Just one night

di Funlove96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A strange city ***
Capitolo 2: *** Tomb ***



Capitolo 1
*** A strange city ***


Era arrivata in quella cittadina, non sapeva nemmeno lei che strada avesse preso o quando ci era entrata di preciso, e ora Rebecca non aveva idea del come ritornare indietro...

La sua Fiat Coupé aveva deciso di fermarsi poco prima di quello strano e tetro posto. L'aveva da quattro anni ormai, e sebbene avesse bisogno di continue riparazioni quella era la prima volta che l'abbandonava a quel modo. La sua amica Homura le diceva di continuo di prendersi un'altra auto, anche usata, ma che almeno non fosse così vecchia come la sua, lei però non aveva mai voluto ascoltarla. Era molto legata a quella macchina, sin dal momento che suo zio Noah gliel'aveva regalata per il suo sedicesimo compleanno. Era simile alla sua prima auto, e il biondo l'aveva acquistata sperando che le desse le stesse emozioni che vi aveva vissuto lui. Ancora ricordava Rebecca quando l'azzurro dei suoi occhi aveva incrociato il verde di quelli di suo zio, ancora incredula di ciò che si ritrovava davanti. Era azzurrognola, ed era perfetta per lei,che si era già innamorata di quel veicolo. No, non se ne sarebbe mai separata, non così facilmente almeno. Le sarebbe bastato trovare un meccanico, anche se alle dieci e mezzo di sera avrebbe dovuto rassegnarsi e trovare un posto per la notte, per poi cercarne uno la mattina successiva,che potesse aiutarla con la Coupé.
Perché aveva accettato l'invito di Homura di accompagnarla a quella festa? Con tutti quei marpioni che le davano noia e la musica a tutto volume era dovuta andare via, avvertendo la bluetta che sarebbe tornata a casa, e andandosene solo quando lei le aveva assicurato -non prima di ribadirle quanto fosse noiosa, non riusciva a tenere mai i suoi pensieri per se, ma Rebecca le voleva bene anche per questo- che se la sarebbe cavata...

Qui devono prendere davvero sul serio Halloween... si era detta notando le case addobbate con varie candele e zucche intagliate, senza dimenticare lenzuola appese a dei fili e vari pupazzi -abbastanza inquietanti in verità, e la bionda si domandò se non fossero troppo spaventosi per i bambini che sarebbero andati a fare il classico dolcetto o scherzetto- davanti alle porte.
Era un posto molto tranquillo e silenzioso, forse anche troppo. I palazzi andavano dalle tonalità più chiare a quelle più scure del grigio, nessun colore particolare, se non quello dei tetri addobbi. Le strade erano deserte, nessun rumore se non quello del vento che le fischiava nelle orecchie. Le poche luci dei lampioni e di alcune attività, che da lontano le sembravano ancora aperte, non aiutavano a sentirsi al sicuro. La paura invase la ragazza, che letteralmente saltò quando, sul marciapiede che stava percorrendo, si ritrovò una inquietante sagoma scura, spuntata da chissà dove, a sbarrarle la strada.
Sarebbe finita a terra se non fosse stato per una salda presa sui suoi fianchi che le evitò di farsi male. E fu allora che lo vide, alla fioca luce del lampione che li sovrastava e appena permetteva di distinguere i lineamenti dei loro volti.
"Fai attenzione, rischiavi di farti male. Stai bene?" si ritrovò incatenata a quello sguardo nero pece la bionda, finendo col non proferire parola. Era un ragazzo, pressappoco della sua età, poco più alto di lei, dai capelli scuri e quello che, credeva, un cerotto sulla guancia sinistra. Aveva un sorriso che, anche alla semi oscurità, ispirava gentilezza e rimase a guardarlo quasi inebetita. Almeno, finché il ragazzo non la scosse appena dopo averle posato le mani sulle spalle, facendola tornare al presente.
"Ti ho chiesto se stai bene, allora?" la guardava egli, specchiandosi nell'azzurro dei suoi occhi e, se non gli avessero insegnato un po' di galateo, avrebbe finito per stringere possessivamente quei fianchi morbidi, come uno strano istinto, mai sentito prima, gli diceva di fare da quando ne aveva intravisto la sagoma avvolta nel cappotto beige camminare su quel marciapiede. Fortuna che le aveva posate sulle spalle...
"S-Si... credo... si..." che risposta era quella? Che stupida! "Sto bene! Grazie per avermi evitato un incontro ravvicinato col marciapiede..." Anche se sarebbe stato per causa tua, le veniva da finire la frase, ma che scortesia che sarebbe stata quella.

Il ragazzo allargò il suo sorriso e Rebecca avvampò, ringraziando l'oscurità della sera e la luce del lampione, abbastanza flebile da evitarle figuracce. "Sei nuova di queste parti?" aveva domandato lui, che in genere non accoglieva i nuovi, ma già che era lì poteva fare un'eccezione. E poi, quella ragazza lo aveva particolarmente incuriosito.
"Eh? No! Sono.... la mia auto... si è fermata poco lontano da qui e beh, sono solo di passaggio. Pensavo di cercare un meccanico, ma suppongo sia quasi tutto chiuso. In fondo è così tardi. Credo proprio che dovrò cercare un hotel..." poté giurare di averlo visto cambiare espressione alle sue parole.
Egli in realtà era meditabondo, quasi triste. Toccava a lui, dunque, quella gatta da pelare...
Rialzò lo sguardo su di lei, e notò come la ragazza avesse iniziato a guardarsi intorno, quasi impaurita, capendo che doveva davvero trovarsi a disagio. "Ti va di visitare la città?" esordì allora. Era abbastanza tardi, ma magari poteva sciogliersi e abituarsi all'atmosfera, che non era poi così male di solito. Grazie a Sister, che adorava quella festività in particolare, e aveva tenuto ad addobbare tutto, ora la piccola cittadina di Norma risultava un covo scheletri, zombie e zucche che presentavano decorazioni davvero inquietanti, anche per gente come loro...
Ma in effetti, ad occhi non abituati a vederla agghindata a quel modo, quel luogo poteva risultare spaventoso. Pensava a questo, e alle parole più adatte da usare, mentre attendeva una risposta...

"I-Io..." perché non riusciva a parlare? Quel tono così dolce l'aveva colpita ancora. Sapeva di non doversi fidare degli sconosciuti, ma quel ragazzo le ispirava fiducia, e non erano in molti ad avere questa fortuna con lei.

Non era immune alle smancerie e, soprattutto alle medie, un bel film d'amore o una serie romantica erano quasi all'ordine del giorno. Certo, dopo una -o più- sana partitella ai videogiochi, dove era praticamente impossibile batterla. Era pur vero però che quelle poche storielle -se così si potevano definire- che aveva avuto le avevano lasciato l'amaro in bocca, convincendola che l'amore, quello vero, lo si poteva trovare solo scritto fra le pagine dei libri. Roba inventata, parole scritte in modo da avere un impatto sul lettore, niente di più.

Ma quel ragazzo...

"Che stupido!" proprio lui aveva interrotto i suoi pensieri. "Non mi sono presentato..." come poteva pretendere che potesse fidarsi di lui? In fondo era uno sconosciuto. "Shiki Granbell, molto piacere." le tese la mano e non poté negare di aver sentito una strana sensazione, una bella sensazione, mentre la manina diafana sfiorava la sua. Rebecca alla fine aveva deciso, forse presa dalla strana sensazione di benessere che sentiva insieme a quel ragazzo dagli scuri capelli, che poteva fidarsi di quell'individuo incontrato per caso in quella strana cittadina. "Rebecca Bluegarden. Allora? Da che parte si comincia?" tanto valeva accettare l'invito, non era certa di riuscire ad addormentarsi quella sera, e magari avrebbe aiutato conoscere meglio il luogo...
Faceva abbastanza paura, ma era pur sempre tarda sera e tutto addobbato per quella che era la festa più spaventosa dell'anno, certamente non doveva essere così sempre. Sperava.

Il ragazzo decise che sarebbe stato meglio andare per gradi, incontrare gli abitanti subito non sarebbe stata una buona idea, non in quelle condizioni almeno. Sapeva quanto poteva essere difficile abituarsi a quel posto, ricordava ancora quando era stato lui, qualche anno prima -non ricordava con esattezza quanti- a visitarlo per la prima volta, e inoltre lei se ne sarebbe accorta prima o poi....
La condusse per primo nel piccolo negozio in fondo alla strada, bastarono pochi passi per arrivarci poiché era situato proprio sul marciapiede dove si trovavano.
L'insegna era ben visibile grazie alla luce del lampioncino posto sopra ad essa. DJ Zombie Discs, tale era la scritta che, in bianco, si distingueva dallo sfondo completamente ricoperto di immagini in bianco e nero di dischi, dai 50 giri, a più moderni compact discs.

