Giorni di un futuro diverso

di mattmary15
(/viewuser.php?uid=484869)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Buongiorno Professore ***
Capitolo 3: *** Il circolo Hellfire ***
Capitolo 4: *** Verità pesanti come scudi ***
Capitolo 5: *** Parigi ***
Capitolo 6: *** Fermare Raven ***
Capitolo 7: *** Nodo cruciale ***
Capitolo 8: *** Ferro e fuoco ***
Capitolo 9: *** Non devi essere la Tour Eiffel ***
Capitolo 10: *** Preparativi ***
Capitolo 11: *** Il segreto di Tessa ***
Capitolo 12: *** Il piano per cambiare il futuro - prima parte ***
Capitolo 13: *** Il piano per cambiare il futuro - seconda parte ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

La voce calma e gentile lo salutò.

“Benvenuto, professore.”

Charles sollevò il bicchiere pieno di liquido dorato e simulò un brindisi prima di avvicinarlo alle labbra e svuotarlo.

Se ne stava seduto sul pavimento con le spalle poggiate al muro. Aveva già scolato mezza bottiglia.

Avvicinò di nuovo il viso all’occhio di Cerebro e la voce lo raggiunse di nuovo.

“Benvenuto, professore.”

La stessa inflessione, la stessa dolcezza.

Una menzogna.

La dolcezza c’era stata, un tempo. Ora non più. Si riempì un altro bicchiere e tirò un ginocchio al petto.

Un tempo, sì un tempo, c’erano state molte cose. Dolcezza, amicizia, coraggio, amore.

Il tempo però se le era portate via tutte. O forse no. Non era stata colpa del tempo e Charles lo sapeva. Avrebbe potuto dirlo a voce alta in qualsiasi momento. Invece bevve l’ennesimo bicchiere e provocò di nuovo Cerebro.

“Benvenuto, professore.” 

Rise mentre le lacrime gli riempivano gli occhi. Non era stata colpa del tempo. Il tempo aveva solo sostituito la dolcezza con una profonda amarezza che gli si era depositata in fondo agli occhi blu. Aveva allentato i legami e mutato il coraggio in paura. Aveva cancellato ogni forma di amore dalla sua vita. Tutto questo, tuttavia, non era colpa del tempo. Il tempo gli aveva solo dato corpo, consapevolezza. 

Si sollevò in ginocchio e bevve un altro bicchiere di wisky.

“Benvenuto, professore.”

Di nuovo la sua voce. Charles versò un altro bicchiere e fece una cosa stupida. Più stupida che stare seduto davanti a quella pesante porta di metallo solo per sentire quella frase.

Più stupida che ubriacarsi ogni sera per stordirsi.

Più stupida che farlo notte dopo notte al punto da esserne diventato dipendente.

Più stupida che aver acconsentito all’idea di Hank di dare una voce a Cerebro.

Più stupida che fermare la sua vita a quel giorno dopo.

Più stupida che costringere il tempo a ripiegarsi su se stesso mentre fuori dalla sua testa, dalla sua casa, imperava trasformando ogni cosa.

Decise di ridare un volto a quella voce.

Bevve e poggiò il bicchiere sul pavimento. Chiuse gli occhi e poi li riaprì mentre con due dita toccava la sua tempia sinistra.

E lei riapparve. Non solo il  suo viso.

Se ne stava in piedi in un paio di scarpe da ginnastica blu.

I suoi jeans erano chiari e sdruciti. 

La t-shirt infilata nei jeans era bianca con una scritta nera come il giubbino di pelle che di solito indossava. Non ce l’aveva però.

I suoi capelli biondi ricadevano a ciocche sulle spalle.

Teneva le mani in tasca e gli occhi azzurri puntati su di lui. 

Era bellissima e Charles pianse.

“Benvenuto, professore.” 

E Charles rise.

“Ciao, Lena.” Sussurrò. Non era felicità quella che provava vedendola lì. Sembrava solo ubriachezza. Probabilmente per questo non si stupì di quello che accadde.

La ragazza di fronte a lui, sfilò una mano dalla tasca dei jeans e la tese verso di lui. Charles credette che volesse che lui la prendesse e allungò la sua rimettendosi in piedi. Lei invece si girò, lentamente, indicando un punto nel buio del corridoio. Charles non vide niente all’inizio. Si passò il dorso di una mano sugli occhi e, nel buio, vide qualcosa di chiaro. 

Inizialmente non riuscì a mettere a fuoco i contorni delle cose poi, però, distinse bene il letto e il tavolo. Tutto era di plastica bianca. 

Charles guardò la ragazza sempre immobile ad indicare quel punto e in quel punto vide lui.

Era in piedi, anche lui vestito di bianco. Sembrava fatto di luce. Solo i suoi occhi erano grigi. Il solito metallo fuso che brillava.

Era un’allucinazione. Doveva essere un’allucinazione. Doveva essere l’allucinazione dell’alcol.

E invece parlò.

“Charles.”

Si lasciò scivolare contro il muro con le mani nei capelli.

La ragazza con le scarpe da tennis blu scomparve e con lei, lui.

La sua voce però non sparì. Rimase nella sua testa.

“Charles.”

“Non più, Erik.”



NdA
Rieccomi.
Come state? Periodo di quarantena e l'unico conforto è il tempo per riprendere in mano vecchi amori.
Charles ed Erik lo sono di certo. Spero che li accompagnerete anche in questa loro nuova avventura.
Alla prossima.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Buongiorno Professore ***


Capitolo I
Buongiorno Professore

 

Per diversi giorni Charles pensò, quando era sobrio, che quello che era accaduto nei sotterranei non era stato reale.

L’immagine di Lena che aveva materializzato da un angolo recondito della sua mente era una sua fantasia. 

Lena era morta su quella spiaggia di Cuba. Charles l’aveva sepolta sotto la grande quercia in giardino. Di lei era rimasta solo una lapide con su scritto ‘Saltire’, il nome che i suoi ragazzi le avevano dato. Lo scudo. Ed era stato profetico, perché Lena era morta facendogli da scudo.

Oggi poteva dire che lo aveva salvato?

Per i primi tempi Charles aveva creduto di sì. Aveva cancellato i ricordi di Moira McTaggert. Aveva allontanato in quel modo la CIA dai suoi ragazzi. Aveva aperto una scuola per giovani dotati e ne aveva accolti molti. Tutti quelli che aveva potuto. Più di quanti avrebbe potuto in realtà.

Li aveva accolti e si era sforzato di guidarli. Insegnava loro ad usare le loro capacità senza usare la propria. Non era felice ma aveva uno scopo.

Poi gli Stati Uniti erano entrati in guerra. Ai giovani americani arrivavano lettere che non distinguevano i normali dai mutanti. Lettere che li convocavano al fronte. Così la scuola si svuotò lentamente ma inesorabilmente. Così partirono Alex e Sean. 

A Charles capitava di cercarli con la mente. Aveva chiesto ad Hank di perfezionare Cerebro.

Con Cerebro poteva raggiungerli ovunque fossero. E con Cerebro vide Sean morire.

Charles non aveva potuto salvarlo e cominciò a pensare che non ci fosse salvezza per nessuno.

Si chiuse in se stesso concedendo solo ad Hank di rimanere nella casa.

Smise di usare Cerebro.

Quando il ragazzo gli chiese il perché, non gli disse la verità. Non gli disse che anche mentre cercava Alex o Raven o Emma, l’unica voce che sentiva era quella di Erik. La voce di Erik che gli chiedeva di uscire allo scoperto e combattere. 

A volte gli succedeva di sfiorare la sua mente ma non andava mai troppo in profondità. Non poteva. 

Charles sapeva che bastava poco a scatenare il dolore nella sua testa, per cui, ad un certo punto smise di provare. Ricordava esattamente il momento preciso. Il giorno dell’assassinio di Kennedy. Fu l’ennesimo dolore che si depositò sull’ammasso che si era accumulato sul suo cuore fin dal giorno della morte di Lena. 

Il tempo per lui si era già fermato tanto tempo prima ma quel giorno Charles si arrese.

Cominciò a bere e a fare uso di un composto chimico preparato da Hank per contenere le voci nella sua testa, per soffocare il suo potere.

E questo era il motivo per cui anche Erik era stato la semplice materializzazione di un ricordo.

Non avrebbe mai potuto raggiungerlo realmente nelle pietose condizioni in cui era.

Non avrebbe mai potuto raggiungerlo dov’era.

Eh sì, perché Erik era rinchiuso nei sotterranei del Pentagono, accusato dell’assassinio di Kennedy.

Era stato lui? Di certo era coinvolto dato che il proiettile che aveva ucciso il presidente aveva curvato in modo impossibile. Se era confinato laggiù non poteva essere stato lui quello in fondo al corridoio sotterraneo qualche notte prima.

Quando Charles si ubriacava però, una parte del suo cervello urlava che quello al centro di tutto quel bianco era inequivocabilmente Erik. E lui gli aveva parlato. Lo aveva visto e gli aveva parlato.

Dopo quanto tempo era successo? Dieci anni? 

Dopo dieci anni di silenzio si erano parlati e lui gli aveva detto cosa? ‘Non più’.

E di nuovo silenzio.

Rimase solo la indefinibile sensazione che il tempo avesse ripreso a scorrere. Impossibile capire in quale direzione.

 

Quella mattina Hank preparò la colazione come al solito. Come al solito Charles avrebbe bevuto solo il tea e si sarebbe rinchiuso in biblioteca o nello studio covando il suo solito umore tendente al pessimo. Lo avrebbe cercato solo per l’iniezione o per farsi portare un’altra bottiglia di liquore.

Lo avrebbe sopportato come tutti gli altri giorni dell’anno. Il professore non meritava di rimanere solo. Dio solo sapeva quanto ci aveva provato a far funzionare le cose ma era come se un’orribile maledizione fosse calata su di lui dal ‘divorzio’. Così l’aveva chiamata Hank, la frattura tra Charles ed Erik che aveva spaccato gli X men.

Ancora una volta, il suo pensiero andò a Raven. Una volta Charles si era scusato con lui per averla lasciata andare con Erik conoscendo quali fossero i suoi sentimenti. 

Hank però sapeva che doveva biasimare solo se stesso se Raven aveva scelto Magneto. Era stato lui a respingerla. Lui l’aveva convinta che l’umanità non l’avrebbe mai accettata blu e con gli occhi da felino. Era stato lui ad allontanarla.

Il suono del campanello lo riportò alla realtà. 

Andò ad aprire e si ritrovò un uomo paffuto sulla cinquantina dietro alla porta.

“Posta.” Disse mettendogli in mano un fascio di lettere.

Hank lo ringraziò chiudendo il portone e tornando in cucina.

Conservò in un cassetto la maggior parte delle missive. Hank aveva imparato a riconoscerle. Erano lettere degli ex studenti che scrivevano al professore per avere notizie. Spesso gli chiedevano se la scuola avrebbe riaperto. Altre quando lo avrebbe fatto tanta era la fiducia che nutrivano in Charles. 

Hank aveva smesso di consegnargliele da quando si era reso conto dell’orribile effetto che gli facevano. Dopo averne lette alcune, il professore era caduto in un periodo di depressione tremenda in cui beveva di più e si iniettava nel braccio qualsiasi cosa avesse a tiro.

Quella mattina però c’era anche una lettera diversa. Era indirizzata a Charles Francis Xavier non al professor Xavier e la calligrafia sembrava quella adoperata dall’università che Charles aveva frequentato. Gliela appoggiò vicino alla tazza di tea.

Qualche attimo dopo Charles entrò nella sala colazione e lo salutò con un sorriso.

Hank ricambiò tirando fuori il naso dalla tazza di caffè che stava sorseggiando. Charles aveva un cuore gentile. Anche se adesso non era al suo meglio, non significava che non facesse comunque di tutto per ricambiarlo delle premure che aveva per lui.

“Buongiorno, professore.”

“Buongiorno, Hank. Earl Grey?” Hank annuì e Charles si versò una tazza di tea caldo. Addentò anche un biscotto mentre il suo sguardo cadeva sulla busta color avorio.

“Cos’è?”

“Non lo so. E’ arrivata stamattina.” Charles la prese e l’apri con il dorso di un coltello che Hank aveva preparato per la marmellata. Non appena lo sguardo di Charles cadde sul testo, posò la tazza e si sedette afferrando il foglio con entrambe le mani. Vedendo mutare la sua espressione, Hank si avvicinò e chiese.

“Cattive notizie?”

“Non saprei dirti, amico mio.” Rispose il telepate sollevando lo sguardo e porgendo il foglio ad Hank. Il ragazzo lesse ad alta voce.

“Egregio e stimato prof.Xavier, 

noi non ci conosciamo ma abbiamo una conoscenza in comune, una persona che abbiamo perso entrambi troppo presto.

Per onorare la memoria di quella persona, io devo incontrarla. 

Spero che sarà così gentile da volermi raggiungere stasera al mausoleo di Lincoln affinché possa spiegarle il motivo di questa lettera.

So che non devo chiederle di fidarsi di me. Potrà sondare i miei pensieri quando mi vedrà. 

Con riguardo alla mia identità, le assicuro che mi riconoscerà facilmente.

S.” Solo allora Hank si rese conto che la lettera non aveva francobollo. Doveva essere stata consegnata direttamente al postino affinché la mischiasse nel resto della corrispondenza. “Che diavolo significa? Chi è questo S.?” Charles scosse il capo.

“Non lo so. Non ne ho idea.”

“Che intenzioni hai? Vuoi andarci?” Charles avrebbe strappato quella lettera senza neppure pensarci se il testo, in così poche righe, non avesse fatto riferimento ad un sacco di cose a lui familiari. Il mausoleo di Lincoln ad esempio. Oppure il fatto che la persona che scriveva era a conoscenza dei suoi poteri telepatici. Infine c’era il riferimento alla persona che avevano perduto prematuramente. Il suo pensiero andò a Lena e a quella strana esperienza di qualche notte prima in cui l’aveva richiamata alla mente e lei era apparsa ad indicargli la figura di Erik.

“Credo che andrò.”

“Ne sei sicuro? Ti sembra una buona idea?” 

“Forse è Raven. Magari qualcuno la insegue e ha dovuto usare un espediente simile per contattarmi.” Disse ad Hank più per giustificare quella sua illogica decisione che perché credesse realmente al fatto che Raven potesse inventarsi un simile stratagemma per parlare con lui. 

“D’accordo ma vengo con te.”

“Va bene. Non c’è alcun esplicito riferimento al fatto di ad andare da solo all’appuntamento. Un altro motivo che mi fa pensare che questa persona ci conosce.” Hank annuì.

“Vado a preparare il necessario alla partenza.”

Charles lo vide lasciare la stanza poi si diresse nella sua camera. Aprì le ante della finestra per fare entrare un po’ di luce e poi l’armadio per tirare fuori uno dei suoi vecchi abiti.

Si lavò e si vestì e scese le scale che portavano all’ingresso mentre un crescente timore gli attanagliava l’animo. Fu la voce di Hank a ridargli un minino di sicurezza.

“Diavolo, professore, sembri un ragazzino. Dieci anni di meno, giuro!” Esclamò rendendosi, tuttavia, subito conto della gaffe. Dieci anni di meno lo avrebbero riportato immediatamente ai giorni di Cuba.

“Ti sbagli. I capelli e la barba sono più lunghi, la pazienza più corta. Andiamo, prima che cambi idea e decida di tornare a letto.” Hank non se lo fece ripetere e corse verso la macchina.

 

Quando arrivarono al mausoleo di Lincoln c’era davvero molta gente che camminava su e giù per i gradoni del monumento. Charles si guardò intorno cercando un segnale qualsiasi che gli indicasse la presenza di S. ma non sembrava essercene alcuno.

Osò addirittura accennare l’utilizzo delle sue facoltà. Niente. 

Era pomeriggio inoltrato quando la gente cominciò a diminuire e si alzò un po’ di vento.

Hank si spazientì.

“E se fosse solo un trucco per farci uscire allo scoperto?”

Una folata di vento più forte scompigliò i capelli di Charles che si voltò per risistemarseli dietro alle orecchie.

Fu in quel momento che sentì un odore forte di gelsomino. Sollevò lo sguardo e la vide. 

Non si soffermò sul vestito bianco che le fasciava il busto fino ai fianchi e poi scendeva ampio fino a metà polpaccio. Neppure sui capelli biondi tagliati corti sopra le spalle. 

Vide i suoi occhi e il modo in cui si voltò e salì gli ultimi gradini fino all’enorme seduta di Lincoln.

Seguì quella figura facendo di corsa, lasciando indietro Hank che non si era accorto di nulla.

La raggiunse nella luce del tramonto. Lei era ferma, di spalle. La chiamò.

“Lena.” Appena un sussurrò. Incerto, perché la sua splendida mente sapeva che Lena era morta. Eppure lei si voltò e sorrise facendo un cenno del capo. I suoi capelli, appena più lunghi davanti, si mossero.

“Professore.” E, Dio santo, la voce. La voce era quella di Lena, senza alcun dubbio. La sua dolcezza.

“Chi sei tu?” Chiese timoroso di leggere la risposta nella mente della donna, la quale accennò di nuovo un sorriso.

“Il mio nome è Tessa. E dato che non vuoi guardare, ti dirò chi sono. Lena era mia sorella. Gemella per la precisione.” 

Nell’udire quelle parole, Charles parve riprendere a respirare. Eppure anche se adesso aveva la certezza di non trovarsi di fronte un fantasma, sapere che Lena aveva una sorella, scoprire qualcosa di nuovo di lei, lo turbò ugualmente. Si ricompose e parlò.

“Non posso dubitare del fatto che tu sia sua sorella. La domanda era sbagliata. Quella giusta è: perché sei qui? Perché mi hai cercato? Ora, dopo così tanti anni.” La ragazza gettò lo sguardo lontano, lungo l’orizzonte.

“Perché non ne potevo più fare a meno.” Charles sentì qualcosa tirare nel petto e un leggero rossore imporporargli le guance. Camminò fino a raggiungere il suo fianco. Persino la sua altezza era identica a quella di Lena e fu tentato di allungare una mano per passarle una ciocca di capelli dietro all’orecchio. L’unico gesto che si era sempre concesso di fare con lei. Quel pensiero gli fece sorgere un nuovo interrogativo.

“Tu sei come lei?” Tessa rise e anche in questo era identica a Lena. Sorrideva con le labbra ma anche con gli occhi e le spalle. Charles si stupì di quante cose ricordasse ancora così vividamente della donna che aveva amato.

“Intendi mutante, professore? O, più nel dettaglio, empatica?” Charles infilò le mani in tasca e abbasso la testa un po’ imbarazzato. Lei si affrettò a chiarirsi. “Non sono empatica. La mia mutazione è telecinetica. E non leggo il pensiero, se vuoi saperlo. Tuttavia anche la mia mente è, come dire, particolare. Sono in grado di scaricare tutti i ricordi di una persona come se il cervello fosse un database di informazioni.” Charles allungò le labbra in un sorriso. 

“Deve essere una mutazione incredibile.” La donna scosse le spalle.

“Non lo so. Uso le mie capacità per sopravvivere.” Il volto di Charles si rabbuiò.

“Qualcuno ti da la caccia?”

“Non esattamente.” Charles non volle sembrare insistente e cambiò discorso.

“Ti sei firmata S.”

“Sì. Mio padre mi chiamava Sage. E Lena, lei portava il nome ‘Saltire’. Speravo potesse indurti a capire che si trattava di lei.”

“Lo ha portato per poco, quel nome.”

“Lo ha portato con orgoglio.” A queste parole, Charles sollevò lo sguardo e la sua mente fu in quella di Tessa.

“Hai avuto accesso ai suoi ricordi? Come? Quando?” Tessa annuì.

“E’ tempo per te, professore, di sapere tutta la verità su Cuba.” Le sue parole lo gelarono e lei se ne accorse. “Non qui. Che ne pensi di sederci in un posto tranquillo? Potremmo bere un tea e potresti spiegare al sign.McCoy chi sono. Ci guarda già da un po’ con una buffa espressione sulla faccia.” Charles si voltò a guardare Hank e dovette ammettere che Tessa aveva pienamente ragione.

“Andiamo.”

 

La cameriera aveva versato un tea alla vaniglia a tutti e tre. Persino i gusti di Tessa erano simili a quelli di Lena.

Hank aveva ascoltato la storia e non riusciva a smettere di passare con lo sguardo dalla donna a Charles chiedendosi cosa potesse significare per il professore ritrovarsi di fronte una persona con le stesse fattezze della donna che aveva amato e perduto. La sua voce lo scosse.

“Tessa, vuoi raccontarmi tutto adesso? Anche se la tua mente non mi respinge come quella di Lena, faccio fatica ad accedervi.”

“Dipende dal condizionamento. Ho imparato a difendermi. Questo però non c’entra con Cuba. O forse sì. In effetti sono stata io ad impedirti di avere accesso a Shaw per tutto il tempo.”

“Credevo fosse stata Emma Frost.”

“Emma non era sufficientemente potente. Ti ho impedito io di vederlo durante la crisi missilistica del ‘63.”

“Tu eri dalla parte di Shaw?” Chiese Hank e la donna si portò la tazza alle labbra.

“No. Io ero sua prigioniera. E’ stata Lena, involontariamente, a salvarmi. Quando distrusse la stanza del generatore, sbloccò la camera stagna in cui lui mi aveva imprigionata. Sbloccò il condizionamento di Shaw e mi diede accesso ai miei ricordi. Così riconobbi il legame fra noi. E così mi resi conto che lei non stava usando appieno il suo dono. Lena era in grado di vedere il futuro.” Disse posando di nuovo la tazza sul tavolo.

“Lo sappiamo,” le fece eco Charles, “abbiamo assistito ad alcuni episodi.”

“Shaw la voleva per questo. Pensava che se avesse avuto il potere di prevedere gli eventi e di valutare, in un solo momento, quale futuro tra diverse realtà alternative fare avverare, sarebbe diventato un dio.”

“Immagino che a Lena sarebbe toccato vedere il futuro e a te usare le tue doti per stabilire quale futuro scegliere tra le opzioni.”

“Esatto, professore. Tuttavia, Lena si ribellò e fuggì e non seppe mai come usare il suo potere. Fino al giorno in cui io glielo rivelai.” Le iridi di Charles furono attraversate da un baleno. Ricordava esattamente ogni cosa di quel maledetto giorno. Quel giorno aveva convinto Lena a fermare Erik. 

“Tu hai convinto Lena a lasciare che Erik uccidesse Shaw.” 

Tessa abbassò gli occhi sulla tazza e si guardò le dita smaltate di un rosa chiarissimo.

“Avrei voluto. Quell’uomo era un mostro. Invece le dissi che doveva accettare il suo potere e vedere lei stessa il futuro della sua scelta.” Hank sospirò.

“Deve aver visto che lasciar vivere Shaw avrebbe portato a catastrofi indicibili per accettare che Lehnsherr uccidesse suo padre.” 

Charles notò che anche dopo tanto tempo Hank si rifiutava di chiamare Erik per nome.

