˗ˏˋ 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭'𝘪𝘥𝘪𝘰𝘵𝘢 𝘴𝘱𝘢𝘨𝘯𝘰𝘭𝘰 ˎ

di MooseLostHisShoe
(/viewuser.php?uid=864204)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Buio e silenzio.
Non riusciva a sentire e vedere niente, ma provava ugualmente a guardarsi intorno e a tendere le orecchie.
Lovino si agitò e non poco; non sopportava il buio.
Passò qualche secondo, minuto o forse persino qualche ora, il ragazzo non riuscì a capirlo, quando finalmente udì un suono.
Iniziò a correre nella sua direzione.
Era un suono molto ovattato, ma riusciva chiaramente a distinguere una voce, però non riconoscendola.
Corse e corse a vuoto, finché una frase non gli rimbombò nelle orecchie, come se qualcuno l'avesse registrata e avesse messo appositamente due casse accanto a lui, una per orecchio:
«Stammi lontano, frocio!» 
Lovino sbarrò gli occhi e sul suo viso si dipinse un'espressione a dir poco terrorizzata, mentre una lacrima solitaria scendeva velocemente dalla sua guancia.
«Io non...» mormorò, senza rendersi conto che non c'era nessuno che avrebbe potuto ascoltarlo.
Poi, attorno a lui, sembrarono apparire altre voci, stavolta forti e chiare.
«Vargas? La ragazza carina o quello ricchione?»
«Ho sentito che è stato sia con donne che con uomini...» 
«Dici che è contagioso? Una volta ci ho parlato» 
Lovino si tappò le orecchie con entrambe le mani e si lasciò cadere sul pavimento, in ginocchio, singhiozzando.
«Basta-» strinse i denti «Lasciatemi in pace, cazzo!» 
Strinse anche gli occhi, volendo evitare a tutti i costi le immagini che si stavano presentando davanti ai suoi occhi come una pellicola, contro la sua volontà: un ragazzo dai capelli rossi, più alto di lui, lo spintonava via, urlandogli gli insulti peggiori, come se fosse il peggior essere umano esistente sulla faccia della terra; Lovino che, inevitabilmente, piangeva.
E cominciava ad urlare.
Ma ad un certo punto sentì una scossa improvvisa, come un forte terremoto. 
Tremò così tanto da ritrovarsi con gli occhi spalancati e la testa alzata, ma aveva colpito qualcosa con essa.
Subito dopo, un'imprecazione, forte e chiara.
«Porca di quella puttana, Lovino! Che cazzo! Cosa ti ho fatto di male per essere preso a testate?!» esclamò un ragazzo albino e dal forte accento tedesco, mentre teneva la testa inclinata all'indietro, con una mano premuta sul naso sanguinante.
L'italiano so guardò intorno spaesato per qualche secondo: oh, giusto. Era un sogno, allora; o, per meglio dire, un incubo sul suo passato un po' turbolento.
«Ugh-» sospirò Lovino, andandosi a stropicciare gli occhi cervoni, sentendoli un po' umidi.
Ma guarda, ho persino pianto.
Schioccò la lingua contro il palato, portando successivamente la sua attenzione su Gilbert, il ragazzo che aveva appena preso involontariamente a testate -non che se ne fosse pentito, a volte se le meritava-.
«Per quanto ho dormito?» chiese dopo, alzandosi dal divanetto del bar, anche se ormai era chiuso da un pezzo: era diventata una sua abitudine rimanere lì dopo la chiusura, di solito per usufruire del Wi-Fi del locale, con il permesso del suo datore di lavoro, ovviamente. 
Lovino era uno studente universitario, per cui aveva bisogno di studiare e, per questo, utilizzava la rete del bar.
«Non saprei, una mezz'oretta...?» rispose l'albino, premendosi il fazzoletto sul naso, diventato ormai rosso come un pomodoro maturo. 
«Pulisciti, sembra che tu abbia affondato la faccia nel ketchup» disse Lovino, schifato. Subito dopo, senza perdere ulteriore tempo, chiuse il libro che stava cercando di studiare, ma senza molti risultati.
A scuola non era mai stato una cima, non sapeva nemmeno perché avesse deciso di fare l'università. 
Abitava in America da ormai un paio d'anni. Si era trasferito nella caotica New York a ventitré anni, spinto da suo nonno Romolo e sua sorella Felicia, che avevano insistito tanto per mandarlo lì, anche se lui avrebbe voluto trasferirsi in una grande città italiana, tipo Roma o Firenze.
