti assicuro che Ben Cartridge sul piede di guerra è uno spettacolo sconsigliato ai deboli di cuore!- rispose Kevin, corroborando il messaggio fingendo di soffiare su una pistola fumante.
William, che provava un sacro terrore nei confronti di Weil senior, giunse allora alla conclusione che, se era riuscito dove quattro donne adulte avevano fallito, ossia sopravvivere indenne a un incontro ravvicinato con Franz Weil, Nietzsche doveva aver basato su di lui la figura del "superuomo". Intento a cercare elementi di conferma a questa tesi, la proposta semi-decente di Nate di contravvenire alla regola del weekend e andare al Tipsy Crow in settimana giunse alle sue orecchie come un brusio di sottofondo. Fu l'acuta risatina di Kimberly a catapultarlo nuovamente sulla Terra, sortendo sui suoi timpani il medesimo effetto del trapano del dentista su una carie, riuscendo perfino a fargli cambiare idea sulla carriera da intraprendere: non psicologo, bensì psichiatra, così da poter placare le esternazioni fastidiose altrui con una pillola o due goccine.
–Hai avuto un ictus?
–Ho appena capito la tua battuta.
–Quale?
–Quella sulla squadra di basket!
Sconcertato, William per poco non soffocò con la sua stessa saliva: sul serio aveva impiegato tutte quelle ore per capire una battutina penosa che ormai non faceva più ridere nemmeno lui, l'autore?
"Quanti neuroni buttati nel cesso! Che spreco!"
–Saremmo imbattibili, senza contare che staremmo da Dio in canotta e pantaloncini!- proseguì, imperterrita, chiudendo gli occhi per fantasticare meglio. –Peccato non avere il numero di Kaori: potrebbe essere uno spunto per un manga!
Gli parve di cogliere dell'imbarazzo nell'espressione dell'amico, che alla menzione dell'altra sorella si era irrigidito, e gli sovvenne il dubbio fosse riuscito a mettersi in contatto con lei all'oscuro del resto della famiglia. Prese l'appunto mentale di torchiarlo alla prima occasione per appurare se l'assidua frequentazione della Weil stesse giovando alle sue celluline grigie, oppure, come sosteneva suo padre, era semplicemente un regista di corto e lungo-metraggi mentali.
–Oh, sì, un manga sul basket. Non s'è mai visto!- rispose, estraendo due volumi dalla borsa.
–Cazzate a parte, potresti offrire seriamente qualche spunto a tua sorella. Sei un musicista, i musicisti sono fighi!
–Oh, sì- ripeté Kevin, che palesemente se la stava godendo un mondo. –Un manga su un violinista. Non s'è mai visto!
Frida, che se la stava spassando almeno quanto lui, appena lo vide ripescare trionfante dalla borsa un terzo volume, disse, tra le risate –Basta, per carità, o ne tirerà fuori uno sulle pornostar!- restando esterrefatta e rossa per l'imbarazzo quando Kevin esclamò –Ho anche quello!
L'imbarazzo raggiunse l'acme nel momento in cui il volumetto, recante i segni di un'assidua consultazione, finì in mano sua. Ovviamente, gli altri sgomitarono per dare una sbirciatina e William, che sembrava nato per metterla a disagio, le sussurrò all'orecchio –Studialo da cima a fondo, che appena risolto il caso Carter ti faccio l'esame... con tanto di voto!
Si morse l'interno della guancia: avrebbe tanto voluto punire la sua volgare sfacciataggine con la violenza, ma aveva promesso solennemente ad Hans di ricorrere alla forza bruta solo e soltanto in caso di necessità impellente di difendere se stessa o altri, e non era quello il caso. Aveva, però, altre frecce al suo arco.
–Sei crudele, Liam- ringhiò a denti stretti. –La povera Aisling Carter non riposerà mai in pace!
 
Note dell'autrice
Allora, vi ha divertito questo pezzetto di passato di Frida&co? Si è perfino (intra) vista Zelda! ;-)
Ah, se vi sembra strano che i ragazzi siano fan(atici) potterhead "dopo tutto questo tempo" (scusate, la smetto), ricordate che sono nati tra la fine del 2019 e il 2020, perciò sono cresciuti (o meglio, cresceranno) con la serie reboot.
Il dialogo tra Frida e Hans dovrebbero essere in tedesco, perchè i cugini tra loro parlano esclusivamente in tedesco (se sentite vibes alla Daemon&Rhaenyra, è intenzionale), ma per comodità di fruizione del testo ho preferito lasciarlo non tradotto.
A proposito di cugini di Frida, quello che visto da dietro sembra una ragazza (cit. Nate) è Wilhelm, il fratello di mezzo, menzionato, ma non ancora apparso in Locked-in.
Se, a differenza di Kimberly, non avete colto la reference ai personaggi di Bungo Stray Dogs cliccate qui. ;-)
Se, invece, siete nuovi e curiosi di dare un volto ai personaggi, sappiate che nella mia mente Kevin ha l’aspetto di Ben Barnes, Kim di Kaya Scodelario, Nate di Alex Pettyfer, William di Danny Griffin e Frida di Chloe Marshall.
Alla prossima!
Ps: la linea verde (District) e nera (Northern) sono due linee della tentacolare metropolitana londinese.
Pps: il seppuku è il suicidio rituale dei samurai, mentre le Dodomeki sono yokai (demoni giapponesi) dalle lunghe braccia ricoperte di occhi, allegoria della loro tendenza a rubare.
Ppps: sono una potterhead vecchia scuola; Tassorosso tutta la vita!
 
*citazioni di Sherlock Holmes
1Poco ma sicuro
2Quel che faccio sempre per ingannare l'attesa
3Molte grazie per la vostra premura
4Per fortuna
5Allora
6Con grande piacere
7Per tua informazione: il mio nome è Frida
8Stronzo
9Ora è il mio turno!
10 Prego, procedi.
11Non mi interessa. Eclissati!
12Sciocchezze!
13Anche a te, naturalmente.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Feuer frei ***


 

Bentrovati, miei pazienti fedelissimi!

Dopo una lunga attesa, come promesso, ecco il nuovo capitolo, che (spero) renderà molto, molto, molto felici i fan dei cugini Weil, e farà scemare in voi il desiderio di picchiarmi per averci messo tanto. Enjoy!

Il sottofondo musicale consigliato è lasciato alla vostra abilità di leggere tra le righe: ho inserito gli indizi nel capitolo, vi sfido a indovinare i brani che mi hanno ispirato. ;-)

 

Feuer frei

 

“Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”.

Sir Winston Churchill

 

Hans Weil senza parole era uno spettacolo più unico che raro; eppure, era esattamente lo spettacolo che si parava davanti alla sua futura moglie, Sonja Dormer, colpevole di averlo reso tale. La scena era talmente straordinaria che Sonja stava lottando con tutte le proprie forze per tenere gli occhi aperti, nonostante un fastidioso fascio di luce che sembrava voler filtrare attraverso le nubi di un tenue grigio perla - venate del rosso aranciato del sole al tramonto, a creare una stupefacente marmorizzazione rosata - al solo scopo di accecarla.

Quando Hans aprì finalmente bocca, ne uscì un suono scarsamente intellegibile, che qualcuno dotato di fervida immaginazione avrebbe potuto interpretare come "Wow".

Sonja scelse di propendere per questa interpretazione, ed esclamò –"Wow" è un eufemismo. È... tanta roba!

Na ja!- esplose Hans. –È tantissima roba! Roba... wunderbar1! Però, almeno spiega perché hai rifiutato la missione a Honk Kong.

–Posso tirare un sospiro di sollievo, ora? Sei al settimo cielo quanto me?- chiese Sonja, titubante come poche volte in vita sua.

Natürlich! Oh, ich bin so froh!- la rassicurò Hans, per poi mettersi a sedere sgranando gli occhi con l'aria di chi ha appena ricevuto un'illuminazione divina. –Sondern auch nervös2.

–Beh, le nostre vite cambieranno inevitabilmente... per sempre. È normale sentirsi nervosi; ma sono certa che insieme ce la faremo, Küken3.

Hans, che di norma storceva il naso a quel ridicolo vezzeggiativo, suggerito alla sua innocente fidanzata dalla brillante mente votata al male che portava il nome di Ernst Weil, si limitò ad annuire, perso nei propri pensieri, salvo poi dar loro voce.

Du hast recht4: uno tsunami sta per abbattersi sulla vita nostra e di chi ci circonda. Mein Gott, spero che Frida la prenda bene, è così suscettibile!

Sonja palesò il proprio sconcerto allargando le braccia e scuotendo il capo, emise un gemito di esasperazione, infine sbottò – È questo a metterti in ansia? La reazione della tua cuginetta? Fai sul serio?

–Devo rispondere a una domanda alla volta, o posso dare una risposta cumulativa?- tentò di ironizzare Hans, il cui accenno di sorriso si sciolse come neve al sole di fronte allo sguardo glaciale della donna. Determinato ad evitare a tutti i costi una lite, sospirò –Quante volte devo ripetertelo: sei tu la mia priorità, e lo sarai finché morte non ci separi; ma Frida è la piccola di casa, è naturale che nutra un forte istinto di protezione verso di lei...

–No, non lo è!- obiettò Sonja, protendendosi verso di lui con espressione furente. –Non sei suo padre, non sei suo fratello, e lei non è più una bambina.

–All'anagrafe- replicò Hans, scrollando le spalle. –Nella mia mente, lo sarà sempre.

"Nonostante la preoccupazione per la zia Faith, la sua preferita, che stava partorendo, e il disgusto che lo attanagliava ogniqualvolta metteva piede in ospedale, tempio dei germi per eccellenza, osservare il fratellino di due anni mentre sonnecchiava placidamente lo aveva fatto scivolare dritto tra le braccia di Morfeo.

Non aveva idea di quanto tempo fosse passato quando suo padre lo svegliò picchiettandogli con insistenza sulla spalla.

Was?- mugugnò con una vocina grondante sonno, strofinandosi le palpebre.

Das Baby ist da!

Quelle quattro parole ebbero su di lui l'effetto di una tazza di caffè colma fino all'orlo: scattò in piedi, rischiando di far rovinare sul pavimento il piccolo Ernst, e trillò –Toll! Wann kann ich ihn sehen?

