Il diario di Madotsuki

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La stanza ***
Capitolo 2: *** Il diario ***
Capitolo 3: *** Monoko ***
Capitolo 4: *** Graffiti World - Effetto Bicicletta ***
Capitolo 5: *** The Docks - Strober - Fat effect ***
Capitolo 6: *** La scuola: il mondo che non c'è ***
Capitolo 7: *** Nasu ***



Capitolo 1
*** La stanza ***


Madotsuki entrò nella stanza e rimase per qualche minuto sulla soglia ad osservarla: era molto più piccola di quella della vecchia casa. C’era la sua libreria, la scrivania con la lampada, il tappeto a motivi aztechi che aveva tanto voluto per il suo decimo compleanno, la televisione con la playstation due e un letto. Uno solo.
Il letto a castello ormai non serviva più.
In più aveva una finestra con una terrazza tutta per lei.
“Potremmo comprare dei cuscini, da mettere a terra, anche per quando ti siedi a giocare.” Disse sua madre alle sue spalle.
Madotsuki spalancò la finestra guardò fuori e respirò affondo. Stavano molto in alto, in quel palazzo.
“E poi dobbiamo ricomprare la bici.”
Sua madre era entrata in camera.
Madotsuki si girò e annuì.
“Ho visto un centro commerciale bellissimo, papà ci porta domani. E poi dobbiamo andare a vedere la tua scuola.”
Madotsuki rimase muta, ma andò a sedersi sul letto e si strinse le ginocchia al petto.
L’ultima cosa a cui voleva pensare era la scuola.
“Madotsuki lo capisco, è difficile ma pensa che comunque devi solo fare l’ultimo anno delle medie. Poi andrai al liceo e vedrai che le cose andranno meglio. Farai nuovi amici, imparerai nuove cose e questo tempo tra qualche anno ti sembrerà già lontanissimo.”
Madotsuki non ne era convinta ma annuì.
“Su, ti porto le valige con i vestiti, ti metti qualcosa di carino e usciamo. D’accordo?”
 

(Nota al lettore: cari lettori e care lettrici, buongiorno! Ho giocato a Yume Nikki molto tempo fa e ho letto le teorie a riguardo molte e molte volte. Ho ragionato a lungo sui possibili significati del gioco e sulle possibili implicazioni che ogni cosa (oggetti, sfondi, personaggi, effetti) può avere. E alla fine ho pensato di scrivere una storia partendo proprio da queste teorie ma raccontando il “prima”. Prima che Madotsuki si chiudesse nella sua stanza e iniziasse a raccontare i suoi sogni in un diario. La storia sarà così divisa: ogni capitolo partirà da qualcosa all’interno del gioco e ne porterà il titolo. Potrà essere unico o diviso in parti. E narrerà qualcosa della protagonista, dall’intimo alla superficie. Sarà il mio modo di ricostruire questa oscura storia passo dopo passo, fino al momento dell’auto segregazione. Alla fine in una nota autore fornirò le mie spiegazioni. Spero davvero abbiate piacere a seguirmi!)

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Capitolo 2
*** Il diario ***