Rebecca ne rimase estasiata. Doveva essere uno di quei negozietti che si proponevano di mantenere viva la sensazione del tenere un disco tra le mani, inserirlo in un lettore e ascoltarne la musica, anche se un po' gracchiata da alcune imperfezioni della liscia superficie.
Dalla vetrina ampia si distinguevano abbastanza bene copertine anni 50 e 60, ma anche alcune più moderne. La bionda dedusse che fosse pensato per accontentare più gusti, e come dar torto al proprietario, se voleva aprire a più clienti possibili il suo commercio? Anche se l'insegna, con quella scritta, e l'atmosfera particolare di quella sera, potevano preoccupare...

"Tranquilla, è solo un soprannome." le disse Shiki, notando come l'attenzione della ragazza si fosse spostata ancora sull'insegna, che doveva averla un po' intimorita. Non poteva darle torto, lui stesso, quando era arrivato, aveva avuto lo stesso effetto, ma a parte tutto, il vecchio Drakken era un tipo a posto.
"Vedi, Drakken, o per meglio dire Joe, era un DJ. Tempo fa... ecco... si è... trasferito qui, e ha aperto la sua attività. È un tipo simpatico, se sopporti le battutine un po'... sinistre ecco." la vide tranquillizzarsi un poco e decise che potevano andare avanti. In fondo, prima finivano, prima potevano unirsi agli altri. E prima si sarebbe ambientata a quel luogo.

Pian piano passarono per tante piccole attività, la drogheria di Moscov, la palestra gestita da Sister -Shiki non ci era mai andato, e non solo perché non ne aveva bisogno. L'albina, oltre alla passione per tutto ciò che di spaventoso poteva esistere, era un vero tiranno come personal trainer, e quegli esercizi erano paragonabili a delle vere e proprie torture...- e il teatro del suo amico Andrew. Proprio di fronte a quest'ultimo la bionda si fermò a lungo. Le locandine degli spettacoli erano esposte in bella vista, e poté notare come la compagnia di attori fosse sempre la stessa. Che si trattasse della Traviata, Madame Butterfly o La Bohème, erano sempre gli stessi. In primo piano poi c'era sempre la stessa attrice. Una donna molto bella, dai lunghi capelli chiari e un sorriso che Rebecca trovò molto dolce. Doveva avere circa una trentina di anni.
"Lei è Nadia. È la moglie di Andrew." disse la voce calda del moro. "È molto bella..." per un momento le sembrò di essere Homura, e andò a coprirsi le labbra con una mano. "Si, lo è..." concordò Shiki, con una strana luce negli occhi, e Rebecca poté giurare di averlo visto... triste?
"È sempre un peccato..." le sembrò poi di udire, sentendosi osservata, ma quando domandò al ragazzo cosa avesse detto egli negò di aver aperto bocca.

"Andiamo avanti?" sviò il discorso lui, e fece per camminare, ma la bionda era troppo curiosa di quel luogo, e il botteghino aperto, che le faceva pensare fosse aperto, non aiutava il moro ad adempiere al suo compito di quella sera. "Possiamo entrare?" la voce speranzosa di lei era l'ennesimo colpo. Come faceva quella ragazza a scatenargli tutto questo?
"Penso.... penso che possiamo... solo qualche minuto..." si dava dello stupido, ma non riusciva a dirle di no...
Così finirono per entrare nell'edificio.

Al botteghino, come volevasi dimostrare, si disse il moro, c'era un uomo sulla trentina, capelli e occhi scuri, piuttosto magro, che diede loro il benvenuto.
"Buonasera! Shiki perché non mi hai detto di avere una fidanzata così carina? Pensavo fossimo amici." disse egli appena se li ritrovò davanti, facendo un gran sorriso. "N-Non è la mia fidanzata..." arrossì appena, ma per fortuna Rebecca era troppo impegnata a voltare il viso ad alcune locandine, nel tentativo di nascondere il rossore sulle gote, per accorgersi della sua reazione. "È-È una mia nuova... a-amica...." Andrew non cambiava mai, da quando lo aveva conosciuto parlava sempre d'amore e quelle robe sdolcinate con cui riempiva spesso i suoi copioni, quelli dei piccoli spettacoli che gli piaceva creare e offrire al pubblico, quelle volte che non era in programma qualche opera famosa. Quella doveva essere una di quelle sere, pensò il moro, dato che non erano previsti spettacoli in vista della festicciola che impegnava la cittadina proprio in quella ricorrenza.
"Tua moglie si è già avviata?" distolse l'attenzione da quell'argomento, e non poteva immaginare quanto la bionda gliene fosse grata, andando a stuzzicarlo su un argomento al quale il vecchio Andrew era molto legato, e del quale non si rifiutava mai di parlare.

"No! Sono ancora qui che lo aspetto!" fece la sua comparsa, accanto alla porta rivestita di rosso bordeaux -come quasi tutto l'arredamento di quel teatro- del botteghino, una donna molto bella, dai capelli lunghi e chiari, che Rebecca riconobbe come l'attrice nelle locandine.
Si avvicinò all'uomo stampandogli un bacio leggero sulle labbra e si voltò in direzione dei due. "È una tua amica?" domandò, fingendosi ignara del discorso di poco prima, ed ebbe in risposta un cenno di assenso col capo, più deciso da lui, incerto da lei. "Salve cara. Sei nuova di qui immagino. Molto piacere, Nadia!" le sorrise affabile. Rebecca afferrò la mano che la donna le porgeva quasi d'istinto, e ricambiando il sorriso.

Le dava uno strano senso di sicurezza, e doveva dirlo, quella città le sembrava sempre meno cupa man mano che passava il tempo. Non bisogna mai giudicare un libro dalla copertina, glielo ripeteva sempre una sua vecchia amica del liceo, molto appassionata di lettura, tanto da voler intraprendere la carriera da scrittrice. Forse avrebbe dovuto organizzare una rimpatriata un giorno di quelli, era curiosa di sapere se Lucy fosse riuscita a realizzare il suo sogno. L'ultima volta che l'aveva vista, ricordava, era il giorno del diploma, prima che si trasferisse in un'altra città col suo ormai fidanzato. Come si chiamava quello strano ragazzo dai capelli rosa... Natsu!
Avrebbe proprio dovuto almeno telefonarle.

"Allora?" la voce dolce della donna la scosse dai suoi pensieri -quella sera era davvero strana, non riusciva a non perdersi nei ricordi- facendola tornare a guardarla stranita. "S-Scusi?" poté solo domandare, non avendo registrato una sola parola. "Ti ho chiesto se ti va di vedere il teatro." non se la prese la donna, che capiva benissimo il turbine pensieri che poteva aver preso la bionda. Capitava spesso.
"V-Volentieri... ehm, cioè, se non arreco disturbo.... magari stavate chiudendo e poi mi pareva doveste andare da qualche part-" non finì la frase perché la donna l'aveva già tirata verso l'entrata, approfittando del fatto che la bionda le stesse ancora stringendo distrattamente la mano. "C'è ancora tempo." le rispose appena furono dentro la sala. Era vero in effetti, da quelle parti il tempo aveva un modo tutto suo di girare alle volte. E poi, i festeggiamenti sarebbero durati davvero fino a tardi, non era certo una novità, e lei era abbastanza vecchia da poter ricordare che non vi era stato un solo anno in cui fossero finiti prima che le luci dell'alba arrivassero a decretare la fine della notte delle streghe.

Era tutto magnifico, e Rebecca era affascinata dalla vista che le si presentava davanti.
Era una piccola sala, con un grande lampadario al centro del soffitto, le poltrone ricoperte di velluto rosso bordeaux, e un palco rialzato dalla parte opposta a dove erano entrate, seguite dai due mori. Le luci del lampadario erano spente, ma quelle delle piccole luminarie, poste in fila lungo le pareti laterali, permettevano di vedere bene quel luogo, che alla bionda sembrò quasi magico.
Da romantica quale era, Rebecca non poteva non ammirare la bellezza di quel luogo, che chissà quante opere, romantiche, tragiche e comiche, aveva visto...

