Brabio: fin dove arriva il tuo amore?!

di l01
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In amore vince chi fugge o chi corre?! ***
Capitolo 2: *** Scelte di verità. Scelte di lacrime ***



Capitolo 1
*** In amore vince chi fugge o chi corre?! ***


Fabio odiava correre, era un fatto assodato da anni ormai, nemmeno da bambino correva, preferiva di gran lunga starsene seduto da qualche parte con un libro di fiabe in mano. E dalla corsa l'odio si era espanso verso lo sport in generale portandolo ad avere da sempre in ginnastica un 6 striminzito dato a titolo di pietà. Eppure, chi lo avesse visto quel giorno avrebbe visto la corsa di un ghepardo, una corsa felina, quasi che da quella corsa dipendesse la sua stessa vita. Fabio correva come mai nella vita pensava che avrebbe corso. Aveva parcheggiato il motorino nel primo posto libero che aveva trovato e si era gettato a capofitto nella strada che lo separava dall'entrata dell'ospedale San Filippo Neri.

La notizia di quello che era successo gli era arrivata via social. Come accade per tutto oggigiorno. Qualsiasi notizia i social la sanno prima di te, e te la sbattono in faccia alle 6 di mattina senza premura di filtrarla, senza un minimo di sensibilità. Senza preoccuparsi di chi può saperla e chi no. Della reazione di chi la riceve.

La notizia che Brando aveva avuto un'overdose gli era arrivata sulla chat di classe, tranquillamente. Lo stesso luogo dove la sera prima qualcuno chiedeva i compiti di inglese per martedì.

Fabio non riusciva ancora a connettere, a comprendere. Nella sua testa un'overdose è qualcosa che succede alle star di Hollywood nelle camere d'albero per poi venire riportate sui giornali di gossip che tanto piacevano a sua nonna. Quindi era si, una cosa reale, ma reale in un modo tutto suo, reale in un'altra dimensione non certo qualcosa che accade a uno che conoscevi? A uno a cui.... tenevi che... amavi?

Mentre correva con il cuore in gola una parte della sua mente provava ad immaginarsi la scena di lui incosciente mentre lo portavano via, coi tubi nelle braccia e la mascherina dell'ossigeno; il suono del defibrillatore che tentava di riportarlo indietro. Ci provava ma non ci riusciva tanto assurda sembrava ai suoi occhi tutta la vicenda.
 

Sentiva il suo cuore battere contro la cassa toracica e si chiedeva cosa avesse provato quello di Brando, quando dopo non so quanti secondi era ripartito.

Lo sapeva che era stupido correre così, soprattutto per una persona del tutto priva di allenamento. Che a quello stato delle cose arrivare un minuto prima o un minuto dopo non cambiava nulla. Ma era la stessa irrazionalità che l'aveva scaraventato fuori di casa quella mattina a farlo correre. Voleva solo vederlo, coi suoi occhi, sapere come stava.

A due passi dall'ingresso rallentò di botto e si passò febbrilmente le mani sul viso e sulla testa per ridarsi una parvenza di lucidità. Con solo il ritmo assordante del suo cuore nelle orecchie cercò con gli occhi la reception e chiese informazioni. Ora che ci pensava non sapeva neanche in che reparto fosse, se poteva ricevere visite, se si trovava ancora in quel nosocomio.

Infondo vivo non vuol dire niente... magari era in coma, magari aveva danni celebrali tanto gravi che ormai l'unica opzione possibile era donare i suoi organi affinché altre persone potessero vivere attraverso di lui...

Scosse la testa per scacciare questi pensieri orrendi che gli stavano rigando il volto di lacrime ed inghiottì a vuoto mentre la ragazza dietro il vetro digitava velocemente sul computer.

"Mi dispiace molto ma non trovo nessun Brando De Santis tra i ricoverti..." dopo un po' aggiunse l'impiegata "ma è arrivato stanotte, ne è certo?"

Fabio sgranò gli occhi annuendo. La ragazza pigiò ancora qualche tasto nuovamente a vuoto.

Fabio la interruppe preoccupato "E' un ragazzo con i con i ricci molto scuri! Lo hanno portato con l'ambulanza stanotte, la prego mi dica qualcosa... "

"Ora ho capito!! Sei fortunato che ero di turno io questa notte e l'ho visto entrare... aspetta un momento..." digitò ancora a tutta velocità "eccolo qui. Si. Proprio lui. Medicina alta intensità, quarto piano. Stanza 408. Orario di visita dalle 9 alle 11" Fabio gettò un'occhiata ansiosa all'orologio alle spalle della ragazza, dimenticando che lo portava sempre al polso: 8.45.

"un quarto d'ora e puoi entrare" "No essere troppo preoccupato, se lo hanno già trasferito lì vuol dire che ormai non se la passa tanto male" aggiunse facendogli un occhiolino che Fabio ricambiò con un mezzo sorriso, grato che probabilmente il peggio per Brando fosse passato.