“Lo ha visto. Eravamo connesse. Io e Lena non eravamo sorelle. Eravamo gemelle. Per questo ha lasciato che Erik uccidesse nostro padre.”

Stavolta Charles si accorse che Tessa, al contrario di Hank, non si era fatta problemi a chiamare Erik per nome. Una domanda si formò automaticamente nella sua testa. Lo conosceva? Aveva contattato lui con un espediente. Poteva aver tentato di fare la stessa cosa con Erik in passato? Non osò chiedere. 

“Continua Tessa.” La ragazza riprese.

“Una volta usato, il suo potere aveva rotto gli argini in cui li aveva tenuti confinati per venticinque anni. Sulla spiaggia, mentre tu, professore, tentavi di far ragionare Erik con le buone e con le cattive, io commisi un errore. Tramite la nostra connessione, le mostrai le conseguenze alternative del futuro nato dalla morte di Shaw. E lei lo vide. Vide le conseguenze delle sue scelte.” Charles non riuscì a evitarlo. Vide nella mente di Tessa il dolore di Lena nel prevedere la sua morte.

“Sarei morto.” Asserì Charles.

“Saresti morto, professore, e nessuno avrebbe potuto salvare i mutanti.”

“Salvare i mutanti?” Chiese Hank. La donna annuì.

“Lena ha evitato che Shaw sterminasse l’umanità ma ha messo in moto un futuro alternativo in cui i mutanti verranno individuati, schedati, studiati e sterminati. Dal primo all’ultimo.

La schiena di Charles venne attraversata da un brivido. Poteva essere vero? Stavano andando lentamente ma inesorabilmente verso l’estinzione per aver permesso la morte di Shaw?

“Ci stai dicendo che aver ucciso Shaw non ci ha salvati ma distrutti?” Tessa scosse la testa.

“No. Se Shaw fosse sopravvissuto, gli scenari possibili sarebbero stati due: una guerra nucleare o, alternativamente, la creazione di uno stato superiore dei mutanti basato sulla gerarchia militare. Lena vide il futuro alternativo sulla spiaggia. E io lo scaricai dal suo cervello. Quando la vidi morire, quello che provai non posso ripeterlo a parole. Decisi di sparire. Prendere tempo per capire se quello che avevo visto poteva davvero diventare realtà. Per anni non è successo niente di niente che potesse farmi credere che il sacrificio di Lena non avesse scongiurato la catastrofe. Probabilmente il solo fatto che tu fossi sopravvissuto, professore, aveva cambiato il futuro. Questo ho pensato. Ho deciso che avrei vissuto la mia vita normalmente. Il futuro che Lena aveva visto mi raggiunse nel mio ufficio. Lavoro all’anagrafe. Sono un’archivista. Il futuro aveva il nome di William Stryker. L’ho riconosciuto subito. Era una delle due persone che provocavano la schedatura e l’internamento dei mutanti. Ho cominciato a seguirlo, a studiare i suoi spostamenti e ho scoperto che è già cominciato. So tutto di Stryker e dei suoi traffici. Ma non basta. Non è lui la chiave di tutto. La chiave è Bolivar Trask, il presidente delle Trask Industries. A lui però non posso arrivare da sola. Ho bisogno di te, professore.”

Charles aveva ascoltato tutto con attenzione, senza interrompere. Alla fine emise un lungo sospiro e parlò.

“Tessa, sono passati dieci anni e io non sono più l’uomo di quel giorno. Io non sono più il professore X. Ho provato ad essere saldo, determinato. Ho fallito. I miei ragazzi sono morti, i miei studenti dispersi. Anche se credessi ciecamente alle tue parole, io non sono più in grado di aiutare nessuno. Anche oggi, con te, mi sono rifiutato di usare le mie capacità. Mi dispiace deluderti, io non posso salvare il futuro. Se Lena è morta per questo, è morta invano.” Charles lo disse disprezzando se stesso ma la reazione di Tessa fu repentina. Le tazze da tea si creparono e la teiera tremò.

“Sapevo che non te la passavi bene ma non credevo che saresti mai arrivato ad offendere i sentimenti di Lena.” Hank ringhiò ma Tessa incalzò Charles. “Se non vuoi farlo per mia sorella, fallo per la tua.” Le sue parole colpirono nel segno.

“Che c’entra Raven?”

“Trask sta lavorando ad un progetto chiamato Sentinella.” Tessa prese una cartellina dalla sua borsa e la mise sul tavolo sotto agli occhi di Charles. Nella cartellina c’erano un sacco di foto di mutanti e di progetti di robot armati. “Mystica vuole difendere i mutanti. Ha capito come me chi è la minaccia. Un mio informatore mi ha riferito che è stata più volte sul punto di ucciderlo.”

“Che è quello che vuoi anche tu.” Insinuò Charles.

“Nel futuro che ha visto Lena, i mutanti sono sterminati da macchine che si adattano ai loro poteri. Ti ricorda niente?” Charles annuì.

“La mutazione di Raven.” Hank si irrigidì.

“Se usano la mutazione di Raven per perfezionare queste sentinelle, allora vuol dire che la cattureranno, che faranno esperimenti su di lei!” Nell’udire i timori di Hank, Charles si voltò verso Tessa interrogando la sua mente con la propria.

‘E’vero?’

“E’ una possibilità concreta. Io non posso saperlo. Tu sì, professore. Puoi contattare Raven.”

“Te lo ripeto, non sono più la persona che Lena ha salvato sulla spiaggia. Non vedo Raven da anni.”

“Professore, io non intendevo piombare nella tua vita e costringerti a prendere una decisione. In realtà i ricordi di Lena mi hanno spinta a credere che sarebbe bastato parlarti di questa situazione per avere semplicemente il tuo aiuto.” Tessa si alzò prese una banconota dalla borsa e la posò sul tavolino. “Io andrò avanti per la mia strada. Se potrò fare qualcosa per Raven, lo farò.”

Charles la osservò mentre salutava Hank e prendeva la via per l’uscita. Rimase a fissare la tazza crepata, in silenzio. 

Una donna dal volto di Lena era piombata nella sua vita che andava a rotoli dicendogli che lui rappresentava la chiave per salvare i mutanti e lui non sapeva fare altro che rimanere inchiodato alla sedia a rimuginare sulle sue incapacità.

Non l’avrebbe vista mai più?

Si alzò di scatto e corse fuori. La vide dall’altra parte della strada. 

“Tessa!” Urlò ma lei non parve sentirlo. Camminava, allontanandosi tra le persone. Charles strinse un pugno nell’istante stesso in cui nella sua mente riapparve l’immagine di qualche giorno prima. Quella di Lena che indicava qualcuno.

“Tessa!” Gridò ancora e stavolta tutte le persone intorno a lui si fermarono. La donna si guardò intorno e si voltò nella sua direzione, sorridendo. Lui la raggiunse e infilò le mani in tasca.

“Sai come farti sentire, professore.” Charles sorrise.

“A volte. Ti chiedo scusa. Hai ragione. Le cose, spesso, sono più semplici di quanto crediamo. Tu hai bisogno d’aiuto. Io sono qui. Forse non sono abbastanza, ma sono qui.”

Fu come se la figura di Tessa si fosse tesa in un moto di orgoglio e soddisfazione. Le sue labbra si allargarono in un sorriso compiaciuto.

“Grazie, professore.”

“Charles. Chiamami Charles.”

“Charles.” Disse lei ed era la prima volta che diceva il suo nome.

“Torniamo da Hank. Ci aspetta un bel viaggio fino a casa.”

“Westchester?” Chiese lei.

“C’è qualcosa che non sai di me?” Tessa rise.

“Vedremo.” 

Charles le tese una mano e, nell’istante stesso in cui lei la sfiorò, tutto intorno a loro incominciò a muoversi.

 

Durante il tragitto in macchina non parlarono molto. Charles si rifiutò di usare ancora le sue capacità e Tessa guardò quasi sempre fuori dal finestrino. 

Charles si perse guardando la linea del suo profilo e gli sembrò di essere tornato al tempo in cui passava ore a fissare Lena mentre dormiva, incapace finanche di sfiorarla onde evitare che le loro emozioni si fondessero e li ferissero a vicenda. 

Fu quando scese sulla linea del collo che si rese conto che quella non era Lena. Quella linea non esisteva nei suoi ricordi di innamorato perché Lena portava i capelli lunghi sempre sciolti a coprirle collo e spalle.

Quella linea era l’unica cosa a renderle diverse. 

Quando raggiunsero la grande casa degli Xavier, Charles scese dall’auto e fece il giro per aprirle lo sportello dell’auto.

“Benvenuta.”

“Anche se me la ricordo,” disse, “fa comunque un effetto stupendo.”

“Dentro ha perso molto del suo fascino. L’ho trascurata. Se non fosse stato per Hank, sarebbe caduta a pezzi.” 

“E’ una cosa a cui si può rimediare.” Disse lei e fece i pochi scalini che la separavano dalla porta.

Mentre entrava in casa, a Charles sembrò che la vita tornasse ad abitare il grande edificio. 

Cenarono nella sala da pranzo. Hank si congedò subito dopo. 

Charles invece le fece fare il giro dell’abitazione. 

In biblioteca lei si soffermò vicino agli scacchi. Sfiorò il re dei pezzi bianchi e poi raggiunse la finestra. Guardò fuori dove, nel buio della sera, sotto la luna brillava la grande antenna a forma di parabola. Charles le si avvicinò e intuì il corso dei suoi pensieri.

“Potresti farla muovere con le tue capacità?” Chiese fingendo di non sapere quale domanda stava per fargli.

“E’ molto pesante. Non credo.” Fece lei senza voltarsi a guardarlo. “Lui ci è riuscito. Lo hai mai più rivisto?” Charles non si sottrasse.

“Sì, lui lo ha fatto. Ha un potere immenso che ritengo sia destinato a crescere ancora. No, non l’ho visto mai più.” Rispose e gli sembrò di mentire perché la sua voce gli rimbombava ancora nella mente.

‘Charles.’

‘Non più, Erik!’

“E’ strano, è passato così tanto da quando lei è stata qui ma non sembra cambiato niente.”

“Il tempo è passato in modo strano qui dentro.” Disse Charles e indicò la sua testa.

“Professore, mi hai chiesto se c’è qualcosa che non so di te. Non so perché ti sei arreso.” Charles si voltò e raggiunse la poltrona di fronte agli scacchi. Si sedette e si strofinò lo spazio tra gli occhi con due dita.

“Ho perso tutto.”

“Qualcuno prima di me, ti avrà già detto che questo non é vero.” Disse lei raggiungendolo e sedendosi dall’altra parte della scacchiera.

“A otto anni ho sentito per la prima volta le voci. Ci sono voluti tre anni per capire che non erano nella mia testa ma in quella degli altri. Schizofrenia. Così dissero a mia madre e lei non ebbe dubbi che fosse vero. Del resto, come darle torto. I miei sintomi erano orribili da vedere. Soffrivo molto. Niente in confronto a quello che ho patito dopo la morte di Shaw.” Vide Tessa annuire e muovere un dito. La forza telecinetica della donna spostò un pedone in avanti. Lei continuava a guardare gli scacchi e lui vide un’altra differenza con Lena. La ragazza che aveva amato li detestava. Quelle poche volte in cui aveva assistito alle sue partite con Erik, aveva sbuffato tutto il tempo. Tessa invece aveva eseguito una perfetta posizione di base dell’apertura Anderssen. Rispose senza pensarci troppo. “Il dolore inflittomi da quella dannata moneta non si risolse in quel giorno. Diciamo che ha avuto conseguenze sulla mia mente.” 

Tessa mosse un’altra pedina con il suo potere telecinetico e lo guardò negli occhi.

“L’uomo che Lena amava non si sarebbe spezzato per questo. È accaduto qualcosa che non so.”

Charles decise di metterla un po’ in difficoltà e mosse un alfiere.

“Dopo Lena, ho perso Raven e dopo ancora i miei studenti.” Tessa mosse una torre.

“E nel frattempo hai perso Erik.” Charles si versò un bicchiere di barboun.

“Bevi?” Tessa annuì. Charles le versò due dita di liquore e le passò il bicchiere di cristallo. “Lo avevo già perso per primo. Forse non ho mai avuto niente di vero da lui.”

“Erik è molte cose ma non un bugiardo.” A Charles sfuggì una risata sprezzante mentre eseguiva la mossa successiva.

“Posso farti una domanda personale, Tessa?” Lei mosse l’altra torre e annuì.

“Hai mai avuto a che fare in Erik? Personalmente, intendo. Ne parli come se lo conoscessi bene.”

“So di lui quello che Lena sapeva di lui. Non l’ho mai incontrato.”

“Allora ti invito ad adoperare prudenza quando lo giudichi. Non lo conosci davvero.” 

Charles mangiò diversi pezzi a Tessa che usò ancora il suo potere per iniziare a muovere la regina.

“Accetto il consiglio ma ancora non mi hai detto, professore, perché ti sei arreso. Veramente.”

Charles le rispose guardando la regina bianca.

“Non sono riuscito a perdonarlo. Non sono riuscito ad accettare che mi abbia portato via le persone che amavo e che mi abbia abbandonato. Mi ha privato della sua forza e l’ha usata contro di me. E dopo tutto questo, mi ha imposto la sua presenza qui.” Disse indicandosi la testa. “Ogni volta che cercavo i miei studenti, lui era sempre lì. Al punto che ho pensato che avesse bisogno di me. Invece ha assassinato Kennedy.”

“Capisco.” Tessa guardò la disposizione dei pezzi sulla scacchiera e bevve il suo barboun mentre Charles muoveva il suo re. Lei posò il bicchiere e si schiarì la voce. “A questo punto é inutile proseguire,” disse indicando la sua regina, “ci sono ventidue mosse che posso fare ora ma portano tutte alla mia sconfitta.” Concluse alzandosi. Charles guardò la scacchiera per un attimo e capì, forse per la prima volta, come funzionava la mente di Tessa.

“É deprimente sapere sempre come andrà a finire?” Chiese con una punta d’ironia nella voce.

“Quello non é il mio potere. E le persone non sono come gli scacchi. Le persone sono imprevedibili.” Sorrise mentre si alzava. “Conosco la strada.”

Charles la vide lasciare la sala immaginando che si sarebbe diretta alla stanza che un tempo era stata di Lena. Avrebbe voluto dire una cosa qualunque per allungare anche solo di qualche minuto quella conversazione ma la lasciò andare.

Dopo tanti anni aveva ammesso la verità è l’aveva fatto con un’estranea.

Charles sospirò.

‘Devo ricordare che lei non é Lena.’

Si versò un altro bicchiere giurando a se stesso che, per quella sera, era l’ultimo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il circolo Hellfire ***


Capitolo II

Il circolo Hellfire
 

L’indomani mattina Charles si alzò come al solito. Il sole era già alto. Scese in cucina e trovò Hank che aveva preparato la colazione.

“Buongiorno, Hank.”

“Buongiorno, professore. C’è del tea ma Tessa ha mangiato i tuoi pancake.” Charles sollevò la tazza  piena di liquido ambrato mimando un brindisi.

“Dov’é?” 

“In giardino. Era in tenuta da footing.” Charles sollevò un sopracciglio.

“Non ricordo avesse una borsa con sé.”

“Credo abbia preso qualcosa lasciata in giro dagli studenti.” 

“Che ne pensi, Hank?” Chiese Charles lasciando la tazza.

“Riguardo alla storia del futuro o a lei?” Il professore tamburellò con le dita sul tavolo.

“Entrambe.” Hank si sfilò gli occhiali.

“Non ho motivo di credere che menta. Questo però puoi appurarlo tu, professore. Riguardo a lei, non so dare ancora un parere. Credo che qualunque cosa potrei dire adesso, sarebbe influenzato dal ricordo di Lena. É impossibile non pensare a lei. Sono identiche.” Charles annuì.

“Vado a fare un giro anche io.”

“Charles,” lo richiamò Hank, “tu stai bene?”

“Non lo so. Credo che sia come dici tu. Somiglia troppo a Lena per non sentirsi a disagio in sua presenza.” Hank lasciò che il professore uscisse dalla stanza e poi dalla casa.

Il sole riscaldava l’aria nonostante non fosse ancora mezzogiorno. Charles si guardò intorno ma di Tessa non c’era alcuna traccia. Sentì l’urgenza di raggiungere la tomba di Lena e non si sorprese di vedere la donna che aveva cercato uscendo, in piedi davanti alla lapide. 

La lapide. Dire ciò che ne restava, sarebbe stato più opportuno. L’erba era cresciuta alta tutto intorno al bordo di marmo. La parola ‘Saltire’ era prima sbiadita e poi si era tinta di verde a causa del muschio che l’aveva ricoperta. C’erano delle margherite tutte intorno ma erano cresciute spontaneamente. La prima volta che Charles le aveva viste, aveva pensato di strapparle via. Erano nate grazie a ciò che restava di Lena. Questo aveva pensato immaginando il corpo della donna che amava, decomporsi. Poi però non aveva osato toccare neanche un fiore quando, nella sua mente, erano diventati il senso della sua presenza là sotto.

Si avvicinò e la superò andando a sedersi sulle radici della quercia.

“Non é molto, lo so. A mia discolpa posso dire che non volevo che la trovassero.” Si giustificò guardando gli occhi di lei fissi sul marmo. Tessa scosse la testa.

“È sempre stata nella mia testa, sotto forma di ricordi. Tuttavia mi fa piacere che abbia trovato un posto in cui riposare, alla fine.”

“Avrei voluto dargliene uno alla sua altezza.”

“Non affliggerti, professore, lei non vorrebbe che lo facessi. Hai fatto bene a nasconderla. L’avrebbero presa, fatta a pezzi e studiata come sta accadendo a moltissimi di noi.” Nel sentire quell’ultima affermazione, Charles ebbe il coraggio e l’opportunità di fare l’unica domanda che non aveva fatto il giorno prima.

“È con questo che ha a che fare l’aiuto che vuoi da me? Quando hai detto che posso salvare i mutanti, è a questo che ti riferisci?”

“No. Nella visione di Lena tu sei in grado di impedire che il programma Sentinella venga alla luce. Tuttavia se tu potessi aiutarmi anche a fermare gli esperimenti di Trask, te ne sarei grata. In fondo le due cose sono collegate.” Charles si alzò ma rimase dov’era. La lapide di Lena a separarli.

“Alla fine credo che tu ti sia rivolta alla persona sbagliata. Non sono io quello che ha creato la Confraternita. Lui si butterebbe nel fuoco per i fratelli e le sorelle, come li definisce. Io ho scelto una strada diversa.”

“Forse é questo il problema, professore. Avere scelto strade diverse. Stavo aspettando un momento che sembrasse opportuno per dirti quello che sto per dire, ma mi rendo conto adesso che non ci sarà mai un momento più opportuno di questo.” Lo disse guardano la lapide. “Nella visione di Lena non ci sei solo tu. C’è anche lui. Ed è per questo che non riusciremo a salvare proprio nessuno se non avremo Erik dalla nostra parte.” 

Charles non si mosse. Niente nella sua figura dava ad intendere che quelle parole l’avessero scosso ma Tessa sapeva che era così. Charles fece un passo e si chinò sulla tomba di Lena.

“Anche volendo, non posso aiutarti. Sai dov’è ora?”

“Lo so.”

“Allora sai che è un luogo inaccessibile.”

“Non per me se tu mi aiuti, professore.”

“Continui a chiamarmi ‘professore’. Non usi il mio nome ma non ti fai remore ad usare quello di Erik.”

“Lo faccio perché tu possa ricordarti che non sono Lena. Usare il tuo nome sarebbe, come dire?” Charles la interruppe.

“Inopportuno?”

“Intimo.” Rispose lei e Charles decise di tornare all’argomento cruciale di quella conversazione.

“Non posso.”

“Non vuoi.”

“Non posso.” Ripetè Charles.

“Pensi che se trovassimo Raven, lei ti darebbe ascolto?”

“No.”

“Darebbe ascolto ad Erik?”

“Probabile.”

“Allora dovresti prendere in considerazione l’idea di tirarlo fuori dal luogo in cui l’hai confinato.”

“Non sono stato io a farlo.”

“Non intendevo la prigione. Intendevo quella parte oscura della tua mente in cui hai relegato lui e le tue capacità scegliendo di essere una persona che non sei.”

“Parli come lui.”

“Parlo come Lena.”

“Allora dovresti chiamarmi per nome.” Tessa sorrise e si sedette a terra di fronte a lui.

“Hai ragione. Vuoi sapere cosa ne penso io?”

“Sì, vorrei.”

“Penso che la persona che ho incontrato non corrisponde ai ricordi di mia sorella.”

“Mi dispiace di averti deluso.” Tessa si affrettò a spiegarsi.

“Non sono delusa. Sono colpita. Un uomo con un potere come il tuo che mette in discussione ogni cosa di sé a causa del dolore. E non del proprio dolore ma quello degli altri. Tu mi dai speranza, professore. La speranza che il genere umano può essere migliore.” Charles sentì uno strano calore all’altezza dello sterno.

“Forse adesso mi sopravvaluti. E se credi che potrò perdonare Erik, mi sopravvaluti di molto.”

“No. Sono una creatura razionale. Non credo nei miracoli.” Charles non riuscì a trattenere una risata e Tessa rise con lui. Una risata cristallina e aperta. Una risata che non aveva mai udito fare a Lena.

“Ammesso che ti aiuti, come pensi di entrare nel Pentagono?”

“Conosco chi può aiutarci e sono certa che per la parte tecnica, Hank ci sarà di enorme aiuto.”

“So già che ce ne pentiremo.”

“Questo è impossibile. Lena lo ha visto.”

“Una volta lei mi disse che il futuro è fluido, può cambiare come il corso di un fiume.”

“Per quello ci sono io, professore. Qualunque direzione prenderà, avrò già calcolato tutto il suo percorso.” Disse alzandosi e tendendogli una mano. “Ti va di correre insieme a me?”

“Sono fuori forma.”

“Non è una gara. Scarichiamo un po’ d’ansia e ci alleniamo.” A Charles sembrò una cosa normale. Naturale. Da quanto non faceva cose normali? Afferrò la mano di Tessa e si alzò.

 

Il piano di Tessa era semplice e logico.

Per tirare fuori Erik dalla prigione bisognava avere accesso ai pieni inferiori del Pentagono. Per prima cosa occorreva un diversivo. L’idea migliore consisteva nell’entrare negli uffici più sorvegliati degli Stati Uniti d’America con un gruppo in gita turistica. Una volta dentro, Hank poteva disturbare il segnale delle telecamere con uno strumento di sua invenzione. Tessa sapeva che non ci sarebbe voluto molto al brillante scienziato per metterne a punto uno che non desse nell’occhio. A quel punto lei e il professore potevano scendere ai piani inferiori seguendo una mappa che lei si era procurata. Quando Charles chiese dove e come, lei fu vaga e fece riferimento, per la prima volta, al quarto uomo che li avrebbe aiutati.

“Mitchell è uno di noi. Ha un conto in sospeso con Stryker. Ci aiuterà.”

