Rebuild me

di Dalybook04
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo due ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove ***
Capitolo 11: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo undici ***
Capitolo 14: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 16: *** Capitolo quindici ***
Capitolo 17: *** Capitolo sedici ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciassette ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciotto ***
Capitolo 20: *** Capitolo diciannove ***
Capitolo 21: *** Capitolo venti ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventuno ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventidue ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventitré ***
Capitolo 25: *** Capitolo ventiquattro ***
Capitolo 26: *** Capitolo venticinque ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisei ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventisette ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventotto ***
Capitolo 30: *** Capitolo ventinove ***
Capitolo 31: *** Capitolo trenta ***
Capitolo 32: *** Capitolo trentuno ***
Capitolo 33: *** Capitolo trentadue ***
Capitolo 34: *** Capitolo trentatré ***
Capitolo 35: *** Capitolo trentaquattro ***
Capitolo 36: *** Capitolo trentacinque ***
Capitolo 37: *** Capitolo trentasei ***
Capitolo 38: *** Capitolo trentasette ***
Capitolo 39: *** Capitolo trentotto ***
Capitolo 40: *** Capitolo trentanove ***
Capitolo 41: *** Capitolo quaranta ***
Capitolo 42: *** Capitolo quarantuno ***
Capitolo 43: *** Capitolo quarantadue ***
Capitolo 44: *** Capitolo quarantatré ***
Capitolo 45: *** Capitolo quarantaquattro ***
Capitolo 46: *** Capitolo quarantacinque ***
Capitolo 47: *** Capitolo quarantasei ***
Capitolo 48: *** Capitolo quarantasette ***
Capitolo 49: *** Capitolo quarantotto ***
Capitolo 50: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Note: come ho già detto, saranno trattati argomenti delicati, a cui spero di rendere giustizia.
Inoltre, nonostante l'idea di base sia ispirata dalla trilogia Shatter Me, la trama differisce molto, si evolve in modo completamente diverso, anche lo stile di scrittura è differente. Di simile c'è l'idea di base, fine.
Vi lascio alla lettura, spero vi piaccia.

Vi siete mai sentiti in balia della vita? Non so, un giorno ti svegli e ti rendi conto che tutto quello che hai fatto in vita tua non è mai servito a un cazzo. Che nel disegno dell'universo tu non servi a niente e sei solo un puntino inutile che morirà presto, in un tempo che per la nostra terra è meno di un secondo. E allora di te cosa rimarrà? Un pezzo di marmo conficcato per terra, i ricordi degli altri granelli di insignificante sabbia che ti hanno conosciuto e che moriranno portandoti con loro e poi? Poi il nulla.
È un pensiero deprimente, lo ammetto, ma anche rassicurante per certi aspetti. Se ci pensate, se tanto di te non rimarrà assolutamente niente, allora chissene frega. Chissene frega della figuraccia che abbiamo fatto l'altro giorno; chissene frega dell'esame che abbiamo la settimana prossima; chissene frega della persona che ci piace che non ci considera. Chi se ne frega. Nel disegno dell'universo tutto ciò è totalmente insignificante. Alla fine di noi non rimarrà assolutamente niente, ed è giusto così. Questo tipo di pensieri può essere rassicurante, può essere deprimente, può essere anche pericoloso. Infatti un pazzo potrebbe dire: "chissene frega se faccio una strage di quaranta persone. Nell'insieme non vale assolutamente niente". E potremmo pensarlo anche noi, a dirla tutta. Perché alla fine non varrebbe niente comunque.
Ma allora, se non valiamo niente, qual è il senso di tutto questo? Be', se lo sono chiesti in tanti. Non penso qualcuno sia arrivato a una risposta. Quindi penso che alla fine chissene frega. Meglio godersela. Se anche una risposta la trovassimo, nell'insieme non varrebbe assolutamente niente, quindi tanto vale godersi questo casino di universo per quel che possiamo e basta, no?
Fosse facile, risponderebbe Lovino. Il problema arriva quando tieni a qualcuno. Lì arrivano paranoie, problemi, e allora non puoi più fare come ti pare. Siamo animali sociali, purtroppo ci importa degli altri, siamo fatti per stare con loro, e allora puoi fare come vuoi fino a un certo punto.
Lui, per esempio, è sempre stato uno con la coscienza particolarmente bastarda. Ansia e paranoia sono sempre state le sue migliori amiche, e quelle non sono mica facili da mandare via. Se lo fossero lui a quest'ora sarebbe il presidente del mondo, grazie tante e vaffanculo.
Ma non è solo la sua coscienza ad essere bastarda, no no. Pure la genetica è stata particolarmente creativa nei suoi confronti.
Eh sì, perché tra tutti i poteri che poteva dargli proprio quello di distruggere qualsiasi cosa solo toccandola doveva scegliere, come se non fosse abbastanza bravo a rovinare tutto per conto suo. Ah, e quando dico "qualsiasi cosa" intendo proprio qualsiasi cosa, comprese le persone. Motivo per cui, quando a undici anni aveva quasi fatto fuori il suo fratellino per sbaglio, era stato spedito in culo ai lupi, in un fottuto manicomio fatiscente a marcire per il resto della vita merdosa che si era ritrovato.
Per i primi anni lo facevano uscire per fare esperimenti e studiarlo, ma da quando aveva raggiunto i sedici anni non erano più tornati a prenderlo, limitandosi a dargli due pasti merdosi al giorno. Era convinto che avessero buttato via la chiave della sua cella, tanto il cibo glielo passavano da una fessura e della sua igene se ne fottevano altamente, e invece un giorno quella porta si aprì e ne entrò un ragazzo, con in mano alcune coperte e un cuscino. Dalla poca luce che filtrava dalla porta e dalla finestra, Lovino vide che era abbastanza muscoloso, abbronzato, con i capelli ricci e scuri e gli occhi verdi. La porta si richiuse all'istante alle sue spalle.
-sei qui per farmi fuori?
Quello rise -no. Sarò il tuo compagno di stanza.
E che stanza. Pochi metri quadrati di spazio, un materasso sottilissimo con due coperte sudice e un cuscino lercio e una finestra minuscola con tanto di sbarre. Romano avrebbe potuto rendere tutto quello schifo cenere solo toccandolo, ma non se n'era ancora andato. Sapeva che era meglio così, era solo un pericolo ambulante.
-mi dispiace per te- disse solo, senza neanche alzarsi dal suo angolino sudicio -che hai fatto per farti sbattere qui con me?- che avessero deciso di sfruttarlo per le condanne a morte? Col cazzo, usassero una sedia elettrica piuttosto, non avrebbe fatto il lavoro sporco per loro.
Il sorriso del tizio vacillò un secondo -lunga storia.
-non vuoi parlarne. Va bene, come ti pare.
Il ragazzo gli porse la mano, dando dimostrazione di un'intelligenza al di sotto della media -io sono Antonio.
Lovino guardò prima la sua mano tesa e poi lui -non ti hanno detto niente di me o sei solo coglione?
-non mi hanno detto niente.
-mh- onestamente puntava sulla seconda -ti basti sapere che non ti conviene toccarmi. Mai.
-ah, va bene...- si mordicchiò il labbro, combattuto -quindi non posso abbracciarti?
-no.
-perché?
-non mi piace parlarne. E poi perché dovresti abbracciarmi?
-amo gli abbracci- esitò, poi la curiosità ebbe la meglio -ti è successo qualcosa di brutto?
-no. Non è quello a cui stai pensando.
-sicuro?
-eh.
-sicuro sicuro? Potrei aiutarti...
-no, senti. Non ho bisogno del tuo aiuto o della tua pietà. Non toccarmi, non rompermi le palle e andremo d'amore e d'accordo.
Antonio alzò le mani in segno di resa -okay, okay. Non mi hai detto come ti chiami.
-Lovino. Tanto per essere chiari, qui non c'è mai un cazzo da fare se non guardare fuori da quella finestra, per quel poco che si vede, mangiare quando te ne portano, dormire, pensare, cagare o pisciare in quel cesso là nell'angolo o farsi una sega. In caso di quest'ultima sei pregato di farlo il più lontano possibile da me, grazie.
Quello rise -va bene. Dove posso sistemare...- indicò le coperte e il cuscino che teneva tra le braccia con un cenno della testa.
-dove ti pare, sai che me ne frega.
Antonio annuì, posò il cuscino a terra e sistemò le coperte affianco alle sue, stendendosi a pancia in su, un po' troppo vicino per i suoi gusti. Istintivamente si allontanò leggermente, rannicchiandosi contro il muro.
-hai un materasso, che fortuna.
Lovino sbuffò -è praticamente una sottiletta, ma sì. Ero piccolo quando sono arrivato, si vede che gli facevo pena.
-quanti anni avevi?
-undici.
-oh- rimase in silenzio per un po', con gli occhi sgranati -oh.
-già. Tipo... ogni mese mettono del sapone per darsi una ripulita sopra il vassoio del cibo, anche se non fa quasi niente, mentre una volta all'anno mi passano dei vestiti nuovi. Almeno credo sia ogni anno, stando qui si perde la cognizione del tempo.
-e quanti... quanti vestiti ti hanno dato?
-vuoi sapere quanti anni ho?- quello annuì, stendendosi sul fianco per guardarlo in faccia -credo diciassette. Più o meno.
-oh. Io ne ho ventidue.
-buon per te.
Antonio sogghignò -comunque non rimarrò qui a lungo.
-tipo carcere? Hai fatto qualcosa di sbagliato e ti hanno sbattuto qui per qualche mese o anno?
Scosse la testa -in teoria dovrei stare qui per tutta la vita, ma so che i miei amici stanno già cercando di farmi evadere.
Sbuffò una mezza risata -buona fortuna.
-potresti venire con noi.
Si irrigidì -no.
-non ti sei stancato di stare qui? I miei amici sono brave persone, non ti farebbero del male. C'è un posto...
-no, non hai capito. Io devo stare qui.
-perché?
-perché non...- "perché sono un pericolo pubblico" -perché sì.
-Lovinito...
-chi ti ha autorizzato a chiamarmi così?- sbottò.
Fece un sorrisino colpevole -scusa. Comunque non penso che tu meriti di morire qui dentro.
Rise -che ne sai? Potrei aver fatto fuori decine di persone.
-eri un ragazzino quando sei arrivato qui. Cosa mai potrebbe fare un bambino di così terribile da finire qui?
Si trattenne a stento dal ridergli in faccia -esistere.
-sei figlio di un dissidente politico o qualcosa del genere? È per questo che sei qui?
Lovino scosse la testa -acqua.
-uffa. Allora... uhm...- fece un'adorabile espressione concentrata. Non che Lovino lo trovasse adorabile -sei stato testimone di qualcosa che non avresti dovuto vedere?
-in caso mi avrebbero fatto fuori direttamente.
-uhm...- rimase in silenzio per un po', pensando. Poi sbuffò -non ne ho idea.
Fece un leggerissimo sorriso -prova a indovinare. Io non ti dirò niente.
-sfida accettata. Dunque...

Quel giochetto idiota andò avanti per ben due mesi. Antonio si inventò di tutto, persino che avesse viaggiato nel tempo e in realtà da piccolo avesse la coscienza di un adulto e quindi avesse combinato qualcosa di terribile. Quella teoria lo fece quasi ridere.
-ma ti pare? Che idiota- si coprì la bocca con la mano per non fargli vedere il suo sorriso.
-però ti ho fatto sorridere.
-solo perché sei ridicolo, bastardo.
-meglio di niente.
Lovino roteò gli occhi. In quel momento lo sportello sulla porta si aprì e ne entrò un vassoio con due porzioni di... non era sicuro di voler sapere cosa, e due bicchieri d'acqua.
Antonio lo prese e lo mise a terra, in mezzo a loro -che meraviglia, sembra di essere in un ristorante a cinque stelle.
-come no. Questa... roba molliccia e verdognola è degna dei migliori chef.
-manca solo una candela e sembrerebbe un appuntamento romantico- Lovino rischiò di strozzarsi.
-cosa hai detto?!- maledì in silenzio la sua voce, improvvisamente più acuta.
Antonio sembrò stupito -era una battuta- a quelle parole l'italiano riprese a respirare. Poi quello fece un sorrisetto -credo.
Lovino abbassò il viso per nascondere le sue guance rosse -sei un bastardo.
-grazie, querido!
-non era un...
-facciamo una scommessa- lo interruppe. Lovino fece un verso di scherno.
-che ci dovremmo giocare? Il diritto a stare di più sul cesso? Se vuoi il mio cibo non serve scommettere, te lo do più che volentieri.
-il diritto a vantarsi con l'altro?
-mi piace. Ci sto. Che vorresti scommettere?
-riuscirò a farti ridere. Ma ridere sul serio, spontaneamente.
Sbuffò divertito -buona fortuna. Non so neanche se ricordo come si fa. Il solletico però non vale.
-certo. Anche se sono fantastico a fare il solletico.
-non dovresti vantartene.
-è un'abilità che ho maturato negli anni. Mi sono allenato tanto. Ho anche preso una laurea. Mi ci sono impegnato parecchio, quindi me ne vanto eccome.
-ripeto, sei un idiota.
-un idiota che ti farà ridere.
-aspetta e spera.
Quel giorno Lovino si sentiva stranamente di buon umore. Forse perché aveva dormito meglio, forse perché quel giorno il cibo era quasi mangiabile, o forse perché da fuori entrava nella cella un leggero venticello, che permetteva loro di respirare e portava fuori il puzzo di sudore e di chiuso che aleggiava perennemente lì dentro. O forse, ma solo forse eh, perché stare con Antonio lo faceva stare bene. Lo faceva sentire... umano, in qualche modo. Come se persino lui meritasse una seconda occasione, una vita dignitosa. Come se... come se anche lui meritasse degli amici e... e forse persino di essere amato da qualcuno.
Dopo qualche ora (o almeno, ipotizzava fosse passata qualche ora. Stando chiusi lì si perdeva la cognizione del tempo, ma a giudicare dal modo in cui entrava la poca luce che entrava doveva essere tardo pomeriggio) bussarono alla porta. Lovino aggrottò la fronte, non era ancora ora di cena.
-che sta succ...
-Tonio, sono io- bisbigliò qualcuno dall'altra parte della porta.
-Gil!- Antonio si alzò e corse alla porta. Si inginocchiò e spinse la fessura da cui portavano il cibo per guardare fuori -sei davvero tu?
-certo. Conosci qualcun altro magnifico quanto me?
-concentrati sull'evasione- intervenne una voce dall'accento francese.
-giusto. Dobbiamo aprire la porta ma non sappiamo come.
-le guardie?
-Fran le ha fatte ubriacare. Dormono come agnellini.
-bastardo, che sta succedendo?- Lovino lo raggiunse e si inginocchiò affianco a lui, ma quando si sporse a guardare oltre la fessura non vide nulla.
Antonio sorrise -evadiamo.
-cosa?! Ora?
-sì, ora- disse qualcuno oltre la porta. Come l'aveva chiamato il bastardo? Gil? -se non vi dispiace fate dopo i piccioncini, ora abbiamo da fare. Qualche idea su come far saltare la porta? Non penso basti spingere.
-avete preso le chiavi?
-certo, mon ami, ma ci sono qualcosa come duecento chiavi, tutte uguali, e non abbiamo tempo per provarle tutte. Le guardie si sveglieranno tra poco, abbiamo perso un sacco di tempo a cercarvi tra le altre celle. Questo posto è gigantesco, è strano ci siate solo voi.
-lo spiegone a dopo, Fran. Abbiamo della dinamite?
-bravi idioti, così sveglierete le guardie- Lovino si morse il labbro -forse ho un... un'idea.
-e cioé?
Non rispose. Si alzò, si sfregò le mani tra loro e sospirò nervosamente -allontanatevi dalla porta.
-non fare rumore- gli raccomandò quello che doveva essere Fran -se farai crollare la porta...
-non è per quello che vi ho detto di allontanarvi- la verità era che non voleva rischiare di ucciderli per sbaglio. Non usava da tanto il suo potere, aveva imparato a fatica a trattenerlo, ma non a sfruttarlo. Era imprevedibile e lo sapeva, ma non pensava ci fossero molte soluzioni.
-dove andremo dopo questa cosa?- si voltò verso Antonio, che si era messo dietro di lui.
-un posto sicuro.
-non... non mi giudicheranno?- si sentiva un idiota, ma aveva paura. Era stato sbattuto lì dentro per anni per qualcosa su cui non aveva il controllo, capitelo.
-io mi so rendere invisibile e il mio amico qui trasforma l'acqua in vino, che può controllare e rendere soporifero- intervenne il tizio oltre la porta -non c'è molto da giudicare.
Sgranò gli occhi, poi si disse che in fondo non è che avesse tanto da sorprendersi. Annuì -okay. Allora vado.
-in fretta, grazie.
Antonio gli sorrise e sollevò i pollici nella sua direzione per fargli coraggio.
Lovino sospirò e appoggiò una mano sulla porta, proprio al centro. Non successe nulla. Aggrottò la fronte, poi chiuse gli occhi. Si concentrò e cercò in se stesso la fonte del suo potere, quel qualcosa che gli rodeva dentro e che lo rendeva così diverso, e lo spinse fuori attraverso la mano. Sentiva quel potere come un proprio arto, come un braccio o una gamba. Lo sentì passare dalla punta delle sue dita alla superficie della porta, farsi strada tra le cellule di quest'ultima e ridurle tutte in cenere, assorbirne la forza e annullarla completamente. Percepì anche le energie di altre tre persone, Antonio e gli altri due, e si sforzò di imbrigliare la sua energia per impedirle di aggredire qualcuno. Qualcosa, una stretta alla base dello stomaco, voleva appropriarsi anche delle loro forze, fare sue le loro e quelle di tutto il mondo, finché non sarebbe rimasto nessuno tranne lui e montagne di cenere scura. Lovino strinse il pugno e si conficcò le unghie nel palmo della mano per ritornare in sé.
-porca puttana- sentendo quel commentò riaprì gli occhi. La porta era sparita, solo un mucchietto di cenere faceva intendere che prima ci fosse qualcosa. Scoccò un'occhiataccia nel punto dove pensava ci fossero i due idioti.
-non una parola.
Antonio fischiò -non pensavo ne fossi capace. Perché non te ne sei andato prima?
-perché...- "perché prima di conoscerti non pensavo di meritarmi di vivere" -lascia perdere. Il posto è lontano? Ci saranno persone?
-non molte. Massimo un centinaio, ma è una zona grande e ognuno ha il suo da fare.
-perfetto. Andiamo- fece un passo in avanti, ma il pavimento sotto di lui si sbriciolò -merda!- arretrò e anche lì il terreno si crepò -cazzo cazzo cazzo.
Andò nel panico. Una sequenza di immagini gli invase la mente. Una strada affollata, una manina stretta alla sua, una voce maschile che gli raccomandava di fare attenzione a suo fratello, soprattutto mentre attraversavano. E poi un urlo acuto, un'energia che gli scorreva dentro e si intensificava a ogni secondo, le sue urla, una mano in parte nera. E poi dottori, scienziati, poliziotti, soldati, macchinari strani, siringhe, flebo e infine quella cella, dove lo avevano lasciato a marcire quando avevano finito con lui. Altre urla, cenere, lampi di luce e buio. Lui era un mostro, non meritava di vivere, era solo un pericolo per gli altri. Distruggeva tutto, cosa pensava di fare? Come aveva potuto pensare di meritarsi qualcosa tranne la cenere che creava? Chi avrebbe mai potuto amarlo?
-Lovino- una voce gentile lo riportò alla realtà. Sollevò gli occhi sul ragazzo davanti a lui, che sembrava avere una voglia matta di abbracciarlo masi stesse trattenendo, più per non ferire lui che se stesso -va tutto bene. Puoi controllarlo.
-no, no, io non... non volevo... n-non...
-sh, non pensarci. Puoi farcela. Richiama la tua energia. Sei tu che la controlli, non il contrario, ricordalo sempre. Respira, rilassati e richiamala a te.
Sospirò e cercò di fare come aveva detto, concentrandosi sui suoi occhi. Lentamente il suo respiro si calmò, il battito rallentò e quando fece un passo avanti non distrusse niente.
-bene, ora possiamo andare?- Lovino guardò oltre la spalla di Antonio e vide i due ragazzi, ora visibili. Quello che aveva parlato, Gil, era albino, con occhi rossi e capelli bianchi. L'altro aveva dei lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri. Entrambi gli stavano sul cazzo a vista.
-sì, ho avuto un attimo di...- scosse la testa e uscì dalla cella. Non sembrava vero, dopo così tanto tempo finalmente era libero.
-stai bene?- Antonio lo affiancò e gli sfiorò con delicatezza la spalla, coperta dai vestiti lerci che aveva addosso. Annuì e seguì i due idioti fuori, al sole.

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Capitolo 2
*** Capitolo uno ***


Non è che ci fosse molto sole, a dirla tutta. L'inquinamento e la noncuranza del governo a riguardo avevano creato delle nuvole perenni, di un grigio cupo. Lovino non sapeva granché di come fosse ridotto il clima allora, ma ricordava che quando era piccolo la pioggia era tossica, e quando c'erano troppe nuvole suo nonno chiudeva in casa lui e suo fratello per impedire loro di uscire. Una volta un suo compagno di classe era stato bagnato da alcune di quelle gocce. Lovino ricordava delle orribili vesciche su tutto il suo corpo e le urla strazianti della madre del bambino. Suo nonno lo aveva portato via per non fargli vedere altro.
Seguì i due idioti. Il primo idiota, Gil, aveva reso tutti invisibili, e aveva parcheggiato un furgone ben lontano dal manicomio. Comunque, per quanto imperfetta, quella era libertà, una libertà che a lungo non aveva neanche pensato di meritare. Non aveva tempo di pensarci, però, doveva correre.
-salite sul magnifico mezzo del magnifico me e dei suoi meno magnifici amici! Kesesesesese.
-sei sempre il solito, Gil- Antonio rise e salì sul retro del furgone, seguito a ruota da Lovino.
-sei così serio, Tonio. Quella cella non ti ha fatto bene- quando i due idioti furono saliti davanti, l'albino si girò verso di loro e indicò Lovino -facciamo due presentazioni. Io sono Gilbert il Magnifico, ma puoi anche chiamarmi Gilbert il Grande o Sua Maestà Il Magnifico Gilbert.
-Gilbert il Coglione Megalomane no?- brontolò tra i denti. Antonio rise. Gilbert lo ignorò.
-ho il magnifico potere di celare la mia magnificenza a chiunque, il che per il mondo è una tragedia ma può tornare utile per missioni di spionaggio e per fare degli scherzi fantastici- continuò -e di rendere invisibili le cose e le persone intorno a me. Ora come ora questo gioiellino magnifico quasi quanto me e voi ospiti ingrati siete invisibili, motivo per cui me ne sto qui a chiaccherare invece di partire a razzo.
-ma possono sentirci- ribatté Lovino -o no?
Gilbert rimase in silenzio per qualche secondo. Poi si girò e mise in moto, partendo in quarta -dicevo. Quello ad avere l'onore di sedere accanto al magnifico me è Francis, un francese, o almeno lo era quando ancora c'erano dei paesi, che può trasformare qualsiasi liquido in vino senza cambiarne l'aspetto e controllarlo. Non molto utile in battaglia, ma fantastico per le feste. Gli ho detto di passare alla birra, ma non mi dà retta.
-perché sarebbe inutile, mon ami- Francis si voltò verso di lui e gli fece l'occhiolino -piacere di conoscerti.
-uhm...- si strinse contro il sedile.
-Antonio lo conosci già. Noi tre insieme siamo il Bad Touch Trio, il trio più magnifico che ci sia!
-chi è il coglione che vi ha dato il soprannome?
-un nome così magnifico poteva venire in mente solo al magnifico me.
-sai che è da idioti darsi dei soprannomi?- sbuffò -devo presentarmi anch'io stile Alcolisti Anonimi?
Gilbert ghignò -certo.
Sbuffò di nuovo -Lovino. Avete visto il mio potere. C'è qualcos'altro che volete sapere o vi degnate di dirmi dove cazzo stiamo andando?
-ti piacciono i ragazzi?- domandò Francis, facendo l'occhiolino verso Antonio.
Roteò gli occhi -sono stato per tutta la mia adolescenza in gabbia. Secondo te ho avuto modo di capirlo?
-l'immaginazione può essere un'ottima compagnia, e a volte lo si capisce fin da bambini
Lovino alzò le spalle -non lo so. Forse. Che c'entra?
-oh, così... per sapere- i due idioti si lanciarono un'occhiata, con due ghigni poco rassicuranti.
Antonio si schiarì la voce -comunque stiamo andando in una base ribelle. Siamo un'organizzazione segreta che cerca di rovesciare il governo attuale. Per lo più siamo persone con poteri, quindi emarginati e disadattati.
-ah- guardò fuori per un po' -e tu che potere hai?
Antonio arrossì leggermente -niente di utile in battaglia. Posso imbrigliare le emozioni negative di qualcuno solo toccandolo, farle mie e trasformarle in energia positiva per me.
-non è inutile- gli uscì di bocca -puoi usare i sentimenti del nemico a tuo vantaggio.
In risposta quello sorrise, se possibile, anche più di prima -grazie, Lovi!
Lovino abbassò lo sguardo, con le guance leggermente rosse per qualche assurdo motivo -ora però non montarti la testa, bastardo.
-siamo arrivati- annunciò Gilbert fermando la macchina. Lovino aggrottò la fronte.
-ma non c'è niente.
Erano in uno spazio deserto, probabilmente nei territori non controllati. Lovino non si era mai chiesto dove fosse il manicomio, ma ora che ci pensava probabilmente anche quello era in quelle zone. Non c'era niente, tranne un paio di alberi smorti in lontananza e qualche animaletto morto qua e là.
Antonio gli fece l'occhiolino -scendi e vedrai.
Roteò gli occhi e obbedì, seguito dagli altri. Gilbert batté tre volte i piedi in terra, fece una pausa e batté il piede sinistro. La terra sotto di loro cominciò a tremare e un buco perfettamente circolare si aprì intorno a loro. Come se fossero su un ascensore, cominciarono a scendere sotto terra. Lovino si trattenne a stento dall'urlare come una ragazzina per la sorpresa.
-che cazzo succede?!- sibilò, con la voce lievemente più acuta per il panico.
-stiamo andando alla base- rispose Antonio, come se fosse ovvio.
-sottoterra.
-eh.
-il meno magnifico fratellino del magnifico me controlla la terra, solleva i massi e tutte quelle cose poco magnifiche- spiegò Gilbert -controlla lui chi entra e chi esce.
-e senza di lui come cazzo fareste a entrare e uscire?
-ci sono ingressi nascosti, ma così è più divertente- quando raggiunsero terra, Gilbert saltò giù dal suo ascensore di terra spettinò i capelli al ragazzo che li aspettava, che doveva essere il "fratellino", che di ino non aveva niente. Era alto almeno una decina di centimetri più di Lovino, con le spalle larghe e il corpo muscoloso, sembrava in grado di sfondare un albero a mani nude. Aveva i capelli biondi, tirati indietro da una quantità generosa di gel. Tutto in lui irradiava freddezza e serietà: gli occhi azzurri, i vestiti perfettamente stirati e inamidati, l'espressione concentrata, tutto il contrario di quello scapestrato di suo fratello.
Finalmente, guardandolo, Lovino riconobbe la provenienza dell'accento di Gilbert. Strinse gli occhi e sibilò sottovoce -crucchi.
-hai detto qualcosa?- Antonio, già sceso a terra, si voltò a guardarlo.
-eh? No, no, niente.
Antonio alzò le spalle, poi gli porse la mano per aiutarlo a scendere. Lovino inarcò un sopracciglio e scese per conto suo, tenendosi in disparte dal gruppetto. Dopo che Francis ebbe spostato l'auto da lì, il nuovo arrivato fece tornare il cerchio di terra in superficie. Lovino si prese un altro momento per osservarlo mentre sistemava il cerchio di terra in superficie, lavoro che a quanto pareva richiedeva qualche minuto, forse per non lasciare crepe o segni visibili, chiedendosi quanti anni avesse. Nonostante la stazza aveva ancora dei lineamenti da adolescente, non poteva avere più di quattordici o quindici anni. La consapevolezza lo colpì come un pugno allo stomaco: quel ragazzo aveva la stessa età di suo fratello. Si morse il labbro, chissà se lui e suo nonno erano ancora vivi. Forse aveva ancora una famiglia, da qualche parte...
No. Non doveva pensarci neanche. Tornando li avrebbe solo danneggiati, sempre che fossero vivi. L'unico modo che aveva per aiutarli era rovesciare la Restaurazione, quel governo che se ne fregava dei cittadini e li lasciava morire di fame, e questo voleva dire unirsi ai ribelli.
Si riscosse e notò che i tre idioti si erano allontanati leggermente per parlottare tra loro senza farsi sentire. Roteò gli occhi e attese in silenzio che qualcuno dicesse qualcosa,
Dopo qualche minuto il crucco sembrò soddisfatto del suo lavoro e si voltò verso Lovino. Fece per porgergli la mano, poi si fermò e si limitò a un cenno del capo.
-mi chiamo Ludwig, piacere di conoscerti. Benvenuto al Punto Omega. Non so quanto ti abbiano detto mio fratello e i suoi amici, ma mi scuso per qualsiasi cosa stupida o imbarazzante abbiano detto o fatto...
-ehi! Rispetto per tuo fratello.
-...ma in ogni caso tra poco ti verrà spiegato tutto. Sono incaricato di accompagnarti al tuo nuovo alloggio, dove potrai rinfrescarti e troverai dei vestiti nuovi, la taglia dovrebbe essere giusta.
Quel tizio sembrava un automa. Lovino abbassò lo sguardo sui suoi vestiti e si disse che doveva puzzare parecchio. Per qualche motivo, l'idea di essersi fatto vedere conciato in quel modo da Antonio lo fece arrossire.
-visto il tempo trascorso con Antonio, ti abbiamo sistemato affianco alla sua camera. Quando sarai pronto ti accompagnerà dal nostro generale, che ti spiegherà tutto.
Lovino aggrottò la fronte -come facevate a sapere che sarei arrivato? Non dovevate venire a prendere solo Antonio? E la taglia, come...
-ti spiegheranno tutto tra poco- lo interruppe Ludwig -ti basti sapere che la missione non è mai stata recuperare Antonio, ma recuperare te. Lui si era fatto catturare a posta per recuperarti e un nostro infiltrato lo ha fatto mettere in cella con te.
-cosa? Perché?!- cos'era quella fitta al petto?
-se non ti fossi fidato di lui, saresti uscito insieme a noi?
-manco per il cazzo.
-appunto.
-ma... perché? Che c'entro io?
-ti spiegheranno tutto- ripeté Ludwig -Antonio, potresti accompagnarlo alla sua stanza? Ho da fare alcuni esperimenti con Kiku e non vorrei tardare. È la porta affianco alla tua, quella davanti alle cucine.
La sua stanza era vicino al cibo? Buono a sapersi.
Antonio annuì, salutò con un gesto della mano i due idioti, sorrise a Lovino e si avviò in un corriodoi dietro Ludwig. Lovino lo seguì senza fiatare attraverso un'interminabile sequenza di svolte e corridoi che dimenticò subito. Di sicuro in quel posto si sarebbe perso di continuo, almeno la cucina era vicina. Alla fine Antonio si fermò in un corridoio identico agli altri, tranne per una porta più grande in metallo che l'italiano intuì essere quella della cucina.
-questa è la tua stanza- indicò la porta subito davanti alla cucina, poi ne indicò un'altra poco più in là -quella è la mia. Quando sei pronto chiamami e ti porto dal capo.
Annuì -va bene.
-bene- gli sorrise e sollevò una mano per fare qualcosa, ma si bloccò imbarazzato -a dopo.
Lovino aggrottò la fronte, ma alzò le spalle ed entrò nella sua nuova stanza.
Non era niente di che. Grande due o tre volte la sua vecchia cella, non era comunque una stanza grande, solo... normale ecco. Le pareti erano di un anonimo bianco, con una finta finestra sulla parete di fronte alla porta, probabilmente per non causare claustrofobia a chi ci viveva dentro. Avvicinandosi notò che era dipinta, ma per quanto era realistica sembrava vera. Oltre a quello c'era una piccola scrivania appena sotto la finestra, un letto molto semplice sulla parete laterale e di fianco un armadio. Sulla parete opposta poi c'era una minuscola libreria, con dentro alcuni classici italiani. A quanto pareva chi era lì si era informato per bene su di lui. Affianco a essa c'era una porta che conduceva a un piccolo bagno, anch'esso molto essenziale. Chiuse la porta a chiave e si fiondò sotto la doccia. Lavarsi decentemente dopo tanto tempo fu una goduria unica, anche se il sapone non era un granché e lasciava una strana sensazione sulla pelle, ma cercò di sbrigarsi. Voleva sapere che cazzo stesse succedendo.
Nell'armadio trovò un paio di magliette pulite e di pantaloni. Si infilò un paio di vecchi jeans (che strano indossarli dopo così tanto tempo) e una maglietta a maniche lunghe rossa, che era così morbida sulla sua pelle da fargli girare la testa. Una volta pronto uscì e bussò alla porta di Antonio, sperando di non aver sbagliato stanza. Un po' gli aveva fatto male scoprire che si erano incontrati per una missione e che Antonio non lo aveva invitato a seguirlo perché teneva a lui, ma in fondo doveva aspettarselo. Probabilmente lo avevano costretto ad andarci.
Il ragazzo gli aprì dopo qualche minuto, con i riccioli ancora umidi per la doccia e un ampio sorriso.
-sei pronto, Lovi?
-altrimenti non sarei qui- sbuffò -sbrigati, voglio capire che cazzo sta succedendo.
Antonio rise e uscì dalla camera chiudendosi la porta alle spalle -okay, okay. Andiamo.

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Capitolo 3
*** Capitolo due ***


Dopo un'altra interminabile serie di corridoi tutti uguali che non avrebbe mai ricordato, si fermarono davanti a una grande porta.
-buona fortuna, Lovi. Ti aspetto qui fuori.
Annuì distrattamente, lo superò ed entrò nella stanza. Ebbe appena il tempo di registrare le grandi librerie alle pareti prima di notare l'uomo seduto dietro la scrivania. Vederlo gli tolse la terra da sotto i piedi. No, stava sognando, non poteva essere lui. Non poteva essere così sfigato.
-nonno?- il suo fu appena un sussurro, ma quello annuì e sorrise. Aveva qualche ciuffo bianco in più, ma per il resto era identico a come lo ricordava: capelli castani, mani grandi e callose, sorriso caloroso e gentile. Romolo Augusto Vargas si alzò dalla sua poltrona e fece per avvicinarsi, ma il nipote si premette contro la porta chiusa urlandogli di stare fermo.
-cosa... che... che cazzo ci fai qui?!
-calmati- nonostante gli anni, il tono del nonno riusciva ancora a tranquillizzarlo. Sembrava dirgli "va tutto, bene. Sei a casa ora". Lovino si chiese se ce l'avesse ancora, una casa -se mi lasci parlare ti spiegherò tutto- gli indicò una delle due poltrone davanti alla scrivania. Lentamente, come se avesse paura di vederlo diventare cenere solo avvicinandosi a lui, Lovino raggiunse la poltrona e si sedette -capisco che tu abbia tante domande, ma prima lascia che ti racconti io cos'è successo, poi potrai chiedere quello che vuoi sapere- il ragazzo annuì. Il nonno aveva ancora lo stesso tono inflessibile. Sembrava avere una gran voglia di abbracciarlo, ma che si stesse trattenendo a stento anche solo dal chiederglielo. Lovino gliene fu grato. Negarglielo sarebbe stato difficile, soprattutto visto che lui stesso voleva lasciarglielo fare -partiamo dal principio. Non sappiamo da dove vengano i nostri poteri, l'ipotesi più accreditata è che siano il risultato di una mutazione genetica dovuta ai cambiamenti climatici e...
-anche tu hai dei poteri?- lo interruppe -e Feli... dov'è Feli? Sta bene? È vivo?
Romolo alzò una mano per fermarlo -sì, abbiamo tutti e tre dei poteri. Feliciano sta bene, immagino sarà qui tra poco.
-e quale...- Romolo mosse un dito e un foglio si sollevò dal tavolo e si avvicinò alla sua guancia, accarezzandogliela dolcemente -ah.
-già. Telecinesi. Forte eh?- sorrise per qualche secondo, poi continuò -comunque, il governo ci dà la caccia da quando abbiamo cominciato a esistere, una trentina di anni fa. Presumo vogliano sfruttare quelli che reputano utili e uccidere gli altri. Non voglio dare loro l'opportunità di farmelo scoprire. Quando tu e Feli eravate piccoli vivevamo nascosti in mezzo al resto del mondo, volevo darvi una vita normale. Speravo...- scosse la testa -insomma sapevo che anche voi avreste potuto avere dei poteri, ma speravo di no. I bambini che nascevano così mostravano i primi sintomi già intorno ai quattro o cinque anni. Voi eravate più grandi, per cui ero ottimista. Hai mostrato il tuo dono all'improvviso, immagino che tu te lo ricordi.
-non lo chiamerei "dono".
Romolo alzò le spalle -in ogni caso, eravate in pubblico quando successe, per cui loro lo vennero a sapere e ti portarono via prima che potessi fare qualsiasi cosa- strinse i pugni -ti prego di credermi quando ti dico che negli ultimi anni non ho fatto altro che cercarti. Quando una nostra spia ha scoperto dove ti tenevano Ariovisto mi ha dovuto trattenere a forza dal correre a prenderti seduta stante. Sarebbe stato un suicidio- ridacchiò, ignorando il fatto che non sapesse chi cazzo fosse quel tizio di cui parlava -avrei voluto venirti incontro non appena fossi arrivato qui, ma penso ti sarebbe venuto un infarto. Avevi bisogno di riprenderti un po'- insipirò profondamente -ti avevano portato lontano i bastardi. Mentre ti cercavo ho trovato questo posto. Era una vecchia base militare segreta, noi l'abbiamo rimodernata e resa abitabile. Insieme al mio collaboratore abbiamo creato quest'organizzazione di persone come noi, per proteggerci, per salvare altri, come noi ma non solo, e per distruggere la Restaurazione.
Lovino rimase in silenzio per un po'. Aveva talmente tante domande in testa che non sapeva da dove cominciare.
-dov'è Feli?
-qui alla base ovviamente. Voleva venirti incontro, era persino più impaziente di me, ma gli ho mentito su quando saresti arrivato. Non volevo sganciarti addosso troppe bombe tutte insieme. E poi sai com'ė Feliciano, di sicuro cercherebbe di abbracciarti e...
-no. Non voglio metterlo a rischio.
-lo so. Gliel'ho spiegato, ma sai quanto è emotivo. Non è cambiato tanto negli anni.
Lovino deglutì. C'era una cosa che voleva chiedere, ma non ne aveva il coraggio.
"Gli ho provocato dei danni gravi?"
Romolo sembrò improvvisamente più stanco, più vecchio. Allungò una mano verso di lui, fermandola sulla scrivania, a una decina di centimetri di distanza -mi sei mancato, Lovi. Non oso neanche immaginare cosa tu abbia passato. Mi dispiace di averci messo tanto e di averti mentito, ma non sapevo in che condizioni fossi. Non sapevo se fossi impazzito e non volevo rischiare di farti uscire di testa dicendoti tutto insieme. Per quanto ne sapevo potevano anche averti fatto il lavaggio del cervello.
-lo capisco- avvicinò la mano alla sua, fermandosi a pochi centimetri di distanza. Percepiva l'energia del nonno lì davanti a lui, pronta per essere assorbita, ma mise a tacere quella vocina fastidiosa nella sua testa.
-posso chiederti una cosa io?- intervenne il nonno.
-dimmi.
-hai fatto progressi con i tuoi poteri?
-credo di sì. Inizialmente qualsiasi cosa toccassi si inceneriva e il pavimento sotto di me si frantumava. Mi iniettarono qualcosa...- aggrottò la fronte -non so cosa, ma lo fecero mentre ero distratto, non so come minchia ci riuscirono, che mi rincoglioniva talmente tanto che non ero in grado di distruggere niente. Fecero... non lo so, penso di aver rimosso i ricordi. C'erano siringhe e dei dottori e... penso stessero facendo degli esprerimenti per capire che cazzo fossi. Poi... non lo so, credo un anno fa o giù di lì, mi hanno chiuso in quella cella senza più drogarmi, e ho imparato a controllarlo sugli oggetti esercitandomi sulle posate che mi davano per mangiare. Gli sarò costato un patrimonio in forchette.
-e sulle persone?
-non ho mai provato e non ho intenzione di farlo. E non...- prese a gesticolare per spiegarsi meglio -è diverso. Nel caso degli oggetti mi limito a distruggerli, invece con le persone assorbo anche la loro energia. È più... allettante. È come se ci fosse un... un istinto che mi dice di assorbire le energie di tutti quelli che ho intorno. Anche adesso. Percepisco la tua energia e sento che basterebbe un gesto per...- scosse la testa e strinse le mani a pugno, come per impedirselo -ma sinceramente se toccassi qualcuno non riuscirei a controllarlo. Dovrei esercitarmi come con gli oggetti, ma non ho intenzione di ferire nessuno.
Romolo sembrò pensarci su -forse...
In quel momento si sentì qualcuno correre e la porta spalancarsi.
-fratellone!
Lovino gelò. Si alzò di scatto e si girò verso la porta. E lì, a osservarlo con un enorme sorriso, c'era Feliciano. Il suo primo pensiero vedendolo fu: è più alto. Ed effettivamente era così. Da bambino lo aveva preso spesso in giro perché era il più basso, ma ora erano alti più o meno uguali. Per il resto era identico: stessi capelli castani, stessi occhi color mandorla. I lineamenti del viso forse erano un po' più spigolosi, ma per il resto...
E poi la vide. La mano destra di Feliciano, quella che gli aveva stretto quando erano piccoli. Le punte delle dita, tutte le ultime falangi, erano completamente nere, come pezzetti di carbone.
Feliciano fece un passo nella sua direzione, ma Lovino arretrò, con lo sguardo fisso sulla sua mano. Era colpa sua. Era tutta colpa sua.
Feliciano sembrò accorgersene, perché nascose la mano dietro la schiena con un sorriso imbarazzato -non è niente. Sono mancino, ve, non mi crea troppi problemi. Riesco a usarla normalmente, è solo fredda al tatto.
-è colpa mia- mormorò. Non riusciva a guardarlo in faccia -i-io... potevo ucciderti.
-ma fratellone non è...
-è colpa mia- ripeté. Romolo cominciò a rendersi conto che qualcosa stava andando storto.
-Lovino? Stai bene?
-colpa mia- disse a voce più alta -s-sono un mostro.
Nella testa le visioni si susseguivano rapide. Siringhe, urla, mano nera, luce, buio, cella, scienziati, mostro, mostro, mostro, sei un mostro, mostro, mostro.
Corse via. Suo nonno e suo fratello cercarono di fermarlo, ma li schivò e scappò fuori da lì. Corse, si perse in quei corridoi e sperò di non uscirne più. Le visioni continuavano e lui stava cercando di fuggire da loro, dal laboratorio e dalla sua famiglia. Non meritava il loro affetto. Era solo un mostro.
A un certo punto inciampò e cadde a terra. Si rannicchiò su se stesso, prendendosi il viso tra le mani, e scoppiò a piangere, nel bel mezzo di un attacco di panico. Non vedeva il corridoio, non vedeva nulla tranne le immagini che gli propinava il suo inconscio, e figuriamoci se riusciva a respirare per bene. Mostro mostro mostro. Mostro mostro mostro. Mostro. Mostro.
Non si rese conto di aver cominciato a mormorarlo sottovoce fino a quando qualcuno non si inginocchiò davanti a lui e gli parlò con calma.
-Lovi- lo chiamò una, due, tre, mille volte, fino a tirarlo fuori dal suo abisso di mostri -respira, Lovi, forza.
Lentamente, mentre la voce gli parlava con tono rassicurante, riuscì a recuperare un minimo di lucidità. Sollevò lo sguardo ed lì c'era Antonio, che lo osservava preoccupato, con espressione tranquilla per non agitarlo.
-mi senti?- annuì, lentamente -bene- si sedette affianco a lui, con le spalle vicine ma senza che si toccassero. Anche così percepiva la sua energia, così vicina... serrò la presa delle sue mani sulla sua testa. Mostro, non devi pensare queste cose -mi vuoi dire che è successo?
-mio fratello- riuscì a mormorare, con la gola secca.
-avete litigato?- scosse la testa -allora cosa?
-la mano- sussurrò -le dita nere. È colpa mia. Gliele ho fatte io.
Antonio rimase in silenzio per un po', riodinando i pezzi del puzzle -non l'hai fatto a posta- non era una domanda, ma Lovino annuì comunque -è stato un incidente- dichiarò con tono deciso -non hai colpe.
-gli ho fatto male.
-per sbaglio.
-ma gliene ho fatto.
-non devi colpevolizzarti per qualcosa su cui non hai controllo.
La sua risposta fu detta a tono così basso che Antonio appena riuscì a sentirlo -ma io mi sentivo bene mentre lo facevo- gli tremava la voce -sentivo questa... quest'energia che passava da lui a me e... e...
-smettila. Non potevi controllarlo, non ne eri capace. Sapevi di avere quel potere prima?- scosse la testa -e allora non potevi farci niente. Non è colpa tua se sei nato così. Non farti una colpa di cose che non puoi controllare.
Insipirò profondamente, cercando di calmarsi. La sua parte razionale sapeva che il ragazzo aveva ragione, ma quella parte in quel momento era andata parecchio a puttane. Dopo qualche minuto rilassò i muscoli e appoggiò la testa sul muro alle sue spalle, allungando le gambe fino a sfiorare la parete opposta con i piedi.
-allora- intervenne Antonio dopo qualche altro minuto di silenzio -da quanto soffri di attacchi di panico?
Lovino si asciugò un filo di sangue che gli era colato dal naso -da quando è cominciata questa situazione di merda, a undici anni. I primi tempi li avevo di continuo, ogni volta che rimanevo abbastanza lucido da ragionare.
-è normale, con quello che hai passato...- girò la testa verso di lui, osservandolo sottecchi per assicurarsi stesse meglio -anche mio fratello ne soffriva, soprattutto da piccolo.
-ah. È qui?
-no. Non abbiamo più rapporti.
-ah.
-già- tornò a guardare la parete davanti a loro -posso chiederti una cosa?
-chiedilo e basta.
-hai imparato a controllare il tuo potere?
Fece una smorfia -sì e no. Sugli oggetti sì, ma ho avuto bisogno di esercitarmi tanto- i primi tempi doveva mangiare come i cani perché distruggeva sempre le posate. Imbarazzante -ma non potendo esercitarmi sulle persone non riesco a controllarlo con loro.
-e non... non è la stessa cosa?
Scossa la testa -sarebbe troppo facile. Quando distruggo qualcosa lo distruggo e basta. Quando lo faccio su una persona assorbo anche le sue energie e mi fortifico, per cui è più... non so come dire. Spontaneo?- cominciò a giocherellare con le proprie dita -cioé distruggendo qualcosa non mi cambia niente, mentre con qualcuno ci guadagno, capisci cosa intendo?- Antonio annuì -quindi il mio istinto mi spinge a farlo di più ed è più difficile trattenerlo. Se toccassi qualcuno direttamente, senza niente in mezzo, non riuscirei minimamente a controllarlo, e anche toccando solo i vestiti farei fatica.
-sicuro?
-sicurissimo. Anche adesso sto facendo uno sforzo cosciente per non toccarti e non rubarti le energie, e prima, con i due idioti e il crucco, facevo ancora più fatica, ma alla fine mi basta stare a distanza. Ma se...- scosse la testa -non avrei il minimo controllo. Per imparare a farlo dovrei fare tantissimo esercizio e... be' , non posso farlo senza ammazzare della gente. Quindi amen.
-mh...- Antonio si morse il labbro -non capisco.
-cosa? La storia del controllare il...?
-no, non quello- esitò -io ti ho toccato, Lovi.
-impossibile. Saresti morto.
-ma l'ho fatto. E a lungo.
-no. Non è vero, sono sempre stato attento a...
-dormivi- lo interruppe -la notte scorsa. Faceva freddo e tremavi, così ho pensato di abbracciarti. La mattina mi sono svegliato prima e sono tornato al mio posto. Non... Romolo non mi aveva parlato del tuo potere, mi aveva solo detto di stare molto attento a non toccarti. Pensavo fosse solo un motivo psicologico, un trauma di qualche tipo.
-cosa...- gli fischiavano le orecchie. Istintivamente si allontanò leggermente da lui -non è possibile. Forse per una botta di culo hai toccato solo i vestiti.
Antonio arrossì -no. Ti ho preso la mano, sono sicuro.
-no. Saresti morto. Devi essertelo sognato.
Scosse la testa -non l'ho sognato. Mi sono svegliato che eravamo ancora così, ti eri anche girato verso di me nel sonno.
-che...
-c'è un modo per scoprire se l'ho sognato o no- sollevò la mano verso di lui e lo guardò, dandogli i suoi tempi per decidere cosa fare. Molto lentamente, Lovino allungò la mano verso la sua. Non voleva fargli male, ma la curiosità lo stava uccidendo. E forse...
Posò la punta dei polpastrelli sui suoi e chiuse gli occhi, in attesa. Non successe nulla. Niente. Non sentiva niente: né l'istinto di ucciderlo né la sua energia. Semplicemente il nulla. Riaprì gli occhi, trovandosi davanti il sorriso di Antonio.
-visto?
-ma non... non ha senso. Se lo facessi a qualcun altro morirebbe.
-forse ce l'ha- intrecciò le dita con le sue -ci ho pensato prima, dopo che hai distrutto la porta, e penso sia legato al mio potere. Assorbo le energie negative che dovrebbero rendermi cenere e le rendo energia per me. Tu assorbi quella, ma visto che è fatta della tua stessa energia non ti dà niente in risposta. Percepisco qualcosa in effetti, se mi concentro sento il tuo potere, ma non mi fa niente.
Lovino rimase in silenzio per un po', elaborando le sue parole.
Poteva toccare qualcuno. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime e liberò le loro mani per abbracciarlo di slancio. Scoppiò a piangere. Non abbracciava qualcuno da... neanche lo ricordava. Antonio lo strinse e prese ad accarezzargli la schiena dolcemente, sussurrandogli qualche parola di conforto. E non successe niente: niente energia, niente urla, niente di niente. Lovino chiuse gli occhi e, per qualche secondo, si sforzò di immaginare di essere un ragazzo normale, senza poteri, senza niente di strano. Solo un normalissimo diciassettenne che abbracciava un altro essere umano, senza ferirlo, senza ucciderlo. Solo un abbraccio.
-stai bene- mormorò, tatuandosi quelle parole in testa. Gli faceva strano toccare qualcuno, l'abitudine gli diceva di allontanarsi e scappare, ma la mise a tacere con quel sussurro.
Nonostante non fosse una domanda, Antonio annuì -sto bene.
Singhiozzò di nuovo e si lasciò andare tra le sue braccia, come se quella stretta dovesse rimettere insieme tutti i cocci e le crepe, tutte le ferite che aveva subìto.
-va tutto bene- aggiunse con tono gentile. E Lovino si sforzò di crederci davvero.

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Capitolo 4
*** Capitolo tre ***


Gli ci vollero diversi minuti, ma alla fine riuscì ad allontanarsi da quell'abbraccio. Antonio sorrideva come sempre, ma aveva una luce strana negli occhi. Gli scostò una ciocca di capelli dal viso, sistemandogliela dietro l'orecchio.
-ecco- annuì, soddisfatto -è tutto il giorno che ce l'avevi messa male.
-potevi dirmelo- replicò piano, a bassa voce.
Antonio alzò le spalle -volevo farlo io.
Lovino si ritrovò ad arrossire. Quello era un gesto... intimo in qualche modo. Si schiarì la voce e decise di cambiare argomento, prima che la situazione diventasse imbarazzante.
-d-dovrei tornare dal nonno e da Feli... saranno preoccupati.
Antonio annuì e si alzò -ti accompagno- gli porse la mano per aiutarlo ad alzarsi. Lovino esitò, ma per una volta decise che sì, poteva accettarla. Gliela prese e, una volta in piedi, ci mise un po' a ritornare saldo sulle sue gambe.
-tutto bene?
-sì, certo. Andiamo?
Non si sarebbe mai orientato in quel posto, ne era sicuro. Troppi corridoi tutti uguali, troppe porte identiche.
Raggiunta la porta dello studio del nonno, Lovino sentì suo fratello parlare attraverso la porta socchiusa.
-dobbiamo andare a cercarlo, ve! Potrebbe perdersi o sentirsi male e...
-calmati- il tono del nonno era fermo -gli è andato dietro Antonio, lo terrà d'occhio lui.
-dovevamo andare con lui!
-no. Vederci potrebbe farlo peggiorare. Aspettiamo che torni da solo, con i suoi tempi.
-ma...
-lo so che hai buone intenzioni- la sua voce era più dolce adesso, rassicurante -ma devi essere paziente. Sono preoccupato anche io, ma potremmo peggiorare la situazione.
In quel momento, Lovino si decise a bussare. Gli aprì Feliciano, che gli sorrise e fece per abbracciarlo, bloccandosi a metà strada con una smorfia abbattuta e arretrando in fretta. Il maggiore dei due fratelli entrò nello studio, seguito da Antonio.
-scusate per...- tossicchiò -per prima.
-non c'è problema- lo rassicurò il nonno con tono gentile -ora stai meglio?- Lovino annuì -bene. Vuoi andare a riposare per un po'?- scosse la testa -okay. Grazie Antonio, ora puoi andare.
-ehm... veramente...- lo spagnolo lanciò un'occhiata al suo ex compagno di cella, chiedendogli in silenzio il permesso. Lovino annuì -abbiamo, uhm, scoperto una cosa.
-riesco a toccarlo senza ucciderlo.
Feliciano sgranò gli occhi, ma Romolo annuì come se se lo aspettasse.
-ci speravo.
Antonio lo guardò incuriosito -è per questo che hai mandato me in missione?
-per questo e perché eri uno dei pochi volontari.
Lovino sentì il cuore battere più forte. Antonio si era offerto volontario, non lo avevano costretto... per quale fottutissimo motivo la cosa lo rendeva così felice?
-ve, aspettate, non sto capendo.
Antonio glielo spiegò brevemente. Feliciano aggrottò la fronte.
-ve, non è che il fratellone ha solo imparato a controllarlo?
Lovino scosse la testa -magari.
-proviamo.
-neanche per sogno.
-dai, fratellone. Solo un secondo, con la punta delle dita.
-no. Non metterò a rischio nessuno per un esperimento idiota che so già che fallirà in partenza.
-piuttosto- intervenne Romolo -potresti approfittarne per allenarti con le persone. Tanto Antonio non sente nulla, no?
-n-non lo so- sembrava troppo. Se avesse funzionato, avrebbe potuto vivere come una persona normale. Abbracciare la sua famiglia, stare con altre persone senza la costante paura di ferirli o peggio... sembrava chiedere troppo -se lui vuole...
-certo- rispose Antonio, un po' troppo in fretta. Sembrava un bambino di fronte a un negozio di caramelle. Feliciano aveva la stessa espressione.
-bene. Domani ne riparliamo, ora è tardi. Si cena alle otto e mezza. Feliciano, puoi accompagnare tuo fratello in camera sua? Devo parlare un attimo con Antonio.
-certo!- trotterellò fuori, contento. Lovino lo seguì, chiudendosi la porta alle spalle.
-allora...- artigliò l'aria con le mani, cercando qualcosa da dire -che mi dici? Com'è la vita qui?
-ve, niente di che. Ognuno ha un compito da svolgere. Alcuni, come Antonio, Gilbert e Francis, escono per andare a derubare dei magazzini della Restaurazione per procurarsi provviste eccetera eccetera- sembrava amareggiato.
Il maggiore abbozzò un sorriso -vorresti andarci anche tu, vero?
-ve sì, ma il nonno non me lo lascia fare. Anche perché possono andarci solo i maggiorenni.
-quindi che fai?
Feliciano gemette frustrato -le pulizie.
Lovino trattenne una risata -be', ti rendi utile.
-ve sì, ma vorrei fare qualcosa di più...- si mise a gesticolare -figo, emozionante...
-e, uhm, hai un potere anche tu, no?
Feliciano annuì e tornò a sorridere -posso creare qualcosa solo disegnandolo.
-che figata.
-lo so! Ve ve, qualche giorno fa ho disegnato un gattino e quello è uscito dal foglio, anche se era a 2D e sembrava solo che lo avessi ritagliato. Si è mosso! Mi ha annusato un po', mi ha dato un bacino ed è tornato sul foglio.
Lovino era a bocca aperta -cioé tu hai... creato la vita?
Feliciano aggrottò la fronte -credo di sì. Però è molto faticoso e devo disegnare quel qualcosa nei minimi particolari. Sto ancora imparando a usarlo.
-potenzialmente potresti fare qualsiasi cosa, te ne rendi conto? Potresti procurare cibo per tutti qui dentro, e anche l'acqua e...
-ci ho provato, ve, ma sa di cartone e non sfama per niente.
-oh. Be' però tutto il resto lo puoi creare. I vestiti, le armi...
-ve sì, ma è molto faticoso. Ora come ora per creare un oggetto mi ci vogliono diversi giorni, e dopo averlo finito mi viene un gran sonno e dormo per tutto il giorno successivo.
-ah... capisco.
Feliciano si morse il labbro -ve, però... a volte ho dei picchi di energia improvvisi e... e succedono cose strane. Tutto ciò che penso diventa reale e più cerco di non pensare a nulla più continuano a spuntare cose e... iniziano a vorticarmi intorno finché non svengo, e quando mi sveglio... puff. Tutto sparito. Forse sono solo sogni, non lo so, di solito quando succede sono solo.
-mh... il nonno lo sa?
Scosse la testa -no, ve, ha già troppe cose per la testa.
-lo sa qualcun altro?
-solo Luddi e Kiku.
-chi?
-Luddi è il ragazzo biondo che ti ha accolto qui.
-il crucco?
-lui. E Kiku è un nostro amico, magari a cena te lo faccio conoscere.
-mh. Quindi lo sanno solo questi due- stava cominciando a preoccuparsi. Non aveva la minima idea di cosa fossero quegli attacchi, e non sapere lo innervosiva -e... hanno visto uno di questi momenti?
-no. Ve, fino a ora è successo sempre mentre ero da solo. È capitato... non so, quattro o cinque volte, ma è solo da un anno che succede. La prima volta ero spaventatissimo!
-okay... l'ultima volta quando è successo?
-tre giorni fa, dopo che ho creato quel micetto. L'ultima volta era stata due mesi prima.
-sono regolari?
-no.
-mh... non so che dirti- ammise, imbarazzato.
-non importa, ve. Volevo solo parlartene- gli sorrise e Lovino si trattenne a stento dal spettinargli i capelli, come faceva quando erano piccoli. Poi Feliciano gli rivolse un sorriso malizioso -quindi... Antonio ti può toccare ve?
Per qualche assurdo motivo si sentì arrossire -sì. Quindi?
-quindi... che avete combinato? A me lo puoi dire, ve, non sono il nonno, non castrerò il tuo ragazzo.
A quel punto Lovino era logicamente rosso come un pomodoro troppo maturo -ma che cazzo dici?! Ti sei fumato il cervello? Non stiamo insieme!
-oh... non pensavo fossi il tipo da rapporti occ...
-neanche quello! Ma che ti salta in mente? Siamo solo amici.
-ah...- rimase in silenzio per un po', dando il tempo al fratello di ritornare a un colorito normale. Poi parlò di nuovo -peccato, sareste una bella coppia.
E Lovino rinunciò a mantenere il sangue lontano dalla faccia -Feli ma che cazzo dici?!
Quello ebbe la faccia tosta di scoppiare a ridere -ve, stavo scherzando! Dovevi vedere la tua faccia, fratellone, sembrava ti avessero messo davanti un topo morto.
-sei un idiota. Stare senza di me ti ha fatto male.
Rise di nuovo, poi si fermò davanti alla porta della camera di Lovino -siamo arrivati.
-oh. Okay- rimasero fermi lì per un po', a disagio -dov'è che si mangia? Lì?- indicò con un cenno del capo la porta della cucina. Feliciano scosse la testa.
-no, lì cucinano e basta. La mensa è di lì- indicò un corridoio più là -poi devi girare a destra, andare avanti e alla seconda porta girare a sinistra.
-eh?
Feliciano rise -ti vengo a prendere?
-meglio. Questo posto è un labirinto.
-dopo un po' impari a orientarti.
-se lo dici tu.
Feliciano sembrò ricordarsi all'improvviso di qualcosa -ve, devo andare! A dopo fratellone- e corse via.
Lovino scosse la testa divertito e si chiuse nella sua stanza. Controllò l'ora e, visto che mancava poco più di mezz'ora alla cena, decise di dare un'occhiata alla sua nuova libreria. La Restaurazione aveva abolito la maggior parte dei libri, ma erano facili da trovare di contrabbando. Era evidente che quelli fossero stati scelti o da Feliciano o da Romolo, solo loro due potevano conoscerlo così bene da indovinare tutti quei titoli. C'erano al massimo una decina di libri, ma erano tutti autori che da ragazzino aveva amato, più altri che probabilmente avrebbe apprezzato. Annuì soddisfatto, ma quando si mise a leggerne uno si rese conto che non era decisamente nell'umore. Si distraeva di continuo e perdeva il filo ogni due secondi, quindi ci rinunciò e si sdraiò sul letto per riposarsi un po'. Sorrise divertito ripensando alle lezioni di suo nonno per insegnare a lui e a Feliciano a leggere e a scrivere, perché le maestre della scuola fatiscente dove andavano erano, a suo dire, delle incapaci, e tutti i torti non li aveva. Quando era in gabbia, per non dimenticare come si faceva, con il dito incideva delle frasi a caso sul pavimento e sulle pareti e le rileggeva quando c'era abbastanza luce. Ad Antonio si era giustificato dicendo che quelle scritte erano già lì quando era arrivato, ma in realtà quel trucchetto gli era servito parecchio. Come prima cosa aveva inciso tutte le lettere, poi i numeri, compresi quelli romani. Non era stato difficile con il potere che si ritrovava, e lo aveva aiutato anche a controllarlo meglio. Poi aveva cominciato a scrivere frasi e discorsi. Quando era arrivato Antonio aveva dovuto smettere, ma spesso rileggeva qualcosa cercando di non farsi notare. Certo era che con un compagno di cella aveva avuto meno bisogno di distrazioni. Quando era da solo cercava continuamente di trovare dei passatempi per tenersi impegnato: scrivere, ripetere a memoria qualcosa che ricordava, come canzoni o passi di libri, fare discorsi ad alta voce, usare i vestiti vecchi per creare degli affari non ben definiti... se non lo avesse fatto, di sicuro sarebbe impazzito. Con qualcuno con cui parlare, invece, era stato tutto più semplice. Certo, Antonio spesso era un idiota con la I maiuscola, ma tutto sommato era sopportabile, e dopo anni di solitudine anche un cane sarebbe stato un miracolo. Dopo appena due mesi, Lovino si sentiva come se lo conoscesse da una vita. Ripensò all'uscita di Feliciano, "sareste una bella coppia", e si sentì arrossire. Che stronzata. Si ricordò all'improvviso della domanda del mangialumache, "ti piacciono i ragazzi?", e se lo chiese sul serio. Insomma, di solito certe cose si capivano durante l'adolescenza, ma lui non ne aveva mai avuta una vera e propria. Se lo era chiesto durante la prigionia, ma aveva sempre accantonato quelle domande in un angolino della sua testa con un "tanto morirò qui dentro, quindi sticazzi", ma per una volta decise di non farlo. Ormai era fuori, forse avrebbe potuto avere una vita... normale, quindi valeva la pena chiederselo davvero. Chissà, forse sì. Per qualche ragione assurda gli tornò in mente Antonio. Mh... no dai, non poteva piacergli. Probabilmente stando tanto con lui i suoi ormoni erano partiti per la tangente, ma non doveva dare loro troppo potere. Se davvero fosse stato attratto da lui, sarebbe stato un casino. C'erano altre priorità. Forse quelle... quell'idea del nonno avrebbe funzionato. Doveva concentrarsi su quello. Al resto ci avrebbe pensato un'altra volta. Erano nel bel mezzo di una dittatura, lui era un ricercato che non poteva toccare nessuno senza ucciderlo e probabilmente ci sarebbe stata una guerra a breve. C'erano cose ben più importanti dei sentimenti.
In quel momento sentì bussare alla porta. Controllò l'orologio e si accorse che erano già le otto e mezza. Cazzo, aveva perso la cognizione del tempo. Si alzò e andò ad aprire, ritrovandosi davanti suo fratello, sorridente.
-andiamo a cena, fratellone?
Lovino annuì, si chiuse la porta alle spalle e lo seguì fino alla mensa, cercando di imprimersi almeno quel percorso. Sì insomma, anche mangiare era una priorità non da poco. Quando entrarono, si ritrovò circondato da almeno un centinaio di persone. Ognuno parlava, rideva, mangiava, facendo un rumore della miseria. Non era più abituato a quelle cose, per questo esitò un secondo sulla porta, mordendosi il labbro. Feliciano si voltò verso di lui, preoccupato.
-tutto bene, fratellone?
-ehm...- si accorse in quel momento di qualcuno che lo chiamava agitando il braccio. Antonio. Deglutì e raddrizzò la schiena -sì, tutto bene.
-ve, okay...- dopo aver preso da mangiare, il minore lo guidò verso un tavolo in fondo, dove, oltre ad Antonio, c'erano i due idioti di prima, il crucco e un ragazzino orientale, basso e taciturno, un po' inquietante. Questo lo squadrò da capo a piedi e annuì verso il crucco.
-tutto a posto, Ludwig-san.
-ehm... ciao- si sedette affianco a suo fratello e abbassò lo sguardo sul suo piatto. Non era granché, ma di sicuro era meglio dello schifo che gli rifilavano in cella.
Si riscosse quando sentì la risata di Antonio.
-stai pensando a quello a cui sto pensando io?
Abbozzò un sorriso -la sbobba da prigione? Sì. Non la dimenticherò mai. Tremenda.
-ve, Kiku, cosa intendevi con "tutto a posto"?- intervenne Feliciano.
-ho controllato che tuo fratello non avesse cimici o microtrasmettitori, Feliciano-san.
Lovino aggrottò la fronte -con gli occhi?
Quello annuì e fece un breve inchino verso di lui, per quanto il tavolo lo permettesse -sì, Lovino-san. Mi chiamo Kiku Honda, mi scuso per non essermi presentato prima. Ho dei poteri legati alle tecnologie, per questo sono in grado di rilevare dispositivi elettronici di ogni tipo con lo sguardo.
-oh- alzò le spalle -okay. Io sono Lovino.

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Capitolo 5
*** Capitolo quattro ***


Sì, doppio aggiornamento. Questo doveva essere un capitolo unico con il terzo, ma sarebbe venuto lunghissimo. Quindi... ecco a voi!

Lovino sapeva di essere osservato. Per tutta la cena si sentì addosso lo sguardo di tutti. Forse era semplicemente dovuto al suo "essere il nuovo arrivato", forse perché era il nipote di Romolo, o forse perché sapevano del suo potere e stavano cercando di capire se fosse una minaccia o meno.
-il nonno ha detto a tutti di... del mio potere?- sussurrò a suo fratello, che annuì.
-ve sì.
-mh...- non c'era da sorprendersi se lo guardavano male. Forse si aspettavano che saltasse in piedi all'improvviso e cercasse di farli fuori uno ad uno, o che si mettesse a urlare come un pazzo. Sarebbe stato divertente vedere le loro facce, ma non aveva intenzione di rendersi ridicolo.
Un ragazzo, il più coraggioso o il più stupido, ebbe l'ardire di avvicinarsi per parlargli.
-hello, dude! Io sono Alfred e questo è mio fratello Matt- solo in quel momento Lovino si accorse di un altro ragazzo, quasi identico al primo, poco più indietro. Alfred era leggermente più basso, aveva la pelle più abbronzata, gli occhi azzurri invece che violetti e i capelli più scuri e corti, ma per il resto erano uguali: stessi capelli biondi, stessi lineamenti. Il secondo, però, sembrava molto più tranquillo.
-sono Matthew veramente- pigolò a bassa voce.
-Lovino- a un'occhiataccia di suo fratello si costrinse a continuare -piacere di conoscervi.
-sei praticamente un mito qui dentro- continuo Alfred, con gli occhi luccicanti -di' è un po', è vero che sai distruggere le cose toccandole?
Strinse i denti -già.
-che figata! Vorrei saperlo fare io.
-certo, è una figata essere un fottuto pericolo pubblico e non poter toccare nessuno senza ucciderlo. Davvero figo.
Alfred non sembrò prendersela, si fece solo pensieroso -in effetti... ma si sa, dietro a ogni grande potere c'è una grande responsabilità!
-eh?
-scusatelo, è in fase supereroi- intervenne Matthew. Francis ridacchiò.
-mon petit, tuo fratello è in fase supereroi più o meno da quando è nato o sbaglio?
Matthew alzò le spalle con un leggero sorriso -non hai tutti i torti.
-comunque vi sta chiamando Arthùr- aggiunse il francese, con un cenno del capo verso il tavolo da cui venivano i due biondi, dove un altro biondo, ma con occhi verdi e sopracciglia enormi, faceva cenno ai due di tornare al tavolo con aria arrabbiata.
-shit, Matt dici che si è accorto che gli ho messo il sale al posto dello zucchero nel tè?
-se lo avesse fatto saresti già morto- replicò quello in tono gentile. Salutò con una mano il loro gruppo e poi tornò al suo tavolo con il fratello.
Feliciano si voltò verso suo fratello con un piccolo sorriso -vedi? Hai fatto amicizia.
-amicizia? Ci siamo a mala pena parlati- alzò le spalle e riprese a mangiare come se niente fosse.
-è un passo in avanti- replicò Feliciano, e Antonio concordò con un cenno del capo.
-bah, se lo dite voi.
Anche prima dell'incidente, non era mai stato uno molto sociale. Era Feliciano quello pieno di amici, lui per lo più se ne stava per conto suo a leggere. Non ci capiva granché in fatto di amicizia, aveva sempre avuto paura del giudizio degli altri e allo stesso tempo non gliene era mai fottuto nulla. Stando nella sua cella si era rassegnato e si era detto che, alla fine, se al mondo non fregava un cazzo di lui, perché a lui doveva fregare qualcosa del mondo?
-ve, dopo cena noi ragazzi stiamo un po' in sala comune a chiaccherare. Vuoi venire, fratellone?
Esitò un secondo, poi scosse la testa -forse un'altra volta, sono un po' stanco.
Feliciano sembrò deluso, ma annuì -okay, fratellone.
-neanche io vengo- intervenne Antonio -è stata una giornata difficile per entrambi.
Feliciano sembrò più tranquillo, come se così fosse stato più sicuro che quella non fosse solo una scusa -domani però venite?
Antonio rispose per entrambi -certo.
Lovino voleva replicare, ma vedendo il sorriso smagliante del suo fratellino non riuscì a non annuire, pentendosene subito dopo. Odiava le folle, non ci teneva a restare in un angolino per tutta la sera mentre gli altri si divertivano. Bah.
Finita la cena, durante la quale se n'era stato per lo più zitto, salutò suo fratello e gli altri e seguì Antonio fuori dalla mensa.
-che ti ha detto il nonno?
-eh?
-quando io e Feli siamo andati via. Il nonno ha detto che voleva parlarti.
-ah, giusto- Antonio si infilò le mani nelle tasche dei jeans -mi ha chiesto di fare delle... tipo lezioni per aiutarti a controllare il tuo potere. Ci ha assegnato una stanza per farlo.
-mh.
-se te la senti partirei già da domani.
-okay.
-okay. Ti vengo a svegliare per le otto.
-okay.
-okay.
Rimasero in silenzio per un po', poi lo spagnolo ridacchiò.
-come sta andando con Feliciano?
Scrollò le spalle -non ci vediamo da anni. Ci vorrà un po' per... tornare come prima, sempre che sia possibile. È cresciuto e... be' sono cambiato anch'io. Mi sembra che si aspetti qualcosa che però non sono o non sono più.
Antonio annuì -penso ci voglia solo un po' di tempo.
-lo spero.
-e... come ti senti?
-in che senso?
-per tutto questo. Tuo nonno, la fuga, il fatto che possiamo toccarci...
-onestamente non mi sembra vero. È tutto troppo bello.
-dopo tutto quello che hai passato ti meriti un po' di tranquillità.
-pff. Quando mai ognuno ha ciò che si merita?
Antonio alzò le spalle, sorridendo appena. Poi si fermò davanti alla porta della sua camera -allora a domani.
-a domani.
Rimasero lì in silenzio per un po', poi Antonio allargò le braccia -vuoi un abbraccio?
Lovino non era mai stato un amante del contatto fisico. Non aveva mai amato gli abbracci, li considerava un'invasione del suo spazio personale. Ma dopo tanti anni solo senza poter toccare nessuno, sfido chiunque a rifiutare un minimo di conforto.
Così annuì e si lasciò stringere, sospirando per quel calore così estraneo e familiare allo stesso tempo. Sentì gli occhi inumidirsi ancora, ma ricacciò indietro le lacrime.
-a domani- si allontanò da lui ed entrò in camera senza neanche aspettare una risposta.
Si sentiva strano... c'era un formicolio strano alla bocca dello stomaco, un lieve rossore sulle guance, un sorriso infame che non voleva scollarsi dalla sua faccia.
Scosse la testa con forza, non doveva farsi distrarre. Era solo stanco.
Prese una maglietta malconcia dall'armadio e un paio di pantaloni di una vecchia tuta e decise che li avrebbe usati come pigiama. Dopo essersi cambiato andò in bagno per lavarsi i denti e si prese qualche minuto per osservarsi allo specchio. I capelli castani, leggermente più scuri di quelli di Feliciano, erano un caschetto spettinato e andavano oltre le spalle, avrebbe dovuto farseli tagliare. Gli occhi verdognoli che gli restituivano lo sguardo erano più stanchi, più maturi in qualche modo, e c'era qualcosa di più freddo e attento nel modo in cui osservavano le cose, come se avesse paura che qualsiasi cosa, dal colluttorio al lavandino, potesse attaccarlo, e allo stesso tempo quasi lo sperasse. Era cresciuto in quegli anni, ma non era cambiato tantissimo. Un tempo aveva la pelle abbastanza abbronzata, ma ora era smunta e smorta, cosa piuttosto prevedibile. Aveva le labbra secche e screpolate. Il suo fisico, sempre stato mingherlino, ora era proprio scheletrico per via del malnutrimento. Nel complesso sembrava mezzo morto, e non è che non se lo fosse aspettato. Insomma, dopo anni di prigionia... era messo fin troppo bene.
Però, quando aprì la bocca, si rese conto che aveva dei denti quasi perfetti. Niente carie, niente denti marci... come diamine era possibile? Mica se li era potuti lavare.
A pensarci bene, non si era mai ammalato, neanche un raffreddore, e in quella cella c'era un'umidità da spavento e dubitava ci fossero delle condizioni sanitarie decenti.
Strano... forse suo nonno aveva una spiegazione. Alzò le spalle, si lavò i denti e si buttò nel letto. Dubitava che avrebbe dormito molto, aveva troppe cose a cui pensare e troppe domande, e invece si addormentò come un ghiro non appena ebbe posato la testa sul cuscino.

Fu svegliato da un bussare insistente e una voce allegra che lo chiamava.
-Loviiii. Sono Antonio, aprimi.
Si rigirò con un mugugno e si premette il cuscino sulle orecchie. Quel letto era così comodo...
-Lovinoooooo.
-fottiti- sbuffò alla porta, nascondendosi sotto le coperte.
Antonio ebbe la faccia tosta di scoppiare a ridere -dai, alzati, è tardi.
-tua madre- mugugnò contro il cuscino. Poi sbuffò e in qualche modo trovò la forza di alzarsi. Aprì la porta, fregandosene del fatto che fosse ancora in pigiama, e fece entrare lo scocciatore.
-buongiorno! Dormito bene?
-sì, e volevo continuare- sbuffò -come diamine fai a sorridere appena sveglio?
-sono fantastico.
Roteò gli occhi, prese dei vestiti comodi dall'armadio e si diresse in bagno -dammi due minuti.
-certo.
Mentre aspettava che si preparasse, Antonio diede un'occhiata alla stanza. Non era male, aveva persino una piccola libreria. Osservò i libri e trattenne a stento un sorriso. Diversi tra quelli erano delle storie d'amore. Certo, non parlava l'italiano, ma somigliava abbastanza allo spagnolo per farglielo capire. Aw, Lovinito era un romanticone quindi. Buono a sapersi.
Lovino uscì dopo qualche minuto, leggermente più sveglio. Scagliò il pigiama sul letto e lanciò un'occhiata stranita verso Antonio.
-che minchia fai, bastardo?
-davo un'occhiata ai libri- rispose, cercando di non fargli intendere nulla di particolare.
Lovino lo studiò un altro secondo, poi scrollò le spalle -bah.
-andiamo a fare colazione?
-mh. Ce l'hanno il caffé?
-se non ce l'avessero questo posto sarebbe già stato raso al suolo.
-allora okay.

Il caffé che avevano lì faceva schifo, ma almeno teneva svegli. Lovino se ne bevve tre tazze, l'equivalente di un espresso italiano normale. Ancora ricordava quelli che preparava il nonno, talmente forti che ti sturavano le orecchie. Dopo una breve colazione (per fortuna non c'era tanta gente quanta ce n'era stata a cena la sera prima), seguì Antonio fino a una stanza poco più grande della sua camera da letto, ma piena di cianfrusaglie. Lo spagnolo sembrò imbarazzato.
-tuo nonno mi ha chiesto se nel frattempo potevi liberarti di queste. Come lavoretto domestico...
Lovino alzò le spalle. Poteva andargli peggio. Meglio quello di pulire i cessi, almeno non doveva faticare -certo, nessun problema.
-bene- sembrò sollevato. Ridacchiò -avevo paura ti offendessi.
L'italiano alzò le spalle -meglio questo che qualche qualcosa di terribile come il bucato.
-giusto. Allora, ehm...- allungò la mano verso di lui -cominciamo?
Lovino annuì e gliela strinse, chiudendo gli occhi. Cercò di percepire la sua energia, la forza distruttiva che passava dalla sua mano a quella di Antonio, e immaginò di bloccarla. Non successe niente. Riaprì gli occhi.
-hai sentito qualcosa di...?
-no. Uhm, forse è leggermente diminuita- ma sembrava lo stesse dicendo più per rassicurarlo. Dopo un'altra decina di tentativi, Lovino strinse i denti, gli mollò la mano e sfogò la sua rabbia contro un vecchio mappamondo, che divenne un mucchietto di cenere. Inspirò profondamente e si voltò verso Antonio -continuiamo.
Alla fine distrusse tutto quello che c'era da distruggere in meno di un'ora, e per il resto del tempo la rabbia trattenuta non fece altro che peggiorare la situazione. Era sempre stato molto facile alla rabbia, penso si sia notato. Secondo Antonio fece un leggero miglioramento, ma non ci credeva granché.
-dai, ci vuole tempo- lo rassicurò il più grande mentre andavano a pranzo.
Lovino si imbronciò. Sì, ci aveva messo tempo per imparare a controllarsi sugli oggetti, ma ogni volta che falliva tendeva a distruggere tutto quello che si trovava davanti. Per questo lo avevano spostato più volte di cella, fino a una dove non avrebbe potuto distruggere quasi niente. Già, la pazienza non era mai stata una sua virtù. Tendeva a prendersela fin troppo per ogni fallimento. Antonio si fermò nel bel mezzo del corridoio e gli strinse le mani con un sorriso dolce.
-non preoccuparti, Lovi. Ce la farai, hai solo bisogno di provarci ancora.
Sentì le guance farsi incandescenti, ma annuì, chinando la testa per sfuggire al suo sguardo. Si allontanò da lui e si schiarì la voce -il pranzo.
-oh. Giusto- c'era qualcosa di strano nel suo sorriso, notò Lovino, ma era troppo imbarazzato per chiedere o cercare di capire cosa fosse. Il resto del tragitto lo passarono in silenzio.

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Capitolo 6
*** Capitolo cinque ***


Due settimane dopo non era cambiato molto.
L'imbarazzo iniziale con Feliciano e suo nonno era quasi del tutto scomparso, e ora ridevano e scherzavano più o meno come prima. Anni di lontananza non si risanavano certo in qualche giorno, ma stavano facendo progressi, a piccoli passi. Forse era migliorato un po' durante le... come le chiamava suo nonno? Lezioni? Allenamenti? Vabbé, quando stava con Antonio. La cosa che più lo inquietava era quanto quello spagnolo lo conoscesse bene. Paradossalmente gli sembrava che lo conoscesse meglio lui di suo nonno e suo fratello, e in effetti dopo due mesi chiuso in una cella con una persona impari a conoscerla per bene. Sembrava capire sempre cosa gli passasse per la testa, e anche Lovino spesso sapeva cosa stesse per dire o fare l'altro prima che lo facesse. E poi quel fottuto spagnolo sembrava non avere il minimo senso del pudore o dello spazio personale: non si faceva il minimo problema ad abbracciarlo, a prendergli la mano, a dargli baci innocenti sulle guance o sulla fronte o, in generale, a invadere il suo spazio e a essere imbarazzante. Bah.
Grazie a lui fece più o meno amicizia con una ragazza di nome Belle e suo fratello Holland durante le "serate tra ragazzi", come le aveva chiamate Feliciano. Essenzialmente circa trenta adolescenti si radunavano in una specie di sala comune e parlavano, cantavano, qualcuno beveva anche, e in generale facevano finta di essere ragazzi normali. Feliciano gli presentò il tizio con le sopracciglia giganti, Arthur, che sembrava essere una persona quasi razionale, e qualche altra persona di cui dimenticò il nome in fretta. Durante quelle serate per lo più se ne stava in disparte, chiaccherava con qualcuno dei suoi "amici" o cercava di sfuggire dagli agguati di Antonio e dei suoi amici idioti, che cercavano di fargli qualche scherzo o di trascinarlo a cantare o a ballare con gli altri, cosa che non avrebbe fatto neanche morto. Ogni tanto Romolo, con un sorriso bonario della serie "sono ragazzi", veniva a controllare che nessuno fosse morto, svenuto o eccessivamente ubriaco. Bah.
Un pomeriggio Feliciano si offrì di tagliargli i capelli, visto che lo vedeva sempre lamentarsi della loro lunghezza.
-fammeli più o meno come i tuoi- raccomandò, seduto su una sedia davanti a lui. Feliciano lo rassicurò e si mise a lavoro.
Erano nella camera del minore, che non era tanto diversa da quella del fratello, solo stracolma di disegni e colori sparsi un po' ovunque. Su una delle pareti poi c'era un enorme graffito rappresentante un arcobaleno, e in fondo c'era una nuvoletta bianca fatta di tanti piccoli personaggi in bianco e nero.
-tranquillo, fratellone. Li taglio sempre al nonno e a Luddi- esitò, mordendosi il labbro -a proposito di Luddi...
-mh? Che ti ha fatto?- Feliciano aveva un tocco così delicato che si stava addormentando. Quella notte aveva dormito poco per leggere un libro che lo aveva preso particolarmente, nonostante si fosse promesso di non farlo. Era davvero un coglione.
-ve niente, solo che...
-che...?
-ve, siamo... ehm... stiamo insieme.
Lovino si irrigidì -nel senso...?
-sì.
-ah...- avrebbe fatto brutta figura se avesse strozzato accidentalmente quel crucco maledetto maniaco violentatore di fratelli minori? -ti... ti tratta bene?
-tanto. Lo amo, fratellone, non prenderla male per favore.
-mh...- cazzo, non poteva dirgli di no, non quando aveva quel tono da cucciolo bastonato -be', buon... buon per te? Cosa si dice in queste situazioni?
Feliciano lo abbracciò, posando le braccia sopra le sue spalle coperte dalla maglietta e da un asciugamano, attento a non toccarlo. Per precauzione Lovino aveva insistito che si mettesse anche dei guanti e le maniche lunghe fino ai polsi -grazie fratellone!
-ehm... prego. Ora potresti spostare queste forbici? Sono un po' troppo vicine alla mia faccia.
-ah, ve, scusa- con una risata imbarazzata si rimise dritto e riprese a tagliargli i capelli.
Quella notte a Lovino sorse un dubbio esistenziale. Come si faceva a capire se ti piaceva qualcuno? Feliciano aveva detto di amare il crucco, ma come faceva a saperlo? Insomma, aveva letto tante storie d'amore, ma nessuna lo spiegava davvero. Per lo più era il ragazzo a dichiararsi alla ragazza, ma lui... be', ormai era piuttosto sicuro di essere gay. Quindi che fare? Cioé, se anche gli fosse piaciuto qualcuno, non avrebbe potuto toccarlo, a meno che non si fosse trattato di...
Si sentì arrossire. Nascose il viso nel cuscino.
Aveva decisamente bisogno di dormire. Forse dopo lo avrebbe chiesto ad Antonio.

La mattina seguente, però, Antonio non c'era. Al suo posto c'era una ragazza poco più bassa di Lovino, con dei lunghi capelli castani legati in una treccia e l'espressione seria e scocciata.
-sei in ritardo- decretò lapidaria.
-scusa- di solito veniva Antonio a svegliarlo e ad assicurarsi che non tornasse a dormire dopo la sveglia. Cosa che quella mattina aveva fatto senza pensarci due volte.
Aveva già visto quella ragazza, una di quelle sere. Forse era un'amica di Gilbert? O di Feliciano? Non se lo ricordava.
-dov'è Antonio?
-oggi è uscito con gli altri per recuperare un po' di provviste- spiegò quella brevemente -quindi ci sono io. Tuo nonno ha deciso che devi imparare a difenderti, e io qui dentro sono la migliore nel combattimento. Mi chiamo Elizabeta.
-uhm, non c'è un problema di fondo?
-in che senso?
-cioé... nel corpo a corpo non è previsto del contatto? Non voglio ucciderti.
Quella roteò gli occhi -certo che non faremo lezione di corpo a corpo. Ti insegno qualche movimento base, a distanza, e poi passiamo alla lotta con i bastoni. Dovrebbe migliorarti i riflessi e farti sudare un po'.
-uhm, okay.
Elizabeta divenne presto la fonte di tutti i suoi peggiori incubi. Definire "estenuante" il suo allenamento sarebbe come definire le cascate del Niagara un fiumiciattolo, o l'Everest un cumulo di pietroline. Per intenderci, dopo appena un'ora Lovino voleva morire. Aveva male a muscoli che neanche sapeva di avere. In quel momento le uniche cose che lo avrebbero salvato da morte certa erano una doccia, il suo letto e una montagna di pasta.
-concentrati- lo rimproverò, dandogli una bastonata sul fianco che di sicuro gli avrebbe lasciato un livido. Lovino trattenne a stento un'imprecazione, arretrò e cercò di farle lo sgambetto con il bastone. Quella schivò così in fretta che non riuscì neanche a toccarla, ma Elizabeta batte le mani -finalmente ti sei dato una svegliata! Cos'è, hai paura di colpirmi perché sono una ragazza?
-sei una stronza, non una ragazza- ribatté. Quella rise.
-allora cerca di far male a questa stronza- e ripartì all'attacco.
Dopo altre due ore si ritenne soddisfatta. Il suono della campanella per il pranzo alle orecchie di Lovino sembrò il canto degli angeli. Stava morendo di fame.
-ah, da oggi io e il tuo ragazzo ci alteneremo. Ti farò lezione il martedì e il giovedì, per il resto ci sarà lui.
-che culo.
Elizabeta ridacchiò tra i baffi, divertita -avevi bisogno di muoverti, ammettilo.
-di muovermi, non di essere preso a bastonate. E comunque Antonio non è il mio ragazzo.
-davvero? Peccato.
Lovino sbuffò -perché lo pensano tutti?
-perché state sempre insieme?
-grazie al cazzo, è uno dei pochi che sopporto e che non ha paura di me.
-uhm. Allora lo pensiamo perché è l'unico che può toccarti?- continuò con un sorrisetto malizioso.
-ma che c'entra?!- era paonazzo, lo sapeva. Maledetta stronza -non significa che stiamo insieme.
-siete stati chiusi in una cella insieme per due mesi, tu lo puoi toccare e non vedevi qualcun altro da anni, lui è un gran bel pezzo di ragazzo, non puoi negarlo, e mi vuoi dire che non c'è stato niente? Proprio niente?
-esatto. E abbiamo scoperto due settimane fa che può toccarmi, ma comunque non c'è stato niente.
-di' un po', hai lasciato gli ormoni in quella cella o cosa?
Lovino roteò gli occhi e si fiondò a prendere il cibo non appena furono arrivati alla mensa, per sfuggire ad altre domande imbarazzanti.

Dopo il pranzo e dopo una bella doccia, mentre era praticamente svenuto nel suo letto cercando di riprendersi, sentì bussare alla porta. Sbuffò.
-se hai intenzione di farmi fare qualcosa oltre mangiare, bere o dormire, fuori dai coglioni.
Antonio entrò ridendo -tranquillo, ti lascio poltrire. Eliza ti ha conciato per le feste eh?
-mi fa male ovunque- mugugnò, girandosi a fatica sul fianco per guardarlo in faccia. Antonio sembrava divertito. Lo osservava appoggiato allo stipite della porta, con le braccia incrociate. Era vestito diversamente dal solito, con una mimetica molto aderente che gli fasciava i muscoli in maniera a dir poco illegale. Lovino tornò a sdraiarsi sulla schiena, con lo sguardo puntato ostinatamente al soffitto.
-entra, coglione. E chiudi la porta, non voglio che vedano il mio dolore.
-sempre educato, Lovi- ridacchiò ancora, obbedendo e sedendosi sul bordo del letto. Gli scostò alcune ciocche di capelli ancora umidi dal viso con dolcezza -me ne vado per una mattina e ti ritrovo mezzo morto. Non ci sai proprio stare senza di me, eh?
-prenditela con Elizabeta- brontolò, mettendosi seduto con un mezzo gemito di dolore -ahia, non mi sento più il culo per quante volte mi ha fatto cadere quella stronza.
Antonio sogghignò -vuoi un bacino sulla bua, così passa tutto?
In risposta gli tirò un cuscino in faccia -zitto, coglione.
Lo stronzo ebbe pure il coraggio di ridere.
-non ho la forza di picchiarti, taci e basta- sbuffò -spero che a te sia andata meglio che a me.
-mh, sì. Siamo riusciti a recuperare più roba dell'altra volta, anche se Gil stava per farsi beccare da una guardia.
-chissà perché non mi stupisce la cosa- roteò gli occhi divertito.
-ed era invisibile. Ce ne vuole per farsi beccare da invisibile- gli sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio -comunque stai bene con questo taglio.
Per qualche assurdo motivo si sentì arrossire -me l'ha fatto Feli.
-è stato bravo.
-mh...- abbassò lo sguardo sulle coperte -Feli mi ha detto una... una cosa.
-cioé?- aveva un tono gentile. Era sempre gentile con lui, per qualche assurda e imperscrutabile ragione.
-che sta con il crucco.
-il c... intendi Ludwig?
-sì.
-ah.
-lo sapevi?
-già. È un po' un segreto di Pulcinella qui dentro.
-mh...
-be', è bello che si sia confidato con te, no?
-credo di sì- rimase in silenzio per un po', poi si disse "o la va o la spacca" -senti ma... come si... cioé... cosa...
-cosa?
-come si... come si capisce se ami qualcuno? Cioé... Feli ha detto di amare il crucco ma non... come fa a saperlo?
-oh. Ehm... intanto ci dev'essere un minimo di attrazione fisica.
-uhm.
-poi... ti deve piacere il carattere. E, uhm... nel senso...- gesticolò un po', cercando le parole. Poi sospirò -quando ami qualcuno vuoi stare sempre con lui, ti manca quando non c'è e...- si schiarì la voce, con le guance rosse -vuoi sempre che sia felice. Se ami davvero qualcuno faresti di tutto per renderlo felice, rischieresti anche la vita per lui.
Lovino aggrottò la fronte -ma è lo stesso che succede con il nonno e Feli, più o meno. Tranne che per l'attrazione fisica- fece una smorfia.
Antonio rise -be', sempre di amore si tratta- era una sua impressione o si era avvicinato? Prima erano più distanti -la differenza è che l'amore romantico è più... cioé ci si bacia, ci si coccola, si fa...- tossicchiò, rosso in viso -ehm, sesso, e, uhm...
-okay, fin lì c'ero arrivato. Ma come lo capisci?
-be', se quando sei con qualcuno ti batte forte il cuore, vorresti stare da solo con lui, vorresti baciarlo e, ehm, fare altro, è probabile che ti piaccia. Se poi ti rendi conto che saresti disposto a tutto, anche a rinunciare a lui, per renderlo felice... è probabile sia amore. Poi stando con quella persona lo capisci meglio.
-mh...- sì, si stava decisamente avvicinando. Qualcosa, una sensazione alla bocca dello stomaco, lo spinse a fare lo stesso. Socchiuse gli occhi, fino a posare la fronte contro la sua. Antonio sorrise, gli prese la mano e se la posò sul petto.
-lo senti?- Lovino sentiva qualcosa muoversi contro i suoi polpastrelli, un battito forte e veloce. Annuì -è colpa tua, querido.
Lo guardò male -che posso farci se hai un cuore cretino quanto te?
Quello rise -che cattivo che sei.
Lovino roteò gli occhi -vabbé, tornando al discorso di prima...
-oh, giusto- si schiarì nuovamente la voce -che stavo dicendo?
-che stai rischiando l'infarto per colpa mia- trattenne a stento un sorriso.
-giusto, giusto, stavo cercando di dichiararmi- tossicchiò -ehm, quindi...
-sei proprio imbaranato- roteò gli occhi e si avvicinò ancora. Esitò un secondo, lo guardò negli occhi, esitando un secondo, quasi per chiedergli se fosse davvero sicuro di volerlo fare, e poi si sporse fino a posare le labbra sulle sue.
Quello era un contatto dolce, delicato, probabilmente la cosa più intima che avesse mai fatto qualcuno. Non intima in senso sessuale, ma nel senso di... profondo. Gli sembrava di starsi aprendo completamente a lui semplicemente baciandolo. Tutte le insicurezze, le paure, i dubbi, le preoccupazioni... tutto allo scoperto, in un modo così dolce da dargli alla testa. Istintivamente rilassò tutti i muscoli, lasciandosi guidare dal più grande. Si fidava, comprese. Per la prima volta in tutta la sua vita si fidava completamente di qualcuno al di fuori dalla sua famiglia. La cosa un po' lo spaventava, ma quel calore lo rassicurava. Era solo Antonio, si disse. Non c'era motivo di avere paura.
Lentamente si separarono, restando comunque molto vicini. Antonio aveva un sorriso stupendo.
-oh...- sussurrò -quindi è a questo che ti riferivi.
Antonio annuì, con gli occhi luminosi, e si sporse per baciarlo ancora, ancora e ancora.

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Capitolo 7
*** Capitolo sei ***


Okay, allora.
Qui cominciano ad essere accennate tematiche più delicate, io vi avverto. Sono solo accenni lievi, ma ve lo dico comunque. Buona lettura.

-non ti stai concentrando.
-e tu non mi stai aiutando a farlo.
-devi imparare a controllarti in ogni situazione.
-tutte scuse.
In teoria erano nella solita stanza a fare le solite cose. In pratica non facevano altro che sbaciucchiarsi da tutta la mattina.
-no, querido. Sono serio.
-allora togli quella boccaccia dal mio collo.
-no.
-sei un bastardo.
-grazie, querido- sollevò il viso e lo baciò, accarezzandogli il fianco.
Erano sdraiati su un tappetino di gomma per gli allenamenti. Lovino era sdraiato sulla schiena, mentre lo spagnolo era sdraiato di lato, girato verso di lui, e si reggeva sul gomito, con l'altro braccio intorno al suo fianco.
-allora ragazzi, come sta and...- sentendo la voce di Romolo, Antonio si allontanò di scatto, come se Lovino fosse stato incandescente, e si rimise in piedi in un lampo. Per fortuna avevano avuto la lungimiranza di nascondersi dietro un vecchio armadio.
-...e questo, Lovi, è il modo più veloce di mettere KO qualcuno- si sforzò di sorridere e gli porse la mano per aiutarlo ad alzarsi. Lovino roteò gli occhi divertito e la accettò, rimettendosi in piedi.
Romolo li raggiunse e inarcò un sopracciglio -non dovrebbe insegnartele Eliza queste cose?
-sì ma, ehm...
-visto che lei non può toccarmi gli ho chiesto di farmelo provare- mentì Lovino, spolverandosi i pantaloni -volevi qualcosa, nonno?
Romolo sembrò convinto. Alzò le spalle, con un sorriso gentile -solo sapere come ve la cavate.
-meh. Ci sto provando.
-okay. Con Eliza come va?
Lovino mugugnò qualcosa -ho male in punti che neanche sapevo di avere.
Romolo ridacchiò -ti ci abituerai.
Sbuffò.
-vabbé, vi lascio lavorare. A dopo.
-ciao nonno.
Quando si fu richiuso la porta alle spalle, Antonio sospirò di sollievo.
-che paura.
Lovino sogghignò -ti spaventa il nonno?
-potrebbe scagliarmi nella ionosfera con il pensiero. Quindi sì, mi spaventa tuo nonno.
Sbuffò divertito -idiota- allacciò le braccia intorno al suo collo e lo attirò a sé per baciarlo, con un sorrisetto divertito -al massimo ti farebbe volare in testa un po' di roba.
-al massimo?!
-ma sì, niente di che- scrollò le spalle, accarezzandogli la guancia -oppure, visto che è del nonno che stiamo parlando, potrebbe decidere di non usare trucchetti e castrarti con le sue stesse mani.
Istintivamente Antonio gli strinse i fianchi. Vedendo la sua faccia Lovino si trattenne a stento dallo scoppiare a ridere.
-scherzavo, idiota!
-meno male...- gli diede un pizzicotto sul fianco -comunque devi sforzarti di combinare qualcosa- gli prese le mani e se le posò sui fianchi -ora come ora la tua pelle è pericolosa. È come se urlasse. Cerca di metterla a tacere. Concentrati su ogni singolo poro e tappalo, uno alla volta. Abbiamo tutto il tempo del mondo, quindi non preoccuparti per quello. Sforzati solo di farcela.
Lovino, di nuovo serio, annuì, chiuse gli occhi e cercò di fare come gli aveva detto. Immaginò di avere centinaia, migliaia di piccolissimi incendi sulle braccia, e si concentrò per spegnerli. Percepì un velo stendersi lungo la sua pelle e soffocare ogni incendio un po' per volta, come un serpente che lentamente gli strisciava addosso o una crema che si spalmava da sola. Quando si sentì pronto annuì. Antonio posò le labbra sulla sua fronte e rimase così per un po', mentre Lovino cercava di concentrarsi su quella sensazione per più tempo possibile.
-bravo, querido. Ce l'hai fatta.
Riaprì gli occhi. Aveva un mal di testa della miseria, e si sentiva sudato e stanco come dopo gli allenamenti con Eliza -davvero?
-per pochi secondi ma sì- lo baciò a stampo -bravissimo. Ti sei meritato un premio.
-non sono un cane.
-lo so- gli diede un bacio sul collo -infatti non ti darò un biscottino- lo baciò appena sotto l'orecchio.
-idiota.
-è un grande passo in avanti! Bisogna festeggiare.
-bah.
-fidati di me, okay?
-me ne pentirò ma okay.

Doveva fidarsi più spesso di Antonio. Decisamente.
Dopo pranzo, durante il quale lo spagnolo aveva insistito per dire a tutti quelli del loro tavolo dei suoi miglioramenti, lo aveva seguito fino alla sua camera, che era identica a quella di Lovino solo senza la libreria e con alcune foto sul comodino, su cui però non aveva avuto il tempo di soffermarsi. Sì, perché non appena si era chiusa la porta alle sue spalle Antonio non aveva esitato a baciarlo contro di essa, con tanta foga da togliergli il fiato. In qualche modo erano finiti sul letto, con Lovino sdraiato sulla schiena e l'altro a cavalcioni su di lui, il tutto senza separarsi l'uno dall'altro.
Lo spagnolo si allontanò dalla sua bocca solo per scendere lungo il suo collo, con un sorrisetto compiaciuto -ti avevo detto di fidarti di me, querido.
-stai zitto, bastardo- col cazzo che gliel'avrebbe data vinta così facilmente. Capovolse le posizioni e tornò a baciarlo sulle labbra, cercando di ignorare la sua risata assolutamente fastidiosa e per niente bella. Sì, lo infastidiva, tutto qui. Non gli faceva voglia di ridere a sua volta, di fare qualsiasi cosa per farlo ridere di nuovo... no, no e no.
Scosse la testa e infilò le mani sotto la sua maglietta, accarezzandogli i fianchi nudi. Mh... mica m-
Un momento. Cos'era quella cosa?
Si staccò da lui e si sporse a guardare, ignorando le proteste di Antonio. Lungo il fianco sinistro c'era una lunga cicatrice bianca, irregolare, di almeno una decina di centimetri, che spiccava sulla pelle scura come catrame sul marmo. Sollevò lo sguardò sul suo ragazzo, che sembrava improvvisamente molto interessato alle lenzuola.
-cos'è questa?
-una cicatrice.
-ma va? Chi te l'ha fatta?- avrebbe dato una bella carezza dritta in faccia al colpevole. Una lunga carezza senza guanti e con quanta più cattiveria possibile. Sì, l'avrebbe decisamente fatto, e poi avrebbe confuso i resti tra le ceneri della spazzatura che distruggeva normalmente. Senza un corpo non avrebbero potuto incastrarlo.
-non è niente, è molto vecchia...
-Antonio. Mi hai costretto a raccontarti ogni cosa su di me. Ora fai lo stesso- passò distrattamente un dito lungo la linea in rilievo -ti fa ancora male?
Antonio scosse la testa -te l'ho detto, è vecchia. Non è niente di che. Torniamo a quello che stavamo facendo prima...
Lovino gli tolse le mani dalla sua schiena -non ci provare. Se questa non fosse qualcosa di importante non avresti reagito così.
-in che senso così?- si sforzò di sorridere -sono normalissimo. Sto solo dicendo che non è niente di che.
-sei un pessimo bugiardo- sbuffò -se è una cosa che non ti senti di raccontarmi posso capirlo, ma almeno non dirmi stronzate.
Quello sospirò -scusa querido. È solo che non... non ne ho mai parlato a nessuno. A Gil e Fran ho detto che me l'ero fatta cadendo da piccolo, gli altri non ne sanno proprio niente- inspirò profondamente, poi fece una piccola risata -ma immagino che se non lo dico neanche a te non potrò dirlo a nessuno.
-non ti devi sforzare- lo interruppe, arrossendo leggermente. Lo baciò a stampo, posandogli le mani sulle guance -mi basta che tu non mi dica più stronzate.
Antonio annuì e girò il viso fino a baciargli il palmo di una mano. Chiuse gli occhi per qualche istante prima di riaprirli e continuare -sai perché sono finito qui?- Lovino scosse la testa -i miei mi cacciarono di casa quando avevo... quattordici, quindici anni.
-per i tuoi poteri?- si accoccolò contro di lui, infilando la testa nell'incavo del suo collo e lasciandosi abbracciare. Non è che ne avesse bisogno, ma sapeva che invece Antonio sì, un po' per consolarsi un po' per avere qualcosa su cui concentrarsi mentre raccontava.
-no- Lovino gli lasciò un bacio sulla spalla -perché avevo fatto coming out come bisessuale.
-oh.
-già. Lo avevo già detto a mio fratello e con lui era andata bene, quindi ero fiducioso. E invece...- fece una piccola risata, amara -la presero malissimo. Mia madre mi disse che avrebbe preferito sapermi morto. Mio padre ruppe una bottiglia di vino e cercò di farmi fuori con uno dei cocci.
L'italiano lo baciò, interruppendolo per qualche secondo. Lo strinse, tornando nella posizione di prima. Ad Antonio ci volle qualche minuto per riprendere il racconto.
-ero un ragazzino, non mi sapevo difendere. Riuscì a schivarlo, ma mi ferì sul fianco- istintivamente posò la mano sulla cicatrice, come se la sentisse ancora sanguinare -scappai via e corsi il più lontano possibile da lì.
Lovino lo abbracciò -mi dispiace- le sue erano parole a vuoto, lo sapeva, ma sentiva di doverle dire. Quello in risposta se lo strinse contro, se per proteggerlo o per consolarsi non lo sapeva neanche lui.
-non serve dispiacerti, non è mica colpa tua.
-lo so. Mi dispiace che una cosa del genere sia dovuta capitare a te- si sporse a baciarlo, sperando di riuscire a consolarlo. Faceva proprio schifo in quelle cose.
Antonio annuì e sospirò. Continuò dopo qualche minuto -trovai un vecchio magazzino abbandonato nelle vicinanze. Mi nascosi lì e mi curai come potei, quindi male. C'era del cibo, anche se scarso, e alcune vecchie bottiglie d'acqua ancora chiuse. Penso fosse più o meno il periodo in cui ti rinchiusero, forse un paio di mesi dopo, perché mi trovò tuo nonno. Stava cercando te, ma trovò me e mi portò in salvo. Aveva appena trovato questo posto, così mi promise di portarmici non appena avesse finito una commissione. Gli erano arrivate voci di un ragazzino con dei poteri costretto a prostituirsi, e stava andando a portarlo via di lì per aiutarlo. Quel ragazzino era Francis. Sai, in realtà lui può controllare qualsiasi liquido, non solo il vino, ma lì lo costringevano a trasformare l'acqua in vino e cose del genere per i clienti, quindi non riesce a fare altro se non con molta fatica. Mentre venivamo qui trovammo un bambino protetto da una sorta di forza invisibile. Inizialmente pensavamo fosse un telepate, invece quello era Gilbert, che non riusciva a tornare visibile e stava cercando di proteggere il suo fratellino. Riuscii a calmarlo e così tuo nonno si accorse che avevo anche io dei poteri- si fermò qualche secondo per riprendere fiato -Ludwig e Gilbert sono i nipoti del vice di tuo nonno. Lui lavorava già con Romolo, ma li aveva spediti in un territorio non controllato. Peccato che li avessero intercettati e avessero ucciso i loro genitori. Fu allora che Gilbert si rese invisibile per la prima volta. Prese Ludwig e lo portò via rendendo invisibile anche lui. Alla fine arrivammo qui e diventammo inseparabili. Siamo stati i primi salvati da Romolo, lo sai? I primi ragazzi a mettere piede qui, a parte Feliciano, ma lui era già al sicuro.
Lovino annuì. Lo baciò di nuovo -grazie.
-perché mi ringrazi?
-perché ti sei aperto con me. Di solito tu lo fai quando è il contrario.
Antonio abbozzò un sorriso -perché farti sfogare è difficile come aprire in due la roccia a mani nude, e senza essere Ludwig.
-pff. Idiota- lo baciò ancora -comunque grazie davvero, a furia di essere l'unico a sfogarsi mi sentivo una piagnina.
-mhmh- riprese a baciargli il collo, in maniera più giocosa però.
-e il crucco?
-cosa?- lo baciò per qualche secondo prima di dargli modo di rispondere alla domanda.
-il crucco, Ludwig. Sapeva già dei suoi poteri?
-ah, no. Lo ha scoperto qualche anno dopo, quando ha modificato istintivamente la roccia per trattenere Feliciano che stava cadendo.
-pff. Davvero?
-oh sì. La maggior parte dei poteri viene scoperta per caso. Certe storie ti farebbero ridere.
-uhm...- si morse il labbro -io stavo tenendo per mano Feli quando è successo. Cioé, lo sai già, ma non... non ti ho raccontato com'è andata no?
-no. Ma se non...
-no, no, voglio farlo- gli prese la mano e abbassò lo sguardo sulla loro stretta mentre raccontava -stavamo andando a scuola. Il nonno ci aveva portati in macchina. Dovevamo solo attraversare la strada. Solo quello. Mi aveva raccomandato di stare molto attento a Feli, così gli avevo preso la mano. Eravamo a metà strada quando mi accorsi di un'altra macchina che si stava avvicinando a razzo. Credo... non so, forse per proteggere Feli ho attivato qualcosa di istintivo o non... non lo so sinceramente, ma per sbaglio ho fatto del male anche a lui- esitò un secondo, sciogliendo l'intreccio delle loro mani -il nonno mi ha raccontato che, dopo che i poliziotti della scuola mi avevano portato via, si è accorto che la macchina era distrutta e il conducente era morto- strinse i pugni -ho ucciso una persona e neanche lo sapevo.
-è stato un incidente. Come la storia con Feliciano.
-lo so, ma...- si morse il labbro e non continuò. Se avesse detto quello che pensava, Antonio... be', non l'avrebbe presa bene.
-ma...?- lo incoraggiò, con tono gentile.
-ma non... cioé intendo dire che...- sospirò esasperato -sono un pericolo ambulante. Dovunque vado distruggo tutto. Forse sarebbe meglio se crepassi, almeno non-
-non dirlo neanche per scherzo.
-non sto scherzando. Non faccio altro che creare casini e far soffrire le persone. A una certa meglio farla finita e basta.
-smettila. Sei un essere umano, hai diritto a vivere quanto chiunque altro.
-ah sì? E che diritto avevo di uccidere quell'uomo? Che diritto avevo di sfregiare a vita mio fratello? Che diritto ho di distruggere e ferire chiunque, di far preoccupare le persone ogni volta che mi vedono, di far vivere la gente con la costante paura che io impazzisca e li ammazzi tutti?!
-non è una tua scelta. Non puoi farti una colpa per qualcosa su cui non hai il controllo- gli accarezzò una guancia, asciugandogli una lacrima. Lovino neanche si era accorto di aver cominciato a piangere -Lovi, ti incolpi troppo. Un conto è se tu avessi voluto far del male agli altri, ma non hai deciso di nascere così, e sono piuttosto sicuro che se potessi scegliere ne faresti a meno- annuì, asciugandosi le guance con i pugni chiusi -tendi a dimenticarti di quello che sei. Non sei un mostro. Sei solo un ragazzo spaventato che si è ritrovato con un potere mostruoso, ma non significa che tu sia cattivo.
-ah no?- fece una risata amara -eppure a me sembra di esserlo.
-anche solo questo significa che non lo sei. Pensi che a un mostro importebbe di aver ucciso qualcuno? Di aver ferito il proprio fratello? Di poter far del male agli altri? No. A te sì, e questo significa che sei umano, Lovi.
Lovino singhiozzò. Lo spagnolo lo strinse, forte. Stava male a vederlo così, a sentirgli dire quelle cose. Quel ragazzo ne aveva passate troppe, non si meritava altro. Tutti loro, in realtà. Tutti avevano perso qualcuno, sofferto. Erano stati tutti esclusi, abbandonati. Tutti avevano fatto delle rinunce, e c'era di sicuro gente messa peggio di loro che proprio non ce l'aveva fatta. Perché dovevano soffrire così tanto? Perché non poteva andare tutto bene per una volta?
-Lovi...- quello sollevò la testa dalla sua spalla. Antonio gli accarezzò i capelli, baciandolo sulla fronte -un giorno andrà tutto bene.
-porti sfiga- si asciugò gli occhi, tornando a nascondere il viso contro la sua spalla. Fece una piccola risata, un po' esasperata -come siamo finiti a deprimerci? Fino a dieci minuti fa ci stavamo sbaciucchiando.
Antonio sorrise leggermente -se vuoi riprendiamo.
-mh- sollevò il viso e lo baciò. Con calma, lentamente, come per annullare tutte le esagerazioni, gli eccessi, le emozioni troppo forti. Poi tornò come prima -tra poco. Ora voglio restare così per un po'.
Parlare delle proprie emozioni era faticoso. A Lovino non piaceva, anche se in quel periodo si era ritrovato a farlo fin troppo spesso per i suoi gusti. Sapete, anni in solitudine, prigionia, il primo fidanzatino... solite cose, no? E poi Antonio sembrava avere il potere di farlo sfogare, o forse era solo lui che aveva un bisogno disperato di parlare con qualcuno.
-stavo pensando...
-a cosa, querido?
-ma se io riuscissi ad annullare il mio, il tuo potere avrebbe effetto su di me?
-penso di sì, anche se volendo potresti bloccarlo. Oppure potrei proiettarlo e tagliare la testa al toro, anche se tu potresti bloccarlo proiettando a tua volta. Perché?
-così. Per sapere- si sdraiò affianco a lui, voltato sul fianco per guardarlo negli occhi. Antonio si girò verso di lui e gli sorrise -cos'è quella roba del proiettare?
-puoi arrivarci, il nome è autoesplicativo. È quello che ha fatto Gil quando ci ha portato qui: ha proiettato il suo potere all'esterno, rendendo invisibili anche noi e la macchina senza toccarci.
-mh. Quindi se io imparassi a farlo potrei tipo... uccidere tutti entro un certo raggio?
-esatto. Un po' inquietante, e stranamente attraente- sorrise malizioso prima di baciarlo.
-masochista- bofonchiò, rosso in viso -tu sai farlo?
-un po', anche se ancora non mi riesce bene. Posso provare a insegnartelo se vuoi.
-uhm... okay. Prima però voglio imparare a spegnerlo- si lasciò baciare, con un sospiro.
-stavo pensando...
-aiuto- gli tirò leggermente un ricciolo, divertito.
-ah ah- Lovino cominciò a giocherellare con quel ciuffo -dicevo... ti andrebbe di restare a dormire qui?
Si fermò, con gli occhi sgranati e il viso sempre più rosso. Antonio sembrò capire la gaffe e arrossì a sua volta.
-intendi...
-no!- si chiarì la voce, con le guance sempre più simili a pomodori maturi -cioé non fraintendere sei bellissimo e vorrei farlo con te ma non ti voglio forzare e non so neanche se...
-respira. Calmati- lo baciò per zittirlo -rielabora e ricomincia.
-sì. Giusto- inspirò profondamente -intendevo... dormire dormire. Dopo due mesi mi ero abituato a sentirti russare- scherzò, nonostante si stesse mentalmente dando dell'idiota per la figuraccia di poco prima.
-io non russo.
-un po' sì.
-non è vero. Sei tu quello che russa.
Lo spagnolo roteò gli occhi divertito -quindi?
-okay. Ma non faranno storie?
-in teoria sì, non potremmo. Ma basta non farsi notare. Domani è sabato, nel weekend ci si riposa, no? Dormiamo fino a tardi e se quando torni in camera tua ci chiedono qualcosa rispondiamo che eri venuto da me poco prima a chiedermi una cosa.
-mh. Dovrei andare a prendere le mie cose allora.
-mi sa.
Rimasero in silenzio per un po'.
-non ho voglia di alzarmi- mugugnò Lovino. Antonio rise -e poi se uscissi da camera tua con il pigiama e lo spazzolino in mano persino i tuoi amici farebbero due più due.
-mh. Ti presto qualcosa per dormire allora.
-okay- esitò, poi si sporse verso di lui, chiedendogi un bacio in silenzio. Antonio fu ben felice di accontentarlo.

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Capitolo 8
*** Capitolo sette ***


Quando Antonio si svegliò, la prima cosa che vide fu il viso addormentato del suo ragazzo. Un bel modo di svegliarsi, decisamente.
Si girò sulla schiena, si stiracchiò e sbadigliò, spettinandosi i capelli, già privi di senso, con una mano. Poi girò la testa e tornò a guardare l'italiano affianco a lui. Aveva l'espressione calma, serena, come un bambino. Antonio non sapeva cosa stesse sognando, ma sperava fosse qualcosa di bello.
Dopo qualche minuto si svegliò anche lui. Borbottò qualcosa, si rigirò un paio di volte e alla fine aprì un occhio. Antonio gli sorrise.
-buongiorno, querido.
Lovino mugugnò una risposta, forse un "buongiorno" o un "vaffanculo", e si stropicciò gli occhi. Sbuffò, sbadigliò e si mise seduto -che ore sono?
-le undici.
Quello sospirò esasperato -è presto.
Antonio fece spallucce -vuoi dormire ancora un po'?
Lovino scosse la testa -ormai mi sono svegliato.
-mhmh- si sedette affianco a lui e gli stampò un bacio sulle labbra, con un sorriso leggermente infantile -ecco, ora è un buongiorno.
-non hai davvero detto una cosa così cringe. Sto solo facendo un incubo- stabilì Lovino.
-veramente...
-sh. Non puoi essere così sdolcinato. Mi rifiuto di crederlo.
Antonio ridacchiò e lo baciò sulla guancia -mi fai questo effetto.
-non dare la colpa a me!- sbuffò, ma alla risata dello spagnolo si concesse un sorriso.
-hai dormito bene?
-abbastanza, anche se tu russavi.
-io? Mi dispiace dirtelo, querido, ma quello a russare eri tu.
-falso. Sei un bugiardo.
-sono abbastanza sicuro di...- in quel momento bussarono alla porta. Panico.
-cazzo cazzo cazzo- sibilò Lovino, alzandosi di corsa.
-il bagno- Antonio gli indicò la porta, seguendolo. Quando Lovino fu nascosto andò ad aprire, sperando di non avere la faccia di uno che si era bevuto troppi caffé. Dall'altra parte c'era Feliciano -ciao. Posso aiutarti?
-ciao...- sembrava nervoso -sto cercando Lovino, in camera sua non c'è e neanche alla mensa, l'hai mica visto?
-uhm no. Magari sta girando per i corridoi cercando la mensa, sai che è tremendo a orientarsi- dal bagno si sentì un tonfo.
-ve, c'è qualcuno chiuso in bagno?
-ma no, figurati- fece una risata -deve essere caduto qualcosa. Perché cercavi Lovinito? È successo qualcosa?
-no, ve... devo parlargli di una cosa.
-se lo vedo gli dirò che lo stai cercando- promise, con un sorriso che sperava fosse rassicurante. Feliciano annuì, sovrappensiero.
-grazie- e se ne andò, senza dargli il tempo di chiedergli altro.
Antonio scrollò le spalle e chiuse la porta -se n'è andato, querido.
Lovino aprì la porta, imbronciato -non è vero che non mi so orientare- bofonchiò uscendo dal bagno.
-oh, invece lo è eccome. Che hai fatto cadere?
-stavo cadendo io- replicò -che voleva Feli?
-parlarti. Sembrava preoccupato.
-oh. Meglio che vada allora- prese i vestiti e fece per andare in bagno, ma Antonio lo trattenne per un braccio e lo baciò per qualche secondo. Lovino, rosso in viso, bofonchiò un "idiota" prima di chiudersi in bagno per cambiarsi.
Si vestì in fretta, preoccupato per il fratellino, e uscendo si ritrovò davanti uno spettacolo a dir poco interessante: il suo ragazzo, girato di schiena a cercare qualcosa nell'armadio, con solo i jeans addosso. Si immobilizzò, con la gola improvvisamente secca. Doveva andare da Feliciano, ma aveva la mente un tantino annebbiata, capitelo. Antonio aveva la schiena muscolosa, abbronzata. Insipirò profondamente, doveva placare gli ormoni. Lo spagnolo sembrò sentirlo, perché si voltò, con una maglietta verde in mano, e arrossì leggermente -oh. Ciao.
-ciao- non stava arrossendo. No. Non aveva le guance così calde da poterci cuocere sopra una fiorentina. Assolutamente no. Cavolo che addominali... si schiarì la voce -vado da... da Feli.
-sì, certo- tossì e si infilò la maglietta, anche lui rosso in faccia -ehm... a dopo.
-a dopo...- quasi scappò via, cercando di regolarizzare il respiro. Feliciano. Doveva concentrarsi su Feliciano.
Si passò le mano sul viso, sospirò e si avviò alla ricerca del fratellino. Quante erano le probabilità che si perdesse? Alte, tanto alte. Per fortuna lo trovò in fretta, vicino alla mensa.
-ciao. Mi stavi cercando?
Feliciano annuì -ve... possiamo andare in un posto privato?
-certo. È successo qualcosa di grave?
Il minore non rispose, ma dalla sua faccia si capiva tutto. Lo tirò per la manica della sua felpa, senza toccarlo, e lo trascinò fino alla sua camera. Aprì la porta ed entrò con il fratello al seguito.
-cazzo.
Dentro, la camera era un disastro. I mobili erano ribaltati tranne il letto, dove comunque i cuscini e le lenzuola erano sparpagliati in giro per la stanza, e nella parete dietro la pittura era piena di crepe e graffi. Nel complesso sembrava che fosse passato un tornado, con il letto come centro.
-mi... mi è risuccesso ma è... è peggio e... e...- sembrava sul punto di piangere.
-va bene. Okay, adesso rimettiamo a posto, non ti preoccupare- sperava di essere rassicurante. Feliciano annuì.
-v-va bene...
-ti va di raccontarmi che è successo?
-e-ero seduto sul letto e... e stavo pensando a... a come finire un disegno...
-un disegno di quelli per creare cose o un disegno qualsiasi?
-un disegno q-qualsiasi.
-okay... e poi che è successo?
-n-non lo so... le cose hanno cominciato a girare e... e ho chiuso gli occhi e q-quando li ho riaperti era così.
-okay... tu stai bene?
-s-sì ma...- gli morì la voce. Stava tremando, sembrava sul punto di un attacco di panico.
-okay, Feli. Adesso la risolviamo- si guardò intorno, cercando qualcosa per distrarre suo fratello. Ed eccolo: il graffito sulla parete opposta al letto, rimasto intatto. Glielo indicò -cosa rappresenta quello? L'hai fatto tu?
Feliciano annuì, asciugandosi gli occhi -ve, sì... gli omini bianchi sono le persone a cui voglio bene.
-davvero? Non ci avevo fatto caso- si avvicinò e si chinò per controllare. In effetti sì, guardando da vicino riuscì a distinguere suo nonno, il crucco, l'altro crucco, il giapponesino inquietante, il francese pervertito, Antonio, la stronza, cioé Eliza, e altre persone che aveva visto in giro ma di cui non si ricordava il nome. Vide anche, in un angolino, un disegno di sé stesso da piccolo, leggermente più distaccato dagli altri.
-ve... non ti ho ancora aggiunto. Ve... intendo, messo come sei ora. Stavo facendo il bozzetto quando...
-perché tu non ci sei?- lo interruppe.
-non mi piace disegnarmi.
-mh, capisco... posso vedere il bozzetto che stavi facendo?- sembrava essere più calmo. Era una cosa che faceva anche quando erano piccoli. Quando Feliciano andava in crisi per qualcosa, se stava male o che so io, Lovino lo distraeva parlando dei suoi disegni o, in generale, di arte. Feliciano si concentrava così tanto su quello di cui stavano parlando che non pensava più a quello che lo aveva fatto stare male.
-ecco... ve...- titubante lo prese dalla scrivania e glielo porse, imbarazzato -non è ancora finito...
Il disegno era fatto bene, anche se si vedeva che era ancora una bozza. Tuttavia c'era una linea scura che lo tagliava in due, probabilmente gli era scappata la mano quando era cominciata la sua crisi.
-mi somiglia- abbozzò un sorriso -sei migliorato da quando eri piccolo. Mi facevi sempre il naso storto.
-non è vero- si imbronciò, con un mezzo sorriso.
-oh, sì invece. Hai altri disegni?
-ve, tanti.
-facciamo così. Mettiamo a posto e poi me li fai vedere.
-ve... va bene.
-uhm...- i mobili li potevano sistemare, il problema era la parete -hai della vernice?
-certo. Non dovrebbe essersi rovesciata nel... ehm, casino- andò ad aprire l'armadio, ribaltato, e prese qualche barattolo sigillato e alcuni pennelli.
-potresti fare qualche altro graffito per coprire...- indicò con un cenno del capo la parete.
Feliciano annuì -sì. Ve, avevo qualche idea da un po'...
-io intanto mi occupo dei mobili- esitò un secondo -o almeno ci provo.
Feliciano annuì -per fortuna non c'era niente di fragile...
-già- fu tentato di dargli una pacca sulla spalla, ma si trattenne -a lavoro, sfaticato.
Stranamente finì a ringraziare Elizabeta. Grazie a tutte quelle ore di allenamento aveva messo su alcuni muscoli, abbastanza da riuscire a sistemare, con un po' di fatica e per i più pesanti l'aiuto di Feliciano, i mobili.
Il fratello più piccolo, nel frattempo, aveva riempito i graffi con delle linee di colori diversi, prolungandole fino a formare una sorta di ragnatela arcobaleno.
-ve, pensavo di aggiungere delle foto nei punti dove le ragnatele si incontrano- spiegò a Lovino, durante una pausa -ogni colore rappresenta una persona a cui tengo. Dove si incrociano due colori metto una foto o un disegno con quelle due persone, o qualcosa che me le ricorda.
-è una cosa molto bella, Feli- gli rivolse un piccolo sorriso.
-grazie, fratellone!
-vuoi una mano per finirlo?
-no, ve, mi hai già aiutato tanto- lo abbracciò di slancio, facendolo irrigidire. Per fortuna toccò solo i vestiti -grazie.
-ehm...- inspirò profondamente. Non doveva andare nel panico, non doveva andare nel panico, non doveva...
Feliciano si allontanò, facendogli tirare un sospiro di sollievo. In teoria avrebbe potuto abbracciarlo con i guanti, ma aveva troppa paura per farlo. Qualche volta aveva toccato qualcuno attraverso i vestiti, per esempio Eliza durante gli allenamenti, ma Feliciano...
-scusa, fratellone.
-no, niente. È che ancora non... non me la sento, capisci? Non voglio farti male di nuovo.
-sì, lo so. Non preoccuparti- gli sorrise e si alzò. Si chinò vicino al letto ed estrasse una cassetta di metallo, chiusa a chiave. La aprì e cominciò a sistemare foto e disegni per terra -mi aiuti, fratellone?
-okay. Che colore rappresenta chi?
Feliciano prese il foglio su cui aveva abbozzato il disegno e lo girò. Dietro c'era una breve lista.
Prima che potesse leggerla, bussarono alla porta. Andò Lovino ad aprire, trovandosi davanti Antonio. Istintivamente sorrise, tornando serio subito dopo -ciao.
-ciao. Avete saltato il pranzo. Tutto a posto? Vostro nonno è preoccupato.
-abbiamo saltato il pranzo?- si voltò verso Feliciano, che alzò le spalle.
-ve, abbiamo perso la concezione del tempo... dovrei avere qualche snack da parte, ci arrangeremo con quelli.
-stai bene? Stamattina ti ho visto agitato...
-sì, grazie. Il fratellone mi ha aiutato.
-okay... ehm. Vi lascio a... quello che stavate facendo. A dopo- salutò entrambi con la mano, sorrise a Lovino e se ne andò.
Quando la porta si fu chiusa, Feliciano sostituì al suo solito sorriso uno molto più malizioso.
-e così tu e Antonio state insieme.
Lovino rischiò di strozzarsi con l'aria -ma che cazzo stai dicendo?!
-dai, si capiva. Vi guardate in un modo...
-non è vero!
-sei sicuro?- inarcò un sopracciglio, divertito, con ancora quel sorrisino del cazzo stampato in faccia.
-certo! Io? Con quella testa di cazzo? Neanche tra un milione di anni!