Allo scoccare esatto delle 9 si mosse per raggiungere l'ascensore. Non sapeva come fosse possibile che il suo cuore, anche se non correva ormai da un po', battesse ancor più veloce di prima alla sola idea di rivedere Brando.

L'ascensore sembrava metterci una vita, il corridoio gli sembrò il più lungo che avesse mai percorso, e nonostante stesse quasi correndo gli sembrò di avere delle scarpe di piombo ai piedi.

Infine, giunse dinanzi alla porta della camera e con la mano tremante bussò alla porta ma, tanta era la sua eccitazione, finì con l'entrare prima che Brando gli avesse dato il permesso.

Brando, pallido in volto, se ne stava semisdraiato sul lettino a guardare il soffitto nel chiarore asettico della stanza. Si sentiva la testa incredibilmente leggera e gli occhi pesanti come un macigno. Non aveva alcuna intenzione di dormire benché fosse stanchissimo, pertanto, tentava di tenersi sveglio concentrandosi sul gocciolare dei fluidi dalla sacca alla flebo. Non ricordava granché delle ultime ore, ricordava meglio, ma con molto dolore, come era iniziata la sua serata: rabbia a fiumi, roba varia, bottiglie, gli occhi blu della prostituta che lo chiamava tesoro, ricordava anche il suo desiderio disperato di trovarla attraente, di volerla scopare come se non ci fosse un domani. Poi le cose si facevano più confuse. Mescolate. Nebulose

Il rumore della porta che si apriva lo fece voltare, ma fu mettere a fuoco chi c'era sulla soglia che lo spinse seduto di scatto. Il cerchio alla testa per la pressione bassa era nulla in confronto alla sorpresa di vederlo. Fabio.

Non ebbe neanche il tempo di farsi uscire il suo nome dalla bocca che se lo ritrovò addosso. Le labbra di Fabio sfiorarono le sue ma si resero anche subito conto che dall'altra parte non c'era la minima volontà di ricambiare il bacio e pertanto Fabio si ritrasse un momento per abbracciare Brando così stretto da fargli salire il cuore in gola. Brando Lo sentiva tremare ed ansimare.

"credevo non ti avrei mai più rivisto" lo sentì sussurrare "sono praticamente morto quando ho letto la notizia che avevi avuto un'overdose e ti avevano ricoverato. Sei un cazzo di pazzo, un cretino incosciente! Ma quanta roba ti sei calato tutta insieme!? Giuro che se ti vedo in mano anche solo una sigaretta ti picchio personalmente, hai capito?!?"

A Brando venne da sorridere, poi subito dopo un nodo gli chiuse la gola e poggiò gli occhi sulla sua spalla, respirando a fondo per non piangere.

Fabio che lo sgridava, arrabbiato, ma che mentre lo faceva non aveva mai smesso di abbracciarlo... si rese conto che forse era tutto ciò di cui aveva sempre avuto bisogno, ciò che aveva in fondo desiderato. Sollevò le braccia, esitando un po' prima di ricambiare l'abbraccio, poi lo strinse forte a sua volta.

Fabio si staccò da lui quando gli sembrò che il respiro di Brando tremasse contro il suo collo "oh!" gli disse sorpreso "ti sto facendo piangere?" gli chiese sentendosi quasi in colpa, forse non avrebbe dovuto aggredirlo così, si era appena ripreso dopotutto, sicuramente ci aveva già pensato la sua famiglia a fargli la predica...!

"No! Ma che stai a dì??" replicò lui strofinandosi gli occhi di fretta e ricomponendosi per assumere la solita aria da duro "saranno effetti della droga, mi sento ancora così in botta..." Fabio nascose un sorrisino per la bugia un po' infantile del ragazzo approfittando di essersi voltato per recuperare una sedia.

Si sedette accanto al letto e i suoi occhi studiarono rapidamente il suo bel viso, i lineamenti in parte ancora infantili, mascherati da vero duro col piglio dello sguardo e della mascella coperta da un primo velo di barba.

Era pallido. Aveva le occhiaie, le labbra un po' troppo chiare per un persona normale. Però era vivo. Parlava. Era cosciente. E soprattutto stava tornando di nuovo Brando.

Mentre lo osservava la sua mente stava tornando a tormentarsi se quanto successo era colpa sua, se in qualche modo era responsabile di ciò che era accaduto, se erano state le sue parole a spingerlo a fare ciò che aveva fatto.

