I passi di Lituania e Russia - REMAKE

di Yusaki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il fiore oltre il confine ***
Capitolo 2: *** La sconfitta al di là del confine ***



Capitolo 1
*** Il fiore oltre il confine ***


Un tempo avevo scritto queste parole:

Solo la stupenda espressione sadicosa del caro Ivan-san poteva spingermi nei meandri della storia Russa, le battaglie combattute dall’unione sovietica, contro chi amava, e anche contro chi odiava.

Queste Flashfic ci portano del primo giorno in cui lo sguardo di Ivan si è posato su Toris a quando quest’ultimo ha conquistato la sua indipendenza, in passi che sono costati vite umane e lacrime.

Si dia l’inizio alla danza della neve e dei girasoli! ^__^ Buona lettura!!!”


Mi sembrano parole di centinaia di anni fa! All’epoca ero davvero sfaticata e pigra, cercavo sempre di prendere pause e rimandare lavoro e scrittura, senza un pensiero al mondo, mentre adesso…

Faccio esattamente la stessa cosa, ma stressandomi.

Note a fine capitolo!

E dopo tanto tempo tempo sono tornata per augurarvi: Buona Lettura!




Il fiore al di là del confine


La prima volta che l’aveva visto, era stato per caso. Il bambino dai capelli castani stava trasportando fra le braccia un carico di ortaggi troppo pesante per il suo fisico minuto.


Eppure quel bambino riusciva a tenere tutto come se non risentisse dello sforzo. È più forte di me, si rese conto Russia nel guardarlo. Il bambino che trasportava gli ortaggi era un regno fatto e finito, nonostante la giovane età, e a testimoniarlo c’erano i suoi abiti scuri, puliti e caldi nonostante fossero evidentemente da lavoro.

Quello che stava vedendo era un regno che, seppur separato da lui solo da un confine, conosceva il conforto di un clima più clemente, e di un caldo fuoco tra le solide mura del proprio castello.

Gli era sempre piaciuto stare vicino a quel confine, a cui accorreva ogni volta che riusciva a sgattaiolare via. Era più caldo lì, gli dava l’illusione che l’autunno non stesse per finire, che la morsa delle neve alle sue spalle non fosse ancora così crudele.

Ma era un confine che sapeva bene di non dover attraversare.

ma come lo sapeva? A volte Russia se lo domandava.

Non era che vedesse una linea per terra, ma c’era una sorta di sensazione… come se fosse al contempo respinto e attratto dall’inizio di quel ponte. Era una sensazione ancora troppo complessa per quello che era ancora un bambino, quindi Russia si limitava a pensarla con quella parola semplice ma vera: “Confine”, laddove lui terminava, ma qualcun altro sorgeva.

Qualcuno come il bambino dai capelli castani.


Era tornato a vederlo altre volte, ma fu solo quando l’inverno si fece inclemente che Russia si ritrovò immobile, aspettando che il bambino apparisse su quel ponte – quel confine. E lui apparve davvero, anche se forse per lui era Russia stesso un’apparizione.


Aveva gli occhi blu, quel bambino, ed erano sembrati ancora più grandi, e ancora più blu, quando l’aveva guardato con aria sorpresa e piena di...timore? Curiosità? Russia non aveva ancora imparato a decifrare le emozioni altrui. Quel che importava, comunque, era che adesso il bambino era fermo di fronte a lui, e pochi passi li separavano.

Una connessione risuonò nell’aria, come passando da un cuore all’altro, questa volta sì, attraversando il confine con la propria immaterialità – e il proprio peso, un peso che l’altro dovette sentire, perché dopo aver zittito il cane che si era portato dietro (e che si era messo ad abbaiare), gli chiese: «Emh… non è che io e te siamo uguali?»

Sei anche tu qualcuno che somiglia a un umano, ma che in realtà non lo è? Era la domanda.

Russia gli aveva risposto di sì, e aveva sorriso, ancora di più dal momento che aveva visto gli occhi dell’altro spostarsi sulle sue mani e riempirsi di preoccupazione.

La sua gentilezza scaldò qualcosa nel suo cuore, e l’attrazione verso il confine si fece più forte – ma non ancora abbastanza.

«Un giorno o l’altro diventerò una grandissima nazione», disse Russia, chiudendo gli occhi nel fare quella promessa all’altro e, soprattutto, al proprio cuore. «E a quel punto noi diventeremo amici!»