-Feliciano ha capito che... ehm... stiamo insieme? Cioé, sì insomma, che tra noi c'è qualcosa.
-uhm...- Antonio tornò a baciarlo per qualche secondo prima di continuare -e che gli hai detto?
-che si sbagliava- lo spagnolo lo baciò ancora e ancora, impedendogli di continuare. Quel ragazzo era una fottuta sanguisuga. Non che la cosa gli dispiacesse -non... non sapevo se tu volessi che... che si sapesse, ecco. Né se io lo voglio.
-mh... okay querido- lo baciò di nuovo, e per un po' non fecero altro. Era bello... stare lì, sul letto, a baciare il proprio ragazzo come un adolescente qualsiasi. Quando erano soli, Lovino perdeva ogni concezione di tempo e spazio. Sapeva solo che Antonio era lì, lo baciava e lo amava -sai... non mi dispiacerebbe baciarti anche in pubblico, chiamarti "il mio ragazzo" e fare quelle cose da fidanzati... ma se non vuoi lo capisco.
-non è che non lo voglia- allacciò le braccia intorno al suo collo per tirarselo più vicino. Prese ad accarezzargli i capelli mentre parlava -è che sono l'ultimo arrivato. Devono ancora abituarsi a me. Vorrei fare un po' per volta.
-va bene- lo baciò sulla guancia, con un sorriso. Lovino non riuscì a trattenersi e sorrise a sua volta, attirandolo a sé per l'ennesimo bacio. E pensare che fino a poco prima certe cose neanche si sognava di immaginarle. Pensava che tanto non gli sarebbero mai successe: immaginarle avrebbe solo fatto più male, come sale su una ferita aperta. E invece eccolo lì, ad amoreggiare con un ragazzo bellissimo su un letto comodo, al sicuro, lontano da quella cella di merda. Come se non avesse fatto altro per tutta la vita, salì a cavalcioni sopra di lui, che lo strinse posandogli le mani sui fianchi, sempre baciandolo. Schiuse le labbra e si ritrovò a desiderare di avere ogni millimetro di pelle a contatto con la sua, di sentire le sue braccia forti ovunque intorno a sé, di...
Si allontanò di scatto, con le guance rosse. Tornò a sdraiarsi accanto a lui, dandogli la schiena, con le mani sul viso.
-Lovi? Tutto okay?
Mugolò qualcosa, cercando di darsi una regolata. Ma che minchia gli stava succedendo?
-querido? Lovi? Dai, guardami- lo abbracciò da dietro, divertito, e appoggiò la testa sulla sua spalla. Adorava quel tratto dell'italiano, il suo rinchiudersi in se stesso all'improvviso. Alcuni lo avrebbero trovato fastidioso, ma lui prendeva il "farlo aprire" come una sfida. Lovino cambiava di continuo, all'improvviso; un attimo poteva baciarlo e quello dopo lanciargli addosso qualcosa. Ma era proprio quello il bello: impegnarsi continuamente per farlo stare bene. E per lui era un libro aperto, lo capiva meglio della maggior parte delle persone. Lovino era testardo, lunatico, volubile e scontroso. Chiunque avrebbe gettato la spugna. Antonio invece trovava questi difetti le qualità migliori del mondo -che hai?
Quello scosse la testa, ancora rosso. Lo spagnolo rise sottovoce e lo baciò scherzosamente sul collo -dai, fatti vedere in faccia, sei così bello...
-mi sento strano- mormorò Lovino, aprendo lo spazio tra le dita per mostrare due occhi verdognoli e confusi.
-oh...- si dovette sforzare parecchio per non ridere -è normale. Significa che... che al tuo corpo piaccio.
-lo so, cretino. L'ho studiata anatomia- brontolò, scontroso -però è imbarazzante.
-nah. Forse un po', ma non è una cosa di cui vergognarsi. Non c'è niente di strano.
Lovino mugugnò qualcosa e si tolse le mani dalla faccia; tuttavia si girò e la nascose contro la maglietta dell'altro. Antonio scosse la testa e prese ad accarezzargli i capelli -è un passo in avanti. Entro stasera riuscirai a guardarmi in faccia?
-non credo.
-mh- lo baciò sulla testa -però se fai così non posso più baciarti, e non va bene.
Lovino non rispose. Rimasero così per un po', abbracciati. Con il battito calmo dell'altro dritto nell'orecchio l'italiano stava quasi per addormentarsi.
-Loviiii- lo richiamò, con il tono di un bambino a cui avevano tolto le caramelle.
-cazzo vuoi?
-un bacio.
-non rompere.
-daaaai.
-no.
-Loviii.
-no.
-Lovi!
-e va bene, testa di cazzo- sollevò il viso, gli posò una mano dietro la nuca e lo tirò giù per baciarlo per qualche secondo. Poi, per sfuggire al suo sguardo, tornò a nascondersi contro il suo petto.
-grazie, querido.
-come ti pare- brontolò, socchiudendo gli occhi.

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Capitolo 9
*** Capitolo otto ***


Okay, altre precisazioni. Per una parte della storia di Eliza mi sono ispirata a una notizia che lessi diverso tempo fa, avvenuta in Puglia se non ricordo male, che mi aveva scioccata parecchio e mi era rimasta impressa, anche se aveva un epilogo meno tranquillo. Di nuovo: accenni a tematiche delicate. Vi lascio al capitolo, buona lettura.

Ah, se solo potessi scrivere solo dei momenti belli di questi due! E invece in questa storia c'è altro, oh se c'è altro... preparatevi a soffrire, perché fino ad ora abbiamo solo sfiorato la superficie della T di Traumi.
Due mesi dopo, Lovino si risvegliò da solo. Strano. Ormai dormiva quasi sempre con Antonio.
Si stiracchiò, si alzò e andò a vestirsi. Guardò l'ora, erano le dieci e mezza. Strano... quel giorno avrebbe dovuto fare lezione con Antonio. Uscì dalla sua stanza per andare a fare colazione, ma trovò la porta della mensa chiusa a chiave dall'interno. Aggrottò la fronte, che cazzo...
Cominciò a vagare per i corridoi deserti, cercando qualcuno. Niente. Alla fine trovò suo fratello, seduto in un angolino a disegnare sul taccuino che teneva sulle ginocchia.
-ehi. Che sta succedendo? Dove sono tutti?- si sedette accanto a lui e sbirciò il taccuino. Feliciano stava disegnando un paesaggio, si vedeva una spiaggia con delle montagne sullo sfondo e alcune case sparse qua e là. In primo piano c'erano due figure umane, anche se non era ancora possibile capire chi fossero.
Feliciano continuò a disegnare l'ombra di una casa mentre rispondeva -è il nostro compleanno- sembrava infastidito -il nonno starà preparando la solita festa a sorpresa.
-ah- era il loro compleanno? Non ci aveva pensato. Non aveva un calendario in camera sua, aveva perso talmente tanti compleanni che se l'era dimenticato. Se proprio avesse dovuto ripensarci, avrebbe ipotizzato che avrebbero fatto come per quello di Antonio: una piccola festicciola tra ragazzi, un paio di bottiglie di alcolici e una torta. Niente di esagerato, niente cerimonie eccessive...
-ma le feste a sorpresa non ce le faceva quando eravamo piccoli?
Feliciano sospirò -non ha mai smesso.
-ma che...- capì prima ancora di finire la frase. Il nonno continuava a organizzare quelle feste per dare una parvenza di normalità, come se così potessero tornare come quando erano bambini e potevano avere una vita normale -mh. Quando pensi che salteranno fuori?
-boh. Ve, di solito la prepara nella mensa.
-prima era chiusa.
-appunto.
-non sarà una cosa imbarazzante vero?
L'occhiata di Feliciano gli fece capire tutto. Sospirò.
-che palle.
Dopo un po' li raggiunsero Antonio e Ludwig.
-ehi. Venite a pranzo?
Lovino sbuffò -c'è una festa, vero?
Antonio fece un sorriso fintissimo -no, cosa te lo fa pensare?
I due fratelli si lanciarono un'occhiata scettica. Feliciano chiuse il taccuino e lo infilò nella tasca della felpa insieme alla matita, per poi alzarsi, seguito dal fratello.
-ve, fingiti sorpreso, il nonno ci tiene- gli raccomandò.
Antonio fece una risatina -sorpreso di cosa? Non c'è niente di cui essere sorpresi.
-non sai mentire.
Come aveva previsto Feliciano, nella mensa c'era una festa. Dove avessero trovato i palloncini rimane tutt'ora un mistero. Le meraviglie del mercato nero. Lovino ricevette auguri da tutti, anche da gente che non conosceva. Un po' come i Natali con i parenti, per intenderci. Imbarazzante, ma almeno la pasta era buona. Feliciano ricevette degli acquerelli e qualche pennello nuovo (di nuovo: le magie del mercato nero), mentre a lui diedero alcuni libri nuovi. O meglio, libri vecchi che erano riusciti a salvare dalla Restaurazione, che, come ogni governo dittatoriale che si rispetti, ne aveva distrutto la maggior parte.
-Lovi, bello de nonno, visto che fai diciotto anni puoi chiedermi anche qualcosa in più.
Lovino ci pensò su per qualche secondo -ora sono maggiorenne, giusto?
-giusto.
-allora voglio uscire fuori a prendere provviste con loro- e indicò con un cenno del mento Antonio e gli altri due idioti.
-no- dissero il nonno e Antonio all'unisono.
-invece sì. Ho diciotto anni, posso farlo, no?
Feliciano annuì, raggiante. Probabilmente pensava che così, forse, il nonno avrebbe dato più libertà anche a lui -sono le regole, nonno.
-è pericoloso.
-non mi importa. Non mi possono toccare, sono più al sicuro degli altri.
-possono spararti- replicò Antonio.
-potenzialmente no. Se riuscissi a distruggere i proiettili non appena mi toccano...
-non sai neanche spegnerlo, figurati fare queste cose!
-primo: questo è un colpo basso, stronzo. Secondo: mi basta attivarlo con gli oggetti, e questo lo so fare benissimo. Terzo: non sono cazzi tuoi- rispose, gelido. Si voltò verso suo nonno e incrociò le braccia al petto -le regole sono regole.
-non metterò a rischio la tua vita per un regalo di compleanno.
-non è una questione di regalo- si stava incazzando -è una questione che sono maggiorenne, e se voglio posso uscire.
-sei maggiorenne sulla carta, ma come esperienze sei fermo a undici anni.
Lovino si sentì arrossire, ma non avrebbe ceduto. No signore, ormai era una questione di principio. Strinse i denti -allora fammele fare 'ste cazzo di esperienze.
Romolo cercò di imbastire un sorriso -Lovino, ragiona un secondo...
-un cazzo! Sono rimasto anni chiuso in cella, non resterò chiuso qui quando ho la possibilità di uscire e dare una mano.
-puoi dare una mano in un altro modo.
-chissene fotte- ormai li stavano guardando tutti -non ci resto rinchiuso, non più. Voglio uscire e uscirò, con o senza la tua approvazione. Almeno se mi fai uscire con gli altri sai quando e dove andrò.
Romolo lo scrutò torvo per qualche secondo, pensando. Lovino sostenne il suo sguardo. Si sentiva gli occhi furiosi di Antonio addosso, ma a lui ci avrebbe pensato più tardi. Poi il nonno sospirò -e va bene.
-sì!
-cosa?!
-però niente azioni da eroe e niente fuori dal programma. Esci con gli altri, prendete quel che dovete prendere e torni indietro.
-okay, okay- se avesse potuto lo avrebbe persino abbracciato -grazie nonno!
Antonio però non sembrava d'accordo -non puoi farlo uscire, non sa neanche usare una pistola.
-posso insegnarglielo- intervenne Elizabeta dal tavolo dietro al loro.
-non ti intromettere!
-tu non ti intromettere- Lovino lo guardò male -non sono affari tuoi.
-mi sto solo preoccupando per te.
-non è necessario- gli scoccò un'occhiataccia. Antonio ricambiò. Una volta tanto non sorrideva -non rovinare la festa a tutti.
-non sto...
-ne riparliamo dopo- lo interruppe. Si alzò -vado a prendere altra pasta.

La festa finì a tarda sera. Antonio lo prese per un polso e lo trascinò fino alla sua stanza senza troppi complimenti -tu non vai.
-ciao anche a te. Tutto bene, grazie degli auguri, è bello essere un adulto libero di compiere le proprie scelte senza che nessuno rompa il cazzo- rispose candidamente seguendolo dentro la sua camera.
-non sei divertente.
-che peccato.
-è pericoloso, non ti rendi conto...
-non sono un coglione, è bello sapere che ti fidi di me.
-sono serio, Lovi. Potrebbero ucciderti, o rispedirti in cella.
-buona fortuna a mettermi le manette allora.
-Lovino...
-non mi farai cambiare idea. Tu esci spesso e sei sempre tornato intero, o sbaglio?
-io ho più esperienza e...
-ma non hai il mio potere. E se non ci provo, come cazzo dovrei farla l'esperienza, eh? Anche tu hai cominciato da zero o sbaglio?
-non c'entra! Tu sei più...
-se stai per dire che sono più debole giuro che ti tiro un calcio nei coglioni così forte che canterai da soprano per una settimana.
Antonio roteò gli occhi -ti sei allenato meno.
-sai, ho come la sensazione che inizialmente voi aveste bisogno di cibo tanto quanto ora, e che quindi tu sia andato anche prima di avere un minimo di allenamento. O sbaglio?
Antonio strinse i pugni -non...
-non un cazzo. Non devo rendere conto a te di quello che faccio, non sei mia madre.
-sono il tuo ragazzo.
-questo non significa che debba fare tutto quello che mi dici tu. Pensi che io non mi preoccupi quando esci? Certo che lo faccio, ma ti ho mai rotto il cazzo? No! Perché so che hai il diritto di pensare con la tua testa- inspirò profondamente -quando avrai finito di fare il bambino vienimi a cercare- e se ne andò sbattendo la porta.
Strinse i pugni e si trattenne a stento dal tirare un calcio alla parete. Aveva bisogno di sfogarsi, arrabbiato com'era poteva rischiare di distruggere per sbaglio qualcosa, o peggio qualcuno.
Da qualche giorno Eliza aveva fatto aggiungere un sacco e qualche tirapugni per farlo allenare con quelli. Effettivamente aveva davvero voglia di prendere a pugni qualcosa...

-quante volte ti devo dire di non tenere il peso sulle punte? Cadrai di faccia così.
Lovino si voltò e incrociò lo sguardo di una divertita Elizabeta, che lo osservava appoggiata allo stipite della porta, con i riccioli castani sciolti fino a metà schiena. Sollevò la mano destra, in cui teneva una bottiglia d'acqua -hai sete?
-cazzo sì- e lasciò stare il povero sacco da boxe. Eliza gliela porse e lui la prese, ringraziandola a mezza voce e bevendosene metà in un unico sorso.
-un bel compleanno eh?
Sbuffò -l'unico che può toccarmi senza crepare è un coglione iperprotettivo. Un bel compleanno, sì. La torta almeno era buona.
-la stai smaltendo?
Lovino bevve ancora un po' prima di rispondere -a quanto pare.
Si sedette a terra, appoggiando la schiena al muro. Aveva male alle mani e ai piedi, ma si sentiva abbastanza appagato. Eliza si sistemò accanto a lui, tenendosi a qualche centimetro di distanza.
-per quel che vale, penso che tu abbia ragione. Capisco cosa significhi sentirsi in gabbia.
Lovino annuì, gettando la testa all'indietro per scostarsi i capelli sudati dalla fronte -tenevano anche te in una cella?
Quella fece un sorriso triste -non tutte le gabbie sono fisiche.
-in che senso?
Eliza inspirò profondamente, come per trattenere le lacrime. Eppure era difficile immaginarla piangere -sai cosa importa agli altri quando sei una donna? Quanto bene sai aprire le gambe e quanti bambini puoi sfornare prima di crepare. O almeno, era così dove vivevo io. Ci si aspettava che mi comportassi in un modo, e nessuna eccezione era ammessa. Niente macchinine, niente pantaloni, solo bambolotti e cucine giocattolo. Capelli tenuti lunghi, gonne scomodissime, corpetti, sottane, era già tanto se mi concedevano di farmi una coda quando c'era caldo. Per non parlare delle scarpe con il tacco- sbuffò una risata -quando, una volta qui, ho scoperto le tute e le scarpe da ginnastica, stavo per piangere.
-come ci sei arrivata?- gli sfuggì di bocca. Poi, sapendo che la ragazza avrebbe potuto distruggerlo senza versare mezza goccia di sudore, si sentì in dovere di aggiungere -se ti va di raccontarlo.
Eliza alzò le spalle -non penso sia una storia adatta a un compleanno.
-ormai è passata la mezzanotte, non è più il mio compleanno.
-non...- sospirò, con un lieve sorriso -se ci tieni- allungò le gambe con aria stanca -come ti ho detto, sono nata in un paesino sulle montagne squisitamente sessista. Il nostro benevolo governo, ovviamente, se n'è sempre sbattuto alquanto dell'istruzione, per cui l'ignoranza dilaga a macchia d'olio, soprattutto nelle città di periferia. Sessismo, omofobia, razzismo... tutto quello che si può desiderare. Come penso tu abbia notato, però, io non sono esattamente un modello di femmilità, e questo non andava bene- fece una piccola pausa prima di continuare -facevo vergognare i miei. Mio padre mi ripeteva sempre "non ti picchio solo perché sei una ragazza", frase che mi fa incazzare più di qualsiasi altra cosa. Non è galanteria, è sessismo allo stato puro. Sono una ragazza, non significa che io sia fatta di porcellana- sospirò e rilassò i pugni che aveva serrato mentre raccontava -preferivo le storie di cavalieri a quelle di principesse, le spade giocattolo alle bambole, la lotta alla danza. Litigavo di continuo con i miei, con mio padre in realtà, mia madre osservava in silenzio e basta. La situazione è scoppiata quando avevo tredici anni, e per provare mi ero tagliata i capelli da maschio, come i miei fratelli. Quando mi vide, mio padre cominciò a urlare e a darmi della lesbica- sbuffò -cosa sessista e omofoba. Perché i miei capelli dovrebbero stabilire il mio orientamento sessuale? E, per "guarirmi dall'omosessualità"- mimò le virgolette con le dita -decise di farmi "assaggiare il cazzo"- altre virgolette -così, visto che era l'unico essere penemunito nelle vicinanze, cercò di violentarmi.
-oh mio...
-te l'ho detto che non è una storia per un compleanno.
-ne parli molto tranquillamente.
-oh, in realtà per mesi non parlai quasi con nessuno e al minimo contatto fisico con qualcuno andavo nel panico- si sfregò le mani sulle braccia, a disagio -a volte mi sento ancora le sue mani addosso...- rabbrividì -mi ci è voluto tanto, davvero tanto, ma l'ho superato. Considero questa conversazione un traguardo personale. Comunque, fortuna volle che di lì stesse passando Rod- Lovino ci mise qualche secondo a collegare il nome. Roderich era quel damerino che per qualche motivo era amico di Eliza. Ora si spiegava la loro amicizia -viveva nella stessa strada, andavamo a scuola insieme ma non avevamo mai legato particolarmente. Era stato cacciato di casa quel giorno perché un "invertito". Fu una fortuna. Vide dalla finestra cosa stava succedendo e urlò. Ma non fu un urlo normale, fu un urlo a ultrasuoni che fece svenire tutti e tre, perché aveva scoperto da poco di avere dei poteri musicali. Entrò in casa e mi portò via. E così mi salvò la vita- rise sottovoce, amaramente -la cosa peggiore fu il fatto che mia madre rimase lì a guardare e basta. Era così passiva che non...- scosse la testa, mordendosi con forza l'interno della guancia -non volevo diventare così. Me ne andai con lui, che aveva sentito parlare di questo posto. Ci volle un po' ma lo trovammo, o per meglio dire ci trovarono- si voltò verso di lui -sai, io non ho poteri. All'inizio lo trovavo uno svantaggio, un'altra gabbia. Poi mi dissi che non dovevo farmi fermare da questo come non dovevo farmi fermare dalla mia vagina, o mi sarei ritrovata come mia madre: così schiava delle mie debolezze da farmi scorrere addosso tutto. E così cominciai ad allenarmi, giorno e notte, ininterrottamente, e divenni la migliore in ogni tipo di combattimento.
-almeno c'è un bel finale.
-ah, questo non lo so. Non sono ancora morta, potrebbe peggiorare tutto, chissà- abbozzò un sorriso e tornò ad appoggiare la testa contro la parete. Rise sottovoce -sai, quando mi hanno chiesto di allenarti non sapevo come prenderla. Tu... potresti uccidermi in un secondo, rendendo inutili anni e anni di sforzi. Però non lo fai. Cavolo, quando abbiamo cominciato eri così imbranato...
-ehi!
-sul serio. Continuavi a prendere bastonate nonostante anche se avresti potuto in un attimo distruggere il bastone e uccidere me. È lì che mi sono resa conto che tu prendevi il tuo potere come una gabbia, invece che come un dono.
-be', finora non è che mi abbia portato tante fortune. Non vedo come potrei considerarlo qualcosa di positivo.
Eliza annuì distrattamente. Si alzò e gli sorrise, con aria di sfida -allora, sei già stanco o vuoi sfogare ancora un po' di frustrazione per la litigata con il fidanzatino?
-Antonio non è il mio fidanzatino- sbuffò alzandosi. Eliza rise, prese due bastoni e gliene lanciò uno. Lovino lo prese al volo, e quella fischiò sorpresa.
-wow, allora ti ho davvero migliorato i riflessi. Forse tra un bel po' sarai in grado anche di usarlo per bene, quel bastone.
-ah ah.
Eliza posò il suo contro il muro e sollevò le braccia per legarsi i capelli in una coda. Rise leggermente -stai pensando che li porti lunghi perché sono una ragazza?
-veramente di solito penso a cose diverse dai tuoi capelli.
Quella alzò le spalle e prese il suo bastone -tanti lo pensano, e sbagliano. Non li porto lunghi per via di ciò che ho tra le gambe, né per un trauma per quello che è successo con mio padre. Li porto così perché mi piacciono e basta. Anche se fossi maschio, li porterei allo stesso modo.
Lovino alzò le spalle -okay?
Eliza si mise in posizione -ora basta chiacchere. In guardia!

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Capitolo 10
*** Capitolo nove ***


Ci volle una settimana prima della sua prima uscita. Nonostante Antonio ancora non gli parlasse, non stava più nella pelle.
Si svegliò due ore prima, si preparò in fretta e corse fuori dalla sua camera. Lanciò un'occhiata alla porta della stanza di Antonio, chiusa, ed esitò un secondo. Poi si voltò e andò verso la mensa.
In quella settimana si era allenato tutti i giorni con Eliza, che gli aveva insegnato a usare le pistole. Non aveva una gran mira, ma poteva andare. Tutto pur di uscire. Non ne poteva più. Certo, fuori la situazione non era delle migliori: l'aria era inquinata e arida, il sole era bollente, la terra era secca e l'acqua... no, l'acqua era meglio non berla, a meno che non ci si volesse ritrovare, nelle migliori delle ipotesi, con un occhio in più, o nella peggiore direttamente tre metri sotto terra. Ma stava comunque uscendo. Sarebbe stato per poco, ma meglio di niente.
Per le due ore successive continuò a fare avanti e indietro per la mensa, come un lupo in gabbia. Voleva uscire, voleva uscire, voleva...
Antonio fu il primo ad arrivare. Lovino si immobilizzò, fissandolo negli occhi. Rimasero a guardarsi per un po', senza riuscire a distogliere lo sguardo. Lovino voleva andare da lui, non poteva negarlo. Sentiva la sua mancanza sempre più forte, ma non avrebbe mandato a fanculo il suo orgoglio, soprattutto non quando aveva ragione. Antonio sembrò sul punto di dire qualcosa, ma in quel momento li raggiunse Gilbert.
-buongiorno, miei meno-magnifici amici!- annunciò così la sua entrata, spezzando la tensione che c'era stata fino ad allora e permettendo a Lovino di distogliere lo sguardo. Il tedesco sembrò rendersi conto di aver avuto un tempismo tremendo -ho interrotto qualcosa?
-niente di che- si sentì dire Lovino, nonostante non ci credesse neanche lui.
Un'ora e altri arrivi dopo, il ragazzo si ritrovò chiuso in un furgone con Antonio, Gilbert, un biondino con i capelli da pazzo, un tipo alto, biondo e strano che metteva paura, un tipo asiatico (o tipa. Non ne era sicuro e neanche gli importava) con i capelli lunghi ed Eliza, l'unica apparentemente sana di mente o quasi. Lovino si sedette in fondo, affianco a lei, cercando di ignorare Antonio alla guida. Aveva la patente, vero?
-a chi tocca stare a fare la guardia con il Magnifico?- chiese dopo un po' Gilbert. C'era un silenzio decisamente imbarazzante, e Lovino era abbastanza sicuro non fosse dovuto solo al suo litigio con Antonio.
-in teoria tocca a Mathi...- stava dicendo Eliza, ma lo spagnolo la interruppe.
-Lovino.
-cosa?!
-sei l'ultimo arrivato, stai di guardia- si scambiò un'occhiata con Gilbert, che annuì.
-va bene! Ci divertiremo, kesese.
Antonio lo guardò dallo specchietto con un sorrisetto da bastardo, come a sfidarlo a replicare. Lovino rispose con un'occhiataccia, incrociando le braccia al petto.
-bene- mugugnò, scontento.
-allora, ricapitoliamo- intervenne Gilbert -entriamo nel deposito con la macchina...
-ci siamo mai stati in questo?- domandò il tipo con i capelli strani. Matteo. O Matthew. No, Matthew era un altro, anche se Lovino non ricordava chi. Cavoli, era davvero pessimo con i nomi...
-uhm, mi sa di no. Dicevo? Ah sì, entriamo dopo che Mathias...- ecco come si chiamava! -ha messo fuori gioco il sistema di sicurezza- aveva poteri sull'elettricità? Questo spiegava i capelli. Sembrava avesse infilato le dita in una presa della corrente -poi voi entrate, prendete quel che dovete prendere e lo caricate mentre io e Lovi controlliamo che non arrivi nessuno.
-perché devo proprio stare con te?- brontolò, facendo ridacchiare Eliza.
-perché così posso rendere invisibile il tuo bel culetto- Gilbert ghignò, ignorando l'occhiataccia di Antonio -quando avete finito date una botta alla porta, se è sicuro vi apriamo e voi uscite.
-non ci sono guardie?
-nah. Sono magazzini di periferia, sono talmente grandi che se anche mancano una o due casse non se ne rendono conto, per questo cerchiamo di cambiare sempre posto, in modo che non se ne accorgano. Alla Restaurazione non frega niente, finché hanno il loro bel caviale e il loro champagne da un fantastilione di dollari sono contenti. E poi usare guardie significherebbe mandare alcuni soldati, e hanno talmente tanti magazzini che decimerebbero l'esercito. Sono convinti che qualche telecamera e un allarme bastino, e speriamo che continuino ad esserlo.
Lovino annuì, puntando lo sguardo fuori dal finestrino. Nessuno parlò per il resto del viaggio.

Quando scese dalla macchina, Lovino inspirò profondamente e non riuscì a trattenere un sorriso. Finalmente aria non proveniente dall'impianto di respirazione. Certo, c'era odore di fumo e merda, ma...
-svelto, Mathias. Non vogliamo farci beccare, ricordi?- Gilbert sbuffò -non so quanto ancora riuscirò a tenervi tutti invisibili. Siete pesanti, sapete?
Mathias si inginocchiò davanti al quadro elettrico, lo aprì e ci posò la mano aperta. Dopo qualche secondo si alzò -fatto.
E tornarono tutti visibili. Lovino non sapeva spiegarselo: quando qualcun altro era invisibile insieme a lui, comunque lo vedeva, solo leggermente sbiadito e con i contorni sfocati. Bah.
Gilbert lo prese a braccetto, e all'improvviso furono entrambi invisibili. Ghignò -ci divertiremo un mondo, vedrai!
Mentre saliva sul furgone per portarlo dentro al magazzino, Antonio aveva sempre di più la faccia di uno che si rendeva conto di aver avuto una pessima idea. Lovino fu tentato di fargli la linguaccia, ma Gilbert poteva vederlo.
Quando furono entrati, le due enormi porte si chiuserlo dietro di loro. Gilbert si sedette su una roccia e sospirò soddisfatto -ci annoieremo da morire!
-che bello- Lovino cominciò a fare avanti e indietro, nervoso, e andò avanti per un bel po'.
-calmati, mi stai facendo venire il mal di testa- l'albino sospirò -so che me ne pentirò ma... cosa ti turba?
-non lo so- si sforzò di stare fermo -c'era un silenzio strano in macchina.
-quello? Oh, è semplice. Hanno paura di te.
-paura? Di me? Alcuni sono grandi almeno il doppio.
-ti devo ricordare che ammazzi la gente solo toccandola?
-ma non sono una bestia, non li ucciderei mai senza un valido motivo. Tipo, boh, consegnarci alla Restaurazione o mettere l'ananas sulla pizza.
-ma loro non lo sanno. Non ti conoscono.
-ah... giusto- sbuffò e si abbandonò su un'altra roccia, vicino a Gilbert -odio le persone. Sono complicate.
-kesesese, benvenuto nella vita vera!- allargò le braccia e agitò le mani con aria entusiasta. Poi sbuffò -senti, non è che me ne freghi qualcosa, ma Fran è preoccupato per via del tuo litigio con Antonio...
-vi ha detto che abbiamo litigato?- che altro aveva raccontato quello stronzo?!
Gilbert roteò gli occhi -ti prego. Si vede lontano un miglio. Un giorno siete a tanto così dal saltarvi addosso ogni volta che vi vedete, quello dopo battibeccate in mensa perché vuoi venire con noi, e quello dopo ancora non vi parlate, Tonio è depresso e ogni volta che vi guardate avete o la faccia da "sono-arrabbiato-con-te" o quella da "mi-manchi-ti-prego-chiariamo"
-non... non è vero!- sbottò, con le guance rosse. Fottuti crucchi.
-oh, sì che è vero, anche se pure Tonio dice di no. Allora, come siete messi? State insieme di nascosto o siete ancora alla fase "mi-piace-ma-non-so-come-dirglielo"?
-n-non ti riguarda- balbettò, sempre più rosso. Sospirò -e comunque nessuna delle due- si poteva dire che avessero rotto? Boh. Ufficialmente no, ma non avevano una conversazione civile da una settimana... fottuti sentimenti di merda.
Lovino si alzò e si spolverò i pantaloni. Aveva bisogno di camminare -vado a fare un giro qui intorno. Tu continua a rendermi invisibile.
-non allontanarti troppo.
-sì sì- roteò gli occhi, girò l'angolo e si mise a camminare intorno all'edificio. Inspirò profondamente, ignorando la puzza di smog, e puntò lo sguardo in lontananza, sospirando soddisfatto nel non vedere un limite, un muro o qualcosa di simile. Davanti a lui c'era solo il nulla. Vide un paio di montagne a qualche chilometro da lì, con delle casette sparse come stelle nel cielo. Chissà chi ci viveva. Forse sarebbe stato bello vivere lì, lontano dal casino, con una vita normale. Però, se avesse avuto una vita normale, non avrebbe mai incontrato Antonio. Si appoggiò alla parete, scendendo fino a sedersi a terra, e attirò le ginocchia al petto. Sospirò -fottuti sentimenti.
Rimase lì a deprimersi, fino a quando non sentì qualcosa di morbido strusciarsi contro la sua gamba. Sobbalzò e a stento trattenne un urlo. Abbassò lo sguardo e lì, contro la sua coscia, c'era un gattino nero, di un anno o due, alla ricerca di coccole o, più probabilmente, di cibo. Aggrottò la fronte, come aveva fatto a vederlo?
Si guardò le mani. Merda, era di nuovo visibile.
-ah, ciao. Mi hai messo paura- prese ad accarezzarlo con una mano, facendogli socchiudere gli occhi verdi -dovrei avere qualcosa da mangiare...- con l'altra mano si frugò nelle tasche. Trovò una confezione mezza vuota di carne secca, che si era portato dietro per il viaggio -questo credo che tu possa mangiarlo. È carne, non dovrebbe farti male.
Il micio si sporse ad annusare la carne nelle sue mani, cercando di capire cosa fosse. Sembrò trovarla di suo gradimento, perché cominciò a mangiarla, muovendo lentamente la coda con aria soddisfatta.
-non ho dell'acqua però- si giustificò -mi dispiace- il gatto miagolò scontento -senti, sei tu che sei arrivato all'improvviso, io che ne sapevo? Mica vado in giro con una ciotola dell'acqua e una lettiera per...
-non sapevo ti piacessero i gatti- commentò una voce divertita. Lovino e il gatto si voltarono allo stesso tempo, e il ragazzo si trovò ad incrociare gli occhi verdi di Antonio, appoggiato alla parete con un sorriso intenerito. Tossicchiò -abbiamo finito, stiamo andando via.
-oh, okay- si tolse il gatto di dosso e si alzò -avete già fatto?
-non c'era molto da prendere- Antonio scrutò per qualche secondo il felino, che stava seguendo il suo nuovo padroncino -lui riesci a toccarlo?
Lovino alzò le spalle -è piccolo, non ha tanta energia da assorbire, quasi non la percepisco. Quindi a quanto pare sì.
-è carino- si chinò per accarezzarlo, ma quello gli soffiò contro. Poi, un attimo dopo, era sulla spalla di Lovino, sempre guardando male l'intruso -ma che c...
-si è teletrasportato- constatò Lovino, accarezzandolo sulla testolina. Abbozzò un sorriso -mi sa che dovremo portarcelo dietro. Per la scienza.
-per la scienza, certo- brontolò lo spagnolo, avviandosi verso la macchina con Lovino al seguito -che gioia.
Il gatto cominciò a fare le fusa contro il collo del suo nuovo padrone, guardandolo con aria di sfida.

Inutile dire che, vedendo il gattino, Elizabeta andò in estasi.
-è un amore!- esclamò, coccolandolo ininterrotamente per tutto il viaggio di ritorno e oltre.
Stessa reazione ebbe Feliciano, ma lui optò per un -è adorabile!
Circondato dalle loro attenzioni, il felino sembrava compiaciuto.
Romolo invece era divertito -e così hai trovato un gatto che si teletrasporta e l'hai portato qui.
-per la scienza- spiegò Lovino, mentre il gatto si trasportava tra le sue gambe per ricevere un po' di coccole da lui.
-per la scienza, come no- sospirò -presumo che potremo tenerlo, non occupa tanto spazio. Prendiamo una vaschetta vecchia, la riempiamo di terra e la usiamo come lettiera. Per il cibo... boh, qualcosa lo troviamo, non dovrebbe mangiare tanto.
-grazie, nonno- il micio cominciò a fare le fusa -lo tengo in camera mia, non preoccuparti.
-fratellone, come l'hai chiamato?
Lovino aggrottò la fronte -Gatto?
-ma gatto non è un nome.
-chiamalo Spamano- suggerì Eliza, con un sorrisetto.
-Spache?
-oh, tesoro, è inutile che fai l'ingenuo...
-ve, quindi come lo chiami?
-ma che ne so...- sbuffò -Pomodoro?
-quello è un frutto.
-Fuffi?
-è un nome da cane.
-che palle che sei, Feli- sbuffò -Cesare?- il micio miagolò soddisfatto. Lovino gli accarezzò la testolina -ti piace Cesare?- altro miagolio -e va bene, vada per Cesare.
-ve, dovremmo fargli il bagnetto...
Cesare si teletrasportò via.
Lovino sbuffò divertito -buona fortuna. Vado a cercarlo.
Lo trovò a vagabondare davanti alla mensa.
-mica scemo il micetto- lo prese in braccio -niente bagnetto, promesso- Cesare miagolò contento e gli si strusciò contro, facendo le fusa.
-ehi...
Lovino sobbalzò. Si voltò e... sì, era Antonio, con un sorrisino imbarazzato stampato in faccia. Sì ma così non era leale. Non poteva rimanere arrabbiato con lui se aveva un sorriso così adorabile -ciao.
Cesare si teletrasportò sulle sue spalle e si mise a soffiare contro Antonio, scrutandolo come a sfidarlo a fare qualcosa.
-possiamo parlare un attimo? In privato?
Annuì in automatico, seguendolo fino alla sua stanza.
Antonio lo fece entrare, si chiuse la porta alle spalle e sospirò, torcendosi le mani -scusa, ho esagerato.
Okay, non se lo aspettava. Ci sperava, ma pensava che prima avrebbero discusso ancora un po' o... o boh. Non pensava sarebbe stato così semplice.
-è che volevo proteggerti... lo so che non sei debole, anzi sei una delle persone più forti che conosca, ma non...- si passò una mano tra i capelli e sembrò cercare le parole per qualche secondo -ne hai già passate tante. Non voglio che tu soffra ancora. Ma...- sospirò -hai ragione, non posso decidere per te. Quindi... scusami, mi dispiace. Volevo dirtelo prima ma...- scosse la testa -non trovavo il modo o il momento, e forse un po' speravo che cambiassi idea all'ultimo.
-okay- cercò di trattenere un sorriso -scuse accettate.
Antonio sorrise -meno male! Avevo paura che mi odiassi.
Odiarlo? E come cazzo avrebbe potuto farlo? Per farsi odiare, odiare sul serio, quel cretino avrebbe dovuto combinare qualcosa di davvero grave, non bastava certo una litigata per una stronzata del genere. Sbuffò -certo che no, idiota.
Antonio sorrise ancora di più, e Lovino non riuscì più a trattenersi: in due passi annullò la distanza tra loro, gli prese il viso tra le mani e lo baciò. Sorrise, non riuscì a farne a meno. Per un attimo fu come se nulla fosse successo, ma allo stesso tempo quel bacio fu come una cioccolata calda dopo una giornata al freddo e al gelo. Lo riscaldò fino al midollo, facendolo sentire di nuovo bene, di nuovo al sicuro, di nuovo a casa.
Cesare soffiò e si teletrasportò ai piedi del suo padrone, continuando a guardare male l'intruso e interrompendo il bacio.
-quella bestiaccia mi odia- brontolò Antonio, guardando male il gattino. Lovino ridacchiò.
-è geloso- lo baciò sulla guancia -non vuole che tu gli rubi il suo padrone.
-c'ero prima io.
-ma il gatto è più intelligente- lo baciò di nuovo, premendosi contro di lui. Quanto gli era mancato...
-però bacio meglio.
-chissà. Non ho mai baciato un gatto- lo baciò ancora -ma sì, penso di sì.
Cesare miagolò con aria disgustata e se ne andò, probabilmente imprecando in gattese.
-mi sei mancato- gli sussurrò Antonio all'orecchio -quando sono uscito dal magazzino e non c'eri più sono impazzito dalla preoccupazione- ridacchiò -stavo per uccidere Gil per averti lasciato andare. Quando ti ho trovato...
-scusa.
-niente. Eri così tranquillo... più... non so, rilassato. Avrei dovuto capire prima che qui ti sentivi in gabbia quasi come lì. Mi dispiace, pensavo fosse solo un capriccio.
-non importa- ed era davvero così. Ormai era passato -abbracciami e basta.
Antonio non esitò un secondo ad obbedire.

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Capitolo 11
*** Capitolo dieci ***


Okay, starete pensando. Ci avevi promesso che le cose si sarebbero fatte traumatiche. Quei due hanno litigato, ci hai raccontato una back story abbastanza pesante, ma ora le cose si sono risolte. Ci hai già dato la nostra dose di sofferenza, giusto?
Miei dolci, ingenui lettori...
I veri traumi cominceranno nella seconda parte, nel secondo blocco narrativo per usare tecnicismi, che, non preoccupatevi, comincerà tra poco. Per ora ci siamo andati leggeri. Ma senza spoilerarvi o inquietarvi oltre, torno a raccontarvi la nostra storia, che spero stia soddisfando le vostre aspettative.
I casini ripresero cinque mesi dopo, e la colpa fu tutta di Lovino.
In questo periodo di tempo, il ragazzo non solo era riuscito ad imparare a controllare il suo potere anche sulle persone, ma stava anche imparando a proiettarlo. La prima volta che ci aveva provato, invece di distruggere alcuni cocci di un piatto rotto aveva provocato un piccolo terremoto, ma con un po' di pratica aveva imparato. Da qualche giorno, poi, Antonio aveva inventato un nuovo esercizio: lanciava in aria qualcosa e Lovino doveva distruggerlo. Era un esercizio difficile, doveva concentrarsi al massimo su un oggetto in movimento, ma se ci fosse riuscito sarebbe stata una figata, per usare le parole del suo ragazzo. Con lui le cose andavano a gonfie vele, a parte qualche piccolo litigio ogni tanto, ma niente che non si risolvesse in fretta.
Facciamo un passo indietro. Vi ho detto che aveva definitivamente imparato a controllarsi, e che anzi ormai gli veniva facile come accendere e spegnere la luce, vero? Ecco. Potete quindi ben immaginare che, una volta sicuro al duecento percento di esserne capace, finalmente si concesse di avere contatti con persone che non fossero Antonio. E tra queste persone, ovviamente, c'erano suo nonno e Feliciano.
Ora. Dopo quello successo anni prima, Lovino andava comprensibilmente nel panico all'idea di toccare suo fratello, motivo per cui continuò a rimandare fino a essere assolutamente e completamente sicuro che non gli avrebbe fatto male, e comunque era ancora nervoso.
Feliciano invece non vedeva l'ora. Quando finalmente arrivò il momento, saltellava impaziente come un bambino.
-okay...- Lovino inspirò profondamente e allargò le braccia -proviamoci.
Il fratellino sorrise e si fiondò ad abbracciarlo, allacciando le braccia intorno al suo busto e poggiando la testa sulla sua spalla, con il viso che gli sfiorava il collo. Lovino istintivamente si irrigidì, ma cercò di non correre via urlando -tutto... tutto okay?- il suo era appena un sussurro. Aveva una paura fottuta della risposta, positiva o negativa che fosse.
Feliciano annuì -sto bene, fratellone. Va tutto bene.
Va tutto bene. Non poteva essere vero. Lovino rimase immobile per un po', pronto ad allontanarsi al minimo cenno di dolore del più piccolo. E invece niente. Andava veramente tutto bene.
Lentamente e ostinatamente, una lacrima gli corse lungo la guancia, seguita da un'altra e un'altra ancora. Lovino scoppiò definitivamente a piangere, stringendo forte il suo fratellino e nascondendosi contro la sua spalla. Andava tutto bene. Andava tutto bene. Andava tutto bene.
Feliciano rise, al massimo della gioia -ce l'hai fatta, fratellone!
Romolo, che aveva osservato la scena appoggiato alla scrivania del suo studio, sorrise e si unì all'abbraccio, stritolando i due nipoti. Ah, e Cesare si teletrasportò sulla testa del suo padrone preferito, tanto per mettere in chiaro che anche lui era parte della famiglia Vargas.
Che bel quadretto!
Stava andando tutto così bene che ovviamente non poteva durare. Lovino non ci credeva. Qualcosa doveva capitare. Qualche tragedia, qualche intoppo, qualche imprevisto. La vita non lo avrebbe lasciato stare così presto.
E infatti capitò. A dirla tutta, la colpa fu anche di Ludwig.
Erano a cena, parlando del più e del meno. Si rideva, si scherzava e si mangiava. Tutto nella norma. Gilbert aveva fatto una battuta sulla prigionia di Lovino, ed ecco la domanda del piccolo, si fa per dire, crucco, che scatenò il putiferio.
-c'è una cosa che non capisco. Senza offesa, ma non capisco perché ti abbiano lasciato vivo.
-in che senso?
-cioé...- sembrava imbarazzato, con gli occhi di tutti puntati addosso -hai detto che ti hanno fatto degli esperimenti, anche se non li ricordi con esattezza, e poi ti hanno lasciato nella cella, fino a quando Antonio, mio fratello e Francis non ti hanno fatto uscire.
-esatto.
-quello che non capisco è: una volta capito quello che dovevano capire, perché non ti hanno semplicemente ucciso? È strano. Di solito la Restaurazione usa quel che deve usare e poi se ne sbarazza. È da un po' che ci penso, ma continuo a non capirlo.
Lovino aggrottò la fronte. Già, perché? Non ci si era mai soffermato, però un motivo doveva ess...
Si alzò di scatto, rovesciando il suo piatto. La sua mente continuava a lavorare, ragionando a una velocità vorticosa.
-devo parlare con il nonno- disse solo, e poi corse via. Perché non lo avevano ucciso? Avrebbero potuto, sarebbe bastato drogarlo come facevano di solito e piantargli una pallottola in testa, o avvelenargli il cibo, o non dargliene proprio e lasciarlo morire di fame. Di modi ne avevano. Non avevano più bisogno di lui, altrimenti non avrebbero smesso di fare esperimenti.
Ma avevano davvero smesso?
Oppure anche la cella era un esperimento? Forse gli avevano dato un compagno di stanza solo per vedere le sue reazioni, se lo avrebbe ucciso o no. Di sicuro c'era almeno una telecamera, probabilmente decine, per controllarlo, per studiare i suoi movimenti e i suoi sforzi, e per controllare come una compagnia lo avrebbe cambiato. Se aveva ragione, sapevano anche loro che Antonio poteva toccarlo... allora si erano messi a studiare anche lui, ma proprio quando la faccenda si era fatta interessante, erano scappati. Probabilmente avevano visto in faccia Gilbert e Francis, e di sicuro avevano sentito la loro conversazione. Cosa si erano detti? Bah, ci avrebbe pensato dopo, l'importante era una nuova informazione che lentamente si stava facendo strada nella sua testa.
La Restaurazione aveva ancora un disperato bisogno di lui.
Non avevano finito con lui, oh no, anzi. Il loro studio si era appena ampliato, di almeno due volte, visto che qualcuno poteva toccarlo.
Ed ecco che finalmente intravedeva un piano per distruggerli alla radice.
Doveva assolutamente parlarne con il nonno.
 
-ho un'idea per abbattere la Restaurazione!- esordì entrando. Suo nonno, mezzo abbracciato ad Ariovisto, si allontanò dal suo braccio destro con aria scocciata.
-si bussa, pensavo di avertelo insegn...
-è importante!
Romolo vide la sua espressione e sembrò rendersi conto della serietà della situazione. Si scambiò un'occhiata con Ariovisto e annuì -okay, dimmi.
-loro mi vogliono ancora- spiegò il suo ragionamento in breve -posso infiltrarmi e colpirli dall'interno.
-chi ti dice che non ti risbatteranno in gabbia non appena ti vedranno?
-non glielo permetterò. Andrò nella prima base disponibile e mi dirò disposto a collaborare, a patto che mi mandino nella capitale con il supremo. Altrimenti...- fece tremare la scrivania del nonno -se ho abbastanza faccia da culo dovrei farcela.
-mettiamo che tu ci riesca. Poi che vorresti fare?
-intanto avreste una spia nella capitale, il che di sicuro non fa male. E indagando potrei trovare un modo di farvi infiltrare e abbatterli dall'interno- l'idea lo stava appassionando sempre di più -tutto parte dalla capitale, e dal supremo. Se abbattiamo lui, prendere il resto sarà facile.
-la capitale è una fortezza. È impossibile entrare e uscirne vivi.
-mi inventerò qualcosa. È la nostra occasione migliore. Se facciamo le cose per bene...
-frena. Stai andando troppo di fretta- lo interruppe -la fai semplice, ma dobbiamo pianificare, ipotizzare ogni tipo di imprevisto, trovare un modo per comunicare...
-okay, certo, ma se funziona...
Romolo e Ariovisto si scambiarono un'occhiata. Il biondo annuì -se funziona, ed è un grosso se, potremmo riuscire ad abbattere la Restaurazione una volta per tutte.
 
Lovino rimase lì dentro a pianificare altre due ore. Mano a mano che il piano prendeva forma, gli venivano idee nuove, finché, insieme a suo nonno e ad Ariovisto, non riuscirono a completare una bozza. Lovino avrebbe continuato, ma Romolo lo cacciò via dicendo che era tardi e che a mente fresca avrebbero ragionato meglio. Lovino non voleva, ma si trascinò fino alla sua stanza, con la mente che ancora lavorava alla velocità della luce. Era talmente concentrato che quasi non si accorse di suo fratello e di Antonio, fermi davanti alla sua camera.
-ah, ciao- entrò in camera senza una parola, immerso nei suoi pensieri. Se fosse riuscito a...
-Lovi- Antonio lo richiamò, afferrandolo per un polso -si può sapere che è successo? Prima sei corso da tuo nonno con una faccia da pazzo, poi sei sparito per ore e adesso...
-mi è venuta in mente un'idea per combattere la Restaurazione- disse brevemente. Cazzo, a quei due non ci aveva pensato. Conoscendoli sarebbero stati capaci di inchiodarlo al muro pur di non farlo andare incontro alla morte come un cretino -ne ho parlato con il nonno.
-e l'idea sarebbe...- lo incalzò Feliciano. Il maggiore però scosse la testa.
-non so se posso dirvelo, e poi era solo un'ipotesi.
Feliciano sembrò scocciato, ma non insistette oltre. Antonio, invece, non aveva smesso un secondo di guardarlo negli occhi.
-uffa- sbadigliò -vado a dormire, ma domani ne riparliamo- stampò un bacio sulla guancia a suo fratello, talmente concentrato che quasi non se ne rese conto, salutò Antonio e se ne andò fischiettando una melodia. Quando si fu chiuso la porta alle spalle, Antonio tornò all'attacco. Incrociò le braccia al petto e lo guardò con un sopracciglio inarcato -ora hai intenzione di dirmi cosa ti è saltato in testa o devo andare a chiederlo direttamente a Romolo?
Lovino sbuffò e si sedette sul letto. Non aveva senso nasconderglielo, prima o poi lo avrebbe scoperto. Così glielo spiegò in breve.
Si aspettava una scenata, invece Antonio sospirò -non ho la minima possibilità di farti cambiare idea, vero?
-vero.
Sospirò di nuovo -quanto dovrebbe durare?
-non lo so. Dovrò indagare, cercare un punto debole nella fortezza, comunicare con i soldati senza farmi scoprire...- si fermò. Non voleva mandarlo nel panico -sarà difficile, ma meglio di restare con le mani in mano.
Lo spagnolo annuì, sovrappensiero. Si sedette accanto a lui e gli circondò le spalle con un braccio -mi mancherai.
-anche tu- si appoggiò a lui e gli prese la mano.
Rimasero così per un po', ognuno perso nei suoi pensieri. Poi Antonio ridacchiò -sarò il fidanzato di un eroe. Devo dimostrarmi all'altezza.
Non riuscì a trattenere un sorriso -idiota.
-no, sul serio. Sento la pressione- lo baciò sulla tempia -dovrò dimostrarmi degno di te, querido.
-scemo- si spostò dalla sua posizione e lo baciò a stampo -non è niente di che.
-potresti salvare il mondo.
-eeeeh, esagerato. Ci provo- lo baciò sulla guancia -ma di certo non sarà tutto merito mio. E non hai bisogno di dimostrare niente- lo baciò ancora, sforzandosi di non sorridere per non dargli la soddisfazione. Antonio gli posò le mani sui fianchi e lo attirò a sé, per farlo salire sulle sue gambe. Lovino gli si sedette in braccio e gli prese il viso tra le mani, continuando a baciarlo.
-Lovi?
-mh?- tutti quei baci lo stavano intontendo. E anche le braccia dell'altro intorno a lui. E anche...
-ti amo.
Oh. Ora era di nuovo attento. Attento e arrossito. Abbassò la testa, cercando di nascondere il viso rosso come un pomodoro maturo, bofonchiando qualcosa.
Antonio rise e gli scostò una ciocca di capelli dal viso, sistemandogliela dietro l'orecchio -non... non lo sto dicendo tanto per dire. Ti amo davvero. Mi rendi felice solo esistendo, querido. Quando sono con te non riesco a non sorridere, anche se ci provo non riesco a smettere. Sei così...- agitò una mano in aria, cercando di trovare le parole -sorprendente. Cambi di continuo. Un attimo sei tranquillo e sicuro di te e quello dopo arrossisci come una dodicenne e...
-hai reso l'idea- brontolò, nascondendo il viso contro la sua spalla -sono lunatico.
-lunatico... non la metterei così. Sei incoerente, scostante, imprevedibile... e amo questo lato di te. Non sei mai scontato.
-okay... perché questa dichiarazione così a cazzo di cane?
-non lo so. Mi andava di dirtelo, voglio che lo sappia. Potremmo morire da un giorno all'altro, e con il fatto che vai da loro...- gli mancò la voce. Tossicchiò -voglio che te lo ricordi.
-va bene...- sussurrò, senza fiato. Okay, era lui quello imprevedibile dei due, ma pure Antonio non scherzava. Come cazzo faceva a uscirsene con cose del genere con tanta naturalezza? -me lo ricorderò.
-e tu?- era più incerto adesso, insicuro. Era adorabile -mi ami?
Lovino sbuffò -certo, cretino- lo baciò di nuovo, con un mezzo sorriso -secondo te farei queste... queste cose con uno qualsiasi? Per chi mi hai preso? Per una puttana?
Antonio lo fissò incredulo per qualche secondo. Poi scoppiò a ridere, stringendoselo contro -vedi? È di questo che parlavo. Diamine, ti amo così tanto.
-diamine? Stai con me da mesi e ancora non hai imparato a imprecare come si deve?- però sorrideva. Lo baciò di nuovo, cercando di non pensare al futuro. Chissà se ce lo avrebbe avuto, un futuro. Non è che gli fregasse tanto del suo, non osava neanche immaginare di averne uno. Meno di un anno prima pensava che sarebbe morto da solo in una cella buia, quello che aveva ora sembrava troppo bello per essere vero, figuriamoci invecchiare e magari crearsi persino una famiglia. A volte si svegliava e non aveva il coraggio di aprire gli occhi, per il terrore di ritrovarsi di nuovo in gabbia, da solo. Quello a cui davvero teneva era il futuro di Antonio. Lui meritava di averne uno. Lui doveva averne uno. Avrebbe fatto in modo che fosse così. Si allontanò dalla sua bocca per riprendere fiato, ma quando stava per posare di nuovo le labbra sulle sue, Antonio lo interruppe posandogli una mano sulla bocca.
-aspetta un secondo. Voglio darti una cosa- arretrò leggermente e tolse le mani dai fianchi del suo ragazzo per portarsele dietro il collo. Lovino cercò di non mostrarsi infastidito, poi si disse che aveva tutto il diritto di esserlo e incrociò le braccia al petto. Antonio ridacchiò -non guardarmi così, è una cosa importante- si slacciò la croce che portava sempre al collo. Lovino l'aveva notata, ovviamente, ma non aveva chiesto niente. Insomma, non è che ci volesse un genio a capire cosa fosse o perché la portasse. Lo spagnolo cercò di fargliela indossare, ma Lovino lo fermò.
-no, non posso accettare una cosa simile.
Primo, era una croce d'oro. Chissà quanto valeva. Secondo, aveva un significato emotivo. Antonio non la toglieva mai, quindi o era molto religioso, anche se non gli aveva mai visto recitare una preghiera, o quella croce era legata a qualche ricordo, o forse entrambe le cose.
-dai, ci tengo.
-no.
-non per sempre- specificò -tienila come portafortuna finché sarai lontano da me. Sarò più tranquillo se saprò che la avrai con te.
Scosse la testa -no.
-dai.
-no.
-daaaaaai.
Sbuffò -comunque non è che parto domani, non serve farla tanto lunga. Ne riparliamo più avanti, okay?
-va bene, querido.
-bravo, bastardo- lo baciò -adesso abbracciami, cretino.
-agli ordini!
Okay, starete pensando. Ci avevi promesso che le cose si sarebbero fatte traumatiche. Quei due hanno litigato, ci hai raccontato una back story abbastanza pesante, ma ora le cose si sono risolte. Ci hai già dato la nostra dose di sofferenza, giusto?
Miei dolci, ingenui lettori...
I veri traumi cominceranno nella seconda parte, nel secondo blocco narrativo per usare tecnicismi, che, non preoccupatevi, comincerà tra poco. Per ora ci siamo andati leggeri. Ma senza spoilerarvi o inquietarvi oltre, torno a raccontarvi la nostra storia, che spero stia soddisfando le vostre aspettative.
I casini ripresero cinque mesi dopo, e la colpa fu tutta di Lovino.
In questo periodo di tempo, il ragazzo non solo era riuscito ad imparare a controllare il suo potere anche sulle persone, ma stava anche imparando a proiettarlo. La prima volta che ci aveva provato, invece di distruggere alcuni cocci di un piatto rotto aveva provocato un piccolo terremoto, ma con un po' di pratica aveva imparato. Da qualche giorno, poi, Antonio aveva inventato un nuovo esercizio: lanciava in aria qualcosa e Lovino doveva distruggerlo. Era un esercizio difficile, doveva concentrarsi al massimo su un oggetto in movimento, ma se ci fosse riuscito sarebbe stata una figata, per usare le parole del suo ragazzo. Con lui le cose andavano a gonfie vele, a parte qualche piccolo litigio ogni tanto, ma niente che non si risolvesse in fretta.
Facciamo un passo indietro. Vi ho detto che aveva definitivamente imparato a controllarsi, e che anzi ormai gli veniva facile come accendere e spegnere la luce, vero? Ecco. Potete quindi ben immaginare che, una volta sicuro al duecento percento di esserne capace, finalmente si concesse di avere contatti con persone che non fossero Antonio. E tra queste persone, ovviamente, c'erano suo nonno e Feliciano.
Ora. Dopo quello successo anni prima, Lovino andava comprensibilmente nel panico all'idea di toccare suo fratello, motivo per cui continuò a rimandare fino a essere assolutamente e completamente sicuro che non gli avrebbe fatto male, e comunque era ancora nervoso.
Feliciano invece non vedeva l'ora. Quando finalmente arrivò il momento, saltellava impaziente come un bambino.
-okay...- Lovino inspirò profondamente e allargò le braccia -proviamoci.
Il fratellino sorrise e si fiondò ad abbracciarlo, allacciando le braccia intorno al suo busto e poggiando la testa sulla sua spalla, con il viso che gli sfiorava il collo. Lovino istintivamente si irrigidì, ma cercò di non correre via urlando -tutto... tutto okay?- il suo era appena un sussurro. Aveva una paura fottuta della risposta, positiva o negativa che fosse.
Feliciano annuì -sto bene, fratellone. Va tutto bene.
Va tutto bene. Non poteva essere vero. Lovino rimase immobile per un po', pronto ad allontanarsi al minimo cenno di dolore del più piccolo. E invece niente. Andava veramente tutto bene.
Lentamente e ostinatamente, una lacrima gli corse lungo la guancia, seguita da un'altra e un'altra ancora. Lovino scoppiò definitivamente a piangere, stringendo forte il suo fratellino e nascondendosi contro la sua spalla. Andava tutto bene. Andava tutto bene. Andava tutto bene.
Feliciano rise, al massimo della gioia -ce l'hai fatta, fratellone!
Romolo, che aveva osservato la scena appoggiato alla scrivania del suo studio, sorrise e si unì all'abbraccio, stritolando i due nipoti. Ah, e Cesare si teletrasportò sulla testa del suo padrone preferito, tanto per mettere in chiaro che anche lui era parte della famiglia Vargas.
Che bel quadretto!
Stava andando tutto così bene che ovviamente non poteva durare. Lovino non ci credeva. Qualcosa doveva capitare. Qualche tragedia, qualche intoppo, qualche imprevisto. La vita non lo avrebbe lasciato stare così presto.
E infatti capitò. A dirla tutta, la colpa fu anche di Ludwig.
Erano a cena, parlando del più e del meno. Si rideva, si scherzava e si mangiava. Tutto nella norma. Gilbert aveva fatto una battuta sulla prigionia di Lovino, ed ecco la domanda del piccolo, si fa per dire, crucco, che scatenò il putiferio.
-c'è una cosa che non capisco. Senza offesa, ma non capisco perché ti abbiano lasciato vivo.
-in che senso?
-cioé...- sembrava imbarazzato, con gli occhi di tutti puntati addosso -hai detto che ti hanno fatto degli esperimenti, anche se non li ricordi con esattezza, e poi ti hanno lasciato nella cella, fino a quando Antonio, mio fratello e Francis non ti hanno fatto uscire.
-esatto.
-quello che non capisco è: una volta capito quello che dovevano capire, perché non ti hanno semplicemente ucciso? È strano. Di solito la Restaurazione usa quel che deve usare e poi se ne sbarazza. È da un po' che ci penso, ma continuo a non capirlo.
Lovino aggrottò la fronte. Già, perché? Non ci si era mai soffermato, però un motivo doveva ess...
Si alzò di scatto, rovesciando il suo piatto. La sua mente continuava a lavorare, ragionando a una velocità vorticosa.
-devo parlare con il nonno- disse solo, e poi corse via. Perché non lo avevano ucciso? Avrebbero potuto, sarebbe bastato drogarlo come facevano di solito e piantargli una pallottola in testa, o avvelenargli il cibo, o non dargliene proprio e lasciarlo morire di fame. Di modi ne avevano. Non avevano più bisogno di lui, altrimenti non avrebbero smesso di fare esperimenti.
Ma avevano davvero smesso?
Oppure anche la cella era un esperimento? Forse gli avevano dato un compagno di stanza solo per vedere le sue reazioni, se lo avrebbe ucciso o no. Di sicuro c'era almeno una telecamera, probabilmente decine, per controllarlo, per studiare i suoi movimenti e i suoi sforzi, e per controllare come una compagnia lo avrebbe cambiato. Se aveva ragione, sapevano anche loro che Antonio poteva toccarlo... allora si erano messi a studiare anche lui, ma proprio quando la faccenda si era fatta interessante, erano scappati. Probabilmente avevano visto in faccia Gilbert e Francis, e di sicuro avevano sentito la loro conversazione. Cosa si erano detti? Bah, ci avrebbe pensato dopo, l'importante era una nuova informazione che lentamente si stava facendo strada nella sua testa.
La Restaurazione aveva ancora un disperato bisogno di lui.
Non avevano finito con lui, oh no, anzi. Il loro studio si era appena ampliato, di almeno due volte, visto che qualcuno poteva toccarlo.
Ed ecco che finalmente intravedeva un piano per distruggerli alla radice.
Doveva assolutamente parlarne con il nonno.
 
-ho un'idea per abbattere la Restaurazione!- esordì entrando. Suo nonno, mezzo abbracciato ad Ariovisto, si allontanò dal suo braccio destro con aria scocciata.
-si bussa, pensavo di avertelo insegn...
-è importante!
Romolo vide la sua espressione e sembrò rendersi conto della serietà della situazione. Si scambiò un'occhiata con Ariovisto e annuì -okay, dimmi.
-loro mi vogliono ancora- spiegò il suo ragionamento in breve -posso infiltrarmi e colpirli dall'interno.
-chi ti dice che non ti risbatteranno in gabbia non appena ti vedranno?
-non glielo permetterò. Andrò nella prima base disponibile e mi dirò disposto a collaborare, a patto che mi mandino nella capitale con il supremo. Altrimenti...- fece tremare la scrivania del nonno -se ho abbastanza faccia da culo dovrei farcela.
-mettiamo che tu ci riesca. Poi che vorresti fare?
-intanto avreste una spia nella capitale, il che di sicuro non fa male. E indagando potrei trovare un modo di farvi infiltrare e abbatterli dall'interno- l'idea lo stava appassionando sempre di più -tutto parte dalla capitale, e dal supremo. Se abbattiamo lui, prendere il resto sarà facile.
-la capitale è una fortezza. È impossibile entrare e uscirne vivi.
-mi inventerò qualcosa. È la nostra occasione migliore. Se facciamo le cose per bene...
-frena. Stai andando troppo di fretta- lo interruppe -la fai semplice, ma dobbiamo pianificare, ipotizzare ogni tipo di imprevisto, trovare un modo per comunicare...
-okay, certo, ma se funziona...
Romolo e Ariovisto si scambiarono un'occhiata. Il biondo annuì -se funziona, ed è un grosso se, potremmo riuscire ad abbattere la Restaurazione una volta per tutte.
 
Lovino rimase lì dentro a pianificare altre due ore. Mano a mano che il piano prendeva forma, gli venivano idee nuove, finché, insieme a suo nonno e ad Ariovisto, non riuscirono a completare una bozza. Lovino avrebbe continuato, ma Romolo lo cacciò via dicendo che era tardi e che a mente fresca avrebbero ragionato meglio. Lovino non voleva, ma si trascinò fino alla sua stanza, con la mente che ancora lavorava alla velocità della luce. Era talmente concentrato che quasi non si accorse di suo fratello e di Antonio, fermi davanti alla sua camera.
-ah, ciao- entrò in camera senza una parola, immerso nei suoi pensieri. Se fosse riuscito a...
-Lovi- Antonio lo richiamò, afferrandolo per un polso -si può sapere che è successo? Prima sei corso da tuo nonno con una faccia da pazzo, poi sei sparito per ore e adesso...
-mi è venuta in mente un'idea per combattere la Restaurazione- disse brevemente. Cazzo, a quei due non ci aveva pensato. Conoscendoli sarebbero stati capaci di inchiodarlo al muro pur di non farlo andare incontro alla morte come un cretino -ne ho parlato con il nonno.
-e l'idea sarebbe...- lo incalzò Feliciano. Il maggiore però scosse la testa.
-non so se posso dirvelo, e poi era solo un'ipotesi.
Feliciano sembrò scocciato, ma non insistette oltre. Antonio, invece, non aveva smesso un secondo di guardarlo negli occhi.
-uffa- sbadigliò -vado a dormire, ma domani ne riparliamo- stampò un bacio sulla guancia a suo fratello, talmente concentrato che quasi non se ne rese conto, salutò Antonio e se ne andò fischiettando una melodia. Quando si fu chiuso la porta alle spalle, Antonio tornò all'attacco. Incrociò le braccia al petto e lo guardò con un sopracciglio inarcato -ora hai intenzione di dirmi cosa ti è saltato in testa o devo andare a chiederlo direttamente a Romolo?
Lovino sbuffò e si sedette sul letto. Non aveva senso nasconderglielo, prima o poi lo avrebbe scoperto. Così glielo spiegò in breve.
Si aspettava una scenata, invece Antonio sospirò -non ho la minima possibilità di farti cambiare idea, vero?
-vero.
Sospirò di nuovo -quanto dovrebbe durare?
-non lo so. Dovrò indagare, cercare un punto debole nella fortezza, comunicare con i soldati senza farmi scoprire...- si fermò. Non voleva mandarlo nel panico -sarà difficile, ma meglio di restare con le mani in mano.
Lo spagnolo annuì, sovrappensiero. Si sedette accanto a lui e gli circondò le spalle con un braccio -mi mancherai.
-anche tu- si appoggiò a lui e gli prese la mano.
Rimasero così per un po', ognuno perso nei suoi pensieri. Poi Antonio ridacchiò -sarò il fidanzato di un eroe. Devo dimostrarmi all'altezza.
Non riuscì a trattenere un sorriso -idiota.
-no, sul serio. Sento la pressione- lo baciò sulla tempia -dovrò dimostrarmi degno di te, querido.
-scemo- si spostò dalla sua posizione e lo baciò a stampo -non è niente di che.
-potresti salvare il mondo.
-eeeeh, esagerato. Ci provo- lo baciò sulla guancia -ma di certo non sarà tutto merito mio. E non hai bisogno di dimostrare niente- lo baciò ancora, sforzandosi di non sorridere per non dargli la soddisfazione. Antonio gli posò le mani sui fianchi e lo attirò a sé, per farlo salire sulle sue gambe. Lovino gli si sedette in braccio e gli prese il viso tra le mani, continuando a baciarlo.
-Lovi?
-mh?- tutti quei baci lo stavano intontendo. E anche le braccia dell'altro intorno a lui. E anche...
-ti amo.
Oh. Ora era di nuovo attento. Attento e arrossito. Abbassò la testa, cercando di nascondere il viso rosso come un pomodoro maturo, bofonchiando qualcosa.
Antonio rise e gli scostò una ciocca di capelli dal viso, sistemandogliela dietro l'orecchio -non... non lo sto dicendo tanto per dire. Ti amo davvero. Mi rendi felice solo esistendo, querido. Quando sono con te non riesco a non sorridere, anche se ci provo non riesco a smettere. Sei così...- agitò una mano in aria, cercando di trovare le parole -sorprendente. Cambi di continuo. Un attimo sei tranquillo e sicuro di te e quello dopo arrossisci come una dodicenne e...
-hai reso l'idea- brontolò, nascondendo il viso contro la sua spalla -sono lunatico.
-lunatico... non la metterei così. Sei incoerente, scostante, imprevedibile... e amo questo lato di te. Non sei mai scontato.
-okay... perché questa dichiarazione così a cazzo di cane?
-non lo so. Mi andava di dirtelo, voglio che lo sappia. Potremmo morire da un giorno all'altro, e con il fatto che vai da loro...- gli mancò la voce. Tossicchiò -voglio che te lo ricordi.
-va bene...- sussurrò, senza fiato. Okay, era lui quello imprevedibile dei due, ma pure Antonio non scherzava. Come cazzo faceva a uscirsene con cose del genere con tanta naturalezza? -me lo ricorderò.
-e tu?- era più incerto adesso, insicuro. Era adorabile -mi ami?
Lovino sbuffò -certo, cretino- lo baciò di nuovo, con un mezzo sorriso -secondo te farei queste... queste cose con uno qualsiasi? Per chi mi hai preso? Per una puttana?
Antonio lo fissò incredulo per qualche secondo. Poi scoppiò a ridere, stringendoselo contro -vedi? È di questo che parlavo. Diamine, ti amo così tanto.
-diamine? Stai con me da mesi e ancora non hai imparato a imprecare come si deve?- però sorrideva. Lo baciò di nuovo, cercando di non pensare al futuro. Chissà se ce lo avrebbe avuto, un futuro. Non è che gli fregasse tanto del suo, non osava neanche immaginare di averne uno. Meno di un anno prima pensava che sarebbe morto da solo in una cella buia, quello che aveva ora sembrava troppo bello per essere vero, figuriamoci invecchiare e magari crearsi persino una famiglia. A volte si svegliava e non aveva il coraggio di aprire gli occhi, per il terrore di ritrovarsi di nuovo in gabbia, da solo. Quello a cui davvero teneva era il futuro di Antonio. Lui meritava di averne uno. Lui doveva averne uno. Avrebbe fatto in modo che fosse così. Si allontanò dalla sua bocca per riprendere fiato, ma quando stava per posare di nuovo le labbra sulle sue, Antonio lo interruppe posandogli una mano sulla bocca.
-aspetta un secondo. Voglio darti una cosa- arretrò leggermente e tolse le mani dai fianchi del suo ragazzo per portarsele dietro il collo. Lovino cercò di non mostrarsi infastidito, poi si disse che aveva tutto il diritto di esserlo e incrociò le braccia al petto. Antonio ridacchiò -non guardarmi così, è una cosa importante- si slacciò la croce che portava sempre al collo. Lovino l'aveva notata, ovviamente, ma non aveva chiesto niente. Insomma, non è che ci volesse un genio a capire cosa fosse o perché la portasse. Lo spagnolo cercò di fargliela indossare, ma Lovino lo fermò.
-no, non posso accettare una cosa simile.
Primo, era una croce d'oro. Chissà quanto valeva. Secondo, aveva un significato emotivo. Antonio non la toglieva mai, quindi o era molto religioso, anche se non gli aveva mai visto recitare una preghiera, o quella croce era legata a qualche ricordo, o forse entrambe le cose.
-dai, ci tengo.
-no.
-non per sempre- specificò -tienila come portafortuna finché sarai lontano da me. Sarò più tranquillo se saprò che la avrai con te.
Scosse la testa -no.
-dai.
-no.
-daaaaaai.
Sbuffò -comunque non è che parto domani, non serve farla tanto lunga. Ne riparliamo più avanti, okay?
-va bene, querido.
-bravo, bastardo- lo baciò -adesso abbracciami, cretino.
-agli ordini!
 

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici ***


Il bambino osservava la mamma scrivere qualcosa al computer. Le dita pallide si muovevano rapide sulla tastiera, e gli occhi azzurri erano fissi sullo schermo, dal quale partiva una luce azzurrognola che le illuminava il viso di un pallore spettrale. La cosa un po' lo spaventava, ma non lo avrebbe mai ammesso. Lui era forte, non aveva paura di nulla!
-mamma- dovette chiamarla più volte per avere la sua attenzione. Quella neanche staccò gli occhi dal PC.
-lo sai che non mi devi disturbare mentre lavoro. Cosa c'è?
-che cos'è l'amore?
-un sentimento- ci mise un po' a rispondere. Non perché stesse pensando, ma perché era arrivata una nuova mail dall'ufficio.
-che tipo di sentimento?
-uno bello- rispose secca. Dopo poco, per togliersi dai piedi il figlio, aggiunse -quello che c'è tra me e tuo padre.
-quindi l'amore è baciarsi e vivere insieme?
-mh, sì- rispose leggendo la mail.
Il bambino se ne andò, rimuginando. Ne aveva sentito parlare in un libro, ma da quello che aveva detto la mamma sembrava un sentimento molto più superficiale di quanto avesse letto. A chi doveva dare retta, allora? Mah, la mamma di solito aveva ragione, e nei libri si tende ad esagerare. Avrebbe riportato quella schifezza in biblioteca al più presto, stabilì deciso.

Lovino era teso, ma si stava sforzando di mostrarsi rilassato. Per fortuna suo nonno aveva insistito per dargli qualche lezione di recitazione, e i due soldati davanti a lui sembravano ancora più agitati di lui. Uno sembrava avere sessant'anni, l'altro non raggiungeva i quindici. Tremavano come foglie. Quando si era presentato, quei due avevano appena avuto il coraggio di puntargli contro i fucili, che erano diventati cenere dopo una sua occhiata. Si era detto disposto a collaborare ad alcune condizioni. Primo, quella di essere spedito nella capitale, le altre le avrebbe spiegate ai loro superiori.
Era lì da due ore. Uno dei due aveva scritto via computer alla capitale, spiegando la situazione. Dopo meno di un quarto d'ora era arrivata una risposta, ovvero che avrebbero mandato dei mezzi per portare Lovino da loro. Nel frattempo si erano raccomandati di trattarlo nel migliore dei modi.
A quanto pareva, per i due soldati il migliore dei modi era farlo accomodare su una panca e offrirgli del caffé di merda, che per altro rifiutò. Già era nervoso di suo, ci mancava il caffé, sempre che potesse essere definito tale.
Finalmente un boato annunciò l'arrivo dei carri armati. I due soldati si misero sull'attenti quando entrarono i loro superiori. Lovino si limitò a un cenno del capo, senza neanche darsi la pena di alzarsi in piedi. Dalle finestrelle sporche intravide una ventina di soldati schierati fuori dalla caserma, decisamente meglio equipaggiati dei due che lavoravano lì. Dentro la caserma entrò uno che chiaramente era un generale, con due guardie pesantemente armate alle sue spalle. Il generale era alto, pallido, con i capelli chiari, gli occhi viola e un sorriso affabile. Non era armato, ma indossava un paio di guanti e aveva l'aria di uno in grado di ammazzare un uomo anche senza un fucile. Lovino non si fece intimidire, o almeno non glielo diede a vedere, e si alzò in piedi spolverandosi i pantaloni. Il generale aumentò il suo sorriso e gli tese la mano.
-mi è stato detto che ti sei finalmente deciso a collaborare.
Lovino osservò la sua mano tesa. I guanti erano di pelle scura, spessi, e all'apparenza dovevano tenere un caldo insopportabile, ma quel tipo indossava una sciarpa rossa intorno al collo dall'aria altrettanto pesante, quindi doveva esserci abituato. Doveva stringergli la mano o no? Forse era meglio mostrarsi collaborativo, ma quel tizio aveva l'aria di uno che rispettava la forza.
Il generale sembrò mal interpretare la sua esitazione. Si lasciò sfuggire una mezza risatina -non preoccuparti, i guanti sono progettati per proteggere chi li indossa dal tuo... talento- aveva l'aria invidiosa, come se lo avesse voluto lui quel "talento" -non mi farai niente.
Lovino annuì e gli strinse la mano. Quello aveva una stretta potente, che per poco non gli ruppe qualche dito.
-sono Ivan Braginski. Spero che la nostra collaborazione sarà proficua- dal sorriso con cui lo disse, sembrava intendere "spero che tu ti renda utile prima che io ti uccida".
-ho alcune condizioni.
Quello sembrò divertito -altrimenti che farai? Ci sono cento soldati qui fuori. Non puoi toccarli tutti prima che almeno uno ti spari, e sono tutti coperti dalla testa ai piedi dello stesso materiale dei miei guanti.
Lovino distrusse i fucili dei due soldati dietro di lui -non mi serve toccarli per ucciderli- di questo non ne era così sicuro -e le pallottole non mi fanno niente- questo invece era vero -quindi o ascoltate le mie condizioni, o vi uccido tutti e me ne vado.
Ivan lo scrutò per qualche secondo, senza il sorriso di prima. Lovino sostenne il suo sguardo. Se c'era una cosa in cui eccelleva, quella era la testardaggine. Alla fine quello tornò a sorridere -benissimo. Quali sono le tue condizioni?
-primo, essere portato nella capitale.
-sono qui a posta.
-secondo, voglio essere messo al corrente di tutti i risultati degli esperimenti che mi avete fatto e di quelli che mi farete. Voglio essere trattato come un vostro pari, non come un topo da laboratorio.
-va bene.
-terzo, voglio la libertà di entrare e uscire quando voglio, avere una stanza privata ed essere trattato come un fottuto essere umano.
Ivan inarcò un sopracciglio -perché vuoi uscire?
Lovino incrociò le braccia al petto e inarcò un sopracciglio -mi avete tenuto in cella per anni. Secondo te?
Si fissarono in cagnesco per qualche altro secondo, poi quello annuì -poi?
-quarto- quella era la richiesta più difficile -voglio incontrare il supremo.
Si aspettava di dover combattere per quest'ultimo punto, invece Ivan alzò le spalle -certo. Ti voleva incontrare lui stesso. Lo affascini, sai?- Lovino cercò di non mostrarsi troppo stupito -ci sono altre condizioni o possiamo andare? Siamo in ritardo.
-per ora è tutto.
-perfetto. Andiamo allora- sorrise ai due soldati della caserma, facendoli sobbalzare, si voltò e se ne andò, con Lovino al seguito.

Il viaggio fino alla capitale fu lungo. Certo, i furgoni erano veloci, ma la distanza era quello che era, e la compagnia non era certo delle migliori. Lovino avrebbe voluto avere qualcosa da leggere a sua disposizione, ma non aveva potuto portarsi nulla.
Ivan parlava, seduto davanti a lui, sempre con quel sorriso affabile, ma l'italiano non gli prestava molta attenzione. A un certo punto si era messo a parlare al telefono, a voce troppo bassa perché lui potesse sentire, senza più cagarlo, e a Lovino la cosa non era dispiaciuta granché.
Gli parlò di nuovo solo dopo aver chiuso la chiamata -il supremo è già lì- questo invece attirò la sua attenzione -non vede l'ora di incontrarti e ha accettato tutte le tue condizioni, con delle modalità che ti spiegherà direttamente lui.
Lovino annuì, con lo sguardo puntato sul finestrino. I vetri erano oscurati, in modo che nessuno potesse guardare dentro e lui non potesse guardare fuori, per cui stava essenzialmente guardando il suo riflesso. Sembrava molto meno spaventato di quanto si sentisse. Bene. Non doveva mostrarsi debole. Stava andando nella tana dei lupi, e i lupi sbranano quelli troppo deboli.
Il blindato si fermò. Ivan si voltò verso di lui. Sembrava curioso di studiare le sue mosse -siamo arrivati.
-bene- gli scoccò un'occhiataccia e scese dal blindato, sbattendo la porta. Nonostante la sua spavalderià, però, davanti allo spettacolo che aveva davanti restò a bocca aperta.
La capitale era immensa. In mezzo ad una valle circondata da alte montagne, la città era circondata da mura altissime, con una sola entrata, ovvero due enormi porte di ferro dalle quali Lovino era entrato. Oltre, c'erano alcuni magazzini, dove probabilmente venivano conservati alimenti e munizioni. E poi c'era l'edificio principale, una... non sapeva come definirla. Sembrava una sorta di castello, con cinque torrette, ma detta così sembra molto più principesca di quanto non fosse. Era un enorme struttura in acciaio, con poche finestrelle, talmente grande che Lovino non riusciva a distinguerne i limiti. C'erano guardie ovunque: sulle torri, sulle mura, davanti alle porte. Entrando Lovino si rese conto che gran parte di quell'enormità era adibita a dormitorio per l'esercito. La Restaurazione usava le sue truppe per tutto: controllare i cittadini, i luoghi di lavoro, le spedizioni... ma lì, nel centro, tenevano il grosso dell'esercito, quei reparti adibiti principalmente in caso di sommosse, guerre o per difendere la capitale stessa. Era, per farla breve, una città completamente militarizzata. Con tono pratico, Ivan gli spiegò mentre entravano che il piano terra era, appunto, in gran parte usato per far dormire le truppe. I piani sotterranei erano usati come prigione per quei pochi sciocchi che avevano osato tentare di entrarci, o per quelli che avevano commesso crimini contro lo stato, e che quindi erano quasi sempre vuote. Tre delle cinque torri invece erano degli ufficiali, amministrativi o dell'esercito, una era interamente per il supremo e l'altra per le ricerche di importanza nazionale. Suo malgrado, Lovino ne rimase colpito. L'ingresso era pratico: un'enorme stanza rettangolare, con cinque scale, ognuna contrassegnata da un cartello luminoso che ne indicava il numero, e sui lati centinaia di porte in metallo, sempre contrassegnate da cartelli luminosi, che portavano presumibilmente ai dormitori o agli spazi di allenamento. Infine, in un angolo, quasi dimenticata, una scala che portava in giù, verso le prigioni. I lampadari gettavano una triste luce a led sul tutto, illuminando ogni singola porta alla perfezione. La maggior parte di queste erano aperte, e i soldati facevano avanti e indietro, chi con un fucile in mano, chi chiaccherando con un collega.
-la torre numero uno è quella del supremo- spiegò Ivan, godendosi la sua espressione stupefatta -fino alla quattro sono per gli ufficiali. La cinque è per gli scienziati e gli studiosi. La porta quarantadue è la mensa- Lovino la individuò a metà della parete davanti a lui, perfettamente uguale a tutte le altre -il supremo vuole parlarti ora, nella torre cinque. Ti accompagno.
Lovino annuì, sovrapensiero, e lo seguì verso la scalinata. Anche le scale erano pratiche, grigie e tutte uguali. Le guardie si fermarono alla loro base.
-non sono autorizzate a vedere il supremo- spiegò Ivan, camminandogli affianco. In cima alla scalinata c'era un lungo corridoio, con decine di porte tutte uguali. Senza esitare, quello lo condusse fino all'ultima, quella in fondo -questa è la stanza che da ora in poi verrà dedicata agli studi sul tuo dono- Lovino si trattenne a stento dal correggerlo -come hai richiesto, niente esperimenti invasivi o violenti, verrai messo al corrente di tutto ciò che è stato scoperto su di te e potrai uscire dalla caserma e girare liberamente per la capitale. Sei soddisfatto?
Annuì. Ivan annuì a sua volta -allora possiamo andare- e spalancò la porta.
Dentro, la stanza sembrava perfettamente ordinaria. Alcuni macchinari strani facevano capolino dalle pareti. Un lungo tavolo con attrezzi altrettanto strani e liquidi colorati dominava tutta la parete opposta alla porta. Nel complesso sembrava il laboratorio di uno scienziato pazzo molto ordinato. Ma l'uomo che lo aspettava al centro attirava tutta l'attenzione.
Il supremo era alto, almeno quanto Romolo. Doveva avere almeno una trentina d'anni, forse anche un po' di più. Aveva la pelle abbastanza scura, particolare che per qualche motivo lo stupì. I capelli scuri erano tagliati corti, e si arricciavano ai lati delle orecchie. Gli occhi verdognoli avevano un taglio vagamente orientale, altra cosa che lo sorprese, e facevano pensare che stesse ideando almeno dieci modi diversi di ucciderti contemporaneamente. Aveva un sorriso malizioso, con un non so che che di malvagio sembrava tutt'altro che rassicurante. Indossava un vestito scuro, che completava il look da malvagio da film d'azione. Con ironia, Lovino pensò che Alfred avrebbe adorato un cattivo così.
Quello vedendolo aumentò il suo sorriso. Non indossava guanti né nulla che potesse proteggerlo dal potere di Lovino, eppure non sembrava il tipo che si metteva a rischio a caso.
-sono Sadiq- aveva la voce bassa, secca, e il tono di uno che non era abituato a sentirsi dire di no, con un lieve accento orientale che Lovino non riuscì bene a identificare -nel caso te lo stessi chiedendo, il motivo per cui non sto indossando protezioni è molto semplice. Grazie agli studi su di te, abbiamo trovato il modo di instillare dei poteri su persone con determinate caratteristiche genetiche, tra cui il sottoscritto. Tali poteri non si possono scegliere, ma si adattano in base al proprietario. Il mio consiste nel restituire al mittente qualsiasi attacco alla mia persona- porca merda. Il sorriso di Sadiq aumentò -per cui, se tu dovessi usare il tuo potere su di me, ti verrebbe restituito, e l'unico a morire saresti tu.
Che splendida notizia. Tutto il piano su come assassinare il supremo era appena andato a puttane.
-spero che la nostra collaborazione sarà fruttuosa per entrambi- concluse, porgendogli la mano. Lovino gliela strinse, sforzandosi di non mostrare il panico che gli stava serrando lo stomaco. Perfetto, tutto il piano era andato completamente a farsi fottere. Doveva improvvisare. Fantastico.
-immagino che tu sia stanco per il viaggio- Sadiq continuava a sorridere, come se fosse entusiasta della sua disperazione. Ma lui non ne sapeva niente, no? -prima però vorrei farti qualche domanda, se non ti dispiace- dal suo tono sembrava che non gli importasse minimamente del suo dispiacere -so che sei andato in una base ribelle, o sbaglio? Ti ci ha portato... com'è che si chiamava? Antonio?
Ivan annuì -da, signore. Antonio.
-grazie.
A sentire quel nome Lovino non riuscì a impedire al suo cuore di sobbalzare, ma riuscì a trattenere un sorriso -sì, mi ha condotto in quella base con i suoi amici.
-mh...- Sadiq schioccò le dita e Ivan scattò verso il tavolo dietro al supremo, versò del liquido ambrato in un bicchiere e glielo porse -parlamene un po'. Della base, di cosa hai fatto in questi mesi, di cosa ti ha riportato sulla retta via...
Lovino sospirò mentalmente di sollievo. Con suo nonno si era accordato sulla versione da raccontare -la base è aerea.
-i nostri radar la intercetterebbero all'istante.
-il loro capo ha dei poteri di...- esitò -non so di preciso, non mi dicevano quasi nulla, ma so che grazie al suo potere riusciva a rendersi invisibile ai radar.
-mh- gli fece cenno di continuare, bevendo un sorso dal suo bicchiere.
-all'inizio ero troppo spaventato per rifiutarmi- spiegò -volevo solo uscire dalla mia cella. Loro hanno un piano per abbattere la Restaurazione, ma è talmente disperato e fallimentare che ho deciso di scappare per non morire con loro.
Sadiq sembrò compiaciuto e divertito allo stesso tempo -quindi sei saltato sul carro del vincitore. Una decisione saggia.
-lo so. Grazie ad Antonio- la sua voce si fece un po' più dolce nel pronunciare il suo nome, un riflesso che non era riuscito a controllare. Sperò che non se ne accorgesse -ho imparato a controllare il mio potere anche sulle persone.
-eravate... intimi?
Cazzo, se n'era accorto -era il mio unico amico lì. Non ho potuto fare a meno di affezionarmi a lui.
Sadiq schioccò la lingua in segno di disapprovazione -l'affetto... un istinto stupido. Non è venuto con te?
-no. Era troppo fedele alla loro causa.
-quindi preferisce morire che stare dalla tua parte?- sembrava divertito -immagino tu ci stia male.
Lovino trattenne l'istinto ti prenderlo a calci -se è uno stupido non posso farci nulla.
-immagino di sì- finì il bicchiere in un solo sorso prima di continuare -all'ingresso sei passato sotto uno scanner, anche se non te ne sei accorto. Non hai addosso né armi né microcip o trasmettitori di alcun genere, ma hai una croce d'oro al collo, con dietro inciso il cognome di Antonio- porca merda -posso chiederti perché mai porti un oggetto simile?
Doveva inventarsi una scusa plausibile, che piacesse al supremo. Cazzo cazzo cazzo -gliel'ho rubata prima di andarmene. Come un monito per non farmi condizionare da cose stupide come i sentimenti, cosa che invece lui ha fatto.
Sadiq parve compiaciuto -vedo che la pensiamo in maniera simile- sospirò e passò il bicchiere a Ivan, che lo rimise al suo posto -bene, suppongo che tu possa tenerla, non mi sembra una cosa importante.
-vuoi sapere il piano di quei disperati?
-sì, se non ti dispiace. Voglio sapere tutto.
-l'ho origliato, mi hanno tenuto all'oscuro di tutto per mesi, ma me ne sono fregato. Hanno intenzione di rivoltarti contro il popolo e fare un qualcosa stile rivoluzione francese.
Sadiq fece una smorfia -puoi evitare riferimenti ad avvenimenti passati? Immagino tu conosca la politica della Restaurazione in merito.
Ovvio. Distruggere il passato, in teoria per creare un futuro nuovo, in pratica per distruggere anche quello.
-certo. Comunque, la cosa è stupida. Il popolo è stanco e affamato, troppo sottomesso per ribellarsi, lo era prima ancora che mi prendeste, figurati adesso, e non hanno la minima idea di dove sia la capitale.
-sai quando hanno intenzione di attuarlo?
-no.
-mh. Bene- restò in silenzio per un po', camminando avanti e indietro davanti a lui -ti farò portare nei tuoi alloggi da un mio uomo, a cui dovrai fare un resoconto dettagliato di tutto quanto.
-okay.
-bene- esitò, poi sogghignò e si voltò verso Ivan -vai a chiamare João.
Il biondo lanciò un'occhiata a Lovino -ne è sicuro, signore?
-il tuo compito non è discutere i miei ordini, ma eseguirli. Ora vai. A chiamare. João.
-certo, signore.
E corse via.
Sadiq gli fece l'occhiolino -non dire a João del tuo... amico- pronunciò la parola come se potesse avere molteplici significati, uno più stupido dell'altro -non sa di chi si tratti, e temo che potrebbe prenderla male- dal suo tono si poteva intendere facilmente cosa ne pensasse a riguardo, cioé che quelli fossero sentimentalismi inutili e senza senso.
Lovino aggrottò la fronte, ma annuì.
Pochi minuti dopo la porta alle spalle del ragazzo si aprì.
-mi ha fatto chiamare, signore?
Lovino si voltò e... oh. Per poco non gli venne un infarto. Quello che aveva davanti era Antonio.
No, aspetta. Non era Antonio, ma una sua riproduzione molto, ma molto fedele. Questo Antonio aveva i capelli poco più lunghi, legati in un codino dietro la nuca, e gli occhi leggermente più tendenti al marrone.
Adesso capì perché Sadiq gli aveva detto di non parlare di Antonio. Quello era suo fratello.
Gli tornarono in mente le parole del suo ragazzo.
Avevo già fatto coming out con mio fratello, e con lui era andata bene.
-sì. Occupati di lui. Ti ho spiegato come.
A stento trattenne un sorriso.
Forse aveva trovato un alleato.

 

NdA: okay, chiariamo alcune cose molto spassose ma neanche tanto. Io questo capitolo l'ho scritto una vita fa (settembre se non sbaglio). E indovinate che succede nel frattempo? Guerra tra Azerbaijan (spero si scriva così) e Armenia. E voi forse penserete: okay. Che c'entra con la storia? C'entra perché Azerbaijan è sostenuto dalla Turchia, e l'Armenia dalla Russia

Già. E ovviamente si aggiungono tante belle tensioni sempre tra Turchia e Francia, perché il 2020 non si smentisce mai. Chiariamo: ho scelto come cattivo Sadiq ripensando all'episodio di Hetalia in cui Spagna protegge Chibiromano da Turchia (o più che altro da quello che era all'epoca Turchia, diciamo). Quindi: no, non è per quello che sta succedendo in questo periodo. Non sono contro la Turchia, contro la Russia o che ne so. Sono la Svizzera (neutrale). Lasciatemi scrivere le mie fanfiction gay in santa pace, graziepregociao.

Bene. Fine della nota. Alla prossima!

 

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Capitolo 13
*** Capitolo undici ***


Okay, piccola premessa.
Questo capitolo è più corto rispetto agli altri (1400 parole circa), ed è piuttosto sbrigativo (avevo scritto una versione migliore e più lunga ma Watty è un bastardo e non me l'ha salvata, quindi ho dovuto in parte riscrivere tutto e penso si noti la mia poca voglia). Me ne scuso, e probabilmente lo risistemerò un giorno, ma questo capitolo rappresenta essenzialmente un momento di transizione, un passaggio verso la seconda parte della storia (con capitoli più lunghi, non preoccupatevi). Questo mi porta al secondo punto della mia premessa: questa è la prima volta che scrivo una storia di questo tipo, ovvero lunga, complessa, in certi punti d'azione, con un cattivo... quindi, se fosse deludente e/o scontata e/o prevedibile e/o ci fossero dei buchi di trama, vi prego di farmeli notare, così li posso correggere e migliorare.
Bene! Ora, finita questa filippica inutile, vi lascio alla storia.

Forse dovrei descrivervi tutta la parte di pianificazione, i problemi risolti e quelli critici, le ipotesi, i piani di emergenza, le idee geniali venute alle tre di notte...
Però così vi toglierei la sorpresa e ammazzerei la suspence, non credete? Facciamo che saltiamo avanti e il piano lo capite piano piano, come nella casa di carta, ma senza le rapine e le maschere di Dalì. Il piano ve lo spiego passo passo. Potete ringraziarmi dopo, la vostra curiosità avrà sicuramente apprezzato.
Dunque... sì. Passiamo a quando Lovino stava per partire, circa un mese dopo.
Feliciano gli rimase appiccicato tutto il giorno.
-fratelloneeee...
-Feli, non respiro...
-mi mancherai, fratellone!
Lovino sospirò e gli diede qualche pacca sulla spalla, ancora leggermente a disagio a toccarlo così liberamente -anche tu, Feli, anche tu.
Romolo rise -dai, Feliciano, lascialo stare.
-no!
Lovino sbuffò -noi andiamo a mangiare- uscì dallo studio del nonno e si trascinò dietro il fratello verso la mensa -ho fame. Scollati.
Feliciano questa volta obbedì, ma gli prese la mano -mi mancherai, fratellone!
-lo so. Anche tu- gli spettinò i capelli con un mezzo sorriso.
Il fratellino si imbronciò -non mi va giù che tu vada tutto da solo.
-di più non si può.
-è pericoloso.
-sono più al sicuro di tanti altri. Non possono farmi male fisicamente. Non preoccuparti.
-ve, possono avvelenarti!
-non se sto abbastanza attento da non farmi scoprire- cercò di mostrarsi sicuro, anche se non lo era per niente -non preoccuparti, non sono un idiota. Tuo fratello è più furbo di quanto tu creda.
Feliciano non sembrava convinto, ma annuì -quando parti?
-domani mattina, sul presto.
-ve, mi passerai a salutare?
-non penso. Non mi va di buttarti giù dal letto all'alba.
-uffa.
In quel momento Lovino si sentì abbracciare da dietro, da qualcuno che gli aveva posato le braccia intorno alle spalle.
-Loviiiiii.
-no, ti prego. Sono appena riuscito a staccare Feliciano.
-mi mancherai, Lovi!- replicò Antonio, con un adorabile tono lamentoso da bambino. Non che Lovino lo trovasse adorabile. Figuriamoci -mi mancherai muchissimo!
-sì sì- roteò gli occhi -neanche dovessi partire per la guerra.
-be'... vai a fare la spia. Più o meno siamo lì.
Feliciano rise e si avviò al solito tavolo, dove già lo aspettava Ludwig. Antonio ne approfittò per sussurrargli all'orecchio -dormiamo insieme stanotte?
-no. Mi viene a svegliare il nonno domani. Se ci trova a letto insieme ti fa cantare da soprano per il resto della tua vita.
Antonio annuì, a malincuore.
-però posso restare un po' da te comunque- si affrettò ad aggiungere Lovino.
-va bene- si sforzò di sorridere e lo baciò sulla testa -mi mancherai, querido.
Lovino gli rivolse un piccolo sorriso, e stava per rispondere quando Gilbert li interruppe dal tavolo.
-oi, Tonio! Vieni a sentire che ha combinato Fran.
-arrivo!
Dopo cena, Feliciano gli si attaccò nuovamente a cozza.
-fratellone!- tirò su con il naso -mi mancherai!
-anche tu, Feli- gli diede qualche pacca sulla spalla.
-stai attento!
-certo- gli fece l'occhiolino e si sforzò di abbozzare un sorriso -fidati di tuo fratello. Mentre non ci sono manda avanti tu la baracca, e tieni d'occhio il nonno, stai attento che non lavori troppo.
Feliciano annuì e si allontanò da lui -va bene, fratellone.
-e occhio al crucco- continuò in italiano. Gli fece l'occhiolino -sei piccolo per certe cose.
Feliciano arrossì come un pomodoro, ma annuì, guardando sottecchi il suo ragazzo.
Dopo di lui lo salutarono tutti gli altri. Francis gli stampò due baci sulle guance, Gilbert gli diede qualche pacca sulla schiena con un "non prenderti tutta la gloria per te, kesesesese!", e persino Ludwig e Kiku gli strinsero la mano augurandogli buona fortuna. Dopo tutto questo si voltò verso Antonio, che lo osservava con un sorriso triste.
-andiamo, ti accompagno in camera.

Lovino non voleva andarsene. Non voleva.
-dovrei tornare in camera...- si lasciò sfuggire tra un bacio e l'altro. Antonio lo baciò nuovamente per qualche secondo prima di rispondere.
-dovresti.
-eh- nascose il viso contro la sua spalla, cercando di non piangere. Doveva essere forte, non poteva permettersi piagnistei. Non poteva permettersi il lusso di avere paura.
-Lovi?
-che c'è?
-stai tremando. Hai paura, vero?
-sono fottutamente terrorizzato- non aveva senso mentirgli. Lo conosceva troppo bene.
-se vuoi puoi chiedere a tuo nonno di non andare- c'era una sottile speranza nella sua voce -sono sicuro che capirebbe.
-no, non posso. Voglio farlo. Devo. Anche se ho paura.
Antonio sospirò -be', ci ho provato- lo baciò sul collo -allora fai quel che devi fare e poi torna da me, chiaro?
Lovino sollevò la testa e lo guardò negli occhi. Antonio sorrideva, per rassicurarlo, anche se sembrava triste. Si sforzò di ricambiare il sorriso.
-sarà al massimo per qualche mese- e si sforzò di crederci veramente.
-lo spero- gli prese la mano e ne baciò il dorso, facendolo arrossire.
-idiota.
-ti amo anch'io- lo baciò sulla fronte -però adesso tieni questo.
Gli porse il crocifisso di prima. Lovino esitò.
-no dai...
-sul serio. Mettitelo. Così sarò più tranquillo.
Sospirò -e va bene, cagacazzi- si girò e se lo lasciò allacciare al collo, poi tornò a baciarlo -adesso però devo andare.
Antonio annuì, accarezzandogli la guancia. Lo baciò un'ultima volta, lo scrutò per qualche secondo, come per imprimersi nella memoria il suo viso, poi lo lasciò andare. Lovino si sentiva le gambe di pietra, ma in qualche modo riuscì a uscire e a tornare in camera sua, senza guardarsi indietro. Inspirò profondamente prima di chiudersi la porta alle spalle e andare a letto, addormentandosi, in qualche modo, all'istante.

Lovino fu svegliato da una voce gentile e da un gatto sulla testa.
-forza, dormiglione. Ti ho portato il caffé.
Aprì gli occhi, si tolse Cesare dalla testa e incontrò quelli del nonno, identici a quelli di Feliciano. Sospirò -dammi due minuti per cambiarmi.
Quando fu pronto fece per uscire dalla camera, ma Cesare gli miagolò in segno di protesta. Sospirò e si inginocchiò davanti a lui, accarezzandoli.
-senti, io non vorrei, ma devo andare.
-miao- sembrava contrariato.
-lo so, lo so. Vorrei restare a giocare con te, ma non posso.
Cesare soffiò infastidito.
-non sarà per tanto. Non ti preoccupare, ho detto a Feli di darti da mangiare e di cambiarti la lettiera- al nome di Feliciano Cesare sembrò calmarsi. Gli piaceva, quel ragazzino -e conoscendolo verrà a giocare e a coccolarti di continuo. Sarà come se non me ne fossi andato.
Cesare inclinò il capino da una parte, poi gli si strusciò contro facendo le fusa e gli leccò la mano, forse la più grande dimostrazione si affetto che avesse mai fatto. Lovino sentì gli occhi inumidirsi.
-mi mancherai anche tu. Tieni d'occhio mio fratello e Antonio, va bene?
Un altro miagolio, poi si allontanò e tornò sul cuscino che gli faceva da cuccia.
Lovino si alzò, ignorando la risatina di suo nonno, e lo seguì attraverso corridoi che non aveva mai visto, fino a una scala che portava ad una botola. Oltre c'era un vecchio garage malandato, dove c'era solo un vecchio furgone.
Romolo si voltò verso di lui e allargò le braccia, dove il nipote si fiondò senza esitare. Lì, per qualche minuto, nella penombra, riusci quasi a immaginare di essere tornato quel bambino che era prima di tutto quel casino, quel bambino che, per ogni problema, poteva rifiugiarsi dal nonno, che lo rincuorava e poi risolveva tutto come per magia. Il nonno era sempre stato lì, grande e forte, a prendersi cura di lui e suo fratello. Era una roccia, un appiglio, un porto sicuro che lo aveva sempre protetto, in ogni situazione.
-se non te la senti- interruppe così il silenzio -non c'è problema, davvero. Basta che tu me lo dica e...
Ma Lovino ormai non era più un bambino.
-vorrei dirti di sì, ma... no. Vado.
Il nonno sospirò -immaginavo. Sei testardo quanto me, eh?- lo lasciò andare e gli spettinò i capelli con affetto -mi ricordi tua madre. Lei...- esitò. Non ne parlava mai, non importava quanto lui e Feliciano insistessero. La mamma era sempre stato un argomento tabù da quando era morta per dare alla luce Feliciano, quando Lovino era troppo piccolo per ricordarsi di lei -sarebbe fiera di te.
Il ragazzo annuì -grazie nonno.
-dai, sbrighiamoci.

Tre ore dopo Lovino si trovava davanti a una caserma della Restaurazione. Era andato lì in macchina con suo nonno, che lo aveva lasciato il più vicino possibile alla caserma più vicina, che era comunque nel bel mezzo del nulla, a mezzo chilometro da un piccolo villaggio di contadini. La caserma era un piccolo edificio, un cilindro di pietra basso e triste, con un paio di finestre e dei fucili da cecchini che avevano l'aria di non essere usate da decenni sul tetto. Ma sventolava la bandiera della Restaurazione sulla cima, e questo era l'importante.
Lovino raggiunse la caserma ed esitò davanti alla porta. Poi la spalancò.
-sono Lovino Romano Vargas e voglio collaborare!

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Capitolo 14
*** Capitolo tredici ***


Il ragazzino guardava fisso nel vuoto, con le ginocchia strette al petto e il mento posato su di esse. Era fermo in quella posizione da tanto ormai, ma non era chiaro se stesse pensando o solo trattenendo il panico. Gli occhi erano lucidi e leggermente arrossati, ma fissavano con ostinazione un punto nel vuoto, senza distogliere l'attenzione da lì neanche per un secondo. I capelli bagnati gli sfioravano le spalle, il collo e il viso. Aveva una ciocca sugli occhi, ma nessuno si stava preoccupando di togliergliela, tanto meno lui stesso.
Ad un certo punto, chissà quando o dopo quanto, qualcuno si sedette affianco a lui. L'unica cosa che il ragazzino sapeva era che il sole stava cominciando a tramontare all'orizzonte, tingendo il deserto di tinte rosse e ambra.
Il nuovo arrivato era un ragazzino come lui, forse leggermente più alto. Le differenze fisiche non erano certo solo queste, ma non è di questo che stiamo parlando. Il secondo ragazzino allacciò un braccio intorno alle sue spalle e lo strinse a sé, senza costringerlo a restare ma consolandolo comunque. E allora quello scoppiò finalmente a piangere, nascondendo il viso contro il suo petto e lasciandosi stringere da entrambe le sue braccia.
-su, andrà tutto bene. Adesso sei al sicuro.
In quel momento li raggiunse un terzo ragazzino, ancora più mingherlino degli altri due, che comunque non erano chissà quanto muscolosi o forti.
-ehi, mi state escludendo?- si sedette dalla parte opposta al secondo ragazzo, abbracciando a sua volta il primo -su, su, non far piangere anche me, frignone.
Però alla fine si sciolse in lacrime anche lui, ripensando alla sua buona dose di traumi, nonostante lo nascondesse contro la spalla del suo amico. Il secondo allungò le braccia fino a stringere anche lui in un abbraccio un po' goffo, ma erano così smilzi che ci stavano entrambi.
-s-secondo voi andrà bene?- singhiozzò il terzo.
-non lo so- il secondo era l'unico a non piangere. Non perché non ne avesse motivo, ma perché sentiva che almeno uno dei tre doveva essere forte per gli altri due -spero di sì. Comunque resteremo insieme, vero?
-sempre.

-sai, non ho più avuto notizie di mio fratello- fu questa la prima cosa che disse una volta entrato nella sua camera con João.
Quello lo guardò stranito -okay? Non vedo come questo c'entri.
Lovino si guardò intorno -qui dentro ci sono telecamere o cimici?
Quello scrollò le spalle -no. Al supremo non frega niente di cosa fai nei tuoi alloggi privati.
-si fida davvero così tanto?
-oh, no. Non si fida di nessuno. Ha fiducia nel fatto che tu non abbia la minima possibilità di arrecargli danno- aveva un accento strano, diverso da quello di Antonio, il che era strano -insomma, cosa vorresti fare qui dentro? Ti crivellerebbero di colpi prima che tu arrivi alle scale.
-mh- in realtà no, ma di sicuro i modi per metterlo ko li avevano. Si guardò intorno; la stanza era grande almeno il triplo della sua al Punto Omega. Nonostante non fosse un esperto, era facile capire che tutti i mobili lì dentro erano pregiati, di sicuro costavano un occhio della testa. Una porta nell'angolo portava probabilmente al bagno, che di sicuro sarebbe stato altrettanto lussuoso.
Tutto quello sfarzo lo disgustò. La gente moriva di fame e lì usavano l'oro per cucire delle cazzo di tende. Che schifo.
-mi manca il mio fratellino...
-non lo avevi quasi ucciso?- gli lanciò un'occhiataccia, come a intimarlo a non dire altro su quell'argomento. Lovino lo ignorò e si sedette sul letto, che era morbido come una piuma.
-tu hai fratelli?- e, con molta nonchalance, si tolse il crocifisso di Antonio da sotto la maglietta. João sembrò riconoscerlo, e sgranò gli occhi, raggelato.
-dove lo hai preso?- adesso c'era una certa urgenza nella sua voce. Lovino trattenne un sorriso.
-me lo ha dato un amico. Penso che tu lo conosca. Vi assomigliate parecchio.
-non fare giochini con me- stava quasi ringhiando -dov'è Antonio?
-avevano messo lui in cella con me, lo sapevi? L'hanno usato come cavia senza dirti nulla. Poi mi ha fatto scappare. È in una base ribelle.
-come... come sta?- sembrava più insicuro, una volta appurato che il fratello stava bene, e allo stesso tempo disperatamente bisognoso di sapere -cosa fa nella vita?
-se la passa bene- si leccò le labbra secche -è sempre gentile e buono con tutti. Sorride sempre, non in modo forzato ma... sì insomma, un sorriso vero. Gli devo praticamente tutto. Mi ha salvato. È grazie a lui se riesco a toccare le persone.
-perché?
-lui mi può toccare. Nel senso... anche prima. Ha un potere anche lui, grazie al quale riesce a toccarmi, per cui mi ha aiutato a controllarlo.
-ce... ce l'ha con me?
Lovino abbozzò un sorriso -non penso che Antonio possa avercela con qualcuno. Comunque no. Mi ha parlato di te solo una volta, forse due, e sembrava semplicemente dispiaciuto di averti perso. Ci stava così male che non ho avuto il coraggio di tirare fuori di nuovo l'argomento. Gli manchi- lo guardò sottecchi, per studiare la sua reazione -e penso che manchi anche a te. O sbaglio?
João sospirò -non volevo che se ne andasse, per chi mi hai preso? Ma ero un ragazzino, che potevo farci?
Lovino annuì. Di certo lui sapeva come ci si sentisse a essere separati dal proprio fratello -toglimi una curiosità, chi è il maggiore tra voi due?
-siamo gemelli. Anche se io sono nato quarantadue secondi prima- lo disse come una battuta di tanto tempo prima, un vecchio scherzo, forse una frase che usava per prendere in giro suo fratello quando ancora erano insieme. Lovino annuì.
-be', si vede.
Quello sbuffò frustrato -non sei di certo il primo a dircelo.
Lovino si ritrovò a pensare che, nonostante fossero gemelli, i due fratelli Carriedo non potessero essere più diversi. João era decisamente più tranquillo, riservato, irradiava serietà. Al contrario, Antonio... be', era Antonio: solare, aperto, sensibile...
Quei due gli ricordavano un po' lui e Feliciano; l'uno sempre allegro e amato da tutti, l'altro più asociale, lunatico e scorbutico. Provò improvvisamente più simpatia verso... oddio, a pensarci João era suo cognato. Tecnicamente erano quasi imparentati, e quindi anche Antonio, Feliciano e Romolo lo erano. Rabbrividì a immaginare quei tre a una cena di famiglia, o peggio ancora a organizzarsi per fargli una sorpresa di qualche tipo. Cazzo, meglio non suggerire loro l'idea.
-non sei veramente venuto a collaborare, vero?
-no. Da cosa l'hai capito?
-da come parli di mio fratello. Non penso saresti in grado di tradirlo o abbandonarlo- gli lanciò un'occhiata un po' storta -lo ami, non è vero?
Lovino sbuffò -è così evidente?
-decisamente- João abbozzò un sorriso -quindi... che fai qui? La spia?
-una specie. Hai intenzione di smascherarmi?
-veramente volevo chiederti se volessi il mio aiuto.
-sai, non so perché ma ho qualche dubbio nel fidarmi- rispose, sarcastico -dammi una valida ragione per farti entrare nel piano.
João sospirò -io qui non ci volevo venire, chiaro? Ma mio padre è morto, mia madre non può più lavorare e qualcuno doveva pur guadagnare qualcosa, così mi sono arruolato come soldato semplice. Poi hanno scoperto un modo per dare dei poteri anche a chi è nato senza...- esitò -non so bene come funzioni... da quel che ho capito c'è una sorta di gene dormiente in determinate persone, che alcuni eventi traumatici o... non lo so di preciso, non sono uno scienziato, ma che in qualche modo può venire fuori. Alcuni ce l'hanno ma, per un motivo o per l'altro, non si attiva mai. Hanno fatto degli esami su tutti i soldati ed è venuto fuori che io e altri, come Ivan e il supremo stesso, avevamo questo gene dormiente. Così ce lo hanno risvegliato e ci hanno tutti promossi a ufficiali.
-mh... qual è il tuo potere?
-onde radio. Le... le controllo, le percepisco e cose simili.
-okay...- questo poteva tornare utile. Come facevano due gemelli ad avere due poteri così diversi non ne aveva idea. Bah, genetica -ora... in teoria dovrei darti informazioni sulla base ribelle, tu dovresti farci un rapporto e darlo al supremo. Intanto però anche tu devi darmi qualche informazione utile.
-certo- dalla scrivania di Lovino prese carta e penna -dimmi cosa vuoi che scriva e cosa vuoi sapere.
Lovino gli dettò le bugie che aveva inventato con suo nonno. Una volta finito e controllato ciò che aveva scritto l'altro, cominciò con le domande.
-com'è Sadiq?
-è un perfido bastardo. È riuscito a uccidere il vecchio supremo, che di certo non era un idiota, ad appena vent'anni, e così è passato da soldato semplice a supremo. Il suo potere di certo non aiuta. L'unico modo di ucciderlo sarebbe avvenelarlo, ma ha decine di assaggiatori, e le cucine dove gli preparano da mangiare sono la zona più sorvegliata qui dentro dopo le sue stanze. È impossibile entrarci senza il suo invito, tanto meno mentre dorme. Per quanto sia sicuro di sé, e fidati che lo è, non è uno stupido. Non si preoccupa di ciò che non reputa una minaccia, e considerando i poteri che ha davvero poche cose lo sono, ma quando considera qualcosa un rischio lo annienta con tutte le sue forze.
-non c'è un modo di... disattivare il suo potere?
-no...- esitò, poi annuì -forse uno sì. I nostri non sono poteri "naturali"- mimò le virgolette con le dita -non sono stati risvegliati spontaneamente. Sono più un... un'abilità che abbiamo imparato. Non sono istintivi, a differenza del tuo. Quindi se si riuscisse a coglierlo abbastanza di sorpresa...
-nel senso... colpirlo alle spalle?
-una cosa del genere. È ovvio che non basta fargli "bu!" E sperare che muoia di infarto.
Okay. Era un punto di partenza. Un punto piccolo, ma pur sempre un punto -va bene... immagino abbia tanti nemici. Conosci qualcuno che potrebbe aiutarci?
-praticamente tutti qui dentro lo odiano, ma hanno troppa paura per sfidarlo. Se devo darti qualche nome utile...- sembrò pensarci -ci sarebbe Hercules, che ha un potere ma non so quanto possa esserci utile, e odia Sadiq come nessun altro al mondo. Odio ricambiato, per altro.
-allora perché non lo ha ucciso?
-conosci il detto "tieniti vicini gli amici, e i nemici ancora di più?" E poi dubito che Hercules possa essere una minaccia. Dorme quasi sempre.
-ah. Capisco. Okay.
-da quel che ho capito erano amici... o nemici, o quel che sono, fin dall'infanzia. Se ha qualche punto debole, Hercules è l'unico che potrebbe conoscerlo.
-okay... però c'è un problema. Devo trovare un modo per uscire da qui entro la settimana prossima. Devo vedermi con uno dei ribelli.
-dove?
-non so quanto sia distante da qui. Se hai una cartina con tutte le città della zona te lo indico. So le coordinate.
João sospirò -be', la vedo dura. Però Hercules scappa di continuo da qui, nessuno sa mai dove sia, quindi tanto vale chiedere a lui.
-non pensi che Sadiq mi farà perennemente controllare da qualcuno? O che mi metterà un microcip o che cazzo ne so?
-dubito ti consideri una minaccia. Per lui sei poco più di un'arma.
-rassicurante- sbuffò -però suppongo ci siano dei vantaggi in questo.
-probabilmente stasera ti farà portare qui da mangiare. Domani alle sette comincerà con gli studi e qualcuno ti riassumerà ciò che hanno scoperto su di te. Non so quanto ci vorrà. Nel frattempo cercherò di contattare Hercules.
Lovino annuì -bene.
Sospirò. Almeno aveva un piano in mente, un punto di partenza. Meglio di niente.
-ci rivediamo... be', quando riusciamo- João si avviò verso la porta -a domani.
-a domani.

Antonio era depresso. Non c'era altro modo di definirlo. Sì, sì, si comportava come sempre, ma Gilbert e Francis lo conoscevano. Poteva fingere quanto gli pareva, ma i suoi migliori amici non li avrebbe ingannati.
-si può sapere che hai?- lo intercettarono nel pomeriggio, mentre stava sistemando delle scorte di medicinali in infermeria.
Antonio imbastì un sorriso falso come Holland che diceva di essere sobrio -niente, ragazzi, sono solo un po' stanco...
-sì, certo, e la Restaurazione domani si arrende, ci manda un cesto di dolci per scusarsi e il supremo si spara per farsi perdonare- replicò Gilbert.
-sputa il rospo, mon ami. È per la partenza di Lovino?
La smorfia che fece sentendo quel nome fu una risposta ben più che eloquente.
-quindi ci sei rimasto sotto.
-non è che ci sono...- sospirò, passandosi una mano tra i capelli con aria stanca -mi manca e basta.
-per cui...- Francis sfoderò il suo solito sorriso malizioso -stavate insieme?
Antonio li guardò sottecchi, come per decidere se dirglielo o meno. Poi annuì -diciamo di sì.
-alla buon ora!
-Eliza mi deve dei soldi!
-no! Non ditelo a nessuno- li interruppe lo spagnolo -Lovinito non vuole che si sappia.
-fammi capire. La state mantenendo segreta perché "LoViNiTo NoN vUoLe"?
Antonio esitò -non solo. Per me in tutta onestà è indifferente. Lui ancora non se la sentiva, e a me sta bene mantenere un profilo basso per un po'.
-"profilo basso"? Ma se tra voi c'era una tensione sessuale tale che la percepivano persino i muri?- sbuffò il tedesco.
-honhonhon, capisco cosa intende Antoine. Le relazioni segrete sono così... eccitanti, non è vero?- Francis fece l'occhiolino all'amico.
Quello arrossì -no, non è quello che...- sospirò -be', un pochino sì. Cioé era divertente fingere, baciarsi di nascosto...
-a questo proposito- lo interruppe Gilbert -perché non ce l'hai detto? Siamo i tuoi migliori amici! Noi ti diciamo sempre tutto.
-perché sapevo come avreste reagito.
-e cioé?
-tu dandomi del sottomesso e Fran facendo battutine sessuali.
I due si scambiarono un'occhiata. Francis alzò le spalle -be', non possiamo negarlo.
-ciò non toglie che avresti dovuto parlarcene! Ti abbiamo mai nascosto qualcosa?
Antonio alzò le spalle, segnando qualcosa su una cartellina -tu non hai ancora ammesso che ti piace Eliza, ma ti stiamo dando i tuoi tempi per...
-non mi piace quella lì!- sbraitò Gilbert, rosso in viso. Entrambi gli amici inarcarono un sopracciglio.
-mon ami, pensavo avessimo già superato quella storia con Roderich...
-non stavamo parlando di me- li interruppe, quasi urlando per l'imbarazzo.
-su questo hai ragione- Francis tornò a rivolgersi allo spagnolo, di nuovo con quel sorrisetto -dimmi, mon ami, avete consumato l'amour?
Antonio arrossì e si grattò la nuca, imbarazzato -no.
-ce li hai i preservativi, vero?
-no...?
Francis roteò gli occhi -vuoi che te li compri io?
-non penso che mi serviranno a breve- replicò, rosso in viso, con la voce bassa e un po' tremula.
-intanto ce li hai già, no? Non si sa mai.
Antonio esitò, poi annuì -se ti fa sentire meglio... okay.
-parfait- stampò due baci sulle guance a entrambi -torno subito- e se ne andò.
Quando fu uscito, Gilbert gli lanciò un'occhiata obliqua -sei sicuro che sia il caso di parlargli di queste cose?
Antonio alzò le spalle -è stato lui a chiedermelo. Che dovevo dirgli, di no? Come minimo avrebbe fatto una scenata delle sue, lo sai com'è fatto.
Gilbert sospirò -hai ragione. Non so mai come comportarmi. Insomma, di solito non mi preoccupo di essere indiscreto, ma gli voglio bene, e l'ultima cosa che voglio è farlo stare male o ricordargli... lo sai.
-già- il moro sospirò -però non possiamo neanche trattarlo come un vaso di cristallo- gli diede qualche pacca sulle spalle -Fran è forte, di certo non andrà in crisi per un pacco di preservativi.
-lo so, lo so. Mi preoccupi tu piuttosto. Non è che sarai insopportabilmente depresso finché quello stronzetto non tornerà tra le tue braccia melodrammatiche?
-Lovinito non è uno stronzetto- brontolò Antonio -e io non ho braccia melodrammatiche.
-ma sei insopportabilmente depresso.
Quello roteò gli occhi -fammi un piacere, invece di rompere le palle, dammi una mano a sistemare qui, così finisco prima.
-mein Gott, hai appena detto "rompere le palle"? Stare con Lovino ti ha fatto male!
-zitto o continuo con gli insulti, cabrón

Francis camminava fischiettando verso l'infermeria, lanciando in aria il pacchetto di preservativi appena comprato. C'era un piccolo mercato di beni non di prima necessità, dove si poteva comprare grazie ai guadagni del proprio lavoro. Non davano soldi veri e propri, ma punti su una tessera. Antonio poi glieli avrebbe restituiti, non è che gli importasse tanto alla fine. Girò l'angolo e vide Arthur che stava andando nella direzione opposta alla sua. Quando furono abbastanza vicini gli sorrise. Arthur guardò prima lui, poi il pacchetto di preservativi, e fece la solita smorfia, quella che faceva ogni volta che lo vedeva, un misto di disgusto e biasimo. Sembrava dire: che puttana.
Francis c'era abituato. Non era di certo l'unico a guardarlo in quel modo, e molti non si erano limitati a pensarlo. Però quel giorno non ne aveva davvero voglia. Si fermò nel bel mezzo del corridoio e si voltò a guardarlo.
-toglimi una curiosità.
L'inglese si girò a guardarlo, scocciato, con un sopracciglio inarcato -mh?
-secondo te quante persone mi scoperò con questo pacchetto?- scosse la scatola, facendo tintinnare le confezioni al suo interno -dieci? Venti? Trenta?
Arthur roteò gli occhi -non penso riusciresti a convincere così tanta gente a venire a letto con te. Forse solo quei due cretini dei tuoi amici.
-oh, certo- Francis rise -avrei dovuto pensarci. Nessuno vuole andare a letto con una puttana, no? Hai ragione. Perché è questo che sono, no? Una puttana. Per come mi vesto, per come mi atteggio... una puttana- rise -posso dirti una cosa? Io la puttana l'ho fatta, e ti assicuro che non è minimamente bello o facile come indossare un paio di jeans attillati o comprare dei preservativi per un amico- gli si era avvicinato mentre parlava, infervorandosi -ah, ma cosa parlo a fare? Tu sei il perfetto Arthur Kirkland, che sa tutto di tutti e non sbaglia mai! Lascia che ti dica una cosa, borghesino da quattro soldi che non fa altro che giudicare chiunque provi a essere diverso o a scoprire il proprio corpo, Dio ce ne scampi, fin sopra la caviglia! Orrore! Ecco, lascia che ti dica una cosa. Insultami quanto ti pare. Dammi della puttana, della zoccola, di' pure quello che vuoi sul mio conto, se hai bisogno di insultarmi per sentirti meglio con la persona di merda che sei fai pure, il problema non è mio. Ma non ti permettere di insultare i miei amici, perché non hai la minima idea di chi siano, e fidati che sono persone un milione di volte migliori di te.
L'inglese lo stava fissando con occhi sbarrati, incapace di dire qualsiasi cosa. Francis fece un verso di scherno.
-non hai neanche le palle per rispondermi. Va te faire foutre¹.
E se ne andò, quasi correndo. Quando fu lontano si fermò, con il fiatone, e abbassò lo sguardo sulla scatola che teneva ancora in mano. Si morse il labbro. Se solo...
No. Doveva andarsene, e non pensarci. Corse via.
In tutto questo, Arthur era rimasto lì, rosso in faccia, chiedendosi per quale fottuto motivo il cuore gli stesse battendo così forte.

