Solo mia figlia di FragileGuerriera (/viewuser.php?uid=157467)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Prima diapositiva: una foto sul comò ***
Capitolo 3: *** Seconda diapositiva: una limonata al bar ***
Capitolo 4: *** Terza diapositiva: Un picnic in riva al fiume ***
Capitolo 5: *** Quarta diapositiva: Ti stavo aspettando ***
Capitolo 6: *** Quinta diapositiva: un telefono riagganciato ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Buongiorno a tutti! Dopo
anni torno sul fandom di Kodocha con una storia iniziata sei anni fa.
Prima di lasciarvi alla
lettura devo precisare alcune cose. La storia che leggerete si
rifà
all'episodio 49 "Il grande cuore di papà" dell'anime, ma
nella versione giapponese. Riporto la trama per chi si fosse perso
il testo originale, censurato in Italia: quando Keiko (la madre
biologica di Sana) incontra la vera madre di Sana (perchè
seppur non
di sangue è la signora Kurata la vera madre di Sana) afferma
di aver
abbandonato di proposito la bambina nata da poco. Ho voluto dar
credito a questa versione perchè non avrebbe senso che una
donna
dopo un'incidente stradale non faccia nulla per ritrovare sua figlia.
E' vero che ha parlato di un'amnesia, ma evidentemente nel frattempo
la memoria le è tornata se si è fatta avanti,
quindi perchè non darsi da fare prima?
La versione del manga,
d'altro canto crea confusione circa il padre di Sana. Nella versione
cartacea infatti il vero padre di Sana viene indicato come lo zio di
Keiko, che (se non ricordo male- al momento non ho il manga sotto
mano-) ha costretto la ragazza ad abbandonare la figlia.
Perchè
allora, se è stata obbligata, non
l'ha cercata appena se n'è andata da casa? E poi,
diciamocelo, non
fa alcuna pietà uno zio pedofilo, mentre è molto
più interessante
il personaggio di Takeshi, il padre naturale di Sana nell'anime.
Anche Takeshi però genera perplessità se ci
basassimo sulla
versione italiana: lui era il primo marito di Keiko. Scusate, ma se
erano sposati com'è possibile che non si ricordasse di Keiko
al
punto da non notare la somiglianza fisica che c'è fra la
donna e
Sana? Inoltre, lei avrà anche sofferto di amnesia dopo
l'incidente
in auto, ma lui dov'era per non potersi prendere cura della bambina?
Ecco spiegato perchè mi
rifaccio alla versione anime giapponese.
Inoltre, i capitoli sono di
proposito molto brevi poiché si tratta di flashback e come
tali
riguardano solo i momenti più salienti della trama.
Infine il rating è dovuto per
le scene che in alcuni punti diventano particolarmente delicate vista
la differenza d'età tra i due protagonisti della storia.
Detto ciò, non mi resta
che augurare buona lettura a tutti sprando che la storia vi piaccia!! =)
Prologo.
Kurosaki
venne sorpreso da una serie di lacrime copiose che improvvisamente
iniziarono a rigargli il volto. Si alzò di scatto dalla
sedia e
coprendo il volto per nascondere la sua sensibilità a
Takeshi, non
riuscì più a fingere di fronte a tanta fiducia in
una vita che
stava per tradire l'attore.
Takeshi
fu sorpreso dallo scatto del giornalista e sentendolo singhiozzare
capì che stava piangendo, ma non ne capiva il motivo e per
questo
gli venne spontaneo domandarne il motivo: -Che ha? Non si sente bene?
-Mi
scusi, ma non posso più tacere.
-Come?
-E'
giusto che qualcuno le dica la verità una volta per tutte.
Io
conosco Sana, la conosco bene e soprattutto... conosco la sua storia.
Ho raccolto informazioni riguardanti il suo passato, informazioni
delle quali ne' lei ne' Sana siete al corrente. Lei è il
padre di
Sana!
Takeshi
rimase un attimo spiazzato da quell'affermazione. -No, guardi che si
sbaglia- cercò di smontare le assurde affermazioni del
giornalista.
-Si
ricorda di Keiko, il grande amore della sua vita?- A quel nome Takeshi
spalancò gli occhi incredulo, mentre il suo cuore perse un
colpo.
Come poteva sapere lui di Keiko? "Keiko", nella memoria il
volto di una ragazzina in piena fioritura. Nella sua mente aveva ben
nascosto i ricordi di quella ragazzina da anni. Ora una ferita
dimenticata tornò a ricordargli che non c'era
più, ma al suo posto
era rimasta una cicatrice indelebile. -Ebbene, lei non lo sa, ma
Keiko è la vera madre di Sana-chan! Sana le vuole bene ed
ignora
che l'affetto che prova per lei è quello di una figlia. Solo
che lei
non potrà mai abbracciarla come un vero padre, lo capisce?!-
Kurosaki riprese a piangere copiosamente e si portò
nuovamente una
mano al volto. -Le hanno diagnosticato una grave malattia al cuore e
non le sono rimaste che poche settimane da vivere!! Mi dispiace
tanto.
Una
voragine si aprì nella sua memoria, facendogli girare la
testa. Un
triste passato che nessuno conosceva e a quanto pareva nemmeno lui lo
conosceva. Un senso d'inquietudine prese la sua mente e il suo cuore.
Non ci poteva credere. Quella bimba spensierata era sua figlia? Come
poteva Keiko averglielo tenuto nascosto fino ad allora? Ora capiva
tutto. Trovò i pezzi di puzzle perduti e vide chiara
l'immagine che
si andò a formare. Sana che fin da subito gli aveva
ricordato un
volto famigliare per quanto remoto, era così simile a Keiko
fisicamente e caratterialmente. Solo era più bella e i suoi
occhi
erano esclusivamente una pura manifestazione di allegria. -Tu mi
ricordi molto mio padre, sai?- una voce di giovane ragazza
riecheggiò
nella sua mente, facendogli sorgere un quesito tanto assurdo che non
riuscì nemmeno a formulare per intero la domanda:
“Possibile che
tutta la voglia di vivere, l'ironia e l'ottimismo di Sana...”
Nella
sua mente un'unica domanda prendeva forma sovrastando tutte le altre
senza dargli tregua: cosa era successo davvero?? Velocemente gli si
ripresentarono le immagini di quei quasi due anni insieme, remoti, come se
fossero state diapositive, ed echi lontani giungevano alla memoria, trovando
una risposta a quell'assurda storia.
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Capitolo 2 *** Prima diapositiva: una foto sul comò ***
Augurandovi buona lettura,
ringrazio tutti quelli che hanno scelto di leggere la mia storia.
2.
Prima diapositiva: Una
foto sul comò.
Lui e
Keiko si conobbero quando lui era al terzo anno
dell'Università e
lei al primo delle medie inferiori. L'incontro venne dettato da un
fatto alquanto insolito.
Quel
giorno di primavera Takeshi aveva deciso di saltare le lezioni. Aveva
promesso alla sua fidanzata che l'avrebbe portata a fare una
"colazione sull'erba". Si sarebbero trovati sul pullman che
li avrebbe portati nel luogo prestabilito.
Erano le otto e lui scese
dal tram. Dalla sua fermata a quella del bus che li avrebbe portati a
destinazione mancavano dieci minuti, si diresse a piedi e
guardò
l'orologio: puntuale come sempre. "Chissà se lei
è già
arrivata o è in ritardo?". Yumi era ritardataria
di indole,
ma in genere quando si trattava di dover prendere un mezzo pubblico
riusciva ad arrivare anche con dieci minuti d'anticipo: un evento
raro a cui assistere. Sorrise pensando a quella che da un anno era la
sua ragazza, quando all'improvviso sentì una fitta al petto.
Si
portò una mano all'altezza del cuore e strinse il maglione e
i
denti. Si fermò mentre sentiva il respiro farsi
più affannato come
se avesse appena fatto una folle corsa. Cosa gli stava accadendo? Gli
sembrava di non riuscire più a respirare. L'ansia lo pervase
mentre
il dolore al petto non passava e lui iniziava ad avvertire il senso
di nausea farsi sempre più insistente. La quarta fitta mise
a tacere
tutti i sensi, acuendo solo la nausea “Che
diamine...”.
Non ebbe tempo di pensare ad altro poichè cadde a terra a
peso
morto, sbattendo la testa sul marciapiede e perdendo completamente i
sensi.
Al suo
risveglio si ritrovò in un letto che non era il suo.
Guardò attorno
e constatò di trovarsi in una piccola cameretta dalle pareti
un po'
malmesse, ma buona per l'arredamento, sebbene molto semplice. Una
voce stava provenendo fuori da quella camera, era una ragazza a
parlare. Si alzò dal letto con l'intenzione di capire dove
si
trovasse. Ricordava solo di avere avuto una fitta dolorosissima al
petto e nient'altro. Ora però stava bene, come se tutto
ciò che gli
era appena successo non fosse accaduto realmente a lui. Avrebbe messo
in dubbio i suoi stessi ricordi se non si fosse trovato in quella
casa e con un bernoccolo alla testa che ora, a sensi completamente
ripresi, si faceva sentire, appoggiato ad un cuscino molto freddo e
poco morbido. Si mise seduto, appoggiando i piedi a terra e vide che
tra la testa e il cuscino vi era una busta di ghiaccio. “Ora
capisco perchè sentivo il cuscino freddo e
scomodo!”. Mentre
iniziò a toccarsi dietro la testa per constatare
l'entità della
botta il suo sguardo capitò su un orologio appeso in alto,
sulla
parete di fronte al letto. Erano le otto e mezza. "Accidenti a
quest'ora dovevo essere sul bus già da almeno un quarto
d'ora con
Yumi!". Si avviò verso l'uscita per fermarsi davanti alla
scrivania e vide la foto di due ragazzi: un ragazzo sui quattordici/
quindici anni e una bambina di fronte ad una torta con sopra una
candelina accesa a forma di 10. Dalla voce non ancora di donna adulta
che stava parlando al telefono poteva immaginare che la ragazzina al
di là della porta fosse la stessa della foto. Erano carini,
si
somigliavano per lo stesso colore di capelli castano chiaro. A
giudicare dall'arredamento della stanza, principalmente in rosa con
fiori e cuoricini un po' ovunque la ragazza doveva anche essere la
proprietaria di quella camera. La sentì chiudere la
conversazione e
aprire la porta. La giovane si spaventò nel vederlo in
piedi,
nonostante la sua faccia da ebete. -Oh,scusa... Non credevo che tu
fossi in piedi- si affrettò a scusarsi chinandosi
leggermente.
-Non so
cosa mi sia successo, ma ora sto bene.
-Dovresti
comunque coricarti nuovamente.- rispose lei drizzandosi.
-E
perchè mai? Ora sto bene.
-Non ti
fa male la testa?
-Un po'-
rispose riportando la mano alla testa e ritraendola quasi subito per
il male. Sorrise però per non preoccupare la ragazzina.
-Anzi, ti
ringrazio molto: senza il ghiaccio la mia testa sarebbe raddoppiata
per dimensione- suscitando una risatina anche nella ragazzina.
-Tieni, ti do il ghiaccio- riprese poi lui allungando la busta alla
giovane che la prese per appoggiarla poi sulla scrivania. -Dimmi
piuttosto dove sono.
-Sei nella prefettura di Hokkaido e sei svenuto davanti al cancelletto di casa mia.
-E tu
chi saresti?
-
Keiko...- si inchinò ancora presentandosi.
-Grazie...
Keiko-san.-
-Non-non
c'è bisogno di essere tanto ossequioso, davvero!- rispose lei
imbarazzata dall'onorifico appena usato dal ragazzo.
-Beh, mi
hai salvato la vita!
-Dovevo.
-In
verità non eri obbligata a farlo.- replicò lui.
-Keiko-chan
va bene- ribattè lei sorridente.
-Allora
Keiko-chan, sei piuttosto piccola, non vai a scuola oggi?- si
divertì
a farle la paternale lui.
-Qualcuno
doveva controllare di non aver portato in casa un morto o un
malintenzionato.