Ma non si lamentava, anche se non era un grande fan dell'America in generale.
Infatti, appena arrivato negli Stati Uniti, aveva iniziato a cercare un ristorante italiano vicino il suo appartamento, scoprendo tristemente che non ve n'erano nei dintorni. Così, aveva deciso di accontentarsi di un bar. 
«Sì, sì, adesso vado. Finisco io qui, tu sparisci» ridacchiò infine il tedesco, dando un'amichevole pacca sulla spalla dell'italiano. 
Gilbert era tedesco e abitava in America da più di dieci anni. L'aveva conosciuto sul posto di lavoro e poi aveva scoperto di essere suo vicino di casa. 
All'inizio era fastidioso e invadente come pochi, trattava Lovino come se lo conoscesse da tutta la vita; questa cosa all'italiano non dava del tutto fastidio, ma aveva imparato a farci l'abitudine col tempo, più che altro perché avrebbe dovuto ritrovarselo sia al lavoro, sia accanto casa sua, quindi tanto valeva farselo amico.
Con una mano afferrò la borsa marrone abbandonata sul tavolo di legno e ci infilò il libro, ancora mezzo addormentato. Poi, guardò l'orologio: le ventidue e trenta.
Sì, loro chiudevano presto, perché in quella zona, dopo una certa ora, evaporava ogni forma di vita.
«'notte» mormorò l'italiano.
«Buonanotte, Lovi!» rispose il tedesco.

~ ~ ~

Dopo aver passato una notte più o meno insonne, poiché continuava a svegliarsi ogni tre quarti d'ora, si presentò al lavoro il mattino dopo con due evidenti occhiaie sotto gli occhi. 
Notò la serranda alzata, per cui qualcuno aveva aperto prima di lui: Emma.
La ragazza in questione, che non appena lo vide, gli riservò un sorriso a trentadue denti che si spense quando posò lo sguardo sulle occhiaie dell'italiano, si avvicinò a Lovino facendo ondeggiare i capelli biondi.
Lovino si sentiva già meglio solo guardandola.
«Lovi! Sembri uno zombie, non hai dormito?» chiese appunto la bionda, lanciandogli un'occhiata di rimprovero.
«No no, tranquilla, sto benissimo! Ho solo studiato» rispose prontamente l'italiano, poiché stava davvero bene, anche se in minima parte.
Quindi era una mezza bugia, poteva permetterselo ogni tanto, no?
«Come no, siediti, forza» sollevò un sopracciglio con scetticismo la ragazza, prendendo Lovino per mano e trascinandolo al bancone già pulito e pronto per essere usato una volta arrivati i clienti.
Piazzò il ragazzo su uno degli sgabelli di legno e con l'imbottitura rossa, scompigliandogli i capelli castani subito dopo.
«Ci ho messo un quarto d'ora per aggiustarli, Emma» sospirò l'italiano, cercando di rimetterli a posto, con un po' di difficoltà, soprattutto per quel fastidioso ciuffo in alto a destra che se ne andava per i fatti suoi.
La ragazza ridacchiò e basta, non rispondendogli. Dopo pochi minuti, Lovino di ritrovò sotto il naso un caffè e un cornetto al cioccolato dall'odore invitante.
Questa era una cosa che succedeva piuttosto spesso, ora che l'italiano ci faceva caso. Emma era sempre stata così, da quando l'aveva incontrata per la prima volta: dolce, gentile, dallo spiccato senso dell'umorismo e sempre pronta ad aiutare il prossimo, che si trattasse di un suo amico o un perfetto sconosciuto non aveva importanza.
Queste caratteristiche avevano colpito Lovino come uno schiaffo in pieno volto: per non girarci attorno, si era preso una gigantesca, colossale cotta per la ragazza belga. I due avevano iniziato ad uscire insieme da un anno a questa parte; Lovino aveva conosciuto il fratello maggiore della bionda, Tim: biondo e dagli occhi verdi e affilati, che lo avevano letteralmente trafitto da parte a parte nel momento in cui aveva detto di uscire con sua sorella, lo superava di una decina di centimetri in altezza e, come se non bastasse, sembrava piuttosto ben piazzato in fatto di muscoli.
Quello sguardo era un chiarissimo avvertimento: ferisci mia sorella, ed io ti spezzo.