1)dovrebbe significare "fottiti". O almeno secondo google traduttore. Non mi fido granché di google traduttore, ma sorvoliamo.

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Capitolo 15
*** Capitolo quattordici ***


Lo sapete: accenni a tematiche delicate.

Trovarono Francis in uno sgabuzzino delle scope.
Gilbert sospirò, aspettò che entrasse Antonio e si chiuse dentro con lui, piombando nell'oscurità quasi totale -si può sapere che hai combinato, freund?
-ti lasciamo solo per due minuti e scompari per ore- aggiunse Antonio, sedendosi accanto a lui e circondandogli le spalle con un braccio. Gilbert fece la stessa cosa dall'altra parte.
Francis rimase immobile a fissare davanti a sé.
-Fran? Francis?- Gilbert lo scosse leggermente per le spalle -sei vivo?
Francis si strinse le ginocchia al petto, ci posò sopra il viso e scoppiò finalmente a piangere.
-no, no, non fare così- Antonio gli accarezzò la schiena, lentamente, per calmarlo, infondendoci un po' del suo potere per aumentare l'effetto.
Francis singhiozzò, con la voce tremula -perché dovunque vada finisco sempre per essere la puttana di turno?!
L'albino sospirò -che è successo?
Il biondo non riusciva a parlare, per via del groppo in gola che lo lasciava appena respirare. La sua risposta fu quasi un singhiozzo.
-A-Arthur.
-giuro che la prossima volta che lo vedo gli distruggo quella faccia da cazzo con un pugno, a quel pezzo di mierda- ringhiò Antonio.
-di solito non ti incito al britiscicidio, ma in questo caso concordo pienamente con te.
Francis scosse la testa -non, mes amis.
-daaaaaai. Non dico di ucciderlo, solo di dargli un paio di pugni su quella boccaccia sputa sentenze...
-se vuoi puoi dargli qualche botta anche tu- propose Antonio
-non- ribadì Francis. Si asciugò gli occhi con aria infastidita -così non sareste migliori di lui.
-saremmo peggiori, ma almeno ci toglieremmo la soddisfazione.
Gilbert indicò lo spagnolo -non hai tutti i torti.
Francis scosse la testa -no, non... non mi interessa. Abbiamo troppi problemi per crearcene altri cercando vendetta.
Gilbert sbuffò -odio quando hai ragione.
-che ti ha detto quel cretino?
Francis tirò su col naso e fece una piccola risata -in realtà non... non è che abbia detto granché. Mi ha visto con i preservativi...- li raccolse da terra e glieli passò -a proposito, tieni. Dentro c'è anche del lubrificante, male non fa.
Antonio si prese la testa tra le mani e sospirò, a metà strada tra la furia e la tristezza -Dios, non avrei dovuto...
-la colpa non è tua- lo interruppe il francese -né di Gilbert, né di nessun altro. È... è che gente come me non è accettata. Non posso... andare in giro come voglio, vivere una vita tranquilla senza fingere di essere quello che non sono, perché avrò sempre e comunque il marchio della zoccola addosso, anche dato senza sapere che effettivamente lo sono.
-lo eri- lo corresse Gilbert -e non eri lì per tua volontà. Dirti che sei una puttana per quello che hai passato è come dare la colpa di uno stupro alla vittima. Non ha un fottuto senso.
-concordo- Antonio strinse a sé l'amico -e ora non lo sei più.
Il tedesco fece un verso di scherno -anzi, tra tutti e tre sei il più casto. Tra Antonio che si deprime per la mancanza delle sue pomiciatine segrete con uno che abbiamo letteralmente mandato a mentire a manetta per qualche mese...
-ehi!
-...e io che ogni tanto vado ancora a letto con Rod...
-tu cosa?!
-...tra i tre sei il più simile a una suora. Una suora che mette jeans aderenti e magliette con lo scollo a v, ma comunque...
-dopo torniamo sulla questione Roderich- promise Francis. Poi sbuffò una risata, che era molto simile al suono di un palloncino che si sgonfia -ma in ogni caso è ovvio che...- si interruppe di colpo.
-che?
-Fran? Tutto bene?- Antonio lo scosse leggermente per un braccio, cominciando ad allarmarsi.
-n... non respiro- rantolò, a voce bassissima.
-mierda!- insieme lo tirarono in piedi, poi Gilbert corse fuori a chiamare aiuto mentre Antonio prendeva in braccio l'amico e si precipitava il più velocemente possibile verso l'infermeria. Non era la prima volta che succedeva una cosa del genere, sapevano come comportarsi.
Abbassò lo sguardo su Francis, bianco come un lenzuolo, che con il fiatone cercava di riprendere aria. Gli infuse un po' del suo potere, sperando lo aiutasse almeno a soffrire un po' meno.

Arthur si stava dando dell'idiota in tutti i modi che conosceva. Persino in scozzese.
Era stato uno stronzo. Okay. Se n'era reso conto. Ora l'unica cosa decente da fare era andare da Francis a chiedergli scusa e ammettere ad alta voce di essere stato un...
Unico problema. Non sapeva dove si fosse cacciato Francis. E per questo stava girando come una trottola per tutto il Punto Omega per cercarlo.
Ad un certo punto incrociò Gilbert, che stava correndo come un pazzo. Lo trattenne per un braccio.
-sai mica dov'è Fr...
Quello si liberò con uno strattone, guardandolo in cagnesco -Francis? Si sta sentendo male. Per colpa tua. Quindi, se non ti dispiace, vado a chiamare aiuto. Sei pregato di riprovare... vediamo... mai più.
E corse via senza dargli il tempo di replicare.
Francis stava male? Oh porco...
Fu Antonio a passargli davanti questa volta, reggendo un Francis mezzo svenuto tra le braccia. Arthur ebbe appena il tempo di registrare pochi dettagli, come le labbra blu del francese, il modo in cui si appoggiava all'amico, come se avesse bisogno di quel contatto per sopravvivere, e l'occhiata truce che gli rivolse lo spagnolo un attimo prima di superarlo.
A quel punto Arthur fece la cosa più naturale di tutte. Gli corse dietro.

Lovino era stanco. Ne aveva passate tante in un giorno solo. Aveva logicamente bisogno di dormire. Eppure, anche dopo cena, anche dopo che si era ritirato nelle sue stanze, rimase sveglio a pensare, pianificare, ipotizzare. Creava piani su piani, per poi scartarli alla minima falla. Ipotizzava strategie, piani di guerra, per poi cestinarli in un bidone immaginario nella sua testa quando si rendeva conto di quanto stupidi e banali fossero. E fu quella notte che si rese conto di quanto fosse inesperto e inadatto a tutto quello. Era un ragazzino, che non aveva mai visto un campo di battaglia, una guerra; non aveva neanche mai toccato una granata! Non sapeva niente di strategie militari, piani di guerra, combattimento, spionaggio... sapeva a mala pena come non farsi sgamare! Cosa aveva pensato di fare? Forse, per un colpo di fortuna, pensò, sarebbe riuscito a scappare. Che mandassero qualcuno più capace. Avrebbero avuto João come spia, e forse anche quell'altro di cui gli aveva parlato. Controllava le onde radio, no? Un modo per comunicare con loro lo avrebbe trovato. Sarebbe bastata una radio, anche vecchia, e avrebbero trovato una via di comunicazione. Se fosse... se fosse riuscito ad andarsene, sarebbe potuto tornare da suo nonno, da Feliciano, da Antonio...
Quel pensiero lo colpì come uno schiaffo. Basta autocommiserarsi. Doveva trovare una soluzione. Doveva creare un futuro migliore per le persone che amava.
Si morse il labbro. Forse se... se fosse riuscito a cogliere Sadiq di sorpresa, avrebbe potuto ucciderlo. Probabilmente sarebbe morto per via del suo potere, ma...
No. Ma un cazzo.
A quel pensiero, per la prima volta si sentì prendere dal panico. Per la prima volta in vita sua, si rese conto, voleva disperatamente vivere. Voleva uscirne vivo, e possibilmente vegeto. Solo un anno prima non vedeva l'ora di morire, anche solo per provare qualcosa di nuovo. Adesso invece voleva continuare a vivere. Ma perché?
In un lampo gli balenarono in testa le facce di Romolo, Feliciano e Antonio. Voleva vivere per loro, si rese conto. Voleva riabbracciarli. Voleva stringerli e pensare che ce l'aveva fatta, che aveva combinato qualcosa di buono nella vita, che per una volta il suo potere non era stato un danno ma un dono. Voleva stare con suo nonno, per tutto il tempo che gli sarebbe stato concesso. Voleva vedere suo fratello crescere, vederlo diventare l'uomo che meritava di diventare, ed essere al suo fianco nei momenti brutti e in quelli belli. E voleva passare il resto della sua vita al fianco di Antonio, svegliarsi tutte le mattine al suo fianco, magari in una grande casa tutta loro. Voleva vedere suo nonno riposarsi, suo fratello laurearsi e il suo ragazzo trovare un buon lavoro, e dirsi "tutto questo è stato merito mio". Voleva far avere loro una vita bella, piena, felice almeno per quel che ne rimaneva. Non poteva cambiare il passato, ma avrebbe provato a dare loro un futuro. E se fosse riuscito a restare al loro fianco per vedere di persona i loro successi, bene. Altrimenti pace, ma avrebbe combattuto fino alla fine, con le unghie e con i denti, sia per sopravvivere, e sia, soprattutto, per realizzare il suo obbiettivo.
Era egoistica come cosa, lo sapeva. C'erano milioni di persone che morivano di fame, e lui pensava solo alle tre persone che amava. Ma non gliene poteva fottere di meno. La gente era egoista da sempre. Le persone davvero altruiste erano poche, e lui non era una di queste. Almeno lo riconosceva e ci conviveva. Certo, non gli faceva piacere sapere in che merda vivessero le persone, non era un sadico, ma quanti nella sua posizione si sarebbero messi a rischio per salvare il mondo, e quanti semplicemente per salvare se stessi e i propri cari?
Sbadigliò e si stropicciò gli occhi. Di solito quando cominciava a filosofeggiare significava che stava per crollare per il sonno. Si sdraiò sul letto, probabilmente il più morbido su cui avesse mai dormito, e chiuse gli occhi, addormentandosi all'istante.

Francis si risvegliò all'una e cinquantaquattro di notte. Arthur lo sapeva perché non aveva fatto altro che osservare l'orologio e il ragazzo svenuto davanti a sé, non riuscendo a decidersi su quale delle due visioni fosse più dolorosa: se il tempo che passava sempre più lentamente, segnando sempre più ore da quando era arrivato lì, o direttamente il motivo per cui era lì e non a dormire come avrebbe dovuto essere.
-mhh... maman... papa...- brontolò quello, riaprendo gli occhi. Vedere quell'azzurro dopo tanto tempo fu un sollievo che l'inglese non si seppe, o volle, spiegare. Francis si mise seduto e si stropicciò gli occhi -dove... che è successo?
-sei...
-ti sei sentito male- lo interruppe Gilbert, seduto dall'altra parte del letto con Antonio, che sonnecchiava sulla sua spalla -dopo che l'infermiera ha finito con te, hai dormito per ore. Ci hai fatti preoccupare.
L'albino diede una gomitata all'amico per farlo svegliare.
-sì, Lovi, sono sveglio!- esclamò Antonio, stropicciandosi gli occhi. Poi crollò di nuovo sulla spalla dell'amico -ah, ti sei svegliato, Fran- sbadigliò -come stai?
-riposato- rispose con un sorriso. Sembrò accorgersi in quel momento di Arthur, e il suo sorriso vacillò -Gilbért, Antoine, potresti lasciarci soli per qualche minuto?
Antonio era così stanco che si alzò senza protestare, barcollando leggermente con gli occhi socchiusi, ma il tedesco esitò -sei sicuro?
-certo. Porta Antoine a dormire, sta crollando.
I due si guardarono ancora un po', avendo una qualche specie di conversazione muta, poi Gilbert sospirò e circondò le spalle di Antonio con un braccio -forza, bell'addormentato. È ora della siesta.
E uscirono. Non appena la porta si fu chiusa, Arthur espresse l'unica cosa che era riuscito a pensare in quelle ore.
-scusa. Scusami, mi dispiace, sono stato tremendo, ma non me ne rendevo conto.
Francis sembrò stupito -da quando in qua Arthur Kirkland, re dell'orgoglio e delle sopracciglia, chiede scusa a qualcuno, e soprattutto a un membro della feccia come me?
Normalmente avrebbe risposto all'insulto, ma pensava non fosse il caso -sono abbastanza maturo da riconoscere quando sbaglio. Ti ho giudicato senza conoscerti a fondo, basandomi su stereotipi e dicerie, e mi dispiace di averti fatto stare male.
Francis alzò le spalle -okay. Scuse accettate.
Non riusciva a crederci -davvero?
Il francese ridacchiò. Una risata leggera, un po' addolorata per via del suo stato, ma comunque elegante e raffinata, che per qualche assurdo motivo gli fece sbatacchiare il cuore un po' più forte. Come aveva potuto pensare che Francis fosse una puttana da tangenziale? Una risata come quella era, al minimo, per una prostituta d'alto borgo, una dama da compagnia che sfrutta la sua bellezza e la sua eleganza per accompagnare ricchi uomini ad eventi mondani, spillando soldi dal loro portafoglio un po' per volta, fino ad arricchirsi ed essere lei, alla fine, a organizzare uno di quegli eventi, per metterli in ridicolo.
-se anche non ti perdonassi- replicò, risvegliandolo dalle sue fantasie -che ci guadagnerei? Solo qualche rancore e un motivo in più per arrabbiarmi, e sinceramente non ho né il tempo né la forza di litigare con tutti quelli che mi danno della troia, e neanche lo vorrei. Quindi sì, accetto le tue scuse, ora puoi tornare a sparlarmi dietro con i tuoi amichetti o fare quello che facevi prima.
-ma non...- gli girava la testa, e non sapeva il perché -non voglio farlo. Ero sincero. Mi dispiace veramente.
Francis roteò gli occhi -certo. Dici così perché mi vedi qui, in un letto d'ospedale, e dopo che ti ho urlato un po' contro ti senti in colpa e vuoi preservare la tua coscienza. Bene: ti perdono. Ora vai in pace. O a fanculo, la cosa non mi interessa.
-veramente penso che... che tu avessi ragione. Davvero. Volevo chiederti scusa anche prima che tu finissi qui- prima vi ho mentito. Arthur non stava pensando solo a delle scuse mentre Francis dormiva. Pensava anche ad un'altra cosa -perché ti sei sentito male, a proposito?
-calo di pressione. Mi capita spesso. È di famiglia.
-quindi tu sei svenuto per ore, avevi le labbra blu e non respiravi per un... calo di pressione?
Francis fece una smorfia; aveva le labbra leggermente screpolate. Di solito erano di un bel color pesca un po' tendente al rosso, come se avesse bevuto sangue e si fosse ripulito, ma ne fossero rimasti dei segni. In quel momento però erano quasi bianche -è calata tanto.
-mi... mi dispiace- si sentiva un po' stupido a scusarsi e basta. Con delle scuse non cambiava ciò che aveva fatto -non volevo che ti sentissi male per colpa mia.
Quello fece un gesto di non curanza con la mano, come per scacciare una mosca fastidiosa. Le vene erano incredibilmente blu sul suo polso, come a sfidare gli occhi su chi avesse la tonalità migliore -nah, non è colpa tua. Te l'ho detto, mi capita spesso, anche se di solito cerco di evitare che lo veda qualcuno. Certo, urlarti addosso non ha certo fatto un favore ai miei polmoni, ma questo non...
-polmoni? Che c'entrano i polmoni?
-ho... l'asma.
-non avevi i cali di pressione?
-ho l'asma e i cali di pressione.
Arthur inarcò un sopracciglio -si può sapere quante problemi hai?
-ah, sapessi...- scrollò le spalle -ora, se non ti dispiace, sono stanco, e immagino lo sia anche tu.
-certo, certo, me ne vado. Buona notte.
-bonne nuit, mon ami!- esclamò mentre quello se ne andava, salutandolo teatralmente -adieu.

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Capitolo 16
*** Capitolo quindici ***


La mattina dopo però era di nuovo lì, con un pacchetto di cioccolatini presi al mercato. Glieli porse, cercando di imbastire un sorriso -offerta di pace?
Francis quasi glieli strappò di mano -accetto tutto.
Aprì la scatola e ne scartò uno, ma inarcò un sopracciglio -perché c'è dentro un bigliettino?
Arthur alzò le spalle -è roba italiana. C'erano solo questi.
-mh...- ne mangiò uno e annuì -okay, te li approvo.
-che dice il biglietto?
Francis si chinò per leggere -è una citazione a Goethe- roteò gli occhi -Gilbert ci ha fatto una testa così su quel tizio.
"Ci" notò Arthur "a lui e ad Antonio". Poi si rimproverò "grazie tante, stanno sempre insieme. Non farti idee strane".
-che citazione? Quella roba strana su Napoli? Lovino me l'ha accennata, ma sinceramente non ho capito se quella frase fosse un complimento o un insulto.
Francis ridacchiò -no, no. Uhm, c'è la traduzione sotto- si schiarì la voce -qui, étant aimé, est pauvre?
Arthur cercò di non farsi incantare dalla voce melodiosa dell'altro mentre parlava nella sua lingua madre -potresti tradurlo in una lingua che io possa comprendere, grazie?
-chi è povero, essendo amato?- tradusse allora -c'è anche la traduzione in inglese, se ti interessa- gli passò il bigliettino e si appoggiò ai cuscini alle sue spalle con un sospiro -anche se non so come si pronunci.
-who, being loved, is poor?- lesse.
Francis fece quel gesto non curante della sera prima. Arthur si chiese se non fosse una sua abitudine, un gesto comune che lui non sapeva lo fosse -quella roba lì.
-quest'altra penso sia la traduzione in italiano. E la prima è l'originale in tedesco.
-non c'è quella nella lingua nuova. Approvo.
La lingua nuova era una lingua creata dalla Restaurazione per "liberarsi dagli influssi linguistici del passato e puntare al futuro". Era in quella lingua che stavano parlando tutti. Quella insegnavano a scuola e quella si parlava da una quindicina d'anni, nonostante tutti conoscessero ancora lingue e dialetti del loro territorio, il tutto di nascosto alla Restaurazione ovviamente, che però, in maniera altrettanto ovvia, lo sapeva perfettamente. Non puoi mantenere volutamente il popolo ignorante e pretendere che impari la tua lingua, no? Infatti era la lingua che parlavano ufficiali e soldati, o almeno in teoria, per cui i civili erano stati costretti a impararla per non finire in cella ogni volta che chiamavano la polizia, o i vigili del fuoco, o che semplicemente incrociavano un ufficiale per strada. Era la lingua di tutto ciò che era dello stato: ospedali, scuole, libri autorizzati. I bambini l'avevano imparata e gli adulti si erano dovuti adattare in fretta, ma le lingue precedenti erano ancora le più usate. Lovino, per esempio, parlava sia la lingua nuova, con cui comunicava con gli altri per comodità, sia l'italiano, con cui parlava con Feliciano e suo nonno, sia qualche altro dialetto che si parlava in quello che un tempo era stato il sud dell'Italia. Francis parlava spesso in francese per confondere chi non lo parlava, stessa cosa che faceva Gilbert tra l'altro, ma con il tedesco.
Okay. Fatto questo spiegone, torniamo a noi.
-non capisco come facciano a essere in produzione ma...
-li fa Feliciano- spiegò Francis, rigirandosi i bigliettini tra le dita -sono cioccolatini normali, ma lui scrive i bigliettini e li infila nella carta. Me lo sono ricordato ora. Mi ha chiesto una mano per tradurli in francese una volta.
-ah. Per quale motivo?
Francis alzò le spalle -italiani. Non li capirò mai- gli porse un cioccolatino -vuoi?
-uhm...- non amava particolarmente il cioccolato, ma sembrava scortese rifiutare -va bene, grazie- lo prese e lo aprì.
-che c'è scritto?- si sporse verso di lui per sbirciare.
-uhm... è di Virgilio.
-sì, l'ha fatta decisamente Feliciano. Con tutti i libri latini che ha suo nonno...
-"Love conquers all, and we must yield to Love"
-e significa...?
-l'Amore vince ogni cosa: e noi cediamo all'amore.
-carina. In francese com'è?
Arthur aggrottò la fronte -l'Amor t...triompe...
Francis rise, sempre con eleganza -fermo, fermo, hai una pronuncia da far spavento. Passami qui il bigliettino- Arthur obbedì, cercando di ignorare le sue guance rosse. Francis si schiarì la voce -l'Amour triomphe: et nous aussi cédons à l'Amour!- annunciò con aria teatrale.
-farò finta di aver capito.
Francis ridacchiò e gli passò il bigliettino.
Arthur scrutò il cioccolatino per qualche secondo, poi glielo porse -lo vuoi tu? Non amo il cioccolato.
Il francese si coprì la bocca spalancata con le mani, orripilato -tu cosa?!
-non amo il cioccolato.
-mon Dieu, ecco perché sei una persona così triste!- esclamò, prendendoglielo dalle mani e mangiandoselo.
-ehi!
-sono serio- finì di mangiare prima di continuare -il cioccolato ci dà le endorfine, cioé ci fa produrre lo stesso ormone di quando siamo innamorati, quindi ci rende felici- si stiracchiò, slanciando le braccia al cielo e socchiudendo gli occhi -scientificamente, l'amore non è altro che una scorpacciata di cioccolata. Solo che l'amour poi ti fa soffrire, mentre la cioccolata al massimo ti fa prendere qualche chilo.
Arthur ci mise un po' a rispondere -non... non pensavo fossi un esperto di scienza.
Francis gli fece l'occhiolino. Era una cosa che faceva spesso, era parte del suo modo di fare, ma Arthur sentì il suo cuore mancare un battito a quel gesto, per qualche assurdo motivo -infatti non lo sono. Mi piace l'amore, e mi piace informarmi a riguardo. Tutto qui.
-oh, uhm... capisco.
-e a te? Cosa ti appassiona?
-non... non saprei. Perché tutto ad un tratto ti interessi di me?
Francis alzò le spalle -per fare conversazione?
-mh. Ehm. Non so... il tè?
Francis sbuffò -questa è la cosa più inglese che abbia mai sentito. Non c'è altro? Tu vivi la tua vita solo per bere tè?
Sì -no, certo che no.
-allora dev'esserci qualcosa che ti piace, no?
Esitò, pensandoci su -la magia- gli uscì di bocca -mi piace la magia, ma anche tutte le creature mitologiche e cose simili. Mio fratello mi raccontava sempre storie a riguardo prima di dormire. Lui adorava il mostro di Lockness.
Era arrossito mentre parlava. Non aveva mai raccontato a nessuno queste cose. I suoi due migliori amici sapevano del suo interesse per la magia, era il motivo principale per cui avevano fatto amicizia, ma non aveva mai parlato a nessuno di...
-tuo fratello? Quale, Alfred? O mon petit Matieu?
-no, un altro- si era irrigidito mentre parlava. Quello era un argomento che persino Alfred aveva paura di tirare fuori in sua presenza -mio fratello maggiore. È morto.
-oh. Mi dispiace.
Arthur si sentiva come se avesse un blocco di ghiaccio che gli correva lungo la colonna vertebrale, gelando lentamente tutto il suo corpo. La sua voce era piatta e priva di emozioni, come sempre quando si accennava ad Allistor -cose che capitano.
Francis sembrò capire che quello fosse il momento di cambiare argomento. Abbozzò un sorriso -quindi... magia, folletti, fate e unicorni?
Arthur roteò gli occhi, con un mezzo sorriso -e mostri, orchi e banshee.
-ban... eh?
-banshee. Erano donne che riuscivano a percepire la morte. Si credeva che quando qualcuno era sul punto di morire, il malcapitato sentisse le urla delle banshee.
-allegro- Francis si sporse verso di lui -raccontami di più.
L'inglese si sentì arrossire sotto il peso di quei due occhi azzurri -non è che ci sia molto a riguardo. Alcuni credevano che le banshee arrivassero per portare via il cadavere e seppellirlo. Erano rispettate, anche se poi con il tempo molte credenze si persero.
-oh.
-però... però alcune rimansero. Il mostro di Lockness per esempio. E sulla bandiera del Galles, o almeno quella che era del Galles quando ancora esisteva, c'è un drago rosso. Tante leggende sono sopravvissute al tempo e alla Chiesa. Nel Medioevo non c'erano cartine affidabili, ironicamente ce n'erano di più durante l'Impero Romano, di conseguenza non c'era una classificazione attendibile degli animali. Addirittura dove c'era l'Africa era segnato "qui ci sono i leoni" in latino, ovviamente, anche se non ricordo come si dica. I Romani invece stavano già esplorando quei territori, quindi ne sapevano di più. C'erano delle classificazioni degli animali, ma erano completamente prive di senso, e composte per lo più dalle credenze popolari. E ovviamente erano destinati principalmente a persone di chiesa o nobili, visto che quasi nessuno sapeva leggere se non loro. Quelle per il popolo erano per lo più raffigurazioni, ma erano molto costose.
-affascinante.
Arthur annuì, con gli occhi luminosi. Avrebbe continuato a parlarne per ore, ma in quel momento Antonio entrò in infermeria. L'inglese si alzò, e i due si guardarono in cagnesco. Non scorreva buon sangue tra loro, da sempre.
-io vado- si sentì dire. Guardò Francis e si sforzò di rilassare il viso -goditi i cioccolatini.
Quello gli sorrise e gli fece l'occhiolino -certo, mon amour.
Arthur ricambiò il sorriso con uno più contenuto, poi si voltò e se ne andò, ignorando Antonio.
Quando fu lontano si fermò e si appoggiò alla parete, per riprendere fiato. Il cuore gli batteva all'impazzata, e non riusciva a smettere di sorridere. Stava bene. Era felice, soddisfatto, una cosa che non gli succedeva da tanto tempo.
"L'amore ci fa stare bene. Come la cioccolata"
Il sorriso gli morì sulle labbra. Scosse la testa, si rimise dritto, si infilò il bigliettino di Virgilio in tasca e riprese a camminare.
Era sicuramente colpa di quel cioccolatino. Si vede che solo tenendolo in mano nella sua testa erano partiti gli ormoni. Era sicuramente così.

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Capitolo 17
*** Capitolo sedici ***


Lovino era lì da cinque minuti, ma già si stava stancando di essere un fottuto topo da laboratorio. Era stato buttato giù dal letto all'alba, cosa già di per sé sufficiente a metterlo di pessimo umore e a fargli girare le palle come l'impasto della pizza che si vede nei film, quando lo fanno girare in aria, avete presente? Ecco, stessa cosa.
In più, dopo una colazione del cazzo (sul serio, chi minchia mangiava roba salata a colazione? I vichinghi e i crucchi, ecco chi. Ma a quanto pareva in tutta quella cazzo di caserma militare grande quanto il cazzo che gliene fregava della vita non c'era un, uno sant'Iddio, fottuto cornetto. Gli andava bene anche vuoto, erano in tempi di guerra, lo capiva. Non è che al Punto Omega fossero messi meglio, ma almeno le cazzo di fette biscottate con la cazzo di marmellata c'erano) era stato trascinato nel laboratorio del giorno prima, dove una decina di scienziati in camice da laboratorio avevano cominciato a fargli domande strane ed esami con aggeggi che non voleva sapere a cosa servissero. E intanto Sadiq se la rideva. Che inizio promettente.
-allora- quasi lo ringhiò, spaventando un tizio che gli stava misurando la temperatura -si può sapere che avete scoperto su di me o devo vaporizzare qualcuno per saperlo?
I poveri cristi che gli stavano girando intorno sembrarono terrorizzati. Sadiq invece alzò le spalle, con un sorrisetto divertito che Lovino aveva tanta, ma davvero tanta, voglia di rendere cenere.
-non serve terrorizzare questi signori- lo rimproverò, con il tono di chi non concordava con quello che aveva detto, lo stesso che poteva avere un padre sgridando il bambino non tanto per aver rubato le caramelle, ma più per far contenta la madre -ti spiegherò tutto io, mentre loro ti fanno qualche esame di routine per capire quanto sei cambiato nel periodo in cella e dopo. Intanto, se per piacere puoi sederti su quella sedia...
Lovino sbuffò, ma obbedì. La sedia in questione, tanto per la cronaca, sembrava il sogno segreto di ogni dentista psicopatico del mondo.
-allora... da dove comincio?- il supremo si sistemò comodo sulla sua poltona e aprì una cartellina, come un nonno pronto a raccontare ai nipotini qualche storia horror che li avrebbe traumatizzati a vita. Sadiq schioccò la lingua sul palato, con un sorrisino malevolo -partiamo con la cosa che più adoro. Vedi, il tuo corpo ha attivato una sorta di meccanismo automatico di difesa, pensiamo a causa dell'incidente con tuo fratello. Il motivo per cui il tuo potere si è risvegliato, presumiamo, è per via del desiderio inconscio di proteggere te e tuo fratello dalla macchina in arrivo.
-ma ho ferito anche lui- obbiettò, dopo aver distrutto un oggetto che gli aveva porto uno scienziato. Li aveva tutti intorno, a studiarlo con i guanti appositi, e nel complesso gli sembrava di stare nella visita dentistica con più dottori al mondo.
Sadiq aumentò il sorriso -allora forse volevi proteggere solo te stesso- si schiarì la voce -comunque, da allora hai attivato questa difesa perenne. Per farla breve, il tuo corpo annulla ogni elemento che consideri dannoso che entri in contatto con il tuo corpo. Questo è il motivo per cui non ti ammali, non hai carie o denti marci...
-frena. Questa cosa dei denti non ha senso.
Sadiq roteò gli occhi, come davanti ad un bambino scemo -sì invece. Le carie per farla breve sono provocate da determinati alimenti che rimangono lì e danneggiano i denti, mi segui? Ma i tuoi denti distruggono quello che li danneggia, quindi non si cariano.
-ho capito, ma dopo un anno senza lavarmi i denti avrei dovuto avere...
-senti- lo interruppe -se vuoi spiegazioni più approfondite, chiedi a loro. Io ti sto dando la versione facile e comprensibile anche ai lettori non medici.
-ai che?
-lascia stare. Dicevo? Ah sì, abbiamo anche provato ad avvelenarti...
-voi cosa?!
Sadiq alzò le mani in segno di resa. Un gesto che non doveva aver fatto spesso -niente di serio. Solo un paio di cose che ti avrebbero messo KO qualche giorno...
Lovino roteò gli occhi -voi siete pazzi.
-...e poi abbiamo provato con cose più forti, che avrebbero dovuto farti fuori.
-COSA?!
-ma, come puoi vedere, non funzionano. Perché sono stati neutralizzati non appena ti sono entrati in bocca. Non distruggi ciò che ti fortifica o che semplicemente non ti fa niente, banalmente come cibo e acqua, ma batteri, virus, veleni e in generale qualsiasi cosa ti provochi danno viene neutralizzato all'istante- gli brillavano gli occhi -non ti rendi conto? Sei potenzialmente immortale.
Lovino fece una smorfia. Non voleva vivere per sempre. Diciotto anni erano già stati piuttosto duri, non voleva neanche immaginare quanta merda si portasse appresso un centenario, o un millenario. E poi avrebbe dovuto assistere alla morte di tutti quelli che amava, e non impazziva all'idea.
-non c'è un modo per... trasmettere questa cosa agli altri? Potrebbe essere la cura per... be', tutto.
Il supremo sembrò scocciato, come se l'idea di salvare milioni di vite lo annoiasse e infastidisse -ci hanno provato, ma no, non è possibile. Il tuo corpo è predisposto a questa cosa. I tuoi organi, muscoli eccetera, hanno un determinato codice che il tuo potere riconosce come "buono"- mimò le virgolette in aria con le dita -mentre una persona normale, se anche si trovasse il modo di trasmettere questa difesa immunitaria, non ha quel tipo di codice genetico, e si ritroverebbe distrutta dall'interno. La tua pelle non è che lo strato più superficiale ed evidente, ma al di sotto c'è un sistema complesso e assolutamente perfetto che potrebbe essere la chiave per l'immortalità. Quando tu "disattivi" il tuo potere, ti limiti a riconoscere quell'oggetto come neutro, e quindi le difese non si attivano e l'oggetto resta intatto. Per questo non siamo riusciti a metterti addosso microcip, localizzatori e quant'altro: si vaporizzavano non appena entravano sotto la tua pelle. La droga che ti iniettavamo non era altro che un rallentante, che bloccava temporaneamente le tue difese almeno sulla pelle.
-e con le persone, invece?
-oh, giusto. Questa è una cosa davvero affascinante. Quando queste difese incontrano una forma di vita compatibile a te, non solo la distruggono, ma assorbono anche le parti che potrebbero darti giovamento, e quindi tu percepisci questa energia che passa dalla persona a te, per questo il tuo corpo ha l'istinto di toccare le forme di vita intorno a sé e fortificarsi.
-uhm. Credo di aver capito.
-che gioia- rispose sarcastico -ora, psicologicamente è un altro discorso. Tu puoi impazzire, e più volte ci sei andato vicino...
-chissà come mai- niente da fare, era lui il re del sarcasmo. Ah ah, fanculo Sadiq.
-...ma in qualche modo non è ancora successo. Ora, il tuo cervello è riconosciuto come "buono", quindi non subisce danni. Se si formassero cose come tumori o malattie fisiche, verrebbero debellate all'istante. Ma le malattie mentali non sono fisiche, quindi il tuo potere non può farci granché, se non per combattere i potenziali effetti fisici che ne deriverebbero. Domani vorrebbero farti qualche test psicologico, se non ti dispiace- dal tono, di nuovo, sembrava non gli importasse la risposta, quindi Lovino non si diede neanche la pena di dargliela -ma per ora non ne sappiamo molto. Avevi degli attacchi di panico frequenti, ma penso fossero in parte dovuti al rallentante, e in parte alla situazione che stai vivendo. Ne hai più avuti?
-uno o due.
Sadiq annuì. Poi si alzò, spolverandosi i pantaloni eleganti e il cappotto. Gli scienziati lasciarono stare Lovino per fare il saluto militare -be', penso siano abbastanza informazioni per oggi. Ho alcune... questioni da sistemare- il suo sorriso non prometteva bene, e Lovino si ritrovò a ringraziare di non essere una di quelle questioni -vi lascio ai vostri studi. Divertitevi.
Tali studi comprendevano: esami del sangue (complicati da fare perché l'ago si inceneriva non appena entrava sotto la sua pelle, quindi dovette farsi un taglio sul polso per permettere loro di raccogliere il sangue da lì), esame del DNA, confronto delle attività celebrali mentre distruggeva qualcosa e mentre si concentrava per non distruggere qualcosa, esame della saliva e altre cose che non capiva ma che non gli interessavano. Alla fine lo lasciarono andare, dicendo che avrebbero analizzato i risultati e poi glieli avrebbero comunicati.
-mh, okay- alzò le spalle, si alzò e se ne andò, sistemandosi la manica della camicia. La sera prima aveva dato un'occhiata al suo armadio, dove c'erano una ventina di abiti eleganti, oltre a camicie, pantaloni raffinati, cravatte...  tutte cose scomossime, nuove e su misura. Al Punto Omega i suoi vestiti erano rovinati e di seconda mano, ma almeno erano comodi, e ci si trovava anche abbastanza a suo agio. Quella mattina, per mostrarsi collaborativo, si era messo un paio di pantaloni neri e una camicia bianca delle loro, il che significava che era a proprio agio quanto un elefante con il tutù.
Probabilmente sarebbe riuscito a beccare João solo all'ora di pranzo. Nel frattempo si era fatto un giro per la caserma, cercando punti deboli o eventuali uscite secondarie. Non che sperasse in un grosso cartellone luminoso a forma di freccia con su scritto "uscita segreta e sicura che il supremo non conosce", ma ci sarà stata una cazzo di uscita anti incendio, no?!
No. Ma in compenso era finito per sbaglio in una palestra dei soldati, che per qualche motivo erano senza maglietta. Sì, c'erano dei fisici interessanti, ma l'unica cosa che riuscì a pensare vedendoli fu: "Antonio è più bello". Si segnò quel momento per sfruttarlo in caso di future litigate. Insomma, se in una palestra piena di soldati addestrati a torso nudo non riusciva a fare altro che confrontarli con il suo ragazzo e a dare la vittoria a lui, doveva essere davvero innamorato. Antonio avrebbe dovuto riconoscere il suo sacrificio, ovvero non dare un'occhiata più approfondita, e premiarlo in qualche modo. Gli piacevano i premi di Antonio. Perché non riusciva a smettere di pensare ad Antonio? Minchia, era peggio di una ragazzina innamorata...
A proposito di Antonio, all'improvviso fu afferrato per un braccio e trascinato in una stanza che non conosceva. Dentro c'erano file e file di pistole, fucili e quant'altro. Ah, e c'era anche João, giusto.
-eccoti- sembrava scocciato -è una vita che ti aspettiamo.
Lovino roteò gli occhi e incrociò le braccia al petto -oh scusa, non sapevo avessimo un appuntamento in un posto che non... aspetta. Aspettiamo?
In quel momentò notò un ragazzone, seduto a terra in un angolino, addormentato profondamente. Ed era difficile non notarlo, visto che era una montagna di muscoli anche piuttosto alta. Era difficile capirlo visto che era seduto, ma di sicuro era più alto di Lovino di almeno una decina di centimetri. Si trattenne a stento da roteare gli occhi. Perché erano tutti più alti di lui? Persino il suo fratellino lo aveva superato, anche se solo di un centimetro, e meno male che non era cresciuto oltre!
João tirò un calcetto al ragazzo, che si svegliò brontolando qualcosa su dei gatti che ballavano il sirtaki (Lovino preferì non farsi troppe domande).
-lui è Hercules.
Quello lo fissò con i suoi occhi verdi. Era un po' inquietante. Aveva i capelli castano scuro che gli sfioravano il collo, ma per qualche motivo Lovino ebbe la sensazione che fossero lasciati lunghi più per pigrizia che per una questione di stile -ciao.
-ciao. Sono Lovino.
Hercules annuì -lo so. Vuoi far fuori la Restaurazione?
-già.
-va bene. Ti aiuto.
-bene. Mi serve un modo per uscire di qui inosservato tra una settimana per qualche ora.
-mh...- Hercules sbadigliò e rimase in silenzio per un po'. Lovino stava seriamente cominciando a pensare che si fosse addormentato di nuovo quando quello riprese a parlare -dove devi andare?
-un paese a diversi chilometri da qui. Mi servirebbe una cartina per fartelo vedere.
Hercules annuì e si leccò le labbra prima di riprendere -ci sono milioni di tunnel qui sotto. Prima della Restaurazione, qui c'era una grande metropoli. Poi è stata evacuata a causa di un enorme terremoto, che creò queste montagne, ma i tunnel che si usavano per spostarsi da un punto all'altro ci sono ancora. Possono portarti praticamente ovunque, se sai usarli per bene. Di recente ci ho portato una macchina per muovermi più in fretta.
-come scusa?- intervenne João.
Hercules lo ignorò -sai guidare i blindati?
Lovino alzò le spalle -posso provare.
-quando devi andarci?
-la notte tra il diciannove e il venti. Dovrei essere lì per mezzanotte, ma il mio contatto resterà lì tutta la notte per sicurezza.
-okay... considerando che il coprifuoco è per le nove, sgattaioliamo nei tunnel tramite i passaggi segreti...
-i cosa?!- João era sempre più sbalordito. Hercules lo guardò come se fosse scemo.
-ci sono passaggi segreti in ogni stanza, tranne forse quelle di Sadiq- pronunciò il nome come se fosse una parolaccia -o se ci sono sono i più segreti e impossibili da trovare. Servivan a scendere dai piani alti alla metropolitana più rapidamente. Quando hanno rimodernato la struttura li hanno bloccati con del cemento, ma non penso che per Lovino sarà un problema. Di solito c'è una botola sotto il letto o il tappeto. Scendi lì la notte e aspettami, ti raggiungo io, mi oriento meglio. Da lì andiamo e dovremmo tornare prima dell'alba.
-okay. Ora c'è un'altra questione- si girò verso João -c'è un modo di comunicare via radio senza farsi rintracciare? Con i tuoi poteri eccetera...
Quello annuì -posso creare una frequenza che sia recepibile solo da due radio, e comunicare con quella, ma dovrai portare loro la seconda radio.
-in una settimana ce la fai?
João sbuffò -certo. Ho tante radio in camera mia, mi servono per esercitarmi. Nessuno noterà che ne manca una.
-allora gliela porterò e comunicheremo con quella- annuì, cercando di calmarsi. Avevano un piano. Un inizio. Poi tutto il resto... -ci vediamo... boh. Ci vediamo. Ciao.
Uscì quasi correndo, ignorando le loro proteste, e si chiuse la porta alle spalle. Si diresse verso la mensa cercando di mantenere un'andatura normale ed entrando in qualche altra stanza nel tragitto, per non destare sospetti in chi lo avesse visto entrare prima. Pianificare lo agitava, gli faceva capire sempre di più quanto tutto quello fosse reale e gli faceva venire in mente tremila paranoie e scenari orrendi di morte e distruzione in caso avesse fallito. Inspirò profondamente, l'ultima cosa di cui aveva bisogno era un attacco di panico. Chissà se João ne soffriva ancora. Bah, non era importante, glielo avrebbe chiesto dopo. Intravide un gruppo di soldati e decise di seguirlo verso la mensa, visto che, neanche a dirlo, si era perso. Antonio gli ripeteva sempre che aveva un pessimo senso dell'orientament...
No. Basta pensare al passato. Doveva concentrarsi su quello che aveva davanti in quel momento, e quello che aveva davanti in quel momento era un piatto di spaghetti al pomodoro (dal menù riservato agli ufficiali ovviamente, i soldati mangiavano una poltiglia giallognola di non-voglio-sapere-cosa) che però era scotta e faceva schifo. Bah. Che razza di chef avevano lì dentro? Doveva parlarne con Sadiq, non potevano servire una pasta del genere, meritavano la fucilazione.
Mentre stava rigirando la forchetta nel piatto, vide entrare João. Sadiq non si vedeva da nessuna parte. Di sicuro, anche se c'era una sedia vuota al centro del tavolo degli ufficiali (che più che una sedia sembrava un trono) che doveva essere riservata al supremo, non mangiava con la plebe, ma si faceva portare dal suo chef personale i suoi cibi raffinatissimi e controllatissimi.
Bah. Gente moriva di fame e lì buttavano soldi per sedie-trono inutilizzate e cibo di classe. Che schifo di mondo.

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Capitolo 18
*** Capitolo diciassette ***


Il ragazzino osservava i suoi genitori correre da una parte all'altra della stanza per fare le valigie. Erano agitati, era abbastanza grande per capirlo, ma non sapeva il perché. Lo divertivano a dirla tutta, vederli correre così gli ricordava una scena che aveva visto in un vecchio film. Si aspettava quasi che uno dei due inciampasse, facendo cadere anche l'altro e ribaltando tutto il ribaltabile. Poi suo padre sembrò notarlo.
-hai fatto le tue valigie?- gli domandò, chiudendo la sua. Il ragazzino annuì.
-e quella per tuo fratello?
Il ragazzino annuì di nuovo, un po' scocciato. Non era un irresponsabile, si ricordava le cose!
I suoi genitori si scambiarono un'occhiata, poi suo padre tornò a rivolgersi a lui -vai a prendere tuo fratello, forza. Dobbiamo partire.
-dove andiamo, papà?- era una settimana che continuava a chiederglielo, ma quelli non gli avevano ancora dato una risposta soddisfacente.
-al sicuro- rispose brevemente il padre. Poi un sorriso lieve gli illuminò il viso, e gli spettinò i capelli con una mano -sei un bravo ragazzo, lo sai? Ti vogliamo bene, anche se non te lo diciamo spesso- il ragazzino annuì. Il padre sospirò -ti prometto che quando saremo al sicuro ricominceremo da capo, okay? Ti staremo più dietro, sia a te che al tuo fratellino. Ora vai a prenderlo, che dobbiamo andare.
Tre ore dopo, mentre stava guadando fuori dal finestrino annoiato, la macchina esplose.
No, non esplose come lo intendete voi. Qualcuno aveva messo una bomba proprio dove stavano passando, così la macchina era saltata in aria, si era ribaltata ed era atterrata al contrario. Il ragazzino voleva urlare, ma non ci riusciva, aveva la gola bloccata per il panico. Si voltò verso suo fratello, che stava dormendo prima dell'incidente, e quando vide che stava tutto sommato bene tirò un sospirò di sollievo. Ma, voltandosi verso i genitori, a stento trattenne un urlo di puro terrore.
Erano morti. Era abbastanza grande da capirlo. Il suo fratellino, di nove anni, li fissava anche lui pietrificato, cercando di capire; non sapeva che stava succedendo, o forse lo sapeva ma non riusciva a elaborarlo, ma sapeva che voleva un abbraccio. Quindi si slacciò la cintura, la tolse anche a suo fratello e strisciò verso di lui, che lo prese in braccio. Il ragazzino voleva solo piangere, urlare, battere i pugni per terra finché qualcuno non avesse riportato in vita i suoi genitori, ma due voci esterne gli gelarono il sangue nelle vene.
-allora, sono morti?- sembrava una donna, aveva un tono annoiato, come se la morte di quattro persone fosse interessante quanto una spiegazione dettagliata su come si fabbricassero i cartoni delle pizze. Il suo collega rispose con tono altrettanto annoiato. Avevano due accenti strani, diversi tra loro.
-in teoria. È difficile che qualcuno sopravviva a una cosa del genere- aveva uno strano accento, ma il ragazzino non sapeva indicarne la provenienza.
-sempre meglio controllare, altrimenti ci andiamo di mezzo noi- udì dei passi avvicinarsi, poi fermarsi davanti ai suoi genitori. Il ragazzino sentì il cuore battere all'impazzata. Adesso li avrebbero scoperti e uccisi. Suo fratello fu abbastanza furbo da tacere, ma stava tremando. Gli prese la mano, che quello strinse con forza -quanti è che erano?
-boh- rispose lui -hanno solo detto "uccidi la famiglia di Beilschmidt", cioé loro. Dovrebbe esserci il figlio e sua moglie, ma non so se abbiano avuto dei marmocchi.
"Be'" si disse il ragazzino, che era sobbalzato nel sentire il cognome di suo e di suo padre "ne hanno avuti due. Che ora ammazzerete"
La donna si inginocchiò davanti alla macchina e si sporse a guardare. Aveva dei lunghi capelli biondi, ma di più il ragazzino non riusciva a vedere, a causa dei sedili che gli bloccavano la visuale.
"Ecco" si disse, cercando di nascondersi dietro il sedile di sua madre "adesso si accorgerà di noi due e ci sparerà. O ci farà esplodere. O ci farà morire in qualche altra maniera orrenda"
Quella studiò l'interno della macchina per un po'. Per un terribile istante, li guardò negli occhi. Aveva due inquietanti occhi viola, che lo fecero rabbrividire di paura. Poi però si rialzò.
-a posto, c'erano solo marito e moglie.
-sicura?- l'uomo si chinò a controllare nel finestrino del ragazzino, che gelò e non ebbe il coraggio di voltarsi a guardarlo. Adesso li avrebbe visti per forza. Ma l'uomo, dopo aver studiato per qualche secondo l'interno, si rialzò.
-bene. Andiamo, non ho voglia di arrivare tardi alla base.
Il ragazzino attese di non sentire più i loro passi, e anche dopo che quelli se ne furono andati rimase lì, abbracciato a suo fratello, per sicurezza, senza il coraggio di muoversi. Solo quando il sole cominciò a tramontare osò uscire di lì. Si tolse il fratello dal grembo, senza lasciargli la manina, poi cominciò a dare spallate alla portiera della macchina, fino ad aprirla e a sgusciare fuori, aiutando poi il piccolo a uscire.
-bene- sempre tenendogli la mano si allontanò da lì. Adesso doveva occuparsi di lui, che era ancora vivo. A parte alcuni graffi, per fortuna stavano abbastanza bene. Si guardò intorno. Erano in mezzo al nulla, ma c'erano alcune case abbandonate in lontananza. Sospirò e si girò verso l'altro, chinandosi per essere alla sua altezza. Si sforzò di sorridere -ehi, campione. Dobbiamo arrivare lì- indicò le case -forse c'è qualcuno. Mamma e papà...- gli tremò la voce. Tossicchiò -loro vorrebbero che ci salvassimo. Ce la fai a camminare?
Quello annuì, ancora tremante, con le guance rigate dalle lacrime.
-bene- sospirò, passandosi la mano libera tra i capelli. Gli sorrise, sforzandosi di sembrare fiducioso -andiamo allora.
Quando arrivarono lì il sole era già tramontato da un pezzo. Le case sembravano abbandonate da decenni, ma una aveva ancora il tetto intatto, così decisero di rifugiarsi lì. Solo allora, che erano più o meno al sicuro, il maggiore si azzardò a lasciare la mano dell'altro, che sgranò gli occhi.
-G-Gilbert...
-sì?
-s-sei i-invisibile...

Romolo era stanco. Essere il capo era a dir poco stressante, e la preoccupazione per il nipote appena ritrovato non lo aiutava di certo. Ormai dormiva appena due ore a notte, ore costellate da incubi, paranoie su paranoie e ansie continue. Era distrutto, ma continuava ad andare avanti. Si sentiva responsabile di tutti quelle persone, che si fidavano di lui. Era sempre stato un leader, era la sua indole naturale, ma questo non significava che fosse facile. Sia Ariovisto che Feliciano erano preoccupati, ma non accettava le loro attenzioni. In questo lui e Lovino erano identici: odiavano che fossero gli altri a prendersi cura di loro, non erano in grado di fare un passo indietro e ammettere che sì, non erano in grado di farcela da soli. L'orgoglio doveva essere una cosa di famiglia.
Comunque sia, era sull'orlo di una crisi di nervi. Si faceva dare una mano da Ariovisto per pianificare eccetera, ma non avrebbe mai ammesso di avere un disperato bisogno di riposarsi. Non se lo poteva permettere.
Dal canto suo, Feliciano era preoccupatissimo. Cercava in tutti i modi di convincerlo a prendersi una pausa, ma il nonno rifiutava sempre, con un sorriso gentile, scompigliandogli i capelli.
-un vero capo non dorme mai- gli rispondeva, sforzandosi di non fargli notare le sue occhiaie. Ma Feliciano le notava eccome, ed era sempre più preoccupato. E arrabbiato, anche. E parecchio deluso.
Suo fratello gli aveva chiesto di prendersi cura del nonno, perché entrambi sapevano quanto lui tendesse a sfinirsi. Lui lo aveva promesso, ma il nonno non gli stava permettendo di mantenere la promessa.
-uffaaaa- sbuffò, rigirando la forchetta nel suo piatto. Romolo si era fatto portare la cena nel suo studio. Come sempre -il nonno si stanca troppo! Voglio aiutarlo, ma non me lo fa fare. Si rifiuta di farsi aiutare e non vuole ammettere di essere stanco, quando è evidente che invece lo è eccome. Non dico di smettere completamente di lavorare, ma almeno un fine settimana di riposo se lo potrebbe prendere.
-Feliciano-kun, se Romolo-san non vuole riposarsi dovresti lasciarlo fare- gli rispose Kiku -insistere non servirà a molto.
-non voglio che si ammali- replicò -da malato non ci servirebbe a niente. Anche se conoscendolo sarebbe capace di lavorare comunque- si girò verso il suo ragazzo segreto -in questo è esattamente come te, Luddi. Non pensare che io non sappia che ieri sei rimasto alzato fino all'alba per studiare- gli tirò una guancia -non ti fa bene!
Il tedesco, mezzo addormentato, brontolò qualcosa di non ben definito. Poi sbadigliò e parlò in modo più comprensibile -sbaglio o sei tu quello che rimane sveglio tutta la notte per finire di disegnare?
Le orecchie dell'italiano si tinsero di rosso. Gonfiò le guance, come un bambino offeso -è diverso.
-ah sì?- Ludwig sembrava divertito.
-sì! L'arte è molto più bella. È una passione, non un dovere- rispose, con un sorrisetto strafottente dipinto in faccia, della serie: "ah ah, ho ragione io!"
Ludwig scrollò le spalle -e lo studio è la mia passione.
-sì ma...- sbuffò -mi rimproveri sempre quando resto alzato fino a tardi. Dammi il buon esempio, almeno.
Ludwig inarcò un sopracciglio -mi stavi rimproverando per lo stesso motivo. Tipo... due minuti fa.
Feliciano, con aria vincente, gli puntò un dito contro -ma io non sono una persona responsabile, Luddi! Tu invece sì, e devi comportarti come tale!- decretò, vittorioso e soddisfatto della sua risposta.
Ludwig esitò, poi scrollò nuovamente le spalle -okay, hai vinto.
-ah! Ho vinto, ho vinto, ho vinto- cantilenò il castano, con aria gioiosa -uno a zero per l'Italia! Campioni del mondo! Popopopoooopo...
-veramente se contiamo tutti i successi militari e...- cercò di dire Ludwig, ma la sua voce venne presto sovrastata da quella del suo ragazzo non ufficiale.
-campioni del mondo! Campioni del mondo!- sollevò le braccia in aria, canticchiò l'inno italiano e poi, finalmente, si diede una calmata -però visto che ho vinto merito un premio.
Ludwig trattenne a stento un sorriso. Certo, non è che si notasse molto quando sorrideva, ma Feliciano in qualche modo lo capiva sempre. Quando gli aveva chiesto come ci riuscisse, quello aveva risposto che era l'occhio dell'artista che gli faceva notare i dettagli, e poi che quando sorrideva gli si illuminavano gli occhi talmente tanto che era impossibile per lui non notarlo -che premio vuoi, Feliciano?
Una cosa che l'italiano amava del tedesco era il fatto che lo chiamasse per nome. Può sembrare una stupidaggine, ma tutti usavano sempre diminutivi e soprannomi, mentre Ludwig era l'unico a chiamarlo sempre con il suo nome per intero, il che lo faceva sentire grande ed importante quanto gli altri.
Feliciano ci pensò su per un po', battendosi l'indice sul mento con aria pensierosa. Poi si illuminò e spostò il dito sulla sua guancia -voglio un bacio qui, Luddi!
Quello arrossì, ma si sporse fino ad accontentarlo. Feliciano rise per il suo imbarazzo, poi gli saltò al collo, riempiendolo di baci un po' ovunque su tutto il viso, tranne che sulle labbra. Quelle erano riservate a un altro momento, quando erano da soli.
In tutto questo, Kiku stava osservando la scena con gli occhi a cuoricino, scambiandosi ogni tanto qualche occhiata complice con Elizabeta, nel tavolo affianco. Erano così carini! E poi era sinceramente contento per i suoi due migliori amici, era felice che fossero felici, se mi permettete il gioco di parole. Lui non amava quelle cose per sé, ma adorava osservare le nuove coppie, soprattutto se si trattava dei suoi migliori amici. Sì, era un fanboy della peggiore (o migliore?) specie. E come dargli torto? Quei due erano così adorabili mentre flirtavano cercando di fingersi etero!

Angolo autrice:
Lo ammetto, questo capitolo non fa impazzire neanche me. Non succede niente di che, lo so, lo so, ma nel prossimo mi farò perdonare *sfrega le mani tra loro* oh sì, mi farò perdonare eccome...
Cambiando argomento... come va la vita? Spero bene! Io sono sommersa da compiti, verifiche e quant'altro ma okay! Voglio morire ma prima devo finire di scrivere e pubblicare questa storia! Che poi, da brava genia del male quale sono, invece di continuare a scrivere questa cosa faccio? Scrivo una robina su Lovino, i partigiani e il covid (vi interesserebbe leggerla?) più altre robe a caso che sto scrivendo. Perché sono furba ;) Vabbé, alla prossima.

Daly

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Capitolo 19
*** Capitolo diciotto ***


Vi avverto, c'è una parte un po' fortina a livello psicologico

 

Il ragazzino sedeva per terra, rannicchiato su se stesso. Erano al sicuro, si ripeté. Andava tutto bene. C'era il nonno con loro adesso.
Il suo fratellino stava giocando con un bambino che viveva lì, il nipote del signore che li aveva aiutati. I suoi due nuovi amici, dopo essere stati curati alla bell'e meglio per le ferite che avevano riportato per un motivo o per un altro, erano nelle loro stanze a farsi un bagno. Il ragazzino sospettava che Francis ne avesse un bisogno particolare. Anche lui sarebbe dovuto essere sotto la doccia, ma aveva bisogno di un attimo per rimettere a posto i suoi pensieri e stare un po' da solo.

Sentì bussare alla porta della sua stanza. Entrò suo nonno.
-ciao...- sembrava a disagio, constatò il ragazzino. E anche preoccupato -come stai?
Alzò le spalle. Suo nonno esitò, poi attraversò la stanza in due ampie falcate e si sedette affianco a lui. Sospirò.
-io non... non volevo che succedesse una cosa del genere. Sapevo che... che vi stavano cercando e ho detto loro di andarsene, non pensavo che vi avrebbero rintracciati. Forse se... se vi avessi avvertiti prima...
-nonno- lo interruppe, con lo sguardo fisso nel vuoto -cos'è l'amore?
Quello sbatté le palpebre, confuso. Poi sospirò e si lasciò sfuggire un piccolo sorriso -l'amore? È una cosa strana. Non è si può spiegare facilmente.
-provaci.
Suo nonno scrollò le spalle e annuì -vediamo... perché hai aiutato Ludwig? Perché non te ne sei semplicemente andato, lasciandolo lì a morire, ma hai fatto di tutto per salvargli la vita, gli hai dato il tuo cibo e hai fatto qualsiasi cosa per farlo stare il meglio possibile?
-perché non volevo che morisse- rispose, confuso. Era una domanda stupida.
-e perché non volevi che morisse?
-perché...- si ritrovò in difficoltà. Non c'era una risposta. Non lo voleva e basta -non volevo.
-avresti preferito morire piuttosto che veder morire lui?
Gilbert annuì. Che razza di domanda era? -certo.
-ecco, questo è l'amore. Certo, quello romantico è un po' diverso, ma in sostanza è questo: essere disposti a qualsiasi cosa per l'altra persona. Ci sono amori più intensi di altri, ovviamente, ma per la mia esperienza posso dirti che il più grande di tutti è quello che si prova per la propria famiglia, o almeno per la famiglia che ci scegliamo.
Gilbert annuì distrattamente, pensandoci su. Meglio pensare a quello piuttosto a...
-nonno- lo richiamò dopo un po'.
-dimmi.
-qual è la mia famiglia?
Suo nonno alzò le spalle -lo devi capire tu. Di solito sono le persone con dei legami di sangue con te, quindi saremmo io e Ludwig, ma non è così semplice.
-perché?
-perché...- ci pensò su, cercando le parole giuste. Poi sospirò -la famiglia è un gruppo di persone che si amano, quel tipo di amore che provi per Ludwig. Non tutte le famiglie hanno legami di sangue e i legami di sangue non bastano a fare una famiglia. Sei tu che devi capire chi ami con tanta intensità.
Gilbert ci pensò ancora.
-penso che la mia famiglia siate tu, Ludwig, Francis e Antonio- concluse, dopo qualche minuto di riflessione.
Suo nonno lo strinse in un abbraccio, un po' impacciato. Non era mai stato un tipo molto espansivo. Tutto il contrario di Romolo, il tizio che li aveva portati lì. Gilbert lo lasciò fare, sbattendo le palpebre per asciugarsi gli occhi.

-ehi, freund- Gilbert prese l'amico sotto braccio, portandolo in disparte. Quando riprese a parlare stava sussurrando, il che era strano da parte sua -stanotte vedo il tuo melodrammatico fidanzatino. Vuoi che gli dica qualcosa da parte tua?
Antonio esitò e ci pensò su per qualche minuto. Poi scosse la testa -non serve, grazie.
-sicuro?- nell'ultima settimana lo aveva visto deprimersi sempre di più, ed era logicamente preoccupato -se non vuoi che mi faccia i cazzi vostri puoi scrivere una lettera o qualcosa del genere, non la leggerò, te lo giuro su...
-no, non è quello- Antonio scrollò le spalle -Lovi avrà già tanto a cui pensare. Non voglio mettergli altre preoccupazioni addosso, o fargli venire nostalgia di casa.
Gilbert lo fissò, sbalordito, per alcuni secondi. Poi sospirò e scosse la testa, esasperato, con l'aria di una madre di fronte all'ennesima stupidata del figlio -sei proprio un idiota. Dovresti smetterla di essere così buono, lo sai?
Antonio ridacchiò. Aveva due profonde occhiaie violacee, che cozzavano con la pelle abbronzata e stanca -sono fatto così.
-sei fatto male. Non ce l'hai neanche un po' con Lovino?
-e per cosa dovrei avercela con lui? Per star facendo la cosa giusta?
-be'... sì?
Antonio alzò le spalle, divertito -sei sempre il solito, Gil- gli diede una pacca sulla spalla -adesso devo andare. Ci si vede.
E lo superò senza aggiungere altro.
Gilbert sbuffò. Non era giusto. Il suo migliore amico era troppo buono per soffrire.
-sei proprio un idiota, freund- sospirò, scosse la testa e si girò, andando verso lo studio di Romolo, che doveva spiegargli gli ultimi dettagli.

Lovino era un fascio di nervi, ma si sforzò di non darlo a vedere.
-allora- iniziò, osservando il grosso macchinario che dominava la stanza -cos'è venuto fuori?
Quel giorno lo avevano fatto uscire dalla caserma, fino ad un piccolo laboratorio esterno, per fare degli esami con un coso a detta loro di estrema importanza.
Fu quello che sembrava il più vecchio a rispondergli -dal test psicologico non è emerso nessun tipo di malattia o disturbo di alcun genere.
-e gli attacchi di panico?
-non abbiamo ancora trovato una spiegazione per quelli- lo osservava con aria ansiosa. Si teneva a distanza da lui, come se si aspettasse che da un momento all'altro lui impazzisse e uccidesse tutti. Lovino si trattenne a stento dal sobbalzare e urlargli "bu!" in faccia -l'ipotesi più probabile è che siano degli effetti dei resti della droga che ti somministravamo, o che siano causati da degli stralci di ricordi che il tuo cervello ha rimosso.
-quelli degli esperimenti che mi facevate prima?
Lo scienziato deglutì, più pallido. Poi annuì -esattamente.
-c'è altro? Che avete scoperto prima?
-ecco...- tossicchiò -come il supremo ti ha già riferito durante la sua visita...- Sadiq non era più venuto. Non si era fatto proprio vedere, e la cosa inquietava Lovino, anche se João lo aveva rassicurato: era normale che il supremo non si facesse vedere a lungo. Spesso si rinchiudeva nelle sue stanze per lavorare, studiare o semplicemente prendersi una pausa. Non lo si vedeva spesso in giro, la maggior parte degli ufficiali lo vedeva sì e no due o tre volte al mese, i soldati non lo vedevano proprio -il tuo sistema immunitario distrugge all'istante qualsiasi cosa dannosa provi ad attaccarti. Abbiamo provato anche con scariche elettriche e altre, ehm, cose, ma non ha funzionato niente.
-quindi sono praticamente immortale. Non c'è niente per uccidermi?
-per quel che ne sappiamo no. I guanti che abbiamo brevettato servono sì a toccarti, ma solo all'esterno. Essenzialmente sono riconosciuti come neutri dal tuo corpo, ma se, per ipotesi, usassimo quel tipo di materiale per confezionare dei proiettili, si infrangerebbero comunque non appena superato lo strato più superficiale di pelle, senza arrecarti alcun danno.
-come fate a dirlo?
-perché abbiamo provato a farlo.
Lovino sbuffò. Per fortuna non ricordava nulla di ciò che gli avevano fatto quei bastardi. Il suo cervello doveva aver rimosso i ricordi, o forse il suo potere li aveva distrutti reputandoli dannosi. Chissà -mi sembra giusto. Posso morire di vecchiaia?
-non lo sappiamo. Abbiamo confrontato i tuoi dati con quelli di un anno fa, ma in così breve tempo non sei cambiato molto. Hai subìto gli stessi cambiamenti che un umano normale subirebbe in questo lasso di tempo. Questo farebbe presuppore che tu possa invecchiare, ma non sappiamo se il tuo sistema immunitario si indebolirà come quello di un qualsiasi essere umano o resterà perfettamente intatto. Nel primo caso moriresti di vecchiaia come chiunque, mentre nel secondo non ti ammaleresti, presumibilmente non ti verrebbe un infarto o cose simili, il tuo corpo stronca sul nascere tutto ciò che potrebbe causare un'eventualità simile, quindi... o vivresti per sempre, o moriresti all'improvviso, senza motivo. Non lo sappiamo.
Lovino annuì, pensando.
-e per il fuoco?- gli venne in mente dopo un po'.
-ottima domanda. Abbiamo provato a darti fuoco, naturalmente...
-non te ne vergogni neanche un po'?
-...ma il fuoco si disintegrava non appena toccava la tua pelle, scottandoti solo leggermente.
-e il fumo?
-si distruggeva prima di poterti arrecare danno.
-sì, okay, ma non sarei morto soffocato o qualcosa di simile?
Lo scienziato esitò, poi scosse la testa -il fuoco si distrusse completamente prima di consumare tutto l'ossigeno- si leccò le labbra secche -per farla breve, è come se tu avessi questo pazzesco istinto di sopravvivenza, che prende il sopravvento su tutto. Se percepisce una minaccia incombente, la disintegra autonomamente, senza che tu possa controllarlo, come quando sobbalzi sentendo un rumore improvviso. Non puoi impedirlo, il tuo corpo lo fa in automatico, anche a distanza se necessario.
-mh
-per quanto tu riesca a controllare la tua pelle, ciò che c'è al di sotto è mille volte più forte, e non può essere controllato.
-ne sei sicuro?
-una persona normale può controllare il proprio sistema immunitario?
-presumo di no.
-il principio è lo stesso.
-oh- riportò lo sguardo al macchinario -a cosa serve?
-risonanza magnetica.
-farà male?
-no. Sentirai dei rumori forti che potrebbero darti fastidio, ma fisicamente non sentirai nulla.
-mh. Okay- Lovino si avvicinò al macchinario e lo osservò per un po'. Era una sorta di cabina, da cui spuntava una sorta barella su cui presumibilmente doveva sdraiarsi.
Un uomo gliela indicò -sdraiati qui, per favore.
Il ragazzo obbedì. Da fuori fecero scorrere la barella all'interno della cabina, fino a quando non fu completamente dentro al macchinario.
Per un po' ci fu solo il silenzio. Voglio dire, in realtà c'era il rumore delle ventole, di pulsanti premuti e del suo respiro, ma era un silenzio relativo. Poi cominciò il vero inferno.
Le luci sul tetto del macchinario di accesero. Cominciò il rumore.

tum tum tum

Lovino puntò lo sguardò al tetto del macchinario, cercando di restare fermo come gli avevano raccomandato.

tum tum tum

Strizzò le palpebre. Doveva calmarsi, non era niente di che, di sicuro aveva passato di peggio.

tum tum tum

Già, peccato non se lo ricordasse nemmeno. Bella merda, eh? Non ti puoi neanche fare coraggio dicendoti che tanto hai passato di peggio, perché neanche lo sai. Cinque anni di vuoto. E perché tutto quel vuoto?

tum tum tum

Perché l'avevano rinchiuso? Perché l'avevano dovuto allontanare dalla sua famiglia, dal resto del mondo? Torniamo sempre lì, Lovino. La sai la risposta.

tum tum tum

Ci dovevi crepare in quella cella, mi hai sentito? MI HAI SENTITO?! CI DOVEVI CREPARE!

TUM TUM TUM

Sei solo feccia, un bastardello fortunato che è riuscito solo a fare danni su danni. Cosa credi di fare qui, eh? L'eroe? Sei solo tornato a essere il loro topo da laboratorio, solo che ora sono un po' più gentili.

TUM TUM TUM

E poi che razza di eroe saresti? Un eroe che ammazza le persone? Un eroe che fa schifo in tutto, che non merità altro che disgrazie, un eroe che, per quanto ci provi, resterà per sempre un mostro.

TUM TUM TUM

Lovino provò a tapparsi le orecchie con le mani, ma il macchinario era troppo piccolo e non riusciva a sollevare abbastanza le braccia. Non riusciva a muoversi. Non riusciva a fare niente, solo a rigirarsi su se stesso.

TUM TUM TUM

Era in trappola.

TUM TUM TUM

Sei in trappola. Sei chiuso qui con te stesso, bloccato, e non riesci neanche a convivere con te stesso. Cosa pensavi di fare?

TUM TUM TUM

No, tesoro. Respira. Respira, forza, è solo un brutto momento. Con calma. Inspira ed espira, da bravo.

TUM TUM TUM

Inspira ed espira

TUM TUM TUM

Inspira

TUM TUM TUM

Ed espira

TUM TUM TUM

Inspira

TUM TUM TUM

Ed

TUM TUM TUM

Espira

TUM TUM TUM

TUM TUM TUM

TUM TUM TUM

TUM TUM TUM

TUM TUM TUM

TUM TUM TUM

TUM TUM TUM

TUM T-

E poi non sentì più nulla

 

 

 

João superò le macerie del laboratorio, attraversò con passo felpato il corridoio distrutto e oltrepassò quella che fino a quella mattina doveva essere la porta.
Tutti sapevano cos'era successo. Un violento terremoto aveva scosso la capitale, terrorizzando chiunque e mettendo fuori gioco il sistema elettrico. Quel laboratorio, limitrofo alle mura, era saltato in aria. Cinque vittime.
Quello che non sapevano, pensò João con ironia, scavalcando uno schedario mezzo distrutto caduto in terra, era che c'era un sopravvissuto.
Il sopravvissuto lui lo conosceva. Era un ragazzino doppiogiochista, con un potere terribile, che stava facendo del suo meglio per abbattere quello stesso regime a cui apparteneva il laboratorio esploso.
Si inginocchiò davanti a lui per osservarlo meglio.
Lovino era girato sul fianco, rannicchiato in posizione fetale, completamente ricoperto di cenere, in ogni centimetro di pelle, mentre il petto magro si alzava e si abbassava in maniera regolare. Aveva gli occhi aperti, fissi verso di lui, ma erano spenti, come se stesse guardando qualcosa oltre, o come se stesse dormendo con gli occhi aperti. Una lacrima gli era scivolata lungo la guancia, lasciando un segno sulla cenere.
João scosse la testa, prese i guanti dalla tasca interna del cappotto e se li infilò; allungò una mano e gli chiuse le palpebre, delicatamente. Poi, visto che il ragazzino era scosso dai brividi, si sfilò il cappotto e lo coprì con quello, anche per dargli un minimo di dignità, visto che anche i vestiti si erano vaporizzati nell'esplosione. Solo il crocifisso che portava al collo era rimasto illeso, per qualche strana fortuna.
Quello che ancora meno persone sapevano, era che quel ragazzino che era sopravvissuto, era stato il centro e la causa stessa dell'esplosione.
João fece una smorfia, rimproverandolo mentalmente. Tra tutti i giorni che poteva scegliere per far esplodere un labolatorio...
Si alzò e si chinò per prenderlo in braccio, il più dolcemente possibile. Si girò verso i due soldati che l'avevano raggiunto.
-distruggete le prove. È stata una fuga di gas dovuta al terremoto. Quando avrete finito qui, andate a riferirlo tramite gli autoparlanti- ordinò, con voce secca. I due annuirono. João li superò e si diresse verso la caserma.
Lovino aveva decisamente bisogno di dormire un po' in un letto caldo.

 

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Capitolo 20
*** Capitolo diciannove ***


Ma buonsalve a tutti. Oggi (almeno per me) è l'ultimo giorno di scuola. Mi sentite piangere di gioia sì? Allert: robe pesantine, dall'inizio alla fine praticamente ;D Buona lettura

 

Il ragazzino osservava l'uomo davanti a lui. Era brutto, concluse, ma non era una novità. Di rado arrivavano clienti decenti, anzi si può dire che non fosse mai capitato, e lui ne aveva visti tanti, di clienti.
-sei proprio bello come dicevano- gli disse l'uomo, accarezzandogli il viso con una mano sudata. Il ragazzino glielo lasciò fare.

Un tempo forse avrebbe protestato. Un tempo avrebbe pianto, urlato, avrebbe morso la mano all'uomo fino a lacerargli la pelle e lasciarlo sanguinante per terra, sarebbe scappato, o almeno ci avrebbe provato. Ma sulla sua schiena c'erano i segni di tutte le volte che aveva tentato di protestare, tutti accuratamente coperti con del trucco. Al solo pensiero di ribellarsi sentì la pelle rabbrividire, e i peli, quei pochi che gli lasciavano, rizzarsi. No, non era il caso di farlo, così come non era il caso di fare errori.
-voglio del vino rosso. Sai farlo, vero?
E il ragazzino neanche perse tempo ad annuire. Toccò la coppa dell'uomo, piena d'acqua, e quella si riempì di quel liquido scuro che aveva imparato a odiare. Così era facile. Di solito gli facevano richieste molto più specifiche.
-ma che bravo. Sei proprio un dono divino- gongolò l'uomo, bevendone un sorso. Sulla sua pelle sudata spiccava una croce -è davvero buo...
La voce gli si troncò in gola. L'uomo cadde a terra. Il ragazzino neanche sobbalzò, si limitò ad arretrare, disgustato, quando quello vomitò vicino a lui, sporcando il tappeto pregiato.
Il ragazzino immaginò che anche fuori ci fossero scenari simili. Gli ci era voluto un po' per imparare a trasformare anche a distanza, e ancora di più per trasformare ciò che era già stato bevuto, ma c'era riuscito.
Uscì dalla stanza. I braccialetti tintinnarono contro i suoi polsi scarni e le sue caviglie. Lo tenevano volutamente magro, per farlo sembrare più piccolo. Tirò un calcio al cadavere del proprietario del circo e passò oltre, senza neanche guardarsi indietro. In tutta quella morte sembrava quasi un angelo, così piccolo e vestito di bianco, con quel trucco sul viso atto proprio a farlo sembrare una creatura divina, una naiade magari, un creatura dei fiumi uscita da un qualche racconto.
Imparare a trasformare l'acqua in vino avvelenato era stato facile invece. Rendere quel veleno impercettibile era stato un gioco da ragazzi.
La pianta dei suoi piedi nudi calpestò dell'acqua caduta a una donna, che al suo passaggio divenne rossa come il sangue.
Fuori lo aspettavano due persone.
Un uomo, questa volta bello, che lo osservava con un sorriso paterno, genuino questa volta; e un ragazzo all'incirca della sua età, che lo scrutava preoccupato.
Il ragazzino si fermò davanti al coetaneo. Lo guardò negli occhi per qualche secondo. Azzurro contro verde.
Poi gli gettò le braccia al collo e scoppiò finalmente a piangere.

Feliciano stava disegnando da più di due ore, ma non era ancora soddisfatto. C'era qualcosa che non lo convinceva.
Sbuffò, chiuse il suo taccuino, lo posò a terra e si lasciò andare contro la parete alle sue spalle.
Da qualche giorno aveva preso l'abitudine di nascondersi in camera di suo fratello per disegnare, ma quel giorno proprio non riusciva a concentrarsi. Quella notte Gilbert avrebbe visto suo fratello e avrebbe portato loro sue notizie, se tutto fosse andato bene. Altrimenti...
Feliciano imprecò sottovoce. Di sicuro avrebbe dormito ancora meno del solito quella notte, probabilmente non avrebbe chiuso occhio direttamente.
Cesare gli si strusciò contro per chiedere un po' di coccole, che il ragazzo fu felice di dargli.
-manca anche a te, ve?- Cesare miagolò, venendo incontro alle sue carezze.
Feliciano puntò lo sguardo davanti a sé, incontrando la finta finestra che aveva dipinto per suo fratello. Quando Antonio era partito per farsi chiudere in cella con lui, Feliciano aveva passato tutto il mese successivo a lavorare a quella finestra. Non voleva che suo fratello soffrisse di claustrofobia stando lì, e quello era il modo migliore che gli era venuto in mente per evitarlo. Ne aveva disegnata una anche nella camera di Antonio per ringraziarlo, ma a quella di suo fratello aveva dedicato un mese intero di cure. Può sembrare esagerato, ma voleva che tutto fosse perfetto. Giorni per decidere il colore, ore e ore passate per dare luce nei punti giusti, settimane chiedendosi se lo spessore del telaio fosse troppo o troppo poco. Non si era firmato, nessuna finestra aveva una firma, ma Lovino sembrava averlo apprezzato, e quello per lui era abbastanza.
Si alzò, ignorando le proteste del gattino. Qualcosa, una sensazione alla bocca dello stomaco, una sorta di filo invisibile che gli partiva dall'ombelico, lo attirava verso quella finestra. Sentì il rumore della matita che teneva ancora in mano cadere in terra, ma non se ne curò. Posò la mano sul telaio e, per qualche assurdo motivo, spinse in avanti.
E
   La
      Finestra
         Si
            Spalancò
Rivelando il paesaggio che aveva immaginato mentre dipingeva.
Un mare verdognolo, cristallino, come ormai non esisteva più, che si estendeva a perdita d'occhio. Il cielo azzurro, terso, con un lieve accenno di nuvole all'orizzonte. La sabbia morbida, che sembrava invitarlo a seppellirci i piedi nudi per sentire i granelli attraversargli le dita e che cedeva presto il posto a una serie di colline, ricoperte da un manto verde d'erba e da una fitta foresta, e di montagne, che si stagliavano ostinatamente contro il cielo.
Feliciano allungò la mano oltre la finestra, senza incontrare nessuna resistenza; inspirò l'aria limpida, pulita, con un lieve sentore di mare. Guidato da quello strano istinto, scavalcò la finestra, incontrando finalmente la sabbia, che attutì la sua piccola caduta accarezzandogli le caviglie. Era al confine tra la spiaggia e le montagne, in quella zona neutra che non era nessuna delle due cose. Esitò, poi si diresse verso il prato, sentendo ora l'erba umida contro la pianta del piede. Si chinò e raccolse un fiorellino giallo.

Riaprì gli occhi. Si guardò intorno.
Era di nuovo in camera di suo fratello. La finestra era chiusa. Cesare lo scrutava con i suoi occhi verdi, muovendo la coda lentamente, come per studiare le sue reazioni. Il taccuino al suo fianco era aperto, e la matita teneva il segno su una pagina aperta.
Tirò un sospiro di sollievo. Si era sognato tutto.
Poi abbassò lo sguardo. In mano teneva ancora quel fiorellino. Nella pagina in cui era fermo il taccuino, era disegnato il paesaggio che aveva visto, con tanto di sua firma.
Sobbalzò quando bussarono alla porta.
-Feliciano? Sei qui?
-arrivo!- esclamò, alzandosi di scatto.
Infilò il fiore nella pagina aperta e chiuse il taccuino, infilandoselo in tasca insieme alla matita. Cesare seguì i suoi movimenti con attenzione, restando dietro di lui quando quello andò ad aprire.
Dall'altra parte c'era Ludwig.
-ciao!- esclamò, forzando un sorriso.
-ciao...- il biondo lo squadrò sospettoso -hai saltato la cena. Stai bene?
-la c...- gli morì la voce in gola. Puntò lo sguardo sull'orologio appeso alla parete. Erano le nove e mezza. Tornò a guardare il suo ragazzo e sforzò una risatina -stavo disegnando e ho perso la condizione del tempo- strinse il taccuino nella sua tasca -sai come sono fatto...
Il tedesco sospirò, esaperato. Parve bersela.
"Perché non dovrebbe crederci?" si rimproverò mentalmente "alla fine è quello che è successo. Hai perso la cognizione del tempo e ti sei addormentato. Tutto qui"
-devi stare più attento- lo sgridò senza crederci veramente, con un mezzo sorriso dolce.
-scusa, Luddi.
-andiamo a vedere se è avanzato qualcosa, ti va? Devi mangiare.
Feliciano abbozzò un sorriso -va bene, Luddi, andiamo.

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Capitolo 21
*** Capitolo venti ***


Ormai mi sento stupida a scriverlo ma sì: tematiche delicate. Vi avviso quando comincia il pezzo borderline.

Il bambino stava giocando in giardino, imbronciato. Voleva il succo di frutta, ma sua madre gli aveva detto che non avevano abbastanza soldi per comprarlo. Non era giusto! Voleva il suo succo di frutta!
La notte prima aveva piovuto, quindi il terreno era un umidiccio contro i suoi pantaloncini. Sbuffò, mollò il suo soldatino per terra e vide, poco più in là, un piccolo scoiattolino. Sorrise, si mise in piedi sulle gambette sottili e si diresse verso di lui, sperando di riuscire ad accarezzarlo. Era così carino!
Si inginocchiò davanti alla bestiola e, con calma, allungò una mano verso di lui, trattenendo il fiato. L'animale, però, scappò via. Il bambino si imbronciò, e sarebbe scoppiato a piangere se non avesse notato la pozzanghera a pochi centimetri dalle sue ginocchia, che catturò completamene la sua attenzione. Preso da solo il cielo sapeva quale istinto, ci posò le manine sopra, sfiorando l'acqua stagnante con la punta delle dita.
All'inizio non successe nulla. Poi l'acqua si tinse di arancione. Il bambino sussultò sorpreso e sorrise, battendo le mani, entusiasta. Succo d'arancia!
Si chinò e con le manine ne raccolse un po', bevendolo. Sì, era proprio succo d'arancia!
Sua madre lo chiamò dalla casa dicendogli di rientrare, che stava per piovere di nuovo e ci mancava solo che si ammalasse.
-mamma, mamma! Guarda cos'ho fatto! Succo!- urlò in risposta, alzandosi e correndole incontro.

-perché ti hanno tenuto una settimana intera in infermeria?
-dovevano fare alcuni esami di routine e ne hanno approfittato già che ero lì- rispose Francis, con un sorriso.
Arthur inarcò un sopracciglio -per una settimana?
-è stata una settimana impegnativa- mentì, facendogli l'occhiolino -non mi serve il tuo aiuto, comunque. Non sono una donzella in difficoltà.
-davvero? Però ci somigli eccome.
-ah ah, molto divertente.
Visto che quel pomeriggio lo avevano dimesso, Arthur si era offerto di aiutarlo a portare le sue cose in camera. Non è che fosse molto, un paio di vestiti di ricambio e qualche libro in francese, ma per qualche imperscrutabile ragione aveva scoperto di volere la compagnia di Francis in maniera preoccupante -e poi l'infermiera ha detto che non devi sforzarti.
Francis roteò gli occhi -non mi sembra che portare un paio di vestiti fino a camera mia sia uno sforzo sovraumano che solo un inglese onnipotente come te può compiere.
-deboluccio come sei non ne sarei così sicuro.
Il francese sbuffò. Tirò fuori da sotto la maglietta una cordicella, a cui era legata una chiave. Aprì la porta e lo fece entrare.
La camera di Francis era ordinata. Per qualche motivo, Arthur non se lo aspettava. L'unico elemento di disordine erano i libri impilati sul comodino affianco al letto, sul quale Francis si buttò con eleganza e con un sospiro.
-ah, quanto mi era mancato!
-dove lascio questa roba?
-quoi?- riaprì un occhio, poi indicò con un gesto annoiato la scrivania -mettili lì, poi sistemo io quando ho voglia.
Arthur roteò gli occhi -pigrone.
Francis fece un sorrisetto -l'ha detto l'infermiera, no? Mi devo riposare.
-adesso non te ne approfittare- sbuffò e si avviò verso la scrivania, ma inciampò e cadde a terra, rovesciando la scatola.
-sei così imbaranato, Angleterre- commentò il francese, stiracchiandosi.
-colpa tua che lasci la roba a terra- sbuffò e rimise alla rinfusa le cose nella scatola. Poi inarcò un sopracciglio -cos'è questo?
Francis riaprì un occhio, inquadrò cos'aveva in mano e sbiancò -no, lascia perdere.
Arthur sollevò una cartellina bianca e la aprì, dando un'occhiata veloce.
Il francese si alzò di scatto e gliela strappò dalle mani -non è niente. Affari privati.
Arthur sollevò le mani con aria sconfitta -va bene, scusa, ero solo curioso.
Il francese sembrava sconvolto -puoi lasciarmi solo? Sono stanco.
-oh. Okay- alzò le spalle e lo superò, andando verso la porta -ehm... ciao. Ci vediamo a cena.
Francis sembrava ancora più pallido del solito -adieu.
Arthur uscì e si chiuse la porta alle spalle.
C'era una cosa che non molti sapevano, ovvero che anche Arthur aveva un potere, forse non utilissimo in battaglia, ma di sicuro lo era nella vita quotidiana. Aveva una memoria fotografica perfetta. E quella era una cartella clinica.
Chiuse gli occhi e la rivide nel dettaglio davanti a sé. Imprecò sottovoce. Quello era gergo medico, non ci capiva niente. Lesse il nome di una malattia strana, ma non la conosceva ed era in latino.
Imprecò di nuovo. Sembrava qualcosa di grave. A chi avrebbe potuto chiedere qualcosa a riguardo? Francis non glielo avrebbe mai detto, Gilbert neanche e Antonio lo avrebbe preso a calci se solo avesse osato tirare fuori l'argomento.
Sbuffò. Doveva decisamente indagare. Fece dietro front e tornò verso l'infermeria.

Lovino aveva mal di testa. Brontolò qualcosa e si rigirò un paio di volte prima di riaprire gli occhi.
-Lovino?- inquadrò il ragazzo davanti a sé, e per un breve, bellissimo istante era Antonio. Poi lo mise per bene a fuoco e si rese conto che si trattava di João -stai bene?
-no- mugugnò, mettendosi seduto a fatica -che è successo?
-questo dovrei chiederlo a te.
Sospirò, con la testa che martellava. Tum tum tum -non... non lo so. Mi hanno infilato in quel coso e... credo mi sia venuto un attacco di panico- si passò una mano tra i capelli, confuso -non mi ricordo niente. Che ho combinato?
-c'è stato un terremoto. Il laboratorio è... non proprio esploso. Si è disintegrato, ecco.
Lovino rimase in silenzio per un po', mentre processava l'ennesima informazione sgradita. Si prese la testa tra le mani -ho ucciso delle persone.
La sua non era una domanda, ma João annuì.
Lovino imprecò sottovoce.
Aveva ucciso altre persone. Forse non erano proprio innocenti, ma erano comunque persone. Erano figli, fratelli, amanti e amati. Quanti bambini aveva reso orfani? A quanti genitori aveva strappato un figlio?
Inspirò profondamente. L'ultima cosa che gli serviva era andare nel panico di nuovo. Doveva concentrarsi sul presente, al panico ci avrebbe pensato dopo. Doveva provare ad essere razionale.
Già. Peccato che tra il dire e il fare ci sia di mezzo il mare, caro il mio Lovino.
-quanti ne ho uccisi?- gli uscì di bocca.
-cinque.
-cinque- ripeté. Sospirò -che ore sono?
-le nove di sera- rispose João -la cena è finita.
-okay...- si rimise in piedi, ignorando le sue gambe un po' tremolanti -facciamo ancora in tempo a uscire. L'appuntamento con Hercules è alle undici.
-non so se è il caso che tu...- cercò di bloccarlo João, ma Lovino stava già infilando dei cuscini sotto le coperte per farli sembrare lui.
-sì invece, devo andare, altrimenti daranno per scontato che io sia stato catturato o ucciso e verranno qui in una missione suicida per cercare di riprendermi.
-ma non sanno dov'è la capitale, no?
Lovino scrollò le spalle -non conosci mio nonno. Sarebbe capace di farsi il mondo a piedi fino a trovarla, 'sta merda di capitale, ma poi li ammazzerebbero tutti prima ancora che arrivino all'ingresso, e questo non è bello- rimboccò le coperte ai cuscini e si rimise dritto -quindi ora tu esci, vai a dire al supremo o a chi per lui che mi sono svegliato e che sto bene, ma sono tornato a dormire perché sono molto stanco e non voglio essere disturbato per nessunissima ragione al mondo. Grazie.
João roteò gli occhi -sapevo di aver fatto bene a portartela- si alzò, raggiunse il suo cappotto, mollato su una sedia a caso, e dalla tasca interna ne prese una radiolina. Gliela porse -tieni.
-grazie- la infilò nello zaino insieme alla lettera con le istruzioni. Abbassò lo sguardo sui suoi vestiti. Indossava quelli che aveva quando era arrivato lì per la prima volta, un paio di pantaloni di una vecchia tuta e una maglietta scura. Lanciò un'occhiata di sbieco a João, che aveva distolto lo sguardo, poi scrollò le spalle: non era di certo la cosa più importante al momento.
-io... vado. Buona fortuna- concluse uscendo. Lo scatto della porta chiusa sembrò il rumore di un proiettile sparato dritto contro la sua testa.
Lovino, rimasto finalmente solo con sé stesso, si lasciò scivolare a terra. Per qualche secondo, il nulla; non riusciva a pensare, a riflettere, a capire.
Poi...

Eccoci signori miei, da qui alla fine praticamente

cinque persone
cinque persone
cinque persone
cinque persone
cinque persone
assassino, mostro, perfido pezzo di merda
devi morire
devi morire
devi morire
devi morire

 

devi morire.

 

Dolore.
Non si era accorto di essersi morso la guancia, ma il sapore del sangue per qualche motivo lo rilassò.
Calma, si disse. Respira. Non hai tempo per colpevolizzarti.
Andò a sciacquarsi la bocca. Il sangue nel lavandino fu una visione ipnotica per qualche istante, poi sollevò lo sguardo sul suo riflesso.
Era pallido, del dolore del latte quasi, cosa strana per lui, e c'era un qualcosa di cinereo sulla sua pelle, come se avesse fatto il bagno in un camino e poi si fosse ripulito alla bell'e meglio, o come se la cenere fosse stata assorbita completamente dalla sua pelle; la pupilla era stretta, quasi non si vedeva, e intorno ad essa le pagliuzze dorate che aveva di solito erano più luminose che mai, mentre il resto dell'iride era di un verdognolo molto più verde che castano. Nel complesso, gli sembrava di guardare negli occhi Cesare quando aveva puntato un topo. Chissà come se la passava il suo micetto... bene probabilmente, era il più sveglio in famiglia, e con Feliciano a occuparsi di lui sicuramente era servito, riverito e coccolato come un re.
Feliciano... per lui era più preoccupato.
Scosse la testa con forza. Il presente, doveva pensare al presente e a quello che doveva fare. Li avrebbe comunque sentiti entro il giorno dopo, non serviva a niente fasciarsi la testa prima di essersela rotta.

 

rotta come le vite che hai stroncato, perché sei un

 

Bagno. Aveva bisogno di un bagno.
La vasca si riempì in fretta, o semplicemente lui era troppo distratto dai suoi pensieri per dare retta al normale scorrere del tempo. I vestiti scivolarono via

 

via come le vite che hai distrutto

 

in un istante. Il calore dell'acqua forse un tempo gli avrebbe dato fastidio, gli avrebbe fatto male, ma non sentiva niente

 

niente come le persone che hai ucciso

 

Socchiuse gli occhi.
L'acqua si ingrigì, segno che la cenere si stava togliendo dalla sua pelle.

 

come la vita si è tolta dalle persone che hai ucciso
si è tolta perché tu l'hai tolta
perché sei un mostro
assassino
bastardo

 

Fissò l'acqua scura per qualche secondo, in trance. Osservava il suo riflesso, su cui non si leggeva nulla. Niente tristezza, niente disperazione... niente di niente.

 

neanche soffri per quello che hai fatto

mostro

Raccolse un po' d'acqua tra le mani e se la passò sul viso, cercando di svegliarsi

loro però non si sveglieranno più
per
colpa
tua

da quello stato di quiete forzata.

 

cinque persone
hai ucciso cinque persone.

 

Sembrava quasi che quel "cinque persone" fosse diventata un'entità unica, un nome che la sua testa continuava a ripetergli per farlo impazzire.

cinque persone

Si tappò il naso e si immerse completamente in acqua.

 

cinque persone cinque persone cinque persone


Rimase lì.

Immobile.

Era giusto così. Se lo meritava, ormai non gliene fregava più niente. Non sentiva nulla, tranne questo costante vuoto, la sensazione perenne che qualcosa stesse andando storto, che lui stesse andando storto.
Che il suo potere stesse distruggendo anche la sua umanità? Se fosse andato avanti così, magari un giorno si sarebbe svegliato e avrebbe ucciso tutto il mondo solo per accrescere la sua forza, o per il gusto di farlo. E quanto ci sarebbe voluto prima di quel giorno? Forse era meglio farla finita lì, qualche altro modo di uccidere Sadiq l'avrebbero trovato. Hercules avrebbe portato loro la radio e da lì si sarebbero organizzati, Antonio avrebbe ritrovato suo fratello e Feliciano e suo nonno si sarebbero fatti forza a vicenda. Forse avrebbero addirittura capito che era meglio così.

è meglio così
te lo meriti


Forse era veramente meglio così.

Torna da me, Lovi

Mi mancherai, fratellone!

Non fare stronzate, pischellé

 

Poi il resto ebbe il sopravvento.

 

Riemerse boccheggiando, aggrappandosi al bordo della vasca mentre riprendeva fiato.
Ma che cazzo gli era preso? L'ultima cosa che doveva fare era morire come un cretino, aveva decisamente troppo da fare. Scosse la testa con forza, lasciando che i capelli gli coprissero il viso, non voleva rischiare di vedere il suo riflesso. Che vergogna.

Quel vuoto di merda persisteva, aveva bisogno di riempirlo, in qualsiasi modo.

sei un

Puntò lo sguardo sullo scaffale su cui erano sistemate le cose per lavarsi, alla ricerca disperata di qualcosa con cui zittirsi.
Afferrò la spugna, e i graffi sulle sue braccia, le abrasioni, quei segni rossi insomma, furono uno spettacolo macrabamente bello da vedere. Le lacrime gli correvano giù dagli occhi, gli marchiavano a fuoco le guance, gli coprivano la vista.
Si sentiva sporco.

sei un assassino
un verme che schiaccia le persone intorno a sé per sopravvivere
sei un cazzo di parassita
meriti di morire
meriti di morire
meriti di morire

 

Si spezzò. Strinse la testa tra le mani e scoppiò definitivamente a piangere.

meriti di morire

Un singhiozzo gli uscì dalle labbra. Stava tremando, neanche se n'era accorto. Voleva urlare fino a consumarsi la voce, voleva piangere fino a morire di sete, voleva restare lì, in quella vasca piena d'acqua ormai fredda, fino a morire, e poi restare lì, a far sciogliere il suo cadavere sul fondo. Tornare all'acqua, all'inizio della vita, e ricominciare da capo. Partire da cellula, poi due cellule, tre, quattro, mille, evolversi, uscire dall'acqua e arrivare, in secoli e secoli, a tornare umano. Ripartire da capo e ricominciare come un bambino normale, con un'infanzia normale, una famiglia normale. Doveva essere davvero bello avere essere normale, con dei problemi normali, una vita normale, una morte normale. Normale, solo quello. Vivere a lungo, senza preoccuparsi di regimi totalitari, incidenti mortali e supremi da assassinare.

Chiuse gli occhi.

Respira, si disse. Ora che ti sei sfogato devi tornare in te.

Li riaprì. Si asciugò le guance con i pugni chiusi, finì di lavarsi e uscì dalla vasca, lasciando cadere l'acqua grigia nello scarico.
Racimolò il coraggio di guardarsi allo specchio. Era ancora completamente apatico, freddo, un po' inquietante, e in effetti così si sentiva. Un robot, senza emozioni, senza niente, che fa semplicemente ciò che deve fare, svuotato da tutto.

Non ti hanno ancora tolto tutto, tesoro mio
Ricordati di ciò che ti mantiene umano
Sono loro la tua più grande forza
Ricordati di loro
E di me

Forse a furia di reprimere i suoi sentimenti li aveva soffocati del tutto.
Uscì dal bagno, tamponandosi i capelli con un asciugamano. Controllò l'orologio, aveva ancora una decina di minuti scarsa.
Si vestì rapidamente, si mise lo zaino in spalla, spostò il tappeto e si calò nella botola, che aveva già aperto da un bel po'.
Inspirò profondamente.

Ricordaci

Doveva andare.

 

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Capitolo 22
*** Capitolo ventuno ***


La ragazzina piangeva, rannicchiata su se stessa, con le ginocchia strette al petto.
Si sentiva sporca. Le mani su di lei, le mani su di lei, le mani su di lei...
Singhiozzò, se ne sarebbero mai andate?
Sentì una mano nuova sulla spalla e sobbalzò, allontanandosi di scatto. Guardò il proprietario della mano e tremò più forte.
Era un altro ragazzino, doveva avere all'incirca la sua età, e la stava osservando con aria preoccupata e confusa. Una reazione normale, ma l'aspetto di quel ragazzo era tutto tranne che normale. Era pallido come la neve, sembrava un morto, e quei due occhi rossi la fecero tremare di paura. Una piccola parte di lei, una parte con la voce di sua madre, e a cui preferiva non pensare, rimproverò quello sconosciuto per lo stato dei suoi capelli bianchi (ma pettinarseli no?). Il resto, però, aveva semplicemente paura.
Si faceva schifo. Parlava tanto di indipendenza e tremava come una foglia per niente, non riusciva a muoversi, a parlare, a smettere di tremare.
-stai bene?- aveva un tono gentile... -ti senti male?
-i-io...- deglutì.
-hai dei genitori? Qualcuno?
Scosse la testa -c-c'è u-un ragazzo c-con me.
-tuo fratello?
Scosse la testa -un a-amico.
-oh. Okay. Puoi venire venire con me se vuoi, vivo in un posto sicuro dove accolgono i bambini rimasti soli.
-s-sembra una truffa.
Quello rise -un po' sì. Però no, ti giuro che è un posto bello, hanno accolto me e mio fratello quando i nostri genitori sono morti.
Si allontanò da lui -e perché dovrei fidarmi?
-non lo so. Hai altra scelta?- si sedette al suo fianco -se vieni anche tu possiamo giocare insieme. A pallone magari, o alla guerra.
Il pallone, la guerra... -sono giochi da maschi.
-eh. Quindi?
-sono una femmina.
Quello sembrò stupito. La scrutò attentamente, poi scrollò le spalle -okay. Giochiamo uguale, se vuoi.
Giochiamo uguale. Non se l'era mai sentito dire prima.
-non ti importa che sono una femmina?
Il ragazzo alzò le spalle -ti funzionano le gambe, no? Allora puoi giocare a calcio con me.
La ragazzina lo fissò, con tanto d'occhi. Quello scoppiò a ridere.
-ti sciocca più il fatto che io voglia giocare con te che il fatto che ti stia dicendo di venire con me in un posto segreto?
-sì.
Ed era vero. Un orfanotrofio era qualcosa che poteva capire. La parità no -non mi avevano mai chiesto di giocare a calcio.
-perché?
-perché sono una ragazza.
-e cosa c'entra?- fu lui quello confuso -non capisco.
-neanche io. Non mi lasciavano giocare a calcio e basta.
-è stupido.
-lo so.
-allora, verrai con me? Con te in squadra vincerò di sicuro e Fran e Tonio dovranno fare quello che vogliamo.
-chi?
-i miei migliori amici. Sono simpatici, e ti faranno giocare, non preoccuparti. Francis è più femminile di te, non ti romperanno le scatole.
La ragazzina rise, e per un secondo quelle mani non ci furono più -va bene. Però devo parlarne anche a Rod.
-il tuo amico?
Annuì -è andato a cercare del cibo, dovrebbe tornare a momenti- si morse il labbro -lui ha... ha un potere magico.
-anch'io!
-no, guarda che parlo sul serio.
-anche io. Guarda- e scomparve. La ragazzina urlò.
-sei morto!
Quello rise, nella stessa posizione -no, sono invisibile! Forte eh? Posso anche rendere invisibili gli altri, ma li devo toccare, anche se sto cercando di imparare a farlo anche senza contatto.
-oh... forte.
-e tu? Hai qualche potere?- scosse la testa -non importa, magari non l'hai ancora scoperto. Sono sicuro che sarà un potere fortissimo, anche se non magnifico quanto il mio.
La ragazzina rise -sei un idiota. E non so ancora come ti chiami.
-oh, giusto- le porse la mano -sono Gilbert.
-non ti vedo.
-ah, scusa- tornò visibile e le riporse la mano -Gilbert.
La ragazzina gliela strinse -Elizabeta.
Gilbert fece una smorfia -non mi piace come nome.
-ha parlato Gilbert.
-Elizabeta sa di donna del millesettecento che si sventola il viso con un ventaglio di pizzo, e non mi sembri il tipo.
Sbuffò una risata -Eliza ti piace di più?
Sembrò pensarci qualche secondo. Annuì -sì, Eliza sa più di cazzuto.
-lieta di avere la vostra approvazione, sir.
-c'è gente che venderebbe un figlio per averla- confermò, sorridendo. Eliza rise.
-idiota.
-lo so.

In realtà dovette aspettare almeno un altro quarto d'ora.
-scusa- gli disse Hercules quando, finalmente, si degnò di farsi vedere -mi ero addormentato.
-non importa.
Sapete, c'è una cosa strana di noi umani: la nostra capacità di ignorare il dolore. Chiamatela autoconservazione, istinto di sopravvivenza o semplice testardaggine, ma siamo in grado di ignorare la maggior parte dei sentimenti nei momenti di pericolo, soprattutto se sono sentimenti negativi. Per fare un esempio banale, come quando sei di pessimo umore, circondato da altre persone, magari un gruppo di amici o i compagni di classe o i parenti o che so io, che fanno casino e quant'altro, e tu sorridi e fai finta di niente, anche se in testa hai milioni e miliardi e miliardi di milioni di pensieri negativi che cazzarola vorrei solo spararmi in testa e farla finita ma porca troia non ho una pistola a disposizione. Ecco, Lovino era in una situazione del genere, solo che non fingeva neppure di sorridere, questo stato era prolungato per tutto il giorno, tutti i giorni, senza pause, e se qualcuno si fosse accorto che qualcosa non andava avrebbe fatto una brutta, bruttissima fine. Forse non potevano ucciderlo, ma c'erano cose ben peggiori della morte, erano stati loro a insegnarglielo.
-dov'è il tuo blindato?
-non lontano.
-dai, andiamo. Vorrei dormire almeno un po' stanotte.
Avete presente la pioggia? Immagino di sì. No, non parlo di quella tossica presente in questa storia, parlo della pioggia nostra, che non brucia come acido e non ci uccide. Ecco.
Pensate a un temporale, va bene? Visionatelo nella vostra testa. Siete nella vostra camera, seduti sul letto, e vedete le gocce cadere una per una sulla finestra davanti a voi.
Tic tic tic.
Bello il rumore della pioggia, eh? Rilassa un casino.
Tic tic tic.
Bene. Ora immaginate che le goccioline siano piccoli traumi, o momenti di stress, insomma in generale cose poco piacevoli, e che la finestra sia la mente del nostro caro Lovino. Piano piano, goccia dopo goccia, si sentiva frantumare.
Una volta salito in macchina, Lovino chiuse gli occhi, appoggiando la testa al finestrino freddo.
-hai sonno?- gli chiese Hercules, con gli occhi fissi sulla strada.
Lovino sbuffò una risata -penso che non riuscirei a dormire neanche se mi imbottissero di sonnifero, mi rimboccassero la copertina e mi cantassero una ninna nanna.
-ma i sonniferi non hanno effetto su di te- ribatté Hercules -o sbaglio?
-presumo sia così- scrollò le spalle. Fuori era buio, l'unica luce erano i fari del blindato. Lovino vedeva solo l'oscurità, o in alternativa il suo riflesso. Non sapeva quale dei due fosse peggio.
-se vuoi parlare di qualcosa- aggiunse Hercules dopo qualche minuto di silenzio -fa' pure. Io non ti ascolterò, né ti farò alcuna domanda.
L'italiano si voltò a guardarlo, confuso -di che stai parlando?
Quello si strinse nelle spalle -è una cosa utile, sai? Parlare con qualcuno. E visto che mi sembri una persona schiva, sappi che io non ascolterò quel che dirai, non ti giudicherò né ti darò consigli stupidi, a meno che tu non lo voglia.
-oh...- scrollò le spalle e tornò a guardare fuori. Per un po' nessuno disse nulla. Poi la finestra di crepò -prima ho cercato di annegarmi, credo. Non lo so, era tutto confuso, e mi sentivo... vuoto. Non c'era niente- si aspettava che gli tremasse la voce, invece era salda. Probabilmente si stava così abituando a mentire che non tremava mai, neanche quando si concedeva di dire la verità -così mi sono immerso nella vasca per fare il bagno. E lì...- strinse i pugni -non... non so che cazzo mi sia preso. So che volevo sentire qualcosa così disperatamente che non mi importava di morire- ho detto una bugia, la sua voce aveva tremato lievemente sull'ultima parola. Inspirò profondamente, rilassando i pugni -ma quando mi sono ritrovato lì, c'era solo il silenzio. Non c'era niente, solo l'acqua e i riflessi azzurri intorno. Se guardavo in alto vedevo la superficie, la luce, ma non ci volevo tornare; stavo bene lì, nel buio, da solo. La luce fa male, mi sono detto. In fondo è meglio così. Pensavo che... che sarebbe stato bello andarsene così, circondato dall'oscurità. C'ero solo io, e per un attimo ho creduto davvero che andasse bene così, che fosse giusto andarmene da solo, in un modo viscido e schifoso come me, come il codardo che sono- si fermò, senza fiato per la foga. Si schiarì la voce prima di continuare -all'inizio era piacevole; niente casino, niente sensi di colpa... solo pace e solitudine. Non potevo far del male a nessuno, capisci? Solo a me stesso, e di me stesso non mi è mai importato molto. Poi però mi sono sentito soffocare. Ho guardato verso la superficie, e ho sentito...- strinse la croce che portava al collo -e così sono tornato su- si inumidì le labbra, secche come gli occhi, che erano così concentrati sulla strada e sul vuoto da non avere tempo per pensare alle lacrime -hai saputo cos'è successo al laboratorio?- lo scrutò sottecchi, aspettando una risposta. Hercules annuì, senza aggiungere altro, e per questo Lovino gliene fu davvero grato -ho ucciso delle persone. Sono così...- rise. Una risata isterica, di uno sull'orlo dell'esaurimento -chissà quanta gente ho ucciso senza neanche ricordarlo. Ho un vuoto di cinque anni. In cinque anni puoi far fuori tanta gente. E la sai la cosa più assurda?- scosse la testa, esasperato -non ricordo neanche uno di questi omicidi. Non ricordo il primo, ho solo dei flash, ma dell'uomo morto non so nulla. Non ricordo niente di questi cinque anni, e non ricordo di questi altri cinque fantasmi. È come se non fosse mai successo, ma io so che è successo, e non riesco a far finta di niente. Vorrei, vorrei così tanto dirmi che sono stati solo degli incidenti, che non è colpa mia, che sono comunque un essere umano come gli altri, ma non ci riesco- parlava con un fil di voce, un filo molto vicino a spezzarsi -non riesco a... a farmi scorrere addosso queste cose. Io non sono un essere umano come gli altri, e non ho la minima idea di cosa fare- si girò verso Hercules, con gli occhi lucidi -secondo te sono una brava persona? O... o solo un mostro da mettere al rogo? O un'arma? O qualche cos'altro? Cosa cazzo sono?!
Hercules non sembrò turbato dal suo sfogo. Ci pensò su, lasciandogli così il tempo di riprendersi.
-io penso che tu sia una persona molto coraggiosa- concluse dopo qualche minuto -non è da tutti farsi queste domande e sopportare il peso delle risposte. È vero, non sei una persona normale, e devi conviverci. Nessuno di noi lo è, ma tu in particolare devi sopportare più degli altri.
Lovino si asciugò gli occhi con fastidio, tornando a girarsi fino a guardare dritto davanti a sé -e quindi che dovrei fare? Soffocarmi?
-no- continuò quello, con voce calma -devi solo imparare a conviverci. Non è di certo una cosa facile, ma se la tua testa è forte quanto il tuo potere ce la farai.
-altrimenti?- aveva paura della risposta, anche se sospettava di conoscerla già. Ciò che conosciamo a volte è più terrificante di un salto nel vuoto.
-altrimenti il tuo potere prenderà il sopravvento su tutto, e diventerai a tutti gli effetti ciò che temi di essere già.
L'italiano annuì, in silenzio.
-so che hai passato gran parte della tua vita a reprimerla- aggiunse dopo un po' Hercules, in tono più gentile -ma devi scendere a patti con la tua natura.
Lovino annuì di nuovo. Ci mise qualche minuto a rispondere.
-grazie.
-figurati. Manca un'ora al posto, dovresti riposarti un po'.
Lovino scosse la testa, puntando ancora lo sguardo fuori.

E finalmente, il momento tanto atteso è arrivato. Sono un po' di capitoli che vi stresso con questa cosa, lo so, quindi non indugio oltre.
Hercules lo lasciò all'imbocco delle fognature, cosa molto puzzolente, e disse che lo avrebbe aspettato lì, il che significava che probabilmente si sarebbe fatto un bel pisolino nel frattempo (e come biasimarlo).
Il posto scelto era un paesino in culo ai lupi, composto principalmente di contadini e pastori. Più precisamente, si sarebbero dovuti incontrare appena fuori da tale paesino, in un vecchio granaio abbandonato. Per fortuna di Lovino, era abbastanza vicino alle fogne, quindi ci mise poco ad arrivarci.
Camminare da solo, nell'oscurità, gli diede il tempo di riordinare i suoi pensieri.
Calma, si disse. Respira. Non devi farli preoccupare.
Ma quella camminata, in fin dei conti, durò solo pochi minuti, e per riordinare tutto quello che pensava non sarebbe bastata una vita intera, figuriamoci le poche centinaia di metri che percorse prima di vedere il granaio in lontananza. Entrò nell'edificio passando da una finestra rotta, si calò dentro e raggiunse il centro della stanza. All'istante divenne invisibile.
-eccoti, finalmente- lo rimproverò Gilbert, ora visibile anche a lui.
Lovino neanche si diede la pena di rispondergli. Si chinò, posò lo zaino a terra e tirò fuori la radio e la lettera -tieni, dalle a mio nonno.
Gilbert le prese e le infilò nel suo zaino, rimettendoselo in spalla. Infine indicò l'elefante nella stanza, esclamando ehi, non possiamo ignorarlo ancora.
-noi due dobbiamo parlare.
-e di cosa, esattamente?- Lovino si rialzò, spolverandosi i pantaloni.
-intanto tuo nonno vuole sapere come stai- iniziò -e poi dobbiamo parlare di Antonio.
A quel nome, Lovino si sentì strappare il cuore dal petto. Andò nel panico -sta bene? Che gli è successo? Chi cazzo...
Gilbert lo interruppe con un gesto della mano -sta bene, a parte il cuore spezzato. Non voleva che te lo dicessi, ma gli manchi.
-perché non... non lo voleva?
-per non darti altri pensieri- ripeté, scimmiottando l'accento del suo migliore amico.
Lovino proprio non riuscì a controllare il sorriso dolce che gli spuntò a forza sul viso -sì, è la tipica cosa da Antonio.
-ci ha detto che state insieme- continuò Gilbert. Sbuffò -come se non fosse stato abbastanza ovvio di suo, ma comunque...
Lovino alzò le spalle. In confronto a quello che gli stava succedendo ora, le sue paranoie sul rendere la sua relazione pubblica sembravano la sciocchezza di un bambino -okay.
-senti, so che non sono affari miei. Ma Antonio è il mio migliore amico, quindi sono affari miei. Lo ami anche tu?
Lovino sbuffò -per quale motivo credi che stia facendo tutto questo? Per sentirmi un eroe? Non sono Alfred. Lo faccio per lui, per mio fratello e per mio nonno.
-per te stesso no?
-non vado molto d'accordo con me stesso- scrollò le spalle -quindi sì, amo Antonio. Contento o vuoi una qualche sdolcinata dichiarazione d'amore al chiaro di luna?
Gilbert annuì -e va bene, facciamo che mi fido.
-bene. Feli e il nonno come stanno?
-bene direi, anche se tuo fratello continua a dire che tuo nonno lavora troppo.
Sbuffò divertito -di' al nonno di riposarsi. E che sto bene, ho due tipi dalla mia parte, ho spiegato tutto nella lettera, e ho un paio di idee che penso siano interessanti.
-va bene, va bene- lo squadrò sottecchi -vuoi che dica qualcosa a qualcuno? Mi sento un fottuto postino, ma alla fin fine lo sono, per cui...
-di' a Feli che... che gli voglio bene. E ad Antonio che manca anche a me. Il resto è tutto scritto lì dentro.
-va bene- sbuffò -allora ciao. Spero di vederti vivo, la prossima volta.
Abbozzò un sorriso -lo stesso.
Gilbert fece un passo indietro, e Lovino tornò visibile.

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Capitolo 23
*** Capitolo ventidue ***


Lo ammetto, per la arte finale ho preso ispirazione da chiamami col tuo nome. Ma, quando ho scoperto che quella parte era tratta da un romanzo francese, non ho resistito. Buona lettura, non odiatemi.

Feliciano era stanco di sentirsi un bambino.
Aveva sedici anni. Non era ancora un adulto, ma c'era vicino. Suo nonno però era leggermente iperprotettivo (notare il sarcasmo), quindi continuava a trattarlo come se avesse otto anni.
E lui era stanco. Voleva crescere. Vedeva tutti intorno a sé rendersi indipendenti- suo fratello, Kiku, persino il suo ragazzo- e l'unico che restava indietro era lui. Anzi, per essere precisi un po' restava indietro, un po' ce lo lasciavano.
Per questo scappava. Non usciva, aveva paura di andare fuori da solo, e poi suo nonno lo avrebbe ammazzato se lo avesse scoperto, ma si allontanava il più possibile da lì. Si infilava le sue scarpe di tela e prendeva tutte le strade che non conosceva, ed essendo il Punto Omega molto grande non ci metteva molto a perdersi. Lo faceva da quando aveva undici anni, e suo nonno ormai neanche si preoccupava più: sapeva che sarebbe tornato. Lo sapeva anche Feliciano, ma questo non significava che non potesse smarrirsi tra quei corridoi sconosciuti e fingere di non tornare più indietro, anche se poi, alla fine, ritrovava sempre la vita di casa.
Quel giorno era depresso. Strano ma vero, capitava anche a lui. Gli mancava suo fratello, suo nonno era troppo occupato a lavorare, il suo ragazzo era troppo occupato con uno studio su non-sapeva-cosa, e lui si sentiva, come sempre, lasciato indietro. Aveva la perenne sensazione che il mondo andasse avanti, lasciandolo fermo al punto di partenza. In quel momento avrebbe solo voluto un abbraccio, ma nessuno era lì per darglielo, e probabilmente non lo avrebbe comunque accettato. Sapeva che era il momento di crescere, di smettere di dipendere dagli altri almeno in certe cose, ma non era così semplice, e nessuno glielo rendeva facile, continuando a trattarlo come un bambino.
E così scappava.
Gli era sempre riuscito bene. Che si trattasse di scappare via tramite i suoi disegni o con le proprie gambe, in quello era sempre stato bravo, e, come potete ben intuire, di motivi per farlo ne aveva avuti parecchi.
Continuò a camminare. Non aveva niente con sé, solo un taccuino e una matita nella tasca della felpa. Adorava quella felpa, l'aveva rubata a Ludwig, aveva le tasche enormi e riusciva a nasconderci di tutto; inoltre le maniche più lunghe delle sue braccia gli davano la sensazione che le sue dita stessero affondando nel tessuto, immergendosi nel bianco, nel tutto e nel nulla al tempo stesso, senza riemergene più. E forse era quello che voleva: immergersi nelle strade, nelle pieghe dei corridoi e delle svolte, fino a non ritornare mai, trovare il suo angolino di silenzio dove nessuno poteva farlo sentire inadeguato e staserne lì, finalmente tranquillo.
Vi è mai capitato di sentirvi a disagio? Siete con altre persone, commentate qualcosa, o fate una battuta o un ragionamento o qualcosa, e quelli vi guardano straniti, come se aveste detto chissà che cosa, facendovi sentire una merda, completamente sbagliati e inadeguati. Ecco, Feliciano si sentiva sempre così; come se tutti lo vedessero come un bambino scemo. E allora cosa gli restava da fare, se non adeguarsi alle loro aspettative? Ci aveva provato a cambiare, tanto, sempre, e tutto quello che aveva guadagnato erano facce stranite e occhiate storte. E allora, come avrebbe detto suo fratello, vaffanculo.
Si conficcò le unghie nei palmi delle mani per non piangere, ma fu inutile. Era fatto così: quando era felice rideva, quando era triste piangeva.

sei un bambino
sarai sempre inadeguato


Ricordò tutte quelle volte. Le occhiate oblique dei suoi coetanei, il modo frettoloso in cui lo mandavano via quelli più grandi, suo nonno che gli impediva di ascoltare qualsiasi discorso serio o importante perché "poi ti agiti".
Si mise a correre.

bambino
bambino
bambino
bambino
bambino


Corse più velocemente, senza una meta. Aveva solo bisogno di scappare.
Sentiva i polmoni bruciare, le gambe scattare, le guance bagnate ma si sentiva così vivo; era dannatamente bello sfogare la tristezza con qualcosa di fisico.

sei così codardo che non sai fare altro che scappare
cordardo e pure bambino.


Accelerò fino a sfinirsi, fino a che le gambe non gli cedettero e i polmoni non gli implorarono pietà, e solo allora si concesse di scivolare, sfinito, con la schiena contro il muro e le gambe stese fino a far sfiorare la parete opposta alla punta delle sue scarpe.
Si maledì mentalmente per non essersi portato dietro dell'acqua, mentre cercava di riprendere fiato.
Il pavimento freddo contro le gambe, il muro duro contro la schiena e il calore del fiato. La luce glaciale delle lampade, il grigio della parete di fronte a lui e il lieve rumore delle ventole per il ricambio dell'aria
Prese il taccuino e cominciò a disegnare.
Faceva spesso così. Quando non aveva idea di cosa fare si guardava intorno e prendeva ispirazione da quello che sentiva, vedeva o percepiva. Lasciò andare la sua mano, permettendo al suo istinto di disegnare al posto suo.
Senza accorgersene aveva disegnato il mare del suo sogno. Non riusciva a disegnare altro: in qualche modo, che disegnasse un soggetto o un paesaggio, andava sempre a finire lì. Che fosse il protagonista o un dettaglio in un angolino, in qualche modo ce lo infilava sempre. Questa volta però gli era uscito solo il mare, completamente ghiacciato, con la neve che cadeva e copriva la sabbia dorata con il suo pallore.
Aggrottò la fronte. Era strano. Istintivamente aveva associato quel mare al Mediterraneo, o almeno a quello che era prima della crisi. Lui non l'aveva visto se non in foto, ma sembrava lo stesso. Eppure il Mediterraneo era troppo caldo per ghiacciarsi in quel modo. Sì che ormai il tempo andava per i fatti suoi, ma...
Scosse la testa, era solo la sua immaginazione. Ludwig gli diceva sempre di non lasciarsi condizionare troppo da quelle cose.
Si morse il labbro.
Ma non era forse quello la fonte della sua arte? Le emozioni, i sentimenti, le sensazioni? Come poteva non farsi condizionare dalla sua immaginazione, quando viveva e respirava per trascriverla sul foglio?
Sbuffò scocciato. Si infilò il taccuino in tasca e distrattamente guardò l'orologio. Sbiancò, si alzò e corse nella direzione opposta a dove era venuto. Era tardi! Suo nonno gli aveva detto di andare nel suo ufficio alle undici per parlare di suo fratello, e mancavano dieci minuti.
Bestemmiò sottovoce e corse più veloce.

Lovino aveva un sonno del cazzo. Fortunatamente, lì avevano del caffé semidecente. Tanto per la cronaca, era al quinto quella mattina.
-hai delle brutte occhiaie- commentò Sadiq, seduto affianco a lui. Gli aveva chiesto (ordinato) di fare colazione con lui -ieri sera non ti sei ritirato in camera tua per tutta la notte?
Imprecò mentalmente e sbadigliò -ho fatto un incubo e non sono più riuscito a dormire- ebbe un brivido nel realizzare quanto spontaneo gli venisse mentire, ma riuscì a nasconderlo.
-posso chiedere di cosa si trattasse?
-no- rispose di getto, poi si corresse -non ricordo granché, ma ero così inquieto che non sono riuscito a riaddormentarmi.
-mh. Capisco- si sistemò meglio sulla poltrona -che è successo ieri?
-non ricordo molto- e quella per una volta era la verità -ero in quel coso per la risocosa magnetica e...- aggrottò la fronte, cercando di ricordare -sono andato nel panico. Forse ho sviluppato una claustrofobia o qualcosa del genere, e quel rumore mi ha fatto uscire di testa. Poi mi sono svegliato in camera mia.
-mh. Interessante- ci pensò su -quando hai fatto quel incubo, hai distrutto qualcosa?
-no, direi di no.
-mh. Strano- scrollò le spalle -presumo non fosse poi una cosa così tremenda. O forse essendo un sogno non ha influenzato le azioni vere. Sarebbe interessante scoprire che succederebbe se tu fossi sonnambulo, ma non lo sei, no? Quindi va bene così.
Lovino annuì, segnandosi mentalmente l'ennesima bugia. L'ultima cosa che gli serviva era tradirsi con le sue stesse mani.
Sadiq controllò l'orologio e si alzò. I soldati alle loro spalle fecero il saluto militare. Lovino rimase seduto.
-ho una riunione. Tu...- fece un gesto vago con la mano -fai un po' quel che ti pare, la cosa non mi interessa. Dormi magari, che ne dici?- sogghignò, come se avesse fatto una battuta molto divertente, e se ne andò fischiettando.
Lovino roteò gli occhi, finì il suo caffé in un sorso e se ne andò il più in fretta possibile.
Dio, quanto odiava quel posto.