-Ahahah,
se fossi un malintenzionato ti avrei già stesa con un colpo
sul
collo!- La ragazzina s'irrigidì alla sua battuta. -Comunque
non hai
dei genitori?- riprese lui vedendo che la battuta non aveva riscosso
il successo sperato.
-Qualcuno deve lavorare...- rispose lei
diffidente.
-Capisco.
Uhm...- si fece assorto prima di riprendere -Tuo fratello è
questo
ragazzo nella foto? Ti assomiglia, avete lo stesso colore di
capelli!- affermò poi sorridendo.
Lei non
si girò a guardare la foto, la conosceva a memoria e ancor
meglio
conosceva il ragazzo che nella foto stava al suo fianco. -Non ce
l'hai una tua vita a cui interessarti?- gli domandò di
rimando,
ostile.
Lui si
accorse che quella frase detta per sciogliere la tensione,
portò con
se' l'effetto contrario: -Ehi, calma, calma- tentò di
rassicurarla
-Volevo solo conoscere meglio la situazione di colei che mi ha
salvato da morte certa!- disse con tono teatrale, ma sinceramente
gentile e immensamente grato.
Il
rossore sulle sue gote annunciò l'effetto sortito del suo
tono
gentile: -Scusa, non volevo essere scontrosa. Semplicemente non
capisco il perchè di tutte queste domande.
-Sono
stato invadente, te ne do atto.- rispose lui indietreggiando di un
passo in segno di prendere le dovute distanze. Il suo sguardo
però
lo tradì dal momento che indugiò sul viso della
ragazzina: era così
carina in quel momento di timidezza. Non aveva mai creduto che le
ragazze arrabbiate o timide fossero più carine che felici e
sorridenti, ma quella ragazzina sembrava smentire questa sua idea.
I due
rimasero in silenzio senza sapere cosa dirsi. Fu ancora Takeshi a
rompere il silenzio: -Grazie, non ti devi disturbare a restare a
casa. Io adesso torno a casa mia.- Raccolse la cartella che Keiko
aveva posato sulla sedia di fronte alla scrivania, poi si diresse
verso l'uscita della camera e le chiese: -La porta d'ingresso
è
quella che c'è di fronte a queste scale?
Lei
annuì timidamente con occhi tristi. Lui uscì
dalla stanza, ma non
fece in tempo a fare il primo gradino che si sentì fermare:
-Aspetta.- La voce le uscì tremante. Lui non capì
e si girò verso
lei. I suoi occhi tristi lo guardavano senza svelargli il motivo di
quel cambio di stato d'animo.
Si
avvicinò a lui e gli prese una mano. La sua mano era grande
come
quella del suo papà ed era calda come la sua non sarebbe mai
più
stata. Le si inumidirono gli occhi mentre stringendo quella mano la
portò sulla sua guancia. Chiuse gli occhi per riprovare quel
tenero
sentimento che non provava più da troppo tempo. Voleva
riprovare la
sensazione che le trasmettevano le carezze del suo papà, ma
la
sensazione che la mano inerme di Takeshi le trasmise era diversa, le
provocò un mare di sensazioni sconosciute fino a quel
giorno. Non le
erano chiare le origini di quelle sensazioni, ma erano piacevoli.
Takeshi
la lasciò fare senza capire cosa stesse facendo, o meglio:
perchè
si stesse comportando in quel modo. Fino ad un attimo prima era
diffidente nei confronti di lui che era un estraneo, ora pur
restando un estraneo per lei... Si stava prendendo una confidenza a
dir poco avventata. Quando lei poi aprì gli occhi e
alzò lo sguardo
per guardarlo con gli occhi umidi capì che qualcosa nella
sua vita
non andava e sentì l'istinto di abbracciarla. Lei a quel
punto si
mise a singhiozzare e lui la strinse più forte. Keiko
non era
il tipo di persona che piangeva facilmente e con gli sconosciuti. In
realtà era una ragazza molto solare che cercava di vedere
sempre il
lato positivo della vita e non piangeva mai con persone che non
fossero la sua famiglia. Persone che non potevano capire quanto
stesse ancora soffrendo per la scomparsa del padre. Non capiva
nemmeno lei perchè, ma quello sconosciuto gli trasmetteva un
forte
senso di protezione che solo suo padre le sapeva dare quando era
abbattuta per qualche cosa e lui cercava di farle vedere il lato
positivo della situazione. Quando il senso di vuoto provato al
ricordo di suo padre svanì grazie all'abbraccio del ragazzo,
Keiko
si allontanò leggermente e con la manica della divisa
scolastica si
asciugò le lacrime prima di chiedere scusa in un sorriso
imbarazzato. L'allontanamento della ragazzina dispiacque a Takeshi,
sebbene fosse contento di rivedere sulle sue labbra il sorriso,
seppur debole. Era così piccola... e
così carina! “Ma a
che pensi Takeshi? E' solo una ragazzina delle medie!!” si
riproverò scuotendo la testa per cacciare quegli strani
pensieri. Non
aveva mai considerato una ragazza minorenne, certo era in grado di
capire se una ragazzina era carina o no, ma non le aveva mai
considerate con quell'occhio... Doveva essere la caduta che lo faceva
sragionare. -Ti senti meglio?- le chiese poi.
-Sì,
scusa.
-Vuoi
parlarne?
-E' per
mio papà... E' morto tre anni fa, ma non mi va di parlarne.
-Va
bene, come vuoi tu- le rispose lui senza sapere cos'altro aggiungere.
Restarono
fermi, ognuno a pensare l'altro. Lui pensava a quanto fosse piccola
lei e a quanto doveva mancarle suo padre. Si scambiarono un'occhiata
ed inspiegabilmente senza un motivo, senza che neanche loro due
capissero, si baciarono. Non fu un bacio molto bello: lei era in modo
più che evidente alle prime armi, ma fu un bacio molto
tenero e
molto breve. Non appena Takeshi realizzò che probabilmente
non
sapeva baciare perchè era poco più che una
bambina si staccò di
colpo da lei. Si portò la mano alla bocca, quella bocca che
sentì
subito colpevole di aver violato le labbra della ragazzina, e senza
parlare, prese la cartella e scappò letteralmente da quella
casa.
Sulla
via di ritorno provò disgusto. Quel bacio non significava
niente.
Era stato dolce, ma non voleva dire nulla. E lui provava disgusto per
sé stesso. Aveva baciato una ragazzina che doveva avere
almeno dieci
anni in meno di lui e che per questo era più che minorenne.
Una
ragazzina che con ogni probabilità non aveva mai baciato
nessuno.
Una ragazzina che era stata molestata dal ragazzo che aveva soccorso.
Si sentì uno schifo d'uomo e appoggiandosi al muro
dell'edificio a
fianco con una spalla portò una mano al volto cercando di
non
piangere per l'orribile gesto compiuto. Lui non era quel genere di
persona, non aveva mai provato attrazione per le mocciosette che
neanche portavano il reggiseno; lui amava le belle donne, con le
curve al posto giusto e il viso adulto. Non avrebbe mai immaginato
che un giorno avrebbe dato un bacio vero ad una bambinella che forse
non si era ancora sviluppata. Doveva essere stata sicuramente la fase
post-traumatica che gli aveva annebbiato la mente.
Decise che non avrebbe fatto
parola di ciò che era successo con nessuno, solo
così poteva
fingere che non fosse mai accaduto e forse con il tempo avrebbe
potuto disperdere il ricordo di quell'increscioso incidente in un
mare di ricordi più grandi che avrebbero riguardato il
cinema e la
famiglia che sicuramente avrebbe avuto, anche se era prematuro
pensare che ne avrebbe formata una con Yumi.
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Capitolo 3 *** Seconda diapositiva: una limonata al bar ***
Buona sera
a tutti, auguro buona lettura a coloro che hanno deciso di proseguire
con la lettura di questa fanfiction.
3.
Seconda diapositiva: Una limonata al bar
Era
Estate. Erano passati due mesi da quel giorno in cui si
sentì male.
Non andò mai dal dottore e non disse nulla a sua madre. Era
sicuro
che era stato un calo di pressione ad averlo portato allo svenimento,
forse favorito anche dal fatto che spesso la mattina saltava la
colazione. Pertanto trovava inutile allarmare sua madre per un
episodio insolito, ma privo di pericoli. Non erano le fitte al cuore
o lo svenimento a preoccuparlo. Sognava spesso di ritrovarsi in
quella casa a chiedere perdono alla bambina. Altre volte sognava che
arrivava a casa la denuncia di pedofilia da parte della madre o del
fratello di lei. Più volte aveva pensato di tornare dalla
bimba per
chiederle scusa e per dissuaderla da un'eventuale denuncia. Non ne
ebbe mai il coraggio. Si convinceva sempre che andare là
sarebbe
stato l'equivalente di importunarla e se la bambina stava
tergiversando sul denunciare i fatti o meno, con quel gesto non
avrebbe più avuto dubbi. Starle alla larga invece avrebbe
aiutato
anche lei, sperava, di dimenticare l'accaduto di quel terribile
giorno. Con il passare dei giorni, non ricevendo nulla, la paura
venne sempre meno e Takeshi si convinse di aver fatto bene a non
andare mai più in quella casa: molto probabilmente la bimba
aveva
capito che lui stesso aveva riconosciuto come folle il suo gesto e
che non era un molestatore di minorenni.
Quel
giorno era fuori con la sua ragazza al bar.
-La
smetti?- chiese lei divertita mentre lui le baciava il braccio.
-Scusa,
è più forte di me- disse lasciandole la presa e
mettendo le mani a
posto. -Sai, con il problema del tuo mal di pancia sono cinque giorni
che non lo facciamo- proseguì con tono languido ed un
sorrisetto
malizioso.
-Ma con
che razza di pervertito sto insieme??- finse lei un tono di
esasperazione.
-E'
colpa tua! Sei troppo bella.- Non a caso faceva la modella e i due si
erano conosciuti proprio ad una sfilata. Anche lui aveva sfilato per
un breve tempo per accontentare la madre a cui era molto legato.
Diceva di essere molto orgogliosa di aver un figlio bello e buono
come lui e ci teneva molto che tutti potessero vederlo. Come se non
bastasse continuava a dirgli che poteva essere un'occasione per farsi
vedere da qualche famoso regista teatrale e farsi così
scritturare
in un importante sceneggiato. Fin da piccolo Takeshi sognava di
diventare un attore cinematografico, ma fino ad allora aveva recitato
solo per la compagnia della sua città. L'idea della madre
perciò
gli ronzò in testa finchè non si decise a sfilare
e fu così che
conobbe Yumi e anche Utamara c.o.g. , il direttore di una compagnia
teatrale non famosa, ma di certo più importante di quella
della sua
città. Il ragazzo considerava perciò la sua
avventura nella moda
soddisfacente: lo stipendio per fare la parte di un personaggio
secondario non era malaccio, le sfilate gli avevano permesso di
mettere da parte un po' di soldi e stava con una ragazza splendida.
-Quando
consegnerai la tesi?- Gli chiese poi lei cambiando discorso.
-Questo
Settembre.
-Possibile
che io abbia un anno in meno e abbia già finito tutto?
-Ma io
recito la sera e mi devo spostare con la compagnia, mica sto a darmi
la crema alle mani come te!- si difese lui.
-Crema
che però ti fa tanto piacere la mia pelle-
replicò maliziosa lei.
-E poi comunque faccio le sfilate e pure io mi devo spostare nelle
città della moda.
-Capirai
che roba. Sfili solo due o tre volte all'anno per le collezioni
Autunno/ Inverno e Primavera/ Estate. Inoltre sei stata molto brava,
ma ora sei comunque bloccata per un anno.
-Tanto
io so già cosa fare.
-Anche
io, solo che io devo trovare ancora un valido regista.
-Amore
quante volte te l'ho detto che devi essere tu ad inseguire il
successo, non il contrario.