Non riusciva a togliersi il pensiero dalla testa. Lui gli aveva chiesto aiuto appena il giorno prima. Semplicemente aiuto. Niente di più. E lui lo aveva respinto, sull'onda di un rancore che ora gli sembrava non avere senso. Lui lo amava che bisogno c'era di allontanarlo. Brando era ciò che voleva, ciò che desiderava allora perché si era comportato in quel modo deplorevole. Anzi aveva fatto anche peggio lo aveva respinto non come compagno, ma come persona, come essere umano. 
Eppure, sapeva quanto fosse difficile dire la verità su sé stessi. Lui stesso ci era passato. Ricordava quante sere si era tormentato nel cercare il momento della giornata adatto per fare outing ripetendosi che nah la mattina è meglio non affrontare certi discorsi si è ancora mezzi assonnati, meglio la sera a cena salvo poi durante il pasto pensare che nah papà sembra stanco oggi forse domani andrà meglio... 
Ricordava quanto tempo lui stesso ci aveva messo a fregarsene degli altri. 

Eppure, a Brando non aveva concesso neanche cinque minuti di esitazione. Neanche un momento di incertezza. Aveva preteso un cambiamento totale e repentino. Il tutto solo perché era arrabbiato ed egoista. 
Era furioso con lui e aveva voluto fargli più male che poteva, respingerlo con la stessa cattiva ed odiosa fermezza con cui lui gli aveva scandito in faccia "io non sono come te!" detto come se quel - come te - fosse il peggiore degli insulti.
Aveva voluto rendergli pan per focaccia. Come quando aveva imbrattato il muro della scuola con la scritta, e come in quel caso si era pentito di ciò che aveva fatto. 
Solo che... questa volta aveva rischiato di non poter rimediare al suo comportamento, per cancellare certe cose non basta un colpo di vernice spray.

"ti devo chiedere scusa..." si sentì dire in quel momento. Brando lo guardò senza capire "ti ho trattato davvero di merda ieri" spiegò senza avere coraggio di alzare gli occhi "mi sento uno schifo, davvero uno schifo, tu..."

"non è stata colpa tua" lo interruppe Brando sospirando e distogliendo anche lui lo sguardo, come se si vergognasse di quanto stava per dire "io volevo annientarmi, volevo non essere più, volevo diventare un silentes" quelle parole si depositarono nella stanza come macigni "beh non che avessi proprio intenzioni di ammazzarmi..." corresse il tiro dopo una breve pausa "però volevo far sparire quella parte di me che detesto. Quello che guardava le ragazze senza sentire niente di ciò che dicono gli altri. Quella che deve fingere con gli amici affermando che se potesse quella se la scoperebbe anche subito. Quella che cerca di cambiare argomento quando tuo padre dice "ammazza quanto è bona quella..., Quella parte sbagliata. Quella che..." fece una pausa per lanciargli un'occhiata fugace "prova ancora qualcosa per te" borbottò due toni più basso.

Fabio sentì una stretta al cuore a quelle parole e smorzò un sorriso triste, che comunque lui non vide.

"volevo provare a me stesso che quello non ero io. Che era stato uno scherzo. Una follia dell'adolescenza. Un attimo di sbandamento, un errore. Volevo dimostrarmi che io potevo scoparmi chi dicevo io, se solo lo volevo." riprese Brando "ma non ci sono riuscito nemmeno con la pozione magica che mi ha quasi mandato all'altro mondo. Sono proprio coglione eh?" concluse con una risatina finta. Fabio scosse la testa

"io però ti devo chiedere scusa lo stesso. Ho preteso da te quello che anche io faccio ancora fatica a fare... ero arrabbiato con te. L'ho fatto sapendo di chiederti troppo, volevo una scusa per trattarti male. Per umiliarti. Non sai quanto mi dispiace..." ammise con voce addolorata. Brando lo guardò un momento poi sospirò di nuovo "non fa niente. Sono uno stronzo... me lo merito di essere trattato male" Fabio scosse la testa "no invece".

Brando gli rivolse una piccola occhiata con un mezzo sorriso, che ebbe il potere di fargli rivoltare completamente le budella. A disagio per l'effetto devastante che quel bastardo ancora gli faceva, si tirò su a sedere più composto cercando di darsi un contegno "visto che siamo in vena di confessioni..." disse con un tono più leggero "ho un altro peccato da confessare: la scritta sul muro della scuola è opera mia" ammise con un moto di vergogna che lo fece diventare piccolo come un topolino. Brando trattenne una risata, come se a confronto di ciò che era successo quell'episodio avesse ormai perso ogni importanza " si, lo sapevo già" disse con calma, e allo sguardo di interrogativo stupore di Fabio aggiunse "non ci voleva molto ingegno, chiunque altro non avrebbe mai scritto gay, avrebbe scritto frocio o rottinculo..." spiegò guardandolo con l'aria canzonatoria di chi pensa che Fabio nemmeno quando è incazzato riesce a recitare la parte del bullo. 
Fabio rise in imbarazzo e anche a Brando venne da sorridere, poi si poggiò con la schiena ai cuscini sul letto e sospirò. Il suo sguardo tornò improvvisamente serio.

