Record of Ragnarok: Angel of The End

di ___bad_apple___
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Judgement ***
Capitolo 2: *** Voyage to the Stars ***
Capitolo 3: *** Cold, Uncaring Universe (End) ***
Capitolo 4: *** Poor Man's Choice ***
Capitolo 5: *** The Rich and The Poor ***
Capitolo 6: *** Violence is my Meaning ***
Capitolo 7: *** Violence is my Meaning Pt.2(End) ***



Capitolo 1
*** Judgement ***


Capitolo 1: Judgement

Le farfalle nere svolazzavano per quella tribuna, luogo prediletto dalle divinità per punire il genere umano con il proprio inflessibile, ineluttabile giudizio. La calma faceva da padrone in quel luogo dopo la scelta unanime di far estinguere la razza umana. Presto sarebbe stato riempito con uomini e divinità riuniti in un solo luogo a fare da pubblico per il Ragnarok, unico evento nella storia dell’universo dove le due stirpi si sarebbero affrontate, almeno in teoria, ad armi pari.

“OH YES!” Esclamò la figura eterea di un maschio alto completamente nudo, coperto dalle fiamme bianche e nere che salivano e scendevano a ritmo con la propria ispirazione. Scarabocchiando idee casuali, semplici parole le quali avrebbero costituito le basi per una storia epica, era in visibilio per quanto stava accadendo. “È davvero cool questa idea! Non vedo l’ora di scriverci sopra qualcosa di interessante…”

Una ragazza snella e dall’aspetto altero inorridiva al pensiero di quali fantasie si aggirassero per la mente del suo collega. Distolse immediatamente lo sguardo dall’uomo eccitato per il proprio lavoro, e passandosi una mano tra i corti capelli bianchi sospirò, pensando agli inutili spargimenti di sangue che sarebbero conseguiti alla scelta degli Dei Maggiori.

In quell’enorme arena era stata decisa la sorte del genere umano. Una singola figura si ergeva a scudo dell’umanità: i lunghi capelli biondi ondeggiavano nel vento mentre il dito puntava verso le più minacciose creature dell’intera esistenza: “Gli umani non periranno a causa del vostro perverso giogo! MAI!”

La rabbia era unita all’eccitazione e all’arroganza tra gli avversari del giovane angelo. La più maestosa delle divinità sedeva sul proprio trono, agghindata con gioielli d’oro e l’immancabile corona. Gli occhi truccati di nero osservavano sornioni colei che si era opposta al risultato delle votazioni divine. Un sorrisetto era tutto ciò con cui reagì a quella provocazione. Se gli umani credevano di poter competere con gli dèi illudendosi per l’ennesima volta, tanto meglio. Il loro annientamento sarebbe stato giustificato dall’idiozia di quelle patetiche creature, e come si raccontava in ogni mito dall’alba dei tempi la hubris umana sarebbe stata punita atrocemente.

Sollevando il corpo avvolto in delle vesti dorate sopra alle quali erano raffigurati dei riquadri, ciascuno contenente un frammento della storia delle divinità, dal proprio trono, Amon-Ra fece il solenne proclamo: “Abbia dunque inizio il Ragnarok!”

 

 

 

Il Ragnarok. Il torneo tra umani e divinità nel quale si sarebbe deciso il destino della specie umana. La vittoria equivaleva alla sopravvivenza, la sconfitta alla morte certa per gli umani sulla terra. Tutte le divinità erano state favorevoli alla mozione di estinzione, e solamente una figura era emersa dalle tenebre per ribellarsi. Il più potente e nobile di tutti gli angeli adesso definitivamente decaduto, Satan aveva posto questa sfida alle divinità ben consapevole che non si sarebbero mai tirati indietro dalla prospettiva di umiliare gli umani, come erano soliti fare nei tempi perduti dell’antichità.

Nei corridoi degli edifici del Valhalla si vociferava su come mai questa figura fosse apparsa dopo millenni di assenza. Satan era stato scacciato dopo un tentativo di ribellione durante il quale era stato gettato in una dimensione creata per imprigionarlo. La sua tremenda resilienza lo aveva reso un avversario degno degli Dei Maggiori, e adesso era tornato.

Ma Amon in questo lungo intervallo di tempo non si era certo riposato, e in cuor suo sperava di poter fronteggiare il traditore ancora una volta per poterlo ripagare di ciò che aveva fatto.

L’ira funesta del signore degli dèi avrebbe cancellato una volta per tutte dall’esistenza quell’infida serpe, e assieme ad egli le scimmie vanagloriose che proteggeva.

Il sole splendeva sull’arena del torneo illuminando il bianco marmo del quale era costruita.

“Una struttura del tutto simile al noto Anfiteatro Flavio situato in Italia, il più grande del mondo. Anche se le dimensioni ovviamente sono calcolabili solo sommando numeri reali e immaginari. Dopotutto, gli spalti contengono tutti gli esseri umani esistiti nel corso di milioni di anni di storia, dagli egizi alla gentry inglese del ‘700…” Un ragazzo dall’aspetto trasandato con degli spessi occhiali, attraverso i quali carpiva ogni informazione della stupenda struttura che lo ospitava, stava spiegando alle divinità l’ispirazione per l’arena da lui stesso progettata. Queste però non lo consideravano minimamente, ansiosi com’erano di assistere al primo scontro del torneo.

“Efesto sta facendo ancora quella cosa disgustosa! Che schifo!” Gridò una bellissima divinità dai capelli biondi legati in una lunga treccia, con dei fiori ad ornarla. I suoi grandi occhi blu osservavano disgustati il dio della meccanica il cui ingegno stava venendo stimolato, al pensiero di calcoli su come rendere migliore la già meravigliosa opera architettonica di sua matrice.

Il re degli dèi salutò il popolo divino composto da ogni genere di bestia mitologica, semidio e divinità esistente radunatisi a tifare per i propri campioni. Undici dèi avrebbero lottato fino alla morte contro altrettanti campioni umani per decidere se la razza umana meritava ancora di esistere.

Affacciandosi dal balcone che dava sull’arena dalla corte predisposta ad accogliere il sovrano assieme ai suoi più fedeli amici e collaboratori, gli Dèi Maggiori, una vista terribile gli si parò davanti.

Giungendo come un fulmine a ciel sereno coprendo la luce del sole, a velocità ben superiori di quelle di un normale angelo, Satan era arrivato. Egli si fermò sopra l’arena guardandosi intorno: gli sguardi degli dèi lo ferivano, carichi di disprezzo per ciò che la sua figurava rappresentava per loro. Solo Amon rappresentava un’eccezione, poiché nei suoi occhi si leggeva chiaro l’intento omicida più puro, mentre si posavano sulle perfette sembianze dell’angelo caduto.

I capelli biondi scendevano gentili sulle spalle arricciandosi in dei boccoli, incorniciando un volto delicato faceva invidia a non poche dee della bellezza e della fertilità di molti pantheon. Un’armatura nera coperta di venature rosse, le quali risaltavano brillando lucide come ferite appena aperte, era il segno rimasto della precedente lotta con gli dèi da egli sostenuta. Le dodici ali permettevano all’uomo di librare agile sopra l’arena e di salutare ciò che amava più di ogni altra cosa nell’esistenza: gli esseri umani.

Miliardi di individui riempivano gli spalti gridando ciascuno nella propria lingua, ma capendosi alla perfezione: questo era uno dei miracoli che permettevano al pubblico di presiedere a quegli eccezionali incontri, l’evento più importante nell’intera storia. L’altro miracolo era quello di permettere ad un numero incalcolabile di persone di essere presenti sugli spalti dell’arena.

Sottratti temporaneamente dal ciclo della reincarnazione le coscienze degli uomini e delle donne gridavano esaltati il nome del loro protettore, attendendo impazienti l’inizio dei giochi.

Satan scese sul terreno al centro dell’arena, e si inchinò davanti agli Dei Maggiori. “Oh, nobili e potenti dèi. Spero possiate riscoprire la clemenza nei vostri cuori e perdonare questa umanità fragile e corrotta…”

Gli umani e le divinità non credevano a quanto stava accadendo. Un tentativo di impietosire gli dèi proprio dal Principe della Ribellione? L’incarnazione stessa del peccato di superbia, Satan? E se anche lui avesse finito per rinunciare a questo folle progetto, dopo aver considerato l’impossibilità anche solo di scalfire le divinità? Gli uomini avevano il fiato sospeso di fronte a quella scena, temendo davvero di non potersi fidare neppure di colui che si era posto a loro difesa.

Il Signore del Male e degli Inganni sollevò lo sguardo rivelando tutta la propria ferocia, e togliendo ogni ombra di timore dal cuore degli umani. “… Prima che questi facciano morire tra le peggiori sofferenze i vostri campioni, distruggendo le vostre speranze!”

“Oh oh oh…” Il signore degli dèi si mise a ridere, mentre la sua tunica rifletteva le proprie emozioni, così come l’aura che lo avvolgeva. Un tremendo senso di oppressione stava avvolgendo l’intera corte, mentre le raffigurazioni sulle vesti di Amon presentavano scene del suo crudele passato. Scene della ribellione di Satan e degli angeli suoi compari, sconfitti per essere esiliati nella Gehenna, luogo di eterni supplizi e tormenti. I ricordi inondavano l’anima del signore degli dèi mentre a fatica questi si tratteneva dallo scendere in campo personalmente per mettere fine a questa farsa, prima ancora che cominciasse.

“Eh?! Ma che…” Apollo si girò di scatto notando il suo signore sparire di colpo, per trovarlo davanti all’angelo caduto.

La tensione era palpabile. Il Signore degli Dèi contro Satan il ribelle.

“AHAHAHAHAHAH! Dai vecchio mio. Lo sappiamo entrambi che non hai speranze da solo!”

Di fronte a questa accusa dell’angelo gli occhi degli Dei Maggiori si illuminarono di una luce sinistra. Amon non era da solo. La sua forza era quella dell’essere riuscito ad ottenere l’amicizia delle divinità più potenti del Valhalla per governare assieme a loro l’universo.

“Lo sai benissimo che tutta la squadra è pronta a sfidarti di nuovo, maledetto. Ma non credere che possa accadere immediatamente…” Amon si voltò verso gli spalti alzando le braccia come ad avvolgere il pubblico in un abbraccio. “Dobbiamo prima vedere questi campioni umani che hai avuto la faccia tosta di portare qui a lottare con noi!”

Gli dèi esultarono all’incitazione di Amon ansiosi di vedere il meglio dei loro sfidanti, anche se solo per il perverso piacere di ribadire la propria superiorità.

Satan tolse un po' della polvere finita sulla sua armatura a seguito dell’arrivo di Amon, per poi ribattere con tono emozionato: “Oh, non vedo l’ora! Ho preparato i più grandi peccatori della storia per affrontare voi divinità…”

Una figura stava per fare il proprio ingresso nell’arena. Si trattava del primo combattente degli umani. Vestito con una pesante armatura d’acciaio avanzava lento, facendo tremare la terra sotto ogni suo passo.

Con uno schiocco di dita Amon chiamò il dio addetto ad arbitrare gli scontri.

“ECCOMIIIIIIIII, AMOOOOOOON!” Dall’ingresso delle divinità fece la propria apparizione una prosperosa signorina, le cui forme rimbalzavano dolcemente mentre correva verso il centro dell’arena.

“HMMMMM!” Apollo corse verso il balcone rischiando persino di cadere ed iniziò ad osservare con fervore la giovane donna.

“Se continui a fissarla in quel modo finirai per bucarla… povera, povera Lilith!” Afrodite sospirò ben consapevole di come suo fratello fosse un inguaribile allupato, e di come la bellezza potesse essere solo un inconveniente in compagnia di uomini come lui.

La demonietta tentatrice sarebbe stata la showgirl del torneo. Indossando un abito lungo color rosso fuoco, con ricami dorati a forma di fiamme a ricoprirlo si avvicendava ad estrarre il microfono, riposto tra gli abbondanti seni neri, per prendere parola ed annunciare i primi due lottatori.

“Ehm…! Cosa dovrei dire Amon?” Le prime parole della demonietta, pronunciate con un candore e ingenuità degne di una giovane studentessa nel momento della sua prima volta, furono sufficienti a far svenire Apollo, il quale aveva ridipinto le pareti della corte con il sangue uscito dal proprio naso.

“AWWWWWWW!” Un coro si alzò dagli spalti umani e divini, i cui cuori erano per la prima volta uniti in questa invocazione alla divinità femminile apparsa davanti al pubblico.

Amon si mise una mano sulla faccia, mentre Satan si limitò a ridacchiare per poi rivolgersi alla dea: “Quanto tempo Lilith! Scusami ma non possiamo proprio parlare adesso… sbrigati a introdurre il mio campione, così possiamo iniziare, e magari mi dici un po' com’è la vita con questi dèi del Valhalla!”

Gli occhi di Lilith brillarono alla vista del suo antico padrone e amico, e portando le labbra al microfono iniziò la cronaca: “S-Signore e signori! Umani e divinità! Finalmente può avere inizio il Ragnarok!”

L’incertezza della ragazza e il suo arrossire mentre parlava fece tenerezza a Satan, che si diresse verso il primo combattente dell’avanguardia umana, per prepararlo allo scontro.

“Dunque mi posso un po' divertire con questo buffone prima di annientarlo, giusto Amon?”

Una divinità la cui dimensione superava in altezza Amon lo fissava con i propri occhi completamente neri. Delle piume azzurre ne ricoprivano il corpo e degli artigli affilati si trovavano al posto di mani e piedi. Sorridendo non vedeva l’ora di divertirsi un po' in questa breve pausa dal suo interminabile lavoro. Annotare ogni avvenimento nell’universo riempiendo di dati il libro sul quale scriveva dall’alba dei tempi, era diventato noioso già dopo i primi cinque miliardi di anni. E la situazione non aveva fatto che peggiorare: da quando gli dèi avevano deciso di intervenire il meno possibile nelle vicende umane, poco dopo la creazione di questi ultimi, Toth era veramente curioso di vedere cosa sarebbe stato in grado di fare con un umano tra i propri artigli.

“Non posso più aspettare!” Gridò gioioso mostrando le zanne affilate del volto bestiale che esibiva. “Serotonina e dopamina che fluiscono nel cervello… reti di informazioni le quali trasmettendo impulsi fanno muovere con energia i muscoli, nel disperato tentativo di salvarsi dalla morte!”

Un filo di bava colava dalla bocca di Toth e se Amon era felice che il proprio campione fosse così gioioso di lottare, dall’altro lato provava anche una sincera repulsione per il Dio della Conoscenza. Quell’entità perversa era assolutamente imprevedibile e diverse volte era fuggito sulla Terra, dando inizio a culti e riti misterici in suo onore, nei quali si eseguivano azioni riprovevoli per uomini e divinità allo stesso modo.

“Toth. Devi dare… il peggio di te.” Una singola affermazione di Amon bastò a far ricordare a Toth il proprio obiettivo. L’umano doveva essere distrutto e se avesse perso troppo tempo a giocarci, l’onore degli dèi ne avrebbe risentito.

Lilith notò con la coda dell’occhio il piumaggio azzurro del dio risaltare sotto la luce del sole. Era il momento di introdurre i primi combattenti che stavano facendo il proprio ingresso: “Ehm! Sesso per il primo dentro…”

Ecco. Era accaduto di nuovo. Nei momenti di estrema tensione, come quando doveva parlare davanti ad un folto pubblico, Lilith era solita incespicare mentre parlava. I continui sbagli nella pronuncia che portavano ad involontari doppi sensi ed errori di questo tipo avevano avuto conseguenze disastrose nel passato, portando anche a conflitti tra le divinità, per le quali Lilith agiva come messaggera tra le numerose mansioni di secondaria importanza che ricopriva.

“Kyan! V-volevo dire… A-adesso, per il primo scontro!” Con il viso ormai completamente rosso la commentatrice faticava a riprendere il filo logico del discorso. I cuori degli spettatori nel frattempo si erano completamente sciolti, e la tensione per questo primo ma fondamentale scontro era temporaneamente sparita.

“Argh!” Apollo aveva ripreso i sensi aiutato da Efesto nel rialzarsi, ma era stato nuovamente messo k.o. dall’improvviso attacco di Lilith. Anche Efesto la cui perversione era nota a tutti tra gli dèi, e che costituiva assieme ad Apollo e Zeus la triade dei peggiori molestatori sessuali che il Valhalla avesse mai visto, era svenuto assieme a lui.

“Non abbiamo neppure iniziato a combattere e già tutto questo sangue scorre tra le nostre fila…” La constatazione di Amon fu l’unico commento tra gli Dèi Maggiori in quello scenario imbarazzante.

“S-stavo dicendo!” Lilith gridò riacquistando l’attenzione del pubblico: “Il primo lottatore a fare il suo ingresso nel Ragnarok per le divinità… è il dio della saggezza e della conoscenza. La magia è il proprio dominio e il suo nome è sempre stato il punto di riferimento per filosofi, maghi e dotti di ogni genere. Un minimo della sua conoscenza grazierà le menti degli umani qui presenti, facendogli capire la futilità della propria ribellione al volere divino?”

Un vento soffiò sull’arena e numerose piume salivano e scendevano per poi concentrarsi verso l’alto. Un turbine di petali azzurri avvolgeva il centro dell’arena. Lo spettacolo riempiva di meraviglia gli spettatori ma la dura realtà delle circostanze nelle quali gli umani si trovavano non tardò a rendersi evidente.

Ogni singola piuma mutò radicalmente il proprio aspetto, quando su di esse spuntarono degli occhi identici all’aspetto che avevano nelle raffigurazioni egizie. Il colore azzurro lasciò posto ad un nero più profondo della notte mentre il turbine di piume impediva la visione. Sembrava di essere nel bel mezzo di una tempesta ed un forte vento risucchiava ogni cosa verso il luogo dove Toth sarebbe apparso nel giro di pochi secondi.

La tempesta cessò e la figura di Toth si rivelò agli spettatori. Le piume azzurre avevano lasciato spazio ad un manto nero che lo ricopriva dalla testa ai piedi, conferendogli le sembianze di un gigantesco corvo. Sei lunghe piume si ergevano sopra le sue braccia puntando verso l’alto, ciascuna con un occhio rosso raffigurato sopra, che donavano al dio un aspetto alieno. La parte superiore del corpo era nuda, con il fisico muscoloso in bella mostra, adornato da una collana con sopra incastonata una gemma color turchese. Le gambe erano coperte da una veste in lino bianca, con semplici ricami in oro i quali sembravano attorcigliarsi attorno alla divinità, intrappolandone le gambe in una preziosa gabbia.

“Il grande dio Toth, ossia l’Ermete trismegisto dal quale provengono tutte le nostre conoscenze! Sia lodato il suo nome!” Un anziano signore con un turbante ad avvolgerne il capo si alzò in piedi assieme ai suoi seguaci. Alla vista del dio avevano iniziato a scrivere su dei rotoli di papiro pregiatissimi complesse formule matematiche, e su ogni pergamena si trovava raffigurata una piramide composta da numeri. L’uno troneggiava in alto su tutti gli altri numeri ad indicare il senso della dottrina dei pitagorici, i quali ritenevano che tutta la realtà fosse riconducibile ad una complessa formula matematica comprensibile soltanto agli iniziati.

Gli acutissimi sensi di Toth gli permettevano di percepire l’adrenalina nell’aria proveniente dai miliardi di umani radunatisi per assistere allo scontro. Ma dov’era il suo avversario?

“Il primo umano a rischiare la propria vita è anche il primo della propria specie ad essersi spinto oltre confini ritenuti invalicabili. La sua tenacia e resilienza gli hanno permesso di conquistare il cielo, infrangendo quel limite blu posto a difesa degli uomini e del loro pianeta. Ma oltre quella barriera… lui sa di aver perso qualcosa. Ed oggi è venuto a dimostrare a noi divinità come gli umani possono riacquistare il diritto alla sopravvivenza che gli abbiamo negato! L’umano ad aver compiuto il peccato d’accidia, il cosmonauta Yuri Gagarin scende in campo!”

Pesanti tonfi annunciavano il suo arrivo mentre dall’oscurità della galleria d’ingresso emergeva l’enorme sagoma di una creatura di metallo.

“E quello… sarebbe un umano?!” Il commento improvviso di Toth era carico di rabbia, e Lilith sorpresa notò lo sguardo deluso del dio vicino a lei. Ciò che stava rendendo Toth frustrato era la completa assenza di ogni emanazione chimica dal corpo del suo avversario. Niente paura. Niente eccitazione. Niente gioia o dolore. L’armatura procedeva lentamente verso il centro dell’arena senza nessun ingresso spettacolare o discorsi ad accompagnare il suo arrivo.

“Yuri… Non sei cambiato di una virgola. Ti ho lasciato che eri depresso, e adesso partecipi allo scontro con il peccato d’accidia come unica cosa che ti rimane…” Il migliore amico di Gagarin, Vladimir Komarov, il primo uomo a morire a causa di una missione nello spazio scosse la testa, osservando le pietose condizioni del proprio compagno.

“Non possiamo neppure omaggiare il nostro eroe? È grazie a lui che mi sono messo a lavorare nella ricerca spaziale…”

“Che tristezza però… tutti i nostri stenti nella speranza di ottenere la gloria eterna hanno creato questo…”

Molte voci anonime degli uomini e delle donne appartenenti all’Unione Sovietica esprimevano il proprio malcontento per l’esplicita richiesta di Gagarin di non celebrare il suo arrivo.

Essere un cosmonauta era stato il suo lavoro. Era andato nello spazio ed era tornato. Missione compiuta. Avrebbe lottato contro il dio e lo avrebbe ucciso. Missione compiuta.

L’armatura si trovava davanti a Toth permettendo alla divinità di ammirarne l’aspetto. Un lastrone di metallo color rosso scuro con il simbolo della falce e del martello giallo sbiadito, dalle sembianze di un’armatura a piastre risalente al medioevo avrebbe protetto l’avversario da ogni colpo. L’elmo non consentiva di osservare il volto dell’umano, ma degli occhi ed una bocca stilizzati che in qualche modo parevano arrabbiati erano tutto ciò che Toth avrebbe potuto vedere per intuire le emozioni del suo nemico.

“Che palle…”

Le prime storiche parole di Yuri Gagarin nel torneo tra umani e divinità erano un segnale della noia e del malessere che lo affliggeva.

“Senti, facciamo una cosa veloce, così me ne torno a dormire…”

 

Ebbene, ha inizio una fanfiction su Record of Ragnarok. Che dire, questo primo capitolo potrà sembrare senz’altro un po' troppo breve, ma d’altronde volevo subito passare al sodo. Un’emozione grandissima mi ha colto appena ho trovato i primi due combattenti, e non potevo trattenermi dallo scrivere subito il loro combattimento! Spero che i capitoli successivi possano regalarvi le stesse emozioni che mi ha dato impegnarmi nella loro stesura, e che questa fanfiction sia un tributo degno per un’opera a mio parere assolutamente fantastica.

 

 

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Capitolo 2
*** Voyage to the Stars ***


Capitolo 2: Voyage to the Stars

“Si dia dunque inizio al Ragnar…” Lilith non aveva neppure concluso la frase, ma Toth era già partito all’assalto. Le sei piume muovendosi lungo le braccia andarono a creare un cerchio all’altezza del suo pugno, avvolgendolo. Un grande bozzo nero si era scontrato contro l’elmo di Gagarin emettendo un’onda d’urto tale da sollevare la gonna della demonietta.

“Hyaaaa! Maniaco! Lo hai fatto apposta scommetto!” Lilith raggiunse questa conclusione osservando il ghigno sorridente di Toth. Ma quest’ultimo non stava guardando la demonietta: al contrario il suo sguardo era diretto verso l’avversario, così come quello di ogni spettatore nell’arena. L’attenzione era tutta su Gagarin il quale non dava alcun segno di essere rimasto danneggiato dal colpo del dio, ma il pugno di Toth si era semplicemente fermato dopo aver colpito l’elmo.

Da delle minuscole fessure che rappresentavano degli occhi, una luce rossa brillò mentre opponendo resistenza al bozzolo di piume del dio la testa di Gagarin si spostò leggermente. Quelle piccole luci per la prima volta nello scontro erano fissate su Toth.

“Ottimo. Vedo che non ti piace temporeggiare. Tutto questo rende più facile proseguire nella mia missione…” Una voce rimbombò dall’elmo distorta dall’eco, il quale le donava un’intonazione spettrale.

Un forte vento iniziò a soffiare sull’arena. La sabbia dell’arena veniva alzata dalle potenti sferzate, indicando al pubblico che l’iniziativa era definitivamente passata a Yuri.

“Razza di pervertiti! Perché ce l’avete tutti con me?!” Lilith era disperata non riuscendo più a gestire il proprio abito. Fu allora che ebbe un’idea geniale. Con un rapido movimento di mano strappò la gonna che alzandosi le bloccava la visuale sullo scontro, rivelando degli slip neri con un cuoricino dorato raffigurato sopra di esse. “Ehehehe! Non posso più essere spogliata dai vostri attacchi, se non ho più vestiti!” Rise felice Lilith orgogliosa della propria intelligenza.

Yuri Gagarin con il proprio braccio destro avvolto dal vento si stava preparando ad attaccare. Gli occhi di Toth con la propria sclera nera sulla quale risaltavano le pupille rosse, erano fissi sulla mano sinistra dell’avversario.

“Toth… è bloccato! Finirà per beccarsi il colpo di Gagarin dritto in faccia!” Il commento di Lilith fece sussultare il pubblico.

Le piume strette attorno alla mano di Toth volarono via mentre questi strinse i denti preparandosi all’impatto.

“Breve ma intenso. Scusa per il dolore… supponendo che tu muoia abbastanza lentamente da sentire qualcosa.” Le parole di Gagarin anticiparono un fischio e nel giro di un secondo, la scena del dio bloccato dal suo avversario era già svanita, portata via dal tifone col quale Gagarin aveva accompagnato il proprio pugno.

Solo Gagarin si ergeva in mezzo all’arena e gli occhi di tutti cercarono spaesati di ritrovare Toth.

In una delle pareti attorno all’arena il dio della conoscenza era stato lanciato con incredibile forza e velocità rompendo il muro del suono, nonché la parete stessa nella quale adesso era infilato.

Il manto nero del dio era macchiato con righe di sangue che colavano dalla testa, ma non era ancora morto.

“Devi impegnarti molto di più caro il mio depresso!” Facendo uscire la lunga lingua con la quale leccò una colata di sangue ancora caldo proveniente dalla fronte, Toth si stava rialzando.

Gagarin tirò un sospiro. Un tremendo, lunghissimo sospiro: “Dimmi. Perché ti rialzi? Questa carneficina potrebbe terminare subito se tu ti arrendessi…”

“Ahahahaha!” La risata gracchiante di Toth risuonò nell’arena. “E che gusto ci sarebbe?” Spolverandosi le piume macchiate il dio pareva essere tornato in piena forma fisica. “Mi avresti probabilmente ucciso se non avessi utilizzato le mie piume.” Indicando le sei appendici con gli occhi sopra di esse. “E possono fare molto altro oltre a difendermi…”

Le sei piume si staccarono fluttuando verso Gagarin.

“Quel colpo… non mi sbaglio. L’ho sentito. Per un istante, in quella frazione di secondo in cui hai percepito l’impatto…”

Un sorrise si dipinse sul volto sporco di sangue del dio della conoscenza. Ma non si trattava di un ghigno perfido come quelli che gli dèi erano soliti osservare nel suo volto.

“La dopamina e l’adrenalina sono tornate a percorrere le reti neuronali che non sentivano più stimoli da secoli… Il tuo cervello ha riso, Yuri Gagarin!”

 

 

 

 

 

16 giugno 1950

Tornato dallo sfiancante lavoro in acciaieria e dalle sue lezioni, Yuri osservava il cielo stellato sopra di lui. Non vedeva l’ora di parlare con Boris delle cose che aveva imparato alla scuola serale. Il professore aveva spiegato come le cosiddette “stelle cadenti” non fossero altro che residui delle comete bruciate dall’atmosfera.

“Povere comete!” Esclamò il piccolo Boris seduto accanto a lui a tavola. “Magari vogliono solo venire da noi a divertirsi…”

Yuri mise la mano sulla spalla del fratello: “Beh, io non so se possiamo sapere cosa pensano le comete” si mise a ridere, per poi continuare. “Però stai sicuro che proverò a chiederglielo una volta nello spazio!”

Il padre di Yuri lo guardò serio. Il tempo sembrava essersi fermato ed una freddezza opprimente avvolgeva il ragazzino.

“Sei sicuro di volerlo fare Yuri? Provare ad andare nello spazio?” Chiese l’uomo con voce grave al figlio.

Yuri sapeva che doveva mostrare risolutezza. Lui lo avrebbe fatto. Sarebbe diventato il primo uomo nello spazio della sua nazione… no, del mondo intero! Non importa al prezzo di quali sacrifici, avrebbe superato quella barriera che portava le meteore a disintegrarsi in prossimità del pianeta.

“Sì. Io diventerò un cosmonauta papà.”