La
guardò e le strappò un bacio. -Adesso che ti
è passato tutto che
dici se andiamo a casa mia?- la invitò con voce bassa e
sensuale.
Lei rise e si alzarono, dirigendosi mano nella mano all'uscita.
-Cavolo, ho dimenticato gli occhiali da sole!- esclamò poi
lui.
Ritornò sui suoi passi prese gli occhiali da sole e fece un
disteso
passo indietro per tornare all'uscita, senza prestare attenzione a
ciò che gli stava accadendo alle spalle. Andò
così a sbattere
contro qualcuno. Alla sensazione dello scontro seguì quella
di
bagnato sulla schiena. -Ma guarda dove metti i piedi, stupido!!- gli
urlò la persona dietro di lui. Si voltò: -Oh,
scusami tanto io...-
le parole gli morirono in bocca. Keiko. Quel nome che non l'aveva mai
abbandonato in quei due mesi, ora era lì, in carne ed ossa.
Era lei,
non avrebbe mai potuto scordarla. Arrossirono entrambi prima che una
voce dietro di lei si facesse sentire: -Chi è quest'uomo,
tanto
bello quanto pasticcione?
Takeshi
alzò lo sguardo e vide una ragazza più grande di
lei, con i capelli
color rame.
-Ah...
ehm... Lui è il ragazzo che si è sentito male la
volta scorsa!
-Ah,
quindi lei è il signor lolicon- chiese un'altra che sembrava
più
sveglia dell'età che dimostrava. Per Takeshi fu come una
stilettata
nel cuore quell'affermazione. Si sentì di nuovo in colpa, ma
una
sensazione simile alla rabbia fu più forte di quello della
colpa e
gli fece prendere la ragazzina per un braccio per allontanarsi di
pochi metri dagli altri. -Tu hai detto alle tue amiche chi sono io??
Lei
sembrava sorpresa nell'udirlo arrabbiato: -Mi hanno chiesto
perchè
non ero andata a scuola e io ho spiegato di aver raccattato un
ragazzo che aveva dieci anni in più di me e che si era
sentito male.
-E che
c'entrava dirgli tutto il resto?- era angosciato, se avessero voluto
quelle ragazze avrebbero potuto convincerla a denunciarlo e
l'avrebbero rovinato per sempre.
-Io non
gli ho detto assolutamente niente!!- disse Keiko cercando di
svincolarsi dalla sua presa.
-E
allora perchè la tua amica mi ha chiamato in quel modo?-
continuò
serrando la presa.
-Ahi, mi
fai male!!- disse cercando di divincolarsi.
-Le sue
parole mi hanno fatto molto più male! Dimmi
perchè gliel'hai detto
e ti lascio andare!
Smettendo
di agitarsi lo guardò un attimo cogliendo lo sguardo ferito,
perciò
decise di accontentare la sua richiesta: -Le ho solo detto che mi
trovi carina. Vuoi forse negarlo?- lo sguardòo serio negli
occhi.
Effettivamente era molto carina. Aveva dei capelli lunghi e fini
molto belli, le orecchie piccole e gli occhi vivaci che erano
però
perennemente velati da una leggera malinconia. La valutò
velocemente
nel complesso. Fuori casa sua, senza la divisa scolastica, sembrava
avere almeno quindici anni. Non era vestita da ragazza frivola, come
tutte le altre, semplicemente dimostrava di più della sua
età. Era
più alta della sua coetanea, aveva una gonna corta, ma non
vertiginosa, una maglietta aderente che più delle sue forme
(ancora
acerbe) metteva in risalto i fianchi stretti e il fisico magro.
-No...- esitò nel dirlo con un fil di voce, ancora stupito
da quanto
fosse diversa dall'altra volta.
-Bene...-
disse lei dando un piccolo strattone al braccio per liberarlo dalla
presa di lui. -Nemmeno io ti trovo brutto- si limitò a dire,
ma
d'altronde come avrebbe potuto? Soggettivamente poteva non essere il
ragazzo ideale di alcune ragazze, ma oggettivamente era bello. Di
questo lui ne era consapevole, forte anche del buon successo che
riscontrava con tante donne.
Lui si
abbassò leggermente e guardandola in quegli occhi che aveva
sognato
più volte ormai le disse: -Non dire niente per favore. Non
è
successo nulla, non mi denunciare.
-Ah, che
delusione come sei infantile! A chi lo dovrei dire? Mio fratello
quando non studia in casa è sempre fuori con gli amici o con
le
ragazze; mia mamma sta fuori tutto il giorno lavorando come operaia
per mandare avanti una famiglia di tre persone. Quando torna a casa
la sera ha tempo di firmare le cose di scuola mie e di mio fratello e
basta. Per fortuna abbiamo lo zio che ci da un aiuto che ci
permetterà di finire almeno la scuola dell'obbligo.- Takeshi
trovò
disarmante quel suo tranquillo modo di parlare di una realtà
così
diversa dalla sua. La sua era una vita che, questo glielo leggeva
negli occhi, non la rallegrava di certo, ma lei non voleva farsi
compatire, era molto dignitosa e rispondeva alle proprie
difficoltà
con serenità.
Intanto
fuori dal bar Yumi iniziava a perdere la pazienza: “E'
andato a
prendere gli occhiali o a comprarne un paio nuovo?”
-Non ti
da fastidio?- gli chiese Keiko.
-Che
cosa?- rispose il ragazzo.
-La
macchia di limonata sulla schiena. Sarà appiccicosa ormai!
-Ah, non
importa. Tanto dovevo tornare a casa!
-Sei da
solo?
-No e...
Accidenti ho perso un sacco di tempo! Devo andare. Anzi, vieni un
attimo con me!- e senza darle tempo per rispondere Takeshi la prese
di nuovo per il braccio e la trascinò fuori dal bar
incurante delle
amiche di lei stupite nel vederla uscire a passo svelto con quel
ragazzo molto più grande di loro.
-Oh
finalmente. Ce ne hai messo di tempo!- lo rimproverò Yumi.
-Scusa,
am... ehm...- Takeshi si schiarì la voce nel tentativo di
camuffare
le prime lettere pronunciate -Scusa...- ma perchè mai si
sentiva in
imbarazzo a chiamare “amore” la sua ragazza?
-Lei chi
è?- gli domandò Yumi notando Keiko.
-Ehm...
la ragazzina che mi ha aiutato quel giorno che dovevamo andare al
parco e non sono stato bene. Si chiama...- si interruppe. Non aveva
mai pronunciato il suo nome. In realtà anche quando aveva
pensato a
lei non la pensava mai con il suo nome. Le poche volte che l'aveva
pensato, infatti, gli avevano fatto troppo male. Era un nome che,
legato ai ricordi di quel giorno, gli trasmetteva una strana
sensazione al cuore, facendolo sentire poi ancora più in
colpa per
quello che fece prima di fuggire. Non poteva e non doveva
assolutamente provare assolutamente nulla per quella ragazzina. Era
una cosa da malati di mente! Non sapeva neanche chi era ed era troppo
piccola! Per questo cercava di non pensarla mai con il suo nome.
Pronunciare o dire il suo nome, l'avrebbe fatto sentire in qualche
modo legato a lei. Per questo esitò nel proseguire il
discorso.
-Io sono
Keiko- si presentò da sola a quel punto la ragazzina. Detto
da lei
sembrava ancora più dolce. “Accidenti
devo smetterla con questi
pensieri assurdi!!”
Yumi la
guardò da capo a piedi. Valutando i vestiti che portava
veniva
sicuramente da un ceto inferiore. -Uhm, piacere, io sono Yumi- disse
con tono discostato e accennando un leggero inchino.-Sono la ragazza
di Takeshi.
Keiko la
guardò senza tradire alcuna emozione. -Yumi ha la mia
età ed è la
mia donna.- si apprestò a dire Takeshi, circondandole le
spalle con
il braccio e sforzando un largo sorriso. Sottolineò di
proposito che
la sua fidanzata fosse sua coetanea e pure una donna. Era l'unico
modo per far capire alla bambina che era stato un episodio a cui
nessuno dei due doveva dar peso perchè lui amava le donne
adulte e
per di più era già felicemente impegnato.
-Bene,
ora che ci siamo chiariti vieni che ti prendo un'altra limonata- e
senza dire altro rientrò nel bar seguito dalla ragazza a cui
non
erano chiari i suoi strani atteggiamenti. Cosa doveva chiarire?
Invece
di far chiarezza su qualcosa che nessuno, Takeshi a parte, sapeva di
cosa si trattasse, aveva solo creato confusione presentando le due
ragazze. Per non parlare della sua titubanza nel parlare con Yumi
di... lei. Rieccolo il pronome che usava più spesso per
parlare
della ragazzina. Beh, ovviamente anche “ragazzina”
era un
appellativo che usava di frequente, alternandolo a
“bambina”.
Takeshi non capiva cosa gli stesse succedendo, da come l'aveva vista
era andato in tilt e non ragionava più bene. -Mi dia una
limonata
per favore- chiese al cameriere. Takeshi la guardò mentre
lei
guardava il cameriere prendere la bottiglietta di limonata.
Chissà
che tipo di ragazzi le piacevano? Un tipo palestrato, con i capelli a
zazzera come quello di fronte a loro, o un tipo dal fisico slanciato
e i capelli leggermente più lunghi e ben pettinati come era
lui? Il
ragazzo si portò quasi subito una mano al cuore. Una fitta
lo
trafisse. Era una fitta che non faceva male fisicamente, ma solo alla
sua morale. Temeva di conoscere quella fitta... Si era già
innamorato due volte e una delle due ragazze che l'aveva fatto
innamorare era proprio lì, fuori dal bar che lo stava
aspettando.
Scosse la testa sentendosi disperato. Perchè quando era con
lei gli
venivano in mente quelle domande e tutti quei pensieri assurdi? Prese
il bicchiere e rivolgendosi a lei disse: -Ecco la tua limonata.
-Ma
io...
-Tranquilla,
offro io.
-Sì, ma
in realtà...- provò ad obbiettare Keiko.
-Vuoi
litigare con me?- le chiese lui con tono serio, ma l'espressione
divertita. Era assurdo, con Yumi non riusciva ad essere normale con
lei, ma senza la fidanzata si comportava disinvolto quasi come se
fossero in confidenza da tempo.
-No...
grazie allora.
-Figurati-
rispose sorridendo prima di andare via.
Tornata
dalle amiche che si erano già sedute, diede il bicchiere
all'amica
dai capelli color rame.
-Te la
offre lui.
Lei la
guardò perplessa così disse: -Non mi ha lasciato
dire che portavo
il bicchiere io, ma la bibita era la tua.
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Capitolo 4 *** Terza diapositiva: Un picnic in riva al fiume ***
Buonasera
a tutti, una serie di sfortunate coincidenze mi portano a pubblicare
questo quarto capitolo con enorme ritardo, ne sono desolata. Purtroppo,
tra quelle sfortunate coincidenze, ve ne sono anche di natura non
piacevole e forse non facilmente risolvibile, per cui non so quando
potrò aggiornarla nuovamente. Spero il prima possibile,
anche perchè questo significa che la situazione si
starà evolvendo in modo positivo.
Ringrazio
come sempre coloro che stanno seguendo questa storia e chi l'ha
inserita nell'elenco delle storie da seguire :-).
Intanto se volete, recensite pure. Ogni commento, positivo o negativo, e ogni consiglio è più che gradito ^^
4.
Terza diapositiva: Un picnic in riva al fiume.