"Ho deciso che glielo dirò, sai? A mio padre... di... di me insomma" se ne uscì dopo un po'. Fabio lo guardò intensamente, notando come, riferito a sé stesso, ancora non riuscisse neanche a dirla la parola gay "tanto ancora non ho capito quanto a lui gliene frega di me, a volte penso che a suo a modo mi voglia bene, ma poi faccio un passo verso di lui e anziché trovare qualcuno a cui aggrapparmi finisce che mi ritrovo per terra..." aggiunse con tono più grave "dai, non dire così..." tentò Fabio, ma Brando lo interruppe sul nascere "sai qual è stata la prima cosa che è riuscito a dirmi quando mi sono svegliato?" disse a mo di spiegazione delle sue parole "Oddio meno male che te sei svegliato! Non ti preoccupare Bra, t'ho registrato col cognome de mamma. Così vediamo se riusciamo a non far finire sui giornali sto cazzo di casino che mi hai combinato!" recitò con tono sprezzante "hai capito? Solo questo è riuscito a dire e poi è rimasto li fermo come una statua, inesprssivo a fissarmi" Io sono quasi morto... Si è sincerato che fossi vivo, come se fossi un elettrodomestico che è stato dal tecnico a far riparare e ora si deve controllare se funziona di nuovo e poi si è subito preoccupato del suo danno di immagine... stronzo no?!?" Fabio non sapeva cosa rispondere davanti a queste parole, era esterrefatto, così si limitò ad allungare la mano e a stringere quella di Brando nella sua, forte. Brando non si voltò a guardarlo, preso da quel momento di rabbia e delusione verso suo padre,

Erano fermi così da qualche minuto, a tenersi la mano senza dire niente quando a Fabio vide Brando impallidire di colpo. Subito si mise in allarme
"hei! Cosa c'è? Stai male? Chiamo il dottore?!?" gli chiese con urgenza. L'altro scosse la testa inghiottendo acido "no..." si affrettò a dire lasciandogli la mano per agitarla un po', come a dire di non preoccuparsi "sono solo stanco, forse dovrei dormire un po'" "ti lascio riposare allora, dai" esclamò Fabio alzandosi in piedi. Brando avrebbe voluto che restasse in realtà, ma non disse nulla.

"quando ti faranno uscire?" gli chiese indicando la stanza roteando il dito. Il moro fece un'alzata di spalle "mi hanno messo sotto flebo a stecca, il dottore ha detto che devo buttare fuori tutta la merda che mi sono preso" disse indicando con gli occhi e un cenno del capo la sacca del catetere "penso che appena smetto di pisciare radioattivo vado a casa." Fabio sorrise, lanciandogli ancora un'occhiata di rimprovero "vabbè... allora vengo anche domani." disse con ovvietà. "Ah e Buona fortuna con tuo padre!" 
"Tranquillo Fabio, non glielo dirò qui ma a casa, voglio essere bello sveglio, per vedere se almeno quella notizia lo farà reagire.

Fabio Passò per un attimo il peso da un piede all'altro guardandolo, come a soppesare se era il caso di fare o meno qualcosa, poi con un gesto naturale si chinò e gli poggiò una mano dietro la testa stampandogli un rapido bacio sulla tempia, a mo di saluto, voleva evitare l'imbarazzante situazione di quando era entrato. Brando stava per afferrargli la mano che aveva fatto scivolare via dai suoi capelli per avvicinarlo alla sua bocca, quando bussarono alla porta ed entrambi si fecero istintivamente indietro l'uno dall'altro.

La zazzera bionda di Niccolò si affacciò nella stanza. L'espressione tirata che aveva si distese quando vide Brando, seduto nel letto e tutto sommato non messo così male.

"oh fratè..." lo salutò sorridendogli "ma che cazzo hai combinato??" disse entrando e avvicinandosi per stringere la mano che Brando gli porgeva. I due si scambiarono una stretta vigorosa. Fabio si fece due passi indietro sentendosi di colpo di troppo.

Niccolò si voltò lanciandogli un'occhiata dsgustata ed interrogativa "ciao..." biascicò con evidente imbarazzo.

L'ultima volta che aveva interagito con Fabio era per sbatterlo contro la parete del corridoio intimandogli di usare il bagno delle donne prima di dargli un calcio allo stomaco. Una roba di cui, anche se odiava ammetterlo, tutto sommato ancora si vergognava.

Lui ricambiò il saluto con un rapido gesto della mano e un mezzo sorriso

"beh io vado..." disse guardando solo Brando, che lo salutò solo con un cenno del capo, preda di un imbarazzo colossale.