Selbst jetzt, wenn du willst- rispose suo padre. –Ein Moment: wo ist Wilhelm?Du musstest auch auf ihn aufpassen, hast du vergessen?5

Il volto di Hans passò in un nanosecondo dalla pura gioia al terrore: era stato sufficiente un attimo di distrazione che l'altro suo fratello, di cinque anni, era riuscito a sgattaiolare per combinare guai in giro per l'ospedale.

"Scheiße!"

Senza dire una parola si precipitò a cercarlo, cominciando dal posto nel quale sarebbe stato più probabile trovarlo. Ebbe la fortuna, oltre che di fare centro al primo colpo, di assistere a una scenetta quantomai spassosa: l'incarnazione dello stereotipo della nonnina affettuosa si avvicinò a Wilhelm, la cui attenzione era interamente assorbita dal distributore automatico carico di snack appetitosi, e chiocciò, nel tono cantilenante riservato ai pargoli –Oh, che bella bambina! Non riesci a raggiungere i tasti, piccina? Vuoi una mano? Come ti chiami?

La faccia della sconosciuta nello scoprire che la "bella bambina" era in realtà un maschio fu impagabile, almeno quanto il ghigno compiaciuto di Wilhelm nel sentirsi rispondere che avrebbe fatto meglio a tagliarsi quei "capelli da Raperonzolo", se non voleva creare confusione.

Nonostante scenette come quella appena accaduta fossero all'ordine del giorno, il bambino, mostrando una maturità superiore a molti adulti, sfoggiava con fierezza la lunga chioma, che rifiutava categoricamente di accorciare, beandosi dell'imbarazzo di chi, tratto in inganno dai capelli che arrivavano al fondoschiena e dal fisico minuto, si convinceva fosse femmina.

I fratelli Weil, infatti, erano accomunati da identici occhi grigi dalla forma allungata, quasi a mandorla, e lisci capelli biondi; ma, se quelli di Hans ed Ernst, tenuti rigorosamente corti, ricordavano il grano maturo sotto il solleone estivo, quelli di Wilhelm formavano una fluente colata di oro fuso.

Das Baby ist da- disse laconicamente Hans, tendendogli una mano. Il fratello la afferrò senza tante storie, segno che la curiosità aveva prevalso sull'orgoglio.

Incassata con la strafottenza che li contrassegnava la ramanzina paterna per aver avuto l'ardire di aggirarsi senza supervisione in un luogo tanto pericoloso, i tre fratelli (Ernst in braccio al padre) erano andati a trovare l'ultimo membro della famiglia.

Ta-da! Non è adorabile?

Alla vista del neonato urlante che si dimenava nella culla con la targhetta "Weil", Hans pensò che evidentemente aveva una concezione diversa di "adorabile", ma tant'era. Wilhelm, forse perché sensibile al tema, si accorse subito di un particolare.

Ha la tutina rosa. È una femmina!- sputò, caricando l'ultima parola di una buona dose di frustrazione per i sogni di gloria infranti; aveva agognato di poter essere per il cuginetto ciò che Hans era per Ernst: un modello, un faro, un mito. Gli avrebbe insegnato ad andare in biciletta, a tirare di scherma e a tirare pugni degni di tale nome (anche se, forse, in quello era più bravo Hans). Dubitava di riuscire a fare lo stesso con una femmina; non tanto perché non ritenesse le femmine capaci di andare in biciletta, tirare di scherma e tirare pugni degni di tale nome, quanto piuttosto perché, ci avrebbe scommesso, il parentame al completo glielo avrebbe impedito.

Ernst, dal canto suo, reagì con indifferenza. Era un bambino di due anni semplice: gli bastava avere qualcuno più piccolo di lui su cui riversare la rabbia repressa per il bullismo che subiva dai fratelli; il sesso non aveva importanza.

Ci dev'essere un errore- asserì il maggiore. –Non ci sono femmine in questa famiglia: noi siamo tre fratelli, tutti maschi. Papi und Onkel Franz sono maschi. Opa Hans aveva tre fratelli, Uropa6 addirittura cinque, sempre tutti maschi, und so weiter7.

Cioè... potrebbero aver sbagliato?- esalò Wilhelm, elettrizzato, ignorando i segnali di avvertimento di Hans. –Scambio di culla, che figata! Come in quel film che abbiamo visto la settimana scorsa di nasco...Ops!

Alexander tentò, invano, di riappropriarsi del ruolo di genitore autorevole, che solitamente aborriva: era Serle, poliziotta con un passato da cecchino nell'esercito, a tenere i figli in riga; lui le righe preferiva romperle.

Fingerò di non aver sentito per non rovinare questa giornata, ma aspettatevi una punizione, perché dirò tutto a vostra madre. Quanto a te- puntò un indice accusatore in direzione di Hans –I miei complimenti: far vedere ai tuoi fratelli materiale inadatto alla loro età. Fratello maggiore dell'anno!

Tale padre, tale figlio. Oma mi ha detto che hai fatto vedere a Onkel Franz "Venerdì 13" quando aveva appena l'età di Ernst. Con che faccia mi fai la predica?

Piccato, Alexander ricorse a misure disperate.

Beh... un bravo figlio impara dagli errori del padre.

Io però non sono bravo, sono il Bart Simpson londinese. Du und Mutti non fate che ripeterlo!

La discussione sarebbe andata avanti per chissà quanto, se un grido particolarmente potente del primo fiocco rosa in casa Weil da generazioni non avesse squassato l'aria (e i loro timpani).

Ad Hans, in cerca di sollievo dall'inquinamento acustico, sovvenne un atroce dubbio.

Warum ist sie nicht bei Tante? Offentsichtlich weint sie, weil Mutter vermisst. Papa, sag mir die Wahrheit: wie geht's Tante Faith?8

Alexander emise un lungo sospiro rassegnato, seguito da un lungo silenzio, prima di rispondere.

Du bist du verdammt schlau für dein eigenes Wohl, Hans9. Kinder, eure Tante è ancora in sala operatoria. Perde tanto sangue e devono capire da dove.

Wilhelm si avvinghiò al fratello come un koala all'albero di eucalipto, mentre Ernst, intuendo che qualcosa non andava, pur senza comprendere la gravità della situazione, nascose il viso nell'incavo del collo del padre.

Tranquilli- aggiunse in tono fintamente gioviale, peggiorando senza volerlo la situazione –I bravi dottori di questo ospedale la rimetteranno in sesto!

Calò nuovamente una cortina di silenzio teso, rotta da Wilhelm, che li spiazzò con una domanda devastante nella sua semplicità.

Se Tante Faith muore, la cuginetta viene a casa con noi?Onkel Franz non può farcela da solo!

Approfittando della distrazione di Alexander, tutto preso a balbettare parole di incoraggiamento, Hans lanciò un'occhiata a quella creaturina dal viso rosso violaceo per lo sforzo di sgolarsi a pieni polmoni mentre sua madre lottava per la vita, per poi ringhiare –Oh, um Himmels willen10!- e piombare nella nursery interrompendo la discussione tra due infermiere sull'opportunità o meno di somministrare un blando sedativo alla piccina, che di questo passo avrebbe svegliato tutti gli altri bambini e mandato al manicomio loro.

Con la consueta sfacciataggine schiarì la voce e disse, in tono che non ammetteva repliche –Salve. Il mio nome è Hans Weil, l'urlatrice è mia cugina. Posso prenderla in braccio e provare a calmarla, prima che si consumi le corde vocali? Non vi preoccupate, ho esperienza: sono il maggiore di tre!

Placata, anche con l'aiuto del padre, la pargola, col senno di poi alla disperata ricerca di contatto umano, Hans venne ricompensato dal suo primo sorriso, oltre che dalla consapevolezza di essere stato il primo a prenderla in braccio. Ciliegina sulla torta: non appena si fu calmata, la bimba, che fino a quel momento aveva tenuto le palpebre serrate, rivelò un paio di stupefacenti occhioni dalle iridi chiarissime, eredità di Franz.

Ridacchiando, alzò un pollice in segno di vittoria e urlò, all'indirizzo di Wilhelm –Niente scambi, è una di noi!"

 

***

 

William Wollestonecraft si era sentito spesso additare dal padre come grande regista di film mentali e, a pensarci bene, non poteva dargli torto: nell'istante in cui Frida Weil aveva ceduto alla sua insistenza, accettando un'uscita dopo scuola nonostante fosse - ufficialmente - in punizione, la sua mente era partita per la tangente, perdendosi in fantasticherie, per la maggior parte vietate ai minori, sull'eventuale riuscita dei suoi propositi di conquista.

Non che fosse innamorato, no di certo! Aveva messo in chiaro, rischiando di mandare alle ortiche ogni possibile interesse da parte della Weil, che il sadomasochistico cappio al collo comunemente noto con il nome di amore esulava dalla sua filosofia di vita. Tuttavia, si era arreso da tempo all'ineluttabile attrazione per quella ragazza dalla peculiarità che sfiorava l'astruseria (e a volte vi sconfinava apertamente). Frida sarebbe stata sua, punto e basta; ne andava del suo orgoglio di maschio bianco, etero e cis.

–Hai freddo? Stai tremando!- le chiese, pronto a sacrificare la propria giacca per tenerla al caldo, in un sempreverde atto di cavalleria; ma Frida lo stroncò sul nascere.

–Non sto tremando, sto trepitando. Mein Gott, sono così nervosa!

Annuendo comprensivo, William la prese per mano e rispose –Tranquilla, sono nervoso anch'io; è perfettamente normale.

Frida, contrariamente al previsto, anziché manifestare sollievo, aggrottò le sopracciglia.

–Ne dubito; o meglio, lo spero: sarebbe disturbante se il tuo nervosismo avesse la stessa origine del mio!- esclamò, prima di cogliere la causa del fraintendimento e ridacchiare –Oh, aspetta: tu pensavi fossi nervosa per... questo? Gott bewahre11! Ho imparato a mie spese che crearsi delle aspettative è il modo migliore per rimanere delusi: cercare di non disattenderle genera una tale ansia! Ugh! Non mi serve ulteriore stress nella vita, danke.

William rimase letteralmente a bocca aperta. La Weil, tra colpi di genio con la G maiuscola e uscite a dir poco infelici come quella, si sarebbe resa responsabile della lussazione della sua mandibola, ne era certo.

–Ehm, beh... ecco... come dire... ti ho chiesto di uscire e hai detto sì...

–Sul "chiedere" avrei da opinare, ma va' avanti.

