It Was You... Always

di New Moon Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** *Silver Wires* ***
Capitolo 2: *** *Hey, Can you hear me?* ***
Capitolo 3: *** *Icarus's Weakness* ***
Capitolo 4: *** *Atlas's Strength* ***



Capitolo 1
*** *Silver Wires* ***


Noremma contest


*Iniziativa: scritta per il Contest “Norember”, indetto da Standreamy sulla sua pagina instagram ispirandosi all’Inktober.
*Numero Parole: 2.997
*Prompt: Free Day
*Link al vostro blog/twitter/quel che volete:

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Silver Wires

 

Era un tardo pomeriggio del 1 Novembre, il cielo aveva preso alcune sfumature rossicce ed indaco, con le nuvole contornavano il vasto paesaggio sempreverde delle Highlights scozzesi e il profilo delle mura centenarie di Hogwarts; il vento caldo autunnale soffiava debolmente tra le fronde degli alberi giganti e le foglie giallognole fluttuavano nell’aria come se stessero ballando una danza antica, per poi posarsi dolcemente sulle superfici ruvide di alcune zucche dai colori brillanti e vivaci.
Sebbene Halloween fosse passato a malapena un giorno, maghi e streghe di tutte le età cercavano di sfruttare il loro weekend libero come meglio potevano: c’era chi passeggiava tra le vie affollate di Diagon Alley e vedere le vetrine che esponevano le migliori merci sul mercato, chi ancora andavano a visitare le varie locande tipiche scozzesi di Hosgmeade come I Tre Manici di Scopa che servivano la miglior Burrobirra del mondo o, addirittura, c’era chi passava una giornata con i propri familiari per riallacciare i rapporti.

Qualsiasi motivazione poteva essere, Novembre era sicuramente il periodo adatto per tenersi le mani “occupate”.

Il castello sembrava così vuoto e monotono senza l’affluenza degli studenti più giovani, eppure c’era una calma piatta persino per i fantasmi che vi risiedevano in quelle mura da, praticamente, secoli.
Persino Yuugo Glorybell, custode magonò di Hogwarts dalla dubbia gentilezza, sentiva la “mancanza” di quei mocciosi casinisti che creavano, il più delle volte, scompiglio; pover’uomo, non poteva sfoggiare nemmeno le sue nuove catene di rame, che disgrazia!

Era tutto tranquillo.
Troppo tranquillo.

Tuttavia, nella torre Est, più precisamente nella Torre di Astronomia, echeggiò una risata femminile cristallina ed allegra, seguito dai nitriti energici di un cavallo e lo scalpitio degli zoccoli.

-“Norman! Norman! Hai visto?”

Il ragazzo guardava meravigliato la giovane Grifondoro mentre rideva spensierata e cercava di fare amicizia con il suo Patronus, che aveva preso le sembianze di uno splendido e maestoso Abraxan.
Le sue ali bianco-argento evanescenti erano spalancate, mostrandosi in tutta la sua grandezza e fierezza, e aveva iniziato a scalpitare con gli zoccoli a mezz’aria, proprio intorno alla ragazza dai folti ed indomabili capelli rossi.
Poteva vedere chiaramente i suoi grandissimi occhi verdi che brillavano di  gioia, le guance imporporarsi man mano per l’emozione e le labbra che si arcuavano in un grande sorriso.

Caldo.
Raggiante.

Norman era senza fiato.

La luce del tramonto, che filtrava nella parte esposta dell’Osservatorio, rendeva la sua figura minuta splendente e pura, come  se avesse ricevuto  da quella ragazza una gentile carezza al viso, e i suoi capelli sembravano  ancora più rossi come le lingue di fuoco; con la divisa rosso-oro sprovvista di mantello, le risaltava dolcemente le poche curve del suo corpo.
Seppur aveva la tendenza di comportarsi come una maschiaccio e la predisposizione a lanciarsi in avventure pericolose, l’albino non ha mai smesso di pensare quanto fosse la strega più bella, dotata e geniale che abbia mai conosciuto.
Era talmente assorto a guardarla  giocare con quell’Abraxan evanescente, completamente euforica ed energica per la grande scoperta, da non ascoltare cosa stesse dicendo con tanta enfasi.

Si lasciò scappare un sonoro “wow” fra le sue labbra sottili.
Era, semplicemente, se stessa.

Inizialmente, i giovani Norman Minerva ed Emma Ratri si erano rifugiati, all’insaputa di tutti tranne per il loro migliore amico Ray Gracefield, verso la Torre di Astronomia, pensando che fosse un posto perfetto  per poter studiare, indisturbati, un incantesimo difficile e complesso come l’Incanto Patronus.
Erano più di quattro/cinque ore che i due ragazzi avevano continuato a provare con costanza ed impegno quell’incantesimo di alto livello e dalla difficoltà estrema, ma senza nessun risultato concreto.
All’inizio, il loro Patronus non avevano ancora assimilato una vera forma “corporea” e il ragazzo, con una scrollata di spalle, aveva pensato che fosse troppo presto per imparare un incantesimo tanto potente per degli studenti del VI° anno.

Ma Emma non era nel suo stesso parere.             

L’aveva osservata, silente, per tutto il tempo e fino ad allora, non ha mai gettato la spugna al primo tentativo.
Nemmeno la seconda, la terza e la quarta volta.
Una ragazza davvero sconsiderata, temeraria fino all’eccesso e una gran testa calda, eppure rispecchiava perfettamente i tratti della sua Casa d’appartenenza: era una leonessa audace, determinata e forte.

Emma Ratri era riuscita ad evocare uno dei Patronus più rari e potenti che la comunità magica avesse mai posato gli occhi e lui aveva avuto l’onore di assistere a un tale miracolo qui, proprio in quell’Osservatorio.

Ricordò che suo padre William, un famosissimo Spezzaincantesimi che aveva fatto il giro del mondo per tanto tempo, gli confessò che aveva impiegato vari anni per avere la padronanza completa del suo Patronus corporeo, ovvero la sua civetta delle nevi.
Gli aveva intimato che erano pochi i maghi e le streghe a saper eseguire, senza intoppi, un Patrono completo; certo, la maggior parte di essi tendevano a prendere le sembianze di animali assolutamente comuni, inclusi quelli inusuali.
Ma tant’era vero che erano rari i casi in cui un mago o una strega, su dieci, riuscivano ad evocare una creatura magica, esemplare quanto leggendaria, come patronus corporeo.

Gli rimembrò le testuali parole di suo padre.

“Un mago o una strega che posseggono quella rara dote potrebbe avere un vantaggio in più rispetto agli altri… ma come sai bene, Norman, a differenza degli altri incantesimi, l'Expecto Patronum è un incantesimo "soggettivo": può fare del bene quanto no; e chi possiede tale potere ha queste caratteristiche importanti: una mente brillante, unica del suo genere e che non si ferma alle apparenze e un’anima pura e forte, capace di sopportare e di affrontare ogni avversità che le si presenta davanti...”

Un piccolo sorriso increspò le labbra chiare.
Questa descrizione rispettava, decisamente, il profilo di Emma.
Lei era veramente incredibile, pensò l’albino.
Le iridi azzurre rincontrarono nuovamente quelle verdi di lei, quest’ultima gli sorrise così genuinamente che temette di aver avuto un attacco di cuore.

Ah, quello splendido e dannato sorriso che l’ha stregato completamente in quasi cinque/sei anni di conoscenza, finendo con l’innamorarsene.
Perdutamente.

“Perché è così carina quando mi sorride in quel modo?”

Arrossì terribilmente quando mille pensieri, decisamente imbarazzanti, fecero capolino nella testa del Serpeverde, immaginandosi vari scenari di loro due insieme, fianco a fianco, persino fuori dalle mura scolastiche del castello.
Dovette fare ricorso  al suo alto controllo per non rischiare di svenire sul posto.
Gli tremò debolmente il labbro inferiore.
Se Ray fosse stato lì con loro e non in viaggio con la madre in Inghilterra, come minimo lo avrebbe preso in giro esclamando battutine fuori luogo come “Sei così rosso che potresti sostituire Rudolph.”, consapevole che provasse una cotta stratosferica per la giovane Grifondoro.

Che imbarazzo.

Sospirò quasi esasperato al pensiero del corvide ridere alle sue spalle sulla sua “situazione sentimentale”.
Il vento scompigliò alcuni ciuffi dei suoi capelli chiari e bianchi, avvertì una serie di brividi di freddo lungo la schiena, battendo un paio di volte le ciglia infastidito dalla improvvisa corrente d’aria.
Borbottò qualcosa riguardo la temperatura e che non ci teneva, assolutamente a beccarsi una febbre da cavallo.
Aveva avuto il pensiero di riprendere il mantello poggiato accuratamente sulla sua borsa e quella di Emma, quando quest’ultima non lo chiamò a gran voce.
Alzò lo sguardo incuriosito.

-“Emma, hai detto qualcosa?”

-“Non hai provato a rievocare di nuovo il tuo Patronus?”

Negò con un cenno del capo, sorridendo abbastanza in imbarazzo realizzando più tardi che la rossa fosse vicina al sottoscritto, sebbene gli arrivasse a malapena al collo per quanto fosse alto nel suo metro e settanta, l’aveva comunque colto alla sprovvista.
Distratto com’era, non si era nemmeno reso conto che il Patronus della grifone si fosse dissolto nell’aria.

Accidenti a lui, aveva abbassato la guardia.

Emma aveva sempre avuto un talento naturale ad infilarlo in situazioni particolarmente “inusuali”; all’inizio non ci aveva prestato molta attenzione, innocua ed ingenua com’era, tuttavia questo lo portò a pensare che, prima o poi, la ragazza avrebbe attentato, inconsciamente, al suo cuore.
Proprio come in questo preciso istante.
Le sue gambe tremarono così tanto come una foglia che temette di perdere l’equilibrio, tentando di mantenere la calma e il sangue freddo.
Doveva dire qualcosa per non rimanere muto come un pesce e fare la figura dell’idiota davanti alla sua cotta era, decisamente, l’ultimo dei suoi pensieri.

Andava bene qualunque cosa, anche la più banale delle scuse.
Dopo vari secondi passando a rimuginare su cosa poteva essere la cosa giusta da fare, finalmente, aveva trovato la soluzione al suo dramma interiore: doveva improvvisare.

-“C-credo di aver sbagliato qualche passaggio…”

-“Davvero?”

Aveva fatto centro.
Si trattenne a sorridere trionfante, scampato dall’imminente pericolo.
Dopotutto, anche se stava cercando di non farsi scoprire dallo sguardo ammaliatore della Grifondoro, non era tanto lontano dalla verità.
Inspira.
Sii composto.
Espira.
Sbatte’ più volte le palpebre annuendo con un cenno della testa, stavolta più sicuro di se’ e con la voce meno tremante.
La grifone aveva la sua completa attenzione.

Resta calmo e non fare mosse avventate stavolta, pensò lui.

Estrasse dalla tasca nascosta dei pantaloni la sua bacchetta scura, con dei finissimi ghirigori intrecciati color argento  che si estendevano fino alla punta  e, con piccoli gesti della mano sinistra, mosse la bacchetta facendo fuoriuscire a malapena un piccolo sprazzo di luce bianco-argento.

-“Si, ero sicuro che bastava solo mi focalizzassi sul ricordo più felice o un emozione che mi facesse scaturire una grande quantità di energia positiva… ma credo che non funzioni del tutto.”

Emma poggiò una mano sul mento, arcuando le sopracciglia rossicce in un espressione pensierosa e buttando un occhio di tanto  in tanto sulla bacchetta del serpe.
Per Norman, era inusuale vederla con quello sguardo così concentrato e serio.
Pur non essendo un talento naturale come il sottoscritto o una studiosa come Ray, lei era capace di imparare qualsiasi incantesimo, sortilegio o manovra su una scopa in poco tempo grazie la sua formidabile memoria e alle sua capacità di osservazione, che la portavano a vedere oltre, anche i piccoli dettagli.
Su questo aspetto, non l’ha mai sottovalutata, anzi, la maggior parte delle volte chiedeva sempre a lei  per dei pareri su incantesimi “particolari” che si usavano in Difesa Contro le Arti Oscure o addirittura con Pozioni che, in quel caso, richiedevano una concentrazione massima nel prepararle.

Attese con ansia il suo verdetto finale.

Inizialmente, la grifone oscillò con un piede e un altro intorno all’albino, fino a quando non si fermò di colpo, interrompendo quella strana danza di passi intrecciati.

Puntò l’indice destro contro la sua figura e un grande sorriso le illuminò il volto, nonostante fuori dall’Osservatorio il cielo stava iniziando a scurirsi, bastava la sua sola presenza ad illuminare d’immenso il suo cammino.

-“Due sono le cose, o tu sei distratto o il ricordo felice su cui ti stavi  concentrando non trasmetteva abbastanza positività!”