Chiunque
avrebbe detto di no ad una proposta del genere e lui come cavolo
era riuscito a dirle di sì? L'aveva chiamato due settimane
dopo per
chiedergli se la andava a prendere a scuola perchè suo
fratello si
era ritrovato con lo scooter in panne e quindi non riusciva ad andare
a prenderla come suo solito fare. Sua mamma era al lavoro come sempre
e non riusciva proprio a passare a prenderla, mentre le sue amiche
erano già andate via da un pezzo visto che suo fratello era
riuscito
ad avvisare la scuola* dopo una mezz'ora di vana attesa. Quindi, visto
che
nessuno poteva portarla a casa, Takeshi doveva andare a prenderla a
scuola e assicurarle il ritorno a casa. Niente di più, gli
aveva
assicurato. Aveva poi spiegato di aver reperito il numero di telefono
di casa sua dal documento di identità che aveva nel
portafoglio e
sul quale aveva potuto leggere nome, cognome ed indirizzo. Grazie a
quei
dati era stato semplice rintracciarlo sull'elenco telefonico il
giorno in cui era stato male per avvisare qualcuno di quello che era
accaduto all'uomo. Visto che alla fine lui si era
ripreso ed era tornato a casa da solo, lei, invece di getteralo via,
doveva aver inserito per sbaglio il foglietto con il suo numero
telefonico nel libro di giapponese moderno e lì per fortuna
vi rimase
fino a quel giorno stesso in cui aveva avuto un'ora di lezione di
giapponese.
Quando
lui arrivò Keiko salì in macchina e una volta
partito prese subito
la parola lei: -Scusa, ma tu sei l'unico adulto che non lavora e ha
la patente.
-Ehi, io
lavoro!- protestò lui, mantenendo lo sguardo sulla strada.
-Ah,
davvero?
-Sì,
faccio l'attore di teatro.
-Davvero?
Che meraviiiiiglia!!- esclamò lei entusiasta e constatando
che un ragazzo
così bello non avrebbe potuto trovare lavoro migliore di
quello.
-Comunque non ti chiamerò più promesso! Se
dovesse ricapitare
un'altra volta saprò quali altri mezzi pubblici utilizzare
perchè già da oggi mi informerò- disse
poi con un largo sorriso.
-Lo
spero.- disse Takeshi con un sospiro.
In
realtà si sentirono un paio di volte prima che lei lo
chiamasse per
chiedergli di festeggiare insieme il suo tredicesimo compleanno.
Anche qui sarebbe stato saggio dire di no. E Takeshi ci aveva
provato, ma era talmente deciso che alla fine cedette alla richiesta
di lei. Se ne pentì appena riattaccato il telefono, ma non
poteva
chiamarla per disdire tutto. Sembrava strano che dopo quattro
chiamate non avesse il suo numero di telefono, ma dal momento che era
sempre stata lei a chiamarlo, mentre lui preferiva starle il
più possibile alla larga, non aveva potuto rintracciarla.
Gli
venne in mente di fare come lei il giorno in cui era stato male:
andò
in soggiorno, estrasse l'elenco telefonico della città e...
“Ottimo
e adesso che ho l'elenco come la rintraccio se non so il suo
cognome??” pensò quando realizzò
che era scappato da quella casa senza fermarsi per sapere il punto
esatto in cui era stato male e senza vedere sul citofono il cognome
della bambina. Perciò fu costretto a presentarsi alla
stazione dei
bus per portarla ad un picnic in riva al fiume. In fondo non poteva
immaginarsela mentre lo aspettava per tanto tempo
e inutilmente alla
stazione dei bus, con tante facce losche che avrebbero potuto
approfittarsi di quella bambina da sola.
-Grazie
per avermi fatto compagnia- gli disse lei.
-E'
stato un piacere... Soprattutto per i tuoi biscotti.- rispose ridendo
prima di girarsi dalla sua parte. La osservò ancora una
volta:
“Tredici anni! Con il trucco sembra averne addirittura
sedici!”.
Lei lo
guardò con un sorriso dolce prima di dire con tono pacato:
-Sai,
come ieri moriva mio padre.
-Mi
dispiace- non sapeva che altro dire.
-T-tu mi
ricordi mio padre, lo sai?- Takeshi la guardò con aria
interrogativa.
-Anche
lui aveva sempre quel sorriso gentile e la risata composta che hai tu.-
diverse lacrime silenziose scesero dai suoi
occhi. -Aveva quindici anni in più di mia mamma e aveva
quarantaquattro anni quando se ne è andato. Aveva sempre
tanti
problemi di salute, ma sorrideva sempre. L'ultima sera che abbiamo
passato insieme ricordo che mentre stavo andando in bagno per lavarmi
ho sentito dalla porta socchiusa della camera dei miei che mio
papà si lamentava con mia mamma per dei dolori
più forti del solito. Alla fine è morto nel
sonno e l'ultima cosa che ricordo di lui è stato il suo
sorriso gentile mentre mi dava la buonanotte.- prese un fazzoletto
dalla borsa e si soffiò il naso e
cercando di ridere disse: -Scusami, è già la
seconda volta che
piango. Penserai che io sia bipolare- rise ancora, mentre lui
abbozzò
un tenero sorriso a quell'idea assurda -ma in realtà io non
piango mai. Dopo il suo
funerale ho cercato di essere forte per mia mamma, con gli amici non
ho mai pianto perchè non voglio la loro compassione e quando
sono
sola cerco di accettare il fatto per essere forte, non vulnerabile.
Eppure con te è diverso, non so perchè, ma mi
sento libera di poter
piangere senza temere un tuo parere negativo...- Si fermò un
attimo
per guardarlo: era la prima volta che lo vedeva senza espressione in
volto. Qualche volta l'aveva visto serio, ma il più delle
volte
sorrideva e le parlava con tono spavaldo o divertito. -Tu me lo
ricordi molto. Mi è capitato di vederti serio, ma il
più delle
volte sei solare e sorridente. Sono sicura che tu sia una bella
persona, Takeshi.- Il proprio nome non gli era mai sembrato
così
bello come in quel momento e quelle parole, quella triste storia
raccontate con la leggerezza che solo la rassegnazione e la
dignità
potevano dare, toccarono il suo animo sensibile. Così
piangendo
abbracciò Keiko stringendola a sé. Rimasero
abbracciati a lungo,
forse dieci minuti, forse di più o forse di meno, ma ad
entrambi
sembrò un'eternità e nessuno dei due voleva
interrompere quel
contatto. Si sentivano solo il soffio del vento, l'acqua che scorreva
lungo i rivi del fiume, il cinguettio degli uccelli e i singhiozzi di
Keiko. Qualche minuto dopo che finì di piangere la ragazzina
si
allontanò da lui: -Ecco ho appena detto che sorridi sempre.
Che cosa
sono quelle lacrime?- Takeshi si sentì uno stupido: si satva
facendo consolare quando era lei ad aver vissuto tutte quelle
difficoltà
nella sua breve vita. -Scusami tu, ma... E' che mi dispiace tanto
sapere che tu, con tanta voglia di vivere, abbia avuto una vita
così
difficile già così giovane.
-Intanto
però ho potuto godermi mio papà per dieci anni;
la mamma che si dà
tanto da fare per me, un fratello a cui sono legata, nonostante abbia
una vita spesso fuori casa e degli zii che ci sono sempre per noi. A
parte lui non mi manca nulla, cerco quindi di farmi forza
pensando a questo e cercando di assaporare ogni momento bello che la
vita mi sta dando.- Rispose lei, rivolgendogli un candido sorriso.
Era davvero speciale ed ammirevole. Takeshi ricordò le
parole che
gli rivolse la prima volta che parlò di suo padre e
pensò che
l'ottimismo di vedere sempre del buono in ogni aspetto della vita,
quell'uomo era riuscito a trasmetterlo alla figlia. -Ricorda che lui
sarà sempre con te, in ogni tuo sorriso, in ogni tuo
tentativo di
vedere con ottimismo la vita.
-Grazie,
sei un ragazzo con un cuore d'oro.
Lui
sorrise al complimento, lo apprezzava. -C'è qualcosa che
posso fare
per te?
-Non
piangere.- la sua voce era calda e sicura mentre guardava il fiume
davanti a loro. Poi rivolgendo nuovamente lo sguardo a lui riprese:
-Il pianto è per chi perde una parte di se', ma a te non
è accaduto. Hai tua madre
e tuo padre che sicuramente ti vogliono bene e se hai dei fratelli o
sorelle sicuramente avrai un bel rapporto anche con loro
perchè è
impossibile averti come nemico.- gli rivolse un sorriso genuino
-Studi all'Università e avrai l'occasione per diventare un
attore
famoso.
In quale
momento gli aveva messo le mani sul viso? Takeshi non lo sapeva, ma non
le
allontanò. -Lo terrò a mente. Anche se da quando
mio padre ha
lasciato mia mamma non si è più fatto vivo con
lei e nemmeno con
me.
-Mi
dispiace per lui...- si fermò un attimo per riflettere senza
staccare gli occhi da lui -Non sa cosa si è perso nel
lasciarti
andare. Ma l'importante è che voi stiate bene
economicamente. E dai
bei vestiti che hai sempre... Beh, direi che non state male!- disse
lei continuando a sorridere e ritraendo le mani dal suo volto per
indicarlo nel complesso con un gesto delle braccia.
-Questo
è vero, per fortuna mia mamma ha un ristorante che ci
permette di
vivere bene ed io comunque sto entrando nel mondo del teatro che mi
dà un discreto stipendio. Anche se il mio sogno è
quello di
diventare un attore cinematografico.
-Mi
dispiace per tuo papà, ma tu meriti meglio di una persona
così, non
credi?- un altro sorriso che ne scaturì uno di riflesso da
parte di
Takeshi. -E' molto bello sapere finalmente qualcosa di più
su di te,
lo sai?- la ragazzina ridacchiò in modo composto mentre
affermava
ciò.
-Non
siamo mai andati sul discorso della mia famiglia...- provò a
difendersi lui.
-Tranquillo,
non ti devi scusare con me. Rispetto sempre i tempi degli altri. Mi
parlerai ancora di te, con calma, quando te la sentirai.
Questo
voleva dire che Keiko sperava davvero di rivederlo ancora? D'altronde
passare insieme il giorno del compleanno di qualcuno voleva dire
essere in confidenza. Ma loro due erano davvero in confidenza? Forse
troppa visto l'enorme divario di età fra loro.
Però, forse come
amici... Non c'era una legge o un'etica che impediva l'amicizia fra
maggiorenni e minorenni. Takeshi tentò di trovare una scusa
qualsiasi che lo potesse mettere in pace con sé stesso.
Sì, loro
due erano solo amici e quello che sentiva era solo un tenero
sentimento di amicizia nei confronti della ragazzina. Soddisfatto
della risposta illusoria che si era appena costruito e che gli
permetteva di vederla ancora senza continuare ad avere timori sulla
loro frequentazione, riprese: -Comunque io intendevo se posso fare
qualcos'altro per te... Non ti ho nemmeno preso un regalo.
-Per
forza, ti ho chiesto di festeggiare insieme l'altro giorno quando
erano chiusi tutti i negozi!- Era la prima volta che la sentiva
ridere ed era una risata molto cristallina, dolce. -Sì, ma...
-Niente
"ma", davvero- disse lei ancora sorridente.
-Invece
obbietto: voglio farti un regalo!- disse lui imputandosi.
-E va
bene. Visto che insisti tanto...- aggrottò le sopracciglia
assumendo
un'aria pensierosa mentre portava la mano destra al mento come se con
tale gesto la potessere aiutare a riflettere meglio: -Baciami.- rispose
poi
rilassando la fronte e lasciando cadere la mano lungo il fianco.
Pensava
lo stesse prendendo in giro. Ma, nonostante il sorriso sereno sul suo
volto, era seria e tranquilla. -Ehi, tu... Ma ti rendi conto che io
ho dieci anni in più di te? Tu sei poco più di
una bambina, sei
solo una ragazzina per quanto tu possa dimostrare più della
tua età
e... Sei impazzita??- Così dicendo fece per alzarsi, ma una
presa
sulla manica, sicura e docile al contempo, lo bloccò.