“Sa che vuoi fargli commettere un reato?”

“Ha un conto in sospeso anche con l’esercito degli Stati Uniti. Sarà felice di infliggergli un’umiliazione.” Rispose Tessa. Charles guardò Hank e, pur non leggendo i suoi pensieri, capì immediatamente cosa pensava il ragazzo.

“Stai garantendo per lui?” 

“Garantisco per Mitchell.” Disse fermamente ma Charles non poté evitare di leggere nella sua mente il seguito. ‘Voi però vi fidate di me?’ Charles annuì.

“Qual è la sua mutazione?”

“La sua pelle è a prova di proiettile. E’ più agile, resistente e forte di qualsiasi marine che abbiate mai conosciuto. Sarà lui a tirare fuori Erik dalla prigione in cui è rinchiuso.” Charles si toccò il mento. Hank era perplesso.

“Qui c’è scritto che se il vetro che protegge il vano esterno dalla camera di contenimento cede per qualsiasi motivo, le guardie armate lungo il corridoio hanno ordine di entrare e sparare a vista. Io posso disturbare il segnale delle comunicazioni con l’esterno ma non posso arrivare a quelle della video sorveglianza interna. In due non ce la faranno. E questo Mitchell non potrà portare armi con sé o farà scattare tutti gli allarmi prima ancora di entrare.”

“Niente metallo.” Asserì Tessa. “Gli basteranno le mani. Fidatevi vi dico. Il problema non è entrare. E non è nemmeno uscire dalla prigione di Erik. I problemi arrivano quando Mitchell lo porterà all’ascensore. Questo porta dritto alle cucine.”

“Le cucine?” Chiese Hank. “Perché diavolo le cucine?”

“Per diminuire al minimo gli spostamenti delle persone che entrano in contatto con Erik e ridurre le possibilità che qualcuno introduca del metallo dall’esterno.”

“Qui entra in gioco il diversivo, giusto?” Chiese Charles.

“Farò scattare il sistema antincendio. Questo farà allontanare tutti i civili nell’area ma attirerà altre guardie e stavolta saranno soldati dei corpi scelti.”

“E Erik avrà molto metallo a disposizione.” Precisò subito Charles accigliandosi.

“Esatto. E qui, professore, entri in gioco tu. Io posso annullare per un po’ il magnetismo di Erik trattenendo gli oggetti con la mia telecinesi ma non è abbastanza.”

“Non farà cazzate appena fuori di prigione,” disse Charles “o giuro su Dio che non avrà un’altra occasione.” Tessa lo guardò negli occhi per capire se diceva la verità e dovette ammettere che la determinazione dell’uomo era palpabile.

“La mappa del piano interrato dice che ci sono due vie d’uscita. Mitchell porterà Erik fuori lungo i vecchi condotti dei rifornimenti al bunker presidenziale. Non li usa più nessuno da decenni. Mitchell li conosce come le sue tasche. Io e te, professore, useremo l’uscita di emergenza. Si apre automaticamente quando si attiva il sistema antincendio. Hank uscirà con il gruppo al momento in cui scatta l’allarme. Deve prepararci il mezzo per la fuga. Non potremo adoperare la stessa macchina che useremo per entrare.” Hank annuì.

“Va bene un aereo?” Tessa sorrise ma si voltò a guardare Charles. 

“Per te va bene, professore?”

“Andrà bene quando tu mi dirai, Tessa, cosa può andare storto.” Tessa sorrise. Si sedette accavallando le gambe e incrociando le braccia.

“In generale o usando la mia mutazione?” Charles sorrise a propria volta, si sedette, accavallò le gambe e incrociò le braccia.

“Usando le tue capacità.” Hank passò con lo sguardo dall’uno all’altra.

“Questa non me la perdo, prendo i pop corn.” Tessa cominciò.

“Dò per scontato che Hank non può commettere errori nella creazione e nell’utilizzo del suo apparecchio. Quindi il primo evento che può metterci in difficoltà è che qualcuno ci fermi mentre raggiungiamo la cucina. Abbiamo due possibilità: usare il tuo potere o il mio. Ostacolo superabile in ogni caso. Secondo evento. Erik si rifiuta di venire con noi. L’evento è improbabile. A prelevarlo sarà Mitchell. Lui non lo conosce e Mitchell è di poche parole. Se ciò dovesse comunque accadere, possiamo abbandonare il piano. Se non vuole seguirci subito, difficilmente cambierà idea in seguito.” A questa affermazione, Charles fece una smorfia ma annuì. “Terzo evento. Il diversivo non funziona e i civili restano nell’area interessata.”

“Questo mi interessa particolarmente.” La provocò Charles incrociando le dita delle mani sotto al mento.

“Il tuo potere è sempre escluso?” Charles annuì. “Esiste un vecchio impianto a gas che passa sotto le cucine. Non è in uso ma chiederemo a Mitchell di aprirlo mentre attraversa i tunnel all’andata. Basterà poco combustibile per una piccola esplosione. Posso contenere i danni col mio potere. Nessuno si farà male ma tutti correranno fuori. Garantito. Ultimo evento. Erik tenta di scappare una volta fuori dall’ascensore.”

“Hai previsto anche a questa eventualità?”

“Qualcuno mi ha detto che devo adoperare prudenza nel valutare Magneto.” 

“Touché.” 

“Qui ci sono tre possibilità. Lo riportiamo alla ragione con le buone; Mitchell lo mette fuori combattimento mentre io uso la telecinesi per impedirgli di usare il suo magnetismo; tu, professore, tieni fede al tuo giuramento e te ne sbarazzi. Come, è una tua scelta.” Charles si fece serio. Ogni traccia di sarcasmo era sparita dal suo volto. Tessa sostenne il suo sguardo senza paura ma decise che non era ancora giunto il momento di provocare il telepate fino a quel punto.

“C’è un altro evento che, seppure improbabile, dobbiamo tenere presente. Mitchell ha un carattere, come dire, difficile. Diciamo che ingaggeremo il dott.Jeckill ma che ad aiutarci verrà Mr.Hide. È una variabile da considerare.”

“Non voglio che ferisca qualcuno.” Precisò subito Charles.

“Mi occuperò io di questo. Voi non fate caso a ciò che dice, ok.” Charles ed Hank annuirono. “Allora abbiamo un piano. Ed è un buon piano.” Concluse lei alzandosi.

“Dove vai?” Chiese Hank.

“A casa mia. Ho abusato della vostra ospitalità e devo contattare Mitchell. Non voglio che sappia dove si trova questo posto. Mi fido di Jeckill ma non di Hide e la prudenza non è mai troppa.”

Charles si alzò e le chiamò un taxi.

“Quando lo faremo?” Chiese Hank.

“Prima è, meglio è. Non sappiamo quanto Raven sia vicina al suo obiettivo o quanto Trask sia vicino a catturare lei. Dopodomani, direi.”

“Va bene. Dato che è deciso,” disse Charles, “meglio togliersi il dente prima possibile.”

Il taxi ci mise una decina di minuti ad arrivare e Tessa si fece trovare fuori dal cancello.

“Ciao, professore.”

“A presto, Tessa. Questo è il mio numero.” Disse tendendole un bigliettino. “Così non dovrai scrivere strane lettere per contattarmi.”

“Confido che se avrò bisogno di te, sarai tu a trovarmi.” Disse lei sorridendo, prendendo comunque il biglietto e chiudendo lo sportello.

 

Era stanca.

Gli eventi degli ultimi giorni erano stati intensi, fisicamente e mentalmente. Posò il borsone con i suoi abiti vicino alla porta e raggiunse il frigo. Quando la luce dell’elettrodomestico illuminò l’appartamento buio, Tessa la vide.

“Payge, è giorno, Cristo Santo, potevi aprire le tende!”

“Salve fiorellino! Hai fatto perdere le tue tracce per quattro giorni.”

“Sono stata impegnata.” La donna se ne stava gambe accavallate e gomiti sui braccioli della poltrona in pelle al centro del grande monolocale.

“Impegnata al punto da non rispondere ai messaggi che ti ha lasciato Donnie?”

“Dì a Donald che sto lavorando.” La donna si alzò e mise le mani sui fianchi.

“Ehi, bambola, non sono la tua segretaria. Diglielo tu stessa.” Fece raggiungendo la porta. Prima di aprirla guardò il borsone abbandonato sul pavimento.

“Dormito fuori? Lui è il solito bello dentro o stavolta è anche bello fuori?”

“Merita.” Rispose Tessa stappandosi una bottiglia di birra.

“Questo non dirlo a Donnie, cara.”

“Payge?” Tessa la chiamò prima che aprisse la porta.

“Sì?”

“Devi mettermi in contatto con Tanner.”

“Warhawk non è un tipo facile da trovare.”

“Tu però puoi rintracciarlo.”

“Chiedi a Donnie. Non ti dirà di no. Ha un debole per te.”

“Ha un debole per il mio potere. Devi trovarmelo tu. Ho bisogno di lui per tirare fuori Lehnsherr dalla prigione in cui è stato rinchiuso.”

“Allora fai sul serio.”

“Stanne certa. E avrò bisogno di te per controllare Tanner nel caso diventasse scontroso.”

“Donnie vorrà essere pagato per questo e tu sai cosa vuole.”

“Avrà ciò che vuole se io avrò ciò che voglio.” Payge fece alcuni passi indietro e la fronteggiò.

“Sarai anche la figlia di Shaw, Tessa, ma ricordati con chi hai a che fare.”

“Ricordatelo anche tu. Arrivederci Payge.” Concluse Tessa portando la bottiglia alle labbra. La donna lasciò che facesse un sorso poi gliela sfilò dalle mani.

“Per fortuna mi piaci tanto, tesoro, perché hai un carattere di merda.”

Se ne andò portando via la bottiglia. 

Tessa raggiunse il letto e vi si lasciò cadere. Erano stati davvero giorni intensi, soprattutto per la sua mente. Aveva detto al professore che lei non era come Lena e gli aveva fatto leggere i suoi pensieri. Quello che non gli aveva né detto, né fatto leggere era che sapeva come separare la sua mente in tante piccole porzioni. In una di quelle, la più intima, Tessa nascondeva i suoi segreti e quelli di Lena.

 

Quella mattina Charles si alzò di pessimo umore e con un terribile mal di testa dovuto all’alcol e alle anfetamine che aveva assunto la sera prima.

Non aveva chiuso occhio. Incubi uno peggiore dell’altro lo avevano tenuto sveglio fino all’alba e poi era crollato. Quando si era svegliato, le lenzuola erano madide di sudore e il baldacchino del letto era attraversato da una crepa evidente da un lato all’altro, segno che il suo potere psichico aveva giocato col suo subconscio per tutto il tempo in cui aveva dormito.

Hank quasi non ebbe il coraggio di rivolgergli la parola quando lo vide entrare nella cucina.

“Non dire niente, Hank, lo so.”

“Vuoi un’aspirina al posto del tea?”

“Una dose del tuo siero sarebbe meglio. Il mal di testa mi sta uccidendo.”

“Credevo che dovessimo fare affidamento sul tuo potere, oggi.”

“Proprio per questo vorrei evitare di averlo a disposizione. Potrei farne un pessimo uso nelle condizioni in cui sono.”

“Se è quello che vuoi.” Accennò Hank uscendo dalla stanza.

‘Giuro su Dio che non avrà un’altra occasione.’

Le sue stesse parole gli rimbombarono nella mente e si portò le mani alla testa stringendola forte. Hank rientrò in quel momento e capì che stava soffrendo.

“Dammi il braccio.” Disse e Charles obbedì con la morte nello sguardo. Si vergognava di farlo almeno quanto ne aveva bisogno. Odiava odiare le voci, odiava odiare la sua voce.

Quando il liquidò passò dall’ago alla vena, Charles si lasciò vincere dall’effetto del medicinale. In quel momento suonarono alla porta.

Hank andò ad aprire e quasi si strozzò con la sua stessa saliva. Tessa era in piedi con indosso un jeans a zampa di elefante e una camicetta bianca legata in vita, gli occhiali da sole enormi calati sugli occhi e una sacca a tracolla.

“Buongiorno, Hank, il professore è pronto? Il taxi ci aspetta per andare in aeroporto. Prima classe.”

Esclamò sventolando dei biglietti della Pan-Am. Il suo entusiasmo si smorzò non appena vide la faccia di Charles.

“Buongiorno, Tessa, almeno tu non infierire.” Disse sopravanzando Hank e tirando dritto verso il taxi. Quando lei fu certa di sentire lo sportello chiudersi, parlò.

“Non farà la sua magia per oggi, vero?” Chiese alludendo allo stato in cui si trovava il professore.

“No. Magari domani starà meglio.”

“Sei un uomo buono, Hank.” Il ragazzo le sorrise e poi chiuse la porta.

Il viaggio in taxi fu silenzioso. L’autista, un ragazzo di colore, mise su un po’ di musica. Charles gli chiese di spegnere la radio e lo chiamò Darwin per errore. Ad Hank si strinse il cuore a vederlo in quel modo e Tessa cercò di cambiare subito argomento.

In aeroporto non attesero molto. Il loro volo fu puntuale.

“La prima classe è un bel lusso per lo stipendio di un’archivista.” Commentò Hank. Charles lo ammonì mentalmente dal fare commenti poco carini ma Tessa fece cenno alla hostess di portarle da bere e rispose.

“Per un’archivista. Per la figlia di Sebastian Shaw, no.” Stavolta fu Charles a guardarla con un certo disappunto. Lei proseguì. “Intendiamoci, ho voluto io la morte di mio padre. Non ha fatto nulla di buono nella sua vita ma aveva accantonato un certo numero di ricchezze che ha dato via ad un’organizzazione di cui condivideva gli ideali. Io non li condivido ma questo non m’impedisce di accedere ad un conto bancario aperto a mio nome. Non lo uso per le mie spese. Per quello basta lo stipendio da archivista, professore. Se devo rintracciare una mutante come Mystica o liberare Magneto, faccio uno strappo alla regola.”

La spiegazione di Tessa fu sufficiente anche se Charles memorizzò l’informazione più importante di quel discorso: esisteva ancora un’organizzazione creata da Shaw da qualche parte e Tessa sapeva dove.

L’aereo atterrò nel primo pomeriggio e i tre si diressero in albergo. Questa volta non era di classe ma abbastanza vicino al Pentagono e allo stesso tempo distante da occhi indiscreti. Cenarono con cibo da fast food e andarono a dormire presto. Almeno Hank lo fece. Charles si ritrovò nella sua stanza e si sentì soffocare. Andò alla finestra e l’apri. Da lì vide Tessa uscire dalla sua e sedersi sul gradino più vicino della scala antincendio. Lei si accese una sigaretta e lui si schiarì la voce affinché lei avesse modo di accorgersi della sua presenza.

“Non hai sonno?” Gli chiese. “Sembra che tu abbia bisogno di dormire.”

“Ne ho, ma non dormo mai più di qualche ora a notte.”

“Brutti sogni?”

“Le voci.” Tessa si girò e gli porse il pacchetto delle Marlboro. Lui lo prese e sfilò l’accendino e una sigaretta, l’accese e glielo restituì.

“Adesso fumi?”

“Adesso faccio molte cose che non mi sarei mai sognato di fare prima.”

“Sei ancora in tempo a cambiare idea.”

“Lo so ma non lo farò. È come dici tu. Ho confinato Erik in un luogo oscuro della mia mente. Forse se faccio pace col mio passato, sarò in grado di cambiare il futuro. Non è per questo che mi hai cercato?” Tessa inspirò ed espirò il fumo piegando il busto in avanti e poggiando i gomiti sulle ginocchia.

“Ci sono vari motivi per cui ti ho cercato. Sicuramente avere il tuo aiuto per cambiare la visione di Lena è uno di questi.”

“Ce ne sono altri?” 

“Credo di sì, ma non sono ancora pronta a confessarli.”

“Tranquilla, non sono più il reverendo di una volta. Tutti abbiamo i nostri peccati e il mio è non voler conoscere quelli degli altri.”

“Per questo non mi hai chiesto di più quando ti ho parlato della provenienza dei fondi per finanziare la missione?”

“Per affrontare questo argomento servirebbe un bicchiere pieno di qualcosa di alcolico.” Tessa gettò il mozzicone della sigaretta giù nel vuoto e scavalcò la finestra. Uscì poco dopo con un bicchiere e una bottiglia di wiskey. L’aprì e riempì due bicchieri fino all’orlo. “Devo supporre che ne vuoi parlare?” Chiese Charles.

“L’Hellfire è un circolo esclusivo.” Il telepate si sedette sul davanzale della finestra e mostrò attenzione. “Viene finanziato dagli uomini più potenti e ricchi del pianeta. Ci sono diverse sedi nel mondo ma, in America, la più influente è a New York. Mio padre ne ha preso il controllo molto tempo fa. Il motivo per cui dava la caccia a Lena era prevalentemente il circolo. Se puoi controllare la mente e le emozioni degli uomini, controlli i loro patrimoni. Emma Frost è stata una buona sostituta comunque. Lo ha servito bene. Ora al comando c’è l’erede della famiglia Pierce. Sono fabbricanti d’armi. Si sono arricchiti promuovendo la guerra. In ogni modo, leale e non, palese e occulto.”

“E ora la guerra è finita.” Asserì Charles sorseggiando il liquore.

“Mi piaci, professore. Con te non c’è bisogno di inutili giri di parole.” Charles arrossì appena come non credeva di essere più capace.

“Dimmi di più.”

“Pierce mi controlla. Teme che voglia prendere il posto di mio padre al comando dell’Hellfire.”

“Ed è così?” Tessa scosse il capo e finì in un sorso il bicchiere.

“Mi ci sono avvicinata per due motivi. Non avevo come nascondermi e volevo Stryker. Era l’unico indizio sulla visione di Lena.”

“Potevi cercarmi prima. Non ti ho negato il mio aiuto oggi, non l’avrei fatto allora.”

“Non ero pronta.”

“Se ti controllano, sanno che sei qui.”

“Lo sanno. Ho contattato Mitchell tramite un’amica del circolo.”

“Quindi devo un favore all’Hellfire?” Tessa si riempì un altro bicchiere.

“No. In alcun modo. Il debito è mio e lo salderò io. Tra l’altro, se il futuro cambierà forse anche il mio legame col circolo cambierà.” Charles finì il suo bicchiere e lo poggiò sul davanzale. “Che c’è professore? Hai già bevuto un bicchiere di troppo?” Charles sorrise guardandosi le mani.

“Se ne bevo un altro, finirò la bottiglia.”

“Accomodati!” Rispose lei, porgendogliela.

“Non tentarmi. Sarebbe facile annebbiare i miei sensi fino a sprofondare la mente in quella bolla alcolica dove tutto è silenzio e le voci sembrano lontanissime. Però domani ti serve il Professore. Non sono sicuro che si presenterà ma se mi ubriaco, darò un pessimo spettacolo di me stesso.” Tessa poggiò la bottiglia sul suo davanzale.

“Mi dispiace di averti tentato.” Charles sorrise.

“Una volta posso resistere. Non rifarlo.” Tessa rientrò nella sua stanza. Prima di sparire del tutto, tirò fuori la testa.

“Professore?”

“Sì?

“Sei coraggioso.” Lui fece un cenno del capo. 

“Tessa?”

“Sì?”

“Grazie per avermi detto dell’Hellfire. Non eri tenuta.”

“So per esperienza che i segreti fanno male. A chi li tiene e a chi li scopre.” Charles percepì che aveva rievocato il ricordo di Lena che doveva giustificare il fatto di non aver parlato della sua parentela con Shaw.

“Non l’ho biasimata neppure per un istante per avermelo tenuto nascosto.”

“Avrebbe voluto dirvelo lei.”

“Aveva paura della reazione di Erik.” Charles lo disse senza alcun biasimo nella voce.

“Aveva paura di perderti.” Tessa lo disse guardando il vuoto ma concentrando i suoi pensieri su Charles affinché li percepisse.

“Non mi avrebbe perso mai. Neppure se avesse scelto Erik.” Charles non aspettò che lei rispondesse. “Buonanotte, Tessa.” Disse chiudendo la finestra.

Tessa, invece, si accese un’altra sigaretta.

“Buonanotte, Charles.”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Verità pesanti come scudi ***


Capitolo III
Verità pesanti come scudi

 

Il più nervoso fra loro era Hank. Nonostante ciò, fece perfettamente la sua parte.

S’infilò nel gruppo di visitatori che dovevano vedere il Pentagono e mise fuori uso il sistema di videosorveglianza. 

Quando Tessa e il professore arrivarono alle scale per i piani interrati, tutti i vigilanti guardavano un episodio di Star Trek. Tessa sorrise compiaciuta ma Charles si affrettò a stemperare il suo ottimismo.

“Sono ancora molte le cose che possono andare storte.” Disse proprio mentre un uomo grande, grosso e minaccioso gli si parò innanzi. Charles si bloccò sul posto ma la mano di Tessa sul braccio gli diede ad intendere che era tutto a posto.

“Lui è Mitchell Tanner.” Si affrettò a precisare.

“Stai combinando un bel casino, Sage.” Disse l’uomo mentre poggiava un borsone a terra e vi infilava le mani dentro per tirare fuori un uniforme. Si cambiò in men che non si dica. Nonostante la stazza, sembrava esattamente quello per cui doveva passare. Una delle guardie della sorveglianza di Erik. Charles notò che la donna al suo fianco si limitò a scuotere le spalle.

“Credevo che farla in barba all’esercito ti avrebbe fatto piacere.”

“Sono qui solo per quello. L’idea di tirare fuori dal gabbio uno come Magneto, invece, non mi piace per niente. Lui chi è?” Chiese indicando con un cenno del capo Charles.

“Un amico.”

“Che non ha un nome?”

“Che te ne frega?”

“Ha ragione Payge. Hai un carattere che è una vera merda.”

“Disse l’uomo che prima spara e poi chiede cos’è successo.” Tanner fece una smorfia.

“Vado.”

“Non combinare guai.”

“Per sicurezza, ho Payge nell’auricolare.” Rispose l’uomo allontanandosi. 

Charles era rimasto in silenzio ad ascoltare la conversazione. Quando l’uomo sparì dietro l’angolo si rivolse a Tessa.

“Sage?”

“E’ il mio nomignolo. Te l’ho già detto, no?”

“E Payge? Chi è?”

“Un altro membro del circolo. E’ una mutante con il dono di persuadere gli altri con la sua voce. Diciamo così.”

“Capisco. Deve essere la donna che ha preso il posto di Emma Frost.” Tessa sorrise.

“Esattamente, professore. Ora andiamo. Fra poco tocca a noi andare in scena.”

 

Erik stava sdraiato sulla sua coperta con gli occhi chiusi.

La sua giornata era come tutte le altre. Orribile. Si sforzava di percepire il metallo ovunque fosse. Chi l’aveva rinchiuso in quel luogo era convinto che il cemento armato e la plastica speciale che lo circondava per miglia e miglia fosse sufficiente ad annullare completamente il suo potere.