Sobbalzò.
Adesso era lui ad essere confuso.
Oscillò di poco il capo, arcuando le sopraciglia chiare in un espressione dubbiosa.

-“Cosa intendi dire?”

-“Voglio dire che non era abbastanza efficace ed intenso. Magari ti sarai soffermato su un ricordo del passato di quando eri piccolo, o magari l’euforia del momento… ma non era forte abbastanza da scaturire quell’onda di energia positiva.
Sappiamo che la natura dell’Incanto Patronus è soggettiva, ovvero tanto è l’intensità di quella sensazione di felicità su cui si fa leva, maggiore sarà l’efficacia del Patrono.
Giusto, Norman?”

Lui annuì velocemente.

La rossa mostrò la sua bacchetta.
Era di un legno scurissimo con il manico intagliato di vari cerchi concentrici che, di tanto in tanto, alla luce del sole sembravano delle lingue di fuoco; presentava alcune sporgenze e non era del tutto dritta come le solite bacchette.
Con un rapido gesto del polso, gli mostrò la giusta manovra.

-“Bene, ed è anche vero che a determinare la potenza e la riuscita dell’incantesimo, non è tanto il contenuto, ma la sensazione trasmessa da tale pensiero.
Perciò… credo che sia abbastanza chiaro.”

Non fece in tempo a domandarle a cosa stava pensando che la rossa   si avvicinò quatta quatta all’albino e, in meno di pochi secondi, gli strinse dolcemente la mano libera, non togliendo mai quel dolce sorriso che aveva sul volto.
Sussultò.
Cosa stava succedendo?
Aveva giurato di aver intravvisto un leggero colorito rosso tra le gote della grifone quando percepì un calore confortevole tra le dita, ma forse si sbagliava visto come aveva iniziato a fare buio così velocemente.

Sì, doveva essere per forza così.

Non rischiava solo di impazzire, ma anche di avere un brutto infarto per quanta ansia stesse provando in quel momento.
Gli tremò il labbro inferiore e la sua voce uscì a malapena come un sussurro.

-“E-Emma…?”

La luce del sole stava sparendo poco a poco, lasciando alle sue spalle un cielo macchiato di arancio tra alcune sfumature violacee e la figura purpurea della luna fece capolino in un angolo, illuminando debolmente i due ragazzi, intenti a specchiarsi l’uno negli occhi dell’altra.
Quanto erano belle quelle gemme preziose, incastonate a regola d’arte, in quel viso androgino e roseo?
Come se non bastasse, il battito del suo cuore stava incominciando a martellargli quasi fastidiosamente al petto, le farfalle sfarfallavano energicamente allo stomaco e per un attimo pensò che, di lì a poco, avrebbe avuto un infarto.

Smettila di attentare così al mio cuore, pensò lui.

Com’era finito ad infatuarsi così profondamente di una ragazza così, come dire, piena di risorse rimase un gran mistero.
La situazione stava prendendo una strana piega e quando pensò che niente poteva andare peggio di così, la rossa riprese la parola.
Era talmente disorientato dal calore della sua mano e la sua vicinanza che gli fischiarono le orecchie, non potendo udire cosa gli avesse detto tentò invano di domandarle cosa gli avesse detto, ma Emma fu più veloce.
Con uno scatto repentino, gli prese la cravatta verde-argento avvicinandosi poi pericolosamente al suo viso e come furono letteralmente “faccia a faccia” il giovane Minerva dovette fare del suo meglio per controllarsi a non fare pazzie, come per esempio saltarle addosso e baciarle la fronte, le guance e le labbra.

Dannazione, lo stava facendo impazzire.
In tutti i sensi.

-“Non devi necessariamente concentrarti su un ricordo del tuo passato o un momento specifico che ti è successo, magari potresti andare oltre… puoi benissimo immaginare cosa ti fa rendere tanto felice e spensierato da farti spuntare un sorriso… e che sia facile da tenerlo a mente.”

Gli sussurrò qualcosa vicino l’orecchio e poi, lentamente, lo lasciò andare allontanandosi di qualche passo da lui, senza però sparire davanti alla sua visuale.
Non smise di sorridergli amorevolmente nemmeno quando spalancò le braccia in aria e, nel mentre stringeva con forza la sua bacchetta, uscita fuori in vista per l’occasione, gridò a pieni polmoni il suo nome ridendo spensierata.
Stava iniziando a fare freddo fuori e la raffica di vento era più forte rispetto a prima, tuttavia non sentiva niente sulla sua pelle nivea.
Non provava i soliti brividi di freddo post invernali, se non un inspiegabile calore che avvolgeva completamente il suo corpo, il sangue che gli stava dando alla testa e il cuore che martellava terribilmente forte al petto, da lasciarlo quasi senza respiro.

Che sia facile da tenerlo a mente, ripeté quella frase talmente tante volte da diventare il suo stesso mantra.

Arrossì così vistosamente, fino alle orecchie, che per un attimo divenne un grosso ortaggio da giardino, pronto per essere raccolto.
La vista si stava offuscando ulteriormente e temette di svenire in quel preciso istante, ma non mollò; la luce della luna illuminò in parte il suo profilo e le dita incominciarono a pizzicargli dolcemente la pelle, e in quel preciso istante, mille immagini di lui e Emma fecero capolino davanti ai suoi occhi azzurri.

Dannazione, se fosse morto sul posto, questo era decisamente il Paradiso.
Stava già iniziando a compilare mentalmente il suo testamento.
Se la immaginava così, la sua lapide: Norman Minerva, 16 anni, giovane promessa nel mondo magico come aspirante Auror e figlio del talentuoso Spezzaincantesimi William Minerva, causa del decesso: overdose di dolcezza verso la ragazza di cui, non solo era pazzamente innamorato, ma provava anche una certa attrazione fisica.

Vari erano momenti in cui si stringevano la mano timidamente, si abbracciavano con la felicità negli occhi, si sfioravano curiosi verso l’ignoto e si baciavano così amorevolmente da fargli scoppiare il cuore.
Qualsiasi cosa potesse solo vedere o sentire, il sorriso di Emma non ha mai smesso di illuminare il suo volto, come la forza di mille soli.
Vedeva non solo il passato, ma anche il presente e il futuro.

Strinse forte la sua bacchetta e senza nessuna esitazione, recitò la formula tanto agognata.

-“Expecto Patronum!”

Le prime cose che sentì in quel momento furono il nitrire armonioso di un equino, seguito poi dallo scalpitare degli zoccoli e una sferzata di energia positiva soffiargli quasi prepotentemente la faccia.
Poi lo vide.
Un raro esemplare di Unicorno trotterellava allegro e con passi eleganti intorno all’Osservatorio e il lungo corno che spiccava sul muso affusolato della creatura magica non smise mai di brillare di luce propria.
Si guardarono per un attimo negli occhi e fu solo allora che comprese cosa successe, in quel preciso momento.

Sorrise, euforico.
Ce l’aveva fatta.
Aveva evocato il suo Patrono corporeo.

Udì la risata trionfante della sua amata grifone, gridando entusiasta per la riuscita dell’Incanto Patronus e con un rapido gesto della bacchetta, fece capolino il suo Abraxan che nel mentre stava facendo conoscenza con l’Unicorno del giovane Serpeverde.
Stremato, si lasciò cadere all’indietro, senza però smettere di sorridere.
Guardò il cielo ormai scuro e puntellato di stelle per una miriade di secondi e come sentì i passi svelti di una allarmata Grifondoro di sua conoscenza, si ricordò cosa gli aveva sussurrato all’orecchio, portandolo ad imporporarsi vistosamente al viso, fino alle orecchie.

“Sono riuscita ad invocare il mio Patrono grazie a te.
Ho ricordato tutti i vari momenti che abbiamo vissuto insieme da quando ci conosciamo… e ho immaginato le nostre vite intrecciarsi ancora e ancora, come i fili d’argento presenti sulla tua bacchetta.
Qualunque cosa stavamo facendo… eravamo insieme, mano nella mano.”

               

          

                                         



 

Angolo dell'autor*!

Prima che parta con le mie solite chiacchere di fanwriter, volevo specificare alcune cosine:
-Durante la trascrizione della raccolta, non ho potuto farli passare dall'occhio vigile della mia Beta Reader di fiducia, quindi vedrete i vari pastrocchi a livello di grammatica/sintassi/whatever ( le correzioni vere e proprie le vedrete direttamente quando si sarà concluso il contest.
anzianità(?) non voglio sfotterla-Sto sperimentando alcuni format, visto che io e il computer ci bisticiamo su vari fattori e spesso lo schermo si mette a "sfarfallare" vista la sua troppo poverina.
-Non ero cert* di voler partecipare a questa iniziativa visto che sto attraversando un brutto, bruttissimo momento, ma mi sono volut* dare uno schiaffo morale a me stess* e buttarmi in questo nuovo viaggio.
Con questa premessa, passiamo subito agli affari.
La one-shot partecipante al contest di “Norember” , come ben vedete, è a cura di Standreamy, una fanartist fantastica che ho avuto modo di conoscerla su Instagram e che ha voluto estendere il contest anche per i fanwriters!
Che ragazza! (andatela a seguire e supportatela, per favore!)
 Ad ogni modo, è tratta dalla serie che, dopo Banana Fish, mi ha fatto piangere tantissimo fino a sclerare male, malissimo: The Promised Neverland, e i protagonisti (indiscussi) che ci accompagneranno in questa raccolta di one-shots sono, niente di meno, che Norman ed Emma!

 (...e ultimo e non per questo il meno importante, con la partecipazione straordinaria del magico AU di Harry Potter)

Specifichiamo una cosa: chi mi conosce bene, sa quanto mi diverta a fare i Crossover/AU con più fandom (tralasciando, ovviamnete, crisi di nervi e blocchi dello scrittore obv-)
Nonostante conosco i personaggi da, boh, un paio di mesi, oltre a mettermi paura di uscire troppo fuori dai loro caratteri, ho faticato parecchio a capire alcuni dettagli della trama, del tipo "Dove li smisto a questi qui?" (Norman stava benissimo sia in Serpeverde e in Corvonero, so, ho tirato a sorte lol) poi è capitato la scelta del loro Patronus.
Inizialmente ad Emma volevo farle appararire una leonessa/leopardo/ghepardo mentre a Norman volevo indirizzarmi sul gufo/civetta...
Ma ho voluto cambiare prospettiva.
Non serve che vi parli in che anno/secolo ho voluto "teletrasportarli" nell'universo potteriano, so, preferisco lasciarvi viaggiare con la vostra mente.
Piccolo avviso: la raccolta subirà vari ritardi e saranno più le volte in cui non riuscirò a rispettare le date di pubblicazione, ma tranuilli/e, gli aggiornamenti ci saranno; e più avanti, nella raccolta, potrebbe esserci una possobilità che si ripresenti di nuovo l'AU di Harry Potter... ma non vi dirò nulla ewe
Spero che vi sia piaciuta e avrete voglia di seguirmi  per tutta la durata del contest!
Alla prossima,
Artemìs


 

 

 

 



 

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Capitolo 2
*** *Hey, Can you hear me?* ***


norember/phonecups

*Iniziativa: scritta per il Contest “Norember”, indetto da Standreamy sulla sua pagina instagram ispirandosi all’Inktober.
*Numero Parole: 2.965
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Hey, Can you hear me?

 

 

-“La febbre è ritornata già all’alba… le sue difese immunitarie sono calate quasi drasticamente. Non l’ho mai vista così debole e sofferente...”

Sebbene fosse in stato di dormiveglia e accaldata per l’influenza, Emma riuscì a riconoscere la voce  delicata della sua amica Anna quando era in stato di apprensione; come non darle torto: quando ha saputo di essere caduta in malattia e faceva fatica anche solo respirare, lei non ha esitato ad assisterla, personalmente.
L’aveva sentita parlare tra se e se qualche mezz’ora fa mentre le cambiava il panno bagnato e le asciugava la fronte bagnata che, nel mentre, aveva ripreso a scottare non poco; ricordò la sensazione di benessere e pace interiore quando percepì al tatto la pezza bagnata calda inumidirle il viso, dandole un senso di sollievo.
Nonostante non era nel pieno delle sue forze, la rossa non era preoccupata per quel malessere che la stava indebolendo poco a poco, perché si fidava ciecamente di Anna e delle sue doti in fatto di medicina.
Era in ottime mani, essendo prossima a diventare un medico.
Aprì poco a poco gli occhi un po’ frastornata, aspettandosi di vedere una delle trecce bionde della sua amica o di sentire la sua voce augurarle il buongiorno.

Non c’era nessuno.
Era sola.