-Perchè, non
vorrai farmi credere che non è quello che vuoi anche tu?- e
così
dicendo, con uno sguardo malizioso, si avvicinò
pericolosamente a
lui fermandosi ad una spanna di distanza dal suo volto,
cosicché gli
fosse impossibile resistere. Infatti Takeshi non resistette nel
vedere quelle labbra dischiuse e ricordandone la
morbidezza. Fu un altro bacio dolce, a cui lei seppe
rispondere meglio
dell'altra volta, riuscendo a trasmettergli delle sensazioni
piacevoli. Quando si staccarono lui la guardò e lei
corrispose lo
sguardo con gli occhi sognanti. Era una ragazzina in cerca del suo
principe azzurro e del suo amore. Lui invece era un ragazzo che aveva
già avuto alcune ragazze, ma solo due storie serie e una di
quelle
era ancora in corso con Yumi. Si alzò di scatto. No, lui non
poteva
darle quell'amore che lei sognava e si stava comportando nel modo
più scorretto sia
illudendo lei, sia tradendo Yumi con... una neotredicenne! Raccolse
tutta la roba che c'era in giro, continuando a rimuginare sulla
realtà dei fatti. I fatti erano che lui avrebbe potuto darle
quell'amore che stava cercando perchè, a differenza delle
altre due
volte che si era innamorato, con lei era stato un colpo di fulmine.
Ma non poteva. Le leggi parlavano chiaro e lui non poteva
assolutamente ammettere che il suo cuore era stato rapito da lei dal
primo momento in cui ebbero un contatto fisico. Negare anche a
se' stesso i sentimenti di natura sbagliata che provava per lei era
il primo passo per stare lontano dai guai e fino a quel momento ci
era riuscito anche bene! -Andiamo.- disse perentorio una volta
terminato di mettere tutte le vettovaglie nel cestino di vimini portato
da lei.
-Dove?-
domandò lei stupita.
-A casa!
-Perchè?
-Perchè
non ci dobbiamo rivedere mai più.- Sapeva che forse quelle
parole
l'avrebbero ferita, ma doveva essere risoluto e mettere in salvo
così
sia sé stesso che lei.
Fu
invece stupito di vedere l'espressione curiosa che si dipinse sul
volto di lei dopo aver udito quelle parole, prima di rispondere: -Ti
preoccupi per nulla. Io sto qua.- restando seduta a portando le mani
dietro la stessa, mostrando così assoluta
serenità d'animo.
-Stai
qui allora.
-Vieni
qui anche tu- tentò di persuaderlo.
-Keiko-
arrossendo leggermente nel dire per la prima volta il suo nome ad alta
voce,
mentre la ragazza sorrise contenta nel sentire per la prima volta il
suo nome pronunciato da lui- ti rendi conto di cosa mi hai fatto
fare? Io ho ventidue anni, vado per i ventitré e tu ne hai
compiuti
tredici oggi stesso!
-Io non
ti ho costretto a fare nulla, mi sono solo avvicinata- rispose lei
con fare innocente -e non puoi nemmeno dire che ero sensuale
perchè
non sono capace e non mi piacerebbe nemmeno esserlo.
-Appunto,
perchè sei poco più che una bambina!- si
scaldò lui.
-Non è
vero.- rispose lei per la prima volta leggermente innervosita -Non
hai sentito quello che ho detto prima? Tra mio papà e mia
mamma
c'erano quindici anni di differenza. Si sono sposati quando lei aveva
diciannove anni, mentre mio papà aveva trentatré
anni. Lei non era
ancora maggiorenne all'epoca, le ci volle la firma dei genitori per
potersi sposare, mio padre invece era un uomo adulto da ben dodici
anni. Eppure nessuno ha detto nulla e loro si sono amati per tutta la
vita. Tu invece sei maggiorenne solo da due anni e non dobbiamo
sposarci subito e avere un figlio fra nove mesi!
-Ma è
diverso, non capisci? Tu non hai diciannove anni, ne hai appena
compiuti tredici! Sono sei anni in meno rispetto a quelli che aveva tua
madre quando si è sposata con tuo padre. Sei anni in meno
non sono pochi,
se permetti, soprattutto nell'età dell'adolescenza!
-E che
fine avevano fatto i miei anni, quando mi hai baciato la prima volta?
Di tua spontanea volontà fra l'altro. E visto che per te
conta tanto
la mia età, tengo a precisare che avevo dodici anni fino a
ieri.-
Takeshi si sentì ferito nell'udire quelle parole, il ricordo
di un
bacio tanto dolce quanto amaro per l'età della ragazzina. La
guardò
con occhi colpevoli prima di vedere i suoi farsi tristi: -Ti chiedo
solo di non negare i tuoi sentimenti, così come io non nego
i miei.-
Il cuore del ragazzo ebbe un piccolo sussulto nell'udire l'implicita
confessione dei sentimenti di Keiko.
-Tu non
sai di cosa parli, sei troppo giovane...- disse lui con tono
amareggiato. Se lei fosse stata più grande! Quante volte
l'aveva
immaginata maggiorenne? Quante volte in sua presenza si
domandò
perchè non poteva essere nata prima per poterla frequentare
non come
amico, ma come ragazzo?
-Non
negarli per una stupida questione di numeri.- lo riportarono alla
realtà le parole della voce dolce di lei. La
guardò e capì che non
voleva vederla triste, non voleva essere lui la causa della sua
tristezza. Era stupido pensarlo visto che proprio quello doveva
essere il suo obbiettivo principale: ferirla quel tanto che sarebbe
bastato per allontanarla. Vederla così triste, fragile, era
un
qualcosa però che i suoi occhi non potevano sopportare. Si
portò
così al suo fianco, restando però in piedi, con
il cestino ancora
nella mano. Non sapendo cosa fare. Keiko lo tirò per un
braccio e
lui senza opporre resistenza si sedette al suo fianco e
appoggiò il
cestino a terra. Rimasero tutto il giorno in riva al fiume lontano
dagli occhi e dai giudizi della gente; in compagnia solo della natura
tutt'intorno e del fiume davanti loro. Restarono insieme e mentre il
sole riscaldava i loro corpi, i baci riscaldavano i loro sentimenti
germoglianti.
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* Considerando che in Giappone l'anime
di Kodomo no
Omocha è andato in onda nel 2000 e facendo un
conto alla rovescia, gli avvenimenti qui narrati risalgono al 1986.
Negli anni '80 i telefoni cellulari esistevano già, ma erano
un privilegio per i più ricchi, per questo il fratello di
Keiko non ha potuto chiamare direttamente la sorella appena avvenuto
l'incidente.
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Capitolo 5 *** Quarta diapositiva: Ti stavo aspettando ***
Buonasera
a tutti, stavolta sono tornata molto prima del previsto :-)
Auguro a tutti buona
lettura, ringraziandovi per seguirmi nonostante l'incostanza con cui
sto aggiornando la storia, ringraziando chi ha inserito questa
fanfiction tra le seguite
Buona
settimana a tutti.
5.
Quarta diapositiva: “Ti stavo aspettando”.
Takeshi
rifletté molto sull'accaduto. Perchè le aveva
dato quel bacio e
perchè si era lasciato convincere a darle anche tutti gli
altri?
Ripensò al suo volto e agli occhi tristi, la causa che lo
spinsero a
cedere. Tante domande gli affollavano la mente. Quelle prime due in
testa. Seguite da una terza: perchè continuava a pensarla?
Il fatto
era che più la pensava più la sua giovinezza,
spensieratezza,
almeno in apparenza, la rendevano angelica ai suoi occhi. Nonostante
desiderasse ancora con tutto sé stesso allontanarsi dalla
ragazza e
metterla al riparo da quel forte sentimento che sentiva per lei, il
pensiero che non l'avesse richiamato da quel giorno lo assillava.
Eppure doveva fare una scelta: o lasciarla perdere definitivamente o
ignorare il senso di colpa e accogliere le parole che gli aveva detto
davanti al fiume; stare con lei o stare con Yumi, come l'etichetta
comune avrebbe voluto...
Alla
fine la chiamò stupendosi del fatto che tutto quel tempo,
eterno per
lui, era consistito di sei giorni soltanto. -E' bastato come tempo
per pensare o mi vuoi dire che ti servono altri giorni?- Takeshi, a
quelle parole scoppiò in una risata liberatoria, la sua voce
aveva
messo fine ai suoi tormenti ed era sorprendente di come, pur
tredicenne, sapesse quello che voleva. Keiko voleva lui ed era tanto
sicura di sè, pur sapendo di non poter competere con le
ragazze
adulte quanto a sensualità, che si aspettava già
la sua telefonata.
E quello gli faceva battere il cuore di gioia solo per lei.
Alla
fine sopraffatto da quel sentimento di affetto immenso e grande
tenerezza lasciò Yumi dopo tre mesi che la sua mente di
divideva
tormentata fra lei e... Keiko. Ora poteva dirlo. La sua fidanzata non
capì perchè di punto in bianco avesse deciso di
lasciarla. Stavano
insieme da quasi due anni e, a parte gli ultimi mesi in cui era
diventato ombroso e sfuggente (soprattutto sul piano
dell'intimità),
le sembrava che stesse andando tutto bene. Lui non le spiegò
molto,
anche perchè nemmeno lui sapeva spiegarsi come poteva essere
successo. Era successo e basta. Lui che non aveva mai creduto ai
colpi di fulmine era semplicemente stato folgorato da Keiko dalla
prima volta che la vide. -Sono abbastanza certo che i miei sentimenti
per te non sono più gli stessi, mi dispiace.- fu il motivo e
così
si sciolse da Yumi che si allontanò da lui con gli occhi
lucidi e
l'imminenza di un pianto sul proprio volto.
Non si
fidanzarono ufficialmente a causa della differenza d'età, ma
si
impegnarono seriamente. Takeshi la portava ovunque lei volesse, ma in
pubblico non si baciavano e non avevano alcun contatto che li
potesse tradire. A chi domandava qualcosa rispondevano sempre di
essere cugini. Keiko gli donava sempre tanti pensieri e gli dedicava
molte canzoni, mentre lui ogni volta che la portava fuori a pranzo le
regalava un fiore diverso e si preparava sempre numerose e divertenti
gag alle quali si aggiungevano quelle improvvisate all'ultimo
momento, mostrandole così per la prima volta il suo lato
comico.
Avrebbe voluto farle regali più importanti, ma se glieli
avesse
fatti la famiglia di lei si sarebbe insospettita e loro avrebbero
corso guai grossi. Doveva aspettare alcuni anni prima di potersi
presentare come il ragazzo di Keiko, essere accettato e quindi
poterle fare tutti i regali che fino ad allora non aveva potuto
farle. Ridevano, ma parlavano anche sempre tanto. Keiko, sicuramente
anche a causa della sua condizione famigliare, ragionava come una
ragazza adulta e per questo si trovavano sempre molto in sintonia. In
più occasioni si trovarono a confessarsi le impressioni che
avevano
avuto entrambi le prime volte che si videro e si parlarono. Fu
così
che Takeshi apprese che anche lui era piaciuto a Keiko da subito e in
particolare cosa di lui l'avevano colpita fin dall'inizio.
Con il
tempo quel grandissimo affetto e quella forte tenerezza che Takeshi
sentiva per lei confluirono in un solo sentimento che non temeva
più
di ammettere. Era amore. Si sentiva un idiota, gli sembrava di non
ricordare di essere stato pervaso da quel sentimento come in
quell'occasione, ma poi si convinceva sempre che forse era solo
l'euforia del momento a fargli sembrare tutto più
amplificato delle
altre volte. Anche quando stava con Yumi gli sembrava di non aver
amato così tanto la prima ragazza, ma era solo un'illusione.
Si era
innamorato anche della sua prima fidanzata, ma aveva solo amato e
vissuto in modo diverso le due ragazze. Molto probabilmente lo stesso
valeva per Keiko. L'unica cosa di cui era certo era che era
innamorato di lei e lei amava lui. Keiko glielo diceva molto spesso
ricordandogli ogni volta che l'amore non aveva età e che
erano
destinati a stare insieme perchè era stato il caso a farli
incontrare. Era così tenera e carina. Non una modella, ma
molto
carina. Dentro di se' sentiva che un'altra creatura come lei non
poteva esistere su tutta la faccia della terra. Fragile e forte al
tempo stesso; leggermente malinconica ed allegra al contempo; sicura
di se', dolce e amorevole.