Niccolò guardò la porta fino a che Fabio non l'ebbe richiusa dietro di se, poi sbuffò di sollievo: "oh ma chi se crede de esse Fedeli? Madre Teresa de noartri? Che ti viene a trovare in ospedale nonostante quello che je fai tutti i giorni?" sbottò infastidito rivolgendo a Brando un'occhiata incredula "io ti giuro che mi danno sui nervi quelli così, proprio nli sopporto... devono sempre fa vedè che loro so' meglio!"

Brando inghiottì acido ancora una volta incassando la testa nelle spalle "lascialo in pace dai..." borbottò a mezza bocca, in un pallido tentativo di difesa. "si c'hai ragione..." ribattè Niccolò "che me frega de quel frocio di Fedeli, dimmi di te invece! Come stai??? ci hai fatto prendere un'accidente assurdo!" aggiunse interpretando erroneamente le parole di Brando.

Il ragazzo si mise a sedere più dritto, ostentando energie che non aveva più "ma bene dai... mi sono solo fatto il trip più grosso della mia vita!" esclamò. Il biondo rise "i tuoi? Mezzi morti de paura?" gli chiese "ma che..." sbuffò Brando "te li vedi?" disse agitando le braccia in aria "mio padre appena a capito che ero vivo e fuori pericolo m'ha pure cazziato. Ha detto che gli ho fatto danno di immagine, che meno male che c'era lui a risolvere... lo sai com'è" "il solito lato stronzo t'ha fatto vede..." commentò Niccolò.

I due erano amici dalle elementari, e forse Niccolò era l'unico a sapere davvero dei rapporti che Brando aveva con il padre. Di quanto desiderasse il suo affetto e la sua approvazione, di come si sforzasse di avvicinarsi a lui e di costruire qualcosa di bello appena intravedeva dei segnali incoraggianti e di come puntualmente rimanesse deluso.

"e tu madre?" chiese ancora, sapendo che quella era una donna sì distratta e mondana, ma comunque molto legata ai suoi figli, lo aveva molto sorpreso non vederla lì al suo capezzale. Brando sbuffò di nuovo "mi sa che papà manco gliel'ha neanche detto... pensa tipo che sto da te o da nonno..." "annamo bene..." commentò Niccolò con un sorriso di rabbia, scuotendo la testa. 
Brando si concesse davanti all'amico un'espressione malinconica pensando ai suoi genitori che il biondo consolò con un paio di pacche sulla gamba e un sorriso che diceva - sì, lo so, non ti preoccupare io capisco -, poi bussarono alla porta ed entrambi rimisero su la solita maschera. Carlo e Filippo entrarono senza aspettare permesso "Bra!" esclamò Filippo "figlio di puttana che sei! La prossima volta che ti vuoi sballare invitaci almeno!" ribattè Carlo. Poi fu tutto un gran battersi il cinque e risate... anche se tutti e quattro lo sapevano che non c'era niente da ridere... ma è così che si deve fare tra amici no?!

 

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Capitolo 2
*** Scelte di verità. Scelte di lacrime ***