Aveva avuto il pensiero di alzarsi dal letto, ma un brutto capogiro la fece desistere fino a sprofondare la testa nel cuscino morbido, come se qualcuno le avesse buttato un grosso macigno alla faccia soffocandola interiormente.
Arcuò le labbra in una smorfia di dolore.
Prendere l’influenza in un periodo come questo era davvero una grande seccatura, tuttavia sapeva perfettamente che se voleva rimettersi in piedi e continuare a seguire la sua missione di pace, doveva assolutamente guarire.
Si sarebbe annoiata a furia di guardarsi i pollici, ma almeno aveva la possibilità di  riposare il corpo e riflettere su molte cose; doveva ancora parlare con Norman per chiarire alcune cose in sospeso.

Chissà cosa starà facendo in questo momento, pensò lei.

Si rigirava nel letto caldo con fare sconsolato, agitata com’era nelle condizioni in cui si trovava negli ultimi cinque giorni, persino l’odore delle lenzuola che profumavano di biancospino non le erano di gran conforto.
Aveva borbottato qualcosa, infastidita, che non si ammalasse mai, eppure venne invasa da un forte attacco di tosse secca per poi starnutire per tre volte di fila, cominciando a dubitare, dopo ciò, se poteva perdere la sensibilità al naso per quanto fosse rosso e gonfio consumando già tre confezioni di fazzoletti.

Le vennero in mente i vari flashback di Grace Field, di quando ancora lei e Norman non sapevano niente della vera “natura” di quell’orfanotrofio, come non sapevano che Ray, per tutto quel tempo, li aveva protetti con le unghie e con i denti affinché non venissero spediti, e di tutto il resto; alcuni erano felici e pieni di gioia, altri invece erano tristi ed angoscianti.
Ma c’era un ricordo che custodiva gelosamente nel suo cuore ed era quello che la faceva più sorridere, intenerita, fino ad arrossire in volto.

-“Accidenti, è passato tanto tempo da allora…”

Doveva essere un lontano Dicembre, quando la neve aveva coperto tutta la pianura sempreverde della loro vecchia e amata casa in una coltre bianca, fredda e soffice e il freddo le penetrava fin sopra le ossa, facendola rabbrividire.
Sebbene la Mamma aveva cercato di mandarla via dall’infermeria in ogni occasione, Emma aveva fatto visita, più volte,  all’albino: cadeva spesso in malattia e, per la sua triste sorte, doveva stare in quarantena affinché tornasse da lei e Ray nel pieno delle sue forze.
Ricordava che non voleva lasciarlo solo e voleva vedere quel sorriso buono e genuino sul suo viso niveo, illuminarsi di una gioia e spensieratezza che solo un bambino sapeva dare.
Non dimenticò mai quell’innocente rossore sulle sue guance quando gli promise di stargli accanto per sempre e i suoi grandi occhioni azzurri guardarla con profonda ammirazione ed imbarazzo insieme, era così tenero che più volte aveva pensato di pizzicargli le guance; per non parlare, poi, della sua risata dolce e cristallina che aveva sentito attraverso il telefono a spago, costruito sotto il suggerimento del corvino visto che la Mamma l’aveva cacciata via con la forza.

Era, praticamente, musica per le sue orecchie.
Lui aveva sempre avuto una bella risata, e non solo.

Sospirò nostalgica.

Nelle condizioni in cui era messa in quel momento, si rivedeva in Norman: si sentiva debole, faceva fatica a mandare giù qualche boccone, i costanti tremori al corpo e come se non bastasse aveva la febbre da cavallo che si divertiva a burlarsi di lei: faceva su e giù come le montagne russe e puntualmente, quando credeva che il peggio fosse passato, è sempre lì, nascosta, pronta per  attentarle un agguato alle sue spalle.
Un’ora prima si sentiva abbastanza in forze per andare al bagno, sciacquarsi la faccia e, magari, camminare intorno alla stanza alla ricerca di qualche coperta più pesante, due ore più tardi cominciavano i dolori lancinanti alla testa a furia di starnutire come una forsennata e se tutto andava bene, riusciva a bere un bicchiere di acqua, seppur in piccole sorsate; e quelle dopo ancora, si sentiva ancora peggio: non solo iniziava a farneticare nel sonno, ma faceva fatica persino ad alzare la testa dannandosi quanto fosse pesante quanto un cumulo di pietra.
Com’era potuto succedere?
Era perché si era buttata nel fiume per aiutare Hayato e Ray con la battuta di caccia e aveva tenuto a lungo i vestiti bagnati?
Era perché era rimasta fuori troppo a lungo in esplorazione con gli altri ragazzi di Goldy Pond e, di conseguenza, aveva preso freddo?
Oppure era perché l’orecchio amputato si era infettato di nuovo?
Questo era il dilemma che affliggeva Emma: qualunque cosa avesse fatto in quei giorni, il suo fisico ne stava pagando le conseguenze delle sue azioni.

Fuori dalla porta della sua stanza, sentiva un susseguirsi di passi e sussurri ma la voce del suo migliore amico spiccò in mezzo alle altre, borbottando qualcosa come quanto fosse un inguaribile testona ed incosciente ad ammalarsi proprio quando doveva evitare di fare tanti sforzi, ma di certo non nascose la sua preoccupazione.
Annotò mentalmente di dargli un bel pugno in faccia quando si sarebbe ripresa a dovere dal febbrone.
Questa me la paghi, stupido di un Ray, pensò lei.
Riconobbe anche le voci di Gilda e Don mentre parlavano con Ray per come gestire la situazione al Rifugio, le escursioni all’esterno e a un possibile ritrovamento di altri bambini dei quattro stabilimenti.
Aveva teso all’unico orecchio sano per ascoltare un minimo la loro conversazione, scostando qualche ciocca ribelle dei suoi capelli rossi, che stavano iniziando a crescere e sfioravano dolcemente le spalle magre e bianche, ma sentiva a malapena il loro discorso visto il tono basso.

Ah, se solo non si fosse tagliata l’orecchio per evadere da Grace Field con tutta la sua famiglia e ingannare la Mamma, Emma avrebbe potuto sentire con entrambe le orecchie.

-“Ad ogni modo, l’avete sentita Anna, no? Deve stare in assoluto riposo, nessuno può entrare in camera sua se non lei… Mi raccomando, occhi aperti.”

-“Cosa facciamo se… insomma, lo viene a sapere? Come minimo tenterà di entrare dentro per vederla.”

-“Di questo, non ti devi preoccupare Don. A lui ci penso io.”

Inarcò un sopraciglio dubbiosa.
Stavano forse parlando del piccolo Phil?
O era Chris?

Chi poteva mai essere?

Si rimise nuovamente in ascolto, desiderosa di poter scoprire altre informazioni utili sulla loro conversazione, ma l’unica cosa che sentì fu lo scricchiolio della moquette e un infrangersi di passi in lontananza, segno che avevano concluso giusto un paio di minuti la loro riunione.
Con grande disappunto per la sottoscritta, dovette arrendersi all’idea di seguirli fuori dalla sua stanza, se ci avesse anche solo provato, le aspettavano brutte conseguenze.
Come la tirata di orecchie  ferrea di Gilda oppure un bel pugno testato di Ray sulla sua testa, doveva sperare che Don lo tenesse calmo sennò ci andava con la mano pesante.
Le vennero i brividi dietro la schiena, ma non per il freddo.

-“No no no, per stavolta passo.”

Si rannicchiò in un angolo nel letto e come si mise alle spalle della porta strinse forte le coperte, salendole su, fino a coprire la bocca rosea.
Gli occhi verdi guardavano quasi assenti la tenue luce del giorno che filtrava  da una finestra poco distante da lei, la sua pelle stava iniziando ad imporporarsi poco a poco e in quel momento la stanchezza stava avendo la meglio su di lei.
Doveva chiudere gli occhi e riposare, ma la sua mente che viaggiava verso l’infinito ed oltre la teneva sveglia e con gli occhi vigili.

Era facile a dirsi che a farsi.
Sbuffò.

Poi venne invasa da un dubbio esistenziale, uno di quelli che forse non si aspettava di pensare ma che nel profondo l’avrebbero sconvolta interiormente.
Sobbalzò sul posto, stringendo entrambe le mani al petto come per proteggersi da qualsiasi pericolo le si presentasse davanti.
E se Ray si riferisse a lui?
Possibile che avrebbe infranto quella regola solo per vederla?
Aveva il vago sospetto che il corvino si stesse riferendo a una persona che conosceva fin troppo bene, ma quando provò a pensare a mente lucida su chi poteva essere il visitatore a sorpresa, un forte attacco di emicrania la colpì in pieno, proprio all’altezza delle tempie e al profilo degli occhi.

Gemette appena per il dolore.

-“Non voglio rimanere bloccata nel letto per sempre… vedi di passare in fretta, stupida influenza.”

Borbottando qualche imprecazione colorita, chiuse definitamente gli occhi e lasciò che Morfeo la portasse con se in un lungo sonno senza sogni, sperando di non ricevere altri brutti risvegli.

 

Dopo varie ore più tardi, al suo risveglio Emma si sentiva ancora un po’ spossata, ma fortunatamente aveva dormito come un ghiro e nessuno l’aveva disturbata durante il sonno.

O meglio, voleva credere che nessuno fosse entrato nella sua stanza.

Non si sentiva ancora tanto bene per poter alzarsi dal letto, ma almeno la testa non le faceva male quando provò ad aprire lentamente gli occhi, di questo ne fu rincuorata.
Eppure, anche se non sapeva spiegarselo, sentiva che c’era qualcosa d’insolito.
Si guardò attorno assottigliando le iridi verdi, circospetta.
La stanza sembrava intatta al primo impatto, i mobili erano sempre gli stessi, la tenda vicino alla finestra era ancora bianca e le piantine poste proprio all’altezza della sua scrivania erano sempreverdi; non c’era niente fuori posto, a parte il vassoio con sopra una grossa scodella di ceramica, avvolta da un panno scuro, e un cucchiaio di legno posto proprio vicino al comodino del suo letto.
Incuriosita, tese la mano su quel tessuto tirandone leggermente il lembo e come sbirciò il suo contenuto, venne invasa dal buon profumo della minestra calda di verdure e sentiva pure un leggero odore di menta.
Non fece nemmeno in tempo a dire “sembra avere un bell’aspetto” che il suo stomaco brontolò, così rumorosamente che temette per un attimo qualcuno l’avesse sentita.

Sorrise divertita.

Era certa che Ray avesse dato una mano ad Anna per prepararle la minestra, solo lui poteva mettere le mani su una ricetta appetitosa quanto gratificante.
A causa dell’influenza, non mangiava già da due giorni e ora si sentiva talmente affamata che avrebbe mangiato, più che volentieri, la scodella e il vassoio.
Annotò mentalmente di ringraziare sia la gentilezza della sua amica a prendersi cura di lei e la premura di quello scemo del suo migliore amico per la minestra.

-“Meglio che mangio subito, prima che si raffreddi… ho veramente tanta fame.”

Mugolando debolmente, stropicciò le palpebre con la manica bianco-arancio del pigiama alzandosi poi con la schiena fino a poggiarsi sullo schienale del letto.
Come mise a fuoco l’immagine davanti a se, notò qualcosa al fianco del cuscino.

Un bicchiere.

-“E questo da dove spunta fuori?”

Strano, non ricordava di averlo lasciato proprio lì, vicino al letto, non aveva nemmeno bevuto niente prima di coricarsi.
Magari qualcuno era entrato dentro la camera e avrà voluto lasciarle questo bicchiere, non sapeva se fosse uno scherzo di uno dei bambini più piccoli, ma non sapeva neppure chi fosse entrato quando dormiva profondamente.
Si girò su un fianco e con delicatezza prese quell’oggetto singolare, rigirandoselo fra le sue mani incuriosita.
Sembrava un normalissimo bicchiere di carta, dalla lieve forma cilindrica, e aveva una superficie bianca e liscia; non aveva niente di strano finché non notò un altro piccolo dettaglio.
Attaccato al fondo del bicchiere, c’era un lungo filo scuro, finissimo come lo spago, e andava a prolungarsi per qualche metro quadrato della sua stanza, più precisamente sotto lo stipite della porta.

Aveva la sensazione di aver già visto uno scenario del genere, come se l’avesse vissuto in prima persona.

Senza che se ne rendesse conto, portò delicatamente il telefono all’unico orecchio sano e nel fare quel movimento, lo spago divenne teso come la corda di un violino.
Fu allora che sentì una voce.

-“Hey, Emma, riesci a sentirmi?

Sgranò gli occhi sorpresa.

Poteva riconoscere la sua voce ad occhi chiusi.

“Norman…”

Sistemandosi meglio tra le coperte affinché le coprissero le spalle, ci mise un po’ di tempo a rispondere, ma come armeggiò meglio con il bicchiere lo avvicinò dritto alle labbra che, in quel momento, si erano arcuate in un gran sorriso.
Era talmente felice di sentire la sua voce che non si accorse nemmeno di essere arrossita quanto le punte dei suoi capelli.