Al loro
ottavo mese insieme lei lo invitò a casa sua per cena. -Mia
mamma
dormirà in ospedale perchè hanno operato sua
sorella in seguito a .
C'è mio fratello che ha diciotto anni, ma per quanto
possiamo
volerci bene, lui è grande e sta cercando di farsi una vita
sua.
Perciò spesso passa la notte a casa della fidanzata. Siccome
siamo
solo noi due, ha detto che resterà con me tutta la
settimana, ma che
il fine settimana vuole passarlo con lei.- Così Keiko
spiegò al
telefono l'assenza di sua madre in casa e anche quella temporanea del
fratello che aveva programmi più stuzzicanti per quel fine
settimana.
Takeshi
accettò perciò di buon grado l'invito. Lei gli
preparò del ramen
per cui lui andava pazzo, del sushi e una torta. -Caspita, ti sei
data da fare. Ma non dovevi! Io avrei mangiato anche solo un primo o
un secondo.- le disse quando lei tirò fuori da un
contenitore in
plastica la torta.
-E' un
piacere cucinare per te, amore- gli rispose lei con il suo bel
sorriso candido.
-Cucciola...-
continuò Takeshi, posandole una mano sulla sua, appena
mangiato il
primo boccone di torta – Era tutto buonissimo... ma la
prossima
volta preparami il caffè, questa torta era cattivissima-
disse
portando le mani alla pancia e fingendo di avere i crampi allo
stomaco.
Keiko si
pietrificò, prima che Takeshi scoppiasse a ridere. La
guardò
divertito, ma lei prese i piatti dal tavolo, li mise nel lavandino,
poi ripetè l'operazione con tutto quello che c'era in tavola
senza
degnarlo di uno sguardo. L'aveva forse offesa? Ma la sua era solo una
battuta innocente, doveva solo essere una delle innumerevoli gag che
la facevano ridere tanto! Si dispiacque nel vedere che stavolta a
seguire non fosse arrivata una risata, ma l'aria tesa tra loro.
-Amore, stavo scherzando.- le disse perciò dopo essersi
alzato dalla
sedia e tentando di bloccarla.
-Lasciami
mettere a posto.- gli rispose lei senza espressione.
-Amore,
amore... era solo uno scherzo, per ridere.
-Sì,
certo prima mangi a quattro ganasce e poi mi dici che la mia cucina
fa schifo. Pensare che è da tempo che metto da parte buona
parte
delle mie paghette per comprare tutto questo che ho preparato tutto
con tanto entusiasmo...- gli rispose pacata, ma con le lacrime agli
occhi. Takeshi la prese per i polsi e le diede un bacio intensissimo.
Quando si staccarono, lei si asciugò le lacrime con un
fazzoletto
che aveva in una tasca della gonna blu a pieghe e disse: -Scusami,
scusami tanto, Takeshi, non volevo offenderti... E' che mia zia
è
stata operata per un tumore allo stomaco e visto che mia mamma ha
solo quella sorella è molto preoccupata. Stasera avrebbero
dovuto
dimetterla dall'ospedale e invece è ancora là.
Visto che hanno
prolungato il suo ricovero per altri tre giorni anche mio zio, che
era via per lavoro, ha cercato di liberarsi il prima possibile per
raggiungerci. In più, come se non bastasse, mio fratello
è stato
molto più assente di quanto mi avesse detto
perchè gli amici, a
quanto pare, alla sua età vengono prima della sorella... Non
è che
non gli importi nulla di me o della zia, ma è il suo modo
per non
pensare ai problemi e forse per sentirsi più grande, non lo
so. Il
fatto è che gli zii sono gli unici parenti che abbiamo, io
sono
obbligata ad aspettare a casa le novità sulle sue
condizioni, sono
così preoccupata e lui, nonostante la situazione, continua
ad andare
in giro a bere con gli amici e a stare con la morosa. Io proprio non
lo capisco!!- Concluse la frase alzando un po' la voce e scuotendo la
testa. I suoi bei capelli lunghi che volteggiavano intorno al suo
viso nel tentativo di seguire veloci i movimenti della sua testa. Mai
Takeshi avrebbe rinunciato alla giovinezza di Keiko, così
matura,
forte e fragile allo stesso tempo e così infinitamente
carina.
L'abbracciò forte e la baciò, guidato da un
impeto diverso dal
solito. Non era l'euforia del momento a fargli credere di non aver
amato nessuno come lei, se ne rese conto in quel preciso istante: non
aveva mai capito cosa voleva dire perdere la testa per qualcuno,
voler condividere tutto con quella persona e voler essere suo, per
sempre. Quando si staccarono lei gli chiese titubante: -Takeshi...-
abbassò il viso- Takeshi, facciamo l'amore...- Lui rimase
sconcertato da una simile richiesta, prima di allontanarla con le
braccia: -Ehi, ma dico... Ma sei seria??
-Sì,
che lo sono.- senza capire pienamente il perchè di quel
distacco
improvviso.
Takeshi
iniziò così a farfugliare: -Keiko, credimi, non
è che non ti
voglia è che... tu sei ancora piccola e... potrebbe farti
particolarmente male... Senza contare che io non ho le precauzioni
necessarie... e se lo scoprissero potrebbero mandarmi in prigione!
-Ma sono
io che te l'ho chiesto!- protestò lei girando di scatto la
testa in
alto per guardarlo negli occhi.
-Non
c'entra: nessuno è presente e come lo dimostriamo che sei
stata tu a
chiedermelo?
-Ma io
sono consenziente e se proprio lo dovessero scoprire, lo
dirò!
-Non
servirebbe a nulla: direbbero che ti ho plagiata. Comunque, anche
volendo, ripeto, non ho portato con me le precauzioni quindi
è già
finito il discorso.- cercò di usare l'unico impedimento che
in quel
momento gli venisse in mente.
-Per i
preservativi puoi prenderne uno di quelli che mio fratello tiene nel
cassetto. Uno in più o uno in meno, non se ne
accorgerà, eheh.-
ridacchiò lei, mentre lui non sapeva cosa dire. -Ti prego,
Takeshi,
è da un mese che ci penso...
-No,
Keiko, no... - sussurrò debolmente lui.
-Io ti
voglio davvero...- e così facendo, nel tentativo di liberare
entrambi da qualsiasi indugio, lo baciò stringendosi a lui
in modo
tale da far aderire completamente i loro bacini, accendendo
completamente il desiderio in lui. Si baciarono per qualche minuto
finchè lui non si arrese alle richieste della sua ragazza e
del suo
corpo che stava già palesemente reagendo a quel contatto
così
intimo. “In fondo sembra essere più
grande della sua età e sa
quello che fa”, pensò sollevandola da
terra. Lei gli cinse i
fianchi con le gambe, lui spense la luce e baciandola la
portò al
piano di sopra. Nella penombra della sua camera rischiarata solo
dalla luce della luna la adagiò sul letto prima di sdraiarsi
sopra
di lei. Si baciarono ancora a lungo prima che lei sfilasse la maglia
di Takeshi dai pantaloni per intrufolare le mani dentro, dietro la
schiena. Il contatto della pelle di lui sotto il suo tocco delle dita
e dei suoi palmi le diedero i brividi. Vagò a lungo sulla
schiena di
lui, estasiata dalle nuove sensazioni e dai sospiri d'amore di
entrambi. Poi scese sul torace, portò le mani all'altezza
della
cintura che provò a slacciare, ma lui la fermò
appoggiando la mano
sulla sua. Le domandò una conferma: -L'hai già
fatto prima?- Era
superfluo chiederglielo perchè lui sapeva già
la risposta, ma
voleva essere sicuro al cento per cento di conoscere bene la sua
situazione. Keiko lo guardò con un sorriso dolce: -No...-
Poi
avvicinò la bocca al suo orecchio e proseguì
sussurrando: -Ti stavo
aspettando.
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Capitolo 6 *** Quinta diapositiva: un telefono riagganciato ***
Ciao
a tutti, siamo ormai in dirittura d'arrivo e io vi auguro buon inizio
settimana e buona lettura con questo capitolo un po' più
lungo del solito.
Ringrazio come sempre i lettori di questa fanfiction e chi ha inserito
la storia fra le seguite :)
6.
Quinta diapositiva: un telefono riagganciato.
Per il
suo quattordicesimo compleanno Takeshi la
“rapì” per tutto il
giorno portandola in riva al fiume e dicendole: -Questo posto ci
porta fortuna.
-E'
passato un anno e quante cose sono cambiate! All'epoca ero restio
anche solo a baciarti e ora mi devo trattenere per non assalirti da
quando ci vediamo a quando ti riaccompagno vicino a casa!
-Chissà
perchè....- disse lei con un sorrisetto malizioso, uno di
quelli che
aveva imparato a fare osservando Takeshi quando assumeva
quell'espressione che lei trovava irresistibilmente sensuale.
Lui le
rispose: -E' solo amore- estraendo dallo zaino un enorme cuore rosso
che si portò all'altezza del proprio petto.
-Ma
quello che ti spinge a farmi tua, Takeshi, non è solo
amore...- lo
“rimproverò” con dolcezza Keiko mutando
il proprio sorriso in
uno più innocente alla consapevolezza dei sentimenti che
stavano
alla base della loro attrazione reciproca.
-Hai
ragione-. Prese un preservativo dalla tasca destra dei pantaloni e lo
portò al centro del grande cuore che spostò
all'altezza della
pancia, a metà strada, poco più sotto del cuore,
un po' più sopra
dei pantaloni. Fatto ciò affermò in modo molto
teatrale: - E' quasi
esclusivamente amore-. Risero insieme e abbracciandola con tenerezza,
Takeshi si sdraiò sull'erba trascinando con se' anche Keiko.
-Sotto
questo punto di vista sei cambiato, ma sei rimasto molto dolce e
bellissimo.- gli disse lei guardandolo in viso e accarezzando il
mento con l'indice.
-Tu sei
bellissima.- non perse occasione di correggerla lui con il suo solito
sorriso genuino.
-Takeshi
dimmi che non mi lascerai mai!- gli chiese abbracciandolo e
stringendolo a lei.
Lui le
spostò il braccio, le prese la mano, ne baciò le
dita e poi disse:
-Mai amore, ti amo troppo ormai. Anzi, ho pensato che dobbiamo
aspettare ancora due anni e poi sai dove ti porto? - lei
negò con un
cenno della testa ricambiando il suo sorriso smagliante- In Sri
Lanka. Ho saputo che lì a sedici anni si raggiunge la
maggiore
età!!- Lei lo guardò con due occhi spalancanti
per lo stupore. -Sì,
fuggiamo io e te, insieme. Andiamo là, ci sposiamo e poi
andiamo in
America quando tu avrai diciotto anni e sarai riconosciuta come una
donna adulta anche negli States!! Vivremo felici e contenti.
Takeshi
era incredibilmente romantico e quando sognava era capace di
trasmettere fiducia nei suoi sogni pure a lei. Keiko si mise a sedere
e ridacchiò prima di provare a ribattere: -Ma come faremo a
vivere
senza soldi?
Si
sedette anche lui e rispose: -Ehi, ti ricordo che io ho fatto il
modello e lavoro per la compagnia teatrale della nostra
città. Ho
risparmi a sufficienza per andare via. Poi lo sai che in Sri Lanka la
vita costa molto meno che qui? E quando avremo diciotto anni andremo
in America dove mi prenderanno a lavorare per Hollywood.
-Tu,
amore, voli troppo con la fantasia... E ti ricordo che quando andremo
in America sarò io ad avere diciotto anni, tu ne avrai
ventotto. Non
provare a invertire le nostre età!- Risero entrambi.
-Hai
ragione io sarò un adorabile vecchietto in età da
padre.- disse lui
estraendo da un'altra tasca dello zaino un paio di occhiali da vista
e sottilissimi mustacchi neri finti che si applicò sotto al
naso.