Lovino l'aveva visto una volta sola e gli era bastata, insomma, nonostante Emma avesse detto più volte che suo fratello non gli avrebbe torto un capello.
Emma, invece, aveva conosciuto Felicia e Romolo, parenti di Lovino. I due abitavano in Italia, a Napoli per essere precisi, e ogni tanto andavano a trovare il ragazzo a New York, facendogli compagnia durante le feste e aggiornandolo sulle ultime novità. 
Emma era stata accolta immediatamente dai due, che l'avevano presa subito in simpatia: insomma, alla fine, a chi è che non piaceva Emma? Quella ragazza conquistava il cuore di ogni persona che incontrava con un solo e semplice sguardo.
Lovino, perso nei suoi pensieri, fissava la tazza ormai vuota davanti a sé. 
«Lovi!» lo richiamò la biondina a cui pensava insistentemente tutto il giorno, attirando la sua attenzione. Lovino alzò subito il capo, biascicando un «Eh? Cosa?»
«Ti eri messo a fissare il vuoto!» ridacchiò Emma «Vai a cambiarti, stanno già arrivando dei clienti»
E detto questo, il castano non perse tempo. Le sorrise e, non appena si fu cambiato, tornò dietro il bancone, stampando un dolce bacio del buongiorno sulle labbra rosee della belga.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Nel momento in cui il giovane italiano servì l'ultima tazza di caffè della serata, chiuse il bar e tirò un sospiro di sollievo.
Era stanco, davvero stanco. Fare il barista lo sfiniva a volte, se non fosse stato per Emma o Gilbert, che avevano il turno con lui, di solito, probabilmente sarebbe crollato sul pavimento.
«Abbiamo finito?» chiese Gilbert, passando lo strofinaccio sul bancone, pulendolo da briciole, macchie e impronte lasciate dai clienti della giornata.
«Sì! Allora, ci cambiamo e andiamo» confermò la belga con un sorriso, più felice del solito: quella sera sarebbero usciti tutti insieme per mangiare una pizza, come un gruppo di semplici amici.
«D'accordo, avviso Francis» disse infine il tedesco, prendendo il telefono per avvisare il ragazzo in questione.
Ma Lovino, solo nel sentire il nome di quel tipo, rabbrividì. Non gli aveva dato una buona impressione, soprattutto durante il loro primo incontro, poiché si era ubriacato e ci aveva provato sia con lui, che con Emma.
Al solo pensiero, la sua espressione si tramutò in puro disgusto e la cosa fece ridere Gilbert, che aveva appena finito di parlare al telefono. L'albino, neanche a dirlo, aveva capito perfettamente a quale persona stesse pensando il suo collega e vicino di casa, per cui si precipitò da lui, cogliendolo di sorpresa con una sonora pacca sulla spalla.
«Eddai Lovino, lo sai che lui non è davvero così» esclamò subito dopo, scuotendolo un pochino.
Lovino sembrò quasi ringhiare all'affermazione del tedesco «Lasciami, non credo che ci sarò stasera-»
«Prego?» 
Lovino spalancò gli occhi. La voce di Emma gli era giunta alle orecchie alla velocità della luce e il viso dolce della ragazza, si era fatto improvvisamente piuttosto inquietante.
«Tu verrai con noi! Non esiste, devi conoscere il mio migliore amico!» esclamò subito dopo la biondina, afferrando la mano di Lovino.
«Ma io-»
«Niente ma, voglio farvi conoscere» continuò imperterrita la ragazza, puntando gli occhi verdi e grandi in quelli cervoni del suo ragazzo «Me l'hai promesso, Lovi...» 
L'italiano tirò un sospiro silenzioso, nel mentre che si malediva per la sua incapacità nel resistere agli occhioni da cane bastonato che gli rifilava Emma ogni volta che voleva per forza qualcosa.
«Dai Lovi, guarda che è un ragazzo simpatico e divertente, sono sicuro che andrete d'accordo» si unì Gilbert ad un certo punto, guadagnandosi un'occhiataccia dall'italiano, che non aveva chiesto la sua opinione in merito.
Dopodiché, posò lo sguardo sulla ragazza e annuì, aggiungendo «Solo perché me lo chiedi tu» 
Passò circa un quarto d'ora e il gruppo di tre divenne un gruppo di quattro, poiché si aggiunse il famoso Francis Bonnefoy.
L'uomo, dalla lunga chioma bionda e ondulata, salutò Gilbert con un caloroso abbraccio fraterno, dato che non si vedevano da mesi, poiché il francese era tornato in terra natale per sistemare delle questioni.