–Grazie tante. Allora, in caso non fosse chiaro, questo è un appuntamento, e in genere si è nervosi - in senso buono, ovviamente - a un appuntamento. Un po' come quando si riceve un premio.

–A parte che Il premio sarebbe la possibilità di palpeggiarmi nella sala buia di un cinema?

La risposta sincera sarebbe stata sì, ma, a giudicare dalla ragazza, era anche la risposta sbagliata. Tuttavia, per mantenersi un minimo coerente alla propria bussola morale, William parafrasò la veirtà.

–A questo punto, mi accontento di guardare il film in pace. Sai che non sono mai stato in sala, prima d'ora?

–Mai?

–Mai.

La ragazza scoppiò a ridere.

–Ok, le cose sono due: o mi prendi in giro, oppure hai mentito sulla tua provenienza e in realtà sei un marziano sotto mentite spoglie!

Stavolta l'australiano dovette poggiare una mano sotto il mento, per impedire che toccasse terra.

–Ti ascolti quando parli, Weil?

Jawohl! È uno dei più grandi piaceri della mia vita!

–Allora devi avere problemi di udito- sibilò sarcastico William (dimostrandosi degno figlio di suo padre), per poi affrettarsi a camuffare la battuta con una serie di colpi di tosse, suscitando la preoccupazione di Frida, la quale insistette a lungo affinché tornasse a casa a curarsi, mettendo a repentaglio i suoi progetti per la serata. Dopo averla tranquillizzata, aggiunse –Per la cronaca: fuori dal vecchio continente lo spopolare dello streaming ha ucciso la maggior parte delle sale. In Australia, fai conto, ne sono rimaste tre: una a Sydney, una a Melbourne e l'altra a Perth; non proprio dietro l'angolo di casa mia.

–Uh, la la!- esclamò Frida, facendo schioccare maliziosamente la lingua come le aveva insegnato Kimberly. –Stai per farti perdere la verginità cinematografica! Rilassati e lascia fare a me; vedrai, ti piacerà!

 

***

 

Entrambi uscirono dalla sala delusi. Frida perchè, per colpa di "quel kantiano del cazzo" - che l'aveva obbligata a sedersi al posto assegnato nonostante fossero letteralmente quattro gatti - aveva rimediato un torcicollo coi fiocchi; William perché, contro ogni sua previsione, aveva dovuto sorbirsi tre ore piene di musica assordante alternata alla recitazione di un Tom Holland talmente fuori parte da meritare un Razzie per ogni minuto sullo schermo, anziché esplorare le grazie della Weil con la pellicola in sottofondo.

Ciononostante, si sforzò di apparire galante fino in fondo, offrendosi di riaccompagnarla a casa, prima che i suoi genitori si accorgessero che aveva violato gli arresti domiciliari. Peccato che lei avesse altri programmi.

–Tornare a casa? Non ci penso nemmeno! Prima che mi chiedessi - o meglio, imponessi - di uscire insieme, avevo già preso un impegno- spiegò con una nota stizzita nella voce. –E un Weil mantiene sempre la parola data. Se proprio non vuoi dichiarare conclusa la serata, e aggiornarmi sugli ultimi sviluppi del caso Carter, ti concedo di venire con me.

Spinto in parte dalla curiosità, in parte dal segreto timore che si vedesse con qualcun altro, William lasciò che lo trascinasse come una mamma col suo pargolo recalcitrante, finché non si rese conto di dove lo aveva portato.

–Si può sapere cosa ci facciamo qui?

–Posso dirti cosa non facciamo qui.

L'ironia della risposta generò in lui un moto d'irritazione. Chiuse le mani a pugno, conficcando le unghie nella carne, inspirò ed espirò lentamente per evitare di pronunciare parole di cui si sarebbe pentito, infine replicò, scandendo ogni sillaba come se si stesse rivolgendo a una bambina di tre anni –Forse è un problema mio perché non sono pazzo, ma di norma non si socializza o discute di omicidi in palestra!

La ragazza, senza scomporsi, replicò –Chi è più pazzo, la pazza o chi l'ha invitata a uscire e credeva che "One step closer" fosse un film sulla break dance?

–Pure in quel caso avrebbe fatto cagare, però almeno i miei timpani non avrebbero subito quel... rumore!

–A parte che a parlare così sembri dein Vater, non ti permetto di criticare una pietra miliare della colonna sonora della mia infanzia!- protestò accoratamente la ragazza. –Ah, für deine Information, parafrasando il mio personaggio maschile preferito in una serie tv: non sono pazza, meine Mutter mi ha fatto controllare.

Non cogliendo la citazione, William sgranò gli occhi e sbuffò –Parliamo della stessa madre che ti assordava con le urla da dannato di quel... Chester, ci vuole ben altro per sorprendermi.

–In difesa meiner Mutter, c'è da dire che non sono mai stata un'epitome di normalità; zum Glück12, ho un certificato medico specialistico da sventolare sotto il naso di chiunque mi dia della pazza che attesta che le mie anomalie, per quanto disarmanti, rientrano nella fisiologia. Ora, se hai finito con le osservazioni inutili, gradirei cambiarmi.

Il malumore di William raggiunse l'acme quando Frida riemerse dallo spogliatoio in tenuta ginnica: canotta e bermuda oversize dall'effetto tutt'altro che sexy, seppure indubbiamente pratici.

"Uffa, Weil! Potevi almeno farmi rifare un po' gli occhi! Una delle poche gioie della palestra è guardare le ragazze che si allenano fasciate in straccetti striminziti, più vedo che non vedo! E dai, su! Sono le basi del vivere civile! Che è 'sta merda?"

Non ebbe tempo di soffermarsi su quei pensieri, però, perché venne sospinto verso un tapis roulant e costretto a una forsennata corsa "di riscaldamento".

"Porco cazzo!", pensò, ansimante e sudato per lo sforzo di tenere il ritmo. "Questo lo chiama riscaldamento? Persino Barry Allen sarebbe in difficoltà!"

Sebbene il suo corpo urlasse pietà da ogni cellula, e l'immagine di un tunnel stesse prendendo forma davanti ai suoi occhi, si sforzò di non cedere: innanzitutto, Frida, in virtù della competitività insita nel DNA dei Weil, sembrava godere di quella sottospecie di gara di resistenza, per cui gettare la spugna avrebbe significato far precipitare sotto zero le sue possibilità di conquista; inoltre, sfigurare avrebbe significato essere da meno di una ragazza, onta altrettanto inaccettabile.

Venne catapultato nuovamente alla realtà dal laconico –Allora, si può sapere cos'hai scoperto?

–Ogni suo desiderio è un ordine, Sherlock!- ansò, tentando di darsi un contegno dignitoso nonostante il bagno di sudore e la sensazione di stare per svenire da un momento all'altro. –Il nome Stephen Rhys-Jones ti dice niente?

La granitica convinzione che la Weil fosse fautrice del moto epicureo "vivi nascosto" si infranse quando dalla sua bocca uscì la frase –Natürlich! Come a chiunque non abbia vissuto sotto una pietra fino a un secondo fa: è il nuovo leader ultra-conservatore dei Tories, subentrato dopo che il più moderato Macmillan è stato stroncato da un ictus. Rimanga tra noi, non avrà il mio voto: pare un ibrido creato in laboratorio fondendo Margaret Thatcher e Boris Johnson!- seguita dallo stizzito –Perchè quella faccia? Le prossime elezioni debutterò come elettrice, è mio diritto-dovere esprimere un voto consapevole!

Faticando a non lasciar trasparire il proprio stupore, William esalò –Tanta diligenza dovrebbe essere illegale. Tornando a noi, grazie alla missione di spionaggio di Kev...

–Ecco, a tal proposito: non sono sicura mi vada bene che usi i miei amici a tuo piacimento.

"Sul serio ti senti in diritto di instillare in me scrupoli morali, Weil? Sul serio?"

–Punto numero uno: sono anche amici miei. Punto numero due: l'ho fatto per un bene superiore. Senza l'aiuto di Kev non avremmo mai scoperto che il suddetto Rhys-Jones è il padre di Faccia da Cavallo, fatto che di per sé, secondo me, è un crimine contro l'umanità...

–Faccia da Cavallo?

–Un tizio gradevole quanto un cactus nelle mutande, con un brutto muso equinoide, che ho avuto la sventura di incontrare al memoriale in onore di Aisling.

–C'ero anch'io, non ricordo nessun "tizio gradevole quanto un cactus nelle mutande", a parte forse Andrew Carter, ma l'ho già depennato dalla lista dei sospettati- obiettò Frida, prontamente messa a tacere dal socio, ansioso di spiattellare il succulento pettegolezzo su Rhys-Jones senior.

–Forse eri troppo impegnata a intrufolarti nella camera della ragazzetta in coma.

–Non è in coma, è locked-in: la coscienza è integra, sono le funzioni motorie a essere venute meno- precisò la Weil, punta sul vivo. –Inoltre, ti ricordo che se non mi fossi intrufolata nella stanza di Aurora, non avrei trovato la chiavetta USB che quasi certamente è la chiave del caso! Adesso vedi di andare al dunque, sto perdendo la pazienza.

Incredulo della faccia tosta della ragazza, William sbottò –Sei stata tu a cominciare! Fosse per me, sapresti già che Stephen Rhys-Jones è amico di famiglia dei Carter e, rullo di tamburi, presunto amante di Aisling!

"Beccati 'sta bomba H!", pensò, gonfiando il torace di aria e autocompiacimento. "Chi è Sherlock, adesso, eh?"

–E così avete cominciato senza di me. Sarò lieto di punirvi interrogandovi sul caso durante una sessione da quindici minuti initerrotti di squat e burpees alternati!

William trasalì, e per poco non perse l'equilibrio. Conosceva fin troppo bene quella voce. Lentamente si voltò, sperando ardentemente che le sue orecchie lo avessero ingannato, ma così non era; di fronte a lui stava Hans Weil, l'intimidatorio cugino di Frida, il quale, in verità, sfoggiava un'espressione per lui inedita.

"Cos'è quella strana curvatura delle labbra?", pensò. "Non starà... sorridendo?"

–Q-quindici minuti?- esalò. –Di burpees? E squat? Senza pause?- "Voi siete matti!" –Ditelo che volete vedermi morto!