Prese poi la tovaglia stesa sull'erba, la avvolse attorno al cestino
del picnic e iniziò a cullarlo, canticchiando una ninna
nanna con
una melodia e delle parole mai sentite prima. Keiko rise tantissimo:
-Ahahah, amore, mi fai morire dalle risate... Ahahah, sei diventato
ancora più teatrale ultimamente. Però sei troppo
stonato... Ahahah,
gli assistenti sociali non te lo lasceranno mai un bambino!- rideva
con le lacrime agli occhi.
-Tu
dici?- chiese stupito prima di sbarazzarsi del finto fagotto
lanciandolo in aria alle sue spalle.
-Ahahah,
ora non ci sono più dubbi!- rispose lei riferendosi al
lancio del
cestino. Lui le prese il viso e la baciò. Al termine di quel
dolce
bacio, lei gli accarezzò un baffo soffice e disse: -Non ho
mai
baciato un uomo con i baffi, ti stanno bene.
-Trovi?
Allora me li farò crescere per te, ma ti avverto: i veri
baffi di un
uomo sono meno soffici.
-Se te
li fai crescere così non saranno molto folti, ma posso
sempre
provare la differenza.
-Tu hai
sempre la battuta pronta, vero?
Lei gli
fece un grande sorriso. -Ti farai crescere davvero i baffi?
-Signorina,
lei lo sa che ogni suo desiderio è un ordine per me.- Poi
assunse
un'aria pensierosa, incuriosendo Keiko, prima di domandarle: -Ma li
vuoi così sottili o più folti?
-Così
ti starebbero benissimo- rispose sincera.
Si
persero in quella giornata di sole a ridere, scherzare e
chiacchierare, ipotizzando quale sarebbe stato il futuro che li stava
attendendo. La cosa più assurda era che, pur sapendo che si
trattava
di una follia, lui ci credeva davvero. Credeva seriamente a
quell'amore e ai suoi progetti di scappare e di sposare Keiko per
vivere per sempre insieme, condividendo con lei tutto: gioie e
dolori, salute e malattia, per onorarla e rispettarla sempre. Non
aveva amato mai nessuna così tanto da arrivare a desiderare
di
sposarla nel giro di un anno. Non avrebbe rinunciato al legame che lo
univa a Keiko per nessuna ragione al mondo.
Eppure
tre mesi dopo, inspiegabilmente, lei non volle più tutto
quello che
avevano progettato di fare. Avrebbe sempre ricordato nitidamente quel
giorno di Aprile.
Era
appena tornato dall'autolavaggio dove aveva portato la sua macchina
perchè quella sera avrebbe portato Keiko al mare. I genitori
di un
suo amico fraterno avevano di recente comprato una casa e il suo
amico gliel'aveva data in prestito. L'amico infatti sapeva che era
impegnato con una misteriosa ragazza e gli diede la casa a patto che
Takeshi gli rivelasse in seguito chi era la fortunata. Il giovane
attore accettò sapendo già che avrebbe inventato
una scusa
qualsiasi per mantenere segreta l'identità di Keiko. Doveva
custodire il loro segreto ancora per due anni e poi sarebbero andati
in un posto in cui il loro rapporto non sarebbe stato condannato da
nessuno. Perciò lui e Keiko avevano organizzato il ponte
festivo in
quella casa. Avrebbero così potuto avere un assaggio di come
sarebbe
stato vivere in coppia e quindi di come sarebbe stata la loro vita da
sposati una volta raggiunto lo Sri Lanka. Era un'idea che aveva
entusiasmato entrambi quando progettarono cosa fare durante quei
giorni di vacanza. Erano le dieci del mattino, fece mente locale su
quello che aveva messo in valigia e constatò che non mancava
nulla.
Poteva quindi caricare la valigia in macchina e andare alla stazione
dei bus, a dieci minuti di distanza rispetto la casa di Keiko.
Mancava un quarto d'ora all'appuntamento ed in macchina lui in sette
minuti avrebbe raggiunto la meta. Forse era meglio aspettare ancora
cinque minuti. Non stava più nella pelle, non vedeva l'ora
di
partire e di vivere quell'avventura con lei. Stava meditando se
partire o aspettare ancora quando lei lo chiamò. -Amore, ti
stavo
pensando, cucciola!
-Ah,
si?- chiese lei distaccata.
-Beh, è
una novità?
-No, ma
speravo proprio che tu non me lo dicessi.
Takeshi
rimase spiazzato da quella risposta. Pensò ad una battuta,
ma il
tono freddo usato da Keiko faceva capire perfettamente che non stava
affatto scherzando. Per questo gli fu inevitabile chiedere
spiegazioni: -Come dici?
-Senti
un po' imbecille: io non ti voglio mai più ne' sentire, ne'
vedere,
mi hai capito bene??
-M-ma
che ti prende?- Takeshi aveva un animo molto sensibile e
perciò
sentì subito un nodo chiudergli la gola, mentre lottava
contro
l'agitazione.
La
ragazza dall'altro lato della linea si mise a piangere e poi a voce
bassa disse: -Io ti amo, Takeshi, però tu non hai idea del
guaio in
cui mi hai cacciato.
-Tua
madre non ha creduto che saresti andata via con la tua amica in
questi quattro giorni?
-Ti
piacerebbe!!
-Mi
piacerebbe? Ma cosa stai dicendo? Mi vuoi dire cosa è
successo??-
chiese preoccupato lui.
-No...-
rispose lei con tono basso e tirando su con il naso, prima di
recuperare il tono ostile: -Semplicemente non ti voglio vedere
più e
non ti azzardare a cercarmi nei pressi di casa mia, come a scuola, o
al telefono.- Senza dargli tempo di replicare riattaccò.
Takeshi
rimase immobile per qualche istante, mise giù la cornetta e
rimase
ancora a fissare il telefono riagganciato.
Qualche
giorno dopo andò a casa sua e suonò il citofono.
Sentì la voce di
una donna rispondere e capì che probabilmente era la madre
di Keiko.
Finse perciò di cercare una persona che non c'era.
-Mi
dispiace, ma ha sbagliato indirizzo- rispose l'altra con tono
distante e scocciato.
Si
avvicinò alla macchina, parcheggiata sul lato opposto della
carreggiata. Restò qualche secondo a fissare la casa e la
vide per
un attimo. Keiko spostò la tenda della sua cameretta. Aveva
i
capelli raccolti, probabilmente in una coda, la mano destra che
teneva scostata la tenda, il braccio destro attorno al ventre e lo
sguardo triste. Fu solo un attimo perchè vedendo che lui la
stava
guardando Keiko lasciò andare la tenda.
Takeshi
si allontanò sconsolato.
Dopo
circa due settimane ed altri due tentativi di trovarla nei pressi
della stazione dei pullman da sola, gli arrivò una lettera
di Keiko.
A Takeshi battè forte il cuore, non sapeva cosa c'era
scritto, ma
sperava tanto che ci fossero delle scuse e dei ripensamenti. Oppure,
almeno, delle spiegazioni. Invece si trattava di una lettera
minatoria. “Sofferta, ma pur sempre una minaccia”.
Richiuse la
busta e la mise dentro ad un cassetto della sua scrivania che chiuse
a chiave affinchè sua madre non potesse mai trovarla. Quelle
parole
invece non riusciva a nasconderle in qualche cassetto della memoria
perchè si erano stampate troppo bene nella sua mente.
'Takeshi,
credimi, io ti ho amato davvero tanto. Ma sto attraversando un
periodo molto difficile e confuso. Tutto questo solo a causa tua. Noi
ci trasferiamo, se mi cercherai finchè resteremo in zona
passerai
guai molto seri. Se proverai a cercarmi quando ci saremo trasferiti
io sarò costretta a denunciarti alla polizia. Dimentica
quello che
ti dissi in passato perchè io farò altrettanto
appena chiuderò la
busta di questa lettera e non esiterò a testimoniare contro
di te in
tribunale. Ho prove a tuo carico che non si possono ignorare e puoi
credermi che stavolta non cambierò idea. Ne' ora, ne' fra
qualche
anno. Perciò ti prego, risparmia questa sofferenza a
entrambi e
fingiamo che tutto quello che è accaduto sia stato un
bellissimo
sogno, con un risveglio più doloroso per me che per te, ma
niente di
più.'
Perchè
diceva di amarlo e poi minacciava di denunciarlo? Come poteva
chiedergli di pensare che non fosse mai successo niente fra loro se
non nella sua testa? E come mai improvvisamente aveva cambiato idea
così drasticamente? Lei era sincera, lui lo sapeva, quando
diceva
che se li avessero scoperti sarebbe stata pronta a dire subito che
era stata lei a convincerlo a mettersi con lei e a sedurlo. Eppure,
dall'oggi al domani l'aveva cacciato dalla sua vita, informandolo che
se ne sarebbe andata in un'altra città senza dirgli quale e
si
diceva pronta a mentire e testimoniare contro di lui davanti a un
giudice. Takeshi era disperato. Non riusciva a darsi pace.
No, non
poteva finire così, non senza aver provato a parlare con lei
faccia
a faccia. Così, non senza esitazioni e ripensamenti, un
giorno si
armò di coraggio e si appostò nei paraggi della
casa, era un giorno
feriale perciò prima o poi sarebbe uscita... O rientrata
tornando
dalla scuola. La vide, sullo scooter del fratello. Keiko si tolse il
casco e lo consegnò a lui. Takeshi era la prima volta che
vedeva il
giovane dal vivo: non sembrava il ragazzo affettuoso di cui gli aveva
parlato lei, ma gli sembrava molto più freddo di quanto gli
era
stato descritto da Keiko quando diceva che a lui piaceva farsi una
propria vita.
Keiko
salì i gradini di casa con passo lento e stanco. Lui
urlò qualcosa
e lei senza voltarsi alzò la mano in segno di saluto (o di
una
sfinita resa?), poi suonò alla porta e una figura maschile
che
Takeshi intravide di sfuggita le aprì. Dopo essersi
assicurato che
Keiko fosse in casa il fratello rimise in moto lo scooter e
partì.
Takeshi volse lo sguardo altrove per non farsi notare.
Tre
giorni dopo, mentre tornava a casa dall'Università due
ragazzi
robusti mai visti prima lo sorpresero alle spalle e lo trascinarono
in un vicolo deserto dove lo spinsero a terra prima di prenderlo a
calci e pugni, lui provò a difendersi, ma era in netto
svantaggio
fisico perciò non gli restò che cercare di
proteggersi il volto.
Dopo interminabili minuti di violenza in cui Takeshi subì le
percosse senza capirne il motivo, i due smisero di colpirlo al
seguito di un paio di schiocchi delle dita da parte di una terza
figura, più alta e più minuta. La vista era
offuscata dal sangue,
ma anche se ci avesse visto benissimo non avrebbe saputo dare una
fisionomia al volto nascosto dal cappuccio della felpa grigia. Tre
calci ben assestati tra le gambe e uno dei due ragazzi che l'avevano
picchiato gli ringhiò: -Ti andrà molto peggio se
ti avvicinerai
ancora ai Sakai.- Mentre quello si allontanò il secondo
ragazzo
prese il suo posto, gli diede un altro calcio ai testicoli, svelando
un sorriso arcigno al gemito di dolore che lasciò le labbra
di
Takeshi. Uno sputo nella sua direzione e poi si unì agli
altri due
ragazzi, lasciandolo disteso al suolo, solo, dolorante e con il
sapore ferruginoso del sangue che usciva copioso dal labbro rotto.