-“Mhm, forte e chiaro!”

-“Come ti senti? Stai un po’ meglio?”

-“Rispetto a prima, sì, faccio ancora un po’ fatica ad alzarmi per andare al bagno… ma per il resto, tra emicranie e mancanza di appetito, va tutto bene.”

-“Capisco… Ho saputo solo adesso cosa ti fosse successo…. Avrei voluto  vederti, ma sia Anna che gli altri ragazzi mi hanno impedito di entrare… sai, per la questione che sono cagionevole di salute.”

Sobbalzò sul posto quando il ragazzo incalzò con le parole “avrei voluto vederti”, ignorando completamente sia il suo sospiro stanco e il tremore a una delle sue mani.
Ci teneva davvero così tanto a vederla?
Strinse forte il bicchiere.

Cos’era quella strana sensazione che sentiva nella pancia, facendola provare non solo i brividi, ma anche farle rizzare ogni ciocca dei suoi capelli?
Centrava, forse, la febbre?
Non era molto sicura a riguardo.

Era talmente sovrappensiero che rispose in ritardo ad una domanda che gli fece l’albino, incespicando tra una parola e un’altra.

-“Io… non ne ho la più pallida idea, onestamente…
C-Cioè, ho fatto tante cose ultimamente, eppure ero sicurissima che non avrei mai preso l’influenza.”

-“Dovevi fare attenzione, Emma. Sarai anche forte e tutto, ma anche il tuo corpo ha dei limiti… dii la verità: l’ultima uscita di caccia con Ray e Don, hai ignorato i primi sintomi?
Certo che tu...

A sentire quel commento, gonfiò le guance paonazza e in un momento di puro nervosismo, gli fece una linguaccia conscia che non potesse vederla.
Adesso ci mancava che pure l’albino gli facesse la paternale.
Sospirò.

Ora penserà che sono una bambina irresponsabile, pensò la rossa.

Questo sì che era imbarazzante.
Alzò la voce di un ottava, inconsapevole che stesse perforando tremendamente uno dei timpani dell’albino, visto quanta enfasi ci stesse mettendo a spiegare la situazione.

-“Andiamo, Norman ma da che parte stai?! Tu che ci sei già passato, dovresti capirmi più di chiunque altro!
Ho già ricevuto tanti discorsi minatori da quello scemo di Ray e Gilda ha gridato così forte che temevo di diventare sorda. Menomale che Anna mi ha preso sotto la sua ala protettiva: è un angelo sceso in terra, si sta impegnando  con tutta se stessa a guarirmi… però è una gran seccatura stare chiusa qui dentro tutta sola.
Mi sto annoiando a morte, uffa!”

Ci fu un silenzio di tomba per un secondo poi, seppure debole, sentì alcuni versi strozzati provenire dall’altra parte della porta; tese l’orecchio sul bicchiere che possedeva e constatò che dal lato opposto aveva giurato di aver sentito un rombo lento ma ben scandito.
Arcuò un sopraciglio perplessa.
Non fece nemmeno in tempo a domandargli cosa stesse facendo che la risata di Norman le fece venire i brividi dietro la schiena.

-“N-Norman?”

Non poteva vederlo, ma nella sua mente era chiara e cristallina l’immagine di lui che si teneva la vita, con le braccia, per non ridere sguaiatamente, il viso diventare man mano rosso e il sorriso illuminarsi sempre di bianco.
Per non parlare del suo profilo delineato seppur delicato, nonostante fosse dannatamente alto, e il pomo d’adamo leggermente sporgente alla gola.
A quel miraggio effimero, arrossì vistosamente ed era sicura che non era la febbre a farle quello strano effetto.
Accidenti a lui, come faceva ad avere una risata così bella e composta?

“Non credo di sentirmi bene… fortuna che sono già a letto, mi sono risparmiata una brutta caduta.”

Scosse energicamente il capo.
Calmati, lui non può vederti, pensò Emma.

-“Perdonami, non ho potuto fare a meno di pensare quanto tu riesca ad essere così… energica anche in queste condizioni. Sei davvero incredibile, sai?”

La rossa ridacchiò piano.

“Dovrei… prenderlo come un complimento?”

Posizionò meglio le coperte intorno alle spalle, avvolgendo anche la testa, percependo già i brividi di freddo penetrarle fin sotto la pelle.
Sospirò un po’ seccata all’idea di trascorrere un’altra giornata con la febbre alta, chiusa ancora in camera sua, pregando interiormente che il ragazzo non se ne andasse via.

-“Hey, Norman… ti volevo chiedere… s-sì, insomma, tu…”

-“Stai tranquilla, non ti lascio sola.”

-“Cos- davvero?”

-“Mhm, rimarrò qui con te… anche tutta la notte, se necessario.”

Un grande sorriso illuminò il viso della giovine, ormai imporporato fin sopra le orecchie.
Temeva di passare la giornata chiusa in camera senza che nessuno la andasse a trovare; tuttavia, la fortuna ha voluto che ci fosse Norman a farle compagnia, con il telefono a spago, durante questa quarantena.







Angolo dell'autor*!

Sono riuscit* ad aggiornare la raccolta, che bellezza-
E' stato inusuale vedere una Emma, sempre energica e piena di positività, combattere contro l'influenza e bisticciare di tanto in tanto con la scatola dei fazzoletti... ma ammetto di essermi divertit* un po' a scriverla :"D
Fluff a parte, la scena del telefono a spago vi ricorda qualcosa???
Ah, che bello fare i parallelismi-
Ora, penso che sia doveroso darvi una spiegazione sulla presenza del nostro carissimo e preziosissimo Phil ehehhe
Durante la trascrizione della one-shot, ho voluto dare un interpretazione "diversa" ad un avvenimento che succede nel manga, ovvero di quando Emma, Ray, il resto della famiglia e i ragazzi di Goldy Pond trascorrono il loro soggiorno al Rifugio/aka Il paradiso dei bambini e lì troviamo Norman e la sua Squad: composti da Vincent, Ciclo, Barbara e Zazie (che, a proposito, spero di poterli trattare/includerli in alcune scene importanti nella raccolta perchè diciamocelo, sono una squadra affiatatissima)
Visto che, secondo l'ordine cronologico della serie di TPN, Phil si ricongiunge con gli altri ragazzi nei capitoli più avanti, ho voluto includerlo nel gruppo dei fuggitivi dalla fattoria di Grace Field; in poche parole, questa one-shot  è stata concepita come "What If?"
Forse, in futuro, ci sarà un seguito di questa one-shot e Phil giocherà un ruolo "importante" nel rapporto di Norman ed Emma... chissà, mai dire mai-
Spero che abbiate goduto la lettura e, se vi va, lasciare una recensione se vi è piaciuta e volete esprimere un parere a riguardo.
(Se volete farmi notare gli errori grammaticali, mi date una mano così potrò mostrarli alla Beta un giorno, con il contest finito)
E nulla, ho detto quello che volevo dire.
Alla prossima,
Artemìs

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Capitolo 3
*** *Icarus's Weakness* ***


noremma contest 3.0

*Iniziativa: scritta per il Contest “Norember”, indetto da Standreamy sulla sua pagina instagram ispirandosi all’Inktober.
*Numero Parole: 3.399
*Prompt: Weakness
*Link al vostro blog/twitter/quel che volete:

Profilo EFP (
https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=224886
Profilo Wattpad (https://www.wattpad.com/user/artemiskarpusivargas)
Hashtag: #NoremmaMonth2020 #Norember              

 Icarus’s Weakness

 

-"Norman, vorrei parlarti di una cosa.”

Quella mattina i due ragazzini si trovavano nel cortile dell’orfanotrofio, stendendo le lenzuola bianche, immacolate come la neve,  nella struttura in legno aiutandosi con alcuni bastoni ricurvi per riporli anche nei piani più alti.
Il sole era alto nel cielo e le nuvole ne coprivano giusto una parte, in quello spazio azzurro e sconfinato, dando vita a varie forme astratte.
Per essere solo metà autunno, era davvero una bella giornata.

Tuttavia, c’era una strana tensione nell’aria.

Ray assottigliò gli occhi cangianti sul profilo dell’albino, che in quel frangente avevano preso una sfumatura più grigia, seguendolo con lo sguardo quanta concentrazione ci stesse mettendo per allineare le assi di legno alla giusta altezza e posizione affinché le lenzuola rimanessero simmetriche, da entrambi le parti.
Attese giusto un paio di secondi prima di ricevere la sua risposta, proprio quando diede un ultima occhiata allo stenditoio.

-“Riguarda ai preparativi della fuga?”

Il corvino si guardò circospetto tenendo ben saldo il bastone tra le mani.
Dal vasto giardino sempreverde di Grace Field, vedeva di schiena le figure di Don e Gilda che stavano accanto agli altri bambini, sotto lo sguardo vigile della loro allevatrice, Isabella; camminava al fianco delle piccole Yvette e Jemima, che nel mentre stringevano le sue mani con tanta enfasi, sorridendo e scherzando come solo le bambine sapevano fare.
Dal lato opposto invece, vedeva l’inconfondibile ciuffo rosso e ribelle di Emma che aiutava Phil e Shelly a creare delle deliziose composizioni floreali, utilizzando fiori semplici ma di bell’aspetto.

-“No, si tratta di te.”

A quelle parole, Norman inclinò il capo, decisamente confuso indicandosi poi con l’indice sinistro.
Ricevette come risposta una semplice scrollata di spalle, senza però lasciarsi scappare una risata muta tra le labbra.
Arcuò un sopraciglio.
Ora era decisamente curioso di saperne di più.
Intenzionato a ricevere ulteriori risposte, cercò con lo sguardo il viso di Ray, intento a stendere altre lenzuola, ma quei cespugli sempre spettinati e neri come il carbone  coprivano una buona parte la sua faccia, come se stesse indossando una maschera.
Sospirò, leggermente seccato da quella strana situazione, ma per sua fortuna, non dovette aspettare molto.

-“Ho scoperto un altro tuo punto debole.”

-“Mhm? Davvero?”

-“Già, è persino più divertente di quando, quella volta, hai cercato di aprire un barattolo di sottaceti ma non riuscivi a svitare il tappo. 
Fu Emma ad aiutarti per aprirlo… Ah, che bei tempi.”

Lanciò un’occhiata divertita al suo amico mentre l’albino, di rimando, bofonchiò infastidito qualcosa come quanto, in certe situazioni, fosse così invadente, antipatico e privo di tatto.
Ci provava proprio gusto a burlarsi di lui.
Proprio un gran bell’amico, pensò Norman.
Poggiando il bastone dal lato dello stenditoio, incrociò le braccia lanciandogli uno sguardo minatorio e che non ammetteva repliche, seppur il suo rossore alle gote lo tradì fino all’ultimo.

Dannazione.

-“Oh, curioso… è davvero curioso che tu mi dica una cosa del genere.
E sentiamo Watson, oltre alla mia indole ad ammalarmi facilmente e alla poca forza che possiedo nelle mani, quale sarebbe la mia ennesima debolezza?”

Non fece in tempo a domandargli cosa lo facesse tanto ridere da piegarsi in due che una risata allegra e ben familiare attirò la sua attenzione.
Seguendo la fonte di quel suono, spostò leggermente un lembo delle lenzuola bagnate e nel fare ciò, rimase immobile come una statua, ignorando così la presenza del suo amico.
Le iridi azzurre ammiravano una Emma intenta a sfiorare delicatamente la corona di fiori che indossava tra i ciuffi rossi, ciocca dopo ciocca e fiore dopo fiore; alcuni petali di margherite, rose e peonie solleticavano dolcemente il viso roseo e delicato che, lentamente, andava in forte contrasto con il crescente rossore alle guance.

Perse uno, due, forse tre battiti a quella visione così surreale.

Vedeva la testa mora di Phil che si agitava e alzava le braccia in aria, seguita dalla testa color pesca di Shelly a fare la medesima mossa ma con i piccoli pollici all’insù, facendo così arrossire ancora di più la più grande; a giudicare dal suo stato d’animo, forse la rossa aveva ricevuto un complimento dai bambini più piccoli.
Gli parve di vedere un sorriso timido sbocciare tra le labbra, seguito poi da un flebile “grazie”, dopo vari tentativi, falliti, a formulare una frase di senso compiuto.
Il cuore gli martellò così rumorosamente che minacciava di scoppiargli nel petto, arrossendo vistosamente fino alla punta delle sue orecchie.

Era troppo tenera.
Troppo preziosa.
Decisamente “troppo” per lui.

Si lasciò scappare un sospiro sognante, sfiorandosi con la mano sinistra il cuore pulsante e rombante che non accennava a calmarsi, incurante che il corvino fosse ancora lì, con lui.
Sono cresciuti insieme in quell’orfanotrofio da tutta una vita, ma questa era in assoluto la prima volta che vedeva Emma sotto un’altra luce; un lato di se’ stessa che faceva così fatica ad esporre le sue emozioni, se non con estremo imbarazzo.
Un lato di se stessa che non aveva mai conosciuto ma che, nel profondo, gli ricordava tremendamente se stesso.