Frida rise, credendo stesse scherzando; Hans, invece, che aveva colto la nota affannosa nella sua voce, rispose sogghignando –Non mi permetterei mai! Certe cose al massimo si pensano! Na, Weichtier13, se non te la senti puoi sempre aspettare in panchina.

Sebbene conscio di star firmando la sua probabile condanna a morte, il briciolo di amor proprio non intaccato dal sacro timore nei confronti del secondo Weil più terrificante sul globo (corroborato dallo scherzoso –Vacci piano con lui, mi raccomando, meine Mutter ha già abbastanza lavoro!- di Frida) lo persuase a soprassedere; non avrebbe dato ad alcun Weil la soddisfazione di umiliarlo. Scosse il capo, represse la voce della ragione e asserì di essere perfettamente in grado di tenergli testa, salvo poi stramazzare al suolo dopo due minuti.

Frida, empatica come al solito, fornì assistenza e conforto, insieme ai debiti rimproveri.

–Tieni, un po' d'acqua ti farà bene. Ti gira la testa, hai nausea? No? Gut!Adesso illuminami: sei masochista, o semplicemente stupido?

–Io propendo per la seconda ipotesi- sibilò Hans, guadagnandosi un'occhiata raggelante dalla cugina, che sbraitò –Questa ridicola gara a chi ce l'ha più lungo ha smesso di essere divertente. Nessuno di voi ha alcunché da dimostrare; non a me. Ora, se avete finito di battervi il petto come gorilla di montagna, possiamo allenarci senza rischiare la vita e nel mentre collaborare per risolvere il caso Carter?

Dopo un attimo di esitazione, William tese la mano ad Hans, che lo ignorò, come si fa con le gomme da masticare incollate alla suole delle scarpe. Storse il naso e sibilò, senza mai staccare gli occhi da Frida –Mein gott, du bist so eine Spaßbremse!14- scrollò le spalle e aggiunse, degnando finalmente l'australiano di un po' di attenzione –Niente di personale, Weichtier: torturerei allo stesso modo chiunque si azzardasse a ronzare attorno a Frida!

Frida kann für sich selbst denken!15- ribattè lei, in assetto da combattimento. –Neanche mein Vater si azzarda a mettere becco nella mia vita privata, cosa dà a te il diritto di farlo?

–Sono il maggiore, è naturale che mi preoccupi per voi piccoli.

Ich verstehe, aber du übertreibst16! Hai fatto di tutto per renderci forti e indipendenti - e per questo ti sarò debitrice in eterno - è assurdo che adesso provi a tenerci sotto una campana di vetro. Pensa al Vichingo: ha i tuoi stessi muscoli e il doppio dei centimetri... d'altezza!- specificò, per chetare i risolini di William. –D'altezza, malpensante che non sei altro. Quanto a te, lieber Cousin: cosa devo fare per scrollarmi di dosso la tua iperprotettività, sfidarti a duello? Komm schon!17

Hans eruppe in una risata fragorosa, che attirò su di lui svariati sguardi curiosi.

–Mi arrendo, mi arrendo. Non sono qui per battermi. Non oggi. Avevo bisogno di parlarti e, grazie alla tua recente bravata, allenarci insieme era l'unica scusa plausibile per superare il posto di blocco imposto dagli zii. Hai scelto il momento meno opportuno per farti mettere in punizione, Cousinchen. Non per mettere fretta alla grandezza, ma ho assoluta necessità di chiudere questa sporca faccenda prima possibile: devo stare vicino a Sonja, in questo periodo mangia pochissimo e non sta tanto bene- estrasse un quadrato di carta dalla tasca dei pantaloni e lo porse a Frida. –Vielleicht ist das der Grund18.

La scena che si parò davanti a William fu quantomai spassosa: Frida sgranò gli occhi, spalancò la bocca come un pesce appena pescato e cadde in ginocchio.

Ist das ein Witz19?

Überhaupt nicht20!- esclamò Hans, raggiante, prima di aiutarla a rimettersi in piedi.

William lo fulminò con lo sguardo: nonostante la consanguineità costituisse un punto a sfavore della bruciante gelosia che lo corrodeva internamente, non riusciva a non invidiare il rapporto privilegiato tra i due cugini; se fosse stato lui a tenderle la mano, l'avrebbe rifiutata, poteva scommetterci. In quel frangente, notò qualcosa che finora gli era sfuggito.

–Ehi, credevo che gli sbirri non potessero avere tatuaggi!

–Tecnicamente è vero, ma c'è una ridicola scappatoia: il divieto contempla le parti del corpo costantemente esposte- spiegò l'altro, accarezzandosi l'avambraccio destro, su cui era impressa una scritta in caratteri gotici, circondata dalle fiamme. –Mi basta indossare la divisa a maniche lunghe anche d'estate per essere a posto.

–Maniche lunghe dodici mesi l'anno? Immagino che i tuoi colleghi, per sopravvivere, portino una molletta sul naso da maggio a settembre!- ironizzò William. –Ad ogni modo, mi piace. In generale non amo i tatuaggi; questo qui, però, è veramente figo: "Feuer frei". Cosa significa?

–È il titolo del mio brano preferito dei Rammstein e la pena che, se potessi, ti impartirei in questo preciso istante per la tua impertinenza e ignoranza: fuoco a volontà!- sibilò, dopodiché si rivolse nuovamente a Frida. –Also, bist du bereit, Tante zu werden21?

Non aveva capito una parola, però, a giudicare dalla reazione di Frida, che era corsa via con l'espressione di chi sta ingoiando un limone, doveva trattarsi di una notizia sconvolgente e altrettanto sgradita. Dovette ricredersi quando, raccolta da terra quella che a prima vista gli era parsa una fotografia in bianco e nero, aveva realizzato che in realtà era un'immagine ecografica. Non bisognava conoscere il tedesco, nè essere geni, per fare due più due.

All'australiano balenò il pensiero malevolo che il mondo era funestato da abbastanza Weil senza che il più sgradevole del clan perpetuasse il proprio patrimonio genetico, ma lo respinse quasi subito: era troppo da stronzi persino per suo padre, figurarsi per un kantiano dichiarato come lui!

–Aspetti un bambino? Auguri!

–Tecnicamente, è ancora un embrione- precisò Hans, senza perdere il sorriso a trentadue denti nonostante lo scarso entusiasmo con cui era stata accolta la notizia.

–Beh, auguri ancora. Mi spiace che Frida non l'abbia presa come ti aspettavi.

–Al contrario, l'ha presa esattamente come mi aspettavo. È una primadonna. Ma ci tenevo fosse la prima a saperlo.

Dopo un'attesa apparentemente interminabile, William degnò Hans di un sorrisetto tirato e ridacchiò –Tua cugina è veramente incredibile, sai? È riuscita nell'impresa, che credevo impossibile, di farmi parteggiare per te: nemmeno tu meriti un simile trattamento!- e si propose di andare a recuperarla e dirgliene quattro, ma in quel preciso istante la lupa in fabula ricomparve, ancora visibilmente sconvolta e con gli occhi arrossati. Stupendoli entrambi, si avvicinò al cugino, che stritolò in un abbraccio affettuoso, e disse –Ho riflettuto sul mio comportamento, e sono giunta alla conclusione che mi sono comportata da immatura egoista. Entschuldigung. Non lo meriti. Tu e Sonja - più Sonja, tu hai fatto il minimo indispensabile - state per portare una nuova vita in questo mondo. Non esiste gioia più grande; devo rallegrarmi per voi e ammirare il vostro coraggio, perché, diciamocelo, questo mondo fa schifo.

"Pazzesco", pensò William, favorevolmente impressionato. "Ci è arrivata tutta da sola! Forse si trasformerà in una bambina vera senza l'intervento della Fata Turchina!"

–Potevi fermarti alla parte sulla gioia, aber vielen Dank, Cousinchen- rispose Hans. –Ci tenevo fossi la prima a saperlo.

A quelle parole, Frida tornò ad illuminarsi.

–Lo hai detto a me prima che agli zii? Prima che a Ernst e il Vichingo?- Hans annuì e lei emise uno squittio deliziato, serrando la morsa in cui lo aveva avvinto. Forse un giorno il nascituro l'avrebbe scalzata dal seggio d'onore nel cuore del suo cugino prediletto, ma non era quello il giorno; e, comunque, poteva tollerare di dividerlo con suo nipote.

L'idillio venne interrotto dal fastidioso tossicchiare di qualcuno alla disperata ricerca della loro attenzione, qualcuno che, non contento, tra le risate dei suoi amici arpionò i due cugini per le spalle e, incurante dei loro uggiolati, ringhiò –Ihr habt genug trainiert. Verschwindet sofort aus meinen Augen!22

 

***

 

–Un vero peccato che tuo padre e i suoi amici ci abbiano interrotti prima che Hans potesse elogiarmi a dovere per le mie scoperte. Le lodi di un professionista fanno sempre piacere- ansò William mentre scendeva a velocità da record, considerati i crampi che gli tormentavano le gambe, le scale mobili della metropolitana per non perdere la corsa.

Avanti a lui, Frida, altrettanto smaniosa di prendere il treno, rispose –Na ja, un vero peccato non aver dato meinem Vater l'ennesimo motivo per starmi col fiato sul collo! Ti ascolti quando parli?

–Sì. È uno dei più grandi piaceri della mia vita!- la scimmiottò lui, guadagnandosi un'occhiataccia e il seccato –Dì piuttosto che non vedevi l'ora di pavoneggiarti per aver risolto il caso. La gravidanza di Sonja ci ha fornito il pretesto perfetto per giustificare il nostro incontro, ma dobbiamo tenere un basso profilo. Nulla - ripeto, nulla - deve mettere in allarme meine Eltern, o è la volta buona che mi spediscono in una scuola militare, e non posso assolutamente permettermelo, soprattutto ora che siamo a un passo dalla soluzione.

–Basso profilo. Ricevuto! Ad ogni modo, ammettilo che ho fatto un bel lavoro!- esclamò William con tronfio autocompiacimento. –Avanti, su ammettilo. A meno che non preferisca parlare della tua reazione da psicopatica alla lieta novella che diventerai ZIA Frida.

Contrariamente al previsto, Frida, anziché inondarlo di (secondo lui debiti) complimenti e ringraziamenti per il prezioso contributo al caso, dapprima rimase impassibile, poi si accigliò, contrariata.