Sotto
pressione della madre Takeshi denunciò i fatti alla polizia
che nel
giro di qualche settimana, riuscì a individuare i due
ragazzi che lo
colpirono. Due teppisti che da anni uscivano e rientravano nei
riformatori per spaccio e violenza. Non vennero fatte invece ricerche
approfondite sul terzo ragazzo che comunque non prese parte alla
rissa ai danni di Takeshi. Da parte sua, egli non volle forzare le
cose. Che fosse il fratello di Keiko o qualcuno a cui il ragazzo si
era rivolto per dargli quella lezione non era importante. Era anzi
già una fortuna che i due ragazzi non dissero nulla riguardo
all'ultima minaccia fattagli prima di sparire. Era evidente che se
avevano taciuto lo avevano fatto per proteggere quella sorta del loro
“capo”, ma da quel silenzio ne trasse vantaggio
pure lui. Se la
polizia avesse saputo che al termine del pestaggio gli era stato
intimato di lasciare stare Keiko e la sua famiglia gli avrebbe fatto
delle domande, la verità sarebbe venuta a galla e lui
sarebbe finito
in carcere, forse condannato all'impiccagione se fosse stato
dichiarato colpevole di pedofilia. Meglio quindi incassare e lasciare
perdere.
I danni
riportati per fortuna non lasciarono segni che avrebbero potuto
minare la sua salute o il suo aspetto fisico (fondamentale per lui
che voleva sfondare nel mondo dello spettacolo), ma gli fecero capire
che in qualche modo avrebbe dovuto andare avanti. Takeshi non voleva
morire, ma anche senza l'amara punizione dei due tipi che l'avevano
picchiato a sangue non avrebbe mai potuto rintracciare Keiko: avendo
vissuto la loro relazione segretamente non aveva alcun aggancio che
lo potesse ricondurre a lei che nel frattempo si era sicuramente
già
trasferita.
***
***
***
Quello
fu l'amore della sua vita. Ebbe altre storie, un paio anche
importanti (con una delle due ragazze aveva anche convissuto per
quattro anni), ma se paragonate a quella avuta con Keiko non poteva
nemmeno definirle vere storie d'amore. Forse fu proprio il suo
continuare a paragonare le altre a lei che portò alla
rottura di
tutte le storie successive. Senza Keiko si sentiva un sacco vuoto.
Incompleto e stupido. La sua vita era vuota senza quella ragazza e la
sua allegria, la sua spensieratezza giovanile per certi aspetti e per
altri la sua maturità non comune per una ragazzina della sua
età.
Chi si sarebbe approfittato della sua giovinezza e della sua
ingenuità?
Si
sentiva uno stupido perchè aveva creduto in quell'amore. Ci
aveva
investito non tutto, ma tanto e dopo un anno che stavano insieme
credeva che sarebbe stato per sempre. Aveva seriamente progettato
quella fuga con lei, non era una presa in giro o l'idea del momento.
Invece era stato lui ad essere stato preso in giro da una ragazzina
con dieci anni in meno!! Ma nonostante la rabbia che provava quando
pensava a come si era fatto trattare da lei e il tentativo di andare
avanti, ogni mattina prendeva il suo rasoio per radersi la barba.
Ogni tanto si premurava di utilizzare un paio di forbici per spuntare
alcuni peli dei suoi baffi che stavano crescendo troppo. Erano nati
da uno scherzo e dalla richiesta di una persona che non vedeva da
anni e forse era davvero riuscita a dimenticarsi di lui, ma Takeshi
non aveva mai avuto il coraggio di tornare a radersi completamente i
baffi. Erano ormai l'unica cosa che gli restava di lei: un consiglio
detto in un pomeriggio passato di nascosto.
Alla
fine un giorno li tagliò, ma si era ormai talmente abituato
ad
averli che poi li rifece ricrescere.
***
***
***
Tre anni
dopo di nuovo al bar “Sakamoto Cafe“ con la nuova
fidanzata, più giovane
di lui di due anni, vide una delle amiche di Keiko. Era quella
più
perspicace, quella che gli aveva dato, senza mezzi termini, del
pedofilo maniaco. Era cambiata molto, ma la fisionomia del viso era
assolutamente la sua. Domandò scusa alla sua ragazza e si
avviò da
lei. Lei lo vide non appena il cameriere si allontanò dopo
aver
preso l'ordine per lei e il suo fidanzato.
-Ciao-
esordì Takeshi senza badare al ragazzino e alle
formalità. Lei non
rispose, così la incalzò a rivolgergli la parola:
-Ti ricordi di
me, vero?
-Certo
che mi ricordo...- rispose lei fra i denti.
-Non
voglio disturbare, voglio solo sapere se sta bene Keiko.- una fitta
al cuore nel dire quel nome ad alta voce. Lo aveva detto tante volte,
rivolgendosi al suo amore perduto quando ancora credevano di poter
vivere per sempre il sentimento che li legava.
-Ancora
con Keiko, questo maniaco qua??
-Non
sono un maniaco, voglio sapere soltanto se sta bene.
-Keiko?
Ma Keiko non è la tua amica che ha avuto un figlio due anni
fa?-
s'intromise il ragazzo diciottenne che non conosceva da molto l'amica
di Keiko e quindi conosceva anche poco le sue vecchie amicizie.
Takeshi rimase completamente spiazzato all'affermazione del giovane.
Un pugno nella pancia sarebbe stato sicuramente meno doloroso e,
sapendo perfettamente cosa voleva dire essere presi a pugni, non era
certo un modo di dire. -Sì, è esatto- gli rispose
la ragazzina,
rivolgendo poi lo sguardo su Takeshi. -Lei non vive più in
città,
come tu ben saprai, ma ogni tanto ci sentiamo ancora. Tu le hai
creato solo dei casini e non posso nemmeno dire che mi dispiace
riferire che mi ha detto che nel frattempo ha avuto un figlio.-
quello che gli rivolse fu uno dei sorrisi più cinici che
egli vide
in vita sua.
Per
Takeshi fu un dolorosissimo smacco! Erano passati tre anni, ma lui
continuava a sentire qualcosa di sincero quando pensava a Keiko e fu
peggio che ricevere un calcio nello stomaco sapere che aveva avuto un
bambino, da un uomo, o molto più probabilmente da un
ragazzo, che
non era lui.
Non
domandò del bambino, ne' del padre e si
allontanò. A che cosa
sarebbe servito chiedere se lei si era trasferita e lui non aveva mai
conosciuto, neanche di sfuggita, i nuovi amici della compagnia di
Keiko e non poteva sapere chi era il padre del bambino? Conoscere il
ragazzo che l'aveva messa incinta avrebbe anzi solo peggiorato le
cose e sapere che qualunque cosa sarebbe successa lei sarebbe sempre
stata legata al nuovo fidanzato proprio da quel figlio che aveva
avuto con lui... Era meglio lasciar perdere e non chiedere altro. Non
sarebbe riuscito a vederla a giocare all'allegra famigliola con
qualcuno che non era lui. Lasciò da soli i due ragazzi e
sconsolato
tornò al suo posto. Perchè doveva informarsi del
figlio di Keiko,
frutto dell'unione della ragazza con un altro ragazzo? Mentre lui
ogni tanto ancora la pensava, chiedendosi come era diventa nel
frattempo e se anche lei ogni tanto lo pensava, lei l'aveva
dimenticato così facilmente... Non riusciva a crederci e
l'idea che
Keiko, tanto giovane, avesse formato così in fretta una
famiglia con
un altro lo tormentò per tantissimo tempo. Lunghi mesi che
determinarono in seguito la rottura del fidanzamento con la ragazza
di quel periodo. Non l'aveva mai amata e dopo la notizia shock di
Keiko si rese conto che quella fidanzata per lui era solo la ruota
scorta, non l'avrebbe mai amata. Per questo decise di lasciarla.
|
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Capitolo 7 *** Epilogo ***
Ecco a
voi, in ritardo come sempre, il capitolo conclusivo di questa breve storiella.
Ringrazio
tutti per avere letto la fanfiction, seppur silenziosi (questo
è un fandom veramente poco attivo da parte dei lettori XD),
e ringrazio chi ha inserito la storia tra le seguite.
Buon
proseguimento a tutti.
Epilogo.
Ora
Takeshi aveva capito tutto; aveva capito il motivo per cui Keiko
l'aveva lasciato incolpandolo di tutti i guai che stava attraversando
in quel periodo senza dirgli nulla; capì che il bambino in
realtà
era una bambina; capì che la figlia di Keiko era in
realtà il
frutto del loro amore; capì che Keiko non la crebbe mai
insieme ad
un altro ragazzo; capì perchè quando vide Sana
per la prima volta
fu mosso da un senso protettivo che provò solo con Keiko
prima di
allora; capì perchè quando la vide per la prima
volta a “Evviva
l'Allegria” rimase scosso nel vedere quanto simile fosse al
suo
unico amore quella bambina; capì perchè lui e
Sana erano così
simili, solari, giocherelloni allo stesso modo e con il sogno di
diventare entrambi grandi attori.
-Mia
figlia...
Non si
domandò perchè Keiko l'avesse abbandonata; se
Sana sapesse chi
fosse la sua madre naturale e che passato aveva avuto. L'importante
era sapere che Sana fosse in buona salute e felice. E lei era amata
da tante persone ed era sempre felice, mentre a lui non sarebbe
rimasto molto tempo per vivere. Non importava quanto scellerata
potesse essere la sua scelta, ma si alzò dal letto e si
diresse in
bagno per lavarsi. Avrebbe convinto il regista a farsi riprendere e
avrebbe realizzato il suo ultimo sogno. Sì,
perchè il destino era
stato crudele con lui: ora che stava finalmente raggiungendo il
successo non avrebbe mai potuto assaporarne la gioia. Si
vestì e
uscì dalla stanza a passo svelto. “E poi
che sarà mai il
successo? La felicità di un padre che ha appena scoperto di
avere
una figlia, non ha nulla che tenga il confronto... Sana avrei voluto
essere un vero padre per te, non solo il tuo grande amico. Avrei
voluto vederti crescere, piangere e ridere con me e la tua vera
mamma. Ma il destino ha voluto diversamente e Keiko ha lasciato prima
me senza dirmi nulla e poi ha abbandonato te”.
Almeno con Sana,
però, lo stesso destino che si stava ora facendo beffe di
lui, era
stato molto più clemente: condusse la signora Kurata al
parco nel
quale era stata abbandonata permettendole così di portarla
con se' e
di garantire quindi una vita migliore di quella che avrebbero potuto
offrirle un attore in erba e una ragazzina delle medie di dodici anni
prima. Cercava di trovare conforto nel pensiero di aver avuto la
fortuna di conoscere la bimba e di essere diventati subito ottimi
amici, ma mentre pensava a ciò un nodo gli si
formò in gola e delle
lacrime, che si asciugò subito, per vedere bene la strada
mentre
guidava, scesero lungo il volto. Le probabilità che potesse
incontrare la figlia che neanche sapeva di aver avuto erano
scarsissime in una città grande come Tokyo, ma lui aveva
avuto
l'immensa fortuna di poterla conoscere, sebbene questo accadde a
pochi mesi prima da quella che sarebbe stata la sua prematura
scomparsa.
Arrivò
giusto in tempo per poter far cambiare nuovamente la trama del
copione. “Costi
anche di morire, Sana, ma io ti abbraccerò almeno una volta
sola
come un padre, perché io sono davvero tuo
papà”.
Visse lo
sceneggiato dell'ultima puntata con un'intensità mai provata
prima
di allora. In quella puntata non recitò, ma visse in prima
persona
tutti gli avvenimenti rappresentati, le emozioni e la disperazione
della paura di perdere la figlia. Sentì la piccola Sana
chiamarlo
papà, stringendosi forte a lui e impaurita cercare la sua
protezione, anche se solo per finta.
Morì
così: in uno stretto abbraccio con quella creatura che era
sangue
del suo sangue. Con quell'ultima frase a percorrergli la mente. Tanto
veloce quanto grande fu il salto compiuto per salvare Sana. “Ora
almeno posso andarmene sapendo di aver abbracciato la mia bambina...
la mia bambina”.
-Sana...
sono felice... di averti incontrata.- pronunciò infine.
E mentre
avveniva l'impatto con il terreno, prima di perdere ogni senso
causato dalla mancanza del battito del suo cuore malato
riuscì a
pensare: “Non ci sono parole per definire quello
che sei per me
e che sento per te, se non che ti ho voluto bene dal primo momento in
cui ti ho vista perchè tu sei solo mia figlia”.
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