Francis si mise seduto di scatto quando bussarono alla porta. Si girò, chiudendo il libro che teneva in grembo, e sorrise ad Arthur, fermo sulla porta con aria un po' impacciata.
-mi cercavi?
-oui, mon amour. Entra, forza. E chiudi la porta, s'il te plait.
Arthur obbedì, senza dire una parola, e rimase in piedi, a disagio, fino a quando Francis non gli fece cenno di sedersi affianco a lui; cosa che fece, sistemandosi con la schiena dritta sul bordo del letto, come per potersi alzare di scatto per scappare.
-perché volevi vedermi?
Francis alzò le spalle -ho scoperto che la tua compagnia non è così terribile, e Gilbert e Antonio mi riporterebbero qui di peso se uscissi dalla mia stanza- roteò gli occhi -sono così iperprotettivi...
Arthur abbozzò un sorriso -per farla breve, ero l'unico che non ti assillasse continuamente per sapere come stai?
-sì, in breve sì.
-mi sento molto apprezzato, davvero.
-oui, mon amour!
-sai che non parlo quella lingua di m...
-stavo leggendo una cosa interessante- lo interruppe, riaprendo il libro -penso che ti piacerebbe.
-che libro è?
-l'Heptaméron.
-mhmh. Sembra una palla- commentò l'inglese, sdraiandosi sul letto affianco a lui. Francis gli diede una gomitata.
-non è vero!
-sì, sì, come no...- trattenne a stento un sorriso -e di che parla?
-lo scrisse una regina, Marguerite d'Angoulême- rispose Francis -basandosi su un libro italiano.
-quindi lo ha copiato.
-be'... sì. Però qui c'è scritto che anche un inglese fece lo stesso, quindi casse toi, Angleterre!- gli fece la linguaccia, facendogli scuotere la testa con aria esasperata.
-che razza di bambino...
-questa regina- riprese a raccontare -avrebbe voluto scrivere cento racconti, ma morì prima di finirli, e ne scrisse solo settantadue.
-una storia allegra- commentò sarcastico.
-mica è questa la storia. La trama sarebbe che un gruppo di persone rimane bloccato in un castello a causa della pioggia, quindi decidono di raccontarsi storie per passare il tempo.
-mh. E cosa ci sarebbe di interessante?
-il racconto che stavo leggendo. È uno dei miei preferiti.
-mh. Ovvero?- cercò di sbirciare il libro, che però era in francese. Fece una smorfia di disappunto, che fece ridacchiare l'altro.
-te lo traduco, aspetta...
-prima me lo leggi in originale, per favore?
Francis aggrottò la fronte -perché?
-mi piace quando parli in francese- gli uscì di bocca, prima che riuscisse a controllarsi. Al sorrisino soddisfatto del francese si corresse -così non devo per forza stare ad ascoltarti, perché tanto non capisco.
Francis gli diede un pugno su una spalla -cattivo.
-torniamo a questo Hept... Het...
-Heptaméron- lo corresse. Sbuffò e cominciò a leggere.
Arthur socchiuse gli occhi, godendosi quella litania rilassante di parole che non comprendeva. Gli ci volle un po' per tornare a concentrarsi quando Francis cominciò a tradurre.
-un bellissimo giovane cavaliere è follemente innamorato di una principessa- cominciò, attirando nuovamente la sua attenzione -e anche lei è innamorata di lui, anche se non sembra rendersene conto- si appoggiò al suo petto, con gli occhi fissi sul libro. Arthur prese ad accarezzargli i capelli, distrattamente, senza quasi farci caso -nonostante l'amicizia che...- esitò, forse cercando la traduzione migliore -sboccia tra di loro, o... forse proprio per questa grande amicizia, il cavaliere si sente così...- esitò, mormorando qualche parola in francese -intimidito, ammutolisce, ed è completamente incapace di affrontare l'argomento del suo amore- fece una pausa, concentrato sulla mano dell'altro che gli accarezzava i capelli -finché un giorno, di punto in bianco, non chiede alla principessa...- lesse la domanda in francese, per poi tradurgliela ad alta voce -è meglio parlare o morire?
Poi ci fu solo il silenzio. Quella frase aveva avuto l'effetto di un fulmine a ciel sereno, e ora che il tuono era passato, rimaneva solo il rumore dei loro respiri a sostituire quello della pioggia.
-e come... come finisce?- gli uscì, praticamente sussurrato.
Francis sospirò e chiuse il libro, sporgendosi per sistemarlo sul comodino -parlare, risponde la principessa. Ma il cavaliere ha comunque troppa paura per dirglielo, e così non lo fa.
-oh.
-e tu, Angleterre?- sollevò il viso dal suo petto e si sollevò sul gomito, per guardarlo dritto negli occhi. Non sorrideva, ma aveva un espressione quasi affamata, come se non bevesse da mesi e la sua risposta fosse acqua fresca -secondo te è meglio parlare o morire?
Arthur era impietrito; non riusciva a muovere un solo muscolo, solo a fissare quelle due iridi così azzurre. Balbettò qualcosa, ma niente di sensato.
Poi d'un tratto sembrò ritrovare la forza di muoversi, sì, ma solo in una direzione, come se fosse stato un treno che poteva andare solo secondo i binari. E così, essendo il macchinista nella sua testa completamente ammattito, si sporse fino a posare le labbra su quelle di Francis.
Doveva essere morto. Non era possibile che Francis non solo non gli avesse dato un ceffone, ma stesse addirittura ricambiando il bacio; eppure era troppo bello per essere un sogno, ne era consapevole. Si sentiva sopra le nuvole, in cielo, una sensazione così divina da fargli girare la testa. Le labbra di Francis erano morbide sulle sue, tiepide, leggere e leggermente screpolate. Sapevano vagamente di vino, e in qualche modo gli davano allo stesso tempo la sensazione di compiere l'azione più di divina e il più grande dei peccati; come se Francis fosse stato la più pura e santa delle creature, e lui, profanatore, stesse sfiorando il cielo e tutti i suoi santi solo baciandolo, e allo stesso tempo, quello era solo Francis. Non era una divinità, né un demone tentatore; era solo un ragazzo un po' irritante, con quella r moscia fastidiosa e quel modo strano di pronunciare le parole, come se stesse parlando in una lingua completamente estranea alla sua bocca, che poi diventava pura melodia quando invece dalle sue labbra, che solo ora Arthur capiva quanto fossero morbide, usciva la sua lingua natale; con quegli occhi così cristallini, che sembravano non essere in grado di nascondere nulla, e allo stesso tempo nascondevano così tante cose che non avevano la minima intenzione di uscire fuori; così misterioso e così semplice, così femminile e così mascolino. E alla fine, solo Francis.
Fu il francese ad allontanarsi per primo; Arthur, con gli occhi ancora socchiusi, si sporse per baciarlo di nuovo, ma quello lo bloccò con una mano.
-mon amour...- gli tremava la voce. Arthur riaprì gli occhi, e vederlo con le lacrime agli occhi lo strattonò fuori dal suo sogno a occhi aperti. Francis scosse la testa -non possiamo.
-perché? Ho... ho fatto qualcosa di male?
Francis gli accarezzò la guancia, con un sorriso pieno di rammarico e gli occhi lucidi -no, non è colpa tua.
-e allora cosa? Perché non... non capisco. Stai già con qualcun altro?- il solo pensiero gli fece tremare le gambe dall'orrore -è per... per Antonio? Ami già lui?
Francis lo guardò come se avesse cominciato a parlare in una lingua priva di senso -Antonio? Stai scherzando? Siamo solo amici- fece un piccolo verso di scherno -e poi è così innamorato di Lovino che...
-e allora cosa?- era isterico, se ne rendeva conto, ma non riusciva a farne a meno -è... c'è qualcosa che posso fare per...
-Arthur- lo richiamò, prendendogli le mani -Arthur, io sto per morire.
Sbiancò. Completamente. D'un tratto tutto il sangue presente sul suo viso finì nei piedi -no.
-sì.
-no, non è vero.
-sì che lo è. Sto per morire- come facevano tre parole a sembrare così tanto una coltellata? -me ne sarei già dovuto andare anni fa, a dirla tutta.
-cosa... che...- non riusciva a parlare, a ragionare. Il mondo si doveva fermare. Non poteva andare avanti, non così, non se significava che Francis sarebbe morto -per... perché?
Il francese sospirò, e improvvisamente sembrò molto più debole. La sua pelle sembrò più pallida, malaticcia, i capelli sembrarono perdere quella solita lucentezza, gli occhi sembrarono più stanchi e le occhiaie sotto i suoi occhi sembrarono improvvisamente più profonde.
-è una... una malattia. Di solito uccide in pochi mesi, ma noi... noi con i poteri siamo più resistenti, purtroppo.
-come purtroppo? Purtroppo un cazzo!
-Arthur...- scosse la testa -ormai sono anni che non faccio altro che peggiorare. Avrei preferito andarmene in fretta piuttosto che soffrire sempre di più.
-no- si rifiutava di crederci -ci dev'essere un modo... una cura, qualcosa che...
-se ci fosse l'avrebbero già trovata- lo interruppe -e in ogni caso, non mi interessa guarire. Ormai l'ho accettato. Morirò prima degli altri, pazienza.
-no.
-sì- gli scostò una ciocca di capelli dal viso -non è una cosa che riguarda te.
-sì, invece!- sbottò, alzandosi in piedi per la foga. Cominciò a fare avanti e indietro per la stanza, pensando ad alta voce -ogni malattia ha una cura. Da qualche parte qualcuno deve averla trovata.
-Arthur...
-e poi se hai detto che saresti già dovuto morire, forse significa che hai una forma meno grave di...
-Arthur- lo richiamò con più insistenza, alzandosi in piedi. L'inglese lo ignorò. Ora quella cartella clinica aveva senso. Aveva cercato nei libri dell'infermeria, ma non aveva trovato nulla.
-cos'è, un virus, un batterio o...
Francis roteò gli occhi, lo fece voltare verso di sé e gli prese il viso tra le mani, chiudendo quel fiume in piena di panico con un altro bacio.
-sai...- gli disse, allontanandosi leggermente, pur restando stretto a lui. Gli asciugò una lacrima che gli era sfuggita sulla guancia -nessuno mi aveva mai baciato come fai tu.
-cosa...- aveva la gola improvvisamente secca -cosa intendi? Come ti... come ti bacio io?
-con dolcezza- rispose, accarezzandogli la guancia -come se ti importasse realmente di me.
-certo che mi importa di...
-è un virus- lo interruppe -trasmissibile sessualmente. Me lo sono preso...- abbassò lo sguardo -lo sai, o almeno puoi intuirlo. Attacca gli organi interni, soprattutto i polmoni. È un miracolo se respiro ancora. Quando uso il mio potere si arresta un po', ma poi ricresce con più forza. Un giorno non avrò abbastanza energia per bloccarlo, e non penso manchi molto.
-bloody hell...- era senza parole -non... non c'è un modo per...
-no. E non mi interessa trovarlo- si appoggiò maggiormente a lui, come se non avesse più la forza per reggersi in piedi -va bene così.
-no che non...- Francis lo zittì con un altro bacio.
-non è una decisione che spetta a te- replicò. Si oscurò in viso -ma non è giusto che tu stia con uno con un piede nella fossa.
-e questa è una decisione che non spetta a te- replicò, stringendoselo contro.
-Arthur...
-no. Il fatto che ti resti poco è solo una ragione in più per stare con te.
-ti prego...
-quanto ti resta?- lo interruppe.
Francis alzò le spalle -ormai credo sia solo una questione di mesi. Forse settimane.
-okay...- lo allontanò leggermente da sé per baciarlo -allora godiamoci questi mesi, mh?
Francis sbuffò, scocciato, tornando tra le sue braccia -sei una grandissima testa di cazzo.
-me lo dicono spesso- prese ad accarezzargli i capelli -e poi, potrei dire la stessa cosa di te.
-ma io sono malato. È un diritto dei malati essere testardi.
-ah sì? E quali sarebbero gli altri "diritti dei malati"?
-farsi aiutare, ottenere sempre quello che si vuole, avere cibo migliore, giocarsi la carta del "sto male mi rimane poco da vivere" e...- sembrò farsi pensieroso -ah, sì. Ricevere un bacio dal proprio ragazzo ogni volta che si vuole.
-mh- abbozzò un sorriso -e chi sarebbe il tuo ragazzo?
-tu, cretino. Se lo vuoi. Lo vuoi?- annuì. Francis sorrise e gli sfiorò le labbra con un dito -allora da adesso tu sei mio e io sono tuo- aumentò il sorriso -ora baciami.
-se proprio devo...- abbozzò un sorriso e obbedì, sforzandosi di non chiedersi quanto mancasse all'ultima volta che avrebbe baciato quelle labbra così nuove ed incredibili.

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Capitolo 24
*** Capitolo ventitré ***


Feliciano raggiunse l'ufficio di suo nonno di corsa.
-scusa scusa scusa scusa!- urlò spalancando la porta. Si piegò in due, con il fiatone.
Romolo roteò gli occhi divertito -non preoccuparti.
-come sta...- riprese fiato -come sta Lovino?
-bene, non preoccuparti- aspettò che il nipote si sedesse davanti a lui prima di continuare -ha dato a Gilbert una radio e una busta con dentro due lettere. Una contiene le istruzioni per usare la radio, l'altra è più personale.
-che dice? Che dice?
-sta bene. Hanno accettato tutte le sue condizioni e lo trattano abbastanza bene.
-posso leggere la lettera?
Romolo esitò -meglio di no. Potresti impressionarti.
Feliciano sbuffò -non sono un bambino. Basta trattarmi così.
-come mai sei così scontroso? È successo qualcosa?
Ecco un'altra delle cose che odiava. Quando davano così tanto peso alle sue emozioni. Ogni tanto era di cattivo umore, succedeva a tutti, anche lui aveva le sue giornate no. Era davvero necessario farne un caso di stato ogni volta?
Sbuffò di nuovo -no, nonno. Sono semplicemente stanco di essere trattato come un bambino.
Romolo addolcì il viso -è che sei sensibile e non voglio che tu...
-avete rotto il cazzo con 'sta storia- sbottò -ho sedici fottutissimi anni, lasciatemi stare!
Romolo restò impietrito per qualche secondo. Poi scoppiò a ridere.
-sai, a volte mi dimentico che tu e Lovino siete fratelli- gli passò la lettera -tieni, dai. Te la sei meritata.
Feliciano la prese e la lesse avidamente, senza neanche ringraziarlo. Nella lettera c'era scritto, più o meno, quello che gli aveva riassunto suo nonno, ma leggerlo da sé gli dava tutt'altro gusto. La rilesse tre volte, poi la ridiede a suo nonno.
-ve, perché mi sarei dovuto impressionare? Non c'era scritto niente di che.
Romolo alzò le spalle -sei sensibile.
-e quindi? Sensibile, non cretino- Romolo fece per replicare, ma lo interruppe -nell'altra lettera che c'è scritto?
-in breve come usare la radio. Si può sintonizzare solo su una frequenza, quella per comunicare con lui, a cui a quanto pare si possono collegare solo queste due radio. Stanotte ci colleghiamo per discutere un paio di cose.
-vengo anch'io.
-da quando in qua ti interessano queste cose?
-è mio fratello. Ho il diritto di sentire come sta- rimase impressionato dal tono della sua voce, molto simile a un ringhio, ma cercò di non darlo a vedere. Lui e suo nonno si scrutarono per un po', poi il più anziano cedette e sospirò.
-e va bene. Ma poi non ti lamentare se parliamo di cose noiose.
-grazie nonno!- esclamò, di nuovo allegro. Si alzò, gli stampò un bacio sulla guancia e se ne andò fischiettando.

Gilbert entrò in infermeria, fischiettando.
-ehi freund!- raggiunto Antonio, gli spettinò i capelli con una mano -hai un minuto?
Antonio annuì -certo- lo seguì fuori dalla stanza, in ansia -come sta Lovino?
-sta bene, da quel che ho visto.
Sollievo. Si concesse di respirare -Dios, meno male.
-mi ha chiesto di dirgli che gli manchi- aggiunse. Antonio sospirò, posando la schiena al muro dietro di sé. Inspirò profondamente per non piangere.
-cosa gli hai detto?
Gilbert sbuffò -che gli manchi.
-ti avevo detto di...
-lo so, lo so. Però non è giusto che tu stia male per lui.
Antonio sbuffò -sta male anche lui.
-non lo sapevo- scrollò le spalle -sei il mio migliore amico, dovevo assicurarmi che non ti fossi innamorato a caso di uno stronzo- gli diede una pacca sulla spalla -ha detto che ti ama, comunque, se ti consola.
Antonio sospirò -lo so- si sedette a terra, con le ginocchia strette al petto -mi sembra strano che te lo abbia detto tranquillamente.
Gilbert sbuffò una risata -l'ho fatto incazzare e l'ha detto per farmi tacere.
-questo spiega tutto.
Gilbert inarcò un sopracciglio -va tutto bene?
-sì, direi di sì- sbuffò -è solo che... mi manca. Tutto qui- si lasciò sfuggire un sorriso -non vedo l'ora di rivederlo- appoggiò la testa sulla spalla dell'amico e chiuse gli occhi -e sono stanco.
-prenditi una giornata libera.
-ho bisogno di tenermi impegnato- scrollò le spalle -altrimenti comincio a farmi le paranoie e mi viene ansia per Lovi. Almeno mi distraggo.
Gilbert sbuffò -sì ma sei esausto.
-meglio esausto che in paranoia.
-sinceramente non lo so.
-e poi ormai sono abituato a dormire con Lovi. Da solo non riesco.
Gilbert inarcò un sopracciglio -come scusa? Dormivate insieme?
-dormivamo e basta- chiarì, con una risatina -non farti strane idee.
Gilbert sbuffò -sì sì, come no.
-dico davvero.
-se lo dici tu...
Antonio rise -dai, Gilbert, sono serio. Non abbiamo fatto niente.
-guarda, ti credo giusto perché non penso che Lovino te lo darebbe così.
Antonio sbuffò divertito, rialzandosi -stupido. Torno a lavoro va, meglio così- gli spettinò i capelli a sua volta e se ne andò, asciugandosi distrattamente gli occhi. Si sforzò di sorridere e rientrò in infermeria.

-Arthur?- lo chiamò Lukas. Quello non rispose -Arthur? Arthur? Terra chiama Arthur. Mi rispondi sì o no?- sbuffò. Poi indicò un punto alle spalle dell'amico -oh, guarda! Il mostro di Lockness!
-uhm, chiedi a Vlad- brontolò l'inglese.
Lukas sospirò, sull'orlo di una crisi di nervi.
-tra te, Emil e Mathias mi faranno santo.
-ehi, sono io quello che deve sopportare te- protestò suo fratello, dall'altro capo del tavolo.
Lukas lo ignorò. Visto che l'amico non rispondeva, cercò di seguire la direzione del suo sguardo, puntato verso un tavolo che di solito evitava come la peste. Inarcò un sopracciglio -perché stai guardando verso Francis?
A quel nome sembrò riscuotersi. Si girò di scatto verso di lui, paonazzo in viso -non sto guardando verso Francis!
Lukas inarcò un sopracciglio -davvero?
-certo!
-mh...- come se non avesse notato il tono della sua voce, decisamente più dolce mentre pronunciava il nome del francese. Si concesse un minuscolo sorriso -e tu aspetti che io ci creda?
-certo! È la verità!
-ovviamente.
-non fare quella faccia, è vero!
-non sto facendo nessuna faccia.
-sì invece! Ti conosco- stava gesticolando. Arthur non gesticolava mai.
-e io conosco te. È da un po' che sei strano. Ti piace Francis, vero?
-certo che no!
Lukas roteò gli occhi -se lo dici tu...
-non mi piace Francis- scandì, parola per parola.
-invece sì- commentò Emil.
-è inutile che neghi- rincarò Lukas.
-e allora a Lukas piace Mathias- ribatté, di getto, senza pensarci.
Lukas inarcò un sopracciglio -certo che mi piace Mathias. È il mio ragazzo.
Arthur balbettò qualcosa, sempre più rosso in viso.
Ci pensò Francis a salvare la situazione. Arrivò di gran carriera al loro tavolo, si sedette affianco al suo ragazzo e gli stampò un bacio sulla bocca, circondandogli le spalle con un braccio. Lukas aumentò il suo sorrisino.
-bonjour. Che ne dite di unire i tavoli?
-sei un idiota- brontolò Arthur, così rosso a far impallidire un pomodoro.
-merci, mon amour- lo baciò sulla guancia, poi si rivolse a Lukas -allora? Vi va?
Quello si strinse nelle spalle -certo, perché no?- si rivolse verso gli altri -a voi va bene?
Mathias era d'accordo su tutto quello che diceva il suo ragazzo, Tino era contento di fare amicizia e Berwald concordava su tutto quello che diceva Tino, mentre a Emil non importava granché.
Arthur brontolò un -questo è un complotto contro di me- mentre si sedeva nei due tavoli uniti, tra Lukas e Francis, il quale aveva insistito per tenergli la mano tutto il tempo, visto che era mancino e quindi poteva mangiare lo stesso.
Francis gli stampò un bacio sulla guancia -non fare la vittima, ti mancavo.
-no.
-sì.
-no.
-oui.
-no.
Lukas sbuffò -sembrate una vecchia coppia sposata. Mi sto già rompendo i coglioni di stare vicino a voi.
-senti, con tutte le volte che ho fatto da terzo incomodo tra te e Mathias...
-io non sono così fastidioso.
-Mathias sì però.
-touché.
-ehi!

Nonostante il sonno arretrato, Lovino non riusciva a stare fermo.
-calmati- lo rimproverò João, seduto per terra con la radio affianco.
-grazie di avermelo detto, adesso sì che sono tranquillo- commentò, sarcastico. Si fermò, ma cominciò a battere il piede in terra -quanto manca?
-dieci minuti.
-non possiamo collegarci un po' prima?
-gli abbiamo detto a mezzanotte e a mezzanotte ci colleghiamo- rispose -in questi casi bisogna essere precisi.
Lovino roteò gli occhi. Dopo due minuti sbuffò -quanto manca?
-sei insopportabile.
-grazie- rimase in silenzio qualche secondo -quindi quanto manca?
João sospirò esasperato -come ha fatto mio fratello a innamorarsi di te?- doveva essere una battuta, ma Lovino si rabbuiò.
-non ne ho la minima idea. Chiedilo a lui.
João aggrottò la fronte -stavo scherzando.
Lovino alzò le spalle.
-e comunque mancano sette minuti.
-sicuro di non avere l'orologio rotto?
-sicurissimo.
-e che cazzo- riprese a camminare. Esitò -secondo te ci... ci sarà anche Antonio?
-che vuoi che ne sappia? Non lo vedo da anni.
-telepatia tra gemelli?
-non funziona proprio così.
-magari avete una telepatia più forte per via dei vostri poteri?
-no? Non credo, non è mai successo. Al massimo avevamo delle sensazioni da bambini, per esempio se uno dei due stava male o era nei guai l'altro lo sapeva prima, ma di più no.
-sarebbe stato figo però.
-pensi che non sarei andato da lui, se avessi saputo dove si fosse cacciato?
-in effetti...
-mancano cinque minuti comunque.
Lovino riprese a camminare.
-ti dispiace non dire chi sono?- aggiunse dopo un po' João.
-perché?
-non voglio che il mio primo contatto con mio fratello dopo anni sia attraverso una radio, o peggio ancora che qualcuno glielo vada a dire. Preferirei, sai no?, fare uno di quei soliti ritrovi da film; baci, abbracci e quant'altro.
-oh. Va bene, certo. Non farò il tuo nome.
-grazie.
-figurati- per un po' il silenzio. Poi un ricordo gli cacciò fuori dalla bocca una risatina -quando ho rivisto il mio fratellino ho avuto un attacco di panico. Decisamente non la figura migliore della mia vita.
Anche l'altro abbozzò un sorriso -be', almeno puoi rifarti quando lo rivedrai dopo tutta questa storia.
Lovino esitò, poi annuì -già.
Nessuno dei due parlò della possibilità di non rivedersi proprio. Non era il momento.
Quando, finalmente, João si decise ad accendere la radio, Lovino ci si attacco praticamente subito, come se da quell'aggeggio uscissero le risposte a tutti i dilemmi della sua vita.
-nonno? Mi senti?
Per un po' ci fu il silenzio. Poi una voce, anche se un po' gracchiata per via della radio, gli rispose -...ino, mi senti? Sono Romolo.
-nonno!
-fratellone!
-Feli!
-chiuchino- commentò qualcuno dall'altra parte. João si concesse un sorriso.
-chi c'è lì?
-io, Feli, Ludwig, Gilbert, Ariovisto e Antonio.
-ciao Lovi!- esclamò lo spagnolo, facendogli saltare qualche battito.
-mi manchi, fratellone!
-sì, sì, anche voi.
-chi c'è con te?- domandò suo nonno. Lovino si irrigidì e guardò João, che scosse la testa.
-il... il tipo di cui ti ho parlato, quello con i poteri sulle radio. Sta facendo andare questo coso, quindi non può parlare. Ma vi saluta.
João annuì e sollevò il pollice. In effetti era vero, stava potenziando la radio, d'altronde sotto terra non è che ci fosse chissà che gran segnale, ma gli bastava una mano per farlo.
-ah, bene.
-ciao tipo della radio!- squittì Feliciano -fratellone, tu come stai? Mangi abbastanza?
-sì, sì, anche se qui la pasta fa schifo.
-mannaggia.
-eh lo so.
-potremmo parlare di cose importanti?- li interruppe Gilbert.
-ma la pasta è importante.
-importantissima.
-torniamo a noi- intervenne Romolo -il supremo.
-non posso ucciderlo. Ha un potere per cui, se usassi il mio, mi rimbalzerebbe addosso senza fargli nulla.
Romolo imprecò in latino. Sospirò -bene. Presumo che dovremo trovare un altro modo per farlo fuori.
-visto che lo ha ottenuto artificialmente, non è istintivo, per cui se lo si coglie abbastanza di sorpresa...- aggiunse, sperando che suo nonno se ne uscisse magicamente con la soluzione a tutti i loro problemi. Non successe.
-qualche idea sul come?
-boh.
-perfetto. Altro?
-uhm... se riuscissi ad aprire le porte potreste far entrare un esercito...- esitò, ripensando all'immensità di quelle porte e alle truppe tutte intorno -però in due non penso che ci riusciremmo.
-potremmo trovare il modo di entrare lì noi per darti una mano. Senza un esercito non potranno fare molto. Potremmo creare un diversivo e nel frattempo tu e qualcun'altro andate ad aprire le porte per far entrare la gente fuori- propose Ariovisto.
-e come pensi di togliergli le truppe?- replicò Romolo.
-tutti odiano la Restaurazione. Non ci vorrà molto a convincerli- aggiunse Lovino -l'ideale sarebbe portare l'esercito dalla nostra parte ed entrare per aprire le porte per fare, sai no, quelle cose simboliche molto carine...
-sì, ma come farai a parlarne senza che ti scoprano?
-bella domanda.
João mimò con le labbra "forse ho un'idea". Lovino annuì.
-passando dai tunnel, magari, potreste entrare di nascosto qui, comunque. Devo chiedere ad Hercules qual è il modo migliore, poi ne riparliamo. Comunque dovrà essere un piccolo gruppo di persone, per passare il più inosservato possibile.
-certo.
João si indicò l'orologio. Lovino sbuffò -devo andare. Domani alla stessa ora?
-va bene. Buona fortuna.
-ciao fratellone! Ti voglio bene anch'io!
-ciao Lovi!
-ciao...- João tolse la mano dalla radio, e la connessione cadde.
Lovino sospirò -non è andata male, no?
João annuì, sovrappensiero. Il suo fu un sussurro.
-gli è cambiata la voce...
Non fu necessario specificare il soggetto.

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Capitolo 25
*** Capitolo ventiquattro ***


-Luddi Luddi, come mai eri così silenzioso? Non vedevi l'ora di discutere di strategia e cose simili- Feliciano poteva sembrare un idiota, ma non lo era, ed erano davvero in pochi a notare le cose come le notava lui. Per questo il mutismo del suo ragazzo lo aveva colpito immediatamente. Aveva aspettato che fossero soli per parlargliene, ma ora non aveva intenzione di lasciarlo andare senza sapere cosa gli passasse per la testa.
Ho già detto che i Vargas sono testardi, vero?
Il tedesco scrollò le spalle -niente di che...
Feliciano si fermò nel bel mezzo del corridoio, gli si piantò davanti e gli puntò contro il dito indice -bugiardo.
Ludwig sembrava a disagio -Feliciano...
-dimmelo. Non lo dirò a nessuno, lo giuro.
-è che...- sospirò, esasperato, e finalmente cedette -siamo sicuri che sia saggio fidarsi di Lovino? Mi è sembrato strano.
-stai scherzando?- Feliciano non riusciva a crederci -è mio fratello.
-è rimasto per anni con la Restaurazione. Magari gli hanno fatto il lavaggio del cervello, non possiamo esserne sicuri.
-mio Dio, Ludwig, è mio fratello. Pensi che non me ne sarei accorto?
-non lo vedevi da anni- obbiettò.
-e quindi?! Se facessero il lavaggio del cervello a Gilbert, non te ne accorgeresti subito, anche se magari non lo vedevi da un po'?
-è diverso.
-non è diverso.
-devi ammettere che è stato strano. Quando ci ha detto del tipo che era con lui, sembrava stesse ripetendo ciò che gli stava dicendo qualcun'altro.
-a dirla tutta sembrava che stesse cercando una conferma- ribatté -probabilmente non era sicuro di averlo detto bene.
-probabilmente. Non ne sei sicuro.
-non ero lì, non posso esserne sicuro al cento percento, ma quasi- sbuffò.
Ludwig roteò gli occhi -non si può mai parlare di cose serie con te. Sei troppo emotivo.
-emotivo? Stai dicendo che mio fratello potrebbe essere un traditore e pretendi pure che resti calmo e controllato? Sul serio?!
-non sto dicendo quest...
-oh, certo- rise, istericamente -stai dicendo che sono troppo piccolo, che sono ancora un bambino. Vorrei ricordarti che qui sono io il più grande.
-non è...- tentò di interromperlo, ma Feliciano ormai era un fiume in piena.
-ma ovviamente sei tu quello maturo, certo. Io sono solo un bambino troppo cresciuto. Ovvio! Vai a parlare con mio nonno di questa stronzata, e vediamo se rimane calmo. O forse anche lui è immaturo, solo perché si concede di avere dei fottutissimi sentimenti?!
-non dico sia sbagliato avere sentimenti- ribatté -solo che non bisogna lasciarsi governare dalle emozioni.
-oh, scusa se non sono un robot!- commentò, sarcastico.
-non sto dicendo questo- rispose, scocciato -solo che non bisogna lasciarsi distrarre.
-oh...- Feliciano arretrò, con la faccia di uno che aveva ricevuto uno schiaffo in pieno viso. Gli spuntò un sorriso amaro sul viso, e gli occhi gli si inumidirono -q-quindi per te sono una distrazione...
Ludwig, già pallido di suo, impallidì -no, non intendevo...
-sì che lo intendevi- si asciugò una lacrima che gli era sfuggita. Ludwig avrebbe voluto farlo al posto suo, ma non riusciva a muoversi, completamente congelato. Feliciano si sciolse in una risata triste -ammettilo, ti do solo fastidio. Sei sempre scocciato e... e ti rompo sempre le scatole...
-no, non è così- riuscì a fare un passo avanti, ma Feliciano arretrò.
-f-forse dovremmo lasciarci...
-no... no aspetta, parliamone, ti prego...
Feliciano singhiozzò -s-scusa, ho bisogno di... di stare un po' da solo...- e corse via, senza dargli il tempo di protestare.

Gilbert aveva visto tante cose strane. Ma suo fratello in lacrime non lo vedeva da un po'.
Non era proprio in lacrime a dirla tutta, ma di sicuro era sconvolto. Aveva gli occhi rossi e i capelli scompigliati, come se ci avesse passato tante volte le mani in mezzo, il che era strano, visto quanto ci tenesse ad essere sempre impeccabile. Era seduto per terra, completamente abbandonato, come una bambola di pezza, una marionetta senza più qualcuno a reggerne i fili.
Gilbert sospirò, si chiuse la porta della sua camera alle spalle e si sedette affianco a lui.
-che ti è successo, fratellino?- gli chiese, in tedesco.
Ludwig non rispose; si lasciò andare contro di lui, appoggiando la testa sulla sua spalla, e chiuse gli occhi. Gilbert lo abbracciò, e il più piccolo glielo lasciò fare.
-allora? Cos'è successo?
-F-Feliciano ha... io...- gli tremò la voce.
-avete litigato?
Il biondo annuì.
-come mai?
Glielo raccontò, con la voce tremula, interrompendosi ogni tanto per singhiozzare.
-ma cos'è, deficiente?- Gilbert fece per alzarsi -adesso mi sente quel piccolo...
-no, fermati, per favore- lo trattenne -voglio risolverla da me.
Gilbert sospirò e lo strinse più forte -e va bene. Ma se hai bisogno di una mano, muovi quel bel culetto e vieni qui, ci manca che ti metta anche tu a fare l'orgoglioso.
Ludwig annuì e tirò su con il naso, singhiozzando contro la sua spalla.
Gilbert prese ad accarezzargli i capelli, come quando erano piccoli e lui faceva un incubo. Sospirò -ah, il mio fratellino... fai sempre l'adulto, ma sei ancora un ragazzino- lo baciò sulla nuca.
-non... non voglio stare così- singhiozzò -vorrei non sentire niente.
-no, non è vero- lo strinse maggiormente a sé -adesso stai soffrendo e vorresti non sentire nulla, ma è normale- lo baciò sulla fronte -le emozioni sono quelle che ci rendono umani.
-allora non voglio essere umano.
Gilbert ridacchiò -no, non è vero. Sarebbe tutto molto noioso altrimenti, non credi?- Ludwig fece per dire qualcosa, ma lo interruppe -pensa a tutte le cose belle che hai provato, con Feliciano ma non solo. Saresti disposto a rinunciarci pur di non soffrire più?
Ludwig ci pensò per un po'. Ripensò al sorriso di Feliciano, al batticuore che gli dava tutte le volte che gli prendeva la mano, che gli sorrideva, che lo baciava; a quelle farfalle nello stomaco mentre gli confessava per la prima volta i suoi sentimenti, quell'ansia soffocante, quell'esplosione nel petto quando Feliciano gli aveva detto che ricambiava e lo aveva baciato sulla guancia, prendendogli la mano; a quella felicità bruciante ogni volta che lo stringeva tra le braccia, quelle sorprese continue che gli riservava l'altro, quel meraviglioso senso di appartenenza quando realizzava che sì, quel ragazzino così dolce e imprevedibile era suo. E poi a quella sofferenza così crudele, così spietata, da mozzargli il fiato e da spezzargli il cuore a ogni respiro.
Scosse la testa -no. Non ci rinuncerei.
-visto?- gli asciugò una guancia -e poi non mi vorresti più bene, e non te lo permetterei.
Il minore abbozzò un sorriso. Poi si incupì -secondo te... secondo te provo meno cose degli altri?
-no. Al contrario, penso che tu provi di più. Hai una sensibilità tutta tua, anche se non lo dimostri spesso, e se Feliciano non lo capisce è un grandissimo idiota.
-lo... lo sa- balbettò -lo sa benissimo... credo che a parte te sia l'unico.
-anche nostro nonno. Ci conosce meglio di quanto non pensiamo.
Ludwig annuì, rannicchiandosi contro di lui. Gilbert sospirò, continuando ad accarezzargli i capelli. Suo fratello sembrava sempre più adulto: era più alto, maturo, responsabile, ma alla fin fine era ancora un ragazzino, e aveva i sentimenti di un ragazzino, persino più intensi del normale, forse proprio perché non li esprimeva, o forse non li esprimeva proprio per quello. E se il motivo della loro litigata vi sembra infantile e sciocco, è proprio perché quei due sono dei ragazzini, infantili e sciocchi.
-quindi tu e lui stavate davvero insieme?
Il minore annuì, tirando su con il naso -s-scusa se non te l'ho detto, ma non... non...
-non ti preoccupare- sbuffò una risata -hanno tutti relazioni segrete in questo periodo, eh? I Vargas devono andarne matti.
-in... in realtà ero io quello che voleva tenerlo nascosto.
-oh. Come mai?
-non... non lo so. Non mi andava. Forse avevo paura che... che le cose cambiassero troppo.
-mh... ho capito. Però le cose a tuo fratello devi dirle, chiaro?
Ludwig annuì e si rimise dritto, asciugandosi gli occhi -scusa se...
-no, non serve, davvero- gli spettinò i capelli con affetto, come faceva sempre per dargli fastidio. Ludwig fece una smorfia, ma si concesse un piccolo sorriso.

Feliciano era chiuso in camera di suo fratello, buttato sul suo letto a piangere.
Cesare gli miagolava affianco, strusciando la testolina contro la sua spalla per cercare di consolarlo. Feliciano però era troppo triste per coccolarlo come avrebbe fatto di solito.
Si mise seduto e si asciugò gli occhi, tirando su con il naso.
-scusa, piccolino. Non sono in vena di giocare- Cesare sbuffò, forse infastidito dal fatto di essere considerato come uno che voleva solo giocare, e gli leccò la guancia, strappandogli una risatina.
-ve, scusa- gli diede una piccola carezza sulla testolina, poi scivolò all'indietro, fino a sdraiarsi nuovamente sulle lenzuola. Sospirò e inspirò profondamente, e il profumo di suo fratello gli distese un po' i nervi.
Sollevò la mano verso il soffitto; poi girò il palmo e con le dita immaginò di disegnare. Scintille blu, verdi, marroni, ambrate e dorate gli uscirono dalla punta delle dita, e sul soffitto si formò il disegno del solito paesaggio, più cupo questa volta. Si alzò in piedi sul letto, e le sue piante nude per poco non scivolarono sulle coperte sfatte. Sollevò la mano e si allungò, fino a sfiorare con l'indice l'immagine.

Era di nuovo lì.
Si guardò intorno e inspirò l'aria satura di sale. Esitò, poi però puntò verso la spiaggia. Dei grossi nuvoloni illuminavano il mare di grigio e bianco, rendendo quasi impossibile distinguere dove cominciasse il cielo. I suoi piedi affondarono nella sabbia tiepida, fino a quando non raggiunse l'acqua fresca, che diede un bello scossone ai suoi sensi, rendendo tutto più reale, più vero, più vivo. Il rumore delle onde era più forte, così come la brezza che gli accarezzava il viso e l'odore del sale; al contrario, il lieve odore di pini che proveniva dalla foresta si affievoli leggermente, e il rumore delle cime scosse dal vento venne completamente coperto da quello del mare. Si chinò e immerse le mani nel mare, bagnandosi leggermente il viso per pulirlo dalle lacrime; si leccò le labbra, assaporando il sale che ora le aveva impregnate. Una conchiglia nella sabbia attirò la sua attenzione, così si chinò nell'acqua e la raccolse da terra, rigirandosela tra le dita.

Un dolore acuto lo riportò alla realtà. Abbassò lo sguardo. Cesare lo aveva graffiato sulla caviglia, e ora lo osservava con aria preoccupata.
-ahia! Perché...?- non riuscì a finire la domanda. Gli cedettero le ginocchia, e cadde sul letto con un gemito. Era stanco morto e sudato, come se avesse corso per chilometri. Si sentiva la gola secca e la bocca impastata, quasi che avesse ingoiato quella stessa sabbia su cui aveva camminato. Si asciugò la fronte con la manica della felpa, sospirando, e tornò a sdraiarsi. Forse, se fosse rimasto ancora un po' lì, avrebbe perso troppe forze per tornare indietro.
-grazie, piccolino- sussurrò, sull'orlo del mondo dei sogni, infilandosi la conchiglia in tasca. Chiuse gli occhi e si addormentò definitivamente, con, come ultimo pensiero, gli occhi azzurri di Ludwig.

Lovino si sentiva strano. C'era uno strano senso di vuoto, un blocco alla bocca dello stomaco... in generale un senso di pesantezza e stanchezza che non aveva senso. Mentre ripercorreva con la mente quello che aveva mangiato cercando qualcosa che potesse avergli fatto male, dimenticandosi del fatto che, per via del suo potere, niente potesse fargli effettivamente male, inciampò e cadde a terra.
Imprecò e si girò per insultare la causa di quella caduta, ma quando vide Hercules che dormiva per terra si bloccò. Evidentemente era inciampato sul suo piede. Sospirò, si mise seduto e lo scosse per la spalla, svegliandolo.
-mh? Eh? Cosa?- mormorò qualcosa, si stropicciò gli occhi e, quando lo inquadrò, sospirò -oh, sei tu. Ti stavo cercando.
-perché?
-volevi che ti parlassi di quei tunnel, no?
-ah, giusto- si guardò intorno. Di certo un corridoio non era il posto migliore -andiamo in camera mia, okay?
Hercules annuì, si alzò e lo seguì fino alla sua stanza, barcollando leggermente per via del sonno. Quando furono entrati fece per buttarsi sul letto, ma Lovino lo trattenne.
-ci manca che ti addormenti mentre spieghi- sbuffò e si sedette lui sul letto, indicandogli la sedia, dove quello si sistemò con un'alzata di spalle.
-okay... cosa vuoi sapere?
-quanti ingressi ci sono?
-uno per ogni camera da letto, e uno, sigillato, al centro dell'atrio. Più o meno, ecco, non ci sono mai passato, ma dovrebbe essere al centro.
-okay... e in giro quanti ingressi ci sono?
Hercules alzò le spalle -tanti.
-tanti?
-non li ho ancora esplorati tutti, sono troppi. Alcuni sono crollati, altri sono stati bloccati, resi fognature, riutilizzati in qualche modo...
-e... non ci sono altri accessi oltre quelli?
-già, ma dubito che i tuoi amici possano entrare tramite quelli. Se anche entrassero da camera tua, dovrebbero passare per l'atrio, il che sarebbe un suicidio visto quanto è controllato.
-ah. Cazzo. Non c'è un altro modo?
-non che io sappia.
-non ci sono ingressi per la cittadella qui fuori?
-no. Ci passi sotto, ma non ci sono sbocchi. Tutti gli edifici sono stati costruiti sulle macerie, quindi sono sopra gli eventuali ingressi, che sono comunque stati sigillati. Questo è l'unico edificio che è stato semplicemente rimodernato. Era una vecchia stazione, e gli ingressi per la metropolitana sono rimasti, anche se hanno tolto i binari e tutto il resto. Un tempo sotto ogni botola c'erano delle scale, che sono state abbattute.
-chi è lo scemunito che mette degli ingressi della metro in alto?
Hercules alzò le spalle -ce n'erano altri. Quelle erano... scorciatoie, diciamo, per chi era al primo piano per affari suoi e doveva scendere giù più in fretta.
-mh.
-però capisci che non c'erano stazioni di mezzo nella città. La maggior parte delle altre fermate sono crollate o state distrutte, altre sono...- esitò un secondo, mezzo addormentato. Lovino dovette schioccargli le dita sotto il naso per farlo risvegliare -sono state riutilizzate o cose...- sbadigliò -simili, o direttamente demolite. Da alcune però si può ancora accedere.
-e hai una mappa, qualcosa del genere?
-mh? Ne ho trovata una... una vecchia mappa di come era prima, ma non sono segnate quelle crollate. Mi sono scritto quelle che ho trovato, ma non le ho girate tutte.
-mh... di quanto tempo fa è questo posto?
-boh. Cinquant'anni? Forse un po' di più.
-allora mio nonno dovrebbe conoscerlo. Stasera gliene parlo- sospirò -l'ideale sarebbe che loro entrino, passino per la cittadella e aprano le porte per far entrare un eventuale esercito. Oppure che vadano a uccidere Sadiq, ma la vedo dura. Se gli sparano cosa...
-la pallottola rimbalza.
-ah.
-già.
-uhm...
-a Sadiq ci penseremo dopo- gli consigliò -senza un esercito, non potrà fare molto, e nessuno lo ama particolarmente, sempre che sia possibile amare quel pezzo di merda.
-mh. Quindi dovremmo comunicare con i soldati e convincerli a unirsi a noi senza farci scoprire.
-magari anche al resto delle persone. Una bella rivolta popolare a volte è quello che ci vuole.
Lovini annuì, pensando -come potremmo...
-sei fortunato, sai?
-strano. Perché?
-lo sai qual è il mio potere?
-no. Non fare tanti indovinelli, li detesto.
-entro nei sonni delle persone. Ci parlo, anche. E poi se lo ricordano al risveglio- sbadigliò -ma mi mette un sacco di sonno...
-stai scherzando? È perfetto!- Lovino era euforico -possono entrare e...
-frena. Rilassati. Non permettere alla gioia di farti fare tutto di fretta- lo fece sedere nuovamente al suo posto -intanto ne parli alla radio con la base. Riflettete per bene su tutto. Non buttarti tra le braccia della morte come un idiota, farebbe solo danni.
Lovino sbuffò -sì, lo so. Non posso essere felice per una volta?
-la felicità è pericolosa.
-grazie, Mr. Ottimismo- sospirò -okay. Facciamo con calma allora.
-bravo- si appoggiò al dorso della sedia e socchiuse gli occhi -parlane con gli altri. Io intanto mi faccio un pisolino...
-non fai altro- replicò, roteando gli occhi.

Antonio era stanco.
Ormai passava la maggior parte del suo tempo in infermeria; gli piaceva aiutare le persone, ma era praticamente da solo, e c'erano così poche scorte che passava metà del suo tempo a buttare via quelle scadute e a rifare l'inventario, e non è che ci fosse di più da fare. Fortunatamente i feriti erano pochi, ma per sicurezza rimaneva sempre qualcuno di guardia, o lui o la dottoressa che lavorava lì, che nel frattempo gli stava insegnando un po' di medicina. Per questo il resto del tempo, se non c'erano Francis e Gilbert a trascinarlo da qualche parte o non era in palestra, studiava quei libri enormi pieni di paroloni che normalmente farebbero venire un'emicrania a qualsiasi persona normale solo guardandoli, ma che in qualche modo, a lui che si annoiava così facilmente e non capiva mai nulla di scientifico, piacevano, e tanto anche.
Dormiva poco o niente. Sapeva benissimo quanto fosse importante, ma, per quanto ci provasse, non riusciva a dormire senza Lovino. Quindi, visto che tanto non riusciva ad addormentarsi, o studiava o faceva turni più lunghi al'infermeria.
Aveva scoperto che studiava molto meglio nella camera del suo ragazzo, quindi era lì che si stava dirigendo quella mattina, con un enorme tomo di anatomia tra le braccia.
Cesare gli miagolò contro quando aprì la porta, ma lì per lì non ci diede peso, sapeva di stargli antipatico. Quando però notò Feliciano addormentato sul letto, abbozzò un sorriso. Sapeva che spesso andava lì anche lui, ogni tanto si incontravano e scambiavano due chiacchere. In fondo per lui era come una sorta di fratellino, no?
Si sedette sul bordo del letto e gli accarezzò i capelli, scuotendolo leggermente per svegliarlo -Feli? Tra un po' c'è la colazione, svegliati.
Quello non si mosse.
-Feli? Svegliati, forza.
Ancora niente. Aggrottò la fronte, ora stava cominciando a preoccuparsi.
-Feliciano?- lo scosse più forte -dai, non fare lo stupido...
Quello non si mosse. Né un gemito, né un mugolio o un qualsiasi movimento.
Antonio gli posò due dita sul collo per sentire il battito. Per qualche, terribile, secondo, non sentì nulla. Poi un battito, quieto, lento, ma pur sempre un battito. Il petto del ragazzo si alzò un poco, tornando giù altrettanto lentamente.
-cazzo- uscì in corridoio a chiamare aiuto, poi tornò e lo prese in braccio, correndo verso l'infermeria -cazzo cazzo cazzo!

 

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Capitolo 26
*** Capitolo venticinque ***


Sì, lo so, dovrei aggiornare dopo domani. Maaaa... mi andava. Enjoy!

Lovino si sentiva sul punto di crollare.
Una parola. Sarebbe bastato aprire la bocca, schiudere le labbra e farci passare in mezzo un filo d'aria vagamente articolato per farlo sgonfiare come un palloncino.
Vi capita mai di sentirvi la testa piena? Magari, non so, siete disperati cercando di fare un esercizio di matematica, e vi sentiti saturi. Più ci provate, più la vostra testa ci sbatte contro. È come se i vostri neuroni fossero ricoperti di ragnatele spessissime e appiccicosissime, e più provate a liberarvene più quelle si inspessiscono, e allora non c'è molto che possiate fare.
Lo volete un consiglio da amica? Smettete di lottare. Chiudete gli occhi e piangete. Sfogatevi, lasciatevi andare. Urlate, singhiozzate, bestemmiate il mondo, fate tutto quello di cui avete bisogno, finché quelle ragnatele non si scioglieranno. È inutile lottare, dopo starete meglio. Non serve combattere quando hai la testa piena di ragnetti che ti bloccano il cervello. Rilassatevi e inondateli fino a sterminarli.
Sfogatevi. Che siate da soli o in compagnia, che lo facciate piangendo, urlando, disegnando, in un qualsiasi altro modo o, come me, scrivendo, basta che vi sfoghiate.
Lasciatevi andare.
È come con le manette cinesi: più lotti e più si stringono. A volte bisogna solo rinunciare per vincere, e per farlo spesso ci vuole più coraggio che per lottare.
Be', potreste dirmi, finché sei a casa a fare i compiti okay, ma nel momento in cui devi fare una verifica, o un'interrogazione? Eh... lì, amici miei, sono, per dirla con parole povere, cazzi amari, ma è un ottimo esempio per tornare al discorso di prima e chiudere questa grossa parentesi probabilmente inutile.
Lovino si sentiva così, solo che la sua era una verifica perenne, dove non poteva mai lasciarsi andare, perché, se fosse crollato una volta, sarebbe crollato per sempre, e non poteva permettersi il tempo di recuperare; e dove non solo non aveva amici, ma anche dove, se lo avessero beccato, avrebbe fatto una brutta fine. Sì sì, era invulnerabile e tutto, ma Sadiq poteva toccarlo, e fisicamente non avrebbe avuto bisogno di chissà quanta forza per sopraffarlo.
Sapete quello che davvero gli faceva paura? La facilità con cui tutto continuava a cadergli addosso. Un giorno aveva un dramma, e quello dopo quasi se l'era scordato. Era bombardato di così tante informazioni contemporaneamente che anche una strage di innocenti gli sembrava poca cosa, solo l'ennesima notizia, subito seguita da un'altra e un'altra ancora.
Di norma, penso lo abbiate notato, tendeva a farsi mille problemi per qualsiasi cosa. Quella... chiamatela missione, impresa, battaglia o semplice rottura di coglioni, lo stava portando al limite. Non poteva continuare a farsi così tante paranoie, sarebbe impazzito. Quindi il suo cervello aveva detto okay, scremiamo le cose, e tutto valeva poco o niente. Se non fosse successo sarebbe impazzito, ma quello era forse l'inizio di quel processo che tanto lo spaventava, e che lo avrebbe portato a perdere la sua umanità?
La cosa peggiore? Persino questa preoccupazione era solo una nel mucchio. Valeva tanto quanto le altre, e cioé poco. Era solo l'ennesima ragnatela fastidiosa.
Ormai aveva perso il conto dei ragnetti, comunque. E non poteva permettersi di piangere, urlare, avere paura, perché a quel punto sarebbe stata la fine. Era sempre stato un pessimo bugiardo, ma era stato costretto a imparare in fretta.
Le bugie sono dolorose, sapete? Stancanti. Devi ricordarti a chi hai detto cosa, quando, dove, come e perché, devi stare attento a non contraddirti, a non aggiungere o togliere dettagli in contrasto o poco plausibili, a infilarci quel pizzico di verità per rendere il tutto credibile... e in tutto questo marasma, tendi a perdere di vista come stanno davvero le cose.
Tutto questo stress aveva aggiunto ai soliti, cari, buon vecchi attacchi di panico, che si erano fatti più corti ma più intensi, anche delle simpaticissime paralisi del sonno. Fantastico, no? Un bel bingo di disagio.
E se, durante gli attacchi, riusciva a volte a sussurrare tra i denti, come un mantra, i soliti tre nomi delle persone che più amava (Antonio, Feliciano e Romolo), durante le paralisi non riusciva a fare neanche quello. Restava lì, vigile, allerta, ma completamente immobile, senza potersi muovere, con il corpo che sembrava essersi ribellato alla mente. "Ci hai fatto stancare" dicevano i polmoni, e allora il cuore rincarava con "mi stai facendo soffrire", e quindi gli occhi aggiungevano un "lasciaci lavorare", e così il sistema esplodeva e lui restava fermo. E anche se avrebbe tanto voluto una pausa, quella decisamente non era la pausa che voleva.
In quei momenti, tra il sonno e la veglia, ma molto meno dolci dei vecchi risvegli con il suo ragazzo, Lovino aveva davvero voglia di mollare. Scappare, andarsene, fuggire il più lontano possibile da quell'incubo, risvegliarsi, con calma, tra le braccia di Antonio, fare colazione con Feli e andare da suo nonno.
Ma poi con che occhi li avrebbe guardati in faccia? Non avrebbe mai avuto le palle di tornare da loro, non scappando, non così. Lo avrebbero perdonato, lo sapeva, ma non voleva la loro pietà, né la loro comprensione; voleva il loro orgoglio, voleva che fossero fieri di volergli bene.
E qui potreste farmi notare che, con quello che aveva passato, tra esperimenti e sensi di colpa vari, se l'era già ampiamente meritato, e non avreste tutti i torti. Ma vedete... Lovino aveva ancora quella cosa del "sono un fottuto mostro, merito di morire e blablabla". Quindi, dal suo punto di vista, quello era sufficiente ad essere trattato come un normale essere umano. Per il resto aveva ancora da sgobbare.
Già... non aveva una gran stima di sé.
Ma questo, miei cari amici, probabilmente l'avevate già capito. Abbiamo già parlato tanto di Lovino, d'altronde è il protagonista, anche se ancora non credeva di meritarselo. Quindi forse vorreste approfondire qualcun altro.
Permettetemi quindi, dopo una linea bianca per mantenere un minimo d'ordine i questa accozzaglia di informazioni disordinata, di raccontarvi qualche scena per comprendere meglio altri personaggi altrettanto importanti, anche perché, presumo, il capitolo precedente vi abbia lasciato una certa angoscia, e lungi da me farvi aspettare ancora.
Andiamo allora.

Ludwig in tutti quegli anni aveva maturato un certo istinto materno.
Chiariamoci, non è che volesse dei figli, non ancora almeno, ma, tra un fratello maggiore con un certo talento nel cacciarsi nei guai e un migliore amico/fidanzato perennemente con la testa tra le nuvole, aveva sviluppato una certa apprensione. Per questo, notando che Feliciano era in ritardo per la colazione, si preoccupò all'istante. Sì, avevano litigato (e sperava di far pace il prima possibile) ma se c'era una cosa che Feliciano non mancava erano i pasti. Era un trucchetto che aveva imparato negli anni per capire come stava l'altro, ovvero guardare quanto e come mangiava. Tanto e con calma, stava bene. Poco stava male. Tanto e senza freni, era triste per qualcosa. Per questo si era aspettato di trovarlo già lì, a sfondarsi di cibo come se non ci fosse un domani, visto che, per qualche ingiustizia divina, entrambi i fratelli Vargas (lo aveva notato anche in Lovino, doveva essere una cosa di famiglia) mangiavano tanto, soprattutto carboidrati (non aveva mai visto nessuno finire un piatto di spaghetti alla velocità di quei due) ma non ingrassavano di un grammo.
E invece Feliciano non c'era
-kesesese, come sei apprensivo- commentò suo fratello -sarà da qualche parte a disegnare. Lo sai com'è fatto.
"Sì" avrebbe voluto rispondergli "ma non quando è triste", ma era troppo concentrato sull'ingresso per dargli retta.
Ci pensò Eliza a dargli una gomitata al posto suo -zitto! Io li trovo carini invece. Dovresti prendere esempio.
-blablabla. Sono troppo magnifico per queste cose, donna! La mia mente brillante sa che tra poco Feliciano varcherà quella soglia, dicendo di essersi perso da qualche parte a disegnare.
-donna ci sarai tu, mr. Cinque millimetri.
-cinque metri semmai! Tutta invidia, perché con le tue misere tettine...
-dovresti concentrarti sulle tue, di tett...
-la smettete di flirtare? Siete fastidiosi- li interruppe -sto cercando di pensare a dove potrebbe essere finito Feliciano.
-non stavamo...- Ludwig neanche li ascoltò più. Si alzò di scatto quando vide Antonio entrare di corsa, con un bruttissimo presentimento. Gli corse incontro. Lo spagnolo sospirò di sollievo -Ludwig! Finalmente! Feliciano sta male, è in inferm...
Neanche gli lasciò continuare la frase. Lo superò e corse via.

Feliciano non era l'unico a stare male. Neanche Francis era in forma smagliante. Per questo Arthur sospirò entrando nella sua stanza.
-non ci sai proprio stare senza di me, eh?
Francis gli rivolse un piccolo sorriso -a quanto pare- a fatica allargò le braccia -vieni, mon amour. Ho bisogno di affetto.
Arthur roteò gli occhi, ma si tolse le scarpe, le sistemò accanto al letto, si sdraiò accanto a lui e lo abbracciò, accarezzandogli i capelli. Francis si rannicchiò contro il suo petto, sospirando -merci.
-si può sapere cos'hai?
-ogni tanto la malattia peggiora. Capita. Ieri poi mi hanno fatto una flebo di...- tossì -di... non... non mi viene la parola. Roba medica. Tipo chemio, hai presente? Quindi ora sto male.
-oh...- gli stampò un bacio sulla testa, venendo sopraffatto per qualche secondo dal suo profumo di rose e lavanda.
Chiuse gli occhi. Si immaginò con lui in un bel prato fiorito, in Provenza magari.
Francis è al suo fianco, gli tiene la mano. Un bel vestito azzurro gli si gonfia intorno ogni volta che si muove. Sorride. Non ha occhiaie, la pelle è leggermente abbronzata, i capelli sono del colore del sole, le labbra rosse sembrano invitarlo a lasciarci un bacio...
-...thur? Arthur?
-eh? Cosa?- riaprì gli occhi e li abbassò su Francis, che lo osservava confuso. Era pallido, stanco e malaticcio, ma un bacio glielo diede comunque -scusa, stavo pensando.
Francis si imbronciò -non sono abbastanza per avere la tua attenzione?
Arthur roteò gli occhi -certo che lo sei. Stavo pensando a te, cretino.
-ma non serve pensare a me- si sporse, fermandosi a un palmo dal suo naso. Il suo respiro sapeva vagamente di limone. Poteva essere debole, malato e stanco, ma nei suoi occhi la determinazione, e la testardaggine, erano le stesse -io sono qui.
E a quello sguardo Arthur proprio non riuscì a dire di no. Se lo tirò contro e lo baciò, con forza e dolcezza, per fargli capire quanto intenso fosse il suo amore, ma anche quanto ci tenesse a non fargli male.
Quando si allontanarono, Francis gli mise una mano sulla bocca per impedirgli di baciarlo di nuovo -aspetta.
-ho... ho fatto qualcosa di sbagliato?
-no, è che...- sospirò, e sembrò indebolirsi ancora di più -non... non esagerare, ti dispiace?
-lo so- gli baciò il palmo della mano, prendendogliela e intrecciando le dita con le sue -scusa, non volevo metterti a disagio.
-non fa niente- tornò a sdraiarsi sul suo petto, stanco. Si morse il labbro -non... non me la sento di... di fare...
-lo so- lo interruppe -non c'è bisogno che tu ti giustifichi- lo baciò tra i capelli -non nascondo che mi attrai fisicamente, e tanto anche- Francis ridacchiò -ma non sto con te per quello, anzi.
Francis sorrise soddisfatto -bene. Anche perché ti farei ammalare, e questa è una cosa che non mi perdonerei mai.
-scusa se ho esagerato.
-non è che non mi sia piaciuto. È che mi hai ricordato... lo sai.
-my God, non volevo, scusami, davvero...
-smettila, sei irritante con tutte queste scuse- a fatica si tirò su e gli stampò un bacio sulla guancia -lo so che non sei così e che il tuo fiero sangue britannico non farebbe mai certe cose, ma la prossima volta avvisami, okay?
-okay. Ora posso baciarti? Con più calma questa volta?
Francis rise -va bene, mon anglais- e tornò a posare le labbra sulle sue, dolcemente.
Per un po' non fecero altro. Poi Arthur parlò di nuovo, ma non disse niente di romantico, anzi -perché c'è una chitarra?
Francis si allontanò da lui, scocciato, e si voltò per guardare il punto da lui indicato. Sbuffò -l'ha lasciata qui Antonio ieri sera.
-eravate soli? Tu e lui? Di sera?!
Il francese roteò gli occhi -ha dato una mano alla dottoressa con la flebo, poi gli ho chiesto di suonarmi qualcosa per aiutarmi a dormire.
-ah.
Gli fece un buffetto sulla guancia -però sei carino quando sei geloso, Angleterre.
-non sono geloso.
-se lo dici tu- si sdraiò nuovamente affianco a lui, senza forze, come una bambola di pezza -sapevo suonare il piano, da piccolo.
Arthur abbozzò un sorriso -da ragazzo avevo una rock band.
Francis lo guardò con tanto d'occhi -tu COSA?!
-avevo una rock band. Andavamo anche forte- non era vero, erano quattro fanatici del rock che provavano nell'aula di musica dopo le lezioni, ma Francis non doveva saperlo -a scuola le ragazze impazzivano al mio passaggio.
-certo, come no- il francese si affrettò a cambiare argomento. Indicò la chitarra -la sai suonare?
Arthur fece una smorfia -preferisco quelle elettriche, ma all'occorrenza sì.
-mi fai sentire qualcosa?- lo guardò implorante, con due occhioni enormi. Arthur sospirò.
-e va bene- vedendo il suo sorrisino soddisfatto, sbuffò una risata, si alzò, prese la chitarra e si sedette sul letto. Francis si mise seduto e appoggiò la testa sulla sua spalla, abbracciandolo da dietro. Diede una rapida accordata, cercando di non arrossire sotto lo sguardo curioso di Francis -che vuoi che ti suoni?
Quello si picchiettò un dito sul labbro inferiore, pensando. Poi alzò le spalle -fai tu- lo baciò sulla guancia -suonami una canzone che ti faccia pensare a me.
-una canzone che...- sbuffò -sei schifosamente romantico.
-lo so.
Ci pensò su. Poi, l'illuminazione. Portò le mani sulla chitarra e cominciò a suonare.
-Love of my life, you've hurt me
You've broken my heart, and now you leave me
Love of my life, can't you see?
Bring it back, bring it back
Don't take it away from me, because you don't know
What it means to me
Love of my life, don't leave me
You've stolen my love, you now desert me
Love of my life, can't you see?
Bring it back, bring it back
Don't take it away from me
Because you don't know
What it means to me
You will remember
When this is blown over
Everything's all by the way
When I grow older
I will be there at your side to remind you
How I still love you
I still love you
Oh, hurry back, hurry back
Don't take it away from me
You don't know what it means to me
Love of my life
Love of my life
Ooh, eh
-oh...- Francis si asciugò distrattamente gli occhi -di... di cosa parla?
Arthur arrossì e si sporse per mettere la chitarra al suo posto -niente di che.
-era troppo bella per parlare di "niente di che"
-avresti dovuto sentire l'originale allora. Quella sì che era bella- replicò, tornando a sdraiarsi affianco a lui, baciandolo sulla fronte.
-smettila di ignorare la domanda.
Arthur sbuffò -parla di... di un furto.
-eh?
-di una persona che ha rubato qualcosa al cantante.
-stai dicendo che sono un ladro?!
Arthur rise -no, idiota- gli prese la mano -sto dicendo che sei l'amore della mia vita.
-oh...- Francis arrossì, abbassando lo sguardo. Si morse il labbro -hai scelto la persona peggiore per quello, mi sa.
-non è che ho potuto scegliere- lo baciò sulla tempia -ma mi è andata bene, in fin dei conti.
-morirò tra poco. Quindi no- replicò, secco.
-be', questo significa che ogni momento sarà importante- replicò, accarezzandogli la guancia -tutti sprecano di continuo il loro tempo a fare cose che dimenticheranno il giorno dopo, cambiano relazione come cambiano le mutande e non fanno altro che farsi scorrere addosso tutto quanto. Preferisco avere una relazione breve ma intensa con una persona che amo davvero, piuttosto che un matrimonio che dura magari tutta la vita, ma è fatto tanto per farlo.
Francis, con gli occhi lucidi, lo baciò sulla guancia.
-mi fai piangere così- singhiozzò, baciandolo sulle labbra -je t'aime aussi, mon amour.

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Capitolo 27
*** Capitolo ventisei ***


E che non si dica che non vi voglio bene.

La ragazzina strinse la mano di suo fratello, terrorizzata.
-andrà tutto bene- le sussurrò quello, stringendole la mano -l'hanno già fatto a me, ed è stato poco più di un solletico.

-s-sicuro?
-certo. Lo sai che non ti mentirei mai.
Quella annuì, portando gli occhi sul grosso macchinario che dominava il centro della stanza. Sembrava la sedia da dentista più sadica del mondo, e lei aveva sempre avuto paura dei dentisti.
Un dottore le indicò la sedia -siediti.
Quella tremò più forte ma obbedì, lasciandosi legare braccia e gambe da quelle cinghie di cuoio.
-andrà tutto bene- le ripeté suo fratello, scostandole i capelli dalla fronte e baciandole la pelle chiara. Lei gli sorrise.
Suo fratello annuì, fece un passo indietro e gli scienziati avviarono la macchina.
Lui non aveva mentito. Non sentì molto male, solo una sorta di pizzicorino diffuso in tutte le cellule del suo corpo.
Dopo un'ora la fecero alzare e cominciarono a farle delle domande su come si sentisse. Lei non si reggeva bene sulle sue gambe, così si appoggiò a suo fratello per non cadere.
-ehi- le disse, scostandole i capelli dalla fronte -stai bene?
Annuì, sorridendogli.
Si sporse a baciarlo sulla guancia. Le sue labbra si posarono sul suo viso.
E si sentì prendere fuoco.
Urlò e cadde per terra, coprendosi la faccia con le mani. Suo fratello si chinò per vedere come stesse, ma arretrò, terrorizzata dal contatto umano. Si sfiorò la bocca, ma il calore del suo stesso corpo le provocò un dolore lancinante. Urlò di nuovo e si mise a piangere. Le lacrime calde le scavarono le guance, facendola urlare ancora più forte.
Qualcuno provò a toccarla, non sapeva chi, le lacrime le accecavano gli occhi, ma il dolore lo sentì chiaramente. Urlò più forte.

Ludwig si sentiva uno schifo.
Fin da piccolo era sempre stato molto taciturno, come ho già detto. Feliciano era stato l'unico, al di fuori della sua famiglia, a mostrargli un po' di affetto e il primo a fargli scoprire l'amicizia. Quel sentimento nuovo poi non ci aveva messo molto a diventare qualcosa di più, come nelle storie più classiche e più belle.
E ora avevano litigato. Non succedeva da quando erano bambini, e comunque erano sempre stati litigi minori, per un giocattolo o cose simili, per cui non aveva la minima idea di come comportarsi.
E se Feliciano lo avesse odiato? Non era popolare, i suoi amici erano due, l'italiano e Kiku, tre considerando suo fratello, e Feliciano era l'unico ad averlo mai amato in quel modo. Se persino lui fosse finito a odiarlo, chi avrebbe mai potuto volergli bene? Se fosse riuscito a rovinare anche la cosa più bella della sua vita, avrebbe mai potuto costruire di nuovo qualcosa?
Rimase lì ad osservarlo dormire per quelle che gli sembrarono ore. Sembrava che stesse semplicemente sognando, e invece non c'era stato verso di svegliarlo. Antonio aveva detto che era in una sorta di coma, ma dalle analisi era venuto fuori che aveva delle attività celebrali almeno cinque volte più alte del normale.
Gli strinse la mano, cercando di non piangere.
-svegliati, ti prego- singhiozzò -se vuoi odiami, ma svegliati.

Feliciano riaprì gli occhi a mezzogiorno. Ludwig non si era mosso un istante. Poco dopo il suo arrivo lo aveva raggiunto Romolo, che era stato chiamato da un'infermiera, e il tedesco non poteva che esserne contento. Almeno al suo risveglio Feliciano avrebbe visto un viso gradito.
Quando cominciò a muoversi, Romolo fu subito da lui.
-Feli- lo chiamò più volte, con tono dolce. Quello sbatté gli occhi, confuso e probabilmente accecato dalla luce -Feli, mi riconosci? Miei dei, scotti!
Ludwig stava per andare a chiamare qualcuno, ma un mugolio proveniente dal letto lo pietrificò.
-L-Luddi...- in un istante fu al suo fianco -Luddi...
Gli prese la mano bollente -sono qui.
Feliciano, febbricitante, socchiuse gli occhi, cercando di inquadrarlo -Luddi?
-sono qui- ripeté, scostandogli i capelli sudati dalla fronte. Feliciano sembrò rilassarsi, complice la pezza bagnata che Romolo gli aveva posato sulla fronte -L-Luddi m... mi dispiace per...
-lo so- prese ad accarezzargli il dorso della mano, lentamente -lo so, non preoccuparti. Ora riposati.
-ho... ho a-avuto una s... sorta di visione e... non... non era come i soliti attacchi...- Ludwig si irrigidì. Si voltò verso Romolo, che aveva aggrottato la fronte, confuso -e... ero in una s... spiaggia e...
-va bene, piccolo- lo interruppe suo nonno -ci racconti per bene dopo, va bene? Adesso dormi un po'.
Feliciano lo ignorò, o forse non riuscì proprio a interpretare le sue parole. Il suo fu poco più di un sussurro -Lovino... dov'è Lovino? Sta bene?
-Lovino è in mis...- il ragazzo si interruppe all'occhiataccia di Romolo.
-sta dormendo, piccolo- lo rassicurò -non preoccuparti, sta bene.
-no...- sussurrò, sull'orlo del baratro -no, non è vero...- e scivolò all'indietro, nel mondo dei sogni.
Per un po' l'unico rumore fu il russare lieve di Feliciano. Il ragazzo non osava muoversi. Si sentì come sulle montagne russe, in quella salita che sembrava infinita e che mette sempre una certa ansia mista ad aspettativa, un timore reverenziale che lo inchiodava sul posto.
-di cosa parlava Feli?
Ed eccolo, quell'attimo di vuoto, quel fermo immagine tra salita e discesa, la parte più ardua e divertente della giostra. Peccato che nessuno dei due si stesse divertendo affatto.
Forse vi starete chiedendo cosa c'entrino le montagne russe con questo mondo devastato dove, al massimo, i bambini posso salire sui resti dei lunapark, e sperare di non morire sullo scheletro del divertimento, distrutto da genitori, nonni, bisnonni e quant'altro.
Niente. Ma è un buon modo per capire cosa sentisse Ludwig nelle viscere. Quella sensazione lì, l'abbiamo provata tutti, dai.
O forse no? Forse siamo destinati anche noi a finire sulle rovine del nostro passato, o a farci finire i nostri nipoti, o i nostri pronipoti.
O forse dovrei finirla con questa filosofia spicciola e tornare alla nostra storia.
-niente, stava solo delirando- provò a cavarsela così, ma Romolo non ci cascò. Per niente.
-dimmi la verità- il suo fu quasi un ringhio. A Ludwig ricordava una lupa, disposta a tutto e anche di più per proteggere i suoi cuccioli.
-e-ecco...

-nonno? Mi senti?
-forte e chiaro. Tu?
-sì, ti sento- Lovino si avvicinò alla radio -come va lì?
-tutto bene.
-Feliciano?
-sta dormendo- dall'altra parte della radio, Romolo fece cenno all'altro di non dire una parola -tu?
-vado avanti.
-novità?
-sì- e gli riassunse quello che gli aveva detto Hercules. Se non ve lo ricordate tornate indietro e rileggetelo, non ho tempo da perdere.
-buono. Ora però dobbiamo trovare il modo di entrare.
-eh... forse potreste entrare di notte.
-non sappiamo dove sia la capitale.
-forse sì- diede un colpetto a Hercules, addormentato affianco a lui, che si svegliò di scatto.
-ah! Sì! Ci sono!- si stropicciò gli occhi -cosa c'è?
-il nome della capitale. Qual era?
-uhm... Cartagine.
Romolo sbatté la mano sulla scrivania così forte che ci volle un po' per ristabilire la connessione -bastardi! Avrei dovuto immaginarlo.
-quindi sai dov'è?
-sì.
-potete passare dal tunnel da cui sono uscito io per raggiungere Gilbert. Dalle fogne andate sempre dritti e ci arrivate, non dovrebbe essere difficile. Vi lascio aperta la botola della mia stanza e passate da lì. Il problema poi è uscire senza farsi sgamare da allarmi videocamere e stronzate varie.
Si girò verso Hercules -sai come mettere fuori gioco il sistema elettrico?
Quello alzò le spalle -in teoria sì. C'è un quadro elettrico, ovviamente, è nella stanza con tutti i monitor delle telecamere di videosorveglianza e blablabla, e immagino che lì ci sia uno di quegli enormi pulsantoni rossi o una qualche leva con su scritto "on" e "off", ma è uno dei posti più controllati, ci sono sempre due guardie all'ingresso, quattro a controllare i monitor e altre quattro a controllare i colleghi, per non parlare delle difese fisiche che immagino siano impenetrabili o qualcosa di simile.
-però- intervenne João -una volta Lovino ha fatto saltare la corrente.
-chi ha parlato?- domandò Antonio. João sbiancò e Lovino gli diede mentalmente dell'idiota.
-il tipo della radio- simulò qualche interferenza -ha staccato un attimo il collegamento per parlare.
Lovino non poteva vederlo, ma Antonio aveva inarcato un sopracciglio.
-come hai fatto?- intervenne Romolo.
Lovino ebbe la forte tentazione di prendere João a calci -ho fatto un incubo e ho causato un piccolo terremoto.
Antonio aggrottò la fronte, ma non disse nulla. Romolo invece roteò gli occhi -facciamo che ti credo.
-ma è la verità.
-Lovino. Non hai mai avuto un incubo in vita tua.
-con quello che mi è successo...
-non li hai avuti qui, non li hai lì e non li avrai mai. Servono le cannonate per svegliarti, non basta un brutto sogno. Sei un sasso quando dormi.
Lovino arrossì -non è vero.
-oh, invece sì. È sempre stato così, fin da piccolo. Mi ricordo che, anche quando Feli piangeva nel lettino affianco, tu te la dormivi alla grossa fino al mattino dopo, e neanche una bomb...
-va bene, abbiamo capito!- lo interruppe, rosso fino alla punta delle orecchie -vuoi anche dire quanta merda facevo in un giorno o possiamo tornare alle cose serie?
-da qualche parte dovrei ancora avere qualche foto di te che facevi il bagnetto...
-posso vederle?- chiese Antonio, entusiasta.
-NO!- strillò Lovino, ormai viola in faccia -non osare!
Romolo fece l'occhiolino ad Antonio -ne riparliamo dopo.
-no! Non ne riparlerete mai più!
-tornando al piano...
-se scopro che le ha viste ti uccido- brontolò, cercando di far sparire il sangue in eccesso dalla sua faccia. Si schiarì la voce -stavo dicendo? Sì. Terremoto. Elettricità a fanculo, perfetto. Peccato che qualsiasi idiota si accorgerebbe che "oh ma tu guarda, c'è appena stato un terremoto a cazzo di cane".
-potresti distruggere il generatore a distanza- aggiunse Romolo.
-non sono un cazzo di cecchino. Ho bisogno di averlo vicino se proprio voglio distruggerlo senza toccarlo.
-quindi se tu ti avvicinassi mentre noi entriamo...
-sì ma poi ci arriverebbe chiunque che è colpa mia.
-se va tutto bene, non importerà.
-e fin qui va bene- concordò -ma come ci arrivo?
Hercules sbadigliò -condotti di aereazione?
-siamo davvero ai livelli dei film d'azione scadenti?
-in teoria sono troppo stretti, ma tu sei mingherlino, dovresti passarci.
Lovino sbuffò -grazie tante.
-prego.
-quindi ci siamo. Quando lo facciamo?- continuò Antonio, che non vedeva l'ora di riabbracciare il suo ragazzo.
-tra una settimana- propose Romolo.
-scherzi? Troppo presto.
-più stai lì, più aumentano le probabilità che ti becchino, e più stiamo collegati più è facile che ci intercettino. Facciamo che ci risentiamo domani, a un'altra ora.
-okay. Quando?
-sei del mattino di domani. Non tra sei ore, il giorno dopo.
-vuoi farmi svegliare alle sei?!- sbuffò -e va bene. Ma solo perché è una situazuone di emergenza.
-quindi, riassumendo: dobbiamo risolvere il problema di come arrivare alle porte e come aprirle, e poi cosa dire per convincere la popolazione a unirsi a noi.
-eh.
-ti dirò- cominciò sovrappensiero Romolo -spesso l'improvvisazione è la cosa migliore.
-non corriamo rischi inutili- ribatté Lovino.
-lo so, pischelletto. Ho detto "a volte".
Lovino roteò gli occhi -dobbiamo anche decidere chi viene.
-mh. Già. Ci pensiamo dopo, okay? A domani- Romolo era nervoso, capitelo. Era in ansia per il nipote quello piccolo, e ora che si era assicurato che quello grande stesse bene voleva controllare le condizioni dell'altro. Per questo era così frettoloso.
-va bene, nonno. A domani. Salutami Feli.
-certo. Mi raccomando, fai attenzione.
-sempre. Ciao nonno.
-ciao nipote.
-ciao Lovi!- il saluto allegro di Antonio fu un colpo al cuore, ma si sforzò di respirare.
-ciao...
João spense la radio.
Lovino sospirò, e a quel sospiro sembrò spegnersi completamente, come un microonde a cui avessero staccato la corrente.
-la prossima volta che vuoi parlare avvertimi, che mi invento una scusa migliore.
João annuì distrattamente -secondo te ha riconosciuto la mia voce?
-non credo- osservò Hercules alzarsi e appoggiarsi alla parete -immagino che lo avrebbe detto chiaro e tondo.
-mh...- non era chiaro se ne fosse felice o meno, forse neanche lui lo sapeva.
Lovino si alzò -su, andiamo a dormire- Hercules ne sembrò entusiasta, per quanto Hercules potesse sembrare entusiasta. Anche il moro si alzò, e Lovino gli diede una pacca sulla spalla -su, lo rivedrai presto. Non fare quella faccia depressa.
João abbozzò un sorriso -hai mai avuto la sensazione di volere una cosa così tanto da averne paura?
Lovino sbuffò -ogni fottuta volta che sono felice per qualcosa. L'ansia è una grandissima puttana.
Hercules, che stava risalendo verso la sua camera, si girò a guardarli male -andate a dormire. Mi fate passare il sonno con tutta questa negatività.
Lovino sbuffò una risata -perché, esiste qualcosa in grado di toglierti il sonno?
Hercules aggrottò la fronte e ci pensò su qualche secondo, poi alzò le spalle -me ne fate venire un po' di meno, ecco- salì in camera sua -ora andate a dormire, avanti- e coprì l'ingresso con il tappeto.

Calma. Finalmente.
Dopo l'ennesima giornata d'Inferno, finalmente un po' di calma.
Antonio sospirò sotto il getto bollente della doccia e rilassò finalmente i muscoli tesi, lasciandosi coccolare dal vapore.
Chiuse gli occhi e immaginò di avere Lovino al suo fianco. Immaginò di stringerlo, di schizzarlo con la schiuma e di ridere della sua faccia infastidita, e sorrise immaginando i suoi insulti; di abbracciarlo sotto l'acqua, sentendo il getto arcuarsi intorno ai loro corpi e nasconderli dagli occhi malevoli del resto del mondo in una nuvola di vapore. E, dove l'acqua falliva, immaginò di baciare i punti più tesi delle sue spalle, per aiutarlo a rilassarsi dopo l'ennesima, stressante giornata di lavoro.
Non poteva saperlo, ma, da tutt'altra parte, anche Lovino stava facendo un bagno. Era in una vasca, circondato da sali e profumi esotici, ma anche lui stava immaginando qualcosa del genere.

Lasciarsi stringere dalle braccia del suo ragazzo, appoggiandosi alla sua spalla e lasciandosi baciare lungo il collo, intrecciando le gambe con le sue sotto l'acqua, avvolti dal profumo del bagnoschiuma.
Antonio gli fa girare il viso per baciarlo, dolcemente. Lovino sorride, non può impedirselo.

E forse se fossero stati realmente fianco a fianco sarebbe stato diverso. Ci sarebbe stato più imbarazzo, non si sarebbero limitati ad accarezzarsi piano e a scambiarsi qualche bacio, e sarebbero finiti a cedere ad un calore ben più rovente, oppure avrebbero fatto la lotta con la schiuma come due bambini, ridendo nel modo più innocente e puro del mondo. O, forse, erano così stremati e stanchi che sarebbero finiti a coccolarsi allo stesso identico modo. Ma non importava.
Era solo una fantasia, ma avevano così bisogno che fosse vera che non importava. Finché stavano bene, finché riuscivano a staccare per qualche minuto la testa da tutto lo schifo che avevano intorno, andava bene così. E non era forse quello l'amore, farsi dimenticare a vicenda che intorno è tutto buio, e illuminarsi a vicenda le giornate?

Lovino si sporge a baciarlo, lentamente, come ha fatto tante volte e come vuole fare ancora, per il resto della sua vita. Il sospiro che uscì dalle loro labbra unite fu uno solo, gemello e imprescindibile, per sempre e nonostante tutto.
-ti amo...

 

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Capitolo 28
*** Capitolo ventisette ***


Buonsalve a tutti. Allora.
Visto che questa storia promette di arrivare ai cinquanta capitoli (sto scrivendo il 48 adesso, e considerando quel che deve succedere alla cinquantina ci dovrebbe arrivare), mi sono fatta due conti. Se pubblicassi un capitolo a settimana, mi ci vorrebbero circa sei mesi per pubblicare tutto. Mi sembra un tantinello eccessivo, quindi aggiornerò un po' più frequentemente.
So... enjoy!

Lovino si sentiva osservato. Ed era fastidioso.
Adesso non poteva neanche godersi il cibo in santa pace? Volevano proprio togliergli tutte le cose belle della vita? Avanti, il cibo era la sua ultima gioia.
Finì di mangiare, si alzò e uscì dalla mensa, aspettando lì vicino che il suo osservatore uscisse. Quando, pochi minuti dopo, ne uscì Ivan, gli si piantò davanti e gli puntò il dito contro -che cazzo ti guardi? Eh?
Ivan inarcò un sopracciglio -non ti stavo guardando.
-invece sì.
Quello scosse la testa -ti sbagli- fece per andarsene, ma si fermò e si girò verso di lui, con l'aria di essersi appena ricordato qualcosa di importante -ah, più tardi potresti venire nel mio studio? Dovrei discutere con te di alcune faccende.
Lovino sbuffò -ho scelta?
Ivan continuò a sorridere -no.
-fantastico. Il tuo studio dove minchia sarebbe?
-fatti accompagnare da João. Dovrò parlare anche con lui, presumo. Venite tra circa un'ora, va bene?- e, senza aspettare la sua risposta, se ne andò fischiettando qualcosa di molto simile all'inno russo.
Lovino sbuffò e, quando fu sicuro che quello fosse abbastanza lontano, gli fece il medio alle spalle. Poi si voltò e andò a cercare João.
Chissà che voleva quello psicopatico slavato.
Gli ci volle un po' a trovare João, il quale, venendo a sapere tutta la faccenda, sembrò tutto tranne che entusiasta.
-si mette male- commentò. Brontolò qualcosa in una lingua che Lovino non conosceva, scosse la testa e sospirò -ci conviene muoverci. Non è lontano, ma meglio non arrivare tardi.
-chiamiamo Hercules?
-meglio di no. Almeno, se Ivan ci facesse fuori, lui potrebbe mandare avanti la cosa. In qualche modo. Forse.
Lovino sospirò -fantastico- cominciò a fare avanti e indietro, nervoso -siamo nella merda. Ottimo.
João scrollò le spalle -non andare troppo nel panico. Non è detto che sappia, magari vuole dirti altro.
L'italiano sbuffò -certo. Ci parlerà delle sue bambole di pezza offrendoci del tè e dei biscottini.
João roteò gli occhi -non serve essere così sarcastico.
-sono sarcastico quando sono nel panico!- strillò, passandosi le mani tra i capelli.
-ora sei solo isterico.
-biasimami. Siamo nella merda, grazie al cazzo che sono isterico!- si fermò e crollò a terra, portandosi le ginocchia al petto -non ne posso più- si lasciò sfuggire.
João sbuffò -la smetti di autocommiserarti sì o no? Essere così negativo non ti aiuterà. Se vuoi che questa faccenda finisca, falla finire tu.
-lo so- ringhiò. Poi sospirò, si passò le mani sul viso e rimase così per un po'. Rimise insieme i pezzi rotti della sua mente e li coprì con le mani e con una parvenza di sanità mentale, mascherando il male con la calma. Infine, quando il velo fu abbastanza spesso, si tolse le mani dalla faccia e si alzò -scusa. Ora sto bene. Ragioniamo.
João annuì -bene. Mancano pochi minuti, ci conviene andare.
-va bene- si alzò e lo seguì fuori dalla stanza, senza dire una parola di più.
Lo studio di Ivan era nella torre degli scienziati, affianco a quello di qualche altro generale. João bussò.
-avanti.
I due si guardarono, poi Lovino aprì la porta.
Quella stanza era enorme, ma essenziale. Un lungo tavolo per le riunioni di legno scuro la divideva in due. Le pareti erano di un bel rosso scuro, intonate al tappeto pregiato che copriva quasi interamente il pavimento, ma vuote, c'era giusto una piccola libreria in fondo.
Ivan era seduto al capo tavolo, dalla parte opposta alla porta, e stava sorridendo.
-benvenuti. Chiudete la porta, grazie- João obbedì. Il biondo aumentò il suo sorriso -avanti, sedetevi.
Lovino roteò gli occhi -accanna co' 'ste formalità. Che minchia vuoi?
Il generale mostrò per una frazione di secondo una smorfia infastidita, tornando poi al suo sorriso freddo. Ecco, non c'erano altri aggettivi per descriverlo se non glaciale. Dava al ragazzo la sensazione di avere un cubetto di ghiaccio che scendeva lentamente lungo la sua schiena. Lo rendeva nervoso, e quando Lovino era nervoso esagerava con il turpiloquio (ovvero: imprecava come un marinaio che sbatteva il mignolino contro il comodino alle tre di notte).
-il supremo mi ha chiesto di discutere con te di alcune faccende- sollevò una cartellina bianca. Lovino lo raggiunse dall'altra parte della stanza e la prese -sono i risultati di alcuni esami. Pensavo fosse il caso di discuterne con te, visto che ci tieni.
Lovino annuì, leggendo. Sopra, con una calligrafia elegante ma semplice, era scritto tutt'altro, in inchiostro nero.
"So cosa state combinando tu e João. Ve ne parlerei, ma qui ci sono delle cimici. Il supremo non si fida di me e mi fa seguire ovunque"
Lovino si rivolse al russo -in quella cabina... quella dove mi avete fatto l'esame. C'erano delle telecamere?
Il sorriso di Ivan si appuntì come una stalattite -sono state distrutte. Sono rimasti giusto dei microfoni.
Bene. Quindi niente telecamere lì dentro, almeno in teoria. Girò pagina.
"State cercando di far entrare i vostri amici per fargli aprire le porte, giusto? (Annuisci se è così)"
Annuì, lentamente, con gli occhi fissi sul foglio.
"Allora forse ho qualcosa che potrebbe tornarti utile"
-come fate a capire queste cose? Quante ore dormo, come dormo... non l'ho mai detto.
-sei facile da monitorare.
Cazzo.
"Dietro questo foglio c'è una vecchia cartina. Hanno cambiato tutto, ma una parte penso che ti potrebbe tornare utile, te l'ho evidenziata. Non girare pagina, guardala solo in camera tua, quando siete soli"
-avete messo delle telecamere in camera mia? Perché non mi spiego come facciate a sapere queste cose.
-no. Intorno sì, soprattutto nei posti dove vai spesso con i tuoi amichetti.
-ah- riprese a leggere -rispetto per la privacy zero- brontolò.
"Le porte si aprono solo dall'interno. C'è un locale apposito, te l'ho evidenziato. Trovi tutto sulla cartina"
-come faccio a fidarmi di questi risultati? Che ne so che non sono truccati?
Negli occhi violetti di Ivan lampeggiò odio puro e assoluto -il nostro supremo- pronunciò quelle parole con un disprezzo tale da far accapponare la pelle -non si permetterebbe mai di fare una cosa del genere. Anche a me e soprattutto alla mia famiglia fecero esami simili ai tuoi in passato, e ti assicuro che sono attentibili.
Lovino annuì. Quindi anche Ivan era stato torturato come lui in passato. Meglio non chiedere come.
Il biondo riacquistò, pagandolo caro, il suo contegno -e comunque puoi verificare tu stesso alcuni di quei dati, sì? Ma se hai bisogno di altre conferme, possiamo riparlarne.
Annuì.
"Nelle pagine successive ci sono le spiegazioni su come aprire le porte. Non guardarle qui. Adesso chiudi la cartelina, chiedimi di portarla via e vattene normalmente. Riguardale solo in camera tua, con la porta chiusa. In cambio di queste informazioni, voglio l'amnistia per me e per la mia famiglia e tutte le cure possibili per mia sorella, nel governo che verrà"
Annuì un paio di volte -capisco. Posso portare questa roba in camera mia? Vorrei studiarmele meglio, con calma.
Ivan sorrise -certamente, tanto abbiamo delle copie.
Annuì ancora, chiudendo la cartellina e stringendosela al petto -bene. Allora vado. Grazie di avermene parlato.
-è il mio dovere.
-presumo di sì.
Uscì dalla stanza, con uno João piuttosto confuso al seguito.
-quindi...- iniziò quello.
Lovino alzò le spalle -solo alcuni esami.
Gliene avrebbe parlato dopo, quando sarebbero stati in un posto più sicuro.

"La mappa è piccola. Portala sempre con te, distruggi questo foglio e lascia nella cartellina il foglio con i dati delle analisi che c'è in fondo. D'ora in poi comunica con i tuoi amici sapendo che vi sentono. Usalo a tuo vantaggio"
Sospirò, slanciò le braccia al cielo e si stiracchiò.
-quindi...?
-già- João si alzò e gli restituì il foglio, che Lovino rilesse un'ultima volta prima di distruggere -guardiamo un attimo i... risultati?
Lovino annuì e aprì nuovamente la cartellina, tirò fuori la mappa e la distese sul tavolo. Sul percorso nero, era segnato in rosso una strada che portava ad un quadratino con su scritto "magazzino". Lì affianco ce n'era un altro diviso in due stanze. Sulla prima metà era scritto "laboratorio", sull'altra "apertura porte". Il percorso indicava una serie di tunnel sotterranei, secondo quello che aveva scritto Ivan ancora più profondi e antichi di quelli che avevano usato fino ad allora. Per lo più gli ingressi all'edificio principale erano stati abbattuti, ma c'erano delle parti superstiti che ancora erano più o meno integre, da cui si poteva accedere tramite degli ingressi bloccati circa ottant'anni prima, e da lì si poteva accedere a quei tunnel e raggiungere il magazzino, dove sbucava uno dei tanti ingressi. Gli edifici erano stati costruiti sopra, lasciando uno strato di pietra e cemento per bloccare l'ingresso, ma Ivan aveva appuntato il fatto che, per il potere di Lovino, uno strato di pietra e cemento era ben poca cosa.
Lovino esitò. Per il suo potere, oppure per quello di uno che roccia e cemento li controllava.
Seguì con il dito il percorso fino all'ingresso dalla loro parte. Sgranò gli occhi e guardò João, che aveva seguito il suo percorso -è quello che penso che sia?
João annuì -già.
-minchia...

-nonno? Mi senti?
-forte e chiaro.
-ho in mente alcune cose...- esitò. Come faceva a dirgli che non poteva parlargli del vero piano senza far capire a chi li ascoltava che sapeva di essere ascoltato? -decidi tu chi mandare. La sera prima vi mando Hercules, che manda il sogno, vi mettete in viaggio il giorno dopo e all'alba vi rimettete in viaggio. Molto poetico, simbolico e blablabla.
-gli diamo così tanto tempo per organizzarsi? Se anche il tuo amico non mandasse il sogno al supremo, lo verranno a sapere di sicuro. Qualcuno farà la spia sicuramente.
Ironico, pensò Lovino. Lo sto facendo anch'io.
-dobbiamo dare alle persone il tempo di raggiungerci. Simbolicamente l'alba è il momento migliore. Se vogliamo essere accettati, dobbiamo avere il popolo dalla nostra parte, o non saremo migliori di loro. Odiano la Restaurazione, ma non significa che ameranno noi.
-lo so, pischelletto. Sono al mondo da più tempo di te.
Lovino alzò gli occhi al cielo -sì, come ti pare nonno. Se hai qualche idea migliore, proponila pure allora.
Romolo sbuffò -la tua può andare.
Hercules ridacchiò -orgogliosi uguale.
Lovino roteò gli occhi -tornando a noi. Decidi tu chi far venire, mi fido. Però sarebbe meglio che tu non venga, così se le cose vanno male puoi inventarti qualcosa per recuperarli o comunque organizzare qualcosa.
-mh, sì. C'è qualcuno in particolare che ti serve?
-no, non direi- João aggrottò la fronte. Lovino gli fece cenno di lasciarlo fare -mi fido, fai tu. Direi non più di tre persone.
-sì, pensavo anch'io. Restiamo d'accordo sulla prossima settimana?
-anticipiamo. Non tira una bella aria, una settimana potrebbe essere troppo- sbuffò -pensavo che forse avrei potuto fare io senza mettere in pericolo altre persone, ma mi tengono d'occhio. Potrei distruggere le porte, ma crollerebbe tutto, e non mi va di fare altri morti.
-no, non fare cazzate.
Lovino si trattenne dal ridere. Ne stava per fare eccome di stronzate. E da solo non avrebbe potuto fare niente.
-comunque non siamo pronti. Va bene fare presto, ma se anticipiamo troppo potrebbe finire male.
-nonno, fidati di me. Tra due giorni ti mando Hercules. Fidati.
Romolo scosse la testa -mi fido, ma stai correndo troppo.
-non eri tu quello che parlava di improvvisazione?- prima che potesse rispondere, lo interruppe -potresti dire ad Antonio di lasciarsi crescere i capelli?
-cosa... perché?- Romolo aggrottò la fronte.
-mi piace con i capelli lunghi...- spiegò, con un tono da ragazzina innamorata che tutto era tranne che suo -diglielo, mi raccomando. Ciao!- e spense la radio.

Poche ore dopo, intorno alle nove di mattina, Sadiq lo invitò a fare colazione con lui. Cosa preoccupante.
-buongiorno- lo salutò con un sorriso cordiale -prego, siediti.
Lovino rimase fermo sulla porta -cosa vuoi?
Sadiq aumentò il suo sorriso -un uccellino mi ha detto che ti senti ancora con i tuoi amichetti.
Lovino si sentì gelare, ma non era sorpreso. Ringraziò mentalmente Ivan -non so di cosa tu...
Il supremo lo interruppe sollevando una mano -risparmiami le scuse e le palle. Non funzioneranno, so tutto quanto, se vuoi ti faccio anche ascoltare le registrazioni. Andiamo dritti al punto- gli indicò nuovamente la sedia. Lovino questa volta si sedette -hai due alternative. Anzi, tre- si versò un caffé e rigirò il cucchiaino all'interno della tazzina. Secondo Lovino definire quel coso caffé era un'esagerazione, ma non era il momento delle sue polemiche culinarie -prima opzione. Dici ai tuoi compagni che so, tenti di scappare, noi ti prendiamo, ti torturiamo fino a farti dire dov'è la loro base e li bombardiamo a tappeto sterminandoli- Lovino deglutì -due. Non dici niente, loro vengono qui, noi li prendiamo, li torturiamo fino a farci dire dov'è la loro base e li bombardiamo a tappeto sterminandoli. Oppure...
-voi mi torturate ora, vi fate dire dov'è la loro base e li bombardate a tappeto sterminandoli?
-no- il suo sorriso si affilò -collabori, fai venire qui le persone che vuoi salvare, noi li risparmiamo, tu ci dici dov'è la base e li bombardiamo a tappeto sterminandoli, ma le persone che ami restano in vita.
-non ho molta scelta. Peccato che non sappia dove sia la base
Sadiq sembrò soddisfatto -si può chiedere a qualcuno dei tuoi amichetti.
-ma non hai considerato un'altra opzione.
Il supremo sembrò interessato e un po' stupito, come se avesse sentito dire qualcosa di intelligente a un bambino sciocco -cioé?
-dico loro di annullare tutto e mi suicido.
-e noi triplichiamo le difese e le ricerche, prima o poi ne becchiamo uno e...
-lo torturate, vi fate dire dov'è la loro base e li bombardate a tappeto sterminandoli- concluse Lovino, roteando gli occhi.
-esattamente. Il modo migliore che hai per salvare le persone che ami è...
-collaborare, ho capito- roteò gli occhi. Si mise seduto dritto e sorrise. Un sorriso furbo, quasi malizioso, che tutto era tranne suo -ce ne hai messo di tempo per chiedermelo- si stiracchiò e si mise seduto più comodo, ed ebbe persino la tentazione di posare i piedi sul tavolo -mi stavo giusto chiedendo cosa dovessi fare per attirare la tua attenzione. Fare esplodere qualcuno al centro della cittadella?- scherzò, con tono mellinfluo.
Sadiq inarcò un sopracciglio, divertito -che intendi?
-che ti sto servendo i ribelli su un piatto d'argento, e tu ci hai messo una vita a dirmi qualcosa- roteò gli occhi, come a dire "che stupido".
-e perché lo faresti?- assottigliò gli occhi, sempre più divertito -mi faresti uccidere tuo nonno e tuo fratello così, ingannandoli?
-il vecchio non ha fatto niente per anni e mi ha lasciato in una cella di merda a marcire- replicò -e mio fratello...- rise. Una risata amara, con una nota di sadismo -tutti hanno sempre preferito lui a me. "Feliciano è più simpatico, Feliciano è più tranquillo, Feliciano è più bravo. Dovresti essere più come lui". Mi sono rotto i coglioni, sinceramente- si incupì -lo odio. Lo odio così tanto. Perché deve essere migliore di me, eh? Che cazzo ha fatto per meritarselo? Voglio dimostrare al mondo che alla fine sono io il fratello migliore, non quel cretino.
Il supremo sembrava sempre più interessato -e Antonio?
Lovino alzò le spalle -chissene fotte. È stato un idiota a fidarsi di me. Avrebbe dovuto fare come tutti e scegliere Feliciano. Ha deciso di fidarsi di me, sono cazzi suoi.
-e João? È d'accordo?
Alzò di nuovo le spalle -cosa vuoi che gliene freghi? Non lo vede da anni, è praticamente uno sconosciuto.
Sadiq scosse la testa -dalle registrazioni non mi sembrava così.
Lovino si sporse verso di lui, appoggiandosi al tavolo -e a te frega qualcosa di quel che pensa João? Pensaci. Pensa a noi due, insieme. Siamo invulnerabili, cazzo. Immagina che cosa potremmo fare. Tu governi il mondo, io posso distruggerlo. Potremmo diventare delle cazzo di divinità. Potrei uccidere tutti quello che ti vanno contro senza neanche toccarli. Nessuno oserebbe dirti qualcosa, perché saprebbero che ci sono io dalla tua parte, e persino quelle poche ribellioni che ci sono verrebbero soffocate subito, prima ancora di avvicinarsi a te. Immagina- gli sorrise -ti sto anche portando in dono dei ribelli, tra cui la mia stessa famiglia- pronunciò la parola con disgusto. Allargò le braccia -cos'altro vuoi di più?
-potevi dirmelo subito, invece di tirarla per le lunghe così. Tanto sapevi che ti avremmo beccato.
Lovino si guardò le unghie, annoiato -volevo vedere se le tue difese erano buone- lo guardò di sbiecò, dietro la cortina di capelli che gli erano caduti sul viso -io mi devo meritare di lavorare con te, e direi che me lo sono ampiamente meritato, ma anche tu ti devi meritare che io lavori con te. E, da quel che ho visto, lo stai facendo.
Sadiq rimase in silenzio per qualche minuto. Lovino si mostrò rilassato, ma sentiva il cuore gli batteva contro lo sterno. Alla fine il supremo si alzò.
-mi hai convinto. Dopo ne riparliamo. Ora ho da fare- e se ne andò.
Lovino sospirò di sollievo.
Cazzo.

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Capitolo 29
*** Capitolo ventotto ***


E così, due giorni dopo, Hercules partì per andare al Punto Omega. Guardò la sua macchina, che era stata minuziosamente controllata da alcuni soldati, così come il suo zaino e lui stesso. Prima di salire puntò lo sguardo su Lovino -sei sicuro di quello che stai facendo?
Quello annuì -vai.
Hercules annuì a sua volta, guardò male Sadiq e salì in macchina. Mise in moto e si avviò verso il posto, quelle fognature dove aveva lasciato Lovino qualche tempo prima.
Dopo un po' si mise a canticchiare una canzoncina. Ridacchiò, che idioti. Poi sospirò. Ah, Sadiq era così stupido. Cos'era questa fissa che avevano tutti per il loro orgoglio? Perché smaniavano tutti per essere degli eroi?
Forse questi pensieri vi sembrano senza senso; anzi, di sicuro è così. Vi chiedo solo un attimo di pazienza: tra un po' tutto vi sarà chiaro.
Per ora vi basti sapere che era arrivato a destinazione. Scese e divenne invisibile. Guardò il ragazzo, ora visibile ai suoi occhi, che lo studiava attentamente.
-ciao- salutò -Gilbert, giusto?
-già. Sali, sbrigati- salì sulla propria macchina e aspettò che lui facesse lo stesso, poi partì in quarta, lasciando indietro l'auto di Hercules.
-peccato- mormorò, guardandosi indietro -mi ci ero affezionato.
Gilbert non disse niente, ma accelerò. Hercules si prese qualche minuto per studiarlo, in silenzio. Gli piaceva capire chi avesse davanti.
-per chi sei preoccupato?- gli chiese di punto in bianco, distruggendo quell'ostinata assenza di suono.
Gilbert lo guardò di sbieco -che ne sai che sono preoccupato?
-è per tuo fratello?- domandò ancora, ignorandolo -sta bene?
-fisicamente sì- rispose -ma emotivamente...
-bene. Mi basta la parte fisica. Il resto non mi importa.
-ma... ma cosa... perché ti interessa?
-no spoiler- rispose, puntando lo sguardo fuori dal finestrino -non ci vedono?
-no, ma ci sentono- replicò piccato.
-chi ha scelto Romolo per andare alla capitale?
-me e altri due ragazzi.
-chi?
-Eliza e Berwald.
Per un po' ci fu ancora il silenzio. Poi Hercules finì di analizzare le sue parole.
-sei innamorato di questa Eliza- la sua non era una domanda. Gilbert sospirò, passandosi una mano tra i capelli bianchi. Abbozzò un sorriso, un po' triste -come l'hai capito?
-non sembri contento che lei venga con voi. Sei preoccupato per lei quanto per tuo fratello. Quindi o è tua parente, ma Lovino mi ha detto di no, o sei innamorato di lei.
-potremmo anche solo essere amici. Che ne sai che c'è di più?
-me l'hai appena confermato tu- rispose. Gilbert sbuffò una risata amara come un pugno allo stomaco.
-mi hai fregato. Disonore a te e alla tua mucca.
-non ho una mucca.
-era una...- sospirò -lascia perdere.
-quindi siete fidanzati?
Gilbert sbuffò -magari. Flirtiamo e basta. O almeno, io flirto, lei credo che mi prenda semplicemente in giro.
Hercules rimase in silenzio un altro po'.
-perché non l'hai detto a nessuno?
-che ne sai che non l'ho detto a nessuno?
-da come ne parli. Sembra che tu stia confessando il tuo più grande segreto.
Gilbert sbuffò -è che...- sospirò, cercando di riordinare quello che provava in parole e segni di punteggiatura. Una virgola di qua, un verbo di là, ma ancora non riusciva a rendere l'idea -è la prima volta che mi sento così. Se ne parlassi con Fran e Tonio...- Hercules li conosceva solo di nome, ma non lo interruppe -diventerebbe strano. Andrebbe allo stesso livello delle storie che ho avuto prima, ma non... non è allo stesso livello. È... strano.
-mh- fu il suo commento. Ah, gli amori giovanili... -e lei ti ricambia?
-no.
Bom, così. Risposta secca, sicura, scientifica.
-non ne sarei così sicuro. I sentimenti non sono un problema di matematica. Non c'è una risposta giusta o sbagliata.
-se mi odia mi odia, non è che ci siano sfumature o alternative.
-sei passato dal dire che non ti ama al dire che ti odia.
-se mi odia non mi ama.
-la distinzione non è sempre così netta. Secondo me ti stai demoralizzando e basta. Pensare positivo fa bene ogni tanto.
-certo. Così quando vieni deluso soffri due volte.
Hercules alzò le spalle -fai un po' come ti pare.
-e tu? Qualche storia d'amore?- non è che gli importasse, voleva solo cambiare argomento.
Hercules tenne lo sguardo fuori, nel buio, improvvisamente più triste -penso di rientrare in uno di quei casi in chi tra amore e odio la differenza è nulla.
-verso chi?- indagò Gilbert. Lo guardò storto -Lovino?
-eh? No no. Lovino è simpatico, andiamo d'accordo, ma niente di più.
-simpatico...- alzò le spalle -non l'avrei messa così, ma va bene. Allora chi?
-non è importante- replicò -si è messo in testa di allontanarmi per proteggermi, credo, quindi ora fa lo stronzo per farsi odiare.
-e funziona? Tu lo odi?
-non lo so. Gli voglio bene, forse lo amo. Ma al tempo stesso lo odio. Certe sfumature sono difficili da cogliere e da interpretare.
-mh. Siamo quasi arrivati.
-va bene.

Francis stava ripassando il suo discorso da almeno un'ora. E Arthur si stava stancando di essere ignorato.
-si può sapere cos'è che ti ansia tanto?
-è una cosa importante!- Francis risistemò i fogli per la quinta volta in venti minuti -devo incitare la gente alla rivolta. Non è mica semplice.
-sei francese. Non dovresti avere problemi.
Francis assottigliò lo sguardo -era un complimento o un insulto?
-era più un modo per dirti di stare tranquillo- replicò Arthur, avvolgendogli un braccio intorno alla vita per attirarlo a sé. Lo baciò sulla tempia.
Quello sospirò, appoggiandosi a lui -è che... sì insomma, è una grande responsabilità.
-lo so. Non preoccuparti, io e i ragazzi saremo lì a darti sostegno. Alfred sta preparando il tifo quasi con lo stesso impegno con cui tu stai preparando il discorso.
Francis sbuffò una risata e lo baciò sulla guancia -merci, mon amour.
Antonio sbucò dalla porta -è arrivato- sembrava decisamente su di giri. Non guardò neanche male Arthur: corse via e basta.
-che gli prende? Ha fumato qualcosa di strano?
-è agitato perché tra poco rivedrà Lovino- spiegò Francis, osservando il punto dove poco prima c'era l'amico -devo ricordare a Gilbert di tenerlo lontano dalla macchinetta del caffé. Ci manca che prenda della caffeina...
Arthur gli prese la mano -andiamo?
Francis gliela strinse, inspirando profondamente -andiamo.

-tieni- Hercules estrasse la lettera di Lovino dallo zaino e la mise sulla scrivania. Romolo la lesse attentamente, poi lo guardò.
-queste sono stronzate. Non le ha scritte mio nipote.
-vedo che ci arrivi- prese un accendino dalla tasca e si riprese la lettera. Passò la fiamma sotto il foglioz finché il vero testo, scritto con del succo di limone, non venne fuori -ci tenevano d'occhio- spiegò, passandoglielo -non potevamo rischiare.
Romolo annuì, leggendo il vero testo. Circa a metà scosse la testa -non se ne parla neanche.
Hercules tranne un sorriso. Lovino lo aveva avvertito che sarebbe andata a finire così -è importante. Fondamentale.
-non manderò due ragazzini...
-devi. O moriremo tutti.
-avevamo detto non più di...
-erano bugie. Ci sentivano. Questo- indicò il foglio -è il vero piano.
-non metterò a rischio...
-tuo nipote? Hai già messo a rischio l'altro. Cos'è, Lovino vale meno?
-è proprio perché uno è già in pericolo che voglio che almeno l'altro stia al sicuro.
-sì ma questa è guerra. Metti un attimo da parte il tuo ruolo di genitore e fa' la cosa giusta.
Romolo rimase in silenzio. Poi sbuffò -e va bene. Ma che non gli succeda niente.
Hercules cercò di restare serio -certo.
Romolo sembrò addolcirsi un pochettino -e comunque è bello rivederti.
-anche per me.
-ma se succede qualcosa ai miei nipoti per colpa mia...
-sì, sì.

Quando lo venne a sapere, Feliciano si mise a saltellare per la felicità. Poi tornò serio, ma aveva ancora un'ombra di sorriso sulla bocca.
-devi stare attento- si raccomandò Romolo.
-certo.
-non fare cagate.
-ovvio.
-non buttarti nella mischia.
-sì.
Vedendo che le cose stavano andando per le lunghe, Hercules alzò i tacchi e andò dal ragazzo che doveva fare il discorso, che se n'era rimasto in un angolo a leggere alcuni fogli -ciao. Forse è il caso che ti spieghi come funziona, che ne dici?- quello annuì, infilandosi i fogli in tasca -ottimo. Dunque... io mi addormento, e mentre sono a metà tra il sonno e la veglia, quindi in pochi minuti, tu mi leggi ad alta voce il tuo discorso e io trasmetto la tua voce a tutti coloro che adesso stanno dormendo. Semplice, no? Devi solo leggere.
Annuì ancora, nervoso -va bene.
-okay. Andiamo allora- e uscì dalla stanza, lasciandosi guidare verso la camera che avrebbero usato. Lì c'erano altri due ragazzi, identici tra loro, ma non indagò sulla loro presenza. Si sdraiò sul letto e chiuse gli occhi -comincia tra... uhm... due o tre minuti direi.
E, in effetti, in pochi minuti sembrò addormentarsi. Francis inspirò profondamente, si sedette affianco a lui, strinse la mano ad Arthur e si schiarì la voce.
Poi una fitta improvvisa di mal di testa lo fece crollare a terra, semi svenuto.
-Francis!- Arthur si fiondò al suo fianco. Gli toccò la fronte: scottava -fuck! Alfred, aiutami a portarlo in infermeria.
-ma il discorso...- protestò debolmente quello. Arthur lo incenerì con lo sguardo.
-me ne fotto del discorso. Sta male cazzo!- a quel punto il ragazzo fece come gli era stato ordinato e aiutò il fratello a portare, il più delicatamente possibile, Francis in infermeria.
E fu così che Matthew rimase da solo.
Dovete sapere una cosa su di lui: soffriva di ansia, ansia sociale. Brutta anche. Il solo pensiero di interagire con qualcuno di diverso dai suoi fratelli lo mandava nel panico, per non parlare dell'idea di parlare in pubblico... e comunque anche con i suoi fratelli era piuttosto silenzioso. Francis era l'unico che era riuscito a farlo aprire. Per Matthew era un fratello maggiore tanto quanto Arthur, si era fatto persino insegnare il francese. Aveva passato gli ultimi anni con lui, che lo consolava quando aveva gli attacchi d'ansia e gli sussurrava che andava tutto bene, canticchiandogli qualche ninna nanna in francese. Sapeva della sua malattia, ma non lo aveva detto a nessuno. Un po' perché non era compito suo parlarne, e un po' perché... be'... a chi avrebbe potuto dirlo?
"Ah, mon petit" gli aveva detto una volta Francis, accarezzandogli i capelli mentre lui singhiozzava "non devi piangere al mio funerale, non serve. Lo so già che mi vuoi bene. Non voglio un funerale sfarzoso, né grandi elogi. Cioé, se me li fate mica mi offendo, ma in vent'anni cosa mai avrò fatto per meritarmi un elogio? "Era troppo giovane", diranno, lo so. A quelli rispondi "lo so. Eppure se n'è andato, perché non avete fatto niente per salvare quel bambino chiuso in quella stanza. Eravate voi gli adulti. Voi dovevate fare qualcosa, e non piangere sulla sua tomba". Ah, mon cher Mathieu, non fare così. Te l'ho detto, non serve piangere. L'unica cosa che spero è che la mia morte serva a qualcosa, anche se avrei voluto che la mia vita fosse utile a qualcosa di più che soffire e a far soffrire".
Il ragazzo abbassò lo sguardo sui fogli del discorso di Francis, sparsi a terra.
Quella per Francis era l'occasione che tanto aveva atteso per poter essere ricordato per qualcosa di più che per essere morto.
Raccolse i fogli e li riordinò velocemente. Si sedette dove in teoria ci doveva essere Francis e cominciò a leggere, con voce ferma nonostante il cuore gli stesse sbattendo così forte contro la cassa toracica che gli sembrava di sentire le costole tremare.
-buonasera a tutti, miei cari amici. Mi chiamo Francis Bonnefoy. Mi dispiace di avervi strappato dai vostri sogni, spero piacevoli, ma mi sento obbligato a porvi una domanda fondamentale, visto che a quanto pare da soli non riuscite a pensarci, o forse fate finta di non chiedervelo. Lo capisco eh, avete gli affari vostri a cui pensare, ma sapete... ogni tanto pensare oltre dai propri interessi personali fa bene- fece una pausa per girare pagina -la mia domanda è la seguente: cos'ha fatto la Restaurazione per voi? Vi ha promesso prosperità economica, rigore, e in cambio della vostra fiducia vi ha dato povertà, distruzione e morte. Ha preso i vostri sogni, li ha stracciati e li ha usati come proiettili per uccidere i vostri figli. Ha preso quel che siete, la vostra identità, la vostra cultura, e li ha resi cenere da cui coltivare qualcosa di buono per loro, del materiale per le fabbriche dove vi sfruttano magari. E voi glielo avete permesso. Se anche a votarli sono stati i vostri genitori, o persino i vostri nonni, voi comunque continuate a dargli il permesso di fare quel che vogliono ogni giorno. Quando vi svegliate la mattina, indossate i vestiti che vi hanno detto di mettervi, uscite con il tesserino che vi hanno ordinato di mostrare e diventare un numero. In questo vi ha trasformato la Restaurazione: numeri su tesserine. E voi lì, obbedienti, come cani spaventati dalle punizioni del padrone, vi siete dimenticati delle questioni reali, del potere che avete. Avete dimenticato che siete voi ad aver dato loro il potere. Che siete voi a darglielo ogni giorno. Come un gregge di pecore, che non sa di essere alla base della vita del suo padrone, vi siete fatti comandare a bacchetta, e vi siete girati dall'altra parte davanti a tutte le ingiustizie, a tutte le cose sbagliate, perché non erano problemi vostri. Vi siete spaventati di fronte alle armi che voi avete dato loro, avete dimenticato che in ogni momento avreste potuto ribellarvi, dire di no, ma non lo avete fatto perché non vi riguardava. Perché avevate paura del mostro che voi avete creato. Ma sapete una cosa? C'è chi ha detto basta. Noi siamo un gruppo di ribelli. Domani apriremo le porte della capitale, e se sarete con noi creeremo un mondo migliore. Una democrazia... vi ricordate questa parola? Ha un suono dolcissimo, non credete? Se anche voi volete la libertà, l'uguaglianza e la fratellanza, tutte quelle cose che avete dimenticato, unitevi a noi. Per quelli che possono venire: la capitale è la vecchia Cartagine, a queste coordinate- snocciolò un paio di numeri -per chi non può, non preoccupatevi. Potete ribellarvi sempre: non lavorate, date fuoco a quei tesserini, siate più che semplici numeri su dei rettangoli di plastica. Siate persone- fece una pausa ad effetto, come indicato sul foglio -tra due giorni, all'alba, noi abbatteremo la Restaurazione. Sta a voi decidere come sarà il mondo dopo.

Dopo qualche minuto, Hercules si svegliò, trovandosi davanti un Matthew in pieno attacco di panico, seduto a terra con le ginocchia al petto. Si sedette al suo fianco.
-sei andato bene- disse solo, senza toccarlo. Matthew sollevò lo sguardo su di lui, con gli occhi rossi -d-davvero?
Hercules annuì -lo hai reso fiero sicuramente- si rialzò e controllò l'orologio -devo mandare di nuovo il messaggio tra poco, sai... il fuso orario. Non penso che mi risveglierò prima di domani, ma ci tenevo a farti i complimenti- gli diede una pacca sulla spalla, si alzò e tornò sul letto, riaddormentandosi in pochi secondi.
Matthew tirò su con il naso, si asciugò gli occhi con la manica della felpa e si alzò, ritrovata un po' di calma. Doveva decisamente andare da Francis.

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Capitolo 30
*** Capitolo ventinove ***


Buonsalve miei cari amici! Come va? Questo è un capitolo abbastanza corto e di transizione, ve lo dico, ma spero vi piaccia!
(Tanto per la cronaca, sto scrivendo l'epilogo di questa storia. Sta venendo una cosa abnorme, mi sa che dovrò dividerlo in più parti. COMUNQUE. Vi lascio alla storia)

-non posso.
-non è che non puoi. Devi.
-devo stare accanto a Francis. Questa è l'unica cosa che devo fare.
Romolo sospirò, stanco -senti, lo so che sei preoccupato e che vuoi stargli accanto più tempo possibile, lo capisco. Ma vuoi davvero che anni e anni di lotta, anche da parte sua, finiscano nel cesso per questo? Ci servi.
-perché? Se avete bisogno di qualcuno bravo a menare le mani mandate Eliza. O Gilbert. O chiunque altro.
-loro due vanno già. Lovino ha chiesto esplicitamente di te, ha detto che gli serve il tuo potere.
-una memoria fotografica perfetta? A che cazzo gli serve?
Romolo allargò le braccia, con aria sconfitta -ne so quanto te. Questo mi ha scritto. Ambasciator non porta pena. Mi ha detto di fidarmi e ci sto provando, e non sai quanto sia difficile per me non poter fare nient'altro che sperare.
-mi dispiace, davvero. Ma non...
-senti, parlane con Francis, va bene? Poi mi dici.
Arthur sospirò -e va bene. Ma lo faccio solo per quello che hai fatto per noi, e perché non ho voglia di subirmi una scenata di Francis perché "non ascolto la sua opinione".
Romolo abbozzò un sorriso -bravo, ragazzo- gli diede una pacca paterna sulle spalle e poi se ne andò, con le spalle chine per la stanchezza. Arthur si prese qualche secondo per osservare la sua figura, e in quel momento si rese conto di quanto Romolo fosse vecchio. Poi si girò e rientrò nell'infermeria.
Non appena ebbe rimesso piede nella stanza di Francis, qualcosa lo colpì dritto in faccia -ahia. Ma cosa...
-se mandi tutto a puttane per me, giuro che ti strappo i coglioni con le mie mani- chiarì Francis, con un altro cuscino in mano, pronto a lanciarglielo.
-lo faccio per te- si difese, avvicinandosi al letto. Francis sembrò prendere la mira.
-no. Lo fai per te, perché non vuoi rimpianti- continuando a guardarlo ostinatamente negli occhi, si rivolse ai due ragazzini -mes petits, potreste lasciarci soli due minuti?
Quando Alfred e un Matthew più pallido del solito furono usciti, tornò a parlare
-hai sentito cosa ha fatto mon petit Matieu. Sai benissimo quanta fatica gli è costato. Non ti permetterò di rendere vano tutto quanto usandomi come scusa.
Arthur esitò -ma...
-ma niente- posò il cuscino e allungò la mano per accarezzargli il viso. Arthur chiuse gli occhi, rilassandosi al suo tocco e godendosi le sue dita morbide sulle guance -vai. Fallo per me, mon cher. E per Matieu. E per Alfred. E per tutti quanti.
L'inglese sbuffò, stringendogli la mano -va bene, darling. Ma poi non dire che ti trascuro.
Francis sorrise, posandogli il pollice sulle labbra -non lo farò, ma solo per questa volta. Non sei mica autorizzato a trascurarmi, eh!- Arthur gli baciò il dito -ora tu mi bacerai. Poi andrai da Romolo, gli chiederai scusa per averlo fatto aspettare e poi gli dirai che vai con loro e farai quel che dovrai fare.
Arthur annuì, con un sorriso ironico -okay, my sweet drama queen.
Francis fece una smorfia infastidita -sai che non parlo quella lingua da bifolchi.
-e tu sai che non capisco quella lingua da fighette che è il francese, ma la usi comunque.
-dettagli. Io posso.
-as you want, my sweet lady, queen of my whole life and heart.
Francis lo guardò male -non sono una lady.
-quindi mi capisci.
-no- roteò gli occhi -ma lady e lord so cosa significa. E sono un maschio, grazie tante.
-davvero? A volte non mi sembra proprio- rise alla sua occhiataccia -sorry, my one and only love- si chinò a baciarlo, dolcemente. Il francese gli gettò le braccia al collo, stringendolo a sé, ed entrambi cercarono di memorizzare il più possibile quella sensazione di pace che gli dava l'altro.
-je suis désolé, mon doux amour- sussurrò, abbracciandolo -même di je suis parti, tu vas me manquer.
-non ti capisco- mormorò Arthur contro i suoi capelli, che profumavano di limone e lavanda.
-lo so. Non voglio che tu capisca.
Arthur sospirò -dai, dimmi che cosa hai detto.
Francis ridacchiò e lo baciò sulla guancia -torna da me e te lo dirò, mon lapin.
Arthur roteò gli occhi -va bene, you fucking lovely idiot- lo baciò, e per qualche secondo tutto fu perfetto. Poi il francese lo allontanò da sé, con dolcezza e un sorriso un po' triste.
-ora v...
-non ti ho mai raccontato di Allistor- lo interruppe Arthur, che non voleva andarsene. Tanto l'attacco sarebbe stato qualche ora dopo, no? Tossicchiò -mio... mio fratello maggiore.
Francis gli accarezzò la guancia -perché ora vuoi?
-perché potrebbe essere l'ultima volta che ti vedo- rispose, secco -sarò egoista, ma non voglio rimpianti né segreti.
Il viso di Francis si addolcì. Lo baciò sulla fronte -va bene, mon cher. Raccontami tutto quello che vuoi.
Arthur inspirò profondamente. In realtà non aveva intenzione di raccontargli nulla, ma ormai aveva parlato e doveva finire. Da dove cominciare? Espirò una risata -io e Allistor... ci odiavamo. Da fratelli, ma ci odiavamo- gli strinse la mano, concentrandosi sugli intrecci delle sue vene azzurrognole sulla sua pelle chiara -lui... faceva sempre lo sbruffone, e diceva di essere migliore di me, e forse lo era davvero, e io odiavo il fatto che potesse stare alzato fino a tardi mentre io no, e odiavo che si atteggiasse come se fosse migliore di me, ma allo stesso tempo era il mio eroe.
-mi ricordate tu e Alfred- commentò Francis, con un sorriso. Arthur sbuffò una risata.
-io non sono l'eroe di nessuno, tanto meno di Alfred. Lui è l'eroe di sé stesso.
-io non ne sarei così sicuro.
-comunque, nostra madre era sola. Noi eravamo tutti figli di padri diversi...
-e questo spiega tante cose.
-...perché nostra madre aveva la tendenza a innamorarsi intensamente per poi lasciare perdere in fretta. Ho altri fratelli, in realtà, ma sono andati per la loro strada. Quando lei morì, Allistor, che era il più grande, decise di prendersi cura di noi tre, che all'epoca che eravamo bambini. Questo lo rese ancora di più un eroe ai miei occhi, ma al tempo stesso odiavo che si sforzasse così tanto per darci da mangiare e che rifiutasse ogni tipo di aiuto. Non so dove trovasse i soldi, un po' rubava e un po' faceva dei lavori che non so quanto fossero legali, fatto sta che andammo avanti un bel po', finché la situazione non divenne insostenibile. E lui, per sfamarci, dovette arruolarsi nell'esercito. Sai, hanno degli stipendi abbastanza buoni i soldati, e considerando che hai vitto e alloggio gratis la maggior parte dei soldi di solito li mandano alla famiglia, e così fece lui- non se n'era accorto, ma si era messo a sorridere, ripensando ai vecchi tempi -era riuscito a procurarci un piccolissimo monolocale per noi tre, e io rimasi lì per anni a crescere quelle due pesti. E poi...- si incupì -qualche anno fa, Alfred manifestò il suo potere, e lo stesso fece Matthew. Io sapevo già del mio, ma era semplice da nascondere. I loro... meno. Erano bambini, non sapevano che fare, e così siamo stati costretti a scappare per proteggerci, fino ad arrivare qui. Ma Allistor...- gli morì la voce. Francis gli accarezzò i capelli -lui... lo condannarono a morte pensando fosse coinvolto. Non c'entrava niente, ma lo uccisero uguale. Non penso neanche che avesse un potere, o se lo aveva lo teneva ben nascosto. E l'unico motivo per cui lo so è perché lo lessi su un giornale. La Restaurazione ne fece un elemento di propanganda, sai no... punisci uno, esempio per tutti, una cosa così. Disse che Allistor nascondeva delle persone dotate di poteri terribili, che erano state uccise, e che lui stesso stava tramando per abbattere lo stato. Tutte stronzate. Ad Allistor bastava un tetto sopra la testa e una fiaschetta di whisky per essere felice, altro che governi da abbattere- ormai stava sussurrando, a testa bassa -è morto pensando che ci avessero ucciso... è morto solo, lì, per colpa nostra- una lacrima, solitaria, gli corse lungo la guancia -per colpa mia.
Francis gli strinse la mano e allargò le braccia, invitandolo ad un abbraccio che l'inglese non rifiutò. Gli diede qualche pacca sulla spalla, stringendolo forte.
-sai...- sussurrò -non penso che abbia veramente creduto alla vostra morte. Secondo me lo sa che siete vivi. Ed è fiero di te- gli accarezzò i capelli, baciandolo sulla testa -è molto fiero di voi...
Arthur si allontanò da lui, asciugandosi distrattamente gli occhi -adesso vado.
-va bene, mon amour- gli accarezzò la guancia -torna da me.
Lo osservò uscire, e si sforzò di sorridere, per dargli un'ultima bell'immagine di sé. Poi, rimasto solo, sospirò, con lo sguardo puntato sulla flebo.
Chissà se lo avrebbe rivisto prima della fine.