–Ingoierei delle lame, piuttosto; e vale sia per la chiacchierata a cuore aperto sui miei sentimenti ambivalenti verso la futura paternità di Hans, sia per i complimenti che non meriti. Liam, possiedi una mente brillante e un'invidiabile empatica, ma finora non hai fatto altro che provare a gettarmi fumo negli occhi, nè più nè meno degli indizi disseminati ad arte dalla Christie in "Assassinio sull'Orient Express"! Se non fosse un colpo di scena degno della peggiore telenovela sudamericana, penserei che sei in combutta mit meiner Mutter und Tante, che sperano fallisca per salvarsi le natiche e mettermi al mio posto.

"Stai rendendo veramente difficile dar loro torto, Weil, credimi!"

–Oi, senti, non dico il tappeto rosso, ma almeno un grazie me lo merito, cazzo! O un'amichevole pacca sulla schiena! Ho risolto il caso!

Frida replicò, per recuperare le redini dell'indagine (ne andava della sua professionalità... e dignità) –Ti ho paragonato ad Agatha Christie, dovresti essere lusingato. E poi non hai risolto un bel niente! Prima di cantare vittoria, ti sei fermato un attimo a controllare moventi e alibi?

Incapace di pensare a una risposta che non prevedesse insulti più o meno velati e/o turpiloquio, si morse la lingua e con un balzo seguì Frida nel vagone della metropolitana un secondo prima che le porte si chiudessero, quindi ribatté a tono.

–Il movente è identico: la presunta relazione tra Aisling e Rhys-Jones senior. Potrebbe aver agito lui in prima persona, oppure Faccia da Cavallo per non far sporcare le mani a papino. Si può non condividere il metodo, però umanamente non gli si può dare torto. Se mio padre rischiasse di non diventare Primo Ministro per una tresca che forse è pure falsa, mi incazzerei di brutto.

–Se così fosse, questo Faccia da Cavallo sarebbe un Dummkopf da competizione: solamente un decerebrato potrebbe pensare che un omicidio, crimine mediatico per eccellenza, metta a tacere delle voci infamanti, anziché alimentarle.

–Mai sottovalutare la stupidità umana- sentenziò William, seduto a braccia conserte nel vagone della metropolitana, dandosi arie da uomo saggio. –Sfortunatamente, pare che all'ora della morte di Aisling avesse la faccia nella tazza per essersi ubriacato come il povero fesso che è; ma non si può escludere che il suo amico abbia mentito per coprirlo. Avevo pensato di fare qualche domanda in giro al Tipsy Crow, però, dato il casino e il tasso alcolico medio, dubito che qualcuno conservi ricordi risalenti a due mesi fa. Il padre... ecco... beh, non avendolo inizialmente considerato, non ho idea di dove si trovasse quella notte.

–Lascia che ti illumini- celiò Frida con irritante aria di superiorità. –Giusto la sera fatidica l'ibrido Thatcher-Johnson era impegnato a gettare fango sulla candidata laburista in diretta nazionale. Come faccio a ricordarlo? Semplice: che i miei seguano un talk show di politica è un evento di portata eccezionale, al pari dell'avvistamento di un unicorno. E ora, il colpo di grazia alla tua traballante tesi: ammesso e non concesso che l'ibrido Thatcher-Johnson sia privo di alibi, perché vogliamo ammettere possa essersi recato da Aisling dopo la diretta, è plausibile che un politico a un passo dall'apice della carriera si sia preso la briga di introdursi in piena notte in un edificio abitato, rischiando lo sputtanamento e una bella denuncia, per defenestrare una ragazza, che conosceva bene e quindi avrebbe potuto incontrare in segreto in qualunque momento, solo per metterla a tacere definitivamente?

Imbarazzato, William arrossì e pigolò –In questi termini suona come un'idea stupida...

–È stupida persino per i gialli di bassa lega che vendono al supermercato- rincarò Frida. –Avrebbe potuto servirsi del suo ascendente su di lei per persuaderla a tenere la bocca chiusa; in alternativa, avrebbe potuto pagarla, pratica deprecabile, ma che dà decisamente meno nell'occhio dell'omicidio.

Tagliamo la cortina di fumo e concentriamoci sull'effettivo colpevole, Liam. Gli indizi puntano verso la famiglia: Nita Burnett ha dichiarato di aver portato Aisling semi-incosciente a villa Conworthy, dove ha visto Andrew, che a sua volta ha ammesso di esservisi recato per esaudire il desiderio di Aurora di porre fine alle sue sofferenze. Andrew sarà pure stupido, ma Nita non lo è: se avesse avuto qualcosa da nascondere, avrebbe anteposto la propria salvaguardia ai sentimenti per Andrew, mettendolo in cattiva luce; invece lo ha coperto. Quanto a lui, la sua stupidità è di per sè un alibi: avrebbe potuto screditare Nita, asserendo che era sotto l'effetto di droghe come Aisling, o addirittura addossarle la colpa, negando fosse andata via prima di lui, invece ha confessato. Solo un innocente, molto stupido, confesserebbe di essere stato sul luogo di un delitto con l'intenzione di compierne un altro. Alex è ugualmente da escludere: senza mezzi, è praticamente impossibile sia riuscita a sgattaiolare a villa Conworthy, uccidere Aisling e tornare a casa senza incrociare Nita.

–Non è da escludere. Passi Andrew, ma Alex Nita l'avrebbe coperta di sicuro, è sua sorella!

–Può darsi- concesse Frida, prima di scivolare in un pensoso silenzio, scandito dal picchiettare dell'indice contro le labbra serrate. Quando ebbe terminato le sue elucubrazioni, continuò a smontare le teorie del socio pezzo per pezzo. –Oh, cosa vado blaterando? Se Nita si fosse imbattuta in Alex, quella notte, ce l'avrebbe detto, o quantomeno lo avrebbe detto ad Andrew. Non era a conoscenza della relazione tra la sua sorellina e la sua amica; quindi, qualora avesse visto Alex aggirarsi da sola di notte, si sarebbe preoccupata per la sua incolumità, non per procurarle un alibi!Infine, Alex amava Aisiling, al punto da essere diventata il clone di sua sorella, pur di compiacerla; difficilmente le avrebbe fatto del male. Dei Rhys-Jones abbiamo già parlato, non mi ripeterò.

–Resta la nonnina. Io punto il dito contro di lei: come insegna Occam, la soluzione più ovvia è, salvo rare eccezioni, quella giusta. La vecchia si è liberata di una nipote problematica ed è finita schiacciata dai sensi di colpa. Può succedere: non è da tutti reggere il peso morale di un omicidio.

–Come puoi berti la storiella del suicidio per senso di colpa? Ha detto ad Andrew, al telefono, che era sicura di aver già preso la sua insulina. Quale aspirante suicida lo farebbe? Senza contare il movente: se bastasse un nipote problematico a indurre tutti i nonni del mondo all'omicidio, avremmo in un colpo solo risolto il problema della sovrappopolazione e decuplicato la popolazione carceraria! No. Per citare l'incommensurabile Holmes: una volta rimosso l'impossibile, quel che resta, per quanto improbabile, dev'essere la verità; e, in questo caso talmente intricato in apparenza da risultare quasi banale, una volta rimosso l'impossibile, resta un solo colpevole, per quanto improbabile.

William scosse il capo e sbuffò, sprezzante –Chi, il nonno? Ti prego! Perfino io sarei un colpevole più credibile! Spiacente, resto arroccato sulla mia posizione: è stata la nonna!

Frida gli scoccò un'occhiata glaciale, degna di Franz, ma riacquistò il suo tipico irritante sorrisetto di superiorità in un nanosecondo quando ricevette un messaggio.

–Chi ti scrive, il tuo adorato Hans o il tuo innamorato Aidan?- sputò l'australiano, incapace di nascondere il livore.

–È Ernst, du eifersüchtiger Arschloch23. Ha decriptato la USB di Aisling. Presto sapremo chi ha ragione (io)!

 

 

Note dell'autrice

Il cerchio sta per chiudersi e, vi avverto, dal prossimo capitolo scatta il toto-morto!

Ebbene sì, non tutti i personaggi vivranno abbastanza a lungo da comparire nel sequel (che prima o poi vedrà la luce, promesso; ormai mi conoscete: anche se a velocità di lumaca, non manco di pubblicare). Si accettano pronostici! ;-)

Intanto, Frida avrà fatto centro? È davvero il nonno il colpevole? Per scoprirlo, non vi resta che aspettare il prossimo capitolo!

Bis bald!

Serpentina

PS:provate a immaginare una Frida bambina che si scatena pogando insieme a mamma Faith e i suoi cugini. Quanto è adorabile, da uno a dieci?

 

1Meravigliosa

2Naturalmente! Oh, sono così felice! E altrettanto nervoso

3Pulcino

4Hai ragione

5–Che c'è?

Il bambino è nato!

Figo! Quando posso vederlo?

Anche adesso, se vuoi. Un momento: dov'è Wilhelm?Hai dimenticato che dovevi badare anche a lui?

6Bisnonno

7E così via

8Perché non è con la zia? È chiaro che piange perché gli manca la mamma. Papà, dimmi la verità: come sta zia Faith?

9Sei troppo dannatamente intelligente per il tuo bene, Hans.

10Oh, per l'amor del cielo!

11Dio ci scampi!

12Fortunatamente

13Mollusco

14Dio, sei proprio una guastafeste!

15Frida sa pensare con la sua testa

16Ho capito, ma così esageri!

17Fatti sotto!

18Forse è questo il motivo

19E' uno scherzo?

20Assolutamente no!

21Allora, pronta a diventare zia?

22Vi siete allenati a sufficienza. Sparite immediatamente dalla mia vista!

23Idiota geloso

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** L'ora della verità ***


 

Bentrovati!

Non mi scuserò della lunga attesa per questo capitolo. Non ha più senso, ormai avete capito che ho un lavoro complicato, poco tempo libero e un’ispirazione altalenante, combinazione letale per scrivere in maniera produttiva; ma ho anche una forte determinazione (testa di granito, direbbe mia madre), per cui state certi che, una volta cominciata una storia, la porto a termine.

Medaglia d’oro per la pazienza e un mare di grazie a tutti voi: ai lettori silenziosi, a chi ha inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite, e naturalmente a chi dà un feedback recensendo. Vorrei abbracciarvi uno ad uno!