Il padre sorrise al figlio facendo un cenno di approvazione col capo.

 

 

 

 

 

 

Il cosmonauta non poteva credere a due cose: l’affermazione del dio e il fatto che questi fosse ancora in vita e stesse nuovamente attaccando.

Il vento iniziò di nuovo a soffiare sull’arena ed entrambe le braccia di Yuri vennero avvolte da due vortici.

“Non insinuare cose su di me. Tu non hai idea di quello che provo…”

Le piume di Toth erano vicine a scontrarsi con lui. Yuri sapeva che queste erano abbastanza resistenti da proteggere il dio da un pugno potenziato con il vento generato dal proprio potere.

“Oh, sì invece. Nulla mi sfugge di voi umani…”

Un devastante ciclone si abbatté nella direzione di Toth. Questi vedeva l’aria ruotare attorno a sé come una spirale, coprendogli la vista in ogni direzione. Davanti a sé aveva lanciato le piume le quali avrebbero dovuto provvedere a difenderlo, almeno in parte.

Il devastante boato del tornado si era esaurito. Yuri aveva lanciato entrambi i tornado attorno alle sue braccia con tutta la propria forza, e adesso stava iniziando a pagare il prezzo di tanto potere.

Di Toth non vi era neanche l’ombra e la preoccupazione salì di nuovo per le divinità.

Il pesante corpo di Yuri si era piegato in avanti, evitando di cadere per terra con una delle possenti braccia metalliche.

“Fratellone! Che ti è preso? Rialzati subito! Lo scontro non è ancora finito!” Boris aveva appena finito di incitare il fratello maggiore che subito un’ombra apparve sopra a Gagarin. Questi riuscì con molta difficoltà a rialzare la testa, e Toth ebbe modo di godere della vista del sangue che colava dall’elmo.

La creatura riappropriatasi delle proprie piume, le quali avevano assunto la sembianza di maestose ali nere, poteva guardare dall’alto in basso il cosmonauta piegato dopo lo sforzo dovuto all’ultimo attacco.

“Dannazione!” Satan si morse un dito con estrema forza, facendo schizzare sangue sulla propria armatura. “Ha già sprecato inutilmente parte del proprio potere. Il peccato d’accidia ha ancora molto da rivelare… ma lo scontro sarebbe dovuto già finire.”

“Che idiota! Hai utilizzato tutto il vento che avevi preparato in un singolo attacco, sperando di annichilirmi… Queste piume nere come la notte sono però molto più resistenti di quello che non sembra!” Toth stava ridendo della sciocchezza del proprio avversario anche se pure per lui lo scontro si stava rivelando più sfiancante del previsto. Il recente colpo aveva procurato la perdita della sensibilità in un braccio, che aveva fatto da scudo mentre il dio saliva verso l’alto dopo aver ripreso parte delle piume.

Gettandosi in avanti Toth era preparato a due alternative: proseguire dritto verso Gagarin ferendolo con lo scudo di piume, o riattaccarle al proprio corpo e saltare in alto all’ultimo secondo, per poi attaccare con le piume o continuare la fuga sfiancando lentamente l’avversario.

Cogliendo l’occasione in seguito all’aver visto lo stato penoso nel quale si era ridotto il cosmonauta, le piume si scollegarono nuovamente.

Un cerchio di occhi rossi, fissavano Gagarin che inerme non poteva fare altro se non attendere l’inevitabile attacco di Toth.

Un’energia rossa passava per ciascuna delle piume, congiungendole fino ad illuminare l’arena col proprio colore.

“L’essere avvolto in quella massa di metallo ti rende solo un gigantesco bersaglio per la mia magia. Muori!”

Incrociandosi sull’armatura immobile i raggi rossi causarono un’esplosione, la quale fece risplendere come mai prima d’ora quell’involucro di ferro arrugginito, prima di polverizzarlo definitivamente.

“Yuri! Suppongo che alla fine… un Dio per noi umani non esista. Solo la fredda oscurità attende le nostre speranze, come lo spazio che ti avvolse quando lasciasti il pianeta…” Nikita Kruschov stringendo tra le mani il cranio privo di capelli, abbassò la testa disperato. I dirigenti del Partito Comunista accanto a lui fecero lo stesso, consapevoli della tragica fine che già avevano presagito per questa vicenda.

Nessuno guarda gli umani dall’alto dei cieli, sperando per loro, pregando per loro. Le sofferenze e le tragedie della condizione umana possono solo risuonare in un vuoto e gelido abisso per l’eternità.

 

 

 

 

Missione compiuta Gagarin. Sei ufficialmente il primo uomo nello spazio della storia dell’umanità!

I festeggiamenti per quel miracoloso evento, avvenuto dopo anni di sacrifici umani e animali, al solo scopo di spedire un ammasso di metallo con all’interno un singolo individuo, si faceva sentire in tutta la nazione.

La corsa allo spazio era stata vinta dall’Unione Sovietica, e questo avrebbe rappresentato per il mondo intero un duro colpo per gli Stati Uniti. Le menti sovietiche, la loro ambizione ed il loro talento erano ufficialmente diventate le migliori in tutto il mondo.

Ma di tutto ciò a Gagarin non poteva fregargliene di meno.

“La terra… è azzurra. Sopra di lei… vedo un mare nero, sconfinato, che sembra inghiottirmi.”

Yuri stava galleggiando nel vuoto descrivendo tutto quello che vedeva alla base spaziale. A bordo della Vostok 1 aveva portato a termine l’obiettivo di tutta una vita.

“E cos’altro vedi, Gagarin?” Gli chiese una voce distorta dalle trasmissioni radio.

Gagarin pensava. I contadini del suo paese massacrati dal lavoro e dagli stenti. Gli armamenti atomici dell’URSS e degli Usa che crescevano di giorno in giorno minacciando di distruggere il pianeta, l’unica casa adatta ad ospitare gli esseri umani in questo oceano di niente. Il suo migliore amico con cui fece una scommessa su chi, per primo, avrebbe raggiunto lo spazio.

Adesso lo spazio era lì. Davanti a lui.

“E poi… e poi…” Le frequenze si fecero più disturbate mentre lo stesso Gagarin faticava a trovare le parole.

“E poi vedo… che non c’è proprio nessun Dio qua, sopra la Terra.”

La missione era compiuta. Gagarin sarebbe tornato a casa. Mentre la Vostok rientrava nell’atmosfera terrestre, Yuri sentiva di aver perso qualcosa, lassù nello spazio.

Ma non sapeva dire cosa.

 

 

 

 

 

 

Gagarin ricordava in quegli istanti la morte del proprio amico. Anche lui era rimasto bruciato nel calore estremo di una navicella esplosa.

Yuri! È stato proprio… divertente conoscerti. Un vero spasso…” Tossendo sangue il ragazzo poco più che ventenne dava l’addio a Yuri, dopo il fallito volo di prova nello spazio. Il calore del rientro, combinato a dei danni alla navicella che avrebbe dovuto proteggerlo da esso, aveva carbonizzato parte dei vestiti e della pelle del ragazzo.

Questo non ti deve certo scoraggiare! Se non si sopportano sacrifici come questo… come si può sperare di raggiungere la cima del mondo, e di superarla?” Tossendo nuovamente Komarov si trovava tra le braccia dell’amico, il quale stava singhiozzando.

“Perché Vladimir. Perché dobbiamo essere così stupidi?” La voce di Yuri rotta dal pianto era equiparata solo dall’aspetto trasandato dell’uomo: barba incolta e grosse occhiaie deturpavano quel volto i cui occhi, un tempo, risplendevano della speranza e l’ambizione di tutta l’URSS.

“Tutto questo… per niente! Guarda cosa è accaduto a me dopo averlo visto… e guarda in che condizioni ti sei ridotto per… per… niente! Assolutamente niente!” La disperazione era evidente. Ma le tenebre della mente di Gagarin non avrebbero contagiato anche Komarov.

Sorridendo, pronunciò le sue ultime parole: “È stato proprio… uno spasso…”

Vladimir Komarov si spense con il sorriso dipinto sulle labbra. Yuri era rimasto atterrito. Ma non era tristezza ciò che aveva trionfato nell’animo di Yuri: un bagliore di luce, una fugace speranza, che egli non avrebbe mai più ritrovato in tutta la propria vita lo aveva per un istante sconvolto.

Proprio adesso nell’istante in cui l’inferno lo stava avvolgendo, minacciando la morte definitiva, quel ricordo si era fatto strada spinto da un impulso animalesco.

Dalle profondità del suo animo una singola volontà era emersa.

“Io dopotutto… non voglio morire. Non voglio morire!”

L’esplosione e le fiamme che avevano invaso l’arena imperversarono per diversi secondi. Toth era tornato sul suolo mentre il fuoco impediva al suo fiuto di rilevare l’avversario, e perciò si mantenne in guardia per evitare attacchi a sorpresa.

“Avrei desiderato tanto giocare ancora con te…” Il tono di delusione era evidente nella sua voce mentre annusava con ancora più forza l’aria, cercando disperatamente quell’umano che, con la propria forza, era riuscito a ferirlo in tal modo. “Scriverò diverse pagine su questo nostro scontro, vecchio mio… sei stato proprio divertente.” Le risate di Toth vennero interrotte da un bagliore.

Una luce proveniente dal fumo dissipava quelle nubi scure, riaccendendo la speranza degli uomini.

“Yuri Gagarin… è ancora vivo! La speranza del genere umano ha resistito al colpo!”

Era proprio come aveva detto Lilith. Yuri Gagarin aveva perso la carcassa di metallo fatiscente che lo proteggeva, ma al tempo stesso imprigionava, rivelando una forma lucente e snella all’intero pubblico del torneo e al suo avversario.

“Non credere” Diversi raggi di luce emanati dalla seconda armatura di Gagarin risplendevano in tutte le direzioni mentre si rivolgeva al suo nemico. Delle nubi traslucide aleggiavano intorno al suo corpo, donandogli un aspetto etereo, divino. “Che noi umani possiamo perdere così facilmente nel momento decisivo…”

L’espressione dell’uomo era sempre nascosta dentro ad una scorza, anche se stavolta brillava di una nuova luce simbolo della speranza degli umani. Toth si mise a ridere, e leccandosi le labbra incitò l’avversario: “È esattamente questo che voglio vedere in voi!”

Nei suoi occhi neri era apparso un nuovo bagliore, quello dell’emozione dovuta all’anticipazione per la battaglia. “Vedrai, Yuri Gagarin.” Pronunciando per la prima volta il nome del suo avversario, un gesto di rispetto che non passò inosservato al pubblico, Toth rivelò le proprie intenzioni all’umano. “Io ti libererò da quel guscio decadente che ti porti appresso!”

Una nuova determinazione era nata in Toth. Erano secoli che non si divertiva così.

Nella tribuna riservata a Satan e agli angeli caduti assieme a lui nella ribellione contro le divinità, una piccola entità splendente, ma intrisa di una luce molto più fioca di quella che stava emettendo Gagarin, rivolse la parola al suo signore: “Ma… Cos’è questo potere? Persino Toth riesce a percepirlo!”

Satan sorseggio dal suo boccale pieno di gustosa ambrosia, la bevanda degli dèi. Ospitato nel Valhalla per assistere al torneo in quanto campione della causa a favore della salvezza degli umani, gli era concesso nutrirsi con i cibi e le bevande di quel regno divino, un lusso che mai altrimenti gli sarebbe stato ammesso.

Sorridendo rivelò i denti affilati, che presto andarono a comporre un ghigno perfido mentre guardava con furia Toth ferito, aspettandone impaziente la morte. “Credi forse che gli umani senza un piccolo aiuto avrebbero potuto anche solo sperare di ferire, figuriamoci combattere… un dio?” La crudeltà era evidente nelle parole di Satan. Ma questo tutti lo avevano capito, e lo stesso Amon si stava scervellando per capire quale sortilegio avesse usato il principe del male per permettere all’umano di combattere.

Gli occhi dei due sovrani, uno dall’aspetto maestoso e solare, con la pelle olivastra e la folta chioma bianca che risaltava sotto i raggi del sole, e l’altro dalla pelle pallidissima, con lunghi capelli neri a coprire il capo conferendogli un aspetto lugubre, si incontrarono.

“Quel demone non ha neppure il coraggio di mostrare gli umani per ciò che essi sono veramente. Stupidi, deboli, impotenti. Noi dèi siamo superiori sotto ogni aspetto. La nostra vittoria è scontata!” Questa proclamazione di Amon non diede più sicurezza alle altre divinità. Vedere il proprio campione ferito dai colpi di Gagarin, il quale aveva rivelato un nuovo potere da utilizzare, stava procurando seri problemi per il loro morale.

“Forse ho capito…” Efesto aggiustandosi le spesse lenti con cui scrutava il mondo, ricco di curiosità, aveva appena finito di formulare la sua tesi su quale fosse il vero potere di Yuri. “Quelle nubi brillanti… sembrano gli strati nuvolosi che si trovano nella stratosfera!”

“OH. NO.” Afrodite si mise le mani tra i capelli iniziando a lamentarsi. “AMON! Efesto continua a dire cose disgustose, mi fa paura, ma soprattutto…” Con un rapido movimento si alzò dal divanetto sul quale rilassava il proprio corpo perfetto e con un calcio sbatté a terra il povero dio dei fabbri, andando a infierire con i tacchi a spillo sulla parte del corpo che gli procurava più complessi fisici e mentali in assoluto. La gobba, la quale lo rendeva deforme, e gli procurava problemi a camminare, un caso unico tra gli dèi dei vari pantheon. La sua complessione sfigurata lo rendeva bersaglio degli scherzi e degli insulti di Afrodite, sua sorella, la quale era l’esatto opposto del povero fabbro, caratterialmente e fisicamente.

“SCHIFO! SCHIFOSCHIFOSCHIFOSCHIFOSCHIFOSCHIFOSCHIFOSCHIFO!” I colpi inflitti con i tacchi si susseguivano rapidi sul dio, in uno spettacolo che via via si era sempre più normalizzato nel Valhalla.

“È per questo che nessuna dea si concederà mai a te! Se continui a dire queste cose, e passare tutto il giorno a ragionare sui tuoi disgustosi progetti…” La dea tirò un sospiro provocato dall’apprensione per quel ragazzo che, in fondo, non si era mai sforzata di capire appieno. Pertanto, oltre all’aggressività non aveva altro modo di spronare il fratello a cambiare, alla ricerca di quello standard di bellezza che Afrodite incarnava. “… Diventerai proprio come Ade!” Un brivido di terrore corse lungo la sua schiena, mentre tornò a sedere respirando lentamente, allo scopo di calmarsi.

Amon si rivolse al dio steso per terra, con la gobba piena di lividi e sangue incrostato. Accarezzandone la testa ricoperta da folti capelli, i quali con la loro lunghezza coprivano parte del volto, altro elemento critico di Efesto per la sua percezione di sé, sussurrò all’orecchio dell’amico: “Su, Efesto. Puoi parlare di queste cose con me. Sai che siamo amici, ed io sono sempre interessato a tutti gli argomenti di cui vuoi parlare… Quindi, dimmi. Qual è il misterioso potere di Gagarin?”

Amon aveva un carisma eccezionale, e quelle dolci parole per Efesto rappresentavano una manna dal cielo. Per un emarginato come lui sentirsi apprezzato e desiderato bastava a scacciare ogni sofferenza, e sfruttando i sentimenti del pover Efesto Amon si era sempre assicurato la sua fedeltà incondizionata. Il dio della forgia dopotutto possedeva molte risorse, le quali nei momenti giusti potevano rivelarsi decisive…

“Certo Amon!” Il dio fabbro si alzò in piedi con le gambe tremolanti, sorretto dal signore degli dèi. I suoi occhi brillavano mentre si mise a spiegare le sue deduzioni ad Amon.

“Il potere di Yuri Gagarin consiste nell’esprimere nelle proprie corazze… niente meno che il potere dell’atmosfera terrestre!”

Raffiche di vento talmente potenti da squarciare i cieli con il proprio ondeggiare sinuoso nell’aere. Nubi sottili e lucenti ad avvolgere il cosmonauta assorbendo la luce ed il calore del sole.

Entrambi i poteri mostrati erano connessi agli strati posti a protezione della superficie terrestre: troposfera e stratosfera erano i primi due, e gli unici apparsi per adesso.

In quanto conquistatore dei limiti posti all’uomo dal pianeta stesso, Yuri Gagarin aveva ottenuto da Satan la capacità di manipolare le condizioni climatiche e ambientali dei vari strati dell’atmosfera. Ogni strato dell’armatura conteneva in sé un’immensa energia in grado di generare calore, vento e gelo. Ciascuno di questi elementi era stato battuto da Gagarin, domato a bordo della Vostok 1 nel più grande viaggio dell’umanità.

Quella conclusione chiara e limpida aveva gettato chiarezza su ciò che sarebbe accaduto nello scontro. Amon si affacciò al balcone, pronto ad informare Toth di quanto aveva appena scoperto. Con queste informazioni il dio della conoscenza sarebbe riuscito ad elaborare strategie per contrastare l’umano.

Dopotutto, Satan aveva offerto agli umani un vantaggio al di fuori dalle regole del torneo: perché Amon non avrebbe potuto fare lo stesso?

Satan distorse il ghigno mordendosi il dito, gesto che ripeteva ossessivamente ogni volta in cui si trovava in condizioni di stress. Il signore degli dèi stava per parlare, quando…

“Ma stai un po' zitto Amon! Cosa ti metti a rompere le scatole?” La frase di Toth risuonò per l’arena sconvolgendo gli spettatori, ma soprattutto Amon stesso.

“Questo è un duello tra me e Gagarin. Se non ti dispiace…” Con le sei piume drizzate verso l’alto sulle lunghe braccia piumate, Toth stava per attaccare Gagarin. “Lasciaci lottare!”

Amon era rimasto a bocca aperta mentre Toth lanciandosi in avanti con estrema velocità stava riempiendo le piume di energia rossa.

“NYAAAAAN” Un enorme gattone dagli occhi truccati in mezzo al pubblico sbadigliò sonoramente, per poi mettersi seduto a guardare con attenzione il duello. “Sembra che Toth abbia deciso di fare sul serio!” I numerosi animali sacri dell’Egitto assieme a lui erano in tensione per questo scambio di colpi. Con Toth avevano sempre avuto un legame speciale, essendo egli il dio egizio più legato alla natura di tutti. Uno strepitare, ringhiare e ruggire si alzava dalle tribune divine. Maestose bestie alate sbattevano le ali dirigendo sul campo folate di vento come quelle usate da Gagarin. Nella polvere alzata dell’arena la figura nera di Toth correva all’impazzata come un cane del deserto alla ricerca della propria preda, la cui luce filtrava tra gli infiniti granelli di sabbia facendoli risplendere di sfumature dorate.

“Non mi sarei aspettato di meno da un tipo irruento come te! Purtroppo, questa mancanza di pazienza sarà la tua rovina.” Gagarin mosse i primi passi verso l’avversario, lentissimo.

L’incedere del cosmonauta aveva perso quel peso conferitogli dall’armatura precedente, e non poteva sperare di fermare Toth con la propria velocità.

Ma non ve ne era alcun bisogno.

Toth, giunto a pochi passi dal corpo luminoso dell’avversario drizzò le piume e invertì il senso di marcia.

Una nuova esplosione di energia rilasciata dalle piume lanciate dalla divinità avvolse Gagarin. Ma i bagliori e le nubi splendenti trafissero il fumo, mostrando a tutti che il campione dell’umanità era sano e salvo da quell’attacco.

“Ciò che ti circonda è una barriera… davvero eccezionale!” Toth rise mentre attendeva che le piume lanciate contro il nemico ricrescessero dalle proprie braccia. Dopo aver impattato contro le nuvole si erano disintegrate, incenerite da un immenso calore. Aver proseguito nell’’attacco avrebbe finito col martoriare il corpo già danneggiato del dio della magia.

“Ti sei un po' ripreso. Posso chiaramente percepire l’eccitazione che sale… sì…” Leccandosi le labbra Toth osservava la nuova meravigliosa forma di Gagarin.

Questi però era ancora perso nei propri pensieri alla ricerca di una risposta.

Il suo cuore era tornato a battere, come Toth aveva affermato. I colori attorno a lui stavano risaltando grazie ad una nuova luce, la quale non proveniva solamente dal potere donatogli da Satan prima dell’incontro.

Cosa aveva fatto… per tutti questi anni?

 

 

 

 

Sotto ad una massa di uomini i quali si dimenavano disperati in quelle acque fetide, Yuri si godeva la meritata permanenza negli inferi.

A quanto pare erano vere quelle favole sull’aldilà, l’inferno di cui parlavano a non finire gli insopportabili preti, che in barba agli ideali atei sui quali si sarebbe dovuto basare il suo paese, continuavano indisturbati a predicare.

Non che ciò gli interessasse molto.

La palude dove chi non era stato in grado di godersi la vita annegava in eterno era il luogo perfetto per un individuo come lui.

Quante volte aveva fatto preoccupare i suoi amici, e sua moglie, a causa della propria sete continua di alcolici?

Ma d’altronde, come poteva separarsi dal dolce liquido, il solo in grado di potergli far dimenticare ogni cosa, facendolo sprofondare nel confortevole oblio della depressione e dell’apatia più totale?

Così come in vita si era voluto annegare nell’alcool per dimenticarsi della propria esistenza, nell’aldilà questa sensazione di continuo annegare e sprofondare lo avrebbe cullato per tutta l’eternità. Questa era la giustizia divina.

I corpi sopra di lui, anime anonime, iniziarono però a scansarsi. Una corrente stava trascinando via i dannati e per la prima volta una luce giungeva nelle profondità di quel luogo.

Un volto bellissimo attorno al quale lunghi capelli ricci si dimenavano tra le acque fetide, risplendeva davanti a Gagarin. Le labbra voluttuose si mossero, rivolgendo la parola a quell’anima perduta.

“Tutto questo dipende solo da te. Sei tu a creare questo luogo. Non riesci a concepire una vita senza questa sofferenza.”

Le parole dell’entità risuonarono nella mente di Gagarin, il quale stava sempre più rialzandosi. La mano dell’angelo si stringeva al fianco del cosmonauta, portandolo ad avvinghiarsi a lui. Quella salda presa infuse di calore Yuri, impedendogli di tornare nella sensazione di paura e timore che in vita si alternava con il torpore dell’ubriachezza. Adesso Yuri poteva sentire chiaramente il mondo attorno a sé.

“Dona a me e ai tuoi fratelli la tua anima. Lotta per noi.”

L’angelo scomparve in una luce brillante, la quale andò a ricoprire completamente Yuri Gagarin.

Emerso da quelle acque, il cosmonauta era risorto. Una possente armatura lo copriva da testa a piedi, e nonostante il suo umore non fosse dei migliori, una cosa era certa.

C’era qualcosa che lo stava aspettando, al di fuori del suo supplizio.

 

 

 

 

 

 

Quello che lui aveva era un debito. Debito nei confronti degli angeli che lo avevano salvato e lo stavano aiutando nella lotta. Debito nei confronti di Satan, impegnato a salvare la razza umana con questo torneo. Debito verso gli umani, ed il suo paese, i quali erano sempre stati presenti per lui.

Mai una volta era stato davvero solo. Anche nei momenti più bui, una voce lo chiamava implorandolo di svegliarsi.

“Yuri!” Una voce femminile si levò dagli spalti.

“Io non posso più dormire! È per questo…” La luce dell’armatura di Yuri iniziò ad affievolirsi. Le nubi come lucciole nella notte stavano scomparendo.

“Che il mio cuore continua a battere!” Un lampo rosso illuminò il corpo di Yuri. L’elettricità dalle nuvole era andata a convergere sulla sua armatura, la cui sagoma adesso si poteva intravedere chiaramente, nei momenti nei quali la tensione elettrica calava.

Una forma tondeggiante e delicata, quasi buffa. L’elmo donava con la propria forma l’aspetto di un fantasma stereotipato a Gagarin.

Ma in quelle sembianze apparentemente ridicole, l’umanità poteva scorgere un’altra sembianza, ben più familiare e degna di rispetto.

“Quella è una tuta da cosmonauta!” Un bambino malnutrito e povero indicò emozionato Yuri. Per un’intera generazione gli uomini come Gagarin erano stati dei veri e propri eroi, indicando ai giovani come la strada per il futuro si trovasse in direzione delle stelle e dello spazio.

Brillando di una nuova luce con la tuta che lo portò a valicare l’ultimo confine rimasto al genere umano, quello dell’atmosfera terrestre, Yuri Gagarin era finalmente pronto a rivelare la sua vera forza a Toth.

“AHAHAHAHAHA! Come vedi, mio successore privo di qualsivoglia forma di spina dorsale e fede nell’umanità” Stalin ridendo sotto i folti baffi derideva Kruschev, con potenti schiaffi sulla schiena di quest’ultimo che lo facevano sussultare. “Il ragazzo ha una tenacia degna di un vero ceceno! Se fosse nato ai miei tempi, senza dubbio avrebbe preso lui il comando del partito e della nazione! Non certo uno smidollato come te…”

Toth abbassò lo sguardo fissando il suolo.

Endorfina, dopamina, adrenalina, glutammato…

Era possibile per un cervello umano emettere tutte queste sostanze? Le narici del dio erano completamente intasate. La sua mente sovraccarica di informazioni entrò in trance, e alzando gli occhi verso il cielo azzurro che sovrastava l’arena, Toth ispirò profondamente. Ripresosi, gli occhi neri guardavano l’umano assetati di sangue.

“Si! Ma non dobbiamo fermarci qui! Presto Yuri, attaccami!”

Il cosmonauta non se lo fece dire due volte. Porgendo il dito indice in direzione del dio una scossa elettrica in un istante giunse a colpire la divinità.

“Quell’idiota! Ma d’altronde è pure impossibile correggerlo…” Amon constatò deluso poggiando la testa sul pugno chiuso, mentre stava seduto sul proprio trono.

Uno scoppiettare di scintille che rumorosamente si infransero su di una superficie solida fu l’esito del colpo di Yuri. Una gigantesca piuma estesa fino a diventare uno scudo aveva protetto Toth.

“È giunto il momento di mostrarti come mai sono il dio delle arti arcane. La tua mente esploderà dinnanzi alla vastità dei misteri che ti mostrerò…”

Quattro piume erano nella mano di Toth pronte ad essere lanciate. “O finirai per impazzire, come tutti gli altri…”

In quelle ultime parole si poteva scorgere una nota di tristezza, che la divinità ebbe cura di seppellire al più presto concentrandosi su Yuri Gagarin e su come sconfiggerlo.

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Capitolo 3
*** Cold, Uncaring Universe (End) ***


Capitolo 3: Cold, Uncaring Universe

Nell’infinito vuoto dell’universo Amon si aggirava cercando pianeti e sistemi solari degni di attenzione. Cavalcando comete e aprendo varchi nel tessuto stesso dello spazio spiava con cura ogni angolo dell’ultima parte di universo nata. Dall’origine dell’universo erano passati poche migliaia di anni, e formazioni gassose occupavano ogni luogo, e le esplosioni infuocate le quali di tanto in tanto illuminavano le zone più buie, preannunciavano il destino di tale creazione. Un’infinità di calore concentrato in gigantesche sfere infuocate, attorno alle quali la vita sarebbe nata, ricca e abbondante.

Era andato lì per uno scopo ben preciso. Le altre divinità lo avevano avvisato di una strana presenza la quale minacciava di turbare le delicate leggi della loro opera.

Quando trovò lo strano soggetto non gli sembrò affatto pericoloso. Semplicemente se ne stava lì seduto, in un angolino dello spazio a scrivere continuamente. Strani segni, come sagome di animali coprivano un lunghissimo rotolo di papiro sul quale il dio passava giornate a trascrivere parole su parole. Ma quali conoscenze conteneva quel documento?

I simboli brillavano, circondati da fiamme blu ogni volta che venivano completati dalle sapienti mani dell’essere, il quale con precisione millimetrica ricopriva file su file del papiro di quelle scritte.

“Hey! Il mio nome è Amon, e ho intenzione di diventare il Re degli Dèi!” Il giovanissimo dio si presentò allo strano soggetto, con un sorriso smagliante ed una frase talmente ridicola da sembrare uscita direttamente da un fumetto per ragazzini. L’ottimismo di Amon non fu abbastanza per smuovere l’entità piumata davanti a lui, dato che questi continuò a scrivere indisturbato degnando il giovanotto solo di una fugace occhiata, con le due brillanti sfere nere che aveva come occhi, nei quali nessuna luce poteva penetrare.

“Sei proprio noioso! Ma cosa ci troverai di così divertente a scrivere tutto il tempo…” Amon imbronciato si mise a sedere accanto a Toth, il quale continuò diligentemente la propria mansione. A un tratto, la lunga piuma color azzurro si fermò sul rotolo di papiro. L’inchiostro magico smise di fluire dall’utensile che non aveva mai bisogno di ricevere nuovi liquidi per proseguire nella scrittura. Toth girò la testa verso il futuro signore degli dèi sorridendo maliziosamente.