Non era così. Giorno dopo giorno, i suoi sensi si erano spinti poco a poco più in là fino ad arrivare a percepire qualcosa sopra e sotto di lui.

Nulla che potesse consentirgli la fuga, ovviamente, ma sufficiente a farlo sentire ancora vivo.

Gli anni erano passati ed Erik aveva acquisito maggiore controllo sui campi magnetici anche se in quella prigione non poteva essere certo di quale effetto quel controllo potesse avere sulle sue capacità. 

Quell’allenamento immaginario e l’autodisciplina imposta lo avevano salvato dall’apatia e dalla pazzia. Quello e la voce di Charles. La voce di Charles però era sparita presto. Lo aveva abbandonato nonostante lui lo invocasse ogni momento.

Intendiamoci, non invocava il suo aiuto per se stesso. Lo voleva per tutti i fratelli e le sorelle mutanti che erano là fuori senza la sua protezione.

Qualche giorno addietro, anche se il senso del tempo era una delle cose che aveva lentamente smarrito, gli era sembrato di rivederlo. Forse però era stata un’allucinazione poiché, prima di Charles, aveva visto Lena. La sua bellissima e forte Lena che gli sorrideva. 

Nel suo cuore, non l’aveva mai perduta. Non come aveva perso Charles. Non come aveva perso Raven a cui aveva concesso l’occasione di risvegliare tutti i suoi demoni. Non come aveva perso la Confraternita prima e la libertà poi.

Lena era rimasta sempre con lui. L’odore della sua pelle nelle narici. I brividi della notte che avevano quasi fatto l’amore sulla pelle.

Nonostante lui l’avesse uccisa, lei era rimasta. Bellissima e fedele accanto a lui.

Aprì gli occhi sentendo il rumore del vassoio del pasto che gli era scivolato accanto. Percepì subito qualcosa di strano. La guardia che glielo aveva consegnato era rimasta immobile a fissarlo. Ad un tratto, come se volesse colpire proprio Erik, abbassò un pugno sul vetro che separava la stanza di contenimento dal resto della camera. 

Per un solo istante, Erik pensò che fosse pazzo. Aveva provato a colpire quel vetro centinaia di volte. Un pugno solo non avrebbe mai potuto abbatterlo. 

Invece, l’istante dopo, il vetro si frantumò come fosse fatto di cristallo e cadde in migliaia di piccolissimi pezzi.

“Chi diavolo sei tu?”

“Un amico di Sage.”

“E chi diavolo è Sage?”

“Una tua amica, a quanto pare.”

“Deve essere una pazza. Tra meno di un minuto, almeno otto guardie armate entreranno da quella porta e hanno l’ordine di sparare.”

“Allora ti conviene restare dietro di me.” Disse frapponendosi tra lui e la porta.

Le parole di Erik non tardarono ad avverarsi. Le guardie entrarono nella stanza armi in pugno. Erano armi a prova di Magneto. Lui non avrebbe potuto difendere né se stesso, né il suo strambo salvatore. Capì che non ce ne sarebbe stato bisogno. I proiettili sparati dalle guardie rimbalzarono addosso all’uomo come su una superficie imperforabile sotto lo sguardo incredulo di chi aveva fatto fuoco. Non ebbero il tempo di ricaricare. L’uomo si lanciò addosso a loro con incredibile velocità e agilità e li mise tutti fuori combattimento.

“Sei un mutante.” 

“Sono un soldato.” Disse invitandolo a raggiungere l’ascensore dall’altra parte del corridoio che rappresentava la loro sola via di fuga.

Quando le porte dell’ascensore si chiusero Erik lo osservò con attenzione. Era stato mandato da qualcuno a salvarlo ma non aveva idea di chi potesse essere. Raven forse? Quale altra amica aveva al mondo, ammesso che Raven fosse ancora sua amica?

Le porte dell’ascensore si aprirono ed Erik si ritrovò nelle cucine del Pentagono totalmente allagate. 

Di fronte a lui, completamente fradicio, stava ritto Charles. Al suo fianco un paio d’occhi azzurri lo fissavano curiosi. Erik pensò che se quello era un sogno, era davvero giunta l’ora di svegliarsi.

 

“Sei pronto, professore?” Chiese Tessa mentre si sistemava un cartellino sul taschino della sua giacca. Charles annuì ma, in verità, non era pronto. Un po’ perché se si fosse reso necessario usare le sue capacità non era certo di riuscire a fare un buon lavoro e un po’ perché fra pochi attimi avrebbe rivisto Erik dopo quanti anni, dieci? 

Tessa usò la sua telecinesi per mandare in corto il sistema antincendio.

Charles aprì la porta ed entrò a passo veloce.

“Signori, vi chiediamo di evacuare con ordine il piano. C’è stata una fuga di gas e dobbiamo mettere in sicurezza l’intera sezione.” Lo disse con decisione e nessuno dei presenti mise in dubbio le sue parole. Ogni addetto ai servizi lasciò ciò che stava facendo e uscì dalla stanza. 

“Complimenti, professore. La tua capacità di persuasione è impeccabile anche senza l’utilizzo delle tue facoltà.” Charles sorrise ma la sua attenzione fu catturata dalla percezione, seppure flebile, della mente di Erik. Il segnale acustico dell’ascensore li avvisò che era arrivato al piano. Le porte si aprirono.

Erik non sembrava invecchiato di un giorno. Charles fissò i suoi occhi in quelli grigi dell’altro ma capì subito che ogni fibra del corpo e dell’essenza di Erik era fissa su Tessa. Il suo smarrimento nel vedere quella che ai suoi doveva sembrare Lena, rimbalzò nella sua mente non appena l’uomo lo guardò.

‘Che cazzo di stronzata è, Charles?’ 

Erik allungò una mano come a voler toccare il viso di Tessa. 

Charles reagì stringendo un pugno e colpendolo al viso. Erik rovinò all’indietro e si rialzò senza smettere di guardarlo.

“E’ un piacere anche per me, Charles.” Disse Erik massaggiandosi la mascella e voltandosi a guardare la donna. Lei lo squadrò da capo a piedi e poi si rivolse a Tanner.

“Bel lavoro, Warhawk. Professore, vuoi fare tu le presentazioni?” Erik sentì la sua voce ed era la voce di Lena. Guardò di nuovo Charles.

“Tessa, lui è Erik. Erik, lei è Tessa, la gemella di Lena. Ti spiegherò tutto una volta fuori di qui. Devi solo promettermi che non farai cazzate.” Erik, ancora stordito da quella rivelazione, guardò Charles con la sua solita espressione provocatoria.

“Non ce n’è bisogno. Non ho il mio elmetto.” Disse indicandosi la testa. La reazione di Charles però non fu quella che si aspettava. Lui lo fronteggiò e gli rispose con rabbia.

“Non entrerò mai più nella tua testa.”

Fu allora che Tessa si girò verso la porta come avesse percepito il pericolo e sei guardie armate entrarono puntando le pistole contro di loro.

“Charles, fermali.” Disse serio Erik. Guardò quello che era stato il suo migliore amico e lo vide tremare dalla testa ai piedi. “Non puoi?” Chiese incredulo. Uno dei soldati urlò.

“Tutti a terra!” Erik, piuttosto che obbedire, prese a far tremare ogni utensile di ferro presente in cucina. Sentire di nuovo il suo potere scorrergli nelle membra lo elettrizzò. Charles lo percepì e gli mise una mano sul petto. Lo avrebbe fermato. A qualunque costo. Non gli avrebbe consentito di fare del male a nessun altro dopo Lena. Questo era l’unico pensiero che riusciva a formulare. Non importava se era fuori allenamento, se gli avrebbe causato dolore. 

Fu in quel preciso momento che ogni oggetto di metallo rimase immobile dove si trovava. Forchette a mezz’aria, coltelli di traverso, pentole mezze rovesciate. Ogni cosa sembrava sospesa.

Erik percepì che era la donna con le sembianze di Lena che stava usando una specie di forza opposta alla sua. Nello stesso tempo, l’uomo alle sue spalle si mosse e tutti i soldati finirono al tappeto in una manciata di secondi.

“Voi parlate troppo per i miei gusti. Andiamocene di qui prima che tutto il fottuto esercito degli Stati Uniti ci piombi addosso!” Esclamò Tanner tirando dritto oltre la porta.

“Dovremmo seguirlo.” Disse Tessa andandogli dietro. Erik si voltò a guardare Charles.

“E’ davvero identica a lei.”

“Lo so.” La figura di Tessa ricomparve sulla porta.

“Non restate impalati. Erik, va con Mitchell. Professore, tu vieni via con me.”

Erik sopravanzò la donna e seguì il soldato nel corridoio, Charles afferrò la mano di Tessa e la guidò di nuovo per le stanze dalle quali erano entrati.

 

“Grazie di tutto, Mitchell.” Disse Tessa mentre i suoi nuovi compagni di avventure salivano a bordo dell’aereo che Hank aveva preparato per lasciare Washington.

“Non devi ringraziarmi, Sage. Ho fatto il lavoro per cui sono stato pagato.”

“Ti ringrazio lo stesso. E’ merito tuo se il mio piano ha funzionato.”

“Allora accetta un consiglio. Quello che hai tirato fuori di prigione è un tipo molto pericoloso. In più è sulla lista di Pierce. Non metterti contro Pierce. Tra i tizi pericolosi è il più pericoloso.”

“Vedremo.”

“Forse tu puoi vedere gli esiti delle scelte tue e degli altri ma Pierce controlla Hellfire. Non ho nient’altro da dire su questa sporca faccenda.” L’uomo si voltò, salì su una jeep e si allontanò velocemente dalla pista. 

Tessa salì a bordo dell’aereo e andò a sedersi insieme ad Hank nella cabina di pilotaggio. Il ragazzo la guardò con la coda dell’occhio mentre si preparava per il decollo.

“Parleranno di te di là. Non vuoi essere presente?”

“Francamente no. Credo che il professore sia la persona più adatta a spiegare ad Erik cosa sta succedendo.”

“Speriamo che tu abbia ragione.” Rispose Hank decollando.

Nella cabina, invece, regnava il silenzio. Charles se ne stava seduto guardando fuori dal finestrino ed Erik invece lo fissava dall’altra parte cercando di elaborare tutte le informazioni che aveva ricevuto quel giorno.

Una donna identica a Lena, la sua gemella, si era data da fare per tirarlo fuori di prigione. Per quale ragione l’avesse fatto, ancora non gli era dato saperlo. Charles forse sapeva tutto ma non parlava. Riguardo a quest’ultimo la cosa più grave era che sembrava incapace di usare il suo potere.

“Come lo hai perso?” Chiese senza smettere di inchiodarlo al sedile con lo sguardo. Anche senza le sue capacità, Charles percepì l’ostilità nella sua voce.

“Hank ha preparato un siero che mi permette di allontanare le voci.”

“E ti sembra giusto?”

“Non accetto lezioni su cosa sia giusto da uno che abbiamo tirato fuori da una prigione.”

“Non ho ucciso Kennedy.” Charles allungò le labbra in un ghigno.

“Devi ritenermi davvero stupido, vero Erik?”

“Non sono stato io, ti dico.”

“La pallottola ha curvato!” Esclamò Charles cercando di mantenere un certo controllo.

“Volevo salvarlo. Me lo hanno impedito.”

“Sì, come no!”

“Era uno di noi!” Stavolta fu il turno di Erik di alzare la voce.

“Raccontalo ad un altro.” Erik si alzò dal sedile in cui si era sistemato al decollo e lo fronteggiò.

“Lo dico a te. Se invece di rifiutare ciò che sei, ti fossi battuto con la tua gente, lo sapresti.”

“Non puoi capire. Non puoi sapere cosa ho passato. Ho perso tutto. Mi hai portato via ogni cosa!”

“Te lo ripeto, se ti fossi battuto per ciò a cui tenevi, magari non sarebbe successo! Invece ci hai abbandonati tutti. Chiuso nel tuo dolore. Come se l’unico ad avere il diritto di soffrire fossi tu! Mi hai abbandonato, Charles! L’unico che aveva la forza per proteggerti. L’unico che voleva ancora farlo!”  Erik urlava e tutto l’aereo tremava come se stesse sul punto di spezzarsi. 

Di fronte alla durezza di quelle parole, di quella voce, della verità di Erik, Charles barcollò. La sua mente, ormai completamente priva dell’effetto del siero di Hank, si sincronizzò su quella di Erik ed esplose di dolore nel percepire la solitudine e il profondo senso di abbandono che la riempiva.

Il suono d’allarme del segnalatore di quota dell’aereo prese a suonare. Charles si portò le mani alla testa e sembrò accartocciarsi su se stesso mentre si piegava sulle ginocchia. La porta della cabina di pilotaggio si aprì e Tessa comparve nel corridoio.

“Professore! Calmati, professore, ti prego!” Charles urlò più forte l’aereo si capovolse. Erik usò il suo potere per bloccare il corpo di Charles tra il proprio e il pavimento. Con una mano afferrò Tessa e la sollevò. La donna si aggrappò con entrambe le mani al braccio di Erik e riprovò. “Professore! Charles!”

Sentendosi chiamare per nome, il telepate aprì gli occhi e cercò di capire cosa stesse accadendo. Quando si rese conto di essere il responsabile di quella situazione, portò due dita alla tempia e si sforzò di riportare il velivolo nella giusta posizione. Erik si ritrovò addosso a Charles con Tessa sdraiata sulla sua schiena.

“A quanto pare, siete ancora affiatati dopo tutto.” Fece lei alzandosi e sistemandosi la camicetta. Erik la imitò e rimase a fissarla. Ancora non si capacitava del fatto che fosse identica a Lena. Solo i capelli biondi, portato corti sulle spalle, le davano un aspetto diverso. Un po’ per uscire da quella situazione, un po’ perché la reazione di Charles lo aveva colpito, si girò a guardare l’amico. Era seduto sul pavimento, il respiro ancora accelerato. Erik gli allungò una mano per aiutarlo ad alzarsi. Lui l’afferrò senza pensare e si sedette al suo posto.

“Che ti ha preso?” Chiese il tedesco. “Io non leggo la mente. Se non mi parli, non potrò mai capire.” Charles guardò Erik e poi Tessa. La donna superò Erik e lo raggiunse. Gli poggiò una mano sulla spalla.

“Se gli dici cosa provi, le possibilità che questa storia finisca bene sono di molto superiori, professore.” Tessa sparì dietro la porta e Charles sospirò. Erik si sedette di fronte a lui. “Allora?”

“Non ti ho abbandonato. Avrei voluto. Più provavo ad odiarti, più odiavo me stesso. La morte di Lena mi ha ferito ma é stata la morte di Shaw a farmi davvero del male. Quella moneta non ha attraversato solo la testa di Shaw. A parole non posso spiegarti ma non voglio neppure mostrartelo. Ti ucciderebbe. A malapena riesco a difendere me stesso. Tutte le barriere che avevo alzato in anni e anni di autodisciplina sono cadute. Mi sono sforzato di superare il dolore ma quando è iniziata la guerra in Vietnam e mi hanno portato via i ragazzi, sono crollato. E tu non facevi che biasimarmi.”

“Volevo che li proteggessi dato che non potevo più farlo io.”

“Ti ho abbandonato.” Sussurrò Charles.

“Prima l’ho fatto io.” Asserì Erik versandosi da bere e versando un bicchiere anche a Charles. Il telepate scosse la testa.

“Ho bevuto troppo.”

“Per oggi?”

“Per i prossimi dieci anni.” Erik sorrise. Non il solito ghigno che faceva a tutti. Il sorriso che conoscevano solo lui e Lena.

“Avanti, reverendo, il bicchiere della staffa non ti ucciderà! E poi devi ancora dirmi di lei.” Charles prese il bicchiere e lo fece tintinnare con quello di Erik.

“Non c’è molto da dire. Mi ha scritto una lettera anonima invitandomi a presentarmi al monumento di Lincoln. Ci sono andato perché qualche notte prima ti ho visto e mi sono ricordato delle nostre partite a scacchi.” Si fermò vedendo lo sguardo accigliato di Erik.

“Qualche notte fa ti ho visto anche io. Eri con Lena.”

“Lena? La mente deve avermi fatto un brutto scherzo. Ho ceduto al desiderio di rivederla ma, insieme a lei, sei apparso tu. A questo punto devo credere che non vi ho materializzati nella mia mente ma devo aver spinto la mia mente fino a te, se anche tu mi hai visto.” Erik annuì.

“Sì, eri fuori dalla mia cella. E quindi quella che hai visto era Tessa?” Charles scosse il capo.

“No, era Lena. Ne sono certo. Ad ogni modo Tessa era là. Se hai pensato ad un fantasma quando l’hai vista al Pentagono, pensa cosa posso aver provato io a vedere la sua immagine in mezzo alla gente.”

“Che idea ti sei fatto di lei? Che poteri ha?”

“È una telecineta. L’hai vista in azione. Inoltre pare che sia capace di anticipare gli esiti delle decisioni che prendiamo.”

“Vede il futuro?”

“No. Stando a quello che dice può solo vedere le conseguenze di ogni gesto con un certo anticipo. Vedere il futuro era il dono di Lena. Lei però ha un’altra facoltà. Può connettersi alla mente di un individuo e scaricarne i ricordi.”

“Può leggere il pensiero?”

“Non è quello che mi ha detto. Deve toccare fisicamente la testa dell’individuo di cui vuole scaricare la memoria.”

“Non so abituarmi a questa versione di te che non sa le cose. Ti preferivo quando ci bloccavi a tuo piacimento e sapevi sempre cosa stavo per dire.”

“Hai sempre detto che lo odiavi.”

“Eri tu. Come avrei potuto odiarlo? E adoravo dire che lo odiavo.” Charles sorrise appena.

“C’è un’altra cosa che devi sapere su Tessa.”

“State insieme?” La domanda uscì dalle labbra del signore dei metalli come fosse la più scontata al mondo. Charles allargò le labbra con un’espressione stranita.

“No. No!” Si affrettò a dire. “Non cominciare.”

“Volevo esserne sicuro.”

“Perché?”

“Per evitare altri errori.”

“Non mi chiama neppure per nome.”

“Invece ti chiama esattamente per nome, professore. E adesso dimmi cosa devo sapere.” Charles tirò un sospiro e parlò con calma.

“Era a Cuba. È stata lei a convincere Lena a fermare il condizionamento su di te e a lasciarti uccidere Shaw. Ha previsto l’esito delle scelte di Lena e l’ha dissuasa dal salvare suo padre.”

“Quindi le devo un favore. O forse è lei a dovermi un favore. È per questo che mi ha liberato?” Charles scosse il capo.

“È successa un’altra cosa sulla spiaggia.”

“Non costringermi ad elemosinare. Parla.”

“Una volta morto Shaw, il futuro è cambiato e Lena lo ha visto.” Disse abbassando lo sguardo sulle sue mani che si torturavano a vicenda.

“Ti ha visto morire e ha preso il tuo posto. Non è così?” Le parole uscirono lentamente dalle labbra del tedesco. Senza alcuna inflessione.

“Non so darmi pace.”

“Non te ne sei mai data.” Sorseggiò il liquore e riprese. “Le avevo fatto una promessa.” Charles sollevò gli occhi, curioso.

“L’hai mantenuta?” Erik scosse la testa.

“No, ma credo di essere ancora in tempo.”

“Buon per te. Anche io le avevo fatto una promessa ma non l’ho affatto mantenuta.”

“Cosa le avevi promesso?” Charles esitò.

“Che non avrebbe più avuto brutti sogni.” Erik guardò fuori dal finestrino. Le nuvole sembravano un tappeto soffice su cui distendersi. “E tu?”

“Che ti avrei fatto da scudo.” Charles strinse un po’ più forte il bicchiere che aveva tra le mani. Erik preferì cambiare argomento. “Se non mi avete liberato per affetto, perché lo avete fatto?”

“La visione di Lena. Ha visto il futuro mutato dopo la morte di Shaw. Un uomo di nome Stryker faceva esperimenti sui mutanti e contribuiva alla creazione di un progetto chiamato ‘Sentinella’. Tessa ha visto gli esiti delle scelte di Stryker e di un uomo chiamato Trask. Ha visto la fine della razza mutante. Ha visto una guerra orribile con milioni di vittime da entrambe le parti in battaglia. E tutto comincia con Raven.”

“Raven?” Chiese Erik, sorpreso. Charles annuì.

“Quand’è stata l’ultima volta che l’hai vista?”

“Due giorni prima di Dallas.”

“E com’era?”

“Bellissima, fiera, determinata.”

“Come stava, Erik?” L’uomo sospirò.

“Turbata. Non condivideva i miei metodi. Era ancora la tua Raven ma voleva lottare per i suoi fratelli e sorelle.”

“Lo so.”

“Come potrebbe, Raven, dare il via ad una guerra?”

“Tessa mi ha detto che le sentinelle, in futuro, si adatteranno ad ogni mutazione usandola contro di noi. Questa programmazione verrà studiata con i geni di Raven.”

“Quindi la cattureranno? Quando? Dove?”

“Non lo sappiamo ancora.” Erik posò il bicchiere sul piccolo tavolino e sospirò.

“Ti fidi di lei?”

“La mia mente è ancora troppo instabile per sondare la sua. Potrei farle del male. Per quel poco che ho visto, è sincera.”

“Vedremo.”

“Erik, non fare nulla per cui potrei pentirmi di averti fatto uscire dalla tua splendida prigione di plastica.” 

“Se mai un giorno vorrai rinchiudermi di nuovo, entra nella mia testa e uccidimi subito.”

Charles non replicò e il silenzio cadde all’interno dell’aereo.

 

Tessa chiuse la porta del suo appartamento e accese la luce. 

Memore di quello che le era accaduto l’ultima volta che era rincasata, guardò subito nel salotto. 

Era vuoto.

Raggiunse la finestra e l’aprì. L’aria della sera entrò rinfrescandole la pelle. Il sole stava tramontando. La giornata era stata incredibile. Era entrata nel Pentagono e aveva fatto evadere uno degli uomini più pericolosi del pianeta. Il suo pensiero andò ad Erik Lehnsherr. 

Quando aveva visto Charles la prima volta sotto allo sguardo severo di Lincoln, aveva sentito subito un’empatia con quell’uomo dai tratti dolci e dallo sguardo limpido.

Di contro, la sensazione provata incontrando Erik era stata di distacco. Il volto dell’uomo che aveva ucciso suo padre e, involontariamente, sua sorella era freddo e indecifrabile. Qualcosa, nella sua espressione, gli aveva ricordato Shaw. 

Si accarezzò le braccia per soffocare sul nascere un brivido di freddo e si sedette sul davanzale.

Stava per accendersi una sigaretta quando bussarono alla porta. Non si chiese chi potesse essere.

Era certa di sapere chi fosse. Si alzò e andò ad aprire.

“Tessa! Tesoro, posso entrare?”

“Accomodati.” Fece lei spostandosi di lato per lasciarlo entrare. L’uomo con un impermeabile beige su un completo scuro e un cappello a cilindro color cammello, attraversò ad ampie falcate la stanza fino al divano e si sfilò cappotto e cappello poggiandoli con cura sul bracciolo.