"È sempre più bello così, anche se, da direttore, ovviamente lo preferisco pieno!" esordì Andrew, il quale aveva nel frattempo preso sua moglie per la vita, stringendola a se e facendole colorare di rosa le gote.
Devono amarsi molto... si disse la bionda. Sembravano davvero felici e quel luogo, probabilmente la realizzazione del sogno di una vita, rendeva il quadro ancora più idilliaco.
Doveva essere stato così anche per i suoi genitori. Non li ricordava -come avrebbe potuto? Erano entrambi morti quando era troppo piccola, e finì per essere cresciuta dall'unico parente rimasole- e più di una volta si era chiesta come si fossero conosciuti, oppure quando si erano accorti di essere innamorati. Forse il sorriso quasi materno di quella donna le aveva risvegliato ancora una volta ricordi che aveva preferito seppellire, e il perché era facile da intuire proprio grazie alla reazione del moro più giovane che, vedendola con gli occhi lucidi, le si avvicinò preoccupato.

"R-Rebecca... stai bene?" domanda stupida, dato che stava quasi piangendo, ma quando vedeva qualcuno in lacrime andava letteralmente in tilt.
Da quel che ricordava, fin da piccolo, se vedeva qualche suo amico piangere, il ragazzino sorridente che era di solito spariva, lasciando spazio al bambino pronto a tutto per far tornare il sorriso ai suoi amici, anche alle risse. Come quella che gli fece conoscere, proprio negli anni che passò all'orfanotrofio, quello che ancora oggi, nonostante tutto, considerava il suo più caro amico...

"N-Niente, è solo che è molto bello qui...." bugia. Lo vedeva benissimo che stava mentendo. Certo però, non poteva costringerla a parlargli di cosa non andasse. Ma se reagiva così adesso...