“Oh grande e potente Amon, Signore degli dèi.” Il tono solenne dell’invocazione sorprese Amon, e ancor di più l’inchino della misteriosa divinità a lui aliena. “Mi permetta di diventare la sua guida, il suo tutore.”

L’offerta della divinità piumata fu da subito allettante per Amon. I contenuti del misterioso rotolo ed il potere emanato dall’oggetto lo incuriosivano, e avevano risvegliato tutta l’ambizione contenuta nel cuore del giovane sovrano.

“Questa è un’offerta che non puoi rifiutare.” Gli occhi neri e profondi come l’universo che li circondava assorbivano lo sguardo di Amon, facendogli perdere ogni cognizione del tempo e dello spazio. Potere, sesso, ricchezze. Questo era il destino che lo attendeva se solo avesse avuto il coraggio di accettare la collaborazione di quella strana divinità. Appena Amon aprì le labbra intento a vocalizzare la propria collaborazione, l’essere piumato lo interruppe.

“Il mio nome è Toth. Le mie arti sono al tuo servizio da oggi, e per sempre. Per prima cosa otterrai l’amore della divinità che tanto desideri, e in seguito organizzeremo delle forze con cui ribellarci alla tirannide di Crono!”

Le parole di Toth avevano lasciato Amon esterrefatto. Come poteva sapere già tutto?

Guardando in quegli occhi bui Amon sapeva che avrebbe ottenuto la soluzione ad ogni quesito, la conoscenza necessaria a realizzare ogni suo desiderio e stravolgere completamente il creato.

Ma scrutando in quell’abisso, il timore di perdervisi emerse nella coscienza del Signore degli Dèi. Toth sarebbe stato un prezioso collaboratore, ma poteva davvero fidarsi di lui?

Aprendo le proprie braccia, lunghe piume si estesero all’istante andando a formare delle ali. La luce della stella vicina illuminava il piumaggio di Toth, nel quale ogni colore e sfumatura risaltava in un tripudio artistico in grado persino di confondere e disorientare il giovane Amon. Una barriera di luci bloccava ogni altra percezione non connessa a quel fantastico piumaggio, e la divinità rischio di cadere all’indietro mentre indietreggiava, in parte spaventata da un simile scenario.

Una salda presa da parte delle mani di Toth restituì sicurezza ad Amon, facendolo concentrare sul calore e la forza della presa, e sui duri artigli neri che si estendevano dalle dita del dio della conoscenza.

“Vedrai, mio signore. Questa è solo la prima delle cose che ti sorprenderanno!”

 

 

 

 

 

 

L’elettricità avvolgeva gli arti di Gagarin pronto a combattere, sfruttando l’agilità che la sua nuova armatura gli garantiva. Toth non avrebbe più avuto il predominio assoluto nella velocità d’attacco, ma pensava di compensare sfruttando le piume per attaccare sulla distanza, alternando attacco e difesa con la piuma utilizzata come scudo.

La divinità piumata iniziò a sussurrare parole incomprensibili, il cui solo suono bastò a disorientare Gagarin come se si trattasse di una sorta di ipnosi.

“Attenzione! Toth sta iniziando ad utilizzare la propria magia!”

Le parole di Lilith fecero sussultare il pubblico divino. Questo era un punto al quale lo scontro non sarebbe mai dovuto giungere.

“LOL. L’uccello sfigato che passa le giornate a scrivere deve fare sul serio contro la scimmia in armatura. GG Amon.”

La mano del signore degli dèi era posta sulla propria tempia, mentre con enorme frustrazione leggeva il messaggio inviato dal fratello Seth. L’entità era completamente avvolta da un lungo mantello color scarlatto, ad indicare il suo elemento prediletto, ossia le sabbie rosse del deserto, elemento corrosivo e associato al caos. Non amava parlare ed ogni comunicazione avveniva tramite quel miracoloso apparecchio, la cui esistenza consentiva di condurre una vita sociale attiva senza neppure proferire una singola parola. Seduto tra gli dèi maggiori aveva passato tutto lo scontro a fotografare e postare immagini della battaglia sui social media, deridendo continuamente l’odiato Toth. Tra i due non era mai corso buon sangue: d’altronde, Seth rappresentava il caos ed il disordine, e detestava alla follia l’amore per la conoscenza e la ricerca del compagno, anche se costretto a collaborare con lui in molte occasioni.

Il cyberbullismo di Seth sarebbe continuato mentre instancabili le sue dita sfrecciavano sullo schermo del telefono, producendo quantità impressionanti di meme ad un ritmo insostenibile per qualunque altra divinità.

“Argh!” Il ruggito di rabbia inconfondibile di Sekhmet, dea della guerra e della rovina distolse l’attenzione dall’interminabile battere delle dita di Seth sul proprio telefono.

“Come diavolo si fa a condividere un’immagine con questo aggeggio! Bei vecchi tempi, in cui bastava scrivere una lettera…” Con rammarico pronunciò il discorso nostalgico, mentre impetuosa tentava di individuare la funzione desiderata sul proprio dispositivo. Il povero telefono della dea stava subendo un vero e proprio maltrattamento, mentre questa con le potenti dita lo premeva senza alcuna delicatezza.

I lunghi capelli biondi della dea ondeggiavano disordinati e selvaggi come lei, mentre compiva ampi movimenti con la mano, indice di poca dimestichezza con la tecnologia, per utilizzare il telefono. A muoversi con impeto non erano solo capelli e mani. Anche l’abbondante seno della dea rimbalzando aveva attirato l’attenzione di Zeus, la cui vecchiaia sembrava essere solamente una caratteristica estetica, riguardo a certe questioni. Una luce predatoria si scorgeva nei suoi occhi coperti da rughe, la quale in giorni migliori lo avrebbe portato a fare ben peggio che fissare con insistenza l’oggetto del proprio desiderio.

Sekhmet d’altronde era tra le divinità più belle del Valhalla, e nella top ufficiale stipulata assieme ai suoi amici Apollo ed Efesto si trovava al terzo posto. La muscolatura un po' troppo definita, il temperamento irascibile e l’indossare quasi sempre quelle orrende armature, le quali coprivano le sue forme generose, rendeva per la dea impossibile scalare le classifiche.

Quest’oggi per fortuna indossava un abito bianco aperto al centro, e questa era stata una vera manna dal cielo per gli occhi vecchi e stanchi di Zeus, il quale poteva godersi oltre alle battaglie la bellezza di Sekhmet.

La beatitudine dell’anziano sarebbe durata poco. Una presenza terrificante, anch’essa appartenente ad un dio maggiore, era apparsa accanto a lui. Un’aura terribile lo portò a sudare freddo mentre lento volgeva lo sguardo alla sua sinistra.

“M-Mia adorata bambina!” Con le labbra che tremavano Zeus salutò la divinità dalla presenza spaventosa, cercando di ingraziarsela.

“Guarda un po' se anche oggi, mentre le divinità rischiano la vita, tu non ne approfitti per comportarti da…” Con tono lugubre, la fatidica parola stava per essere pronunciata da Atena. Sentirla dire da parte della sua figlia preferita, nonché secondo posto nella classifica di Zeus, era per lui una sofferenza atroce. Rappresentava l’essere etichettato, sentire tutto il proprio essere impresso da un marchio indelebile, dal quale solo anni e anni di gentilezze potevano forse liberare. Ma ormai era troppo tardi.

“PERVERTITO!”

La potente voce di Atena risuonò per la stanza, mentre Amon si tappò le orecchie sapendo già quale scena si sarebbe presentata.

Con i capelli neri avvolti in una lunga coda, la lunga lancia tenuta sulle spalle e il volto delicato contorto in una smorfia di disgusto, Atena aveva pronunciato la propria sentenza. Sekhmet si girò verso il vecchio capendo subito cosa fosse successo. Lanciando via il telefono iniziò a scrocchiare le nocche, per dirigersi da Zeus.

“M-Ma guarda che fortuna, circondato da belle ragazze…” Le due divinità bellissime avevano bloccato Zeus sul proprio trono, ed il poveretto tentò invano di scusarsi, prima di venire assalito dalle due.

Una luce blu avvolse Toth, e tutto il suo corpo venne coperto da righe nere, impercettibili ad ogni spettatore, prima che queste si aprissero facendo volare via le piume dal corpo di Toth.

Un turbine nero si diresse verso Gagarin bloccandone la visuale. Caricando l’elettricità nei pugni li pose davanti a sé in una posizione di guardia preparandosi al peggio.

Nessuno poteva più vedere niente fatta eccezione per il cumulo nero il quale incontrastato, aveva invaso più di metà dell’arena inghiottendo con la propria oscura presenza il campo di battaglia.

“Non riusciamo più a vedere niente! Chi emergerà da questo scontro decisivo? Qual è il piano di Toth, e come riuscirà Yuri Gagarin a sventarlo?” Il pubblico pendeva dalle labbra rosse di Lilith, in attesa di informazioni da parte di colei che si trovava in mezzo al combattimento, registrando ogni avvenimento e mossa dei due guerrieri.

“Toth si è gettato verso l’avversario! Ma…” Il dio della conoscenza privo di piume, rivelando così un corpo color marrone snello e definito, sparì nel turbine da egli causato.

“Non riusciamo più a vedere niente! Toth è sparito, e potrebbe colpire Yuri in qualunque modo!”

La tempesta piumata sconvolse il pubblico per interminabili secondi. Il nero profondo era l’unica scena, l’unico protagonista di quel lasso di tempo così breve ma al tempo stesso infinito, e nonostante gli dèi avessero fiducia in Toth, era anche vero che questi era giunto a dover utilizzare la propria magia per lottare contro l’umano.

In un istante la tempesta si dissolse. La miriade di piume si spostarono lasciando libera la visuale all’intero pubblico.

“Gagarin è…” Le parole di Lilith furono il primo indicatore della sorte del combattente umano. Con le due braccia nude e profonde chiazze violacee su di esse, era evidente a tutti come Yuri avesse subito un durissimo colpo dal dio, pur riuscendo a difendersi.

“È ancora in vita!” Un grido del migliore amico del cosmonauta terminò la frase della demonietta, restituendo speranza al genere umano.

Yuri Gagarin era ferito, ma sempre in vita. Giunto a far utilizzare a Toth la sua vera potenza, aveva resistito ad un colpo il cui dolore poteva essere avvertito da ogni singola anima presente nel pubblico. Ma niente traspariva da quel casco. Né rabbia, né dolore, né tristezza.

Le emozioni per il genere umano non erano ancora terminate. Da dietro Yuri Toth era apparso improvvisamente, caricando le piume tenute nella mano, preparandosi a lanciarle per infliggere il colpo di grazia.

“Yuri!” Il grido unanime dell’umanità al cosmonauta lo voleva avvisare del pericolo imminente. Tutto il pubblico aveva imparato ad amare quell’uomo, il singolo baluardo a difesa del loro destino. Anche dopo aver perso l’imponente armatura con la quale era entrato in campo, la sua figura nascosta da tute e corazze era stata in grado di infondere sicurezza negli umani, e gli straordinari poteri dei quali aveva dato dimostrazione erano stati sfruttati con abilità. Adesso senza le sue armature, si era trovato in posizione di svantaggio rispetto a Toth, il quale credeva di poterlo definitivamente uccidere.

“Quanto dramma…” La voce del cosmonauta risuonò fino al più buio angolo dell’anima di ogni uomo e donna ad assistere allo scontro. Quella tranquillità, la quale conteneva in sé un minuscolo bagliore di possibilità di rivalsa per gli umani, disturbò profondamente Toth.

L’aria attorno ai due iniziò a cambiare. Il vento aveva ricominciato a soffiare, e Toth sapeva che non aveva tempo da perdere.

“Senti un po', dio della conoscenza. L’avevi previsto questo?”

Quattro vortici si erano formati attorno alle braccia e le gambe del cosmonauta coprendone le ferite. Una pressione fisica e psicologica stava venendo costantemente emessa da Gagarin, quando questi voltò la testa per poter guardare in direzione di Toth.

“Come può un fisico umano resistere a tanto potere…” Il dio della conoscenza in quell’istante lanciò le proprie piume per colpire l’avversario dritto nella testa, sfondandone il casco.

Le piume sfrecciando nell’aria erano intrise di un’energia blu, in grado di piegare le leghe metalliche più resistenti. Giunte in prossimità di Yuri tuttavia iniziarono a rallentare. Una sottile patina di ghiaccio si era formata sui proiettili, i quali a pochi centimetri dal lucido casco nero di Yuri si erano completamente congelati. Bianchi aghi di ghiaccio collegavano le piume ferme nell’aria, facendole risplendere e fissandole al terreno tramite lunghe stalattiti.

Contemporaneamente un mare di fiamme rosse venne emanato da sotto i piedi del cosmonauta spingendosi verso Toth, troppo avanti per poterlo evitare.

“Nella stratosfera la stabilità del clima terrestre è già un lontano ricordo.” Le fiamme si concentrarono tra le mani di Yuri mescolandosi al vento, creando così delle tempeste di fiamme in miniatura le quali roteavano con velocità accrescendo di secondo in secondo il proprio calore.

Fissando le spirali di fuoco con tremenda anticipazione Toth era cosciente di non avere scampo. “Un gelo paragonabile a quello dello spazio più profondo si alterna ad un calore infernale. Cose ne vuoi sapere tu…” Alzando le braccia il colpo stava per essere sparato. Toth pose lo scudo piumato davanti a sé, l’ultima risorsa rimasta al dio della conoscenza per difendersi. “Delle difficoltà di un viaggio atroce come quello di noi cosmonauti!”

Al finire dell’esclamazione di Gagarin due turbini di fiamme andarono ad avvolgere Toth, bruciandone lo scudo di piume e la pelle. Il dio della conoscenza era appena stato ingannato dall’umano suo avversario, e pagava caro il prezzo della propria ignoranza. La sagoma confusa di un’ombra nera la quale si dileguava tra le fiamme, priva di ogni difesa fu l’ultima traccia di lui che il pubblico divino, sgomento, poté osservare.

“Io sono Yuri Gagarin! Conquistatore dell’atmosfera terrestre, colui che per primo ha raggiunto la spazio profondo, superando queste condizioni infernali! Non credere di potermi battere se basta un po' di calore a disintegrarti, Toth!” Avvolto anch’egli da quelle fiamme Yuri aveva trionfato sul dio e l’umanità in coro gettò un grido di vittoria.

Terribilmente provato da quello scontro Yuri si accasciò al suolo, non appena la tempesta ebbe finito di imperversare. Il mare rosso era improvvisamente sparito, e solo delle piccole fiammelle erano rimaste attorno a Yuri, bruciandone la tuta da cosmonauta. Essa rimaneva terribilmente rovinato, e la carne stessa di Yuri era ben visibile al pubblico, apparendo ustionata in svariati punti.

“Quello è stato il prezzo da pagare per un simile potere…” Satan osservava preoccupato Yuri Gagarin. Nella sua mente sapeva bene che non poteva essere finita così.

Nel momento di maggiore gioia per gli umani, una voce risuonò per l’intera arena.

“Io sono il dio la cui conoscenza ha illuminato i periodi più bui dell’esistenza di voi umani…”

Gli occhi erano tutti diretti verso Gagarin, al quale il casco impediva di mostrare qualsivoglia reazione alle provocazioni avversarie. Il pubblico iniziò presto a cercare Toth, conscio che il dio della conoscenza non poteva essere stato ucciso così facilmente.

“Nulla mi sfugge! Tutto di te mi è ormai chiaro!”

L’affermazione di Toth non era un’esagerazione. Questo Amon lo sapeva bene. Il dio della conoscenza poteva contare sulla propria magia combinata alla capacità di manipolare le piume, per ottenere questo effetto: una rete di occhi i quali erano in grado di osservare ogni cosa nello stesso momento, dando così l’illusione di un’onniscienza perfetta alla quale niente e nessuno poteva sfuggire.

Quando il piumaggio si era scomposto lasciando un corpo nudo e apparentemente indifeso, Toth era in realtà già sparito dalla vista del suo nemico.

Un’illusione. Questa era la magia di Toth. Yuri aveva attaccato una semplice copia illusoria della divinità mentre questa si era dileguata altrove.

 Satan mordendosi con rabbia il dito si alzò dal trono sul quale sedeva, e iniziò ad incitare il proprio combattente. “Yuri Gagarin! È finita qui? Tutta la determinazione tua e di Rafael, l’arcangelo che ha deciso di lottare assieme a te, può spingerti solo fino a questo punto? Vuoi davvero permettere che Toth diventi un nuovo limite insormontabile per te, il Conquistatore delle Stelle?”

La pelle bruciata e graffiata, dall’azione delle raffiche di vento e fuoco da lui stesso usate, stava tremando.

“Io non posso più… tornare sulla Terra.” Quelle parole sussurrate da Yuri si scontravano con un istinto primordiale. Ora più che mai Yuri sentiva il bisogno di rialzarsi.

Numerose luci rosse erano apparse nel cielo attorno all’arena. Toth stava per la seconda e ultima volta preparando il proprio attacco dalla distanza. Ben presto un’esplosione avrebbe incenerito Yuri decretando la vittoria di Toth.

Intrappolato in corpo che non riusciva più ad avvertire come proprio, a causa della perdita di sensibilità degli arti, Yuri colpì il terreno con il pugno chiuso, a stento ricoperto da ciò che rimaneva della tuta.

La schiena inarcata dell’uomo iniziò lentamente a riacquisire la propria postura eretta. L’umanità era ancora in piedi, di fronte ad un nemico invisibile dal potere pressoché illimitato. Circondato da ogni lato Yuri osservava il cielo con calma cercando di individuare qualcosa. Il suo sguardo andava però oltre quel luogo e quel momento, e la sua mente era persa nella vastità dello spazio.

“Io in fondo… ho sempre desiderato tornare sulla Terra.” Il cosmonauta prese il proprio casco tra entrambe le mani, toccando la superficie nera. “Io giuro… giuro che riuscirò a tornare!” Gettando via quel residuo della tuta, l’ultima barriera tra le proprie emozioni ed il mondo che lo circondava, Yuri si era finalmente liberato. La tuta iniziò ed emanare una luce rossa, ed i punti danneggiati erano avvolti da una luce simile a quella di una brace non ancora estinta, ma vicina alla propria fine. Le ultime energie di Rafael, l’arcangelo il cui potere era stato donato a Gagarin, stavano venendo impiegate nella costruzione di una nuova armatura con cui lottare.

“Da quanto non ti vedevo, Yuri…” Valentina Goryacheva, la moglie di Gagarin tolse gli occhiali asciugandosi le lacrime. Suo marito non era mai stato così bello. Lo sguardo fiero nonostante numerose ferite, i corti capelli castani spettinati e la fronte perlata di sudore, davano all’uomo uguale a quando era appena rientrato sulla Terra a bordo della Vostok 1. La fatica di un viaggio parso interminabile e la sofferenza impressa nel corpo dell’uomo risuonavano nelle anime del pubblico umano. Ma vi era un particolare diverso rispetto a quando Yuri aveva completato la sua missione nello spazio. Negli occhi blu ghiaccio dell’uomo brillava una fiamma. La fiamma che si era spenta dopo il suo ritorno, quella stessa fiamma il cui calore accendeva il suo animo fin da giovanissimo portandolo a desiderare di raggiungere lo spazio.

Una tuta completamente nera avvolgeva il suo corpo, e le ferite erano state completamente nascoste dall’indumento, dando l’impressione che Yuri fosse ancora fresco per il combattimento.

“Apprezzo come tu abbia deciso di rivelare il tuo volto, Yuri. Sii fiero di morire per mano mia!” I raggi erano partiti da punti molto distanti nel cielo, rivelando così la posizione delle piume.

“Questo non è niente Toth. Devi ancora vedere quanto è grande la vastità del mio sogno!” Yuri piegò le gambe, flettendo ogni singolo muscolo del proprio corpo. In un istante era sparito, lasciando dietro di sé un velo di polvere sollevato da terra.

Toth aveva dato inizio all’attacco facendo inclinare gli innumerevoli occhi puntati sull’arena, per poi doversi fermare: Gagarin non era più visibile sul campo di battaglia.

“Ancora una volta le tue capacità mi deludono. Ti fai sorprendere un po' troppo. Dio non dovrebbe essere onnisciente?” La voce di Yuri fece voltare Toth solamente per fargli incontrare il pugno destro di Gagarin, schivato all’ultimo secondo, rimediando solo un graffio sulla guancia.

Tendendo le ali all’indietro caricò con tutta la propria forza, per poi sbatterle emanando una ventata verso il suo avversario intento a galleggiare nell’aria mentre aspettava di ricadere al suolo.

Un arcobaleno composto da quelle enormi ali fu la barriera tra Yuri e Toth, arrivato così vicino all’avversario rimbalzando di piuma in piuma sfruttando nuovo potere appena acquisito. Il dio della conoscenza era appena fuggito, e le piume stavano nuovamente cambiando inclinazione verso la posizione attuale di Yuri.

“Non è possibile!” Gridò il dio toccandosi con uno degli artigli il sangue che colava dalla piccola ferita sul viso. Non poteva accettarlo. L’umano era nuovamente risorto dalla cenere, e aveva spiccato il volo per raggiungerlo. Come poteva essere spinto fino a tanto? Perché persisteva nella propria voglia di lottare? Lo stesso umano che aveva iniziato lo scontro assopito dall’accidia e la noia più completa aveva raggiunto il cielo, superando le fiamme, le illusioni, il gelo ed il vento.

Un nuovo attacco stava per raggiungere quell’umano da tutte le direzioni. Ma quegli occhi color ghiaccio fissavano Toth carichi di determinazione, mentre il pugno di Yuri Gagarin si stringeva davanti al proprio corpo, in direzione del dio come se stesse tentando di afferrarlo.

Qualcosa che Toth aveva deciso di dimenticare molti secoli or sono emerse dall’abisso della propria coscienza. Quella tenacia l’aveva già vista innumerevoli volte nel corso della storia umana.

Disperati disposti sacrificare i loro fratelli per potersi garantire la sua benevolenza. Seguaci che ne imitavano goffamente l’aspetto con ridicoli indumenti divenuti simbolo della regalità e del potere per gli umani. Poveri illusi tormentati dalla brevità e durezza delle proprie esistenze, disposti a seguire gli insegnamenti di uno sconosciuto che prometteva loro la vita eterna in un mondo perfetto. Quante anime si erano vendute a Toth sulla Terra? Sulle spalle di quelle persone si trovavano i sacrifici e gli stenti di deboli creature ansiose di potersi avvicinare alla statura di chi percepivano come superiore a loro. Eccolo! Quel desiderio! Quella brace quasi spenta, visibile negli occhi degli ultimi umani visti da Toth in persona, era diventata un incendio dentro al cuore di Yuri Gagarin!

“Toth. Sono giunto fino al cielo per poterti pestare a sangue!” Yuri si stava rivolgendo al proprio avversario gridando, facendo sì che anche da lontano il dio potesse sentirlo. “Quello che vedi è la mia ultima armatura. Questo potere è il frutto di secoli di studio nei campi dell’ingegneria, della fisica, della meccanica.” Il corpo di Yuri cadde ad una velocità ancora maggiore verso il suolo, sfuggendo dalla vista di Toth.

Giunto al contatto con il terreno un tonfo richiamò l’attenzione del pubblico il quale notò subito come Yuri fosse ancora vivo e vegeto, ed in posizione per un nuovo lancio. Toth osservava l’umano, un piccolo puntino nero dall’alto preparandosi a quello che sembrava essere lo scontro finale tra i due.

“Lo spazio che fin da giovane mi chiama a sé! In questa armatura persino le sue proprietà sono sotto il mio controllo!”

Un impatto risuonò quando Yuri saltò nuovamente verso Toth. Una cometa nera a velocità incredibili stava risalendo dal basso.

“È proprio come…”  Buzz Aldrin, vestito per l’occasione con la tuta da astronauta bianca con sopra ritratta la bandiera americana, osservava stupefatto il particolare lancio di Yuri.

“Sì… il nostro Apollo 11!” Noto a tutti per il suo sangue freddo, neppure Neil Armstrong poteva trattenere le proprie emozioni in quel momento storico, e con le lacrime agli occhi osservava Yuri volare in alto a velocità pazzesche.

I sentimenti che tali situazioni suscitano nel cuore di un astronauta non possono essere eguagliati da nient’altro al mondo. Un viaggio per realizzare i propri sogni, che per un umano sono tanti quante le stelle nel cielo. Neppure la vastità dell’universo potrebbe contenere i desideri celati nel cuore di ogni singolo uomo sulla Terra.

“Milioni… ma cosa dico. Miliardi spesi per spedire una scatola di metallo con un uomo al proprio interno nel freddo e nella desolazione del vuoto cosmico. Tutto questo… Ha finalmente un senso!” Con le lacrime agli occhi Sergej Korolev, l’uomo a capo del programma spaziale sovietico e colui che più di tutti sentiva come una missione battere gli odiati Stati Uniti nella corsa allo spazio, ammirava quello spettacolo.

Toth non ebbe modo di rendersi conto di quanto stava accadendo, e con due piume ingigantite davanti a sé si preparava ad attutire il colpo. Rimase di stucco quando l’umano gli passò accanto, rompendo la barriera del suono, con ma proseguendo nella propria ascesa.

“Yuri continua a salire! Cosa starà mai pianificando? Intende forse raggiungere le stelle?” Lilith guardava la cometa nera sfrecciare sempre più in alto. Quello spettacolo aveva completamente eclissato Toth, rimasto a difendersi. Quest’ultimo riorganizzò le proprie piume, disperse ai quattro venti in modo da formare diversi strati per poter sia attaccare l’avversario che difendersi.

Quattro piume delle più grandi, quelle che contenevano la maggior parte del suo potere erano state trasformate in scudi i quali orbitavano attorno al dio, proteggendolo da colpi ravvicinati. Due piume si erano allungate e strette, facendo emergere dalla propria forma spine e lame affilate, pronte a tagliare qualunque punto del corpo di Yuri avessero toccato. Tutto il resto del suo piumaggio era andato a comporre le ali color arcobaleno, lasciando scoperto il fisico di Toth, donando alla divinità un aspetto simile ad un umano. I capelli neri corti ed il fisico color marrone lo rendevano indistinguibile da un comune abitante dell’Egitto, se non fosse stato per gli affilati artigli che esibiva.

Yuri aveva terminato la propria ascesa, bloccandosi nel firmamento come una stella oscura. Il puntino nero iniziò ad essere avvolto dalle fiamme, e ad irradiare una luce bianca.

Ossigeno che brucia, anidride carbonica e monossido di carbonio. Formazioni gassose che acquisiscono consistenza. Venti che soffiano da tutte le direzioni. Quello che aveva davanti non era più un semplice essere umano. Quel corpo celeste iniziò a precipitare verso Toth, il quale assunse una posizione di guardia.

Schiantandosi a quelle velocità Yuri aveva intenzione di sfruttare al massimo il potere della tuta nera: il monopolio della gravità. Con il balzo e nei momenti in cui si era destreggiato nel volo, aveva calcolato un raggio di cinque metri dal suo corpo in cui aveva completo controllo della gravità. Lo scontro si sarebbe concluso solo raggiungendo Toth e sottomettendolo fisicamente.

La barriera di piume costruita dalla divinità a propria protezione ottenne un ulteriore contributo. Un bagliore blu venne emanato dal dio, avvolgendo il campo di battaglia. In un istante lo scenario si era ulteriormente complicato per Yuri.

“OMG fermate subito questo scempio. Non ne sopporto uno solo, figuriamoci un intero esercito di cloni!” L’ultimo messaggio postato da Seth riassumeva perfettamente la situazione.

“Signore e signori! Siamo agli sgoccioli! Sarà l’esercito di Toth a trionfare oppure…” Lilith non riuscì a terminare la frase, quando l’immensa luce proveniente dall’alto la spinse a correre via dall’arena, facendosi largo tra i Toth disseminati su tutto il campo di battaglia. Questi erano tutti armati come il corpo originale, ed i colori dell’esercito dalle armi turchese contrastavano con quelli di Gagarin avvolto dalle fiamme rosse della propria furia.

Giunto a pochi metri di distanza dall’avversario Yuri contava di bloccarlo nella propria posizione in aria e riuscire a disarmarlo. Dietro a Toth l’intero esercito era giunto, ed ogni singolo corpo con perfetta sincronia tendeva verso l’alto le proprie armi, allo scopo di trafiggere le carni del cosmonauta. Una barriera di nubi lucide si pose tra Yuri ed i corpi di Toth, le quali si congelarono assumendo consistenza solida.

Poggiatosi sopra le strisce di nubi di ghiaccio orbitanti sopra l’arena, Yuri attivò il potere della gravità. La cupola gigante di gelo iniziò a cadere sopra l’armata dell’avversario che tentò disperatamente di raggrupparsi. Lo spessore delle nubi impediva però che i colpi di lama giungessero a Yuri, il quale stava usando tutte le sue forze per resistere al gelo che avanzava nel suo corpo, congelandolo dall’interno. La tuta nera che copriva le sue gambe aveva cambiato colore, e la brina sommergeva completamente gli arti dell’umano.