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Capitolo 31
*** Capitolo trenta ***


Feliciano non stava più nella pelle. Fu il primo ad arrivare nel garage dove c'era la macchina di Gilbert, con suo nonno al seguito.
-non fare stronzate.
-sì nonno- il ragazzino si guardò intorno. Quel pickup l'aveva vista solo da fuori, e si sporse a guardare l'interno dei finestrini, curioso. Non vedeva l'ora!
-stai attento.
-sì nonno- ma quando arrivavano gli altri? Non stava più nella pelle!
Romolo lo afferrò per il colletto della maglia -pischellè, damme retta o te chiudo in canera e nun te lascio uscì fino alla maggiore età.
-scusa nonno, è che sono così emozionato!
Capendo che non sarebbe riuscito a cavare un ragno dal buco, Romolo sospirò e gli spettinò i capelli -rimani concentrato.
-certo.
Il primo ad arrivare fu Ludwig. Feliciano gli saltò al collo, abbracciandolo -finalmente usciamo Luddi! Non sei contento? Rivedrò il fratellone!
-uhm, sì- leggermente a disagio, lo strinse dandogli qualche pacca sulla spalla. Feliciano rise e lo baciò sulla guancia.
-sei carino quando sei imbarazzato- tecnicamente non avevano ancora del tutto chiarito, fatto pace, insomma mettetela come vi pare, ma ancora non erano tornati alla normalità. I due ragazzi si erano resi conto di aver trasformato una gocciolina in uno tsunami visto come avevano reagito, ma forse la cosa era stata inevitabile. Forse, aveva pensato Ludwig in quei giorni, il problema era ben più grande di quello. Forse Feliciano era semplicemente crollato, forse non lo amava più, forse lo voleva lasciare da tempo e aveva semplicemente colto la palla al balzo. Evidentemente non era riuscito a dimostrargli quanto lo amasse quanto avrebbe voluto, se Feliciano credeva di dargli fastidio. Evidentemente avrebbe dovuto dargli molte più attenzioni. Evidentemente...
Tuttavia, l'italiano era troppo su di giri per pensarci, e così lo abbracciava e lo baciava come sempre, senza preoccuparsene. Peccato che in questo modo il panico avesse colto l'occasione per assalire Ludwig, gettandolo nella confusione ancor più di quanto non ci fosse già immerso fino al collo.
Se non ci fosse stato suo nonno a osservarli, penso Ludwig, forse Feliciano lo avrebbe persino baciato sulla bocca, distratto com'era. Ma, evidentemente, trattenersi alla presenza di qualcun altro era diventato un istinto così radicato in lui che ormai neanche ci faceva caso. La cosa, per qualche motivo, cominciò a dargli fastidio.
Romolo inarcò un sopracciglio -Feli, c'è qualcosa che devi dirmi?
Il ragazzo sorrise al nonno, con aria innocente -no. Lo sai già che Luddi è il mio migliore amico, no?
Migliore amico, già. Il tedesco sentì una fitta allo stomaco, una sensazione sgradevole che gli serrò il fiato e gli fece aggrottare la fronte. Perché, poi? Gli aveva chiesto lui di tenere un profilo basso, e fino ad allora gli era sempre stato bene così. Le relazioni alla luce sono complicate, difficili, e a dirla tutta Ludwig non pensava che sarebbe stato in grado di affrontare il peso dell'odio che il mondo avrebbe riservato alle persone come lui, né tanto meno sarebbe stato in grado di sopportare che quel'odio fosse rivolto a Feliciano. In breve, più di tutto era la paura della reazione del resto del mondo a bloccarlo. Sentiva troppe storie di gente con la vita rovinata per chi amava o per il genere a cui sentiva di appartenere, e non voleva aggiungere il suo nome e soprattutto quello del suo ragazzo alla lista. Feliciano era troppo buono, troppo puro, troppo affettuoso per reggere certe cose, o almeno così credeva. Ma all'improvviso un nuovo pensiero si affacciò nella sua mente.
E sticazzi del resto del mondo.
Tutto quello cominciava a stargli stretto, si rese conto, e non capiva bene perché. Forse, si disse, è perché Feli è così carino con quel sorrisino da bambino e con quelle due fossette e ho così tanta tanta voglia di baciarlo e basta, e... e...
Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto da una forte manata sulla spalla e da una risata familiare.
-dai fratellino, su con la vita! Cos'è quel faccino triste? Sorridi, stiamo per diventare tutti degli eroi! Passeremo alla storia!
-se non falliamo- gli ricordò. Gilbert liquidò le sue proteste con un gesto della mano.
-sì sì, ma tanto con il magnifico me è impossibile perdere- mantenne la sua posa fiera per qualche secondo. Poi sembrò ricordarsi di una cosa -abbiamo mica un calmante?
-ti sei finalmente deciso a prenderne uno? Incredibile.
-ah ah.
-e comunque no, non giro con dei calmanti in tasca- inarcò un sopracciglio -perché, sei nervoso?
-io? Ma ti pare?- scosse la testa contrariato, come a dire "che razza di idee bislacche vengono ai giovani d'oggi". Indicò alle spalle di Ludwig -lui lo è.
Il biondo si girò, e fu stranamente stupito nel vedere Antonio dare avanti e indietro, nervoso, borbottando qualcosa a bassa voce. Sì insomma, nel trio di squinternati composto da suo fratello, Francis e lo spagnolo, quest'ultimo era l'unico un minimo tranquillo. Forse era dovuto al suo animo latino, ma in fondo Antonio era sempre lì, con un sorriso solare e l'espressione sempre un po' sognante, come se fosse perennemente immerso in una sottospecie di sonno cosciente. Vederlo così, agitato e impaziente, era strano, sbagliato, contro natura in qualche modo. Ludwig era cresciuto con lui, era parte della famiglia in fondo, ed era abituato a vederlo in una certa maniera. Il fatto che fosse così... spaventato, inquieto, umano, gli mise addosso una certa agitazione.
Sentì una mano gentile, dalle dita gentili e affusolate, intrecciarsi alla sua -Luddi? Tutto bene? Ti senti pallido?
-no, tranquillo- gli strinse la mano -sono solo un po'... nervoso, ecco- e non era del tutto sbagliato.
Feliciano, con un sorriso intenerito, gli stampò un bacio... sulla guancia. Spiacevole, in qualche modo, per quanto un bacio di Feliciano potesse esserlo.
-non preoccuparti, Luddi. Andrà tutto bene- sembrò pentirsi delle sue parole, e si coprì il cavallo dei pantaloni con la mano libera -ve, così porto sfiga.
Ludwig lo guardò, stranito -perché stai...- il pensiero, e lo sguardo, corsero alla mano dell'italiano, ancora lì. Distolse gli occhi, puntandoli al soffitto, e scosse la testa. No, non doveva pensare a quelle cose, tanto meno in quel momento. Feliciano era troppo puro, pensare a lui in certi modi gli dava la sensazione di essere sporco, indecente, un verme viscido e perverso, gli sembrava di compiere qualcosa di blasfemo.
In realtà Feliciano di innocente aveva solo l'atteggiamento, ma Ludwig avrebbe avuto tempo e modo di impararlo in futuro.
-ma dai, non ci sono e fate così i carini? Non è giusto- si lamentò Eliza, entrando nel garage, con il risultato di far arrossire violentemente il biondo. Feliciano, dal canto suo, immune a qualsiasi forma di imbarazzo, le sorrise angelicamente -non capisco di cosa tu stia parlando. Luddi è il mio migliore amico. Che c'è di strano se gli prendo la mano?
Altro colpo al cuore per Ludwig.
Eliza gli si avvicinò e gli strizzò le guance -ma come sei carino Feli! Non riesco a sbatterti in faccia la verità, mi sentirei troppo in colpa.
A quel gesto, tanto per la cronaca, entrambi i fratelli Beilschmidt sentirono una fitta di gelosia non indifferente dare loro i brividi, nonostante sapessero entrambi quanto fosse insensata.
Ma torniamo alla trama seria, che per i momenti pucciosi delle coppie abbiamo tutto il tempo del mondo.
-ci siete tutti- li chiamò Romolo, vedendo Arthur entrare. Sospirò -mi raccomando, state attenti. Sapete tutti cosa fare, vero?
Annuirono.
-bene. Allora buona fortuna, e vedete di tornarmi tutti interi.
Gilbert aprì l'auto -signori, benvenuti sulla Awesome Car.
Eliza si posò le mani sui fianchi, scettica -e le signore non le conti?
-perché, ce ne sono? Feliciano conta come ragazza? Non lo sapevo.
-ah ah, che simpatico- sbuffò e salì, sedendosi davanti -mi divertirò a darti il tormento per questo.
-che gioia.
Stavano stretti, detta francamente. Quella era una macchina grande, ma stavano comunque stretti. Feliciano, magrolino com'era, dovette fare molta attenzione a non venire schiacciato nelle curve.
Al suo fianco, Antonio teneva il suo zaino stretto tra le braccia, mentre si arrotolava e srotolava un pezzo di benda intorno al polso. Feliciano gli posò una mano sul braccio per attirare la sua attenzione.
-stai bene?
Antonio scrollò le spalle, poi annuì -sì, solo... sono un po' agitato- sulle labbra gli spuntò un sorriso -e non vedo l'ora di rivedere Lovi!
Feliciano ricambiò il sorriso -anch'io! Spero che vada tutto liscio...
Gilbert, collegato alla radio, fischiò -sentite qua. In Australia hanno fatto esplodere un magazzino della Restaurazione pieno zeppo di armi, mentre in Giappone si sono rifiutati tutti di andare a lavorare e si sono messi a protestare per le strade. Il discorso di Franny sta funzionando, a quanto pare.
Arthur grugnì in assenso, con un sorrisetto compiaciuto.
Eliza cercò di non mettersi ad urlare. Tra Ludwig che faceva il geloso (pensava davvero che non se ne fosse accorta?), Feliciano che si comportava da fidanzato senza dirlo ufficialmente, Arthur che si sforzava di nascondere quanto fosse fiero del suo ragazzo (e di suo fratello, ma lei non lo sapeva) e Antonio così emozionato all'idea di rivedere Lovino, non sapeva chi fosse peggio. Si prese il viso tra le mani, esasperata -gay ingenui...
Gilbert la guardò storta -di che parli?
Ah, giusto. C'era anche quel cretino da considerare. Di nuovo: pensava che non si fosse accorta della sua gelosia? Ingenuo (senza il gay in questo caso). Possibile che tra tutti dovesse finire con il più cretino, così cretino che neanche si accorgeva dei suoi segnali e faceva finta di niente?
Si lasciò sfuggire un sorriso, appoggiando la testa al sedile. Intrecciò le proprie mani, pensando al modo migliore per fare il primo passo, visto che quel pirla non si decideva. Sospirò.
-niente, niente.

Il viaggio fu insopportabilmente lungo e incredibilmente corto al tempo stesso. Da un lato, l'impazienza rallentò la corsa dei secondi, immerse le loro gambe nelle sabbie mobili, rilanciò indietro le lancette dell'orologio, rese il paesaggio insopportabilmente, tristemente monotono; dall'altro, l'ansia e la paura si scambiavano i minuti, giocandoci come se fossero delle palline da giocoliere, fecero scorrere i chilometri lungo le ruote della loro macchina, bevvero la benzina dal serbatoio, strapparono il ghiaccio dalle lancette dell'orologio.
In fin dei conti si compensarono, in un certo qual modo, ma da qui a dire che vissero il tempo normalmente la strada è lunga. Se fosse stato un viaggio normale, scendendo dall'auto Feliciano non avrebbe pensato "finalmente!" e "di già?" allo stesso tempo, non credete?
Gilbert puntò la torcia accesa sul soffitto e annuì -ci siamo, lì c'è la botola. L'hanno aperta per noi, kesesesese.
Eliza gli diede una gomitata -zitto, vuoi farti beccare?
-stai parlando anche tu!
La ragazza gli indicò la botola -sali e non rompere i coglioni.
-non prendo ordini da una don...- vedendola preparare il calcio, corse verso la scaletta -vado, vado subito!
Eliza sospirò, divertita -idiota.
Gilbert la ignorò e salì in cima alla scaletta fino alla botola.
Sbucò in superficie, e si ritrovò puntate contro un centinaio di fucili.
Deglutì -ragazzi... mi sa che abbiamo un problema.

-venite subito fuori, tutti e sei- ordinò una voce dall'alto, che decisamente non era quella di Gilbert -e tornate visibili, altrimenti faccio saltare la testa al vostro amico.
-ehm, ragazzi... non so voi ma ci tengo alla mia testa...- commentò lui, impallidito (per quanto un albino possa impallidire), rendendoli visibili.
-e allora levati dalla botola, così saliamo- ribatté Eliza, con una leggerissima nota di ansia nella voce.
Feliciano, in breve, andò nel panico. Il sangue gli si gelò nelle vene, il cuore gli si fermò, non riuscì più a muoversi, a ragionare, a respirare normalmente, a...
Ludwig, che di certo non impazziva all'idea di sapere che suo fratello aveva chissà quante armi puntate contro, gli diede un leggero colpetto sul fianco, tremante. Quella presa di coscienza, sapere che il suo ragazzo era persino più terrorizzato di lui ma comunque riusciva a muoversi, gli sbloccò i muscoli, spingendolo verso la scaletta.
Raggiunse la cima, con braccia e gambe che, stranamente, non tremavano.
La camera di suo fratello era grande, spaziosa ed elegante. I mobili pregiati e i tendaggi morbidi cozzavano prepotentemente con le decine di soldati con i fucili puntati contro di loro, che li scrutavano come se fossero chissà che mostri e non dei ragazzini spaventati.
Un uomo elegante quanto la camera alle sue spalle, l'unico disarmato, sorrise e allargò le braccia -benvenuti! Io sono il supremo, potete chiamarmi Sadiq. Lovino mi ha parlato tanto di voi.
Feliciano sentì un ringhio dietro di sé. Era Antonio, con i denti snudati e i pugni chiusi.
-che cazzo gli avete fatto, luridi...
Il supremo trattenne una risata -noi? Nulla. È lui che vi ha consegnati a noi, di sua spontanea volontà. È qui, se te lo stessi chiedendo- si girò verso i soldati -Lovino, caro, vieni fuori, forza.
Alla destra di Feliciano, i soldati si aprirono in due ale, lasciando un piccolo corridoio libero per far passare suo fratello, che se ne stava lì, con una smorfia infastidita, senza guardarli in faccia.
Stava bene. Questa fu la prima cosa che notò Antonio. La seconda fu la sua smorfia acida. La terza, e questa più che notarla la vide accadere davanti ai suoi occhi, fu l'espressione completamente neutra che fece quando si girò a guardarli, e il fatto che, più che guardare lui o Feliciano, si fosse rivolto verso Ludwig, Gilbert o Arthur.
-era proprio necessaria tutta questa manfrina?- chiese, raggiungendo Sadiq. Antonio aggrottò la fronte, Feliciano trattenne le lacrime, mentre gli altri si lasciarono andare ad espressioni ben più furiose, ma con decine di fucili puntati alla testa scelsero saggiamente di tacere.
Il supremo lo ignorò e lo indicò, guardando Antonio -visto? Neanche un graffio- sollevò il viso di Lovino verso di lui, stringendogli le guance -sano come un pesce.
Lovino si liberò dalla sua mano con una smorfia -non sono un fottutissimo animale da esposizione.
-oh, ma sei così carino- il supremo ghignò, e Antonio sentì le proprie mani prudere -comunque, finiamola qui con i convenevoli. In breve, il caro Lovino qui vi ha traditi ed è, come si suol dire, saltato sul carro dei vincitori- si gustò le loro espressioni di rabbia, terrore, confusione e tutta la compagnia delle emozioni migliori -fantastico- commentò, sfregandosi le mani tra loro. Si voltò verso Lovino -ora torturane uno, scegli tu quale, fatti dire la posizione esatta della base e poi uccidili tutti, non ci servono.
Lovino non si scompose.
-no.
Sadiq inarcò un sopracciglio, con il sorriso scomparso sul volto, forse non abituato al fatto che qualcuno potesse disobbedirgli -no? Me li servi su un piatto d'argento e poi mi dici di no? Volevi vederli morire con i tuoi occhi o no?
-falli pure fuori, non mi interessa. Ma non sono la tua cazzo di sedia elettrica.
Sadiq aggrottò la fronte -come, prego?
Lovino gli si avvicinò, guardandolo truce, con aria testarda, e cominciò a gesticolare, come sempre quando era nervoso o agitato o, soprattutto, arrabbiato.
-ho detto che non- rivolse le mani una verso l'altra, chiuse, e fece vorticare gli indici insieme, in una sorta di ruota -sono la tua- sollevò il palmo della mano destra e la sbatté contro il fianco della sinistra, con il pollice rivolto verso il basso -cazzo di- ripeté il gesto, creando un suono che scandiva ogni parola, interrompendo il silenzio. Feliciano aggrottò la fronte -sedia elettrica- e abbassò le mani.
I due si guardarono in cagnesco, nessuno osò fiatare. L'atmosfera divenne elettrica come la suddetta sedia.
Poi emerse una voce dal fondo
-signore, se posso permettermi vorrei proporle un'idea.
Antonio sentì le orecchie fischiare. Non ebbe bisogno di voltarsi a guardare il proprietario della voce per riconoscerlo. Quella voce era troppo simile alla sua, aveva un accento troppo familiare alle sue orecchie. Gli risvegliò un vecchio istinto naturale sepolto da anni, un legame che aveva avuto prima ancora di nascere, nel momento esatto in cui era diventato qualcosa di più di una cellula in attesa di essere qualcuno, e che le interferenze della radio, forse create a posta, avevano bloccato.
Sadiq si voltò verso il nuovo arrivato, che si era fatto strada in mezzo ai soldati oltre che al silenzio, e ignorò il verso stizzito di Lovino -e cosa proponi, Joāo?
-un'esecuzione pubblica, signore- il generale si sforzò di non guardare il gemello -non sono gli unici ribelli, e dopo quel messaggio è indubbio che altri abboccheranno a certe ideologie. Sta già succedendo, è inutile e stupido ignorarlo.
Sadiq tornò a sorridere, sadico -quindi proponi di punirne alcuni per ammonirli tutti? Mi piace- indicò con un cenno del mento i prigionieri -portateli nelle celle, io devo andare a organizzare le cose per l'esecu...
Feliciano si lasciò sfuggire un singhiozzo -fratellone... perché?
Il suo fu poco più di un sussurro. Una preghiera quasi, una richiesta di spiegazioni, di una ragione per cui sarebbe dovuto morire.
Finalmente Lovino lo guardò negli occhi.
-perché? Stai scherzando vero? Ti sei mai reso conto di quello che fai, di quello che hai sempre fatto da quando sei uscito dalla vagina di nostra madre?- gli uscì una risatina isterica -è sempre tutto un "Feliciano di qua, Feliciano di là...". La mia intera vita è sempre stata così, visto che non ricordo un momento in cui tu non ci sia stato a rompere i coglioni. Oh quanto è bravo Feliciano, oh quanto è carino Feliciano, dovresti essere più come tuo fratello Feliciano... e io? In una cella nel buco del culo del mondo a marcire- rise di nuovo. Una risata forzata, marcia fino al midollo -anche quando mi hanno rapito davanti ai suoi occhi, il nonno ha preferito te. Pensi davvero che gli ci sia voluto così tanto tempo per trovarmi? No, semplicemente non ne aveva voglia, perché tanto aveva Feliciano con lui, quindi andava bene così. Se avessero preso te, invece, aaa, lì sì che avrebbe scosso mari e monti per trovarti, altro che anni e anni!- gli tremò la voce per la rabbia. Scosse la testa -per una volta, una cazzo di volta, voglio essere io il fratello che ha vinto.
Una lacrima corse lungo la guancia del fratello minore. Ludwig stava per mollare tutto e saltare al collo di Lovino, ma poi si accorse di una cosa. Feliciano si stava mordendo l'interno delle guance, entrambe, come faceva sempre quando non doveva ridere. Era un dettaglio minuscolo, che solo lui, al suo fianco, avrebbe potuto notare, eppure lo mandò nella confusione più totale. Perché a Feliciano stava venendo da ridere?
-amo i drammi familiari- commentò Sadiq -ma si è fatta una certa ora- si rivolse a Joāo -perquisiscili e portali giù. Li voglio nella cella con più telecamere.
Joāo annuì -sissignore.
Fece per andarsene, poi sembrò ricordarsi di una cosa.
-ah, un'ultima faccenda...- si rivolse a Lovino -qual è quello che rende invisibile la gente?
Imbronciato, l'italiano indicò Gilbert con un cenno del mento. Il supremo lo scrutò, con quel sorriso freddo, mettendolo a disagio. Poi prese una pistola dalla tasca dell'impermeabile, gliela puntò contro e gli sparò alla gamba.

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Capitolo 32
*** Capitolo trentuno ***


La cella faceva schifo. Fredda, umida, sporca, decisamente troppo piccola per sette persone. E soprattutto non era minimamente adatta a curare un ferito.
Come tutti, Antonio fu perquisito e gli fu tolto il suo zaino, insieme a tutte le sue armi. Tuttavia, e per fortuna, gli lasciarono un kit di pronto soccorso per curare Gilbert, che non aveva fatto altro che imprecare e bestemmiare, mentre il sangue sgorgava dalla sua gamba. Era stato Ludwig a portarlo giù per scale fino alla cella, tenendolo sulle spalle il più delicatamente possibile, anche lui pallido, e Gilbert non aveva avuto la forza neanche di aggrapparsi per bene a lui. Era semplicemente rimasto lì, la gamba che sembrava lava pura per quanto bruciava e il resto del corpo sempre più freddo, lasciandosi andare contro la schiena del suo fratellino come un peso morto. Neanche la forza di farcela da solo... che delusione di fratello maggiore che era.
Per fortuna, si disse Antonio, un pregio di quelle celle c'era: erano luminose. Visto che, logicamente, i prigionieri li tieni d'occhio meglio alla luce del sole, avevano rinunciato all'aspetto da film scadente americano e avevano messo delle luci al led sui tetti, rendendo l'ambiente sì disgustoso, sì tremendo, sì lurido, ma almeno luminoso. Mettevano anche una certa ansia tutte quelle luci, ma per medicare qualcuno erano ottime.
E così, non appena erano arrivati, Antonio aveva fatto sdraiare Gilbert a terra e gli aveva scoperto la gamba, togliendo la fascia che gli aveva stretto per bloccare il sangue e quel che rimaneva della gamba dei pantaloni, il più delicatamente possibile visti i brandelli di tessuto incollati alla ferita. Imprecò.
-farà male.
-fa già male- replicò Gilbert, matido di sudore, la voce tremante e quasi stridula -datti una mossa, chissene fotte.
Antonio annuì. Si girò verso Eliza -tienilo sveglio.
La ragazza aggrottò la fronte. Le tremavano le mani e non riusciva a distogliere lo sguardo dalla ferita -p-perché io? Forse è meglio Lud...
-perché ha una fottussima cotta per te e ha bisogno di qualcosa di bello e tranquillizzante- la interruppe, esasperato, disinfettando le pinzette -quindi tienilo sveglio e non rompere i coglioni.
Lei annuì, con le mani che tremavano, sedendosi lì vicino e sistemandosi la testa del ferito in grembo, delicatamente. Quello gemette di dolore, con gli occhi socchiusi.
-e comunque non... non è vero che ho una cotta per te...- sussurrò. Eliza gli diede un leggero schiaffo sulla guancia.
-guardami- ordinò, ottenendo la sua attenzione -se chiudi gli occhi, ti uccido io con le mie mani.
-una morte m-migliore che finire dissanguato qui.
-non è vero- prese a giocherellare con i suoi capelli, nervosa -tieni gli occhi aperti cazzo. Guardami.
Gilbert si sforzò di obbedire.
Antonio, nel frattempo, aveva anestetizzato alla meglio la ferita, e ora stava rimuovendo con le pinzette i brandelli dei pantaloni. Per fortuna aveva la mano ferma.
-Ludwig- chiamò, togliendo l'ennesimo pezzo -stai fermo.
Il ragazzo, che per tutto quel tempo aveva camminato avanti e indietro per il nervoso, obbedì, sedendosi accanto a Feliciano, che stava osservando la scena senza neanche sbattere le palpebre, come se avesse paura di vederli scomparire davanti ai suoi occhi.
Arthur gli si sedette vicino -hai bisogno di una mano?
-passami il disinfettante- in effetti un infermiere non era male.
-Gilbert guardami. Se usciamo da qui, mi devi offrire una cena, chiaro?
-m-mi stai invitando a un a-appuntamento?
-sì. Ma devi uscire vivo da qui, e possibilmente non rimetterci una gamba. Ti voglio tutto intero.
-mi vuoi...-sussurrò, rapito, quasi sognante. Eliza roteò gli occhi, con un piccolo sorriso.
-sì, testa di cazzo. Però guardami.
-sei bellissima. Certo che ti guardò.
-bene, ora ti farà molto male Gil- si strappò una manica della felpa, la appallottolò e gliela mise in bocca -cerca di non urlare, e non morderti la lingua.
Gilbert strinse la mano a Eliza, pallido, e quella ricambiò la stretta.
Antonio posò la garza di disinfettante sulla ferita, e tutto quello divenne ancor più simile all'Inferno.

-Dios, per fortuna il proiettile non è rimasto dentro- commentò Antonio, sudato. Ridendo e scherzando, era la prima volta che operava qualcuno. Certo, non era la migliore delle situazioni e di sicuro Gilbert avrebbe avuto bisogno di altre cure, ma non era andata malissimo, almeno aveva smesso di sanguinare.
L'albino si lasciò aiutare da Eliza a mettersi seduto, e si asciugò il sudore dalla fronte con la manica della giacca.
-porca merda, che male- brontolò, appoggiandosi al muro.
-dovresti riposare.
-già, e noi non dovremmo essere in una cella di merda, ma guarda un po' la vita- sembrò ricordarsi di qualcosa. Diede un pugno all'amico -questo è per aver detto quella cosa. E questo- altro pugno -è per aver trattato male una signora. Credevo che voi latini foste dei donnaioli.
Antonio si massaggiò il braccio dolorante, con un sorriso divertito -e per averti salvato la vita niente?
-se vuoi un bacio basta chiedere- ghignò, e Antonio si ritrovò a sorridere. Se faceva battute stupide, stava bene.
-e comunque non è vero. Guarda me e Francis. Ti sembriamo dei donnaioli?
-degli uomaioli semmai- concordò Gilbert.
Eliza roteò gli occhi -se dici stronzate stai bene- stabilì. Gli porse dell'acqua -bevi.
-agli ordini, signora.
Ludwig, che non aveva ancora distolto lo sguardo da suo fratello, si azzardò a parlare -qualche idea per uscire da qui?
-ci tirerà fuori Lovi- dichiarò lo spagnolo, sistemando gli attrezzi nella scatolina bianca del pronto soccorso.
-"Lovi" ci ha traditi- il suo fu quasi un ringhio. Antonio roteò gli occhi.
-erano stronzate.
-te ne sei accorto anche tu?- pigolò Feliciano, con le ginocchia strette al petto -ha mentito. Deve avere qualcosa in mente.
-non per dire, ma siamo circondati da telecamere e microfoni...- intervenne Eliza.
-non credo ci siano microfoni- replicò Arthur -perché dovrebbe interessargli quel che diciamo? Tanto siamo bloccati qui e ci uccideranno domani. Tanto vale che parliamo del tempo.
-dite che ci tortureranno?- mormorò Gilbert, lugubre. Eliza gli diede un piccolo colpetto sulla spalla.
-non cominciare a deprimerti anche tu.
-vogliono sapere dov'è il Punto Omega- replicò, con una scrollata di spalle -è la cosa più semplice da fare, dal loro punto di vista. Si fanno dire dov'è, mandano due o tre aerei e bombardano tutto.
-be', ora preoccupiamoci di uscire. In caso o non gli diciamo niente o gli diamo delle coordinate sbagliate e fine.
-comunque, Lovino ci tirerà fuori- intervenne Feliciano. Replicò i gesti fatti dal fratello -questo- girò gli indici -significa "dopo", mentre questo- sbatté la mano sinistra contro il palmo della destra -significa "andatevene".
-cos'è, lingua dei segni?
Feliciano sbuffò, divertito -no. Sono i gesti italiani, praticamente l'unica cosa che hanno in comune nord e sud Italia. A differenza di quello che si pensa, i nostri gesti non sono a caso, e non abbiamo solo questo- sapete il solito gesto che associano agli italiani? Quello immediatamente seguito da "pizza pasta mandolino mafia". Dai, lo sapete, non devo descriverlo, su che non ne avete voglia, sapete che razza di casino è spiegarli?
-e poi- intervenne Antonio -ha mentito anche sul resto.
A Feliciano si illuminarono gli occhi -esatto! Non è vero che la gente preferisce me eccetera, è una cosa che si è inventato per essere più credibile.
Antonio rischiò di strozzarsi per le risate. Non poteva... no dai.
-davvero, Feli? Non dirmi che neanche te ne rendi conto, dai- gli ci volle un po' a smettere di ridere, a dirla tutta -Feli, tuo fratello ha quello che penso sia il più grande complesso di inferiorità che abbia mai visto, più grande persino di quello di Gil.
Il tedesco in questione gli diede una gomitata, ammonendolo sullo sguardo. Antonio roteò gli occhi -dai, Gil, è ora che crescano. Ma se non vuoi pensarci tu...- alzò le spalle -va bene, parliamo di Lovino- si girò verso Feliciano -tuo fratello si sente una merda in confronto a te. Quella parte lì era vera, anche se evidentemente non te n'eri accorto. E sì, tuo nonno fa delle preferenze mostruose, e dovrebbe decisamente smetterla. La bugia era la fine: Lovi non vuole essere migliore di te, pensa di non esserlo e fine, e ti vuole un bene dell'anima. Con l'autostima che ha, non gliene frega niente di dimostrarsi migliore di te o di "sconfiggerti": pensa veramente che tu sia meglio di lui in tutto.
Feliciano aggrottò la fronte -ma è...
-Antonio- lo chiamarono da fuori. Lo spagnolo si irrigidì, ma sospirò.
-ciao, fratellino.
-siamo gemelli- lo corresse istintivamente. Poi sembrò ricordarsi del motivo per cui era lì -devi andare in bagno, vero?
-a quanto pare- si alzò, con un sorriso affabile. Tranquillizzò i suoi amici con un cenno del capo e poi uscì, seguendo il fratello in bagno, scortato dalle guardie.
-lasciateci soli- abbaiò Joāo una volta in bagno, e quelli obbedirono. Non appena ebbe sentito la porta chiudersi dietro di lui, diede un pugno dritto in faccia a Joāo, facendolo sbattere contro il muro.
-ma che ti sei rincoglionito?!
-non me ne frega un cazzo se sei mio fratello- ringhiò, avvicinandosi -se fai del male a Lovi o ai miei amici io...
-sì sì, tutto molto bello- lo incenerì con lo sguardo... o almeno, con l'occhio buono, l'altro stava pulsando in maniera preoccupante -peccato che sia dalla vostra parte, stupido.
Antonio sbatté le palpebre -ma se hai proposto di...
-per evitare che vi uccidesse tutti sul momento- lo interruppe, rimettendosi dritto. Cercò qualcosa in tasca e tirò fuori il crocifisso di Antonio -il tuo ragazzo mi ha dato questo, se non ti fidassi.
Antonio lo prese e se lo rigirò tra le mani, riflettendo. Poi annuì -va bene. Dimmi.
-spogliati- ordinò, togliendosi la giacca.
-c... cosa?
-spogliati- ripeté, lanciandogli la sua maglietta -dobbiamo fare a cambio. E tra parentesi, siete fortunati che abbia intercettato le frequenze dei microfoni, o vi avrebbero beccati subito. Ora spogliati.
-ehm... va bene- si tolse la maglia e gliela passò -non dobbiamo scambiarci anche le mutande, vero?
Joāo aggrottò la fronte -ma che... no, certo che no!- sospirò -senti, l'idea è questa. Io entro nella cella al tuo posto e tu vai da Lovino.
-e questo... perché?- chiese, cercando di pensare razionalmente. Stava per rivedere Lovino, da soli...
Concentrazione!
-lo vedrai. Io ho da fare con i tuoi amichetti, spero mi diano retta- rivestito, si sciolse il suo solito codino e gli porse il nastro rosso che usava di solito -sai come si fa, vero?
-ehm...
Sbuffò, divertito -girati, ci penso io.
Le sue mani erano gentili, in qualche modo, ma anche rapide. Antonio trattenne una smorfia, gli davano fastidio i capelli legati. Era per quello che di solito li tag...
-aah. Per questo Lovino mi ha detto di farli crescere- capì, mentre quello finiva il fiocco.
-già.
-mi sembrava strano. Mi ripete sempre di tagliarli.
-lavati le mani, sono sporche di sangue secco- gli ricordò Joāo. Antonio obbedì, e sentì un leggero senso di colpa pungolargli il cervello.
-ehm... scusa per il pugno.
Joāo grugnì -non importa, almeno così è più credibile. Penseranno che ti abbia voluto picchiare per qualche conto in sospeso o stronzate simili- gli prese le mani per attirare la sua attenzione -ora ascoltami. Quando esci da qui, ti trovi davanti a un corridoio, hai presente? A destra ci sono le celle, a sinistra c'è il gabbiotto da cui le guardie vi controllano. Circa a metà c'è la vostra gabbia. Mi lasci lì, poi arrivi alla fine del corridoio e sali le scale fino in cima. Ti trovi in un grande atrio, e c'è una porta enorme che porta all'uscita. Esci e lì trovi Lovino. Non ti puoi sbagliare. Cerca di essere credibile, non sorridere, non andare troppo di corsa e mostrati sicuro di te, e non toccare Lovino finché non siete soli al sicuro, chiaro?
Antonio annuì. Poi lo attirò in un abbraccio.
-mi sei mancato- disse, semplicemente. Si allontanò e gli sorrise -grazie di aver tenuto d'occhio il mio Lovi.
-sì, sì. Ora togliti quella smorfia dalla guancia e fai come ti ho detto.
Antonio si sforzò di non sorridere e lo afferrò per un braccio.
-andiamo, prigioniero, ti riporto in cella.

Per fortuna riuscì a non perdersi. E fu veramente una fortuna, perché Antonio aveva davvero un senso dell'orientamento tremendo.
Come gli aveva detto Joāo, era piuttosto difficile non notsre l'enorme portone d'ingresso. Cercando di non correre e di mostrarsi più disinvolto possibile, raggiunse la porta e uscì alla luce del sole.
Sole... in realtà era nuvoloso, ma sorvoliamo per licenza poetica. Per poco non si perdette: fece qualche passo in avanti guardandosi intorno, e così facendo superò Lovino, che era appoggiato al fianco della porta con la schiena. Se ne accorse perché sentì una mano sottile, così riconoscibile e unica, afferrare il suo polso, costringendolo a girarsi. E lì, signori, dovette fare uno sforzo cosciente per non saltare addosso a Lovino per abbracciarlo, baciarlo e ripetergli all'infinito quanto cazzo gli fosse mancato. Si limitò a un accenno di sorriso.
-eccoti- sussurrò, stringendogli la mano. Lovino distolse lo sguardo, infilandosi entrambi le mani in tasca.
-andiamo, bastardo, abbiamo da fare- e, brontolando si diresse verso un posto che conosceva solo lui. Antonio fece la cosa più naturale di tutte: lo seguì.

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Capitolo 33
*** Capitolo trentadue ***


Buonsalve tesori miei! Come va? Spero tutto bene.
Informazione di servizio: ho quasi finito di scrivere l'epilogo di questa storia, devo rivederlo un po' eccetera ma la base c'è. 9000 parole. Ho detto tutto.
Comunque, buona lettura!

Ludwig non ne poteva più. Prima li catturavano, poi suo fratello rischiava di morire dissanguato in una cella e infine Antonio veniva portato via dal suo gemello malvagio e ritornava con un occhio nero e un mutismo assoluto. La cosa peggiore? Come Feliciano continuasse a sostenere che suo fratello li avrebbe salvati.
-Feliciano, scheiße, lo capisci o no che siamo nella merda fino al collo?!- sbottò, sull'orlo dell'esaurimento. Feliciano lo guardò male.
-lo so benissimo, Ludwig- non aveva mai sentito un tono così gelido uscire dalla bocca dell'italiano -ma cosa vorresti fare, eh? Stare qui a disperarti pensando a piani inutili? Urlarci addosso a vicenda?
Non riuscì a rispondere. Tirò un calcio a un sassolino e tornò a vagare per la stanza -e allora che facciamo?- gli uscì dopo un po' -restiamo qui ad aspettare che ci uccidano?
-non ho detto questo.
-ah, certo- roteò gli occhi -aspettiamo che il tuo magico fratellone arrivi a pararci il culo dal guaio in cui lui stesso ci ha messo.
-esatto.
-ah, lo ammetti pure?! Le vostre sono solo fottute supposizioni. Dammi una prova, una, che Lovino non se la stia semplicemente ridendo alle nostre spalle!
Feliciano alzò le spalle e indicò Antonio con un cenno del capo -quello non è Antonio.
Antonio, che se n'era stato tutto il tempo seduto in un angolo per i fatti suoi da quando era rientrato nella cella, alzò gli occhi al cielo -allora qualcuno se n'è accorto. Ha ragione il ragazzino, comunque. Vi tireremo fuori, tranquilli.
-e come, di grazia?!
Quello-che-non-era-Antonio sollevò lo sguardo verso il soffitto, poi controllò l'orologio che aveva al polso.
-tra poco- disse solo -intanto riposatevi.
Dove sono finiti Eliza, Gilbert e Arthur? Ora ve lo dico.
Gilbert si era addormentato. Incredibile ma vero, era talmente esausto che era crollato in grembo a Eliza, la quale era così concentrata a contare i suoi respiri che non aveva seguito minimamente la conversazione. Arthur, invece, si era rintanato in un angolo a pensare alla scenata che gli avrebbe fatto Francis se non fosse tornato da lui. Aveva bisogno si aggrapparsi al suo angolino felice, sì, capitelo.
-e perché dovrei fidarmi?
L'ispanico lo guardò dritto negli occhi -i tunnel. Sei tu quello con i poteri sulla roccia, vero? Li senti? Tutti intorno a noi. Usciremo con quelli.
Ludwig esitò. Sì, li sentiva benissimo, erano così tanti che era impossibile per lui non percepirli, ma... -e come faremo a non perderci?
Quello si leccò le labbra -ho dietro una cartina. Il tipo con la memoria fotografica la memorizza, visto che lì sarà parecchio buio immagino, e tra tu e lui più o meno ce la caviamo.
-"più o meno ce la caviamo"?!
-hai idee migliori?
Ludwig balbettò qualcosa, cercando di trovare un modo di sbattergli in faccia un'idea migliore. Non scovò niente, e questo lo frustrò ancora di più.
Sbuffò, andò dalla parte opposta della cella (non che fosse chissà quanto distante) e si sedette a gambe incrociate, in teoria pensando, in pratica sbollendo la rabbia.
Feliciano sospirò e scrollò le spalle. Gli sarebbe passata, sinceramente non aveva voglia di litigare.

Dopo una quantità di tempo che Feliciano non avrebbe saputo definire (spoiler: un'oretta circa, secondo l'orologio di Joāo), le luci si spensero. Per qualche secondo, buio assoluto. Poi la luce tenute delle luci di emergenza.
Joāo si alzò e prese qualcosa dalla tasca: un rettangolino di carta.
Guardò Feliciano -chi è quello che memorizza le cose?
Il ragazzino indicò Arthur con un cenno del mento. L'inglese sollevò la testa -che c'è?
-vieni qui, ci servi per uscire- gli passò la cartina -riesci a memorizzarla, vero?
Arthur la osservò per qualche secondo. Poi annuì -fatto. Quindi?
-ci sono dei tunnel qui intorno, in quella cartina c'è il percorso per uscire da qui. Gli allarmi ora sono disattivati per la mancanza di corrente, ma dobbiamo darci una mossa prima che ripristino la corrente.
Ludwig sbuffò -vi fidate veramente?
Feliciano alzò gli occhi al cielo, esasperato -hai qualche alternativa? Tanto vale provarci, mal che vada ci ammazzano domani.
Ludwig si sentì arrossire, ma per fortuna le luci non permisero a nessuno di notarlo -Gilbert non può camminare- replicò -e non ho la minima intenzione di lasciarlo qui da solo.
-no no, fratellino, non mi utilizzerai come scusa- Gilbert si mise seduto, con un piccolo sorriso -muovi il culo, forza. Dovrei riuscire a rendermi invisibile. Starò bene.
-se qualcuno entrasse...
-resto io- intervenne Eliza -tanto non ho poteri particolari. Se siamo entrambi invisibili...
-ma...
-manderò qualcuno a prenderli- intervenne Joāo -quando saremo fuori. Ora, se proprio non vuoi venire, almeno aprici i tunnel prima che ripristino la corrente. Sto bloccando le loro radio, ma non so quanto ci vorrà prima che vadano direttamente a chiamare qualcuno, e quando mi allontanerò non potrò più farlo.
Ludwig sbuffò, contrariato. A quel punto Feliciano perse la pazienza e lo spinse verso il muro, e per poco non gli fece perdere l'equilibrio, più per l'inaspettatezza del gesto che per la sua effettiva forza.
-Ludwig- disse tra i denti, incazzato -invece di fare il bambino in un momento del genere, puoi fare l'adulto- e a metà frase tirò una sonora bestemmia piuttosto creativa, tanto per ribadire il concetto -e lasciarci fare?
-ci?- Ludwig era scioccato -hai intenzione di andare?
-certo- incrociò le braccia al petto, come a sfidarlo a dirgli qualcosa -problemi?
-certo! È una follia, è pericoloso, è...
-e restare qui ti sembra meglio? Non mi sembra che abbiamo chissà quante alternative.
-Feliciano, non puoi...
-non posso niente! Faccio il cazzo che mi pare, Ludwig- adesso capiva come si fosse sentito suo fratello quando Antonio aveva provato a dirgli di non andare in superficie. Vi sembra una vita fa, eh? Invece sono solo un paio di capitoli -non è che se stiamo insieme devo fare tutto quello che dici.
Eliza si illuminò d'immenso. Guardò Gilbert -sbaglio o ha appena detto che...?
Gilbert scrollò le spalle -non lo sapevi?
-certo che lo sapevo, ma...
Ludwig rise sarcasticamente -scusa tanto se voglio impedirti di fare delle stronzate.
-se hai qualche alternativa migliore avanti, ti ascolto.
-non è che se non ci sono alternative è la scelta giusta!
-preferisci restare qui a girarci i pollici finché non ci uccidono?!
-e tu preferisci entrare in tunnel vecchi chissà quanti anni, al buio, seguendo una mappa che ti ha dato un tizio che hai conosciuto dieci minuti fa e che ti ha fatto sbattere in cella, senza neanche sapere dove cazzo sbucherai?!
-sentite, mi dispiace interrompere i vostri litigi di coppia, ma qui dovremmo andare.
Feliciano inspirò profondamente, cercando di calmarsi. Aveva bisogno di un'altra tecnica. Gli prese la mano, guardandolo dal basso con aria imbarazzata e due occhioni così. Ludwig vacillò -se ci sei tu con me, so che non mi accadrà niente.
Oh ragazzi, lui sì che sapeva come rinfrancare l'orgoglio maschile! D'altronde guardate in che razza di famiglia si trovava... João rimase impressionato, giocarsi la carta della fiducia e quella del fanciullo in difficoltà era davvero una bella mossa.
Feliciano si avvicinò al tedesco e gli prese anche l'altra mano, posando la fronte contro la sua. Gli stampò un bacio -ti prego- gli sussurrò -fidati di me come io mi fido di te.
E a quel punto il povero Ludwig non seppe più come replicare. Sbuffò, infastidito, e con un gesto della mano aprì in due la pietra, rivelando un passaggio.
Feliciano ci trotterellò dentro, con un sorriso soddisfatto.
Uomini, pensò divertito. Ci vuole niente a farli cedere. Basta premere i tasti giusti e diventano docili come agnellini.
Forse sarebbe stato il caso di ricordargli che tecnicamente anche lui è un uomo, ma sorvoliamo, tanto nessuno gli leggeva nel pensiero.
Joāo ridacchiò e gli andò dietro, con un "i giovani d'oggi", seguito da Arthur. Ludwig si girò verso suo fratello, cercando le parole per salutarlo, ma quello scosse la testa, con un piccolo sorriso, e gli indicò la galleria appena aperta con un cenno della testa -vai. Buona fortuna, rendi onore al tuo magnifico fratellone!
Ludwig cercò qualcosa da dire, ma non lo trovò, e forse non serviva, tanto aveva la gola così secca che, anche se avesse scovato le parole nei meandri del suo cervello, non se ne sarebbe fatto nulla. Annuì, semplicemente, ed entrò nel tunnel, chiudendoselo alle spalle.
Gilbert sospirò e lasciò andare la testa contro la parete alle sue spalle, concedendosi un respiro. Eliza, al suo fianco, gli strinse la mano.
-se la caverà- gli disse, e lui annuì.
-lo so- abbozzò un sorriso, e una piccola goccia di sudore gli corse lungo la tempia quando rese entrambi invisibili -ma sono preoccupato lo stesso. E anche stupito, a dirla tutta. Non pensavo fosse così preso da Feliciano- sospirò, divertito -cioé sì, sapevo che lo ama e tutto, ma non che fosse così...
-sottone?- suggerì Eliza, con due occhi luminosi come stelle che lasciarono Gilbert senza fiato -ti stupirebbe sapere quanto si possa fare per la persona che si ama.
Il ragazzo ridacchiò -posso ben immaginarlo. Sperò solo che Feliciano non se ne approfitti.
Lei, che quando quei due pesci lessi si erano baciati era diventato il ritratto dell'estasi religiosa (non che Gilbert l'avesse osservata... figuriamoci), ridacchiò -non credo. Anche lui lo ama, si vede- gli diede una leggera gomitata -è che voi Beilschmidt non riuscite proprio a vederle certe cose.
Gilbert le restituì il colpo -che dici? Noi Beilschmidt siamo dei genii dell'amore da generazioni! Leggenda narra che il mio bisbisbisnonno avesse una fila così lunga di ammiratrici che i visitatori per arrivare a casa sua dovevano prendere il numero e attendere insieme a loro!
Eliza ridacchiò, scuotendo la testa -già. Conoscendolo si confidava con la sua carissima e dolcissima amica o amico, che era perdutamente innamorata di lui, ma quello era troppo cretino per accorgersene. Sbaglio?
Gilbert scrollò le spalle -che ne so? Però alla fine Ludwig ce l'ha il ragazzo, no?
La ragazza sospirò, sconfitta, e appoggiò la testa contro la sua spalla, cercando di racimolare la pazienza e la forza di non prenderlo a padellate e andare a cercarsi di meglio -Ludwig...- mormorò, trattenendo una bestemmia che avrebbe reso fiero Feliciano -certo...
Gilbert sembrò cogliere lo strafalcione. In realtà lo sapeva, non è stupido, ma voleva evitare figuracce (e potenziali evirazioni) dichiarandosi quando magari stavano parlando d'altro -stavamo... stavamo parlando di Ludwig, vero?
Eliza restò in silenzio per qualche secondo. Poi si tirò su e si girò a guardarlo negli occhi, così vicina che il ragazzo si sentì mozzare il fiato.
-Gilbert?
-sì?
E se voi foste passati di lì, miei cari lettori, avreste visto un evento alquanto... singolare. Per loro fortuna le telecamere erano ancora fuori uso, e le luci di emergenza gettavano una lieve luce rossa troppo sottile per mettere a chiunque di notarli, se non a una distanza ravvicinata. Perché chiunque fosse passato di lì quel giorno, a quell'ora, nell'arco di quei pochi secondi, magari con una torcia, avrebbe visto, nella penombra, due figure apparire e scomparire a intermittenza, come lucine di Natale. L'una, più minuta, premuta contro l'altra, con il suo viso tra le mani e le labbra premute sulle sue con forza, e anche una certa esasperazione; e l'altro, più massiccio, con gli occhi sgranati e le guance rosse quanto la luce, paonazzo insomma, con gli occhi sgranati, una mano, timorosa, su quella dell'altra figura, premendola conto la propria guancia, e l'altra posata a terra a reggere il proprio peso, visto che si sentiva sul punto di cadere a terra come un sacco di patate.
-dopo questo mi devi due cene- chiarì la prima figura, appoggiando la testa contro al petto dell'altro.
Quello annuì, obbediente e con la voce più stridula del solito -va bene.
-ora abbracciami.
-va bene.
-e da oggi stiamo insieme. Qualcosa in contrario?
-assolutamente no, signora.
Era strano sorridere tanto in una situazione del genere, con una gamba fuori uso, in una cella lurida dove chiunque avrebbe potuto attaccarli, e forse era il caso di stare più attenti, disarmati, soli e nella tana del nemico?
Poi Gilbert si disse che, in fondo, se non si sorrideva in una situazione del genere, quando altro avrebbe dovuto farlo?

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Capitolo 34
*** Capitolo trentatré ***


Cosa combinarono Antonio e Lovino in questo lasso di tempo? Ora ve lo racconto.
Antonio aveva seguito il ragazzo fino a un magazzino, in silenzio. Avrebbe voluto tenergli la mano, ma meglio non rischiare, in teoria lui era João e João non avrebbe preso per mano Lovino (fortunatamente).
Una volta nei paraggi, Lovino imprecò e si nascose dietro un altro edificio.
-ci sono dei soldati- gli disse, a bassa voce -fuori, a fare la guardia.
-dobbiamo entrare lì dentro?- Lovino annuì, mordendosi il labbro -okay. Ci penso io- gli stampò un bacio sulle labbra, giusto in caso fosse andato male qualcosa. Poi, prima che quello potesse dirgli qualcosa per fermarlo, uscì allo scoperto e si diresse verso i soldati con aria furiosa.
-che ci fate qui? Eh?- li raggiunse e li incenerì con lo sguardo -non avete sentito l'ordine?
Quelli si guardarono confusi. Uno fece il saluto militare, forse pensando potesse risolvere qualcosa o forse per semplice abitudine.
-ehm, signore...- iniziò un altro.
-non avete le radio accese?
Uno controllò la propria radio -sì, ma...
-e allora che ci fate qui? Non avete sentito il messaggio?
-no signore, non ci è...
-be', chissene frega- li interruppe -vi stanno aspettando, andate subito.
-chi, signore?
-dove?- chiese un altro.
Li incenerì con lo sguardo -come chi? Dove? Mi state seriamente chiedendo dove?
-n-no signore- lo rassicurò uno. Guardò gli altri due, chiaramente nel panico -andiamo.
-bravi- quando quelli ebbero fatto qualche metro li richiamò e indicò con un cenno del capo il magazzino -ci sono altri lì dentro?
-no signore, eravamo solo noi.
-perfetto. Ora smammate, sciò.
Quelli corsero via. Antonio sospirò di sollievo e si passò una mano tra i capelli, per abitudine, ma a metà strada scontrò l'elastico. Sbuffò, aveva appena distrutto la coda. Che cretino. La sciolse, tanto ormai...
Lovino lo raggiunse, con un piccolo sorriso, e gli prese la mano. Antonio si sentì subito più tranquillo.
-allora entriamo, signore- commentò, sarcastico.
Quando furono dentro ed ebbero sprangato la porta, controllato che effettivamente non ci fosse nessuno e coperto le telecamere ("non che serva, poi ti spiego perché, ma meglio non rischiare"), Lovino lo attirò a sé, con le braccia intorno al suo collo, e roteò gli occhi -vuoi baciarmi decentemente sì o no?
Antonio sorrise, stringendolo tra le braccia -non vedo l'ora- e, finalmente, finalmente, finalmente, lo baciò per bene, assaporando ogni istante, e per la prima volta dopo fin troppo tempo si sentì respirare. Appoggiò la fronte contro la sua, con un sorriso enorme, vero, spontaneo, completo.
-ti amo- lo baciò sulla guancia, poi dietro all'orecchio e infine si dedicò al suo collo, tirandoselo più contro. Che voglia che aveva di baciarlo... Lovino ridacchiò e si premette contro di lui, nascondendo il viso contro la sua spalla. Sospirò, lasciandosi avvolgere dal suo profumo, un po' alterato dalla puzza di sangue e di sudore.
-anch'io- disse solo, sincero, e la pura e semplice verità suonò strana contro la lingua. Gli ci vollero un paio di minuti a ritrovare la forza di fare quel che andava fatto, ma si scostò dal suo abbraccio, chinando la testa -abbiamo del lavoro da fare.
-va bene- lo baciò sulla fronte, e all'italiano ci volle uno sforzo cosciente per non scoppiare a piangere e per non tornare tra le sue braccia come un pulcino tremante -che dobbiamo fare?
Noi. Che bello sentirlo parlare usando il noi
-dobbiamo liberare la stanza. Gli altri sbucheranno da dei tunnel qui sotto, tra circa un'ora, ma dobbiamo sgomberare lo spazio intorno.
-va bene- gli prese la mano. Lovino si concesse un sorriso -io mi occupo degli scaffali più pesanti e tu degli scatoloni?
-va bene- lo baciò per qualche secondo, lasciandosi rassicurare dal suo sguardo gentile, dalle sue labbra morbide, dal suo respiro caldo. Poi gli lasciò la mano -sbrighiamoci, abbiamo solo un'ora.

Orientarsi lì sotto fu un casino, principalmente perché non si vedeva un cazzo. In testa c'era Arthur, i cunicoli erano così stretti che dovevano stare in fila indiana, il quale guidava seguendo la mappa che vedeva perfettamente nella sua testa, e con una mano sulla parete cercava le curve e le svolte. Dietro di lui c'era João, che continuava a lanciare occhiate al soffitto, se per paura che crollasse o per qualche motivo particolare lo sapeva solo lui. Dietro ancora c'era Feliciano, il quale stava cercando in tutti i modi di continuare a sorridere nonostante quei cunicoli bui gli facessero una paura fottuta, e teneva per mano Ludwig, che in caso di ostacoli o zone pericolanti li avvertiva, e a ogni curva lasciava dei solchi sulla pietra con le dita, in modo che, se si fossero ritrovati a girare in tondo, Arthur li avrebbe percepiti contro la mano.
-ma non potevi portarti una torcia?- brontolò Arthur a un certo punto. João scrollò le spalle.
-all'ingresso della cella c'era un metal detector. Mi avrebbero beccato subito.
-che due palle però- dopo qualche altro passo si fermò e si girò verso il generale -dovremmo esserci.
João si girò verso Ludwig -senti qualcosa sopra di noi?
Il tedesco osservò il soffitto per qualche secondo. Poi annuì -c'è un vecchio tunnel che porta in superficie. C'è un blocco, ma dovrei riuscire a toglierlo.
-e dopo cosa c'è?
Quello scrutò verso l'alto per qualche altro secondo, poi scosse la testa -non ne sono sicuro. C'è un edificio in cemento, ma di più non riesco a dirlo.
Joāo scrollò le spalle -va bene. Allora per salire...
-mi ci vorrà qualche minuto- lasciò andare la mano di Feliciano e si allontanò da lui, raggiungendo a fatica la testa della fila (ma per quale cazzo di motivo quei tunnel erano così stretti?!) e mettendosi al lavoro.
E così il piccolo italiano rimase da solo, al buio. Prese a tormentarsi il bordo della giacca, nervoso. Quanto odiava l'oscurità... trattenne a stento una bestemmia.
Forse potrei tirarvi fuori un qualche discorso filosofico e psicologico su quanto la sua paura del buio fosse, in realtà, un'inconscia paura dell'ignoto, di ciò che non conosceva, ma direi delle stronzate. Feliciano non aveva paura dell'ignoto, aveva paura del noto, di perderlo o di ritrovarlo, e soprattutto aveva paura dei mostri. No, non parlo di demogorgoni, dei folletti cattivi delle fiabe, o del classico mostro sotto il letto o dentro l'armadio. I mostri erano quelli che gli avevano portato via suo fratello, quelli che avevano ucciso i genitori di Ludwig e Gilbert e la famiglia di Arthur; i mostri erano i padri di Antonio e di João e di Eliza, quelli che avevano preferito cacciare i figli, persino tentare di togliere loro la vita che loro stessi avevano dato, piuttosto che accettarli per quelli che erano; i mostri erano i corrotti, i mafiosi, gli assassini, gli sfruttatori; i mostri erano gli umani, e Feliciano ne aveva tremendamente paura.
Ma, più di tutti, aveva paura di quei piccoli, orrendi demonietti che gli punzecchiavano la testa, che vivevano sulle sue spalle, che gli davano il tormento quando restava da solo, senza neanche la luce a tenergli compagnia.

lasciali
scappa
loro ti odiano
ti reputano un bambino
perché lo sei
neanche tuo fratello ti ama
e perché dovrebbe
sei solo uno stupido
inutile
codardo
b
a
m
b
i
n
o

La parete era dura, fredda e umida contro il suo pugno. Gli altri tre si girarono a guardarlo, confusi.
-tutto bene, Feliciano?- quando si preoccupava, Ludwig era a dir poco adorabile. Gli sorrise, anche se faticavano a vedersi
-sì, scusate. C'era un ragno- ah, forse era di famiglia mentire così facilmente. Sbatté le palpebre per asciugarsi le lacrime, e Ludwig aprì il primo spazio verso la superficie. Una crepetta, insignificante, ma che invase il mondo di luce.
Merda, aveva voglia di baciarlo.
Una voce dall'alto. Se Feliciano fosse stato un po' più credente e non si fosse esercitato almeno tre volte al giorno nel bestemmiare tutti i santi in ordine alfabetico (non letteralmente, ma avete capito il senso), forse l'avrebbe preso come un messaggio divino. Invece era meglio.
-siete voi?
-fratellone!
-Feli! Tutto a posto lì sotto?
La crepa si allargò.
-è buio, ma a parte questo...
-su, sbrigatevi. Abbiamo trovato una scala, appena riusciamo ve la passiamo.
Altra crepa. E poi tre, quattro, e infine una crepa unica, più o meno circolare, abbastanza grande per farli passare. Una scala calò dall'alto, più o meno alta abbastanza da farli salire. Di nuovo, una persona più credente ci avrebbe potuto trovare una qualche allegoria religiosa, e non c'era niente di male eh, ma a Feliciano non importava granché, tanto meno in quel momento. Voleva solo raggiungere la terra e abbracciare suo fratello.
Il primo a salire, per semplice ordine di fila, fu Arthur, perché Ludwig aveva preferito rimanere giù fino a che tutti non fossero stati in salvo visto che i tunnel erano comunque pericolanti e blablabla. Dopo l'inglese salì João, e Feliciano rimase solo con Ludwig. Gli strinse la mano.
-Luddi...
-sì?
Lo baciò. Chissene frega di tutto, voleva farlo. Lo si poteva vedere come un bacio di buona fortuna, un modo per fare pace, un bacio in caso quello fosse stato un addio... un bacio può avere decine di significati. Feliciano scelse il più semplice: aveva voglia di baciarlo.
-grazie di esserti fidato- sussurrò, baciandolo una seconda volta, a stampo.
-sì, be'...- gli rivolse un piccolo sorriso -non sei più un bambino, no?
E quella fu la dichiarazione d'amore più bella al mondo. Feliciano sentì gli occhi farsi umidi.
-le romanticherie a più tardi, muovete il culo e salite!- li interruppe Lovino da sopra, con la sua solita e proverbiale finezza. Il ragazzo trattenne una risata e cominciò a salire, seguito a ruota dal suo ragazzo.
-so che non vedi l'ora di vedermi, ma basta dirlo- scherzò, lasciandosi tirare su per il pezzo di strada che la scala non raggiungeva.
-cretino- ma, non appena ebbe messo piede a terra, fu attirato in un abbraccio. Sorrise, Lovino era davvero un sentimentale quando voleva -sei un cretino.
-ti voglio bene anch'io- lo strinse, trattenendo a stento le lacrime. Una voce gentile li riportò alla realtà.
-adesso che facciamo?- era stato Antonio a parlare, con una mano sulla spalla di Lovino, il quale si allontanò dal fratellino passandosi distrattamente una mano sugli occhi. Si schiarì la voce.
-giusto. Allora, adesso...
-io vado a chiamare Ivan- intervenne João -deve andare a prendere il ferito, non possiamo lasciarli lì. Tanto ora che non c'è elettricità saranno tutti nel panico, è il momento giusto.
Ludwig sembrò sollevato. Più o meno, ecco. Feliciano gli strinse la mano.
-va bene, vai.
Quello si diresse verso la porta, ma all'ultimo si girò verso il gemello e tese la mano verso di lui, che non sembrò capire.
-l'elastico- specificò.
-oh, giusto!- lo tirò fuori dalla tasca e glielo diede. Si osservarono per qualche altro secondo, e ci sarebbe stato tanto, così tanto da dire, ma era semplicemente troppo considerato il tempo che avevano.
-ti...- cominciò Antonio, ma quello lo precedette.
-ti voglio bene- e corse via.
Lovino prese la mano al suo ragazzo, scrutandolo con aria preoccupata -tutto bene?
Quello si asciugò una lacrima dalla guancia, con un sorriso -certo. Che dobbiamo fare?
Lovino sembrò sul punto di dire qualcos'altro, ma cambiò idea e si girò verso gli altri -qui affianco c'è il capanno con gli interruttori che regolano le porte. Dobbiamo entrarci e aprirle da lì, è il modo più facile- si schiarì la voce -ora, in teoria ci sarebbe dovuto essere Gilbert a renderci invisibili, ma... lo sapete. Quindi dobbiamo arrangiarci. Vado prima io, desterò meno sospetti, poi voi seguitemi cercando di non farvi vedere. Visto che ormai si saranno accorti che non ci siete, le guardie non dovrebbero essere qui intorno, ma vi staranno cercando, quindi occhio. L'edificio è diviso in due stanze collegate, prima degli interruttori c'è un laboratorio per non so cosa- da uno scaffale sistemato nell'angolo prese alcune pistole e le passò agli altri -le sapete usare, no? Non so che cazzo ci facciano in quel laboratorio, ma gli scienziati non sono soldati, quindi una pistola alla tempia dovrebbe essere sufficiente. Se ci fossero anche dei soldati... be', ci sarà da divertirsi- prese una pistola per sé e se la infilò nella cintura, coprendola con la maglietta. Indicò la porta con un cenno della testa -io vado e vi dico se è sicuro. Se non dico niente, restate qui, fermi, finché non torno, e in caso nascondetevi dietro gli scaffali.
Ludwig ricaricò la sua pistola -e se tu non tornassi?
-inventatevi qualcosa. In caso succedesse dovrebbe tornare João, ci penserete con lui- ad Antonio quell'ipotesi non piaceva per niente, figuriamoci a Feliciano. Lo spagnolo lo attirò a sé e lo baciò sulla fronte -buona fortuna, querido.
Lovino gli rivolse un piccolo sorriso -anche a voi- abbracciò anche suo fratello e poi uscì, cercando di non far tremare le gambe.
Fece il giro di tutto il palazzo, cercando di sembrare naturale. Nessuno nei paraggi, ma in lontananza sentiva delle urla e i passi dei soldati che cercavano i prigionieri. Meglio sbrigarsi... fece per tornare verso il magazzino, quando sentì una voce alle sue spalle che gli fece gelare il sangue.
-Lovino, che ci fai qui?
Il supremo. Il fottuto supremo che non usciva mai dalla sua stanza se non per affari importantissimi e che non andava mai alla cittadella, al massimo ci passava in mezzo se doveva uscire. Lì. Davanti a lui, apparentemente disarmato, da solo.
Eh ma questa è sfiga, pensò. Poi lanciò una serie di imprecazioni mentali che avrebbero fatto impallidire un marinaio che tornava a casa dopo mesi solo con la sua mano e scopriva che la moglie aveva il ciclo. Si sforzò di sembrare neutro.
-ciao, Sadiq- quasi urlò quel saluto, sperando lo avessero sentito. Ci mancava solo che quei cretini uscissero allo scoperto... l'apoteosi della sfiga.
-quindi? Che ci fai qui?
-oh, niente... un giro. Avevo bisogno di un po' d'aria. Cos'è, ora non posso fare neanche questo?
Il supremo alzò le spalle -mi sembrava strano trovarti in giro proprio quando i nostri prigionieri sono fuggiti- porca di quella... Sadiq inclinò la testa, guardandolo con un sorriso scaltro. Lovino si trattenne dal lanciarsi in una bestemmia che avrebbe reso fiero suo fratello -o no?
-sono fuggiti?- sgranò gli occhi -cazzo. Non saranno andati lontano... come cazzo hanno fatto?
Sadiq scrollò le spalle -me lo stavo chiedendo anch'io- inarcò un sopracciglio -con un aiuto esterno magari...

Sapete quando vi arriva l'illuminazione divina e suprema e sapete esattamente cosa dovete fare? Per fare un esempio mondano... quando magari siete lì, non sapete da che parte girarvi, siete nel panico... e all'improvviso ecco che vi ricordate la formula giusta per risolvere quel problema di merda. Eventi più rari di una moneta da tre euro, ma comunque... i miracoli del corpo umano, quando il cervello o chi per lui produce tanta di quell'adrelina che all'improvviso tutto è così completamente e perfettamente chiaro che vi date dei cretini per non esserci arrivati prima.
L

ovino si ricordò qual era il piano originario. Quel punto, a dirla tutta, non era cambiato. Si erano concentrati tanto sul resto che avevano dimenticato un punto fondamentale.
Il supremo doveva morire, e lui doveva ucciderlo.
Gli altri sapevano cosa fare, se anche fosse morto ce l'avrebbero fatta. Fece un passo avanti, senza tremare.
-non capisco di cosa parli- altro passo. Se fosse riuscito a farli sembrare abbastanza casuali, se fosse riuscito ad avvicinarsi abbastanza... -mi stai accusando di essere un traditore, per caso?
Sadiq fece un passo in avanti. Ottimo -visto che a quanto pare tradire ti viene così naturale...- lasciò cadere la frase, ma entrambi sapevano cosa volesse dire. Lovino dovette sforzarsi davvero tanto per non ridergli in faccia, ma anzi, si mostrò arrabbiato, strinse i pugni e fece qualche altro passo in avanti, fronteggiandolo.
-bada a come parli. Mi pare di avere mostrato la mia lealtà, o essermi fatto studiare come un topo da laboratorio e avermi consegnato il mio cazzo di fratello non è abbastanza? Che altro volete, una fetta di culo?
Sadiq roteò gli occhi -hai un bel culo, ma non mi interessa. Dovresti smetterla di arrabbiarti per tutto, non è salutare.
-io mi incazzo per il cazzo che mi pare!- strillò, facendo qualche altro passo in avanti. Ormai li separavano pochi centimetri. Una distanza del genere, solo un'ora prima, era stata incredibilmente piacevole quando dall'altra parte c'era Antonio. Ora era semplicemente nauseante -e tu, invece di scassare il cazzo a me, dovresti andare a fare il tuo cazzo di lavoro.
-hai ripetuto cazzo tre volte. Quattro se contiamo l'incazzarsi- fece un sorriso divertito, con un qualcosa di malizioso che diede i brividi al ragazzo -cos'è, sei in astinenza? Se vuoi quando li ritroviamo, perché li ritroveremo, mando quel tuo caro spagnolo in camera tua, così ti rilassi un po'. Che ne pensi?
Eh no eh. Antonio non lo doveva toccare.
Assottigliò lo sguardo -sto benissimo- un altro paio di centimetri, e finalmente lo fece.
Gli mise le mani dritte sul petto, e sfogò tutto il suo potere.

 

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Capitolo 35
*** Capitolo trentaquattro ***


Il ragazzino vagava senza meta, solo, con le mani nelle tasche del suo vecchio e logoro giaccone, cercando qualcosa. Neanche lui sapeva cosa, ma aveva fame.
Inquadrò una casa e si avvicinò, studiando l'interno dalle finestre. Le luci erano accese nelle camere, e dalla cucina veniva un profumino che gli fece brontolare lo stomaco. La finestra era aperta.
Intrufolarsi fu facile. Farsi beccare ancora di più.
-oh, piccolo caro- la proprietaria di casa si chinò per essere alla sua altezza e gli sollevò il viso con una mano. Lui, con dei pani in mano, non ebbe il coraggio di muoversi -sei tutto sporco. Hai una famiglia? Qualcuno che si occupi di te?
Il ragazzino si rabbuiò e scosse la testa, liberandosi con uno strattone dalla sua presa gentile. Da dietro la gonna della donna spuntò un altro ragazzino, forse un poco più giovane di lui, che lo raggiunse e gli prese le mani, facendogli cadere a terra il suo bottino, e lo studiò attentamente. Aveva due occhi verdi inquietanti, privi di emozione, un po' assonnati, e portava i capelli castani lunghi fino alle spalle.
Quando sembrò averlo analizzato per bene, si girò verso la donna, evidentemente sua madre, e le disse qualcosa in una lingua al ragazzino sconosciuta.
Quella annuì, poi ridacchiò -non fare il maleducato, Hercules. Parla in modo che tutti capiscano.
Hercules tornò a guardarlo e parlò di nuovo, questa volta nella lingua nuova.
-hai le mani fredde.
Alla faccia dell'attenta analisi. Aggrottò la fronte -e quindi?
-hai anche dei calli e delle cicatrici. È strano a quest'età. Che ti è successo?
-affari miei- sbottò, allontanandole sue mani dalla sua presa.
-tesoro- intervenne la madre -ti va di restare qui per la notte? Puoi mangiare con noi, e se dopo vuoi andartene sei libero di farlo. Immagino che avrai fame.
Il ragazzino avrebbe voluto rifiutare, ormai aveva imparato che le persone non erano mai così gentili senza dei secondi fini... ma aveva fame, e se poi poteva andarsene quando voleva...

Il bambino piangeva. Era piccolo, poco più di un neonato, e, per le esperienze che entro poco avrebbe fatto, poco meno di un uomo.
La madre lo sistemò in una cesta e lo spinse nella grata. Per qualche secondo restò nel buio e nel silenzio, quasi un momento sacrale, il suo passaggio alla sua nuova vita, la sua iniziazione a tutte le cose brutte del mondo. Non osava fiatare, aveva istintivamente paura del buio, ma al tempo stesso ne era rassicurato, come se l'oscurità fosse una coperta rimboccata da una mamma che non avrebbe mai avuto.
Forse, se fosse rimasto lì altro tempo, magari per sempre, le cose sarebbero andate diversamente. Forse sarebbe morto lì, nell'unica coperta rimboccata con amore che avrebbe mai avuto, e sarebbe stato meglio così. Meno sofferenza, meno dolore. Sarebbe rimasto in eterno al buio, tranquillo, senza piangere.
Però qualcuno aprì lo sportello dall'altra parte, accecandolo con la luce. Non la voleva la luce. Non gli piaceva la luce.
-ne è arrivato un altro- una mano callosa molto poco delicata lo tirò dentro, alla vita -la smetteranno mai di ingravidare quelle troiette o dovremo occuparci di questi bastardelli per sempre?

Alla fine era rimasto lì. Per anni, a dirla tutta. Aveva sedici anni quando Elena, la madre di Hercules, morì.
-Sadiq- lo chiamò, dal letto di morte -devo dirti alcune- colpo di tosse -cose, prima di andarmene
-non fare la stupida e prendi le tue medicine- la rimproverò, porgendole una pillola rossa e un bicchiere d'acqua. Elena scosse la testa -non serve, sto per andarmene. È giusto così, le Moire stanno per tagliare il filo.
-non dire cazzate- cercò di farle prendere la medicina, ma quella non volle sentire ragioni.
-Sadiq, ascoltami. Ho bisogno che tu mi faccia una promessa.
Quello sospirò -se lo faccio, poi prendi questa dannata pillola?- Elena annuì -allora va bene. Cosa vuoi?
-prenditi cura di Hercules. Non te lo lascerà fare, non vorrà, ma tu fallo lo stesso, anche a costo di farti odiare.
Sadiq annuì. Non ci voleva tanto a prometterglielo, lo avrebbe fatto comunque -certo.
-sei un bravo ragazzo- gli accarezzò la guancia, con un sorriso triste -sei destinato a cambiare il mondo, lo sai?- incapace di reggere il suo sguardo curioso, lo abbassò sul bicchiere che le aveva porso -anche se forse non nel modo che pensi tu.

Quando, anni dopo, si ritrovò davanti gli stessi identici occhi di Elena, ma in un ragazzino che con la donna non c'entrava niente, per poco non si mise a ridere. Era assurdo che la potenziale arma di distruzione di massa più distruttiva di tutti i tempi avesse gli occhi della donna più dolce e buona che avesse mai conosciuto, anche se, nella testardaggine di quel ragazzino, la riconobbe, per certi versi... ma c'era qualcosa, nella postura, fiera nonostante fosse solo, in catene, con una cinquantina di armi puntate contro, che gli ricordava qualcun altro, qualcuno che aveva visto di sfuggita, ma di cui non riusciva a individuare il nome.
-chi è?- chiese, senza rivolgersi a nessuno in particolare. Gli rispose uno scienziato.
-è il ragazzino che...
-quello lo so. Voglio sapere il suo nome.
L'uomo dovette cercarlo in una cartellina. Sadiq trattenne un verso di stizza, lo torturavano e neanche si ricordavano il suo nome.
-Lovino Romano Vargas, signore.
-Vargas...- ripeté, cercando di ricollegare quel cognome a qualcuno. Niente. Tabula rasa.
Qualche ora dopo ci pensò Hercules, che all'epoca ancora non lo odiava a morte, a rinfrescargli la memoria.
-l'ex marito di mamma- gli disse, riconoscendo il cognome -so che hanno avuto una figlia, ma non ero ancora nato. Si sono separati prima che io nascessi, però quando ero piccolo ogni tanto veniva a trovarci. Forse l'hai incontrato una di quelle volte. La figlia non era male, l'avrò vista... due, tre volte.
-ah, capisco- aggrottò la fronte -è tuo padre?
-no.
-e allora chi è?- non gli era mai venuto in mente di chiederlo, in tutti quegli anni. C'era sempre stata Elena, e lei era bastata.
Hercules si strinse nelle spalle -mamma non me l'ha mai detto, e non mi è mai interessato saperlo.
-mh. Pensi che quel ragazzo sia figlio dell'ex di Elena?
-se ha gli occhi di mamma dev'essere un nipote- aggrottò la fronte, pensando -com'è che si chiamava la figlia... Caterina. Dev'essere il figlio di Caterina.
-quindi tecnicamente sei suo...
-zio? Tecnicamente sì- lo guardò di sbieco -cosa gli fate, esattamente?
La voce gli uscì più fredda di quanto non volesse -non deve interessarti saperlo.
-è poco più di un bambino da quel che mi hai detto. Come fai a...
-guardarmi allo specchio sapendo quel che gli succede? Non lo so, lo faccio e basta- si alzò, la conversazione si stava facendo pesante -domani lo trasferiranno in un laboratorio qui fuori. Non dovrai più sopportare le sue urla.
-questo non significa che...
-zitto- lo fulminò con lo sguardo -non voglio più sentire una parola a riguardo. E se ti becco a sgattaiolargli intorno, lo farò uccidere.
Hercules lo fissava truce, per la prima volta con odio -il potere ti fa male. Stai diventando uno stronzo.
-può essere.
-mamma non sarebbe contenta. Ha sempre detto che la pietà è una delle cose che più di tutte ci rende umani, e penso che la pietà verso quello che è praticamente un bambino rientri nell'umanità.
-allora vorrà dire che sarò più di un umano. Ho detto che non voglio più sentire una parola sull'argomento.
La verità? Sadiq era finito a odiare Elena. Lo aveva reso debole, gli aveva lasciato una ferita a forma di madre nel petto e una debolezza di nome Hercules che, nella posizione in cui ora si trovava, equivaleva a un mirino contro le loro schiene e una preoccupazione continua che gli faceva perdere il sonno.
Elena gli aveva fatto promettere di proteggerlo, anche a costo di farsi odiare. Ora, Sadiq stava cominciando a capire che farsi odiare era l'unico modo di proteggerlo. Era meglio così: l'amore fa solo danni, ormai l'aveva capito. Ti spezza il cuore, ti spezza le costole e ti intralcia in tutto quello che vuoi fare, e ora metteva anche a rischio l'unico ancora in vita che si era concesso di amare. Sarebbe stato più comodo per tutti: Hercules sarebbe stato più al sicuro, non avrebbe pianto al suo funerale e lui avrebbe potuto dormire un paio di ore a notte.
E se ciò lo avrebbe reso un mostro, così fosse.

I due ragazzini erano sdraiati fianco a fianco, con le teste vicine e i piedi in direzione opposte.
-...e quindi l'essere è e non può non essere. Quindi il non-essere non è e...
-frena, non ho capito.
-ti rispiego la questione dell'essere secondo Parmenide? Allora, secondo Parm...
-no, non è quello. È...- sospirò, frustrato -secondo Talete l'origine di tutto è l'acqua, secondo Anassimandro l'infinito, secondo Anassimene l'aria, secondo Eraclito il fuoco o il logos eccetera.
-eh. Quindi?
-quindi chi ha ragione?
Hercules sembrò pensarci su, poi scrollò le spalle.
-nessuno, presumo. Oppure tutti.
-non ha senso. Che cavolo di risposta è?
-non c'è una risposta giusta. A modo loro, hanno tutti ragione. Sono visioni diverse del mondo, e seguono tutte una loro logica. Se ti chiedessi di pensare a quale sia l'origine del mondo, tu che mi diresti?
Sadiq alzò le spalle -il big bang? O qualche divinità, non lo so.
-questo è quello che dicono le probabilità e le altre persone. Tu che ne pensi?
-non lo so.
-esatto. Loro sono solo dei tizi che ci hanno pensato di più.
-mh. E... secondo te?
Hercules alzò le spalle -non lo so ancora, ci sto riflettendo. Però ho capito e so per certo che il mondo è un bel casino.
Sadiq sbuffò divertito -benvenuto nella realtà allora.

Era finito in un orfanotrofio. Sapete quei posti brutti brutti che si vedono nei film? Più o meno così, ma peggio. Inutile dire che, come tanti, se n'era andato non appena aveva imparato a camminare, e grazie tante.
Con la morte di Elena era tornato a vagare, questa volta volta con un compagno.
E per questo si arruolò nell'esercito: come tanti, aveva bisogno di soldi e di cibo. Ma lui, a differenza di tanti, aveva altri progetti. Voleva cambiare il mondo, essere ricordato. Al come doveva ancora pensarci.
Per questo, mentre, anni dopo, assassinava il vecchio supremo, sorrise. Quello era il primo passo. Ora, come avrebbe detto Hercules, doveva solo pensare agli altri.

La seconda volta che rivide gli occhi di Elena, il ragazzino era cresciuto ed era tornato al nido dopo essere scappato come uno sciocco. E, cavolo, sembrava così giovane. Sadiq aveva all'incirca la sua età quando aveva preso il potere, ma lui sembrava davvero troppo giovane.
E mentiva, cazzo se mentiva... ma forse era la persona giusta. Hercules lo avrebbe adorato, figuriamoci. Sembrava determinato, ma doveva assicurarsi fosse quello giusto.
Sorrise. Non gli avrebbe reso le cose facili.
Anche mentre gli offriva un'alleanza, Lovino mentiva, cazzo se mentiva... ma era sulla buona strada. Ormai di passi ne avevano fatti, mancava poco.
Sarebbe stato ricordato come un dittatore. Pazienza: era stato comunque, in parte, merito suo. O almeno, lo sarebbe stato se avesse funzionato tutto.
Nel nuovo mondo che avrebbero creato, per lui non ci sarebbe stato posto, ma lui sarebbe stato il motivo scatenante della creazione stessa del nuovo mondo. E se c'era voluto un periodo buio come quello per ricordare all'umanità l'importanza della loro libertà, così fosse. Alla fine il mondo lo avrebbe cambiato, ma non come pensava da ragazzo, su quello Elena, alla fine, aveva avuto ragione.

La sera prima di andare dagli amichetti di Lovino, Hercules andò a parlargli.
Sadiq sospirò -che vuoi?
-sei sicuro di voler andare avanti?- il supremo si girò verso di lui, e capì che aveva capito.
Inarcò un sopracciglio -certo. Perché non dovrei? Sto per vincere, come sempre.
Hercules sospirò -sai che non ti serve mentire, vero?
-non sto mentendo. Vincerò, in un modo e nell'altro.
Hercules rimase in silenzio per un po'. Poi gli prese la mano e gliela strinse, forse cercando di consolarlo, di incoraggiarlo, o forse solo per sfiorarlo un'ultima volta in modo dolce -come ti pare. Vado a dormire.
Sadiq sospirò quando la porta si fu chiusa. Che addio romantico.

Lovino tornò in sé, e incontrò due occhi verdi.
Sconvolto, gettò le braccia intorno al collo di Antonio e lo abbracciò.
-ma che... Lovi, che è successo?- lo strinse, per consolarlo.
Lovino tirò su con il naso -io...- meglio non parlargliene, avrebbe vanificato tutto, e se anche avesse voluto non ne aveva il tempo, e se anche ne avesse avuto il tempo non avrebbe saputo che dirgli -non... quanto tempo è passato?
-tempo? Lovi, sono passati pochi secondi- lo baciò sulla spalla -sei uscito, sono passati pochi minuti, poi ti ho sentito urlare e sono venuto a vedere.
-ti avevo detto di non uscire finché non fossi venuto io- ma non poteva lamentarsi, non quando quello lo cullava in quel modo.
Antonio fece un piccolo sorriso imbarazzato -scusa, ero preoccupato- lo baciò sulla testa -non mi sarei mai perdonato se ti fosse successo qualcosa.
-sto bene- e più o meno era vero. Quando aveva toccato Sadiq, il suo potere gli era rimbalzato addosso, e per quello aveva urlato. Ma poi aveva trovato un'apertura, e ora capiva il perché. Sadiq si era fatto uccidere, per permettere la nascita di un nuovo mondo; aveva interpretato la parte del cattivo, per farsi sconfiggere e cambiare la storia. Una filosofia discutibile, ma Lovino poteva capirlo. Compatirlo no, comprenderlo...
-dopo ne parliamo per bene- promise Antonio -direi che abbiamo tanto di cui discutere.
Lovino annuì, allontanandosi da lui e asciugandosi distrattamente gli occhi -adesso andiamo a chiamare gli altri. Dobbiamo aprire le porte.

Non appena furono rientrati nel magazzino, Lovino fu investito da suo fratello, che lo abbracciò forte.
-Lovino! Che è successo?! Ero così preoccupato, volevo uscire ma è andato Antonio e mi ha detto di restare qui al sicuro perché...
-tranquillo, sto bene- gli diede qualche pacca sulla spalla, ancora pallido -ho ucciso il supremo.
Feliciano lo guardò scioccato -tu cosa?!
-l'ho ucciso. Era qui fuori e l'ho toccato, devo averlo colto di sorpresa... non lo so, ma ce l'ho fatta- gli sorrise, un po' timidamente -adesso dobbiamo solo aprire le porte.
Antonio gli prese la mano -non abbiamo molto tempo.
-non c'era nessuno- si diresse verso l'uscita -andiamo prima io e lui, così se ci vedono...
-ehm, ragazzi?- li richiamò Feliciano.
Lovino, sulla porta, si girò verso di lui -cosa?
-le mani.
Abbassò lo sguardo, non si era accorto di stargli ancora tenendo la mano. Lo lasciò andare, un po' imbarazzato -giusto. Andiamo.
E uscirono. Emozionante eh? Fuori risuonavano gli allarmi, c'era casino, ma le strade erano deserte.
-svelti, muovete il culo, il posto è lì- indicò un edificio alla sua destra e osservò i suoi compagni correre in quella direzione. Si concesse di ricambiare il sorriso di Antonio mentre li seguiva.
La porta era chiusa a chiave. Gioia e giubilio.
-porca tro...- neanche ebbe il tempo di finire l'imprecazione, che Ludwig la buttò giù con un calcio. Inarcò un sopracciglio -minchia.
Feliciano batté le mani, entusiasta -grande Luddi!
Mentre quello entrava nella stanza, sembrò, anche solo vagamente, compiaciuto.
E ora entrarono. Quante emozi

"Prima della cabina di comando c'è un laboratorio"

Un laboratorio
Laboratorio
L a b o r a t o r i o
Merda, avrei dovuto pensarci
Laboratorio
Devo andarmene
Laboratorio
Non trovo il mio corpo.
Laboratorio
Non c'è. Non riesco a muoverlo perché non c'è
Laboratorio
Freddo. Cos'è che è freddo?
Laboratorio
Duro. Il pavimento. Devo essere caduto
LABORATORIO
Non sento niente
LABORATORIO
Cazzo

Il pavimento è freddo
Questa è l'unica informazione che riesco a recepire
Mi parlano ma non sento
Non sento niente tranne il fatto che il pavimento è fottutamente freddo e io
ho
paura
Mi tirano in piedi, mi mettono su una sedia. Qualcosa mi stringe i polsi, uno stridio meccanico mi schiaffa le orecchie
Paura
Delle voci, che dicono? Che dicono che dicono che dicono
Stanno dicendo qualcosa di importante lo so dovrei ascoltarli dovrei seguirli è importante ma non sento non capisco non capisco non capisco non capisco non capisco non

dolore
dolore
dolore
fuoco
elettricità
questo lo sento
non sento dove fa male
fa male
e basta
un urlo, sono io?
devo essere io
non lo so
so che

Non respiro
Non sento i polmoni il petto il cuore ma non respiro e fa male fa male fa male fa male voglio
respirare
Ora respiro
e ora no
che fanno?
che mi stanno facendo?
che mi stanno facendo?
chi mi controlla?
chi è che sta decidendo tutto questo?

chi è che ha il controllo sulla mia vita?

Voglio dormire
Ho sonno
Ho sonno
Ho sonno
Mi sento cadere
Non fisicamente
Sono legato, come posso cadere?
Ma mentalmente sì
Sto
C
A
  D
    E
     N
      D
       O

E non mi importa dove andrò a finire
Mi basta cad
...
Dolore
Mi hanno svegliato
Fottuti bastardi
Lasciatemi dormire
Io vi ammazzo
Vi ammazzo
Vi ammazzo
VI AMMAZZO

Sono di nuovo sul pavimento
Sudicio. Questo pavimento è sudicio e fa schifo e mi voglio alzare ma le gambe non sono dove dovrebbero essere e neanche i piedi e le braccia e le mani e la testa e oh merda dove sono?
Dove sono io, dove sono loro... fa differenza?
No aspetta sì
Io sono sul pavimento. Lo so che sono sul pavimento
Quei bastardelli dei miei arti però non lo so dove sono
Luce
C'è luce adesso, anche se non so dove siano i miei occhi
Vedo qualcuno stagliarsi contro la luce, finalmente là sopra si sono decisi a venirmi a prendere?
Altro dolore
No, evidentemente no
Mi sono rotto il cazzo di questi spazi vuoti
Mi costringono a farlo
Io non voglio
Non voglio
Non voglio
Lo vogliono loro io no non voglio non voglio basta bastabastabastabastabastabastabastabastabastabastabastabastabastabastabastaba

Hanno vinto di nuovo loro
Vincono sempre loro
Mi fanno male e restano degli
S p a z i
E in questi  s p a z i  io faccio  m a l e  alle persone e non voglio non voglio nonvogliononvogliononvoglio mi costringono vi giuro che non voglio almeno voi credetemi vi prego vi prego vi prego vi pr
...
Non mi credete, vero? Non mi credo neanche io

Che succede? È più calmo adesso. È tutto bianco e il male sta andando via lentamente piano piano e e e e

Sto urlando io? Sta urlando qualcuno? Non sono sicuro di conoscere la distinzione
doloredoloredoloredoloredoloredoloredoloreDOLOREDOLOREDOLOREDOLOREDOLOREDOLORE
Uccidetemi
Vi imploro
Mi stanno toccando
Perché mi toccano
Non so dove come quando o perché ma mi stanno toccando mi stanno toccando NON RIPORTATEMI LÌ LASCIATEMILASCIATEMILASCIATEMILASCIATEMILASCIATEMILASCIATEMILASCIATEMILASCIATEMI
LASCIATEMI
L-
Lasciatemi
Lasciatemi stare e basta
Non mi toccano più
Che mi abbiano lasciato qui a morire finalmente?
Respiro
Respiro
Respiro
Aria dentro
Aria fuori
Aria dentro
Aria fuori

Lovino
È così che mi chiamo?
Chi mi sta chiamando?
Lovino Lovino Lovi

Altro dolore
Ancora e ancora e ancora e ancora e ancora e ancora e ancora e ancora e ancora e ancora e ancora EANCORAEANCORAEANCORAEANCORAEANCORAEANCORAEANCORAEANCORAEANCORAEANCORAE
E
e
e
e

e il mondo è esploso

 

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Capitolo 36
*** Capitolo trentacinque ***


I due ragazzini stanno attraversando la strada

No, questo no

 

Uno in realtà è un bambino, quanto avrà? Nove anni? L'altro è un po' più grande.
Stanno attraversando la strada, sono chiaramente fratelli

 

No vi imploro

 

Una macchina si avvicina

 

Pietà

 

Il fratello maggiore se ne accorge

 

Basta, non ne posso più

 

La macchina continua ad avvicinarsi e punta il fratello piccolo e il maggiore urla urla urla e

 

La macchina è cenere. Tutta la parte anteriore è esplosa, il conducente è morto. La mano del più piccolo è in parte nera

 

No aspetta
Qualcosa non torna
Torna indietro

 

La macchina continua ad avvicinarsi e punta il fratello piccolo e il maggiore urla urla urla e

 

Fermo qui. Avvicinati alla mano

 

Intorno alla mano del fratellino piccolo, una tenue, quasi intangibile, luce bianca contrasta la mano del fratello grande

 

Ma che cazzo

 

Nero.
Una luce si span

 

Eh no bello. Ora decido io cosa vedere
Voglio vedere i miei amici
Fammi vedere come stanno
Anzi, sai cosa? Non ho bisogno di te. Li guardo e basta

 

Sono su un furgone, Antonio sta sistemando

 

Merda, ma quello sono io
Ho davvero dei capelli così di merda?

 

il corpo di Lovino per terra.

 

Mi sono rotto sinceramente il cazzo di stare sempre in terra, sapete?

 

Lovino è immobile, sembra dormire

 

Magari. Vorrei farmela una bella dormita tranquilla

 

Salgono altre persone. Ivan fa sdraiare Gilbert, che aveva portato sulle spalle fin lì, affianco a lui, e quello impreca sottovoce.
-un po' di delicatezza non sarebbe male, sai?
Il russo non risponde e si siede in un angolo. Eliza lo segue a ruota e si siede accanto all'albino, prendendogli la mano, e scruta preoccupata prima Lovino e poi Antonio.
-che cos'è successo?- chiede

 

Me lo sto chiedendo anch'io

 

-ha avuto un attacco di panico- risponde Antonio, scostando...mi? i capelli dalla fronte

 

Sì ma non fare quel faccino preoccupato, mi fai stare male così
Voglio baciarti, ma il mio corpo, stronzo, non risponde

 

-è caduto a terra, ho provato a fare qualcosa ma ha urlato di più e...- gli cade la voce -e ha distrutto tutta la città.

 

Io ho COSA

 

Gilbert fischia -è stato lui?
Antonio annuisce -ha rilasciato tanto del suo potere che ha distrutto tutto nel raggio di... non lo so. Parecchio.

 

Lo vedo che mi stai accarezzando la mano, bastardo. Vorrei poterlo sentire

 

-ma non ha ucciso nessuno. Almeno... non credo. Se non ha fatto fuori noi che eravamo lì affianco... ha semplicemente... vaporizzato tutto.

 

...

 

Eliza fa per dire qualcosa, ma proviene una voce da fuori.
-le ho trovate!

 

Feli...
Scusami

 

Feliciano sale davanti, al posto del guidatore. Ludwig lo segue e si siede affianco a lui, preoccupato.
-ehm... hai mai guidato?- chiede, allacciandosi la cintura. Feliciano mette in moto.

 

Tsk, siamo Vargas. Ce l'abbiamo nel sangue

 

Salgono anche Joāo e Arthur

 

Ci sono tutti. Meno male...
Aspetta un attimo, dove cazzo se lo sono andati a pescare un furgone se ho distrutto tutto?

 

Feliciano parte in quarta, e Ludwig stritola il sedile sotto di sé.

 

Sono così orgoglioso

 

Antonio mi stringe la mano, così preoccupato che, se obbedisse ai comandi, il cuore mi si stringerebbe.
-Lovi... dove sei finito?

 

Vorrei saperti rispondere
Ehi ehi no
Fermo lì, dove cazzo stai cercando di

 

Un prato fiorito. Dove cazzo sono?
-Lovino...
Qualcosa si scioglie all'altezza del cuore. Mi volto ed è lei.
-m-mamma...- non so se sia un sussurro, un mugolio, un urlo, non lo so e non me ne frega un cazzo. So che mamma mi sta abbracciando e, merda, scoppio a piangere come un bambino tra le sue braccia -mamma...
Lei mi guarda, sta piangendo, mi solleva il viso e mi sorride e io mi sento come se fossi appena venuto al mondo.
-il mio bambino...- sussurra, non so più come smettere di piangere. La abbraccio, lei mi stringe -sono così fiera di te...- mi sussurra all'orecchio -così fiera...
-sono morto?- forse non è la cosa più carina da chiedere, ma ho bisogno di sapere. Lei si allontana e mi guarda, scrutandomi in viso, e quando scuote la testa non riesco a non essere sollevato.
-no, tesoro mio, ma ci sei andato vicino.
-e... e allora dove sono?- le prendo le mani -se... se tu sei qui e io ti vedo cosa...- un grumo allo stomaco -non... non mi sto sognando tutto?- le poso le mani sulle guance, la osservo, è così reale contro le dita che -sei... sei realmente qui?
Mamma annuisce, con un sorriso, e posa le mani sulle mie -sì, sono qui. Suppongo che in un certo senso tu mi stia sognando... ma sono realmente io.
-e... e allora dove siamo?- mi guardo intorno, siamo sulla spiaggia, alle nostre spalle si stagliano delle alte montagne -è il Paradiso? L'Inferno? Cos'è?
-una specie- mi prende la mano e mi fa sedere accanto a lei su una coperta, neanche mi ero accorto ci fosse -vedila come una... sala d'aspetto tra vita e morte. Tuo fratello ci è venuto spesso ultimamente, ma non era il momento, non potevo farmi vedere da lui.
-Feli? Che c'entra Feli? E se io sono qui, gli altri che stanno combinando? Stanno bene? Sono morti? Che cosa...
-bambino mio, lo so che hai tante domande, e non sai quanto vorrei poter rispondere a tutte quante- mi bacia sulla fronte, sto per piangere di nuovo -ma non abbiamo tempo. Devo spiegarti delle cose, riguardo al tuo potere e a quello di tuo fratello. Lo so che avrai delle domande, ma cerca di non interrompermi, va bene?
Le stringo le mani, non ce la farò a tenermi a freno ma -va bene.
Mamma mi sorride e mi accarezza la guancia -bravo bambino. Allora...- inspira profondamente, come a prepararsi a dire qualcosa di doloroso -devi sapere che il tuo potere e quello di tuo fratello sono molto più collegati di quanto non possa sembrare...
-cosa? Ma sono completamente diversi!- mi guarda male e arrossisco leggermente -scusa. Continua.
-grazie. Dicevo? Sì, sono collegati. Sono perfettamente opposti, e si completano. Certo, quello di Feliciano ha ancora parecchi limiti, mentre tu devi ancora porre dei blocchi al tuo, ma è anche lì il punto: sono opposti, e per questo vi attirate, come calamite. Avete bisogno l'uno dell'altro, così come creazione ha bisogno di distruzione e viceversa- mi asciuga una guancia, con un sorriso dolce -non è una coincidenza il fatto che siate nati lo stesso giorno, né che gli attacchi di Feliciano siano cominciati quando tu hai ripreso, dolorosamente, il controllo del tuo corpo.
Chino lo sguardo -quindi lo faccio stare male.
-al contrario. Lui ha bisogno di te. A volte è necessario distruggere il marcio, per poter ricostruire qualcosa di migliore. E senza distruggere nulla, cosa diventa quello che crei?
-un ammasso informe di cose a caso- sussurro. Mamma annuisce, con un sorriso.
-esattamente, tesoro. Cosa hai notato rivedendo l'incidente?
-la mano di Feli... c'era una... luce bianca.
-era il potere di tuo fratello- spiega lei, come se mi stesse raccontando una fiaba -che ha reagito al tuo. Il tuo potere stava difendendo Feliciano, ma il suo ha reagito male e gli ha procurato quella mano nera. Non è mai stata colpa tua, tesoro.
Non riesco a dire niente. Cosa dovrei rispondere? Mamma continua.
-da quando vi siete ritrovati, poi, la cosa si è intensificata. I vostri poteri sono capricciosi... ci vuole un po' per trovare l'alchimia, ma ce la state facendo. L'ultimo attacco di tuo fratello, il peggiore di tutti, era dovuto a questo: i vostri poteri stavano cercando di adattarsi, prendere le misure per regolarsi, e il suo ha reagito male.
-e cosa dobbiamo fare allora?
Nel suo sorriso c'è qualcosa di famigliare... mi ricorda quello del nonno -andate avanti così. Passate del tempo insieme, continuate a volervi bene... le cose si aggiusteranno da sole. Lo stanno già facendo, anche se non ve ne siete accorti- mi fa l'occhiolino, con l'aria di chi ha un segreto divertentissimo. Mi concedo un sorriso -durante la tua missione, le tue emozioni erano lo specchio delle sue e viceversa. Per farla breve, se uno dei due stava male, l'altro lo sentiva e stava male a sua volta. È successo di continuo, ma non potevate saperlo. Tra l'altro, è anche il motivo per cui a entrambi piacciono i ragazzi: siete attratti da ciò che ricorda l'altro.
Faccio una smorfia -che schifo, sembra una cosa molto incestuosa. E poi io non somiglio al crucco.
Mamma scoppia a ridere -no, no, non è niente del genere, mi sono spiegata male. Solo... uhm...- si picchietta un dito sul mento, come a riflettere sul modo migliore di esprimersi -vedila così, tu e tuo fratello siete attratti l'uno dall'altro, in modo platonico ovviamente, e, visto che i giovanotti vi ricordano in qualche modo l'altro, ne siete attratti, anche in modo non esattamente platonico- mi fa l'occhiolino -e, tra parentesi, tu e quel ragazzo... com'è che si chiama?
-Antonio- ha un sapore dolce quel nome. Come fa un nome ad avere un sapore?
-Antonio... sì. Siete un sacco carini, te lo approvo, è degno di avere il mio bambino.
Istintivamente roteo gli occhi -torniamo alle cose serie...
-se insisti- altro occhiolino. Un sospiro -quando rimasi incinta di tuo fratello, feci un sogno. Vidi mia madre, che mi spiegò questa faccenda e mi disse che sarei morta dando alla luce il mio secondo bambino. Ne parlai con tuo padre, e lui cercò di convincermi ad abortire per salvarmi. Ma non potevo, capisci?- mi stringe le mani -senza tuo fratello, non saresti mai stato completo. Il tuo potere avrebbe preso il sopravvento, e chissà che sarebbe potuto succedere. E, come se non bastasse, mi ero già affezionata a Feliciano, anche se ancora era un feto di poche settimane. Così mi dissi: se dovrò morire per i miei bambini, va bene così. Ma tuo padre non era d'accordo.
Stringo i pugni -ci ha abbandonati.
-mi amava troppo- replica mamma -e non sopportava l'idea di vedermi morire. Sarebbe finito ad odiarvi, soprattutto tuo fratello, e sapeva personalmente che è meglio non avere genitori che averne uno che non voleva che tu nascessi. Così se n'è andato.
-ci ha lasciati da soli.
-no, non da soli. C'era vostro nonno.
-il nonno non è invincibile.
-ma è un ottimo padre. Migliore di quello che sarebbe stato lui- sembra capire che è meglio cambiare argomento -comunque, vi sono rimasta accanto come potevo.
-quella voce...- sussurro -quella nella cabina... e nella vasca...- non riesco a guardarla in faccia -eri tu?
Mi stringe le mani -sì, tesoro, ero io. E non devi vergognarti per quello che è successo: è la prova che sei umano- mi solleva il viso con una mano e mi osserva, con un sorriso -il mio bambino... sei così cresciuto...- sorride, ma è triste -ormai sei un uomo. E io sono tanto, tanto fiera di te, e lo sarò sempre, sia di te che di tuo fratello. Te lo ricorderai, sì?
Annuisco, con gli occhi lucidi.
-posso... posso parlargliene?
-certo. Ah, e digli che per quella questione delle visioni non c'è da preoccuparsi. Sentiva che questo posto sarebbe stato importante per te, e continuava a vederlo. In realtà l'ha un po' cambiato...- indica alle sue spalle -quelle montagne non c'erano, le ha aggiunte lui inconsciamente.
-non... non credo di capire.
-lui capirà, non preoccuparti- si alza, e io faccio lo stesso. Mi abbraccia, e la stringo -il mio Lovino...- mi guarda in faccia ancora un po', e sapere di averla resa orgogliosa mi riempe di soddisfazione -ti voglio bene.
-anch'io, mamma...
La osservo allontanarsi e camminare verso il mare, senza più riuscire a muovermi per seguirla. All'ultimo non riesco a trattenermi dal chiederle -cosa c'è dopo la morte? Questo posto?
Lei si gira a guardarmi, e sembra pensarci su.
-suppongo di sì, in un certo senso. Però in realtà è stato tutto adattato per farlo vedere alla tua mente- fa una giravolta su se stessa -non sono realmente così. Non ho un corpo, né fattezze umane, e ora come ora neanche tu le hai. Diciamo che qui c'è... la tua mente, la tua coscienza... vedila come preferisci- mi manda un bacio -salutami papà, e Feli, e di' loro che li amo tanto quanto amo te!- le onde salgono, le arrivano alla vita. Fa per immergersi, ma all'ultimo sembra ricordarsi una cosa -ah, tesoro...
Sto piangendo, e non so neanche il perché. Anche se tecnicamente non dovrei avere gli occhi per farlo.
-sì, mamma?
-goditi la mia pizza anche da parte mia, ti va?
Aggrotto la fronte -eh?
Ma le onde ormai l'hanno inghiottita.

 

Lovino riaprì gli occhi di scatto, boccheggiando.
-mamma!- il suo fu poco più di un gemito, un richiamo per qualcuno che non gli avrebbe risposto. In cambio, però, ottenne una mano, dolce, sulla fronte, che lo spingeva delicatamente verso il basso.
-sh, Lovi, respira- e ora sì che respiro bene, pensò Lovino, spostando lo sguardo su Antonio, affianco a lui. Si guardò per bene intorno e si accorse di essere in un luogo familiare, sdraiato su un letto dalle lenzuola morbide.
-dove... che...
-sei in infermeria- la mano di Antonio si spostò sulla sua guancia, accarezzandola -sai chi sono?
Che cazzo di domanda era? -certo. Sei Antonio.
-e tu sei?
-Lovino. Mi spieghi che cazzo di domande fai?
-sei rimasto in coma tre giorni. Devo controllare quanto ricordi- spiegò, sedendosi sul bordo del letto. Lovino per poco non urlò.
-tre giorni?! E che è successo nel frattempo? Gli altri? Stanno bene?! Feli...
-stanno tutti bene- rispose Antonio, scrutando l'elettrocardiogramma attaccato al polso di Lovino con aria preoccupata -ho convinto Feliciano ad andare a dormire poco fa. La guerra è finita, querido- gli rivolse un piccolo sorriso -abbiamo vinto.
Abbiamo vinto. Due parole, troppo da metabolizzare.
-abbiamo vinto- ripeté, lentamente. Si lasciò andare contro il cuscino, con lo sguardo puntato al soffitto -abbiamo vinto...
-sì- Antonio sorrideva, sorrideva così tanto che l'italiano sentì male alle guance per lui -ed è tutto merito tuo.
Scosse la testa -no, non tutto- notò un dettaglio -Feli è andato a dormire? Che ore sono?
-le... tre di notte, più o meno.
Lo squadrò meglio, inarcando un sopracciglio -e tu da quant'è che non dormi, esattamente?
Antonio scrollò le spalle -tre giorni? Quattro?
Quello spiegava le occhiaie -tu ora vai in camera tua, ti metti a letto e vai a dormire, chiaro?
-non ci riesco. Sono settimane che non dormo bene- si alzò e andò a prendere una cartellina -e devo farti dei controlli. Ti sei appena risvegliato dal coma e...- quando si voltò a guardarlo, Lovino si era girato sul fianco e si era spostato dall'altra parte del letto, lasciando uno spazio vuoto. Sollevò le coperte e indicò il posto libero -vieni qui.
Antonio sospirò, stanco -Lovi...
-vieni. Qui. I controlli li farò dopo, ora vieni qui.
E, troppo esausto per replicare, obbedì, sdraiandosi al suo fianco, con la testa affianco alla sua sul cuscino. Si sforzò di sorridere -ehi.
Lovino si sistemò più comodo, avvicinandosi -ciao- si lasciò abbracciare, rannicchiandosi tra le sue braccia, e cazzo cazzo cazzo se ci stava bene, lì, al caldo. Per poco non scoppiò in lacrime, con il viso a un respiro dal suo.
-mi sei mancato- sussurrò Antonio, accarezzandogli la schiena -ogni singola notte, ogni giorno, mi sei mancato da morire.
Trattenere un singhiozzo fu un'impresa ardua. Lovino riuscì a sussurrare una cosa sola.
-baciami.
E Antonio non se lo fece ripetere due volte.
Pace. Finalmente un po' di calma, e Lovino tornò a respirare pensando che quello, da quel giorno in poi, sarebbe stata la normalità.
Antonio gli asciugò una guancia -perché piangi?
Lovino sorrise. Era una situazione così assurda... quello lo baciava e lui piangeva. Ma, si disse, era anche normale. Quello era il pianto che tanto aveva trattenuto, bloccato, ostacolato, e chi se non Antonio avrebbe potuto farlo venire fuori? Ridacchiò contro le sue labbra -sono solo... felice, credo. È una sensazione strana, ma mi piace.
Antonio sembrò capire, perché lo baciò di nuovo, profondamente, disperatamente, e Lovino si lasciò finalmente andare, ed essere umano sembrò così strano e così giusto da dargli le vertigini.
Posò la fronte contro la sua, osservandolo, con gli occhi lucidi e rossi e il sorriso più bello del mondo.
-cosa mi sono perso mentre non c'ero?- sussurrò, accarezzandogli il viso leggermente velato di barba. Antonio ridacchiò, baciandolo a stampo prima di rispondere.
-niente di che. Eliza e Gilbert si sono ufficialmente messi insieme e la gamba di Gilbert sta guarendo, tra poco sarà in grado di camminare normalmente.
-finalmente si sono dati una mossa- commentò -poi?
Antonio scrollò le spalle -non so molto, in realtà. Non sono praticamente uscito da qui negli ultimi tre giorni.
Lovino lo baciò -sei un coglione. Ti amo- altro bacio -ci sono stati altri feriti?
-qualcuno. Ci sono anche stati dei morti, a dirla tutta. Non tutti erano d'accordo nella fine della Restaurazione... molti generali si sono sfogati sui civili. Ce ne siamo occupati come potevamo.
Lovino annuì, mordendosi il labbro. Altri morti... ma l'ennesimo bacio lo fece tornare a sorridere -non ricordo più nulla dopo che siamo entrati nel laboratorio. Che cosa è successo?
Antonio si incupì -sei crollato a terra, in ginocchio, e sei scoppiato a piangere- lo scrutò attentamente -è lì che ti... studiavano, vero? Quando eri piccolo.
Lovino annuì. Meglio non parlargli di quello che aveva visto e sentito, non era il momento.
Lo spagnolo sospirò -be', non rispondevi e tremavi, io e Feli ti parlavamo ma non ci sentivi, gli altri erano andati avanti e non ti avevano notato. Non rispondevi, tremavi, piangevi...- rabbrividì -è stato uno dei momenti peggiori di tutta la mia vita. Ho provato a toccarti, ti ho infuso un po' del mio potere per calmarti, ma ti sei messo a urlare che non dovevamo toccarti, che dovevamo lasciarti stare... hai urlato di nuovo, e tutta la capitale è diventata cenere.
-ho fatto del male a qualcuno?- era allarmato, ma era troppo stanco per darlo a vedere.
-no- Antonio lo baciò sulla fronte -hai solo distrutto le cose. Tutta la capitale, mura comprese, sono state distrutte, e tu sei caduto a terra- gli tremò la voce e gli strinse le mani -per un attimo ho creduto che tu fossi...- non riuscì a terminare la frase. Lovino lo strinse.
-sono qui- sussurrò, a un istante dalla sua bocca. Antonio annuì.
-lo so. E penso sia l'unico motivo per cui sono ancora sano di mente- gli baciò la mano -poi... siamo corsi fuori, ti ho portato in braccio. C'erano delle persone venute all'appello di Francis, abbiamo trovato un vecchio furgone e ti ho messo lì. È arrivato mio fratello con un tizio e Gilbert ed Eliza, mentre gli altri sono andati a cercare il proprietario. Lo ha trovato Feliciano e ha guidato fino a qui- abbozzò un sorriso -a proposito, guida come un pazzo.
Ricambiò -è di famiglia- poi lo baciò -va bene. Adesso dormi.
-no. Anche tu mi devi raccontare tutto quanto.
Lo baciò, accarezzandogli i capelli.
-non c'è molto da raccontare.
-non ci credo- gli scostò una ciocca di capelli dal viso, sistemandogliela dietro l'orecchio. Un gesto semplice, quotidiano, ma Lovino si sentì tremare -parlami.
Le sue labbra, bastarde, lo tradirono, in una congiura con le corde vocali, il suo respiro e la sua lingua -ho cercato di uccidermi- mormorò, con gli occhi lucidi -credo- si sentì di aggiungere, vedendo l'espressione scioccata dello spagnolo. Abbozzò un sorriso, amaro, infranto da due gocce suicide che si lanciarono giù dai suoi occhi, sfracellandosi contro il cuscino -ma a parte questo non c'è molto.
Antonio lo strinse, forte, fortissimo, facendogli premere il viso contro la sua spalla, e Lovino scoppiò a piangere piangere e piangere ed era così vivo.
-ti prego- sussurrò Antonio, con le lacrime agli occhi -ti prego, non fare più ad una cosa del genere. Ti prego... piuttosto parlane con me, in qualsiasi momento, anche se... soprattutto se ti senti in quel modo per colpa mia.
Annuì, più volte, sperando che quella stretta così forte, così appassionata, così disperata riuscisse a rimettere insieme i cocci, le briciole di lui, ricostruendo qualcosa di quanto meno stabile. Singhiozzò -m-mi sentivo c-così... vuoto.
-sh...- lo baciò tra i capelli, sulla nuca, senza la minima intenzione di scostarsi o lasciarlo andare -con calma. Cosa è successo prima che... prima?
-un... un esame- cercò di regolarizzare il respiro, coordinandolo con quello di Antonio -e-ero in una c-cabina... p-per la ri... riso... qualcosa di m-magnetico...
-la risonanza magnetica?- suggerì, con tono gentile e tranquillo, tutt'altro di come si sentiva. Avrebbe voluto urlare, piangere più di quanto non stesse facendo già, scappare con Lovino e nascondersi da qualche parte dove il dolore non potesse trovarli, ma ora Lovino aveva bisogno di qualcosa di solido a cui appoggiarsi, e aveva intenzione di essere tutto quello di cui Lovino potesse aver bisogno.
Lo sentì annuire contro la sua maglietta -s-sì, quella. E-e sono andato nel p-panico e ho... ho u-ucciso c...- deglutì -cinque p-persone c-con un'e-esplosione- singhiozzò, tornando a piangere contro il suo petto -m-mi sentivo così un... un mostro. Ancora. E... ero ricoperto di c-cenere, così ho... sono andato a fare un bagno- non riusciva a guardarlo negli occhi -e lì... s-sono esploso. N-non letteralmente, n-nel senso... m-mi sentivo... un verme. P-per qualche minuto mi s-sono convinto che sarebbe s-stato m-meglio se fossi m...
-non dirlo- lo interruppe, senza fiato -por favor, non dirlo, non dire quella parola.
-scusa. E... e pensavo che n-non sarebbe i-importato se...
-certo che importa- ribatté Antonio, con una nota di panico nella voce -è... mierda, è la cosa più importante.
Lovino avrebbe davvero voluto avere qualcosa per rassicurarlo. Baciarlo, guardarlo dritto negli occhi e dirgli che era passato, che era stato solo un momento, che non si sentiva più così. Ma avrebbe mentito. Quello che era successo era stato solo l'apice di un problema più grande, una lunga discesa in un baratro scuro fatto di mancanza di autostima, traumi e orrori. Forse era una cosa egoista, ma decise di essere solo sincero.
-a volte me ne dimentico- e la voce non gli tremò solo perché emise qualcosa di meno di un sussurro. Ma Antonio ci sentiva benissimo.
-allora te lo ricorderò io. Tutti i giorni della nostra vita, finché mi vorrai- e sembrava davvero determinato a farlo. Lovino emise una lievissima risata.
-vuoi davvero stare con me così tanto tempo?- si asciugò gli occhi, una scusa per non guardarlo.
-sì, se lo vuoi.
-certo che lo voglio- sussurrò, lasciandosi sollevare il viso. Antonio gli sorrise, un sorriso così bello che splendeva anche al buio, così luminoso da bruciare tutta la vergogna e i dubbi. Quel sorriso si stampò sulla sua bocca, baciandolo per qualche secondo.
-allora è deciso- sussurrò Antonio, baciandolo ancora.
-a quanto pare...- posò le labbra sulle sue, con l'ombra di un sorriso.
-ora sei qui con me- gli sussurrò Antonio. Lo inchiodò con lo sguardo, impedendogli di sfuggire -come?
In qualche modo riuscì a distogliere lo sguardo, ma sentiva quei due occhi verdi su di sé, fissi e così intensi da dargli i brividi.
-ero... ero sott'acqua- sussurrò -e finalmente c'era un po' di pace. Poi ho... ho sentito la tua voce.
-la... la mia?
Annuì -la tua, che mi chiedeva di tornare da te, quella di Feli e quella del nonno. Quel silenzio è diventato insopportabile, e sono risalito.
Antonio gli baciò il dorso della mano -sei tornato da me.
-sì.
Lui sospirò, stanco -non farlo mai più. Non lascerò che tu lo faccia più.
-forse era giusto che succedesse- mormorò -forse dovevo vedere dove stavo andando a finire per... sai... migliorare. Forse.
-non lo so. Però non ti farò mai più sentire in quel modo- lo baciò sulla fronte -ti farò sentire tante di quelle cose che...
-le sento già- sussurrò, stringendolo a sé. Antonio nascose il viso nell'incavo del suo collo, sospirando contro la sua pelle -le sto sentendo anche ora.
-bene- silenzio. Lovino cominciò a chiedersi se lui non si fosse addormentato, quando quello mugugnò, stringendoselo contro, un -non ti farai più il bagno da solo.
Rise, accarezzandogli i capelli -in camera ho la doccia, non la vasca.
-meglio- brontolò, con tono da bambino. Lovino lo baciò tra i capelli.
-dormi, ne hai bisogno- altro bacio -buonanotte, bastardo.
Antonio sembrò sul punto di protestare, ma era semplicemente troppo stanco. Se lo strinse contro, facendo dei suoi respiri la sua ninna nanna -buonanotte, mi amor.

 

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Capitolo 37
*** Capitolo trentasei ***


Lovino si svegliò da solo, ma stranamente era contento. Si sentiva felice, riposato da quelle poche ore prive di sogni più che da settimane e settimane di incubi. Si stiracchiò e si mise seduto, guardandosi intorno.
Dov'è che... giusto, l'infermeria. E se era in infermeria...
Si girò, ma di Antonio nessuna traccia. Notò un bigliettino lasciato sul cuscino e lo aprì, curioso. Dentro, con la sua calligrafia regolare, Antonio gli aveva scritto poche righe, spiegando che era dovuto andare a lavoro e non aveva avuto il cuore di svegliarlo ("sei così adorabile mentre dormi!") e che "se mi cerchi sono di là, querido, chiamami. Ti amo!".
A quanto pare lo spagnolo era sdolcinato nello scritto quanto nel parlato. Sospirò, stringendosi il bigliettino al petto, e si rigirò un po' nel letto, avvolgendosi nelle lenzuola. Che schifo, si sentiva una tredicenne innamorata... ma era fottutamente bello fare il ragazzo normale.
Dopo qualche minuto si alzò, si diede una pulita (dopo tre giorni non aveva esattamente un profumino di rose) e si decise a uscire per cercare Antonio.
Non fu difficile, a dirla tutta. In infermeria c'era solo lui, impegnato a controllare le scorte.
Lo abbracciò da dietro, nascondendo il viso contro la sua schiena.
-'giorno.
Antonio era sobbalzato per la sorpresa, dandogli una piccola soddisfazione, ma quando riconobbe la sua voce si rilassò e allungò una mano all'indietro per accarezzargli i capelli.
-buongiorno, querido!- esclamò contento, girandosi per baciarlo. Lovino trattenne un sorriso soddisfatto, quello sì che era un bel risveglio. Antonio inarcò un sopracciglio -perché sei qui? Dovresti restare a letto.
-non rompere i coglioni- sbuffò, appoggiandosi alla sua spalla -sto bene.
-sei...
-sì, sì, mi sono appena svegliato dal coma e blablabla- roteò gli occhi -ma sto bene.
Antonio lo baciò sulla testa -adesso però torni a letto, okay? Tra un po' dovrebbe arrivare la dottoressa.
-cagacazzi.
-lo so querido- ridacchiò, stampandogli un bacio -ti porto la colazione?
-meh.
-mangiamo insieme?
-mh. Va bene- lo baciò e si allontanò da lui -però non...
-Lovi...?- intervenne una nuova voce. Il ragazzo si voltò e si sforzò di imbastire un sorriso.
-Feli... ciao.
Quello gli saltò addosso e scoppiò a piangere -fratellone! Stai bene? Ti fa male qualcosa? Tutto a posto?
-sì, sì, tranquillo- gli diede qualche pacca sulla spalla -sto bene, Feli.
Il minore singhiozzò contro la sua spalla -ero così preoccupato!
-lo so- lo strinse. Gli parlerò di mamma, pensò, ma ora no, non è il momento -sei stato un grande. Il nonno dov'è?
Feliciano si oscurò in viso -sono due giorni che è chiuso dentro il suo ufficio. Sta pensando a quello che ci sarà dopo, la costituzione, lo stato, blablabla. È venuto a trovarti un paio di volte, ma non sono neanche riuscito a convincerlo a mangiare.
-adesso mi sente- fece per uscire, ma si sentì trattenere per un polso -che cazzo f...- il bastardo, perché di lui si trattava, lo sollevò da terra, se lo mise in spalla, come se non pesasse niente, e si incamminò verso la sua stanza dell'infermeria.
-ti devi riposare- ripeté Antonio. Lovino cominciò a dimenarsi, imprecando, e lo prese a pugni sulla schiena, ignorando la risata di Feliciano.
-ho dormito tre giorni! Direi che sono riposato, no?- sbuffò, colpendolo sulla spalla. Antonio rise.
-non uscirai da qui finché non sarò sicuro al duecento percento che stai bene.
-te lo sto ripetendo da ieri! Sto bene cazzo!
-su, su, non serve fare i capricci- finalmente il bastardo si degnò di lasciarlo andare, posandolo sul letto. Lovino incrociò le braccia al petto.
-ti sei finalmente ricordato che non sono un sacco di patate o hai solo deciso che pesavo troppo?
Antonio rise e lo baciò sulla fronte -i sacchi di patate non fanno così casino.
-gne gne. Tu non trascinarmi in giro e vedi che starò zitto.
-oh, no, adoro i tuoi insulti- gli fece l'occhiolino, e il resto della frase fu un sussurro -e pur di averti tra le mie braccia potrei sopportare di tutto.
-più che tra le braccia ero sulle spalle, cretino- roteò gli occhi e si sdraiò sul letto, imbronciato -almeno ho qualcosa da fare visto che- mimò le virgolette con le dita -"devo riposare"?
Antonio fece per dire qualcosa, ma intervenne Feliciano -vado a prenderti la colazione- gli fece l'occhiolino -farò con calma, non preoccuparti- e trotterellò via, senza dargli il tempo di dire niente.
Lovino sospirò, coprendosi il viso con le mani -che cretino.
-be'...- Antonio gli salì sopra, tenendosi su con le braccia, e lo baciò sulle mani, all'incirca dove ci sarebbero dovute essere le labbra -potremmo fare qualcosa noi due in effetti...
Lovino si tolse le mani dalla faccia, con un sorrisino -vuoi pomiciare, bastardo?
-non sarebbe una cattiva idea- lo baciò, lentamente, schiudendogli le labbra con dolcezza. Si allontanò e gli sorrise -dobbiamo recuperare il tempo perso, no?
-è una bella idea- Lovino gli prese il viso tra le mani, baciandolo per qualche secondo. Si lasciò andare contro il suo corpo, sospirando, poi si allontanò e gli stampò un bacio sulla guancia, con un sorrisino -ma mi devo riposare, no?
Antonio scosse la testa, divertito, e scese a baciargli il collo, lentamente, e al ragazzo ci volle un bel po' per recuperare il suo autocontrollo. Lo spagnolo sorrise contro la sua pelle, godendo dei suoi brividi -allora vorrà dire che ci penserò io.
Lovino mugolò, seppellendogli una mano tra i capelli per stringerselo contro -sei un coglione.
La risata sommessa di Antonio fu incredibilmente irritante, quasi quanto il gemito che, dispettoso, gli uscì dalle labbra dopo l'ennesimo, lungo bacio sul collo. Lo allontanò da sé per baciarlo sulle labbra, e mentalmente rise soddisfatto quando riuscì a far gemere lui il suo ragazzo infilandogli una mano sotto la maglietta e accarezzandogli la schiena.
-hai le mani fredde- mormorò quello contro le sue labbra, facendolo sorridere, e portò anche l'altra mano a ritrovare l'altra, sfiorando i muscoli tesi con i polpastrelli. Antonio espirò di getto contro il suo collo.
-mierda, Lovi!- rise, posando la fronte contro la sua -mi farai venire un colpo.
-ops- gli stampò un bacio -magari è tutto un mio piano per farti fuori.
-perché dovresti?- lo baciò appena sotto l'orecchio -sono il tuo dolce, premuroso fidanzato.
-e sei anche uno stronzo- continuò ad accarezzargli la schiena, lentamente, su e giù. Lo baciò sulla guancia -però hai un bel fisico, te lo riconosco.
Antonio rise ancora e tirò su la testa per guardarlo negli occhi -ti piaccio solo per il fisico?
-hai anche un gran ben culo se è per questo, ma fa parte del fisico, no?- lo baciò sulla guancia -e di me?- bacio sul collo -cosa ti piace?
-tutto- così, di getto, senza neanche pensarci. Lovino rimase in silenzio qualche secondo, senza riuscire a parlare. Non poté fare altro che baciarlo, lentamente, con una mano sulla sua guancia. Antonio gli sorrise, con la fronte contro la sua, e gli stampò un altro bacio -ti amo.
-mh- un bacio. E un altro e un altro e un altro -anch'io, cretino. Però levati, sei pesante.
Antonio ridacchiò e lo baciò un'ultima volta, un po' più a lungo, prima di allontanarsi del tutto e alzarsi in piedi.
-quando ti dimettono recuperiamo- promise, facendogli l'occhiolino. Lovino si tirò su, appoggiando la schiena alla testiera del letto, e roteò gli occhi.
-guarda che dipende da te, cretino.
-non da me, sono solo un assistente- gli fece l'occhiolino mentre andava ad aprire la porta che Feliciano aveva chiuso.
-sei un cagacazzi, altroché- si lasciò baciare sulla fronte -e non è detto che io sia d'accordo a "recuperare".
-prima non mi sembravi molto contrariato.
Si impose di non arrossire -mi hai colto in un momento di debolezza.
Antonio alzò gli occhi al cielo, divertito -guarda un po', quando siamo insieme ti colgo sempre in un "momento di debolezza".
-non usare le virgolette contro di me, bastardo!- sbuffò -e si vede che è così perché mi fa male stare con te.
Antonio si sedette sul bordo del letto e gli prese la mano, con un sorriso troppo bello da guardare. Lovino si costrinse a restare immobile, con lo sguardo ostinatamente fermo davanti a sé, anche quando quello lo baciò sulla fronte.
-io invece sono piuttosto sicuro che ti faccia bene. Di sicuro ne fa a me, querido- altro bacio, sulla guancia questa volta. Con la mano libera lo costrinse a girare la testa e altro bacio, sulla bocca finalmente.
-hai detto che devo riposarmi- mormorò, appoggiandosi alla sua spalla. Il calore dell'abbraccio che lo avvolse non fu assolutamente un sollievo, no, assolutamente no. Sollevò il viso per osservare i suoi occhi -o sbaglio?
Antonio gli scostò un ciuffo che neanche si era accorto di avere sulla fronte e glielo sistemò dietro all'orecchio -già.
-allora devi andartene. Non posso riposarmi se ho troppi ormoni in circolo.
Risata. Gli piaceva quella risata -è una dichiarazione d'amore o mi stai solo chiedendo di levarmi di torno?
-uhm... un po' entrambe le cose, sì. Ma più la seconda- bacio. Merda, sperava di farci di nuovo l'abitudine -non ti aspettare dichiarazioni più sdolcinate di così, bastardo, sia chiaro.
-lo terrò a mente- altro bacio, questa volta fu lui a prendere l'iniziativa.
Lovino si strinse a lui, con un sospiro.
-non tirartela troppo- sbuffò -ho solo freddo.
-ma fa caldo.
-stai zitto e abbracciami.
E a quel punto non se lo fece ripetere una seconda volta. Lovino sospirò, soddisfatto.