Il palazzo dove abitava era enorme, altissimo.
Così come la città dove si trovava.
Così come il centro commerciale dove andò a comprare il necessario.
A quanto pareva era anche un punto d’incontro per molti ragazzi, come dimostravano le innumerevoli figure in divisa scolastica che giravano, insieme agli adulti.
Madotsuki non aveva più l’età per tenere la mano di sua madre in pubblico, altrimenti lo avrebbe fatto di sicuro. Quel posto, così grande e a modo suo oscuro le metteva i brividi. Comprarono il necessario per la scuola, i cuscini per la sua stanza (Madotsuki ne voleva solo due, bianchi e quadrati, mentre sua madre insistette per prenderne diversi, poiché “inviterai delle amiche prima o poi”) e dei nuovi vestiti.
Di questi ultimi acquisti, Madotsuki non mostrò molto entusiasmo.
Alla fine i soli che la resero felice furono un grosso maglione fuxia scuro con il disegno di una scacchiera sopra e una gonna più o meno dello stesso colore.
Sua madre non ne fu felice, probabilmente li trovava brutti. Ma non discusse più di tanto.
Passarono davanti a un’enorme cartoleria. Palloncini colorati, poster, quaderni di ogni forma con pagine colorate, bianche, a quadretti e delle mura di una strana tinta a pastello. Madotsuki ne rimase molto colpita e si avvicinò alla vetrina.
I quaderni che aveva preso per la scuola erano ordinari e regolari, ma quelli esposti in quel negozio erano molto più belli!
Sicuramente non avrebbe potuto usarli per la scuola, ma ne avrebbe voluto prendere uno! Anche solo per poter sfogliare le pagine completamente vuote e immaginarsi quali disegni avrebbero potuto prendere forma su di esse.
“Ti piace questo negozio? Va bene, se vuoi entriamo, ma prendi solo una cosa, d’accordo?”
Madotsuki entrò e indagò tra i mille quaderni sparsi in giro.
Erano tutti bellissimi, ma non riusciva a trovarne uno che attirasse davvero la sua attenzione.
Poi le capitò di fermarsi davanti a una sezione: un intero scaffale dedicato ai “nikki” (日記), diari.
Sembrava esserci un diario per ogni argomento: ginnastica, giardinaggio, scuola…
Avevano la copertina nera con gli ideogrammi del loro argomento scritti in viola, rosso o blu, e la carta all’interno (liscia al tatto e non troppo sottile) era dello stesso colore.
“Stai attenta a non stropicciarli!” la ammonì la mamma.
A Madotsuki piacevano moltissimo.
Ma uno di loro attirò davvero la sua attenzione: era un diario dedicato ai sogni. Yume Nikki. 夢日記.
Madotsuki lo prese in mano e lo osservò. Era come tutti gli altri: copertina nera, scritta in viola, pagine in viola, con un piccolo spazio per scrivere le date. Dall’etichetta risultava avere circa trecento pagine.
Era grosso e un po’ pesante.
Ma le sembrò perfetto.
“Un diario dei sogni? Vuoi iniziare a scrivere un diario? Eh, ormai stai proprio crescendo. Andiamo a pagare e torniamo, abbiamo comprato anche troppo oggi. Ma ci siamo divertite, vero?”
Madotsuki, sorridente, annuì.
 
“Nostra figlia come sta?”
“Bene caro. Ha preso un diario. Ricordi che lo psicologo nell’ultima visita le aveva detto che era il caso che scrivesse i suoi pensieri? Probabilmente lo ha preso in parola, o forse sta solo crescendo. Almeno sta facendo una cosa che di solito fanno le ragazze alla sua età!”
“Bene, molto bene. Ci sta che riesca finalmente a diventare un po’ più femminile! Anche farle crescere i capelli è stata una buona idea!”
 
Seduta alla sua scrivania, Madotsuki cliccava nervosamente sulla penna. Il suo nuovo diario aperto alla prima pagina. La data già scritta.
Alla fine cominciò a sporcare la pagina.
 
Sono arrivata in una nuova città. Ho una stanza tutta mia. Ho anche un balcone tutto mio e un letto solo. Dei cuscini, dei videogiochi e dei libri. Non devo condividere nulla con nessuno e non voglio farlo mai più.
 
E poi fece un disegno.

https://vignette.wikia.nocookie.net/yumenikki/images/7/78/Monopic06.png/revision/latest?cb=20110614234758
 
(Nota dell’autore: Cari lettori e lettrici, buonasera! In questa ricostruzione non potevo non dedicare almeno un capitolo al diario, in cui inizio a fare riferimento a alcune teorie che tratterò nel corso della storia, come la difficoltà di Madotsuki di accettare la sua femminilità – può entrare anche nel bagno dei maschi – aggiungo che il centro commerciale non ho ancora deciso se farlo apparire come il “mall” che può portare il giocatore in altri posti, o come il “graffiti world” dove si può trovare l’effetto Bicicletta. Ancora non ho deciso. Aggiungo inoltre che il disegno è una delle immagini disturbanti che appaiono nelle finestrelle nere della mappa “Sewers”. Vorrei farli apparire tutti.)