Si sedette accavallando le gambe e la esortò a seguirlo.

“Vuoi qualcosa da bere?”

“Sarei un cafone a rifiutare. Servimi pure.” Disse sottolineando il verbo adoperato. Tessa sollevò gli occhi al cielo e raggiunse il mobile della cucina. Prese due bicchieri e una bottiglia di scotch e li poggiò sul tavolino davanti all’uomo.

“Serviti pure.” L’uomo sorrise sornione e riempì un bicchiere porgendoglielo.

“Tessa, Tessa, tu mi provochi ed io, invece che arrabbiarmi, pendo dalle tue labbra.” La donna prese il bicchiere, attese che l’uomo versasse il liquore nel suo e brindò alla sua salute. “Ora dimmi, amor mio, hai avuto ciò che volevi? Un usignolo mi ha detto che non avrò ciò che desidero fino a che tu non sarai soddisfatta.” Solo allora Tessa si accomodò sulla poltrona di fronte e guardò l’uomo di fronte a sé. 

Si potevano dire molte cose di Donald Pierce tranne che fosse di brutto aspetto. Folti capelli biondi circondavano un paio di occhi verdi e un viso dai tratti decisi. Lo sguardo, sottile e attento, suggeriva astuzia. Non era una persona da sottovalutare. 

“Abbiamo fatto un patto. Tu metti a disposizione le risorse dell’Hellfire per aiutarmi a trovare  Mystica. Io impedisco al futuro che ha visto Saltire di avverarsi e, solo dopo, ti consegno Magneto.” Lo disse accavallando le gambe, con malizia.

“L’unico problema di questo patto, mia cara, è che tu incassi tutto subito. Io devo fidarmi. Non perché dubiti della tua fedeltà, ma gradirei un anticipo.”

“E cosa dovrei fare?”

“Un gesto di buona volontà.”

“Che consisterebbe in cosa, esattamente?”

“Quando la CIA ha chiuso la sezione G in cui lavorava Hank McCoy, il dottore aveva progettato una macchina chiamata Cerebro. Dicono che c’è l’abbia ancora il professor Xavier.” L’uomo sorseggiò il suo liquore e le sorrise.

“A che ti servirebbe? Tu non sei un telepate.”

“Io no, ma Payge potrebbe usarla.”

“Credevo che ti interessasse il potere di Magneto.”

“Se devo essere un re tanto potente, avrò bisogno di una potentissima regina. Non credi?”

“Non ho un’opinione su questo in realtà. Comunque non è nei patti. Ho valutato ogni opzione dell’impatto del nostro accordo sul futuro di entrambi. Non intendo alterarlo consegnandoti Cerebro.” Tessa parlò schiettamente. “Se non ti fidi di me, è affar tuo. Avresti dovuto pensarci prima.” L’uomo rise. Poggiò il bicchiere sul piccolo tavolo che li divideva, si alzò e infilò cappello e cappotto.

“Ero certo che mi avresti risposto così. Ti consiglio di non tirare troppo la corda.” Disse allungandole un biglietto. Era identico a quello che Charles le aveva dato la sera che l’aveva accompagnata al taxi. L’indirizzo della villa faceva bella mostra di sé sul cartoncino spiegazzato. “O il tuo caro professore finirà con il cervello attraversato da una moneta. E stavolta sarà sangue e materia grigia sul bel tappeto persiano del suo studio.”  Pierce le accarezzò una guancia e rimase fermo accanto a lei. 

“Avrai Magneto quando troverò Raven. È una promessa. Lascia in pace il professore però, o il futuro in cui tu sei il Re Nero dell’Hellfire, si sgretolerà sotto al peso della tua ingordigia.”

“Così sia.” Disse Pierce lasciando l’appartamento.

 

La villa era in condizioni pietose e, la mattina seguente, Erik si rese conto che ricalcavano esattamente quelle del proprietario.

Charles si era alzato in tarda mattinata ed era sceso nella sala da pranzo con la vestaglia da camera e la faccia di uno che non aveva dormito.

Vide Hank che gli versava del tea porgendogli il giornale come se fosse del tutto normale che Charles non fosse già lavato e vestito perfettamente a quell’ora.

Si avvicinò al tavolo e prese del caffè.

“Buongiorno, nottata difficile?” Charles non rispose. Si massaggiava le tempie. Affondò un biscotto nel tea, lo addentò e prese il giornale. “Non intendi parlarmi?” Chiese Erik.

“Per l’amor del cielo, parla a voce più bassa.” Rispose Charles. “Non c’è nessuno in questa casa a perte me ed Hank e siamo entrambi in questa stanza. Non c’è bisogno di urlare.” Erik bevve il suo caffè e posò la tazza.

“Intendi affrontare il problema di Raven o dobbiamo aspettare il tea delle cinque? Magari per quell’ora sarai presentabile e di umore più bendisposto.” Alle sue spalle sentì Hank digrignare i denti. Charles lasciò il giornale e si alzò allargando le braccia.

“Mi dispiace che il mio umore non sia di tuo gradimento ma su una cosa hai ragione: in genere alle cinque sono talmente ubriaco da essere molto più amorevole. Fino a quell’ora ti conviene non rivolgermi affatto la parola.”

“Che fine ha fatto l’uomo che mi ha detto che aveva bevuto abbastanza per i prossimi dieci anni? O devo pensare che quando Tessa non c’è, il professore sparisce per lasciare il posto a questa specie di barbone?” Annotò Erik indicando il modo in cui era vestito. “Hai persino lasciato cadere in rovina la casa! E’ in un posto come questo che vuoi che Raven ritorni?” Charles ridusse la distanza tra loro ed Erik si accorse delle occhiaie bluastre sotto gli occhi arrossati di Charles. L’uomo premette l’indice sinistro sulla tempia e quasi sussurrò.

“E’ questa la mia casa. E fa schifo. Non ha più porte, né finestre. Ogni cosa è in rovina. In quanto a Raven, lei non tornerà. E Tessa, Tessa non è Lena. Io amavo Lena.” Charles si rese conto che era la prima volta che lo diceva ad alta voce ad Erik e una lacrima sfuggì ai suoi occhi stanchi. “Lena di certo non tornerà, quindi non c’è bisogno di mettere a posto la casa.” Incapace di sostenere ulteriormente lo sguardo di Erik, Charles si voltò e raggiunse il frigo bar. Prese una bottiglia di brandy e lasciò la stanza.

“Complimenti.” La voce di Hank ricordò ad Erik che quella conversazione non era stata privata. 

“Non ti intromettere, Bestia.” Si voltò immaginando l’uomo più giovane che gli saltava addosso come aveva sempre fatto in passato quando lui lo provocava chiamandolo col nome di battaglia che Alex gli aveva affibbiato. Invece Hank era rimasto immobile a fissarlo.

“Tu non sai quanta fatica fa solo per alzarsi al mattino dopo che le voci lo tormentano tutta la notte. Non può dormire, non può riposare, non può fuggire. Può solo gridare e impazzire e tutto perché tu dovevi avere la tua vendetta. Avrebbe dovuto lasciare andare la mente di Shaw. Forse lui ti avrebbe fatto a pezzi come tu hai fatto a pezzi il suo cervello e, indirettamente, quello di Charles. Ha perso la donna che amava, tu l’hai tradito, Raven l’ha abbandonato e lui non ha smesso di credere di avere ancora qualcosa da dare. Poi ha perso i ragazzi. Quello è stato troppo. E tu hai il coraggio di fare ancora le tue solite battute del cazzo? Quello patetico sei tu.” Concluse Hank.

“Forse. Di sicuro però, non starò con le mani in mano mentre si autodistrugge.” Stavolta Hank mutò forma e lui si ritrovò con le fauci di Bestia ad un centimetro dal suo viso.

“Ho provato a curarlo.”

“Lo hai drogato perché smettesse di sentire le voci.”

“L’ho curato perché non impazzisse, perché avesse anche una sola notte di sonno senza incubi.”

“L’hai mutilato!” Stavolta fu Erik a gridare e tutti gli oggetti di metallo tremarono, persino le fondamenta della casa. Hank si ritrovò a non toccare il pavimento con i piedi. La rabbia di Erik era tale che li aveva sollevati entrambi di mezzo metro. Poi quella rabbia sparì come era comparsa ed Hank lasciò la presa e tornò in sé. Erik si sistemò il bavero della giacca. “La colpa di ciò è mia, ad ogni modo. Per cui sarò io a rimediare. Ti prego di non iniettargli mai più quel veleno nelle vene.”

“E cosa farai quando la sua mente si aprirà al punto da sentire le voci di chiunque nel raggio di dieci chilometri?”

“Metterò uno scudo intorno a lui fino a che non sarà in grado di crearsene un altro da solo.” Concluse Erik uscendo dalla stanza.

 

Tessa arrivò a villa Xavier nel primo pomeriggio.

Non aveva mangiato nulla dopo che Payge le aveva telefonato per darle le ultime notizie. Stando a quanto le aveva detto, Pierce era tornato alla residenza del circolo e si era chiuso nelle sue stanze senza proferire parola.

Solo quando la donna gli aveva chiesto lumi su come fosse andato il suo incontro con lei, l’uomo si era acceso un sigaro e aveva detto solo un frase.

‘Aiutatela a trovare la mutante chiamata Mistyca.’

Così Payge aveva contattato un mutante noto nella loro cerchia per essere sempre aggiornato su tutto. Calibano, così si chiamava, le aveva riferito che Mistyca si era procurata un passaporto vietnamita intestato ad una certa Valentine Brooks.

A nome di questa Valentine erano stati emessi due biglietti aerei, uno per Hanoi e uno per Parigi a distanza di due giorni uno dall’altro. 

Tessa non ci aveva messo moto a dedurre le intenzioni di Raven. Tuttavia non poteva intercettarla da sola. Doveva parlare con Charles.

Quando stava per bussare alla porta, una voce la raggiunse alle spalle.

“Vai e vieni come fosse casa tua?” Tessa non ebbe bisogno di voltarsi. Riconobbe la voce di Erik.

“Sono la benvenuta.” Solo allora si girò a guardarlo. Era in piedi con le braccia rilassate lungo i fianchi. Solo gli occhi detonavano una certa tensione.

“Questo non significa che tu non possa essere pericolosa.”

“Parli per esperienza personale?” Chiese lei incrociando le braccia.

“Vieni con me. Dobbiamo parlare.” Fece lui voltandosi e prendendo la via per il lago. Tessa avrebbe voluto ignorarlo ma sapeva bene che ignorare Erik Lehnsherr era impossibile. Lo raggiunse quando lui rallentò il passo.

“Tu possiedi i ricordi di Lena.” Non era una domanda ma Tessa annuì ugualmente. Qual è l’ultimo ricordo che ha avuto di me?” La donna guardò il suo profilo indecisa se fosse meglio rispondergli o meno. Lui si voltò a guardarla. “Puoi parlare liberamente. Anche se fosse un ricordo orribile.” Tessa decise di dire la verità.

“Non è affatto un ricordo orribile. Sono solo stupita dal fatto che tu me lo chieda. L’ultimo ricordo che Lena ha conservato di te, riguarda una moneta, la luna e il tetto di una vecchia macchina.” Erik allargò le labbra in un sorriso amaro.

“Quella notte voleva baciare Charles, in realtà.”

“Non è quello che ricordo io.”

“I suoi ricordi non sono le sue emozioni.” Di fronte a quelle parole, Tessa provò, per la prima volta, simpatia per quell’uomo.

“Ne aveva talmente tante che, al confronto, penso di non averne nessuna.” Stavolta toccò ad Erik sentire qualcosa di diverso dalla diffidenza per la piccola donna accanto a sé.

“Ognuno di noi ha le sue emozioni.”

“L’amavi molto?”

“Meno di quanto meritasse. L’ho uccisa.” Disse in modo schietto. “Ma tu questo lo sai.”

“È stato un incidente.” Le parole di Tessa furono in grado di attraversare la corazza di Magneto.

“È quello che pensi davvero?” La donna sorrise.

“Tu non puoi leggermi la mente e, se ti toccassi, non percepiresti le mie emozioni, quindi devi fidarti di me.” Erik accennò appena un sorriso.

“Toccare Lena è sempre stato complicato. Magari con te andrà meglio.”

“Non ti conviene provare. E anche stavolta dovrai fidarti della mia parola. È di questo che volevi parlarmi?” Erik scosse il capo.

“Il futuro è davvero così brutto?”

“Lo è.”

“C’è qualcosa che sai e che non hai detto a Charles?” La domanda arrivò a bruciapelo ed era l’unica, in quella conversazione, che lei non aveva previsto. Pensò che la stima e l’affetto che sua sorella aveva provato per lui non erano immotivate. In realtà aveva detto a Charles molto più di quanto avesse deciso di rivelargli quando aveva concepito il suo piano. Gli aveva parlato dell’Hellfire senza che in realtà ce ne fosse alcun bisogno. Erik interpretò il suo silenzio come una conferma ai suoi dubbi. “Se c’è qualcosa che non hai detto a Charles e che può metterlo in pericolo, sei pregata di dirlo a me. Probabilmente ti sarai accorta che non è al meglio. A Cuba ho perso una delle due persone più importanti della mia vita. Non voglio perdere l’altra in questa storia.”

“Mi fa piacere sentirlo. Per questo sarò sincera. Nel futuro che ha visto Lena, tu muori per dargli qualche minuto in più.” Erik rise.

“Futuro di merda. E tu? Che fine fai tu?”

“Lena non mi ha vista ma io morirò molto prima.”

“Perché parli così?”

“Perché in un futuro dove Trask porta a termine il progetto Sentinella, la mia mutazione é di interesse governativo. Verrò ricercata, schedata e esaminata tra le prime. Mi rinchiuderanno e mi useranno per affinare il progetto. Credo che potrei essere proprio io a migliorare l’algoritmo che porterà il progetto a colpire non solo i mutanti ma anche coloro che potrebbero dare alla luce soggetti mutanti.”

“Quindi c’è in gioco la tua vita.”

“C’è in gioco la vita di tutti. Non abbiamo scelta che cambiare il futuro. E su una cosa hai ragione. Ci serve il professore al massimo delle sue potenzialità per farlo.”

“Lo avrai. Ho bisogno solo di un po’ di tempo.”

“Temo che non ne abbiamo, Erik.”

“Cattive notizie?”

“Le peggiori. Raven si sta muovendo.” Erik la fronteggiò e la guardò negli occhi.

“Non abbasserò la guardia solo perché somigli a Lena.”

“Non ti ho chiesto di farlo.”

“Allora cosa vuoi da me? Perché mi hai liberato?”

“Perché a Charles serve aiuto.” Erik non smise di fissarla mentre gli dava le spalle e andava verso la villa.

 

Charles guardava il soffitto. Bevendo aveva perso l’equilibrio ed era rovinato a terra. Non si era più rialzato. L’alcol aveva il potere di confondere le voci nella sua testa al punto che lui non le distingueva più. Facevano male ma, non capirle, era meno doloroso che sentirle una ad una nelle loro incessanti invocazioni.

Come ogni volta, si chiese se poteva cadere più in basso di così.

Sollevò la bottiglia e la trovò vuota. La lasciò rotolare lungo il fianco. Il senso di frustrazione che ne derivò lo costrinse a stringere i denti. Si lasciò andare in un gridò di rabbia e non senti la serratura della porta scattare. Si accorse dell’uomo solo quando la sua testa riempi il suo spazio visivo.

“Hai bisogno di una mano per rialzarti?”

“No, Erik, e se mai volessi saperlo, non puoi entrare nella mia stanza senza permesso.”

“Pensavo volessi sapere che Tessa è qui.”

“Credi che saperlo mi spingerà a tirarmi su da questo comodo tappeto?”

“Se è così comodo, non vorresti condividerlo?” Chiese Erik sedendosi accanto alla testa dell’amico.

“E’ il mio tappeto e non vorrei. Potrei solo se mi avvicinassi un’altra bottiglia.”

“Ho di meglio da offrire.” Disse l’uomo muovendo una mano davanti al viso di Charles. 

Il telepate era sempre stato affascinato dalle mani grandi di Erik, dal modo in cui tendeva quelle dita affusolate e costringeva ogni cosa a seguirle. In quell’occasione però, qualcos’altro lo stupì. 

Le voci erano scomparse. Esattamente come quando riusciva a controllarle. 

“Cos’hai fatto?” Chiese guardandolo dritto negli occhi.

“Uno scudo. E’ stata Lena a farmici pensare. Lei riusciva a trasformare il suo campo emozionale in uno scudo. Ho pensato di poter fare lo stesso con il campo gravitazionale che ho imparato ad usare mentre ero prigioniero al pentagono.”

“E non ti danneggia usarlo?” Chiese l’uomo sdraiato a terra con lo sguardo ora carico di apprensione. Erik scosse la testa sorridendo.

“Charles, Charles. Come posso fare con te? Possibile che non riesci mai ad anteporre le tue esigenze a quelle degli altri? No, non mi danneggia. Dovrai avermi in giro. Questo non t’infastidirà?” Charles si sollevò sui gomiti.

“No. Per una cosa come questa, non ti basterà prenderti il mio tappeto.”

“Vero. Voglio qualcos’altro.”

“Cosa?” Chiese Charles indurendo l’espressione del viso.

“Voglio che la fai finita col siero di Hank e con tutta questa merda.” Charles abbassò lo sguardo e si toccò l’interno del gomito sinistro.

“Io posso provare.”

“Mi basta.” 

“Quindi ora come funziona? Non possiamo più separarci?” Erik rise.

“Avanti, professore! Puoi tenerti la stanza. Posso coprire l’intera casa. Non ti costringerò a dormire con me!” Charles allargò le braccia e gli tirò un cuscino che aveva sotto ai piedi.

“Non fai ridere. Piuttosto, portami un’aspirina. Ho mal di testa.”

“Sono il tuo scudo, non la tua badante. Fattela portare dalla Bestiolina.”

“Hank è mio amico.”

“Rivedi il tuo concetto di amicizia. E mi riferisco anche alla biondina là fuori.” Charles, seppure a fatica, si rimise in piedi.

“Tessa non è esattamente un’amica.”

“Allora stai in guardia.”

“Lo farò. Vado a rendermi un po’ più presentabile.” Concluse raggiungendo la porta del bagno. Erik chiuse la porta della camera e scese in salone.

 

Tessa era seduta in salotto a chiacchierare con Hank quando Erik e Charles entrarono nella stanza. Non fu sorpresa di vederli insieme. Provava sollievo a vederli così. L’idea che fosse riuscita a riavvicinarli la faceva sorridere. Forse avrebbe fatto sorridere anche Lena.

A guardarli, fianco a fianco, non c’era da stupirsi che sua sorella non fosse stata in grado di scegliere fino alla fine. Se guardavi gli occhi blu di Charles, potevi perderti in un oceano sconfinato. 

Se invece guardavi il metallo fuso negli occhi di Erik, venivi soggiogata da una tempesta. 

Tessa tornò con lo sguardo ad Hank che li aveva invitati a sedersi con loro.

“Hai notizie di Raven?” Chiese il professore. Tessa si accorse subito che la sua espressione non era tesa come tutte le altre volte che lo aveva incontrato. Annuì.

“Purtroppo non sono buone. Raven procede nel suo piano.”

“Come fai a dirlo?” Charles, seduto sul divano, si sporse un po’ in avanti.

“Ho avuto delle informazioni secondo le quali si è procurata un passaporto vietnamita e ha prenotato un volo per Hanoi e uno per Parigi.”

“Chi ti ha dato queste informazioni?” Chiese Erik.

“Tanner.” Rispose lei guardando Charles dritto negli occhi. Il telepate comprese subito, anche senza leggerle la mente, che Tessa aveva usato le sue conoscenze all’Hellfire ma non disse nulla. Non voleva che l’odio di Erik per Shaw e per qualunque cosa avesse a che fare con lui, mandasse ogni loro progetto a monte.

“Cosa sappiamo?” Charles la esortò a proseguire.

“Nulla di più, ma tanto è sufficiente per capire quali sono le sue intenzioni.”

“Sul serio?” La sfidò Erik. Tessa annuì.

“C’è solo una cosa che riunisce Hanoi, Parigi e Trask. Gli accordi di pace per il ritiro dell’esercito americano dal Vietnam. Raven è andata laggiù perché pensa di infiltrarsi con la delegazione vietnamita agli accordi di pace che si terranno fra due giorni a Parigi. Ritiene che sia più facile entrare con il gruppo diplomatico vietnamita che con quello americano. Non ha torto. Inoltre gli americani non sono stati invitati alla festa personale di Trask.”

“Come sarebbe a dire?” Hank aveva un’espressione veramente preoccupata.

“Trask ha provato a farsi finanziare il progetto Sentinella dal governo americano. Non ci è riuscito. Stryker è un mercenario. Fa affari con tutti. Proverà a vendere il progetto a chiunque voglia finanziarlo. In realtà a lui interessa solo che venga sviluppato. Lo proporrà a Parigi durante una riunione privata. Raven pensa che, arrivandogli abbastanza vicino, potrà avere la sua occasione di ucciderlo.” Charles sospirò.

“Lo hai calcolato nel dettaglio?” Erik passò con lo sguardo dall’amico a Tessa.

“Non potrei sbagliare nemmeno volendo. E non è tutto. Trask ha già perfezionato un dispositivo in grado di individuare i mutanti. Se Raven si avvicinasse a lui, la scoprirebbe.”

“E non potremmo più scongiurare il futuro che ha visto Lena.” Concluse Hank.

“Quindi dobbiamo andare anche noi a Parigi, trovare Raven prima che arrivi a Trask e fermarla.” Disse Charles.

“O magari fermarla dopo che è arrivata a Trask. Quel bastardo ha assassinato migliaia di noi.” Ipotizzò Erik.

“Erik!” La voce di Charles lo fece sorridere e il tedesco sollevò entrambe le mani in segno di resa.

“Certe cose non cambiano, vero professore?” Stavolta fu Tessa a sorridere.

“In realtà non tifo per Trask ma se muore durante i trattati di pace per mano di un mutante, non credo che il progetto Sentinella verrà fermato.” Charles si trovò d’accordo.

“Dobbiamo fermarla. Però Raven può assumere l’identità di chiunque.” Tessa si alzò.

“Non di chiunque. Di una persona in particolare. E’ andata ad Hanoi. Nella delegazione vietnamita ci sono molti generali che parteciperanno agli accordi ma solo uno può autorizzare il finanziamento di un progetto come quello di Trask. Il generale Hang Won Su. Lei avrà le sue fattezze.”

“E anche questo lo hai dedotto?” Chiese Erik che cominciava a trovare interessante il modo di ragionare della donna.

“Sì.”

“E dimmi,” le chiese il tedesco sporgendosi verso di lei, “sai anche come la fermeremo?” Tessa rise.

“Se veste i panni di un uomo, sarà più propensa a farsi avvicinare da una donna. Lei però ci conosce tutti. Avremo bisogno di una mano anche stavolta.”