Peccato che dopo qualche minuto furono interrotti. La dottoressa era arrivata, e Antonio insistette che il suo ragazzo si facesse controllare, nonostante quello fosse restìo. Alla fine stava bene: un "te l'avevo detto" arrivò, puntuale come la morte, dritto contro la fronte dello spagnolo, che fece finta di niente e continuò il suo lavoro fischiettando.
Lovino sbuffò, seduto a gambe incrociate sul letto -coglione.
Antonio non rispose e continuò a sistemare alcuni scaffali.
L'italiano fece per insultarlo di nuovo, ma bussarono alla porta.
-siete vestiti?- chiese una voce -posso entrare?
-certo che siamo vestiti, cretino- sbuffò divertito. Feliciano entrò con un'alzata di spalle, e una piccola e agile figura lo seguì di corsa, salendo sul letto e strusciandosi addosso al suo padrone. Lovino sorrise e abbracciò il suo micetto -mi sei mancato anche tu, Cesare.
-non si sa mai. I giovani d'oggi...- posò il suo davanti a Lovino -colazione all'italiana.
-grazie a Dio- si fiondò sul cibo, non si era neanche accorto di avere così tanta fame. Inutile dire che in pochi minuti non rimase neanche una briciola.
Antonio fischiò -sapevo che eri un'aspirapolvere di cibo, amore, ma non pensavo a questi livelli.
-non rompere i coglioni- si ricordò di un'altra cosa -e non chiamarmi amore.
-va bene, amore.
-brutto pezzo di...
-se volevo fare il terzo incomodo andavo da Gilbert ed Eliza- sbuffò Feliciano, sedendosi davanti al fratello e facendo i grattini dietro alle orecchie del gatto -capisco Kiku, povera stella.
Antonio rise -okay, vi lascio soli, tanto qui ho finito- stampò un bacio sulla testa del suo ragazzo, facendo soffiare il gatto, e se ne andò, canticchiando una canzoncina in spagnolo.
Quando la porta si fu chiusa, Lovino si rivolse a suo fratello.
-il bastardo è inutile, quindi chiedo a te. Voglio sapere tutto quello che mi sono perso mentre ero via.
Cesare miagolò e cominciò a farsi le fusa, facendosi accarezzare.
Feliciano ridacchiò -anche i pettegolezzi?
-soprattutto i pettegolezzi.
Quello rise e lo abbracciò, premendo la guancia contro la sua spalla. Sospirò -mi sei mancato, fratellone.
-anche tu- lo strinse, un po' impacciato -dopo ti... ti devo raccontare una cosa. Prima però parliamo di cose più leggere.
Feliciano scosse la testa -mi hai messo curiosità, ora me lo dici.
Uno sbuffo divertito -anche tu c'hai ragione- gli strinse la mani -mentre ero in coma... ho visto mamma.
Feliciano sgranò gli occhi -m-mamma?
Annuì -sì. Ero in quel... quel posto che vedevi, quello con il mare e le montagne, e c'era lei. Mi ha spiegato alcune cose e...
-mi odia?- lo interruppe, con gli occhi lucidi. Lovino aggrottò la fronte.
-certo che no. Perché dovrebbe?
Chinò la testa. Il suo fu appena un sussurro -l'ho... l'ho uccisa.
-ma che minchia dici? Non l'hai uccisa.
-è morta per colpa mia.
-è morta perché voleva metterti al mondo. È stata una sua scelta, perché ci ama- gli raccontò più o meno tutto, tenendogli la mano. Alla fine, il più piccolo si era appoggiato all'altro, piangendo contro la sua maglietta, e quello lo aveva stretto, rassicurandolo sotto voce. Cesare si strusciò leggermente contro il fratellino minore, leccandogli la guancia e facendolo ridere.
-ti ama- sussurrò Lovino, baciandolo sulla fronte -è la mamma, no? Certo che ci ama.
Feliciano annuì, tirando su con il naso -s-secondo te quando la rivedremo?
-non lo so. Quando moriremo, presumo. Ma ci guarda, no? Ci sta guardando anche ora.
Feliciano sollevò il viso verso il cielo e salutò il soffitto -ciao mamma.
Lovino gli asciugò la guancia -su, non fare il piagnone- doveva distrarlo, non gli piaceva vederlo piangere -tornando tra i vivi, con il crucco come va?
Feliciano tornò a sorridere e prese ad accarezzare Cesare -bene direi. Non l'ho visto molto in questi giorni in realtà, è tutto molto... caotico, e per lo più stavo qui con te. Però quando l'ho visto è stato così dolce!- si fece più malizioso -e con Antonio?
Per qualche assurdo motivo si sentì arrossire -lo sai com'è fatto. È una sanguisuga.
Le sopracciglia di Feliciano decisero di sollevarsi in due archi fin troppo alti -ooooh. Quindi ti ha suc...
-non in quel senso!- lo interruppe, rosso fino alla punta delle orecchie. Lo guardò male -sei un pervertito. Intendevo dire che è appiccicoso. Mi abbraccia sempre- questa mattina l'hai abbracciato tu però gli ricordò una vocina. Stai zitta, ordinò alla vocina -e mi riempe di baci. Sulle labbra- specificò -non farti strane idee- veramente anche sul collo, continuò la vocina. Ti ho detto di tacere, bastardella impertinente.
-pff. E ti aspetti che io ci creda?
-è la verità.
-vuoi farmi credere che non ti è ancora saltato addosso?
-lo vaporizzerei se mi saltasse addosso a caso!
-la pensi così ora, mio innocente verginello tsunderello.
-non fare quella faccia da saputellino- lo colse un dubbio atroce -perché, tu con il crucco che hai combinato? Se ti ha messo le mani addosso...
-no, no- roteò gli occhi -non abbiamo ancora fatto nulla, tranquillo. Ma ci sto lavorando.
-tu non lavori a un bel niente, mio innocente verginello tsunderello.
-non sono tsundere.
-che cazz'è tsundere, un nuovo insulto? Se è una parolaccia la devo imparare.
Feliciano rise -è una parola in giapponese, non un insulto. È un... tipo di personalità. Te lo faccio spiegare meglio da Kiku.
-il giapponesino inquietante? Bah, okay. Quindi sarei uno zundere?
-tsundere, sì. Uno tsundere da manuale.
-bah. Se lo dici tu- scrollò le spalle -quindi? Che mi sono perso?
-uhm... Francis e Arthur si sono messi insieme.
-cose non prevedibili?
-uhm... non saprei. Le solite cose credo. Sono tutti agitati per quello che ci sarà ora... si erano preparati un piano in generale, ma metterlo in pratica...
-oh. Capisco- sbuffò -il nonno deve smetterla di voler fare l'eroe.
Feliciano roteò gli occhi -senti da che pulpito.
-io non...
-comunque- lo interruppe -di pettegolezzo non c'è molto. Dopo letteralmente anni di flirt, quei due prosciuttoni di Gilbert ed Eliza si sono fidanzati.
-l'ho saputo. È il grande scoop, eh?
-e ci credo. Tutti e dico tutti qui dentro non aspettavano altro- esitò -be'... più o meno.
-c'è chi aspettava più te e il crucco- commentò, divertito -tipo Eliza stessa, o il giapponesino. Vi siete decisi a renderlo pubblico o no?
Feliciano sospirò -no, non ancora. Tu cosa hai intenzione di fare con Antonio invece?
Alzò le spalle -boh. Penso che farò finta di niente... nel senso, non mi va di fare tante cerimonie. Se a lui va bene, ci comportiamo come una coppia e fine. Nel senso... ci baciamo, ci prendiamo la mano... quelle robe lì.
Feliciano rise -tanto non credo che Antonio possa dirti di no per qualcosa, soprattutto se si tratta di "fare la sanguisuga", come dici tu.
Lovino scrollò le spalle, divertito -non hai tutti i torti- sbuffò, lasciandosi andare all'indietro e lasciando che il suo micio gli si sedette in braccio -almeno se sono tutti occupati non faranno stupide feste o cazzate simili.
Feliciano sembrò imbarazzato -ehm...
Lovino inarcò un sopracciglio -non dirmi che mi stanno organizzando una qualche imbarazzante festa a sorpresa.
Feliciano non rispose.
Il maggiore sospirò -merda.
-io non ti ho detto niente.
Lovino si coprì il viso tra le mani -che due coglioni. Se mi fingessi malato...?
-Antonio ti inchioderebbe qui dentro per settimane- concluse Feliciano. Il maggiore sbuffò.
-giusto. Porca troia- sbuffò, ancora, e si decise ad alzarsi. Cesare sbuffò e gli si materalizzò sulla spalla, scocciato per il movimento improvviso -ho bisogno di una doccia- stabilì -e anche di un calmante, ma quello è un altro discorso. Mi accompagni in camera mia?
-certo!- Feliciano si alzò e gli prese la mano, uscendo dalla stanza tutto contento. Lovino cercò di trattenere una smorfia, l'ultima volta che si erano tenuti per mano non era finito bene... però lì, a ben pensarci, non c'erano macchine, né guidatori spericolati, e ormai aveva imparato ad accettarsi e a controllarsi. Gli strinse la mano mentre si chiudeva la porta alle spalle, e Cesare gli strusciò il musino contro la guancia.

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Capitolo 38
*** Capitolo trentasette ***


Be', almeno ci provò, dai. Tentò di mostrarsi sorpreso quando Antonio, due giorni dopo, tirato a lucido, si presentò alla sua porta e gli disse di prepararsi per una sorpresa. Ci provò, davvero, ma quello lo notò comunque.
-sai già tutto, vero?- lo chiese, nonostante sapesse perfettamente la risposta, ed entrò nella stanza, chiudendo la porta. Lovino alzò le spalle con nonchalance mentre apriva l'armadio e lo scrutava cercando qualcosa di decente da mettersi.
-Feli ha la lingua lunga- rispose solo, sollevando una vecchia maglietta. Scosse la testa e la lanciò via -e a dirla tutta un po' me l'aspettavo. Conoscendovi...
Antonio ridacchiò -be', abbiamo avuto poco tempo per organizzarla, quindi non aspettarti chissà cosa. Ma siamo riusciti a convincere tuo nonno a venire, il che non è male.
-ma che bravi- lanciò via un paio di pantaloni, possibile che non avesse un cazzo da mettersi? -tanto mi sa che non troverò qualcosa da mettermi prima di domani o dopodomani- lanciò una giacca. Antonio rise e lo raggiunse, abbracciandolo da dietro e posando il mento sulla sua spalla per guardare davanti a sé -saresti perfetto anche con un sacco della spazzatura addosso, non ti preoccupare- bacio sulla spalla. Lovino si costrinse a non tremare -o nudo. Sono sicuro che nudo staresti divinamente.
-allora vado alla festa nudo.
-no- lo strinse di più, facendolo sorridere esasperato -quella è una vista riservata a poche persone. Tipo... nessuno tranne te.
Lovino si girò tra le sue braccia e lo baciò, con le mani sulle sue guance -e te?- chiese, sussurrandolo, quasi con timore della risposta. Antonio arrossì contro le sue dita.
-quello lo devi decidere tu- girò la testa per baciarlo sul palmo della mano.
-e... ti piacerebbe?
Quello distolse lo sguardo, sempre più imbarazzato. Si morse il labbro, e Lovino si sentì intenerire così tanto da fargli male al cuore -be'... di sicuro non mi dispiacerebbe, ecco.
Abbozzò un sorriso, avvolgendo le braccia intorno al suo collo per seppellire le mani tra i suoi capelli -che pervertito- gli sussurrò sulle labbra, baciandolo subito dopo. Le mani dello spagnolo, coraggiose, superarono senza difficoltà la sua maglietta e si posarono sulla sua schiena, dandogli i brividi. Le sue dita si rincorsero lungo la sua colonna vertebrale, si inseguirono, si sfiorarono, delle linee di puro fuoco sulla sua pelle. Si ritrovò a gemere, sottovoce, contro la sua bocca, e Antonio dovette allontanarsi, con le labbra rosse.
-meglio fermarci qui- disse, con il tono di chi pensava tutt'altro -o alla festa mi sa che non ci arriviamo più.
-e sarebbe un problema?- se lo tirò contro, baciandolo fino a sentire la parete contro la schiena e tirandoselo contro il più possibile. Il resto della frase fu un sussurro, dritto contro la sua bocca -secondo me no.
Antonio gemette di frustrazione, baciandolo con forza contro la parete, schiudendogli le labbra senza tanti complimenti, e Lovino si ritrovò a sorridere mentre gli serrava una mano tra i capelli per impedirgli di andarsene, come se quello ne avesse avuto voglia... si sentì sollevare, istintivamente allacciò le gambe intorno ai suoi fianchi per reggersi meglio e si sentì sospirare, per una volta senza dover alzare il viso per baciarlo.
A un certo punto, però, si costrinse ad allontanarsi.
-la... la festa- balbettò, anche se della festa non gliene poteva fregare di meno. Si sentiva il viso in fiamme, aveva bisogno di riprendere fiato. Antonio annuì, anche lui rosso, e Lovino sentì i propri piedi toccare nuovamente terra, anche se non si sapeva spiegare come facessero le sue gambe a reggere il suo peso.
-g-giusto- barcollò all'indietro e si sedette sul letto, con lo sguardo puntato sull'armadio -fai con comodo.
Annuì, tornando alla sua ricerca. Senza pensarci troppo afferrò una vecchia camicia grigia non troppo logora e si sfilò la maglietta. Girandosi per infilarla, beccò Antonio a guardarlo, e si lasciò sfuggire un sorriso. Lo raggiunse in pochi passi e si chinò a baciarlo, la camicia lanciata malamente sul letto. Gli accarezzò la guancia liscia, baciandolo di nuovo a stampo.
-stanotte- gli uscì -resti a dormire da me?
Non ci voleva certo un genio a capire che con "dormire" intendeva ben altro che dormire. Sì che Antonio spesso e volentieri mancava dell'intelletto base donato a una tartaruga, ma non poteva essere così idiota da non capirlo. E infatti annuì, con lo sguardo annebbiato dal desiderio (e dagli ormoni), e lo baciò di nuovo, facendolo sedere sulle sue gambe. Lovino si premette contro di lui, voleva più contatto possibile con l'altro, aveva bisogno di sentire il suo calore direttamente contro la sua pelle, e non riuscì a trattenere un sospiro quando quello riprese ad accarezzargli la schiena nuda, partendo dalla pelle sottile delle scapole e scendendo giù, lentamente, fino a...
Qualcuno bussò alla porta. Lovino desiderò intensamente uccidere chiunque fosse, ma non voleva altri morti sulla coscienza, così si limitò a un, sperò, fermo e neutro -chi minchia è?
-scusa fratellone, ma vi stanno aspettando- Feliciano. Piccolo, innocente, puntuale Feliciano -vestitevi e sbrigatevi, che il cibo si raffredda.
Lovino sbuffò -siamo vestiti, cretino- diede un pizzicotto al braccio di Antonio quando quello scese a baciarlo sul collo, con ancora le mani sulla sua schiena. Quello gli fece l'occhiolino, facendogli alzare gli occhi al cielo.
Feliciano aveva il tono di chi sa fin troppe cose. Saputellino di merda -allora io entro...
-vai alla stracazzo di festa e non rompere i coglioni!
E quello obbedì, ridendo.
Lovino sbuffò e si alzò, infilandosi la camicia. Si sentì abbracciare da dietro e sorrise leggermente, appoggiandosi al suo ragazzo.
-stasera- promise, lasciandosi baciare sul collo.
-non sentirti costretto- mormorò contro la sua pelle.
-non mi sento costretto. Lo voglio. Ti voglio- si girò per baciarlo, stringendosi a lui. Gli rivolse un piccolo sorriso -reputati fortunato.
-lo faccio, ogni volta che ti vedo sorridere o che ti bacio- e, per rimarcare il concetto, gli stampò un bacio, dritto sul suo sorriso -e ti amo così tanto.
-anch'io- altro bacio. Si sentì arrossire -entrambe le... le cose intendo. Ma non sono così sdolcinato.
Antonio rise, baciandolo ancora e ancora e...
-la festa- lo interruppe, posandogli una mano sulla bocca -dopo... dopo vediamo- gli stampò un bacio sulla guancia, allontanandosi dal suo abbraccio con un sorriso -dipende da come ti comporti.
Antonio gli prese la mano, seguendolo -farò il bravo...

Davanti alla porta chiusa della mensa Antonio fece per lasciargli la mano, ma Lovino continuò a stringergliela. Di fronte alla sua espressione confusa, sbuffò, imbarazzato -che hai da guardare con quella faccia da pesce lesso? Non vedo il senso di continuare a fingere, ecco. Ma se non vuoi va bene.
Antonio rimase in silenzio qualche secondo, facendolo quasi preoccupare. Poi se lo tirò contro e gli posò un braccio sulle spalle, baciandolo sulla testa -ti amo da morire.
Lovino sbuffò, afferrandogli la mano e giocherellando con le sue dita -idiota- sbuffò, posando la mano libera sulla maniglia della porta chiusa -vado?
Antonio sorrise -vai.
Una ventina di voci urlò "sorpresa!" allo stesso tempo, facendogli venire un infarto. Imprecò in italiano, con una mano sul petto.
-porca merda, ma siete scemi?- proprio mentre cercava di rimettere il cuore al suo posto (e intanto quel bastardo di Antonio rideva come il bastardo che era), altro infarto: qualcuno gli saltò addosso per abbracciarlo. Gli ci volle un po', il tempo di ingoiare il proprio stesso cuore, per accorgersi che si trattava di suo nonno, che lo sollevò da terra per l'impeto. Sgranò gli occhi e lo strinse, dandogli qualche pacca sulla spalla -ehm, ciao nonno...
Colpo alla testa. Un bel coppino, preciso, pulito, da manuale.
-ahio.
-se mi nascondi di nuovo qualcosa- disse, posandolo a terra -ti faccio volare dalla finestra. Chiaro?
-cristallino- abbozzò un sorriso e lo baciò sulla guancia -mi sei mancato nonno.
-anche tu, pischellé.
Feliciano ne approfittò per indire un imbarazzante, ridicolo e umiliante abbraccio di gruppo, saltandogli al collo senza la minima vergogna. Lovino sgranò gli occhi.
-non vi azzardate a...- la sua voce venne soffocata dal suddetto, enorme, abbraccio di gruppo, a cui per fortuna non tutti aderirono. Sbuffò, rischiando di cadere a terra -vi odio.
-c'è la pizza- lo informò suo fratello.
E qui la situazione cambia, pensò Lovino. Si guardò intorno per individuare il suo tesoro, e quando vide il tavolo del cibo sgusciò via, verso la sua ragione di vita.
Quando cinque meravigliose, stupende, deliziose teglie di pizza fatta in casa restituirgli lo sguardo per poco non scoppiò a piangere. Era per queste cose che si salvava il mondo. Afferrò una delle teglie bollenti con le mani, ignorando gli altri, e andò verso il tavolo più vicino per gustarsi la sua meritatissima ricompensa. Sentì Feliciano ridacchiare.
-ve l'avevo detto io.
Gilbert, l'unico seduto visto che aveva ancora una gamba fuori uso nonostante le stampelle al suo fianco, inarcò un sopracciglio -non può mangiarsela tutta, dai.
Gli puntò contro la forchetta -è una sfida, crucco? Perché se voglio me magno anche le altre, ma ho pietà di voi e non voglio togliervi quel dono divino che è la pizza fatta bene.
Antonio si sedette affianco a lui e gli stampò un bacio sulla tempia -e così preferisci la pizza a me.
-preferisco la pizza a qualsiasi essere vivente. Niente di personale- se ne tagliò una fetta e, cazzo, quanto gli era mancato quel cibo divino.
Pensate sia esagerato? Immaginate di passare anni senza mangiare il vostro cibo preferito, poi ne riparliamo.
Si sedettero altri al tavolo, e quegli altri cominciarono a chiaccherare, ma Lovino aveva fame e quindi chivvesencula.
Gilbert, con Eliza sulle cosce, fischiò -non ci credo. L'ha mangiata tutta.
-avevi dei dubbi?- Feliciano rise -si vede che non l'hai mai visto a una sagra di paese.
-ce n'è ancora?- chiese, lasciando che Antonio gli prendesse la mano. Romolo scrollò le spalle.
-non lo so, vai a vedere al tavolo.
-c'è anche la carbonara- aggiunse Feliciano. A quelle parole Lovino drizzò le orecchie e, senza troppi complimenti, andò a procacciarsi il cibo.
Per la serie "cosa non si fa per amore", Antonio si alzò e lo seguì, afferrandogli la mano a metà strada. Lovino continuò il suo giro tra i tavoli, anche se l'idea di mangiare prima un secondo e poi un primo gli dava la nausea (consideriamo la pizza un antipasto, si disse), ma intrecciò le dita con le sue e accettò passivamente le sue carezze lungo il dorso della mano. Quando una succulenta pentola di carbonara gli resituì lo sguardo, senza troppi giri di parole afferrò un piatto e se lo riempì il più possibile, con la bava alla bocca. Antonio rise e prese a sua volta un piatto per sé, lasciandosi trascinare verso il tavolo.
-ti è proprio mancato il cibo italiano, eh?- scherzò vedendolo abbuffarsi. In risposta l'italiano scrollò le spalle, e quello, per qualche motivo, sembrò prenderlo come un invito a baciarlo, perché gli fece girare il viso con due dita e posò le labbra sulle sue. Così, a sorpresa. Traditore.
Eliza, davanti a loro, sbatté una mano sul tavolo ed emise un urletto strillando -Spamano!
Lovino si allontanò dal suo ragazzo per guardarla male -è la seconda volta che lo dici. Mi spieghi che cazzo vuol dire?
Quella fece un sorrisino -una shipper non rivela mai i suoi segreti- e lei e Kiku si batterono il cinque.
Gilbert sbuffò, appoggiando la testa sulla sua spalla -mi fai paura- dichiarò, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli -ma me ne hai sempre fatta, quindi a posto.
-è per paura che stai con me?- scherzò.
-nah. La mia non è paura paura, anche perché il magnifico non ha paura di nulla, è più una paura stile "potrebbe farmi il culo in un secondo e la cosa mi piace da morire".
Eliza roteò gli occhi e gli stampò un bacio -che masochista che sei.
Lovino sbuffò e guardò Antonio -io e te non siamo così sdolcinati.
Quello gli fece l'occhiolino, stringendoselo contro -per ora.
Romolo, che aveva osservato la scena in silenzio, tossì rumorosamente per attirare l'attenzione. Indicò Antonio con il suo coltello -pischellè, ti voglio bene, e lo sai.
-anch'io te ne...
-ma sei fai soffrire mio nipote, non troveranno mai più il tuo cadavere.
Antonio deglutì, e istintivamente strinse di più la mano al suo ragazzo. Si sforzò di imbastire un sorriso -certo che no, signore.
-bravo ragazzo- e tornò a mangiare.
Lovino inarcò un sopracciglio -l'hai davvero chiamato signore?
Antonio alzò le spalle, imbarazzato e impanicato. Con un po' di soddisfazione, Lovino notò che anche Ludwig, seduto accanto a Feliciano, sembrava spaventato. Roteò gli occhi -cretino- gli stampò un bacio sulla guancia, per poi tornare al suo piatto -Felicià, c'è poco guanciale.
-ci avrei scommesso che l'avresti detto- rispose -hai la minima idea di quanto sia difficile trovarlo di questi tempi? Accontentati, è già tanto che non sia pancetta.
Rabbrividì -no no, meglio così.
Feliciano si girò verso Romolo -nonnino caro...
-che vuoi?
Gli fece gli occhioni -posso un po' di vino?
Romolo sbuffò -va bene, ma poco.
-grazie nonno! Vado a prendere una bottiglia- si alzò e trotterellò verso il tavolo delle bevande, come un bambino verso le caramelle. Ludwig aggrottò la fronte.
-sarà saggio farlo bere?
Romolo ridacchiò -quel pischelletto regge più di me. Starà bene.
Feliciano tornò dopo qualche minuto, con due bottiglie di vino già aperte tra le mani. Ne posò una davanti a suo nonno, si sedette al suo posto e si attaccò all'altra, bevendo direttamente dalla bottiglia come si beve da una borraccia dopo ore di corsa sotto il sole cocente.
Ludwig lo osservava con tanto d'occhi, basito. Gilbert fischiò.
-minchia come beve il piccoletto.
Dopo essersi fatto fuori mezza bottiglia, finalmente si decise a staccarsi, leccandosi le labbra.
-buono- disse solo. Fece per riprendere a bere, ma il suo ragazzo allontanò da lui la bottiglia. Feliciano si imbronciò -dai, Luddi!
-ti fa male.
-daaaai.
-no.
-ma ho bevuto solo un goccino!
-hai bevuto mezza bottiglia.
-è leggero... sono sobrio! Non barcollo neanche. Se fosse grappa lo capirei ma...- si girò verso di lui -a proposito, mi è sembrato di vedere dell'amaro siciliano al tavolo.
Lovino si illuminò e si alzò -vado a dare un'occhiata- Antonio sembrò contrariato.
-non ti ubriacare, querido.
-nah, tranquillo- lo baciò tra i capelli e andò, per la terza volta, a cercare il suo tesoro.
Qualcuno aveva fatto partire la musica. Feliciano si illuminò e si mise a canticchiare, appoggiato alla spalla del suo ragazzo.
-sparagli Piero, sparagli ora, e dopo un colpo sparagli ancora...
Romolo aggrottò la fronte -ma chi cazzo ha scelto la canzone? Sì che abbiamo detto di mettere musica italiana, ma non mi sembra la canzone adatta a festeggiare.
Feliciano continuò -Ninetta mia crepare di maggio, ci vuole tanto, troppo coraggio...
-vado a cambiare musica, ho capito- e si alzò per andarsene.
Eliza applaudì -hai davvero una bella voce, Feli.
Quello le sorrise -grazie! Però Lovi è sempre stato più bravo di me a cantare.
Antonio distolse lo sguardo dal suo ragazzo a quelle parole per portarlo sull'altro fratello Vargas -il mio Lovi?
-oh sì, proprio lui.
Antonio sfregò le mani tra loro -devo trovare il modo di farlo cantare.
Feliciano fece un verso stizzito -guarda e impara, torero- si alzò in piedi e, a piedi polmoni, intonò un -DI SERE
Per qualche secondo, il silenzio. Poi Lovino, con in mano una bottiglia ancora chiusa, rispose con un -NEREEEEEEEEEEEEEE- così perfettamente intonato da far commuovere qualsiasi insegnante di canto del mondo. Feliciano si risedette, soddisfatto -visto?
Ludwig allontanò ulteriormente la bottiglia di vino da lui -hai bevuto decisamente troppo.
-ma dai! Non ho neanche toccato la grappa. Sono ancora sobrio.
-a me non sembra.
-ma lo sono! Non barcollo neanche.
Lovino intanto era tornato al tavolo, con tutta la nonchalance del mondo -che mi sono perso?
Antonio gli circondò le spalle con un braccio, stampandogli un bacio sulla tempia -non sapevo avessi una voce così bella.
-infatti non ce l'ho.
-invece sì.
-no.
-sì.
-no.
-sì. Quello che hai cantato prima era bellissimo.
Lovino guardò malissimo suo fratello -hai usato Tiziano Ferro contro di me. Infame lurido traditore.
Quello gli fece l'occhiolino. Lovino fece per dire qualcosa, ma partì una nuova canzone.
"Vieni a ballare in Puglia, Puglia, Puglia
Tremulo come una foglia, foglia, foglia
Tieni la testa alta quando passi vicino alla gru
Perché può capitare che si stacchi e venga giù"
Indicò suo fratello -ora vieni con me a ballarla. Subito.
Quello rise e si alzò -andiamo allora.
E si diressero verso il centro della sala, dove già un paio di persone si erano messe a ballare. Ad Antonio si seccò la gola.
-mierda, è bravo pure a ballare...
Romolo tornò a tavola e gli chiuse la bocca con una mano. Ghignò -funziona sempre. Lovino è così prevedibile a volte.
Ludwig, pure lui con lo sguardo fisso sul suo ragazzo, si ritrovò a chiedere -di che parla?
-la canzone? Uhm... morte, mafia, distruzione, corruzione...
Gilbert fischiò -non ci credo.
Romolo ridacchiò -davvero- tradusse il ritornello, sotto i loro sguardi basiti.
Quando la canzone finì e i due fratelli tornarono al tavolo, quelli li fissavano basiti. Lovino inarcò un sopracciglio.
-cazzo avete da guardare? Ballo così male?
Antonio se lo tirò contro per baciarlo -il contrario- gli sussurrò, baciandolo sul collo. Quello roteò gli occhi e lo allontanò da sé.
-placati, sanguisuga.
Feliciano approffittò della distrazione per riprendersi la bottiglia di vino e riprendere a bere, scappando via. Ludwig sbuffò, andandogli dietro -Feliciano...
Quello si staccò dalla bottiglia per sorridergli -cosa? Ti ho detto che sto bene.
Ludwig cercò di prendergli la bottiglia, ma quello se la strinse al petto.
-eddai, Luddi, ho detto che non sono ubriaco- fece una giravolta su se stesso -visto? Non barcollo.
Ludwig roteò gli occhi. Poi si avvicinò, lentamente, e si chinò a baciarlo. Feliciano chiuse gli occhi e si lasciò andare, allacciando un braccio intorno al suo collo per tirarselo più vicino. A quel punto il tedesco ne approfittò e gli prese la bottiglia, allontanandosi e tornandosene al tavolo come se nulla fosse. Feliciano si imbronciò -così non vale! Luddiii- gli corse dietro, cercando di riprendersela, ma quello non volle sentire ragioni -sei sleale!
-lo faccio per te.
-gne gne.
Eliza e Kiku, in tutto questo, si erano messi a parlottare, e Lovino sentì qualcosa tipo "Gerita" e "canon". Meglio non indagare.
Antonio attirò la sua attenzione picchiettandogli la spalla. Gli porse la mano -andiamo a ballare?
Lovino sogghignò, accettando la sua stretta -vediamo se reggi il mio ritmo, matador.
Mentre i due... be', flirtavano sulla pista da ballo praticamente, Gilbert sbuffò.
-è ingiusto.
-cosa?- Eliza non sapeva se aspettarsi una stronzata o una cosa seria. Con lui è così, si disse con un piccolo sorriso.
Quello sbuffò di nuovo -no dico, li hai visti? È ingiusto che ballino così bene.
Una stronzata. Si trattenne a stento dal ridergli in faccia -anche Feliciano, prima. È come se avessero la musica nel sangue. Io a mala pena mi reggo in piedi!
-grazie al cazzo, ieri ti sei preso un proiettile nella gamba.
-hai capito che intendevo- sbuffò per la terza volta -sono un tronco quando ballo. Poi arrivano loro e bam, mi fanno sentire una merda.
Eliza non riuscì a resistere e rise, stampandogli un bacio sulla guancia -almeno stasera hai una scusa per non ballare. E, visto che stiamo insieme, questa scusa si estende a me, perché non ho la minima intenzione di ballare.
-secondo me anche tu sei bravissima- brontolò, appoggiando la testa alla sua spalla. Eliza scoppiò a ridere.
-io? Brava a ballare? Faccio schifo, completamente.
-be'...- sollevò il viso, con un piccolo sorriso -potremmo fare schifo insieme. Che ne dici?
-fatichi a stare in piedi- gli ricordò, accarezzandogli le guance -e non mi va di farti da stampella, anche perché potrebbe riaprirsi la ferita e...
-chi ha parlato di stare in piedi?- la interruppe, posandole le mani sui fianchi e invitandola con una piccola spinta a sedere sulle sue gambe. Eliza lo accontentò, curiosa, e si lasciò sistemare le braccia intorno al collo dell'altro. Gilbert cominciò a dondolare, più o meno a tempo con la musica. Eliza sbuffò e fece lo stesso, appoggiando la fronte contro la sua e lasciandosi baciare di tanto in tanto.
-non è esattamente un lento- mormorò Gilbert -ma ci può stare, no?
Eliza lo baciò di nuovo, lasciandosi abbracciare. Sorrise -sì, ci può stare.
Nel frattempo, Feliciano era riuscito a riprendersi la bottiglia di vino saltando sulle spalle del suo ragazzo e rubandogliela dalle mani.
-sì!- riprese a bere, soddisfatto.
Ludwig sbuffò, contrariato -scendimi dalle spalle.
-no- si sistemò meglio, allacciando le braccia intorno al suo collo. Lo baciò sulla spalla e rise -portami in giro.
Ludwig cercò di metterlo giù -dai, potresti farti male.
-però voglio un bacio.
Il tedesco sorrise divertito -va bene- e gli stampò un bacio quando quello si fu deciso a scendere.
Francis e Arthur arrivarono poco dopo. Gilbert fischiò -ma guarda un po' chi ci ha concesso la sua presenza! I due piccioncini hanno fatto ritorno al nido.
Francis gli mandò un bacio -da che pulpito, mon ami. Sbaglio o è Lovìn quello con cui sta ballando Antoine proprio ora? E non è Eliza quella che stavi baciando fino a un secondo fa?
-dettagli.
-questo lo dici tu- si sedette con grazia nel posto che gli avevano tenuto e ignorò il ghigno soddisfatto di Arthur -mon amour, potresti portarmi da mangiare, s'il te plait?
-solo perché tanto ci devo andare anch'io- chiarì, dirigendosi verso il tavolo del buffet. Non appena fu a qualche metro di distanza, Gilbert afferrò il braccio dell'amico dall'altra parte del tavolo.
-perché siete arrivati tardi? Che avete fatto? Devo chiamare Antonio per menarlo? In caso basta dirlo, non c'è problema.
Eliza tirò la guancia al suo ragazzo -non rovinarmi la Fruk.
-scusa amore, ma se gli ha fatto del male...
-calmati- roteò gli occhi il francese, accavallando le gambe -Arthur è stato un gentleman. Come sempre.
-e perché siete arrivati in ritardo?
Francis si indicò -li vedi questi vestiti? Secondo te si sono scelti da soli? No tesoro, ci ho messo tre ore ad essere così favoloso e non ti permetto di sminuire il mio duro lavoro.
Gilbert sbuffò -povero Arthur. A sopportarti...
Francis sorrise -come ho detto, un vero gentleman. Mi sono permesso di scegliere anche i suoi.
-ecco perché è vestito bene.
-appunto. Pensi che avrebbe abbinato la giacca alla cravatta se non glielo avessi detto io? No signore.
-non lo avrei fatto perché è una cosa stupida- intervenne Arthur, posandogli davanti un piatto di pasta preso a caso -ringraziami, c'era fila.
Francis gli stampò un bacio sulla guancia -merci.
-ciao Francis!- Feliciano li superò di corsa, con una bottiglia di vino in mano. Lo seguì Ludwig, con aria scocciata.
-ti ho detto di mettere giù quella bottiglia!
Lovino, appoggiato alla spalla del suo ragazzo mentre ballavano un lento, si lasciò sfuggire una risatina.
-perché piangi?- gli sussurrò Antonio, accarezzandogli la schiena a tempo con la musica. Lovino rise di nuovo.
-non ti sfugge nulla, eh, bastardo?- sollevò la testa e lo baciò -sono solo... felice, credo. Tanto felice. È strano, ma lo sono- lo baciò di nuovo -promettimi che sarà sempre così. Per favore. Non voglio tornare a sentirmi come prima.
Sapeva che non era giusto, che Antonio non poteva controllare tutto e che le cose sarebbero sempre potute andare di merda senza che lui ci potesse fare nulla. Ma era anche vero che non gli importava, che aveva bisogno di una certezza e Antonio lo era.
-te lo prometto- lo baciò sulla fronte, stringendolo forte tra le braccia -lo prometto- mormorò, dondolandosi con lui a tempo -però tu devi fare lo stesso.
Lovino sbuffò -se ci tieni...
Antonio lo baciò sulla testa -certo che ci tengo- continuò a baciarlo un po' ovunque, tra viso, collo e spalle. Lovino chiuse gli occhi, lasciandosi andare.
-sei sdolcinato da morire...
-e ti dispiace?
-no- mormorò -non più di tanto- si concesse un sorriso -e... va bene, te lo prometto.

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Capitolo 39
*** Capitolo trentotto ***


Buonsalve miei cari amici. Sì, due capitoli di fila. Prego.
Piccolo avviso: CI SONO LE COSE SESSUOSE. Non dettagliate o esageratamente spinte, anche perché non le so scrivere, ma ci sono, quindi se vi infastidiscono saltate pure il capitolo.
Mi dileguo.

Mentre ritornava in camera sua mano nella mano con il suo ragazzo, Lovino sentiva il cuore in gola. Antonio gli strinse la mano per attirare la sua attenzione.
-stai bene?
No, pensò. Ho il cuore nel cervello e il cervello nelle palle, però annuì -sì solo...- scrollò le spalle, come a indicare una serie generica di cause: l'inquinamento, la stanchezza, il debito pubblico, l'emozione, l'inflazione, l'ansia...
Antonio però, come sempre, capì un po' troppe cose -riguardo il discordo di prima... se non te la senti non farti problemi a dirlo, va bene? Possiamo fermarci quando vuoi.
Sbuffò -ti ho detto che lo voglio. Sono solo un po' nervoso, ecco. Sono umano anch'io.
Lo spagnolo annuì, con un sorrisetto divertito -va bene, querido- lo baciò sulla guancia. Per un po' li accompagnò il silenzio, uno scomodo terzo incomodo, poi un dubbio atroce -tu hai... l'hai mai... ecco...
-no- rispose, tranquillo, ma Lovino riconobbe un puntino di nervosismo nel suo tono di voce -sai come sono fatto... sono uno sdolcinato, per me ci vuole la persona giusta.
-e... io lo sarei?- chiese, chiudendo alle proprie spalle la porta della propria stanza. Sentì due mani gentili posarsi sui suoi fianchi e spingerlo verso il muro, e poi una bocca ormai familiare stringersi alla sua, in modo dolce, per quanto quel... quella fame lo permettesse. Antonio posò la fronte contro la sua, scrutandolo con due occhi enormi, così come si guarda il più grande tesoro del mondo, un'alba spettacolare, o un tramonto perfetto.
-tu- gli sussurrò -sei la persona più giusta che riesca a immaginare.
E a quel sussurro Lovino sentì qualcosa infrangersi, dissiparsi completamente, senza lasciare neanche la cenere al suo passaggio. Tornò a baciarlo, senza più riuscire né voler fare altro, con le mani che, superata la barriera della camicia bianca, si facevano lentamente più audaci, e il cervello che sembrava essere andato completamente a puttane. Antonio però si scostò leggermente da lui, quel puntino di nervosismo diventato una marea in piena regola che gli si agitava in testa. La sua domanda fu un sussurro, da qualche parte vicino al suo orecchio.
-e... io sono quello giusto per te?
-che cazzo di domanda è? Certo che sì, idiota- gli sembrava il momento di parlare? Antonio però non sembrava convinto.
-sicuro? Non è che stai con me solo perché ero l'unico a poterti toccare e...
-no.
Se lo era già chiesto, in realtà, anche prima che tutta quella storia cominciasse, quando ancora non riusciva a toccare gli altri.
Non è che sono convinto di amarlo solo perché è l'unico che posso toccarlo? Non è che è solo gratitudine? Non è che mi sento così solo perché è stato il primo a trattarmi come un essere umano dopo anni e anni di buio?
La risposta era, semplicemente, no. Se l'era chiesto, ci aveva pensato per ore e ore, ma la risposta era sempre la stessa: no. Anche pensando alle alternative, anche potendo toccare gli altri, anche immaginando di stare con qualcun altro, la risposta rimaneva quella: no. E quando si erano allontanati, cazzo, gli era mancato talmente tanto che non poteva essere solo gratitudine, né mancanza di alternative. Lo amava e basta, fine, titoli di coda.
-no?
-no- lo baciò -non è così. Me lo sono chiesto, fidati, e semplicemente no- vedendolo dubbioso, continuò -se anche immaginassi l'uomo più bello, perfetto e figo del mondo, un Adone fatto a posta per piacere, e immaginassi che questo dio greco ci provi con me, direi di no, perché comunque preferisco te- un bacio, da Antonio questa volta -perché, semplicemente, per quanto possa provare a immaginare di baciare qualcuno migliore di te, non ci riesco. È una cosa stupida, ma non ci riesco. Potrebbero propormi tutte le alternative del mondo, ma non ci riuscirei- gli accarezzò il viso, soffermandosi sulla bocca -perché, semplicemente, ti amo.
Accadde in fretta. Ebbe appena il tempo di finire la frase prima di sentire la sua schiena sbattere violentemente contro il muro, e la bocca di Antonio sulla sua, vorace e bisognosa anche più della sua. Si aggrappò alle sue spalle, allontanandosi da lui solo per farsi sfilare la maglia. Dove andò a finire non lo sapeva, e non gli interessava, non quando anche quella di Antonio era finita chissà dove, l'aveva lanciata via lui stesso e neanche se n'era accorto, e poteva finalmente ammirare il petto dell'altro, così, esposto, davanti a lui, magari non perfetto, magari non il più bello del mondo, ma qualcosa da cui non riusciva a distogliere lo sguardo, se non per chiudere gli occhi all'ennesimo bacio. Antonio scese a dedicarsi al suo collo, e a ogni bacio che lasciava il ragazzo sentiva le ginocchia tremare un po' di più. Quello scese ancora, riempiendolo di brividi, tanto concentrato su di lui che, arrivato all'altezza dell'ombelico, si sentì riportare alla realtà da un gemito, che tanto somigliava al suo nome e che avrebbe dovuto essere un avvertimento. Diede un ultimo bacio su quella pelle da cui stava diventando quasi dipendente e si rialzò, neanche si era accorto di essersi inginocchiato, tornando a dedicarsi alle labbra del suo ragazzo, già schiuse in sua attesa. Le mani di Lovino, ben più intraprendenti del proprietario, scesero lentamente sulle sue spalle, giù, lungo gli addominali, fino alla chiusura dei jeans stretti, e Antonio non riuscì a non gemere quando sentì i pantaloni venir tolti, quasi strattonati via, e rimase solo un quasi insificante pezzo di tessuto scuro tra lui e quelle mani. Lovino sembrò soddisfatto di essersi un po' vendicato, perché scese a sua volta a baciare, più a mordere in realtà, il collo del suo ragazzo, lasciando le mani lì, ferme, quasi a prenderlo in giro. Antonio, in risposta, si intrufolò senza troppi preamboli nei suoi pantaloni, superando le mutande e stringendo, senza più ostacoli, quel sedere sodo tra le mani, strappandogli un mugolio acuto e un morso più forte appena sotto il suo orecchio, doloroso ma tutt'altro che spiacevole.
Un sussurro tremante contro l'orecchio lo risvegliò almeno in piccola parte da quel sogno di gemiti e mugolii, e gli ci volle, al suo cervello annebbiato dagli ormoni, qualche secondo per capire a pieno le sue parole.
-il... il l-letto- e, mierda, non aspettava altro. Arretrò, lentamente, cercando le sue labbra, che Lovino fu ben contento di dargli... e all'improvviso era sul pavimento.
Si guardò intorno, sconcertato, con il sedere per terra, le mani dietro di sé nella vana speranza di tenersi su, la testa che aveva sbattuto contro il bordo del letto. Individuò il colpevole: la sua stessa maglietta, caduta a terra nella foga del momento, sulla quale, a quanto pareva, era scivolato. Con gli occhi sgranati portò lo sguardo sull'italiano, che lo osservava con un labbro tra i denti.
E, a quello sguardo, l'italiano non riuscì più a trattenersi. Tra la sua espressione scioccata, l'assurdità di tutta quella situazione, il residuo di nervosismo per quello che stava per accadere... che era sul punto di accadere, se non fosse stato per quel piccolo incidente, e, forse, anche un lieve residuo delle due dita di amaro che si era bevuto quella sera, Lovino fece l'unica cosa che poteva fare in una situazione simile: scoppiò a ridere. Forte, di gusto, tanto da sentire la pancia fare male, e Antonio pensò di essere morto battendo la testa perché, davvero, quel suono non poteva essere definito in altro modo se non il canto degli angeli. Lo lasciò spiazzato ancor più di quanto già non fosse, lasciando nel suo cervello solo due informazioni. Primo, quanto quella risata fosse stupenda e assolutamente perfetta, e avrebbe voluto portarsi dietro un registratore per potersela portare sempre dietro, e secondo...
-ho vinto la scommessa- mormorò, osservandolo ridere. A Lovino ci vollero un paio di secondi per riuscire a parlare.
-cosa?- rise di nuovo, portandosi una mano sulla pancia per calmarsi. Antonio sogghignò e si sedette meglio, avvolgendogli le gambe con le braccia per fargli perdere l'equilibrio e ritrovarlo affianco a sé. Lovino non riuscì a opporre troppa resistenza, e così si ritrovò con le ginocchia sul pavimento freddo, piegato in due per il ridere.
-ho vinto la scommessa- gli ripeté dritto contro l'orecchio, tirandoselo addosso. Lovino lo guardò, il corpo ancora scosso dalle risate.
-quale...- rise ancora quando quello prese a fargli il solletico sul collo, e gli ci volle qualche momento per riuscire a concludere la frase -quale scommessa?
-quella che abbiamo fatto nella cella- gli ricordò, portandogli le mani sui fianchi, e quello appoggiò il viso nell'incavo del suo collo -avevo scommesso che sarei riuscito a farti ridere- e, a riprova della sua vittoria, gli solleticò leggermente i fianchi, facendolo ridere contro la sua spalla -e ce l'ho fatta.
-è per questo che... che sei caduto come un sacco di patate? Per la scommessa?- riprese a ridere, senza riuscire a fermarsi. Sì, si disse Antonio, avrei dovuto decisamente portarmi dietro un registratore, o meglio ancora una videocamera, sei stupendo mentre ridi... dovresti vederti.
-ho i miei segreti- rispose, con un sorrisino furbo, nonostante il tutto fosse stato completamente involontario.
-e... e sentiamo, che vorresti come ricompensa per- risatina -aver vinto la scommessa?
Antonio fece finta di pensarci, accarezzandogli i fianchi.
-un bacio- stabilì infine, sorridendo -un bacio dal mio dolce principessino.
-principessino un cazzo- replicò, sistemandosi meglio su di lui e prendendogli il viso tra le mani. Aveva un sorriso così bello che Antonio si trattenne dal baciarlo lui stesso -un bacio eh?- lo baciò sulla guancia -qui ti piace?- sull'altra guancia -o qui?- sul naso -o meglio qui?- percorse il suo petto con la punta del dito, fingendo di pensare. Poi lo baciò sulla mascella, al confine con il collo -o forse è meglio qui?- sussurrò, dandogli i brividi. Scese ancora, baciò il segno di un morso che lui stesso aveva dato e poi scese ancora, fino alle clavicole e alle spalle. Lo guardò, con gli occhi illuminati da una malizia nuova, e gli prese le mani, che a loro volta erano scese parecchio, riportandosele sui fianchi.
-fermo- sussurrò, baciandolo al centro del petto, in corrispondenza, più o meno, del cuore. Antonio mugolò in protesta.
-stai trasformando il mio premio in una tortura- si lamentò, sottovoce, con tono infantile. Lovino ridacchiò e salì a baciarlo sulla fronte.
-hai detto che volevi che io ti baciassi, non che volevi baciarmi tu- gli ricordò, baciandolo di nuovo sulla guancia -né quando né quanto e né tantomeno dove.
Antonio si imbronciò, e quello rise di nuovo, baciandolo sulla fronte e facendogli posare la testa contro il suo petto, accarezzandogli lentamente i capelli. Sospirò -il mio piccolo bimbo.
-no soy un bimbo- replicò, portando le mani sulla sua schiena e stringendoselo contro, senza incontrare proteste questa volta. Lovino lo baciò tra i capelli, che profumavano di mandorle. Dopo qualche secondo in quella posizione, lo allontanò da sé, con le mani alla base del suo collo. Appoggiò la fronte contro la sua, osservandolo.
-vuoi che ti baci?- domandò, anche se sapeva già la risposta. Antonio annuì, con un piccolo e adorabile broncio da bambino in viso.
-sulle labbra- specificò, questa volta.
-vedo che impari in fretta- gli sussurrò sulle labbra, divertito. Poi lo baciò, e Antonio ne approfittò per divertirsi un po'. Capovolse le posizioni, premendogli la schiena contro il pavimento, e, sempre con le labbra premute sulle sue, andò a togliergli del tutto i pantaloni, che quello calciò via senza troppi problemi, allargando le gambe intorno al suo bacino per tenerselo stretto. Come se ce ne fosse stato bisogno, poi. Però lo spagnolo colse l'occasione per sistemarsi meglio tra le sue gambe, scontrando, volontariamente, i loro bacini, per farlo gemere direttamente contro la sua bocca. Lovino gli morse il labbro inferiore, per vendetta.
-sei un bastardo- gli ansimò, tra un bacio e l'altro, strusciandosi istintivamente contro di lui per cercare piacere. Quello rise, lasciandogli capovolgere di nuovo le posizioni per ritrovarselo a cavalcioni sul proprio grembo. Lovino riprese a strusciarsi, prendendo piano piano sempre più confidenza, e imparando ad andare a ritmo con lui, superando, passo dopo passo, gemito come gemito, ogni minimo strascico di imbarazzo rimastogli. A un certo punto però si stancò di quel giochino, e si alzò, staccandosi da lui, che lo guardò confuso. Lovino in risposta gli sorrise e si buttò a pancia in su sul letto, allargando le gambe e le braccia in un chiaro invito.
Antonio non se lo fece ripetere due volte.
E... sapete una cosa? Sono quasi quaranta capitoli che li seguiamo nelle loro disavventure, senza lasciare loro un minimo di privacy, invadendo i loro pensieri e i loro sogni senza ritegno. Non vi pare il caso di lasciarli da soli, almeno in un momento delicato come questo?
No?
E vabbé, la narratrice sono io, si fa il cazzo che mi pare. Anche se ora come ora il cazzo che si sta facendo non è certo il mio (anche perché ne sono sprovvista).
Che stavo dicendo? Sì... alla prossima.

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Capitolo 40
*** Capitolo trentanove ***


Buonciao! Occhio: nel primo paragrafo ci sono argomenti delicati. Buona lettura!

Arthur sospirò, stanco, allentandosi il nodo alla cravatta e buttandosi sul letto del francese senza troppi complimenti.
-fuck, quella festa sembrava non finire più- brontolò, sfilandosi le scarpe. Francis rise e si sdraiò al suo fianco, appoggiandosi a lui. Socchiuse gli occhi.
-Arthùr?
-mh?
Il suo sguardo si perse in lontananza -non... non ti ho mai raccontato del mio... periodo, prima di venire qui. Forse dovrei.
Arthur lo guardò, preoccupato -ma ti sembra il modo di uscirtene così, all'improvviso?
Francis si sdraiò in modo da avere il viso affianco al suo sul cuscino e si lasciò sfuggire una risatina -scusa. Stavo solo... pensando.
-a cosa?
Scrollò le spalle, restando in silenzio, con lo sguardo puntato al soffitto. Chissà cosa ci sarebbe stato... oltre.
Arthur gli accarezzò la guancia con due nocche -Francis? Stai bene?
Scosse la testa, tornando a guardarlo -io... sì, scusa- si sforzò di imbastire un sorriso -che stavi dicendo?
-se senti il bisogno di... parlarmene- mormorò, stringendogli la mano -sono qui.
Francis annuì, socchiudendo gli occhi. Sospirò -avevo sette anni. I miei mi vendettero a un circo di passaggio pensando che mi avrebbero fatto fare il giocoliere o qualcosa di simile.
-ti... vendettero?
Francis annuì -avevo tanti fratelli e non arrivavamo a fine mese. Erano convinti che mi avrebbero trattato bene.
-ma...- scosse la testa -scusa. Continua.
Francis lo baciò a stampo -all'inizio era bello. Avevo dei bei vestiti e una stanza tutta mia. Poi un giorno il capo del circo entrò con un signore e mi disse di fare quello che voleva lui- gli si seccò la gola -provai a protestare o a scappare, ma non...- gli servì uno sforzo cosciente per ricordarsi di essere al sicuro -mi picchiava se parlavo e mi schiacciò per terra per non farmi scappare- una lacrima gli corse lungo la guancia -non camminai per tre giorni, in seguito- si asciugò la guancia -il tipo aveva pagato tanto, ma al circo, non a me. Dopo una settimana arrivò un altro uomo. E poi un altro. E un altro. E così via, per anni- un brivido lo scosse dalla testa ai piedi, in ogni cellula del suo corpo -e a un certo punto semplicemente smisi di lottare. Smisi di piangere, di parlare, li lasciavo fare e basta. Nel frattempo mi avevano insegnato...- gli uscì una mezza risata -insegnato... frustato finché non ho imparato, a usare il mio potere per il vino, e se sbagliavo...- altri brividi -in teoria posso modificare ogni liquido. In pratica riesco a trattare solo il vino. Per quanto ci provi non...- il respiro si affannò. Arthur gli strinse la mano per riportarlo alla realtà.
-va bene così- disse, sicuro, fermo, saldo -nessuno ti obbliga a fare nulla.
Francis annuì, cercando di regolarizzare il fiato. Gli ci volle qualche minuto, e diverse carezze di Arthur, per riuscire a parlare di nuovo -un giorno, quando avevo quindici anni, venne un uomo strano. Era più bello degli altri, più gentile, e non mi guardava in modo...- gesticolò leggermente -hai capito. Parlò e basta. Mi chiese se volessi andarmene, se ci fossero altri ragazzi come me... non dissi molto, non ci riuscivo e comunque non sapevo che dirgli, ma alla fine mi rilassai tanto che tornai a parlare un po', dopo tanto tempo- si lasciò sfuggire un minuscolo sorriso -era Romolo. Venne qualche altra volta, mi rassicurò, e riuscì a portare dentro anche un altro ragazzino, Antonio, con cui farmi chiaccherare- gli sorrise -erano anni che non parlavo con qualcuno della mia età. E così mi ha proposto di andarmene con lui in un posto sicuro- strinse le ginocchia al petto -e alla fine ho accettato. L'avevo visto tre volte, lo conoscevo appena, neanche lui sapeva dove saremmo andati, ma mi andava bene tutto, bastava andarmene. Così un giorno concordato ho...- esitò. Poi si disse che doveva essere sincero fino in fondo, anche sulla sua vendetta -li... li ho avvelenati e sono scappato.
Arthur gli strinse la mano -darling...- gli si stringeva il cuore -posso abbracciarti?
Francis annuì, con gli occhi lucidi, e scoppiò in lacrime quando quello lo strinse.
Sporco. Viscido. Mani sul suo petto, sul suo viso, sul suo sedere, mani ovunque e ogni centimetro di pelle sempre più sporco e viscido e vi prego vi prego salvatemi.
In realtà c'era molto di più. Se dovessi parlare di tutto quello che Francis sentiva, non basterebbero mille capitoli, e ancora non sarei riuscita a coglierlo appieno. Quindi mi scuso, perché, davvero, non sono in grado di descrivere una sensazione così orrenda, così profonda, così...
Poi Arthur lo toccò, e lo sporco per qualche istante, in una piccola zona, sparì. Sulla schiena, dove le mani dell'inglese erano posate sul tessuto morbido del suo vestito, Francis si sentì non dico pulito, ma leggermente meno disgustoso. Singhiozzò -stringimi...- la sua fu una preghiera, un mormorio quasi vergognoso, ma funzionò, perché quello lo strinse più forte, espandendo l'area meno viscida del resto. Singhiozzò e lo abbracciò a sua volta, scoppiando a piangere. Gli ci volle tanto, davvero tanto, per riuscire a parlare ancora.
-mi sento sempre le loro mani addosso- singhiozzò -sempre. Non importa quanto mi lavi o provi a ignorarle, mi accompagnano sempre- si strinse maggiormente a lui -abbracciami- sussurrò -mandale via.
E Arthur non poté fare a meno che obbedire, accarezzandogli lentamente la schiena.
Il ragazzo si lasciò cullare, lentamente, cercando di tornare alla calma. Esalò un sospirò tremolante -sono... sono migliorato, credo. Non mi dà fastidio se mi toccano, a parte quando...- tirò su con il naso -quando è improvviso. Però se me lo aspetto va bene- nascose il viso contro la sua spalla -e vorrei tanto, tanto, fare l'amore con te, però ho paura di tornare a sentirmi in quel modo, e non mi perdonerei mai l'idea di farti del male, mai.
-lo so. Davvero, non serve, non mi pesa, anzi. Io non mi perdonerei mai se ti facessi stare male- gli baciò il dorso della mano, facendolo sorridere a quel gesto così all'antica, così da Arthur -davvero. Non mi importa.
Francis annuì, tornando a socchiudere gli occhi, improvvisamente infastidito dalla poca luce che filtrava attraverso il tessuto della camicia di Arthur.
-Arthur- lo richiamò, dopo qualche minuto.
-dimmi.
-promettimi una cosa. Anzi, un paio di cose.
-che esigente che sei- cominciò ad accarezzargli i capelli -ti ascolto.
-domani mattina- iniziò, scandendo bene le parole -e solo domani mattina, quando si saranno svegliati per conto loro, puoi chiamarmi Antonio e Gilbert?
-mh? Certo.
-indipendentemente da come sto.
Arthur scrollò le spalle -come vuoi. Altro?
-sì. Quando me ne sarò andato, non fare cazzate. Non buttarti sull'alcool, non isolarti dal resto del mondo e stai vicino ai ragazzi.
-stasera ti va di parlare di cose allegre- commentò, sarcastico.
-sono serio.
-anch'io. Te lo prometto.
Francis sospirò di sollievo -merci.
-altro?
-sì. Mi canti una canzone? Love of my life?
Arthur sbuffò, divertito -non capirò mai perché ti piaccia così tanto sentirmi cantare. Ma se insisti... va bene.
-merci- ripeté, sollevando il viso -mi baci?
-pensavo avessimo finito con le richieste- ma lo accontentò, sollevandogli il viso con due dita per baciarlo, con tutta la dolcezza del mondo. Una lacrima scivolò lungo la guancia del francese, e insieme ad essa un sussurro riuscì a scappare, intrufolandosi tra i denti e attraversando le sue labbra.
-je t'aime...
Il bacio finì troppo presto. Ma, ragionò Francis, mi sarebbe sempre sembrato troppo preso, quindi va bene così.
-I love you too.
Arthur gli sorrise, e sottovoce cominciò a cantare.

Love of my life, you've hurt me
You've broken my heart, and now you leave me

Leave me... che coincidenza.

Love of my life, can't you see?
Bring it back, bring it back
Don't take it away from me
Because you don't know
What it means to me
Love of my life, don't leave me
You've taken my love, and now desert me
Love of my life, can't you see?

No, non può vedere, pensò divertito, scostandogli una ciocca di capelli dalla fronte. Si è addormentato.

Bring it back, bring it back
Don't take it away from me
Because you don't know
What it means to me
You will remember
When this is blown over
And everything's all by the way
When I grow older

La voce gli cadde. No, quel verso non poteva cantarlo. Una lacrima gli corse lungo la guancia, e ancora non sapeva perché.

(I will be there at your side to remind you
How I still love you (I still love you))

Back, hurry back

Che stava succedendo? Perché improvvisamente la sua voce stava tremando?

Please, bring it back home to me

In teoria era una preghiera all'amore della canzone, quello che lo stava lasciando. Ma, si rese conto, non stava pregando Francis, perché, se avesse potuto, Francis non lo avrebbe mai lasciato.

Because you don't know

Stava pregando Dio, il Destino, il Karma, chiunque fosse lo stronzo che aveva deciso tutto quello, di cambiare le cose. Perché senza Francis non ci sapeva stare, e forse quello lì non se n'era reso conto. Ci doveva essere stato un errore. Ci doveva essere. Francis non poteva lasciarlo.
No.
No?

What it means to me

Altra lacrima.

Love of my life
Love of m-
Francis?
Francis?

Cominciò a scuoterlo -Francis?! Ti prego, non farmi scherzi stupidi.
Ma quello rimase immobile.
Per quelle che sembrarono ore, e in realtà erano un po' di secondi sconnessi e a cui nessuno aveva detto che avrebbero dovuto essere solo dei cazzo di secondi, il petto di Francis rimase immobile. Poi si sollevò, debolmente, ma si sollevò.
Arthur si alzò di scatto, asciugandosi gli occhi, e corse verso la porta.
Doveva... chi...
Non prima di domani mattina gli ricordò una vocina nella testa. Si girò verso Francis, con le lacrime agli occhi.
-lo sapevi- mormorò, e non era una domanda. Due strisce di lava gli scavarono le guance, stava piangendo -lo sapevi e... e...- gli tremò la voce. Rischiò di cadere a terra, gli tremavano le gambe -io...- corse fuori, verso l'infermeria, a chiamare qualcuno.

Lovino era bellissimo mentre dormiva. Placido, sereno, ispirava tranquillità solo a guardarlo. Ogni volta che Antonio si svegliava al suo fianco e poteva guardarlo dormire, il tempo sembrava fermarsi, avvolgersi intorno a loro e rinchiuderli in una bolla di pace per loro due soltanto. E senza vestiti, si ritrovò a pensare con un piccolo sorrisetto, era ancora più bello.
Quando Lovino aprì gli occhi, si ritrovò davanti un sorriso. Sbadigliò e sospirò, soddisfatto -cazzo, era una vita che non dormivo così.
Antonio lo abbracciò al di sotto delle coperte, baciandolo appena sotto la mascella -buongiorno.
-ciao- sbadigliò ancora, stringendosi a lui e spettinandogli i capelli con una mano -che ore sono?
-non ne ho idea e no me importa- lo baciò a stampo -come stai?
-meh. Non male come pensavo- cercò di sistemarsi meglio, ma si fermò di scatto con una smorfia -no, scherzavo.
-ops...- lo spagnolo scese con le mani fino al punto incriminante, infondendoci un po' del suo potere per placargli il dolore. Il mugolio di Lovino dritto nell'orecchio, però, fu una dura prova per il suo autocontrollo -meglio?- chiese, come se non avesse già capito la risposta. Lovino roteò gli occhi.
-un po'- gli tirò la guancia -e non fare quella faccia soddisfatta, è colpa tua se sto messo così.
-ops- lo baciò a stampo -lo siento, querido.
-mh- lasciò andare la sua guancia, concentrandosi sui piccoli baci che quello aveva cominciato a dargli sul collo. Sbuffò -tanto tra un po' dovrò sopportarlo. Non puoi mica tenermi le mani sul culo per sempre.
Antonio gli rivolse un sorriso sornione -ah no?
Gli diede un pugno sul braccio -no, coglione. Torna a fare quel che stavi facendo e stai zitto.
-agli ordini- lo strinse meglio tra le braccia, ridacchiando. Solo Lovino era capace di chiedergli delle coccole insultandolo. Sospirò sul suo collo -mi sei mancato- lo baciò in quel punto -ti amo.
Lovino mugugnò qualcosa, rosso in viso. Poi sbuffò -no ma dico, ti sembra il modo di lanciare delle bombe del genere così, all'improvviso? A casa mia questo è un attacco sleale.
Antonio rise, baciandolo a stampo -ti amo così tanto.
Lovino brontolò qualcosa, abbracciandolo. Sbuffò -erano settimane che non mi svegliavo normalmente- rifletté.
-in che senso?
-avevo dei... momenti, quando mi svegliavo, in cui ero cosciente ma non riuscivo a muovermi- mormorò, sfregando il naso contro la sua spalla nuda -era terrorizzanti.
-si chiamano paralisi del sonno- rispose, stringendolo -e mi dispiace che tu abbia dovuto provare una cosa simile.
-uhm...- nascose il viso contro il suo petto -però quando...- merda, odiava quelle cose sdolcinate. Come faceva il bastardo a dirle senza il minimo imbarazzo? -quando dormo con te non mi succede, ecco- e anche se non era una dichiarazione d'amore in piena regola, ci andava vicino.
Antonio sorrise e lo baciò a stampo -gracias, mi amor- altro bacio. Poi un'idea -senti qui e dimmi se ti piace come idea- Lovino sbuffò, scocciato per l'interruzione del bacio -adesso ci facciamo un bel bagno caldo, io e te, così ci rilassiamo un po'.
-mh.
-poi torniamo qui e ti faccio i massaggi- lo baciò sulla spalla -e restiamo nel letto tutto il giorno a farci le coccole- concluse, baciandolo sulla fronte. Lovino ci pensò su, poi scrollò le spalle -ci posso stare, ma ho fame. Colazione?
Lo baciò sulla testa -va bene. Prima però vado un attimo in bagno- fece per alzarsi, ma si sentì trattenere dalla mano di Lovino sul braccio.
-dammi una mano ad alzarmi, bastardo- brontolò, facendolo ridere. Fece per insultarlo, ma due mani si posarono sui suoi fianchi e lo sollevarono dal letto, tenendolo stretto vicino al loro proprietario. Lovino sbuffò -mi metti giù?
-no.
-dai.
-no.
-non dovevi andare a pisciare?
-però voglio un bacio. Sulle labbra.
Lovino sbuffò -prima mi metti giù.
-però poi mi baci.
-cos'è, non ti fidi di me?
-sei uno stronzetto quando vuoi, mi amor- lo baciò sulla guancia, e poi lo mise a terra. Lovino a quel punto sbuffò e si sporse a baciarlo.
-ma sono di parola- ribatté dopo qualche secondo, baciandolo per qualche altro secondo. Poi si allontanò -però vai, ho fame.
-agli ordini!- fece anche un finto saluto militare, tutto contento, dirigendosi verso il bagno. Lovino si godette il bel panorama per qualche secondo, poi sbuffò un -e vestiti, nudista!- che lo fece ridere, un suono dolce prima dello scatto della porta.
Rimasto solo, Lovino si prese qualche minuto per guardarsi intorno, alla ricerca dei suoi vestiti.
Non doveva arrossire. Non doveva arrossire. Non doveva... merda, era arrossito. Si coprì il volto con le mani, nascondendo quel sorriso spontaneo che gli era sorto sulla bocca al pensiero.
Lo avevano fatto davvero!
Fece un mezzo giro su se stesso, su di giri, e poi si decise ad aprire dei piccoli buchi tra le dita per poter vedere qualcosa di diverso dal buio. E lì, sul pavimento, vide, malamente stropicciata, la camicia di Antonio. Esitò, guardò la porta chiusa del bagno e poi si chinò a raccoglierla, per quanto potesse... ecco... chinarsi. Se la strinse al petto, dondolandosi sui talloni per qualche secondo, e poi si decise a indossarla, godendosi il profumo di Antonio sulla pelle. Si abbracciò da solo, nascondendo le guance rosse con le maniche troppo lunghe, e restò così, con il cuore che sembrava volerlo uccidere a suo di infarto.
Un infarto per poco non gli venne veramente quando sentì lo scatto della porta e una voce, chi altri poteva essere se non il bastardo?, emettere un gridolino adorante e correre ad abbracciarlo.
-sei adorabile!- esordì così, meritandosi in pieno la testata che Lovino non esitò ad elargirgli, dritta nello stomaco, anche non forte come avrebbe voluto. Però neanche il suo attacco sembrò scalfirlo, perché ebbe persino l'ardine di strizzargli una guancia e l'italiano ebbe la tentazione di mordergli le dita e tranciargliele di netto -tan lindo!
-fottiti- neanche ci provò a non arrossire, tanto sapeva che non avrebbe funzionato, e si allontanò direttamente da lui, andando verso l'armadio -l'ho presa a caso e pensavo fosse la mia. Non fare quella faccia estasiata, bastardo, o ti faccio sputare tutti i denti.
Ma neanche la sua sentitissima minaccia sembrò avere effetto, perché il bastardo, in sfregio a ogni buon senso, riprese ad abbracciarlo, trascinandolo tra le sue braccia e togliendogli ogni possibilità di fuga, e forse una piccola, minuscola, insignificante parte di Lovino neanche la voleva, quella fuga. Fu quella infinitesimale parte di lui ad allacciare le braccia intorno al busto le bastardo insieme ai suoi ormoni, visto che quel fottuto spagnolo non sembrava avere quella piccola cosa chiamata pudore e ancora non si era degnato di mettersi qualcosa addosso, motivo per cui, invece di incontrare del tessuto, le sue dita sfiorarono direttamente la pelle olivastra del bastardo... e la cosa non era esattamente spiacevole, ecco.
-dovresti vestirti- mugugnò contro la sua spalla, con le braccia del bastardo sui fianchi e quella testolina vuota e riccioluta sulla sua, di spalla. Antonio non rispose, ma cominciò a dondolarsi, quasi cullandolo, seguendo un ritmo che sentiva solo lui. Lovino aggrottò la fronte, lasciandosi tuttavia guidare -che stai facendo?
La voce di Antonio, con tanto di accento che assolutamente non gli dava le farfalle nello stomaco, no, gli arrivò dritta contro l'orecchio, leggermente roca. Mi ucciderà di questo passo -be'... ieri sera quel lento è stato proprio bello, no?- ed era una cosa così stupida, così sdolcinata, così da Antonio che Lovino si ritrovò ad annuire, come se fosse stata una cosa perfettamente sensata.
Non ci fu altro che quello. Un abbraccio, un dondolio regolare apparentemente senza senso, il battito di un cuore altrui nell'orecchio e il suo fiato tra i capelli, della pelle bollente contro le mani e il viso e dei sussurri leggeri che riempivano il silenzio, in una lingua che non conosceva ma che vagamente capiva e che era così dolce e rassicurante che non serviva comprenderla per trovarsi incantati da quel suono fatto di r arrotolate e s vellutate.
Quel momento così tranquillo venne però interrotto da un suono che fece tornare il sangue di Lovino dritto sulla faccia. Un brontolio, sommesso ma insistente, che però non veniva dalla bocca.
Antonio ridacchiò -hai fame, mi amor?
-stai zitto- brontolò, coprendosi il viso con le mani. La risata del suo ragazzo gli scosse la guancia, e un peso si levò dai suoi fianchi. Le due mani che lo avevano lasciato andare si posarono sulle sue spalle, allontanandolo con delicatezza dal loro proprietario. Lovino spostò le mani per guardarlo in faccia, un po' scocciato e un po' stupito.
-dai, ci vestiamo e andiamo a fare colazione- un bacio sulla guancia. Lovino si girò verso l'armadio, brontolando un -idiota- a mezza voce, anche se non si capiva, e non lo sapeva neanche lui a dirla tutta, a chi si riferisse. Antonio gli stampò un bacio sulla testa prima di andare alla ricerca dei loro vestiti della sera prima, sparsi in giro. Lovino intanto cominciò a scrutare nel suo armadio, cercando qualcosa di decente da mettersi.
-oi- lo richiamò. Antonio, con addosso giusto le sue mutande (ma un minimo di pudore no?) e in mano un paio di pantaloni, si girò a guardarlo.
-dimmi, querido.
-ho qualcosa di tuo qui dentro. Vieni un po' a vedere.
-oh, gracias- lo raggiunse e per qualche motivo si sentì in dovere di abbracciarlo da dietro e stampargli un bacio, delicato, sulla spalla, laddove la camicia troppo grande era scivolata di lato. Allungò un braccio per prendere un paio di jeans e una maglietta verde oliva a caso, baciandolo ancora nello stesso punto prima di allontanarsi per infilarseli. Lovino sbuffò -non te ne frega niente di come ti vesti, eh?
Antonio gli rivolse un sorriso sornione, chiudendosi i jeans -preferisci che non mi vesta proprio?
Meglio evitare la domanda -pervertito- stava per afferrare una maglietta che sembrava adatta, tanto, conoscendo il bastardo, probabilmente l'avrebbe tenuta giusto il tempo di fare colazione e tornare in camera, quando un bussare furioso alla porta li interruppe.
Antonio ebbe appena il tempo di infilarsi la maglia per andare ad aprire prima che un -Tonio, sei qui?!- scoppiasse quella bolla di pace in cui si erano ritrovati fino ad allora.
-Gilbert! Arrivo- andò ad aprire, e Lovino si dovette nascondere dietro l'anta aperta dell'armadio per non farsi vedere mezzo nudo. Che razza di coglione -che succede?
Gilbert era pallido. Il che era strano, perché era sempre pallido, e per arrivare ad esserlo più del solito... si doveva essere vestito in fretta e furia, visto che aveva la maglia al contrario, e doveva anche aver corso fino a lì, per quanto le stampelle glielo permettessero, visto il fiatone.
-Francis- ansimò, piegandosi in due per riprendere fiato -sta... sta male. Credo che...- gli morì la voce. Ogni traccia di sorriso gli scomparve dalla faccia dello spagnolo, in un istante. Si girò verso Lovino, nel panico e con l'aria in qualche modo dispiaciuta, ma quello scosse la testa, l'unica cosa che sbucava da dietro l'anta, e si sforzò di sembrare incoraggiante.
-vai, sbrigati. Non preoccuparti per me, idiota- ma quello volle attraversare la stanza per dargli un bacio veloce prima di correre fuori insieme all'amico.
Lovino sospirò, stringendo l'orlo della camicia. Be', almeno un risveglio tranquillo lo avevano avuto.

 

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Capitolo 41
*** Capitolo quaranta ***


Non sono così stronza, non vi lascio troppo in sospeso :)

Visto che aveva comunque fame, dopo una doccia veloce andò a fare colazione da solo, rimuginando.
Alla mensa non c'era molta gente, ma non era una novità. Un gruppetto di bambini, però, attirò la sua attenzione, soprattutto perché suo fratello stava disperatamente tentando di far mangiare due di loro. Afferrò la sua colazione e andò verso quel tavolo.
Feliciano sembrò immensamente sollevato vedendolo; gli corse incontro, gettandogli le braccia al collo -Lovi! Ti prego, aiutami!
Si lasciò sfuggire una risata -ti fai comandare a bacchetta dai marmocchi?
-sono più testardi di te- si lamentò Feliciano, facendogli roteare gli occhi. Gli schiaffò il vassoio in mano.
-ho capito, ci penso io- si rimboccò le maniche del maglione e raggiunse il tavolo dei marmocchi. Puntò il dito contro i due che non mangiavano -mangiate, forza, non fatemi incazzare.
Feliciano cominciò a pentirsi della sua richiesta d'aiuto. Uno dei due bambini, un ragazzetto pelle e ossa dalla faccia da peste, incrociò le braccia al petto -no.
A Lovino venne un preoccupante tic all'occhio -fai pure, sai che me ne frega? Ma forse non sai che chi non mangia, poi muore. Morte, capito? Una morte orrenda.
Il bambino sembrò incerto -non è vero!
Lovino gli mostrò la sua famigerata faccia cattiva -oh, invece sì. Una volta ho visto un tizio morire perché si rifiutava di mangiare- i due sembrarono spaventati. Abbassò il tono della voce, cercando di incutere più terrore possibile -dimagrì sempre di più, lentamente, e non aveva più la forza di fare niente.
Il compare della peste sembrò terrorizzato -neanche di giocare a calcio?
Annuì, gravemente -neanche di giocare a calcio. Tutti glielo ripetevano, guarda che così ci crepi, e lui "ma no, non è vero". E così continuò a dimagrire e dimagrire finché un giorno...- restò per qualche secondo in silenzio, sotto lo sguardo attonito dei bambini. Sbatté la mano sul tavolo, facendoli sobbalzare -di lui non rimasero che le ossa e qualche ciuffetto di capelli.
Terrorizzati i due bambini si misero a mangiare, quasi ingozzandosi. Lovino sorrise soddisfatto -bravi bambini- si girò verso suo fratello -visto? Non ci vuole tanto.
Feliciano si sbatté la mano in faccia -ecco perché il nonno ha chiesto a me di occuparmene.
-tsk, tutta invidia perché sono un babysitter migliore di te- si sedette nel tavolo e si accorse di una bambina che lo fissava, e che distolse lo sguardo quando si girò verso di lei. Alzò le spalle e si mise a mangiare. Dopo qualche minuto Feliciano gli si sedette accanto, con un sorriso che non prometteva niente di buono -allora?- gli aveva parlato in italiano. Furbo.
-allora cosa?
-com'è stato fare l'amore con Antonio?- rischiò di strozzarsi. Quando riuscì a riprendere fiato lo guardò stralunato, con la voce un po' più acuta.
-e tu che ne sai che l'abbiamo fatto?!
Feliciano ghignò e gli puntò il dito contro -me l'hai confermato tu proprio ora! Poi dai, si capiva ieri sera che non vedevate l'ora di saltarvi addosso. Cesare è venuto a dormire da me, e visto che detesta Antonio... ho fatto due più due.
-pensa al tuo crucco- brontolò, chinando la testa. Feliciano lo ignorò e riprese con le domande imbarazzanti.
-fa male?- sembrava curioso, e anche un po' spaventato. Lovino si ritrovò ad annuire.
-un po'.
Feliciano aggrottò la fronte -e allora come mai riesci a sederti?
Lovino si sbatté la mano in faccia -ma i cazzi tuoi?- brontolò, coprendosi la faccia. Quello rise.
-dopo mi racconti tutto- stabilì, con un sorrisino -e soprattutto come hai fatto a sbarazzarti di lui così in fretta. Pensavo che non saresti riuscito a togliertelo di dosso prima di domani.
Lovino sbuffò. L'idea era quella ma... -c'è stato un imprevisto. Aveva... da fare.
-oh, capisco. Se sei libero puoi darmi una mano con i bambini? Non penso di riuscire a occuparmene da solo.
-mh? Va bene. Come mai devi fare da tata alle creature?
-sono i...- abbassò il tono della voce, anche se quelli non li stavano ascoltando e non potevano capirli -gli orfani di guerra. Sai, i figli di quelli uccisi da quei generali...
-oh- aggrottò la fronte e contò i bambini. Erano solo otto -così pochi? Meglio.
-in realtà no, ce ne sono altri, ma siamo riusciti a contattare le famiglie, nonni o zii o cose così, e quelli che potevano se ne sono presi cura.
-ah- quindi quei bambini non avevano nessuno. Si sentì improvvisamente più affine a loro -certo che ti aiuto.
Feliciano lo abbracciò -grazie, fratellone!
-sì, sì, lasciami mangiare però.

Erano anni che non vedeva un bambino. Non si ricordava fossero così casinisti.
Dopo la colazione li aveva portati con Feliciano in una stanzetta che doveva essere per loro, con vari giocattoli sparsi in giro e matite un po' ovunque. Le best- i bambini non avevano perso tempo nel correre dal loro giocattolo preferito e mettersi a far casino. Lovino era lì da dieci minuti e già aveva il mal di testa.
L'unica a non fare di tutto per mandarlo, nuovamente, al manicomio, era la bambina che lo stava fissando prima, che se n'era rimasta sul suo lettino a guardare nel vuoto. Afferrò suo fratello per un braccio e la indicò con un cenno del mento -che ha quella?
Feliciano alzò le spalle, a disagio -non lo so, è così da quando le abbiamo spiegato che i suoi...- lasciò la frase in sospeso -non gioca con nessuno e se ne sta per conto suo. Ho provato a parlarci ma non risponde.
-uhm...- lo lasciò andare e andò da lei, che neanche lo guardò in faccia -posso sedermi?- quella non disse niente. Lovino le lasciò qualche secondo per dire qualcosa, ma non lo fece -guarda che chi tace acconsente- la ammonì. Niente. A quel punto si sedette sul lettino, decisamente troppo basso per lui -bene, allora resterò qui a darti fastidio finché non mi dirai qualcosa. Mi senti, no? Non sei sordomuta. Annuisci se mi hai capito- ancora niente. Lovino ripeté la domanda per tre volte, finché quella, forse per farlo tacere, non annuì, lentamente -bene. Allora resterò qui finché non mi dirai qualcosa. Qualsiasi cosa, ma voglio sentirti parlare- silenzio. Cioé no, c'era un casino pazzesco in quella stanza, ma la bambina rimase in silenzio -te l'ho detto, sono testardo, più di te, e rimarrò qui, seduto affianco a te, finché non mi risponderai. Senza mangiare, senza dormire, senza bere...
Finalmente la bimba si girò a guardarlo. Era davvero carina, aveva gli occhi azzurri, e i riccioli scuri le arrivavano appena alle spalle, forse erano stati tagliati di netto. Non poteva avere più di quattro anni.
-prima- mormorò -hai parlato di morte.
Era inquietante sentir parlare una bambina così piccola di morte.
-sì- rispose, esitante -e quindi?
-mi hanno detto che mamma e papà sono morti- continuò -che se ne sono andati e non possono tornare. Non ho capito cosa significa- si imbronciò -tutti mi trattano come se fossi stupida e non mi dicono la verità. Ma non sono stupida e voglio sapere dove sono i miei genitori.
-oh- come si spiegavano certe cose ai bambini? Non ne aveva idea. Come glielo aveva spiegato suo nonno? -vedi...- bah, improvvisiamo, si disse. Si portò una mano al petto -qui abbiamo un cuore. Se ti metti la mano qui lo senti- lei lo fece, curiosa, e annuì.
-è veloce- commentò, sottovoce. Lovino annuì.
-il fatto che batta è la prova che sei viva, ed essere vivi è il contrario che essere morti.
-e quando sei morto non batte?
-esatto. Quando smette di battere non sei più vivo, quindi sei morto.
-e perché smette di battere?- pendeva dalle sue labbra ormai. Lovino alzò le spalle.
-ci sono tanti motivi. Quando sei molto, molto vecchio, smette di battere e basta.
-ma i miei genitori non erano molto molto vecchi.
-a volte succede. Altre volte qualcuno lo fa smettere e uccide una persona.
La bambina sgranò gli occhi -e come?
-vari... modi- meglio non spiegarglielo.
-e i miei sono stati ucci... uccidi?
-uccisi. Non proprio. Sono morti coraggiosamente, combattendo, per darti un futuro- non ne era così sicuro, ma era meglio darle una bella immagine.
Gli occhi le si inumidirono -ma io non volevo che morissero!
-lo so, lo so- si sforzò di essere rassicurante -ma a volte non abbiamo scelta. Fa male, ma se ne sono andati per te.
-allora voglio raggiungerli!- si asciugò le guance, era finita a piangere -voglio morire anch'io!
-no- le prese la mano, istintivamente -loro sono morti per te, per farti vivere. Non pensi che morendo renderesti tutto inutile?
La bambina lo abbracciò, scoppiando definitivamente in lacrime contro la sua maglietta. Lovino rimase di sasso, ma seguì l'istinto e la strinse. Era così piccola... ne aveva passate troppe. Doveva essere protetta. Un irrazionale, fortissimo istinto lo spinse a coprirla, a farle quasi da scudo con il proprio corpo. Intercettò lo sguardo di Feliciano, che sembrava stupito, e lo incenerì con lo sguardo per avvertirlo di non dire niente. Quando quella sembrò calmarsi un pochino, la allontanò da sé per asciugarle la guancia -come ti chiami?
La bimba tirò su con il naso -Mia.
-Mia- ripeté -be', Mia, essere adulti comporta questo: dover fare i conti con la morte. Ma tu sei ancora piccola, e per quanto possa essere frustrante non essere presi sul serio, non ti devi preoccupare di queste cose.
Mia si asciugò gli occhi -e tu sì?
Le rivolse un piccolo sorriso -purtroppo sì. Anche la mia mamma è morta quando ero molto piccolo, sai? Non è una cosa che passa in fretta. Semplicemente ogni giorno diventa più facile, e ti mancheranno sempre, ma un po' meno, e conoscerai delle persone che ti staranno vicino e ti aiuteranno ad andare avanti.
Mia tornò ad abbracciarlo, riprendendo a piangere. Lovino le accarezzò i capelli -su, su, tranquilla.
Cesare scelse quel momento per apparirgli sulla spalla, miagolando. Mia arretrò, sorpresa, e lo scrutò, stupita, con gli occhi rossi. Lovino accarezzò la testolina del gatto, notando la sua meraviglia -lui è il mio gatto.
Il micio scese dalla sua spalla e si teletrasportò in grembo alla bambina, scrutandola con attenzione. Mia guardò Lovino, quasi spaventata -che faccio?
-accarezzalo- le consigliò, percorrendo il corpo dell'animale -così. Gli piace.
-uhm...- esitando posò la manina sulla testa del gatto, scendendo lungo il collo fino alla coda. Cesare andò incontro alla sua mano, facendo le fusa. Mia però si spaventò e allontanò la mano -che suono è?!
Lovino ridacchiò -si chiamano fusa. Significa che gli piace quello che stai facendo- per provarlo fece qualche grattino sulla testa del gatto, che fece nuovamente le fusa -visto? Non ti farà niente, tranquilla- le prese la mano, così piccola che sembrava sparire contro la sua, e lentamente la posò sulla testolina di Cesare, facendola scorrere lungo il pelo. Cesare riprese a fare le fusa, facendo ridere Mia, che cominciò ad accarezzarlo senza più paura -ma che carino che sei!
-si chiama Cesare- aggiunse osservandola giocare con il gatto, che prese a leccarle la mano, facendola ridere.
-mi fai il solletico!- esclamò, lasciandolo fare.
-è il suo modo di darti un bacino- le spiegò, con un piccolo sorriso. Mia sembrò contenta, perché si chinò a stampare un bacio sulla testa del micetto. Poi guardò il ragazzo, timidamente -posso darne uno anche a te?
Lovino rimase un attimo sconvolto, ma annuì -uhm... se vuoi...
La bimba rise sottovoce, si tolse Cesare dal grembo delicatamente, si mise in piedi sul letto, per essere più in alto di lui, e gli stampò un bacio sulla guancia, gettandogli poi le braccia al collo per abbracciarlo. Lovino la strinse, un po' preoccupato. Quella bambina aveva la vita così stretta che, posandole le mani sui fianchi, le sue dita si toccavano. Doveva farla mangiare per bene, era troppo magra -occhio che cadi- la rimproverò, tenendola in piedi. Cesare si teletrasportò sulla spalla della bambina, leccandole la guancia e facendola ridere.
Quell'allegro siparietto fu interrotto dall'arrivo di Ludwig, che prese da parte Feliciano per dirgli qualcosa. Non fu proprio questo a interromperli, in realtà, ma Feliciano, che li raggiunse e posò una mano sulla spalla di suo fratello -ehi- mormorò, piano -c'è Francis che sta male.
-lo so.
Feliciano sembrò confuso -e allora perché sei qui?
Lovino alzò le spalle, accarezzando distrattamente il gatto -chi potrebbe volermi dove si cerca di impedire a uno di morire?
Feliciano roteò gli occhi, scocciato -Antonio. Non pensi che voglia un po' di conforto?
Non rispose, con le guance rosse. Feliciano sbuffò -vai, forza. Resta Ludwig ad aiutarmi.
Annuì, voltandosi verso Mia. Si sforzò di imbastire un sorriso e fece per parlare, ma lei lo precedette.
-devi andare a fare cose da adulti?- si allontanò e si sedette a gambe incrociate sul letto, con Cesare in braccio. Lovino annuì.
-potresti prenderti cura di Cesare finché non torno? Gli piaci ed è un compito importante, non saprei a chi altro affidarlo.
Mia annuì, contenta di avere qualcosa di importante da fare.
-grazie- la baciò sulla fronte e si alzò -torno il prima possibile, promesso.
Mia annuì, osservandolo correre via.

L'atmosfera era deprimente. Il corridoio bianco dell'infermeria era ingombrato da sedie, tutte occupate, e la maggior parte degli sguardi erano puntati sulla finestrella che dava sulla stanza dove il malato riposava. Lovino trattenne un brivido, Francis sembrava già morto. Solo il suono lento e regolare dell'elettrocardiogramma faceva intendere che ci fosse ancora della vita lì dentro.
Superò Eliza, la quale stava rassicurando il ragazzo affianco a lei accarezzandogli i capelli, e Gilbert, fino a raggiungere Antonio, che aveva i gomiti posati sulle ginocchia e la testa tra le mani. Gli si inginocchiò davanti, per essere alla sua altezza, e delicatamente posò le mani sulle sue, chiamandolo sottovoce.
-ehi...- riuscì ad ottenere la sua attenzione. Antonio sollevò il viso per guardarlo negli occhi, e Lovino sentì il cuore spezzarsi in un milione di minuscoli pezzettini, che si conficcarono nei suoi polmoni, mozzandogli il respiro. Antonio aveva gli occhi rossi, lucidi, stracolmi di lacrime sul punto di cadere; le labbra erano screpolate, doveva essersele morse fino quasi a sanguinare, ed era così distrutto, così abbattuto che Lovino sentì i sensi di colpa impazzire.
-scusa- ebbe a mala pena il tempo di sussurrarlo che quello, una volta messo a fuoco la persona davanti a sé, lo abbracciò, scoppiando a piangere.
-Lovi...- singhiozzò, incapace di parlare, e lo strinse forte, inondandogli la maglia di lacrime. Lovino lo strinse, chiudendo gli occhi.
-shh, va tutto bene- e, anche se non era vero, sperava fosse un po' di conforto. Lo baciò sulla testa, senza sapere bene che dire. Forse bastava tacere.

Dopo circa un'ora dall'arrivo di Lovino, la dottoressa li lasciò entrare. Arthur si alzò di scatto quando la vide uscire -come sta?!
Quella scosse la testa, abbattuta.
-mi dispiace- disse solo -ho fatto tutto il possibile.
Per poco non cadde a terra. Non vide più nulla se non colori vaghi, e non sentì più niente tranne un freddo devastante e un fischio acuto nelle orecchie.
Francis stava per morire.
Lo sapeva, avrebbe dovuto aspettarselo, non avrebbe dovuto essere sorpreso. Ma per tutto quel tempo aveva accantonato quella realtà, perché di realtà si trattava, in un angolino della sua testa, bollandolo come un "Francis morirà", e non come un "Francis sta per morire"
Venne riportato alla realtà da una mano gentile sopra la sua, che neanche si era accorto di aver appoggiato al muro per non cadere. Sbatté le palpebre, non stava diventando cieco, erano solo le lacrime. Matthew gli sorrise, con gli occhi lucidi, e gli strinse la mano.
-andiamo- sussurrò, andando verso la stanza -dobbiamo salutarlo.
Arthur si asciugò le guance, lasciandosi guidare all'interno.
Sentì un gemito strozzato dietro di sé.
-no, non ce la faccio- Gilbert arretrò, uscendo, con gli occhi iniettati di sangue -n... no, non ci riesco.
Eliza gli prese la mano -vieni- lo guidò fuori -prendiamo un po' d'aria.
Arthur li osservò uscire, notò Lovino abbracciare il suo ragazzo, e si disse che il suo destino sarebbe stato quello. Mentre tutti intorno si amavano e si facevano forza a vicenda, lui sarebbe rimasto lì, solo, a farsi forza da solo.
Poi Alfred e Matthew lo abbracciarono, e si concesse un sorriso al pensiero che no, forse completamente solo non lo sarebbe stato.

Francis è in un prato fiorito, circondato da lavanda in fiore

Lovino scrutò la figura di Francis, con Antonio che gli piangeva sulla spalla. Non gli piaceva quella situazione, proprio per niente. Era stanco di vedere gente che moriva.

Scorge il profilo della Tour Eiffel in lontananza. Sorride, gli è mancata casa

Gli tornarono in mente le parole di sua madre, per qualche motivo, e un'idea assurda si fece strada nella sua testa.

Gira su se stesso, il vestito azzurro si gonfia intorno a lui

"A volte è necessario distruggere il marcio, per poter ricostruire qualcosa di migliore"

Resta lì, tranquillo. In testa gli tornano un paio di occhi verdi, e una litania, simile a una ninna nanna, gli sussurra qualcosa all'orecchio in una lingua che non conosce.

Si avvicinò a Francis, senza sapere bene che fare. Seguì l'istinto, ignorò le domande degli altri e posò una mano sul petto di Francis.

Si piega in due per il dolore, urlerebbe ma i polmoni bruciano bruciano e bruciano e e e...
perché respira meglio?

Dolore, tutto intorno va a fuoco
Brucia brucia brucia brucia brucia BRUCIA
Il suo cuore batte batte e batte, più velocemente che mai, sente l'erba contro le ginocchia e un materasso contro la schiena, ma non ha senso, ma non ha modo di pensarci su perché brucia sta bruciando tutto io sto bruciando sto bruciando lentamente salvatemi vi prego non ce la faccio e

Arthur, pardonne-moi

 

Delle voci, che dicono?
Qualcuno urla
Conosco questa voce
Arthur...
Vorrei dirti qualcosa
Ci provo, ma il mio corpo non funziona
Non capisco, di che state parlando?
Smettetela di urlare, non... non capisco
Le voci si sovrappongono, una ad una, tante lingue tutte insieme e non una che io capisca ed è tutto così confuso e e e e e e e
E poi c'è una voce chiara, cristallina, che mi parla affianco, in francese
Mi volto verso la voce e questa volta riesco a muovermi
È una ragazza, carina, dai capelli corti
Non l'ho mai vista prima, ma in qualche modo sento di conoscerla
Mi fa l'occhiolino -bonjour, Francis.
-quoi...- ho la gola secca
-che succede?-suggerisce. Annuisco -be', stai morendo. Più del solito almeno. In teoria dovresti essere già morto, ma qualcuno là sopra ti vuole bene a quanto pare.
-in Cielo?
-no, nella coscienza- indica qualcuno
È Lovino, svenuto e seduto a terra, con Antonio davanti che gli fa da scudo e urla contro qualcuno. Arthur, conoscendoli
-Lovìn? Perché dovrebbe?
-oh, non penso ne fosse propriamente cosciente- riflette la ragazza -un po' sì, ma da sopra, sopra Sopra questa volta, gli è arrivato una sorta di segnale. Diciamo. È una cosa complicata, non abbiamo tempo.
-e... quindi?
-e quindi ora hai una scelta davanti a te. Il tuo cuore non sta battendo da... uhm... qualche centesimo di secondo direi. Il tempo ora sta scorrendo più lentamente, siamo nella tua testa in fondo, ma sta scorrendo, e tra poco non avrai più il tempo per riprendere a, sai no?, far battere il tuo cuore. Devi decidere se vivere o morire.
-vivere o morire...- ripeto, lentamente. Avere una voce in capitolo in merito... sembra chiedere troppo
-tu chi sei?
Quella sorride -un'amica, anche se non mi conosci. Ti è sempre piaciuta la mia storia, fin da bambino.
-uno... spirito?
-più o meno.
Una storia che ho sempre apprezzato... fin da bambino...
E poi un'altra voce si fa strada nel casino
Parla francese, ma è una voce maschile
Un sussurro, qualcosa che mi stringe la mano
-réveille-toi... je t'en supplie*
Mi si stringe il cuore
-Matieu...
Guardo la ragazza
-come faccio a tornare in vita?
Il suo sorriso aumenta
-questo devi dirmelo tu.
Chiudo gli occhi

Nel casino, un lieve, quasi impercettibile ma determinato battito si fa strada tra le urla, zittendo tutti.
Bip
Bip
Bip

 

*svegliati... ti imploro.
Non so se sia giusto, ho usato Google

 

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Capitolo 42
*** Capitolo quarantuno ***


Francis si risvegliò alle due e quarantadue del pomeriggio. Aveva la gola secca, notò, e si sentiva indolenzito. Ogni respiro gli dava una fitta di dolore al petto, ma, realizzò dopo qualche secondo, respirava. Fece per passarsi una mano sul viso, ma la mano era bloccata. Cercò di mettere a fuoco ciò che aveva intorno, sbatté le palpebre, ma faceva fatica.
Il soffitto era bianco. Poi qualcuno entrò nel suo campo visivo e, se non fosse stato così indolenzito, avrebbe certamente sorriso.
-sono... sono all'Inferno?- riuscì a chiedere, nonostante la lingua impastata -perché ci sei anche tu?
Arthur lo abbracciò. A Francis ci volle qualche secondo per capire che no, non aveva perso una mano, semplicemente era stretta tra quelle di Arthur. Una volta libera, però, non esitò a stringerlo, nascondendo il viso contro la sua spalla.
-sei vivo- mormorò contro i suoi capelli. Francis non riusciva a crederci. Una lacrima gli corse lungo la guancia -sei vivo- si allontanò da lui e gli prese il viso tra le mani, studiandolo. Rise. Una risata strozzata dal sollievo, quasi esasperata, di qualcuno che non dormiva da troppo e che non riusciva a credersi -sei vivo!
Francis si sforzò di ricambiare il sorriso -lo sono?
-lo sei!
Sbatté le palpebre e si girò verso la macchinetta che segnava il suo battito. Un bip bip regolare rispose alla sua domanda.
Inspirò profondamente e puntò lo sguardo al soffitto. Espirò -sono... vivo- ripeté, senza capirlo veramente. Arthur gli strinse la mano.
-sì.
Una lacrima. Due, tre, cinque, sette, tante, troppe. Una dietro l'altra, senza pietà, e Francis si ritrovò a chiedersi da dove la prendessero i suoi occhi tutta quell'acqua, vista la sete che aveva. Abbracciò Arthur, stringendoselo contro il più possibile, e pianse pianse pianse contro la sua spalla, rannicchiandosi contro di lui, grato di sentire la sua pelle un poco più fredda della sua, perché se sentiva freddo significava che il sangue scorreva, e se il sangue scorreva lui era vivo.
Arthur lo strinse, aiutandolo a sedersi, lasciandosi abbracciare.
-come ti senti?- mormorò contro la sua spalla dopo qualche secondo. Francis rise.
-uno schifo- continuò a stringerlo, non aveva le forze per lasciarlo andare. Tossicchiò -ho sete.
-vado a prenderti dell'acqua- si offrì, senza staccarsi da lui però -gli altri sono qui fuori, la dottoressa ha insistito che entrassimo uno per volta al massimo per... sai... evitare di essere in troppi per quando ti fossi svegliato.
-oh, va bene- lo baciò sulla prima porzione di pelle disponibile, il collo in quel caso. Sospirò -tu e Antonio vi siete saltati alla gola, vero?
Arthur sembrò imbarazzarsi -be'... quasi. Lovino ti ha...
-salvato? Sì. Non ero del tutto incosciente, credo- non sapeva neanche lui come spiegarlo. Anche perché non ci aveva capito niente, quindi... -vi sentivo urlare, ma non capivo nulla di quel che vi dicevate.
-è che...- lo strinse, a disagio -Lovino ti ha messo le mani sul petto, e non stavo capendo che diamine volesse fare. Però hai iniziato a tremare e...- gli morì la voce. Quando parlò di nuovo, il suo tono stava tremando -e il cuore non ti batteva più. Per qualche secondo, il cuore non ti batteva più. E io ho... ho perso la testa- Francis cercò il suo sguardo, ma Arthur nascose la testa contro la sua spalla. Sbuffò -dopo dovrò chiedergli scusa.
-bravo, mon amour- prese ad accarezzargli i capelli, distrattamente -come?
-come cosa?
-come faccio a essere vivo?
-oh. Non s'è capito bene. Lovino ha... tipo... distrutto le cellule malate.
-quindi può...
-curare chiunque? No. Ha funzionato perché praticamente tutte le tue cellule erano infettate e... be', non è stata la cosa più sicura del mondo.
-oh. Peccato- sospirò -s'il te plait, vai pure a chiamare gli altri.
Arthur mugugnò qualcosa, stringendolo. Francis ridacchiò, baciandolo sulla testa, e aggiunse un -tra qualche minuto. Prima voglio stare un po' con te.

Alle tre e un quarto arrivò Feliciano, tenendo una bambina per mano. Con un immaginario verso di stizza, Antonio, che stava tornando dai pazienti con un caffé in mano, notò che tra le braccia della piccola c'era Cesare.
-ciao, Antonio. Francis come sta?
-è vivo- non riuscì a non sorridere -Lovi l'ha salvato. Ora stanno entrambi dormendo.
Feliciano ricambiò il sorriso -davvero? Ma è fantastico! E Lovino dov'è?
Antonio indicò la stanza alle sue spalle -lì dentro. Quando si sveglia ti...- senza dire una parola, la bambina lasciò la mano a Feliciano, superò Antonio ed entrò senza troppi complimenti nella stanza, gatto al seguito. Antonio guardò l'italiano, confuso -ma che...
-a quanto pare il tuo ragazzo è bravo con i bambini- commentò solo, divertito -devo tornare dagli altri, non penso che Luddi sia in grado di... gestirli da solo troppo a lungo. Posso lasciartela per un po'?
-certo, nessun problema.
-grazie! Allora a dopo, ciao!- e andò via, contento.
Antonio alzò le spalle e prese un sorso di caffé prima di rientrare nella stanza di Lovino, che dormiva placidamente girato sul fianco. Trattenne un sorriso, era così carino!, e guardò la nuova arrivata, che stava osservando il ragazzo a letto con aria pensierosa. Si inginocchiò affianco a lei, seguendo la direzione del suo sguardo.
-è morto?- chiese, accarezzando il gatto. Antonio aggrottò la fronte, quello non se lo aspettava.
-no, certo che no- andava nel panico solo a pensarci -sta solo dormendo.
-è qui che dorme di solito? È la sua cameretta?
Scosse la testa -no, no. Ha un'altra stanza, più bella.
-e perché dorme qui allora?
-ha salvato la vita a una persona- rispose, orgoglioso -ma visto che era molto stanco si è addormentato qui.
-oh- e non disse altro.
Antonio fece per rimettersi in piedi, ma notò che la bestiacc... Cesare stava annusando qualcosa sotto la manica della maglietta della bambina. Aggrottò la fronte -cos'hai lì?
Quella arrossì e nascose il braccio sinistro dietro la schiena -niente.
Antonio le prese il braccio, delicatamente, e scostò la manica. Un taglio, lungo un paio di centimetri ma ancora sanguinante, gli fece inarcare un sopracciglio -come te lo sei fatto?
La bambina non rispose. Antonio dovette chiederglielo tre volte per ottenere una risposta, quasi sussurrata.
-sono caduta- mormorò -e ho scontrato il braccio con un trenino di un altro bambino.
Annuì, alzandosi in piedi -vieni, lo medichiamo.
-me... eh?
-medichiamo- ripeté, più lentamente, afferrando del disinfettante e un cerotto -lo curiamo.
-oh. E se non lo curo?
-be', nel peggiore dei casi ti prendi un'infezione.
-infezione- ripeté. Aggrottò la fronte -cos'è?
-uhm...- si sedette su una delle sedie affianco al letto e la prese in braccio per farla sedere sull'altra. La piccola non sembrò infastidita, troppo incuriosita da tutte quelle parole nuove -intorno a noi ci sono tanti germi- iniziò.
-germi?
-delle cose piccolissime, invisibili a occhio nudo, ma che possono farci male- spiegò. Lei annuì -la pelle li tiene fuori. Ma se lasci uno spazio per entrare- indicò il taglio -come quello, rischi che ti facciano del male.
-oh- annuì -e quindi che facciamo?
Sorrise e sollevò il flaconcino di disinfettante -questo serve a togliere eventuali germi entrati nella ferita e a pulirla, così non rischiamo sorprese. E questo- indicò il cerotto -coprirà la ferita in modo che nessuno possa entrare. Poi il sangue si coaguler...- vedendo la sua faccia confusa, si corresse -formerà la crosta, la pelle ricrescerà e il taglio guarirà. A quel punto potremo togliere il cerotto.
La bimba annuì -va bene- gli porse il braccio -fai pure.
Antonio le sorrise -grazie- prese un pezzetto di cotone e ci versò sopra del disinfettante. La guardò -potrebbe farti un po' male, ma devi essere coraggiosa. Come ti chiami?
-Mia. E sono coraggiosa.
-non ho dubbi a riguardo, Mia. Io sono Antonio- posò il cotone sul suo taglio, e quella sobbalzò, ma lo lasciò fare, in silenzio. Una volta messo il cerotto, le sorrise -bravissima. Ti va un leccalecca? Dovremmo averne alcuni, da qualche parte.
Mia fece per rispondere, ma un mugolio la interruppe. Lovino si mise seduto, stropicciandosi gli occhi con un pugno chiuso. Si arrampicò sul letto e lo raggiunse, puntandogli un dito sulla fronte con fare accusatorio.
-avevi detto che saresti tornato- lo ammonì. Cesare, alle sue spalle, miagolò in segno d'assenso.
Lovino ci mise qualche istante a riconoscerla. Poi sbuffò una risata -scusa. Ho perso la concezione del tempo.
-ti sei addormentato- replicò.
Lovino scrollò le spalle -stessa cosa- slanciò le braccia al cielo per stiracchiarsi, ancora rincoglionito per il sonno.
Si sentì abbracciare. Abbassò lo sguardo, Mia si era attaccata al suo petto, con le guance rosse.
-ero preoccupata- mugugnò. Lovino si intenerì e ricambiò l'abbraccio.
-scusami- disse solo. Mia non rispose.
Lovino si sentì abbracciare da qualcun altro, alle sue spalle, e sobbalzò leggermente. Quel qualcuno mormorò al suo orecchio, con quell'accento che non gli dava per niente le dannate farfalle nello stomaco -hai salvato Francis. Gracias.
-non serve- rispose, allungando all'indietro una mano per accarezzargli i capelli -non ho fatto niente di che.
-hai salvato la vita a una persona- lo baciò sulla spalla, facendolo sorridere -te amo.
Mia si allontanò dall'abbraccio, confusa -ma voi due siete fratelli?
Lovino scosse la testa -no. Stiamo insieme- che belle quelle due parole.
-in... in che senso?- sbatté le palpebre, non capendo.
-ci amiamo- aggiunse Antonio, stampando un bacio sulla guancia del suo ragazzo.
-come... come mamma e papà?- chiese, confusa.
Lovino annuì -una cosa del genere.
-ma siete due maschi- ribatté, come se qualcuno le avesse detto di dirlo. Aggrottò la fronte -due maschi possono stare insieme come mamma e papà?
-certo- Antonio le sorrise e stampò un bacio sulle labbra del suo ragazzo, come a mostrarglielo -visto?
-oh- rimase in silenzio, ragionando. Cesare, affianco a lei, miagolò piano, come a dire "lo so, neanche a me piace che quel tizio stia vicino a Lovino, ma che vuoi farci?" -e... anche due femmine possono?- l'idea sembrava affascinarla.
Lovino scrollò le spalle -certo, perché no?
Sembrò soddisfatta della risposta. Cercò di scendere dal letto, e non si sfracellò al suolo solo perché Lovino l'afferrò al volo e la mise a terra, brontolando un -stai attenta.
Però ignorò il suo rimprovero e sorrise ai due -posso stare con voi? Gli altri sono stupidi.
-gli altri bambini?- chiese Lovino, alzandosi. Mia annuì.
-ma dai, ci sarà qualcuno di simpatico- provò Antonio, ma la bimba si incupì.
-no. Fanno giochi stupidi e piangono per cose stupide.
Lovino annuì -lo so, sono fatti così- le prese la mano, e Cesare si teletrasportò sulla sua spalla. Guardò il suo ragazzo -vieni anche tu?
Antonio sbuffò -ho il pomeriggio libero.
-allora vieni?
-più tardi- promise, prendendogli la mano e stampandogli un bacio sulla guancia -prima penso che starò un po' con Francis.
-va bene- si lasciò baciare -salutamelo.
-certo- gli sorrise, si chinò per baciare Mia sulla fronte e se ne andò, fischiettando.
-è molto... appiccicoso- commentò la bambina. Lovino si concesse una risatina, uscendo da lì.
-non sai quanto.

Quando, rientrando nella stanza d'ospedale, Gilbert aveva visto Francis seduto, vivo e vegeto, a parlare con Antonio e Arthur, qualcosa sulla "convivenza civile", per poco non era finito a terra per la velocità con cui era corso da lui ad abbracciarlo.
Francis, che normalmente si sarebbe lamentato perché "i miei capelli! Mi scombini tutto così!", per una volta fu ben felice di essere stritolato, e ricambiò l'abbraccio con il braccio libero, l'altro era attaccato ad una flebo.
Anche Antonio si unì all'abbraccio, per completare il trio e perché, l'avrete notato, amava gli abbracci.
Senza fiato, Gilbert cominciò uno sfogo in tedesco, tanto era sollevato non si era accorto di star usando un'altra lingua.
Francis rise e gli mise una mano sulla bocca -fermo, non sto capendo nulla. Riformula.
L'albino inspirò profondamente per riprendersi e continuò, nella lingua nuova però -stai bene?
Francis annuì, con gli occhi lucidi -sì. Lovin mi ha salvato.
Antonio aveva due occhi luminosi come soli -ti saluta, a proposito.
-ma che... come...- scosse la testa -sai cosa? Non importa. Sei sveglio, questo è l'importante.
-sono guarito!
Sgranò gli occhi -gua... guarito? Tipo... guarito guarito? Del tutto?
Francis annuì -non riesco a crederci, ma sì. Guarito guarito.
Per poco non svenne per il sollievo.
Eliza, alle sue spalle, afferrò Arthur per un braccio, sussurrando un -lasciamoli soli qualche minuto.
L'inglese esitò, scrutando la figura di Francis come se avesse avuto paura di vederla sparire, ma annuì, facendo cenno a due gemelli di fare lo stesso.
I tre si accorsero della loro uscita solo quando sentirono la porta chiudersi. Gilbert separò l'abbraccio e batté le mani -bene! Direi che è il caso di fare una bella riunione del btt, che ne dite?
-direi- confermò Francis, prendendo la bottiglia d'acqua posata sul comodino e bevendo.
-che mi sono perso mentre ero...- nel panico, distrutto, senza forze, nel bel mezzo di una crisi di pianto -fuori?
Antonio scrollò le spalle -non ci ho capito granché neanch'io. Stiamo facendo delle analisi ma...- sorrise -Fran è guarito. Completamente.
-dobbiamo festeggiare.
Francis rise -e moi? Che mi sono perso mentre ero...- mezzo morto -incosciente?
Gilbert indicò Antonio -a proposito, ora posso chiedertelo. È vero quel che dicono sugli italiani?
Antonio aggrottò la fronte -a che ti riferisci? Cos'è che dicono sugli italiani?
Gilbert ghignò -dicono che i francesi siano i migliori innamorati- indicò Francis -e questo poi lo devo chiedere al tuo adorato fidanzatino britannico, e che gli italiani siano i migliori amanti- gli fece l'occhiolino -se capisci cosa intendo. L'ho chiesto a Ludwig, ma si è rifiutato di rispondermi, anche perché dubito abbiano fatto qualcosa.
Antonio si coprì la faccia con le mani, mentre Francis scoppiava a ridere -non ci credo che me l'hai chiesto sul serio.
-sono curioso- si giustificò, sollevando le mani in segno di resa -dicono anche che in Paradiso gli amanti sono italiani, se è per questo.
Antonio sospirò, con aria sognante -be'... diciamo che posso capire il perché.
-ah! Quindi l'avete fatto. Voglio i dettagli.
Antonio lo guardò male -te lo scordi. Mica ti chiedo i dettagli sulle tette di Eliza.
Gilbert sospirò -sono morbidissime...
Francis rise di nuovo -mon Dieu, siete proprio persi.
-da che pulpito! Sei tutto un "Angleterre di qua, Arthur di là..."
-com'è che dice Lovinito...- lo spagnolo si picchiettò un dito sul mento, pensando. Si illuminò -sottoni! Ecco, siamo dei sottoni.
Francis alzò le spalle -non posso negarlo.
-a proposito...- Antonio abbassò il tono della voce -non sei più infettivo, Fran. Volendo potete...
Il francese si strinse le ginocchia al petto, posandoci sopra la testa -sì... ancora non riesco a credere di... di poter avere una vita normale. Sto ancora... metabolizzando. Quindi continuate a parlarmi di cose stupide, così mi distraggo, mes amis.
Gilbert gli fece l'occhiolino -lo sai che le cose stupide sono la mia specialità.
-e... non lo so. Forse un giorno lo faremo, adesso ancora non me la sento- continuò, arrossendo solo a pensarci. Antonio annuì, stringendogli la mano.
-se ti fa stare male basta dirlo e lo rivolto come un calzino- lo rassicurò. Francis roteò gli occhi.
-vi ho detto che dovete smetterla di saltarvi alla gola. Arthur è una brava persona.
Antonio scrollò le spalle -se lo dici tu. Sto cercando di proteggerti.
-non è necessario- Francis si sporse verso di loro, curioso -piuttosto, raccontatemi un po' com'è andata ieri sera.

Quando Feliciano andò a riprendere Mia, la trovò sdraiata sul letto con Lovino, impegnata a leggere ad alta voce.
-d... druides a be... ballo...
-bello- la corresse Lovino, reggendo il libro.
Mia scrutò il libro per qualche secondo, torva, poi annuì -bello ab... abesse con...- sembrò frustrata e si avvicinò di più al libro per vedere meglio -con-su-e-runt- si girò verso il ragazzo alla ricerca di conferme, e quello annuì.
-consuerunt. Bravissima.
Mia annuì, soddisfatta, e tornò a leggere, molto lentamente -neque tributa...
-le stai insegnando a leggere con un libro in latino?- chiese, chiudendosi la porta alle spalle. Lovino alzò le spalle.
-non ne avevo nella lingua nuova.
-ma le stai complicando la vita.
-così non si aiuta indovinando il significato- ribatté, e Mia annuì.
-sono brava- confermò.
-non ne dubito, ma cosa le stai...- sbirciò la copertina e inarcò un sopracciglio -il de bello gallico? Davvero?
-è una lettura educativa.
-parla di guerra.
-è un classico- ribatté Lovino, offeso -se un giorno dovrà sottomettere delle tribù barbare, mi ringrazierà.
Feliciano si sbatté una mano in faccia, divertito -e io che pensavo che il nonno esagerasse con le sue "fiabe della buona notte"
Lovino sembrò rimanerci male -non c'è niente di sess...- si interruppe a metà parola, e arrossì -niente di quel tipo.
-insomma...
-posso continuare?- li interruppe Mia, con gli occhi incollati al libro.
Lovino le accarezzò distrattamente i capelli -certo.
Mia annuì, soddisfatta -tributa una cum reli... reliquis pedunt.
-pendunt- la corresse Lovino.
-pendunt- ripeté la bambina, soffiandosi via un ricciolo da davanti gli occhi -militiae...
-si legge milizie- la interruppe, indicandole le due lettere -in latino ae si legge e e la t seguita da vocale z.
-vocale- ripeté Mia, pensando -a, e, i, o o u, giusto?
-esatto. Anche l'y in teoria.
La bambina annuì, riprendendo a leggere -militiae vacationem om... omnium... omniumque... re... rerum ha... habent imm... immunitatem- si girò verso Lovino -è giusto?
-giustissimo, brava.
Sembrò soddisfatta di sé -e cosa significa?
-uhm...- si sporse a rileggere, pensando -sono un po' arruginito... uhm...
-avete passato tutto il pomeriggio a leggere questo libro?- intervenne Feliciano, vedendo il fratello in difficoltà. Mia scosse la testa.
-mi ha insegnato l'alfabeto- raccontò, attirandosi le ginocchia al petto -e poi ho scritto un po' su un foglio- si mise in piedi e andò ai piedi del letto, chinandosi oltre il bordo per raccogliere da terra dei fogli.
-attenta a non cadere- l'ammonì Lovino, tenendola d'occhio. La bimba si rimise in piedi e tornò dai due fratelli, mostrando al minore i suoi scarabocchi. Ne indicò uno -questa è la mia firma. E qui ho scritto Lovino- indicò un altro punto. Feliciano annuì, studiando le lettere colorate nel vano tentativo di capirci qualcosa -e qui ho disegnato la zampa di Cesare.
Feliciano annuì, confuso -e poi?
-poi ho letto un libro, non quello di Cesare- disse, sedendosi a gambe incrociate tra loro, con aria orgogliosa -non tutto, ma qualche pagina.
-cinque- le ricordò Lovino, e Mia annuì, mostrando il palmo della mano.
-cinque. Mi ha anche insegnato a contare fino a venti.
Feliciano annuì -ma che brava, scommetto che hai imparato subito. E che libro hai letto?
Mia ci pensò su, confusa -aveva un titolo strano...- si girò verso Lovino -come si chiama tuo marito?
L'italiano aggrottò la fronte -mio... marito? Non ho un marito.
Feliciano rise -ti riferisci ad Antonio?- a quelle parole Lovino arrossì come un pomodoro, soprattutto quando Mia annuì.
-lui. Il protagonista si chiamava tipo lui... uhm... 'Ntoni.
-'Ntoni?- Feliciano guardò il fratello, stralunato -hai fatto leggere i Malavoglia a una bambina di quattro anni?!
-Malavoglia! Ecco come si chiamava- confermò la piccola, lasciandosi abbracciare da Lovino.
-tanto non lo capisce- brontolò, stringendosi contro la bambina. Feliciano sbuffò, esasperato.
-ha quattro anni!
-e quindi? La vita fa schifo per tutti.
-ho capito ma...- si interruppe quando la piccola gli tirò una ciocca di capelli per attirare la sua attenzione, imbronciata -ahio.
-stavo raccontando- brontolò, incrociando le braccia al petto.
-scusa. Continua, per favore.
Sembrò contenta di ricevere delle scuse da uno più grande -però visto che c'erano tanti potrofi...
-apostrofi- intervenne Lovino.
-apostrofi e cose strane, sono passata a quello- e indicò il De bello gallico -lo sai che l'ha scritto un nomino di Cesare?
E il gattino miagolò, concordando.
-omonimo- la corresse Lovino.
-omonimo. È uguale- scrollò le spalle, e rise quando Lovino le fece il solletico sul collo. Sembrò illuminarsi -e Lovino mi ha anche insegnato una canzone!
-davvero? Quale?
Mia si schiarì la voce, sedendosi dritta e portandosi una mano sul cuore -fratelli d'Italia...
Feliciano si sbatté la mano in faccia -non le hai veramente insegnato l'inno di Mameli.
-certo che sì- borbottò Lovino, strigendosi contro Mia.
-se stanotte non dorme per qualcosa che le hai detto...
La sua minaccia fu interrotta da un lieve bussare. Antonio fece capolino dalla porta, sorridendo -posso entrare?
-vieni, idiota- sbuffò Lovino, sorridendo leggermente quando quello gli stampò un bacio sulle labbra.
-che combinate?- chiese, sedendosi a gambe incrociate sul letto. Mia sollevò il libro.
-leggo.
-ma che brava. Ti sta insegnando Lovi?
Mia annuì -è un bravo maestro.
Lovino le strinse la manina -che onore.
-Antonio, puoi farmi un favore? Controlla cosa le fa leggere questo disgraziato, rischia di traumatizzarmela- intervenne Feliciano, ignorando la linguaccia del fratello.
Antonio scrollò le spalle -posso provarci, ma non parlo italiano. Né latino- aggiunse, dando un'occhiata al libro stretto tra le mani di Mia.
Feliciano si fece pensieroso -se vedi Verga o D'Annunzio, toglilo subito.
Antonio annuì, confuso -va bene?
Lovino sbuffò stizzito -non si apprezza più l'arte.
-l'apprezzo tanto quanto te, ma ti ricordo che...
-ha quattro anni, blablabla. Non è stupida.
-non sono stupida- confermò Mia.
-non è stupida, è una bambina, e gradirei che non si mettesse a sottomettere popoli barbari prima di prendere la laurea.
-che schizzinoso che sei.
Feliciano roteò gli occhi -be', ero venuto per riportare Mia dagli altri...
-no!- la bambina abbracciò Lovino, nascondendosi contro il suo petto -mi piace stare qui!
-...ma suppongo che tu possa tenerla fino a cena. Se vuoi.
Lovino prese ad accarezzarle le schiena, lentamente, e annuì -nessun problema.
-bene. Vi lascio allora- stampò un bacio sulla guancia di suo fratello e si alzò, uscendo. Antonio strinse una mano alla bambina.
-io? Posso restare?
Lei sembrò pensarci su, stretta contro la maglietta dell'italiano. Poi annuì -sì. Fai sorridere Lovino, mi stai simpatico.
-oh, be', grazie- si unì all'abbraccio, sdraiandosi dietro di lei e allungando le braccia per stringere Lovino, in modo da abbracciare entrambi -posso?
Mia annuì di nuovo -sì.
-grazie- sussurrò, e non ebbe bisogno di dire molto altro.

 

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Capitolo 43
*** Capitolo quarantadue ***


Il giorno dopo ci sarebbe stata una festa per Francis, gli disse Antonio. Nel frattempo, però, il francese sarebbe rimasto nell'infermeria, sotto osservazione, e probabilmente ci sarebbe dovuto rimanere un po' comunque.
-mh. Come sta?
-bene, bene- era così contento, pensò, scrutandolo sott'ecchi. Adorabile -ora probabilmente è con Arthur. Non penso si staccheranno tanto in fretta- alzò le spalle -non che li biasimi. Farei lo stesso al loro posto.
-tu sei più appiccicoso di un rotolo di scotch ricoperto di miele.
Antonio gli fece l'occhiolino -tutto per te, mi amor.
Mia, sulle sue spalle, rise -siete buffi.
-lieto di farti ridere.
-li... lieto?
-felice. È un modo più elegante- spiegò Lovino.
-elegante- ripeté Mia, scandendo bene la parola, come a gustarsela sulla lingua -allora dirò lieto. Voglio essere elegante.
-lieta, semmai. Sei una femmina, no?
Mia annuì -sì. Lieta che tu lo sappia.
Lovino annuì, divertito -brava. Molto elegante.
Mia fece per dire qualcosa, ma si incupì quando vide la porta della mensa. Strinse leggermente qualche ciocca di capelli di Antonio per attirare la sua attenzione -posso mangiare con voi?
-certo!- prese un vassoio di cibo per Mia e glielo passò -puoi tenerlo tu? Attenta a non versarmelo addosso.
Mia si imbronciò -non sono stupida- e strinse per bene il vassoio tra le manine.
Antonio ridacchiò -lo so, niña.
-ni... nigna?
-niña- ripeté, andando verso il tavolo dove già c'erano Gilbert ed Eliza -è un nomignolo.
-no... mignolo?
-un soprannome- vedendola confusa, intervenne Lovino.
Mia aggrottò la fronte, così Antonio si sentì in dovere di spiegarsi meglio -una parola per chiamarti senza dire il tuo nome.
-uhm...
-tesoro, per esempio. O, non so...
-Lovi al posto di Lovino- aggiunse Antonio, posando sul tavolo il suo vassoio. Sollevò le mani e le posò sul busto di Mia, sollevandola per farla sedere affianco a sé. Gilbert scrutò la bambina con un sopracciglio.
-Tonio, devi dirci qualcosa?
-anche Tonio è un soprannome?- chiese la bambina, curiosa. Antonio annuì.
-esatto, brava.
Soddisfatta di sé, cominciò a mangiare.
Gilbert sbuffò -allora? C'è qualcosa che dovete dirci?
Lovino sbuffò e si sedette accanto a Mia -presentati, tesoro.
-mi chiamo Mia- bofonchiò, mangiando.
-non ti strozzare, niña, mangia piano- la rimproverò Antonio, gentilmente.
Eliza si scambiò un'occhiata con Kiku, facendo sbuffare Lovino.
-non mi piace quando confabulate tra voi- brontolò, facendo ridere Mia.
Gilbert individuò il tavolo dei bambini e scoppiò a ridere -Ludwig è sull'orlo di un esaurimento!- esclamò, divertito. Si girò verso Eliza -ti prego, liebe, se facciamo dei figli molliamoli a zio Ludwig tutti i weekend. Devo vederlo cambiare pannolini.
Eliza roteò gli occhi -stiamo insieme da meno di una settimana e già mi parli di figli? Vorrei vedere te a partorire.
L'albino alzò le spalle -sono previdente.
-sei esagerato.
-punti di vista.
Mia tirò la manica di Antonio, curiosa -anche libe è un soprannome?
-liebe? Sì.
-e che significa?
-uhm, qualcosa tipo "amore" credo. Non parlo tedesco, dovresti chiederlo a Gil.
-Gil?
-Gilbert- indicò con un cenno del mento l'amico -lui.
-oh. Nah, mi sembra stupido.
Antonio rischiò di strozzarsi. Lovino invece abbracciò la bambina, di slancio -sono così fiero di te!
Gilbert si appoggiò alla spalla della sua ragazza -umiliato da una poppante- si lamentò -liebe, consolami.
Eliza scrollò le spalle -non è che abbia tutti i torti.
Antonio per poco non si mise a piangere per le risate.