«Gil!» esclamò il biondo, dando delle pacche sulla schiena del suo migliore amico.
«Mi sei mancato, Francis!»
A me invece no.
Pensò Lovino mentre assottigliava gli occhi, infastidito dalla presenza del francese. Emma gli strinse dolcemente la mano, un po' divertita da tutta quella situazione. La belga, a differenza del suo ragazzo, aveva capito l'equivoco risalente all'anno prima, quando il francese ci aveva provato con la coppia e aveva deciso di ricominciare tutto da capo con il biondo.
Infondo era un brav'uomo, dalle buone maniere e sempre gentile con tutti. Aveva anche ottimi gusti in fatto di cucina e di stile, per cui lui ed Emma andavano molto d'accordo.
L'italiano alzò gli occhi al cielo quando Francis abbracciò anche Emma, con molta meno enfasi; infatti fu un abbraccio molto amichevole e delicato, segno che il biondo non avrebbe tirato troppo la corda, poiché accanto a lui c'era un mastino pronto a morderlo nel caso avesse fatto qualcosa di sbagliato.
Quel mastino era Lovino, ovviamente.
«Bentornato, Francis! Come stai?» chiese gentilmente la ragazza quando si staccò dall'abbraccio con il francese, che rispose subito.
«Benissimo! Finalmente mi trasferisco qui a New York, anche se Parigi mi mancherà...» terminò la frase con un po' di amarezza, alzando le spalle.
«Ti capisco perfettamente, ma ci farai l'abitudine, non preoccuparti» cercò di rassicurarlo Emma, posando una mano sulla spalla del francese, il quale le sorrise con dolcezza, ringraziandola mentalmente.
«Ragazzi, non so voi, ma io ho fame. Quando arriva Tonio?» intervenne Gilbert, interrompendo il momento nostalgico tra i due.
«Oh, ha detto che arriva tra una mezz'oretta. Credo che il treno abbia fatto ritardo» spiegò Emma, con un'espressione pensierosa.
«Almeno stavolta è riuscito a prendere l'aereo» sbuffò poi Lovino, scuotendo il capo e iniziando ad avviarsi verso la pizzeria, rigorosamente italiana.
Avrebbe tanto voluto lavorare lì, ma a quanto pare la paga non era un gran che, quindi si era accontentato del bar.
«Non dire così! Può succedere di perdere un volo, Lovi. Anche tu l'hai perso una volta» lo rimproverò la sua ragazza, lanciandogli un'occhiata poco amichevole.
Okay, aveva ragione. Magari avrebbe fatto meglio a starsene in silenzio. 
Sì, aveva deciso: avrebbe salutato il ragazzo che sarebbe arrivato successivamente, sì sarebbe presentato e poi avrebbe dedicato la sua attenzione alla sua pizza e alla sua ragazza, ignorando totalmente il nuovo arrivato. Niente di più, niente di meno.
Ci misero una ventina di minuti per arrivare in pizzeria, più che altro perché andavano a passo di bradipo per colpa di Emma e Francis, che si fermavano a guardare le vetrine dei negozi.
Una volta giunti in pizzeria, si diressero verso il tavolo prenotato e Lovino si sedette accanto al muro, dando per scontato che la sua ragazza si sarebbe seduta accanto a lui: si sbagliava di grosso.
Emma andò a sedersi si un posto più in là, lasciando uno spazio vuoto tra lei e Lovino; aveva già calcolato tutto. 
«È ora, dovrebbe essere qui a momenti» osservò il francese guardando l'orologio da polso che aveva, per poi guardare verso l'entrata della pizzeria.
«Di già?» chiese perplesso Lovino: era già passata mezz'ora?!
Francis e Gilbert non fecero in tempo a dire niente, poiché si accorsero della chioma castana del ragazzo in questione che veniva verso di loro.
Lovino si voltò con il capo, posando il braccio sullo schienale della sedia, per osservare il migliore amico della sua ragazza: alto, abbronzato, dai capelli ricci e castani e dagli occhi verdi. Si portava dietro un borsone nero e il ragazzo si chiese perché non l'avesse lasciato in hotel o a casa, se ne aveva una.
Emma fu velocissima; non fece aprire bocca al ragazzo e si buttò letteralmente su di lui, accogliendolo in un abbraccio caloroso, saltandogli in braccio. 