"Perché non le fai fare un giro? Visto che le piace tanto questo teatro, suppongo sia curiosa di vederlo." interruppe quel silenzio Nadia. Magari poteva aiutarla, era abbastanza vecchia da capire la situazione grazie a un solo sguardo. Certamente lo era più di suo marito che, come i due più giovani, la guardava con aria stranita. "Noi dobbiamo andare o faremo tardi. Poi magari ci raggiungete, tanto sai la strada!" afferrò il braccio del marito, voltandosi e portandolo fuori con lei in un modo così naturale che stupì anche Andrew che, sebbene dopo tanti anni insieme la conoscesse come le sue tasche, si stupì di vederla così calma.
I due sparirono, uscendo da dove erano entrati tutti e quattro, e solo quando furono in strada -Andrew aveva avuto appena il tempo di prendere il nero cappotto appeso sullo schienale della sedia, all'interno del botteghino- la donna gli spiegò cosa le prendesse.
Si fidavano di Shiki, come di tutti in quella piccola cittadina, ed erano certi non sarebbe accaduto nulla di male, ma ancora non capiva perché sua moglie lo avesse trascinato via così. La notte vera e propria, e di conseguenza anche la vera festa, sarebbe iniziata più tardi, avevano tutto il tempo di aspettare i due.
"Scrivi tanto di sentimenti, tragedie e amori, e poi non sai riconoscerne quando ti capitano davanti?" ridacchiò, e non se la prese lui, sapeva che non lo diceva per prenderlo in giro. "Eravamo di troppo eh?" concordò alla fine, iniziando a comprendere cosa la sua consorte intendesse.
Le porse il braccio, che lei accettò -come sempre e si, forse erano davvero vecchi- e si avviarono verso la loro meta, lasciando le cose al fato che, se aveva preso quella strada, un motivo forse c'era. Erano abbastanza vecchi da averlo imparato bene ormai, che il destino fa come vuole.

~~~~



Il silenzio che aleggiava da qualche minuto iniziava ad essere pesante, e il moro non ne poteva più. "A-Allora... ti va di finire la visita?" spezzò la leggera tensione che si era creata, distraendo la bionda dalla contemplazione della porta da cui poco prima erano usciti i due. "E-Eh? Ehm.... m-magari... si..." si scosse, bandendo dalla mente i pensieri di poco prima. Quella sera era davvero strana, cosa diavolo le prendeva?
"Si!" rispose con più decisione, e si lasciò guidare dal ragazzo per quel luogo. Doveva ammettere che, sebbene non fosse tipo da teatro -di solito preferiva girovagare su internet in cerca di film e video, romantici e talvolta divertenti, cercando di carpire spesso i segreti degli youtubers, sognando un giorno di aprire un suo canale- il Red Cave aveva qualcosa di magnifico, quasi magico, e si sentiva propri bene lì, nonostante il momento di poco prima.
Ora ne aveva la conferma, quel posto non era così spaventoso, e ancora una volta dovette dare ragione alle parole della sua vecchia amica.

"Allora... da questa parte ci sono i camerini." la condusse verso una piccola porta, anch'essa coperta dalla tappezzeria color bordeaux, e una volta girata la maniglia d'ottone il loro sguardo si posò sul corridoio illuminato dai due neon posti ai lati, laddove erano ben visibili anche le porte in legno scuro lungo le pareti.

La bionda dovette ammetterlo, anche quella parte era davvero bella, evidentemente i proprietari non avevano lasciato nulla al caso, rendendo ogni angolo di quel luogo sereno e accogliente.
Si avvicinarono a quello che, dedusse dal nome sul cartello affisso sulla porta, doveva essere il camerino di Nadia. "È veramente bello, un vero spettacolo anche dietro le quinte..." quella sera non riusciva ad evitare di dire la prima cosa che le passava per la mente. Forse cominciava ad ambientarsi, e si ripromise di tornare, sicuramente di giorno e lontano da celebrazioni di quel genere, in quella piccola cittadina.
"Hai ragione... uno spettacolo meraviglioso...." si sentì ancora una volta osservata, ma si disse che dovevano essere i suoi ultimi timori. Si sarebbero calmati man mano che sarebbe andata avanti...

"Ti va di provare la vista dal palco?" le domandò il moro, in parte anche per distrarsi e smetterla di fissare quella ragazza. Che accidenti gli prendeva?

Una volta che la bionda ebbe accettato l'invito, la seguì fuori da quel corridoio, spegnendo le luci attraverso l'interruttore posto sul muro accanto alla porta, prima di richiuderla e accompagnare Rebecca fin sotto il palco, passando in mezzo alle poltroncine di velluto bordeaux.
La precedette di qualche passo giusto per salire prima di lei e accovacciarsi porgendole la mano, che però lei rifiutò, e riuscì a notare una strana luce negli azzurri occhi che, non poteva negare, era tanto bella quanto inquietante. "Perché non mi reciti qualcosa?" fu infatti l'unica frase con cui rifiutò il gesto, prima di sedersi in prima fila, per vedere bene lo spettacolo.

Doveva ammetterlo Shiki, quella ragazza era davvero in grado di stupirlo, ma certo, in modo molto piacevole. Sembrava che avesse dimenticato i timori di poco prima, e ora lo guardava ridente e in attesa di vedere, probabilmente, quale sarebbe stata la sua mossa.
Decise di stare al gioco, innanzitutto perché lui stesso era incuriosito da quella sfida, ma non sarebbe certo stato l'unico...
"Solo se lo fai anche tu!" la vide sussultare sul posto, evidentemente non si aspettava nemmeno che stesse al gioco. "O hai paura del palcoscenico? Non sarai mica codarda?" disse in tono canzonatorio, e quello fu ciò che fece scattare la molla. Nessuno poteva darle della codarda. Ma ormai il moro, seppure non potesse conoscere il suo lato competitivo, aveva fatto leva sul suo orgoglio e nulla poteva impedirle di dargli una lezione.
Balzò in piedi dalla seduta e si avvicinò al palco, lui non perse tempo e tornò a porgerle la mano, che lei stavolta afferrò facendo leva sulle gambe.

Ma Shiki non aveva fatto bene i conti col pavimento che, nonostante le sneakers aiutassero, restava pur sempre liscio oltre che, probabilmente, appena lucidato. Finì lui stesso per sbilanciarsi con la bionda che però, essendosi affidata già a lui, non aveva altro appiglio se non la mano che la traeva a se.
Fu un attimo. Un solo momento. Un battito di ciglia...
Si ritrovarono entrambi distesi sul pavimento legnoso e liscio, lei sopra di lui, e il tempo sembrò davvero fermarsi.

Le mani di Shiki erano scivolate ancora una volta sui fianchi della bionda, e quello strano istinto sorto in lui poco prima sul marciapiede tornava prepotente...

Ma stavolta bandì il bon ton, senza neanche fermarcisi troppo a pensare, forse complici anche le mani di Rebecca che, posatesi sul suo petto nella caduta -il giubbotto nero non gli impediva di sentire quel contatto come fosse sulla nuda pelle, e quasi si chiese se lo indossasse ancora- e strinse quei fianchi come fossero l'unica ancora di salvezza nel bel mezzo di in un mare in tempesta dove lui sembrava affogare. I visi a un palmo l'uno dall'altro, i respiri fusi in uno solo, e gli occhi...
Quegli occhi che sembravano non volersi liberare di quella invisibile catena che li teneva lì, dove niente e nessuno sembrava esistere oltre che loro due.
I nasi a sfiorarsi e le palpebre, inspiegabilmente, a chiudersi, mentre le labbra rosee si posavano leggere su quelle di lui. Un leggero sfregamento che ben presto divenne fame, fame insaziabile...
Una mano lasciò il fianco di Rebecca -l'altra no, che strinse quel punto ancora più saldamente- per salire e tuffarsi nei biondi capelli, immergendovi le dita e spingendola ancora più vicino a lui.
Le manine candide di lei si mossero per andare a incorniciargli il viso, non sapendo quanto quella carezza causò nell'animo del ragazzo, la cui lingua iniziò a picchiettare le labbra in cerca di un varco.
Varco che quelle labbra gli concessero senza troppa resistenza -come se nella mente della ragazza si fosse mai prospettata quella pazza idea di resistere- e le lingue si incontrarono, iniziando una danza tutta loro...

Fu solo per il bisogno impellente d'aria che la bionda dovette staccarsi, allontanandosi quanto bastava da lui per offrirgli una vista che, se solo avesse conosciuto il paradiso, avrebbe potuto definire angelica. Un angelo biondo, con due occhi color cielo grandi come quelli di un cerbiatto, le guance rossissime -riusciva a vederle abbastanza distintamente nonostante ci fosse poca luce, abbastanza per vedere almeno dove camminare- con ancora le labbra schiuse e il leggero affanno.

Semmai fosse finito in paradiso, avrebbe voluto che fosse proprio così...
E quel dannato pensiero lo colpì come un fulmine, aprendogli bene gli occhi su ciò che era appena accaduto.

Si mise a sedere, dopo che lei gli si era tolta di dosso,con non poco imbarazzo, e poi si alzò aiutandola a fare lo stesso. Negli occhi scuri un misto di emozioni che Rebecca non riusciva a decifrare, forse complice anche l'imbarazzo che cresceva in lei, e questo la spaventò.
"Rebecca..." il tono serio del moro non aiutava, e il pensiero che iniziava ad aleggiare nella sua mente trovò facile via per farle saltare anche il cuore...
"D-Devo dirti una cosa..." doveva, non poteva più aspettare. Lo aveva fatto per troppo, e proprio per questo, ora, dirglielo faceva ancora più male di quanto ne facesse all'inizio...

Per fortuna non era mai toccato a lui, pensava sempre, ma quella sera di lui nemmeno l'ombra, e la sua presenza mai come allora era stata più necessaria...