“Yuri è riuscito ad intrappolare Toth con una trovata davvero geniale! Riuscirà il dio della conoscenza a liberar… Etciù!” Lilith poteva percepire il gelo che aveva avvolto l’arena fin dagli spalti dove si trovava. Poco sopra di lei si trovavano le divinità maggiori, in ansia per quanto stava accadendo.

“Ora non darai più fastidio a nessuno, giusto paparino?” Baciando Zeus sulla pelata, Atena era riuscita a punire duramente il padre per via della sua perversione, assieme alla dea Sekhmet. Il vecchio dio si trovava sdraiato per terra, pieno di lividi sopra di lui stavano sedute le due divinità femminile ribellatesi alla tirannide del dio più perverso del Valhalla.

Tutto ciò ovviamente era solo una farsa. Zeus VOLEVA essere in tale posizione. Nessuno avrebbe mai sospettato un tale tranello: spingere le divinità ad ingaggiarlo in uno scontro corpo a corpo per poi finire sotto i sederi di entrambe, illudendo le due che questo costituisse per egli un atto di umiliazione. Niente di più lontano dal vero. Ansimando più dal piacere che dalla fatica, il vecchietto si era goduto un meraviglioso scontro pieno di emozionanti palpeggiamenti eseguiti con eccezionale rapidità, veloci quanto i suoi colpi in battaglia, in grado perfino di superare il tempo stesso…

“Il fratellone Toth non perderà mai!” Dal temperamento infuocato, Apollo protestava sonoramente per quanto stava accadendo sotto i loro occhi. Per lui, la più giovane delle divinità maggiori tutti i suoi compagni erano delle vere e proprie leggende, perfette sotto ogni punto di vista. Toth in particolare lo aveva sempre divertito con le proprie illusioni, ed i due erano diventati buoni amici quando secoli prima vagavano sulla terra in cerca di umani da imbrogliare.

“Oh, no. Toth non perderà.” La voce di Amon era seria mentre guardava lo scenario della cupola gelida sopra l’arena. “Se Yuri Gagarin è diventato una stella in questo scontro… Toth è l’universo intero.”

La fatalità espressa da Amon circa le sorti dello scontro sembrò profetica, quando sotto al punto in cui si trovava Yuri una luce rossa iniziò a risplendere. Si trattava dell’attacco eseguito dalla miriade di piume all’unisono, concentrato in un singolo punto della cupola per poter creare un passaggio dal quale emergere. Notando ciò Yuri si spostò dal punto, quando il raggio rosso riuscì finalmente a spaccare la superficie della cupola. Il fumo saliva dal buco sulla cupola, e da quel foro emerse la sagoma di Toth.

“Non vi è condizione climatica in grado di scalfire un dio, Yuri. Arrenditi all’evidenza…solo tu stesso, come tutti gli umani, subisci inerme queste calamità che cerchi di sfruttare per battermi!” Come un lampo blu il dio balzò in avanti con la lama protesa. L’arma giunse a tagliare il fianco di Yuri, non abbastanza svelto da evitare, principalmente a causa delle gambe ormai irrimediabilmente perdute a causa del congelamento.

Trafitto da un lato all’altro, Yuri Gagarin era riuscito a stringere il corpo di Toth accasciandosi su di esso, approfittandosi degli scudi sollevati per l’attacco del dio.

“Yuri è stato ferito mortalmente! Questo è un momento di svolta nell’incontro! Uomo e dio non sono mai stati così vicini dall’inizio del combattimento!” La voce di Lilith assieme all’immagine del campione umano in quella precaria posizione gettarono nella disperazione gli umani.

Sollevato dal dio il corpo di Yuri sembrava aver perso ogni traccia di vitalità. La fiamma si era estinta.

“Ehehehe…”

Una risata risuonò vicino all’orecchio di Toth, che sbarrò gli occhi profondamente turbato da questa.

“Forza, Toth… è il momento di partire per il nostro viaggio…” Alle parole dell’umano, Toth non capiva. Tentò immediatamente di scrollarsi il corpo dissanguato di Yuri di dosso, ma questi era saldamente attaccato alla divinità. Il potere della gravità aveva fissato i corpi assieme come un collante, e nessuna forza li avrebbe mai separati.

“Ce l’ho fatta… Ho raggiunto la Terra.” Lo sguardo di Yuri era sereno, mentre pronunciava queste parole. Ripensava agli amici cosmonauti con i quali si era addestrato. Al fratello ed al padre, i quali lo avevano sempre incoraggiato. A sua moglie che nei momenti più bui della sua esistenza non lo aveva mai abbandonato.

Mentre il ghiaccio si era preso le sue gambe, lui continuava solo a sentire il calore di tutte le persone importanti nella propria vita. Questa era la fiamma che animava Yuri Gagarin, la quale niente avrebbe mai potuto spegnere.

Toth era paralizzato. Non voleva accettare che lui stesso, il dio della conoscenza signore delle arti magiche illusorie, la luce posta ad illuminare le menti di dèi ed umani in questo buio e misterioso universo, aveva in sé una parte a lui stesso sconosciuta. Una parte carica di emozioni contrastanti, ricca di quelle contraddizioni che solo un umano o uno degli sciocchi dèi suoi fratelli poteva possedere. Toth era in conflitto con sé stesso, riguardo a questo scontro e a tutto il torneo. L’essere umano che si trovava davanti abbracciato a lui, Yuri Gagarin, era stato più esplosivo di una supernova, più interessante di qualunque reazione chimica il suo olfatto potesse annusare. Ciò che stava reagendo di fronte a questo nuovo tipo di stimoli non era la sua mente assetata di conoscenza, per la quale Toth era sempre stato uno schiavo. Neanche lui sapeva definire questa sensazione.

“C… cosa vuoi fare?” Queste furono le uniche parole che Toth nel mezzo della confusione più completa.

Avvicinando la testa all’orecchio della divinità, Yuri sussurrò: “Hai ragione Toth. Noi umani non possiamo opporci alle dure condizioni che l’universo in cui viviamo ci impone. Gelide tormente, torride tempeste di calore, assenza di gravità e freddo siderale… Ma è proprio per questo che dobbiamo allenarci a sopportare tutto questo nella nostra breve vita. Imparare a resistere a questo potere, studiarlo e riuscire ad incanalarlo…”

Un colpo di tosse sfuggì a Yuri, macchiando di sangue la schiena dell’avversario.

“Questa è la legge del nostro pianeta!”

Conclusa la frase, una scarica elettrica partì dal corpo di Yuri illuminando la superficie della cupola la quale stava iniziando a cedere, senza più essere alimentata dai poteri dell’umano. Le superfici cristalline riflettevano la luce, ed un’onda bianca investì gli occhi di ogni spettatore impedendo la visione.

“Ma cosa diamine…! Toth, come puoi permettere questo?!” Amon iracondo si alzò dal trono dovendosi poi coprire immediatamente gli occhi.

“Non riusciamo più a vedere niente! Questo è un esito del tutto inaspettato! Ehy! Che nessuno cerchi di palpeggiarmi capito!?” L’ansia di Lilith, come quella di tutto il pubblico era al massimo, ma dopo pochi secondi la vista venne restituita a tutti. Una puzza di carne bruciata accolse le narici degli spettatori, riportandoli alla dura realtà.

Lo scenario dell’armata di Toth e della cupola gelida monumentale erano un ricordo distante, e nell’arena niente di tutto questo era rimasto. Solo i due corpi di Toth e Yuri Gagarin si trovavano vicino al centro del campo di battaglia, accasciati al suolo dopo essersi separati.

Un secondo. Due secondi. Tre secondi.

E poi venti, trenta. Un intero minuto era passato, quando entrambi i duellanti iniziarono a sollevarsi da terra.

“Sono sempre in vita, incredibile!” La commozione nella voce di Lilith era grande, e spinse il pubblico intero ad applaudire. Un rimbombare di esultanze e cori d’incitamento erano tornati a fare da padroni all’atmosfera dell’arena, piombata nel silenzio nel momento di maggiore tensione.

Lo scontro era però quasi giunto al termine. I due corpi martoriati, un residuo degli splendidi lottatori entrati nell’arena avevano affrontato un’autentica epopea fatta di attacchi magici e fisici, nonché psicologici. La psiche dei due era cambiata per sempre dopo questo duello, indipendentemente da chi avrebbe finito per vincere. Vittoria… quanto poteva dire questa parola, in fondo? Due individui valorosi, il meglio che umani e divinità avevano a disposizione, si erano affrontati all’ultimo sangue facendo valere ciascuno i propri valori e ideali. Era giusto giudicare sia uomini che divinità sulla base di simili scontri…?

Le risposte a queste domande dovevano attendere. I due guerrieri erano l’uno di fronte all’altro.

Toth stava in piedi, con il corpo bruciato e le piume carbonizzate, fatta eccezione per la singola lama rimasta, impugnata con due mani per la grande fatica. Barcollando si preparava ad infliggere il colpo di grazia.

Yuri era mezzo nudo, con buona parte della propria armatura persa nell’attacco. Ustioni da caldo e freddo, assieme a bruciature coprivano tutto il corpo. Gli occhi blu fissavano Toth che lento si dirigeva all’attacco. Il fianco perforato aveva smesso di sanguinare, ma la carne era ancora aperta e dolorante. Trascinandosi con il solo ausilio delle braccia, si preparava a concludere lo scontro.

Giunti a distanza ravvicinata, Toth osservava l’umano strisciare verso di lui con grande determinazione.

“La vastità della mia conoscenza… rende il mio intelletto uno specchio dell’intero universo. Illimitato, inscrutabile. In questa profondità…” Guardava Yuri in modo serio e impassibile, ma la voce tradiva una tristezza malcelata dal dio. “Niente può avere realmente importanza. Neppure una stella brillante come te, Yuri Gagarin.”

Il pubblico sussultò.

Con un’esplosione fiammante, partita dal braccio sinistro, Yuri si era gettato in aria e stava ripiombando sopra il suo avversario.

“Quella stupida stella… non vuole saperne di spegnersi!” Amon frustrato sentenziò. Gli dèi si limitarono ad osservare in silenzio un tale spettacolo. Toth non era ancora riuscito ad uccidere l’umano, anche dopo essersi ridotto in queste condizioni.

Toth volse lo sguardo in aria. Sopra di lui, Yuri teneva strette le sue mani in un singolo pugno, nel quale le ultime energie elementali dell’umano convergevano. Aria, fuoco, ghiaccio ed elettricità. Quel singolo colpo non era niente a confronto di quanto il pubblico aveva visto precedentemente nello scontro, ma agli occhi di Toth, quel colpo appariva come lo stesso pianeta Terra pronto a schiantarsi su di lui.

Toth chiuse gli occhi per la paura, spingendo con la lama verso l’alto sperando di colpire Yuri, il quale aveva a sua volta le palpebre chiuse. Ma per la gioia.

“La Terra… è proprio qui con me.” Gagarin sorrideva mentre nella sua mente si susseguivano rapide immagini della vita con le persone a lui care.

La lama passò attraverso il corpo di Yuri Gagarin, trapassandolo, ma non prima che il pugno di questi ebbe impattato sulla spalla di Toth facendolo cadere in ginocchio.

Il dio aveva trionfato sull’umano… ma a quale prezzo?

Lilith rimase paralizzata per qualche secondo, per poi decretare la fine dello scontro: “Signore e signori! Siamo giunti alla fine del primo scontro… Vince Toth, segnando così la prima vittoria delle divinità!”

Sonori applausi inondavano i sensi di Toth, aiutato a rialzarsi da Lilith appena rientrata in campo. Quella gloria però non gli apparteneva. Uscendo dall’arena il dio pensava ancora agli ultimi istanti di quella persona da lui uccisa. Il dolore nella sua spalla si fece sentire, finita l’adrenalina dello scontro.

Nel mezzo del campo di battaglia, il cadavere di Yuri Gagarin impalato sopra quella lama terrorizzava e faceva disperare gli umani. L’atmosfera di disfatta era calata sul genere umano, e quel corpo un monito per la hubris dimostrata dal guerriero. Tutti gli sforzi e i sacrifici si trovavano sopra a quella lama assieme a Yuri.

Satan ringhiando batté un pugno sul balcone in pietra che circondava la propria corte, posta in opposizione a quella degli dèi, nella quale si tiravano sospiri di sollievo e si stava già festeggiando per la vittoria. Con le ali nere avvolte attorno al proprio corpo, Satan si teneva una mano sulla fronte sorreggendosi il capo. Voleva sprofondare nell’oscurità più profonda degli Inferi, il luogo dove era stato relegato per l’eternità dagli dèi. La morte del proprio guerriero aveva fatto riprendere il signore del male dal proprio sogno di ribellione. In questa guerra, mascherata da torneo nel quale sportivamente umani e divinità avrebbero combattuto quasi per gioco, molte anime sarebbero state perdute per sempre. Il niflheim, il processo tramite il quale un’anima viene completamente annichilita dopo la propria morte fisica nel torneo, stava avendo luogo sotto gli occhi spenti dell’umanità.

Il corpo del cosmonauta si stava dissolvendo in numerosi frammenti i quali salivano verso l’alto, assieme ai residui dell’armatura, ossia il fratello di Satan che si era offerto di scendere in campo assieme a Gagarin: Rafael, l’arcangelo della guarigione.

 

 

 

 

 

 

Quell’umano dev’essere un individuo proprio triste… Ma non ti preoccupare, fratellone!” Il piccolo angelo dalla folta chioma riccioluta, una perfetta rappresentazione di come l’umanità avesse sempre immaginato gli angeli secondo i propri canoni di bellezza idealizzati, si dimostrava convinto all’idea di combattere a fianco di Yuri Gagarin, il Conquistatore delle Stelle.

Scarruffando i capelli del fratellino, molto più piccolo ed esile di lui, Satan sorrise in maniera apprensiva, come una madre che sa di dover lasciar correre qualche pericolo al proprio bambino, pur di vederlo maturare ad acquisire esperienza del mondo. Vedendo il bambino trotterellare davanti a sé, Satan pregava in cuor proprio che tutto andasse bene.

 

 

 

 

 

 

Sentendosi responsabile di quella morte, Satan sapeva come non poteva lasciare che questa determinazione andasse perduta per sempre. Era il momento di scegliere il secondo combattente per il Ragnarok, data la selezione che prevedeva come ogni due sfidanti l’iniziativa sarebbe passata da una parte all’altra. Ovviamente i primi due combattenti sarebbero stati scelti per primi da Satan, in quanto sfidante delle divinità.

Scorrendo con il dito ancora sanguinante per i morsi sullo schermo davanti a sé, con l’elenco di tutte le avanguardie dell’umanità, Satan era ancora indeciso su chi avrebbe inviato a combattere.

“Argh! Lilith… Ho bisogno di andare nel mio laboratorio. Devo affrettarmi ad assumere qualche filtro…” La demonietta osservava il viso segnato dal dolore della divinità mentre questi con il braccio avvolto attorno a lei si faceva trascinare via dal campo di battaglia.

A un tratto Lilith sentì gocciolare sulla propria spalla, ma non ebbe tempo di girarsi, che il braccio sinistro di Toth si era staccato dal resto del corpo, cadendo a terra con un tonfo mentre dalla spalla del dio le ossa spezzate spuntavano fuori dalla carne sanguinante.

“Accidenti Toth! Sbrighiamoci… sono sicura che riuscirai a guarire, e a riattaccare il tuo braccio! Chiamo subito i soccorsi!” Nel panico la succubus si mise a gridare in cerca di aiuto, mentre ragionava su cosa fare del braccio staccato. Toth nonostante la menomazione subita era ancora perso tra i propri pensieri.

“Avevo proprio dimenticato… quanto voi foste, tutti…” La voce di Toth si ruppe quando egli pronunciò le ultime parole: “Un vero spasso.”

“Lascia stare…” Con un gesto della mano Toth indicò a Lilith di fermarsi e lasciare il braccio per terra.

Anche se gli umani avessero perso, anche dopo millenni dalla loro estinzione… Lui avrebbe ricordato questo momento. La menomazione subita sarebbe rimasta impressa nella sua carne come un monito al valore ed il coraggio mostrato dagli umani in quel torneo. Un sorrisetto apparse sulle labbra di Toth, prima che questi con la lunga lingua leccasse via le tracce di sangue che si trascinavano dalla bocca verso il basso.

 

 

Un ringraziamento speciale a tutti quelli che mi sono stati vicini nella stesura di questo primo scontro, il primo di una lunga serie. Spero abbiate la voglia, e che questa fanfiction possa trasmettere perlomeno una piccolissima parte dell'epicità dell'opera originale.

 

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Capitolo 4
*** Poor Man's Choice ***


Capitolo 4: Poor Man's Choice


Rabbia. Una singola parola poteva riassumere perfettamente ogni emozione che si agitava nel cuore del pubblico umano in quel momento: una tale furia, tipica di chi prova rancore per un nemico indicibilmente più potente si esprimeva con grugniti, grida e lacrime. I versi e i lamenti della debole umanità imponente davanti alle verità inaccettabili della sconfitta e della morte giungevano alle orecchie di Satan, l’unico baluardo tra le esistenze divine più potenti ad aver sempre ascoltato i rimpianti e le delusioni del genere umano.

Anche esseri deboli e corrotti come loro potevano trionfare sulle avversità. Questa furia che Satan percepiva e la quale riempiva di energia i suoi muscoli, facendo emanare dalla sua possente figura particelle di energia scarlatta le quali risaltavano sull’armatura completamente nera come delle stelle in un cielo buio. La figura inquietante del signore del male rappresentava per tutta l’umanità l’unico punto di riferimento in questo oscuro momento, ma nessuno riusciva a scorgerlo dagli spalti, aspettandosi dal proprio salvatore un discorso, o quantomeno un qualunque riconoscimento per l’eroica morte del primo guerriero dell’umanità.

Sentendosi abbandonati come mai prima d’ora, gli umani erano uniti in questa sofferenza, una fredda indifferenza proveniente dall’alto. Le loro preghiere sarebbero state ascoltate a loro insaputa, o l’ennesima delusione, un semplice idolo fittizio si era presentato davanti a loro promettendo vittoria, solo per intrattenersi trattandoli come un gioco per soddisfare il proprio sadismo?

Un rumore di carni spiaccicate giunse alle orecchie di Satan mentre questi giungeva nel luogo dove l’avanguardia della umanità era confinata in preparazione dello scontro.

L’immonda creatura dalla pelle rossa come il sangue, coperta da vene pulsanti che con incredibile velocità trasmettevano sostanze e stimoli ai possenti muscoli dalle dimensioni sovrumane, aveva aperto le braccia e teso le gambe.

I piedi dai quali lunghi artigli affilati protendevano spinsero in avanti, per far poggiare con le molteplici braccia la creatura a terra: l’abominio era dotato di numerose appendici con le quali attaccare e tramortire l’avversario. Al posto di una mano cresceva un osso ricurvo e affilato, il quale si divideva in due sezioni tramite le quali impalare la vittima. Un'altra mano consisteva in un pugno chiuso dalle nocche ricoperte da escrescenze ossee, le quali rendeva la mano bloccata in quella posizione di attacco perennemente pronta a schiacciare con la propria potenza ogni opposizione.

Il volto di una tale belva non dava l’impressione di una creatura violenta. Le orbite vuote, distorte in una smorfia di dolore e agonia consentivano di osservare dentro al cranio dal quale sangue fresco veniva pompato costantemente fluendo all’esterno, portando l’essere a piangere costantemente lacrime scarlatte.

L’emorragia affliggendolo non lo rallentava. Nel suo pesante incedere la creatura ruggiva e spalancando la bocca, l’interno della quale era tappezzato di denti che giungevano fino a dove l’occhio potesse osservare, si dimostrava desiderosa di ottenere nuova forza divorando il proprio avversario.

Pochi metri distanziavano i due gladiatori infernali in questo combattimento. Su questa piana ricoperta da cenere e lapilli ancora caldi, un uomo dalla pelle marrone e dal torso completamente nudo aveva assunto una posa da combattimento insolita, con le braccia allargate e le mani che piegate si alternavano nel raggiungere il torace mentre l’uomo spostava il peso da una gamba all’altra, molleggiando.

Spingendo con la gamba destra portata all’indietro la forza accumulata si riversò nel torace. Contraendo gli addominali tutta la potenza dell’uomo si sprigionò in un balzo il quale lo portò a volare verso il mostro.

Una sagoma sfocata troppo rapida per poter essere avvistata chiaramente non diede alla creatura il tempo di reagire.

“Basta giocare, Besouro. È giunto il momento di lottare contro un degno avversario.”

Dopo essere riapparso dietro al demone con il quale stava lottando, Besouro Mangangà si incamminò con nonchalance verso l’angelo caduto. La propria espressione continuava a dimostrare apatia verso tutto quello che stava accadendo, e inarcando un sopracciglio davanti a Satan si lamentò: “Se le divinità sono forti tanto quanto questo demone, il meglio che le armate infernali possono offrire…”

Tagli e ferite iniziarono ad aprirsi sul corpo del demonio. Gocce di sangue caldo toccavano la terra per inondare completamente l’area circostante spruzzando a fiotti. Sui muscoli gonfi apparvero in rapida sequenza segni di pugni sferrati, i quali comprimevano la carne e le ossa dell’essere mostruoso schiacciandone l’enorme corpo. La pressione dei colpi fece esplodere i vasi sanguigni rigonfi del demone portando l’intero corpo a strapparsi mentre questi non poteva neanche più esternare il proprio dolore, avendo i propri polmoni appiattiti e svuotati dalla pressione soffocante che Besouro aveva esercitato.

Degli schizzi di sangue timidamente giunsero al suolo vicino al combattente, mentre questi osservava con disprezzo la scena che si stava svolgendo alle proprie spalle.

“Non ne vale proprio la pena.” Osservando Satan negli occhi Besouro aveva già dato la propria risposta a questo torneo. Il massacro per il quale era stato scelto non lo entusiasmava tanto da spingerlo a lottare con tutte le proprie forze.

“Desideri quindi che l’umanità… si sottometta quietamente al volere degli dèi?” Abbassando lo sguardo Satan pronunciò queste dure parole al capoerista brasiliano.

“Ci siamo meritati tutto. Dalla più piccola morte insignificante al più grande genocidio, noi umani abbiamo compiuto peccati innominabili.” Con la freddezza insita nella propria voce Besouro esternava la dura conclusione che aveva raggiunto dopo una vita passata in mezzo alla miseria e alla violenza.

“Besouro.” Poggiando la mano coperta dall’armatura, le cui lunghe dita di ferro premevano sulla pelle di Besouro con forza, Satan rispose con tono infuriato al combattente.

“Non vuoi tornare ad essere libero, per un’ultima volta? Non desideri compiere questo atto di ribellione, non per te stesso ma per l’umanità intera che desidera soltanto continuare a vivere?”

Lo sguardo spento di Besouro fissava il suolo. Sentiva la mancanza dei suoi studenti, ragazzi e bambini poveri quanto lui ai quali l’unica cosa che potesse offrire, in quel mondo corrotto e devastato dall’avidità degli uomini era la capoeira. Un modo per difendersi dalle insidie del mondo tonificando il corpo e la mente, accrescendo con ogni calcio e pugno la fiducia in sé stessi. Voleva tornare a sentire l’aria fresca che soffiava sul porto della propria città d’estate, il gridare dei bambini che litigavano per le strade.

Una lacrima cadde bagnando la terra, pulendo il sangue versato nel corso della breve lotta di riscaldamento.

Guardando davanti a sé Besouro incontrò gli occhi rossi di Satan. In quello sguardo deciso poteva intravedere la durezza dello sforzo che avrebbe dovuto sostenere. Una delle avanguardie dell’umanità aveva lasciato per sempre questo mondo e con essa un frammento della speranza a guidare l’umanità si era spento.

Questi momenti di libertà indipendentemente da cosa avrebbero portato, sarebbero stati i più importanti di sempre per Besouro.

Una luce proveniente dall’alto strinse l’umano e l’angelo in un anello bianco, nella quale una figura aliena apparve. Un suono di metallo stridente accompagnava le parole di quell’entità. La luce si rifletteva sul suo corpo metallico dalle sembianze di una giovane donna dal fisico slanciato. I morbidi capelli ondeggiando lasciavano il posto a punte e lame, le quali coprivano la schiena della ragazza. Lance, spade e coltelli, mazze chiodate e falci. Ogni genere di arma proteggeva il dorso della ragazza rivelandone la duplice natura: la parte anteriore del corpo era attraente e perfetta, ma dietro di lei una foresta di lame ne rivelava la pericolosità.

“Non temere umano. Io sono Thronos la Giustizia, l’angelo che ti aiuterà nel tuo scontro.”

Tendendo la sinuosa mano verso Besouro l’uomo mostrava una certa titubanza, notando come sul braccio fossero spuntate allargandosi piccole spirali affilate, come delle falci a rivestire l’arto in un elegante guanto di metallo.

Guardando lo sguardo rassicurante di Satan Besouro strinse la mano di Thronos, mentre le lame estendendosi stavano per ricoprire anche il proprio braccio. Una luce avvolse i due per fondere definitivamente i loro corpi.

 

 

 

Oh my god!”  Esclamò con enfasi Yaldabaoth mentre aggiornava con il proprio pc una delle innumerevoli storie pubblicate, aggiungendo un nuovo capitolo a quella che era diventata una saga epocale, la quale si trascinava da più di quattrocento capitoli.

“Gli umani ci hanno messo contro uno schiavo anonimo che lotta ballando. OMG.” Seth tratteneva a stento le risate sotto al cappuccio che copriva il volto.

Indubbiamente il prossimo lottatore sarebbe stato un individuo eccezionale, per far riprendere gli umani dalla sconfitta subita nel primo round. Eppure, nella scelta enunciata da Satan di schierare in campo una figura del genere, gli dèi faticavano a prendere seriamente l’andamento del torneo.

Amon ponderava le sue possibilità, ben consapevole di quanto accaduto dietro le quinte. Nessuno a parte lui sapeva quanto fosse accaduto a Toth dopo lo scontro, ma sotto gli occhi di ogni divinità il dio della conoscenza era stato trascinato via dal campo di battaglia dopo uno scontro massacrante, nel quale aveva rischiato la propria vita.

Gli dèi stavano festeggiando, ma nell’animo di ognuno di loro un terribile presentimento aleggiava temporaneamente ottenebrato dalla gioia della vittoria.

“Amon…” Una voce di ragazzo dolce e delicata distolse Amon dai propri pensieri. “Il fratellone Toth sta bene… vero?”

Apollo con tono timoroso poneva questa domanda, l’unico tra le divinità a mostrare sincera preoccupazione per quanto avesse visto. Essendo il più giovane e al tempo stesso la più insicura tra le divinità dei Maggiori, Apollo aveva iniziato a temere per la propria vita. Un singolo umano aveva fatto quello ad una divinità che lui reputava come irraggiungibile… Cosa sarebbe successo a lui?

Con un singolo gesto tutti i dubbi di Apollo vennero messi a tacere. Il calore della mano di Amon che sfiorava la sua guancia e lo sguardo del Signore degli Dèi, equiparabile a quello di un padre amorevole fecero calmare il giovane dio.

“Tranquillo Apollo. Non permetterò mai che tu muoia… no.” Alzandosi dal proprio trono, osservando i suoi compagni delle divinità Maggiori, esclamò a gran voce.

“Nessuna divinità morirà in questo torneo! Noi dèi siamo creature perfette ed immortali. Il creato è stato generato dai nostri padri e noi lottando lo abbiamo conquistato. Giudicare gli umani e punirli per le loro colpe è un nostro diritto e dovere! Vi pare possibile… che queste creature da noi generate possano tenerci testa?”

Il morale degli dèi era al massimo. Il vecchio Zeus sorrideva sotto i baffi, mentre Atena al suo fianco gonfiava il petto facendo un saluto militare al signore degli dèi, orgogliosa della propria posizione. Sekhmet non vedeva l’ora di lottare mentre Yaldabaoth non aveva sentito niente del discorso del suo sovrano, troppo impegnato a teorizzare quali abilità avrebbe mostrato Achille e contro quali divinità avrebbe potuto vincere o perdere.

Il clima di serenità generale venne interrotto da un suono straziante il quale iniziò di colpo a tormentare i timpani delle divinità. Un suono potente, lo stesso che negli eserciti dell’antichità era necessario a far arrestare di colpe qualunque esercito al proprio riecheggiare.

L’equivalente di un carro armato, nell’epoca delle grandi battaglie campali, l’elefante. Dalla pelle dura e la mole imponente, in grado di far tremare la terra con il proprio avanzare per secoli questa creatura tormentava e affascinava gli umani, i quali negli occhi scuri della creatura potevano scorgere un bagliore di intelligenza. Grazie a ciò l’animale era anche venerato e ritenuto simbolo di saggezza, pace e regalità.  La doppia natura dell’essere non poteva che manifestarsi appieno in Ganesh, il dio dell’equilibrio e della prosperità.