«Se… se per questo potremmo esserlo anche ora», aveva detto il bambino dai capelli castani, le guance arrossate dal freddo appena visibili tra il cappotto e il cappello.

Vuole essere mio amico adesso?

Russia neppure contemplò l’idea.

«No, non sono abbastanza forte», rispose, come se quello spiegasse tutto.

I tartari. L’inverno.

Le mani ferite dal freddo, solo una sciarpa a proteggerlo davvero.

Non era forte, ma un giorno lo sarebbe stato, e quel giorno avrebbe potuto attraversare tutti i confini che voleva e scoprire il nome di quel bambino dai capelli castani. Un giorno avrebbe potuto scoprire le terre in cui sbocciavano distese e distese di fiori.

Un giorno…

Per quel momento si accontentò di sporgere le mani, prendendo quelle dell’altro, abbastanza a lungo perché il tepore di lui potesse imprimersi sulla sua pelle.

«Ci vediamo!»

Russia salutò l’altro bambino, girando le spalle al confine, sparendo di nuovo nel bianco della neve. Era ad esso che apparteneva, pallido com’era, piccolo com’era… al freddo glaciale, al quale avrebbe dimostrato di saper sopravvivere.

Così da poter incontrare ancora il bambino dai capelli castani.



«Ho vinto il gioco! Ho vinto!» si vantò Russia, festeggiando, praticamente illeso, al contrario delle due nazioni ai suoi piedi.

Aveva vinto il “Gioco”, la guerra, ed ecco davanti agli occhi il suo premio.

Graducato di Lituania” non c’era voluto molto a scoprire il suo nome.

Lituania, semplicemente Lituania poi.

Quando Russia adempì la promessa che si era fatto tanto tempo prima, era tutto cambiato tranne che per la neve che, imperterrita, continuava a cadere, senza però più che il suo freddo potesse ferirlo. Aveva dei guanti, adesso, un cappotto pesante, e un’altezza che gli permetteva di guardare le altre due nazioni dall’altro in basso.

Lituania e Polonia.

Erano stati uniti per tanti anni, e uniti lo erano anche adesso nel cadere.

Contro l’uniforme bianco della neve, l’aspetto di Polonia pareva scialbo, come sempre gli era sembrato: pelle chiara, capelli biondi, niente che volesse vedere vicino a Lituania. Li aveva visti insieme sin troppo spesso, in quegli anni, e non aveva detto niente, vero? Aveva solo pensato che, passo dopo passo, si stava avvicinando il momento in cui avrebbe potuto sconfiggere entrambi.

Il momento era arrivato, sigillato dallo sguardo di quegli occhi blu che Lituania sollevò su di lui – quelli sì, quelli sì che risaltavano persino nella tormenta dell’inclemente inverno: era un blu macchiato di verde, quasi il ricordo di prati e fiori che aspettavano sotto la neve.

«Mi piaci Lituania, quindi potresti venire a stare da me», e poi tese di nuovo la mano, di nuovo prese quella di quello che ora non era più “Il bambino dai capelli castani” ma “il ragazzo dai capelli castani”. Tirò su dal suolo Lituania, praticamente di forza, ridendo nel dire che, in ogni caso, non aveva scelta.

Dopotutto lui aveva vinto, dopotutto Lituania era il suo premio, e poteva prenderlo e farne ciò che voleva.

E ciò che voleva era portarlo a casa con sé.

Lo trascinò via senza altri pensieri, il morale che saliva a ogni passo che lo portava di nuovo più vicino alla propria dimora. La mano di Lituania doveva essere calda, ma era difficile sentirne il calore attraverso i guanti, e questo era un peccato dal momento che aveva l’occasione di tenerla per così tanto tempo…

Lituania provò a divincolarsi, ma i suoi erano solo piccoli strattoni, una richiesta di aiuto rivolta all’amico che era troppo debole persino per alzarsi. Lituania avrebbe imparato a lasciarselo alle spalle, questo decise Russia.

«Staremo bene insieme, vedrai», canticchiò Russia.

Un altro passo, e il confine fu superato. Lituania, un tempo così grande e forte, smise di divincolarsi.