"Non serve, ho capito..." lo stupì però la bionda, mentre si voltava diretta verso la tendina rossa al lato del palco, quella che portava nella sala costumi. Lei lo sapeva già?
La seguì d'istinto, e lei si degnò di fermarsi solo una volta raggiunta la sala, semi illuminata dalla luce che veniva da fuori, e si girò a guardarlo con gli occhi lucidi e il senso di colpa a pesare sul cuore. "Scusami, hai ragione... ci siamo appena conosciuti e... i-io non lo so cosa mi è preso... n-non mi era mai successa una cosa del genere..." era vero, non le era mai capitato di comportarsi così, e se quel ragazzo avesse avuto già qualcuno?
Certo, era gentile, simpatico, per quel poco che lo aveva conosciuto, e si, bello, questo non si poteva negare. Avrebbe potuto continuare per la sua strada dopo averle evitato la caduta, e invece, probabilmente vedendola timorosa di quel luogo, le aveva offerto di farglielo visitare...

Aveva detto di doverle dire una cosa, e sicuramente era che fosse già fidanzato. Era impossibile che non lo fosse, pensò la bionda.

E lei?
A lei quel bacio era piaciuto, e lo avrebbe anche continuato. Quella sera non era lei, ma la stranezza era che non le dispiaceva. Le dispiaceva semmai aver fatto un torto ad una persona che non conosceva nemmeno...

"Dimentica tutto ok? Mi dispiace, è stato un errore...
Credo... credo che sia meglio che me ne vada... prenderò un autobus...." disse a fatica, cercando di indietreggiare nel momento in cui lo notò avvicinarsi a lei. Con lo sguardo basso e le ciocche a coprirgli gli occhi Rebecca non poteva vedere il suo sguardo, ma era certa si fosse inscurito, probabilmente dalla rabbia.

Dimentica tutto...
No, non aveva capito. Shiki se ne rese conto da quelle parole...
È stato un errore...
Parlava forse di quel bacio? Beh, non che lo avesse programmato, ma nemmeno gli dispiaceva. Aveva risposto a uno strano istinto, mai sentito prima, e lo avrebbe rifatto altre dieci, cento, mille volte, perché no, non era un errore.
Il punto era un altro, e casomai era lui a doverle chiedere scusa...

Doveva dirglielo subito, questo si, questo era un errore, ma non poteva accettare di vederla con gli occhi lucidi a sentirsi colpevole di qualcosa che, alla fine, avevano voluto in due. Forse lui lo aveva voluto dal primo istante in cui i suoi occhi si erano posati sulla sua figura.

Rebecca si ritrovò presto con le spalle alle muro, mentre Shiki si fermò solo quando fu a pochissimi centimetri da lei, alzando lo sguardo solo per dirle serio "Vieni con me." e non era una richiesta. Le prese la mano e la tirò verso di se, dirigendosi verso la porta poco distante.
Uscirono dal retro del teatro, e Shiki la portò verso una destinazione sconosciuta. Non seppe per quanto camminarono -sicuramente qualche minuto- e cercò più di una volta di sfuggire alla salda presa del moro, che però non accennava a volerla lasciar andare. La teneva stretta, nonostante non le stesse facendo male. Era una presa salda ma dolce al contempo, e Rebecca nemmeno credeva fosse possibile sentirsi quasi in trappola, senza possibilità di poter fuggire, e contemporaneamente bearsi di quella stessa trappola...

Oltrepassarono i grigi palazzi, uno dei quali era addobbato si come gli altri, ma aveva, a differenza di essi, le luci accese. Non vi fece però molto caso, perché sentì Shiki rallentare, fino a fermarsi, in un luogo lugubre e tetro, circondato da un cancello, aperto nel punto in cui i due entrarono.
Non era difficile da capire dove l'avesse condotta il moro, le bastò guardarsi un po' intorno per notare i cipressi che costeggiavano le lapidi di marmo. I numerosi lampioni erano accesi, e non le serviva vedere altro per capire che fossero entrati in un cimitero.

"C-Che ci facciamo qui?" domandò timorosa al ragazzo, che intanto si era avvicinato a una delle lapidi, rispedendole con un "Vieni..." stavolta era una più una richiesta, e lei, senza capirne il motivo, mise da parte la paura che le incuteva luogo e si avvicinò. Era pronta a chiedergli ancora cosa ci facessero in quel cimitero, ma si bloccò quando lo sguardo cadde sul freddo marmo di fronte a lei.

"Shiki... che ci fa il tuo nome su questa tomba?" domandò scrutando attentamente le parole presenti sulla superficie grigiastra.

Shiki Granbell. Era quello che era inciso sul gelido marmo, con tanto di foto che si, ritraeva proprio il moro accanto a lei.

"È questo quello che devi sapere..."



[5160 parole]



Angolo autrice.
Buon Shicca Day!
Eccomi con una mini storia di due (o forse tre, devo ancora decidere) capitoli!
Cosa succederà adesso? E perché il nome di Shiki è su una tromba nonostante lui sia lì in piedi?
Lo scopriremo solo nel prossimo capitolo.
Augurandovi ancora un buon Shicca Day, ora vi lascio. Grazie per aver letto.
Ciao❤️

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Capitolo 2
*** Tomb ***


DOCTYPE html> Attenzione: Nel capitolo è presente una scena piuttosto forte (descrizione di una morte violenta, per la precisione) per non leggerla, saltare la parte racchiusa tra gli asterischi rossi "****".



"Perché il tuo nome è su questa tomba? È una specie di scherzo o cosa?" Non c'era paura nella sua voce -non si era mai fatta spaventare da scherzetti del genere- mentre incastrava gli occhi azzurri in quelli pece del moro. Quello che le sconvolgeva l'animo era più che altro la delusione.
Delusione per tutto, dall'impressione che il ragazzo le aveva fatto, fino al suo lasciarsi andare con egli in quel modo...
Sembrava tanto gentile e affabile, una di quelle persone che mai avrebbe creduto di conoscere nella vita, e invece era solo un ragazzino che voleva fare uno stupido scherzo, trovando in lei la sua vittima...

Egli tentò di dirle qualcosa ma lei lo bloccò con un gesto secco della mano. Già immaginava di finire su YouTube, in uno di quei video dove si prendevano persone a caso in strada, filmando le loro reazioni ad una scena del tutto inventata. Magari c'erano anche dei suoi amici, vestiti da mostri o fantasmi, nascosti da qualche parte in attesa del momento giusto per sbucare fuori e spaventarla...

Che stupida che era stata ad esserci cascata! Aveva incontrato il ragazzo solo poco prima, fidandosi della prima impressione che le dava, complice la fioca luce del lampione, aiutata, forse, dal suo essere ingenua. Si era sentita quasi come alle medie, quando incontrava il ragazzo per cui mezza scuola, compresa lei, aveva una cotta, ragionando però come la ventenne delusa dall'amore che era. Eppure qualcosa di non ben specificato dentro di lei -una sorta di istinto o forse un sesto senso, entrambi malfunzionanti evidentemente- le aveva detto di fidarsi, lasciando la mente altrove e concentrandosi su ciò che il cuore le diceva.
Sì, il cuore...
Quel dannato muscolo in mezzo al petto che, era certa, se avesse fatto abbastanza silenzio e ci avesse messo un po' più d'attenzione nell'ascoltarlo, avrebbe potuto sentire distintamente fermarsi solo al pensiero di quello che era accaduto. Di quello che lui le aveva fatto...
Quello stupido miscuglio di sentimenti semi-adolescenziali l'aveva portata a questo, di fronte a un ragazzo che si stava solo divertendo con lei, e accanto a una tomba vuota...
L'aveva portata a stare lì, in mezzo a un cimitero, con una tomba riportante il nome della persona che le stava davanti.

Non seppe perché, ma le tornarono in mente i coniugi di poco prima, e si domandò se davvero era quello l'amore...
Quella però, più che una domanda era una certezza.

Era quello ciò che aveva sempre sperato di trovare, qualcuno che la guardasse come Andrew guardava Nadia poco prima e no, era sicura, -non sapeva da cosa dipendesse, ma quella certezza era lì, ferma e stabile come una statua- che loro non mentissero. Era impossibile simulare una cosa del genere. Gli occhi sono lo specchio dell'anima si dice, e lei in quegli occhi scuri vi aveva visto solo l'amore, ricambiato, per la donna che il suo cuore aveva scelto in mezzo a quello di sette miliardi di persone per vivere il resto della propria vita insieme. Chissà come si erano conosciuti...
Sicuramente il destino era stato benevolo a farli incontrare, e l'amore poi aveva fatto il resto.
Ben presto le tornò in mente anche quel bel teatro, certamente frutto di chissà quanti sacrifici, dove l'amore veniva scritto, romanzato e interpretato per il pubblico che decideva di trascorrervi la serata. Nato probabilmente da una passione comune e dall'amore -quello vero- che li legava, con all'interno tanti finti amanti... tanti bravi attori...
Bravi attori...
Esattamente come quello che la guardava negli occhi proprio in quel momento, sperando di ingannarla ancora, dopo quello che di bello -almeno per lei- c'era stato su quel palco. Era dunque una menzogna anche il bacio?
Non ne era certa -maledetto cuore che le stava oscurando la ragione! Perché sì, doveva essere quello a parlare, dato che la sua mente era ormai partita per la tangente e non vedeva null'altro se non le bugie attorno a sé- ma anche il bacio era una finzione, e il solo pensiero che il moro potesse aver mentito per tutto il tempo fece sì che la rabbia prendesse il sopravvento, oscurando la paura di quel luogo tetro...