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Capitolo 3
*** Monoko ***


Non era mai stata sola.
Aveva dovuto sempre condividere tutto, a partire dalla pancia.
Erano in due: lei e Monoko.
Monoko però aveva qualcosa di strano.
Stava sempre con gli occhi sgranati la bocca un po’ aperta.
Madotsuki aveva dovuto condividere con lei tutto: la stanza (letti a castello, Madotsuki stava di sotto), i giochi e perfino la torta di compleanno.
Ma Monoko non era nata normale e qualcosa lo capirono anche i compagni di scuola di Madotsuki.
Che iniziarono a evitare entrambe.
Monoko era iperattiva nei movimenti ma lenta nel pensiero. E Madotsuki era costretta a condividerci ogni cosa senza poter protestare.
Alle medie Monoko venne iscritta a una scuola “speciale”, ma la situazione non cambiò: Madotsuki era la sorella di quella strana e non andava avvicinata.
In più, ogni pomeriggio, quando Madotsuki provava a uscire, sua madre le diceva sempre “Perché non porti Monoko?”
Madotsuki aveva provato a dire di no, ma di solito sua madre finiva per non rivolgerle la parola per almeno una settimana quando accadeva. Così finiva sempre per accettare di portare dietro quella piccola gemella che si teneva sempre i codini.
Capitò però un giorno che Monoko si comportò peggio del solito. Aveva avuto una brutta crisi al mattino e aveva scarabocchiato sui libri preferiti di Madotsuki. Ma sua madre aveva rimproverato lei, invece che Monoko, perché “li hai lasciati in giro”.
Così, quando fuori casa Monoko aveva iniziato a correre sulla strada, Madotsuki non si era curata come le altre volte di inseguirla, strattonarla e recuperarla. Era rimasta immobile a osservarla mentre sfrecciava in avanti, sperando quasi si perdesse e non tornasse mai più a casa.
E fu allora che accadde: il semaforo per i pedoni divenne rosso.
Monoko non aveva mai “ascoltato” i colori del semaforo. Anche per questo Madotsuki doveva starle sempre dietro.
Monoko attraversò e fu presa in pieno da un auto, che dopo averla fatta volare e atterrare sei metri più avanti,  le passò pure sopra. Madotsuki assistette a tutta la scena che in seguito avrebbe rivisto tante volte nella sua testa: la sorella che saltava in un vortice circolare e le sue braccia che si agitavano e sembravano all’improvviso più numerose.
Il pirata non si fermò.
Arrivarono tanti passanti, fu chiamata l’ambulanza ma era troppo tardi.
Sola nella sua stanza, Madotsuki si sforzava di pensare di essere “finalmente sola”. Ma non era proprio sicura che fosse così.

 
(Nota dell’autore: Qui analizzo il personaggio di Monoko e le sue teorie. Molti la vedono come sorella di Madotsuki, forse gemella, mentre la morte per incidente d’auto è data dal fatto che il suo full-screen event si attiva con l’effetto semaforo. Ho aggiunto la storia del “ritardo mentale” perché capita nei gemelli e anche per lo stranissimo aspetto che ha il personaggio nella sua forma “normale”. E anche perché alcune teorie prevedono che sia la stessa Madotsuki ad avere dei disturbi di questo tipo. Inoltre, lascio qui trapelare una mia personale teoria ovvero che Madotsuki non sia solo la “povera vittima” come molti dicono. Anche perché altrimenti non si spiegherebbe l’effetto coltello)

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Capitolo 4
*** Graffiti World - Effetto Bicicletta ***


La bicicletta arrivò poco prima dell’inizio della scuola.
Il negozio dove Madotsuki la acquistò insieme a sua madre era un luogo che cercava di apparire giovanile, con i muri tappezzati di graffiti inquietanti e la moquette che suonava e/o si illuminava quando ci camminavi sopra. Ma finiva con il risultare piuttosto un luogo rumoroso e scomodo.
Per fortuna non poteva dirsi lo stesso delle biciclette.
Madotsuki ne acquistò una semplice ma leggera e veloce, dotata anche di un cestello.
La provò a lungo scampanellando in giro per il suo nuovo quartiere; le piste ciclabili affiancavano le strade per le macchine e questo era un vantaggio.
La sera, a cena, c’era anche suo padre.
“La mamma ha detto che hai preso la bici oggi.”
Madotsuki annuì.
“Bene. Ti farà bene andare a scuola in bici. Non sei mai stata brava negli sport, sarà un ottimo allenamento.”
A Madotsuki pesò molto quella frase.
Se c’era qualcosa da appuntarle, suo padre era sempre pronto a aprire bocca.
Ma mai che le avesse detto qualcosa di carino, anche un complimento banale.
Si ricordava che un giorno ne aveva parlato, quando era ancora piccola, con una maestra di cui si fidava.
“I genitori che lodano troppo i figli di solito mentono. Devi essere grata alle critiche che ti fa tuo padre.”
Madotsuki non aveva mai più parlato con quella maestra.
A sera, scrisse sul suo diario.
 
Io non sono grassa.
Mio padre è proprio un maiale.
 
E fece un altro disegno.