Russia lo percepì tremare, una sola volta, e si voltò per trovare che l’altro aveva lo sguardo abbassato, sbarrato a osservare le orme che si erano lasciati dietro.

Orme nel passato, orme di ciò che era appena finito: la Abiejų Tautų Respublika sarebbe stata sotterrata da un candido velo di neve, esattamente come quei segni nella coltre bianca.

Adesso sarebbe stato Russia a dare a Lituania una nuova storia da ricordare.





1)Note a fine storia: AbiejųTautų Respublika: Repubblica delle due Nazioni, Lituania e Polonia unite (in Lituano).


Note dell’Autrice:

Onestamente tutto credevo tranne che sarei mai tornata su Hetalia. Dieci anni fa ero una persona totalmente diversa! Quest’anno, quando ho appreso che nel 2021 sarebbe uscita una nuova stagione dell’anime ho sorriso con nostalgia, e mi sono detta “Che cosa buffa”.

Un po’ per gioco sono andata a vedere qualche fanart.

Come capirete, è stata la fine, vi prego di non fare il mio stesso errore.


Efp è così cambiato! Mi sento una vecchietta che torna in una casa diversa per adempiere a una vecchia promessa. Ma la sto mantenendo, non è vero?
Sappiate che la vecchia fanfiction è ancora online, e mi prenderò qualche altra riga per spiegarvi come mai ho deciso di riscriverla: nella vecchia molti dei personaggi erano OOC, si sapeva ancora poco della storia di Hetalia in generale e dei suoi retroscena, c’erano troppe imprecisioni e ho descritto il rapporto tra Russia e Lituania in un modo che ora mi lascia piuttosto perplessa.

Ma, ehi, tutti i miei vecchi errori rimarranno online, non temete!

Questa volta vorrei cercare di mantenermi più vicina al canone, e infatti questo primo capitolo ne dovrebbe rispettare gli eventi. Riusciremo stavolta a finire la storia?
Fan di Hetalia, a rapporto! Il 2021 ci porta qualcosa che non credevo sarebbe mai risorto.


Vostra,

Yusaki


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Capitolo 2
*** La sconfitta al di là del confine ***


Sì, in dieci anni sono diventata più rapida.

Un piccolo avvertimento: i capitoli avranno una maggior lunghezza man mano che andranno avanti. Prendente questi primi due capitoli come una sorta di prologhi, uno da parte di Russia e l’altro dalla parte di Lituania. Dopotutto, spiegano le origini del loro incontro.

Buona lettura!







La sconfitta al di là del confine



Nei ricordi di Lituania, la memoria di quel bambino visto nella neve non era mai sparita del tutto. Era sempre rimasta lì, a riposare in un angolo della sua mente, come in attesa di una voce o un’immagine che la richiamassero alla vita.

Come in attesa di qualcosa che doveva accadere.

Non era stato lui a rivederlo per primo, ma le sue truppe. I superstiti riferirono della comparsa a Novgorod di un ragazzo alto e pallido, dagli occhi d’ametista così innocenti da non farlo sembrare fatto di violenza e inverno; “Sembrava un bambino crudele, con in mano la forza di schiacciarci tutti”, aveva detto uno di loro.

Nonostante l’altezza, erano sicuri che il ragazzo fosse piuttosto giovane, tanto che ogni tanto Ivan III lo teneva per la mano, come a rassicurarlo che tutto il sangue per terra fosse normale, fosse giusto persino. Tra tutti i Principi, Ivan III era stato l’unico ad accorgersi dell’importanza della giovane nazione, e a decidere di tenerla dunque con sé.

Il giovane Russia l’aveva ricambiato schiacciando gli avversari per lui.

«Eeeeh? Abbiamo tipo perso?» Polonia non era sembrato eccessivamente preoccupato a quella notizia, solo perplesso, ma Lituania aveva sentito un brivido freddo percorrerlo. «Che noia. Gli daremo le risorse che chiede, e se non vuole più essere nostro alleato pazienza… chi lo vuole, dopotutto?»

Di nuovo un presagio, la sensazione di star aspettando qualcosa che, inevitabilmente, prima o poi sarebbe accaduto.

Era però vero che molti altri più forti paesi erano al mondo in quel momento, e con loro combattevano e si alleavano. L’unione stessa con la Polonia era un patto solido; eppure Lituania rimaneva angustiato proprio dal pensiero di quegli occhi color ametista.