Avevano appena finito di fare l'amore.
Lovino era girato sul fianco, stanco, con Antonio alle sue spalle che ricopriva le sue spalle e il suo collo di baci. Sospirò, stringendogli la mano e percorrendo il profilo delle vene in rilievo con il pollice lentamente.
-come stai?- gli sussurrò il suo ragazzo, posando un bacio appena sotto il suo orecchio. Lovino scrollò le spalle.
-meglio di stamattina. Si vede che mi sto abituando.
Sentì il suo sorriso direttamente contro la spalla -allora lo faremo spesso, così ti abituerai più in fretra.
-sei uno sporco pervertito.
-e ti dispiace?
Lovino alzò gli occhi al cielo, senza rispondere.
Sapete, nonostante il suo allontanamento da essa e, be', il suo orientamento sessuale e le sue idee in merito, Antonio aveva ricevuto un'educazione molto cattolica. Anche se era quasi stato ucciso dal suo stesso padre per colpa anche della religione, continuava ad essere influenzato da essa. In fondo non poteva certo dimenticare quindici anni così in fretta, tanto meno se erano i primi quindici anni di vita, i più delicati.
Per questo nella sua testa, consciamente o meno, all'amore era associata una certa cosina che potete ben immaginare. Erano l'una la conseguenza dell'altra, ed è anche per quello che per lui l'amore e il sesso dovevano essere intrecciati.
E, a causa di tutte queste cose, gli venne spontaneo, lì, con l'amore della sua vita tra le braccia, dare voce a un'ipotesi che gli aveva pungolato la testa per un bel po'.
-e se ci sposassimo?
Ora. Mettetevi nei panni di Lovino, anche se in quel momento non ne indossava. Siete lì, tranquilli, in un momento così rilassante, con la pace dei sensi, sull'orlo del sonno, e vi sentite dire una cosa del genere. Potete bene immaginare la sua reazione, e sinceramente mi sembra un miracolo che non abbia sfondato il soffitto con un salto di tre metri.
Avrebbe potuto tranquillamente giurare che il suo cuore, in quel momento, avesse smesso di battere. L'ha sentito, quel bastardello, fare un salto dritto verso la sua trachea per strozzarlo e prendersi una pausa dal suo normale lavoro. L'ha sentito perfettamente cazzo.
Quando fu in grado di aprire bocca senza urlare come un'isterica, si girò verso di lui, con due occhi così sgranati che sembravano delle palline da golf -c-cosa?
Antonio, che, realizzato quel che aveva detto, aveva sentito la gola diventare simile al deserto del Sahara, si sforzò di imbastire un sorriso -be'... uhm... visto che ti amo... e tu mi ami... e ti avevo promesso ti restarti accanto quindi...
Ah, se solo avesse avuto il potere di Gilbert per poter sparire! E questo era un desiderio di entrambi, ve lo assicuro.
Lovino dovette fare uno sforzo cosciente per non distruggere tutta la stanza. Aveva la mente a mille, il cuore che continuava a fare salti stupidi, gli occhi che continuavano a distrarlo, maledetti loro e maledetto bastardo nudista, e la lingua così impastata che se avesse sputato in terra avrebbe creato un nuovo lago piuttosto disgustoso, e intanto quello lo guardava, alla ricerca disperata di una risposta che Lovino non riusciva a trovare nei meandri della sua testa bacata. E così disse la prima cosa che gli passò per la testa.
-no ma dico, ti sembra questo il modo di fare una proposta di matrimonio?
Il nervosismo dello spagnolo si sciolse, un pochettino, e scoppiò a ridere -scusa, hai ragione mi amor- lasciò cadere la testa sul cuscino e lo guardò, di nuovo nervoso -ma... cosa mi rispondi?
Bella domanda. Lovino distolse lo sguardo, mordendosi il labbro, alla ricerca disperata di qualcosa di fottutamente adatto da dire.
-non è un no- mormorò -ma non penso sia legale.
Qualcosa di vagamente sensato e articolato. Grazie ad Apollo, dio della poesia, che sembrava averlo maledetto vista la sua incapacità di parlare.
Antonio gli accarezzò il viso, lentamente, dispiaciuto -giusto... hai ragione.
Lovino si morse più forte il labbro -non so che faranno ora. Dovremmo chiederlo al nonno... ma non credo che lo renderanno legale subito. Sarebbero... tutti contrari. Più o meno- si lasciò abbracciare, e sospirò -mi dispiace.
-anche a me- mormorò Antonio, tenendoselo stretto contro il proprio petto -è che... tra il fatto che abbiamo quasi perso Francis, tutto il tempo che abbiamo passato separati e i tre giorni che hai fatto in coma, vorrei...
-una certezza- concluse Lovino -un punto fermo che non cambi.
Antonio annuì, stringendogli la mano.
Lovino rimase in silenzio per un po', cercando una soluzione. Poi si ritrovò ad annuire -però niente ci vieta di farne uno finto.
Antonio lo guardò, confuso -cosa?
-sì insomma...- perse un po' la convinzione, ma continuò a parlare -fare una sorta di... celebrazione simbolica. Ci scambiamo un paio di anelli, portiamo un paio di testimoni... legalmente non varrebbe niente, ma...
Antonio lo baciò. Appassionatamente, con impeto, mozzandogli il fiato e interrompendolo a metà. Lovino normalmente lo avrebbe insultato per averlo interrotto, ma era un po' impegnato a... sapete no... farsi divorare la faccia. Ringraziò mentalmente di essere sdraiato, perché altrimenti sarebbe sicuramente caduto, o quanto meno le gambe avrebbero cominciato a tremargli tanto da rendere impossibile per chiunque non notarlo.
Quando si decise a lasciarlo respirare, Antonio aveva un sorriso così meraviglioso che a Lovino ci volle un po' per ricordarsi di cosa diamine stessero parlando.
-adoro quest'idea.
Non l'avevo capito, guarda, gli avrebbe risposto, se solo quel bastardo non gli avesse rubato la lingua, altro che Cesare.
Aprì la bocca per parlare e balbettò qualcosa, allora la sua lingua era ancora al suo posto, solo intorpidita. Dopo qualche imbarazzantissimo borbottio, riuscì a recuperare un minimo di proprietà di linguaggio.
-p... però ho delle condizioni- forse sarei più credibile se non fossi rosso come un cazzo di pomodoro.
Antonio gli baciò il dorso della mano -tutto quello che vuoi.
Sì ma se mi dici così quando tra tutti e due abbiamo addosso solo un paio di coperte...
-primo, mi devi fare una proposta come si deve.
Antonio ridacchiò -mi sembra giusto.
-secondo, non voglio né discorsi imbarazzanti né scherzi idioti da quei due idioti dei tuoi amici.
Quello scrollò le spalle -su Gil e Fran non posso garantirti nulla, ma cercherò di non fare discorsi imbarazzanti.
-bravo- gli diede un buffetto sulla guancia -allora fammi 'sta proposta, su su.
Antonio rise e gli stampò un bacio a tradimento prima di scostare le coperte, facendolo rabbrividire per il freddo, e alzarsi in piedi. Lovino afferrò le sue mutande da terra e gliele lanciò -non dico lo smoking, ma almeno un paio di boxer...
Antonio gli fece l'occhiolino, infilandoseli -come se ti dispiacesse vedermi nudo.
-guarda che ti dico di no.
Antonio rise e si guardò intorno -uhm... ci vorrebbe un anello o qualcosa di simile...
Individuò i suoi pantaloni in un angolo della stanza e andò a prenderli, soddisfatto. Ci sfrugò dentro per un po' e sventolò in aria il suo tesoro, contento -bingo!
-che è?
-un pezzo di benda- si mise a modellarlo, concentrato, fino a tirarci fuori un piccolo anellino. Lovino si sbatté una mano in faccia.
-potevi evitare l'anello, non era quello il punto.
-una proposta non è niente senza anello!- ribatté. Era a dir poco su di giri, sembrava che qualcuno gli avesse fatto un'iniezione di zuccheri. Non che Lovino lo trovasse adorabile. Assolutamente no.
Lo spagnolo tornò affianco a lui, e l'italiano si girò di lato per guardarlo meglio, con un piccolo sorriso.
Antonio si inginocchiò, con l'anello in mano, e Lovino si mise seduto, un po' a fatica, per essere più in alto di lui.
-Lovino- cominciò, poi si corresse -Lovi. Mi amor. Insomma... tu.
-ce la puoi fare.
-gracias. Dicevo? Sì. Ti amo, lo sai, e non mi stancherò mai di ripetertelo- inspirò profondamente, cercando le parole giuste -quando siamo insieme io... mi sento come se potessi fare qualsiasi cosa, e quando mi sorridi... quando mi sorridi mi convinco sempre di più che il Paradiso esista e sia contenuto nei tuoi occhi.
Non piangere.
-e... poi ci hanno separati. Non credo di essere mai stato peggio, e non oso immaginare come sia stato tu, insieme a quelli che ti avevano fatto tanto male. Quando ti ho visto per la prima volta, male in realtà perché era buio, non pensavo che quello sarebbe stato l'incontro più importante della mia vita. Hai cambiato tutto, e il bello è che neanche te ne sei reso conto.
Non piangere.
Non devi piangere.
Sei un duro e i duri non piangono.
-solo a pensare di essere separato di nuovo da te, mi sento morire. E al tempo stesso, se immagino di svegliarmi ogni giorno al tuo fianco mi sento esplodere di gioia. So che un paio di anelli non significano questo, che la vita è incerta e potremmo anche morire tutti domani, ma è proprio per questo che voglio sposarti: per avere una certezza, un punto fermo che ci leghi anche se, malauguratamente, ci dovessimo separare di nuovo.
Non. Devo. Piangere.
Antonio abbozzò un sorriso -quindi... vuoi sposarmi?
Lovino non riusciva a parlare. Sentiva le lacrime punzecchiargli gli occhi e sapeva che, se avesse aperto bocca, sarebbe crollato, ed era molto poco romantico.
Annuì. Una volta, due, non riuscì a smettere, e quando sentì quell'anello improvvisato contro la pelle non riuscì a controllare un singhiozzò che gli sfondò le labbra e demolì completamente le sue difese, lasciandolo tremante sul letto.
-ehm... stai piangendo perché non vuoi o...?- quasi spaventato Antonio si rimise in piedi, ma Lovino gli afferrò il viso tra le mani e lo baciò, tirandoselo contro, ridendo contro le sue labbra.
-lo voglio- gli sussurrò, baciandolo di nuovo -certo che lo voglio- continuò a ripeterglielo mentre le mani di Antonio toglievano di mezzo le coperte e le sue, di mani, levavano dalle palle le mutande dell'altro. Continuò a ripeterglielo, tra un sospiro e l'altro, mentre si lasciava sovrastare e toccare e cazzo, pensare che sarà così tutta la vita rende tutto più bello. Continuò a ripeterglielo mentre lasciava vagare le mani sul corpo tonico del suo... futuro cazzo di marito, e mentre il fiato gli si mozzava in gola e quei "lo voglio" diventavano più dei mugolii e dei sussurri spezzati, Lovino si sentiva bruciare da tanto amore da non sapere più cosa farne.
Poco dopo erano di nuovo lì, abbracciati sotto le coperte a coccolarsi, solo che questa volta i baci erano dati direttamente sulle labbra e c'era un cerchietto in più tra le loro mani intrecciate.
Lovino rise contro la sua spalla, colto da un pensiero improvviso in quella coltre di pace che li aveva circondati per... oh, chissene frega del tempo!
Antonio lo baciò sulla fronte -cosa ti fa ridere, mi amor?
-pensavo alla reazione delle nostre famiglie- rise di nuovo, contro le sue labbra però -Feli uscirà di testa. Mi sembra quasi di sentirlo strillare.
Antonio impallidì -forse avrei dovuto chiedere al tuo abuelito prima- rifletté, stringendolo. Sospirò -mi è uscito spontaneo- brontolò, spettinandosi i capelli, come se non fossero già un disastro per conto loro -non è che avrà qualcosa in contrario?
Lovino sbuffò una risata tirandoselo contro per baciarlo, con le mani sulle sue guance -sticazzi del vecchio. Tu sarai mio marito- suonava bene. Lo baciò di nuovo, sorridendo -mio marito. Tu sarai mio marito- si sentiva un disco rotto, ma non importava. Importava il modo in cui lo stava guardando Antonio, con un'aria così adorante e innamorata da fargli girare la testa. Lo baciò ancora -mio marito. Suona bene, no? Penso che posso abituarmi a chiamarti così.
Antonio gli baciò il palmo della mano, poi l'anello, e annuì -anch'io- lo baciò sulle labbra, salendogli sopra e posando la fronte sulla sua -non vedo l'ora di abituarmici.
Lovino, con le guance leggermente rosse, fece per dire qualcosa, ma un lieve bussare lo interruppe. Aggrottò la fronte e si girò verso l'orologio sul comodino -è l'una di notte. Chi può essere?
Antonio, che aveva ripreso a baciargli il collo, scrollò le spalle, soffiando sul succhiotto appena fatto con aria soddisfatta. Lovino inarcò leggermente la schiena per la sorpresa -lascia perdere. Se ne andranno.
-potrebbe essere importante...- protestò debolmente, lasciandosi baciare sulle labbra. Stronzo, lasciami parlare.
Un altro bussare, un po' più forte, fece sbuffare Antonio di frustrazione. Lovino ridacchiò, accarezzandogli la guancia.
-prima vai a vedere chi è, prima se ne andranno- gli sussurrò sulle labbra -e prima potremo tornare a noi due...
Mai aveva visto qualcuno alzarsi così in fretta. Scoppiò a ridere, lanciandogli dietro il primo indumento che gli capitò sottomano, le solite mutande che ormai erano diventate aereodinamiche -vestiti, nudista!
Altro bussare, decisamente scontroso. Antonio roteò gli occhi -un minuto!- disse allo scocciatore.
Si vestì in fretta con le prime cose che gli capitarono sotto mano, e Lovino ne approfittò per mettersi il suo pigiama, tanto da essere presentabile.
Fuori dalla porta non c'era nessuno. Poi Antonio abbassò lo sguardo e aggrottò la fronte -Mia?
-Mia?- Lovino a quel nome si alzò di scatto dal letto e raggiunse di corsa la bambina, inginocchiandosi davanti a lei per essere alla sua altezza -che succede, piccola? Gli altri bambini ti rompono le scatole? Devo picchiarli?
La bambina, con Cesare (uff) affianco e un orsacchiotto tra le braccia, scosse la testa -dormono tutti. Posso entrare?
-certo- Lovino le fece spazio, lasciandola andare verso il letto. Afferrò il braccio di Antonio, mimandogli con le labbra un -hai messo via i preservativi, vero?
Antonio annuì, indicando con un cenno del mento il comodino. L'italiano sembrò soddisfatto e raggiunse la bambina, aiutandola a salire sul letto e sedendosi a gambe incrociate davanti a lei.
-allora? Che è successo?- Antonio li raggiunse, sistemandosi affianco al suo fidanzato. Mia sembrò imbarazzata.
-non riuscivo a dormire...
-hai fatto un incubo?
Lei scosse la testa -no, non è quello. Solo... posso dormire qui?
-certo piccola.
Anche Antonio annuì -vuoi che Lovi ti racconti una storia?
Mia sembrò pensarci, poi annuì -sì. Quella che ci hanno raccontato prima era brutta.
Lovino ridacchiò, sdraiandosi accanto a lei nel letto -che storia era?
-Biancaneve. Era noiosa e stupida- si infilò sotto le coperte, con il suo orsetto tra le braccia, e Cesare si acciambellò sul suo grembo e si mise a dormire. Povera bestiolina, trascinata da una parte all'altra.
-perché?
Mia si imbronciò -Biancaneve è stupida. Si fida della gente a caso e non fa nulla per ritrovarsi il principe. Sfrutta i poveri nani per nascondersi invece di fare qualcosa.
Antonio rise sistemandosi affianco alla piccola, dal lato opposto di Lovino -era troppo passiva?
Mia annuì -passiva- sillabò.
-allora ho una storia che ti piacerà- annunciò l'italiano, appoggiandosi alla testiera del letto. Sia Antonio che Mia si girarono sul fianco per osservarlo, con la stessa espressione curiosa. Si concesse un piccolo sorriso -parla di una ragazza che tutto era tranne che passiva.
-la leggi da un libro?- chiese Mia -posso leggere io?
-no, non è raccontata in nessun libro, ma questa ragazza è molto speciale, sai? Non ha poteri speciali, non parla con gli animali né crea veleni, è una semplice ragazza come te- Antonio le fece un leggero solletico sullo stomaco, facendola ridere -o come quella che sarai. Aveva tanti fratelli e voleva giocare con loro a calcio o con i soldatini, ma suo padre le ripeteva: no, non puoi giocare a quello a cui giocano loro.
-perché?- chiese Mia, con la fronte aggrottata.
-è esattamente quello che chiedeva lei. E il padre le rispondeva: perché sei una femmina.
-ma è stupido.
-ed è quello che pensava lei- confermò -a lei piacevano i vestiti da maschio e i giochi da maschio, ma suo padre non voleva. Mano a mano che cresceva, poi, la situazione peggiorava, perché suo padre voleva a tutti i costi che sposasse qualcuno e ci facesse dei figli, anche se a lei non interessava.
-quindi non devo volere dei figli?
-no, tesoro. Sei liberissima di volerli o non volerli. Però suo padre voleva costringerla ad averne, capisci? È come se io ti costringessi a giocare a calcio. Magari ti piace anche, ma se ti costringo non è una cosa bella, non credi?
Mia sembrò pensarci qualche secondo, poi annuì -sì, penso di sì.
-comunque questa ragazza era stanca di dare retta al padre, non ce la faceva più.
Mia aveva gli occhi luminosi -e cosa ha fatto?- chiese, curiosissima.
Lovino trattenne un sorriso -è scappata.
-scappata?
-scappata, con un suo amico. Quando è diventato troppo ha preso e se n'è andata. E, per strada, ha incontrato un ragazzetto pelle e ossa con cui ha fatto amicizia, e che l'ha portata in un bel posto dove l'hanno accolta e accettata per quella che era.
-oooh. E anch'io andrò in un posto dove mi accetteranno per quel che sono?
-ci sei già, niña- le rispose Antonio, con un braccio intorno alla sua vita. Le fece una pernacchia sul collo, facendola ridere, e prese a farle il solletico.
Lovino roteò gli occhi, divertito -stavo dicendo- li richiamò, e i due tacquero per ascoltare la sua storia -che fece amicizia con questo ragazzetto. I due crebbero, la ragazza divenne una donna e il regazzino un uomo, e in questo lasso di tempo si erano innamorati l'uno dell'altro.
Mia sbadigliò, appoggiandosi meglio al cuscino. Con un sorriso dolce, Antonio le rimboccò le coperte mentre Lovino continuava la sua storia.
-dovettero affrontare tante, tante difficoltà, ma alla fine si confessarono il reciproco amore.
-re... ciproco?- chiese Mia, con gli occhi semichiusi.
-te lo spiego domani, mh?- le stampò un bacio sulla fronte -ora dormi.
-e come finisce?
Abbozzò un sorriso -domani glielo chiedi, va bene? Te li presento?
-uhm...- chiuse definitivamente gli occhi, mugugnando un -va bene...- e si girò sul fianco, abbracciando Cesare.
Per un po' rimasero in silenzio, attenti a non svegliarla. Fu Antonio a parlare, prendendo la mano all'altro ragazzo.
-è carinissima- mormorò, osservando la sua reazione. Lovino annuì, accarezzandole i capelli. Espirò profondamente -vado un attimo in bagno- non aspettò la sua risposta; si alzò e si fiondò in bagno, chiudendosi la porta alle spalle.
Scivolò, lentamente, contro la porta, e con le mani fece in modo di vedere nient'altro che buio.
Sospirò. Troppe cose belle tutte insieme, non era abituato. Allontanò una mano dal viso per osservare l'anellino al suo dito, arrossendo.
Ci sposeremo. Sul serio.
Nascose il viso contro le ginocchia, con le guance bollenti.
Tutta la vita...

Non ti ama veramente
Lo stai ingannando
Scappa
Sai fare solo questo, no?
Distruggerai anche la sua vi

Basta. Andatevene a fanculo.
Sbatté le palpebre e si portò il pugno chiuso al viso, posando un bacio sull'anello.
Mi ama. Mi ama. Mi ama.
Sorrise asciugandosi la guancia.
Mi ama e io amo lui. Ed è giusto così.
Lasciò andare la testa contro la porta e sospirò.
Lo amo così tanto...
Cazzo, sono troppo sdolcinato. Colpa sua. Però merda se lo amo...
Scosse la testa dandosi dell'idiota e si morse il labbro per non sorridere.
Che cazzo sto facendo qui? E quella era la domanda giusta. Si rialzò in piedi, si diede una sciacquata al viso per far passare il rossore, sembro una tredicenne al primo appuntamento, e finalmente si decise ad uscire.
Sentì il cuore sciogliersi.
E che cazzo, mi ero appena ripreso!
Anche Antonio si era addormentato, girato verso la bambina, stringendola con un braccio, mentre Mia si era girata verso di lui, lasciandosi abbracciare. Erano così adorabili che Lovino sentì qualcosa di non ben definito liquefargli il cuore per sempre, scatenando in lui un calore così enorme che non riuscì proprio a trattenere un sospiro intenerito.
Spense la luce, raggiunse il letto, scostò una ciocca di capelli dal viso di Mia e si sdraiò alle sue spalle, abbracciandola a sua volta.
Chiuse gli occhi, cedendo al sonno.
...
E se attivo il mio potere per sbaglio e le faccio male?
Riaprì gli occhi e guardò la bimba, che dormiva tranquilla.
Va tutto bene. Non ho mai attivato il potere mentre dormivo.
...
Ma questo non significa che non possa succedere.
Porca di quella puttana.
Si girò dall'altra parte e infilò le mani sotto il cuscino.
Se non la tocco non succederà nulla.
...
Ma posso proeittarlo. Oppure girarmi nel sonno. O può girarsi lei e toccarmi. Oppure...
Sbuffò e si girò a pancia in su, tenendo gli occhi ben aperti.
Stanotte non dormo, perfetto.
Girò la testa verso di loro, osservandoli nel buio. Adorabili.
Allungò una mano per accarezzare la guancia di Antonio, riflettendo. Quello però si svegliò, confuso, sbadigliando. Ma che cazzo, non lo svegliano neanche le bombe di solito.
-Lovi?- sbatté le palpebre per cercare di vederlo al buio -che ore sono?
-tardi- rispose, secco, ritirando la mano. Benedì mentalmente l'oscurità -torna a dormire.
-uhm? E perché tu non stai dormendo?- abbassò lo sguardo su Mia e sorrise -oh...- le accarezzò i capelli, piano, e istintivamente abbassò il tono della voce. Poi riportò lo sguardo su Lovino -hai fatto un incubo?
-no.
-insonnia?
-diciamo- trattenne uno sbadiglio. Parlare di sonno gliene aveva fatto venire ancora di più.
-uhm. E allora perché non dormi, querido?
Scrollò le spalle -non importa. Vai a...
-Lovino- lo richiamò, prendendogli la mano -tra marito e marito ci deve essere sincerità, no?
-non ti ho ancora sposato.
-be', esercitiamoci già prima. Quindi? Che succede?
-solo...- sbuffò -ho paura di farle del male.
Antonio aggrottò la fronte -farle del... ooh. Per il tuo potere?
Annuì, anche se lui non poteva vederlo -con te sono tranquillo, non ti farei del male. Ma Mia non è immune e non mi va di scoprire se lo è. Non voglio...- ucciderla -ferirla.
Antonio sospirò -bene, direi che è proprio il caso che ne parliamo.
-del fatto che non riesco a dormire? Non è che ci sia...
-di Mia- lo interruppe, con una mano sulla schiena della piccola -non tiriamola per le lunghe: la adottiamo?
Adottarla. Lovino si sentiva uno stupido, ma non ci aveva pensato. Distolse lo sguardo -non sarei un bravo padre.
-ma non hai detto di non volerci provare- notò Antonio -e poi non è vero. Ti adora.
-questo non significa che io sappia come crescerla.
Antonio sospirò -neanche io mi sento pronto a diventare genitore- cominciò -ma non me la sento neanche di lasciarla a qualcun altro, o peggio ancora in orfanotrofio.
Lovino rabbrividì. No, decisamente no.
-e allora che facciamo?- mormorò, sottovoce. Antonio gli strinse la mano.
-io... vorrei adottarla- rispose quello -perché, davvero, non riesco a immaginare qualcosa di più bello che crescere una bimba con te- Lovino si concesse un sorriso -ma è una cosa importante, e dobbiamo essere d'accordo entrambi.
-ne parliamo con lei- propose Lovino -domani mattina. Non è detto che voglia... sai... non avere una madre, e non so neanche se le adozioni omosessuali saranno legali.
Antonio annuì -giusto. Allora ne riparliamo domani.
Lovino sbuffò una risata -matrimonio e figli nella stessa serata. Domani mi parlerai della pensione?
Antonio rise sottovoce -amo sorprenderti. Intanto però devi dormire- gli prese le mani e se le portò sulla schiena, oltre Mia -ecco. Così non tocchi lei direttamente, no?
-ma...
-fidati di me- sussurrò, e Lovino si ritrovò ad annuire -non succederà nulla. Chiudi gli occhi...

Feliciano si stava dando dell'idiota in sette modi diversi. Ludwig, al suo fianco, sospirò.
-si può sapere come hai fatto a perderti una bambina?
-era a letto! Dormiva!- si giustificò -e quando mi sono svegliato non c'era più.
-hai chiuso la porta a chiave?
-perché avrei dovuto? Non pensavo scappasse qualcuno!
Ludwig sbuffò, mezzo addormentato -quindi dove stiamo andando di preciso?
-da Lovino- rispose l'italiano, incamminandosi -lo adora. Probabilmente è da lui.
-altrimenti?
-pensiamo positivo- raggiunta la camera di suo fratello non bussò neanche e la spalancò, inondando tutta la stanza di luce. Sgranò gli occhi -oh...
-che c'è?- alle sue spalle, Ludwig sbirciò nella stanza -è lì?
Feliciano richiuse la porta, con un sorriso -non preoccuparti. Torniamo a dormire.
-quindi era lì?- lo seguì, imprecando -mi hai buttato giù dal letto per niente.
Feliciano lo ignorò, con un sorriso -sai- gli disse dopo un po' -ho come la sensazione che diventeremo zii a breve.

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Capitolo 44
*** Capitolo quarantatré ***


Buonsalve persone! Come va?
Visto che oggi è l'anniversario dell'unità d'Italia (160 anni wow) e di conseguenza il compleanno di quei due stronzetti che amiamo tanto, ecco a voi un bel capitolo pucciosino.
Buona lettura!


-Lovino? Lovino?- il ragazzo in questione si girò dall'altra parte, mugugnando. La voce insistette -Lovino!- gli urlò nell'orecchio, facendolo cadere dal letto per lo spavento.
-ma che cazzo...- si stropicciò gli occhi e guardò verso il letto. Mia gli sorrise.
-ciao!- fece muovere la zampetta al gatto che aveva in braccio in segno di saluto. Cesare aveva un'espressione a dir poco stoica.
-porca di quella troia, Mia, non si sveglia la gente così- strillò, alzandosi in piedi con le guance rosse. Mia abbassò lo sguardo, dispiaciuta.
-scusa...
Tutta la rabbia svanì. Sbuffò, sedendosi accanto a lei e spettinandole i capelli. Aveva il cuore troppo tenero -non sono arrabbiato. Basta che non lo fai più.
Mia annuì, appoggiandosi a lui alla ricerca di un abbraccio che Lovino non esitò a darle, circondandole le spalle con un braccio -quindi come devo svegliarti?
Puntò lo sguardo su Antonio, che per qualche assurdo motivo ancora dormiva. Neanche le bombe lo svegliavano, a quello. Abbozzò un sorriso -ti faccio vedere. Svegliamo Antonio?
Mia annuì, curiosa -va bene.
Si girò verso di lui e lo scosse -bastardo?
Niente. Lo scosse ancora, ricevendo in risposta un mugolio. Sbuffò, infastidito, poi si girò verso la bambina.
-tu continua così finché non si sveglia. Questo è quello che non devi fare- e, con un poderoso calcio, spinse il bastardo a terra, svegliandolo di botto.
-mi armada!- urlò il bastardo. Si guardò intorno, confuso -che cosa...
-buongiorno- lo salutò Lovino, seduto a gambe incrociate sul letto -ti sei deciso a svegliarti.
Antonio si stropicciò gli occhi -sei sempre delicato, mi amor.
-non ti svegliano neanche le cannonate- replicò, facendo ridere Mia.
-dovremo trovare un modo migliore, o non arriverò vivo al matrimonio- scherzò, rialzandosi in piedi e chinandosi a dargli un bacio. Mia aggrottò la fronte.
-non siete già sposati?- chiese, confusa.
Lovino si impose di non arrossire -perché lo pensi?
-litigate come mamma e papà- rispose -però mi sembrate più innamorati.
-aw, che carina- lo spagnolo la baciò sulla fronte e si sedette affianco a Lovino, prendendogli la mano -non siamo ancora sposati- sollevò la mano con l'anello, indicandogliela -però gliel'ho chiesto, e ha detto di sì. Quindi ci sposeremo, spero presto.
Mia sembrò entusiasta -posso venire? Non ho mai visto un matrimonio!
-certo, niña. Puoi portarci gli anelli se vuoi.
Mia annuì, contenta -sì!
Lovino si morse il labbro, ricordandosi della notte prima -ci... ci sarebbe una cosa che vorremmo chiederti.
Mia li guardò -è una cosa brutta?
-no, no- Lovino esitò -cioé, non per forza. Conosci la storia di Ercole?
Antonio lo guardò, confuso -che c'entra?
-lasciami fare.
-no, non la conosco- rispose Mia.
-Ercole era un grande eroe. Fece tante cose, ma quelle te le posso raccontare un'altra volta, ora voglio parlarti di come è nato. Sua madre, Alcmena, che era sposata con un uomo, Anfitrione. Anfritrione dovette partire per la guerra, e nel frattempo Alcmena rimase sola a casa. Tuttavia Giove si innamorò di lei, perché era molto bella.
-chi è Giove?
-un dio. Il dio dei fulmini e il padre degli dei.
-esistono tanti dei?
-un tempo la pensavano così- doveva decisamente farle una cultura sulla mitologia greco romana. Decisamente -comunque, essendo un dio Giove poteva fare tante cose, e modificò il suo corpo per assomigliare ad Anfitrione e stare con Alcmena, che ovviamente era all'oscuro di tutto.
Mia sgranò gli occhi -ma quindi Giove è cattivo!
Lovino esitò -diciamo di sì. Non è bravo, quello è certo. Comunque, concepirono un figlio, Ercole appunto. Poi il vero Anfitrione tornò, e Giove se ne andò. Ovviamente capirono l'inganno, ma ormai Alcmena era incinta.
-e cosa fecero?
-tennero il bambino- rispose Antonio, che sembrava aver capito dove stesse andando a parare -anche se non era suo figlio naturale, lo crebbe comunque come se fosse suo.
-oh. Che bravo!
In realtà non era proprio così, ma Lovino decise di omettere certe parti della storia. Le strinse la mano -noi.. ecco... ci piacerebbe crescerti. Come Anfitrione con Ercole.
Mia si illuminò -volete essere la mia mamma e il mio papà?
-be'... due papà più che altro- replicò Antonio, sorridendo -se a te va bene.
-sì!- saltò in piedi sul letto e li abbracciò entrambi, quasi saltellando -sì sì sì! Certo!
Lovino la strinse, e sospirò -però non sarà tutto bello- la avvisò -non avresti una mamma.
-ma avrò due papà!- rispose lei, sorridendo -i due papà migliori del mondo!
Antonio rise -ora non esagerare. Ci proveremo, ecco.
-e ci saranno persone che ti daranno contro- la avvisò Lovino -a molti non piace l'idea che due maschi si amino.
-e perché?
Lovino alzò le spalle -perché sono stupidi.
-ooh. E perché dovrebbe importarmi degli stupidi?
-potrebbero farti del male.
-che ci provino- rispose, posandosi le mani sui fianchi con aria fiera -sono una forte io! Vi proteggerò dagli stupidi cattivi.
Lovino rise, abbracciandola forte -in teoria saremmo noi a doverti proteggere.
-allora faremo a turno- stabilì, lasciandosi stringere. Dopo qualche minuto sembrò stancarsi di quelle smancerie e si allontanò.
-quindi se sarete i miei papà vivrò con voi?
Lovino annuì -forse tra un po'. Dobbiamo trovare una casa prima, ma sì.
-e mi insegnerete le cose?
-certo. Però andrai anche a scuola.
-e mi racconterete le favole prima di andare a dormire? E mi canterete le ninna nanne?
Antonio rise -sì, pequeña. Tutte le sere.
-e dormirò con voi? Come stanotte?
I due neo padri si guardarono.
-be'... tutte le notti no- stabilì Lovino -sei grande, e i grandi non dormono con i genitori.
Mia ci pensò su -sì...- ammise -ma se ho un incubo?
-se hai un incubo molto, molto brutto puoi venire- concesse l'italiano. Antonio trattenne una risata. Aveva come la sensazione che non sarebbe stato lui quello a viziare di più Mia.
-e... e mi insegnerete la lingua strana che parlate?
Antonio aggrottò la fronte -lingua strana?
-sì! Quella tipo... nina, tasoro...
-niña- la corresse Antonio.
-e tesoro- aggiunse Lovino.
Mia annuì -quella.
-sono due lingue diverse- le spiegò Antonio -io parlo anche lo spagnolo, mentre Lovi l'italiano.
-e me le insegnerete?
-se vuoi sì, certo- la sua principessa avrebbe insultato benissimo da grande, stabilì Lovino. Sono le cose che bisogna imparare fin dall'infanzia -però sono lingue difficili. Almeno, l'italiano lo è.
-non importa. Sono brava, le imparerò entrambe!- stabilì Mia.
-però...- intervenne Antonio -non sappiamo se sarà legale adottarti.
Mia aggrottò la fronte -perché non dovrebbe?
-a tanti non piace che due maschi possano crescere una bambina.
Lovino le prese la mano -però comunque ti staremo vicini. Tu sarai nostra figlia- le promise -che risulti su degli stupidi documenti o meno.
Mia gli sorrise e annuì -sì- poi si fece pensierosa.
-a cosa stai pensando, niña?- le chiese gentilmente Antonio, sistemandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
-se vi chiamo papà- rispose, lentamente -non rischio di confondermi con il mio papà naturale? Voi non siete lui.
-puoi non chiamarci papà, se vuoi- replicò Lovino, piano. Ad Antonio venne un'idea.
-come si dice papà in italiano?
-papà.
-in spagnolo è papa. Puoi chiamarci così, se ti piace.
-papà e papa- mormorò Mia, pensandoci su. Poi annuì e tornò a sorridere -sì, mi piace! Papà Lovino e papa Antonio.
Lovino sentì un po' troppe cose nel sentirsi chiamare papà. Sbatté velocemente le palpebre e si impose di non piangere -allora è deciso.
Mia annuì di nuovo -ora mi insegnate l'italiano e lo spagnolo?
Antonio rise -non sono cose che si imparano in fretta, niña. Però possiamo cominciare.
Mia annuì -sì.
Antonio guardò il suo fidanzato -come si insegna una lingua?
Lovino alzò le spalle -boh. Quando il nonno mi ha insegnato il latino ha cominciato con il verbo essere.
-sì, essere!- Mia annuì, sedendosi a gambe incrociate per guardarli meglio. Cesare miagolò e si acciambellò in un angolo del letto, tornando a dormire -mi piace.
-va bene. Uhm... forse dovremmo partire con i soggetti.
Lovino alzò le spalle -io, tu, egli o ella, noi, voi...
Mia lo guardava, confusa -eh? I so... eh?
Antonio rise, stampando un bacio sulla testa del suo querido -con calma. I soggetti in spagnolo sono: yo per io, tú per tu.
Mia si indicò -yo- indicò Antonio -tú.
-esatto. Poi per egli c'è él, per le femmine ella e se ti riferisci a una persona molto molto importante usted.
Mia indicò Lovino -él, ella se fosse una mamma, e, uhm...- indicò Cesare -usted.
Lovino si coprì la bocca con le mani per non scoppiare a ridere. Antonio annuì -diciamo di sì. Poi per noi c'è nosotros, per voi vosotros e per loro ellos se sono maschi, ellas se sono femmine e ustedes se sono tante persone importanti.
Mia fece ruotare un dito in aria per indicare sia se stessa che Antonio -nosotros- indicò Antonio e Lovino -vosotros- indicò Lovino e Cesare -ellos.
-bravissima.
Mia sorrise e si girò verso Lovino -e in itaiano?
-italiano. Io- si indicò.
-io- ripeté Mia, indicandosi.
-tu- indicò lei.
-tu- indicò lui.
-egli- indicò Antonio -ella se fosse femmina.
-ma è uguale allo spagnolo!
Lovino alzò le spalle -sono lingue simili.
-e usted?
-non c'è. Se parli con una persona importanti usi il lei. Tipo- si girò verso Cesare -lei sta bene?
-ma è maschio.
Lovino alzò le spalle -funziona così. Puoi anche usare il voi, se è una persona davvero tanto ma tanto importanti. "Voi state bene?"
-voi state bene?- ripeté Mia, con una pronuncia più o meno azzeccata -e significa?
-stai bene? Però riferito a qualcuno di importantissimo.
-uhm...- annuì -va bene. Poi?
-noi- indicò sé stesso e la bambina.
-noi- ripeté lei, facendo lo stesso.
-voi- indicò la bimba e Antonio.
-voi- indicò i due papà.
-essi- indicò Antonio e Cesare.
-essi- fece la stessa cosa. Antonio non sembrò molto contento di essere unito al gatto.
-adesso mi insegnate essere?

Mia era seduta sul suo letto nella stanza del bambini, con Cesare, e si stava annoiando. I suoi papà l'avevano riportata lì, dicendo che primo, doveva cambiarsi, secondo, dovevano parlare con Feliciano, e terzo, non aveva fatto bene a scappare in quel modo e poteva perdersi e blablabla.
Sbuffò, rigirandosi una macchinina tra le mani. Che noia.
Poi sentì un urlo che la fece sobbalzare. Lei e tutti i bambini si girarono verso la fonte dell'urlo, ovvero Feliciano, che era saltato al collo di suo fratello per abbracciarlo.
-posso aiutarvi a organizzare tutto, vero? Vero?! E l'addio al celibato! Posso organizzartelo io, Lovi? Oh, il nonno impazzirà quando lo verrà a sapere! Ti porta lui all'altare? Chi hai scelto come testimone? Cosa...
-Feli- intervenne Antonio, con un sorriso divertito -apprezziamo l'entusiasmo, davvero, ma così soffochi mio marito prima ancora che lo sia a tutti gli effetti.
-ops...- lasciò andare il fratello, che si allontanò di scatto.
-da quando in qua sei così forte?- chiese, in italiano, e Mia fu orgogliosa di capire il "sei". Tu sei, completò mentalmente, egli è, noi... noi... aggrottò la fronte. Non se lo ricordava, uffa. Qualcosa con la s.
Feliciano sembrò imbarazzato -scusa. Sono solo felice per voi! Dobbiamo andare a dirlo al nonno, voglio vedere la sua faccia.
Sentendo quelle parole, Mia si alzò e li raggiunse prima che la lasciassero lì. Non sarebbe rimasta con quelli lì, e poi voleva conoscere questo "nonno" di cui parlavano. Era suo parente ora?
Tirò la manica di Antonio per avere la sua attenzione, mentre i due fratelli italiani parlottavano tra loro.
-non mi lasciate qui, vero?
Antonio scosse la testa, prendendola in braccio -certo che no, niña.
Si appoggiò alla sua spalla, avvolgendo le braccia intorno al suo collo -non sono piccola, papa- si lamentò, attirando l'attenzione di Feliciano.
-papà?- ripeté, guardando suo fratello -la adottate?
-perché non sembri stupito?- brontolò Lovino -sì, la adottiamo. Problemi?
-perché dovrei averne? Non vedevo l'ora di essere zio.
Mia guardò il suo papa -sono imparentata con lui ora?
Antonio annuì -sì, è il tuo tío.
-zio in italiano- aggiunse Lovino.
Feliciano annuì -sì! Sono zio Feliciano, o Feli se vuoi.
-zio Feli- ripeté -va bene. Suona bene.
Antonio sorrise -ho come la sensazione che avrai tantissimi zii. C'è anche mio fratello, tío Joāo.
Mia annuì -e quando lo vedrò?
-bella domanda. Non lo vedo da un po' neanche io in effetti.
-è con il nonno- intervenne Feliciano -quindi lo vediamo tra poco, perché se neanche una nuova nipote riesce a farlo uscire da quell'ufficio ce lo trascino a forza, porcod- Lovino lo incenerì con lo sguardo, interrompendo a metà la sua bestemmia. Abbozzò un sorriso innocente -e c'è anche zio Ludwig, comunque.
-oh no. No no no. Mia figlia non sarà imparentata con un crucco.
-invece lo è.
-no.
-sì.
-comunque- intervenne Antonio -ci sono anche zio Gilbert e zio Francis.
-col caz...- si interruppe a un'occhiataccia del suo fidanzato. Tossì -anche no. Quei due mentecatti me la travieranno.
-ment... ecati?
-mentecatti. Stupidi, idioti.
-è un modo elegante per dire stupido?
-uhm... più o meno.
-mentecati.
-mentecatti- la corresse Lovino.
-men-te-cat-ti- sillabò -mi piace come parola. È italiano?
-sì. È italiano- le disse, lentamente, in italiano.
-è italiano- ripeté Mia. Feliciano abbozzò un sorriso.
-le stai insegnando l'italiano?
-anche lo spagnolo!- intervenne Mia -yo soy Mia- disse. Antonio la baciò sulla guancia.
-muy bien, mi niña.
Mia sembrò soddisfatta -quindi? Andiamo?
-devo aspettare che mi sostituiscano con i bambini- rispose Feliciano, controllando l'orologio -dovrebbe venire qualcuno tra... eccola!- salutò una ragazzo con la mano -ciao! Scusami ma devo scappare.
Mia si sistemò meglio in braccio a suo padre, socchiudendo gli occhi. Sentì Lovino sbuffare.
-è troppo magra- si lamentò -deve mangiare di più.
Antonio rise, sentì chiaramente la sua gola vibrare contro la sua guancia -non tutti hanno il tuo metabolismo, mi amor. Occhio a non farla ingrassare.
-tsk, ma per chi mi hai preso? Lo so benissimo.
Feliciano ridacchiò -litigate già come una vecchia coppia sposata.
Mia trattenne una risata. Allora non era l'unica a pensarlo.
-vecchio ci sarai tu, picciriddu.
Pi... eh?
-che significa?- mormorò, con aria stanca. Quella mattina in realtà si era svegliata fin troppo presto, ben prima di quando avesse svegliato Lovino, e ora ne stava risentendo -pic... eh?
-picciriddu- sentì una carezza tra i capelli e la voce del suo papà più vicina -piccolino. Tu sei la mia picciridda.
-picciridda- ripeté, ma la sua voce si perse in un sussurro. Era crollata.
-dorme- sussurrò Lovino, guardando il suo fidanzato -pesa?
-per niente, tranquillo- rallentò leggermente il passo -mi dai un bacio?
Lovino roteò gli occhi e si fermò nel bel mezzo del corridoio, imitato dall'altro. Gli posò una mano sulla guancia, sorridendo leggermente quando lui girò per baciargli il palmo della mano, e si sporse per baciarlo, lentamente, con calma. E lì, con la loro bimba tra loro e il suo anello improvvisato al dito, Lovino pensò di aver sviluppato qualche altro potere, perché era tutto così calmo che dovevano essere stati rinchiusi in una qualche bolla solo per loro. Dopo qualche secondo osò allontanarsi, posando la fronte contro la sua. Antonio gli sorrise, baciandolo di nuovo, naturalmente, ed era tutto così calmo. Niente casini, niente rotture di palle... solo loro due e la loro bambina che dormiva. E Cesare, che li osservava in silenzio.
Antonio lo strinse a sé con il braccio libero, con due occhi troppo innamorati per una persona sola. Aprì la bocca per dire qualcosa, l'italiano si chiese ironicamente quale cazzata melensa distruggi-ginocchia-scatena-farfalle avrebbe tirato fuori.
-ti amo- e come sempre era la più sdolcinata e la più semplice. Un altro bacio -un giorno devi spiegarmi come fai a rendere tutto più bello.
-non rendo bello un bel niente- replicò a bassa voce, nascondendo il viso contro la spalla libera. E lì, con i suoi due amori, vecchio e nuovo, romantico e puro, tra le braccia, Antonio si sentì così completo e puro da poter piangere.
Però anche quel momento dovette finire. Lovino si scostò da lui, con le guance rosse, e gli prese la mano libera -andiamo dal nonno, dai.
Feliciano, che aveva osservato la scena con un leggero sorriso, disse qualcosa in italiano che gli valse uno scappellotto dal fratello, che sotto svotto sorrideva. Antonio si dovette trattenere dal baciarlo di nuovo e per sempre, senza staccarsi più.

-nonno! Vieni fuori, è una cosa importante.
Si sentì un tonfo, un paio di voci e poi un Romolo con delle occhiaie lunghe fino a terra aprì loro la porta.
-Feli, ti ho già detto che...- si accorse degli altri -oh. Ciao. Chi è quella bambina?
Lovino e Antonio si guardarono. Fu Lovino a rispondere.
-mia figlia.
Romolo sgranò gli occhi. Si girò verso l'interno della sala -scusate un attimo- chiuse la porta e tornò a rivolgersi a loro -hai messo incinta una ragazza? Pensavo fossi gay. Chi è, Belle? Credo abbia un debole per te. Guarda che non mi arrabbio.
Lovino sgranò gli occhi -cos... no! La voglio adottare- indicò Mia -e ha quattro anni. Quando cazzo avrei dovuto concepirla, eh?
-ha quattro anni? È grandina- si stropicciò gli occhi -quindi vorreste adottarla.
Antonio annuì -sì. È legale?
-la verità? Ci sono tanti di quegli orfani in giro che se ve ne prendete uno gli fate solo che piacere. Chiuderanno un occhio.
-e... veramente ci sarebbe altro.
Romolo guardò Antonio -è figlia tua?
-no! Cioé sì, la considerò mia figlia, ma non l'ho fatta io.
Lovino roteò gli occhi -nonno, mi sposo. Cioé, non una cosa ufficiale perché non è legale ma una... festa simbolica, ecco.
-davvero?- inarcò un sopracciglio verso Antonio -con lui? E si è proposto senza dirmi niente?
-e grazie al cazzo, non esci da lì da giorni! Quando avrebbe dovuto chiedertelo, eh?
Romolo sbuffò, brontolando qualcosa in latino. Guardò il nipote.
-sei assolutamente sicuro? Al cento per cento?
Lovino annuì -sì.
Romolo sospirò, pensando per qualche secondo. Poi parlò -non è illegale.
Lovino sgranò gli occhi -co... cosa?!
-non è illegale- ripeté, lentamente -ho insistito due giorni su quel punto, e alla fine mi hanno dato ragione. Il matrimonio omosessuale è legale. Li ho costretti a scriverlo nella costituzione, così sarà più difficile cambiarlo- sembrò ripensarci -cioé, non proprio quello. Ho fatto scrivere che non si può discriminare qualcuno per nessun motivo, neanche l'orientamento sessuale, il che comprende il matrimonio. Quindi sì. Potete sposarvi legalmente.
Lovino sentì qualcosa scorrergli lungo la guancia. Fece per portarsi una mano al viso per toglierla, ma si sentì tirare in un abbraccio così forte da mozzargli, piacevolmente, il respiro.
La voce di Antonio direttamente contro l'orecchio gli fece tremare le gambe -ti amo- un bacio si posò sulla guancia, togliendo quella cosa, oh era una lacrima. Lovino si girò per baciarlo, con una mano sul suo collo per tirarselo più vicino.
Per tutto quel movimento improvviso, Mia si svegliò, sbadigliando. Si stropicciò gli occhi con i pugni chiusi e si girò, incrociando lo sguardo del suo papa.
-buenos dias, niña. Dormito bene?
Annuì, appoggiandosi alla sua spalla. Dietro lo spagnolo vide zio Feliciano e un uomo che non aveva mai visto prima. Lo indicò -papa, chi è?
-non si indica, Mia- la rimproverò Lovino, abbracciando sia lei che il papa -è mio nonno, Romolo.
-uhm- seppellì il viso contro la maglietta di Antonio, ancora mezza addormentata -quindi è il mio... doppiononno?
-quasi. Si dice bisnonno.
-bisnonno- ripeté. Fece un cenno di saluto -ciao bisnonno. Sono Mia- disse in italiano.
Si sentì afferrare la mano da un'altra più grande e callosa, ma calda e rassicurante in qualche modo. La mano strinse la sua in gesto di saluto.
-ciao, Mia. È un piacere conoscerti.
Mia guardò Lovino -che ha detto?
-è un piacere conoscerti- ripeté. Poi glielo tradusse.
-oh! Come si dice "anche per me"?
Glielo disse, lentamente per farglielo capire. Mia si girò verso il bisnonno -anche per me, bisnonno.
-chiamami nonno- le sorrise. Feliciano gli posò una mano sulla spalla.
-nonno, quando finisci qui? Ci manchi.
Romolo sospirò -in teoria tra poco. Abbiamo quasi finito.
-ma chi c'è lì?
-vari esponenti politici. Cerchiamo di fare una costituzione che vada bene a tutti, ecco.
Feliciano lo abbracciò -quando finirà questa storia te ne stai buono per un po'.
-come faccio?- abbozzò un sorriso, stringendolo. Fece l'occhiolino a Lovino -abbiamo un matrimonio da organizzare.
Quello sbuffò -ci pensiamo noi due. Il matrimonio è il nostro.
-pff. Questo lo dici tu.
Mia tirò una ciocca di capelli allo spagnolo -papa?
-dime.
-io posso aiutarvi con il matrimonio?
-claro que si! Tu eres nuestra niña.
Annuì, soddisfatta -muy bien- rispose, fiera del suo spagnolo -ora mi metti giù, papa?
-por supuesto- rispose, posandola a terra. Non appena ebbe i piedi a terra corse dal nonno, abbracciandolo all'altezza dei fianchi.
-puoi stare con papà e zio Feli?- chiese, facendogli gli occhioni -sono tristi senza di te e non voglio che siano tristi. E poi non ho mai avuto un bisnonno prima, voglio conoscerti e giocare con te, e puoi insegnarmi il tino.
-latino- la corresse Lovino, con un piccolo sorriso.
-latino. Il latino- guardò il padre -è giusto l'articolo?
-giustissimo, tesoro.
Mia sorrise e tornò a guardare il nonno -quindi? Puoi?
Romolo esitò -devo finire delle faccende- la prese in braccio, stampandole un bacio sulla fronte -però poi starò con voi quanto vorrai.
-promesso?
-promesso.
-va bene. Ora mi metti giù? Per favore?
Romolo rise, obbedendo -certo piccola.
-non sono piccola- si imbronciò.
-Giove onnipotente, è proprio vero che la genetica non conta niente- rise -tutta suo padre.
Joāo sbucò dalla porta -Romolo, ti vogliono.
Mia lo guardò, guardò Antonio, di nuovo lui e di nuovo Antonio.
-tio Joāo?- chiese, sottovoce. Il padre annuì.
-tio Joāo- confermò. Il diretto interessato aggrottò la fronte.
-zio?- abbassò lo sguardo su Mia, poi lo riportò al fratello -hai una figlia? Pensavo fossi gay.
-bisessuale, e l'abbiamo adottata. Cioé, non ancora. La stiamo adottando. Quindi congratulazioni, sei zio!
-oh. Bello.
Mia lo salutò con la mano -hola, tio Joāo!
-olà. Come ti chiami?
-Mia- rispose, stringendogli la mano -è un piacere conoscerti- disse in italiano, guardando suo padre alla ricerca di una conferma. Lovino annuì, spettinandole i capelli.
-giusto, brava.
-adesso arrivo- intervenne Romolo -saluto loro.
Antonio disse qualcosa in spagnolo che Mia non capì e raggiunse suo fratello per abbracciarlo. Mia prese la mano all'altro padre per attirare la sua attenzione.
-papà?
-dimmi piccola.
-avrò anch'io un fratello?
Per poco non si strozzò.
-un giorno. Forse- le rispose.
-e come faccio ad averne uno?
Lovino si irrigidì -non... uhm...- perché non le chiedeva ad Antonio queste cose?!
-niña vieni, dai un beso allo zio- intervenne Antonio. Bravo bastardo, ti sei reso utile.
La bambina trotterellò verso il padre e lo zio e si lasciò prendere in braccio per stampare un bacio sulla guancia dello zio.
Qualcuno chiamò i due dall'interno. Romolo sospirò.
-dobbiamo andare.
-ci vediamo a cena- impose Feliciano.
-non so se...
-ci vediamo a cena- concordò Lovino.
-non vi...
Mia gli afferrò il braccio -per favore, nonno...
Romolo sospirò.
-va bene, va bene.
Lovino stampò un bacio sulla fronte di sua figlia -brava, piccola.
Romolo roteò gli occhi, divertito.
Joāo riaprì la porta -noi andiamo.
-ciao bisnonno, ciao zio!- li salutò Mia, agitando la mano. Romolo ricambiò il saluto, sorridendole.
-ciao, bisnipote!

 

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Capitolo 45
*** Capitolo quarantaquattro ***


-come funziona il matrimonio?- chiese Mia, sulle spalle di Antonio.
-uhm, c'è tipo un signore, un sindaco o un prete o boh, e i due sposi vanno da lui che fa un discorso e dice tipo "vuoi tu, Tizio Caio, prendere come tuo sposo Quinto Sempronio e giurargli fedeltà e blablabla", Tizio Caio dice "lo voglio" e mette la fede a Quinto Sempronio. Poi il tale chiede a Quinto Sempronio la stessa cosa, Quinto Sempronio fa la stessa cosa, firmano dei fogli, si baciano e bam, sposati.
-oh. Quindi tale vi chiederà "vuoi tu, papà Lovino, prendere papa Antonio..."
Antonio rise -no, niña, userà i nostri nomi completi. Nome e cognome.
-aah. E quali sono i vostri?
-Antonio Fernandez Carriedo- rispose lui, stringendo la mano al suo futuro marito. Che belle quelle tre parole.
-che nome lungo- commentò Mia.
-ho il doppio cognome.
-e il tuo, papà?
-Lovino Romano Vargas- rispose, trattenendosi a stento dal roteare gli occhi. Il secondo nome l'aveva scelto suo nonno, e si poteva notare facilmente. Quell'uomo era decisamente troppo fissato con l'Antica Roma.
-un altro nome lungo. Hai anche tu il doppio cognome?
-no. Romano è il mio secondo nome, Vargas il cognome.
-oh- Mia si illuminò -anche io ho un secondo nome! Però non mi piace molto.
-quale, niña?
-Margherita.
Lovino sbatté le palpebre -Margherita? Quindi sei Mia Margherita?
La bimba annuì -sì! Che cognome ho?
-se ti adottiamo non so... puoi tenere quello vecchio o prendere i nostri, uno solo o entrambi, come vuoi pequeña- rispose Antonio. Si girò verso l'italiano -vero, querido?
La testa di Lovino stava lavorando. Si fermò nel bel mezzo del corridoio, mentre ripercorreva la conversazione con sua madre. C'era una frase che non gli era stata chiara all'inizio, però...
Goditi la mia pizza anche da parte mia
Mia pizza.
Mia Margherita.
Sua nipote. Per poco non scoppiò a ridere, che pessimo gioco di parole.
Antonio gli accarezzò la guancia con la mano libera -Lovi? Tutto a posto?
-io...- scosse la testa, con un piccolo sorriso. Sapevi già tutto, vero? Stronza -niente. Solo... niente, una cosa mia.
Mia si imbronciò -non ti piace come mi chiamo.
-non è vero, piccola- dovette sollevare il viso per guardarla, una cosa strana -Margherita è un nome stupendo. Sai che c'è un cibo buonissimo che si chiama così? Te lo cucinerò.
-promesso?
-promesso- le strinse la manina per suggellare il patto e tornò a stringere quella del suo fidanzato -ora cosa facciamo?
Mia ci pensò su per qualche secondo -andiamo in camera tua e mi aiuti a leggere qualcosa?
Abbozzò un sorriso -certo. Vediamo se trovo qualcosa che possa piacerti. Magari un libro sui miti romani.
-sì!

Feliciano? Ne aveva approfittato per passare a vedere se Ludwig era in camera sua, per stare un po' da solo con lui, senza bambini pestiferi intorno.
Per un colpo di fortuna lo trovò lì, sul letto a pancia in su a leggere un libro in tedesco. Abbozzò un sorriso, chiudendosi la porta alle spalle -ciao Luddi!
-mh?- si girò a guardarlo, evidentemente era così preso dalla lettura da non essersi accorto del suo ingresso -oh, ciao Feliciano.
L'italiano si intenerì, Ludwig era così carino mentre leggeva!, e si sfilò le scarpe per intrufolarsi nel letto con lui, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo. Lasciò un bacio sulla pelle pallida del suo ragazzo, abbracciandolo, e socchiuse gli occhi. Ludwig prese ad accarezzargli i capelli con la mano libera, l'altra impegnata a reggere il libro sopra la sua testa.
-ti amo- mormorò dopo un po', e quell'affermazione fu seguita da un tonfo. Sollevò lo sguardò e rise, a Ludwig era caduto il libro in faccia. Gli stampò un bacio sulla guancia.
Ludwig in risposta posò il libro sul comodino e si girò verso di lui, abbracciandolo forte. Feliciano sorrise sistemandosi meglio, quanto adorava i muscoli del suo ragazzo, erano stupendi al tatto. Stava giusto percorrendo il profilo di un bicipite con la punta delle dita quando sentì un sussurro appena vicino all'orecchio.
-anch'io...- mormorò, con quell'accento tedesco così adorabile alle sue orecchie -anche io ti amo, intendo.
Lo baciò, sulle labbra questa volta. Posò anche una mano dietro il suo collo per tenerselo vicino e baciarlo meglio, lasciandogli completo accesso alla sua bocca. Accesso di cui Ludwig approfittò, timidamente, serrando le mani sui suoi fianchi e strappandogli un piccolo gemito. Seppellì le mani tra i suoi capelli, li tirò, li strinse per impedirgli di allontanarsi, quasi con ferocia, e si sentì gemere ancora quando il tedesco spostò le mani sul suo fondoschiena e se lo spinse più vicino. Si allontanò per guardarlo, senza fiato, godendo delle sue guance rosse e del suo affanno, simile in tutto e per tutto al suo. Gli accarezzò le labbra lucide con il pollice, passando poi alla guancia. Sentiva il suo respiro sul viso, e vederlo spettinato, spettinato per colpa sua, gli diede una certa soddisfazione. Gli stampò un piccolo bacio prima di parlare.
-Ludwig...- il suo nome per intero, senza nomignoli, puro, detto con un tono che puro non era, a metà tra un sussurro roco e un mugolio -un giorno- continuò, inumidendosi le labbra -lontano o vicino, non mi importa- aggiunse, tanto per essere chiari. Inspirò profondamente prima di porre la domanda -vorresti fare l'amore con me?
Le guance del tedesco divennero più rosse di quanto già non fossero, ma la sua risposta fu sicura -sì.
Feliciano sorrise maliziosamente, accarezzandogli la guancia. Gli stampò un bacio -anch'io- gli stampò un altro bacio e lo guardò dritto negli occhi -quindi non avere paura di osare un po' di più. Non sono fatto di porcellana.
E, a riprova delle sue parole, tornò a baciarlo, questa volta decisamente non a stampo. Ludwig sgranò gli occhi, ma poi si lasciò andare e, anzi, fu lui il primo a superare la barriera dei vestiti, sfiorandolo sulla schiena direttamente con la punta delle mani fredde. Feliciano sobbalzò, ma cercò di non darlo a vedere, sfiorandogli gli addominali con le dita. Ridacchiò contro le sue labbra e si staccò il tempo di esclamare un "muscoli!" contro le sue labbra prima che quello lo riportasse al loro bacio, con una prepotenza che, per qualche motivo, gli piacque fin troppo. Gli tirò leggermente i capelli per dispetto, cercando di prendere un minimo il controllo della soluzione ma fallendo, un po' di proposito, lasciandosi invadere completamente la bocca dalla lingua dell'altro, sentendo il suo sapore contro la propria, il suo profumo mascolino lo avvolse e Feliciano sentì lo stomaco contrarsi in una stretta così dolorosa e piacevole da mozzargli il respiro più di quanto non lo fosse già, spingendolo a fare sempre di più. A toccarlo sempre di più, superando definitivamente il confine della maglietta con entrambe le mani, sfiorando i muscoli lisci, tracciando linee di fuoco sulla sua pelle, studiando con il tatto il suo fisico. A cercare contatto con lui sempre di più, premendosi addosso a lui, strusciandosi leggermente contro il suo corpo, spingendosi ancora di più contro la sua bocca. E infine a lottare sempre di più, a mordergli le labbra, a giocare con la sua lingua, a invadergli la bocca con la sua per dargli quanto più fastidio possibile, sempre di più, sempre di più, finché...
Nascose il viso nell'incavo del suo collo, imbarazzatissimo. Mormorò un debole -scusa- contro la sua pelle, facendogli aggrottare la fronte.
-perché ti scusi?- lo abbracciò, in maniera più tenera, stampandogli un bacio sulla spalla -è, uhm, stato bello.
Feliciano annuì -sì- lo strinse, il tempo di riprendere fiato e far sparire il sangue dalla faccia. Poi si scostò da lui -uhm... credo di dover tornare in camera per...- deglutì, a disagio -cambiarmi.
Ludwig annuì, ma non lo lasciò andare. Continuò a tenerlo stretto, dandogli di tanto in tanto qualche bacio sulla spalla. Feliciano si sistemò meglio nel suo abbraccio, e notò qualcosa che fece arrossire il tedesco questa volta. Si lasciò sfuggire un sorrisino -oh.
Ludwig brontolò qualcosa in tedesco prima di mormorare un imbarazzatissimo -credo di aver bisogno del bagno.
Feliciano lo baciò sulla guancia, lasciando andare la testa contro la sua spalla per qualche minuto. Poi fece scivolare una mano, intraprendente, fino al problema, e guardò il suo ragazzo con un labbro tra i denti -posso?
Ludwig non poté fare a meno di annuire

Feliciano correva per i corridoi semideserti, con un sorriso enorme stampato sulle labbra. Schivò un ragazzo con un'enorme pila di documenti in mano, salutò una ragazza e accelerò.
Arrivato alla camera di suo fratello ebbe l'accortezza di bussare. Dall'interno venne uno sbuffo.
-Mia, ti ho detto che anche se non sono dei genii devi stare con gli altri bambini, non puoi stare solo con noi due per il resto della vi...- iniziò Lovino, ma quando aprì la porta e lo vide si interruppe -ah, cia...- notò il morso sul suo collo e lo trascinò in camera, chiudendo la porta -bene. Ora mi dici che ti ha fatto il crucco e poi decidiamo quante ossa gli devo spezzare.
Feliciano aggrottò la fronte -guarda che ho iniziato io.
Lovino alzò gli occhi al cielo, tornando a sedersi sul letto -grazie al cazzo che hai iniziato tu, Feli, se aspetti lui fai in tempo ad avere bisogno del viagra. È una questione di principio: tocchi mio fratello, ti faccio saltare i denti.
Un braccio sbucò dalle coperte e cercò a tentoni Lovino, facendo ridacchiare il diretto interessato. Feliciano prese a torturarsi le mani, improvvisamente imbarazzato.
-ho... ho interrotto qualcosa?
Il proprietario del braccio, Antonio senza maglietta, si mise seduto, rendendosi visibile, e appoggiò la testa alla spalla del suo ragazzo con uno sbuffo.
-per poco no- rispose, un po' scocciato. Lovino gli tirò un ricciolo.
-zitto, voglio sentire. Feli, siediti e racconta.
Chiedendosi cosa ci avessero fatto quei due su quel letto, Feliciano optò per sedersi in terra, sul tappeto. Intrecciò le dita delle sue mani, cercando il modo di spiegarsi -uhm...
-ti siedi- notò Lovino -è già positivo- allontanò da sé il suo ragazzo -e tu vestiti, mi distrai.
-hai tu la mia maglietta.
-vanne a prendere un'altra.
Antonio roteò gli occhi e si sedette alle spalle del suo ragazzo, in modo da non farsi vedere -così va bene?
-mh. Vai Feli, voglio sapere tutto.
-non... non era niente di che...- mormorò, con le guance rosse. E lui che rimproverava suo fratello per l'imbarazzo che aveva a parlare di quelle cose... ora lo capiva -uhm, ci siamo... ci siamo baciati più... più e io, uhm...
Lovino ghignò -ora mi capisci, stronzetto- diede uno schiaffo alla mano del suo ragazzo, che si era posata sul suo fianco -com'era? "Sei troppo pudico!"
-fottiti- brontolò, chinando la testa per nascondere il suo rossore -uhm... sono...
-venuto?- suggerì Lovino, ghignando. Feliciano roteò gli occhi.
-ti soddisfa tutto questo, vero?
-abbastanza.
-comunque Luddi è stato dolcissimo- aggiunse -mi ha riempito di coccole e baci.
-ci mancherebbe altro.
-e, uhm, io gli ho... uhm... fatto una...- mimò il gesto con la mano. Sentiva le guance ardere.
Lovino annuì -capisco. Be', è un primo passo.
Antonio, con il mento sulla spalla del suo fidanzato, sorrideva intenerito -che carini i primi amori.
Lovino sollevò la spalla per cercare di colpirlo nei denti, invano -sei un po' troppo giovane- brontolò -se ti becco che zoppichi quel crucco si pentirà di essere uscito dall'uovo di mamma crucca.
-uovo di... eh?
-i crucchi sono esseri strani. Nascono in modo strano.
Feliciano roteò gli occhi -è tedesco, non è un serpente.
-questo lo dici tu. A proposito di serpenti, com'è messo sotto?
Antonio lo guardò male -e a te cosa importa scusa?
Lovino roteò gli occhi -niente. Voglio solo sapere se mio fratello è soddisfatto. Preferisco non pensare ai cazzi della gente di solito.
Ghignando, Antonio si sporse a sussurrargli qualcosa all'orecchio, facendogli roteare gli occhi -una battuta meno scontata no?- si girò verso il fratello -quindi?
-ma che ne so...- brontolò, coprendosi il viso con le mani -non sono stato mica a guardare...
-Gil era curioso a riguardo- rifletté Antonio ad alta voce -diceva che voleva capire chi dei due fosse il fratello più dotato.
Lovino si sbatté una mano in faccia -che cosa idiota. Però sarei curioso di sapere se tra gemelli è uguale- ghignò -e in caso contrario magari prendermi il gemello messo meglio.
Antonio mugugnò qualcosa e lo strinse da dietro, nascondendo il viso contro la sua spalla -non osare.
-comunque, Feli, se hai intenzione di dargli il culo io devo essere il primo a saperlo. E dico intenzione perché non lo farai senza la mia benedizione.
Feliciano roteò gli occhi -sì, certo.
-sono serio.
-tu mica mi hai chiesto il permesso.
-io sono il maggiore.
-non mi pare che Antonio abbia chiesto qualcosa al nonno.
Lovino sbuffò -non cambiare argomento. Hai l'intenzione o no?
Feliciano si morse il labbro -ora come ora... no. Un giorno sì.
Lovino sbuffò -ricorda i preservativi, non fare il coglione. Fidati, aiutano. E parlane con il crucco prima.
Feliciano sbuffò -è che si imbarazza sempre quando viene fuori l'argomento...- anche se poi nel pratico non si fa troppi problemi, pensò, con un sorrisetto.
-be', qualcosa dovete pur dirvi. Per fargli capire che vuoi non devi per forza parlarne ad alta voce.
-in... in che senso?
-comunicazione non verbale. Fa miracoli. Guarda- si girò verso il suo fidanzato e posò la fronte contro la sua, guardandolo dritto negli occhi. Antonio lo baciò, tirandoselo più vicino.
Dopo qualche secondo Lovino tornò a girarsi verso il fratellino -visto? Non gli ho detto che volevo un bacio, gliel'ho fatto capire.
-ora come ora Antonio ha tanti di quegli ormoni che ti avrebbe baciato comunque- gli fece notare, facendo sbucare un sorrisino colpevole sul viso del diretro interessato. Lovino alzò le spalle.
-sì, be', il segreto è anche nel fargli salire gli ormoni al momento giusto. È assurdo come sia facile.
Antonio sospirò -che vuoi farci? Sei troppo bello- lo baciò sul collo, facendolo sbuffare.
Feliciano si alzò -be', vi lascio. Grazie per la chiaccherata. Divertitevi- si girò ed ebbe a mala pena il tempo di sentire il rumore di qualcosa, qualcuno, che veniva sbattuto contro il letto e un'imprecazione mezza soffocata prima di chiudersi la porta alle spalle.
Sospirò, aveva voglia di vedere Ludwig ora, ma era occupato.
Ma niente mi vieta di disegnarlo decise, andando verso la sua camera.

Lovino sbuffò sedendosi al suo posto. Gilbert seguì la direzione del suo sguardo e annuì -è da quando sono arrivati che sono così.
-io li trovo carini.
A chi si riferivano? Ludwig e Feliciano, appiccicati con la colla. L'italiano era seduto sulle gambe del suo ragazzo, con le labbra premute sulle sue e le mani dietro al suo collo.
Lovino sbuffò -posso tirare un calcio a tuo fratello?
Gilbert ghignò -dubito se ne accorgerebbe. Con Feli appiccicato così...
-se glielo tiro sulla minchia penso proprio di sì.
-papà!- Mia corse da loro. Antonio si girò verso di lei e la prese in braccio, abbracciandola forte.
-la mia bambina!- esclamò, facendola sedere sulle sue gambe e continuando ad abbracciarla. Eliza inarcò un sopracciglio.
-papà?
-la adottiamo- disse semplicemente Lovino. Diede un coppino a suo fratello, facendolo allontanare.
-ahio.
-ci sono dei bambini. Scollatevi.
Mia tirò la manica al padre -papà, cos'ha zio Feli sul collo?
Lovino mentalmente maledì nei peggio modi il crucco -niente tesoro...
-ce l'avevi anche tu prima- abbassò leggermente il colletto della maglia a collo alto del padre, scoprendo un altro segno -cos'è, qualcosa di brutto? State male?- sembrava terrorizzata.
La lista di imprecazioni mentali di Lovino aumentò -no no, solo... un insetto. È la puntura di un insetto molto stupido e molto fastidioso- Antonio alzò gli occhi al cielo, divertito -ma non fa male, tranquilla.
-e pungerà anche me?
-no no, punge solo i grandi- le accarezzò i capelli, con un sorriso che sperava fosse rassicurante -non ti farà niente, tranquilla. E non fa male, lascia solo questi segni brutti- si tirò su il colletto, incenerendo con lo sguardo Antonio che se la rideva sottovoce -ora dimmi, hai fatto amicizia con gli altri bambini?
Mia si imbronciò -sono cattivi, non volevano farmi giocare. Però una ha giocato con me ed è abbastanza simpatica.
-visto? Te l'avevo detto. Come si chiama?
-Cheryl- guardò Eliza per qualche secondo, poi si girò verso Lovino e si sporse a sussurrargli nell'orecchio -è quella della favola?
Lovino annuì, divertito -non si sussurra all'orecchio, tesoro.
-scusa papà.
-lo so che la mia ragazza è bellissima, ma vorrei sapere per quale delle sue quasi magnifiche quanto me qualità ha stupito la mia nuova nipote.
-nipote 'sta ceppa di minch...- venne zittito da Antonio. Mia guardò Gilbert, poi il padre italiano.
-è lui?
-sì.
-oh!- si girò verso la coppia, con gli occhi luminosi -siete fantastici!
-lo so.
Eliza roteò gli occhi -sei un cretino- si rivolse alla bambina -perché dici così, tesoro?
-papà mi ha raccontato la vostra favola.
-la nostra... favola?
Mia annuì -sì! Come finisce?
Gilbert le fece l'occhiolino -e chi ha detto che debba finire?
Mia aggrottò la fronte, confusa. Lovino sbuffò -non fare lo spaccone con mia figlia, crucco.
Mia tirò la manica al padre ispanico -papa?
-dime, niña.
-la favola di te e papà com'è?
Antonio le accarezzò i capelli, sorridendo leggermente -te la racconteremo, mh?
-ha un finale?
-un bellissimo finale. I due protagonisti si sposano e adottano una bellissima bambina- le toccò il naso, facendoglielo storcere -e vissero per sempre felici e contenti.
-porti sfiga- commentò Lovino.
-sono positivo.
-seh.
Mia dondolò i piedini nel vuoto, contenta -posso mangiare con voi?
-però ti devi presentare, piccola. Solo Feliciano qui ti conosce.
-usando il nome completo?- chiese -come ci si presenta?
-saluti, dici il tuo nome completo e, se lo è, dici che è un piacere conoscervi.
-ciao- cominciò, guardando le persone davanti a sé -sono Mia Margherita Vargas Fernandez Carriedo e penso che sarà un piacere conoscervi.
Lovino sorrise intenerito e la prese dal grembo del suo fidanzato per abbracciarla -brava la mia bambina- le sussurrò, in italiano. Era così adorabile che voleva spupazzarsela un po'. La baciò sulla spalla, continuando a stringerla -sono tanto, tanto fiero di te.
-papà- si lamentò -non ti capisco. E non sono una bambina.
-sei la mia bambina.
-no.
-sì.
Eliza aveva gli occhi a cuore -ma che dolci!
Gilbert appoggiò la testa sulla sua spalla, abbracciandola -ora ho voglia di coccole, mein liebe.
-prenditi un cane allora.
-daiii.
Antonio circondò le spalle del suo fidanzato con un braccio, abbracciando lui e la loro bambina.
Feliciano rise -e poi sono io quello troppo affettuoso.
-fottiti- replicò suo fratello. Antonio gli tirò la guancia.
-non dire le parolacce.
-ahia- se lo scrollò di dosso in malo modo, scocciato, e strinse le mani di Mia -devi mangiare- la baciò sulla guancia -sei troppo magra.
-mi fai la margherita papà?
-un altro giorno.
-promesso?
-promesso. Però devi mangiare tanto oggi, va bene?
-va bene- si allontanò da lui e si sedette nel posto libero affianco a lui, dondolando i piedi nel vuoto. Dopo qualche secondo si girò verso il padre -però che mangio?
Lovino roteò gli occhi divertito e si alzò, porgendole la mano -andiamo a vedere cosa c'è di buono, dai.
Mia gli prese la mano contenta e scese dalla sedia, seguendolo verso il tavolo della mensa.
Quando furono abbastanza lontani Gilbert schioccò le dita davanti alla faccia dello spagnolo per attirare la sua attenzione -bene. Ora mi dici perché da un giorno all'altro hai una figlia.
-be', sai, visto che, a differenza di Eliza, né io né Lovi abbiamo un utero, abbiamo deciso di adottare Mia, superando la questione dei nove mesi.
Gilbert roteò gli occhi -fin lì lo so, genio, intendevo per quale cazzo di motivo avete deciso di adottare una bambina all'improvviso? È una cosa seria.
-lo sappiamo benissimo. Ma è un periodo di merda, ci siamo affezionati a lei e lei a noi e non ce la siamo sentita di lasciarla al destino. Forse è improvvisa come cosa, ma le daremo tutto l'amore del mondo e saremo i genitori migliori possibili.
Gilbert inarcò un sopracciglio -tutto molto bello, ma come soldi...
-ho praticamente una laurea in medicina, devo solo dare un paio di esami, qualcosa di buono lo trovo. Quanto a Lovi...- alzò le spalle -si inventerà qualcosa, non lo so.
-ma...
-la guerra produce troppi orfani- lo interruppe -e se possiamo aiutarne una, lo faremo.
Gilbert sbuffò -come vuoi. Lo dico per te.
Tornò a sorridere -non serve, amigo, ma gracias.
-però deve chiamarmi zio Gilbert.
-ah, quello lo devi chiedere a lei. È testarda quanto Lovino, non c'è che dire- sogghignò e si sporse verso l'amico -e io? Diventerò tío Antonio a breve?
-rispondo io- intervenne Eliza -no.
Gilbert le circondò le spalle con un braccio -liebe...
-no.
-ma...
-hai mai assistito a un parto?- gli chiese. Gilbert scrollò le spalle.
-no. Quando è nato Ludwig mio padre mi ha tenuto lontano.
-io sì. Non ho mai sentito delle urla peggiori, e sinceramente non mi va a vent'anni di farmi sfondare la vagina dalla testa di un bambino.
-dai, non può essere così male...
Eliza lo incenerì con lo sguardo -immagina di far passare un'anguria, una di quelle belle grosse, attraverso un buco grosso quanto una noce, senza rompere l'anguria.
-è impossibile.
doloroso.
-sì... magari questo discorso continuatelo da soli, senza Mia nei paraggi, non mi va che faccia incubi, mh?
-ma che bravo paparino- sogghignò Gilbert. Diede una gomitata a suo fratello, di nuovo appiccicato a Feliciano -e che cazzo, anche basta. C'è del cibo, non serve che vi mangiate la faccia a vicenda.
Feliciano gli rivolse un piccolo sorriso imbarazzato -ops...
Un vassoio si posò davanti ad Antonio. Sollevò lo sguardo e incrociò gli occhi di Lovino, alle sue spalle, con un altro vassoio in mano.
-ti ho preso da mangiare, idiota- brontolò, tornando a sedersi al suo posto, seguito da Mia, tutta soddisfatta del suo vassoio colmo di roba.
Antonio sorrise intenerito e stampò un bacio sulle labbra del suo ragazzo, e poi dicevano che Lovino non era dolce o premuroso... bah, non capivano proprio un cazzo.
-grazie mi amor.
-mh.
-a proposito- si girò verso Gilbert -tu e Francis mi fate da testimoni?
Il tedesco rischiò di strozzarsi -come scusa?!
-ma sì, al matrimonio di me e Lovi.
Eliza si illuminò -vi sposate?
-certo. Non ve l'abbiamo detto?
Lovino si sbatté la mano in faccia -idiota.
-io porterò gli anelli!- intervenne Mia.
-non parlare con la bocca piena- la rimproverò Lovino.
-che mammina premurosa che sei- sogghignò Feliciano, parlandogli in italiano.
-ti tiro una ciabattata che ti resta il segno per mesi se non taci.
Feliciano rise -appunto.
-sei fortunato che non abbia dietro uno zoccolo... e staccati un po' da quel crucco, mi traumatizzate Mia.
-papà?- lo chiamò la bambina -perché quel tizio continua a baciare sul collo zio Feli?
Appunto. Si trattenne dal darsi una manata in faccia -il tizio si chiama Ludwig ed è il ragazzo di zio Feli- brontolò.
-va bene. E perché lo bacia?
-perché è un maniaco pervert...
Antonio lo interruppe -perché è una cosa che si fa con la persona che ami!
-anche tu e papà lo fate?
-be'... sì.
-oh. Capito- e tornò a mangiare. Brava bambina.
Lovino incenerì suo fratello con lo sguardo -te l'avevo detto!
-ops...- scese dalle gambe del suo ragazzo e si sedette al suo posto.
-comunque l'addio al celibato te lo organizziamo noi- intervenne Gilbert.
-se lo portate in qualche posto strano vi ammazzo- intervenne Lovino. Mia aggrottò la fronte.
-cos'è l'addio al cel... celi...
-celibato.
-quello. Cos'è?
-una piccola festa che si fa prima delle nozze, da soli con i propri amici.
Feliciano guardò Eliza -ci pensiamo noi a quello di Lovino, vero?
Quella ghignò -ovvio.
-non ci pensate nemmeno.
La ragazza si girò verso la bambina -tesoro, vorresti aiutarci a fare la festa al tuo papà?
-sì!
Che stronza. Ora aveva le mani legate.
Gilbert era sempre più innamorato perso.
-allora ci darai una mano.
-sei perfida.
Eliza gli mandò un bacio.
Gilbert si sfregò le mani -kesesesese, sarà divertente!
Eliza gli tirò un ciuffo di capelli -ti tengo d'occhio. Niente cavolate.
-ahia! Niente di strano, giuro!
-bravo- e lo lasciò stare.
Mia tirò la manica di suo padre per attirare la sua attenzione.
-papà?
-dimmi niña.
-ma tutte le persone innamorate sono così strane?
Antonio rise sotto i baffi -di solito sì, niña.

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Capitolo 46
*** Capitolo quarantacinque ***


Gilbert osservava Eliza dormire, con il viso a un palmo dal suo, ma senza vederla veramente. Pensava a tutt'altro, ma ciò non gli impediva di ammirare quanto fosse sempre bella, soprattutto così, scarmigliata e addormentata dopo aver fatto l'amore.
In realtà non era vero. Eliza non dormiva, non proprio. Se ne accorse quando la sentì mugugnare un -se stai pensando di mettermi incinta a tradimento te lo stacco a morsi.
Rise, scostandole una ciocca di capelli dal viso -non farei niente del genere senza il tuo permesso, amore.
-meglio per te- brontolò, nascondendo il viso contro il suo petto -o ti mollerei seduta stante e ti manderei all'ospedale per minimo un mese.
Gilbert se la strinse contro, ridacchiando sottovoce -non lo farò, quindi resta con me per sempre- la baciò sulla testa, accarezzandole i capelli -ti amo.
Eliza mugugnò qualcosa, scocciata, e riaprì gli occhi -possibile che tu non mi lasci mai dormire?- gli salì sopra, chinandosi a baciarlo. Gilbert le sollevò il viso con una mano per non farla allontanare, mentre l'altra ripercorreva lentamente il corpo di lei. Sfiorò ogni cicatrice, ogni lieve imperfezione, e si disse che no, proprio non poteva essere più bella di così. Soprattutto non quando rabbrividiva ad un suo semplice tocco.
-ma non ti stanchi mai?- chiese, divertita, allungando a tentoni la mano verso il comodino per prendere un preservativo. Gilbert la baciò, invertendo le posizioni per farle premere la schiena contro le coperte.
-di te? Mai- la baciò ancora, facendo finta di ignorare la sua risata, e questa volta la toccò con due mani. Schiena, fianchi, cosce, qualche irregolarità qua e là, tutto per lui. Eliza inarcò la schiena, tendendosi come la corda di un arco quando lui fece intrufolare una mano tra le sue gambe, stuzzicandola dispettosamente.
-ti odio- brontolò, coprendosi la bocca con la mano per non gemere quando Gilbert si fece un po' più insistente. Schiuse le gambe, instintivamente, tra le quali l'albino si accomodò senza troppi complimenti. Lasciò un bacio tra i suoi seni, dove sapeva esserci una cicatrice.
-sbrigati- mormorò, tirandogli leggermente i capelli. In risposta il tedesco le diede un altro, lungo, bacio su un'altra cicatrice, all'altezza della vita, appena sopra il fianco. La sentì imprecare e trattenne una risata.
-sei fissato con quelle cose- brontolò, riferendosi alle cicatrici -non capisco cosa tu ci trovi. Sono brutte.
-brutte?- si sollevò per guardarla negli occhi, scioccato -sono dei trofei- lei lo baciò, allacciandogli le braccia intorno al collo per impedirgli di allontanarsi e di continuare la frase. Ma Gilbert non aveva finito, e dopo un po' si allontanò da lei per concludere, stampandole un bacio sulla fronte prima di continuare -sono il segno della forza della donna che amo- disse, guardandola dritta negli occhi. Sorrise -dovresti andarne fiera.
-sono solo cicatrici dovute all'allenamento- si lamentò, stringendoselo contro -niente di che.
-ma è grazie a quell'allenamento se oggi sei così cazzuta, no?- la baciò -e se sei così bella- aggiunse.
-se lo dici tu- scese a baciarlo sul collo, allungando nuovamente un braccio verso il comodino -ora però torniamo a quello che stavamo facendo prima, mh? Anche perché mi sa che tra poco mi verrà il ciclo.
-un bravo marinaio...
-se finisci la frase ti strozzo. Poi ti lascio sopravvivere perché avrò bisogno di un bravo e paziente ragazzo che mi porti la cioccolata, mi abbracci quando vado in crisi di pianto e mi impedisca di uccidere qualcuno.
-agli ordini- le fece una leggera pernacchia dietro l'orecchio, facendola ridere.
-intanto divertiamoci- suggerì, mettendogli in mano una bustina argentea. Lo baciò a stampo -e per quanto riguarda quella questione del bambino...- si morse il labbro. Bellissima -non è un no assoluto, ecco. È un "non ora".
Gilbert le stampò un bacio -ti amo. E se avremo un bambino sarà il più bello del mondo- le sorrise -con i miei e i tuoi geni come potrebbe non esserlo?
-potrebbe essere una bambina- gli ricordò, stampandogli un bacio sulla guancia.
-bambino, bambina... perché non entrambi?
-piano. Ci ripensiamo tra qualche anno, mh?
Gilbert non riuscì a non sorridere -quindi vuoi restare con me per degli anni.
Eliza roteò gli occhi, divertita -sì, Gilbert. Tu no?
-ti ho aspettata per anni. Perché non dovrei volere amarti per altrettanti anni, e anche di più?
-Antonio ti sta condizionando troppo. Mi stai diventando diabetico.
-e ti dispiace?
-forse no- lo baciò, capovolgendo ancora le posizioni in modo da ritrovarsi sopra di lui -però ora vorrei decisamente pensare ad altro, che ne dici?
-quanto ti amo...

Francis si stava riprendendo e Arthur non riusciva a smettere di essere felice.
Stava riprendendo un po' di peso, le guance stavano ritrovando un po' di colore, le labbra erano meno secche e sempre più perfette da baciare.
-dovresti andare- continuava a dirglielo, però sotto sotto non voleva, Arthur lo sapeva -stare chiuso qui dentro non ti fa bene.
-questo lo devo decidere io- replicò, baciandogli i capelli. Francis sospirò.
-che testa di cazzo.
-potrei dire lo stesso.
-forse domani mi dimettono- gli strinse la mano -mi accompagni in camera?
-certo- lo baciò sulla guancia, facendolo ridacchiare.
-merci. Domani vengono i ragazzi?
-non lo so. Matthew di sicuro sì- gli stampò un bacio sulla fronte -Alfred... lo sai com'è fatto. Ti vuole bene, ma si perde sempre in giro.
Francis ridacchiò -è affascinato da uno dei nuovi arrivati. Il russo, com'è che si chiama? Me l'ha accennato... litigano sempre ma stanno appiccicati. Secondo Matieu si piacciono.
-Ivan? Non se ne parla, è troppo vecchio.
-anch'io sono più vecchio di te, chère.
-di un anno. Quello ne ha almeno venti in più.
-nove- replicò, annoiato -a quanto pare a voi piacciono quelli più vecchi.
-nove anni di differenza?! No, non se ne parla neanche. Perché non ne sapevo nulla?
-perché sapevano che avresti fatto l'isterico- gli accarezzò la guancia -e comunque non è detto ci sia qualcosa sotto. Magari sono solo amici. Alfred è etero?
-boh. Ha avuto una ragazza, l'anno scorso, ma non è durata molto. Non mi ha mai detto nulla sul suo orientamento, quindi non so se gli piacciano anche i ragazzi. Neanche Matthew mi ha mai detto qualcosa a riguardo, ora che ci penso.
Francis distolse lo guardo -non è detto che debba per forza piacergli qualcuno.
-mh? No, certo, può fare quel che vuole. A te hanno detto qualcosa?
-Matieu mi ha accennato qualcosina- mormorò -ma non ti dirò nulla che lui non voglia farti sapere.
Arthur sbuffò -ora sono curioso.
-non chiedergli niente, lo manderai nel panico.
-lo so, tranquillo- lo baciò appena sotto l'orecchio, divertito -sembri una madre.
-gli voglio bene.
-lo so. Non c'è niente di male- lo baciò a stampo. Francis lo trattenne, premendosi contro di lui alla ricerca di calore.
Si staccarono sentendo bussare. La dottoressa sbucò, con in mano un vassoio con sopra la cena di Francis -scusate se vi interrompo, ma l'orario di visita è finito.
Arthur lo guardò con aria dispiaciuta -devo andare.
Francis gli sorrise -lo so- lo baciò, lentamente, per qualche secondo -domani torna da me, mon amour.
-of course, darling- lo baciò sulla guancia e si alzò dal letto, allontanandosi. Raggiunta la porta si girò a guardarlo, e Francis gli mandò un bacio.
-adieu!

Con un verso di stizza, Arthur notò che suo fratello era seduto davanti ad Ivan e che ci stava parlando a una distanza un po' troppo poco distante. Li raggiunse e si sedette accanto al fratellino, scrutando con aria torva il russo.
-hello.
-hi bro! Come sta Francis?
-meglio. Domani forse lo dimettono.
-awesome!- e riprese a parlare con il russo, qualcosa sul mangiare i bambini che Arthur preferì non ascoltare. Piuttosto si girò verso Matthew.
-cosa mi sono perso?
Quello scrollò le spalle -è tutto il giorno che stanno discutendo su cosa sia il migliore tra comunismo e capitalismo- aveva lo sguardo iniettato di sangue -non ce la faccio più. Dopo cena, please, portami via con qualche scusa, così mi lascia andare.
-Matt, dude, what do you think about it?- intervenne Alfred -ho ragione io, vero?
-penso che se non la smettete troverò il modo di uccidervi e ballerò sulle vostre tombe.
-visto? Concorda con me. Voi commie siete stupidi.
-ma non parlano d'altro?- chiese sottovoce Arthur a Matthew. Lui lo guardò male.
-no. Hanno parlato anche di guerra fredda.
-my God...
-se non mi fanno santo...
-vorrei dirti di venire con me, ma ho bisogno che tu mi faccia da spia. Se quello gli mette le mani addosso devo essere il primo a saperlo.
-ho come la sensazione che più che farselo gli metterà le mani al collo per strozzarlo- replicò Matthew -e in caso penso che lo aiuterei.
-sì, be', voi due siete piccoli. Lui è troppo vecchio.
Matthew mormorò qualcosa in francese. Arthur, che a furia di sentir parlare Francis ci stava facendo il callo, capì vagamente "Alfred" e "volere". Merda, doveva farselo insegnare da Francis.
-che hai detto?
-niente- abbozzò un sorriso -Alfred, Arthur ha detto che gli Stati Uniti sarebbero dovuti rimanere sotto l'impero britannico.
-what?! No way, hanno fatto benissimo!
Arthur sbuffò -sì ma perché c'è dovuto andare di mezzo del povero tè innocente?
-per farvi più male possibile!
-ma perché il tè?
-perché l'avevate tassato troppo!
-a maggior ragione. Se costa troppo spiegami perché l'avete buttato in mare?
-per protesta!
-è stupido.
-fuck you.
-rispettami, novellino.
-ti piacerebbe. Vero Matt?- si girò a cercare il fratello, ma il suo posto ora era vuoto. Si guardò intorno -Matt?
-se n'è andato di nascosto- brontolò -che stronzo.
-by the way. Meglio gli Stati Uniti o quella comunista della Russia? gli States, vero?
-meglio l'Impero britannico- replicò, incenerendo con lo sguardo il fratello.
Alfred sbuffò -oh, com'on!
-tienimi fuori dalle discussioni con il tuo amico- calcò bene sulla parola, guardando male il russo.
Ivan gli rivolse un sorriso freddo -amico è un'esagerazione. Io e questo ragazzino ci mal sopportiamo a vicenda.
-ragazzino lo dici a qualcun altro, big noise.
-ora capisco Matthew.

-bonjour, mes amis!- Francis si mise seduto a gambe incrociate, con lo sguardo puntato sui suoi due migliori amici. Tecnicamente era finito l'orario di visita, ma Antonio era di turno, quindi... -raccontatemi i pettegolezzi che mi sto perdendo. Voglio sapere tutto.
I due si scambiarono un'occhiata. Gilbert si lasciò sfuggire un sorriso -ci pensa Tonio- stabilì, sedendosi su una sedia per gli ospiti. Lo spagnolo si sedette sul letto e strinse la mano al suo amico. Meglio partire dalla cosa meno grande.
-io e Lovi ci sposiamo.
Francis si illuminò come la Torre Eiffel e gli puntò un dito contro -il tuo vestito lo deciderò io.
Antonio rise -è questa la tua reazione?
-mais non, mais non- lo abbracciò -congratulazioni, mon ami.
-gracias- lo strinse -e... volevo chiedere a te e Gil di farmi da testimoni.
-lo chiedi anche?- intervenne Gilbert, unendosi all'abbraccio -era ovvio che lo avremmo fatto.
Antonio ridacchiò -giusto.
Francis si separò da loro, con gli occhi luminosi -ora dobbiamo organizzare tutto! Quando lo farete? Dove? Chi porterà gli anelli?
Gilbert ghignò -oh, su quello ho una mezza idea...
Antonio tossicchiò -uhm, sì... sai che è pieno di orfani, no?
Il francese sgranò gli occhi -avete adottato un bambino?!
-ne abbiamo l'intenzione- ammise, imbarazzato -si chiama Mia.
-non... non sarà un po' improvviso?
Antonio sospirò -lo è. Ma sia io che Lovi ci siamo affezionati a lei, e non abbiamo intenzione di lasciarla in un orfanotrofio o in mezzo a una strada.
-che carini- commentò, sincero, strizzandogli una guancia -allora dovrò conoscere mia nipote. Posso aiutarvi a scegliere il vestito per lei? Dev'essere adorabile.
-lo è! Ha voluto che le insegnassimo l'italiano e lo spagnolo ed è bravissima, sta imparando in fretta e...
Gilbert sbuffò -cazzo mi sembri una di quelle mamme che vanno in brodo di giuggiole anche solo se il figlio respira.
-se sarai padre...
-è la stessa cosa che mi ripete sempre mio nonno. Evita.
-intanto anche tu stavi morendo dietro a Mia.
-è carina. Tutto qui.
-ma se quando ti ha chiamato zio...
-cambiamo argomento!
-dov'è ora la bambina?- intervenne Francis.
-con Lovi e Feli. Le staranno insegnando l'italiano- si fece pensieroso -però se c'è anche Romolo starà facendo latino...
-latino? Ma quanti anni ha?
-quattro.
-e le vogliono insegnare il latino? A quattro anni?
Antonio alzò le spalle -vai a capire.
Gilbert ghignò -l'addio al celibato te lo organizziamo noi.
-niente locali strani o Lovi mi uccide.
-chi dice che debba saperlo?
Antonio lo guardò male -non ho intenzione di tradire il mio ragazzo.
-guardare non toccare.
-chissà che ne penserebbe Eliza di questo approccio...- a quelle parole il tedesco perse ogni minima traccia di colore dal viso.
-va bene, ci prendiamo un paio di birre solo noi tre e facciamo chiacchere da uomini.
-cioé spettegoliamo e parliamo delle nostre dolci metà- tradusse Francis.
-esatto! Chiacchere da veri duri. Lovino che farà?
Antonio alzò le spalle -boh. Starà con Feli a sfondarsi di pizza. Mi pare che Eliza abbia detto che ci sarà. Comunque ora come ora è l'ultima delle mie preoccupazioni- sospirò -sarà un casino. Come si organizza un matrimonio?
-ah boh.
Gilbert sospirò -Eliza con l'abito bianco dev'essere bellissima...
-poi sarei io il sottone- sbuffò Antonio.
-oh, avanti. Immaginati Lovino con addosso l'abito da sposa- si girò verso Francis -e tu l'inglese.
-tsk. Perché dovrei farglielo mettere? Toglierebbe la scena a me, la vera diva- replicò Francis -perché il vestito me lo metterei io, ovviamente.
-ovviamente- diede una gomitata ad Antonio -oi? Sei vivo?
Lo spagnolo aveva uno sguardo sognante -secondo voi ho qualche opportunità di far mettere a Lovi un abito da sposa?
-è più facile convincerlo a sposarsi vestito da unicorno.
Antonio sospirò -mi sa che hai ragione... però ay, sarebbe perfetto...- si fece pensieroso -però lui è perfetto sempre in effetti... chissà che abito si metterà! Dite che potrò vederlo prima? Ah, sono così curioso!
-sottone.
-il tuo sarà stupendo. È ovvio, lo sceglierò io- ribatté Francis. Sbuffò, irritato -dubito che Lovìn accetterà il mio aiuto. Non apprezza la vera arte.
-anche Lovi ha buon gusto- replicò Antonio -e Feliciano ha già detto che lo aiuterà lui.
-tsk.
-ma è legale?- intervenne Gilbert -il matrimonio omosessuale intendo.
Antonio alzò le spalle -pare di sì. Non so per quanto lo resterà, ma intanto ne approfittiamo. Dobbiamo sposarci in fretta.
-e trovare una casa e un lavoro e...
-sì, sì, lo so, grazie- lo interruppe Antonio -ho già abbastanza ansia di mio.
-a proposito di lavoro...- Francis si attirò le ginocchia al petto, pensieroso -non... non ho mai pensato al mio futuro- ammise. Li guardò, indeciso, con un labbro tra i denti -secondo voi cosa potrei fare? Di lavoro intendo. Non mi ero mai... concesso di pensarci prima.
-lo stilista?- propose Antonio, con un piccolo sorriso -ti è sempre piaciuta la moda, no?
-sì ma è un ambiente molto chiuso e...
-è appena finita un periodo molto buio- intervenne Gilbert -dove la moda era praticamente inesistente, se non per i ricchi. Non pensi che vorranno un po' tutti dei bei vestiti? Ce la farai, tranquillo.
-e tu, Gil? Che vuoi fare?- chiese Antonio, curioso.
Il tedesco ghignò -il mio smisurato talento è sprecato in una mansione sola, ma pensavo all'ingegnere o qualcosa del genere. Oppure insegnare fisica.
I due scoppiarono a ridere, quasi fino alle lacrime. L'albino si imbronciò.
-cosa c'è da ridere?
-scusa amigo- Antonio fu il primo a riprendersi abbastanza da riuscire a parlare -ma tu? Insegnante? Davvero?
-embé? Tu vuoi fare il dottore, ma non ti sono scoppiato a ridere in faccia.
-sì ma... fammi capire, vuoi insegnare a un branco di ragazzini brufolosi le leggi di Newton?
-tu vuoi scavare dentro ai corpi della gente, ma non ti giudico.
-non lo definirei scavare...
-Lovino?- lo interruppe -ha qualche idea?
Antonio alzò le spalle -gli piace la letteratura, pensava di buttarsi su quello.
-vuole insegnare a un branco di ragazzini brufolosi il Faust?- lo scimmiottò, facendolo ridere.
-dai, non dirmi che te la sei presa. E poi dubito studierebbe letteratura tedesca.
-ehi, che ha contro Goethe?
-ragazzi- li richiamò Francis. Abbozzò un sorriso -ve ne state accorgendo? Stiamo parlando di futuro. Non vi fa strano?
Gilbert sembrò capire, e gli strinse la mano -sì, un po' sì.
-già...
-sempre insieme?
-siempre.

Lovino fissava la pagina bianca da un quarto d'ora buono, cercando qualcosa da scriverci sopra. Sentì una lieve pressione sulla spalla, qualcuno ci aveva posato un bacio, e poi un paio di braccia avvolgerlo per cercare di stringerlo.
-Lovi?- mugugnò Antonio, al fianco a lui sul letto dove tecnicamente avrebbe dovuto dormire invece di fissare una pagina bianca come un cretino, sbatté le palpebre -come mai sei sveglio?
Prese ad accarezzargli i capelli con la mano sinistra, la parte finale della penna tra le labbra -non è niente. Torna a dormire.
Antonio però si mise seduto, le coperte gli scivolarono fino a metà del busto, e appoggiò la testa sulla sua spalla per guardare ciò che stava guardando lui, cioé il vuoto assoluto.
-stai scrivendo un diario?- chiese, baciandolo sul collo. Lovino scosse la testa, inclinando la testa di lato per dargli più spazio.
-no. Avevo solo voglia di scrivere qualcosa- ed era vero. Si era svegliato all'improvviso, con l'impellente bisogno di scrivere. Si era alzato, aveva preso un taccuino e una penna, aveva acceso la lampada sul comodino e si era messo a fissare il foglio alla ricerca di un'illuminazione divina.
Antonio era arrivato alla mandibola con i baci, comunque -e cosa scrivi di bello?
Si tolse la penna dalle labbra -è quello il problema.
-mh...- sbadigliò -se non trovi niente vai a dormire- si raccomandò, accarezzandogli la guancia. Lovino sbuffò.
-sì, mammina.
-bravo- lo costrinse a girare il viso verso di sé e lo baciò a stampo, facendogli chiudere gli occhi -mi sa che me ne torno a dormire.
-bravo- tornò al suo arduo e fondamentale compito di fissare la pagina bianca -tra un po' ti raggiungo.
Antonio lo baciò sulla fronte prima di tornare sdraiato, abbracciato alla sua vita, e addormentarsi. Lovino prese ad accarezzargli i riccioli scuri mentre pensava.
Cosa potrei raccontare? C'è una storia che so o che posso immaginare che valga la pena di essere scritta?
Abbassò lo sguardo sul suo fidanzato, riflettendo. Poi, finalmente, posò la penna sul foglio e cominciò a scrivere.

Ciao, persona che sta leggendo. Immagino che tu non sappia chi io sia.
Meglio. Non ti serve saperlo.
Cosa ti aspetti leggendo questo libro? Un racconto di guerra? Un noioso resoconto storico? Be', non è niente del genere. Questa è una storia d'amore.
Oh, sì, ti sto già vedendo roteare gli occhi. No, non è quel tipo di storia d'amore. Non parla di un amore difficile, travagliato, tossico o solito. Non parla di una ragazza angelica e perfetta e un povero idiota innamorato di lei che scrive e scrive sperando che lei lo ricambi. Non parla di un matrimonio impossibile, o di un'ascesa al Paradiso, né tanto meno di un amore tragico, e non è una storia adolescenziale. Non troppo, almeno.
Immagino tu sappia di cosa parla questo libro, almeno vagamente. Del periodo storico, almeno. E ora starai immaginando la classica storia del ragazzo di campagna che abbandona tutto per andare in guerra e lascia la solita povera disperata, magari incinta, lì ad aspettarlo.
No, non è questo il caso. E se provi a dare a mio marito della povera disperata esco dal libro e ti prendo a sberle.
Sì, hai letto bene. Mio marito. No, non ho una vagina, sì, ho un marito. Ti lascio qualche secondo per metabolizzare.
...
Fatto? Bene, procediamo. Forse dovrei partire dal principio, per quanto assurdo sia.
C'era una volta una donna incinta del suo secondo bambino e c'era una volta un ragazzo disposto a tutto pur di cambiare la storia. Qui è dove comincia tutto quanto. Pronto? Bene, andiamo allora. Metaforicamente, perché un libro non può camminare.
Poco dopo aver scoperto di aspettare un bambino, la donna fece un sogno...

 

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Capitolo 47
*** Capitolo quarantasei ***


Signori miei, mancano tre capitoli alla fine di questa storia.
Non sono pronta, mi commuovo.


Aveva passato tutta la notte a scrivere, come un cretino. La sua già abnorme dipendenza dal caffé stava diventando preoccupante.
Antonio lo baciò sulla fronte, sistemandogli le coperte -dormi un po', Lovi.
-no, no, sto bene- ribatté, cercando di alzarsi. In risposta Antonio lo spinse all'indietro per farlo rimanere a letto.
-penso io a Mia. Tu dormi un po', mh?
-no, altrimenti stanotte non dormo un cazzo- ribatté, alzandosi in piedi e andando verso l'armadio. Be'... meglio dire che provò ad andare verso l'armadio, ma venne trattenuto da un certo bastardo, che lo abbracciò da dietro per bloccarlo.
-allora ti stancherò tanto da farti dormire come un ghiro tutta la notte- ribatté, sogghignando contro la sua pelle. Gli baciò il collo -che ne dici?
Lo so cosa state pensando, maledetti.
"Ma che carino, si preoccupa"
No, non è carino. È una gran rottura di coglioni.
-cosa ti fa pensare che ne abbia voglia?
Antonio lo baciò sulla guancia, ridacchiando -il fatto che tu non mi abbia ancora allontanato.
In risposta Lovino gli diede una gomitata, che però lo stronzo schivò ridendo. Per fortuna così facendo lo lasciò andare, e Lovino ne approfittò per raggiungere l'armadio, afferrare dei vestiti un po' a caso e togliersi la maglia che usava per dormire. Antonio fischiò.
-ma che bel risveglio.
Gli lanciò contro il pigiama -vattene a fanculo.
-se vieni con me volentieri.
-il tuo piano per stasera sta lentamente andando in fumo, ne sei consapevole, sì?
-ti porto un caffé?
Lovino rimase in silenzio per un po', infilandosi un paio di pantaloni scuri.
-ti odio- decretò infine.
Il bastardo ridacchiò, facendolo girare verso di sé e baciandolo. Quando ebbe la bocca libera, Lovino nascose la faccia contro la sua spalla, imprecando tra i denti.
-mi spieghi come dovrei dormire se fai così?
Antonio alzò le spalle -sei così stanco che crolleresti comunque.
-mai sottovalutare il potere di un espresso fatto come Napoli comanda.
-la caffeina non ti fa bene.
-ho pasta e caffé nel mio dna, amore- replicò, stampandogli un bacio sulla guancia -starò benissimo.
-mi hai chiamato amore- notò Antonio, gongolando -devi essere stanco morto.
-ero sarcastico.
-se lo dici tu...
-davvero.
-mhmh.
-fottiti.
-dipende da te, amore.
Lovino sbuffò e si girò verso l'armadio, infilandosi una maglietta, che guarda caso era del bastardo. Una stupida coincidenza.
Si sentì, ancora, abbracciare da dietro, e la testa riccioluta del bastardo si piantò nella sua spalla, con il viso premuto contro la maglia. Lovino sollevò la mano e gliela immerse tra i capelli, cercando invano di spingerlo via. Non gli stava accarezzando i capelli, era solo un'illusione ottica.
-amo quando ti metti i miei vestiti- gli sussurrò all'orecchio. Tante, piccole, fastidiose onde gli percorsero la schiena, rendendolo così vulnerabile da far schifo. Antonio gli posò un bacio appena sotto l'orecchio, mettendo a dura prova l'ultimo brandello di lucidità dell'italiano.
-e allora perché cerchi sempre di togliermeli?- gli sussurrò, appoggiandosi a lui. Tanto per dargli ragione, lo spagnolo gli infilò le mani sotto la maglietta, sfiorandogli i fianchi con la punta delle dita. Il suo sussurro fu così roco da farlo quasi sobbalzare per il brivido improvviso che gli provocò.
-perché senza sei così bello che non riesco a resisterti...
Lovino si impose di non arrossire -e tu sei un porco maniaco dalle mani lunghe.
Lo sentì sorridere contro la sua spalla. Fottuto bastardo, stava gongolando delle sue difficoltà. Meno male che lo amava.
-sei anche uno stronzo.
-gracias- si spostò a baciarlo sul collo, stringendoselo maggiormente contro e infilando le sue cazzo di mani ovunque. Lovino dovette mettersi una mano sulla bocca per non gemere in modo decisamente imbarazzante.
-non... non dovevo dormire?- stava ansimando. Fottuto bastardo.
-se è l'unico modo per convincerti a non fare di testa tua...- lasciò la frase in sospeso e tornò a sfogare i suoi ormoni da bastardo represso sul suo povero collo. Stronzo.
-n-non...- si morse il labbro, frustrato. Ignorò la sua risatina e cercò di calmarsi abbastanza da mettere insieme una frase di senso compiuto -non lasciare segni. Mia...
-tranquillo- lo interruppe, lentamente, portando le mani alla chiusura dei suoi pantaloni. Con calma eh, che avevano tutto il giorno -non lascerò nulla che lei possa vedere.
-mh...- si lasciò togliere i jeans, senza dire nulla. Poi si girò nel suo abbraccio, calciando via i poveri pantaloni, e si aggrappò alla sua bocca, spingendolo verso il letto senza troppi complimenti.

Si risvegliò a mezzogiorno. Brutto bastardo, gliel'aveva fatta. Si appuntò mentalmente di fargliela pagare mentre si faceva la doccia, nel vano tentativo di svegliarsi.
Almeno era stato di parola e gli aveva lasciato il collo illeso. Peccato per il resto, ma finché si fosse tenuto maglietta e pantaloni la bambina non avrebbe visto niente. Sbuffò, si sistemò un asciugamano intorno alla vita e uscì dal bagno, tamponandosi i capelli con un altro.
Lanciò un urlo. Chi cazz'era sul suo letto?!
-Feli! Ma che minchia ti salta in mente?- si portò una mano al petto, il cuore gli stava esplodendo per lo spavento. Quello sembrò imbarazzato, poi fischiò.
-ad Antonio piace proprio marchiare la proprietà, eh? Non è che ti fanno male alla pelle tutti quei segni?
-fatti li cazzi tua- sbuffò di nuovo e continuò a tamponarsi i capelli umidi, andando verso l'armadio. Prese dei vestiti puliti e lanciò in faccia al fratello l'asciugamano -perché sei qui? E non fissarmi, mi metti in soggezione.
Feliciano sembrava stupito -per quale cazzo di motivo hai dei succhiotti pure sulla schiena, me lo spieghi?
-ti ho detto di farti i cazzi tuoi. E voltati dall'altra parte- si infilò un paio di mutande da sotto l'asciugamano e se lo tolse, lanciandolo via.
Il fratellino obbedì, ridendo -eddai, sei mio fratello.
-allora la prossima volta che fai la doccia fammi un fischio, così vengo a spiarti- quando ebbe finito di vestirsi si girò verso Feliciano e incrociò le braccia al petto -quindi? Che vuoi?- lo colse un dubbio atroce -sta male il nonno? Antonio? Mia?!
-secondo te sarei così calmo, in caso?
-quindi stanno bene?
-benissimo. Il nonno sta dormendo, ma mi ha detto una cosa e... credo che tu debba saperla.
Si sedette al suo fianco e gli prese la mano -è una cosa brutta?
-no, no. Solo... una cosa. Il nonno ha... mi ha detto che la vecchia casa di mamma e papà è ancora lì- lo guardò, in attesa della sua reazione -e che... tecnicamente è tua.
-oh...
-già. Potresti andarci con Antonio e Mia. È vicina a casa del nonno e alla città, ed è decisamente abbastanza grande. Non so come sia messa... il nonno ha detto che non ci ha messo piede da quando...- abbassò lo sguardo -be', da quando sono nato io.
Lovino gli strinse le mani -lo sai che non è colpa tua, vero?
Feliciano abbozzò un sorriso triste, asciugandosi gli occhi -lo so, ma... non so... è come se inconsciamente pensassi il contrario.
-ah, ho capito. Succede anche a me- lo baciò sulla fronte, stringendoselo contro -quando ripenso all'incidente mi sento così.
-oh...- ricambiò l'abbraccio, nascondendo il viso contro il suo petto. Sospirò -ti voglio tanto, tanto bene, fratellone.
-anch'io, Feli- lo baciò tra i capelli -tanto.

È una sensazione strana, sapete? Per voi potrà non avere un senso, ma, in qualche modo, è familiare ed estraneo contemporaneamente.
Da un lato riconosco la struttura della casa; so dov'è, era, la mia camera da letto, dov'è il bagno, sento di appartenere a questo posto.
Dall'altro il vecchiume, la polvere, i mobili mezzi distrutti... sento che sono sbagliati.
Da un altro lato ancora, io so di non mettere piede in questo posto da almeno sedici anni, e lo vedo con i miei stessi occhi. Non riconosco i quadri alle pareti, le decorazioni sul soffitto, i libri nelle mensole sulle pareti. Non riconosco le foto, solo alcuni soggetti.
Mi guardo intorno, pieno di meraviglia, sia perché sono tornato a casa, sia perché ne sto riscoprendo una che avevo appena iniziato a conoscere con i miei primi passi.
Qualcosa mi afferra la mano, e una presa gentile mi riporta al presente.
-ehi...- Antonio è preoccupato, lo vedo. Ha paura che tornare qui mi mandi in crisi. Ma perché dovrei andare in crisi, se c'è lui qui con me? -stai bene?
Annuisco, sorridendo leggermente. Indico una porta chiusa -lì c'era la cucina, credo. E lì- indicò una stanzetta, la più spaventosa -la mia camera.
Sì, va bene, è carino quando si preoccupa, ma sta diventando irritante -e... ci vuoi entrare?
Annuisco. Dovrò pur vederla tutta, no? -sì- gli lasciò la mano -ma da solo.
-va bene- si avvicina a me e posa la fronte sulla mia, osservandomi. Mi bacia, e improvvisamente non mi importa più nulla di dove siamo. Sorride -se mi cerchi rimango qui, mh? Se hai bisogno urla.
È la tipica, dolce, snervante ed eccessiva preoccupazione all'Antonio. Sorrido -va bene- mi bacia di nuovo e mi lascia andare.
La maniglia è fredda. Quel gelo improvviso mi risveglia del tutto. Cigola, dovremo oliare per bene un po' tutte le porte.
E sono di nuovo un bambino.
Ci sono dei miei disegni alle pareti, noto. Le mura sono di un bell'azzurro, mi piace. Il letto è troppo piccolo per Mia, dovremo cambiarlo, ma l'armadio si può tenere se non è troppo marcio.
Sto cercando di aggrapparmi a cose pratiche per non crollare. Poi noto qualcosa che demolisce tutti i miei propositi.
Me lo stringo al petto mentre barcollo all'indietro, fuori.
La voce di Antonio mi risveglia, viene al salotto.
-sei tu questo nella foto? Eri carinissimo!- sbuca dalla stanza, nota la mia faccia e mi raggiunge in un istante, preoccupato. Mi afferra il viso tra le mani, studiandomi alla ricerca di indizi per capire cos'abbia.
Le sue dita scorrono sulla mia guancia.
Scorrono...
s c o r r o n o
sssscccccooooorrrrrrooooonnnnoooo
-Lovi? Hai trovato qualcosa?- nota il pupazzetto, ma non cerca di togliermelo -stai bene?- mi spezzo a vederlo così preoccupato, ma non riesco a muovermi -amore, rispondimi. È un attacco di panico? Chiamo un'ambulanza?
Sto cercando la mia testa. La cerco la cerco devo farle dire qualcosa ma non la trovo.
E poi oh, ma sono io la mia testa, le mie braccia, le mie gambe. Riesco a fare no con un cenno.
-no- ho la voce roca, meglio di niente. Ho bisogno di sedermi -sto bene.
Stringo l'oggetto al petto.
Da bambino questo gesto sembrava risolvere tutto. Quando ero terrorizzato, quando avevo paura, quando ero triste o preoccupato, stringere il mio pupo risolveva tutto. Ora però sono grande. Grande. Sono adulto, e non funziona più.
Stringo la mano di Antonio -continuiamo il giro.
La camera dei miei è l'unica stanza dove c'è qualcosa di diverso. Le coperte sono sfatte, l'armadio è aperto e mezzo svuotato per terra. Inspiro, espiro, inspiro, espiro.
-dev'essere stato papà- rifletto. Ho la voce piena di nulla -dopo che è nato Feliciano è scappato. Sarà passato a prendere dei vestiti o roba simile...
Mi aggrappo alla sua mano per non cadere e guardo il letto, trattenendo un pianto inutile. È un riflesso incondizionato: da bambino venivo qui a piangere dopo un incubo, ora mi viene istintivo rannicchiarmi nel letto a piangere alla ricerca di un abbraccio.
Non lo faccio, ma Antonio mi abbraccia comunque, con una mano sulla mia schiena e una dietro la mia nuca. Mi lascio andare, tanto è solo lui. Non piango, però mi nascondo contro la sua spalla. La casa è così fredda, mi dà fastidio. Lui però mi riscalda, e non solo a livello fisico. Abbozzo un sorriso e indico il lato destro del letto.
-lì si metteva sempre mamma. Quando avevo un incubo mi infilavo sotto e lei mi abbracciava sempre, anche se stava dormendo.
-non piangevi?- chiede. Che carino, si è messo a giocare con i miei capelli. Scuoto la testa.
-no. Il nonno dice che non piangevo tanto... era Feli il piagnone. Più che altro facevo tanti capricci e mi imbronciavo senza nessun motivo apparente, ma non mi piaceva fare troppo rumore.
Lo so che sta sorridendo. Non lo vedo, ma lo so -non sei cambiato tanto, allora.
-fottiti.
Ride. Stronzo.
Mi allontano e mi siedo sul bordo del letto, scrutando il cuscino di mamma. Mi sembra quasi di vederla sdraiata lì, con il pancione, una mano dove c'è Feli e l'altra tra i capelli del me bambino, a cantarci una ninna nanna. Una lacrima mi riga la guancia, mi sento un bambino.
Lo stronzo mi si siede accanto e mi riporta alla realtà con un braccio intorno alle spalle.
-stai bene?
Scuoto la testa -dobbiamo cambiare il letto. Troppi ricordi, non riuscirei a dormirci. Né a... fare altro- pratico. Pensiamo a cose pratiche.
Esita, poi non riesce a non fare una domanda stupida -ma... cioé sei sicuro di voler vivere qui?
-sì. Tu no?
-io... cioé è una bella casa e non mi dispiace di certo avercene già una, ma non... non ti metterà tristezza?
-no- stringo il pupazzetto nella mano. Espiro -qui ci saremmo dovuti crescere io e Feli. Vorrà dire che ci cresceremo nostra figlia- lo baciò sulla guancia, non è convinto -senti, non ho brutti ricordi qui. Non ne ho proprio, solo delle... sensazioni, ecco. Però mi sento a casa- gli tiro la guancia -e sarebbe da idioti non approfittare di una casa nostra e già arredata, no?
-sì- dice, piano. Mi stringe maggiormente, ha un braccio intorno alla mia vita e, cazzo, tutto questo contatto è così naturale e bellissimo. Mi stringe la mano -ma se ti fa stare male non avere problemi a dirmelo, va bene?
Sorrido, sistemandogli, invano, alcuni riccioli in una forma vagamente ordinata.
-sto bene- dico, ed è vero -sì insomma, è stato un brutto periodo, ma ora sto bene. E... non penso che mi farà male stare qui.
-va bene, querido- mi bacia sulla guancia. Stronzo. Lo bacio sulla bocca, come si deve, e lo sento ridacchiare.
-ti amo- mi bacia, accarezzandomi la guancia. Mi osserva, sorridendo, così innamorato da farmi arrossire e chinare lo sguardo. Be', più che altro ci provo, visto che il bastardo mi ribacia -ti amo- riribacia -ti amo- ririribacio -te amo- riririribacio -te amo- ri... ho perso il conto. Be' , chissene fotte. Gli getto le braccia al collo.
-anch'io. Anch'io. Anch'io. Anch'io...
Ogni punto è un bacio, e a ogni punto metto un paletto tra me e il bambino che veniva a piangere dalla mamma e sfiorava il suo pancione con aria curiosa. Sono un adulto ormai. Adulto e innamorato, non ho più bisogno della mamma.
Poso lo sguardo sul suo cuscino.
Mi sembra quasi di vederla che mi sorride, mentre Antonio mi tiene ancorato nel mondo dei vivi con l'ennesimo bacio.

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Capitolo 48
*** Capitolo quarantasette ***


Buonsalve!
Iniziano le vacanze, sei giorni perché non si è mai troppo tirchi, e i prof stanno facendo a gara a chi dà più compiti come sempre. Quale momento migliore per aggiornare?
Buona lettura!

Se Lovino avesse saputo quanto fosse una merda organizzare il proprio matrimonio, ci avrebbe pensato due volte prima di dire a qualcun altro dell'evento. Avrebbe fatto una roba più in piccolo, due invitati di numero, Mia, Antonio e bom. Una cosa veloce, un pranzo rapido e un po' di musica, poi via verso la luna di miele in un posto segreto solo per loro tre.
Invece aveva avuto la pessima idea di dirlo a suo fratello. E così, l'intera base del Punto Omega era stata magicamente invitata, causando un'infinità di problemi pazzeschi.
La cosa spaventosa? Che lui amava i matrimoni in grande, e un centinaio di persone gli sembrava fin poco.
Sì, insomma... il suo lato terrone stava venendo fuori.
La cosa non era tanto organizzare il matrimonio. La cosa era il panico che lo assaliva ogni volta che ci pensava perché ohcazzomistosposandononsaràtroppoprestoohcazzoohcazzononvedoloraperòhopauraesecambiasseideaesecambiassiideacazzocazzocazzocazzo
Quindi capite che riuscire a ragionare e organizzare qualcosa con la pulce nell'orecchio che ti urlava quelle cose non era esattamente semplice.
Nel frattempo, ogni tanto lui e Antonio andavano a dare una sistemata alla casa. Mia l'aveva adorata, e quindi avevano iniziato a metterla a posto. Il che era, come penso abbiate intuito, una scusa per stare un po' da soli. Lavoravano alla casa, eh, ma nel frattempo ne approfittavano per prendersi qualche momento per loro, senza troppe ansie.
Potete ben immaginarlo, ma la prima cosa che avevano sistemato era il letto della camera matrimoniale. Non penso di dover aggiungere altro.
Visto che stavamo parlando di Mia... la bambina era entusiasta, a dir poco. Il che era anche un problema, visto che una bambina di quattro anni che corre in giro saltellando e rischiando di farsi male con qualsiasi cosa non è esattamente una cosa rilassante per i genitori di suddetta bambina.
Ma, alla fine, bene o male, riuscirono a organizzare qualcosa. Una settimana prima delle nozze, Feliciano ebbe la fantastica idea di rispettare le tradizioni. Cioé tenerli separati fino al matrimonio.
Se non bestemmio guarda...
Abbracciò Mia, tirandosela contro. Ho le carenze di affetto, cazzo.
La bambina si lamentò -papà, sto leggendo- nella sua vecchia camera avevano trovato diversi libri per bambini, e ne avevano approffittato per portarglieli. Lei si era innamorata di un vecchio libro per bambini sulla mitologia, e non aveva fatto altro che leggerlo per giorni. Adesso erano sdraiati entrambi sul letto di Lovino, ognuno con il proprio libro, ma il ragazzo non riusciva a concentrarsi.
-papà- lo chiamò, lasciandosi stringere.
-mh?
-che significa questa parola?- indicò un punto sul libro. Lovino trattenne un sorriso, forse non era stata una grande idea dare a Mia dei libri in italiano, ma stava imparando molto in fretta la lingua e, lentamente, certo, ma riusciva più o meno a leggere.
-battaglia- lesse. Gliela tradusse.
Mia annuì, continuando a leggere.
Qualcuno bussò alla porta. Mia non staccò gli occhi dal libro, così Lovino sbuffò e si alzò per andare ad aprire.
Feliciano sorrise e sollevò tre grucce -sono arrivati i vestiti!
Lo trascinò dentro e chiuse la porta -fa vedere.
Per i vestiti si erano rivolti a una sarta amica del nonno. Non erano fatti da zero, avevano preso dei vecchi abiti e se li erano fatti sistemare. A Lovino non è che fregasse tanto, ma c'era anche un vestito per Mia, e quello sì che gli fregava.
-tesoro, vieni a provare il vestito.
Mia sbuffò -che palle papà.
-su, su.
Feliciano diede una gomitata al fratello e gli fece l'occhiolino -stasera ci divertiamo.
Il suddetto fratello alzò gli occhi al cielo, mentre appendeva le grucce all'alta aperta dell'armadio e toglieva le coperture bianche -niente di esagerato.
-ti divertirai- promise, con un sorriso che non prometteva niente di buono.
-chissà perché non mi fido. Ricordati di Mia.
Feliciano si rivolse alla nipotina, che ancora non si era mossa dalla sua posizione -amore?
-mh? Sì zio?
-ti va di stare con il nonno stasera? Ha detto che ha un libro bello da farti leggere.
La bambina si illuminò -sì!
Feliciano sorrise al padre -risolto.
Lovino sbuffò, senza rispondergli.

-hola chicos!- Antonio avvolse le braccia intorno alle spalle dei suoi amici, in mensa -che facciamo stasera?
-Antoine! Sei radioso- Francis rise, sistemandogli un ciuffo di capelli.
-stanotte non ho dormito niente e sono così agitato che vado avanti ad adrenalina- replicò, con un sorriso così ampio che sfiorava le sue stesse occhiaie.
-oh...- Francis sbatté le palpebre -sei... sicuro di star bene?
-sto per sposarmi con il ragazzo più perfetto del mondo! Come faccio a non stare bene?
-sottone- commentò Gilbert.
Francis studiò il viso dell'amico con una smorfia -devo ricordarmi di portare del correttore. Non puoi sposarti con quelle occhiaie.
Antonio era euforico -potrei stare senza dormire per settimane pur di sposare Lovi.
-sì, ma non serve, quindi evita, non mi va di rovinarti la pelle con troppo trucco- gli accarezzò le occhiaie con il pollice, studiandole -stanotte devi dormire come si deve.
-sì mamma.
-comunque- intervenne Gilbert -il magnifico me ha organizzato una serata spettacolare all'insegna del divertimento- si interruppe e sbuffò -ma la magnifica ragazza del magnifico me e il fratello meno magnifico del magnifico me mi hanno ricordato che tra due giorni ti sposi e che forse farti ubriacare e buttarti in un lago in piena notte non è la migliore delle idee.
-tu volevi...
-quindi sono stato costretto a optare per qualcosa di più tranquillo. Beviamo un po' in mensa, due chiacchere tra uomini, ti diamo qualche dritta per la luna di miele...
-non penso di averne bisogno.
Francis gli fece l'occhiolino -solo un paio di consigli spassionati- gli spettinò i capelli, come una madre con il figlio piccolo -hai appena iniziato ad esplorare le vaste valli del piacere, mon ami.
-ma...- sbuffò, divertito -va bene, chicos. Ci divertiamo un po'.
-papa!- Mia gli corse incontro e gli si aggrappò alla vita, abbracciandolo. Antonio istintivamente si girò e la prese in braccio, stringendola forte.
-ah, la mia niña!- notò qualcuno alle sue spalle e la sua espressione si addolcì -Lovi...
-ciao- fece per dire qualcosa, ma Feliciano tossicchiò, facendogli alzare gli occhi al cielo -è una stronzata. Tra due giorni ci sposiamo e ci devi essere tu a rompere le palle.
-mai sentito parlare di "sposa bianca"?
-non sono una sposa e ormai è tardi.
-sì, be', cerchiamo di dare un minimo di castità.
-me lo ricorderò, sappilo. Te la farò pagare. Scordati il crucco.
Feliciano gli fece l'occhiolino -non vedo l'ora.
Lovino roteò gli occhi e si avvicinò alla figlia, stampandole un bacio sulla fronte.
-fai la brava.
-sì papà.
Le rivolse un sorrisino -però se vuoi fare un po' impazzire papa fai pure.
-che cattivo che sei, Lovi- l'ispanico gli prese la mano e gli stampò un bacio sul dorso, facendolo arrossire.
-stronzo...
-non vedo l'ora di baciarti di nuovo- lo baciò sulla guancia e abbassò il tono della voce per farsi sentire solo da lui -e aspetterò con ansia la notte...
Lovino gli fece l'occhiolino, sistemandogli il colletto della maglia. Una scusa per toccarlo, sì, lo ammetto -vedremo se reggi il mio ritmo, matador.
Il sorriso di Antonio si affilò -penso proprio di sì, amore.
Lovino fece per replicare, ma si sentì afferrare per il colletto della maglia e trascinare via.
-basta flirtare voi due- si trattenne dal mandare a fanculo Feliciano. Che non si dica che non fosse un fratello esemplare -dai, andiamo che ho fame.
-sei uno stronzo.
-sì sì.
Mia tirò una guancia al padre -papa?
Antonio si riscosse dalla profonda ammirazione del profilo, seh certo, del profilo, del suo fidanzato, e tornò a guardare la piccola -dimmi niña.
-a cosa si riferiva papà?
-niente tesoro.
Mia non sembrò convinta -cos'era quella cosa del ritmo?
Gilbert, alle loro spalle, era piegato in due dalle risate.
Antonio le accarezzò i capelli -parlava dei balli al matrimonio. Papà è bravissimo a ballare, sai?
-voglio ballare anch'io con papà! Me lo ha promesso.
-certo tesoro- la baciò sulla fronte -ballerai con entrambi.
-promesso?
-promesso- la mise a terra e le strinse la manina -ora andiamo a fare colazione?
-sì!