“Tanner?” Ipotizzò Charles.

“No.”

“Lasciami indovinare,” disse Erik appoggiandosi di nuovo allo schienale del divano, “si tratta di una tua amica mutante di cui dovremmo fidarci.” Charles guardò Erik in malo modo. Tessa scosse le spalle.

“Indovinato. Anche se non è una mutante. E’ la segretaria personale di Trask.”

“Come conosci la segretaria personale di Trask?” Chiese Erik alzandosi e fronteggiandola.

“L’ho incontrata cinque anni fa. Tecnicamente allora non lavorava per Trask. Ha accettato questo lavoro per aiutarmi nella mia missione. E’ mia amica.”

“Ma guarda un po’!” Esclamò Erik. Tessa mise entrambe le mani sui fianchi.

“Sono stanca del tuo sarcasmo, Lehnsherr. Se vuoi credermi, fallo. Altrimenti, ognuno per la sua strada.” Erik mantenne lo sguardo su di lei ancora per un attimo poi, si voltò a guardare Charles. Il più giovane infilò le mani in tasca.

“Ci stiamo avvicinando a Raven. Non possiamo fermarci ora. Troviamola ed evitiamo che finisca nelle mani di Trask. Hank, puoi raccogliere tutte le informazioni che puoi sull’evento di Parigi? Vedi di scoprire dove alloggerà il generale Hang Won Su.” Hank annuì e lasciò la stanza. “Tessa,” la voce di Charles era profonda e preoccupata, “hai un piano anche questa volta?” Erik rimaneva in piedi accanto alla donna.

“Sì ma non è perfetto come l’altro.”

“Intendi come quello con cui mi avete tirato fuori di prigione?” Chiese Erik.

“Esatto. Quello però era facile. Stavolta abbiamo un problema.” Charles non ebbe bisogno che continuasse.

“Raven. Tu stai pensando al fatto che Raven potrebbe fare resistenza.” Tessa annuì.

“Non può cadere in mano a Trask. Nessuno di noi può farlo.” Charles strinse i pugni.

“Stai suggerendo che dovremmo uccidere Raven se si rifiutasse di collaborare?”

“Sto solo dicendo che se qualcuno di noi, Raven compresa, dovesse finire in mano a Stryker o Trask, gli altri dovrebbero risolvere il problema e, credetemi se ve lo dico, sarebbe meglio morire che diventare una delle sue cavie.” Charles oppose resistenza.

“Non se ne parla. Abbiamo aggirato tutta la sorveglianza del Pentagono. C’è sempre un modo.”

Erik fece su e giù un paio di volte per la stanza.

“Non ti agitare, Charles. Sta parlando per ipotesi e comunque, ci penserei io. E’ per questo che mi hai tirato fuori da lì, no?” Chiese Erik rivolgendosi a Tessa.

“Sei quello più dotato di senso pratico tra noi.” Asserì Tessa. Erik rise. Charles, invece, no.

“Nessuno uccide nessuno se non siamo tutti d’accordo che non ci sono altre soluzioni.” Erik gli mise una mano sulla spalla.

“Sei tu quello dotato di maggior senso morale, professore.” Tessa annuì.

“Abbiamo un piano. Dei dettagli mi occupo io. Va bene, professore?” Charles annuì sperando che, per una volta, tutto filasse liscio.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Parigi ***


Capitolo IV
Parigi

 

Parigi era bellissima. 

La città si era vestita da sera. Mille luci si riflettevano sulla Senna. 

Tessa camminava lungo il fiume stretta in un cappotto di panno. Si era alzato un po’ di vento e lei se ne andava in giro senza meta.

Aveva lasciato i suoi compagni di viaggio in hotel e, con una scusa, si era diretta verso la Tour Eiffel. Quell’enorme complesso di metallo aveva il potere di farla sentire insignificante e la cosa, invece che turbarla, le dava conforto.

Suo padre le aveva sempre ripetuto quanto fosse speciale e quanto il suo potere fosse straordinario. Lei voleva sentirsi ordinaria, capace di sparire in mezzo a tanta gente comune. 

Camminò fino alle radici di ferro ben piantate nel suolo e guardò su. Quella sensazione di grandezza e immortalità che le trasmetteva era simile a quella proveniente dalla statua della libertà nel golfo di New York. A volte si chiedeva se quelle due signore di ferro si percepissero l’una con l’altra. Se la grandezza di una alimentasse la vanità dell’altra e facessero a gara a chi dovesse mostrarsi più maestosa.

Girò a vuoto per un po’ e si ritrovò davanti ad una bancarella di libri usati. Diede un’occhiata ad un vecchio volume de ‘Il conte di Montecristo’ ma lo posò senza dargli una seconda occasione. Prese invece una copia rilegata in pelle rossa di ‘Orgoglio e Pregiudizio’.

Si sedette ad un bistrot a bere un bicchiere di vino rosso e sfogliò le prime pagine del racconto. Adorava quel libro. Ne possedeva decine di edizioni diverse e le aveva lette tutte.

Quando arrivò alla prima descrizione del signor Darcy, sorrise, chiuse il libro e pagò il conto.

Decise di tornare all’albergo facendo lo stesso percorso al contrario. Quando raggiunse l’hotel le luci nella Senna si erano fatte più vivide. In una di quelle create dai grandi lampioni di vetro smerigliato, lo vide. Stava con i gomiti poggiati sul passamano di legno del ponte su cui si era fermato e guardava nell’acqua. Lei camminò fino a stargli accanto. La sua immagine comparve di fianco a quella di Charles e lui sorrise senza smettere di guardarne il riflesso.

“L’aria di Parigi ti fa bene, professore.”

“Vorrei che fosse così. Un tempo aveva su di me l’effetto che fa una coppa di champagne ad una bella donna che non sa reggere l’alcol.”

“Modesto.”

“Mai stato modesto. Tu, piuttosto, hai camminato a lungo. Ero in pensiero.” Tessa si stupì della semplicità con cui Charles confessava i propri sentimenti.

“Potevi venire a cercarmi. Sono certa che mi avresti trovata.” Charles si voltò a guardarla.

“Mi avrebbe fatto piacere ma, al momento, non sono autosufficiente.” Disse indicando Erik che leggeva un libro seduto al bar dell’albergo.

“In che modo dipendi da lui?”

“Usa il suo potere per isolare la mia mente.”

“Quindi funziona.”

“Sembrerebbe di sì.”

“E non puoi allontanarti da lui?”

“Fino ad una certa distanza, sì.” Gli occhi di Tessa furono attraversati da un leggero stupore. Poi sorrise mettendogli una mano sul braccio.

“Quanto distante puoi andare?”

“Io, francamente, non lo so.”

“Vieni con me.” Disse lei trascinandolo lungo la scala di pietra che scendeva dal viale al letto del fiume. “Dimmi se funziona.” Charles si fece trascinare ridendo fino a valle e dovette ammettere che non percepiva nulla. Anche a quella distanza, lo scudo di Erik funzionava perfettamente.

“Incredibile! E’ davvero potente come dicono.” Esclamò Tessa con un po’ di affanno nella voce per aver fatto le scale di corsa.

“Forse non se ne rende neppure conto!” Le rispose Charles ridendo a propria volta. “E comunque non ci siamo allenati abbastanza per correre cosi!”

“Già.” 

“E per giunta, dobbiamo risalire. Ne è valsa la pena, secondo te?” Tessa gli prese la mano e lo invitò a seguirla ancora.

“Non siamo mica scesi quaggiù solo per stimare il potere di Erik! Guarda.” Disse invitandolo a prestare attenzione ad un punto buio sotto al ponte.

Inizialmente Charles non se ne accorse. Poi, mentre avanzava nell’oscurità seguendo Tessa, le vide.

Decine e decine di lucciole che brillavano intorno a loro. Il professore non seppe spiegarselo ma rise e si commosse nello stesso tempo. Tessa, vicina a lui, gli asciugò una lacrima dal viso.

“E’ la bellezza, vero?” Chiese lei e Charles annuì. “La prima volta che ho capito che sarei stata libera un giorno, che la mia vita non era destinata a finire dentro una gabbia, c’erano le lucciole. Non vivono a lungo, sai? Mi chiedo se gli costi fatica fare luce a quel modo.” Charles avrebbe voluto rispondere che era una reazione chimica ma si guardò il palmo di una mano in cui uno degli insetti si era poggiato.

“Lo fanno per amore,” disse piano, “si chiamano nel buio per trovarsi. Lo fanno per amore.” Tessa si guardò intorno e le sembrò che davvero le lucciole danzassero due a due per amarsi e darsi conforto nell’oscurità.

“Allora non fanno fatica.” Concluse lei. Charles lasciò che la lucciola nel palmo della sua mano volasse via e andò a cercare quella di Tessa. La strinse forte nel buio.

“Forse no.” Charles sentì la voce di Erik nella sua testa e capì che dovevano tornare. Tuttavia qualcosa in lui era cambiato. Aveva ritrovato una luce flebile e incerta nell’oscurità.

Flebile, incerta, incapace di durare. Eppure luce.

 

Erik aveva finto di non vedere. 

Era rimasto a sorseggiare il suo bicchiere di Bordeaux e a leggere una copia de ‘Il buio oltre la siepe’. 

Aveva letto solo poche righe prima che l’idea di Charles e Tessa da soli a parlare di chissà che, gli impedisse di concentrarsi ulteriormente sul testo.

Si domandò se, quando aveva chiesto espressamente a Charles se stessero insieme, lui fosse stato sincero. Si rispose che non gli importava. Se Charles voleva avvicinare quella donna dalle sembianze di Lena a lui cosa importava? Non era Lena. Non lo era neppure lontanamente. 

Il modo in cui aveva esplicitamente dato ad intendere che era meglio liberarsi di Raven, o di chiunque di loro, piuttosto che vederla finire in mano al nemico, non era affatto tipico di Lena.

Eppure, per quanto si trovava a biasimarla, poteva ammettere almeno a se stesso che quell’atteggiamento era ammirabile. In perfetta sincronia con gli ideali che lui condivideva.

In quel caso non era la donna giusta per Charles, incapace persino di concepire una cosi spietata determinazione. Era suo compito farglielo capire? Chiuse il libro e bevve un sorso di vino.

No. Non era suo compito. Neppure lontanamente. Eppure lo chiamò nella sua mente. Come era solito fare quando era rinchiuso in una cella di plastica ed era disperato. 

Poco dopo lo vide tornare. Tessa era un passo dietro a lui.

Non riuscì a capire se si tenevano per mano oppure no. Lei lo sopravanzò e raggiunse il suo tavolo, si sedette e prese il suo bicchiere.

“E’ buono?”

“Assaggia.” Disse Erik continuando a guardare le pagine del suo libro. Voleva dissimulare  noncuranza ma quando lei si portò il bicchiere alle labbra, i suoi occhi non riuscirono ad impedirsi di osservare.

“Ottima scelta.” Asserì lei posando di nuovo il bicchiere vicino alla mano con cui lui teneva il libro.

Erik sollevò gli occhi e notò il libro rosso che aveva poggiato sul tavolino.

“Orgoglio e pregiudizio?”

“I difetti da cui cerco di salvarmi ogni giorno.”

“Essere orgogliosi non è necessariamente un difetto.” Precisò Erik. Charles prese una sedia e si accomodò mentre con una mano chiamava un cameriere.

“Lo è, se ti impedisce di accettare gli altri.” Disse Tessa tamburellando con le dita sulla copertina del libro.

“Solo i deboli vedono l’orgoglio come un difetto.” Precisò Erik finendo il vino nel bicchiere. Il cameriere arrivò a prendere la nuova ordinazione.

“Interessante teoria.” Disse Charles inserendosi nella conversazione. “Quindi se sei forte, sei autorizzato a comportarti come se avessi sempre ragione. Detto da chi è stato rinchiuso in un campo di concentramento è paradossale.”

“E da qui,” lo interruppe Erik, “i pregiudizi. Che, francamente, non mi aspetterei da un professore.”

“Ti prego,” lo punzecchiò Charles, “accusami di tutto tranne del fatto di non avere una mente aperta.” Tessa rise di gusto.

“Humor inglese. Mai capito.” Gli fece eco Erik mentre il cameriere posava sul tavolo altri tre calici di vino rosso. “L’orgoglio nasce dalla consapevolezza dei propri mezzi. Quando è giustificato, perché mai dovrebbe costituire un problema?”

“Dove finisce la consapevolezza ed inizia l’alterigia?” Chiese Charles sorseggiando il vino. Erik sorrise maliziosamente.

“Abbiamo già fatto questa conversazione. Conosci il mio punto di vista. Sentiamo quello di Tessa.” E mimò un brindisi alla direzione della donna. Tessa prese il suo calice e lo fece tintinnare con l’altro.

“Ritenere l’orgoglio un difetto è un pregiudizio. Avere pregiudizi è da orgogliosi. Questo direi se non avessi intenzione di essere sincera. Conosco gente priva di qualsiasi tipo di orgoglio. Ne ho compassione. Eppure di eccessivo orgoglio si può morire. A mio avviso il confine tra consapevolezza di se stessi e alterigia sta nella solitudine. Quando ti guardi intorno e ti ritrovi solo, allora c’è qualcosa di sbagliato.” Erik e Charles guardarono il proprio bicchiere sorridendo e poi si lanciarono uno sguardo che sembrava d’intesa.

“Ci ha messi nel sacco, professore.” Esclamò il tedesco.

“Pare di sì.” Gli fece eco Charles.

“Non era mia intenzione giudicare. Se la mia solitudine parlasse per me, direbbe che sono la più orgogliosa a questo tavolo.”

“Tu non sei sola.” La corresse Charles.

“O lo siamo tutti, ma ci piace pensare che non sia così.” Fece Erik.

“Oppure abbiamo unito le nostre solitudini per un po’.” Rispose Tessa.

“Mi piace di più,” annuì Charles “é un compromesso accettabile.”

Erik li guardò e, in particolar modo, guardò Charles. Era così tranquillo e sorridente perché non avvertiva più le voci? Lo era perché Tessa aveva sciolto il gelo nel suo cuore? Probabilmente perché aveva smesso di assumere farmaci e droghe. Quel pensiero gli fece venire in mente una domanda.

“Dov’è Hank?”

“E’ andato a prendere Lucy Abbot.” Rispose Charles.

“La segretaria di Trask?” Chiese Erik.

“La mia amica.” Precisò Tessa.

Non fecero in tempo a rientrare in albergo e a salire in camera di Charles che bussarono alla porta. Tessa andò ad aprire e salutò Hank e la nuova arrivata.

“Ragazzi, lei è Lucy. Lucy loro sono Charles ed Erik. Hank lo hai già conosciuto.” La ragazza, dai capelli castani e profondi occhi scuri, sorrise e salutò con un cenno del capo.

“Piacere di conoscerti, Lucy, sei la benvenuta.” Fece Charles invitandola a sedersi. Erik la squadrò dalla testa ai piedi.

“Così tu sei la segretaria personale di Trask.” 

“Sì.”

“Tu potresti farci avvicinare a Trask?”

“Sono qui per questo, no?”

“Sei qui, ma nessuno di noi ti conosce. Potresti essere una spia di Trask.” Disse Erik fingendo d’interessarsi al giornale.

“Lui è lo stronzo che controlla i metalli?” Chiese Lucy a Tessa. Erik parlò per primo.

“Esatto. Tu quale super potere hai?” La stuzzicò sapendo che non era una mutante. La ragazza incrociò le braccia.

“Io riconosco gli stronzi.” Charles scoppiò a ridere.

“E’ un potere fantastico, Lucy.” Erik tornò a guardare il giornale. “Come pensi di poterci aiutare, cara?” La ragazza si accomodò sul letto parlò guardando Tessa di tanto in tanto.

“Tessa mi ha detto che la persona che state cercando può assumere l’identità di chiunque. Lei pensa che al momento abbia le sembianze del generale Won Su.” Tirò fuori un foglio da una tasca. “Qui c’è l’elenco delle stanze assegnate agli ospiti del sign.Trask. E una piantina con la loro posizione.” Tessa proseguì al posto della sua amica.

“Hank andrà con Lucy. Quel dispositivo che ha messo a punto per il Pentagono, tornerà utile anche a questo giro. Lucy lo porterà più vicino possibile a Trask. Dovrebbe essere in grado di disturbare il dispositivo con cui lui individua i mutanti.”

“Questo agevolerà Raven.” Precisò Erik.

“Dobbiamo darle un vantaggio o finirà catturata. Impedirlo è il nostro obiettivo. Ora che stai meglio, professore, potresti usare le tue capacità per confermarci la sua identità e distrarla.”

“Posso farlo.” 

“Dovrai mostrarle il futuro che ci aspetta se lei non demorde. Erik penserà al resto.” Disse la donna raggiungendo la finestra e guardando fuori.

“Al resto?” Chiese Hank con una nota di forte preoccupazione nella voce. 

“La scorterò fuori dalla sede del convegno senza che nessuno ci ostacoli.” Precisò il diretto interessato.

“Pare che abbiamo un piano anche questa volta.” Concluse Tessa sciogliendo quella riunione improvvisata. 

Hank decise di accompagnare Lucy al palazzo dei congressi per mettere a punto il suo apparecchio. Quest’ultima, salutando Tessa, le prese le mani e le parlò con franchezza.

“Se dici che il piano funzionerà, ci credo ciecamente. Non ti ho sentita enunciare tutte le alternative però.”

“Ho fiducia nei loro mezzi.” Lucy spalancò la bocca per lo stupore.

“E’ la prima volta che ti sento parlare di fiducia.”

“Mi sono sempre fidata anche di te, no?”

“Non dopo avermi conosciuta. Quanti anni sono passati, cinque, prima che mi dicessi come la pensavi veramente?”

“Non ti ho mai detto come la penso veramente!”

“Tessa!”

“Lucy, so quel che faccio. Va meglio così?”

“Va meglio.”

La ragazza l’abbracciò e andò dietro ad Hank. Tessa fece per lasciare anche lei la stanza di Charles quando questi la richiamò.

“Solo una parola.” Disse facendole cenno di chiudere la porta.

“Dimmi.”

“Ho la sensazione,” disse muovendo due dita accanto alla tempia destra e calcando sull’ultima parola “che tu non mi abbia detto tutto.” Tessa incrociò le braccia.

“Professore, hai dei pregiudizi su di me?” Lui le si parò di fronte e infilò entrambe le mani in tasca.

“No. Solo preoccupazioni. E sono certo che anche Erik le condivide.” La voce dell’altro li raggiunse immediatamente.

“Neppure lontanamente!”

“E va bene. Non posso calcolare le percentuali di successo del piano.” Confessò Tessa.

“Come mai?” Chiese Charles e anche Erik si alzò e li raggiunse. La mutante sospirò.

“Gli eventi di domani saranno condizionati dalle nostre azioni. Posso prevedere logicamente quelle di Raven perché conosco i suoi obiettivi.”

“Conosci anche i nostri.” Tessa reclinò appena la testa di lato con espressione perplessa.

“No. Non li conosce.” Fu Erik a rispondere e Charles gli lanciò un’occhiataccia.

“Cos’è che Tessa dovrebbe sapere?” Chiese il professore.

“Sa già troppo per i miei gusti.” Lo fulminò l’altro.

“Appunto.” Sentenziò la donna.

“Posso aiutarti io.” La calmò Charles. “Scarica la mia memoria e avrai dati sufficienti per stimare non solo le mie ma anche le reazioni di Erik.” A quelle parole Tessa fece un passo indietro e si strinse una mano nell’altra, nervosamente.

“Non posso,” fece scuotendo la testa “non posso farlo.”

“Non ho paura, credimi.” Tessa alzò la voce.

“Dovresti. Non chiedermelo più.”

“Ti rendi conto che avere il vantaggio di sapere cosa fare domani potrebbe essere l’unica chance di cambiare il futuro?” Le chiese l’uomo coprendo con un solo passo lo spazio fra loro e costringendola a rispondergli.

“E tu ti rendi conto che il mio tocco non è affatto gentile come quello di Lena e che la tua mente è troppo potente per me? Inoltre, ora come ora, sei vulnerabile.”

“Non curarti di questo. Posso sopportarlo e, se proprio vuoi saperlo, il tocco di Lena non è stato per niente gentile all’inizio.”

“Smettetela! Smettete di comportarvi in questo modo ridicolo.” La voce di Erik era fin troppo determinata. Afferrò un braccio di Charles e lo tirò indietro. “Questa cosa non riguarda te. Riguarda me. Sono le mie azioni che non può prevedere. E’ la mia memoria che deve scaricare. Avanti, fallo e facciamola finita.” Tessa fu intimorita da quella forza di volontà. 

“Credi che farei più volentieri del male a te?” Erik allargò le labbra sottili in un sorriso malizioso.

“Credo di sì.” Accennò ma la reazione di Tessa non fu quella che si aspettava. La donna si girò e la porta della camera si aprì e poi si richiuse, sbattendo, quando lei l’ebbe attraversata. Erik allargò le braccia. “Ho detto la verità!” Si giustificò.

“Perché la provochi sempre? Ti sembra il modo migliore di creare un contatto con lei?”

“Non è quella la mia intenzione.”

“Mi sembra proprio quella, la tua intenzione.”

“Charles, avanti!”

“Puoi fingere con tutti che non ti importi quanto somiglia a Lena ma non puoi ingannare me. So quanto l’amavi e so quanto ti è costato perderla. Non puoi essere indifferente al fatto che una donna con i suoi occhi, il suo sorriso, il suo profumo, ti stia accanto dopo tanto tempo.” Erik strinse un pugno.

“Vuoi fare il professore con me? Quello che hai appena detto vale anche per te.”

“Io voglio solo cambiare il futuro.”

“Non fare l’ipocrita.” Charles si difese con veemenza.

“Non lo sono!”

“Allora dove sei andato poco fa da solo con lei?” Il più giovane distolse per un attimo lo sguardo poi  riprese coraggio e rispose.

“Non mi sono mai intromesso. Non ho mai cercato di allontanare Lena da te. Ho cercato di proteggere i tuoi sentimenti quanto i suoi. Ora non hai alcun diritto di parlarmi in questo modo. E non puoi proprio perché Tessa non è Lena. Non so quale dolore si porta dentro ma è grande quanto il tuo e quanto il mio. Ho di nuovo uno scopo. C’è qualcosa di sbagliato in questo?” Erik distese la mano e la richiuse un paio di volte ritrovando il controllo.

“No. Abbiamo tutti bisogno di uno scopo.”

“Bene,” disse Charles, “allora chiedile scusa e risolvi questa faccenda. Valutare le conseguenze è la sua capacità non la nostra. Lasciamo che sia lei a scegliere cosa è meglio fare. Non forziamola.”

“Disse la buona fata madrina.” Lo canzonò Erik. “Vado a cospargermi il capo di cenere. Tu va’ a dormire. Domani ti voglio in forma.”

“Non fare danni.” 

La voce di Charles lo raggiunse che era già nel corridoio.