“La tua superbia sarà alla base della tua rovina, Amon.” Facendo il suo ingresso nella sala dove le divinità maggiori si trovavano raccolte, Ganesh non trattenne neanche per un secondo il proprio pensiero riguardo alla sfacciataggine del signore degli dèi.

“Lo abbiamo visto come Toth a stento si reggeva ancora in piedi. Io stesso… ho potuto osservarne il braccio cadere, staccandosi dal corpo.” Un brivido freddo corse lungo la schiena di Amon. Com’era possibile che Ganesh fosse sfuggito alla propria percezione?

Allungando la proboscide per prendere uno dei frutti contenuto in un meraviglioso piatto dipinto di azzurro, basso ma abbastanza largo da contenere una grande varietà di spuntini con cui sfamare le divinità, Ganesh proseguì la propria ramanzina.

“Noto una grandissima, enorme mancanza di serietà da parte di TUTTI voi.” Gli occhi circondati da una sclera dorata la quale faceva risaltare ancora di più i triangoli neri tramite i quali fissava e giudicava il mondo, si fermarono su ogni singola divinità. Penetrando nell’animo di ciascuno di loro il dio elefante percepiva le emozioni nascere e morire, come le onde di un mare nel bel mezzo della tempesta. La gioia era stata travolta dall’anticipazione, la quale in questo preciso momento si trovava ad essere inghiottita dalla preoccupazione.

In quanto unico rappresentante del pantheon indù tra gli Dèi Maggiori Ganesh sentiva molto più di tutti gli altri il peso delle responsabilità connesse ad una posizione di tale prestigio. Ricoprendo appieno il ruolo di legislatore divino che gli era stato assegnato, l’intransigenza del dio lo costringeva spesso a violenti scontri con le altre divinità su numerose questioni, anche di secondaria importanza.

La precisione e la cura ai dettagli che gli umani dovevano dedicare ai riti e alle cerimonie sacre in onore degli dèi, era per Ganesh il più grande indicatore della fedeltà di questi alla supremazia divina sul creato. Quando i costumi e i riti, le feste consacrate e i sacrifici non vengono più rispettati o peggio ancora dimenticati, la decadenza giunge sui popoli come una piaga atroce, poiché essa rovina e distrugge direttamente le radici sulle quali le civiltà si basano.

Gli umani avevano finito per recidere ogni legame con le divinità, nel momento in cui hanno scelto di ribellarsi alla decisione di eliminarli da parte degli dèi. Così come una pianta malata continuerebbe a proliferare danneggiando il raccolto del coltivatore, così gli umani intendono proseguire le loro vite di sofferenza e peccato senza alcun ritegno per il meraviglioso e perfetto universo che è costretto ad ospitarli. Era compito di Ganesh, più di chiunque altro intervenire per porre fine a questo scempio.

“D’altronde… quello sciocco di Toth andava farneticando di aver visto qualcosa in quell’insulso umano che si era illuso di poter affrontare faccia a faccia un dio!” Dopo aver ingoiato in un sol boccone una succosa mela, Ganesh criticava aspramente il proprio compagno.

“E pure voi… persi nei vostri sciocchi divertimenti, anziché allenarvi duramente per essere ancora più certi di poter dare al genere umano la lezione che si merita! Finirete per fare la stessa fine di Toth, e il vostro onore ne rimarrà per sempre ferito…”

A sentire quel continuo infierire sul suo più caro amico, Apollo non riuscì più a trattenersi. Balzando in avanti come un fulmine si trovò davanti all’imponente stazza di Ganesh, il quale lo guardava dall’alto in basso.

“Tu non puoi offendere così Toth! Lui ha avuto il coraggio di lottare per primo, senza sapere niente di quello che gli umani fossero in grado di fare!” Le fiamme uscivano dalla bocca e gli occhi del giovane dio, andando a coprire parte del viso e della testa calva con un manto infuocato, il quale si estendeva fino alla base del collo. Gli occhi avvolti dalle ruote infuocate mostravano però un certo timore, ed una riverenza per il dio elefante, più antico e potente di lui.

“Dai Apollo! La sorellona Sekhmet fa il tifo per te!” Alzando i pugni al cielo la dea attendeva con trepidazione uno scontro tra divinità, come non se ne erano più visti da quando Amon aveva ottenuto con la forza il potere. Questi osservava con calma i due dèi pronto ad intervenire da un momento all’altro.

Ganesh non perse la compostezza e lentamente avvicinò una delle sue numerose mani al volto di Apollo. Questi non ebbe modo di accorgersene: il dio della prosperità poteva rendersi evidente ai sensi di tutti come un tifone, il quale sconvolgeva col proprio arrivo le esistenze di chi aveva la sfortuna di incontrarlo, oppure nascondere ogni movimento e azione in una delicatezza impercettibile.

“Uh?” Gli occhi del dio del sole e dell’arte ebbero modo di notare solo per una frazione di secondo il dito medio ed il pollice di Ganesh uniti in un cerchio vicino alla propria fronte.

Un doloroso impatto con quelle appendici bastò a scaraventare il corpo di Apollo contro il muro, senza che lui potesse reagire in alcun modo, lasciando dietro di sé una spirale di fiamme, unico residuo del calore iracondo che lo animava.

“Ah… che peccato. Hai deluso la sorellona, Apollo.” Sekhmet con rassegnazione scosse la testa, ridimensionando le aspettative che nutriva nei confronti di quel giovane dio.

Amon digrignò i denti al gesto di Ganesh. Tale azione aveva mostrato come il dio elefante non potesse essere controllato da nessuno, ma persino Amon poteva solo cercare di arginare la furia di Ganesh, quando egli si metteva in testa di sfogare la propria rabbia.

Mentre Atena e Seth aiutavano il giovanotto a sollevarsi dalla pozza insanguinata nel quale era sprofondato, Ganesh si avviò verso l’arena.

“Sono molto, molto deluso da te, Amon. Pensa cosa avrebbe potuto accadergli in un vero scontro.”

Quella constatazione riecheggiò nella mente di Apollo, il quale stava appena riprendendo i sensi. Le lacrime gli stavano riempiendo gli occhi un po' per il dolore del colpo e un po' per quel giudizio terribile.

“Non dargli ascolto fratellino. Con quella panza che si ritrova saprà rendersi solo un bersaglio più grande nel prossimo scontro…” Atena cercava di sollevare il morale del giovane dio, ma le sue parole sembravano non raggiungere Apollo.

Si era reso un dio affabile e volenteroso. Aveva affinato le proprie arti magiche e assistito con dedizione i suoi fratelli e sorelle in tutte le loro lotte, eppure…

Quel singolo colpo era bastato a distruggere tutti i traguardi e le conquiste della divinità, la quale ora riusciva soltanto a pensare alla propria insufficienza a confronto degli altri dèi maggiori, e a come l’ora del proprio scontro si stesse lentamente avvicinando…

“Uff!” Sbuffando Lilith diede un’occhiata al pubblico. La delusione si poteva leggere chiara sul volto degli umani tra gli spalti. Come viandanti nella notte rimasti senza l’immagine della luna, la quale brillando nel buio illuminava la loro via, ora gli occhi degli uomini dopo aver assistito alla morte di Yuri Gagarin fissavano il vuoto, come ad attendere un segnale, una scintilla che potesse riaccendere la speranza nei loro cuori.

L’atmosfera di tristezza e malinconia si scontrava con l’esultare degli dèi. Nonostante si trattasse di spettatori, le divinità insultavano e schernivano gli umani, e come leoni in un’arena pronti ad assalire i sacrifici offerti a loro in onore dei giochi, già pregustavano le numerose vittorie con le quali avrebbero completamente dissipato ogni onore e volontà di lottare del genere umano.

“Siamo pronti per il secondo scontro! Potete notare anche il vestito nuovo per l’occasione!” Lilith tentò di rianimare l’attenzione del pubblico, mostrando anche il proprio corpo. Per far fronte alla possibilità di venire spogliata dalle mosse dei combattenti, si era ridotta ad essere praticamente nuda: dei sottili strati di tessuto nero coprivano le parti intime e i capezzoli, ma il resto della pelle era completamente scoperto.

“E, su richiesta di uno dei due lottatori, questo scontro avrà luogo in un’arena d’eccezione!” Schioccando le dita il terreno iniziò a tremare e la sabbia scostandosi lasciò il posto alla dura pietra.

“Strutture altissime lunghe e strette…” Con tono malizioso la succubus iniziò a narrare. Le punte di numerosi palazzi si intravedevano tra le dune di sabbia in movimento, che con il loro ondeggiare stavano accompagnando le strutture, le quali magicamente emergevano per comporre il luogo dello scontro.

“Questi solidi edifici sono stati maneggiati con cura nei secoli…” Il tono si faceva sempre più concitato mentre delle statue incastonate negli edifici, raffiguranti divinità e immagini religiose della cultura buddhista e induista si rivelavano al pubblico in tutta la propria magnificenza.

“Solo ed unicamente per restare impressi nella storia, resistendo allo scorrere incessante nel tempo, e giungere fino ai vostri occhi!” Con il viso e le orecchie completamente rosse, Lilith dispiegò le ali nere sopra al tempio sul quale si trovava.

“Oggi tutto questo è qui esclusivamente per il nostro p… pia… piacere!” Facendo uscire a fatica l’ultima parola, Lilith spiccò un balzo per poi iniziare a sbattere le ali a mezz’aria. Sorvolando sopra una larghissima piazza, prese quota per apparire in cielo, davanti a tutto il pubblico meravigliato.

“Non ci posso credere. Siamo veramente nel regno degli dèi, mio sovrano…” Un uomo dalla pelle nera, e i capelli raccolti in una crocchia sul capo era commosso alla vista delle grandiose strutture.

“È proprio così. La città che doveva essere la casa dei nostri dèi… si trova ora qui, ad ospitare lo scontro definitivo tra noi uomini e le divinità che ci vogliono annientare.” Una nota di tristezza si poteva scorgere chiara nelle parole di Suryavarman, sovrano dell’Impero Khmer, e colui che contribuì maggiormente alla costruzione della mitica città. Seduto sopra ad un divanetto rivestito di pelle di serpente, la figura dell’animale minacciosa spuntava da dietro l’uomo puntando la bocca spalancata davanti a sé. Quel meraviglioso lavoro d’arte nel legno intagliato donava al sovrano un’aria minacciosa ed inavvicinabile per tutto coloro che richiedevano un’udienza col re. La corona, con al centro una colonna simile ad un piccolo tempio, sormontava i corti capelli neri dimostrando l’autorità dell’antico sovrano mentre il suo sguardo fiero mostrava un certo disprezzo per tutto quello che stava accadendo, concentrandosi sullo stringere in mano una pelle seccata del medesimo animale raffigurato sul trono.

Gli umani la cui fede si basava sul soddisfare pantheon composti da innumerevoli divinità erano in conflitto con loro stessi. La venerazione con la quale credevano di appagare le divinità li si era rivolta contro, nel momento in cui si trovavano a dover sperare nella morte di quelle mitiche figure un tempo protettrici.

“Signore e signori, la protagonista assoluta di questo scontro, la città-tempio Angkor Wat!” Rivelando il nome della città un orgoglio primordiale rifiorì nel cuore degli umani. Quel meraviglioso luogo il quale dopo secoli si era trovato ad essere in rovina, martoriato dalla folta vegetazione cresciuta al proprio interno, era tornato a splendere come all’apice della civiltà che lo aveva generato.

“Gli umani ripongono i propri desideri di rivalsa in un singolo uomo…”

Tutti gli sguardi erano puntati sull’ingresso dei lottatori umani. Emergendo dall’oscurità un piede nudo, avvolto da delle fasce fece la propria apparizione.

“Nato e cresciuto in un paese poverissimo, ha dovuto provvedere alla propria sopravvivenza fin da giovane. Ma niente è mai riuscito ad abbattere la sua volontà.”

Indossando un cappello di paglia a fare ombra al proprio volto Besouro si incamminava lentamente verso il centro dell’arena. Attorno alla sua vita sopra dei pantaloni neri di stoffa un po' rovinati era stretta una cintura dorata con al centro uno stemma, raffigurante un coleottero. Delle ali piumate circondavano l’intero accessorio.

“Né la polizia, né gli avidi proprietari terrieri, veri padroni del Brasile sono riusciti a mettere a freno la sua esuberanza! Diffondendo l’amore per la capoeira alla gioventù brasiliana, Besouro Manganga è diventato una leggenda per i deboli e gli indifesi di tutta una nazione!”

Togliendo il cappello a coprire i corti capelli neri per inchinarsi davanti all’umanità intera, Besouro era finalmente giunto nella piazza centrale.

Nel pubblico umano serpeggiava il dubbio. Un eroe senza nome proveniente da una terra abbandonata da tutti, disprezzata per la propria instabilità politica ed economica. Quell’uomo mezzo nudo, armato solo di un’arte marziale conosciuta da pochissimi, avrebbe lottato per salvare l’umanità dal baratro nel quale si stava dirigendo?

“Semplicemente vergognoso!” Un signore calvo, in divisa militare e dalla folta barba bianca si lamentò subito appena vide il combattente umano.

“Come può uno di quei selvaggi non illuminati, inclini ai peggiori vizi e privi di ogni cultura rappresentare la razza umana?”

Leopoldo II non credeva ai propri occhi. Il re del Belgio a vedere quell’uomo dal fisico tonico pensò subito al lavoro efficiente che avrebbe potuto condurre in una delle miniere nel Congo di proprio possesso, al posto di ricoprire un ruolo importante come questo, degno, secondo il proprio pensiero, di uomini di stirpi molto migliori di quella di Besouro.

“È sicuramente incresciosa la scelta dell’angelo in quanto a questo combattente. Tuttavia, non ritengo tu sia in posizione per criticare, Leopoldo.”

Una donna bassa dai capelli marroni legati dietro la testa in una crocchia, vestita con un lungo abito bianco con una fascia colorata attorno al corpo e lo sguardo altero inarcò un sopracciglio alle affermazioni del re del Belgio.

“Dopotutto…” Un sorriso malvagio aprì le sottili labbra della dama, e questa balzò immediatamente davanti a Leopoldo indicando con prepotenza la fascia.

“Chi è che è riuscita a creare il più grande impero del mondo? EH? E chi invece ha perso il ruolo di re perché non ha trattato degli stupidi schiavi con il minimo di rispetto richiesto?”

La croce rossa sullo sfondo blu contornata da strisce bianche stava venendo sbattuta in faccia a Leopoldo scompigliandone la barba.

Sbavando con gli occhi persi in terre distanti, immaginando il proprio esercito vestito di rosso che con gli ultimi ritrovati tecnologici si espandeva per mari e deserti, provava un immenso piacere nel vantarsi delle conquiste del proprio regno.

My fair lady” Una voce soave interruppe la pietosa scena. Si trattava di un uomo vestito elegantemente, con baffetti biondi ed un monocolo i quali gli donavano un aspetto carismatico, ma che al tempo stesso suscitava un certo disagio. La figura pareva essere quella di uno stereotipato personaggio malvagio, e questa impressione non era distante dalla verità.

“Devo forse ricordarti che i trionfi del tuo impero, la luce del progresso che la Gran Bretagna simboleggiava per il mondo intero…”

Estraendo rapidamente un coltello dal taschino per puntarlo alla gola della sovrana, il giovane uomo sussurrò alle orecchie della regina: “Hanno generato ombre molto più grandi, nascoste dai grandiosi edifici delle città ed il lusso dei più ricchi?”

Osservando gli occhi folli dell’uomo la regina Vittoria era completamente paralizzata. Mai nella propria esistenza si era trovata davanti un simile esempio di ciò che era la peggior feccia dell’umanità.

“Jack! Jack!” Un grido femminile distolse l’uomo dal proprio impeto omicida, portandolo a voltarsi.

“Forza Jack. Non ne vale proprio la pena…” Una giovane donna vestita con un abito dall’ampia scollatura e i capelli legati in una coda di cavallo, con in mano una bottiglia prese la mano guantata dell’uomo trascinandolo via.

Con il cuore che batteva all’impazzata la regina osservava la figura di Jack lo squartatore allontanarsi nella folla. Scoppiando a piangere per lo shock si gettò tra le braccia di Leopoldo sotto di lei, paralizzato dalla paura per l’esperienza.

“Forza maestro! Siamo tutti con lei!” Decine di bambini e ragazzi dalla pelle scura sventolavano striscioni con sopra disegnato un cervo volante. Non sapendo leggere o scrivere, si erano rassegnati a raffigurare l’insetto il cui nome era stato affibbiato al combattente umano, per l’appunto Besouro.

Le loro erano le uniche incitazioni ad accogliere l’avanguardia dell’umanità, e le uniche delle quali il capoerista sentisse il bisogno. Sorridendo in direzione dei propri studenti, li salutò alzando il pugno al cielo.

Anche per loro, avrebbe liberato l’umanità dall’oppressione degli dèi.

Un boato infranse l’apparente calma di Besouro spingendolo a guardare davanti a sé. Il barrire di un elefante aveva infranto col proprio fragore il suono delle esultanze umane per il proprio campione.

“Il più grande e potente tra tutti gli dèi venerati dagli abitanti di questa stessa città, il dio della prosperità e dell’equilibrio giunge tra noi!”

Un vibrare intermittente era percettibile fin dagli spalti. Alla percezione di qualcosa di immane che si avvicinava a lui il capoerista assunse una posizione di combattimento.

“Lo sterminatore di demoni dall’appetito insaziabile! Il legislatore che sconfigge il caos nel mondo con riti e leggi! Il suo sguardo vigile sorveglia le civiltà per salvaguardarle dalla perdizione e dalla blasfemia!”

Le vibrazioni cessarono. Un’ombra coprì la luce del sole la quale risplendeva sul volto di Besouro, allertandolo di un pericolo proveniente dall’alto.

Con un balzò il guerriero umano riuscì a sottrarsi dalla figura che era piombata su di lui, la quale atterrò con incredibile leggerezza: la mole di Ganesh tradiva il metodo tramite il quale aveva lentamente raggiunto il suolo, posandosi su di esso con un singolo piede.

“Ganesh, signore delle schiere celesti e ordinatore dell’universo!”

La figura dell’avversario sorprese non poco Besouro. Un corpo umano dal quale si estendevano quattro possenti braccia, con sopra di esso una testa da elefante con una delle due zanne mozzata. Una pancia abbondante era avvolta da una cintura marrone che sosteneva la tunica a coprire le gambe del dio.

Un lungo tridente sostenuto con due braccia, completamente nero e la cui punta era più simile a quella di una lancia, molto ampia e affilata con le due punte ulteriori appena accennate ai lati dell’asta. Un’ascia completamente bianca contrastava con l’arma principale del dio: essa era tenuta con una mano sola ed aveva un aspetto leggero, presentando una sagoma sottile dalla quale protendeva la singola lama ad avvolgersi in una mezzaluna alle proprie estremità.

Da subito in guardia Besouro percepì immediatamente l’atmosfera alienante che una simile creatura poteva suscitare. Era questo ciò che si provava al cospetto di un vero dio.

Lo splendore di Ganesh ottenebrava completamente sia il suo avversario che la città nella quale si trovava. La sua pelle grigia risaltava sotto il sole, come le numerose armi dorate, le quali impugnate dalla divinità sembravano essere parte di una meravigliosa statua. Uno spettacolo dal quale nessuno nel pubblico poteva distogliere lo sguardo, dimostrando quanto il signore dell’ordine fosse degno di ammirazione.

“Vai figliuolo! Siamo tutti con te!” Alzando le quattro braccia al cielo Shiva il dio della distruzione salutava il figlio dagli spalti. Attorno al proprio fisico muscoloso dalla pelle completamente blu, tre donne lo osservavano in modi molto diversi: affetto, malinconia e grinta. Kali, Durga e Parvati avevano temperamenti molto diversi ma tutte e tre erano in sintonia nell’amore che provavano per il marito e per loro figlio Ganesh.

“Cerca di non farti troppo male…” Con sguardo malinconico Kali alzò timidamente un pugno verso l’alto imitando il marito.

“Fa che di lui non rimanga neanche il cadavere!” Durga frustrata osservava con disprezzo l’avversario di Ganesh.

“Ce la puoi fare piccolo mio. Tu sei il nostro bambino, e colui nel quale sono riposte le speranze di milioni di divinità…” Con uno sguardo apprensivo ed una voce dolce, la quale sparì nel mare di applausi e grida del pantheon indù Parvati augurò al figlio di vincere con tutto il suo cuore.

Dèi di qualunque elemento esistente rendevano grazie a Ganesh, visto da tutti come il protettore dell’ordine divino.

Il dio elefante pose anche l’altro piede sul suolo, stavolta con un tonfo il quale fece tremare il terreno, lasciando la propria impronta impressa nella roccia.

“Vedo che il pubblico non ti manca…” Constatò Besouro stringendo i pugni davanti a sé in direzione del dio.

“Sì. E la cosa più importante dell’amore della mia famiglia e di quello di ogni divinità…” Ganesh strinse con forza il tridente, preparandosi a sferrare un attacco con la lunga e splendente arma.

“Sta nel fatto che a differenza di voi umani, resisterà in eterno.”

Ganesh notò tutto questo. Il battito del cuore accelerarsi per qualche secondo, il respiro affannato. Sapeva di avere già la vittoria in pugno.

“Stavolta non potrete denudarmi!” Lilith si librava ancora in aria, e con un grido diede il segnale dell’inizio dello scontro ai due guerrieri.

“Si dia inizio al Ragnarok!”

 

 

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Capitolo 5
*** The Rich and The Poor ***


Capitolo 5: The Rich and The Poor

Come una stella dai raggi brillanti che risplendono nel cielo, Ganesh estese le proprie armi in direzione dell’avversario assumendo una posizione di combattimento. La divina statua indiana garante dell’ordine e dell’equilibrio in ogni forza dell’universo puntava il capoerista, la cui freddezza di fronte ad un avversario simile celava una furia irruenta la quale avrebbe presto preso possesso di ogni singolo muscolo del corpo atletico di Besouro.

“Io non ho bisogno di fama o venerazione, a differenza tua.” Invitando con un gesto della mano il dio a colpirlo, Besouro sbuffò.

“Questi pugni sono tutto ciò che mi ha trascinato per l’inferno che è stata la mia vita.” Un lieve sorriso apparve sulle labbra dell’uomo.

Stringendo con forza il tridente, Ganesh piegò le gambe.

“Lascia allora che ti dia la bacia, piccolo ed insignificante uomo!”

Un tonfo risuonò per l’arena. Una nuvola di polvere, sollevatasi dal terreno a seguito dello schianto del piede di Ganesh sul suolo, che aveva finito per crepare la pavimentazione di tutta la piazza nella quale i due guerrieri si trovavano, coprì la scena.

La sagoma del dio elefante apparendo sfocata agli occhi degli spettatori stava caricando Besouro, rimasto immobile, prima di dissolversi nella nube.

“Ganesh è partito, prendendo l’iniziativa… Quanta aggressività!” Gridò Lilith in modo malizioso.

Nella mente del dio elefante non vi era spazio per giochi, né il desiderio di osservare l’umano che gli era stato offerto in questo elaborato sacrificio mascherato da torneo. Sfrecciando nell’aria con le proprie armi a formare una gabbia impenetrabile per ogni avversario, e soprattutto per un uomo disarmato come Besouro, la punizione divina stava per abbattersi sul disgraziato.

Il tridente, l’arma con il raggio più ampio di tutto l’armamentario di Ganesh tagliando l’aria era giunta a singoli centimetri dalla pelle di Besouro. In quella microscopica distanza che separava le armi del dio dall’essere umano, Besouro iniziò a muoversi rompendo quella posa fissa che neppure un singolo battito di ciglia del capoerista aveva osato interrompere fino a questo momento.

Il tempo si bloccò in un istante. L’uomo era già stato perforato, trafitto da metà a metà dal dio punitore, il quale vittorioso poteva sollevare il cadavere di Besouro come un eterno monito all’incapacità della hubris umana di innalzarli al livello delle divinità.

I sogni di Ganesh, tronfio delle proprie capacità vennero infranti da un unico movimento.

Torcendo il bacino e spingendosi con la gamba destra Besouro aveva acquisito una forza centrifuga tale da scaraventarlo in aria. Lo sguardo di Ganesh, la cui mole torreggiava sul corpo snello dell’umano lo fissava dall’alto in basso permettendo così all’umano di sfuggire al campo visivo della divinità.

Il tridente aveva pugnalato l’aria, incontrando un’immagine residua di Besouro, e quando la divinità si accorse dell’illusione era già troppo tardi. Tutto il peso del dio elefante si trovava concentrato su quella singola azione, sul proprio braccio esteso per infilzare l’avversario.

“Si è volatilizzato! Dileguarsi in tal modo prima di un appuntamento… che maleducazione!” Lilith era sorpresa tanto quanto le divinità, rimaste a bocca spalancata.

L’immagine che accolse il pubblico divino e Ganesh in questa nuova surreale situazione meravigliò e sconvolse tutti quanti.

Besouro si era librato in aria. I muscoli del suo corpo trasmettevano calore ed energia alla sola vista, e la pelle marrone del capoerista splendendo sotto il sole, appariva come un sole nero in procinto di schiacciare la divinità.

“Indovina da dove viene il mio soprannome, divinità arrogante e sciocca…”

Una nuova torsione di tutto il corpo portò le gambe di Besouro a roteare a velocità folli nell’aria. Nel vortice nero di Besouro emergevano mani e piedi, tutti pronti a piovere in un caos di arti marziali diretto verso Ganesh.

“AHAHAHHAAHHA!” Rideva all’impazzata la figura di un vecchio, senza denti e dall’aspetto trasandato, il quale indossava solo una camicia a fiori strappata sulle maniche, ma dal fisico ancora potente, nonostante le numerose cicatrici su tutto il petto.

“Guarda come vola! Vai piccolino, falla vedere a questi padroni corrotti che osano definirsi divinità!”

 

 

 

1912, Brasile, città di Santo Amaro

Sputando sangue dopo l’ennesimo pestaggio la figura di un bambino mingherlino si faceva strada tra le catapecchie del quartiere povero della propria città. A breve sarebbe tornato a casa: l’unico rifugio sicuro in un mondo malvagio che giorno dopo giorno lo prosciugava sempre di più.

Toccandosi con la mano una ferita sulla fronte e osservando il proprio sangue rimasto appiccicato sulla mano, le lacrime scendevano dagli occhi di Manoel.

Ripensava alle storie di sua madre, nelle quali figure leggendarie riuscivano ad ergersi come eroi battendo i malvagi e i prepotenti. Questo meraviglioso paese era nato dalla volontà dei deboli di ribellarsi ai potenti, e quindi apparteneva a loro.

Allora perché?

Perché suo padre era morto spezzandosi la schiena da mattina a sera in una piantagione di zucchero, senza poter mai godere dei frutti del proprio lavoro? Quelle delicatezze di cui Besouro aveva sentito parlare da alcuni bambini bianchi, così dolci da non far mai sentire pieno chi le mangiasse, erano per lui un miraggio, qualcosa di cui non poteva neppure concepire l’esistenza.

Perché la mamma era costretta a fare l’amore con persone sconosciute per pochi spiccioli, quando le ragazze dei quartieri ricchi stavano ad ore a parlare dei propri pretendenti, e quale di loro avrebbe avuto l’onore di meritare il proprio affetto?

Perché dei ragazzi più grandi e forti di lui lo picchiavano quasi ogni giorno solamente perché non ci vedeva bene?

La testa del bambino pulsava per il dolore ed i pensieri mentre stava aprendo la porta della propria casa.

Non sapeva ancora quanto il mondo potesse essere davvero crudele con i fragili e gli indifesi.

 

 

Tendendo le braccia davanti a sé afferrando il tridente con tutta la propria forza Ganesh si preparò all’impatto.

Dovendo ridirigere la propria potenza equamente tra le numerose braccia il dio elefante dovette attutire il corpo in maniera sbilanciata.

La pioggia di pugni e calci giunse sulla divinità infierendo su tutto il suo corpo, mentre Ganesh facendo roteare la lunga asta dell’arma tentava di deviare i colpi.

L’aria attorno ai due combattenti era tornata a sollevarsi ed un tifone avvolgeva i guerrieri del Ragnarok. Lo sferzare del vento generato dal tridente di Ganesh si scontrava con quello di Besouro, un autentico tifone umano.

“Hngh!”

Un lamento sfuggì dalle labbra di Ganesh mentre gli occhi del dio furono costretti ad assottigliarsi, a causa del vento e della raffica di colpi che giungevano vicino al suo volto.

Nell’aria iniziava a spostarsi un nuovo elemento, la cui presenza fece impallidire le divinità.

Si trattava del sangue di Ganesh che iniziava a colare da dei tagli inflitti sulle braccia e sul volto dalla raffica di colpi di Besouro, macchiandone la pelle con sottili righe rosse.

“Neppure io ci ero mai riuscito… NON È GIUSTO!”