Si vergognava da morire, e già vedeva i commenti sotto quel video, da chi le dava della facile fino a chi rideva di quanto fosse stupida nell'essersi fatta mettere nel sacco così facilmente. Non voleva di certo che la sua tanto desiderata carriera su YouTube iniziasse così, ma a quanto pareva si era fatta mettere nel sacco da un bel faccino sexy su cui avrebbe volentieri tirato un pugno per quanto era arrabbiata.
No, non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla piangere, e si costrinse a reprimere le lacrime che stupidamente spingevano per uscire, lava bollente fatta di acqua e sale, che le bruciava gli occhi ogni volta che sbatteva le palpebre per impedir loro di correre lungo le guance, ormai ardenti per la vergogna e la rabbia...

"Non ti avvicinare!" urlò quasi, coprendosi poi la bocca sconcertata -urlare in un posto sacro come quello? Era impazzita!- quando il ragazzo fece qualche passo verso di lei. Era tutta colpa sua!
Tutta colpa di quel moretto incontrato per caso sotto un lampione, che però non accennava a volerla ascoltare, avvicinandosi sempre di più. "Non è uno scherzo..." lo sguardo ben più serio di prima, il tono di voce calmo, sebbene si sentisse il dolore che gli causava doverglielo dire, ma la bionda era troppo impegnata ad essere arrabbiata per accorgersene. Per accorgersi di tutto... persino della difficoltà che il ragazzo aveva a trovare le parole giuste per continuare il discorso.
In quel modo era anche più difficile...

Era sempre difficile, glielo aveva detto lui, che se ne intendeva ormai.
Si avvicinò piano mentre la ragazza indietreggiava, tremava visibilmente, ed era ovvio non fosse per il freddo. Loro lo sentivano, certo, ma lo sapeva, Shiki, che in quel momento non era l'aria gelida della sera la causa di quel tremore. Rabbia, dolore... poteva azzardare tristezza, queste erano le vere cause del respiro corto della ragazza, e anche dei tremiti che le scombussolavano il corpo. Corpo che lui aveva stretto poco prima, nel più istintivo dei gesti...

Dovette fermarsi, la ragazza, nel sentire la lapide che le sfiorava la gamba, e un brivido le invase la schiena, carezzandola dall'alto verso il basso. Così intenso che tremò anche dopo che la sensazione aveva iniziato a svanire, lasciando dietro di sé solo la leggera pelle d'oca che seguiva lo stesso percorso...
Se quella cittadina stava iniziando a sembrarle meno inquietante, ora tornava ad averne paura, e forse più di prima...

La notte era molto più vicina adesso -ora che ci pensava, quanto tempo era passato da quando era arrivata?- e il cielo era molto più buio rispetto a poco prima. Difficile dire cosa la spaventasse di più, se la situazione oppure quell'oscurità, così poco naturale rispetto a una sera qualsiasi...
Era come se tutto il male del mondo si fosse concretizzato nella gelida aria che le carezzava la pelle, già tremante per il miscuglio di sensazioni che le invadevano la mente e il cuore.

Anche il moro intanto si era fermato, proprio a un palmo da lei, guardandola bene negli occhi. "Ho cercato di trovare il modo giusto per dirtelo, ma mi sono accorto che ho fatto solo un errore. Ci sono passato anch'io e non è facile..." disse non smettendo di fissare le pozze azzurre che, anche alla fioca luce del lampioncino -buffo, era esattamente così che si erano conosciuti poco prima...- non smettevano di sembrare due enormi laghi cristallini, forse anche grazie alle lacrime che ella tentava di trattenere. Sentiva il respiro di lei, irregolare e tremante, in modo ben distinto, quasi come se fossero stati vicinissimi. Così come lo erano stati pochi minuti prima...
Quella dolce sensazione che sentiva nell'averla così vicino, unita all'intera situazione creatasi, fu in grado di scatenare i ricordi di Shiki...

Ricordò come se fosse passato un solo giorno -forse proprio perché il tempo lì sembrava avere delle regole tutte sue, delle regole che trascendevano da quelle degli altri- il loro primo incontro...
Lui ci era abituato, eppure non riuscì ad impedire al moro, tra la rabbia e l'incredulità, di lasciarsi andare, fiondandosi sulla fredda lapide per colpirla fino a farsi quasi del male, come se anche solo scalfirla avesse potuto mutare quel tragico destino...

"È stata solo colpa mia, avrei dovuto essere sincero fin da subito..." adesso la bionda era confusa. Di che parlava? Era sincero o continuava a recitare? Forse era sincero, gli concesse, lei lo aveva scoperto ormai, non sarebbe servito andare avanti con quella farsa... giusto?
O era un'altra delle sue trovate? Cercare di guadagnarsi la fiducia perduta per giocarle un altro tiro mancino...
"Ti prego credimi se ti dico che non è per niente uno scherzo! È difficile accettarlo ma..." un peso sul cuore gli impediva di continuare. Non era la prima, e sebbene era sempre triste quando arrivava qualcuno di nuovo da quelle parti, non sarebbe stata l'ultima a finire lì. Perché lui lo faceva sembrare così facile? "È difficile punto e basta! Ma non ci si può sottrarre..." parlava col cuore in mano, perché sì, sebbene vi fosse abituato, tanto da divenirne quasi insofferente, accettare quel destino era un'ardua impresa a cui però ci si doveva sottoporre in quella terra...
"Basta basta basta!" si voltò trovandosi quasi a cadere per via del freddo marmo con inciso quel nome, allontanandosi da lui e avvicinandosi a una piccola cripta a pochi metri. "Hai fatto quello che dovevi... vai a vantarti coi tuoi amici e lasciami in pace!" era disposta anche ad andarsene a piedi se ciò avesse significato allontanarsi da quel posto e soprattutto da quel ragazzo. E, cosa più importante, qualunque cosa fosse successa, uno solo era il suo dovere... non doveva piangere...
Non doveva dargli la soddisfazione di farsi vedere in lacrime per causa sua. Non lo avrebbe permesso!

"Rebecca ascolta..." aveva provato ad avvicinarsi, fermandosi nel notare, al fioco chiarore dei lampioni, le spalle della ragazza, tremanti a causa dei singhiozzi che ella tentava di trattenere.
Gli dava così fastidio vederla in quello stato. Non era mai stato in grado di sopportare le lacrime altrui, e aveva sempre fatto di tutto per tirare su il morale ai suoi amici quando li vedeva tristi, ma con lei così si sentiva ancora peggio: Forse per il fatto che le loro emozioni erano amplificate, o forse perché sapeva che era colpa sua.
Voleva solo stringerla, sebbene sapesse che avrebbe potuto correre via o anche malmenarlo se solo avesse provato a sfiorarla. Voleva arrestare quel pianto con tutto sé stesso...
"Shiki ha ragione. Non è uno scherzo, purtroppo..." un'altra voce, fin troppo conosciuta al moro, si fece spazio nelle orecchie dei due, facendo voltare la ragazza nel tentativo di vedere a chi appartenesse.
Una nera figura, coperta da uno scuro mantello, incappucciata, si ergeva alle spalle del moro, che si girò verso di lui, con l'istinto di urlargli contro per essersi fatto vivo solo adesso...

"Tutto questo, ahimè..." diede un leggero sguardo attorno a sé, quasi ad indicarle quel posto tetro. "Non è uno scherzo..." ripetè con -buffo per lui- la morte nel cuore, quasi come quella frase fosse un pugnale affilato e lui le stesse trafiggendo il petto. Perché una cosa era certa, poteva ancora ferirla, almeno nell'animo.
"C-Che cosa..." era confusa, quella figura le metteva soggezione, quasi potesse impedirle di fare qualsiasi cosa, anche ragionare, e solo guardandola.

"Ti ricordi come sei finita qui?" le domandò avvicinandosi di più. La sua voce era roca ma gentile, non voleva spaventarla, sebbene con quella mise ci riuscisse benissimo anche senza aprire bocca.
Alla luce fioca la ragazza poté inquadrare meglio la figura, cosa che però non solo non la tranquillizzò, ma le fece venire ancora più i brividi.
Sotto il cappuccio, che ricopriva circa metà del volto, si poteva intravedere una mascella scheletrica e no, era talmente candida sotto quella lucina, che non sembrava per niente una maschera...
"È importante che tu mi dica come ci sei finita qui Rebecca..." la figura avanzò ancora di qualche passo, finendo per fermarsi proprio sotto il lampioncino, che illuminò l'uomo, permettendole di notare una chioma scura che fuoriusciva dal cappuccio. Non si era mai sentita tanto impaurita come in quel momento ma, proprio quando il cervello le diede l'impulso di scappare, le gambe parvero cementificarsi, restando ferme nel punto in cui si trovava, faccia a faccia con l'uomo misterioso e uno Shiki che al massimo sembrava solo... dispiaciuto?
Forse triste? Non lo sapeva nemmeno lei, e anche se l'istinto le diceva di non abbassare la guardia non poteva fare a meno di osservare l'espressione del ragazzo, che alternava lo sguardo cupo tra lei e l'individuo lì di fronte.
Il cervello elaborò le parole, forse più per l'abitudine di rispondere alle domande, o di spezzare l'assurdo silenzio creatosi. E fu lì che la risposta che credeva tanto facile le si bloccò in gola, stretto nodo dalla dolorosa ruvidità, che grattava sulle corde vocali, sempre più aggressivo, per uscire finché, non trovò sbocco nella voce stranita della stessa bionda.
"Io... i-io... non ricordo..." la consapevolezza di non avere memoria della strada imboccata la stupì più di quanto sembrò fare con l'individuo, il quale si limitò ad annuire abbassando il capo, quasi come se si aspettasse tale risposta...
"È sempre più difficile con voi ..." si voltò appena l'uomo, ad incrociare lo sguardo con quello del moro, che si limitò a sua volta ad annuire, per poi posare uno sguardo dispiaciuto su di lei. C'era passato e no, quel particolare non rendeva le cose facili. Per niente...