Ultimissima nota: consiglio caldamente di ascoltare "Rasputin" dei Boney M per conciliare la lettura. Fidatevi! ;-)

 

L’ora della verità

 

Non troverai mai la verità, se non accetti sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi di trovare”.

Eraclito
 

Ernst Weil non poteva credere che, per una volta, la fortuna gli avesse arriso: da quando aveva rischiato - ed evitato per il rotto della cuffia (alias, grazie all’intervento di mamma Serle, ispettore di polizia) - una condanna esemplare per crimini informatici, era diventato sorvegliato speciale da parte del parentame al completo: tutti, in varia misura, accampando motivazioni valide o scuse di vario grado di improbabilità, si adoperavano per tenerlo d’occhio. Aveva quindi del miracoloso la fortuita quanto fortunata coincidenza di eventi che lo aveva portato, in quella piovosa sera londinese, a restare a casa da solo.

Endlich allein. Kein vater, keine Mutter, keine Brüder… wunderbar1!- esclamò, allargando le braccia, assaporando appieno la libertà.

Quasi gli dispiacque di udire il trillo del campanello, ma non poteva fingere di non essere in casa, né tantomeno incolpare la sfiga o qualche altro capro espiatorio: era stato un debole, incapace di puntare i piedi e dire di no a Frida quando si era autoinvitata a casa degli zii per sviscerare insieme al suo hacker di fiducia i segreti contenuti nel diario (in formato digitale) della defunta Aisling Carter, che la Sherlock in gonnella riteneva essere stata assassinata.

Ich komme2!- urlò, mentre correva ad aprire. La sua espressione mutò radicalmente nel trovarsi davanti, al posto di Frida, Emma James, la sua ragazza da quattordici mesi (sì, li aveva contati). –Ah. Sei tu- aggiunse, senza neanche provare a camuffare la delusione.

Il risultato fu che Emma passò dall’entusiasmo alla rabbia nel giro di un millisecondo.

–Suona un po’ più funereo, sia mai che qualcuno possa pensare sia felice di vedere la tua ragazza!

Conscio di rischiare l’evirazione o, peggio, il ritorno allo status di single, Ernst prese a giocherellare nervosamente con la ciocca bionda sulla nuca, si schiarì la voce e ammise di essere sorpreso di vederla.

–Non ti aspettavo, ecco tutto.

–Però aspetti qualcuno, te lo leggo negli occhi- osservò Emma, fulminandolo con lo sguardo. –È una ragazza, non è vero?

–Beh, sì- rispose lui, affrettandosi però a precisare che la ragazza in questione era sua cugina Frida. –Le ho scritto di aver finalmente decriptato quella merdosa USB e si è autoinvitata qui.

Le speranze di aver placato definitivamente la sua battagliera (e gelosissima) metà svanirono al vederla contorcere i lineamenti in una smorfia di disappunto.

–Non posso crederci! Anzi, no, non voglio crederci!- sbraitò. –Ti lamenti di continuo del lavoro sporco che ti appioppa tua cugina, ma poi finisci sempre per accontentarla! Perché non la mandi a cagare, una volta tanto?

Ernst emise un lungo sospiro, che valeva più di mille parole. Era vero, quando si trattava di esigere i suoi servigi di esperto informatico, Frida lo trattava da schiavetto, però era pur sempre sua cugina, la cuginetta che aveva sostenuto nei suoi primi passi e nelle prime pedalate in bicicletta, la cuginetta che gli aveva insegnato a leggere e scrivere senza fargli pesare di essere riuscita ad acquisire quelle abilità prima di lui, pur essendo più piccola di due anni; era una Weil, sangue del suo sangue, e per i Weil la famiglia era tutto (altrimenti avrebbe già mandato a cagare da un pezzo suo fratello Wilhelm), senza contare che, nonostante i metodi poco ortodossi - per non dire questionabili, o addirittura ai limiti della legalità - le attività investigative di Frida avevano dato i loro frutti, assicurando alla giustizia parecchi criminali, e aver contribuito a ciò, nel suo piccolo, lo faceva sentire in pace con la coscienza.

Tuttavia, non ritenne saggio condividere quei sentimenti con la sua ragazza. Decise, perciò, di deviare la conversazione su altri argomenti.

–Lasciamo perdere. Comunque, Liebes3, senza offesa, come hai potuto anche solo pensare che abbia un’altra? È già fantasmagorico che tu ti sia innamorata di me; non c’è esattamente un codazzo di fan fuori dalla mia porta.

–Per forza- replicò Emma tra il serio e il faceto, scostandolo di lato per entrare. –Le ho fatte fuori tutte! Giuro, a volte vorrei cavarmi gli occhi e ficcarteli nelle orbite, così potresti vederti come ti vedo io e cominciare ad apprezzarti di più. Per l’amor del cielo, smettila di sminuirti!

–Non posso- scherzò Ernst –Devo compensare per quei palloni gonfiati dei miei fratelli.

–Sarai sempre il mio Weil preferito, ricordalo.

Emma lo baciò teneramente sulla guancia, prima di andare a razziare la dispensa in cerca di stuzzichini. Riemerse dalla cucina con una ciotola e un pacco formato famiglia allargata di pop-corn, che prese a ingurgitare allegramente, mollemente semisdraiata sul divano.

Ernst scosse il capo, e dopo aver provato, invano, a convincerla ad unirsi a lui in una sfida all’ultimo passo a “Ultimate Dance Revolution” - in breve, UDR - riprese il gioco da dove lo aveva interrotto.

–Preferisco osservarti- biascicò Emma a bocca piena. –Da qui godo di un gran bel panorama del tuo culo!

Lusingato, Ernst arrossì e le soffiò un bacio. Non era avvezzo a ricevere complimenti sul fisico: era il fratello intelligente - non ai livelli di Frida, ma comunque abbastanza da aiutarla nelle indagini - lo era sempre stato; Wilhelm era quello bello e Hans quello forzuto.

–Che soltanto tu puoi vedere e toccare!

–Esatto!

Le loro risate si fusero nell’aria, poi calò il silenzio. Si scambiarono un’occhiata d’intesa, consapevoli che le loro menti erano attraversate dal medesimo pensiero.

–Beh, potremmo approfittare della casa tutta per noi- suggerì Ernst, ma la proposta - indecente -venne troncata dall’insistente bussare alla porta. –Scheiβe! Den bring ich um4!

–Il tempismo di tua cugina non finisce mai di stupirmi- commentò Emma con malcelata frustrazione.

–Non è Frida- asserì Ernst, precipitandosi ad aprire, tallonato dalla ragazza, che stava morendo di curiosità. –Conosco una sola persona che bussa alla porta come un barbaro, invece di suonare il campanello, ed è… Wilhelm? Sei davvero tu?- chiese, anziché affermare, perché il giovane uomo biondo sulla soglia somigliava in tutto e per tutto a suo fratello maggiore, eccetto un o dei suoi tratti caratteristici. –Mein Gott! Cos’hai combinato ai capelli?

–Ai capelli?- lo rimbeccò Emma, altrettanto sconcertata. –Cos’ha combinato alla faccia!

Si sollevò sulle punte dei piedi per arrivare a sfiorargli il taglio ancora vermiglio sulla guancia sinistra, messo in risalto dal contrasto cromatico con la cute pallida. Wilhelm si tirò indietro e storse il naso, non era chiaro se per il fastidio della ferita ancora fresca, oppure per l’imbarazzo delle circostanze in cui se l’era procurata.

Conoscendolo, Ernst propendette per la seconda ipotesi: suo fratello era un giovane uomo vanitoso e talmente orgoglioso che, per citare Frida, “persino il suo orgoglio aveva dell’orgoglio”. Si prospettava una lunga lamentazione sul suo volto da statua greca irrimediabilmente deturpato. Il solo pensiero gli fece contorcere lo stomaco.

–È qui il club degli odiatori di Hans Weil?- chiese, facendosi strada nell’appartamento senza attendere una risposta.

–Dipende- replicò allora il fratello –Si può chiamare club, se conta un solo membro?- sorrise sornione. –Suvvia, non fare quella faccia: non è colpa mia se sei l’unico qui ad avere un rapporto conflittuale con Hans! Detesti che non ti dia l’attenzione - e approvazione - che senti di meritare.

–Sono venuto da te in cerca di conforto, non dileggio- ribatté imbronciato Wilhelm, alquanto carente sul fronte dell’autoironia. –Anche io sono tuo fratello, anche io ho diritto ad almeno un briciolo del tuo affetto. Altrimenti tanto vale che me ne vada.

–Ecco, bravo, vatt…

–E va bene, provo a fare il serio- disse Ernst, chiudendosi la porta alle spalle. –Ma non garantisco. Ora togliti quell’obbrobrio di dosso e sfogati con il tuo fratellino!

 

***

 

Also, da dove comincio?

–Io di solito comincio dall’inizio, poi fa’ un po’ tu- sbuffò scherzosamente Ernst, teso e concentrato nell’impresa di tenere testa a Wilhelm in una delle coreografie più difficili di UDR; impresa non da poco, dato che, insieme al tennis virtuale, quella era la sua unica fonte di esercizio fisico. A differenza dei fratelli e della cugina, non era uno sportivo.

–Ah, ah, muoio dal ridere!- si inalberò Wilhelm. –Ti sto odiando profondamente, sappilo!

Onkel Franz odierebbe profondamente te, se sapesse che ti sei appropriato della sua frase iconica!- ribatté Ernst.

Emma, seduta sul divano, trangugiò una manciata di pop corn, attenta a non perdere neppure una sillaba della battaglia verbale, che nulla aveva da invidiare a quella di ballo. A prescindere dal campo, la competitività dei Weil sfiorava vette ignote ai comuni mortali.

–Sì, beh, Onkel Franz può andare a quel paese! Potete andarci tutti!

Mein Gott!- ansimò Ernst, a corto di fiato, maledicendosi per non aver scelto un brano meno acrobatico. –Non dirmi che stai facendo i capricci perché Hans ha chiesto a Onkel Franz, invece che a uno di noi due, di fargli da testimone di nozze!

Was?- barrì Wilhelm, scoprendo i denti come un predatore pronto a balzare all’attacco.

–Ops!

Pervaso da una rabbia cieca, rovente e travolgente come una colata di lava, ordinò ad Emma di mettere in pausa il gioco, artigliò la spalla destra del fratello con una presa salda ai limiti del doloroso e sibilò –Ah, è così che stanno le cose? Per lui valgo meno di zero? Sehr gut5!