Gridando e sbattendo i pugni sugli spalti devastando i posti a sedere vicino a lui, Agni non poteva calmarsi. Due delle quattro braccia si agitavano sfogando la propria invidia, mentre il secondo paio era dedicato a grattare la testa della propria metà del corpo, la quale simboleggiava la pace e l’intelligenza.

La divinità era uno spettacolo decisamente singolare. Due corpi diversi erano collegati allo stesso bacino, e più la vista si avvicinava alle teste del dio, più si potevano osservare le due metà dividersi in due corpi distinti.

Una parte era dalla pelle color azzurro scoperta dal volto calmo e sereno.

L’altra era dalla pelle rossa come il sangue e cinta da un’armatura in bronzo, con sopra raffigurato un sole diviso a metà, la cui parte mancante era sostituita da una bocca di serpente la quale emergeva dalle fiamme.

“Dai fratello. Non sei contento che abbia finalmente trovato un degno rivale?”

“NON OSARE! Quello… è soltanto un sassolino sul cammino di Ganesh.”

Il battibeccare delle tue teste della divinità giunse ad una fine quando la metà gentile del dio del fuoco distolse l’attenzione dal dialogo, per accarezzare con gentilezza l’ariete infuocato che la divinità portava sempre appresso.

“E tu… non credi sia un bene potersi confrontare con una persona che sia al proprio pari?”

L’animale si godeva l’affetto del proprio padrone, mentre la metà perennemente infuriata si disperava valutando il divario di forza con l’umano che stava sfidando Ganesh.

“Non dite fesserie ragazzi.”

Stiracchiando il proprio corpo muscoloso Shiva pose due delle quattro braccia sulle spalle di Agni, il quale si calmò all’istante.

“Non mi direte mica…” Le labbra color blu del dio della distruzione si erano avvicinate alle orecchie di Agni, portando il dio della dualità ad ascoltare con attenzione e timore quella che tutti riconoscevano essere una divinità potentissima.

“Che state forse dubitando del potere del mio bambino…Oh, pazienza!”

Il tono minaccioso della voce di Shiva cambiò subito, così come l’atmosfera che si era creata attorno ad Agni. Senza mostrare alcuna preoccupazione per il proprio bambino si espresse con onestà.

“Forse potrebbe essere un bene che qualcuno gli insegni un po' di umiltà. Sapete, quando era piccolo e piangeva, Kali era costretta a…”

Agni era in trappola. Nonostante il pericolo di incorrere nell’ira del dio della distruzione fosse ormai passato, la noia delle storie sull’infanzia del figlio di Shiva incombeva su entrambe le teste di Agni, le quali come mai prima d’ora si trovavano in perfetta sintonia nelle emozioni che provavano.

 

 

No, e ancora no! Non puoi rinunciare così al tuo ruolo in questa guerra, Arjuna.”

La maestosa figura del dio elefante Ganesh si era manifestata sotto gli occhi dell’eroe Arjuna, il principe Pandava. Il sangue del dio del tuono Indra scorreva nelle vene del giovane uomo, rendendo questi un semidio.

In quest’epoca remota la cui storia permane frammentata in leggende e miti giunti sino ai giorni nostri, il mondo si trovava in crisi ed era compito delle divinità ristabilire l’ordine nel creato.

Gli uomini avevano iniziavano ad acquisire sempre di più la consapevolezza della propria importanza nel mondo, e le scelte dei singoli re e imperatori disseminati sulla terra avrebbero plasmato la civiltà umana per i millenni a seguire.

Era necessario creare e proteggere un precario equilibrio intessuto sulle singole personalità dei discendenti di alcune divinità irresponsabili, le quali avevano approfittato delle proprie visite sul pianeta per accoppiarsi con gli umani.

La fragilità e irrequietezza tipiche di un umano, all’interno di un corpo le cui capacità straordinarie erano del tutto simili a quelle di un vero dio. Occuparsi di soggetti del genere era un lavoro delicato, e per educare il giovane Arjuna Ganesh era dovuto intervenire più volte nel corso del conflitto più grande in tutta la storia dell’India.

“No Ganesh… io sento di non potercela fare. I miei cugini sono stati equipaggiati con armi divine dai tuoi fratelli, e in più adesso dovrò affrontare… dovrò affrontare…”

Ganesh sospirò con fare apprensivo. Molte volte il giovane aveva avuto delle crisi isteriche a quel pensiero ricorrente.

Ma nonostante Arjuna avesse cercato da molti giorni di fuggire dalla tanto temuta lotta con il proprio cugino, il momento era ormai giunto.

“Le paure che si trovano nel tuo cuore, dimenticale. L’affetto che provi per quell’uomo non vale niente su questo campo di battaglia.”

Porgendo la mano in avanti Ganesh fissava l’umano al suo cospetto, i cui occhi erano impegnati a fissare la pianura desolata davanti a sé: il Dharmakshetra, il campo della giustizia.

“Dimentica che è tuo fratello ed offri il suo cuore a me, il tuo unico signore.”

La voce tonante di Ganesh ricordava al giovane uomo l’impegno che stava per incombere su di lui. La risposta del dio ai suoi dubbi era sempre la stessa. Obbedire alla volontà degli dèi.

Nel corso degli ultimi diciassette giorni gli uomini di tutti l’India con sangue divino che scorreva nelle loro vene, erano stati chiamati proprio a versare quello stesso sangue, in un torneo indetto dalle divinità.

 Gli eccessi delle varie fazioni che sfruttavano il collegamento fisico e spirituale dell’avere un discendente semidivino avevano costretto gli dèi a compiere questa scelta.

Nel corso dei secoli due famiglie in particolare erano riuscite ad assicurarsi il monopolio del sangue divino nell’India: i Pandava e i Kaurava. Le continue guerre tra i due avevano devastato la terra e sterminato centinaia di migliaia di umani. Ganesh avrebbe fermato tutto ciò, ora e per sempre.

Osservando il proprio studente al quale fin da giovane aveva insegnato l’arte della guerra e del combattimento trionfare sopra al cadavere di Karna, il cui corpo insanguinato era stato estratto a forza dalla propria armatura, un dono del padre Agni che gli garantiva una resistenza sovrumana ad ogni attacco, Ganesh poteva avvertire una strana sensazione. Un formicolio che portava il suo respiro ad essere più affannato, il suo cuore a battere più velocemente, mentre il giovanotto in lacrime aprendo le braccia stava correndo verso il proprio maestro.

Il trionfo di una vita di sacrifici passati in compagnia del dio elefante, il quale in modo severo ma con grande cura aveva impartito al ragazzo i fondamenti per vivere in modo giusto.

Ganesh in un istante riacquisì la propria compostezza. Inflessibile e duro come sempre tese la propria enorme mano verso il ragazzo, i cui abiti bianchi svolazzavano nel vento mentre sul suo giovane volto splendeva un sorriso smagliante. L’ansia e la paura avevano lasciato il posto all’eccitazione data dalla propria vittoria nel torneo, e voleva ringraziare il proprio maestro per averlo reso l’uomo più forte di tutta l’India.

La mano di Ganesh era calda mentre si stringeva attorno al collo del ragazzo. Questi osservava lo sguardo freddo del dio elefante mentre lentamente perdeva i sensi, con gli occhi rossi bagnati dalle lacrime che scendevano copiose.

“Grazie.”

Le labbra di Arjuna si mossero senza riuscire a pronunciare le ultime parole di ringraziamento per il dio che si era dedicato a lui, crescendolo come se fosse stato suo figlio.

 

 

 

 

 

 

“Voi umani dovete soltanto…” La roteazione del tridente si bloccò per un istante. La resistenza di Ganesh aveva finalmente portato al risultato sperato. La rotazione di Besouro aveva perso velocità dall’inizio della raffica di attacchi, e trovando il tempismo giusto tranciò l’aria sopra di sé con il tridente. Un affondo grandioso nel turbine di Besouro spezzò una volta per tutte la frenesia nella quale il capoerista era entrato sfruttando la rotazione del proprio corpo.

Il vento attorno a Besouro fece piovere gocce di sangue sul suolo macchiandolo con il proprio colore, come un’offerta alle divinità per le quali quel luogo era stato costruito.

Lo sguardo del capoerista pieno di grinta si fece serio mentre digrignava i denti per il dolore provato.

Il tridente del dio venne colpito dal piede di Besouro, il quale con un balzo approfittò dell’arma per potersi allontanare dall’avversario.

Il tifone umano aveva esaurito la propria energia che fino a pochi istanti prima pareva essere illimitata, e con un trancio sanguinante sul proprio fianco sinistro si dileguò nella distanza.

“La situazione si è completamente ribaltata! Da questo primo ingaggio, Besouro è uscito riportando una grave ferita!” Il commento di Lilith non fece altro che gettare ancora più nella disperazione il pubblico umano il quale osservava preoccupato la scia di sangue lasciata dal proprio guerriero.

 

 

“Stava semplicemente aspettando il momento giusto per colpire! Quei graffietti non sono niente a confronto con il taglio inflitto a Besouro!”

Amon poteva tirare un sospiro di sollievo. Ogni dubbio sulla forza degli dèi si era dissolto assieme al vento causato dallo scambio di colpi tra i due guerrieri. Le esultazioni del pubblico umano che brevemente si era risvegliato dal proprio torpore erano state nuovamente ammutolite dalla potenza di Ganesh, il quale con un singolo attacco era riuscito a costringere l’umano alla fuga.

“Besouro sarà anche veloce, ma…” Atena sorridendo mostrava una luce sinistra nei propri occhi.

“Un combattente tecnico come Ganesh può tranquillamente compensare la mancanza di velocità con una capacità in ogni campo, dall’attacco alla difesa!” La dea della strategia era sempre stata una grande appassionata di ogni tipo di ingegno nell’ambito dei conflitti. Qualunque manifestazione della guerra, anche al livello basilare di uno scontro individuale apparteneva comunque all’ambito che Atena governava e del quale era una grandissima esperta.

Vedere le armi divine di Ganesh entrare in campo assieme al dio, il quale aveva deciso di fare sul serio aveva riempito di gioia il cuore della dea la cui mente stava già paragonando il livello di forza del tridente con quello del fratello Poseidone, domandandosi quale tra le due divinità avrebbe vinto in uno scontro all’arma bianca.

“Oh, no.” Mettendosi le mani tra i lunghi capelli e digrignando i denti la figura di Afrodite si stava già disperando.

“Atena… anche tu…!”

La disperazione aveva assalito la dea della bellezza mentre ella iniziava a provare una certa avversione verso quella che riteneva essere una delle sue più care amiche.

“Anche tu parli come quei maniaci di Efesto e Yaldabaoth!” Strappando diversi ciuffi dalla propria testa Afrodite era caduta a terra impotente davanti ad una scena surreale.

“Pensa che neppure un singolo drone costruito da me può nulla contro alle armi di Ganesh! Riescono a tagliare il metallo come se fosse burro…” La figura ingobbita di Efesto discuteva amabilmente con la sorella la quale chinandosi per raggiungere l’altezza del dio, consentiva ad esso di sbirciare nella scollatura della dea.

“Lo scontro che hai proposto ha subito risvegliato la mia vena artistica!”

Saltando tra i due fratelli del pantheon greco la figura avvolta dalle fiamme di Yaldabaoth con il fidato taccuino, si era intromessa nella discussione proponendo possibili risvolti dell’immaginario combattimento tra Poseidone e Ganesh con grande cura dei particolari mentre le sue mani rapide imprimevano sulle pagine scritte infuocate.

“Voi tutti… siete…” La voce esasperata di Afrodite venne interrotta dall’altra dea della guerra presente tra le divinità maggiori. Alzando la mano indicando alla dea della bellezza di fermarsi, Sekhmet sospirò chiaramente infastidita dallo strepitare della compagna.

“Per una volta ti do ragione Afrodite. Questi discorsi lasciano il tempo che trovano…”

Alzandosi dal trono e camminando lentamente verso il balcone la dea della guerra stiracchiava le proprie membra, ricordandosi come doveva essere impegnare tutta sé stessa in uno scontro all’ultimo sangue.

Lo sguardo della dea osservava la figura di quell’umano sporco di sangue, mentre il suono degli insulti del pubblico umano con il proprio fragore si facevano più insistenti. L’umanità era come divisa a metà in quel momento. Una parte di loro esprimeva la propria rabbia temendo la seconda sconfitta consecutiva delusa dal combattente mandato in campo da Satan, un eroe sconosciuto al quale nessun merito era stato attribuito in vita. Altri silenziosamente pregavano perché un miracolo potesse giungere e salvare quel poveraccio dal massacro che avrebbe ineluttabilmente coinvolto anche il secondo umano a lottare per la salvezza della propria specie.

La patetica figura di quell’uomo che allontanatosi cercava di recuperare un minimo di forze in attesa di difendersi dall’imminente arrivo di Ganesh faceva provare a Sekhmet una strana sensazione.

“Questa è… pietà?”

Scuotendo la testa delusa da sé stessa e dalla propria infantilità nel provare una simile costernazione per il combattente umano, la dea ripensò all’ultima volta nella quale aveva lottato seriamente. L’astenersi da lottare, di recente, doveva averla rammollita.

 

 

Con un fragoroso barrito emesso dalla proboscide che si agitava con foga in aria, il dio elefante si era gettato all’inseguimento di Besouro mentre assieme al proprio barrire la voce delle divinità esultava in coro opprimendo l’umanità in un fragore assordante.

Besouro si era intrufolato all’interno di un tempio che ironicamente era dedicato proprio al suo avversario.

Una grandiosa statua di Ganesh seduta alla parete ad ovest, con il braccio teso a simboleggiare la pace torreggiava in mezzo ad un’ampia stanza alta più di due piani.

Meravigliosi mosaici coprivano le pareti con scene della mitologia indù. Raffigurazioni di carri alati all’inseguimento di interi eserciti, dai quali plotoni di arcieri sparavano colpi su colpi per seminare distruzione sui nemici. Mastodontiche creature avvolte dalle fiamme contrastate dagli dèi i quali con il proprio coraggio rappresentavano l’ordine che inevitabilmente emerge vincitore sul caos, sempre in agguato con lo scopo di minacciare il mondo.

“Tsk!” Toccandosi la ferita seduto in un angolo del palazzo Besouro rideva dell’ingenuità degli artisti che avevano tappezzato questo luogo con simili immagini.

Un ordine perfetto che regola il mondo con leggi giuste provenienti direttamente dalle parole delle divinità… Una scusa conveniente per schiacciare chiunque non si conformasse agli ordini imposti dall’alto.

Per gli ultimi non vi era nessuna possibilità poiché nascere in condizioni di povertà o disagio era già un segno del male dell’universo, concentrato in questi individui maledetti.

Il tremare della terra annunciò l’arrivo del dio elefante che cautamente fece il proprio ingresso nella sua dimora.

“Perché umano… perché sei fuggito?”

La voce di Ganesh mostrava irrequietezza. Risuonando per l’enorme edificio il rumore aumentava ad ogni frase.

“A cosa speri ti conduca questo tuo gesto? Non vedi la futilità di una simile azione?”

Il suono dei passi si faceva più vicino. Besouro rialzandosi si preparava ad incontrare il proprio avversario.

“È proprio questo che odio di voi umani.”

L’ira era evidente nell’esclamazione di Ganesh. Appena finito di pronunciare quelle parole Besouro apparve con le braccia a penzoloni davanti al proprio corpo. Lo sguardo del capoerista era fisso sul pavimento mentre non si degnava di rispondere al dio.

“Dimostrare una tale ostinatezza a vivere quando la disfatta è assicurata… tutto ciò è vergognoso.”

La potenza di Ganesh costituiva per egli la propria ragione d’essere. Osservare una creatura più debole non accettare la propria inferiorità rispetto a lui era un atto imperdonabile.

“Tu sei solamente un sacrificio per soddisfare la mia furia. Rassegnati!”

Sollevando la propria accetta mentre stringeva davanti alla parte media del torace il tridente il dio caricò l’essere umano.

La figura immobile dell’umano osservata tramite gli schermi che consentivano di riprendere lo scontro anche quando esso stava avvenendo al chiuso, fece immaginare il peggio all’umanità intera.

“NO!” Il grido di un uomo dal torace nudo riempito di cicatrici e dalle guance scavate, un aspetto fisico che indicava una vita di stenti e torture perpetrate ai danni di quello che era uno dei più miserabili umani mai esistiti, risuonò dagli spalti.

“Non può finire così anche questa volta! Perché… perché dobbiamo sempre perdere in questo modo?” Mettendosi le mani sul volto dalla disperazione le catene legate ai suoi polsi tintinnavano, ricordando a Spartaco l’oppressione che anche dopo la morte schiacciava lui e tutto il proprio esercito di schiavi ribelli.

Sferzando l’aria l’accetta piombò sopra Besouro. La mole del dio elefante come un insormontabile vetta oscurava le sembianze dell’umano mentre la lama bianca calava verso l’uomo.

Sollevando la testa lo sguardo torvo di Besouro incrociò gli occhi della divinità la quale si apprestava ad eseguirlo.

“Non ti permettere di sottovalutarmi!”

Le gambe di Besouro scattarono in avanti e premendo sul terreno fecero compiere all’uomo un balzo. Sfrecciando in alto verso la testa del nemico con il proprio ginocchio sporto in avanti lo avrebbe colpito in faccia.

Automaticamente il tridente di Ganesh partì per intercettare l’umano in volo: l’esperienza della serie di attacchi precedente lo aveva preparato a stare in guardia contro ad ogni tentativo dell’umano di solcare di nuovo i cieli.

Ad essere fermata però fu solamente l’arma del dio elefante. Avvertendo una forza in opposizione al proprio affondo provenire dal corpo dell’umano, Ganesh tentò di retrocedere immediatamente, ma l’essersi portato in avanti con tutto il corpo per ingaggiare il lottatore umano non gli concedeva questa possibilità. Il ginocchio di Besouro si era già conficcato nella sua fronte.

Gli schizzi di sangue passavano davanti allo sguardo stupefatto del dio mentre un sussulto percosse le membra del pubblico divino e umano allo stesso modo.

Aggrappatosi con le mani alla testa della divinità bloccandone la vista, Besouro era pronto ad infierire sul cranio del suo arrogante avversario.

“Sei caduto dritto nella mia trappola. Ormai avrai già capito il potere del mio angelo…”

Con un sorriso pieno di malizia il capoerista che fino a pochi istanti prima pareva non avere alcuna possibilità contro a Ganesh, era riuscito a rimontare.

“Si tratta del magnetismo, giusto?” Sputando parte del sangue che colava dalla fronte Ganesh rivelò il potere di Thronos. Il modo nel quale la propria arma era stata resa più lenta e pesante nei due ingaggi con l’avversario non poteva essere una semplice impressione.

“Peccato che non ti serva a niente saperlo!”

Con incredibile violenza Besouro iniziò a martellare con il proprio ginocchio il volto di Ganesh. Il suono di carne pestata risuonava per quel tempio dissacrandone il dio patrono mentre il sangue cadeva sul pavimento intarsiato d’oro.

“Quale disonore… quale arroganza…”

Gettando le proprie armi sul suolo le braccia di Ganesh afferrarono il corpo di Besouro per bloccarlo in una presa.

Mai prima d’ora dio e umano erano stati così vicini. In un gioco di prevaricazione e forza bruta Besouro proseguiva il proprio attacco mentre Ganesh tentava di strappare via da sé l’umano.

Il capoerista interruppe i colpi all’improvviso. Spingendosi grazie al corpo di Ganesh con una capriola era apparso di fronte dio mentre questi con la vista coperta dal sangue assunse una posa difensiva con i quattro arti.

Proprio sulle braccia di Ganesh Besouro, trascinando la forza nel proprio corpo con il molleggiamento delle gambe, sferrò un calcio la cui velocità generò un boom sonico.

La terra si crepò sotto alla mole del dio elefante spinto sulla difensiva mentre le braccia nelle quali tutta la forza del dio era concentrata assorbivano l’impatto come una barriera di muscoli.

“Oh cazzo…”

Le parole uscirono istintivamente dalla bocca di Amon. Con gli occhi sgranati il pubblico divino assisteva a quella scioccante immagine.

Besouro Mangangà recuperava il respiro in questi attimi mentre davanti ad egli il volto pieno di sangue di Ganesh stava venendo strofinato con una delle sue quattro braccia. Penzolando dopo aver acquisito un colorito violaceo, uno degli arti aveva abbandonato la barriera impenetrabile che stava proteggendo la divinità dal calcio del capoerista.

“GANESH! GANESH HA…” Gridando a squarciagola Lilith aumentò l’orrore degli dèi.

Parte della forza di Ganesh aveva ceduto sotto i colpi di un essere umano. Quella ferita ed il sangue versato dal dio mettevano a disagio le divinità, ed un oscuro presentimento si faceva strada nelle loro menti.

“Figlio mio…”

La presenza di Shiva si fece ancora più opprimente di quanto già non fosse. Agni stava temendo per la propria vita mentre il terzo occhio sulla fronte del dio della distruzione si era aperto fissando con odio l’immagine di Besouro trasmessa dagli schermi.

“Prova a rimanere ferito così un’altra volta… e ti ammazzo! Non ti basterà la testa di un elefante per poter rimarginare i danni subiti dai pugni che ti darò, capito?!”

L’ira di Shiva diede modo al pantheon indù di ritrovare la determinazione.

Ganesh… ferito a quel modo? Contro un umano? Che razza di scenario assurdo era mai questo?

Non era possibile. Ganesh deve aver sottovalutato il proprio avversario e non essersi volutamente impegnato a sufficienza. Dopo quest’ultimo colpo il dio elefante avrebbe risvegliato il suo vero potere e annichilito l’essere umano che aveva osato troppo, ferendolo.

Gli occhi di uno dei ragazzini allenato da Besouro si riempirono di lacrime. Il loro maestro era più forte che mai, e trionfando sul dolore delle proprie ferite era riuscito ad infliggere simili danni alla divinità sua nemica.

Nella folla umana sempre più voci avevano iniziato ad esultare. Si trattava di volti sfigurati, corpi deturpati da torture e punizioni crudeli ed ingiuste subite nella propria vita. Persone che avevano sofferto la fame, la sete, e le devastazioni dovute alla guerra nella propria terra per i giochi di poteri di qualche avido tiranno.

Questi umani dei quali persino il nome era stato dimenticato nello scorrere incessante del tempo, gridavano il nome di Besouro mentre il corpo nudo del capoerista si ergeva in tutta la propria possanza dopo aver trionfato sul dio.

“Ancora uno, e poi potremmo anche pensare di lottare alla pari…”

Iniziando a saltellare dopo aver acquisito una posizione da pugile il volto di Besouro, protetto dai due pugni tesi mostrò un sorriso lieve, ma carico di soddisfazione.

“Forse allora potrò insegnarti qualche tecnica per raggiungere il mio livello.”

Il braccio rotto non emanava più alcuna sensazione alla mente di Ganesh. L’orgoglio del dio definitivamente spezzato costituiva una ferita molto più grave e che non sarebbe rimasta impunita.

 

 

Con gli occhi gonfi di lacrime il bambino stava sdraiato sul freddo pavimento nella catapecchia appartenente all’uomo che lo aveva ospitato. Sapeva bene come aver trovato un rifugio dopo la morte di sua madre costituiva una fortuna immensa. Ma il duro allenamento al quale quell’uomo così forte e inflessibile lo sottoponeva era decisamente troppo per un bambino come lui.

“Quando io avevo la tua età, riuscivo senza alcun problema ad eseguire il “cavatappi”. Certo che la gioventù di oggi si è proprio rammollita!

Ridendo a più non posso Tio Alipiò, un maestro di capoeira che da diversi anni aveva guai con la legge a causa dei debiti non pagati per mantenere la propria palestra, osservava il bambino divertito.

Quel fisico gracile un giorno sarebbe diventato forte e muscoloso. Bastava solo qualche anno e avrebbe padroneggiato alla perfezione tutte le mosse con i calci esistenti nella propria arte marziale.

La capoeira lo aveva cresciuto e fortificato nella gioventù, e sarebbe riuscita a far rialzare questo piccolo e debole bambino dalla propria condizione.

Per adesso, il piccolo si limitava a piangere per la fatica provata nell’ultimo allenamento.

“Perché maestro…” Asciugandosi con il pugno chiuso le lacrime Manuel fece una domanda al proprio maestro.

“Perché per diventare forti bisogna soffrire così tanto?”

Quella domanda ingenua pronunciata dalla voce acuta e curiosa di un bambino fece tenerezza a Tio.

“Vedi Manuel. Noi siamo come i nostri muscoli. Questi ci permettono di muoverci, lottare, correre e fare tutto quello di cui abbiamo bisogno per vivere.”

Tendendo il braccio davanti a sé, Tio teneva in tensione la propria muscolatura. Osservando le vene emergere dalla pelle il piccolo Manuel rimase affascinato da quella rete di carne e sangue così complessa, ma così essenziale per la vita di ogni creatura.

“Ogni volta che i muscoli vengono utilizzati, e affrontano un impatto, eseguono una torsione o un piegamento…”

Tio chiuse di scatto il pugno, spaventando un po' il piccolo manuel.

“I muscoli si rompono e gridano per il dolore subito… è per questo che proviamo dolore dopo aver svolto un allenamento!”

Manuel era sorpreso dallo scoprire l’origine del dolore nel suo corpo dopo gli allenamenti. Il suo maestro concluse la spiegazione osservando con uno sguardo determinato il piccolo.

“E così mentre noi ci riposiamo, i muscoli iniziano a ripararsi da soli… e possono crescere.”

In un rapido gesto Tio si girò e sferrò un pugno ad un enorme sacco un po' rattrappito che stava appeso al soffitto.

L’impatto risuonò per la stanza emozionando Manuel, mentre il gancio che teneva il sacco attaccato si era spezzato di netto, facendolo finire disteso per terra.

“Con questo ciclo di dolore e riposo, diventerai fortissimo Manuel! Quindi niente più pianti per un po' di dolore, capito? È proprio per merito di quello che diventerai fortissimo!”

Manuel meravigliato non sentiva più nessuna fatica, anzi: non vedeva l’ora di tornare a correre, e di provare di nuovo ad affrontare il suo maestro!

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Capitolo 6
*** Violence is my Meaning ***


Capitolo 6: Violence is my Meaning

Passandosi una mano sul volto facendo schizzare via il sangue ai piedi della propria statua, la quale osservava immobile lo scontro Ganesh digrignò i denti con gli occhi fissi sull’avversario.

Era passato molto tempo dall’ultima volta nella quale Ganesh si era arrabbiato sul serio.

Un sorriso malvagio rispondeva alle provocazioni di Besouro ed una grassa risata rimbombò per il tempio.

“È proprio degno di voi! Senza trucchetti patetici come questo non potreste mai lottare contro a noi divinità…”

Il dio elefante piegandosi raccolse le proprie armi ai lati del suo corpo. Doveva evitare che Besouro potesse disarmarlo. Nonostante la fiducia nella propria forza fisica non era il momento per competere con l’umano in uno scontro corpo a corpo. Il pulsare della ferita sulla fronte aveva fatto capire a Ganesh quanto fosse alta realmente la posta in gioco per questo scontro.

Non si trattava più solamente delle divinità e dell’estinzione degli umani, ma lo scontro era una questione di onore per il dio elefante.

“Sai dio… io credo che voi non vogliate fare sul serio. Anche se vincete questo torneo non sarebbe una vergogna imperdonabile aver perso anche solo un membro della vostra divina stirpe?”

Era come se lo sguardo perfido di Besouro potesse scrutare nelle profondità dell’animo di ogni dio che aveva assistito allo spettacolo di Ganesh mentre questi veniva picchiato. La determinazione delle divinità era già stata messa a dura prova nell’esito del primo scontro… gli ultimi colpi del capoerista stavano definitivamente spezzando gli ultimi residui del desiderio degli dèi di sterminare gli umani.

“Perché semplicemente non ti arrendi? Pensaci: voi avete tutto da perdere in questo torneo!” Mettendo le braccia dietro la propria testa in posizione rilassata, le parole di Besouro come lame taglienti si erano conficcate nelle menti degli dèi.

“Sembra che abbiamo già finito con la tua proposta. GG Amon!”

Il commento sarcastico di Seth fece riprendere il fratello dal proprio stupore. Anche questa iniziativa del dio era destinata a scontrarsi con la realtà degli eventi? L’ennesimo ambizioso progetto che si concludeva con un nulla di fatto?

Ma dove sbagliava? Possibile che un colpo di sfortuna giungesse sempre a far crollare i castelli per aria che la divinità costruiva per sé stessa?

“Si Amon… anch’io credo che gli umani in fondo non meritino di estinguersi.”

La voce di Atena chiara e limpida nell’esprimere le proprie intenzioni come sempre aveva interrotto i pensieri del signore degli dèi.

Girandosi mentre il proprio volto era diventato rosso per la tensione e l’imbarazzo, con una sensazione nauseante che lo attanagliava allo stomaco, Amon diresse lo sguardo verso gli dèi maggiori.