Così timida.
Impacciata.
Riservata.

Gli venne in mente un vecchio aforisma, di cui al momento gli sfuggì di mente il nome dell’autore, che aveva letto in un libro di poesie tempo fa; parlava della bellezza di una persona nella sua semplicità e nella sua diversità, anche se agli occhi degli altri risultava troppo piccolo ed indifeso.

“Il fiore che sboccia nelle avversità è il più raro e il più bello di tutti.”

Gli faceva uno strano effetto vedere il suo viso diventare un tutt’uno con i suoi capelli e quel modo di fare, così inusuale quanto tenero, a toccarsi la corona di fiori con la paura di rovinare quell’intreccio intricato di foglie e fiori.

Si sentiva come se avesse toccato il cielo con un dito.

Aveva una voglia irrefrenabile di stringerla forte tra le sue braccia e dirle quanto fosse carina ed adorabile con quell’espressione così dolce e delicata e baciarle una ad una le sue gote rosse.
Sebbene l’albino fosse un po’ timido e goffo con le effusioni e il contatto fisico, quali baci e abbracci, ogni giorno sognava ad occhi aperti di poter starle accanto senza che si sentisse in imbarazzo.

Norman sognava di poter essere quel “qualcuno” per la rossa.

Ma sapeva bene che non era il momento “adatto” a fantasticare su come poteva conquistare il suo cuore, seppur l’idea era molto allentante.
Strinse così forte il tessuto delle lenzuola che le nocche gli si sbiancarono di colpo, diventando un tutt’uno con la divisa.
Dovevano affrontare i nemici sia dentro e fuori le mura della “Fattoria” Grace Field House, trovare un modo per scappare con tutta la loro famiglia una volta evasi e, ovviamente, sopravvivere.
E per farlo, non poteva assolutamente commettere altri passi falsi.
Temeva di perdere il controllo delle sue emozioni e di lasciarsi andare in un pozzo senza fondo, così che la disperazione lo facesse impazzire allo stato puro.

Ma aveva la fortuna di avere al suo fianco due persone speciali e che, senza di loro, Norman non avrebbe retto a lungo il peso di quell’amara e crudele verità.

Era determinato ad affrontare quell’impresa pericolosa quanto impossibile, sapeva bene dei rischi che correva e il solo pensarci gli tremavano le mani, ma per proteggere le persone che amava, specialmente il suo sorriso, avrebbe messo da parte le sue paure più oscure e fronteggiare persino con il Demonio in persona.
Tuttavia, non era preparato per l’imprevedibile e quando se ne accorse fu troppo tardi.
Aveva tirato così forte le lenzuola bagnate che, nel fare ciò, un lembo gli cadde in faccia, inumidendogli il viso, i capelli e una buona parte il suo maglioncino bianco panna.
Incespicando e dimenandosi come un uccello chiuso in una gabbia, non poté vedere la faccia divertita del suo migliore amico sganasciarsi dalle risate alle sue spalle.

-”Ahahaha, certo che tu sei davvero imbranato.”

-“Chiudi il becco, Ray.”

Ci mise un po’ di tempo a liberarsi da quel groviglio di stoffa ma in un modo e in un altro, ce l’aveva fatta.
Borbottava qualcosa riguardo alla brutta figura, pregando mentalmente al Signore che lei non abbia visto nulla, gli tremavano così tanto le labbra e le mani, complici i brividi dell’umidità e la vergogna subita, da lasciarsi scappare varie imprecazioni silenziose.
Arrossì imbarazzato sotto lo sguardo incredulo del corvino.

Accidenti, tutto questo solo perché si era distratto a vedere il sorriso solare  della ragazza di cui provava un amore profondo e sincero e che darebbe qualunque cosa pur di poterle stare al suo fianco e vederla sorridere tutti i giorni.

La voce del suo amico gli arrivò dritto nelle orecchie, bloccandolo sul posto mentre cercava di scrollarsi di dosso le lenzuola bagnate.

 -“Emma.”

-“Come?”

-“Emma è la tua più grande debolezza.
Considerando quanto tu sia cotto perso di lei, perdi completamente la calma e il sangue freddo, ti assicuri che non faccia delle scelte troppo sconsiderate e vai  nel panico quando si tratta della sua incolumità.
Non è così, Norman?”

Sgranò gli occhi sorpreso.
Ci fu un lungo silenzio di tomba.

I due ragazzi si guardarono dritti negli occhi, scavando a fondo nel loro animo, quasi come se stessero attuando uno scontro mentale: chi batteva ciglio, perdeva.
Solo che in  quella “battaglia” non dovevano muovere i loro corpi, se non i loro  sguardi taglienti, tanto affilati quanto pericolosi come la lama dei coltelli, carichi di pura adrenalina.
Le iridi cangianti del corvino scrutavano attentamente quelli azzurro cielo dell’albino, pronto per captare qualsiasi sua reazione o emozione che potesse tradirlo in un istante.
Sospirò.

-“Sono così prevedibile?”

-“Oh, amico mio, quando c’è Emma nel tuo raggio d’azione, cambi  espressione in una più rilassata e serena… peccato che ti fanno sembrare più scemo.”

L’albino si lasciò andare ad una risata nervosa e spontanea, sfiorandosi una guancia con l’indice sinistro accompagnato dalla sua immancabile timidezza e nervosismo a fior di pelle quando si trattava di parlare della ragazza che le piaceva da, ormai, tutta la sua infanzia.
Colpito ed affondato.

-“Ad ogni modo, rientriamo dentro… ti devi cambiare.”

-“Eh? Adesso?”

-“No guarda, domani.
Certo che si, sapientone, così posso stendere i tuoi vestiti e no, non guardarmi in quel modo… mi fai solo innervosire.”

-“Ma dai, che esagerazione. Non rischio niente se mi espongo un po’ di più al sole!”

-“Norman, ti conosco quanto il palmo della mia mano e sappiamo entrambi quanto tu sia debole fisicamente: potrebbe portarti un brutto raffreddore se rimani con quei vestiti addosso.”

L’albino era sul punto di replicare ma dovette tacere all’istante visto come lo stesse fulminando con lo sguardo e come imbracciava il bastone di legno a mo’ di mazza, pronto per suonargliene di santa ragione.
Non voleva ammetterlo, ma i vestiti gli si erano appiccicati così fastidiosamente che sentì già i primi brividi di freddo percorrere su tutte le braccia.
Non aveva tutti i torti quel gran impertinente di Ray.

Esasperato, si arrese all’evidenza, sorridendogli di circostanza.

-“Si, mammina.”

Finirono in fretta di sistemare lo stenditoio e, posando gli strumenti appositi nel cortile interno, entrarono dentro l’orfanotrofio.
Ray avrebbe cercato delle stampelle per appendere i suoi vestiti bagnati mentre lui doveva assolutamente trovare il cambio pulito, visto che non ci teneva ad ammalarsi gravemente.
Salendo le scale di legno a passo svelto e svoltando alcuni corridoi, arrivarono finalmente alla loro stanza che condividevano con il resto dei loro fratelli e sorelle.
Norman andò dritto all’armadio, cercando tra i cassetti e gli scaffali, i soliti vestiti bianchi che davano in dotazione la struttura; ci mise giusto un paio di minuti a trovare i vestiti della sua taglia e fu facile trovarli solo grazie al numero in codice.

22194.

Le stesse cinque cifre che portava al collo.
Come Ray.
Emma.
Il resto della loro famiglia.
Voleva credere che fosse solo uno scherzo di cattivo gusto, eppure dopo aver conosciuto la verità che si celava dietro all’orfanotrofio, gli venne spontaneo pensare che quei codici, marchiati sulla loro pelle, li rendeva degli animali da macello.

Gli veniva il voltastomaco il solo pensarci.
Sospirò.

Il tempo di poggiare il cambio pulito sul suo letto e sbottonarsi il maglione e la camicia che il corvino fece il suo ritorno, con le mani occupate.
Sfilandosi i vestiti bagnati di dosso, compreso la biancheria, poteva sentire il sollievo della sua pelle nivea, leggermente rossa sull’altezza delle spalle e delle ginocchia, al contatto con la stoffa morbida del maglione.

-“Hai mai sentito parlare del mito di Icaro?”

Si accingeva a rivestirsi in fretta, ma come la voce del suo amico gli arrivò alle sue orecchie, si fermò dopo aver abbottonato il terzultimo bottone della camicia, lasciando scoperto un lembo di pelle e i muscoli del collo.

-“Oh, ricordo qualcosa a riguardo…
Se la mia memoria non m’inganna, lui e suo padre Dedalo rimasero richiusi nel labirinto di Minosse, a Creta, per via della morte di Talo, ucciso perché l’inventore era geloso del talento di suo nipote.
Successivamente, sia lui che Icaro trovano un  modo per fuggire dal labirinto: infatti costruiscono delle ali, fatti interamente di cera, e altri piccoli dettagli come il cuoio. Come cala la notte, lui e suo padre spiccano il volo e fuggono, il più lontano possibile dalla loro prigione.”

Gli diede i suoi vestiti, ormai umidi, e vide come il corvino li ripose accuratamente nelle stampelle.

-“Dedalo raccomandò al figlio di non spingersi troppo in alto e di volare dritto sempre ad Ovest: se l’avesse fatto il Sole avrebbe sciolto la cera e lui avrebbe incontrato solo la morte in faccia; il ragazzo era talmente felice di poter assaporare la libertà che gli avevano sottratto… da ignorare completamente i suoi preziosi consigli.
Il mattino arrivò presto e il Dio Elios fece sfrecciare uno dei suoi raggi solari infuocati verso il cielo, tuttavia colpì una delle ali di Icaro…
Sai come va a finire, no?”

Annuì.
Si sedette nel letto, stringendo i pugni ed abbassando la testa fino a vedere le sue ginocchia, come in segno di lutto.
Un sorriso triste e malinconico fece tremare il labbro inferiore.
Rimasero in silenzio per alcuni secondi ma l’albino riprese la parola, senza però smettere ti torturarsi i pollici.

-“La cera si sciolse e alcune piume si staccarono, fino a quando non precipitò nel vuoto… andando incontro al suo tragico destino.
Dedalo assistite alla scena, ma non poté fare nulla per salvarlo… maledì solo la Morte per avergli sottratto la sua unica famiglia.”

-“Davvero una brutta tragedia… non credi?
Se solo Icaro avesse ascoltato suo padre, si sarebbe potuto salvare.”

Sentì lo sguardo indagatore dell’amico su di sé e come alzò la testa per guardarlo dritto negli occhi, per poco non si prese un brutto spavento visto la distanza azzerarsi tra di loro e un senso di oppressione schiacciargli il petto.
Raddrizzò le spalle.

Inspira.
Espira.
Resta calmo, pensò lui.

-“Dove vorresti arrivare con questo, Ray?”

-“Sai benissimo di cosa sto parlando, Norman.”

Si morse l’interno guancia, nervoso.
Si alzò lentamente in piedi, sistemandosi i polsi del maglione alla stessa altezza della camicia, abbastanza seccato dalla brutta piega che stava avvenendo la loro conversazione.
Assottigliò le iridi azzurre in due fessure, come un avvoltoio che aspettava di attaccare al momento giusto il suo avversario, lanciando vari segnali al corvino che qualunque cosa avrebbe detto, non avrebbe cambiato idea tanto facilmente.
Quest’ultimo non reagì molto bene, infatti, in meno di pochi secondi Norman venne strattonato dal colletto della camicia, facendo così cadere a terra i vestiti semi umidi, e poté vedere chiaramente i suoi occhi scuri luccicare di una furia omicida, scoprendo i denti in una smorfia infastidita.
Pensava davvero di avere la meglio contro di lui?
Sorrise sardonico, arcuando le sopraciglia in un espressione più decisa e ferma.

-“Davvero una bella storia, ma sappi che non ho ancora rinunciato all’idea di far fuggire tutti da questa Fattoria.”

-“Sei  davvero un gran idiota!
Se ti lasci trasportare dai sentimenti, farai la stessa fine di Icaro: avvicinandoti troppo al Sole, cadrai e morirai soffocandoti con le tue stesse ali bruciate.
Questa tua debolezza ti porterà a delle conseguenze e non lascerò che tu sostenga quel peso insostenibile!”

Ray era sicuro che confessandogli a mente fredda il suo pensiero, il suo migliore amico avrebbe ragionato più a fondo a non seguire appieno i desideri di Emma, ovvero quello di portare tutta la “famiglia” fuori dalle mura di Grace Field, in un territorio ostile e sconosciuto, ai loro occhi da ragazzini.
Se partivano solo loro tre nella grande fuga, con le loro doti, avevano più possibilità di sopravvivere nel mondo esterno.
Tuttavia, quello che non si aspettava affatto nei suoi calcoli, era la risposta sagace dell’albino, immobilizzandolo sul posto come se i suoi piedi si fossero sprofondati nella terra.