DUE SETTIMANE DOPO
 
 
Brando aveva la testa che gli ronzava. Se non fosse stato seduto in poltrona con la schiena appoggiata allo schienale imbottito probabilmente sarebbe svenuto. In quel momento si rese realmente conto che l'aveva detto sul serio, aveva mantenuto la promessa fatta Fabio, aveva sputato in faccia alla sua famiglia la verità. L'espressione sul viso di suo padre, per una volta non indifferente, che era passata da un piccolo sorrisino impanicato, quello che spera che ciò che ha sentito sia uno scherzo di cattivo, ad un'espressione prima incredula e poi tesa ed incazzata.
“ma stai a scherzà?” chiese comunque. Il silenzio imbarazzato di Brando gli confermò che no... non scherzava purtroppo. Aveva appena detto davanti a lui, sua moglie e sua figlia... che era gay.
“papà, papà...” lo sentì dire con un filo di voce passando il peso da un piede all'altro e subito lo sconcerto si tramutò in rabbia
“ma che papà... che papà!” esclamò alzandosi dal divano e andandogli incontro con lo sguardo dello squalo bianco. “queste so cose serie.. non si scherza sulla roba seria Bra! Non se dicono cazzate del genere” tentò ancora. Lui inghiottì a vuoto e si forzò di sollevare gli occhi da terra, anche se gli costò una fatica immensa come se il suo sguardo fosse di piombo, ma voleva a tutti i costi guardarlo in faccia “non è uno scherzo” disse tentando di mantenere la voce quanto più ferma possibile. Gli era sempre difficile parlare con suo padre: quando gli sembrava di fare dei progressi nel rapporto con lui, di riuscire a penetrare la sua dura corazza per avere il rapporto padre figlio che aveva sempre sognato, quando sentiva che insieme stavano vivendo un momento di vera felicità aveva paura di rovinare tutto e fare dei passi all’indietro come i gamberi. Quando si rendeva conto che non riuscivano ad entrare in sintonia si spremeva all’inverosimile le meningi per riuscire a stabilire un collegamento con lui. Ma in generale il momento peggiore di tutti era quando lo fissava con quella faccia, da quei quindici/venti centimetri di altezza in più, che aveva deciso di non condividere con lui, in quegli attimi gli si impastava sempre la bocca.
“oh Porc* Di*...” imprecò Roberto passandosi una mano sulla fronte e voltandogli le spalle per fare due passi indietro verso il divano, dove sua moglie e sua figlia fissavano la scena completamente immobili e basite.
“deve esse colpa di tutta quella merda che hai preso” esclamò battendo le mani soddisfatto come a dire, più a se stesso che agli altri, che aveva trovato la giustificazione a tutta la faccenda “si deve essere così, non c’è altra spiegazione logica, probabilmente è effetto della droga... basta avere nattimo de pazienza e mo te passa…”
“oh ma quale droga!” esclamò la madre saltando su dal divano con aria stravolta “quale merda! Oddio ma che state dicendo??” “zitta tu” la mise a tacere il marito con uno sguardo di fuoco mentre vedeva Brando scuotere la testa “no, non c'entra niente” diceva “era così già da prima, è così... da sempre, almeno da quando o memoria, o comunque da quando o piena coscienza di questi ehm argomenti” aggiunse a voce molto più bassa tornando a guardare per terra, quasi stesse confessando di aver ammazzato qualcuno.
Roberto allargò le braccia esasperato e poi si passò di nuovo le mani sulla faccia e sui capelli stravolto.
“ma perchè.... perchè a me, perchè mi fai questo?, perché mi odi così tanto” chiese senza realmente parlare con Brando “tu lo fai apposta!” esclamò a quel punto tornando ad avvicinarsi a lui che fece istintivamente un gesto per rintanarsi nella poltrona e farsi il più piccolo possibile “lo fai apposta perchè ci provi gusto a farmi a pezzi così vero, cos’è mi odi cosi tanto??? Dopo tutto quello che ho fatto per” lui non rispose nulla, rimase rintanato in poltrona così Roberto si allontanò di nuovo, gli voltò le spalle, guardò il soffitto, poi le sue donne, cercando di calmarsi, ma non ci riuscì. Si girò di nuovo verso di lui e con tono furente gli urlò “eppure mi sembrava di averti cresciuto come un uomo, non come un frocio!” “tesoro…!” tentò ancora sua moglie, ma come prima venne ignorata “ti ho dato sempre tutto quello che volevi! Tutto!! Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per te! Perchè adesso mi devi fare questo? Io non me lo merito!” gli gridò “ti ho fatto vedere, da subito, dove dovevi guardare! Mi sembra di averti sempre dato un certo esempio! Io ti ho cresciuto molto meglio di così…” aggiunse indicando se stesso.
“cr..credimi... che ci ho provato, ci ho provato davvero con tutte le mie forze” balbettò Brando tra le lacrime non staccando gli occhi da per terra. Sapeva che sarebbe stata dura, ma non immaginava di vedergli perdere il controllo così “ho fatto di tutto per… tutto… ho provato tante volte… anche quella sera che è successo quello che è successo volevo… ma non... ma non ci sono riuscito. Sono così. Sono così e basta!” “sei così...” lo scimmiottò suo padre deridendolo “te lo dico io cosa sei! Sei un cazzo di egoista!” sputò fuori spingendolo con quella parola a guardarlo incredulo “sì! Un egoista di merda! Perchè se a te fosse fregato qualcosa della tua famiglia, se ti fosse fregato qualcosa di me come mi dici, te la saresti tenuta per te questa maledetta merda! Avresti fatto quello che dovevi fare! Continuavi a fa' l'uomo, come hai fatto così bene finta di essere fino ad ora, ti trovavi una ragazzetta di quelle per bene che si possono fa vedè in giro, possibilmente migliore di quella piccola troietta della figlia degli Altieri e te la sposavi. Poi, cosa ti ho insegnato?! Vizi privati e pubbliche virtù!” declamò puntando un dito in alto “facevi quello che dovevi fare per la famiglia e poi nel tuo privato di facevi sbattere da chi vuoi, esistono anche i prostituti maschi, o i trans o non so qual è la cazzo di merda schifosa ti piace, e non lo voglio manco sapè” concluse agitando una mano davanti al viso a scacciare un'immagine disgustosa. Brando era impietrito. Anche la moglie e la figlia, scioccate dalle parole del padre non erano riuscite a commentare niente, e continuavano a fissare i due con occhi sgranati e francamente un po’ impauriti.
 