Fortunatamente lo spettacolo si rivelò rassicurante. Tutti gli dèi con aria piena di sdegno osservavano Atena.

Essa non aveva ottenuto il supporto ricevuto e anzi: gli sguardi torvi delle divinità si erano fatti insostenibili per la singola dea.

La mano della sua migliore amica giunse a tranquillizzarla posandosi sulla sua spalla.

“Calma, calma. Andiamo Atena, dillo a tutti che stavi semplicemente scherzando!”

Osservando con orrore Sekhmet la quale stava ridendo grassamente, Atena si rese conto di quanto il sentimento di rancore verso i propri avversari fosse potente negli dèi. Non vi era alcuna possibilità di dialogo né comprensione: il torneo doveva continuare.

Seth da sotto il cappuccio guardava la giovane dea mentre questa stava perdendo gli ultimi frammenti di fiducia nei confronti delle divinità sue pari.

Il boato emesso dalla proboscide di Ganesh risuonando nell’arena concluse quelle brevi e insulse trattative con Besouro.

“Non cercare di fuggire dal tuo destino! Per te e la tua razza esiste soltanto la fine!”

Tirando un sospiro con le mani poggiate sui fianchi per riposarsi, Besouro scuoteva la testa schioccando freneticamente la lingua in risposta all’aggressione verbale della divinità.

“Tsk,tsk,tsk! Così non va mio caro elefante. Non sai che tutti i potenti arroganti e mal disposti ad ascoltare la voce dei più umili sono destinati ad essere rovesciati proprio da questi?”

Il corpo del capoerista balzò in posizione per un nuovo attacco. Divaricando le proprie gambe tenute dietro di sé e poggiando una mano sul terreno per mantenere l’equilibrio, l’umano aveva assunta una posizione simile a quella di un ragno in attesa della preda.

Una rete tessuta dal combattente umano stava bloccando i pensieri delle divinità su di egli. Quali inganni stava serbando Besouro, di quali incredibili mosse avrebbe dato sfoggio in questo scontro?

Poteva sentire finalmente una sorta di orgoglio a vedere il dio davanti a lui frustrato, e incapace di lanciarsi all’attacco in modo istintivo. Con la sua abilità nelle arti marziali il discepolo di uno schiavo stava mettendo in ginocchio il signore delle schiere celesti.

Lo sguardo del dio elefante si fece più sereno, quasi pacato. Senza mostrare nessuna traccia della proverbiale furia e irrequietezza, la sua bocca iniziò a dare dei piccoli colpetti di tosse, per poi far uscire una sonora risata. Risata di gioia per gli dèi, ma in grado di infondere un’ansia incomparabile nel pubblico umano.

“Che storia divertente! E dimmi… chi mai sarebbero questi signori potentissimi, tanto stupidi da perdere il proprio potere a causa di qualche disgraziato?

Puntando il lungo tridente verso Besouro la divinità dava prova di una fortezza assoluta e incomparabile. Le ferite non rendevano più fragile la sua mole imponente, ed una determinazione incrollabile si poteva udire nelle sue parole.

“Forse si tratta di esseri umani. Ma in tal caso… Tutto ciò è semplicemente naturale. Voi non siete fatti per possedere ed utilizzare il vero potere.”

Un passo. Fu questa l’unica azione a consentire a Ganesh di annullare in un solo movimento la breve distanza che lo separava da Besouro.

Ergendosi sopra di lui, coprendolo completamente con la propria ombra il dio elefante era pronto a schiacciare l’avversario prima che questi potesse rendersi conto dell’accaduto.

“Il vostro fisico decade, mentre la mente e l’animo perdono la propria essenza! Solo la rovina vi appartiene!”

Il tridente e l’ascia quasi unendosi in una singola arma piovevano sopra il fisico di Besouro, così infinitamente piccolo a confronto con quello del dio.

Distruggendo il pavimento e contribuendo ad infossare il terreno, facendo cedere via via la struttura dell’intero tempio le armi del dio inseguivano gli arti di Besouro il quale aveva ricominciato a muoversi fuggendo all’avversario, ma restando sempre vicino al suolo come se vi stesse scivolando sopra.

La leggiadria dei movimenti dell’umano era ineguagliata sulla terra. Ogni muscolo perfettamente allenato e forgiato da innumerevoli scontri reagiva in modo automatico agli spostamenti dell’aria e alle vibrazioni del terreno causate dalla furia caotica di Ganesh. Nonostante il dio apparisse come un’entità completamente abbandonata all’ira e al disprezzo verso il genere umano, nei suoi attacchi non era possibile per Besouro intravedere alcuno spazio o apertura da sfruttare per tornare ad attaccare.

Avvertendo sotto di sé un terreno sempre più fragile il capoerista sentiva di avere i secondi contati. Il proprio corpo avrebbe presto esaurito le forze per mantenere così a lungo questa posizione, così come la struttura dell’edificio prossima al cedimento.

Proseguendo questa folle danza circondato da altissime colonne in pietra, nel luogo sacro che stava venendo distrutto dallo stesso dio il quale lo aveva consacrato, l’umanità era di nuovo sulle spine.

Uno schizzo rosso rapido venne tolto dal corpo di Besouro, macchiando il pavimento. Niente e nessuno osò interrompere questo spettacolo incredibile. Fino a che uno dei due non si fosse fermato, il tempo sarebbe rimasto bloccato per consentire ai due combattenti di roteare in questo vortice di tensione eternamente.

Ripararsi dietro ad un fusto in pietra si rivelò inutile per l’umano, quando il tridente del dio elefante si rivelò in grado di perforare senza perdere forza ne velocità il duro materiale con il quale Besouro intendeva proteggersi.

“Finalmente!”

Commosso Tio si alzò sugli spalti stringendo i denti. I suoi occhi gonfi di lacrime dopo aver ammirato la perfezione esibita dal proprio allievo in ogni movimento facevano cadere gocce umide sulla propria camicia, bagnando i fiori raffigurati su di essa come pioggia.

La pazienza che Besouro aveva acquisito in età adulta e la determinazione della quale aveva dato prova fino ad ora erano una pietra miliare nella crescita di quel ragazzo. Sembrava solo ieri che il bambino solo e depresso, debole e spaventato aveva iniziato ad allenarsi.

“Vedo che sei cresciuto Manuel… Ne è passato di tempo da quando andavi in giro a picchiare i poliziotti!”

A quest’ultima frase vi fu un’esultanza generale di tutti i bambini allievi di Tio, per i quali Besouro rappresentava uno scudo contro agli abusi e le violenze perpetrate da quelli che dovevano essere i protettori dell’ordine, ma i quali in realtà erano tra gli individui più corrotti di tutto il paese.

“Inaccettabile!”

Una figura dalla lunga barba riccioluta, rivestito da una tunica sopra la quale simboli e motivi della mitologia sumera risplendevano sotto il sole protestava animosamente.

“L’umanità non è fatta per vivere come delle bestie… per questo ho dedicato tutta la vita alla stesura di questo codice!”

Un’immensa lastra nera sollevata dalle braccia muscolose dell’uomo con la propria imponenza minacciava tutto il pubblico. Quell’interminabile lista di punizioni crudeli tramite le quali regolare la vita della società, attribuendo ad ogni reato un pagamento in natura tramite una pena uguale o contraria, incuteva timore al solo sguardo. Negli occhi dell’uomo ardeva una convinzione ferrea ed un amore per l’ordine ottenuto con la forza, in diretta contrapposizione alla natura ribelle di Besouro.

“Le tue leggi sai dove te le puoi mettere?”

Ridendo con gusto, mostrando la bocca ormai priva di denti Tio derideva uno dei più grandi legislatori che la storia avesse conosciuto. Hammurabi iniziò ad inveire contro al vecchietto dando prova della propria capacità di insultare. L’aura regale con la quale si ammantava nascondeva un temperamento focoso e impulsivo pronto ad esplodere alla minima provocazione.

Satan osservava questo spettacolo con grande soddisfazione. Ricchi e poveri, deboli e potenti, si trovavano uniti in questo evento, costretti a sperare in un’unica figura posta a loro difesa dal signore del male.

La punta dell’arma di Ganesh si fermò a pochi centimetri dal volto di Besouro, il quale impassibile osservava la colonna cedere sotto a quell’affondo.

Protetto dalla struttura davanti a sé le gambe di Besouro spinsero il capoerista in alto facendolo roteare contro al pilastro di pietra davanti a sé.

Un tremore percosse l’intera struttura quando i piedi dell’umano impattando su di essa, la spinse verso il dio elefante.

Ganesh aveva due scelte: abbandonare l’arma o recuperarla e sostenere l’impatto della colonna sul proprio corpo.

Con un rapido movimento si spostò di lato lasciando il tridente conficcato nella parte bassa della colonna. Questa piombò verso il pavimento scomponendosi in diversi sezioni le quali alzando polvere a causa della pietra sgretolata, impattarono sul terreno.

“Hai deciso di rinunciare al tuo orgoglio e lasciarmi la tua arma pur di non farti colpire…”

Dietro alla colonna che precipitava si intravedeva Besouro, con in mano il lungo tridente di Ganesh recuperato grazie al potere conferitogli da Thronos, ossia il magnetismo. Con un sorriso beffardo fece capire alla divinità come essa fosse caduta esattamente nella propria trappola.

“Peccato che io abbia previsto tutto! Pensi forse di avere a che fare con uno stupido?”

Un calcio scaraventò un frammento di pietra staccatosi dalla colonna verso il dio elefante. Con un nuovo movimento di gambe il detrito venne evitato.

Besouro ora possedeva anche il vantaggio del raggio dell’arma. La situazione si era completamente ribaltata e osservando il dio elefante in quelle condizioni, alla mercè dell’ingegno di Besouro il pubblico divino si rendeva conto del rischio dovuto al sottovalutare gli umani.

Ganesh non potè fare altro se non gettarsi dritto verso Besouro per opporsi a questi mentre stava atterrando. L’unica possibilità era approfittare di questa apertura.

Con il braccio teso a prendere forza per un colpo netto che avrebbe tagliato l’umano a metà le due braccia rimaste al dio elefante facevano da scudo al proprio corpo, mentre Besouro notando l’avversario avvicinarsi, attivò il potere dell’angelo.

Una forza contrapposta rispetto al metallo del tridente, ora tra le mani del capoerista consentì a quest’ultimo di dare al proprio corpo la spinta sufficiente a roteare. Con quella forza Besouro tese il braccio con l’arma all’indietro per poterlo lanciare, con il potere dei muscoli combinato a quello dell’angelo per rendere il tridente un proiettile mortale.

“Quella è… la mia arma…”

Con la bocca spalancata un uomo dall’armatura dorata, e degli orecchini ornati da stupende pietre rosse come il fuoco, il simbolo della divinità che lo aveva generato, commentava la scena del combattente umano che si preparava ad attaccare.

Le memorie delle sanguinarie lotte combattute quando lui stesso ancora viveva in un torneo simile a questo facevano ribollire il sangue di Karna. Si ricordava di quando ingenuamente credeva di poter sfidare e cambiare il proprio destino, tramite la leggendaria lancia che suo padre gli aveva conferito: Vasavi Shakti. Un’arma dotata della capacità di ferire, e poter addirittura uccidere un dio!

Purtroppo per lui l’umanità era ancora troppo debole, e neppure coloro che potevano vantare di possedere nelle proprie vene il nobile sangue di un dio, altro non erano se non pedine per i giochi di potere delle varie divinità, sempre divise ed in lotta tra loro. Essere un semidio era stata solo una maledizione in vita, e anche dopo la morte Karna assieme ai compagni e i rivali di tutta una vita dedicata alla lotta e alla guerra, si trovava costretto a supportare una causa che non gli apparteneva. Osservava con disgusto la mole di Ganesh che con una rapidità innaturale si spostava sul campo di battaglia, e tremava ogni volta che i suoi potenti colpi distruggevano quel meraviglioso edificio, come a schernire gli umani che da sempre avevano vissuto nel timore degli dèi, e adesso si trovavano a doverne affrontare l’ira.

Con le lacrime agli occhi un ragazzo dal fisico più snello di quello di Karna, e dall’aspetto androgino si alzò in piedi stringendo i pugni dalla rabbia. A Karna dispiaceva vedere il proprio rivale ridotto in questo stato, e dopo aver appreso quanto accaduto alla fine delle lotte che avevano segnato tutti i protagonisti del Mahabharata, il torneo con lo scopo segreto di sterminare gli ultimi semidei rimasti sulla terra, non poteva nascondere un’amarezza che gli impediva di godersi appieno le gioie della vita nel Valhalla.

“Uccidilo! Uccidi quel bastardo, Besouro!”

Il grido di Arjuna risuonò dagli spalti in modo da essere udito da tutti.

Ai due semidei non interessava l’odio che avrebbero dovuto sopportare da parte delle altre divinità. Loro sentivano di essere umani: Besouro era il loro campione.

Quei secoli di sopportazione e rimorsi sarebbero fluiti dritti nel cuore e nei muscoli del capoerista permettendogli di vincere. Il disprezzo, l’emarginazione e la denigrazione da parte degli dèi non potevano fermare l’odio per quell’essere spregevole che li aveva tutti ingannati.

Le grandi orecchie del dio elefante percepivano queste grida. Sapeva bene quello che aveva fatto. E sapeva come tutto ciò fosse estremamente necessario per il bene superiore di uomini e dèi.

“Luridi, piccoli esseri insignificanti…”

Riparatosi dietro le proprie braccia Ganesh era preparato a subire l’impatto con la propria arma.

“Non capite proprio… che tutto ciò che io faccio… ogni pensiero, ogni azione…”

Pochi passi separavano i due guerrieri. Una distanza facilmente colmabile sia dall’ascia che dal tridente, tesi alle due estremità dei corpi dei combattenti.

Besouro non aveva ancora lanciato l’arma attendendo il momento giusto, ma si rivelò essere troppo tardi.

“È tutto fatto in nome dell’amore per questo universo!”

L’ascia tracciando una traiettoria curva nell’aria avrebbe schiacciato il corpo di Besouro sotto la propria lama, tagliandolo a metà. Quando l’arma di Besouro fu in prossimità del capoerista, ecco che il potere dell’angelo si attivò nuovamente opponendo una forza contraria all’ascia.

Per i muscoli di Ganesh una tale forza non poteva costituire un reale problema. L’ascia con grande velocità stava tagliando l’aria sempre più vicina ad attentare alla vita dell’umano.

Fu allora che Ganesh comprese di non aver mai avuto alcuna speranza in questo ingaggio.

Le forze magnetiche provenienti da Besouro respingevano i poli opposti. Ma era vero anche che i poli opposti potevano respingere il capoerista come se il suo stesso corpo fosse un gigantesco magnete.

Sferzando l’aria con il corpo perfettamente dritto, in posizione per schiantarsi con le gambe sull’avversario, Besouro venne scaraventato contro Ganesh.

Le braccia del dio elefante si trovavano troppo in bassa per proteggere il reale obiettivo dell’umano: la ferita aperta sulla fronte della divinità, ancora sporca di sangue.

Se una barriera si rivela essere impenetrabile, la cosa migliore da fare è aggirarla. Sorvolando sopra le braccia del dio i piedi di Besouro si schiantarono con tutta la forza racchiusa nel corpo del capoerista sulla fronte di Ganesh.

Un suono di ossa spaccate fece rabbrividire il pubblico divino. La fortezza incrollabile rappresentata da Ganesh, un baluardo posto a simboleggiare quanto gli dèi fossero superiori al genere umano, era definitivamente crollata. Quel corpo mastodontico venne scaraventato nella distanza dal calcio volante di Besouro. Il sangue che volava sul pavimento mentre la mano del dio lasciava cadere l’ascia per terra riempì di orgoglio il genere umano.

Eccola! La loro vittoria! Avevano finalmente ottenuto quello che desideravano, grazie ad un eroe sconosciuto il cui nome da oggi non poi non sarebbe mai più stato dimenticato.

“No! Maledizione! Ganesh… perché ti devi comportare in questo modo?” Apollo gridava deluso da come Ganesh non fosse riuscito a danneggiare minimamente l’avversario, ma lo aveva caricato senza pensarci due volte esponendosi ad un simile attacco.

“Perché non avrebbe potuto fare altrimenti. Dal momento nel quale ha perso il proprio tridente… la sua sorte era già stata segnata. Il vantaggio di un’arma a lungo raggio è stato decisivo per Besouro. E non finisce qui!”

Indicando il combattente umano, Atena mostrò ad Apollo una disperazione ancora più profonda. Impugnando entrambe le armi del dio elefante Besouro si avvicinava con calma all’avversario atterrato qualche metro più avanti.

Rotolando sul pavimento, Ganesh fermò la propria caduta con una mano con la quale sferrò un pugno nel suolo. Il dio era in ginocchio sul terreno, con il proprio volto macchiato di sangue e la mente offuscata da ricordi di un passato distante, mentre la sua visione si offuscava a causa del trauma cranico subito.

 

 

 

Osservando il fisico del padre pieno di graffi e ferite, con il terzo occhio sulla fronte iniettato di sangue, Ganesh sentiva tutto lo sforzo impiegato per soverchiare con la propria forza il padre. Accanto ai propri piedi si trovava una delle proprie zanne, spezzata alla base immersa in un piccolo lago di sangue, facendo risaltare il suo colore bianco.

Solamente uno di loro sarebbe stato ammesso tra gli dèi maggiori, ed una lunga lotta durata giorni interi per decidere il candidato del pantheon indù aveva appena raggiunto il suo termine.

“Dannazione figliolo… un dio come te… a rappresentare tutti noi…?”

Sorridendo senza sminuire per un secondo il proprio esorbitante ottimismo Shiva era profondamente orgoglioso di ciò che suo figlio era riuscito a diventare. Sollevandosi a fatica il fisico del dio della distruzione appariva molto più piccolo di quello del proprio bambino, che lo sorpassava di almeno mezzo metro in altezza. Guardando il padre dall’alto in basso sul volto di Ganesh non si intravedeva una briciola di quell’affetto che il genitore provava per lui.

“Non è il momento di abbandonarsi a sentimentalismi sciocchi, padre.”

Una severità inflessibile giunse a ricambiare l’abbraccio con il quale Shiva avrebbe desiderato stringere il proprio bambino.

L’infanzia di Ganesh non era stata tra le migliori. Lentamente il piccolo che aveva sempre vissuto nell’ombra del padre geloso del suo potere, aveva iniziato un viaggio per tutta l’India alla ricerca delle divinità più forti da affrontare. Apprendendo le tecniche di questi dèi, sottoponendosi a lunghi ed estenuanti allenamenti per poi finalmente… dare tutto sé stesso per realizzare il proprio sogno.

Perché gli occhi di Ganesh all’apparenza privi di emozioni guardavano ben oltre la sagoma del padre, ormai ridotto ad un contenitore vuoto, l’ennesimo avversario da battere per accrescere il proprio potere.

Il creato era ancora così vasto fuori dai territori dell’India. Quali divinità attendevano i pugni di Ganesh? Quali mistici armamenti e mostri leggendari sarebbero stati schiacciati dalla propria ferocia?

Il cammino era ancora lungo, e l’eterna lotta della propria esistenza non gli avrebbe mai concesso di annoiarsi.

 

 

 

 

 

 

“Tutto questo può finire subito. Adesso. Arrenditi Ganesh!” Puntando il tridente contro al suo precedente proprietario Besouro cercava disperatamente di convincere l’avversario alla resa.

Con il sudore che colava dalla fronte e il respiro affannato il capoerista cercava di recuperare al più possibile le forze prima di finire il dio davanti a sé. Dato l’atteggiamento di quest’ultimo non aveva molte speranze per concludere l’incontro senza sporcarsi le mani.

In vita Besouro aveva dovuto uccidere degli uomini. Criminali che minacciavano lui e i suoi studenti, poliziotti corrotti in combutta con le mafie che tessevano le trame con le quali la città veniva mossa nell’ombra. Detestava tutto questo. Però…

“Se facendo questo i miei ragazzi possono continuare a sorridere…” Sul volto stanco di Besouro un piccolo sorriso apparve.

Il dio respirava a fatica mentre cercava di formulare una frase, nel mezzo al dolore e alle rimembranze. L’odio e i rimorsi attanagliavano il cuore di Ganesh.

“Te lo… scordi…”

Tutte quelle vite. Tutti gli sforzi per proseguire nel suo eterno cammino verso la vetta…

“Che io… abbandoni così…”

Una meta irraggiungibile, e questo Ganesh lo sapeva bene. Molte volte si era trovato in difficoltà da giovane, ad un passo dalla morte.

“La mia… Dignità!”

Proprio in quei momenti di crisi, osservando il baratro della non esistenza, il vuoto dal quale ogni cosa proviene a cui tutto è destinato a tornare, lo spirito del dio si rinvigoriva. Liberata la mente da ogni pensiero che potesse interferire con lo spirito di sopravvivenza, il quale prendeva possesso delle sue membra stanche rigenerandone la volontà di lottare, Ganesh poteva entrare in contatto con quella che percepiva essere la parte più vera di sé stesso.

La natura animale che normalmente veniva soppressa sotto ad una parvenza di nobiltà e compostezza, rigidità e onore marziale stracciava quel velo di Maia con il quale Ganesh nascondeva la propria forza.

La lunga asta dell’arma tirando un affondo nell’aria venne bloccata da una mano del dio elefante, nella quale la punta andò a conficcarsi. Stringendo il pugno sopra ad essa Ganesh osservava Besouro mentre questi rapidamente utilizzò l’ascia per far calare un colpo sulla testa del dio.

Una seconda mano andò a parare la lama, tenuta stretta tra due dita mentre essa veniva macchiata da un filo di sangue.

“N-non tutto è perduto!”

L’eccitazione e la tensione erano giunte al limite. Osservando il dio bloccare in tal modo i colpi del proprio campione, gli umani aprirono gli occhi sull’abisso di disperazione che li attendeva.

La lunga proboscide sollevandosi emise un barrito assordante nell’immenso tempio. La terra stessa iniziò a vibrare quando con il terzo braccio rimasto Ganesh si sollevò dal terreno, mentre un calore infernale stava venendo emesso dal suo corpo. La pelle grigia divenne più scura assumendo una tonalità tendente al marrone, mentre sbuffi di vapore stavano venendo emessi dalla bocca e dalla proboscide.

Con un balzo Besouro indietreggiò dopo essere rimasto sorpreso dalla forza rimasta al suo nemico.

Una bestia assetata di sangue e vittoria era tutto ciò che era rimasto di Ganesh mentre questi avanzava verso il nemico.

Le grida di gioia delle divinità per le quali la speranza era risorta, vennero presto messe a tacere.

La figura mostruosa del dio elefante perdette tutto quello che poteva esserci di onorevole in un dio combattente, quando dopo aver sollevato il braccio rotto in alto, se lo staccò di netto dal torace.

La ferita si rimarginò immediatamente e dalla carne staccata non sgorgò una singola goccia di sangue.

Portandosi l’arto alla bocca Ganesh iniziò a morderlo, facendo un sol boccone di pelle, muscoli e ossa. Con le enormi fauci divorò quella parte del corpo in pochi istanti, disgustando il pubblico intero.

“Neppure io… ho mai visto Ganesh in questo stato.”

Il commento di Shiva fece rabbrividire le divinità. Quello che si era mostrato ai loro occhi non era più un dio, ma un’entità simile agli esseri primordiali che infestavano l’universo in un momento in cui il caos faceva da padrone.

Spezzando con la pressione di entrambe le mani le armi bloccate precedentemente, i cui frammenti si dispersero sul terreno, Ganesh intendeva affrontare l’umano e batterlo sul suo stesso campo. Negli occhi del dio splendeva una luce sinistra, che sparì in un singolo istante quando il dio acquisì velocità per lanciarsi all’attacco.

Besouro faticò nel tenere traccia dell’avversario, e schivò in ritardo consentendo al pugno di Ganesh di graffiare la ferita aperta all’inizio dello scontro.

Un secondo colpo proveniente dal lato opposto, un gigantesco pugno che minacciava di polverizzare tutta la mole di Besouro, la quale spariva dietro alla stazza del dio, si avvicinò pericolosamente al volto dell’umano. Con una capriola il guerriero umano sferrò un calcio sul volto di Ganesh, riuscendo contemporaneamente a distanziarsi. Ma con un solo passo il dio aveva recuperato ed una raffica di colpi con le tre braccia si dirigeva contro Besouro. Della ferita sulla fronte non era rimasta più alcuna traccia grazie alle straordinarie capacità rigenerative che Ganesh aveva acquisito con la propria trasformazione.

Con un gioco di gambe che poteva sfruttare al massimo la differenza nella dimensione tra lui e il suo avversario, Besouro si faceva strada tra i pugni che venivano sferrati tentando timidamente di contraccambiare. Ma nessun pugno infliggeva ferite sulla dura pelle di Ganesh, divenuta bollente al contatto ravvicinato.

Il dio elefante a un tratto si fermò.

Besouro sudato e affaticato approfittava di questi secondi di riposo come un autentico miracolo.

Una grassa risata uscì dalla bocca di Ganesh mentre questi si teneva la pancia con le mani.

“È davvero incredibile! Pure adesso… tenti ancora di utilizzare questo patetico potere?”

Il pubblico capì subito cosa intendesse dire la divinità, ed essa girandosi espose a Besouro il motivo di questa interruzione.

Sulla schiena di Ganesh si erano conficcati i frammenti del tridente e dell’ascia del dio, attratto dal magnetismo di Besouro nel tentativo di attaccare l’avversario da dietro.

“Questi graffietti… ecco a cosa ha portato il tuo ultimo tentativo di giocare slealmente!”

Portando in avanti i pugni il dio elefante era nuovamente pronto ad attaccare.

“Adesso puoi morire.”

I colpi tornarono a piovere su Besouro il quale non dava alcun segno di cedimento. Tutte le sue forze erano però concentrate sullo schivare e nessun attacco venne sferrato dal capoerista mentre questi indietreggiava sempre di più.

Una lenta agonia attanagliava gli umani. Vedere quell’umano senza più armi per lottare resistere inutilmente al proprio destino fece capire al pubblico quanto fossero distanti gli dèi dall’umanità.

“Ti devo ringraziare…”

Besouro non prestava nessuna attenzione alle parole che Ganesh gli stava rivolgendo in questi decisivi momenti.

“È merito tuo se mi sono potuto di nuovo superare!”

Eccola! Con la coda dell’occhio Besouro la vide. In quel mare di colpi, mentre stava venendo piegato dai pugni di Ganesh la notò: una possibile apertura per ribaltare le sue sorti!

Piegando il corpo per sferrare un calcio nel torace di Ganesh, laddove questi era rimasto senza un braccio, Besouro sentì il dio ridacchiare.

Emergendo dalla carne coperto da sangue caldissimo e pelle stracciata, un nuovo arto completamente formato sferrò un pugno contro al petto del capoerista mentre questi pose le braccia davanti a sé come scudo prima di subire l’impatto.

Il fisico del capoerista venne scaraventato lontano dalla divinità tagliando l’aria per fermarsi contro ad una parete in fondo alla stanza.

“Maestro…!”

Uno dei ragazzi gridò smettendo di sventolare la bandiera con sopra raffigurato il coleottero.

O Besouro ha smesso di volare?”

Tio versava calde lacrime alla vista dell’immagine straziante del corpo di Besouro la cui schiena giaceva sulla parete, mentre questi si stava rendendo conto di come le proprie braccia fossero state rese inutilizzabili dal pugno di Ganesh.

 

 

La situazione pare essersi completamente ribaltata! Spero vi sia piaciuto fino ad ora questo scontro sicuramente meno spettacolare e più “ignorante” del primo.

Originariamente non sapevo cosa farne del personaggio di Ganesh, avendo scritto per lui soltanto una piccola bozza dove per giunta lottava in modo quasi completamente diverso da quello che vedete in questa versione definitiva. Devo dire che sono molto soddisfatto da quanto sono riuscito a creare con lui, perché diciamocelo: Il dio indù con molteplici braccia nel torneo ci voleva, anche solo per fare un tributo all’originale!

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Capitolo 7
*** Violence is my Meaning Pt.2(End) ***


Violence is My Meaning Pt.2

I due arti gonfi e violacei pulsavano doloranti mentre Besouro stringeva i denti imponendo al proprio corpo di rialzarsi.  Le braccia erano ancora integre, ma gli avambracci non potevano più essere mossi dal capoerista nonostante tutto il suo sforzo, limitandosi a pendere come se dovessero staccarsi da un momento all’altro.

Con passo rapido Ganesh si stava dirigendo verso di lui emettendo vapore dal corpo, una locomotiva di muscoli e rabbia pronta ad investirlo.

“L-la situazione si è completamente ribaltata! Ganesh è più forte che mai mentre Besouro ha perso entrambe le braccia! Come risponderà all’imminente attacco del dio elefante?”

Stringendo saldamente il microfono tra le mani Lilith non aveva il coraggio di guardare la scena che si preannunciava essere un massacro a senso unico.

Amon osservava terrorizzato uno dei possibili rivali per quel maledetto trono sul quale sedeva, crescere e fortificarsi di secondo in secondo proprio grazie al torneo che egli stesso aveva indetto.