-“Sarò pronto a sopportarne il peso.
E ti assicuro che non finirà come in una tragedia greca.
Dopotutto, è di me che stiamo parlando, no?”

Allentò poco a poco la presa ferrea del colletto della sua camicia aprendo la bocca come per urlargli contro, senza però a far uscire una parola o un suono; come se non bastasse gli prudevano fastidiosamente le mani e non trovò alcun conforto sfregando tra di loro i polpastrelli.

-“T-Tu… sei davvero disposto a fare tutto questo, per lei!?”

-“Si.”

Fu una doccia fredda per il corvino.

Il sorriso di Norman gli fece raggelare il sangue, confermando così che, in quel momento, non stesse scherzando o mentendo; era completamente certo di voler attuare il suo folle piano di seguire i desideri di quella ragazzina sfrontata e dallo spirito libero che, nei peggiori dei casi, li avrebbe portati sicuramente in una morte lenta e dolorosa.
Non fece nemmeno in tempo a stringergli nuovamente il colletto della camicia e sbraitargli contro che l’amico strinse forte il suo polso, facendolo desistere nel commettere un possibile omicidio.
Magari se avesse potuto dargli un bel pugno in faccia; giusto per farlo rinsavire e fargli capire, una buona volta, quanto fosse un incosciente senza il minimo senso del pericolo a buttarsi in un impresa rischiosa quanto mortale.

-“Non hai tutti i torti quando hai detto che lei è la mia debolezza… ora come ora, sono come Icaro: cerco di volare lontano dalla mia prigione, verso mete sconosciute, con le mie ali di cera… ma come vengo accecato dalla luce abbagliante del Sole, perdo quota, fino ad andare incontro al mio tragico destino.”

-“Aha, ora che lo so mi sento più tranquillo!
Non prendermi in giro, idiota!”

-“Ray, tu pensi che questa mia debolezza mi porterà a delle conseguenze.
Ma devi sapere una cosa: lei… lei non è solo questo.”

-“Cosa intendi dire?”

Strinse così forte il polso dell’amico che riuscì a liberarsi dalla morsa ferrea al colletto, grato di poter respirare l’aria a pieni polmoni, sorprendendosi di tale gesto.
Ripensò ai vari avvenimenti trascorsi tra le mura di Grace Field: di come aveva trascorso un infanzia gioiosa, divertente e piena di sorprese, a come voleva un gran bene ai bambini dell’orfanotrofio e ai suoi cari amici,  e ovviamente, al sorriso radioso e puro di Emma che gli stringeva il mignolo promettendosi a vicenda che avrebbe le rivelato quel segreto che custodiva tanto gelosamente e che, al giorno del suo undicesimo compleanno, non aveva voluto svelare.

Non poteva assolutamente perdere.
La posta in gioco era alta e se volevano uscirne vivi da quella prigione, dovevano agire con discrezione.
Sorrise.        

-“Sarà anche la mia debolezza, ma Emma rappresenta anche la mia forza.
Mi ha sempre dato la forza nel poter andare avanti e affrontare le avversità, a testa alta e lo sta facendo tuttora, nonostante l’ho vista crollare giù dalla paura.
È vero che non sono forte abbastanza per proteggerla, ma vorrei almeno tentare di trovare la via più sicura per tutti noi, con le mie stesse mani.
Lei significa molto per me e non permetterò che le succeda qualcosa.”

-“Tu sei completamente pazzo… ha parlato il folle innamorato del Sole.”

-“L’amor che move il sole e l’altre stelle”… dici che se Dante Alighieri fosse esistito ancora per qualche altro secolo, ci sarebbe stato d’aiuto per la fuga?”

Ray rimase vari minuti in silenzio, sconvolto quanto turbato dall’improvviso cambio di persona dell’albino, intento con un lunghissimo sproloquio di come un poeta italiano, deceduto da vari secoli, poteva dargli una mano a risolvere non solo la sua situazione sentimentale con una stupida ragazzina dai folti capelli rossi, ma anche trovare un idea ingegnosa per poterla sfruttare per la grande evasione dalla Fattoria.

Si trattenne una risata.
Merda, che situazione assurda.






Angolo dell'autor*!

Sono decisamente troppo in ritardo per l'aggiornamento, ma come vedete non ho nessuna intenzione di mollare all'iniziativa di Standreamy-
Non ho molto da dirvi visto che sono pochi i lettori a seguire la raccolta e il contest, perciò ritorno a spaccarmi la schiena come mio solito...
Intanto, vi auguro buona lettura!
Con affetto,

Artemìs

P.s: no ok, qualcosa vorrei dirla: avete visto quant'é carino quel Cinnamon roll ch'è il nostro Einstein preferito, specialmente quando fa l'imbranato per Emma?
Norman è un angelo sceso in terra and nobody can change my mind when he speak and sobbing all his love for the Sunflower Queen ;-;
Dannazione se questi due mi faranno morire prima del tempo-

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** *Atlas's Strength* ***


Noremma-Atlas *Iniziativa: scritta per il Contest “Norember”, indetto da Standreamy sulla sua pagina instagram ispirandosi all’Inktober.
*Numero Parole:
4.850
*Prompt: Strength

*Link al vostro blog/twitter/quel che volete:

Profilo EFP (
https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=224886)
Profilo Wattpad (
https://www.wattpad.com/user/artemiskarpusivargas)
*Hashtag: #NoremmaMonth2020 #Norember              

Atlas’s Strength

 

 

-“Quanti minuti sono passati da quando è uscito dall’ufficio?”

Seduto sul divano di pelle scura, a sorseggiare una tazza di thé caldo, il corvino alzò lievemente lo sguardo verso l’orologio appeso al muro.

Segnavano le cinque in punto.

Una volta, le aveva confessato che odiava il ticchettio di quell’orologio quando capitava che si sentisse tesa e con il fascio di nervi al limite della sopportazione, e più volte aveva avuto il forte impulso di distruggerlo con le sue stesse mani.
Menomale che aveva avuto il pensiero di smontarlo e cambiare qualche meccanismo dell’orologio, cosicché non facesse più quel ticchettio costante e fastidioso.

-“Venti minuti contati.”

Seguì poi con lo sguardo la figura irrequieta della sua amica, che non la smetteva di mordersi frequentemente il labbro inferiore e a rigirarsi tra le mani il ciondolo dorato a forma di un occhio, donatagli dalla sua amica demone Mujika, usandolo come antistress.
Le parve pure di sentirla sussurrare, di sfuggita, fra sé e sé alternando varie frasi; alcune la facevano allarmare fino sbattere più volte le ciglia e scuotere la testa contrariata per chissà cosa, mentre le altre la facevano semplicemente serrare la mascella in una piccola smorfia infastidita prendendo poi vari respiri profondi.

“E se non dovesse tornare in tempo?”
“E se lui non avesse alcuna intenzione di ascoltarmi?”
“E se decidesse di cambiare strategia, nonostante avessimo stipulato un accordo?”

Per Ray, era insolito vederla in quello stato.

Emma non è mai stata una persona ansiosa o paranoica, eppure era chiaro come il sole che, in quel momento, non riusciva ad essere positiva come al suo solito.

Era lì, che con passi svelti camminava avanti ed indietro dentro lo studio di Norman, le mani intrecciate come in segno di preghiera e un’espressione pensierosa fino a farle corrugare la fronte.
La giovine era talmente in sovrappensiero e concentrata a parlare tra se’ e se’ che non sentì la sua voce quando provò a chiamarla.

Sospirò, seccato da quella strana situazione in cui si era ritrovato involontariamente.
Imprecò mentalmente ad un certo migliore amico, di lunga data, che pur di far avverare i desideri più folli della ragazza che le piaceva, si sarebbe spezzato l’osso del collo pur di riuscirci.
Non lo diceva spesso, ma il corvino ha sempre pensato che quando si trattava di proteggere la propria famiglia, certe volte, i suoi amici davano di matto.
Senza preoccuparsi dei rischi o di qualche imprevisto, Emma e Norman erano capaci di tutto per raggiungere il loro obbiettivo, arrivando persino ad usare ogni mezzo possibile ed inimmaginabile.
In veste di fratello e migliore amico di entrambi i ragazzi, lui doveva fare qualcosa.

Doveva agire.

Posando la tazza ormai vuota, si alzò con decisione dal divano e arrivando proprio davanti alla sua interlocutrice, le diede un bel pugno sopra la sua testa distraendola da pensieri poco piacevoli.

-“Hey, scema se non te ne fossi accorta, starei cercando di parlarti.”

Sussultando per il colpo appena ricevuto alla nuca, Emma si lasciò scappare un gemito di dolore fra le labbra, esclamando un sonoro “ahia” massaggiandosi cauta sul capo, il suo punto più dolente.
Ovviamente, non prima di aver lanciato un’occhiataccia ostile al corvino lamentandosi di quanto, certe volte, avesse la mano pesante.

Alzò la voce di un’ottava, indicandosi poi l’indice la botta subita alla testa.

-“Mi hai fatto male, miseriaccia!
Ma che ti salta in mente di colpirmi in quel modo!?”

-“Oh, domando perdono per avervi disturbata nel vostro sonno di bellezza.
Ma non ho potuto fare a meno di notare, Vostra Altezza, quanto sembravate buffa con quell’espressione da ebete.”

Di tutta risposta, lei ringhiò mostrando i denti, piccoli ma bianchissimi, come per intimorirlo dal suo sguardo truce.
Serrò poi le iridi verdi al suo interlocutore, chiaramente infastidita dal tono saccente e sarcastico.

Antipatico, pensò lei.

Saettando lo sguardo verso l’orologio appeso al muro, proprio dietro di lei, girò lentamente la schiena fino a quando non ebbe una visuale migliore nel suo campo visivo.
Si morse nuovamente il labbro inferiore.

Cinque e un quarto.

Sarebbe dovuto tornare indietro molte ore fa, da loro due, ma non si era presentato all’appuntamento stabilito.
Non andava affatto bene.
Doveva ancora parlargli di cosa aveva scoperto nella Foresta Promessa, prima di arrivare con Ray e gli altri ragazzi di Grace Field e Goldy Pond alla base operativa “La Mascella del Leone”, grazie all’aiuto di Jin e Hayato.
Doveva, assolutamente, persuadere l’albino a non attuare il suo folle piano:  un genocidio di massa sia all’intera comunità dei Demoni, la Famiglia Reale e al Clan Ratri, sebbene non nutrisse una buona simpatia per loro.
Voleva proteggere Mujika e Sonju a tutti i costi, visto che a loro doveva tutto: li avevano salvati da morte certa da altri mostri famelici, senza avere secondi fini, gli avevano insegnato le varie tecniche di sopravvivenza ed a cacciare autonomamente e, cosa più importante, li avevano trattati come dei veri esseri umani; stringendo così un insolito legame.
La ragazza era talmente grata e riconoscente di quell’amicizia che, finalmente, aveva trovato nuovamente la speranza di poter andare avanti.

La speranza di poter vivere appieno il “domani”, con la sua famiglia, senza paura.

Emma doveva lottare con tutte le sue forze, per poter realizzare quel suo sogno impossibile conscia che, presto, avrebbe corso vari rischi.
Pensò a Mujika.
Se lei, il Demone del Sangue Maledetto, poteva forgiare la nuova Promessa alla Famiglia Reale e alla comunità stessa, significava una sola cosa: libertà.
Se Mujika avrebbe guidato tutti i Demoni ad una nuova “Era”, maggiori erano le possibilità di poter bandire, una volta per tutte, l’allevamento dei bambini bestiame nelle Fattorie.

Niente più morti.
Niente più guerre.
Niente più sacrifici.

“Devo giocarmi il tutto per tutto.”

Ripensò alle parole del ragazzo albino quando, nel cuore della notte e in stato di dormiveglia, era appoggiata sulla sua spalla ignaro che potesse sentirla.

“Emma, perdonami per quello che sto per fare…
Ma non voglio perderti, di nuovo.”

Prima di andarsene con Vincent a discutere privatamente di altre questioni, le aveva promesso che avrebbero parlato meglio del piano, visto quanto ci teneva la sua opinione e quella di Ray.
Eppure stava tardando a ritornare nel suo studio.

Per quanto ancora avrebbe dovuto aspettare per rivederlo?

Abbassò lievemente la testa, dirigendosi con passi lenti e strascicanti fino al divano dove ci sedette sopra a peso morto, sprofondando man mano nei cuscinetti di pelle.
Sospirò.
C’era un’altra faccenda che aveva lasciato in sospeso e che non poteva in alcun modo ignorarla: doveva salvare il loro legame e la promessa di quel lontano 21 Aprile di tre/quattro anni fa.