Dovettero presto incontrarlo, con i tartari ormai scacciati e i Principi riuniti, Russia in poco tempo crebbe ulteriormente. Ancora giovane, a suo confronto, non lo era nell’aspetto, e anche se un tempo avevano avuto la stessa altezza ora Lituania si ritrovava a dover alzare la testa per guardarlo.

Per prima, però, l’attenzione di Lituania era stata attratta delle sue mani: c’erano dei guanti adesso a coprirle, anche se il flash della pelle arrossata dal freddo gli attraversò la mente per un attimo, sovrapponendosi alla realtà.

«Che bello rivederti», gli aveva detto Russia, come se si fossero salutati solo pochi giorni prima. Sorrideva, ed era davvero il sorriso candido più adatto a un bambino che a un adulto; nei suoi occhi d’ametista c’era però uno scintillio particolare, una malizia che sembrava dirgli “Ho vinto, hai visto? Sono diventato forte”.

Lituania poteva ben vedere che l’altro fosse diventato forte, seppur il corpo coperto da pellicce e abiti pesanti non ne rivelasse le fattezze; la sensazione che gli pizzicava sulla pelle era ancora una volta quella del pericolo, un tipo di sentimento a cui Polonia, imbronciato al suo fianco, sembrava immune.

A quel tempo, Lituania era ancora capace di far fronte ai pericoli, non importava quanto possente sembrasse ora l’altra nazione.

Quando Ivan fu portato via dal proprio Principe, ci fu uno sguardo di delusione tutto per lui. Forse quello per una promessa non ancora mantenuta?



Creature diventano più forti, creature diventano più deboli, un destino che toccò anche a Lituania che iniziò un giorno a sentire come la spada che portava fosse diventata troppo pesante, e i suoi colpi meno accurati.

Era lui, oppure erano gli altri a essere diventati più brutali?

Il vento dell’inverno imminente gli frustava il viso, riuscendo ad arrossarlo nonostante il pallore dato dal sangue perso.

Di sangue ce n’era ovunque, attorno a lui. Un altra guerra, un’incursione inaspettata, un altra giornata in cui però le cose non erano andate bene.

«Polonia! Polonia!!!» ma era stato inutile chiamarlo, lo sapeva. Svezia l’aveva messo a terra con un ultimo colpo, e Lituania si era ritrovato a sputare una boccata di sangue.

Da dov’era atterrato poteva vedere stivali scuri, e una sciarpa lunghissima che quasi sfiorava la terra. Incontrò ancora una volta occhi color ametista, seppur Russia si tenesse in disparte, e fu forse quello a dargli la forza di rialzarsi.

Anche se la lama della sua spada pesava sempre di più si disse che non poteva lasciarla andare. Noon ancora, non era ancora il momento.



Lituania aveva resistito, per un altro po’, costringendo addirittura Svezia a firmare una pace; Lituania aveva stretto i denti per il braccio rotto, che usò lo stesso per apporre la sua firma. Era ancora dbbastanza forte, non era così? Ma il braccio doleva, e i lividi quasi non si contavano più. Quando si guardava, non era altro che ferite nere e rosse che non riuscivano ad avere il tempo di guarire, nonostante la sua natura non umana.

Come poteva guarire quando gli attacchi non finivano mai?

La sua vita era diventata cercare di avere mille occhi e mille sensi, per provare a parare le frecce di Prussia prima che piovessero su di lui, per controllare che Austria non gli infilasse un coltello tra le scapole, per anticipare la marcia delle truppe svedesi… in tutto quello c’erano sempre quegli occhi color ametista che su ogni campo di battaglia, a ogni pace, vittoria o sconfitta, sembravano ricordargli di star aspettando che cadesse.



Lituania ricordava che, infine, il giorno in cui la spada gli cadde davvero di mano fu lontano da tutti. Si era spinto troppo in là, nel caos della battaglia, superando gli alberi e trascinando con sé una piccola scia di orme insanguinate.

Nella sua mente, se fossero riusciti a sconfiggere almeno Russia, forse le truppe nemiche si sarebbero ritirate, o sarebbero state abbastanza deboli, abbastanza confuse…

Polonia l’aveva seguito, forse per semplice istinto, facendo quel che poteva per confrontare assieme a lui il russo.