In pizzeria si udì subito la risata cristallina dello spagnolo che, mentre abbracciava Emma, rischiava al contempo di cadere all'indietro.
«Emma, Emma! Sto cadendo, ti prego continenti!» rise il ragazzo tenendosi stretto la belga, intenerito.
«Scusami! Mi sei mancato da morire, Tonio!» esclamò la bionda, dandogli anche un bacio sulla guancia, prima di staccarsi. 
«Perdonatemi, posso salutare anch'io?» ridacchiò Gilbert mentre si avvicinava, trascinando anche lui lo spagnolo in un abbraccio vigoroso, contento di vederlo dopo tanto tempo.
A loro si unì Francis, non volendo mettersi a fare la fila per ricevere un dannato abbraccio. 
«Ragazzi, calmatevi, mi state facendo soffocare con tutti questi abbracci-» disse infine lo spagnolo prima di staccarsi dai suoi amici, dando delle pacche sulle spalle ad entrambi, i quali risero e si scusarono nel caso avessero usato troppa forza. 
Lovino, che aveva assistito a tutta la scena, se ne stava nel suo angolino, sentendosi decisamente di troppo. Infondo quello era un incontro tra amici di vecchia data, e il ragazzo tirò un sospiro.
Voglio andare a casa.
Ma con questo suo sbuffare, attirò immediatamente l'attenzione del ragazzo spagnolo, che si avvicinò a lui.
«Tu devi essere Lovino, dico bene?» disse con un sorriso a trentadue denti, porgendogli gentilmente la mano.
L'italiano, appena udì la voce squillante dello spagnolo, si voltò un po' timoroso. Porse la mano al ragazzo, annuendo appena e facendosi più piccolo.
«Sì, sono io...» disse abbassando un po' la voce.
«Piacere di conoscerti!» esclamò il ragazzo «Io sono Antonio» gli sorrise dolcemente, ignorando del tutto la timidezza dell'italiano.
Lovino si bloccò per un istante, quando un pensiero, piccolo e insignificante, fece capolino nella sua testa: quello era il sorriso più bello e luminoso che avesse mai visto in vita sua.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo3 ***


La serata stava procedendo lentamente.
Molto lentamente, almeno nella testa di Lovino.
Emma, ragazza intelligente, aveva previsto che il suo fidanzato si sarebbe probabilmente isolato dal resto del gruppo per cui, a sua insaputa, aveva deciso di lasciare un posto vuoto tra di loro, posto che sarebbe andato ad Antonio.
E infatti, era andato tutto come previsto dalla biondina, che se la rideva allegramente sotto i baffi.
Voleva costringere Lovino a socializzare: in effetti, era un tipo piuttosto introverso, soprattutto con i ragazzi, mentre Antonio era tutto il contrario. Parlava con tutti almeno una volta, era curioso di sapere qualcosa su di loro e Lovino non era certo un'eccezione.
«Da quanto tempo abiti in America?» domandò lo spagnolo, mentre finiva l'ultimo trancio di pizza nel suo piatto.
«Due anni» rispose seccamente Lovino, che invece aveva finito la sua da un pezzo. Non stava davvero ascoltando ciò che diceva Antonio, e non si sentiva nemmeno in colpa. Non del tutto, almeno. 
«Fantastico! Io abito qui da tre anni, invece. Emma ti avrà detto che sono spagnolo, sì? Sono dovuto tornare dalla mia famiglia per le feste di Natale, altrimenti avrebbero scatenato un putiferio! Dicono che le feste si passano sempre in famiglia, ma io non sono del tutto d'accordo, insomma, voglio passare del tempo con chi dico io-»
Lovino fissava il suo piatto. 
Insistentemente.
Antonio stava ancora parlando.
Sbuffò silenziosamente, non volendosi far sentire, e pensò semplicemente: quando cazzo finisce di parlare 'sto qua?
«Tonio» intervenne poi Emma, attirando l'attenzione dello spagnolo e interrompendo la sua parlantina, ricevendo mentalmente un enorme grazie da Lovino, che tirò un sospiro di sollievo.
«Sì?»
«Hai risolto con il tuo appartamento, vero?» 
L'espressione di Antonio mutò velocemente e lì, tutti capirono che qualcosa non andava.
«Beh, ecco...» iniziò lo spagnolo, accennando una risatina nervosa «P-potrei essere stato... Sfrattato-»
Si sollevò un coro di 'EH?!', attirando l'attenzione dei clienti.