“Norman…”

Sapeva bene quanto male avessero causato quei esseri malvagi alla loro famiglia, quante anime innocenti sono state strappate via ai loro cari  per poi essere spediti nell’aldilà e quanti orrori avesse visto gli occhi di Norman al stabilimento sperimentale Lambda 7214.
Eppure, non poteva assolutamente starsene con le mani in mano e fingere di “non vedere” come stavano davvero i fatti.
Conosceva l’albino quanto il palmo della sua mano e sapeva, perfettamente, che nascondere le sue emozioni per proteggere il prossimo e farsi forza con le sue gambe, lo avrebbero portato a brutte conseguenze.
Immaginava vari scenari in cui il ragazzo fosse coinvolto ed erano uno più sconcertante dell’altro.
L’ipotesi peggiore era vederlo trascinato in un baratro senza fondo: qualsiasi sua mossa, un passo falso o un solo movimento incerto, lui sarebbe caduto giù.

Proprio lì.
Nelle viscere dell’abisso.

Le venne in mente un altro spiacevole scenario, che la portò non solo a darsi i pizzichi alla pancia, ma anche a preoccuparsi ulteriormente per la sua sorte.
Come il Titano Atlante, secondo alcuni miti antichi, Norman stava sostenendo sulle spalle tutto il peso del mondo, facendo affidamento sulle sue forze; tuttavia, lei sapeva bene che presto o tardi, quel macigno lo avrebbe distrutto.

Letteralmente.

Certo, era un pensiero nobile e giusto voler costruire un mondo migliore per poter vivere tutti, insieme, senza che venissero etichettati come cibo o carne da macello; eppure, Emma non poteva fare a meno di pensare che il ragazzo si stesse assumendo troppe responsabilità, facendo così che il peso sulle sue spalle si aggravasse drasticamente.

Le iridi verdi persero poco a poco il loro tipico luccichio, divenendo man mano sempre più scuri e tristi.

“Cosa ti sta succedendo, Norman?”

Non poté fare a meno di pensare quanto fosse cresciuto fuori e, tristemente, quanto fosse cambiato dentro, in quei due/tre anni.

Perché provare un astio così profondo e viscerale per i Demoni, arrivando addirittura a programmare ed attuare varie strategie di sterminio?
Perché riservare lo stesso trattamento anche alle altre forme di vita che, per molto tempo, sono state innocue?
Perché arrivare a tanto?

Non riusciva a spiegarselo e più cercava di capire le sue intenzioni, più il suo lato pacifista e genuino continuava a non approvare le sue scelte.
Emma si sentiva non poco bene sapendo che, nonostante si stesse comportando in maniera fredda e cinica, l’albino stesse soffrendo, in silenzio, i suoi demoni interiori.

Le spezzava il cuore.

Aveva pianto per due/tre anni alla sua spedizione, credendolo morto, e per via di quell’episodio la rossa rimaneva sveglia durante la notte.
Più di un’occasione.
Quando si accertava di essere sola, in quei momenti di puro sconforto, si lasciava andare in un pianto disperato e muto.
Tra se’ e se’ pensava: cosa sarebbe successo, se le cose fossero andate diversamente?
Magari avesse avuto una macchina del tempo per cancellare, per sempre, quel momento doloroso quanto opprimente.
Avrebbe smesso di darsi costantemente la colpa per non averlo protetto abbastanza e di essersi lasciata sopraffare dalla sua più grande debolezza.

Strinse i pugni.

Però, lei non era più debole quando era a Grace Field.
No, Emma è diventata molto più forte di prima.
Ora sapeva che era vivo ed era riuscito a scappare dalla sua prigione, questo significava una sola cosa: aveva ancora una possibilità.

Aveva ancora un’occasione con Norman e, questa volta, non avrebbe mai più commesso lo stesso errore.

“Sono forte abbastanza da potergli guardare le spalle e, dora in avanti, lui non dovrà più avere il pensiero di proteggermi… da chissà quale pericolo.
Non posso perderlo di nuovo…”

Era una promessa, sia a lui che a se stessa.

Sotto lo sguardo incredulo del corvino, si mise a giocherellare con i fermagli per capelli che aveva tra le dita, sciogliendo così l’intreccio intricato delle varie ciocche rosse.
Non lo faceva mai, se non quando c’era qualcosa che la turbasse nel profondo della sua anima.

-“Che ti succede, Emma?”

Persa nei suoi pensieri, Emma intrecciò con le dita sottili una ciocca fino a creare un arriccio, era in tensione come la corda di un violino, quando la lasciò scivolare su di se’, le solleticò leggermente il viso roseo e stanco e le ciglia scure.
I suoi capelli avevano avuto una ricrescita spaventosa, a tal punto che erano lunghi abbastanza da poterli alzare in un codino, non troppo alto visto quant’erano scalati,  ma aveva modo di tenerli a bada.
Assomigliavano tanto alla criniera di un leone, belli vaporosi quanto ribelli, ed era di un bel rosso fiammeggiante da avere varie sfumature; rosso nelle radici, arancio sopra le ciocche e alle punte e gialle tra i punti luce.
Pur di non guardare Ray faccia a faccia, le iridi verdi guardavano di sottecchi le sue dita che intrecciavano invano la ciocca rossa e fluente.

-“N-Non è niente, tranquillo.”

Gli rispose così, a bruciapelo, ma non smise di torturarsi tra le dita sia i fermagli che le ciocche dei suoi capelli.

Sei poco credibile, pensò lei.

Percepì una leggera fitta all’orecchio cicatrizzato, cercò di non darlo a vedere all’amico ma si tradì non appena sentì un brivido proprio all’altezza dell’intero padiglione sinistro, segno che la stava avvertendo del cambio di temperatura all’esterno. 
Bofonchiò un “maledizione” a denti stretti, stringendosi le nocche fino a sbiancarle, desiderando ardentemente che l’albino piombasse all’instante nel suo ufficio, solo per poterlo vedere.

-“Non ti credo, sai?
È più che palese che c’è qualcosa che non va.”

Non si accorse della presenza del corvino che, con passi felpati, la raggiunse sul divano sedendosi poi con la schiena dritta e poggiando le mani alle ginocchia, come se si stesse preparando psicologicamente a una qualsiasi sua uscita “inaspettata”.
Le sue iridi cangianti osservavano silenti e curiosi la figura minuta di Emma che, nel mentre, si massaggiava con i polpastrelli il dorso della sua mano destra.
Le venne un brivido dietro la schiena.

-“Eh?”

Inclinò leggermente la testa, facendo oscillare le ciocche che precedentemente nascondevano l’orecchio cicatrizzato, ora esposte alla luce.
Le pizzicavano le ciglia e, una buona parte, il viso; poteva sentire, anche se lieve, il profumo dello shampoo che aveva usato qualche giorno fa.

Sapeva di fiori di campo.

Non provava fastidio ritrovarsi con i capelli davanti la sua visuale, nemmeno della lunghezza, visto che alcune volte li usava come una coperta; per proteggersi dai sbuffi di vento improvvisi e il freddo secco di fine autunno.
Tuttavia, doveva trovare seriamente qualche trucco per poter trattare meglio i suoi capelli, visto che non ci teneva sia a sperimentare altre acconciature “poco” pratiche e farsi trattare da cavia per le assurde idee di stile della cara Gilda.

Voleva un gran bene alla sua amica, ma certe volte sapeva essere “troppo” esasperante in fatto di moda.

Sospirò nuovamente.
Ogni volta che si toccava la cicatrice, provava un senso di disagio mostrare quella ferita deturpata, così, davanti a qualcuno; ma in presenza di Ray, non aveva alcun timore, anche perché insieme ad Anna si erano occupati di lei dopo la fuga dall’orfanotrofio.

-“Di che parli?”

-“Non fare la finta tonta con me.
È da quando siamo nello studio di Norman che continui ad avere degli sbalzi d’umore repentini, in più ti metti a sospirare con la vista annebbiata… mi fai venire i brividi.”

Lo guardò accigliata.
Delicato come sempre, eh Ray?

-“Non sei divertente.”

Il sorriso sardonico di Ray fece capolino fra le labbra sottili non appena vide una smorfia infastidita deformando in maniera infantile le labbra, la fronte e le sopraciglia della ragazza.
Aveva un’idea di cosa si stesse crucciando così intensamente la sua amica d’infanzia.

-“Ma non stai negando la cosa, no?”

Di tutta risposta, la rossa sospirò.
Bingo, pensò lui.

Pur parlando vagamente, incespicando con le parole e fermarsi nel bel mezzo del discorso per poi rabbuiarsi di colpo, le aveva confermato una buona parte i suoi sospetti: Emma aveva un problema con le cosiddette “questioni di cuore”.
All’inizio dubitava fortemente di quell’ipotesi, visto che la vedeva poco interessata su quell’argomento, tuttavia il corvino dovette ricredersi visti gli ultimi episodi successi al Rifugio.
Le poche volte in cui guardava la rossa di sottecchi, aveva l’aria che stesse nascondendo qualcosa, cercando invano di comportarsi normalmente davanti agli altri ragazzi con il sorriso.
Specialmente, in presenza di Norman.

La prima cosa che notò in lei fu il suo sguardo.

I suoi occhi verdi e brillanti guardavano sempre intensamente, se non ammaliati, la figura slanciata dell’albino accompagnato poi dal suo portamento elegante, l’espressione concentrata e silente quando compilava alcune scartoffie d’ufficio e le iridi azzurre saettare freneticamente da un documento all’altro.
S’incantava così facilmente che, spesso, sembrava di stare tra le nuvole e quando Norman o lui stesso cercavano di farla ritornare con i piedi per terra, un attimo prima sbiancava di colpo per lo shock e, quello dopo, la sua pelle diventava un tutt’uno con i suoi capelli rossi, incespicando con le parole.
Gli capitò di vederla da lontano mentre lo spiava, di nascosto, mentre lavorava alla scrivania.
Alcune volte, sfruttava il suo tempo libero davanti alla sua porta, senza farsi scoprire, indecisa se entrare o meno per salutarlo.
Quando Emma guardava negli occhi il loro migliore amico, lo faceva con la stessa intensità in cui l’altro vegliava, silenzioso e discreto, quest’ultima da tempo immemore, come se dipendesse dalla sua stessa vita.
Come se fosse caduta vittima di un sortilegio a cui non poteva sottrarsi.
Pensò che fosse solo una mera coincidenza.  

La seconda cosa che notò in lei furono i suoi sbalzi d’umore, che lo fecero stare in stato di allerta.

C’erano giorni in cui,  nonostante si mostrasse sempre energica e positiva, la ragazza si sentisse particolarmente sensibile sognando chissà cosa ad occhi aperti; poi, c’erano momenti in cui cadeva preda a varie crisi di pianto isterico e, se Gilda e Anna non erano al suo fianco, non riusciva a reggersi in piedi.
E quelli ancora, se la ragazza si svegliava con l’umore sottoterra e non aveva alcuna intenzione d’iniziare una conversazione, attaccava chiunque si trovasse nel suo raggio d’azione, senza fare nessuna distinzione, mostrando un lato di se stessa da far lasciare a bocca aperta tutti quanti.

Irascibile.
Intrattabile.

Erano pochi i momenti in cui lei si lasciasse così tanto andare, addirittura a sputare varie imprecazioni colorite, ma era davvero inusuale vedere la sua positività e il suo innato altruismo frantumarsi in mille pezzi, con una facilità disarmante.

Chi l’avrebbe mai detto che, anche la sua amica d’infanzia,  potesse tirare fuori gli artigli?

Ora che ci pensava, ultimamente la rossa aveva un’aria decisamente tesa quando andavano a visitare Norman: era poco propensa a parlargli del perché fosse così agitata e nervosa; più di una volta, liquidava la questione con scuse strategiche, del tipo “non ho niente che non va, sarà l’ansia da prestazione” oppure “è normale se, durante una missione, sono nervosa”.
C’era stata un’occasione in cui Violet, Paula e Gillian, avevano preso da parte la rossa per un cosiddetto “scambio di opinioni” su alcune faccende personali, ma per  Ray si traduceva in una sola cosa: una “chiacchierata tra ragazze”.

All’inizio  era un po’ sospettoso nei loro confronti, ma finì nell’ignorarle completamente; pensando che forse le faceva bene stare con le altre ragazze e, magari, allargare i suoi orizzonti.
Era una bella giornata di sole nel Paradiso dei Bambini e non poté fare a meno di sorridere distrattamente per la pace che regnava in quel luogo, lontano da occhi nemici.
Ricordava che lui era nel cortile, insieme a Don e Nat, a vegliare da bravo fratello maggiore ai bambini che giocavano fuori; mentre gli altri due ragazzi partecipavano attivamente alle loro attività, Ray teneva d’occhio a Jemima, Chris, Yvette e Christie che giocavano a campana.
Sembrava tutto tranquillo, come quando vivevano allegramente a Grace Field, ignari di tutto; come se intorno a loro governasse una sorta di “calma piatta”.