 

Tessa espirò e il fumo della sigaretta si alzò verso il cielo trapuntato di stelle. Il terrazzo dell’albergo era più trasandato del resto della struttura, il tipico posto in cui non andava nessuno. La donna fece un paio di passi avanti ed indietro prima di sentire la porta delle scale aprirsi e chiudersi.

Erik uscì dall’ombra avanzando piano. La luce della luna illuminò la sua fronte alta e corrugata.

“Me ne offri una?” Chiese indicando la sigaretta tra le dita di Tessa. La donna gli allungò il pacchetto. Lui accese una sigaretta e posò pacchetto e accendino sul bordo di cemento che li separava dal vuoto. “Non volevo offenderti e, sinceramente, non penso che tu sia il genere di persona che trae soddisfazione dall’altrui sofferenza.” Tessa fece un altro tiro e rispose.

“Non lo so. Quando mio padre è morto non ne sono stata sconvolta. Questo fa di me una persona cattiva? Forse.” Disse scuotendo le spalle.

“Non sono la persona adatta ad esprimere giudizi morali. La mia offerta resta valida anche se Charles ritiene che tu debba scegliere per conto tuo.”

“Fa davvero male. Non stavo esagerando.”

“Neanche io. Sono in grado di sopportarlo.”

“Non voglio.” Disse lei portando la sigaretta alle labbra e guardandolo di sbieco. Erik sorrise.

“Bastava dirlo subito. Io rispetto oltre ogni cosa il libero arbitrio.” Alzò le mani lasciando la sigaretta in bilico tra le labbra. Tessa lo trovò bello. I muscoli delle braccia e del petto si distinguevano nitidamente sotto la maglia mentre le vene del collo sparivano sotto al mento deciso. Gli occhi sottili sembravano più scuri del solito e quel colore gli dava un’aria meno gelida. Tessa gli sorrise. Gli fece un vero sorriso.

“Humor inglese?” Chiese mentre lui recuperava la sigaretta.

“Tedesco. In genere non sono il tipo che fa ridere la gente. Qualcuno apprezza il mio fascino però.”

“Oh, ne sono certa.”

“Non fare la maliziosa.”

“Non lo faccio. Lena ti trovava molto attraente.” Erik camminò fino al cornicione e vi salì. L’aria fresca della notte lo colpì in pieno petto.

“Lei era molto attraente. Tu lo sei. Ho detto a Charles che mi sei indifferente ma la verità è che ti detesto.” Tessa guardò la sua figura stagliata contro il cielo nero di Parigi.

“Perché le somiglio?”

“Perché so che non sei lei ma il mio corpo si rifiuta di accettarlo. Ho amato Lena più di chiunque altro al mondo. E nonostante questo, l’ho rimpiazzata. Con Emma prima e con Raven poi. Non me ne vergogno. Era sempre lei che avrei voluto ma ero troppo debole per accettare il vuoto che aveva lasciato. E lo sono anche adesso. Forse se mi facessi del male, potrei odiarti di più.”

“Non sono Lena e credo che mi odi già abbastanza.” Erik si voltò e le tese una mano come ad invitarla a salire sul cornicione con lui. Lei scosse la testa in segno di rifiuto.

“La tua diffidenza mi uccide!” Esclamò lasciandosi cadere all’indietro. Tessa gridò nel vederlo cadere. Corse a guardare oltre il cornicione mettendo le mani sul parapetto e sporgendosi in fuori.

Erik se ne stava disteso con le braccia incrociate sul petto a galleggiare in aria. Tessa sospirò.

“Che gran bastardo sei.”

“Verissimo,” disse levitando fino al terrazzo e riprendendo la posizione verticale, “ma ora sai qualcosa in più di me.”

“Che ti piace bluffare?” Erik le si avvicinò e le sussurrò all’orecchio.

“Puoi giurarci.” Lui la sopravanzò e sparì nel buio della tromba delle scale.

Tessa guardò la luna.

“Domani andrà bene. Cambieremo il futuro di Lena. Andrà bene.”

Si strinse nella giacca e recuperò le sigarette dal cornicione prima di tornare in camera sua.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Fermare Raven ***


Capitolo V
Fermare Raven
 

Se c’era una cosa che Hank odiava, era dover menare le mani. Quindi quando dovette, di fatto, abbattere due soldati della milizia privata di Trask che avevano tentato di importunare Lucy, non fu affatto felice. Il suo umore peggiorò quando ebbe la sensazione che la donna li avesse provocati per allontanarli dalla porta del suo capo e che tutto facesse parte del piano. Lui aveva accettato di disturbare il dispositivo cerca mutanti non di fare del male a qualcuno. Eppure, se si trattava di aiutare, Hank non si tirava mai indietro. Per cui abbatté i due soldati della milizia privata di Trask e si mise al lavoro.

Era agitato perché avrebbe rivisto Raven e sapeva che i suoi sentimenti per lei erano immutati. In cuor suo sperava di poter chiarire con lei la faccenda del siero ma si sentiva un ipocrita ad affrontare quell’argomento dal momento che lo aveva persino perfezionato e iniettato a Charles.

Accese il trasmettitore e chiamò Charles.

“Mi senti?”

“Forte e chiaro.” Udì dall’altro capo del ricevitore.

Charles era insieme a Tessa ed Erik. Erano entrati dall’ingresso del personale di servizio e avevano raggiunto il piano su cui si trovava la stanza di Hang Son Wu. Charles sondò con la sua mente l’intero piano e trovò Raven. Tessa non si era sbagliata. Aveva realmente assunto le sembianze del generale vietnamita.

“Hank,” lo avvertì il professore, “abbiamo trovato Raven. Devi mettere fuori servizio il dispositivo di Trask prima che lei entri nel suo raggio di azione.”

“Consideralo fatto.” Rispose lo scienziato. Lucy lo lasciò nella sua camera e si diresse verso quella del suo capo. Bussò e lo avvertì che doveva scendere per la presentazione. I suoi ospiti erano arrivati.

Trask era un uomo brillante ma dal fisico esile e cagionevole di salute. Lasciò la sua stanza abbottonandosi la giacca e seguendo Lucy. La ragazza pensò che non sospettasse nulla di quello che stava per accadere. Era sicurò di sé quando fece un cenno a Stryker ed entrò nella stanza in cui avrebbe tenuto la presentazione. Lucy lo vide accendere il suo dispositivo e pregò che Hank avesse fatto il suo lavoro a dovere. 

Preparò gli aperitivi e dispose le cartelline con la presentazione sul tavolo. Mano a mano che gli ospiti arrivavano, li faceva accomodare ai loro posti. Trask stringeva mani ed elargiva sorrisi cordiali.

Mancavano solo due ospiti e l’ora della presentazione era passata da cinque minuti. Lucy fece sedere l’uno dei due ritardatari proprio mentre Stryker si offrì di andare a chiamare l’altro.

La ragazza vide il militare lasciare la stanza e si augurò che Tessa e i suoi amici avessero già trovato Raven.

 

Quando il generale Hang Won Su sentì bussare alla porta, non aveva idea di chi si sarebbe trovato di fronte. 

La figura di Charles Xavier sembrava più esile di come la ricordava ma la profondità del suo sguardo non era diminuita per nulla. L’uomo indietreggiò di un passo. 

Diventarono due quando nel suo arco visivo entrò anche Erik. 

“Dobbiamo andare via da questo posto.” Il generale ascoltò le parole di Charles ma non diede segno di averle comprese. Per un attimo pensò persino di fingere di averlo riconosciuto. Poi sorrise.

“Non ci penso neppure. Ho un appuntamento. Non vorrete farmi fare tardi.”

“Raven,” disse stavolta in modo esplicito Charles, “Non c’è tempo. Dobbiamo andar via. Trask possiede un dispositivo in grado di rilevare la presenza dei mutanti. Per ora Hank sta disturbando il segnale ma non potrà farlo a lungo. Dobbiamo andarcene prima che si rendano conto che siamo qui.” Raven riprese le sue sembianze e quasi ringhiò.

“Non sono mai stata tanto vicina a quel bastardo. Non lo lascerò scappare anche stavolta.”

“Non è lui a dover scappare. Sarai tu quella costretta a farlo e non ci riuscirai. Ti catturerà e ti farà del male.”

“Devo correre il rischio. Devo fermarlo o non ne resterà nessuno di noi, Charles.”

“Se non fermi questa cosa qui e adesso, Raven, sarà davvero così ma per colpa nostra. Tu sai cos’è il progetto Sentinella?” Raven annuì.

“Sì, vuole creare un esercito meccanico che dia la caccia ad ogni mutante sulla faccia della Terra.”

“Esatto,” replicò Charles, “ma se oggi Trask ti cattura, tu sarai ciò che trasformerà ogni pezzo di quell’esercito meccanico in un’arma definitiva contro i mutanti. In cinquant’anni il progetto spazzerà via non solo coloro che possiedono già una mutazione, ma anche tutti coloro che portano il gene in forma latente. Sarà la fine del genere umano.” 

Nel sentire quelle parole, Raven ebbe un sussulto. Qualcosa, in lei, vacillò. Fu solo un attimo.

“No, se io non fallisco oggi. Trask non merita la tua compassione, Charles. Perché in fondo è di questo che stiamo parlando. Tu non vuoi che io lo uccida. Forse avevi ragione tu su Shaw, ma oggi no. Oggi hai torto.” Charles strinse i pugni.

“Non avevo ragione su Shaw, ma ho ragione oggi. Devi fidarti di me. Posso mostrartelo.” Disse avvicinando le dita della mano destra alla tempia. Raven estrasse una pistola dalla cintura che aveva indosso e la puntò contro Charles.

“Non entrare nella mia testa!” Gridò ma l’arma le si scompose tra le mani. D’istinto guardò Erik. L’uomo, con un’espressione severa sul viso, parlò per la prima volta.

“Non penserai che ti lasci fare mentre punti un’arma su di lui.” Raven sorrise con malignità.

“Hai l’esclusiva?” Erik allungò le labbra in un ghigno.

“Se avessimo tempo di rivangare il passato, ci sarebbero altre cose che mi piacerebbe ricordare.” Raven riprese le sembianze del generale Won Su e si rivolse di nuovo a Charles.

“Non mi hai fermato a Cuba quando ti ho detto che volevo andare con lui, non mi fermerai adesso. Il cammino che ho intrapreso mi ha portata esattamente qui.”

“Anche se perdi la via, Raven, la via non è persa per sempre.”

“Queste sono le belle frasi ad effetto che ti piace usare ma non fanno per me.” Stava per prepararsi ad affrontare Charles ed Erik quando una voce che lei conosceva ma di cui non ricordava l’appartenenza, li mise tutti in guardia.

“Arriva Stryker, dobbiamo muoverci.” 

“Lasciatemi andare!” Gridò Raven.

“Charles, fermala!” Esclamò Erik.

“Non osare entrare nella mia testa!” Si difese lei.

“Raven, per favore, ascoltami!” Provò di nuovo Charles ma Erik fu più veloce. Usò il suo potere per  piegare il metallo della testiera del letto e stringerlo intorno al busto di Mystica. La donna provò a divincolarsi poi, in un estremo tentativo di reagire, assunse le sembianze di Lena.  

Erik si perse per un attimo e il metallo intorno al corpo di Raven sembrò sciogliersi. 

Fu in quel momento che Tessa entrò nella stanza e chiuse la porta. 

Erik si girò nella direzione da cui proveniva il rumore e la vide. Tornò in sé proprio mentre anche Raven, sorpresa di vedere un’altra Lena nella stanza, riacquisiva le sue sembianze originali.

“Lena! Tu sei viva?” Fu Charles a rispondere.

“Lei è sua sorella. Ha visto il tuo futuro, Raven.” Cadde il silenzio mentre bussarono alla porta. La voce di Stryker arrivò forte e chiara dal corridoio.

“Generale Won Su, va tutto bene? La stiamo aspettando già da un po’.”

Erik fece un cenno a Charles per chiedergli di intervenire. Charles si portò due dita alla tempia e parlò a Raven.

‘Per favore, non tradirci. Ci farai uccidere tutti. Sappi che siamo pronti a morire piuttosto che a lasciare qualcuno di noi nelle mani di Trask.’ Dopodiché si concentrò sulla porta. Sapeva che Stryker stava per aprirla. 

Quando il soldato lo fece, la stanza era vuota. Così almeno gli apparve. 

In realtà Tessa, Erik, Charles e Raven erano immobili mentre William Stryker dava un’occhiata alla camera e poi si voltava chiudendo la porta dietro di sé.

“Adesso lasciatemi andare.” Disse di nuovo Raven.

“No.” Fu Tessa a rispondere. “Tu hai tutte le ragioni del mondo a voler vedere Trask morto ma se è la salvezza dei mutanti quella che vuoi, oggi devi rinunciare.”

“E dovrei fidarmi di te? Non mi stava neanche simpatica tua sorella! Tu mi piaci ancora meno.”

“Abbiamo chiacchierato abbastanza,” fece Erik, “non hai scelta Raven. Non so che impressione ti abbia dato Charles, ma questa non è mai stata una negoziazione.” Tirò fuori un rotolo di nastro adesivo e ne strappò un pezzo che usò per impedire a Raven di parlare ancora.

“Erik,” provò Charles, “è proprio necessario?”

“Sei ancora in tempo a condizionarla, se vuoi.” Charles scosse la testa in segno di diniego.

“Allora è necessario.  E adesso andiamocene.”

Tessa aprì la porta e guardò il corridoio. Era deserto. Fece un cenno agli altri dando loro ad intendere che potevano uscire. Erik mosse una mano e il metallo stretto intorno al corpo di Raven si mosse portandola con sé. 

Il gruppo raggiunse la scala di servizio che dava sul retro e che conduceva ad un cortile in cui doveva essere il furgoncino della lavanderia che avrebbero usato per allontanarsi. 

Quando svoltarono l’ultima rampa di scale, il rumore di una porta al piano superiore si aprì e richiuse e la voce di Stryker gli intimò di fermarsi.

“Andate via!” Gridò Tessa. “Qui ci penso io.” Fu la sola ad udire la voce di Charles.

“Non rimanere indietro, vieni via con noi.” Tessa gli lasciò leggere la sua mente.

“Avevo previsto la reazione di Stryker, conosco l’esito di questo scontro. Va’ senza temere. Vi raggiungerò presto.”

Charles esitò sulle scale. Le diede un’ultima occhiata prima di seguire Erik fuori dall’edificio.

Tessa rimase ferma fino a che Stryker non la raggiunse sul pianerottolo.

“Signorina Shaw, è un piacere rivederla!” Esclamò il militare.

“Non è il mio nome. E il piacere è tutto tuo, Stryker.”

“Il signor Pierce sa che sei qui?” Chiese l’uomo gettando via la sua maschera e dimostrando di conoscere bene l’organizzazione dell’Hellfire.

“Potrei farti la stessa domanda ma io, come sai, conosco tutte le risposte. A Pierce non piacerà sapere che hai definitivamente rotto gli indugi e scelto Bolivar Trask.” L’uomo sorrise di scherno.

“Trask paga bene e ritiene che i mutanti siano una risorsa più da morti che da vivi.” Tessa strinse un pugno.

“Non questi mutanti.”

“Vedremo.”

“Fatti sotto ma ricordati che io posso prevedere tutte le tue mosse.” Stryker tirò il primo pugno, Tessa lo schivò e iniziò il combattimento.

 

Erik aveva appena chiuso Raven nel retro del furgone quando si guardò intorno e si rivolse a Charles.

“Dov’è Tessa?”

“E’ rimasta indietro. Stryker ci stava inseguendo.” Charles se ne accorse subito. La vena sul collo che pulsò più forte e la fronte che si corrugò in una frazione di secondo. Sembrò che ogni cellula del corpo di Erik non riuscisse a nascondere l’impazienza che lo aveva colto.

“Torno indietro.” Charles annuì ma l’urgenza di Erik aveva messo in allarme anche lui.

“Erik, aspetta,” disse e il tedesco si fermò sulla porta “se dovesse succedere qualcosa, ricordati cosa abbiamo promesso. Tornate entrambi.” 

“Allora dovrai restare nella mia testa.” Concluse Erik ricordando le parole di Charles con cui gli aveva detto che non l’avrebbe fatto mai più. Charles lo vide sparire dietro l’angolo e raggiunse il posto di guida del furgone dove Hank stava ancora cercando di disturbare il segnale del rilevatore di Trask.

“Hank sta’ pronto a partire in qualsiasi momento.” Gli disse focalizzando la sua mente su Erik.

Lo vide raggiungere il pianerottolo su cui Tessa e Stryker si stavano battendo. Vinceva lei senza alcun dubbio. Nonostante ciò, il soldato sfilò un’arma dalla cintura e, puntandola contro Tessa, sparò.

“Vaffanculo, Sage.” Disse l’uomo convinto di avere chiuso i giochi. Invece il proiettile si fermò a mezz’aria e la pistola gli si accartocciò fra le dita.

“Non ti hanno detto che le donne non si toccano neanche se sono mutanti?” Stryker prese la radiotrasmittente e chiamò i rinforzi. Erik contorse la ringhiera lungo la scala e lo bloccò. “Stai bene?” Chiese rivolgendosi a Tessa.

“Sì, dove sono gli altri? Perché sei tornato?”

“Non sono un po’ troppe domande per essere una che prevede gli eventi?” Disse lui prendendole un polso e tirandola verso l’uscita. Un gruppo di uomini armati comparve a bloccargli la strada. Erik tese una mano verso di loro ma la voce di Charles fu più veloce delle sue intenzioni.

“Non ucciderli, non farlo se non è necessario.” 

Erik usò il metallo delle loro armi per farli sbattere contro le pareti e guadagnare tempo.

“C’è un’altra porta sul tetto. E’ libera.” Magneto prese su per le scale e Tessa gli stette dietro fino a che non raggiunsero il terrazzo. Erik fece scattare il chiavistello e richiuse la porta una volta che furono fuori.

“E ora come scendiamo?” Chiese Tessa. Vide Erik salire sul cornicione e tenderle la mano.

“Stavolta non hai scelta, tesoro.” Disse lui invitandola a seguirlo. Tessa sospirò e l’afferrò salendo sul bordo del parapetto. Istintivamente si strinse ad Erik. L’uomo le passò un braccio intorno alla vita e sfidò la forza di gravità piegandola al suo potere. Tessa si sentì minuscola ed impotente come quando guardava la Torre Eiffel dal basso. Neanche il tempo di registrare quell’emozione che un forte rumore di esplosione catturò la sua attenzione. 

La porta del terrazzo era saltata in aria e un manipolo di soldati, con Stryker a capo, puntava delle armi contro di loro.

Si accorse subito che appartenevano al prototipo speciale anti Magneto e gridò.

“Erik, voltati, adesso!” Il tedesco però non si mosse. La strinse appena più forte. Gli spari andarono quasi tutti a vuoto. Uno colpì Erik alla schiena. L’uomo perse il controllo ed entrambi presero a precipitare nel vuoto. Da quell’altezza, l’impatto sarebbe stato fatale ad entrambi. Quando percepì la voce di Charles, si chiese se fosse troppo tardi per dirgli le cose che non aveva avuto il coraggio di rivelargli a Washington.

“Tessa, perdonami.”

Lei non capì. Sentì solo il suo corpo fermarsi a mezz’aria e sostenere quello di Erik. La sua mente sembrava essere stata liberata dalle sue stesse membra e non avere alcun genere di limite o confine. Vedeva se stessa compiere azioni delle quali non riteneva di essere capace.

La cosa migliore di tutte era uno strabiliante senso di libertà. Una cosa simile non l’aveva mai provata prima. Si sentiva, allo stesso tempo, leggera ed invincibile.

Levitò con grazia fino a che la punta dei suoi piedi non toccò il suolo e poi, come se quella forza l’avesse abbandonata all’improvviso, ricadde all’indietro.

Le braccia di Charles la sostennero mentre la sua mente si sforzava di non lasciarla troppo rapidamente.

“Tessa, respira. Respira.” 

Fu allora, mentre tornava padrona della sua mente prima e del suo corpo subito dopo, che comprese cos’era accaduto. La consapevolezza fu dolorosa. Mentre la mente di Charles lasciava il controllo della sua, Tessa sentì la testa dolere in un modo che non aveva mai provato prima. Quando il dolore si attenuò, arrivarono le vertigini e la nausea. Un conato di vomito la costrinse a rialzarsi e finì sulle ginocchia a sputare persino l’anima. 

Erik era anche lui dolorante ma aveva ripreso i sensi. La guardava in modo indecifrabile. 

Le mani di Charles l’aiutarono ad alzarsi.

“Andiamo, in qualche modo, ce l’abbiamo fatta.” 

Salirono sul furgone e si allontanarono in fretta.

Raven si rivolse a Charles.

“Che è successo?”

“Stryker aveva delle armi anti Magneto.”

“Dovrei essere onorato del fatto che hanno dato il mio nome ad un’arma?” Chiese il tedesco soffocando il dolore alla schiena.

“Questo spiega perché lui è ferito. Cos’è successo a lei?” Raven non li vedeva da anni e Charles ed Erik non le sembravano più le persone che aveva conosciuto. Charles spostò una ciocca di capelli dalla fronte madida di sudore di Tessa che rimaneva abbandonata con la testa sulle sue gambe.

“Ho preso il controllo della sua mente e ho usato le sue capacità.” Disse senza smettere di guardare la donna che sembrava ancora soffrire.

“E questo l’ha ridotta in quello stato?” Chiese Raven sorpresa.

“Purtroppo sì. Diciamo che ho perso il tocco dopo Cuba.” Raven si girò a guardare Erik.

“Sì, è colpa mia anche questo. Vuoi infierire anche tu? Accomodati.”

“Charles, non lo sapevo,” disse lei “sei stato male?”

“Hank si è preso cura di me.” Rispose Charles guardando l’amico sorridere nello specchietto retrovisore.

“Tu lo sapevi?” Chiese in malo modo ad Erik.

“Non lo sapeva nessuno. Avevo deciso di chiudermi in casa a bere e dimenticare.” Intervenne Charles.

“Potevi chiedere aiuto.” Si giustificò lei.

“A chi? A te che te ne andavi in giro a compiere la tua missione? O a lui che era rinchiuso in prigione?”

“Io sarei venuta.” Charles si sforzò di sorriderle con dolcezza.

“Lo so.”

“E lei?”

“Lei è comparsa dal nulla. In qualche modo mi ha ridato qualcosa per cui lottare.”

“Perché è identica a Lena?” Charles tornò a mostrare quella durezza che Raven credeva di non poter mai vedere sul viso dell’uomo che per anni era stato suo fratello.

“Perché ha i suoi ricordi. Perché Lena ha visto il futuro prima di morire e ha visto il progetto Sentinella distruggere l’umanità. A cominciare da oggi. Per questo era importante farti ragionare.”

Raven non aggiunse altro. L’idea che quella donna con la faccia di Lena potesse conoscere il loro futuro non la convinceva del tutto. Inoltre, il rancore accumulato negli anni contro le persone che avevano letteralmente fatto a pezzi la sua famiglia non poteva sciogliersi come neve al sole. 