“e invece no” continuò Roberto “tu sei un egoista e i tuoi vizi ce li devi sbattere in faccia a noi! A tutti! Anche a tuo padre!” esclamò allargando le braccia e avvicinandosi di nuovo alla poltrona di Brando con aria minacciosa “beh non dici niente finocchio???” lo spronò prendendolo per un braccio e scrollandolo von violenza. Poi lo lasciò andare sbattendolo contro la poltrona per poi guardarsi la mano disgustato, come se avesse toccato qualcosa di infetto “che schifo” disse “tu mi fai semplicemente schifo!” gli scandì a pochi centimetri dal viso “ti giuro non ci posso pensare! A te che ti viene duro quando guardi i tuoi compagni di classe, quando vedi un ragazzo e ti ecciti! Dio mio... te sarai guardato pure qualche filmino a buon bisogno, e ti ci sei fatto le seghe sopra. E mimò un conato di vomito. Non sono mai stato così disgustato, mi viene da vomitare” Brando strinse i pugni sentendo montar su una gran rabbia, mista a un groppo di lacrime in gola e ad un dolore che non aveva più provato dal giorno in cui la sua amatissima nonna era morta. “No peggio!” continuò suo padre senza pietà, gli stava vicinissimo e gli urlava addosso con una rabbia che mai aveva visto in suo padre “magari te sei pure già fatto qualcuno! Alla faccia del fatto che c'hai provato a non esse frocio!” tirò su la testa alzando gli occhi al cielo “te prego dimme almeno che non sei tu quello che lo pija al culo tra i due perchè potrei davvero morì!”
“papà ti supplico io....” fu l'unica cosa che riuscì a dire.
Il primo colpo lo colse quasi di sorpresa. Brando si rese conto con dolore che non era uno schiaffo ma un pugno quello che aveva preso quando sentì il sapore del sangue venirgli in bocca dal labbro spaccato “non mi chiamare papà! Non mi chiamare papà, mi fai schifo, frocio! Hai capito, schifo mi viene da vomitare” gli urlava addosso Roberto. Lo afferrò per il collo della felpa. A quel pugno ne seguì un secondo e poi un terzo, naso, zigomo, poi ancora bocca. Poi dalla poltrona lo scaraventò a terra ed iniziò a prenderlo a calci con le costose scarpe nuove di Ferragamo che aveva indossato per la prima volta proprio quella mattina. I calci lo colpivano ovunque e nel frattempo si accorse che suo padre gli stava anche sputando addosso ed a quel punto nonostante i suoi sforzi per non darla vinta a suo padre si sentì morire.
Non era la prima volta che Brando si trovava con qualcuno che voleva picchiarlo, aveva fatto a botte altre volte ma questo caso era completamente diverso. Era suo padre quello che lo prendeva a pugni e calci. La persona a cui in un certo senso più voleva bene. La persona che un giorno avrebbe voluto essere, se non altro dal punto di vista professionale. Era a tal punto sotto shock e che non fece neanche un tentantivo per difendersi cosa che in un normale confronto Brando non avrebbe mai fatto.
Ricevette diversi calci, senza contare i pugni che aveva ricevuto in precedenza,  prima che sua madre in qualche modo si destasse dal suo stato di paralisi per gettarsi in mezzo alla mischia e separarli urlando disperata.
Brando Si ritrovò sdraiato per terra con tutti i rumori della stanza che tornavano amplificati. Suo padre che ansimava, sua madre piangeva, sua sorella che approfittava del momento di calma apparente per rifugiarsi ib camera sua.
Si rialzò in qualche modo, dando la mano a sua madre e gli piantò gli occhi in faccia, stranamente non aveva più paura adesso – quando hai raggiunto il fondo non provi più nulla perché ormai l’unica cosa che puoi fare è risalire la china, ma nemmeno con rabbia, non sapeva nemmeno lui che cosa provava era semplicemente stravolto.
“vattene” sentenziò lapidario suo padre massaggiandosi le nocche “vattene. Io un figlio non ce l'ho più. Mai più mi hai sentito. Vattene fuori di qui!! V-A-T-T-E-N-E.” E con l’ultimo impeto di rabbia gli sputò in faccia.
Brando respirò a fondo aggirando per un attimo lo sguardo speranzoso su sua madre che piangeva ma non aveva obbiettato nulla. Rimaneva stretta al braccio di suo marito dove si era appesa per fermarlo. Sua sorella era scappata in camera sua e di certo non sarebbe venuta in suo soccorso.
Serrò la mascella pulendosi il sangue che gli impiastricciava il viso con la manica, poi afferrò un giaccone qualsiasi dall'attaccapanni, prese la borsa, uscì sbattendo la porta più forte che potè e si precipitò verso la sua macchina.
Salì rabbioso alla guida e uscì di casa senza sapere dove andare, sapeva solo che voleva allontanarsi il più possibile da quella casa.