Sperava solo che con lei non servisse ciò che era servito per convincere lui, che ricordava bene quegli attimi di realizzazione...

"Devi vedere una cosa..." "No!" Shiki non ce la fece a star zitto, non dopo aver riconosciuto quel tono che lui usava solo in certe situazioni... Non poteva farlo davvero...
"Ci deve essere un altro modo..." una supplica? Decisamente sì, e l'lncappicciato se ne dispiacque, ma su quello non aveva alcun potere purtroppo...

"Renderai tutto più difficile figliolo." Ziggy era davvero dispiaciuto, quel ragazzo era diventato quasi un figlio per lui, e non sopportava di vederlo così. Erano tutti suoi figli in un certo senso, perché la morte aveva il compito di prendersi cura di quelle che ormai erano solo anime. Un po' come fossero nuove vite, con l'unica differenza che doveva accompagnarle nell'aldilà...
"Prima lo capirà e prima riuscirà ad affrontarlo a dovere!" aveva puntato le iridi nelle sue, e Shiki sapeva bene quanto anche lui fosse affranto da quel che stavano per fare. "Vuoi che soffra ancora di più?" abbassò gli occhi scuri, guardando la terra sotto i loro piedi. Sapeva che lei stessa non potesse continuare così, via il dente via il dolore dicevano... era il momento di estirpare quel dente dalla radice, affrontare quel dolore un'ultima volta per poi trovare la serenità...
Mettersi l'anima in pace...
Buffo come così tanti modi di dire si addicessero perfettamente al loro mondo...

Voltò lo sguardo verso Rebecca, che guardava i due accigliata, probabilmente con l'istinto di correre lontano da quelli che poteva reputare due pazzi, ma ferma lì, sicuramente immobilizzata dal terrore che la situazione le provocava. Lo sapeva meglio di chiunque altro come ci si sentisse, e ora stava toccando a lei. Se solo avesse potuto avvicinarsi senza che lei indieteggiasse e stringerle la mano, magari abbracciarla come pochi minuti prima che tutto questo iniziasse...
E fu in quell'istante che decise. La guardò negli occhi, ripromettendosi silenziosamente che ci sarebbe stato. Le avrebbe dato una spalla su cui piangere, un forte abbraccio, una leggera carezza, parole dolci sussurrate appena al suo orecchio per farla calmare. Sarebbe stato disposto anche a prendersi calci e pugni dovuti alla rabbia e alla frustrazione, ma ci sarebbe stato.
Era la prima volta che provava quelle emozioni, e non solo da quando era lì.
Era sempre stato un tipo amichevole e pronto a dare una mano, e sì, anche un po' donnaiolo -per quanto i suoi stessi sentimenti glielo permettessero, si legava facilmente alle persone, e la notte con una ragazza non era mai del semplice sesso per lui- eppure era la primissima volta che provava tutto ciò. Non gli era neanche mai capitato di ficcare la lingua in gola a una tizia appena conosciuta. E no, non era mai stato un santo, ma nemmeno uno sconsiderato fino a quel punto. Sapeva cosa significava amare ed era anche vero che era vissuto poco tra i vivi, appena ventuno anni...
Annuì e l'uomo si girò verso la bionda che, spazientita da quella scena, aveva intanto indurito lo sguardo, cercando di ignorare il calore che aveva sentito dentro allo sguardo del moro. Non volle cedere alla sensazione di sicurezza che quello sguardo le aveva donato, eppure qualcosa l'attirava verso di lui esattamente come vengono attratte le api dal miele...
"Andiamo..." intimò l'incappucciato, e i due lo seguirono nella strana -per Rebecca soprattutto- foschìa grigiastra che apparve d'improvviso attorno a loro. Aveva timore la ragazza, una piccola parte di lei pensava si trattasse di un qualche trucchetto, ma un'altra era ancora persa nello sguardo di Shiki, che subito le si era avvicinato cercando timidamente la sua mano, felice nel momento in cui la sentì chiudere le dita per intrecciarle con le sue. Da quando la nebbia era apparsa si sentiva stordita, ma riuscì a calmare un poco l'ondata di paura grazie alla sensazione delle proprie dita intrecciate con quelle di Shiki -seppure non riusciva a non chiedersi cosa fosse quella strana sensazione di calma che l'aveva pervasa, e soprattutto se fosse una buona idea abbassare così tanto la guardia-, il quale non aveva azzardato null'altro se non ricambiare la stretta, lasciandole totale controllo su quella unione, che si sarebbe interrotta -glielo aveva fatto capire molto chiaramente seppure senza parlare- se e quando lei avesse voluto. Soltanto lei, nessun altro.

"Non preoccuparti, ci sono io..." le sussurrò, mordendosi la lingua troppo tardi per quell'ultima frase. Aveva aspettato in silenzio per qualche minuto, camminando di fianco a lei e seguendo Ziggy, cercando le parole giuste per aiutarla quando la vide guardarsi intorno, evidentemente stanca di vedere solo la coltre grigiastra intorno a sé, avvolti dal più totale silenzio...

Quella bolla silenziosa -Shiki era certo che fosse stato lui a crearla, e si chiese se fosse davvero così brutto ciò che aveva da mostrare loro, tanto da preservarli fino a che non avessero visto la verità, ma soprattutto si chiese come l'avrebbe presa Rebecca, della cui reazione era sempre più spaventato, soprattutto per ciò che avrebbe provato...- scomparve, permettendo loro di sentire distintamente i rumori delle sirene, e solo in quel momento notaronono un fascio di luce rosso proprio accanto a quel pezzo di strada. Non capiva cosa stesse succedendo, Rebecca, e solo grazie a Shiki che le teneva ancora la mano riuscì a muovere le gambe per seguire l'uomo col cappuccio, che li stava intanto conducendo proprio in quel punto, laddove i fari dell'ambulanza e del camion dei vigili del fuoco illuminavano il piccolo pezzo di strada dove erano parcheggiati. Il guard rail era piegato in malo modo, permettendo loro di intravedere senza troppe difficoltà la sagoma della piccola automobile azzurra mezza bruciacchiata che giaceva sul prato lì accanto. I vigili avevano appena domato le fiamme divampate nell'abitacolo, dal quale si apprestavano ad estrarre il corpo del conducente.
La bionda riconobbe la sua auto e si domandò come fosse possibile che un ladro fosse riuscito a farla ripartire con quel guasto. Perché quella era proprio la sua piccola automobile azzurra, non vi era alcun dubbio, e gliel'avevano per forza rubata, riuscendo a farla miracolosamente ripartire, se ora si trovava lì...

Vide i paramedici affrettarsi a soccorrere il ferito, la cui chioma bionda faceva capolino in mezzo ai corpi accalcati accanto quello di...
L'urlo che Rebecca liberò -soffocato dal petto forte del moro, accorso ad abbracciarla quando ricadde sulle ginocchia, stringendola forte a sé con le lacrime agli occhi nell'aver capito anche lui- le bruciò la gola per quanto forte era.

Si sarebbe sicuramente sentito fino alla città vicina... se solo lei non fosse stata morta...

Perché il cadavere che i vigili del fuoco avevano tirato fuori dall'abitacolo, affidandolo ai paramedici, che però nulla avevano potuto fare, era quello di una giovane di nome Rebecca Bluegarden.
Perché non le avevano rubato l'auto.

Perché, non sapeva come, la sua Fiat Coupé era uscita fuori strada, piegando appena il guard rail nell'oltrepassarlo, ruzzolando poi lungo il prato bagnato dalla pioggia appena cessata.

****



Perché la cintura di sicurezza, rimasta inceppata, l'aveva bloccata, facendo sì che quel pezzo metallico, venuto via dopo che l'auto si era scontrata violentemente contro il guard rail, le si conficcasse dritto nel petto, trafiggendole il cuore e uccidendola sul colpo...

****



"N-Non è possibile... è un incubo... non è vero..." ripeteva quasi per darsi forza, facendo vibrare il petto di Shiki, bagnato dalle sue lacrime.
No, non era possibile...

"Purtroppo è questa la realtà Rebecca... tu sei morta, è per questo che sei potuta passare..." era difficile spiegarlo. Pure per Ziggy -colui conosciuto dai più come il Cupo Mietitore o semplicemente come la Morte-, che in verità, nonostante tutti i secoli che aveva passato a raccogliere le anime perdute, quelle che nemmeno si rendevano conto di essere morte, non si sarebbe mai abituato a quello. Vedere una vita spezzata, giovane o meno, faceva sempre male, e doverli risvegliare dal torpore che ancora li teneva, mentalmente, nel mondo dei vivi, era la cosa che più gli stringeva il cuore. Lo stesso cuore che, da ormai tempo immemore, non aveva nemmeno più ...

"P-Passare?" "Il mondo dei vivi e quello dei morti sono divisi da una sottile barriera che è impossibile oltrepassare da vivi. Una volta sopraggiunta la morte l'anima è in grado di vagare tra questi due mondi senza nessun ostacolo..." snocciolò quella spiegazione che era ormai divenuta al pari di una storiella che un padre racconta ai figli prima di andare a letto. Ci era talmente abituato che quasi nessuna emozione trasparì dalla sua voce, mentre gli occhi scuri come la notte si posavano sulla figura accasciata a terra tra le braccia di Shiki, e pensò in quel momento a quando sarebbe stato il giovane a prendere il suo posto -perché anche la morte, prima o poi, è destinata a morire...-, e si chiese come sarebbe stato in grado di portare al termine quel compito se ancora non era capace di distaccarsi abbastanza dal dolore altrui.