Ma avvertì un campanello d’allarme non appena sentì un urlo.

Era una voce femminile, a lui fin troppo familiare, provenire dal lato Nord del cortile e come scattò sull’attenti, vide da lontano il ciuffo rosso, sempre ribelle, di Emma.
Urlava qualcosa a quelle tre ragazze di Goldy Pond, agitando la testa e le braccia in maniera scomposta, come posseduta da chissà quale spirito.

Qui si mette male, pensò lui.

Non potendo leggere bene il suo labiale da lontano, non aveva modo di comprendere cosa stesse dicendo, ma dato le sue urla e il fatto che stesse andando letteralmente in escandescenza, non era un buon segno.

Per niente.

Qualunque cosa avessero detto quelle ragazze ad Emma, non solo avevano scombussolato negativamente i suoi sentimenti, ma avevano inconsciamente innescato una bomba ad orologeria, pronta ad esplodere in qualsiasi momento.

“Ho una sorta di déjà vu…”

Non capì come si accese quella che doveva essere una “chiacchierata pacifica”, ma era certo che se non fossero intervenuti  Don, Nat e lui stesso a dividerle, come minimo la rissa avrebbe preso una brutta piega.
Da un lato c’era Violet in ginocchio, che prendeva fiato, ed era assistita dal moro mentre dall’altro, Paula e Nat tenevano Gillian su una spalla; a parte qualche bernoccolo, non sembravano messe male.

Peccato che non poteva dire lo stesso con le altre due.

Emma aveva i capelli tutti arruffati, qualche strappo tra i vestiti e un paio di lividi sul viso e alle braccia; aveva giurato di aver intravisto una goccia di sangue fuoriuscire dal naso, ma i suoi capelli coprivano una buona parte la sua faccia.
Violet, che si alzò lentamente da terra ignorando l’aiuto di Don, aveva le stesse ferite che aveva la sua amica, con le uniche eccezioni della presenza di qualche bernoccolo, un livido intorno all’occhio destro e il plasma che colava copiosamente dal naso piccolo; assottigliò le palpebre in due fessure e, nonostante provasse dolore, non smise di guardare torva la sua avversaria.
Aveva l’intento di suonargliene, nuovamente, di santa ragione ma con l’arrivo di Oliver e Hayato dovette fermarsi e venire mandata in infermeria assieme a Gillian e Paula.

Dopo quell’episodio, le ragazze non avevano più detto una parola.
Nemmeno una.
Persino Emma fece il voto del silenzio.

Ci vollero molte settimane più tardi a farle convincere che, invece di azzuffarsi come cane e gatto, dovevano riappacificarsi, decidere chi doveva fare il grande passo e suggellare, finalmente, il tanto ed agognato patto di pace.
Non ebbe la possibilità di poter capire appieno tutta la versione dei fatti da entrambe le parti, visto quanto ci tenevano a mantenere il segreto; tuttavia, se ne dimenticò quasi subito non appena la rossa le fece una confessione inaspettata.
Ammise, con il cuore aperto, che la sua più grande debolezza era Norman e, con lui, ogni parte di se stesso: i suoi occhi azzurri e brillanti, il suo sorriso morbido e caldo e il tepore delle sue mani.

Lui era sempre stato il suo punto debole, ma per lei era anche la sua forza.  

Quando era al suo fianco, si sentiva forte, energica e determinata come non mai, ma nel momento in cui credette di aver perso per sempre Norman, si sentì per la prima volta persa.

Debole.
Incapace.

“Ha sempre nascosto le sue emozioni, per mostrarsi forte davanti ai miei occhi… e darebbe tutto se stesso pur di proteggermi.
È come se lui possedesse una maledizione, che lo porta a sostenere un peso abnorme sulle sue spalle; pur rimanendo in piedi soprafatto dal dolore, lui resiste… non perché può  farcela, ma perché deve  farlo.
Non permetterò che Norman si sacrifichi nuovamente per il mio bene, e se sarà necessario, sopporterò anch’io quel peso sulle spalle.
Lui… Io non… è una cosa che non posso accettarlo!”

Possibile che avesse iniziato a capire di provare qualcosa per lui?
I suoi occhi guardavano, per davvero, l’albino oltre il “semplice affetto fraterno”?    

Rimase stupito quando lo paragonò ad Atlante, il Titano ribelle che, per punizione di Zeus il Re degli Dei, doveva scontare la pena di sostenere il Cielo e la Terra con le sue braccia.
Pur conoscendolo da tanto tempo, era la prima volta che vedeva Norman sotto un’altra prospettiva.
Guardò Emma dritto negli occhi, senza lasciar trasparire nessun’emozione dalla sua espressione seria e composta.
Nonostante fosse convinto di quella teoria, il corvino non aveva alcuna prova per dimostrarne la veridicità, complice il suo silenzio riguardo quell’argomento.

Non aveva scelta se non di rischiare.

Ray doveva far “ruggire” nuovamente l’impavida leonessa.

-“Non potresti capire… è abbastanza complicato da spiegare.
Io… e-ecco, persino io faccio fatica a capir-”

-“Ti sbagli.
Ho capito tutto, ma era chiaro fin dal principio.”

Chissà, pensò lui, magari sarebbe riuscito a farle estorcere qualche informazione “interessante”.

-“Eh? Che vorresti dire?”

-“Noi tre abbiamo vissuto nell’orfanotrofio da tantissimo tempo e, mentre cercavo di salvarvi la vita dalla mamma e da quei mostri…
Ecco, mi rendo conto solo adesso, di non aver calcolato l’eventualità che tu…”

-“Mhm?”

Lui rimase in silenzio giusto per qualche minuto, guardando di sottecchi la rossa che aspettava, paziente, di poter seguire il racconto senza intoppi.
Ebbe un flashback di loro tre da bambini che leggevano di nascosto, nel cuore della notte, un libro di fiabe con solo una lanterna consumata e una coperta a proteggerli dal buio e dal freddo.
Sebbene gli sfuggì di mente il titolo di quel libro, ricordava perfettamente come Norman ed Emma pendevano dalle sue labbra, desiderosi che lui continuasse a raccontare la storia e scoprire come il cavaliere e il principe avevano unito le loro forze, grazie anche alla loro solida amicizia, per poter spezzare il maleficio di uno stregone nel loro regno.
Costretti a vagare in eterno nel mondo dei sogni, per aver distrutto una clessidra dai poteri straordinari in una rovina antica, i due giovani non sarebbero mai più ritornati nel loro presente; e le loro amate, la principessa di un altro regno e la sua dama di corte, che avevano provato invano a salvarli, erano cadute vittime di un altro maleficio: ogni volta che toccavano lo specchio dell’acqua durante un plenilunio, si trasformavano in dei cigni, bianchi e candidi come la neve.

Nonostante non nutrisse un gran interesse per i romanzi di fantasia, Ray aveva sempre provato una sorta di ammirazione nello spirito combattivo e fiero del nobile cavaliere, ma anche della sua virilità e umanità; tanto da ritrovarsi in lui in certi momenti.

-“Norman è proprio cresciuto in questi anni, sembra il principe di quella fiaba che leggemmo insieme tempo fa… sai, quella dove parlava della nobile amicizia tra lui e il cavaliere.”

Lei lo ascoltò mentre tentava di rifarsi la treccia al lato dell’orecchio amputato, tuttavia non nascose la sua incertezza davanti al suo interlocutore.

Perché aveva tirato fuori, proprio adesso, un vecchio ricordo ai tempi di Grace Field?
Arcuò un sopraciglio dubbiosa.

-“Ad ogni modo, è perfettamente normale che tu provi queste cose... anche se ne dubitavo.”

Sobbalzò sul posto, facendo cadere i fermagli colorati che aveva precedentemente con se’ in un tintinnio sordo, sgranò gli occhi sorpresa.
Una delle punte dei capelli più lunghi gli finì tra le labbra, tremando debolmente, e il viso cominciò ad imporporarsi sempre di più non appena si palesò l’immagine del sorriso candido dell’albino nella sua mente;  viaggiava ad una velocità inimmaginabile che per un attimo temette di dimenticarsi come si respirasse.
Aveva il forte impulso di coprirsi la faccia con entrambe le mani, cercando di nascondere il suo crescente rossore, ma si bloccò non appena s’immaginò Norman indossare gli abiti del nobile principe della fiaba; che per puro caso del destino, erano simili a quelli che aveva indossato al giorno del suo undicesimo compleanno.

Dire che fosse rossa come un pomodoro era decisamente un eufemismo.

Era talmente occupata a sognare ad occhi aperti da non notare il piccolo sorriso del corvino.
Ma guarda un po’ cos’ho scoperto oggi, pensò lui.
Si era intenerito all’idea che Emma, la stessa bambina sempre energica e piena di vita che tifava per il lieto fine dei due protagonisti, stava affrontando la più grande battaglia della sua vita, non considerando però la cotta che aveva per Norman.

“Ti ho sottovalutata, Emma.”

Ai suoi occhi, la ragazza si era infatuata di un Icaro, non avendo la benché minima idea di quanto era disposto a spezzarsi l’osso del collo solo per lei.
Eppure vedeva la forza virile e la tristezza malinconica di Atlante, condannato a soffrire in silenzio a sopportare tutto il peso del mondo.
Da solo.

Era proprio vero che, quando si è innamorati, le persone possono fare cose pazze.

Gli venne in mente le parole di Norman, o come chiamava lui, Icaro il Folle.

“Sarà anche la mia debolezza, ma Emma rappresenta la mia forza.”

Si fece forza con le ginocchia e alzandosi dal divano, prima scostò dolcemente i suoi capelli rossi da bravo fratello maggiore qual’era, fino a quando non li scombinò energicamente.
Quest’ultima si riprese, quasi subito, dal suo stato di trance e accigliata, tentò di tenerlo fermo; anche se con scarso successo, visto quanto fosse diventato forte.

-“H-Hey, ma insomma, Ray! 
Così mi fai male, maledizione!”

Ridacchiò divertito quando cercò di sistemarsi i capelli in maniera presentabile, anche se non poteva domare al meglio la sua chioma arruffata e vaporosa.
La rossa inarcò le sopraciglia, ancora più confusa di prima.

-“Allora, cosa farai con il principe Atlante?
Userai un approccio diretto come solo tu sai fare o hai in serbo una strategia?”

-“M-Ma di cosa stai parlando!? 
Cosa centra Siegfried con Norman?”

Lei si affrettò a raccogliere con fretta e furia i suoi fermagli per poi stringerli, arrossendo vistosamente alle gote andando  fino all’orecchio sano.
Presa da un attacco di nervosismo, scattò in piedi sferrando un paio di pugni al diretto interessato, solo che il corvino le tenne la testa con una mano; così che  lei colpisse semplicemente l’aria.
Come sentì le sue grasse risate echeggiare per tutto lo studio, avvampò nuovamente sentendo già il sangue andargli alla testa.

-“RAY, SE FAI ANCORA LO STRONZO GIURO CHE TI PRENDO A CALCI!”

-“Ohhh, la piccola leonessa sta spalancando le sue fauci perché ho nominato il suo adorato principe azzurro.”

Di tutta risposta lei digrignò i denti, più che furiosa, assottigliando le iridi verdi in due fessure, proprio come quelli di un felino.

-“Lo sai che così potrei prenderti in giro fino alla morte, vero?”

Proprio in quel preciso istante, la porta dello studio si aprì rivelando la figura slanciata di Norman che, spingendo con la schiena all’indietro, entrò dentro chiudendola poi alle sue spalle.
I due ragazzi erano talmente concentrati ad azzuffarsi come gatto e topo da non notare la sua presenza.

-“Scusate il ritardo, ragazzi. Vincent m-”

-“ORA TI PRENDO!”

-“Uhhh, sto tremando di paura.”

 

 

 

Angolo dell'autor*:

Avrei voluto aggiornarlo prima, ma come si è visto, arrivo sempre in ritardo e temo che sarà così fino alla fine della raccolta.
Chissà quando potrò farlo correggere ulteriormente dalla mia Beta-
Considerate l'aggiornamento della raccolta Noremma come regalo di Natale e se ce la farò mai ad aggiornare anche più avanti, tipo prima della fine dell'anno, dipenderà dalla mia velocità(?)
Non ho molto da dirvi visto che sono pochi i lettori a seguire la raccolta, perciò ritorno a spaccarmi  la schiena come mio solito... se vi è piaciuto e volete esprimere la vostra gioia, per favore lasciate un commento, anche una critica costruttiva.
(Purchè sia costruita bene)
Intanto, vi auguro buona lettura e, in anticipo, Buon Natale!
Con affetto,
Artemìs

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