Bitte, Wilhelm, cresci un po’! Hans ha disdegnato anche me come testimone, eppure non perdo tempo a frignare!

Vielen Dank, Bruder6. Solo per questo, tu e quell’altro Scheiβkerl7 meritate lo spoiler più crudele mai esistito. Negherò a te la felicità di saperlo direttamente da Hans, e a lui la soddisfazione di vedere la sorpresa e la gioia nei tuoi occhi alla notizia che Sonja aspetta un bambino!

Dietro di loro si udì un urletto garrulo, seguito da spasmodici colpi di tosse: Emma stava rischiando di strozzarsi con un pop corn che aveva preso la via per la trachea, anziché quella per l’esofago.

Sebbene fosse Wilhelm il più simile nell’aspetto al principe azzurro delle fiabe, fu Ernst ad accorrere in soccorso della damigella in pericolo. Una volta salvata l’amata - la quale diede prova di aver imparato la lezione ricominciando subito a mangiare i pochi pop corn superstiti - riportò lo sguardo e l’attenzione sul fratello, seriamente tentato di dargli un pugno.

Sonja ist schwanger8?- chiese, tentando di mantenere la calma, sebbene l’uso del tedesco fosse indice che la stava perdendo, la calma. –E me lo dici così, come se parlassi del meteo? Questo è veramente lo spoiler più crudele mai esistito! Du bist so ein Arschloch9! Ci scommetto le palle, i miei potenziali figli, che la tua è tutta invidia: Hans si sta creando una bella famiglia, io ho Emma, e sei rimasto solamente tu, “il fratello bello” del trio, solo come un cane! Qualunque sia il modo in cui ti sei “sfigurato”, te lo sei meritato!

–Ah, sì?- ringhiò Wilhelm. –E se ti dicessi che è colpa di Hans se sono ridotto così?

–Cioè, ti ha ferito lui stesso, col suo coltello?

–No, ma è come se lo avesse fatto. Sta’ un po’ a sentire…

 

***

 

Non lo avrebbe mai ammesso, probabilmente nemmeno se ne fosse andato della sua vita: il coach aveva ragione, aveva ripreso ad allenarsi troppo presto e troppo duramente, per qualcuno appena uscito dalla riabilitazione. Il ginocchio infortunato, che gli era costato il primo posto agli scorsi campionati europei, aveva minacciato di cedere un paio di volte, obbligandolo a sforzare il doppio l’altro sano, col risultato che, sebbene non si fosse trovato a fronteggiare qualcuno alla sua altezza, l'ultima sfida lo aveva messo a dura prova. Juliet, la sua avversaria, si era rivelata più coriacea di quanto pensasse, e solo la forza della disperazione di non perdere la faccia facendosi sconfiggere da una ragazza gli aveva permesso di trionfare. 

Tolse la maschera, sudato e affamato d'aria, piegò indietro la testa e inspirò a pieni polmoni, facendo oscillare in maniera studiatamente naturale la treccia di capelli dorati, lunga fin quasi al fondoschiena. La liscia chioma dorata, che non avrebbe sfigurato in una pubblicità di shampoo o balsamo - e che da piccolo gli era valsa innumerevoli momenti di imbarazzo perché gli estranei lo prendevano per una femmina - era diventata il suo principale vanto, il suo tratto distintivo, assieme alla barba, anch’essa acconciata in due treccine alla maniera di Jack Sparrow.

Quanto gli sarebbe piaciuto essere immortalato in quel preciso istante: il ritratto di un campione.

Tronfio della superbia del vincitore, lasciò all'allenatore l'onere di aiutare l'avversaria sconfitta a rialzarsi, agitò la spada con fare sprezzante e sbuffò –Avanti il prossimo!

Dovresti evitare gli sforzi eccessivi, Wilhelm.

Non definirei sforzo la performance di poco fa, coach. Sono pronto a combattere contro un vero avversario! 

Anche adesso?- chiese un ragazzo, la cui voce venne distorta dalla maschera protettiva che non si era degnato di togliere. Uscì dalla penombra, avanzando verso di lui con andatura sicura, quasi tracotante, piazzandosi in piedi alla sinistra del coach. 

-Wilhelm- disse quest'ultimo, sentendosi in dovere di procedere con le dovute presentazioni. -Lui è Kenneth Rhys-Jones, nuovo acquisto della palestra. Rhys, ti presento... 

So chi è, grazie tante- lo interruppe Kenny. -Il Vichingo non ha bisogno di presentazioni. La sua fama lo precede. Fama meritata, tra l'altro, da quanto ho potuto osservare. 

Vielen Dank- lo ringraziò Wilhelm.

Che ne dici, Vichingo?- lo incalzò Kenny, senza dargli modo di ponderare la decisione (non che un uomo d'azione come Wilhelm "il Vichingo" Weil fosse solito ponderare alcunché). –Te la senti di vedertela con me, o hai paura che il tuo povero ginocchio possa tradirti? Ho notato che è ancora un po’ traballante.

Ti faccio traballare io, ibrido umano-equino!”

E sia!- acconsentì Wilhelm, infastidito dalla sfrontatezza di quel pivello, che era sicuro non costituisse una minaccia. –Ma prima levati quel sospensorio bicolore dalla faccia. Mi piace guardare i miei avversari negli occhi, prima di far mangiare loro la polvere. 

L’altro piegò leggermente il capo in un cenno di assenso e sfilò la maschera, rivolgendogli un sorriso che, deformato dalla luce che filtrata attraverso le tende sottili color panna, somigliava di più a un ghigno. 

Wilhelm storse il naso: quel ragazzino con la faccia allungata da equino si illudeva di poterlo battere? Se con la sua faccia tosta non gli avesse mancato di rispetto, avrebbe provato pena per lui. Rinfilò la maschera e disse, senza attendere il via del coach –Che vinca il migliore- “Cioè io” – En garde!

Fu costretto a ricredersi: il ragazzino con la faccia da cavallo se la cavava fin troppo bene, per i suoi gusti; si muoveva con la scaltrezza del serpente, e alternando rapide stoccate ad altrettanto rapide ritirate realizzò una situazione di parità.

Per il punto decisivo alzò la posta spogliandosi della parte superiore della divisa, invitando Wilhelm a fare altrettanto.

Che ne dici, Vichingo? Rendiamo le cose interessanti?

Ignorando una seconda volta la voce della ragione, Wilhelm accondiscese alla richiesta: gettò via con malagrazia gli indumenti non necessari e disse, prima di lanciarsi all’attacco –E sia. Diamo al pubblico qualcosa a cui pensare mentre sono sotto la doccia!

Stavolta non commise l’errore di sottovalutare l’avversario, riuscendo a metterlo alle strette, ma venne distratto dal tifo entusiasta di Hans, il quale, purtroppo, scelse proprio quel momento per annunciare la lieta novella della gravidanza di Sonja.

Sopraffatto dalla portata della notizia, Wilhelm rimase immobile come uno stoccafisso, esibendo la medesima espressione “intelligente”, sordo e cieco al mondo circostante, e si accorse di aver perso solamente quando avvertì qualcosa di caldo e umidiccio colargli lungo la guancia sinistra; il luccichio di irritante autocompiacimento negli occhi dell’equino umanoide gli diede conferma della desolante realtà: era stato battuto da un ragazzino, e tutto per colpa di Hans.

Scheiβe! Non poteva sbattermi in faccia la sua felicità in un momento meno inopportuno?”

Ciliegina sulla torta di sterco (di quokka, per aggiungere un tocco esotico), mentre il novellino si allontanava con la spada in resta, Hans gli scoccò un’occhiata di apprezzamento, di quelle che lui aveva sempre agognato, invano, ricevere.

Das ist ein Junge, den ich neben Frida gut sehen würde10!- sentenziò.

Fu in quell’istante che Wilhelm si sentì veramente sconfitto: nonostante gli sforzi profusi, Hans non lo degnava, né probabilmente lo avrebbe mai degnato, dell’approvazione che sentiva di meritare; chiunque era più meritevole di lui. Ricolmo di frustrazione, sputò malevolo –Chi, il gemello separato alla nascita di Alex DeLarge?

Mi piace, ha carattere.

Ha un carattere di merda, c’è differenza.

Sempre meglio del Weichtier11 australiano con cui esce!”

 

***


–Come immaginavo: sei rimasto il bambino viziato di sempre, che addossa agli altri i propri errori, solo barbuto!- commentò Ernst. –Certo, Hans avrebbe potuto pensarci due volte, prima di sganciare la bomba K (per Kind), però non puoi ritenerlo responsabile per la tua sconfitta, conseguenza della tua - sottolineo, tua - reazione esagerata! Inoltre, lasciatelo dire: un fallimento ogni tanto è positivo, serve a ricordarci che nella vita si può, e deve, sempre tendere al miglioramento, ma non tutto è in nostro potere. Comunque, non hai ancora spiegato come e perché è stata recisa di netto la tua splendida chioma da Raperonzolo.

Il trillo del campanello gli impedì di ottenere una risposta. Roso dalla curiosità, andò ad aprire sbraitando –Se pure stavolta non è Frida, ammazzo qualcuno, giuro su Dio!

Per fortuna, era Frida, in compagnia del suo fido socio, William. Entrarono in casa senza attendere un invito, scoprendo, con sommo disappunto, di non essere soli. Il disappunto, tuttavia, lasciò subito il posto allo stupore.

–Tu devi essere il cugino mio omonimo- disse William, tendendogli la mano con un sorriso a trentadue denti forzatissimo. –Adesso capisco perché ti chiamano “Vichingo”!

Mein Gott, Wilhelm!- esclamò Frida, fissandolo con tanto d’occhi. –Cos’hai combinato ai capelli?

–Ai capelli?- replicò William. –Cos’ha combinato alla faccia, piuttosto!

–Sulla faccia vi ragguaglio dopo- rispose Ernst, autonominatosi moderatore della conversazione. –Riguardo ai capelli, ne so quanto voi. Spero in un resoconto altrettanto succulento!

Wilhelm, dal canto suo, arricciò il naso, per poi sospirare, rassegnato –Non mi darete tregua fino a quando la mia umiliazione non sarà completa, vero? E sia! I capelli me li ha tagliati Hans con un colpo di spada. Ha acconsentito dopo che l’ho minacciato di tagliarli io stesso, a rischio della vita.