«Volete abbassare quella cazzo di voce?!» mormorò Lovino a denti stretti, rimproverando gli altri.
«Scusa, sfrattato? Perché mai? Non avevi detto di aver spiegato la situazione al quel tipo?» domandò Francis, cercando di capirne di più, così come Lovino, che ascoltava dal suo angolino.
«Sì, ma non credo che gliene importi qualcosa» ridacchiò tristemente Antonio.
«Hai un posto dove stare adesso?» chiese Emma con preoccupazione.
«A-andrò in hotel, suppongo» 
«Scordatelo. Francis, Gilbert, potreste ospitarlo per un po'?»
I due diretti interessati si guardarono, ma poi scossero il capo all'unisono.
«Mi dispiace...» mormorò Francis, desolato. 
«Da me c'è mio fratello minore, mi dispiace. È arrivato due giorni fa»
«Allora perché non è qui con noi stasera?»
«Ci ho provato a farlo venire qui, ma ha detto che aveva del lavoro arretrato da sbrigare» sospirò il tedesco, alzando le spalle in segno di resa.
«E tu, Emma...?» disse Gilbert.
«Lo sapete com'è mio fratello. Non fa entrare in casa nemmeno Lovino, figurarsi se fa dormire Antonio almeno sul divano» 
Dopo aver detto ciò, lo sguardo di Emma cadde automaticamente sulla figura di Lovino: le venne un'idea. Si alzò, prese il suo ragazzo per un braccio e lo trascinò un po' lontano dal tavolo, per parlarci in privato.
«C-cosa? Che c'è?» 
«Lovi, che te ne pare di Tonio? Ti piace? È simpatico?» iniziò a fare una domanda dopo l'altra, sperando in una risposta positiva.
«I-io-» Lovino si bloccò un momento. Normalmente avrebbe detto che non gliene fregava assolutamente nulla di lui, poiché non l'aveva nemmeno ascoltato a dire la verità, ma qui la situazione cambiava drasticamente: era il migliore amico di Emma. Non voleva ferire i sentimenti della sua ragazza, si sarebbe sentito tremendamente in colpa.
«Credo che sia okay... Perché?» rispose infine l'italiano, un po' perplesso. Emma, nel sentirlo, sorrise a trentadue denti e prese le mani del suo fidanzato trae sue.
«Fantastico! Allora puoi ospitarlo per un po' a casa tua? Sarebbe un problema?» 
Lovino spalancò gli occhi e la saliva gli andò quasi traverso. Si schiarì la gola due volte.
«S-scusa?»
«Hai un divano letto a due piazze, può stare da te!»
«Non credo che sia una buona idea-»
«Perché no? Lovi, ti scongiuro, so che non hai idea di chi sia perché l'hai incontrato oggi per la prima volta, ma ti assicuro che è un ragazzo d'oro, non voglio che spenda altri soldi, è messo abbastanza male economicamente...» parlò velocemente e con tanto di gesti, sfoderando ancora una volta i suoi occhioni verdi a cui Lovino non poteva resistere.
Lovino, invece, stette in silenzio, valutando la situazione: Antonio sembrava un bravo ragazzo, tranquillo, un po' logorroico ma questo potevano lavorarci su, alla mano. Non sembrava un tipo troppo fastidioso, ecco.
L'italiano sospirò «È messo così male?»
Emma annuì vigorosamente alla domanda del ragazzo, supplicandolo con lo sguardo.
Lovino conservava sempre quel divano letto per suo nonno e sua sorella, quando andavano a trovarlo nei giorni di festa. Sapeva che se si fossero presentati, un giorno e che se lui avesse spiegato che il loro letto era momentaneamente occupato da qualcun'altro, loro non si sarebbero fatti problemi a dire «Nessun problema, andremo in hotel!»
Per cui, alla fine Lovino rispose «D'accordo, va bene, p-può stare da me» ed Emma, nemmeno il tempo di finire la frase, gli era saltata al collo in un abbraccio di gratitudine improvviso, con un sorriso luminoso stampato sul volto.
«Sapevo di poter contare su di te, sei il migliore!» esclamò la biondina poco dopo, staccandosi dal suo ragazzo. Dopodiché, tirò di nuovo Lovino verso il tavolo e si avvicinò tutta contenta ad Antonio, che li osservava perplesso.
«Problema risolto! Ti ospiterà Lovino!» 