"Tu sei riuscita ad oltrepassare questo confine, ma non eri ancora consapevole di essere morta, per questo non ricordavi come eri finita lì. In più, sei morta adesso, in questa notte che potremmo definire maledetta per certi versi..." intanto erano arrivati dei giornalisti sul posto, probabilmente per dare la notizia, mentre Ziggy creava una nebbia intorno a loro -dibitava che Rebecca riuscisse ad alzarsi e Shiki non sembrava volersi allontanare da lei per nessun motivo al mondo- che in breve li avvolse e li riportò laddove erano poco prima. Il cimitero che ora sembrava ancora più freddo e tetro...

"Vieni con me, devi vedere una cosa..." la ragazza non sapeva quanto tempo fosse passato da quando aveva iniziato a piangere, ancora in parte incredula per ciò che aveva visto coi suoi stessi occhi, a quando si ritrivarono ancora in mezzo a quel cimitero. Fatto stava che forse non aveva più nemmeno le lacrime da versare, e l'uomo col cappuccio aveva aspettato un po' prima di dirle quella frase. La stessa che aveva detto pochi minuti -o ore, non sapeva nemmeno più quanto tempo fosse passato- prima. Shiki l'aiutò ad alzarsi, tenendole la mano divenuta di ghiaccio, e restandole vicino, ancora...
Non ci misero molto a raggiungere una piccola lapide tenuta in penombra, la luna a malapena la illuminava con la sua luce, e per vedere cosa vi fosse inciso la ragazza -che aveva lasciato la mano di Shiki, attratta da una strana forza. Un misto di curiosità, timore e, poteva azzardare, tristezza- fu costretta ad inginocchiarsi, rialzandosi subito e allontanandosi di qualche passo come fosse rimasta ustionata dalla fiamme dell'inferno stesso.

Rebecca Bluegarden era inciso sul freddo marmo, a malapena visibile. "Ora non hai ancora la piena consapevolezza di essere morta, ma quando l'avrai allora il nome sarà completamente visibile..." spiegò Ziggy guardandola triste mentre cercava la forza di piangere, incapace di cacciare anche una sola lacrima, più per mancanza di esse che per coraggio.
Shiki le fu subito vicino, appena in tempo per vederla venirgli addosso, affondando ancora il volto nel suo petto. E le braccia l'avvolsero, tenendola stretta mentre tornava a piangere dandogli qualche pugno sul petto per sfogare la rabbia, in una tacita promessa di non lasciarla andare fino a che non fosse stata meglio, dimentico anche di dover raggiungere gli altri. Ora come ora, in cui la sua priorità era tenere Rebecca tra le braccia, non correva quel pericolo. Non rischiava di essere influenzato dalla scomparsa di quel sottile confine tra vivi e morti, ritrovandosi a vagare per il mondo senza una meta e senza più la consapevolezza di essere morto. Non rischiava di lasciarsi influenzare dalla convinzione di appartenere ancora a quell'altro mondo, cadendo in quel tremendo inganno che li costringeva tutti a distarsi per quelle poche ore, tutto per impedire ai ricordi delle loro vite terrene e i loro affetti di trascinarli a un punto di non ritorno. Perché era difficile realizzare di essere morti, ma una volta che quella realtà lasciava le loro menti era impossibile tornare indietro, e l'unica via rimanete era quella della dannazione eterna...

Non era chiamata la notte dei morti viventi a caso...

E forse era per quello che era caduto in quella trappola, poco prima, con lei, perché forse quel bacio era stato portato da quello, ma ora non aveva importanza. Avrebbe avuto l'eternità per capirlo, adesso l'unica cosa che contava era farla sentire meglio...

E bastò un cenno con la testa per comunicare a Ziggy che sarebbe andata bene, che si sarebbe preso lui cura della giovane, che avrebbero raggiunto gli altri nella vecchia casa di miss Regret, unendosi ai compagni per affrontare insieme quelle ore, non appena lei fosse stata un po' meglio. L'Angelo della Morte annuì, incamminandosi per tornare nel mondo dei vivi, dove altre anime aspettavano la dèa Morte per lasciare definitivamente la vita...



~Bonus~



I mazzo di rose rosse si posò sul freddo marmo, e la mano tremante della ragazza si staccò per posarsi sulle labbra, serrate nella smorfia triste che le incorniciava il viso bagnato di lacrime.

Erano passati anni e Homura ancora non riusciva a farsene una ragione. Non si era ancora abituata a non sentirla più ogni giorno, e a non vedere più il suo sorriso. Sorriso che era certa le avrebbe regalato a quella notizia appresa pochi mesi prima, e sarebbe stata la prima a prenderle la mano e rivolgerle parole dolci ogni qualvolta i dubbi e le paure si sarebbero affacciati alla mente.
Ma Rebecca ora non c'era più, morta nello stesso momento in cui lei trovava quello che sarebbe stato poi l'amore della sua vita.
Quella notte le aveva regalato un nuovo amore, portandogliene via un altro nel modo più brutto possibile.

Quante cose c'erano che non si erano dette, e quante che non erano dette abbastanza? Homura aveva perso il conto di quante volte le aveva detto di volerle bene, e ancora si incolpava perché quella sera l'aveva salutata a malapena, scoprendo solo il mattino dopo, per puro caso nel guardare telegiornale, quello che era successo. Quel 'ti voglio bene' non pronunciato e quel saluto coperto dalla musica alta pesavano come macigni sul cuore che non riusciva ancora a credere di aver perso quella grande amica. Quella sera avrebbe dovuto essere con lei, o almeno non avrebbe dovuto lasciarla andare. Non si sarebbe mai perdonata per ciò che poteva fare e non aveva fatto. Trattenerla dall'andare via, dall'andare incontro alla morte...
"Tesoro forse è il caso di andare, si sta facendo tardi e si sta alzando il vento..." la voce preoccupata del compagno, rimasto in religioso silenzio, come ogni anno da quando l'aveva conosciuta...

Quella mattina la ricordava ancora come la più brutta della sua vita: Si era svegliato con una bella donna nel letto, e aveva pensato di preparare la colazione. Non era un donnaiolo Seiji, e in verità a quella festa c'era stato trascinato da quello scapestrato di Weisz, e solo perché ad organizzarla era una ragazza che gli piaceva -cosa strana per il biondo starle dietro, dato che quando una gli dava il due di picche passava subito a un'altra, senza troppe remore. Si vive una volta sola, diceva sempre-, ma poi aveva finito per portarsi a casa una ragazza. E non che fosse un verginello, ma era una situazione strana per lui, che si era alzato con l'intenzione di farla andare via almeno in modo educato. Non poteva mica cacciarla malamente dopo una notte di sesso, la più bella notte di sesso della sua vita, che a ripensarci dopo anni gli faceva ancora sentire lo stomaco in subbuglio. Lo stesso di quella mattina, portato prima dai ricordi della notte appena trascorsa, e poi dalle urla della mora dopo che il telegiornale -aveva acceso la tv sul canale delle notizie per pura abitudine- aveva dato la notizia dell'incidente.
Quello in cui, a causa di un guasto di quella vecchia automobile, aveva perso la vita la sua migliore amica...

E non c'era stato un minuto da perdere, si erano vestiti in fretta e il ragazzo ebbe appena il tempo di prendere le chiavi e gli occhiali che, senza nemmeno parlare, l'aveva seguita nella sua corsa fuori dalla porta e aveva fatto appena in tempo a dirle che l'avrebbe accompagnata lui all'ospedale, partendo verso la meta designata appena Homura salì in auto, e sintonizzando la radio sulle news per ascoltare gli ultimi sviluppi...
E una volta arrivati, mentre la ragazza si precipitava all'interno del pronto soccorso, dove ad aspettarla c'era Noah, lui aveva parcheggiato in divieto di sosta -non gli importava della multa, ciò che gli prendeva era raggiungere Homura per starle vicino.
Era stupido farlo forse, perché in fondo si erano appena conosciuti e tra loro c'era stata solo qualche ora di sesso, ma raramente il castano seguiva l'istinto, e quella era una di quelle volte. Avrebbe pensato a tutto il resto dopo...

E quel dopo era arrivato nel modo più amato possibile. Seiji si era ritrovato sedut in sala d'aspetto ad abbracciare Homura, e quando il biondo -lo zio della sua amica aveva capito che fosse- uscì, con la testa bassa e gli occhi verdi che, quando alzò il volto, erano pieni di lacrime, la ragazza si strinse ancora di più a lui, soffocando il dolore del caldo petto del ragazzo, che la strinse forte d'istinto, massaggiandole la schiena per cercare di calmarla almeno un poco...

"Dai vieni, non ti fa bene nel tuo stato..." la risvegliò da quei ricordi -certamente gemelli dei suoi- e le passò un braccio sulle spalle, tenendola stretta mentre attraverso gli occhiali guardava quella lapide dove vi era inciso il nome di quella ragazza che mai aveva conosciuto se non attraverso i ricordi della sua compagna, salutandola in religioso silenzio insieme alla donna accanto a lui, poco prima di incamminarsi verso il cancello del cimitero...

La vita di qualcuno era finita, mentre quella di altre due persone, che avrebbero scoperto, tempo dopo, l'amore, era invece iniziata. Tutto nella stessa notte. Erano bastate solo poche ore.

Soltanto una notte...



Angolo autrice.
Ed eccoci giunti finalmente! alla fine di questa fic!
Non ci credo che mi ha preso un intero anno, ma spero che l'attesa sia valsa tutta in questo capitolo.
Ora non vi trattenergo oltre, quindi grazie per aver letto, buon Shicca day, e ci si vede alla prossima!
Ciao❤️

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