Malgrado non lo volesse i pensieri di quanto appena successo lo stavano tormentando all’inverosimile. Più cercava di dimenticare tutto e più tutto gli tornava in testa. Non era tanto il dolore fisico, quello ormai stava scemando in molte parti del corpo nonostante suo padre ci fosse andato giù abbastanza pesante, ma il trauma psicologico di aver mandato la sua vita completamente a puttane, di aver distrutto tutto in nome di una verità che per tanto tempo aveva nascosta. Era uscito allo scoperto e non era venuto nulla di buono, stranamente però non era arrabbiato con se stesso per aver fatto outing, anzi ne era in qualche modo sollevato malgrado il prezzo che aveva dovuto pagare lo stesse tormentando.

Per cercare di distrarsi da questi pensieri e guidare più agevolmente decise di accendere la radio. La musica sembrava rilassarlo, e gli consentì per qualche momento di dimenticare i suoi pensieri e di osservare la città come non gli capitava di fare da tempo mentre in sottofondo Venditti cantava “Roma Capoccia”.
Ma fu questione di un attimo, la canzone finì e un ricordo lo assalì fino a spezzagli il cuore come un onda di una mareggiata invernale che porta via un pezzo di spiaggia: il giorno in cui suo padre gli aveva regalato la macchina che ora stava guidando. Ricordava tutto di quel giorno, persino la fantasia della cravatta indossata da suo padre.
 
Inizio Flashback
Era mattina. Sua madre e sua sorella erano andate a trovare i nonni materni. Suo padre non sapeva dov’era, forse da qualche cliente o forse da qualche parte a divertirsi, boh…
Lui era in camera a studiare storia e aveva stranamente deciso di ignorare il bip che aveva fatto il suo cellulare fino a che non avesse finito il capitolo. Poi però aveva sentito dopo un po’ di tempo suo padre urlare con quanto fiato poteva: “Brando ma che c’hai? Tutt’apposto si? T’ho mandato un messaggio 5 minuti fa e ancora ‘nlai letto…”
Ora rimedio papà!
Da: Papà Google (Android 11.0)
Bra scendi in cortile che ce sta n’a roba per te che penso potrebbe piacerti…
 
Brando:

Arrivo 😍

 
Aveva mollato tutto ed era corso a rotta di collo verso il cortile. Faceva così ogni volta che suo padre aveva una sorpresa per lui o faceva un gesto di avvicinamento nei suoi confronti. Sapeva che c’era la concreta possibilità di restare deluso o scottato, gli era successo già varie volte, eppure era più forte di lui, non riusciva a farne a meno.
Una volta in cortile stentava a credere ai suoi occhi e se non avesse avuto la prontezza di riflessi di appoggiarsi al palo del lampione da giardino probabilmente sarebbe caduto per terra: suo padre con un gran sorriso sulle labbra, in piedi accanto ad una scintillante Audi A3 nera con un fiocco argento sul cofano.

Dopo un secondo di esitazione, corse fulmineo verso suo padre e dimenticandosi che: “’nce se comporta come le femminucce, contegno prima di tutto! Quasi tutte le emozioni sono al femminile e non sono cose da uomini!!” abbracciò suo padre con quanta forza aveva in corpo fin quasi a stritolarlo e con sua enorme sorpresa suo padre anziché scacciarlo aveva risposto all’abbraccio accarezzandoli dolcemente i capelli.


L’incanto però era durato troppo poco, almeno per i desideri di Brando, e subito suo padre si era ricomposto e cercando di darsi un tono, quasi a voler scacciare il momento di sentimentalismo che aveva avuto, gli aveva chiesto con fare un po’ canzonatorio: “Vogliamo farci l’adorazione alla macchina o vogliamo farci fare un bel giro?”
Brando non se l’era fatto ripetere due volte era corso in casa a prendere il portafogli con la patente e subito dopo si era messo alla guida del suo nuovo gioiellino con il padre a fianco al posto del passeggero.

Fu indimenticabile per Brando quel giorno, girarono in lungo e in largo per il Lazio e non solo. Brando fece di tutto per ritardare il più possibile il momento del ritorno terrorizzato all’idea che quel momento magico potesse scoppiare come una bolla di sapone. Fecero fuori 2 pieni di benzina. Non era mai stato tanto felice come in quel momento ed era certo che non lo avrebbe mai dimenticato, anche quando sarebbe diventato vecchio decrepito ripensando alla sua gioventù avrebbe ricordato quei momenti.
Lui che guidava e suo padre al suo fianco, come un qualsiasi padre e figlio sulla terra, felici, divertiti. In sintonia.
Fine flashback
Quel ricordo lo trapassò da parte a parte come un mucchio di spade affilate, gli fece più male di tutte le botte che aveva preso da suo padre. Gli impediva quasi di guidare perciò appena notò una piazzola si fermò.
E mentre dalla radio Mia Martini cantava: “…Non sono cresciuta come speravi
E come avevo il dovere di fare…” Brando appoggiò distrutto la testa sul volante e scoppiò in un pianto dirotto, fortissimo e inarrestabile.

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