«Cosa? N-ne sei sicura? Cioè, posso?» balbettò Antonio, preoccupato. Spostò gli occhi verdi sull'italiano in questione che, onestamente, non stava facendo i salti di gioia.
«Ho un divano letto, puoi rimanere da me» mormorò il ragazzo, tenendo gli occhi bassi e trovando improvvisamente il pavimento stranamente interessante.
Il viso di Antonio, udite queste ultime parole, si aprì in un sorriso felicissimo.
«Grazie mille! Non darò fastidio, lo giuro! Grazie ancora, Lovinito!»
L'italiano alzò lo sguardo.
Lovi... Lovinito?
Sarebbe stata una lunga serata, quella.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Quella sera stessa, una volta salutato il resto del gruppo, Antonio e Lovino si recarono nell'appartamento di quest'ultimo.
I due salirono nella macchina dell'italiano e il viaggio fu piuttosto silenzioso; Antonio guardava fuori dal finestrino, con un piccolo sorriso innocente e compiaciuto stampato sulle labbra, mentre Lovino guardava annoiato la strada davanti a sé, tirando un sospiro di tanto in tanto.
«Non avevo mai visto questa parte della città» disse Antonio all'improvviso, cercando di iniziare una conversazione con il suo futuro coinquilino, volendo conoscerlo un pochino meglio.
«Non avevi detto di essere qui da tre anni?» rispose l'italiano, lanciandogli un'occhiata con la coda dell'occhio, non realmente interessato a sapere la risposta.
«Sì, ma non so mica a memoria tutta la città!» 
«Giusto...»
Ed eccolo di nuovo, il silenzio imbarazzante ritornò e riempì il piccolo spazio dell'automobile. 
Antonio si schiarì la gola un paio di volte, non sapendo cosa dire.
Quanto l'auto di fermò e i due scesero da essa, Lovino fece segno allo spagnolo di seguirlo; aperto il portone d'ingresso, salirono le scale fino a raggiungere il quinto piano e, una volta prese le chiavi, Lovino aprì la porta e accese le luci.
La prima cosa che Antonio notò, fu l'ordine: era tutto dove avrebbe dovuto essere, sembrava che non ci fosse nemmeno un granello di polvere fuori posto. La cucina e il salotto erano perfettamente puliti ed ordinati: che Lovino fosse un maniaco della pulizia?
«Allora, il bagno è infondo al corridoio. La porta sulla sinistra è la mia camera, accanto a quella c'è il mio studio. La cucina e il salotto li hai visti e qui-» disse, avvicinandosi poi all'unico divano marroncino presente in salotto «È il divano letto. Dormirai qui» terminò con un sospiro, grattandosi la nuca «Domande?»
Antonio scosse il capo «No, tutto chiaro!» 
«Bene. Solo una cosa: non entrare nella mia camera. Chiaro?»
«Sì!»
Poi Lovino aprì il divano e aiutò lo spagnolo a sistemare le lenzuola e le altre coperte, per poi filarsela in camera sua alla velocità della luce.
I due si coricarono poco dopo ma Lovino, come al solito, non riuscì a dormire bene.

* * *

Il giorno dopo, entrambi avevano la giornata libera. 
Antonio, però, si alzò presto come al suo solito, poiché era una persona mattiniera. Quando mise i piedi fuori dal divano letto, rabbrividendo subito dopo per il freddo che ne conseguì, si alzò e si diresse verso la cucina.
Le labbra dello spagnolo si stirarono in un sorrisetto e, subito dopo, si mise all'opera: se c'era qualcosa che Antonio sapeva fare bene, quella era cucinare.
Per cui, appena si avvicinò alla cucina, optò per qualcosa di semplice, come latte e caffè, fette biscottate e marmellata, ovvero ciò che riuscì a trovare.
Lovino aprì gli occhi verso le otto a causa dei rumori provenienti dalla cucina. Il ragazzo, inizialmente, aggrottò le sopracciglia e arricciò il naso mentre sollevava la testa dal suo morbido e profumato cuscino. 
«Ma che cazzo...» mormorò stropicciandosi gli occhi e sbadigliando subito dopo, con confusione. Si alzò velocemente, non curandosi di essere praticamente in mutande, e si avviò  sospettoso verso la fonte di tutti quei fastidiosi rumori che avevano disturbato il suo sonno durante la sua fottutissima giornata libera.