William, allibito da una tale assurdità, avrebbe voluto levare gli occhi al soffitto e chiedere, in tono drammatico, perché; invece, l’interrogativo che gli uscì di bocca fu –Tu hai una spada? Una spada vera?

–Oltre a quella nei pantaloni, intendi?- ironizzò Ernst, per poi sghignazzare insieme a Emma e Wilhelm. Perfino la puritana Frida - con suo massimo orrore - ridacchiò sommessamente, salvo tornare seria non appena si accorse di essere osservata.

–Wilhelm è uno schermidore, pure bravo: ha sfiorato il titolo di campione europeo!- celiò con evidente orgoglio.

–Santo cielo! Esiste qualcuno nella vostra famiglia che non sia un maniaco delle armi?- sbottò l’australiano. Più li conosceva, più si avvalorava la convinzione che i Weil erano tutti pazzi pericolosi; la risposta di Frida non contribuì a fargli mutare opinione.

–Uhm… no. Persino il pacifico Ernst sa usare il coltello, all’occorrenza!- l’interessato strizzò l’occhio nella sua direzione con fare poco rassicurante. –Discendiamo da un’ingloriosa stirpe di tagliagole e mercenari; volendo dar credito alla teoria della memoria genica - che personalmente reputo un cumulo di scemenze - la sete di sangue è impressa indelebilmente nel nostro DNA. Chiusa questa parentesi - che suppongo ti toglierà il sonno, dovessimo mai dormire insieme – è il mio turno di tartassare den Wichinger12 con domande stupide: per quale astrusa ragione ti sei tagliato i capelli, Wilhelm?

–Dopo la sonora sconfitta, che Ernst vi racconterà nei minimi particolari e mi segnerà a vita, non ero più degno della treccia vichinga- rispose, dopodiché, squadrando il suo omonimo da capo a piedi con occhio critico, rilanciò con un’ulteriore domanda –Questo putto ficcanaso vestito dall’Esercito della Salvezza sarebbe il Weichtier australiano che ti scopi, Cousinchen? Vorrei poter affermare il contrario, per il gusto di contestare Hans, ma… Mein Gott! credevo avessi ereditato il buon gusto di Tante Faith, invece…

–Invece?- sibilò Frida, avvicinandosi pericolosamente in assetto da combattimento. –Concludi la frase, se ne hai il coraggio! Und, für deine Information13, io non sco… vado a letto con nessuno.

–Al momento, ma conto di prenderla per sfinimento- si affrettò a precisare William in difesa della sua virilità, col risultato di essere trafitto da parte a parte da due identici sguardi omicidi, talmente aguzzi da provocargli fitte di dolore fisico. Era facile dimenticare che Ernst, il sorridente, simpatico e alla mano Ernst, condivideva il patrimonio genetico con Hans il terribile (secondo solo a Franz nella classifica dei membri più intimidatori del clan Weil). In preda a un mortale imbarazzo, balbettò –Sì, beh, basta cincischiare: abbiamo un crimine da risolvere! È l’ora della verità!

 

***


 

Aldous Huxley sosteneva che conoscere la verità rende folli. Dopo aver ascoltato dalla viva (si fa per dire) voce di Aisling Carter gli orrori che ne avevano decretato la morte, Frida non poté non concordare. Nemmeno la conferma definitiva di essere stata, per tutto quel tempo, dalla parte della ragione era riuscita a scalfire il senso di disgusto per gli abissi in cui riusciva a sprofondare l’umanità. Nonostante l’esperienza accumulata negli anni, il bandolo della matassa del caso Carter era difficile da metabolizzare: Aisling era stata l’ultima di una stirpe di povere creature, vittima per tutta la sua tormentata vita, fino alla dipartita. Per la prima volta nella sua “carriera” investigativa, si pose l’interrogativo se Aisling fosse morta in pace, sebbene sapesse, nel profondo del cuore, che ciò era impossibile: non ci si poteva congedare serenamente da questa vita dopo l’amara scoperta di essersi immolati invano per proteggere una persona cara.

Du wirst die Gerechtigkeit bekommen, die du verdienst, es ist ein Versprechen!14”.

Si voltò verso William, sollevata nel constatare che appariva turbato almeno quanto lei. Ernst si era allontanato, asserendo di aver bisogno del bagno (per rimettere l’anima, sospettava).

In mancanza di considerazioni brillanti, o quantomeno intelligenti, ruppe il silenzio con un’ovvietà.

–Andrew va informato.

–Anche Alex- aggiunse William.

–Cosa c’entra Alex?

–La amava, le ha dedicato tutta se stessa. Merita di sapere.

–Hai colpito il mio punto debole: non riesco a restare impassibile di fronte alle storie d’amore. E va bene- concesse Frida. –Tu chiama Alex, io Andrew. Dille di raggiungerci qui.

William scosse il capo e, pur intuendo di conoscere la risposta, domandò –Perché?

–Cosa posso dire?- replicò Frida con noncuranza e una scrollata di spalle. –Vado pazza per gli epiloghi “alla Poirot”: un ingegno del mio calibro merita di venire sfoggiato alla presenza di un pubblico più ampio possibile!

Contattare Alex fu un gioco da ragazzi, a differenza di Andrew, che si era reso irreperibile. In un ultimo, disperato tentativo, Frida chiamò il fidato amico, nonché occasionale collaboratore, Kevin Cartridge.

Hallo, Kev. Disturbo?

–Sono in conservatorio, nel bel mezzo delle prove del mio primo concerto di Natale da primo violino. Trai le tue conclusioni.

Entschuldigung15- rispose Frida a denti stretti. –Sarò breve, allora: Andrew Carter è lì con te?

–No, perché?

–Ho urgenza di parlargli, ma è praticamente svanito nel nulla.

–Esagerata!- ridacchiò Kevin. –Probabile sia impegnato. Quando ci siamo salutati ha detto che sarebbe andato a trovare suo nonno, che poveretto è vedovo di fresco. Frida? Pronto? Mi senti? Pronto? Pronto? FRIDA!

Frida non poteva sentirlo, perché aveva terminato la chiamata, e aveva altro per la testa. Si morse le labbra per il breve lasso di tempo necessario a elaborare un piano d’azione, dopodiché esclamò –Cambio di programma: si va alla villa dei Conworthy!

–Perché?

–Perché, mentre perdiamo tempo a blaterare, Andrew Carter è in compagnia di un pluriomicida. Hai altre domande inutili?

Sbollita la rabbia con un respiro lungo e profondo, William rispose a denti stretti –Ne ho una utile: con quale mezzo, Sherlock?

 

***

 

–Avete visto Frida e l’abitante delle colonie?- chiese Ernst al fratello ed Emma, intenti a sorseggiare birra nella cucina di casa Weil. In parte per distrarlo dai suoi (finti) problemi, in parte per evitare di annegare nel mare di lagnanze di Wilhelm, Emma gli aveva riferito, per filo e per segno, dell’ennesima indagine non ufficiale di Frida.

Nein. Warum?

–Sono andato in bagno, e al mio ritorno erano spariti.

–Sai com’è fatta: si sarà precipitata da Mutti und Tante Faith a gongolare perché ha risolto un caso che la polizia neppure sapeva di dover risolvere!- rispose Wilhelm, seccato di essere l’unico escluso dalle “attività extracurricolari” della cugina, per poi alzarsi. –Na gut. Ho abusato a sufficienza della vostra ospitalità. Grazie per la birra, il cerotto e la comprensione. Ora è meglio che vada… a scusarmi con Hans. Come al solito. Ah, Bruder, ein kleiner Gefallen16: potresti fingerti sorpreso, quando ti darà la notizia?

–Guarda, sono seriamente tentato di sputtanarti male, però ho deciso di ripulirmi un po’ il karma, quindi ti parerò il culo… stavolta.

Vielen Dank- lo ringraziò Wilhelm. –A buon rendere.

Recuperò la giacca e scoprì, con orrore, che le chiavi della macchina non erano in nessuna delle tasche. Le cercò febbrilmente per tutta la casa, senza successo: parevano essersi volatilizzate.

Scheiβe! Non posso averle perse! Come cazzo torno a casa?

Emma tentò di confortarlo offrendosi di dargli un passaggio, ma non bastò a bloccare la litania di piagnistei di Wilhelm, che proseguì finché Ernst, tra il serio e il faceto, gli comunicò che la sua auto era stata “presa in prestito” da Frida, godendo come un riccio in calore dello sbigottimento del suo caro fratello.

–Leggo testualmente: “avevo bisogno di una macchina e Wilhelm di una lezione: le sue chiavi sono capitate a fagiolo. Così impara a immischiarsi nella mia vita amorosa!”- sbuffò una risatina e aggiunse –Mi sa che è il caso di chiamare Mutti.

–Sei impazzito?- lo redarguì Emma. –Cacceresti Frida e Will in guai ancora più grossi! Chiama Hans: saprà cosa fare e, soprattutto, come farlo con discrezione.


 

Note dell’autrice

Immagino di aver deluso le aspettative di molti, ma la tranquillità è intenzionale e propedeutica al prossimo capitolo, che sarà anche l’ultimo (più epilogo); la proverbiale calma prima della tempesta. Il cerchio sta per chiudersi: appurata l’identità del colpevole, resta da scoprire il movente. Micro spoiler: scatta il toto-morto! Qualcuno ci lascerà le penne… divertitevi a indovinare chi!

Informazioni di servizio: il quokka è un piccolo marsupiale australiano della famiglia dei Macropodidi (come i canguri e i wallaby), erbivoro e generalmente notturno, delle dimensioni di un grosso gatto domestico; Alex DeLarge, per chi non lo conoscesse, è il protagonista del libro e film “Arancia Meccanica” (non proprio un tipo raccomandabile).

Auf wiedersehen!

1Finalmente solo. Niente padre, niente madre, niente fratelli… fantastico!

2Arrivo!

3Amore

4Merda! Giuro che lo ammazzo!

5Molto bene!

6Grazie mille, fratello

7Stronzo

8Sonja è incinta?

9Sei davvero un pezzo di merda!

10Quello è un ragazzo che vedrei bene accanto a Frida!

11Mollusco

12Il Vichingo

13Inoltre, per tua informazione

14Avrai la giustizia che meriti, è una promessa

15Scusa

16Un piccolo favore

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3928084