The Sewers | Yume Nikki Wiki | Fandom
(Note dell’autore: ho sempre trovato graffiti world molto scocciante. Mentre ovviamente considero – come tutti penso – l’effetto bicicletta come il più importante del gioco. Ho voluto accennare al tema della grassezza di Madotsuki ma ci sarà modo di approfondirlo. Alla prossima!)

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Capitolo 5
*** The Docks - Strober - Fat effect ***


Affacciata al balcone che dava sulla città, osservando il cielo stellato, Madotsuki ripensò alla sua vecchia città.
C’era un luogo, che alla sera, sembrava trasformarsi in una specie di “altro mondo”. Si trattava del vecchio molo.
Costruito interamente in legno, illuminato ancora con le lanterne di un tempo (il comune ancora pagava un lampionaio per accendere le fiamme ogni sera e spegnerle ogni mattina), era considerato un pezzo di storia, meta dei rari turisti di passaggio in città e sede di qualche festività tradizionale della cittadina.
I pescherecci e le altre barche attraccavano al molo moderno, due chilometri più avanti.
Quello era uno dei pochi posti dove, stranamente, a Madotsuki era permesso andare anche senza Monoko.
Forse anche perché Monoko aveva paura dell’acqua.
Madotsuki, quando era in cerca di pace, andava al molo. Ogni volta che ci riusciva restava lì a fissare il mare che gradualmente si anneriva fino a diventare tutt’uno con la notte. Allora sì che il molo faceva paura, ma era l’unico modo per stare sola, quindi si faceva forza e rimaneva lì.
Nonostante il freddo, nonostante il buio era lì che lei voleva stare.
Un giorno si rese conto di non essere la sola ad amare il molo. Vedeva spesso un’altra figura, su una banchina poco distante dalla sua preferita, arrivare sempre quando faceva buio.
Non aveva mai capito se fosse una ragazza o un ragazzo, anche perché era talmente magra che risultava semplicemente filiforme. Una specie di “stickman” vivente. Molto inquietante.
Questa figura vestina con giubbetti di salvataggio dai colori sgargianti, in piedi passava il suo tempo a mangiare selvaggiamente qualcosa, arrivando talvolta a vomitare nel male per poi riprendere a ingozzarsi. A Madotsuki, la cui magrezza della figura aveva sempre fatto una certa impressione, era venuto, ai tempi, l’ingenuo sospetto che quella persona mangiasse tanto perché voleva diventare grassa.
Madotsuki pensò ancora alle parole del padre.
Non era affatto grassa, ma le capitava a volte quando mangiava molto di avere la pancia così piena da sentirsi grassa.
Anche per questo, in quel momento, sul balcone, stava mangiando a più non posso le merendine che si era nascosta in camera.
Non voleva diventare come quell’essere filiforme del vecchio porto.
Voleva solo essere piena da scoppiare, in modo da potersi finalmente sentire completa. E dormire in pace.

 
(Note dell’autore: Se andate ai “Docks” passando per il labirinto rosso, troverete una figura chiamata Strober che si illumina di vari colori, tutti molto accesi, mentre sembra intenta a mangiare qualcosa. Se interagite vi darà l’effetto “fat”. Ho pensato che quella figura fosse un riferimento alla bulimia o all’anoressia, ma è forse l’unico accenno – insieme ai fantasmi “vomitanti”  nel bosco – all’argomento. Ho provato così a razionalizzarlo e a raccontarlo in questo modo. Spiegando anche quali sensazioni può aver suscitato a Madotsuki. L’effetto fat è praticamente inutile e dal verso che emette Madotsuki quando è sotto l’effetto, con le bollicine che escono dalla bocca, lascia intendere un senso di pienezza, qualcosa comunque di positivo. Alcuni lo associano a una possibile gravidanza della ragazza, ma per quella ci sono altri indizi sparsi nella storia, che ho intenzione di analizzare più avanti)

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Capitolo 6
*** La scuola: il mondo che non c'è ***


Madotsuki osservò ancora una volta l’edificio che un giorno, presto, sarebbe diventato la sua scuola. Con indosso una ridicola divisa sarebbe entrata insieme a centinaia di altri ragazzi e ragazze. Vite indipendenti, incuranti l’una dell’altra e dell’orrore che li circondava. Pronti a prendersi di mira a vicenda al momento di una debolezza mostrata.
Sbuffò.
Risalì in bicicletta.
Un edificio così banale non sarebbe apparso nemmeno nei suoi peggiori incubi nonostante la scuola fosse per lei da sempre una fonte di ansia continua e ossessiva.
Pedalando osservò il resto della città. Sarebbe stato bello, invece che perdere tempo seduta su un banco, esplorarla tutta. Forse avrebbe potuto farlo un giorno, chissà…
 
Tornata a casa, scrisse sul suo diario:
 
La scuola è un posto noioso. Vorrei trovare la forza di non andarci. Vorrei essere altrove. Ma non posso fare altro. Forse però quest’anno sarà diverso. Forse avrò finalmente degli amici.