L'italiano si presentò in cucina con i capelli tutti scompigliati e l'aria di uno che non dormiva da tre giorni. Antonio, mentre serviva il pasto, alzò lo sguardo verso il padrone di casa, raggiante come al suo solito.
«Lovinito, buenos días!» sorrise a trentadue denti il ragazzo più grande, quando gli si presentò davanti Lovino, che lo guardava come se non lo avesse mai visto in vita sua.
L'italiano sembrò metterci una decina di secondi per riprendersi e ricordarsi di aver ospitato uno sconosciuto in casa sua. Uno sconosciuto che, per qualche motivo, aveva preparato la colazione.
«Oh» fu tutto ciò che uscì dalle labbra sottili di Lovino, quando realizzò la situazione.
«Perdonami, ho fatto troppo rumore? Avevo intenzione di venire a svegliarti di persona, ma-»
«No no, non mi hai svegliato, m-mi alzo sempre a quest'ora» grandissima cazzata: Lovino si alzava sempre alle sei e trenta circa, se non prima. Ma perché aveva detto una bugia? Probabilmente lo spagnolo si sarebbe sentito solo in colpa, sapendo la verità.
I due, successivamente, fecero colazione insieme, come programmato da Antonio e, una volta terminata, quest ultimo fece una domanda all'italiano.
«Lovi, hai da fare questa mattina?»
Lovino parve pensarci e lanciò quasi in automatico un'occhiata alla porta del suo studio; sembrava quasi che lo stesse chiamando. Ma scosse il capo.
«No, perché?» rispose.
«Vorrei fare un salto al centro commerciale per prendere un paio di cose. Ti spiace farmi compagnia?» domandò cauto lo spagnolo abbassando un po' la voce, come se avesse paura di essere rifiutato dal suo momentaneo coinquilino.
«Mi va bene, credo di dover comprare qualcosa anch'io» asserì, alzandosi da tavola.
«D'accordo, grazie mille Lovinito!» sorrise il maggiore quando l'italiano si voltò. A Lovino vennero un'altra volta i brividi nel sentire quella specie di nomignolo; non disse nulla e si incamminò verso il bagno per darsi una sistemata.
Nel mentre ad Antonio, purtroppo, cadde l'occhio in basso, poiché Lovino era letteralmente mezzo nudo davanti a lui. Nel farlo, si morse il labbro inferiore, ammirando la bellezza del corpo del giovane.
Si sentì quasi in dovere di prendersi a schiaffi.
Quello è il ragazzo della tua migliore amica. Riprenditi, Antonio!

***

«Ma porca troia-» mormorò a denti stretti Lovino, sentendo che la sua mano non riusciva a raggiungere il fondo dello scaffale. 
Sbuffò rumorosamente e sembrò quasi ringhiare per il nervoso. 
Erano arrivati al centro commerciale con l'intenzione di comprare le tipiche cose per la casa: shampoo, bagnoschiuma e simili. La marca che era solito prendere Lovino, per qualche motivo a lui sconosciuto, adesso si era magicamente teletrasportata sull'ultimo scaffale, dove Lovino non riusciva ad arrivare.
Alla fine, Lovino non era altissimo, superava a malapena il metro e settanta. 
«Okay, ho preso ciò che mi serviv-» Antonio mise la spesa nel cestino e alzò lo sguardo: Lovino non arrivava allo scaffale in alto.
Antonio sentì il bisogno di scoppiare a ridere, ma si limitò a sbuffare una piccola risatina divertita, che sparì quando Lovino gli lanciò un'occhiataccia gelida.
«Va tutto bene, Lovi?»
«A meraviglia» 
«Seriamente non ci arrivi?» ridacchiò lo spagnolo andandogli accanto.
«Stai zitto...» disse a denti stretti «Ci sono quasi-» 
«Ti serve una mano?» 
«Fuori dalle palle, ho detto che ce la faccio!» 
Ma lo spagnolo non si diede certo per vinto, perciò, con il suo metro e ottanta di altezza, sovrastò letteralmente il ragazzo davanti e prese quel maledetto flacone di shampoo, per poi porgerlo a Lovino.
«Ecco a te» sorrise il più grande, guadagnandosi la seconda occhiataccia della giornata dall'italiano, che arrossì per la vergogna; persino le sue orecchie diventarono completamente rosse.
«...fottiti, bastardo di uno spagnolo» mormorò in lingua madre, una volta che lo spagnolo si fosse allontanato per andare alla cassa.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3927710