C’era quasi silenzio lì, i suoni attenuati dalla neve. Il bordo del cappotto di Russia era sporco di sangue, esattamente come le loro scarpe, e i loro vestiti.

Russia aveva sorriso, prima di muoversi verso di loro, ed era stato come essere investiti da una valanga.

Sì, in quel momento, lontano da tutti, il fiato venne portato via dal corpo di Polonia, che ricadde facilmente riverso a terra, tossendo. La spada era molle nella mano di Lituania, che rimase a tenere terreno fino a quando riuscì – ma la lama sembrava non riuscire neppure a sfiorare il russo, che gliela strappò di mano e si avventò ancora su di lui, gettandolo a terra, accanto all’amico biondo.

Lituania non era il tipo da farsi illusioni, e la stretta improvvisa allo stomaco fu solo la paura che precede un destino che ben si conosce.

Russia decretò infatti la sua fine, trascinandolo via, oltre il confine. Era stato così semplice usare la forza, Lituania sentiva come se il proprio polso fosse diventato incredibilmente sottile, il corpo debole e incapace di opporsi alla presa ferrea del russo.

«Ehi, Russia, dannato non puoi decidere come ti pare!»

Fu Prussia a intervenire per lui, non certo per affetto e di sicuro troppo tardi. Prussia, un vecchio nemico, antico più o meno quanto lui, aveva superato il confine come se nulla fosse – e lo sguardo di Russia era diventato più freddo della neve.

«Mi porterò via Lituania, come da accordi, così da potermene prendere cura, da?» sorrise comunque Russia.

«Accordi?! Guarda che non puoi prendere e fare come vuoi, se non fosse stato per me e Austria avresti perso questo tuo piccolo premio, tu non…!»

Nonostante Prussia fosse una nazione più antica, si ritrovò ad arrancare nella neve quando cercò di seguire Russia per raggiungere lui e Lituania. Sembrava che l’inverno non toccasse Russia, ma che si opponesse fermamente alla presenza del prussiano. Il vento iniziò a spirare più forte, soffiando su di loro fiocchi di neve, proprio mentre Russia si voltava a fronteggiare il presunto alleato.

«Potete avere il resto, quello che volete», Russia era davanti a lui, come a difenderlo da una minaccia. Alzando lo sguardo Lituania si ritrovò a percepirne il potere, come scritto sulla schiena tanto ampia.

Di nuovo nella neve, ma così diverso da un tempo.

«Lui però è mio da adesso», la voce di Russia risuonò oltre il soffio del vento, e le urla più lontane degli ultimi soldati che cadevano.

Mi impegnerò a diventare una nazione forte!”

E mentre Prussia rimaneva immobile, pur senza arretrare, senza tentare di seguirli ancora… Lituania pensò che Russia ci fosse decisamente riuscito.











Note storiche: 1) Novgorod è stato un posto… un qualcosa… l’avevo letto poco fa ma sono troppo stanca per cercarlo di nuovo. Comunque, Lituania e Polonia hanno perso qui.

2) Nel 1655 la Lituania era già stata indebolita dalla Russia, ma arrivò anche Svezia a peggiorare le cose. La Lituania dunque perse la guerra e la Svezia prese a reclamare e depredare il territorio, ma intense rivolte esplosero ovunque, tanto da costringere la Svezia a firmare successivamente una pace.

3) Austria, Prussia, e Russia, si allearono per distruggere l’unione Lituano-Polacca, approfittando della debolezza nella quale questa versava a causa delle numerose lotte e pressioni con i territori esterni. Il territorio della Lituania cadde poi quasi del tutto sotto il dominio della Russia, tranne per una piccola parte che andò alla Prussia.



Note di fine capitolo:
Dal prossimo capitolo Lituania e Russia cominceranno dunque a vivere insieme, da soli, inizialmente. Cercherò di mostrare l’inizio di questa simpatica convivenza meglio che posso.

Potrebbero cominciare contenuti, come dire, più spinti già dal prossimo capitolo, ma non ne sono certa. Vedremo cosa ci riserverà il futuro.

Le recensioni sono ben gradite, anche per sapere se esiste ancora qualcosa che ama questa coppia, amore che io ho riscoperto da poco. Un tempo EFP era così vivo! Ora è anch’esso sepolto sotto una coltre di nevoso silenzio?

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