La ruota del destino aveva iniziato a girare dopo secoli di immobilità totale. Le prime fratture apparivano in quel fragile equilibrio costruito dai vari dèi in perenne conflitto tra loro per il dominio dell’universo.

Amon sapeva come la sua posizione fosse nient’altro che un’elaborata farsa. In questo istanti gli occhi degli dèi maggiori puntavano sul suo trono attendendo con impazienza l’esito di questo scontro. Per quelli sguardi rapaci ogni esito sarebbe stato positivo, favorevole a spezzare il noioso equilibrio che sussisteva nel Valhalla da troppo tempo.

Il tempio già pericolante cedette definitivamente dopo aver assorbito l’impatto di un pugno diretto verso Besouro il quale schivò all’ultimo istante.

L’immenso edificio iniziò a sgretolarsi mentre le crepe congiungendosi come una rete tessuta dai colpi di Ganesh nel corso dello scontro, riempirono l’intera struttura da cima a fondo.

Pezzi del soffitto si staccavano mentre Besouro cercava di sfuggire alla seconda carica dell’avversario.

Il dio elefante era irriconoscibile. Vene pulsanti si diramavano su tutto il suo corpo mentre la pelle aveva assunto una tonalità rossa. Sfruttando appieno il fisico di un dio Ganesh sforzava il proprio cuore per aumentare costantemente l’apporto di ossigeno ai muscoli, diventati delle autentiche armi pronte ad esplodere in colpi distruttivi in grado di abbattere interi edifici.

La divinità aveva ulteriormente potenziato la propria capacità di colpire l’avversario, generando due braccia aggiuntive che emersero dal torace, minando ulteriormente la capacità di schivare di Besouro.

Con il nemico davanti a lui Besouro non sembrava essersi perso d’animo. Tutta la forza era concentrata nelle gambe le quali prontamente scattarono al primo cenno di attacco da parte di Ganesh. Spiccando in alto sopra al dio Besouro sembrava intenzionato a continuare la propria fuga.

L’umano aveva spiccato il volo senza demordere nella propria battaglia. Il dio elefante notando l’ombra del capoerista sopra la propria testa diresse lo sguardo verso di lui. La costruzione stava precipitando ed una pioggia di detriti si stava per abbattere sopra ai due combattenti minacciando di seppellire entrambi. In una corsa contro il tempo Besouro risaliva lungo una pietra staccatasi dal soffitto per saltare sopra ad un altro frammento del tempio, proseguendo verso l’alto.

Il tempo si era come fermato mentre le due sagome di Ganesh e Besouro seguendo lo stesso percorso sfrecciavano tra le rovine, lungo le colonne ed i pilastri, sopra ai detriti che cadevano dall’alto.

Besouro era in testa, una piccola cometa marrone la cui vitalità si affievoliva di secondo in secondo, per ritrovare nel profondo di sé una determinazione che lo portava ad esplodere, recuperando terreno sull’avversario.

Ganesh lo inseguiva come un gigantesco proiettile di lava incandescente, distruggendo le superfici sulle quali si posava con la propria forza. Niente sul quale Ganesh atterrava nel proprio inseguimento sarebbe giunto a terra integro: nel giro di dieci secondi, l’intero tempio era crollato, ed un cumulo di macerie copriva l’arena senza che nessuno dei due combattenti potesse essere visto dal pubblico.

Ad emergere dalla devastazione fu la sagoma di Ganesh illesa in mezzo al caos circostante. Alzando un pugno al cielo gli spalti delle divinità iniziarono ad esultare mentre un orrido barrito ricordava agli umani quale fosse il loro posto nell’universo.

Il senso di disfatta era piombato sull’umanità intera.

La seconda sconfitta di fila. La disperazione del vedere la speranza rappresentata dall’umile Besouro Mangangà, il quale fino all’ultimo si era opposto alla violenza di Ganesh, svanire come una labile fiammella tra le ceneri del tempio distrutto era tale da far scoppiare in lacrime Tio e gli studenti del capoerista.

“Non puoi lasciarci così, brutto bastardo! Non di nuovo! Cosa faranno i tuoi studenti… chi insegnerà loro a difendersi…? Chi li difenderà adesso…”

Grida di rabbia e insulti piovevano sul dio elefante. Nei suoi occhi senz’anima non si leggeva gioia o soddisfazione. Stringendo i pugni davanti a sé, ammirando la sua nuova forma Ganesh sentiva di essere diventato ancora più potente, sempre più vicino a quella forza perfetta e assoluta che agognava.

 

 

“Non posso neanche scattare una foto al cadavere dell’umano, per acchiappare qualche like? Sei proprio un incosciente, Ganesh!”

Il dio della rovina e del caos Seth stava per lanciare via il proprio telefono a causa della frustrazione, ma l’istinto di preservazione e l’attaccamento innaturale per il dispositivo lo spinsero a trattenersi. Poggiando la testa incappucciata sopra ad una delle sue mani nere e sinuose tirò un sospiro, deluso da come questo combattimento non gli avesse lasciato niente per il suo profilo.

“È come se il suo intero metabolismo si stesse sforzando oltre i propri limiti. Ogni parte di sé è concentrata solo ed esclusivamente sull’eliminare il proprio avversario.”

Apollo ammirava con gli occhi sbarrati le sembianze assunte da Ganesh, in un misto di estasi e terrore. Quella determinazione e la furia cieca con le quali si era scaraventato contro l’esile e malmesso fisico dell’umano rappresentavano per Apollo un traguardo, al momento irraggiungibile.

“È così che dovrò ridurmi… per diventare forte?”

La voce del dio era bassa, inaudibile.

Il potere è desiderato da ogni divinità indipendentemente dal dominio di riferimento del dio stesso. Per gli esseri divini dotati di corpi capaci di compiere autentici prodigi, piegando le leggi della fisica secondo il proprio volere, utilizzare questi doni per agire sul mondo è naturale come per un umano lo è il respirare o il nutrirsi.

Forze della natura che come delle eterne tempeste imperversano nel creato devastando l’ordine per poter imporre il proprio ego sulla realtà, in un ciclo senza fine di lotte, conquiste, sofferenze.

Questo è ciò che sono gli dèi.

“Il suo potere ad una prima occhiata si è come raddoppiato… no, forse è addirittura arrivato a tre volte il proprio livello di potenza originale…”

Queste erano le uniche frasi comprensibili del discorso di Atena ed Efesto i quali misurando la velocità con la quale Ganesh aveva fatto crollare il tempio, tentavano di valutarne in termini matematici la forza e la velocità mentre Afrodite sbatteva la testa al muro.

“NON PERDETE TEMPO IN QUESTE COSE SCHIFOSE! Chi se ne frega della forza necessaria ad abbattere un tempio? È un maledetto dio, dannazione! Un essere che supera le leggi stesse della fisica, il pinnacolo degli esseri viventi! Non rovinate la nostra magnificenza con quelli stupidi calcoli!”

Appena le due parole “stupidi calcoli” giunsero alle orecchie del dio fabbro, egli girò lentamente la testa verso la propria sorella.

Un brivido gelido percorse la spina dorsale di Afrodite. Gli occhi brillavano di una luce sinistra, all’interno delle iridi rosse fuoco.

La figura del dio si trasformò in un secondo in qualcosa di irriconoscibile. Dal braccio destro fino a metà del torace una muscolatura potente copriva le membra del dio, la cui altezza sfiorava i due metri di altezza. I suoi pesanti passi avevano portato Afrodite ad allontanarsi ma il dio piegandosi in avanti arrivò a scrutare nelle profondità dell’anima della dea.

“Hai forse detto… che la matematica è un qualcosa di “schifoso”?”

Balbettando Afrodite cercava di scusarsi con il fratello. Quella era una capacità della quale il dio della forgia non faceva mai utilizzo al di fuori delle proprie attività di fabbro, condotte in completa solitudine, e pertanto Afrodite non aveva mai avuto modo di osservare questa trasformazione.

Con un rapido gesto il dio sollevò il martello legato alla cintura sopra la propria spalla.

La minacciosa arma sarebbe calata di lì a poco sopra il fragile corpo di Afrodite se non fosse stato per l’intervento di Atena, la quale trascinando via Efesto lo portò a sopprimere di nuovo il proprio potere.

Una forza incredibile mantenuta sopita in circostanze normali: era la stessa capacità della quale era dotato suo padre Zeus.

Il potere di Ganesh era però qualcosa di diverso.

Il dio elefante era portato a sforzarsi per superare sé stesso, e raggiunto il limite il proprio corpo poteva ristrutturare sé stesso acquisendo nuova forza e velocità con le quali sovrastare l’avversario, in modo simile a come i muscoli crescono e si potenziano. Poteva compiere ciò grazie all’impeccabile controllo che Ganesh aveva del proprio organismo. Il suo cuore poteva resistere allo sforzo dato dal pompare il sangue a velocità estreme, e irrorare i tessuti di tutto il corpo regolando con precisione eccezionale quanto ogni singola fibra muscolare dovesse espandersi o contrarsi.

Tramite questo metodo aveva potuto potenziare le proprie capacità rigenerative, e modificare la sua struttura ossea in modo da far crescere due braccia aggiuntive con le quali lottare.

 

“Porca…! Non è possibile! La seconda sconfitta di fila?!”

Sputando per terra Satan si era lasciato completamente andare alla furia. Un piccolo e grazioso putto, vicino ad egli in veste di cameriere si rifugiò dietro ad una colonna mentre spaventato osservava il dito del signore del male ricrescere dopo averne staccato la parte superiore con un morso, a causa della frustrazione.

Satan si lasciava andare a comportamenti impulsivi di tipo infantile in situazioni di grande stress.

“E ora chi mando per il terzo round?! Dopo aver visto Besouro soccombere in quel modo, tutti gli altri avranno il morale sotto i piedi…”

 

Lilith si dimostrava un po' titubante mentre stava per proclamare la fine dello scontro.

“È il vincitore è…”

Le ossa del volto del dio elefante si ritrovarono spezzate sotto alla pressione immensa di un colpo inaspettato.

Il pubblico spaventato sussultò.

Bloccandosi nell’aria per l’istante nel quale la propria gamba incontrò la testa di Ganesh, Besouro con il volto contorto dal dolore aveva atteso spostandosi rapidamente e accumulando energia l’attimo giusto per colpire.

“C’è qualcuno che mi sta aspettando. Spiacente, ma mentre ammiravi i tuoi muscoli ne ho approfittato per mettere fine ai giochi!”

Questo era il primo colpo dalla propria trasformazione per il quale il dio stava provando dolore. Una forza sovrumana lo aveva colto alla sprovvista, e pur tendendo i muscoli nel momento immediatamente successivo all’impatto, il corpo di Ganesh stava già soccombendo davanti alla forza di Besouro.

“Questo potere…! Come diamine è possibile… Perché non muori, semplicemente!”

Steso sopra alle macerie il corpo di Ganesh stava già attivando le proprie capacità rigenerative. Il pubblico umano non prestava alcuna attenzione alla divinità, e gli sguardi di tutti fissavano la figura ferita di Besouro mentre questi aveva nuovamente rifiutato di soccombere davanti al dio.

O Besouro… Si è rialzato!”

“Ben ti sta, lurido dio! Puoi attaccarlo come preferisci, ma Besouro è immortale!”

Un lottatore formidabile. Un maestro nell’arte della capoeira che nei quartieri malfamati di Santo Amaro sfuggendo dall’oppressione dei latifondisti tramandava la propria arte ai giovani del luogo, in modo che essi si potessero difendere dai soprusi dell’ordine corrotto che dominava il paese da secoli.

Molte leggende si erano tramandate su di lui. Vi era chi sosteneva come Besouro possedesse un ciondolo in grado di renderne la pelle invulnerabile alle armi da fuoco, costringendo gli avversari ad affrontarlo in un leale duello a mani nude. Altri giuravano di averlo visto sfuggire da situazioni difficili trasformandosi in un coleottero, da cui il suo nome.

In realtà l’unica arma posseduta da Besouro è sempre stata la propria determinazione. In questo momento con i muscoli di tutto il corpo tesi verso l’unico obiettivo di annientare Ganesh, Besouro avvertiva le membra del proprio corpo cedere lentamente ma inesorabilmente.

“Sbrighiamoci, bastardo. Non mi rimane più molto tempo… e neanche a te, dico bene?”

Rialzatosi mentre il fumo emesso dal suo corpo si diradava rivelando gli occhi feroci e l’aspetto terrificante assunto da Ganesh, questi rispose alle provocazioni dell’avversario gettandosi immediatamente verso di lui.

La fatica e il dolore, la pressione esercitata dal proprio avversario infinitamente più forte di lui…

“Sembra proprio di essere tornato a dover apprendere le basi del combattimento insieme a Tio…”

Un sorrisetto apparve sul volto di Besouro mentre il dio stava per dare inizio ad una nuova raffica di pugni. Il sangue aveva raggiunto la massima velocità mentre veniva pompato con forza nei sei arti muscolosi ed enormi del dio.

Sei pilastri di potenza divina tramite i quali il signore dell’equilibrio avrebbe finalmente spento la riottosità del proprio avversario schiacciando solo con la forza bruta.

Nessuna parvenza di tecnica o di onore. Quei discorsi con i quali Ganesh derideva l’umano che sfruttando il potere dell’angelo tentava di eguagliare il dio nello scontro erano ormai confinati nel passato. Soltanto una furia ineguagliabile e l’amore nel mostrare la propria forza senza alcuna misura.

Il primo colpo devastando il terreno con il proprio boom sonico puntava a finire immediatamente lo scontro.

Besouro sapeva come non avrebbe mai potuto eguagliare la forza del dio elefante. Imparando dallo scontro con Gagarin come un umano che tenta di soverchiare un dio sulla base delle sole capacità fisiche è destinato a morire sempre e comunque, il capoerista sfruttò appieno il principio base di molte arti marziali e della stessa capoeira.

L’arte del combattimento fin dai tempi più antichi è sempre stata considerata come un lusso per pochi privilegiati. La forza e la violenza venivano gestite esclusivamente da chi governava, il quale aveva il monopolio delle armi più potenti in circolazione.

Per i poveri e i reietti era possibile soltanto soccombere davanti al peso degli imperi e dei loro re, artefici di un controllo rigido e immutabile su tutto il mondo.

Oppure no?

E se la forza innata di ogni essere umano, il corpo stesso dal quale ogni azione e gesto proviene venisse affinato fino a diventare esso stesso un’arma?

Con il solo uso dei propri muscoli e del proprio ritmo un essere umano poteva armonizzarsi con l’ambiente circostante e con la forza avversaria, incanalando quella stessa potenza contro chi la possedeva originariamente.

Piegando la propria schiena in avanti come a tuffarsi verso l’avversario Besouro spiccò un salto laterale pochi istanti prima che Ganesh lo colpisse. L’aria mossa dal pugno avrebbe ugualmente colpito Besouro ed un successivo pugno lo avrebbe centrato a mezz’aria uccidendolo. Con questa convinzione il dio proseguiva nella propria concatenazione di colpi.

Ma sospeso nell’aria Besouro riservò un’altra sorpresa all’avversario. L’aria lo aveva sì colpito ma essa era come scivolata sopra al corpo del capoerista senza ferirlo, mentre come sfruttandone la spinta il corpo di Besouro aveva compiuto una rotazione.

Il secondo pugno sferrato in avanti non sfiorò neppure l’umano il quale aveva condotto le gambe in prossimità del primo braccio che lo aveva attaccato, stringendole attorno ad esso.

I muscoli del torace di Besouro tendendosi compirono una nuova rotazione la quale stritolò il braccio di Ganesh torcendolo per poi spezzarlo. L’intera mole del dio si trovò trascinata dall’esile corpo dell’umano che lo scaraventò lontano da sé.

Senza aver dato modo alla divinità di colpirlo Besouro aveva risposto in modo impeccabile all’attacco di questi, e osservandolo mentre si rialzava infuriato dal terreno iniziò a ridacchiare.

“Vedo che continui ad accrescere il tuo potere… purtroppo per te, la capoeira è stata concepito come un’arte di combattimento per permettere ai deboli di prevalere sui potenti!”

Le parole dell’avanguardia dell’umanità riempirono di orgoglio i capoeristi brasiliani. La loro arte vietata e soppressa dalle autorità brasiliane per secoli, stava venendo utilizzata per atterrare una divinità all’apice del suo potere.

“Che onore…! Poter ammirare tutto questo… lo schiavo che nelle peggiori condizioni possibili respinge i colpi del suo signore… di Dio stesso in persona!”

Tio sprizzava energia ed eccitazione da tutti i pori. Rimanere seduto su quelli spalti limitandosi ad osservare era ormai impossibile. Chiedendo ai ragazzi vicino a lui chi avesse qualche strumento da suonare, riuscì a rimediare un rozzo tamburo in legno come quelli suonati in Africa.

Assieme a lui diversi capoeristi si erano riuniti occupando una zona degli spalti. Il ritmo cominciò a fluire, una melodia selvaggia e incontrollabile. I battiti dei tamburi e i canti degli uomini che avevano passato la propria vita ad allenarsi nella disciplina della capoeira facevano da sottofondo a file di maestri, che saltando e calciando in una frenetica danza rendevano omaggio a Besouro.

“Non esiste né in cielo, né in terra…”

Il braccio spezzato di Ganesh iniziò a girarsi su sé stesso, schizzando sangue mentre si riaggiustava. In pochi secondi l’arto era tornato in condizioni perfette.

“Che razza di storielle sono mai queste! I poveracci come te…”

La muscolatura del dio pulsava. Le vene rigonfie avvolgevano le sei braccia, temibili armi con le quali Ganesh si preparava a scatenare l’apocalisse.

“Sono destinati a morire per mano del volere divino! La tua fine sarà tragica come la vita che hai trascorso sulla terra, Besouro!”

Un pugno venne bloccato da una gamba del capoerista. La differenza di forza tra i due doveva essere evidente… Ma come mai il capoerista con i suoi esili arti riusciva a fermare i sei pilastri della rovina di Ganesh?

La furia accecava Ganesh il quale poteva vedere e pensare solamente a schiacciare Besouro.

Il suono incessante dei tamburi accompagnava lo scambio di calci e pugni tra l’umano ed il dio. Un brutale massacro fermato dalla frenesia dei movimenti di Besouro il quale con il solo ausilio delle gambe riusciva a deflettere i pugni della divinità sempre più rapidi. Schivando di pochi centimetri ogni pugno Besouro danzava mentre il suo corpo veniva martoriato dalla tempesta di colpi.

Le gambe dell’umano erano la sua più grande risorsa da impiegare nel Ragnarok, e avrebbe preferito non doverle mai utilizzare. Ad ogni scontro con le braccia del dio le ossa iniziavano a cedere, con le prime fratture a minare gli arti sui quali l’umanità stessa veniva sorretta.

Nello sguardo di Besouro non si intravedeva un singolo spiraglio del dolore che stava provando.

Non vi era neppure odio per il suo avversario, un tiranno assetato di potere.

Mentre i muscoli si strappavano e le ossa si frantumavano Besouro percepiva solo un’immensa gioia nel dare tutto sé stesso per il bene dell’umanità. I canti e i cori che dai capoeristi e i suoi studenti si erano estesi a tutta l’umanità impegnatasi in una danza dove ogni popolazione e cultura dando sfoggio del proprio stile di ballo, sosteneva e incoraggiava il proprio campione.

 

Apollo con le lacrime agli occhi osservava questo concerto avere luogo sugli spalti. Tutto questo sarebbe andato perduto se Ganesh e i suoi fratelli avessero vinto i propri scontri.

Stringendo i pugni fino a far sanguinare le proprie mani, il dio dell’arte e della musica stava avendo i propri ripensamenti sull’idea del torneo.

 

Non sono abbastanza forte. Questo pensiero veniva ossessivamente ripetuto dalla mente di Ganesh mentre la vergogna e il senso di inadeguatezza iniziavano ad opprimerlo sempre di più. Il respiro affannato e la fatica nel mantenere il proprio potere ad un livello così elevato non potevano fermare il guerriero divino, nella propria battaglia contro al capoerista. Lui avrebbe dimostrato come il potere di un dio non può essere fermato da niente e nessuno, ad ogni costo.

L’immagine di Besouro davanti a lui si faceva sfocata mentre un sapore di sangue iniziava a riempirgli la bocca.

Numerosi graffi e contusioni sul proprio corpo non riuscivano più ad essere rimarginati.

Come mai la vera forza si stava allontanando da lui?

Egli aveva dato ogni cosa… era sempre stato disposto a sacrificare tutto per essa.

Il dio elefante con un gigantesco tonfo cadde in ginocchio davanti al capoerista, che affaticato si era fermato con lo sguardo fisso verso il terreno mentre gocce di sangue e sudore cadevano sulle rovine sotto di lui.

Negli occhi di Ganesh si poteva osservare un’emozione che nessun dio si sarebbe mai aspettato di vedere esprimersi nel signore del pantheon induista.

Paura.

Con una mano a stringere il proprio petto il dio a fatica si esprimeva tra gli affanni ed il sangue che trasaliva.

“Non c’è proprio… nessuna arte marziale in grado di compensare per la tua forza inferiore…”

Tutto si era finalmente collegato nella mente del dio elefante. Credendo di aver finalmente distrutto una volta per tutte il vantaggio dato potere dell’angelo di Besouro, aveva finito solo per concedere ad egli l’arma con il quale infliggere il colpo di grazia.

“I frammenti delle mie armi… hanno scavato nella mia pelle mentre ti inseguivo senza che me ne accorgessi ed entrando nel mio flusso sanguigno, mi stavano lacerando gli organi e i muscoli controllati dal tuo magnetismo!”

Fili rossi venivano spruzzati da ogni poro del corpo di Ganesh come piccole fontane. Il suo intero organismo stava collassando mentre il dio era stato costretto a diminuire le pulsazioni del suo cuore, per ridurre il più possibile i danni prima della fine dello scontro.

“Dato che mi sono dovuto sforzare sempre di più per massacrarti… ho solamente reso più rapida la mia disfatta…”

La triste conclusione di Ganesh sorprese le divinità. Mai il dio elefante aveva ammesso di compiere degli errori in vita sua. Adesso quella creatura solenne e imponente si trovava in ginocchio di fronte ad un avversario che disprezzava in ogni suo aspetto, in quanto rappresentava l’esatto opposto della divinità.

“Oh oh oh…” Accarezzandosi la barba Zeus non poteva nascondere dentro di sé un leggero timore per l’astuzia esibita dall’essere umano. Lui stesso non si era reso conto del tranello tessuto cautamente dal capoerista durante le ultime fasi dello scontro.

Gli occhi commossi di Atena osservavano la scena di Ganesh prostratosi di fronte a Besouro.

“Questa è una tattica degna dei più grandi eroi delle leggende ai quali ho offerto la mia protezione… sono sicura che con te gli umani non hanno niente da temere. Manca ancora poco, dai…”

La dea della saggezza sperava con tutto il suo cuore per la vittoria dell’umano.

Le incitazioni del pubblico non potevano raggiungerlo. Un oblio oscuro lo stava raggiungendo dopo che egli aveva dato tutto sé stesso per combattere contro Ganesh.

“Pff… Ahahahhaha!”

Nonostante le sue condizioni pietose Besouro scoppiò a ridere sollevando lo sguardo verso il cielo.

“Avresti dovuto vederti! Ma anche il pubblico mi pare un po' sconvolto… andiamo! Credete davvero che un tizio mingherlino come me possa davvero compensare la differenza di forza con qualche mossa di ballo?”

Anche nei momenti di maggiore difficoltà, l’importante è conservare il buon umore!

Le parole di Tio risuonavano nella sua mente. Non vi era nessun dolore o sofferenza che poteva fermarlo. Il suo corpo scattò automaticamente in avanti per terminare lo scontro.

Sollevando una mano con enorme fatica, dato il suo avambraccio rotto, indicò la propria testa.

“Questa qui è l’unica arma con la quale persino uno schiavo può prevaricare su ogni ostacolo nella vita!”

Con una fatica e uno sforzo percepibili dal pubblico Ganesh si sollevò da terra aprendo le sei braccia. Il colore della sua pelle era tornato ad essere grigio, esaurito il boost dato dalla capacità di pompare il sangue a velocità estreme.

“Vieni forza… mettiamo fine… alla mia vergogna… con la tua esecuzione…”

Occhi vuoti ed un aspetto simile a quello di un cadavere che per miracolo continuava a reggersi in piedi, trasmettevano un terrore viscerale agli umani nel pubblico. La divinità sarebbe mai caduta…?

Ganesh stava per puntare tutto sul colpire Besouro, il quale in modo simile all’avversario aveva perso sia velocità che forza per lottare.

Un balzo del capoerista lo stava scaraventando dritto verso il volto di Ganesh mentre le braccia di questi si allungavano per la presa.

“Chi prevarrà tra i due lottatori? Dopo uno scontro pieno di sorprese ci ritroviamo di nuovo a decidere ogni cosa in uno scontro ravvicinato tra due avversari al limite delle forze… speriamo di vedere un po' più di originalità negli scontri futuri!”

Lilith commentò ammiccando maliziosamente in direzione delle telecamere.

Quello che sembrava essere un calcio da parte di Besouro si rivelò in realtà una presa.

Sfuggendo alle mani del dio elefante il capoerista riuscì ad avvinghiarsi al collo dell’avversario. Con il respiro che iniziava a mancargli e la vista offuscata Ganesh agitò le mani in aria cercando di afferrare il corpo dell’umano.

Quattro mani bastarono a stringere il torace di Besouro le cui ossa scricchiolavano sotto la pressione della presa del dio elefante.

Un agghiacciante suono turbò le menti del pubblico. Qualcosa si era spezzato ma restava il mistero di chi fosse lo sfortunato guerriero ad aver ceduto per primo.

I due corpi avvinghiati in questa presa di braccia e gambe, parti umani strette attorno ad una testa da elefante, rendevano impossibile discernere lo stato di salute dei guerrieri.

L’ossigeno nei suoi polmoni si era esaurito. Chiudendo gli occhi ripensava al suo sogno e agli sforzi fatti in questo scontro per raggiungerlo. La strada davanti a lui appariva distante mentre le tenebre spegnevano gli ultimi residui di calore emessi da quel cuore pulsante.

Forse anche il suo discepolo prediletto aveva provato tutto questo, poco prima di spirare?

Ganesh era caduto. Il corpo immenso del dio martoriato dai colpi del suo avversario giaceva sulle rovine privo di vita.

Dopo che la divinità aveva mollato la presa Besouro era caduto davanti a lui. Sdraiato sotto a quel cielo immenso, tutto il dolore temporaneamente anestetizzato dall’adrenalina tornò a colpirlo all’improvviso.

Stringendo i denti piangeva. Ma erano lacrime di gioia.

“Il vincitore del secondo round è Besouro Manganga! Gli umani… hanno conseguito la loro prima vittoria nel Ragnarok!”

Un grido si alzò dagli spalti dell’umanità. Il coro di schiavi e capoeristi proseguì nel proprio canto con più passione di prima. Battendo sui tamburi come a doversi spaccare le mani, danzando fino a procurarsi le vertigini, il suono della libertà e dell’orgoglio della razza umana non era mai stato così vivo.

Dalla cintura in metallo dorata di Besouro diversi frammenti luminosi si alzarono verso il cielo. La figura maestosa di Thronos si ergeva sopra al campo di battaglia dopo essere tornato ad assumere la propria forma originaria.

Satan stringeva i pugni mentre saltellava allegro per la sala predisposta ad accoglierlo, dalla quale poteva ammirare i combattimenti.

“Sì cazzo! Beccatevi questa, luridi dèi!”

Mentre il braccio del signore del male era indirizzato verso gli dèi maggiori e soprattutto verso Amon facendo gesti poco educati, il re delle divinità stava tremando paralizzato sul proprio trono.

Una mano nera si posò sulla sua spalla.

“Oh il nostro povero, nobile re…”

Da sotto il suo mantello Seth sghignazzava. Al suo sadismo bastava possedere la certezza assoluta che dopo questo spettacolo, ne avrebbe viste sicuramente delle belle.

 

 

Il potere di Amon viene messo in discussione, a seguito dell’inaspettata morte di Ganesh. Lo scontro tra questi due è stato abbastanza lungo, spero di non avervi annoiati! Alla fine la vittoria è andata a Besouro, colui che a mio parere si è meritato di più la vittoria, a differenza di Ganesh che fino all’ultimo si è gettato a testa bassa “forzando” lo scontro con la sola forza bruta.

Inoltre con due vittorie di seguito per le divinità, l’esito dello scontro successivo sarebbe stato forse troppo scontato.

Le nuove restrizioni per l’emergenza covid mi stanno dando tra le altre cose, anche un minimo di tempo in più per scrivere. Spero di continuare con questo ritmo, anche se aspiro più alla qualità che non alla frequenza con la quale pubblico.

Rimanete sintonizzati per il prossimo scontro, e grazie per la lettura.

 

 

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