-olá mamãe.
-ciao- Isabella Fernandez Carriedo era seduta sulla sua solita poltrona, con un lavoro a maglia in grembo. Qualche anno prima era caduta, rompendosi il femore, e da allora non era più stata la stessa. Faticava a camminare per troppo tempo, e assolutamente non poteva lavorare. Per questo João si era dovuto arruolare nell'esercito, ricordate? Il padre, e il figlio non sapeva dire se fosse una fortuna o una sfortuna, era morto da molto tempo.
João si sedette accanto alla madre e le prese la mano. Inspirò profondamente -ho trovato Antonio.
Le sue mani si fermarono sui ferri. Isabella sgranò gli occhi -cosa?
-ho trovato Antonio- ripeté. Le strinse la mano per impedirle di farla tremare.
-come sta?- stava sussurrando.
-bene- si leccò le labbra secche -si sta per sposare. Tra due giorni. Non penso di averlo mai visto così felice.
Isabella non aveva la minima idea di cosa dire.
-con chi?- le stava tremando la voce.
-un ragazzo. Si chiama Lovino.
Isabella espirò -è ancora un peccatore.
-è tuo figlio. Non è cambiato di una virgola, solo che ora è felice.
-il matrimonio è tra uomo e donna.
João alzò gli occhi al cielo -come quello tra te e papà? Un matrimonio violento, fatto solo per interesse? Un matrimonio dove tu sei stata costretta a sposare un uomo di cui appena conoscevi il nome?
-un matrimonio da cui sei nato tu.
-da cui sono nato io e mio fratello.
Isabella si prese la testa tra le mani, socchiudendo gli occhi.
-cos'è, una specie di vendetta? Perché mi fate questo?
-perché dovremmo vendicarci?- João sospirò -non puoi semplicemente accettare che tuo figlio sia felice?
-anche un tossico è felice quando compra la droga, ma non significa che...
-sì, ma Antonio non si droga. È solo innamorato.
-innamorato di un uomo.
-e quindi? Mamma, pensavamo fosse morto. Morto, capisci? Non puoi abbracciare un morto, ma puoi abbracciare un uomo innamorato e vivo- la guardò -è tuo figlio. Non è cambiato niente. È solo innamorato, va bene? Ed è così felice che è contagioso, davvero- abbozzò un sorriso -non ho mai visto nessuno innamorato come quei due. Lovino è un bravo ragazzo, stanno avviando le pratiche per adottare una bambina adorabile e hanno fatto di tutto e di più per stare insieme.
-perché mi stai dicendo tutto questo? Lo sai che sono all'antica.
Il figlio tirò fuori un cartoncino dalla tasca e glielo passò -perché ti hanno invitato. Cioé Antonio non lo sa, è stata un'idea di Lovino, vuole fargli una sorpresa.
Isabella studiò l'invito, con gli occhi vacui. João intuì che avesse bisogno di pensare un po', per conto suo, così si alzò e la baciò sulla fronte.
-ciao mamãe. Chiamami per qualsiasi cosa, intesi?
Isabella annuì, sovrappensiero. Si rigirò il cartoncino tra le mani e sospirò.
Il suo bambino...

Lovino sbuffò -si può sapere che avete in mente voi due?
Eliza gli sorrise -una sorpresa.
-non mi piacciono le vostre sorprese.
-questa ti piacerà.
-se me lo dici con quel tono, ci credo poco.
-oh, avanti. Hai così poca fiducia in noi?
-sì.
-almeno sei onesto, fratellone.
Eliza aprì la porta di camera sua -su su, entra.
-perché in camera tua? Pensavo saremmo andati in quella di Feli.
Il ragazzo in questione andò all'armadio della ragazza e lo spalancò. Ci rovistò dentro per un po', ignorando le domande del fratello, e poi ne uscì sollevando con aria soddisfatta delle grucce con sopra dei vestiti e delle gonne.
-crossdressing!- esclamò, scrutando gli abiti alla ricerca del migliore per suo fratello.
Lovino sbuffò -quindi è questa la grande sorpresa? Un paio di gonne?
-no. È l'inizio. E, tanto per la cronaca, abbiamo anche trucchi e smalto.
-ah be'.
-non rompere i coglioni e mettiti questo- gli lanciò un vestito lungo fino a metà coscia, nero, tutto brillantinoso. Lovino inarcò un sopracciglio, studiandolo.
-adesso voglio sapere dove diavolo siete andati a prendere questo coso.
-le vie della moda sono infinite- Feliciano si sfilò la maglia e la lanciò sul letto, mettendosi un top rosso fuoco al suo posto -ora cambiati e non rompere.
-davanti a tutti?
Eliza roteò gli occhi -se vuoi mi giro, mr. Pudicizia. Feli, secondo te quale mi sta meglio?
Feliciano le lanciò un top viola e un paio di pantaloncini di jeans neri -stai bene con qualsiasi cosa, stronza.
-da che pulpito- si tolse anche lei la maglia, e Lovino si girò di scatto dall'altra parte.
-ma non avete la minima vergogna voi due?
Eliza sbuffò -ho il reggiseno, tranquillo.
-ci mancherebbe altro!
-ma dai, sono solo un paio di tette.
Lovino sbuffò e, rosso in faccia, si tolse la maglietta a sua volta, infilandosi il vestito in fretta e furia. Eliza fischiò.
-Antonio è possessivo, eh?
Si girò a guardarla male, poi notò che quella non si era ancora rivestita e riprese a fissare il muro.
-fatti i cazzi tuoi.
-ma che carino che sei, ti imbarazzi a vedermi in reggiseno.
-sono un gentiluomo. Ora rivestiti, grazie- si tolse anche i pantaloni e prese a sistemarsi il vestito, imprecando -questo coso è scomodo.
Feliciano fischiò -ma che figone che abbiamo qui! Tutti i gay bar del mondo rimpiangeranno la perdita di tale meraviglia, tra due giorni.
Lovino alzò gli occhi al cielo -idiota.
Eliza, finalmente vestita, gli avvolse un braccio intorno alle spalle, ridendo -e aspetta che lo trucchiamo! Sarà un gioiellino.
-perché ho accettato di fare questa roba?
Feliciano prese una borsetta dei trucchi e si sedette sul tappeto, aprendola e sistemando il contenuto in terra -su, vieni qui, non farti pregare.
-sia chiaro, quel che succede qui dentro rimane qui dentro- chiarì, obbedendo e scrutando i tubetti di smalto con aria curiosa. Va bene, ammettiamolo, si stava divertendo.
Eliza ridacchiò -ovvio. È il senso degli addii al celibato- da un cassetto della scrivania, estrasse due bottiglie di alcolici -e ovviamente non potevano mancare questi gioiellini. Direi che un brindisi alla Spamano ci vuole.
Lovino sbuffò -passo. Ho promesso ad Antonio che non mi sarei ubriacato.
-abbiamo il limoncello- cantilenò Feliciano, afferrando un bicchiere.
Lovino rimase in silenzio per qualche secondo, pensando. Poi sbuffò -dammi quella cazzo di bottiglia.

-allora...- Gilbert si sporse verso l'amico, con la terza birra della serata in mano. Ghignò -raccontaci la tua cara prima volta, eh? Vogliamo i dettagli.
Francis annuì -assolutamente.
Antonio ridacchiò, imbarazzato -niente di particolare, amigos.
-se fosse stato "niente di particolare" non avresti chiesto a Lovino di sposarti. Ammettilo, vecchio marpione, non aspetti altro che la luna di miele- si girò verso il fratellino, in un angolo a leggere -tu non ascoltare, anima pura.
Ludwig distolse lo sguardo dal suo libro per alzare gli occhi al cielo -non vi sto ascoltando. Sono qui solo per controllare che non beviate troppo.
Gilbert sbuffò -pronto? Sono tedesco! Avevo la birra al posto dell'alcool nel biberon!
-devo ricordarti l'ultimo Oktoberfest, bruder?
-avevo tredici anni.
-e hai vomitato per tre giorni.
Gilbert ghignò -però è stato divertente.
-è perché la pensi così che sono qui.
L'albino sbuffò e tornò a rivolgersi al futuro sposo -quindi? Com'è stato?
Antonio sospirò, con aria sognante, appoggiandosi al tavolo -è stato... wow.
-molto espansivo, non c'è che dire.
-dai, mon ami, non serve imbarazzarsi.
-non è una questione di imbarazzo. Solo... wow. Non saprei come altro descriverlo.
-ma che carino- Francis gli fece un buffetto sulla guancia, intenerito.
-almeno vuoi dirci chi è stato sopra e chi sotto o è segreto di stato?- sbuffò Gilbert.
Antonio aggrottò la fronte -intendi sopra o sotto o chi ha "dato"?- mimò le virgolette con le dita. Gilbert fischiò.
-non dirmi che Lovino è uno di quelli a cui piace stare sopra- scoppiò a ridere, finendo in un solo sorso la birra. Si asciugò le labbra con la manica della camicia -e comunque era ovvio che Lovino avesse "preso"- mimò le virgolette, in una muta presa in giro -dai, l'hanno capito anche i sassi.
Antonio sembrò pensarci su -in realtà abbiamo fatto un po' e un po'. A stare sopra intendo. Nel senso...- gesticolò un po', e trattenne una risata. Lovino lo stava condizionando un po' troppo. Sbuffò -avete capito. Non penso di dovervi spiegare la storia della cicogna, no?
-quella a Mia, semmai- ghignò Gilbert. Scoppiò a ridere nel vedere il pallore dell'amico.
-non se ne parla neanche- protestò -è una bambina!
-ma non lo sarà per sempre, mon ami.
-invece sì!
-sai che un giorno sarà un adulta, sì? Con tutto quel che ne consegue.
-no che non lo sarà. Rimarrà sempre una bambina.
-lo dicevo anch'io di Ludwig- sospirò Gilbert, indicando il fratello -e ora fa le porcate con il suo ragazzo senza dirmi nulla.
Il tedesco in questione guardò male il fratello -non faccio "le porcate" con Feli.
Antonio bevve dal suo bicchiere per non rispondere, con un sorrisetto. Gilbert guardò l'amico, poi il fratellino e poi di nuovo l'amico.
-aspetta, cos'è quella faccia?
Antonio si sforzò di non ridere -quale faccia?
L'albino lo indicò -quella faccia!- si girò verso il fratello -cosa diamine avete fatto tu e Feli e perché non ne so niente?!
Ludwig nascose il viso nel libro per non rispondere. Gilbert si girò verso il festeggiato.
-tu cosa cazzo ne sai?
Antonio alzò le spalle -Feli ha la lingua lunga. Come qualcuno qui dovrebbe sapere.
Ludwig sollevò lo sguardo dal libro -l'ha detto a te?
-quindi l'avete fatto! Fratello ingrato...
-l'ha detto a Lovi. Ma c'ero anch'io.
-non ci credo. Il mio fratellino è diventato un uomo e io non ne sapevo niente.
-non abbiamo fatto sesso!- sbuffò Ludwig, con le orecchie rosse -e se anche fosse non sono affari tuoi.
-sei mio fratello!
-possiamo parlarne dopo? In privato?
Gilbert gli puntò un dito contro -però voglio i dettagli.
-ma cosa te ne frega?
-voglio sapere come ha perso la verginità mio fratello!
-ma non l'ho persa!
Gilbert si girò verso lo spagnolo, che alzò le spalle.
-da quel che ha detto Feli è vero.
Ludwig sbuffò, brontolando qualcosa in tedesco.
-piano con le parole, sono tuo fratello- si girò verso i due amici, sbuffando -mio fratello ha fatto qualcosa più di un bacio sulla guancia con Feli. Ho bisogno di un'altra birra.
-guarda che è da un po' che sono andati oltre il bacio sulla guancia- gli ricordò Francis.
-non me lo ricordare. Me li ricordo piccoli così, che giocavano e disegnavano e Ludwig aveva un gay panic grosso come una casa...
-non stavate parlando dei vostri fidanzati?- commentò Ludwig, tornando a leggere. Gilbert sbuffò.
-non c'è più rispetto per gli adulti.
-con Eliza come va?- intervenne Francis, con il suo analcolico in mano ("ti sei appena ripreso, col cazzo che ti ubriachi" era l'unica cosa su cui Arthur e Antonio sembravano d'accordo. Era un passo in avanti).
Gilbert assunse un'espressione a dir poco sognante -benissimo! Lei è fantastica e la amo e non riesco a credere che mi ami anche lei e va tutto così bene che sembra un sogno e la amo.
Francis ridacchiò, sorridendo maliziosamente -qualcosa mi dice che i prossimi a sposarvi sarete voi.
-sposare quella dea? Magari! Ma temo che dovrò aspettare qualche anno.
Antonio aveva appoggiato il mento sulla sua mano, guardando nel vuoto appoggiato al bancone. Ridacchiò -secondo voi che stanno facendo?
Gilbert alzò le spalle -El non ha voluto dirmi niente.
-El?
-Eliza. Sto cercando un soprannome diverso, e ha detto che se la chiamo Elly non me la fa vedere per mesi.
Francis rise, finendo il suo bicchiere -è diretta.
-non sai quanto.
Come se la domanda di Antonio lo avesse richiamato, arrivò Kiku, di corsa. Raggiunse Ludwig e si piegò in due, con il fiatone.
-Feliciano-san... e... Lovino-san...- ansimò il giapponese, cercando di riprendere fiato. Con quelle tre parole riuscì a catturare completamente l'attenzione dei presenti, due in particolare.
Antonio afferrò per un braccio il ragazzo, bianco come un cencio.
-che cos'hanno?
Kiku non era decisamente abituato a correre -loro sono...- espiro -e anche Eliza-san...
-Eliza cosa?!- Gilbert finì in un solo sorso la sua birra e si alzò, rischiando di ribaltare la sua sedia -dove sono?
-in... camera di...  Eliza-san...- si sedette, senza fiato.
Neanche gli fecero finire la frase: corsero via, tutti e tre. Francis sbuffò.
-oh, andiamo! Non riesco a correre!

Antonio si aspettava di tutto. Bombe, morte, distruzione, aveva in testa tanti di quegli scenari post apocalittici che non deve sorprendervi la velocità a cui corse.
Se fosse stato più attento, si sarebbe accorto della musica che veniva dalla stanza della ragazza, una musica decisamente troppo allegra per fare da sfondo a una tragedia. E, se l'avesse notata, forse non sarebbe stato così stupito dello spettacolo che si ritrovò davanti. Cioé sì, ma magari un po' meno.
Perché di certo tutto si aspettava, meno vedere il suo fidanzato in piedi sul letto, affianco a suo fratello, con addosso un mini abito nero, a ballare con una bottiglia di vino in mano e un paio di occhiali da sole rosa in faccia.
Sgranò gli occhi.
Sono ubriachi. Questo voleva dire Kiku. Sono completamente ubriachi.
Il primo ad accorgersi di loro fu Feliciano, che sorrise, urlò qualcosa di incomprensibile e saltò giù dal letto, rischiando di cadere a terra. Saltò addosso al suo ragazzo, gettandogli le braccia al collo, e lo baciò senza troppi complimenti.
Lovino si chinò per raccogliere la bottiglia lasciata cadere dal fratello, ma barcollò troppo e cadde sul letto, con la faccia nel cuscino, brontolando qualcosa.
-amore!- strillò Feliciano, dritto nell'orecchio del tedesco, che intanto stava cercando di tenerlo in braccio senza far alzare troppo la gonna -amore, amore, come si dice "un gatto nel carbone" in tedesco?
-un... gatto nel carbone?
Antonio aiutò il suo ragazzo a rimettersi in piedi, visto che, con la faccia nel cuscino, temeva soffocasse. Lovino si coprì la faccia con le mani alla vista della luce, continuando, chissà perché, a muoversi a tempo con la musica.
"E amore accanto a te baby accanto a te io morirò da re-e-e"
-sì! Un gatto nel carbone!
-uhm... eine katze in der kohle...
Lovino scoppiò a ridere. Forte, quasi troppo, cadendo all'indietro nel letto e rotolandosi tra le coperte. Feliciano scoppiò a ridere a sua volta, scivolando a terra e appoggiando la schiena allo schienale del letto. I due continuarono a ridere come pazzi, Lovino prese persino a rotolarsi sulla schiena agitando le gambe in aria.
Ludwig sbatté le palpebre, confuso -ma cosa...- raccolse una bottiglia vuota da terra, inarcando un sopracciglio -Feli, si può sapere quanto hai bevuto?
Feliciano però era in terra, a rotolarsi dalle risate insieme al fratello.
Antonio notò in quel momento, una volta rinunciato a far mettere seduto il suo ragazzo, che Eliza era in piedi sulla scrivania, a ballare, mentre Gilbert cercava di convincerla a scendere. A una certa l'albino si, per dirla alla Lovino, ruppe i coglioni e la prese di peso, mettendosela in spalla tra le sue proteste.
Poi Lovino ebbe la fantastica idea di tentare una capriola all'indietro. Il che, come potete immaginare, con un vestito addosso non è una grande idea. Antonio lo prese in braccio e se lo mise in grembo, tenendolo fermo. Lovino si agitò, brontolando.
-vai via, maniaco- bofonchiò -sono fidanzato- liberò le mani e si indicò l'anello, con le guance così rosse che Antonio si trattenne dal baciargliele -vedi? Fi-dan-za-to.
Antonio trattenne un sorriso. Che carino che era Lovi, pure da ubriaco.
-lo so, Lovi- gli prese il viso tra le mani e gli fece posare la fronte contro la sua -sono Antonio. Te l'ho dato io quell'anello.
Lovino lo studiò per qualche secondo, con la fronte aggrottata.
Affianco a loro, Feliciano mormorò un -Luddi... penso di star per vomitare- che fece allarmare il suo ragazzo, il quale lo prese di peso e lo trascinò in bagno di corsa.
Lovino sembrò riconoscerlo -oh, sei tu- si appoggiò alla sua spalla, socchiudendo gli occhi. Parlava lentamente, incespicando sulle parole -meno male che sei arrivato, c'era un tizio che ci stava provando, ma gli ho detto che ero fidanzato.
Antonio rise, stringendolo forte -meno male che sono qui, allora.
Lovino annuì -è quello che ho detto- rimase in silenzio qualche secondo, poi sbuffò -ho sete...- mormorò, guardandosi attorno -Feli, dov'è il... dov'è Feli?
-è andato in bagno a vomitare- gli accarezzò la schiena, lentamente, senza scendere oltre.
Lovino rimase in silenzio qualche altro secondo, pensando. Poi allontanò da sé lo spagnolo e fece per togliersi il vestito -sbrigati, spogliati.
-ehi, ehi, no, Lovi, fermo- gli sistemò l'abito, prendendogli poi le mani -che fai?
-mi spoglio- rispose, come la cosa più naturale del mondo. La sua voce si fece urgente -sbrigati, prima che Feli ritorni!- si attaccò al suo collo, baciandolo mentre andava a sbottonargli la camicia -ti voglio. Ti voglio cazzo.
Antonio inspirò profondamente e lo allontanò da sé, sforzandosi di sorridere.
-no, Lovi. Sei ubriaco.
-e quindi?- gli occhi gli si inumidirono -non mi vuoi?
Se non mi fanno santo...
-certo che ti voglio- gli accarezzò il viso, sorridendo quando lui si appoggiò alla sua mano come un micio alla ricerca di coccole -ma sei ubriaco. Non posso fare l'amore con te se sei ubriaco.
Lovino si imbronciò e nascose il viso nell'incavo del suo collo, rannicchiandosi tra le sue braccia. Antonio si concesse un sospiro di sollievo, pensando si fosse calmato. Invece, Lovino tornò all'attacco.
-non vuoi fottermi?- gli sussurrò all'orecchio, infilandogli una mano sotto la maglietta. Gli morse il lobo, il suo alito sapeva fin troppo di alcool -non vuoi avermi? Non vuoi sentirmi mentre ti imploro di darmi piacere?- e, per rimarcare il concetto, gli gemette dritto nell'orecchio -Antonio... per favore...
Antonio si mise a recitare mentalmente delle preghiere per rimanere lucido e lo allontanò da sé.
-no.
Lovino si imbronciò.
-oh, dai, non fare quel faccino- gli accarezzò il viso, sorridendogli. Poi si sporse a sussurrargli all'orecchio -abbi solo un po' di pazienza, Lovi. L'attesa aumenta il desiderio- gli accarezzò la schiena, lentamente, facendolo rabbrividire, e poi continuò -vedrai che la prima notte di nozze sarà speciale.
-uhm...- socchiuse gli occhi, lasciandosi andare contro di lui. Sospirò, lasciandosi stringere, e piantò la fronte contro il suo petto. Sbuffò -smettila di girare.
-non sto girando, querido- gli accarezzò i capelli, piano.
-ah. Allora è il resto- avvolse le braccia intorno al suo busto, per impedirgli di allontanarsi, e gemette sotto voce -gira tutto. Fallo smettere.
-concentrati su di me- piantò una mano aperta sulla sua schiena, lasciandola lì -io sono fermo.
Lovino mugugnò qualcosa, stringendolo maggiormente.
Francis sbucò dalla porta -si può sapere cosa... ma dai, fanno crossdressing e non mi invitano? È un oltraggio!
Lovino brontolò qualcosa, coprendosi le orecchie.
Francis si sedette affianco all'amico e scrutò Lovino -quindi erano solo ubriachi. E io che mi ero preoccupato.
-non dirlo a me- baciò sulla fronte Lovino, che si era addormentato -adesso lo porto a letto.
-no, no, liebe stai fer...- un tonfo li fece girare. Gilbert era a terra, con Eliza addosso che rideva strusciandoglisi contro.
-daaaaaaaaai- la ragazza disse qualcosa in ungherese, poi si chinò a baciarlo, andando a sfilargli i pantaloni. Gilbert le prese le mani e gliele portò sui fianchi, allontanandola.
-no. Sei ubriaca.
-e vabbé- lo baciò di nuovo, ma Gilbert la sollevò e si rimise in piedi, riallacciandosi i pantaloni. Eliza si imbronciò -dai, amore.
-no. Vai a letto.
-se ci sei anche tu volentieri...
-no!
Eliza sbuffò -uffa- si rimise in piedi, barcollando, e si tolse la maglietta -dov'è il mio pigiama?
Gilbert le fece da scudo, per impedire ad altri di vederla -ferma- le rimise la maglietta -adesso lo cerchiamo.
-sei noioso.
-sono sobrio.
-appunto. Noioso- allacciò le braccia intorno al suo collo -mi prendi in braccio?
Gilbert obbedì, sbuffando. Si voltò verso i due amici -non avete visto nulla, vero?
Francis alzò le spalle -sono gay, mon ami. E Antonio è così impegnato a fissare Lovino che non penso si sia accorto della vostra presenza.
Lo spagnolo sollevò lo sguardo -cosa?
-appunto- si alzò in piedi -dai, andiamo. Feliciano dov'è?
-a vomitare.
-uh. Povero Ludwig.
Antonio prese in braccio il suo ragazzo a mo' di sposa, stringendolo forte, e si alzò in piedi. Lovino mugugnò qualcosa, ma restò saldamente ancorato nel mondo dei sogni.
-lo porto a dormire.
Gilbert rise -non è andata come ci aspettavamo, direi.
-non dovevate venire- brontolò Eliza contro il suo orecchio.
-e poi ero io quello da tenere d'occhio- sbuffò l'albino, baciando la sua ragazza sulla fronte. Quella mormorò qualcosa, lasciandosi andare contro la sua spalla -su, säufer¹, adesso ti mettiamo a letto.
-amo? Chi mi mette a letto? Tu e...?
-nessuno, küken². Io e te.
-uhm...- quella brontolò qualcosa, lasciandosi andare contro il suo ragazzo.
Francis afferrò una manica all'amico, tirandolo via dolcemente -dai, andiamo.
Antonio annuì, studiando il viso del suo ragazzo con un sorriso dolce.
Francis sospirò, con una risatina -mi fate mancare Arthùr con tutte queste smancerie.

1) Google dixit: ubriaco, ubriacona ecc
2) Yahoo answers dixit: pulcino. Non potevo non metterlo.

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Capitolo 49
*** Capitolo quarantotto ***


Hello! Buona Pasquetta!
This
Is
The penultimo capitolo
AAAA
Non sono pronta raga
Devo scrivere i ringraziamenti aiut
5700 parole
Vi lovvo

Lovino si svegliò affianco ad Antonio, che lo scrutava con un sorriso. Antonio che lo scrutava con un sorriso senza maglietta. Sgranò gli occhi.
-cosa... cosa abbiamo fatto?- mormorò, abbassando lo sguardo su di sé -per... perché ho un vestito?
-non abbiamo fatto niente- lo tranquillizzò quello, accarezzandogli i capelli -hai bevuto troppo, ti sei addormentato e ti ho riportato a letto- lo baciò sulla fronte -sul vestito... non ne ho idea, quando sono arrivato lo avevi già.
Lovino mugugnò, massaggiandosi le tempie e cercando di ricordare -ho mal di testa.
Antonio ridacchiò -non mi stupisce, amore- lo abbracciò, sospirando -mi sei mancato.
Lovino nascose il viso contro la sua spalla -anche tu- mormorò, con la testa che martellava.
Antonio gli accarezzò la schiena -però con questo vestito stai benissimo- lo baciò sulla guancia, sul collo e poi sulla spalla -sei bellissimo.
-lo so- gli accarezzò il petto con due dita, mordendosi il labbro -anche tu non sei male- lo baciò sulla clavicola.
Antonio lo strinse, cominciando a riempirlo di baci un po' ovunque dove il vestito non copriva, facendolo sorridere.
-non vedo l'ora che sia domani- mormorò contro la sua spalla.
Lovino prese ad accarezzargli i capelli, tenendoselo stretto.
-anch'io.
-ti amo- lo baciò sulla guancia.
-anch'io- e, cazzo, quanta voglia aveva di baciarlo sulle labbra, di farsi sbattere contro un muro e di fare l'amore con lui fino al giorno dopo, o direttamente per sempre.
Sospirò -se domani non ti salto addosso sull'altare sarà un miracolo.
Antonio ridacchiò -ricordati che c'è Mia. Non mi va di spiegarle la storia della cicogna.
-cazzo no. Non sono pronto e non penso lo sarò mai- rabbrividiva a pensarci. Si mise seduto, stropicciandosi gli occhi -che ore sono?
-circa le undici- lo abbracciò da dietro e lo baciò sul collo. Lovino sentì le mani prudere dalla voglia di saltargli addosso, ma si contenne -tu mi devi spiegare come fai a essere stupendo appena sveglio e con il trucco a puttane.
-trucco?- si sfiorò il viso e sbuffò -merda. Sembro un panda, vero?- se lo tolse di dosso con una scrollata di spalle non troppo gentile e si alzò -ho bisogno di una doccia.
-mhmh...- Antonio si sporse a osservarlo mentre cercava dei vestiti più comodi nell'armadio. Giusto quando fu praticamente al bagno si degnò di fargli notare che -querido, hai tutto il vestito sollevato.
Lovino alzò gli occhi al cielo e se lo sistemò -e ovviamente ti ci è voluta una vita a notarlo.
-ero impegnato a guardare il soffitto.
-il soffitto. Certo- se lo sfilò del tutto e glielo lanciò in faccia. Gli fece l'occhiolino prima di chiudersi in bagno. A chiave, tanto per rimarcare il concetto.
-non fare schifezze sul mio letto, pervertito!- e aprì l'acqua.
Antonio rise e si tolse il vestito dalla testa. Lo studiò per qualche secondo, poi si alzò e lo mise nell'armadio di Lovino, piegandolo con cura.
Non si sa mai.

Eliza aveva la testa che le stava scoppiando. Era almeno un quarto d'ora che non sollevava la fronte dal tavolo.
-devi mangiare, küken- ignorò il rimprovero di Gilbert, che aveva preso ad accarezzarle la schiena lentamente. Si rilassò un poco, e dopo un po' sospirò.
-se mangio vomito- gemette per una fitta di mal di testa -ho bisogno di un'aspirina. O un colpo in testa. Fai tu.
-appena arriva Tonio gli chiediamo, mh?
-mh.
-e comunque sono offeso con te.
La ragazza sbuffò, senza rispondere.
Gilbert rise, sottovoce -hai mandato mio fratello a controllare me, e ora sei tu quella con la sbornia.
-avevo detto a Kiku di venirci a controllare- ringhiò, nervosa -perché sapevo come sarebbe andata a finire. Quindi non rompere.
-ne riparliamo quando stai meglio, va bene?
Eliza sbuffò -come ti pare.
In quel momento arrivò Feliciano, fresco come una rosa.
-io ti odio- sbuffò la ragazza, mettendosi seduta e appoggiando la testa alla spalla del suo ragazzo -ma non stai neanche un po' male?
Feliciano le sorrise -sono cresciuto a pane e vino. La mia vita è un doposbronza costante.
-e ieri hai vomitato l'anima- aggiunse Ludwig, sedendoglisi accanto. Feliciano alzò le spalle.
-cos'è la vita senza un po' di vomito?- fece per baciare il suo ragazzo, ma quello si scostò, facendogli aggrottare la fronte -Luddi?
-ti avevo detto di non ubriacarti.
-scusa. Ora mi dai un bacio?
-no.
Feliciano fece per ribattere, ma venne interrotto dalla voce di suo fratello.
-prima o poi dobbiamo rifarlo- esordì Lovino. Feliciano ghignò, battendogli il cinque.
-ovvio.
-no- ribatté Ludwig.
Lovino lo studiò per qualche secondo, poi -la prossima volta però facciamo ubriacare anche lui. Lo dico per te, Feli.
-no.
-usate la birra- intervenne Gilbert.
-da che pulpito.
-che avete fatto voi?- intervenne Feliciano.
L'albino scrollò le spalle, continuando ad accarezzare la schiena della sua ragazza -niente di che. Due birre...
-quattro.
-...due chiacchere tra uomini... poi è arrivato Kiku.
Lovino guardò il fidanzato -se vuoi rifarlo per divertirti senza dovermi raccattare...
-no- lo baciò sulla guancia, sorridendo -vederti ballare con quel vestito è il miglior addio al celibato che potessi desiderare.
Lovino arrossì violentemente e bofonchiò un -in teoria non ci saremmo dovuti vedere.
Antonio alzò le spalle -e da quando in qua seguiamo le regole delle coppie normali?
Feliciano sgranò gli occhi -e che avete fatto voi due?
Antonio sollevò le mani -assolutamente niente. Si è addormentato, l'ho riportato in camera e ho dormito con lui in caso si fosse sentito male o cose simili. Tutto qui.
Feliciano non sembrava convinto. Né lui né il suo sopracciglio inarcato.
-pensi davvero che potrei farci qualcosa mentre è ubriaco?
-stamattina non è ubriaco.
Lovino lo guardò male -non abbiamo fatto nulla, cretino- si alzò -ho bisogno di un caffé- e andò a prenderselo, senza troppi complimenti.
Antonio sospirò con aria sognante, osservandolo mentre andava in cucina -lo amo...
-certo che lo ami. Altrimenti col cazzo che te lo lasciavo sposare- sbuffò Feliciano. Gilbert si ricordò qualcosa e indicò i due piccioncini davanti a lui.
-voi due piuttosto! Che avete fatto?
Ludwig lo guardò male -ha vomitato tutta la notte. Secondo te?
Feliciano tossicchiò -non tutta.
-per il resto hai dormito.
-sicuro?
-certo che sono sicuro. Non ero io quello ubriaco.
Feliciano aggrottò la fronte, poi scrollò le spalle -allora me lo sono sognato.
Ludwig sbuffò -colpa dell'alcool.
Feliciano si morse il labbro per non sorridere -sì sì... dell'alcool.
-non cambiare discorso e rispondi a tuo fratello!- intervenne Gilbert.
-non abbiamo fatto niente!
-non parlavo di ieri. In generale.
Ludwig arrossì -ti ho detto dopo!
Feliciano coprì il suo sorriso con la mano libera. Che carino Ludwig imbarazzato!
Dopo qualche minuto arrivò Romolo, con Mia sulle spalle.
-ave pater!- esclamò la bambina, soddisfatta di poter osservare tutti dall'alto.
-hola niña- quando Romolo la mise giù, lo spagnolo se la mise sulle gambe, abbracciandola -mi sei mancata tantissimo!- le disse, in spagnolo. Mia sorrise e gli stampò un bacio sulla guancia.
-¿donde esta papa Lovino?
-a farsi un caffé.
-ooh. Capito.
-sta imparando in fretta- notò Feliciano. Romolo tossicchiò.
-sì... ieri sera sono arrivati i risultati degli esami...
Mia scosse la maglia al padre -papa! Soy magica!
-davvero, tesoro?- le sorrise, stringendole le mani -e cosa sai fare?
-imparo tutto!
-ha una capacità di apprendimento più alta della media- spiegò Romolo -per questo sta imparando così in fretta lo spagnolo e l'italiano.
-sì! Sono magica!
Antonio rise, baciandola sulla fronte -sì amore.
Lovino arrivò con la sua tazzina di caffé -chi è magica?
-io! Lo ha detto nonno Roma.
Lovino alzò gli occhi al cielo, sistemando i capelli della figlia -ancora con quel nomignolo, nonno?
-non devo chiamarlo così, papà?
-chiamalo come vuoi, tesoro- si sedette al suo posto e sbuffò, finendo la tazzina in un sorso solo -però non fartelo imporre, mh?
-certo papà.
-brava.
Romolo ridacchiò -tutta sua padre.

Isabella osservava la facciata della chiesa sconsacrata, con l'invito stretto così tanto in mano che ormai era tutto stropicciato. Si guardò intorno, aveva bisogno di sedersi.
Sbuffo, ma che credeva di fare lì? Antonio non avrebbe di certo voluta vederla dopo così tanti anni, di sicuro non in un giorno così importante. Sospirò.
-signora? Tutto a posto?- si sentì tirare l'orlo del vestito e abbassò lo sguardo. Una bambina, tutta vestita di bianco, la scrutava con la testolina inclinata da un lato -signora? È qui per il matrimonio?
-io... uhm...
-Mia! Ti ho detto di non scappare!- un ragazzo uscì dalla chiesa di corsa, attraversò la strada e raggiunse la bimba, inginocchiandosi davanti a lei. Controllò che stesse bene, poi lo stato dell'abito bianco ricoperto di pizzo e infine dello chignon decorato con un cerchietto -stai bene?
-scusa zio Feli, ma questa signora sembrava in difficoltà, e papà dice che devo aiutare le persone in difficoltà.
Il ragazzo sospirò, stringendo la mano della bimba -sì, ma non devi scappare così- guardò Isabella, con un piccolo sorriso colpevole -mi scusi. Mia l'ha disturbata?
-no, no- a giudicare da... be', la situazione, non ci voleva un genio a capire che quel ragazzo venisse dal matrimonio. La donna strinse maggiormente l'invito -nessun disturbo. È una bambina adorabile.
-oh, be', non è merito mio, sono solo lo zio- spolverò il vestito della bambina, brontolando -se ti succede qualcosa, tuo padre mi ammazza...
-quale dei due?- chiese la piccola, inclinando il capo. Il ragazzo ci penso su, poi scrollò le spalle.
-entrambi- si rimise in piedi e tornò a rivolgersi a Isabella -ha bisogno di una mano per qualcosa o...
-no, io... uhm...- non lo sapeva neanche lei. Che bello.
-mamma!- João le corse incontro -alla fine sei venuta. Potevi dirmelo, ti avrei accompagnato.
Scosse la testa. In realtà non è che ci avesse pensato molto: aveva avuto bisogno di riflettere, così aveva preso un taxi -non importa.
-aspetta, è tua madre?- intervenne il ragazzo -quindi è la... oh. Ooooh.
Mia tirò la manica di zio João -è la mia abuela?
Quello annuì, con un piccolo sorriso -sì. Abuela Isabella.
-nonna!- lasciò la mano dell'altro zio per correre ad abbracciarla, anche se le braccia corte non riuscivano a circondare completamente la sua gonna. Isabella sgranò gli occhi e guardò il figlio, incerta. Poi ricambiò l'abbraccio, attenta a non rovinare il vestito.
Mia le sorrise -abuela, andiamo da papa? Ti va?
Annuì e abbozzò un sorriso -certo.

Mano a mano che si avvicinavano alla stanza dove si stava preparando lo sposo, Isabella si sentiva sempre più nervosa.
Avvicinandosi, sentì degli strilli non proprio mascolini e dignitosi provenire dalla stanza.
-ANTOINE SE TI TOCCHI ANCORA I CAPELLI GIURO CHE VAI ALL'ALTARE PELATO.
-FRAN NON MI STAI AIUTANDO.
-SONO COSÌ COMMOSSO. IL MIO MIGLIORE AMICO SI STA PER SPOSARE.
-GIL NON TI CI METTERE TI PREGO.
-NON INCORAGGIARLO, CHE SE SI METTE PURE A PIANGERE MI ROVINA ORE DI LAVORO.
Mia non sembrò per niente intimidita, né sorpresa. Lasciò la mano della neononna e corse dentro la stanza, trotterellando dal padre per fargli vedere quanto fosse bello il suo vestito.
-SCUSATE SE... oh, hola niña- la porta attutì le sue parole. Isabella trattenne il fiato.
Il ragazzo di prima, Feliciano, le rivolse un piccolo sorriso -entro anch'io, voi fate pure con comodo- ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle.
João strinse la mano alla madre -entriamo?
-non sono sicura sia stata una buona idea- mormorò -probabilmente mi odia.
João sembrava divertito -odiarti? Non penso sia fisicamente in grado di odiare qualcuno, tanto meno sua madre. E poi è stata colpa di papà, non tua.
-io non mi sono opposta. Avrei dovuto.
Quello scrollò le spalle -ora non importa. Sei qui, no?
Isabella annuì -sì- cercò di mantenere la calma -entriamo.
Nonostante lo avesse detto lei, fu il figlio ad aprire la porta. Isabella non riusciva a muoversi, figuriamoci a fare un atto tanto complesso come aprire una porta.
-chi è che... oh, ciao- Antonio sorrise al fratello -ti ci è voluta una vita a...
A metà frase quello si spostò, e ad Antonio si mozzo il fiato in gola. Le sue successive parole furono un sussurro -m-mamá?
Isabella annuì, tormentandosi l'orlo del vestito. Lo sapevo, è stata una pessima idea.
Poi si sentì investire da un abbraccio così forte da mozzarle il fiato, ancora, ma in modo completamente diverso. Le parole in spagnolo di suo figlio erano un fiume in piena dritto contro il suo orecchio, dette così veloce che non capì quasi niente, ma non importava.
Lo strinse, il suo bambino...
-scusami. Mi dispiace.
Antonio la guardò, scioccato, con gli occhi lucidi -di cosa?
Come di cosa? -di... di tutto.
-non è stata colpa tua, mamá- tornò ad abbracciarla, ancora più stretta -e ora sei qui. È questo che importa.
-papa!- Mia abbracciò le gambe del padre -quindi lei è la mia nonna?
Antonio rise e si separò dalla madre per prendere in braccio la figlia. Guardò la madre, esitando -chiedilo a lei, niña.
-posso?- chiese, con due occhioni così. Isabella sorrise, accarezzandole la guancia.
-certo.
-sì!
Visto che avevano parlato in spagnolo tutto il tempo, Gilbert diede una gomitata a Francis e sussurrò un -mi sembra di guardare una telenovelas.
-shh, non rovinare il momento- studiò lo sposo e roteò gli occhi -merde, il trucco è andato. Vabbé, in questo caso gliela perdono.
Ludwig diede una gomitata ai due, intimando loro di stare zitti. Antonio rise, asciugandosi le guance.
-scusa Fran.
Mia aggrottò la fronte -perché piangono tutti oggi?
-è l'emozione, picco...- si interruppe -aspetta, chi è che piange?
-papà- sembrava scocciata -è tutto il giorno che piange.
-cosa?!- fece per correre alla porta, ma Feliciano gli sbarrò la strada.
-fermo lì!
-Lovi sta male!
Feliciano alzò gli occhi al cielo -Lovino sta benissimo. È solo più emotivo del solito.
-devo andare da lui!
-no. C'è già il nonno- sembrò ancora più scocciato -quello stronzo gli ha fatto tutto un discorso... bah. Ore di lavoro buttate.
-ma...
-vado io- si rivolse al francese -hai mica del fard da prestarmi? L'ho finito.
Quello indicò il tavolo -trovi tutto lì, Felì.
-grazie- alzò gli occhi al cielo e sbuffò quello che non era esattamente un Ave Maria -se quel cretino si rimette a piangere lo stronco.
Antonio approfittò della sua distrazione per cercare di scappare (senza, per altro, sapere di preciso dove fosse il suo querido, ma in qualche modo se la sarebbe cavata), ma Mia gli tirò una ciocca di capelli per tenerlo fermo.
-no papa- disse, rimettendo a posto accuratamente la ciocca -non devi vedere papà.
-ma niña...
-no.
E, a quei due occhioni così severi, non riuscì a dire di no. Si sciolse in una risata, chiudendo la porta -scusa.
Mia sembrò soddisfatta -bravo papa.
-mi merito un bacino dalla mia pequeña?
Mia ci pensò su, poi gli diede un bacio sulla guancia -ecco.
-gracias.
Feliciano sembrò trovare quel che gli serviva -ah ah! Dovreste mettere un po' a posto qui.
Francis roteò gli occhi -dillo a lui- indicò Antonio -mai visto così nervoso.
-ehi! Mettiti nei miei panni.
Francis si girò verso il suo ragazzo, che per qualche inspiegabile ragione lo sposo aveva voluto lì (la ragione ufficiale era per tenere calmo Francis, quella completa era che lo spagnolo aveva supposto che Arthur non fosse proprio entusiasta all'idea di stare lontano da Francis troppo a lungo e capiva la sensazione), e gli fece l'occhiolino -ah, questo non dipende da me.
Arthur sollevò lo sguardo dal libro che stava leggendo, qualcosa su un dipinto -eh?
-ma mi ascolti quando parlo?
-certo, darling- e tornò a leggere, trattenendo un sorrisetto. Francis alzò gli occhi al cielo.
Feliciano batté le mani -bene, io vado- si mise in punta di piedi per baciare il suo ragazzo, e Isabella distolse istintivamente lo sguardo, stampò un bacio sulla guancia a Mia e puntò il pennello contro Antonio -renderò il tuo sposo così bello che ti cadrà la mascella, Carriedo, sappilo.
Antonio rise -ma lo è già. Non si può migliorare la perfezione.
-oh, che carino che sei. A dopo allora.
Il francese fece per tornare dallo sposo con i trucchi in mano, ma quello lo evitò e si avvicinò alla madre, che nel frattempo si era seduta sulla prima sedia disponibile. Posò Mia a terra e si inginocchiò davanti a Isabella, prendendole le mani.
-mamá... mi accompagneresti all'altare?- chiese, sottovoce. Isabella esitò, poi gli strinse le mani, forte.
-se lo vuoi... certo. Però rialzati, ti stai rovinando i pantaloni.
Antonio rise e la abbracciò, poi si rimise in piedi spettinandosi i capelli -madre de Dios, sono così nervoso...
Isabella gli prese di nuovo la mano -perché lo sei?
Antonio scrollò le spalle -lo... lo sono e basta credo.
-tu ami questo ragazzo?- quello annuì all'istante -e lui ama te?- annuì di nuovo. Isabella sorrise, lasciandogli la mano -e allora non devi preoccuparti, andrà bene. Il nervosisimo guasta il momento, meglio godersela e basta.
-è solo che...- sospirò, tormentandosi le mani -Lovi ne ha passate tante. E vorrei che almeno oggi sia tutto perfetto.
-lo sarà. Se vi amate davvero, lo sarà per forza.
Antonio ricambiò il sorriso, lasciò stare le sue stesse mani e sospirò profondamente -bene. Sono calmo.
-bravo. Vai a prepararti, su.
-va bene, mamá.

La chiesa era maestosa. Una cattedrale riccamente decorata, che la Restaurazione aveva dichiarato decaduta e fatto sconsacrare, quel giorno perfettamente illuminata e decorata di gigli e garofani rossi. A sposarli sarebbe stato un amico di vecchia data di Romolo, un prete simpatico che aveva accettato volentieri.
Per essere stato organizzato in poco tempo, era tutto perfetto.
Soprattutto, pensò Antonio, perché ad accompagnarlo all'altare era sua madre. Arrivati alla fine della navata la osservò per qualche secondo e le sorrise prima di vederla allontanarsi. Poi qualcun altro entrò, e il suo campo visivo si restrinse.
Lovino era bellissimo. No, è riduttivo. Era perfetto. Ancora riduttivo. Sembrava splendere di luce propria per quanto era meraviglioso. Non era solo il vestito grigio chiaro o i leggeri ritocchi fatti da Feliciano, era... era la luce che aveva negli occhi, la sicurezza del suo passo, le guance leggermente arrossate per l'imbarazzo dell'essere al centro dell'attenzione. Antonio registrò vagamente Romolo al braccio del suo fidanzato, quasi marito, praticamente si accorse di lui solo quando Lovino fu davanti a lui, e soltanto perché quello se ne uscì con -prenditi cura di mio nipote- prima di mollare il braccio di Lovino e lasciare che i due innamorati si potessero prendere la mano. Entrambe, tanto per essere sicuri di non venire separati. Antonio gli mimò con le labbra un "ti amo", prima che la cerimonia iniziasse.
-siamo qui oggi riuniti per...- smise di ascoltare. Non per cattiveria o noia, era semplicemente troppo concentrato su Lovino per accorgersi di qualsiasi altra cosa. Feliciano era stato bravissimo nel truccarlo, non c'era che dire. Ogni traccia di occhiaia, borsa o imperfezione, per quanto Lovino potesse averne, era completamente svanita, ma senza esagerare con il trucco. Notò un leggero strato di lucidalabbra sulla sua bocca, e non riuscì più a distogliere l'attenzione da lì. Le sue guance erano adorabilmente rosse mentre gli mimava con le labbra un "smettila di fissarmi", che però, anche senza il tono della voce, sembrava già molto poco convincente.
"Scusa" rispose, ma non smise di osservarlo. Se anche avesse voluto, e non voleva, non ci sarebbe riuscito comunque.
Puntò lo sguardo su qualcun altro solo quando Mia, con Cesare al fianco, portò loro un cuscinetto con sopra le due fedi. Lovino sorrise e si chinò all'altezza della bimba, stampandole un bacio sulla fronte.
-grazie, tesoro- le sussurrò, a tono così basso che solo Antonio riuscì a sentirlo. La bimba annuì, sorridente, porgendo gli anelli ai due papà, per poi tornare al suo posto felice di aver svolto bene il suo incarico.
Antonio prese il cerchietto d'oro un po' più piccolo, stringendo la mano di Lovino in attesa di metterglielo.
-vuoi tu...
-sì- rispose, di getto, senza pensarci, troppo felice, troppo impaziente per controllarsi. Il parroco si lasciò sfuggire una piccola risata.
-figliolo, capisco l'entusiasmo, ma lasciami almeno finire la frase.
Una risata collettiva scosse la chiesa. Antonio si sentì arrossire lievemente, ma il sorriso divertito di Lovino non aveva prezzo.
-scusi.
-figurati. Dicevo- si schiarì la voce -vuoi tu, Antonio Fernandez Carriedo, prendere il qui presente Lovino Romano Vargas come tuo legitimo sposo e amarlo e onorarlo tutti i giorni della tua vita, finché morte non vi separi?
-lo voglio- rispose, facendogli scorrere l'anello lungo la pelle, fino a lasciarlo lì, sull'anulare sinistro, lungo la vena che portava dritta al cuore -con tutto me stesso.
Lovino osservava l'anello, con le guance sempre più rosse. È mio marito realizzò Antonio, sorridendo sempre di più.
Il prete continuò -e vuoi tu, Lovino Romano Vargas, prendere il qui presente Antonio Fernandez Carriedo come tuo legitimo sposo e amarlo e onorarlo tutti i giorni della tua vita, finché morte non vi separi?
Lovino si sentiva sul punto di svenire. L'unico motivo per cui non cadde a terra fu perché si aggrappò agli occhi di Antonio, troppo innamorati e fiduciosi per dargli una possibilità di fallire, e all'anello che ora svettava sul suo dito. Espirò -lo voglio. Per sempre.
E anche il secondo anello fu collegato al cuore. Antonio aumentò il suo sorriso e tornò a stringere entrambe le mani di Lovino. Sono suo marito.
-vi dichiaro sposati. Potete baciarvi.
Neanche gli diedero il tempo di finire la frase che erano già alla ricerca l'uno dell'altro. Quelle due bocche non si erano parlate per troppo tempo, avevano tante cose da raccontarsi, non trovate? E ora era ufficiale: si sarebbero incontrate per sempre, nel bene e nel male. E, tra gli anelli e le labbra, entrambi sentirono il legame tra loro rinforzarsi, crescere, e qualcosa, un filo che divenne una catena, unirli nel modo più bello del mondo.
Isabella questa volta non distolse lo sguardo; non le fu proprio possibile farlo. Quei due erano così felici, così innamorati e così fieri del loro amore, che nessuno lì sarebbe riuscito a guardare qualcosa di diverso, perché lì dentro non c'era nulla di più luminoso di loro.
E, in fondo, che vergogna poteva esserci in tutto quello?

Lovino entrò in macchina ridendo, con la mano stretta a quella di suo marito e Mia affianco. Mio marito. Mio marito. Mio marito. Dio...
-non ci credo- si lasciò abbracciare e dovette aspettare di avere la bocca libera per poter continuare -l'abbiamo fatto davvero- rise ancora. Tutto il nervosismo, l'emozione... tutto sciolto in una risata. Antonio lo baciò di nuovo prima di rispondere.
-sì. L'abbiamo fatto davvero.
Lovino se lo tirò contro per baciarlo -ti amo.
Antonio sorrise contro le sue labbra e lo baciò di nuovo -anche io.
Mia prese il suo libro dalla borsa che avevano lasciato lì e si mise a leggere accarezzando il gatto, ignorando i due papà che amoreggiavano in un angolo.
Antonio nascose il viso nell'incavo del collo del suo sposo, abbracciandolo. Sospirò contro la sua pelle -mi piace questo profumo.
Lovino si mise ad accarezzargli i capelli distrattamente, mentre Gilbert alla guida faceva partire la macchina con un sorrisino.
-l'ha scelto Feli.
-mhmh- lo baciò sulla mandibola -mi piace, ti si addice.
Lovino lo ammonì con lo sguardo, della serie "tieni a posto le mani". Lo spagnolo gli sorrise innocentemente e lo baciò di nuovo, stringendogli la mano con l'anello e meravigliandosi di quanto quel piccolo cerchietto stesse bene a suo marito.
Se è questa la felicità, non voglio che finisca mai.

Peccato che finì. Il viaggio, intendo. Però erano arrivati al posto dove si mangiava, quindi Lovino si sarebbe accontentato. Ovviamente lui si era occupato del menù, aiutato in parte da suo fratello.
A proposito... non appena mise piede giù dalla macchina venne investito dal suddetto fratello, in lacrime.
-Lovi! È stata una cosa bellissima!
Lovino rise e gli diede qualche pacca sulla spalla -su, su. Ho fame.
-fratellone!
-poi sono io il piagnone- però ricambiò l'abbraccio. Si sentì tirare per la manica.
-papà, perché zio Feli piange?
-chiedilo a lui.
-zio Feli, perché piangi?
Feliciano si allontanò dal fratello e si asciugò gli occhi, chinandosi a guardare la bimba con una risatina -è che Lovi ormai è grande. Fa strano.
Mia inclinò la testolina, poi scrollò le spalle -bah, i grandi sono strani- afferrò la mano del padre -andiamo, papà? Ho fame.
-certo tesoro. Antonio dov'è...- stava per dire "finito", ma notò che il nonno l'aveva preso da parte e gli stava parlando sottovoce. Sospirò, scuotendo la testa divertito -andiamo prima noi.
-e papa?
-ci raggiunge dopo, piccola. Ora ha da fare.
Mia scrollò le spalle e seguì il padre all'interno dell'edificio, fino alla sala da pranzo.
Lovino incrociò lo sguardo di Isabella e rabbrividì. Porca merda devo incontrare la suocera. Aveva visto che aveva accompagnato Antonio, quindi doveva averli accettati, o non sarebbe venuta. Minchia che ansia. Io e le mie idee di merda.
Però Antonio era così contento di averla lì...
A proposito del bastardo, si sentì afferrare la mano, e delle dita conosciute intrecciarsi alle sue.
-eccomi- lo baciò sulla guancia. Stronzo, basta farmi arrossire -andiamo?
Gli strinse la mano e gli rivolse un piccolo sorriso -andiamo.

Lovino si era stancato di essere al centro dell'attenzione. Ma quello era il loro matrimonio, la loro giornata, quindi era naturale che avessero gli occhi di tutti puntati addosso.
La musica per il lento l'aveva scelta Antonio. Una vecchia canzone spagnola, Bésame mucho. Lovino non sapeva lo spagnolo, ma non ci voleva un genio a capirne il significato. C'era anche una versione inglese da quel che aveva capito, ma Antonio aveva preferito scegliere l'originale.
Si lasciò condurre al centro della sala, con le guance fin troppo bollenti. Antonio gli strinse la mano, baciandolo sulle labbra prima di iniziare le danze.
Non si erano preparati una coreografia. Avevano fatto alcune prove nella loro vecchia casa, ma sempre improvvisando. Si fidavano troppo l'uno dell'altro per credere che quello avrebbe fatto un passo falso, quindi non avevano sentito il bisogno di organizzarsi.
Antonio lo spinse leggermente indietro, e insieme scivolarono sulla pista, girando e rigirando l'uno tra le braccia dell'altro.

 

Bésame,
Bésame mucho
Como si fuera esta noche la última vez
Bésame, bésame mucho
Que tengo miedo perderte, perderte después
Quiero tenerte muy cerca,
Mirarme en tus ojos,
Verte junto a mí
Piensa que tal vez mañana
Yo estaré muy lejos,
Muy lejos de ti

 

Lovino sentì una lacrima scivolargli sulla guancia e sorrise, posando la fronte contro la spalla di suo marito per non farsi vedere mentre piangeva. Antonio sembrò capire e gli stampò un bacio sulla guancia, dolcemente, asciugando la lacrima nel modo più dolce possibile.
-te amo- gli sussurrò. Lovino si lasciò scappare una risata. Troppe, troppe emozioni tutte insieme. Gli gettò le braccia al collo, fregandosene del ballo e della posizione che avrebbe dovuto tenere, e lo strinse forte al centro della pista. Erano circondati da altre persone tutte intente a fissarli, ma a Lovino non poteva fottere di meno, non quando Antonio lo stringeva forte tra le braccia e gli sussurrava le parole della canzone dritte contro l'orecchio.
-bésame, bésame mucho. Como si fuera esta noche la última vez. Bésame, bésame mucho, que tengo miedo perderte, perderte outra vez...
Lovino girò la testa per guardarlo in faccia e se lo ritrovò a un respiro di distanza, facendogli scappare un sorriso. Antonio smise di cantare solo per baciarlo, mentre continuavano a dondolarsi a tempo della musica.
-ti amo- gli disse Lovino, lasciandosi baciare. Lo spagnolo gli accarezzò una guancia, due lacrime scapparono dai suoi occhi verdi e una risata gli uscì dalle labbra.
-sono così felice, querido- si lasciò asciugare le guance, stringendo il suo sposo ancora più forte tra le braccia -sono così... così tanto felice- lo baciò -ti amo- altro bacio -ti amo- bacio -ti amo.
Il ragazzo posò la fronte contro la sua -anch'io- lo baciò. Sorrise -per sempre...


Antonio osservava la sala da pranzo, con suo fratello affianco.
-di che mi volevi parlare?- João si appoggiò al muro, osservandolo.
Antonio si morse il labbro -secondo te mamá... sì insomma, come l'ha presa?
João scrollò le spalle -bene? Sta parlando con il tuo ragazz... tuo marito da almeno un quarto d'ora e non si sono saltati alla gola. L'ho vista persino ridere, insomma... penso si stiano simpatici.
-e... nel senso... pensi che non le pesi che Lovino sia... be', un maschio?
João abbozzò un sorriso -non mi sembra che la stia prendendo male.
Antonio sospirò, passandosi una mano tra i capelli nervosamente -solo... sono così felice cazzo. Non sembra vero.
-e invece lo è, guarda un po'.
Antonio rimase in silenzio per un po'. Abbozzò un sorriso -te l'ha chiesto Lovi, vero? Solo a lui avevo detto che avrei voluto che venisse mamá.
João annuì -già. Ci avevo pensato, ma non sapevo se tu lo volessi. Poi me l'ha chiesto direttamente Lovino, quindi...
Antonio sospirò, sognante e un po' stupito -è proprio perfetto.
João alzò gli occhi al cielo, divertito -sei proprio perso.
-non sai quanto- si staccò dalla parete, con lo sguardo puntato su suo marito, suo marito, che stava dicendo qualcosa con Mia in braccio -scusa un secondo- e andò verso di loro, ignorando la risata del suo gemello.
Lovino non si accorse di lui finché non sentì due braccia circondargli le spalle e una testa riccioluta posarsi sulla sua giacca -hola.
-ciao- istintivamente allungò una mano per accarezzargli i capelli, mentre Mia stampava un bacio sulla guancia del padre ridendo.
-papa!
-tesoro, ciao- si rivolse alla madre -posso rubarvelo un secondo?- indicò Lovino con un cenno della testa, facendogli alzare gli occhi al cielo. Isabella scrollò le spalle, con un sorriso rilassato sul viso invecchiato.
-è tuo marito ora. Non devi chiedere di certo il permesso a me.
È mio marito. Se è un sogno non svegliatemi.
-papa!- si lamentò Mia -puoi, però dopo balliamo insieme io e te.
-certo, niña- le strinse la manina per suggellare la promessa e la sollevò dal grembo di Lovino, posandola sulla sedia affianco a nonna Isabella. Prese la mano di Lovino e lo guidò fuori, sulla terrazza che dava sul mare.
L'italiano si appoggiò al parapetto, scrutando l'orizzonte. Era così bello, illuminato leggermente dalla luce della luna e con la brezza che gli spettinava i capelli, che ad Antonio ci volle qualche secondo per distogliere lo sguardo.
-quindi?- riattirò così la sua attenzione, l'italiano, con una semplice domanda -che volevi dirmi?
Antonio si riscosse dal suo sogno ad occhi aperti per abbracciarlo da dietro, le mani sui suoi fianchi e la testa sulla sua spalla. Lo baciò sul collo -niente. È solo che in teoria questa giornata è per noi due, e non siamo ancora riusciti a stare un po' da soli.
Lovino gli prese una mano, quella con l'anello, e la strinse tra le sue, studiandola con fare pensieroso. Antonio lo baciò sulla guancia, era adorabile con quell'espressione. Sospirò.
-non hai tutti i torti- si girò tra le sue braccia, posando la fronte contro la sua. Sorrise, rise, lo spettacolo più bello e unico del mondo, e poi lo baciò, posando una mano sulla sua guancia più per abitudine che per paura di vederlo andare via. Lo baciò a stampo -ti amo- altro bacio. E un altro e un altro e un altro ancora. E un altro e un altro e un altro e...
Antonio questa volta lo trattenne, baciandolo più a lungo contro il parapetto. Lovino rise contro le sue labbra, lasciandosi andare al suo tocco e premendosi contro di lui. Mi sei mancato anche tu.
-aspetta la notte, bastardo- gli sussurrò, con aria maliziosa e due occhi luminosi come due piccoli soli. Lo baciò sulla guancia -il nonno ha detto che stasera ci tiene Mia.
Antonio brontolò qualcosa e nascose il viso nell'incavo della sua spalla, facendogli il solletico con il suo fiato. Lovino riprese ad accarezzargli i capelli, lentamente, ridacchiando a mezza voce.
-appena arriviamo a casa, posso saltarti addosso?- chiese, perché in fondo era un gran signore. Lovino ridacchiò, lasciando che le mani di suo marito si spostassero dai suoi fianchi a un punto un po' più indietro.
-non vedo l'ora- rispose, socchiudendo gli occhi quando quello scese a baciarlo sul collo. Espirò -non lasciare...
-lo so- lo sentì ridere -per quanto mi piaccia vederti ricoperto di segni, miei segni, lo so.
-ho la fede adesso- notò Lovino, sollevando la mano e osservando l'anello scintillare alla luce della luna. Abbozzò un sorriso -non serve marchiarmi a vita.
-lo so. È pura soddisfazione personale.
-sadico.
-ti amo anch'io.
-baciami, idiota.
E lì, stretto tra le braccia dell'amore della sua vita, con due anelli nuovi al dito e la loro bimba ad attenderli, Lovino si disse che quello forse era l'inizio di qualcosa di nuovo. Una nuova vita, lontano da tutte le cose brutte del passato, passata stringendo forte quelle vecchie e coccolando quelle nuove, e avrebbe decisamente mentito se avesse detto di non essere impaziente di vedere dove sarebbero andati a finire.
Tanto, se c'era Antonio, di sicuro sarebbe andato tutto bene.

Forse vi aspettate qualche epilogo strappalacrime. Per voi non ho nulla del genere.
Perciò mi riferisco ai destinatari veri di questo libro. Non me ne vogliate, ma neanche vi conosco, cosa volete che vi dedichi?
Andiamo in ordine di età.
Nonno, grazie, per tutto. Non te lo dico spesso, ma lo sai che ti voglio bene (ma se tiri di nuovo fuori quelle foto le brucio).
Antonio... non penso di doverlo specificare ancora, mi sono rotto i coglioni da solo a ripeterlo di continuo, ma ti amo.
(E sì, so benissimo che hai nascosto quel vestito nel mio armadio. Se mi gira un giorno di questi lo riesumo, preparati)
Cosa? Andiamo, non posso restare dolce e romantico troppo a lungo, mi cascano i coglioni sennò. E poi quel vestito mi stava oggettivamente troppo bene
Feli... mamma è fiera di te, lo sai, vero? Se te ne dimenticherai, chiamami e te lo ricorderò io.
(E ti ricorderò anche che se quel crucco ti tocca in maniera inopportuna è un uomo morto)
Mia, tesoro mio... non so se sarò un bravo padre. Mi sa di no, non so neanche badare a me stesso. Però siamo in due, no? E ora che siamo in tre è tutto più bello. Fai la brava, mangia tante verdure eccetera eccetera (cos'è che dicono i genitori di solito?)
Quindi... sì. Questa è la fine del mio sfogo, ma non della mia vita.
No, non dirò "è solo l'inizio". È cringe, mi rifiuto.
Però è un... punto di partenza. Sì. Punto di partenza, suona meno frase fatta (credo).
E... be', come punto di partenza è proprio bello, non trovate?
Passo e chiudo.
Fate i bravi e non mettete l'ananas sulla pizza.
Lovino Romano Vargas.

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Capitolo 50
*** Epilogo ***


Tema di italiano. Descrivi la tua famiglia in meno di 800 parole.

La mia famiglia è davvero strana, sapete?
Intanto ho due papà e nessuna mamma. Potrà sembrare la cosa più strana, invece è la più normale tra tutto il resto.
Papà Lovino fa il prof, insegna italiano e latino e a volte anche filosofia a quelli più grandi. Ma ha iniziato da poco, prima lavorava in una biblioteca, quindi è solo un supplente per ora, perché ha dovuto laurearsi e tutto il resto. Ha anche scritto un libro che ha avuto tanto successo, forse l'avete letto, e ora ne sta scrivendo un altro. A prima vista può sembrare quello più antipatico, ma è una cosa stupida, perché in realtà è il più dolce, mi spiega sempre tante cose e mi riempe sempre di bacini e di libri bellissimi.
Papà Antonio fa il dottore, aiuta le persone che stanno male a guarire. È sempre sorridente e spesso fa regali a me e a papà senza motivo, perché dice che gli piace vederci felici. Prima faceva il dottore normale, poi ha preso una specializazzione e ora fa il chirurgo, però non parla spesso del suo lavoro (papà Lovino si impressiona). I miei papà si amano tantissimissimo, sperò di trovare un amore come il loro un giorno.
Ho un fratellino di nome Cesare. In realtà è il nostro gatto, ma per me è come un fratello. Litiga spesso con papà Antonio perché sono gelosi di papà Lovino, sono buffi.
Poi c'è nonno Roma. Non si chiama veramente così, si chiama Romolo, però papà Lovino da piccolo lo chiamava così ed è rimasto come soprannome. In realtà Romolo è il mio bisnonno, però lo chiamo nonno per far prima. Ha cresciuto lui papà e zio Feli, perché la loro mamma era morta e il loro papà non c'era. È sempre affettuoso con me e mi insegna sempre tante cose sull'antica Roma.
Zio Feli è il fratello più piccolo di papà Lovino e fa l'artista. I suoi quadri hanno un sacco di successo, ora è in viaggio per delle esposizioni. Zio Feli è sempre allegro e mi riempe di caramelle, per Navidad mi ha regalato un set di matite bellissimo! È fidanzato con zio Ludwig, che invece è sempre serio ma in fondo è buono come il pane e mi aiuta sempre in matematica quando glielo chiedo. Il fratello di zio Ludwig è zio Gilbert, che è un casinista ma è tanto simpatico e mi quando ero piccola mi dava i dolcetti di nascosto quando i papà non guardavano. Zio Gilbert e zio Francis non sono i miei veri zii, sono i migliori amici di papà Antonio, però è come se fossero degli zii. Zio Gilbert sta è fidanzato con zia Eliza, che è superforte. Ha una palestra dove insegna a combattere e tutte quelle cose fighissime e mi dà lezioni gratis quando voglio! A papà Lovino però non piace che faccia quelle cose, perché dice che mi faccio male. Zio Francis invece è uno stilista, ogni tanto mi regala dei vestiti stupendi fatti da lui. È fidanzato con zio Arthur (anche se a papa non piace che lo chiami zio) e litigano sempre, ma si amano quasi quanto si amano i miei papà (loro si amano più di tutti!)
Poi ci sono zio João e nonna Isabella, il fratello e la mamma di papà Antonio.
Zio João è sempre tranquillo, non sembra vero che sia il gemello di papà. Però lo vedo poco, perché viaggia tanto per lavoro, ma quando torna mi porta sempre dei regali strani dai posti che visita ed è super interessante.
Invece nonna Isabella la vedo spesso, quando entrambi i papà devono lavorare mi lasciano da lei o da nonno Romolo, e lei mi cucina sempre tante cose buone (anche se papà Lovino rimane il migliore a cucinare).
Due giorni fa abbiamo rivisto il video del matrimonio di papà e papà, dove ho conosciuto nonna Isabella per la prima volta. Non so perché, ma mi sono commossa. I papà quindi mi hanno abbracciata e poi papà Lovino mi ha fatto la cioccolata. I miei papà mi abbracciano sempre, papà Lovino dice sempre che l'unica differenza tra papà Antonio e un polpo è che il polpo ha otto tentacoli ed è più carino, ma in fondo anche lui è molto coccolone.
So di essere fortunata, ho due papà fantastici che mi vogliono un mondo di bene e mi abbracciano sempre se ne ho bisogno e sono sempre lì per me, e ho una famiglia grande che mi riempe di coccole e giocattoli. Proprio non capisco perché sia considerata una famiglia strana, ci vogliamo bene e basta, cosa c'è di strano?

Mia uscì da scuola con lo zaino in spalla, chiaccherando con una sua compagna di classe. Quella le strinse la mano.
-stai bene? Mi sembri triste.
-no, è solo che è il mio compleanno e papa è a lavoro fino a tardi...
-oh... se vuoi puoi venire da me. Chiedo a mia madre.
Mia sorrise e le stampò un bacio sulla guancia -certo! Dopo chiedo a papà- le stampò un altro bacio -grazi... papa!- vide Antonio aspettarla fuori dal cortile e salutarla con la mano. Si girò verso l'amica -ti chiamo dopo, va bene?
-certo- con le guance rosse la baciò sulla guancia -ecco... tanti auguri Mia.
Mia si sentì avvampare -uhm... grazie...- arretrò e si girò per correre dal padre, fiondandosi tra le sue braccia spalancate -papa! Pensavo fossi a lavoro!
-ho preso un permesso, niña- la strinse forte, facendola ridere -mica tutti i giorni la mia bambina compie undici anni. Non potevo perdermi una giornata così importante, no?
Mia lo baciò sulla guancia -grazie papa!- si guardò intorno -e papà? Dov'è?
-a casa- le fece l'occhiolino -qualcuno doveva pur pensare al pranzo, no?
Mia si illuminò -lasagne e pizza?
-non dovrei dirti nulla ma...
-sì!- salì in macchina, dietro perché non era ancora abbastanza alta per stare davanti, e tirò fuori dallo zaino un pacchettino con attaccato un biglietto a forma di cuore. Antonio la osservò dal finestrino e inarcò un sopracciglio, mettendo in moto -e quello chi te l'ha dato.
-una mia amica- mormorò, nascondendo il pacchetto nella tasca della giacca.
-quella di prima?- la bambina annuì -oooh. È la tua ragazza?
Mia arrossì fino alla punta delle orecchie -no!
-sicura? Mi sembravate molto...
-siamo solo amiche!
-lo diceva anche Lovino, e ora...
-concentrati a guidare- brontolò Mia, nascondendo il viso rosso dietro la cartella. Antonio abbozzò un sorriso, tutta suo padre.
Arrivati a casa, Mia scese dalla macchina non appena quella si fu fermata e corse dentro, aprendo la porta con le sue chiavi e sentendo il profumo del ragù invaderle le narici. Corse in cucina.
-eccola la mia bambina- Lovino venne investito dall'abbraccio di un tornado e rise, ricambiando la stretta -tanti auguri tesoro.
-grazie papà!
-e io non esisto?
-zio Feli!- Mia corse ad abbracciare anche lui -pensavo fossi ancora in giro!
-sono tornato ieri- le spettinò i capelli -non potevo perdermi il compleanno della mia nipotina preferita.
-c'è anche zio Ludwig?
-è ancora a lavoro, dovrebbe arrivare tra poco.
Lovino roteò gli occhi, ormai s'era rassegnato a "zio" Ludwig. Si sentì abbracciare da dietro e abbozzò un sorriso, il bastardo era sempre il solito. Sentì un bacio sulla guancia -hola.
-ciao- si lasciò baciare. Fece per dire qualcosa, ma suonarono al campanello. Sbuffò -così puntuale è di sicuro uno dei due crucchi.
-magari è Francis- suggerì Feliciano, mentre Mia andava ad aprire.
-hai mai visto Francis arrivare puntuale?
Feliciano non rispose. Mia posò lo zaino per terra e uscì dalla cucina, andando ad aprire la porta.
-controlla chi è- le ricordò Lovino -e dopo porta lo zaino in camera tua!
-sì sì- Antonio approfittò dell'assenza della figlia per far girare Lovino e baciarlo contro il mobile della cucina, schiudendogli le labbra senza troppi complimenti. Sentì Feliciano ridacchiare alle sue spalle, ma non ci diede peso, non quando aveva una mano di Lovino tra i capelli e Lovino stesso tra le braccia. Fu però lui a interrompere quella breve distrazione, posandogli una mano sulla bocca.
-dopo- promise. Antonio annuì, baciandogli il palmo.
Un'incintissima Eliza sbucò dalla porta -interrompo qualcosa?
-Eliza!- Feliciano corse ad abbracciarla, stando attento alla pancia -ma dai, me ne vado qualche mese e metti su così tanto peso?- scherzò, ma la donna lo ammonì con lo sguardo.
-non me ne parlare guarda. Questi due sono come il padre: non riescono a stare fermi un attimo.
-due?!- Feliciano sgranò gli occhi -sono gemelli?
-a quanto pare- indicò Antonio con un cenno del mento -è lui il dottore che mi sta seguendo. Dev'essere la maledizione dei Carriedo.
Gilbert sbucò dal corridoio -liebe, vieni a sederti.
Eliza alzò gli occhi al cielo -sono incinta, Gilbert, non ho perso le gambe.
-non devi affaticarti...
-stare in piedi non è una gran fatica.
-ma...
L'occhiata perentoria della sua dolce metà zittì l'albino meglio di qualsiasi altra cosa. Eliza sorrise e gli stampò un bacio -bravo. Così ti voglio.
Gilbert brontolò qualcosa -almeno dammi la giacca. Te la metto a posto io.
Quella sbuffò e lo lasciò fare -rompicoglioni.
-ti amo anch'io- le stampò un bacio sulla guancia e tornò in ingresso. Eliza sbuffò di nuovo.
-è da quando gli ho detto che ero incinta che mi tratta come se fossi di porcellana- brontolò -se non fosse il padre dei miei figli lo avrei già fatto fuori mentre dormiva.
-Mia dov'è?- intervenne Lovino, scrutando l'ingresso dalla porta aperta alla ricerca della figlia.
-ha detto che doveva chiamare non so che sua amica ed è corsa via.
Antonio schioccò le dita -quelle due si metteranno insieme, lo so.
-ma va? Sono settimane che flirtano.
-e non mi hai detto nulla?
Lovino roteò gli occhi -sei un bastardo geloso- lo allontanò da sé, ignorando le sue proteste -ora fuori dai coglioni, devo finire di cucinare.
-hai mica del gelato?- intervenne Eliza.
-del... gelato? Ma è dicembre.
-e io sono incinta. Si chiamano voglie.
-ieri notte sono dovuto andare a prenderle del sushi- intervenne Gilbert.
-è colpa tua se sono così- ringhiò Eliza -mi pare il minimo.
Gilbert la abbracciò da dietro, allacciando le mani sul pancione. La baciò sulla guancia -hai ragione amore. L'ho fatto volentieri.
Eliza sospirò, appoggiandosi a lui.
-odio gli sbalzi d'umore- si lamentò -sono troppo sensibile, mi arrabbio di continuo e cambio idea ogni cinque minuti- stampò un bacio al compagno -non so come tu faccia a sopportarmi.
Gilbert la baciò di nuovo -è perché ti amo- le accarezzò la pancia -e perché già amo questi due piccolini, anche se ancora non sono nati.
Eliza aveva due occhi sognanti.
-più o meno è come Lovino ogni giorno- commentò Antonio, divertito. Gli arrivò un coppino dritto sulla nuca -ahio.
-stronzo.
-scusa amore.
-stanotte dormi sul divano.
-dai, scherzavo.
-io no.
-ma querido...
-ho detto tutti fuori dai coglioni. Tranne Feli, lui mi serve- la sua espressione si addolcì -Eliza, guarda pure nel frigo se c'è qualcosa che ti va.
-vedi? Questo è un gentiluomo- si allontanò da Gilbert e andò verso il frigo, spalancandolo senza troppi complimenti.
Suonarono di nuovo al campanello. Feliciano si illuminò -forse è Luddi. Vado io- e, senza aspettare una risposta, corse ad aprire. Lovino sbuffò.
-ho detto che ho bisogno di una mano qui.
-ti aiuto io- si offrì Antonio, con un sorriso sornione.
-tu fai cagare in cucina.
-la mia paella è buonssima.
-grazie al cazzo, sai fare solo quella- gli puntò contro il mestolo -apri il forno e controlla a che punto sono le lasagne.
-agli ordini!
-amore...- chiamò Eliza.
-dimmi, küken.
-credo di star per vomitare.
Gilbert impallidì e la accompagnò di corsa al bagno.
Il gridolino di Feliciano lasciò intuire che sì, si trattava del suo ragazzo. Lovino sbuffò -perfetto, adesso non si staccheranno più.
-ci sono io a darti una mano.
-continuo ad avercela con te.
-daaaaai- gli fece due occhioni così, ai quali Lovino distolse lo sguardo, indicando l'enorme pila di pentole sporche nel lavandino.
-pulisci. Poi forse valuterò il tuo perdono.
-agli ordini!
Suonarono ancora al campanello. Qualche minuto dopo sbucò Francis dalla porta e indicò Antonio -vieni un attimo.
Antonio, con una pentola in mano, esitò -è urgente?
-urgentissimo. Riunione del trio.
-se riesci a staccare Gilbert da Eliza...- guardò il marito, con una pentola in mano -stasera lavo io i piatti.
-tutti?
-tutti. Promesso.
-mh. Va bene, vai.
Antonio gli stampò un bacio -grazie amore.
Francis lo trascinò via.
-quindi? Che c'è?
-te lo dico quando c'è Gilbert- bussò al bagno -Gil? Sei qui?
Ne uscì Eliza, verdognola in viso -avete bisogno dell'idiota?
Francis le sorrise -oui, ma cherie- la baciò su entrambe le guance -sei radiosa.
-come no- alzò gli occhi al cielo, scostò il francese e andò verso il salotto -Feli, mi abbracci?
Gilbert sbucò dal bagno e abbracciò l'amico -Francis! Quanto tempo! Com'è andata la sfilata a Parigi?
-bene, bene- era radioso -mi era mancata Parigi, anche se è cambiata tanto. Tu? Con Eliza come va?
Gilbert sospirò -è... mutevole. Però ne vale decisamente la pena.
-a che mese è?
-sesto. Tra tre mesi sarò papà!- era euforico.
-bene. Ora che abbiamo fatto i convenevoli...- trascinò i due amici in bagno e chiuse la porta. Aveva un sorriso enorme -io e Arthur abbiamo fatto l'amore!
Gilbert aggrottò la fronte -non... l'avevate già fatto?
-non tutto. Avevamo fatto delle cose. Però ieri sera... siamo andati fino in fondo.
-devo picchiarlo?
Francis roteò gli occhi -no, Antoine, non devi picchiarlo.
-come ti senti?- intervenne Gilbert, stringendo la mano dell'amico. Francis aveva un sorriso enorme.
-bene. L'ho voluto io, ed è stato...- sospirò -magico. Arthur è stato così dolce!
-sono felice per te, amigo!- Antonio lo abbracciò -te lo meriti.
-mi associo- Gilbert si unì all'abbraccio -ma se ti fa del male, basta chiamarci e lo rispediamo a Londra a calci in culo.
Francis roteò gli occhi, divertito -siete troppo apprensivi.
-non si sa mai.
-siete caduti nel cesso?- questo delicato interrogativo annunciò la presenza di Lovino fuori dalla porta -muovete il culo, è pronto. Oppure restate qui e crepate di fame, non mi importa- dei passi pesanti, invece, confermarono il suo ritorno in salotto. Gilbert si allontanò dall'abbraccio.
-è sempre così delicato, vero Antonio?- rise, uscendo dal bagno.
-è per questo che l'ho sposato- confermò quello, seguendolo fuori -per la sua finezza e la sua proprietà di linguaggio.
-ha parlato Umberto Eco- fu il commento proveniente dalla cucina -vieni qua a darmi una mano con il cibo, bastardo.
-arrivo querido- e superò l'amico, correndo in cucina.
Gilbert scosse la testa, esasperato -si fa decisamente comandare troppo dal suo uomo.
-senti chi parla- Francis rise, andando a sedersi affianco ad Arthur.
Gilbert posò le braccia sulle spalle di Eliza, abbracciandola da dietro. Le stampò un bacio sulla guancia -avanti, lei è troppo bella per non farsi comandare a bacchetta.
-sottone- urlò Lovino dalla cucina.
-e non è vero che ti comando a bacchetta- si lamentò Eliza, con tono da bambina. Gilbert la baciò sulla tempia.
-certo- e si sedette affianco a lei, stringendole forte la mano. Aveva due occhi innamorati tanto quanto quelli che aveva da ragazzo, la prima volta che si erano baciati, ma anche prima a dir la verità. Le baciò il dorso della mano -ti amo.
-ti conviene. Con tutto quel che mi fan passare i tuoi figli.
-nostri.
-stessa cosa.
-ecco le lasagne- annunciò Antonio entrando in sala da pranzo. Si guardò intorno -Mia dov'è?
La ragazzina sbucò da camera sua -eccomi! Scusate. Papà, stanotte posso dormire da Ashlinn?
Antonio fischiò -quindi si chiama Ashlinn.
-sappiamo che nomi scrivere sugli inviti delle nozze- aggiunse Lovino. Mia li ignorò.
-quindi?
-se dormite veramente sì.
Lei arrossì fino alla punta delle orecchie -certo che sì! Ma cosa vai a pensare papà?
Antonio alzò le spalle -non si sa mai.
-bene. Dopo la richiamo- si sedette al suo posto -vengono anche i nonni?
-più tardi. Vai a lavarti le mani.
-sì, sì.
I due padri si scambiarono un'occhiata. Abbiamo casa libera.

Antonio uscì dal loro bagno fischiettando.
-la vasca è pronta, querido.
-uhm sì, arrivo.
Lo spagnolo abbracciò da dietro suo marito, baciandolo sulla spalla nuda -quei boxer sono miei o sbaglio?
-li ho presi a caso- replicò Lovino, lasciandosi abbracciare. Aveva lo sguardo fisso nello specchio a figura intera della loro camera, con la fronte corrugata -pensi che sia ingrassato?
Antonio inarcò un sopracciglio -ingrassato? Querido, sei magro come un chiodo.
-forse non avrei dovuto mangiare la terza fetta di pizza- brontolò, sfiorandosi lo stomaco.
-mi stupisce che tu ne abbia mangiate solo tre- lo baciò sulla guancia -non sei grasso. Sei stupendo.
-non sei affidabile- brontolò Lovino -per te sono bello anche con un sacco della spazzatura addosso.
-perché sei bello e basta- lo baciò sulla guancia -cos'è che ti preoccupa?
-cosa ne sai che mi preoccupa qualcosa?- abbozzò un sorriso -è che stare accanto a te in spiaggia mi fa sfigurare.
-non te n'è mai fregato niente del peso- posò le mani sulle sue, stringendolo forte tra le braccia -perché all'improvviso sì?
-no, niente...- sospirò -solo... Mia è così grande ormai. Non voglio arrivare all'ultima fase dei genitori a meno di trent'anni.
-l'ultima... fase?
Lovino annuì -sì. Lo vedo sempre durante i colloqui. Quando il figlio ormai è grande e i genitori o cercano di fare gli amiconi o si concentrano su se stessi e si mettono ad andare in palestra, eventualmente si fanno l'amante perché ormai non scopano con il marito o la moglie da così tanto che neanche si ricordano come si faccia, si vestono di merda credendosi giovanili e si fanno delle tinte orribili cercando di evitare di sembrare vecchi, con il risultato di sembrare ancora più vecchi.
-intendi la... crisi di mezz'età?
-una cosa del genere- sbuffò -Mia sta diventando grande... la settimana scorsa le è venuto il primo ciclo, insomma... è quasi una donna. Mi sento vecchio. Cioé... tecnicamente può avere dei bambini, ti rendi conto? La nostra bambina potrebbe fare un bambino.
-intanto se si fa mettere incinta a undici anni la uccido.
-be' certo. Era per dire.
-e poi ha undici anni, non è adulta.
-quasi.
-appunto. Quasi- lo baciò sulla guancia -possiamo godercela ancora qualche anno.
-quando sarà maggiorenne avrò trentadue anni- brontolò Lovino -è come se Gesù fosse morto con una figlia diciannovenne.
-be', l'abbiamo adottata che eravamo molto giovani- gli ricordò Antonio -è normale.
-lo so- mugugnò Lovino -ma mi sento vecchio comunque.
Antonio rise contro il suo orecchio -e comunque non è vero che non facciamo mai l'amore- gli sussurrò, accarezzandogli i fianchi lentamente -l'abbiamo fatto poco fa. E lo faremo tra poco. E lo faremo per sempre.
-infatti non parlavo di noi- si girò tra le sue braccia per baciarlo, spingendolo verso il letto.
Antonio, però, dovette allontanarlo, a malincuore -aspetta.
-mh?- scese a baciarlo sul collo -cosa c'è?
-devo parlarti di una cosa.
-non puoi rimandare?
-è importante.
Lovino sbuffò, allontanandosi da lui e incrociando le braccia al petto -importante della serie "te ne parlo dopo ora vieni qui che ti scopo" o della serie "è davvero importante e non possiamo rimandare di qualche ora"
Antonio abbozzò un sorriso -tempo rientri nel secondo caso.
-che due palle- si allontanò da lui e andò a sedersi sul letto, facendogli cenno di fare lo stesso. Antonio gli strinse la mano, cercando le parole giuste.
-ecco...
-mi hai tradito?- chiese Lovino a brucia pelo, con lo sguardo basso. Antonio sgranò gli occhi.
-cos... no! Perché avrei dovuto?- appoggiò la testa sulla sua spalla, abbracciandolo -dovrei essere completamente scemo per tradire l'uoml più incredibile del mondo.
-ma tu sei scemo- replicò Lovino, appoggiandosi al suo petto.
Lo spagnolo lo baciò tra i capelli -non così tanto.
-mh. Quindi che mi devi dire?
-ecco...- si morse il labbro -ti ricordi la settimana scorsa? Giovedì?
-oh...- gli prese il viso tra le mani, posando la fronte contro la sua -è successo qualcosa a lavoro?
Antonio annuì, accarezzandogli la guancia con un sorriso triste -sì... qualcosa sì.
La settimana prima c'era stato un incidente, di quelli grossi, e i feriti erano stati mandati tutti all'ospedale più vicino, ovvero quello dove lavorava Antonio, che era rimasto lì per un giorno intero prima che Lovino riuscisse a riportarlo a casa per farlo riportare a casa. Ogni tanto capitava. C'era troppa gente da gestire, e allungavano i turni. Antonio, poi, era troppo di buon cuore, e tendeva ad affezionarsi a ogni paziente. La prima volta che uno di loro era morto... merda, Lovino l'avrebbe ricordata per sempre. Stava ancora facendo l'apprendistato, era morta una donna di tumore. Era già segnata da diversi mesi, ma Antonio non si era dato pace fino alla fine. Dopo la sua morte, non c'era stato verso di farlo alzare dal letto per tre giorni, se non per le cose più essenziali.
Per questo Lovino tendeva ad essere abbastanza iperprotettivo quando si trattava di "problemi sul lavoro". Se c'era uno che sapeva quanto fosse brutto sentirsi responsabile per la morte di qualcuno, quello era lui.
Gli strinse le mani con delicatezza -e cosa è successo?
Antonio inspirò profondamente -c'era un... un uomo. Era gravemente ferito, aveva diverse schegge nell'addome e... e non... non sono riuscito a salvarlo.
Lovino lo abbracciò, forte, accarezzandogli i capelli. Antonio nascose il viso contro la sua spalla, chiudendo gli occhi.
-non è stata colpa tua- chiarì Lovino -a volte capita, va bene? Non sei infallibile, è normale.
-lo so, non è di questo che ti volevo parlare- si asciugò distrattamente gli occhi e si allontanò da lui, prendendogli le mani -lui... ecco... quest'uomo ha... aveva... un figlio.
-un figlio?
Antonio annuì -un figlio piccolo. La madre non c'è e...
-ah, fermo, ho capito dove stai andando a parare. Vuoi adottare questo bambino.
-be'... sì.
Lovino sospirò, stropicciandosi gli occhi -Antonio, senti... un bambino non è un cane. Già quando abbiamo adottato Mia l'abbiamo fatto troppo in fretta, ma era appena finita la guerra ed era un periodo delicato. Quanti anni ha questo bambino?
-due.
-due- ripeté -ha ancora il pannolino. Tu sai come si cambia un pannolino? Io no. E il latte, come cazzo si fa il latte in polvere? Non ne abbiamo la minima idea.
-possiamo imparare, nessun genitore nasce perfetto.
-sì- concordò Lovino -ma spesso e volentieri passi giornate intere in ospedale. E mi va bene, è il tuo lavoro, lo sapevamo entrambi, ma metti che lo stesso giorno io abbia un consiglio di classe. Mia può stare da sola, ma lui no, e non posso certo portarmelo dietro.
-ci sono i nonni che...
-tua madre non ce la fa a tenere un bimbo piccolo, mio nonno neppure. Mia era già grande, lui non so neanche se cammina.
-possiamo prendere una tata. Come soldi ce la facciamo.
-sì ma...- sospirò -non è quello il punto. Sto dicendo che un bambino piccolo è una responsabilità gigantesca e... e non so se mi sento pronto, ecco.
Antonio gli strinse le mani -lo so. Per questo ne stiamo parlando, e neanch'io avevo pensato di adottare un altro bambino prima. Solo che quando l'ho visto ho... ho sentito questa sorta di fortissimo senso di... non so come spiegarlo- gli rivolse un piccolo sorriso imbarazzato -ma volevo... voglio proteggerlo, tanto quanto Mia.
L'espressione di Lovino si addolcì. Gli accarezzò la guancia -lo capisco. è quello che ho sentito quando ho visto Mia la prima volta- espirò -possiamo provarci.
Antonio si illuminò -davvero?
-sì... cioé vediamo. Potrei... vedere questo bambino?
-certo! è ancora in ospedale per degli accertamenti.
Lovino sgranò gli occhi -era nell'incidente?!
-sì... è nel reparto per i bambini, non posso occuparmene io- sembrava scocciato -non ha niente di grave da quel che so.
-meglio. Però Mia dev'essere d'accordo.
Antonio si morse il labbro, con un sorrisino -non credo sarà un problema.
Lovino si insospettì -che intendi?
-potrei... averle accennato qualcosina...- ammise -e lei potrebbe essere un... tantino entusiasta all'idea.
-avete tramato alle mie spalle!- gli tirò una cuscinata -sei uno stronzo!
Antonio scoppiò a ridere, abbracciandolo -scusa.
-lasciami, stronzo, devo picchiarti!
Antonio lo baciò sulla testa -ti amo.
-sei un bastardo.
-lo so. Un bastardo che ti ama.
-non ti ho detto di sì- gli ricordò -ho detto "proviamoci".
-ti amo comunque- lo baciò -e poi è così adorabile che non puoi non amarlo.
-come si chiama?
-Carlos.
-Carlos- ripeté -è un bel nome.
Antonio lo baciò -ti amo. Ti amo così tanto che c'è lo spazio per un'altra persona, no? Un amore diverso, ovvio, ma sempre amore.
-uhm...- tornò a baciarlo, sdraiandosi nel letto e tirandoselo dietro -lo sai che con un bambino piccolo si scopa meno?
-lo so- scese a baciarlo sul collo, lasciando scorrere le mani un po' ovunque sul suo corpo -ne approfittiamo ora? Che ne dici?
-sei un maiale- se lo tirò addosso, lasciandosi baciare sul collo -dici che il bagno è ancora caldo?
-non lo so. Vado a vedere.
-sbrigati- lo baciò ancora -ti voglio...
Antonio corse in bagno, facendolo ridere.

Francis uscì dal bagno, avvolto in una nuvola di vapore. Andò verso l'armadio, si tolse l'asciugamano dai fianchi e si infilò dei vestiti comodi. Sentì uno sbuffo.
-sbaglio o quei vestiti sono miei?
-quel che tuo è mio e quel che mio è mio, mon amour- si infilò sotto le coperte e si appoggiò alla sua spalla, abbracciandolo. Lo baciò sulla spalla -cosa leggi?
-Shakespeare.
-ew. È così inglese...
Arthur roteò gli occhi, girando pagina. Francis provò a leggere qualcosa, visto che stava provando a imparare l'inglese, ma rinunciò quasi subito. Baciò il suo ragazzo sulla guancia -che libro è?
-Romeo e Giulietta.
-allegro- si sistemò meglio e lo baciò sul collo, accarezzandogli lentamente il petto -che ne dici di fare qualcos'altro?
-dici che è meglio leggere Virginia Wolf? Perché ero indeciso, ma...
-sei un idiota- gli fece girare il viso e lo baciò, scendendo con la mano lentamente -pensavo a qualcosa di più... divertente.
-vedere due innamorati morire tragicamente è divertente- mormorò Arthur contro il suo orecchio.
-allora vado ad avvelenarmi...
-fermo lì- lo baciò sulla bocca, posandogli una mano dietro la nuca per tenerlo fermo. Francis rise contro le sue labbra, seppellendogli una mano tra i capelli.
-prima eri strano- gli sussurrò Arthur -a pranzo da Lovino. Cosa è successo?
-no, niente- lo baciò -stavo solo pensando che tra i miei amici sono l'unico che non è padre.
-mh. Sinceramente dopo Alfred e Matthew ne faccio anche a meno.
-non ho detto che voglio esserlo. È solo una constatazione- sbuffò -i bambini piangono urlano e vomitano. Rovinerebbero il mio armadio, e senza le mie otto ore di sonno sono un mostro.
Arthur ridacchiò -sei proprio una drama queen- tornò a baciarlo

Feliciano scese dall'aereo di corsa, con il suo trolley stretto in mano. Era appena finito il suo tour in giro per quella che era stata l'Europa, e ora voleva solo tornare a casa.
Quando lo vide gli saltò addosso. Letteralmente.
Il trolley era caduto a terra, ma non importava. Importava solo che Ludwig lo stava stringendo e baciando e cazzo se gli era mancato. Non ci fossero state altre persone intorno, lo avrebbe preso e trascinato al primo bagno disponibile.
Un'ora dopo sono a casa, casa loro, e Feliciano ha giusto il tempo di accendere la luce in ingresso prima di sentirsi sbattere al muro.
Il mio povero trolley dovrà rimanere per terra un altro po', pensò, trascinando il suo ragazzo in camera.
Il suddetto povero trolley venne ripreso solo dopo un bel po', dallo stesso Feliciano, che non voleva rovinare troppo i suoi vestiti. Lo riportò in camera e lo aprì, sistemando i vestiti nell'armadio.
Sentì un mugugno provenire dal letto e abbozzò un sorriso, Ludwig era adorabile mentre dormiva. Afferrò un paio di calzini e andò verso la cassettiera, sperava di non aver lasciato nulla in alberg...
Un attimo.
Che cazzo era quella cosa?
Scostò un paio di mutande di Ludwig e sollevò una scatolina scura, con un sospetto.
No dai.
Non era...
O forse sì?
Si girò verso il letto e scrutò la schiena di Ludwig, rigirandosi la scatoletta tra le mani.
Non è difficile aprire una scatola, no? È un gesto quotidiano. Niente di assurdo.
Però non ci riusciva. Non sapeva cosa augurarsi.
Da un lato, aveva paura che lì dentro ci fosse stato qualcosa di diverso da quello che si aspettava. Sarebbe stata una delusione, ecco.
Dall'altro, il logo della gioielleria lasciava pochi dubbi.
Ma magari era qualcosa di Ludwig, dei gioielli da polso o qualcosa del genere. Non era detto che...
...
Va bene, no, era un anello. Si coprì la bocca con le mani.
Un anello. Un fottuto anello d'oro, con un brillante al centro. Sobrio, semplice, in tipico stile Ludwig.
Forse non era per lui e si stava solo illuden...
...
C'era il suo nome inciso dentro.
Inspirò profondamente.
Non poteva più obbiettare.
Vuole farmi la proposta espirò. Sulle guance gli scivolarono due lacrime.
Ludwig si risvegliò da solo. Allungò il braccio alla ricerca di Feliciano, ma il suo lato del letto era vuoto. Aprì gli occhi e si guardò intorno. C'era la valigia del ragazzo aperta, con metà dei vestiti nell'armadio aperto e metà fuori. Aggrottò la fronte e si alzò, quello era strano.
La cassettiera era chiusa. Sospirò, doveva ancora trovare il modo di chiederglielo. Era un disastro con quelle cose.
Trovò Feliciano in cucina, a farsi un caffé. Lo abbracciò da dietro e lo baciò sulla guancia -sei sparito- mormorò, osservando la caffettiera -mi sono spaventato.
-scusa- si girò e lo baciò, con le mani sulle sue guance. Aveva un sorriso enorme.
-perché hai gli occhi rossi?- gli accarezzò la guancia, preoccupato. Feliciano scosse la testa.
-non è niente. Solo... ho trovato una cosa- tirò fuori la scatola dalla tasca, lentamente. Ludwig sgranò gli occhi.
-ah- panico. Panico panico panico.
-è... è quello che penso che sia?- stava sussurrando.
-avrei dovuto nasconderla meglio- mormorò -ma di solito non metti mai a posto le tue cose, quindi pensavo che...
Feliciano lo baciò, interrompendolo.
-se è quello che penso che sia- gli disse, togliendolo dall'impaccio. Gli brillavano gli occhi -il mio è un "sì, ora portami in camera e sbattimi sul letto prima che scoppi a piangere di nuovo".
Ludwig non riuscì a non sorridere. Gli strinse la mano -è quello che pensi che sia- gli prese la scatola dalle mani e si allontanò -forse però dovrei fare le cose come si deve.
-no ti prego, sto già per piangere e...- Ludwig si allontanò e si inginocchiò davanti a lui. Feliciano sbuffò -bene. Piangerò, perfetto.
-Feli- iniziò. Decise di farla breve. Aprì la scatola -vuoi sposarmi?
Feliciano rise, con le lacrime agli occhi per la gioia -conciso- inspirò profondamente -sì. Sì, sì, sì!- neanche gli diede il tempo di rialzarsi: gli si gettò addosso e lo baciò, stringendogli il viso tra le mani. Ludwig si allontanò da lui il tempo di infilargli l'anello, prima di venire di nuovo travolto da Feliciano e gettato a terra, oltre che baciato con tutto l'amore possibile.
-aspetta. Ne hai parlato al nonno e a Lovi, vero? Perché sennò ti ammazzano, e non mi va di restare vedovo.
Ludwig annuì, stringendogli le mani -sono stati i primi a saperlo, dopo mio fratello.
Feliciano sospirò di sollievo -meglio- rabbrividì -Lovino me la farà pagare per il suo...- si alzò in piedi, tirandoselo dietro -letto. Subito.
Ludwig spense i fornelli e lo prese in braccio -se proprio devo...

Feliciano strinse la mano a Ludwig sul divano, mentre gli altri parlavano.
-e comunque non per dire, ma zitto zitto qui dentro quello che ha visto più tette è Antonio- esclamò Gilbert.
Lovino roteò gli occhi -sono piuttosto sicuro di non averne.
-non dico per piacere, anche perché è così gay per te che, se una iperfiga si mettesse a provarci con lui, si metterebbe a parlarle di te. Ma con il lavoro che fa ne avrà viste.
Antonio rise -di solito se vedo una donna senza maglia devo aprirla con un bisturi, quindi non so quanto possa valere.
Lovino gli tirò la guancia -abbiamo appena finito di mangiare. Evita.
-ciao papà, io esco!- Mia attraversò l'ingresso di corsa -ciao zii, ciao nonni, ci vediamo dopo.
E uscì. Lovino sbuffò -da quando le abbiamo dato il permesso di andare da sola dai suoi amici è sempre fuori- brontolò. Antonio lo baciò sulla guancia.
-su, Lovi, le hanno organizzato una festa. Sono stati carini.
Quello non rispose.
Eliza, con un barattolo di gelato alle nocciole in mano, riavviò la conversazione -e comunque non sono così sicura che sia Antonio.
Gilbert alzò le mani -non ti ho mai tradita, giuro!
-lo so. Non parlavo di te.
Romolo sospirò -ah, ai miei tempi ne ho viste di donne...- Lovino diede un coppino al nonno.
-non ci interessa.
-come sei pudico.
Eliza nascose il suo sorriso dietro un cucchiaio di gelato. Gilbert si insospettì.
-aspetta, a chi ti riferisci?
Quella scrollò le spalle -pensi che non abbia avuto relazioni prima di te?
-hai detto che ero il primo!
-il primo maschio.
Gilbert era a bocca aperta -cosa... quante?
-non vuoi davvero saperlo- gli chiuse la bocca con una mano -e comunque, da quando sto con te non sono più andata con nessun altro, tranquillo.
-voglio sapere quante.
-no, non lo vuoi sapere. Fidati.
Feliciano rise -davvero non lo sapevi?
-no!
Francis diede qualche pacca sulla spalla dell'amico -benvenuto nel club dei cornuti.
-ti ho detto che non so neanche come si chiamasse quella ragazza- sbuffò Arthur.
-ti stava sorridendo!
-era una cameriera. Sorrideva a tutti i clienti.
-ti stava sorridendo più che agli altri.
Arthur alzò gli occhi -e se anche fosse, cosa me ne dovrebbe fregare?
-mi dà comunque fastidio che...
Eliza sbuffò -Francis. Basta.
-ma...
-basta.
Ludwig strinse la mano al suo fidanzato, chiedendogli conferma con gli occhi. Feliciano annuì e si rivolse agli altri -ecco... dovremmo dirvi una cosa.
Lovino e Romolo si scambiarono un'occhiata complice. Gilbert ghignò.
-io e Luddi ci sposiamo.
A quelle cinque parole scoppiò il putiferio. Eliza strillò, Lovino si alzò di scatto urlando che al menù avrebbe pensato lui, Cesare cadde a terra per colpa del movimento del suo padrone e si teletrasportò via soffiando infastidito, Romolo si mise a dare delle sonore pacche sulle spalle a Ludwig, Gilbert si mise a vaneggiare su quanto il suo fratellino fosse cresciuto e quanto il loro nonno sarebbe stato fiero di lui, Francis cominciò a parlare a manetta dei vestiti e Antonio si mise a cercare di calmare suo marito, invano.
-e comunque era anche l'ora, crucco!- Lovino attirò il suo fratellino in un abbraccio -sono mesi che te la meni con questa storia.
-mesi?- Feliciano strinse forte suo fratello e guardò il suo fidanzato con un sorrisino -davvero?
-non trovavo il momento giusto...- brontolò Ludwig, con le guance rosse.
Eliza afferrò la mano di Feliciano, con gli occhi che brillavano -tu mi devi raccontare tutto, intesi? Sia a me che a Kiku, appena tornerà qui.
-il mio fratellino è un uomo!- Gilbert abbracciò il suddetto fratellino, con le lacrime agli occhi -mi sento vecchio.
-non oso immaginare se uno dei nostri bambini si sposerà- commentò Eliza, accarezzandosi la pancia.
-infatti non si sposeranno. Nessuno sarà mai degno dei nostri magnifici figli.
Eliza roteò gli occhi -sì, certo. Comunque- tornò a stritolare la mano di Feliciano -quando lo fate? Dove? Te lo organizziamo noi l'addio al celibato, sia chiaro.
Lovino ghignò -ovviamente.
Feliciano rise e li abbracciò entrambi, con le lacrime agli occhi. Era così felice...
-pischellè, sia chiaro- intervenne Romolo, osservando i nipoti abbracciati -comportati bene con mio nipote.
Ludwig annuì -sì signore.

Gilbert stava facendo avanti e indietro per i corridoi dell'ospedale da due ore, e non accennava a fermarsi.
Non l'avevano fatto entrare in sala operatoria. Perché non l'avevano fatto entrare in sala operatoria?!
Quella notte a Eliza si erano rotte le acque. Perfetto, era andato nel panico ma era riuscito a chiamare l'ambulanza. In sala parto l'avevano fatto entrare e aveva stretto la mano alla quasi mamma per tutto il tempo, ma dopo ore e ore di travaglio i bambini non venivano fuori e c'era stato bisogno di un cesareo. E non l'avevano fatto entrare.
L'unico motivo per cui non era ancora andato del tutto nel panico, anche se c'era molto, molto vicino, era che del cesareo se ne stava occupando Antonio, e di lui si fidava. Più o meno. Più di quanto si fidasse di uno sconosciuto, ecco.
Fatto sta che era quasi l'alba e ancora non erano nati. Sbuffò esasperato -ma quanto cazzo ci vuole?!
-stai tranquillo. Non è la prima volta che Antonio fa un cesareo- intervenne Lovino. Lui e Mia erano stati i primi ad arrivare, visto che... be', erano arrivati insieme ad Antonio, che in teoria non era di turno ma era venuto comunque, svegliato dalla chiamata agitata al limite dell'infarto del suo migliore amico.
-sì ma quelli sono i miei figli e quella è mia moglie- si passò per la milionesima volta una mano tra i capelli -e ci stanno mettendo decisamente troppo.
Ludwig, il secondo ad arrivare con Feliciano, gli strinse la mano per farlo fermare -sono i tempi standard di un cesareo. Non è niente di strano.
-be', i tempi standard sono troppo lunghi!

Quando Eliza aveva scoperto di essere incinta, era nella sua palestra. Il ciclo era in ritardo, così aveva comprato un test di gravidanza andando a lavoro e, già che c'era, per placare la curiosità lo aveva fatto lì. Gilbert non ne sapeva niente, non le andava di illuderlo, e quella era una cosa che voleva fare da sola.
Il quarto d'ora di attesa durò più di tutti i nove mesi successivi.
Due lineette. Era positivo.
Si sedette a terra, con il test stretto tra le mani.
Era incinta.
Scostò il tessuto della sua camicetta e si sfiorò la pancia ancora piatta, quasi timorosa. Poi sorrise.
Era incinta!

Antonio uscì dalla sala operatoria, togliendosi i guanti. Gilbert gli fu subito addosso.
-allora?!
Antonio gli posò una mano sulla spalla, senza dire niente. Poi sorrise -tutto a posto, papà.
Gilbert si sentì svenire. Dovette appoggiarsi a lui per non cadere.
-dove sono? Stanno bene? Posso vederli, vero?
Antonio annuì -certo. Stanno tutti bene. Eliza è in sala post-operatoria, forse si è già riaddormentata, ma puoi stare comunque lì quanto vuoi. Adesso stanno lavando i bambini, ma dovrebbero riportarli da lei tra poco.
Gilbert annuì ripetutamente -e dov'è la...
-vieni, ti accompagno.

Quando Gilbert era tornato a casa, non c'era stata Eliza ad accoglierlo come al solito. Strano, di solito a quell'ora era già a casa.
Sistemò la giacca sull'appendiabiti -küken? Dove sei?- nessuna risposta. Iniziò a preoccuparsi e andò a cercarla -Eliza?- niente in salotto o in cucina. Raggiunse la loro camera -se è uno scherzo non...- notò qualcosa sul suo comodino, una specie di termometro. Lo strinse tra le mani e finalmente capì di cosa si trattava.
-sono incinta- si girò ed eccola lì, Eliza, con addosso una sua maglia troppo lunga che stava tormentando con le mani e un paio di pantaloncini. Gilbert sentì gli occhi inumidirsi per le lacrime e le si avvicinò, lentamente, quasi con il timore di farle male. Le posò una mano sulla guancia, non riusciva a parlare. Eliza aveva gli occhi lucidi.
-sei... sei incinta- ripeté, cercando di realizzare -incinta di... di un bambino?
-no, Gilbert, di un carciofo. Certo che è un bambino. O bambina. Non lo so.
Gilbert rise e la baciò, sollevandola da terra per la foga.
-sei incinta! Avremo un bambino!- la baciò ancora, stringendola tra le braccia -oh mio... è una cosa fantastica!- la baciò ancora, ancora e ancora -ti amo. Vi amo. Mio... non... non sono mai stato così felice- la baciò, asciugandole le guance -perché piangi, amore? È la notizia più bella che tu potessi darmi!
-non... non lo so- gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò -sono gli... gli sbalzi d'umore, credo. Non lo so. Abbracciami.
Gilbert la sollevò, portandola fino al letto. Si sdraiò accanto a lei e la strinse tra le braccia, accarezzandole i capelli e la schiena e asciugandole gli occhi -sarai mamma e io sarò papà- la baciò sulla fronte.
Mezz'ora dopo non si erano ancora alzati dal letto, avevano solo cambiato posizione. Gilbert si era abbassato e aveva posato la guancia sul ventre nudo di Eliza, parlando piano mentre lei gli accarezzava i capelli.
-ciao, tesoro. Sono il tuo papà. Non so se mi senti, ma sappi che ci sono e ti amo già da morire.
Eliza sospirò -non penso ti possa già sentire. Ora come ora è un gruppetto di cellule.
Gilbert posò un bacio poco sotto il suo ombelico -è un gruppetto di cellule magnifico- ci posò un altro bacio -e poi avevo letto che fa bene parlare al bambino. Credo. Non lo so. Nel dubbio lo faccio- lo baciò ancora -mi senti, amore? Sono qui, sono il tuo papà e ti staremo sempre vicini, sia io che la tua mamma. La tua mamma è bellissima, lo sai? E bravissima e fortissima e fantastica- sollevò lo sguardo -küken, perché piangi?
Eliza si asciugò gli occhi -fanculo- rise -dici queste cose e pretendi che non pianga?
-non ho detto questo- si sollevò per baciarla, con una mano ferma sulla sua pancia -sono solo così felice...

Eliza era bellissima. Devastata, distrutta, sul punto di addormentarsi, sudata, spettinata e assolutamente bellissima. Gilbert corse da lei -küken, come stai?
-una merda- si lasciò abbracciare e gli afferrò la mano -non faremo più bambini. Col cazzo che partorisco di nuovo. Fai scorta di preservativi, perché senza non ti tocco neanche per sbaglio.
Gilbert le accarezzò i capelli con la mano libera, ridacchiando -come vuoi tu, amore. I bambini...?
-li ho visti prima, ma male- brontolò, aggrappandosi alla sua maglietta -però piangevano. Entrambi. Quindi stanno bene.
-meno male- la baciò sulla testa. Un'infermiera bussò alla porta ed entrò, con un passeggino. Sorrise ai due genitori.
-vi lascio un po' da soli. I bambini stanno benissimo- e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Eliza allungò le mani e si avvicinò la culla, scrutando i due bambini all'interno. Gilbert non riusciva a staccare gli occhi da loro, che li osservavano curiosi. Uno aveva gli occhi azzurri, ma spuntavano dei ciuffi castani come quelli della madre, mentre l'altra aveva dei ciuffi bianchi e gli occhi rossi come il padre.
-è albina- mormorò -speravo l'avessero scampata.
-non importa- Eliza gli strinse la mano -però è strano che lui abbia gli occhi azzurri.
-tecnicamente li avrei anch'io. Solo che essendo albino non si vede- stava temporeggiando. Aveva paura di toccarli, non voleva ferirli in qualche modo. Eliza gli strinse la mano, e fu abbastanza per dargli coraggio. Si avvicinò alla culla e si sforzò di sorridere.
-ehi, piccolini. Sono il vostro papà- la piccola allungò le manine verso di lui, mentre l'altro lo osservava. Gilbert le sfiorò le mani, mentre delle lacrime di gioia gli cadevano lungo le guance -ah, quindi mi riconoscete. Parlarvi tanto vi è servito.
La bambina gorgogliò qualcosa che sembrava una risata e gli strinse un dito, curiosa. Il bambino sbatté le palpebre, studiando il padre in silenzio. Gilbert gli accarezzò i capelli con la mano libera.
-tu sei più silenzioso, eh?- prese in braccio la piccola e la passò a Eliza, che la strinse con fare protettivo, e poi prese anche il bambino, tenendolo in bracciò. Quello si appoggiò a lui, facendo dei versetti che in qualche modo dovevano avere senso. Gilbert rise, continuando a piangere -questa è la vostra mamma. Vi ho parlato di lei, ricordate?- si sedette sul bordo del letto, mentre la bimba sembrava alla ricerca del latte della madre.
-ha già fame- commentò Eliza.
-sono così piccoli- sussurrò Gilbert -ho quasi paura di romperli- guardò la moglie, con gli occhi lucidi -sono bellissimi.
-sì- Eliza sollevò la piccola e se la mise davanti al viso, sorridendole. Sfregò il naso contro il suo -vero, piccola?
Quella agitò le manine, contenta.
Gilbert abbassò lo sguardo sul bambino, che si stava addormentando. Lo cullò lentamente, canticchiandogli una ninna nanna in tedesco.
-come li chiamiamo?- potrà sembrare stupido, ma non ci avevano ancora pensato. Non avevano voluto parlarne fino a che non li avessero avuti lì, tra le loro braccia.
-non so- coccolò il piccolo -per lei mi piaceva Julchen.
-carino- Eliza coccolò la piccola, cercando di farla addormentare.
-per questo angioletto invece?
-uhm... Daniel?
-mi piace. Daniel e Julchen, i nostri pulcini.
Eliza sospirò -chi c'è fuori?
-Ludwig, Feli, Lovino, Mia e Antonio. Non so se possono entrare.
-non me la sento, sinceramente. Sono stanca morta.
-certo, küken, non preoccuparti- la baciò sulla fronte -riposati, mh? Penso io ai piccoli- sistemò Daniel nella sua culla e fece lo stesso con Julchen, il più delicatamente possibile per non svegliarli.
Eliza annuì e si sistemò meglio nel letto, abbracciando il cuscino.
-'notte- mormorò, addormentandosi di botto, con una mano protesa verso i piccoli. Gilbert sorrise e sospirò.
Si poteva essere più felici di così?

Suonarono al campanello. Alfred sbuffò -Matt! Vai tu, devo finire il livello!
Ignorò le proteste del fratello e aspettò. Suonarono di nuovo, Alfred schivò il nemico, Matthew andò ad aprire imprecando in francese.
Alfred sentì distrattamente qualche parola sottovoce, poi Matthew urlò un -vieni giù, c'è il tuo ragazzo- che lo fece sobbalzare e gli fece perdere la partita.
Tecnicamente Alfred non aveva un ragazzo. Non l'aveva mai avuto. Ma da anni a quella parte aveva una trascurabilissima, mastodontica cotta per Ivan. Ci aveva anche provato, ma quello lo aveva respinto con la scusa del "sei troppo piccolo". Però erano rimasti in contatto, e Matthew li prendeva in giro riferendosi a loro come fidanzati.
Alfred lanciò il controller della sua console sul letto e si fiondò verso l'ingresso. Un attimo prima di girare l'angolo si controllò allo specchio. Pantaloncini da basket, felpa della Marvel e calzini lunghi fino a metà polpaccio. Irresistibile proprio. Si sistemò i capelli, raddrizzò gli occhiali e si sforzò di non far notare la sua agitazione.
-Matt, ti ho detto che non è il mio ragazzo- imbastì un sorriso -ciao, Big Noise.
Si fermò. Ivan era distrutto. Aveva gli occhi arrossati, le spalle chine, i capelli spettinati e fissava insistentemente un punto nel pavimento. Lo raggiunse in due passi e gli prese la mano -tutto ok?
Matthew ebbe la fantastica idea di tornare in camera sua e chiudersi dentro.
Ivan scosse la testa -scusa- si passò una mano tra i capelli e infilò l'altra in tasca -non... non sarei dovuto venire qui. Scusa. Vado a... vado- cercò di allontanarsi e tornare verso l'ascensore, ma Alfred gli afferrò la mano.
-non andrai a sfondarti di vodka- lo interruppe -quindi vieni dentro, ci prendiamo una cioccolata o qualcosa e mi dici cosa c'è che non va.
Ivan non sembrava d'accordo, ma non gli lasciò la mano -non è stata una buona idea venire qui.
-e perché? Non c'è niente di male nel chiedere l'aiuto di un amico.
Gli occhi di Ivan erano distrutti -perché non so quanto rispondo delle mie azioni e non voglio farti del male.
Forse qualcuno si sarebbe spaventato. Alfred si irritò.
-non ricominciare con la storia del ragazzino, ti prego- lo trascinò in casa e chiuse la porta. Erano vicinissimi -non sono più un ragazzino. Sono adulto ora, e se mi va di andare a letto con te ci vado, se non mi va non ci vado. Quindi smettila con questa stronzata e dimmi cosa c'è che non va.
Le labbra di Ivan erano bianche. Pallide, sottili e spezzate da tutte le volte che il russo stesso se le era morse.
-mia sorella è morta.
Alfred perse completamente la sua spavalderia. Non pensava fosse qualcosa di così grave.
-oh...- lo abbracciò. È così che si fa in queste occasioni, no? -mi dispiace- ed era sincero.
Ivan lo strinse forte, facendogli quasi male, e scoppiò a piangere. Fu silenzioso, in realtà. Alfred se ne accorse solo perché le sue lacrime gli inumidirono la felpa.
-era... era malata- balbettò contro il suo orecchio -e... e io non...
-shh- gli accarezzò la schiena, lentamente -tranquillo. Dopo me lo spieghi, mh? Ora sfogati e basta.
E Ivan non se lo fece ripetere di nuovo.
Mezz'ora dopo erano sul letto di Alfred, ancora stretti l'uno all'altro, e il russo sembrava aver ritrovato l'abilità di parlare.
-hai presente il potere di Lovino?- mormorò contro il suo orecchio. Alfred rabbrividì per la sua voce roca.
-sì.
-mia sorella aveva un potere opposto. Lovino non poteva toccare le persone, lei non poteva farsi toccare- si asciuga gli occhi -sentiva questo... questo dolore immenso e... e ho fatto di tutto, di tutto per aiutarla, ma non...
-non è colpa tua.
-invece sì- come poteva una persona essere così vicina a spezzarsi? -ai tempi credevo ancora nella Restaurazione. Lei era una ragazzina e... e pensavo di farle un favore. Avevano trovato un gene nel suo dna, l'ho convinta ad attivarlo e...
-non potevi saperlo.
-potevo evitarlo.
-non puoi evitare qualcosa che non sai. La stavi aiutando.
-ma l'ho uccisa.
-no- gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarlo negli occhi -ascoltami, you damned hot commie. Non è stata colpa tua. Hai fatto quel che potevi per aiutarla, se non era sufficiente non è colpa tua.
Ivan rimase in silenzio. Poi -è grave se ho voglia di baciarti?
Alfred si impedì di tremare. Non poteva farci nulla: nel russo c'era qualcosa che lo attirava e gli strizzava lo stomaco di continuo -sì, perché sono un capitalista coglione.
-un capitalista coglione che riesce a essere bello anche con una felpa stupida e dei pantaloni che non c'entrano nulla- abbassò lo sguardo -e con delle calze assurde.
Alfred si impose di non sciogliersi completamente tra le sue braccia -rimango un capitalista coglione- posò la fronte contro la sua -e tu rimani uno che deve sfogarsi invece di cambiare argomento.
-non... che ti dovrei dire? È morta, devo elaborare il lutto, e cambiare argomento mi aiuta.
-parlare delle mie calze e della mia felpa, che non è stupida, ti aiuta a elaborare il lutto?
-sì.
-e...- Alfred si morse il labbro -e togliermeli? Ti aiuterebbe?
Ivan non disse niente per un po'. Sospirò -lo sapevo che non era una buona idea.
-non stai rispondendo alla mia domanda.
-distruggo tutto ciò che tocco- replicò Ivan -mia sorella è morta, l'altra mia sorella è impazzita ed è sparita chissà dove. Non voglio rovinare anche te.
Alfred alzò gli occhi al cielo -quindi è questo il motivo? Pensavo di essere io quello stupido- lo baciò. Sulle labbra. Minchia, anni e anni per un bacio. Il ragazzo sentì i fuochi d'artificio -io sono già pazzo. Non puoi rovinarmi e non puoi decidere per me. E ora sono maggiorenne, vivo da solo, quindi senza Arthur in mezzo alle scatole, e Matthew non dirà niente perché ci shippa da anni. Non hai più scuse, big noise. Se mi vuoi dillo, altrimenti dillo e basta.
Ivan sospirò, tirandoselo contro e acchiappandogli le labbra in un bacio da mozzare il fiato.
-odio quando diventi intelligente.

Hercules osserva la tomba di Sadiq. Non ha fiori, né ha intenzione di portarglieli.
Si siede ai piedi della tomba e prende un libricino dalla tasca.
-ciao. Questa volta ti ho portato il Simposio di Platone, penso che ti piacerà.
La tomba non risponde. Ma d'altronde è una tomba. Sarebbe preoccupante il contrario.
-sai, sono tutti felici. È un bel finale per una storia, no?- apre il libro e si mette a cercare la pagina giusta -io? Sto bene così. La felicità è faticosa, e lo sai che sono pigro. Aspettare la felicità invece mi piace di più- sfiora la foto con due dita. Solo due. Le altre pendono verso il terreno -sei stato uno stronzo, e un gran bastardo. Non credo a Paradiso e Inferno, ma tu devi essere all'Inferno. Però continuo a sperare di rivederci, un giorno. È stupido. Io andrei nelle Praterie degli Asfodeli, esisto e basta, non sono lodevole per nulla. Tu invece devi essere nei Campi della Pena. Se fosse così, neanche mi ricorderei di te. Però continuo a sperarci- gira pagina -aveva proprio ragione Pandora. La speranza è l'ultima a morire, no? Però se muore dopo che sarò morto io è un problema, perché non avrei speranza con me nell'aldilà. Sto filosofando troppo? Però mi piace filosofare. A te dava fastidio quando partivo per la tangente, ma sei stato stronzo, quindi ti tocca ascoltarmi mentre filosofeggio- chiude il libro, non ha più voglia di leggere -l'altro giorno ho visto Lovino. Non so se mi senti davvero, qui sotto non c'è il tuo vero cadavere, di te c'era solo polvere quindi... non so cosa ne pensi di Lovino, comunque, visto che ti ha ucciso, anche se eri consenziente, ma a me piace, è un bravo ragazzo e parlare con lui è facile. Ha una figlia, ora. Ha detto che stanno per adottarne un altro. C'ero al suo matrimonio, è stata una giornata carina. Però mi chiedo... a volte mi chiedo come sarebbe stato se tu non fossi stato uno stronzo e non fossi morto. Forse mi sarei innamorato davvero di te. Forse avremmo avuto una giornata carina come quella di Lovino e Antonio e avremmo avuto una bambina e staremmo progettando di adottarne un altro. Però no, non ti ci vedo a crescere un bambino, e tanto meno ci vedo me. A volte mi sembra un'idea carina, poi cambio idea, poi mi dico che rifletterci è stupido perché tanto non succederà perché sei morto. Ma forse, e dico forse, mi ero già innamorato di te. Forse. Non lo so e non potrò saperlo, perché tanto sei morto e quindi pace. E poi l'amore è faticoso e io sono pigro. Aspettare l'amore, invece...- scuote la testa -non so perché ti sto parlando. Non sei una persona, sei un pezzo di marmo conficcato per terra. Però mi piace parlarti, perché finalmente hai imparato ad ascoltarmi- si asciuga la guancia -se l'avessi fatto prima forse non sarei qui e tu saresti vivo. E invece sei morto. Perché sei stato uno stronzo, un bastardo e un idiota e io ti odio così tanto perché mi manchi e non so cosa farci ed è stupido perché sei stato un idiota stupido e stronzo e dovrei smetterla di pensarti perché ormai sei morto ma continuo a pensarti e mi odio e ti odio e ti amo.
-e così sei innamorato di me.
Hercules si gira di scatto.
Sadiq è lì, con le mani nelle tasche del giaccone pesante.
-sarebbe stato carino saperlo prima.
-sei uno stronzo.
-lo so- allarga le braccia -adesso mi abbracci o devo farmi ammazzare di nuovo?
 

Ringraziamenti:
Ciao. Mi sembra doveroso fare questa cosa, anche se è la prima volta che ci provo.
Questa storia per me ha significato tanto, perché, l'ho già specificato, è la prima storia davvero articolata che scrivo. Ho avuto un lungo periodo di blocco tra la prima e la seconda liceo (grazie, sistema scolastico italiano) e, per qualche oscura ragione, durante la quarantena mi sono sbloccata e, dopo varie oneshots, ho scritto e pubblicato su efp due storie di otto e quattordici capitoli, l'una il seguito dell'altra, però erano due storie d'amore (Spamano e Gerita, con varie imprecisioni storiche per altro), non molto complicate a livello di trama.
Poi, intorno a fine agosto/inizio settembre, mi è venuta l'idea per questa storia, inizialmente come semplice storia da mandare ad alcuni amici su whatsapp, poi, una volta pronti abbastanza capitoli, ho iniziato a pubblicarla. Inizialmente avevo ipotizzato una trentina di capitoli, poi una quarantina, e come potete vedere siamo arrivati a cinquanta (48+prologo ed epilogo, il quale è oscenamente lungo). Sicuramente ci saranno dei buchi di trama da qualche parte, non sarà una storia perfetta, ma ci ho provato (mi è decisamente scappata la mano verso la fine... troppi capitoli di conclusione, lo ammetto).
Però questa parte si chiama ringraziamenti, quindi finiamo questa pappardella inutile e ringraziamo un po' di gente: iniziamo da Eikõ, aka caccia22, Gin e Kris (leggi bagascio), che hanno assistito alla nascita di questa storia (e Eikõ mi ha aiutato con il titolo). Poi ringrazio _Meliodas_Sama_, che sopporta i miei scleri, AmateCanadaluridi, cristalmagic278, enifStar24, Supermaty_ e spero di aver nominato tutti (se ho dimenticato qualcuno ditemelo che correggo!), che su Wattpad hanno letto e commentato, e su efp MikoKagome96, Congiu Walter, R_Kim56, Viki Perri e Giuki Moon che hanno recensito.
E, uhm, basta credo? Non dovrei aver dimenticato nessuno (perdonatemi in caso!)
Ringrazio... il mio cane? Sì, ringrazio anche lui nel dubbio.
Questa storia è finita, ma ciò non significa che mi fermerò qui a scrivere (_Meliodas_Sama_ tu sai), anzi.
Sto già lavorando a un progettino... questa volta ambientato nell'universo di Game of thrones. Pubblicherò il primo capitolo mercoledì prossimo (ormai è tradizione)
Il titolo è: canto di lupi, leoni, vigliacchi ed eroi, ho già pronta una dozzina di capitoli :)
Bene... alla prossima allora.
~Daly

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