 
(Capitolo breve, ma mi serviva per dire una cosa che mi ha colpito: nei sogni non compare mai un mondo che indichi chiaramente la scuola, né un effetto che mostri Madotsuki con indosso una divisa scolastica – che però compare su altri personaggi. Il mondo di Yume Nikki è profondamente metaforico e tuttavia nessuna teoria è riuscita a trovare un mondo che ricalchi quello scolastico. In qualche modo voglio anticipare perché, è un dettaglio importante della storia.)

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Capitolo 7
*** Nasu ***


Avevano preso il NES con due controller proprio per lei e sua sorella. Insieme alla console c’erano un paio di giochi piuttosto scadenti: “Nasu” e “Severed Head PK”. Ma Monoko non ci aveva mai voluto giocare, perché i suoni 2 bit la terrorizzavano. Così alla fine, i suoi genitori non avevano comprato più giochi.
Ma Madotsuki ci giocava ogni volta che poteva a Nasu. L’altro gioco non le piaceva.
Con Nasu, invece, per quanto deprimente e a volte frustrante, c’era quell’incredibile sicurezza di sapere quello che doveva fare: doveva solo spostare il suo avatar e fargli mangiare le melanzane che cadevano dal cielo.
C’era la frustrazione che se una melanzana cadeva a terra, si ricominciava da capo. Ma con il tempo, Madotsuki aveva imparato ad abituarsi sia alla deprimente musica di sottofondo, sia alla frustrazione.
Ora dopo ora, già prima della morte di Monoko, aveva macinato record sempre più alti.
I numeri da decine erano diventate centinaia, e poi migliaia. Forse, arrivata ad un certo numero, avrebbe finalmente scoperto un finale segreto del gioco.
Le sembrava impossibile che qualcuno avesse creato quel piccolo mondo senza neanche dargli un finale.
O il gioco si sarebbe solo ripetuto all’infinito?
Magari era una metafora della vita: non importa quanto ci si provava, prima o poi si sbagliava e si doveva ricominciare daccapo, oppure, semplicemente, si andava avanti.
A volte pensava di essere come l’avatar di quel videogioco: un essere che si muoveva su e giù, in un mondo piccolo e angoscioso, mangiando e basta. Poi un giorno sarebbe morta e quel nonsenso chiamato “vita” sarebbe finalmente finito.
Aveva anche scoperto un trucco a forza di smanettare il gioco: poteva trasformare la testa del suo personaggio in una melanzana.
A quel punto si era chiesta: è forse una metafora del cannibalismo?
 
Sua madre entrò in camera mentre stava per battere il suo record: 5640 punti.
Non le prestò ascolto finchè non superò quella cifra.
Sentì la voce della madre alzarsi sempre di più.
Arrivata a 5650 punti, interruppe il gioco. Sapeva che mettere in pausa era un rischio. Ma non voleva che sua madre strappasse i fili del NES.
“Guarda che è ora di cena! E presto dovrai andare a scuola, quindi quello dovrai usarlo il meno possibile, chiaro!?”
Aveva comunque battuto il suo record.
Madotsuki accettò la sgridata senza fare una piega, mangiò al tavolo con i suoi, tornata in camera, come sospettava, perse e ricominciò daccapo.
Sperava che la sua vita reale, un giorno, sarebbe stata migliore di quella del piccolo Nasu, che correva e mangiava, correva e mangiava.
Giocò fino a tarda notte, tanto che andò a dormire stanchissima, senza neanche scrivere il diario.

 
(Il gioco di Nasu è stato analizzato dai fan, tanto che alcuni hanno scoperto che la testa, usando un trucco, può essere trasformata in una melanzana – Nasu vuol dire appunto melanzana – e c’è chi ha anche creato un fangame su internet da poter giocare a parte. Le teorie attorno al gioco e alla sua console sono tuttavia molto poche. Ma ci tenevo a inserirlo ugualmente. Il gioco “Severed Head PK” è invece un cut-content visibile comunque nei file di gioco. Doveva essere molto inquietante. Per approfondimenti, guardate qui: https://yumenikki.fandom.com/wiki/NASU )

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