A tutto ciò si aggiungeva la tensione di dover stare sotto lo stesso tetto con Erik e Charles. Non poteva nascondere il fatto che fosse ancora sentimentalmente legata ad entrambi ma, allo stesso tempo, si era sentita tradita da tutti e due e il fatto che l’avessero cercata ora solo per via di una donna identica a Lena, non migliorava il suo umore. 

Infine c’era Hank. Lui le aveva sorriso e l’aveva liberata dalle corde di metallo create da Erik ma c’era ancora tensione tra loro. 

Inutile, stupida, pensava Raven, eppure c’era. 

‘Mutante e fiera’ gli aveva detto. Aveva fatto di quel motto la sua vita e le era costato tutto. Doveva rinnegarlo ora per tornare ad essere l’amica che Hank avrebbe voluto rimanesse al suo fianco?

Decise che rinchiudersi in un riflessivo silenzio era la cosa migliore.

Tessa, di contro, aprì gli occhi. La testa le doleva ancora. Gli occhi blu di Charles furono tutto ciò che vide all’inizio. Poi le sue labbra rosse che sorridevano.

“Mi dispiace molto, Tessa. Non so cos’altro avrei potuto fare per impedirvi di cadere.”

“Avresti potuto usare il suo cervello, ad esempio.” Tentò di dire lei indicando Erik, ma la voce le uscì incerta.

“Era privo di sensi. Ti prometto che non lo farò mai più.”

“Non importa. In queste condizioni non posso usare le mie capacità. Se non le recupero non potrò sapere con certezza l’esito della missione.”

“Cosa ti serve?” Chiese Charles.

“Riposo, credo, e paracetamolo.” Tessa si sforzò di sorridere e Charles fece altrettanto.

“Allora andiamo nel posto giusto.” Esclamò Hank mentre guidava.

Tessa chiuse gli occhi. Aveva finto di non sentire la mano di Charles posata sulla sua fronte e lo sguardo di Erik fisso su di lei. Per la prima volta da quando aveva conosciuto quelle persone, aveva mentito. Lo aveva fatto perché, anche se non poteva ancora vedere gli effetti delle loro azioni di quel giorno a Parigi, sapeva che qualcosa era già cambiato per loro.

Per questo aveva preso tempo, l’unica cosa che Tessa Shaw non aveva.

 

Giverny era una piccolissima cittadina poco distante da Parigi.

Hank aveva affittato una casa in campagna. Un’abitazione di un piano solo con decine di ettari di terreno attorno. Sufficientemente lontano da occhi indiscreti ma vicino a sufficienza per reperire farmaci e generi alimentari.

Tessa e Raven dovettero dividere una camera. L’altra fu occupata da Hank e Charles poiché Erik mise in chiaro che avrebbe preso il divano in salotto.

Tessa aveva dormito per tre ore dopo aver ingerito l’antidolorifico e si alzò completamente sudata. Tolse il maglioncino che aveva addosso e si infilò una giacca pesante. Sfilò una sigaretta dal pacchetto che aveva sempre con sé e uscì.

Non si aspettava di trovarsi in un posto così bello.

Il sole stava tramontando e irradiava i campi di una luce arancione calda per gli occhi e per il cuore.

I campi sembravano ricoperti d’oro. Scese i due scalini che separavano il portico dalla strada e fece qualche passo verso il prato.

Si rese conto di non avere l’accendino, solo quando si portò la sigaretta alle labbra.

“Accendila con la mia.” Erik era arrivato al suo fianco senza che lei se ne accorgesse, rapita com’era da quello spettacolo. Lei prese la sigaretta, l’avvicinò alla sua e poi gliela rese.

“Grazie.”

“Sono io che dovrei ringraziarti.”

“Devi ringraziare Charles, non me.”

“Può darsi, ma è stato il tuo potere a salvarci.”

“Non sapevo neppure di poterlo fare.” Disse lei inspirando ed espirando.

“Charles sa tirare fuori il meglio dalle persone.”

“E chi tirerà fuori il meglio da lui?” Chiese lei sorridendo ed Erik la imitò.

“Vuoi provarci tu? Io credo di avere avuto la mia occasione e di averla sprecata.” Disse lui.

“Oh, avanti! Ti darà sempre un’altra occasione. E un’altra e poi un’altra e un’altra ancora. Non ne avrà mai abbastanza di te.”

“Sul serio?” Tessa annuì stringendosi nel giaccone. Cominciava a sentire freddo. “Perché ne sei tanto sicura?”

“Perché tu gli vuoi bene e non permetteresti mai a nessuno di ferirlo. Non è per questo che mi controlli a vista?” Erik finì la sua sigaretta ma la tenne tra le dita. Non la gettò per terra.

“Possibile. O forse non mi sei più così odiosa.” Disse piegando appena la testa di lato senza smettere di guardare l’orizzonte che era diventato una linea scura tra il cielo rosa e il campo tornato di un verde scuro.

“Ti ho avvertito sul tetto. Potevi girarti e reagire.”

“Percepisco il metallo anche a grandi distanze.”

“Che vuol dire?”

“Che quei soldati non ne avevano. Non avrei potuto fermarli neppure se avessi voluto.”

“Per questo non ti sei voltato?” Chiese lei facendo un passo e dando le spalle ai campi. Lo guardò negli occhi.

“Se mi fossi voltato, il proiettile lo avesti preso tu.”

“Quindi sono io che devo ringraziare?”

“No. Avevo promesso a Charles che ti avrei protetta.” Tessa sorrise.

“Grazie lo stesso.” Erik percepì una punta d’imbarazzo e voltò la testa di lato cambiando subito argomento.

“Quindi non sapevi di poter volare?”

“No. E penso che Charles abbia scoperchiato il vaso di Pandora.”

“Sarebbe a dire?”

“Mi sento diversa. Come se i miei occhi potessero vedere meglio e più lontano.”

“Ti fa ancora male la testa?” Tessa annuì.

“Non troppo.” 

Un soffio di vento agitò gli steli d’erba nei campi e scompigliò i capelli di Tessa. La donna rabbrividì.

“Dovresti rientrare.” Lei fece per tornare verso casa ma esitò.

“Ora so perché piacevi a mia sorella,” disse piano, “anche se la vita ti ha tolto molto, non ti ha tolto l’umanità. Reciti bene la parte dello stronzo. Lei però sentiva le tue emozioni. A lei non potevi mentire.”

“Te l’ho già detto una volta, io non mento mai. E non mi piacciono le menzogne.”

“Un passo avanti e due indietro. Tipico di te. Buonanotte Erik.”

Tessa si allontanò mentre Erik stringeva forte il mozzicone di sigaretta nel pugno. Se l’unica maniera di difendere se stesso e Charles era tenere quella donna a distanza, avrebbe impiegato ogni risorsa per riuscirci.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Nodo cruciale ***


Capitolo V-2
Nodo cruciale

 

Tessa rientrò in casa cercando di non fare rumore. Gli altri dovevano essere tutti addormentati in un sonno profondo dopo la giornata impegnativa appena trascorsa.

Scoprì che non era così quando raggiunse la cucina. La sua intenzione era di prepararsi un tea ma la teiera faceva già bella mostra di sé sul tavolo. 

Charles ne stava bevendo una tazza mentre leggeva un libro.

“Non dormi?” Gli chiese versandosi un tazza del liquido bollente. Charles posò il libro avendo cura di segnare la pagina a cui era arrivato e rispose.

“In realtà non ho chiuso occhio. Credevo di essere stanco ma, non appena ho poggiato la testa sul cuscino, i miei occhi si sono spalancati. Non ho sonno.”

“Stai bene?” Chiese lei sorseggiando la bevanda ambrata.

“Inaspettatamente, sì. Erano mesi che non mi sentivo così bene. Credo sia merito tuo.” Tessa quasi sputò il suo tea.

“Mi stai dicendo che io ho ancora i postumi della sbornia e tu ti senti fresco come un fiorellino?” A Charles sfuggì una risata.

“Non mi definirei in quel modo ma direi che sia abbastanza probabile che le due cose siano connesse.”

“In che modo? Illuminami.”

“Quando sono entrato nella tua testa, ho dovuto cercare in fretta qualcosa che potesse aiutarmi a salvarvi. Ammetto di aver scommesso tutto sulla tua somiglianza con Lena.” Tessa abbassò lo sguardo sul bordo di porcellana della tazza e ci passò un dito sopra seguendone la linea.

“Lo scudo.”

“Non sapevi di averlo?” Tessa scosse la testa. “Beh, funziona come lo scudo di Lena ma il tuo è gravitazionale. Un po’ come il potere di Erik ma, come dire, al contrario. Lui usa il magnetismo. Tu puoi usare la gravità. Ovviamente dipende dalla telecinesi.”

“Sembra che tu capisca il mio potere meglio di me.” 

“Per questo mi chiamano ‘professore’.” 

“Non perché sei laureato in genetica?” 

“Non solo in genetica se è per quello. Ad ogni modo, ho visto la tua mente. E’ davvero come un database di informazioni rigidamente diviso come un archivio. Prima che Shaw morisse, avevo alzato una serie di barriere, in qualche modo avevo diviso la mia mente in aree compartimentate. Credo che vedere il modo in cui organizzi i tuoi dati, abbia riattivato in qualche modo la mia capacità di separare i miei pensieri dalle voci.”

“Lieta di esserti stata utile, professore.”

“Vorrei ricambiare il favore.”

“Lo hai già fatto.”

“Non mi ci sono neppure avvicinato.” Tessa piegò la testa di lato con fare interrogativo. “Lascia che provi.”

“A fare cosa?”

“A capire qual è il dolore che ti porti dentro e che ti impedisce di essere te stessa.” Tessa lasciò andare la tazza e istintivamente si tirò indietro. Charles sollevò entrambe le mani. “Era solo una proposta. Non lo farò. Non farò mai niente contro la tua volontà. Questo te l’ho già promesso.” Lei lo guardò ed ebbe quasi la sensazione di averlo ferito. 

“Prima che la situazione diventi equivoca, sarà meglio precisare i fatti, professore. Quando mi sarò ripresa, se avremo scongiurato il futuro visto da Lena, ognuno di noi andrà per la sua strada.”

“Intendi tornare all’Hellfire?”

“Non c’è altro posto per me al mondo.” Charles si alzò e raggiunse la finestra.

“Questo non è vero e lo sai.”

“Invece è vero e lo sai.” Charles si voltò di scatto, la voce e l’espressione del viso alterate.

“Sono stufo di sentire sempre le stesse cose. Siete tutti maledettamente convinti di non avere scelta!”

“Tutti?” 

“Tu, Erik, Raven, Hank, persino Lena.”

“Non si tratta di non avere scelta ma di avere già fatto una scelta.” Charles raggiunse il tavolo e vi poggiò entrambe le mani.

“Una scelta. Una. Là fuori è pieno di gente che ha scelto di fare una cosa e poi ne ha fatta un’altra ma voi no. Voi siete quelli determinati, quelli che non sbagliano mai, che sanno già come andrà a finire, vero?”

“E se fosse così?” Charles sollevò le mani ridendo.

“Ah! Io posso controllare le persone, Tessa. Cosa accadrebbe se decidessi di avere sempre ragione? Se mi convincessi che non ci fosse altra scelta che convincere il genere umano che deve vivere alle mie regole?” Tessa si alzò.

“Saresti Dio.” Lo disse piano ma con convinzione.

“Non voglio essere Dio. Voglio essere un uomo. Voglio sapere che posso commettere errori. E’ una cosa tanto orribile?”

“Essere umani?” Chiese Tessa. 

“Sbagliarsi.”

“Forse, non lo so. Escludo gli errori dai miei schemi mentali.”

“Restare con me, sarebbe un errore?” Tessa sentì la testa tornare a dolere. 

“Da certi punti di vista.”

“Ma da altri no.”

“Tu non ti arrendi mai?”

“Quando mi hai conosciuto, mi hai biasimato per essermi arreso. E comunque, in genere, no.”

Il silenzio che cadde nella stanza si sommò all’oscurità che era seguita al tramonto. Tessa si sentiva sfinita e non aveva voglia di continuare quella conversazione. La sua mente era ancora troppo fragile per anche solo provare ad intuire come sarebbe andata a finire e il suo cuore cominciava ad abituarsi al calore che quelle persone avevano portato nella sua vita al punto che l’idea di portare a termine il suo piano originale cominciava ad apparirle impraticabile.

Quando sentì la mano di Charles sulla sua, sollevò uno sguardo carico d’astio. Gli occhi blu del professore la privarono di ogni capacità di fare resistenza e non perché avesse usato il suo potere. Soltanto perché erano carichi di speranza.

Aveva imparato a riconoscerla. Fin da piccola non ne aveva mai avuta in abbondanza. 

Quelle poche briciole che le aveva donato sua madre si erano consumate presto, avvizzite dall’ambizione e dalla frenesia paterna. 

Nella sua infanzia, la speranza era diventata la mano affettuosa di sua sorella che le regalava parte delle sue emozioni. Anche quel germoglio era appassito presto. 

Crescendo, la speranza aveva preso la forma di un colore, il rosso della pelle di Azazel, l’unico in grado di attraversare le spesse pareti della sua prigione. Lo faceva per portarle da mangiare ma era gentile con lei. 

Il tempo le aveva portato via anche lui. Le aveva dato le lucciole però. L’unica luce nella sua oscurità. Loro le avevano mostrato la via d’uscita per evadere dalle grinfie di Shaw.

E ora gli occhi di Charles.

“Non sei sola.” Fu troppo. Fu come se quelle fossero le uniche tre parole in grado di scardinare l’ultimo cassetto chiuso a chiave nella sua mente. Pianse. In silenzio. 

Lui non aggiunse altro. Non le asciugò il viso, non la confortò, come se sapesse che aveva bisogno solo di piangere.

Rimasero così a lungo. Al buio e in silenzio. Solo la mano di Charles su quella di Tessa. Trovarono conforto uno nel silenzio dell’altra. Persino le loro menti sembrarono rifiutarsi di percepire qualsiasi cosa che non fosse l’unico punto di contatto tra i loro corpi.

Fu Tessa a parlare per prima.

“Ho un debito con l’Hellfire. Devo saldarlo.”

“Abbiamo un debito. Ci hanno aiutato sia a liberare Erik che a fermare Raven.”

“No, professore, io ho un debito. Tu sei libero da ogni vincolo. Non ho mai preso impegni per tuo conto.”

“Questo non significa che io non possa aiutarti a saldarlo.”

“Non puoi farlo, professore. Non potresti mai aiutarmi a dare loro quello che gli ho promesso.”

“Mettimi alla prova.”

“Ho promesso che gli avrei consegnato Magneto.”

Charles non si mosse e, nel buio, lei non vide lo sconforto che gli aveva riempito gli occhi. Si sforzò di continuare ad adoperare quel tono di voce tranquillo e conciliante.

“Che se ne farebbero mai? Sanno quanto è potente? A malapena il Pentagono è riuscito a contenerlo. Non sono neanche sicuro che avrebbero potuto fermarlo se avesse voluto fuggire.”

“Hanno una macchina. Quella in cui mio padre aveva rinchiuso me. Consente di canalizzare una specifica capacità di qualsiasi mutante in un congegno che può essere poi utilizzato da un altro individuo.”

“Ruberebbero il suo potere?”

“Esatto.” Quella sola parola ebbe il potere di gelare Charles. Ritirò la mano interrompendo il contatto tra loro. A Tessa sembrò di sprofondare ancora di più nell’oscurità e di annegarvi dentro senza avere più alcun appiglio.

“Questo non è possibile. Non c’è alternativa?”

“C’era, ma l’ho esclusa. E questa cosa non è negoziabile.”

“Tessa,” provò a dire Charles ma la donna si alzò nel buio.

“Non è un tuo problema.”

“Tessa!” Stavolta Charles si alzò di scatto spostando la sua sedia all’indietro. La luce si accese all’improvviso. La donna pensò che fosse stato Charles a farlo ma la mano di Erik era ancora ferma sull’interruttore.

“Com’è che hai detto? Un passo avanti e due indietro?” La voce del tedesco era fredda e tagliente. Charles si mosse istintivamente e si portò tra lui e Tessa.

“Erik, per favore, stiamo solo parlando.”

“Forse tu stai parlando, Charles. Lei sta muovendo le fila di questa cosa fin dal principio e non farmi dire che te l’avevo detto. Quando? Quando la tua incrollabile fede negli altri si esaurirà? Saremo tutti morti e sepolti per allora.”

“Erik, va’ fuori di qui. Ci penso io.” Lo sguardo di Erik continuava ad essere puntato su Tessa.

“Davvero? E come pensi di fare? Userai finalmente i tuoi poteri per annientare la sua volontà? O le farai esplodere il cervello? In questo caso non vorrei perdermi lo spettacolo.”

“Erik!” Charles urlò, i tratti del viso definitivamente alienati dalla rabbia e dalla frustrazione.

“O vuoi aiutarla a rinchiudermi in un’altra prigione?” Anche Erik urlò. “Se non ti rifiutassi di usare i tuoi poteri, lo sapresti.”

“Saprei cosa, dannazione?”

“Quello che ti rifiuti di vedere con gli occhi. Sei tu, tu l’alternativa. Deve consegnare uno di noi a questa organizzazione. Un’organizzazione che tu conosci, a quanto pare! Dimmi, mi consideri lo scemo del villaggio, Charles? E tu, Tessa, ora verrai a dirmi che hai scelto di consegnare me perché sono il cattivo? O perché sono una minaccia in futuro? O perché lui te lo vorresti scopare?”

Nell’udire quelle parole, Tessa reagì. Ogni oggetto nella stanza prese a tremare.

“Avanti, tesoro, vediamo come avevi intenzione di catturarmi!” Erik mosse un mano e tutti i coltelli della dispensa si sollevarono.

“Erik, fermo! Tessa, per favore, non costringetemi.” Pregò il professore ma nessuno dei due contendenti sembrava dare l’dea di volersi fermare.

“Ho scelto te perché sei uno stronzo.”

“Lusingato.” Fece Magneto lanciando i coltelli verso di lei ma avendo cura di non ferire Charles. Tessa li fermò e li fece ricadere a terra.

“Oh! Dovrai impegnarti molto di più per liberarti di me.”

“Tessa, per l’amor di Dio, non provocarlo!” La esortò Charles.

“Credimi, Charles, non ho bisogno di provocazioni. Ho capito fin dal principio che portava guai.” Disse riprendendo il controllo dei coltelli e lanciandoglieli addosso da diverse direzioni. Tessa li deviò tutti. Il più grosso finì infilzato nella sedia che lei aveva sollevato come scudo. Non poté difendersi dai vetri infranti della finestra che invece le ferirono la fronte e una spalla.

“Erik, adesso basta. Nessuno verrà consegnato all’Hellfire.” Provò ancora Charles. “Non costringetemi a bloccarvi!”

La voce di Raven li fece girare tutti nella direzione del salotto.

“Questa la voglio proprio vedere!” Disse divertita incrociando le braccia. Hank la raggiunse un istante dopo.

“Che diavolo succede? Perché combattete?” Erik ne aveva anche per il dottore.

“E tu lo sapevi, Bestia? O hanno fottuto anche te? Scommetto che non ti dicono mai un cazzo di niente.”

“Lascia perdere Hank!” Gridò Tessa lanciandogli contro teiera, tazze e piattini. Raven rise e si portò le mani a coprirsi la bocca quando vide la testa di Erik completamente bagnata dal tea. “Che c’è? Controlli il metallo ma non la porcellana?” Erik perse definitivamente il controllo. Con una mano staccò il lampadario dal soffitto. Tessa pensò che sarebbe caduto addosso a Charles e lo bloccò a mezz’aria. Non si accorse così che, con l’altra mano, Erik aveva mosso con violenza il frigorifero. 

Tessa e il frigo finirono fuori dalla finestra già per metà divelta. 

“No!” Urlò Charles bloccando Erik il tempo sufficiente perché Hank raggiungesse Tessa e le sollevasse il frigorifero da dosso. “Basta, Erik, o rovisterò nella tua testa e non ti piacerà!” 

“Sono calmo.” Gli disse mentalmente e Charles lo lasciò andare.

Hank aiutò Tessa a rimettersi in piedi. La donna si teneva l’addome ma sembrava stare bene nel complesso. Lei rientrò in casa e raggiunse subito la sua stanza. Prese lo zaino e cominciò ad infilarci quelle poche cose che aveva portato con sé.

Charles la raggiunse mentre lei piegava una maglietta.

“Tessa,” provò, “Tessa guardami.” Le mani di lei si muovevano nervosamente stropicciando il tessuto dell’indumento piuttosto che sistemandolo. “Tessa.” Lei lasciò andare la maglia sul letto e lo guardò.

“Che c’è?” Sbottò.

“Mi dispiace. Avrei dovuto fermarlo prima.”

“Sì, avresti dovuto.”

“Lo so.” Lei sospirò. “Sono davvero io l’alternativa?”

“Non chiederlo.”

“Lo sto già facendo. Parlami.” La donna aveva il viso livido in più punti e tutti i capelli in disordine.

“Non sei mai stato l’alternativa, professore.”

“Allora dimmi che Erik si sbaglia.” Tessa riprese la maglietta e la gettò nello zaino rinunciando a piegarla.

“Dovevo scegliere.”

“Hai scelto me.”

“Ho scelto Lena. Lei non mi avrebbe mai perdonata se ti avessi messo in pericolo dopo che lei ha sacrificato la sua vita per salvarti.” Charles infilò le mani in tasca e guardò il pavimento.

“Allora cosa farai adesso?”

“Torno a New York.”

“All’Hellfire?” 

“Sì.”

“E cosa intendi fare?” Tessa allargò le braccia per quanto il dolore all’addome potesse consentirglielo.

“Quello che devo.”

“E Erik?”

“Se quella specie di,” provò a dire senza trovare la definizione giusta, “se lui!” Esclamò. Charles la interruppe.

“Troglodita.”

“Eh?”

“Troglodita è la parola che stai cercando.” Precisò proprio mentre Erik compariva sulla porta incapace di farsi da parte quando sentì che parlavano di lui.

“Se quella specie di troglodita ci avesse permesso di continuare la nostra conversazione, avrei potuto dirti che non avevo intenzione di consegnarlo all’Hellfire.” Erik ghignò.

“Come no!”

“Non più almeno.” Fece lei guardando lo zaino.

“Quindi?” La interrogò Charles.

“Quindi niente, professore. L’Hellfire è casa mia. Mi prenderò una ramanzina per aver fallito e riprenderò il mio posto nella gerarchia. Ripartirò da qualche gradino più in basso ma sono la figlia di Shaw, non mi succederà un bel niente.” Il telepate era perplesso. Erik s’intromise ancora.

“Se qualcuno di voi due mi dicesse cosa cazzo è l’Hellfire forse potrei dare un contributo.”

“Hai già lanciato il frigorifero, Erik. Come contributo va oltre le mie aspettative. Vuoi aspettare un attimo fuori o devo bloccarti di nuovo?” Erik si voltò e uscì.

“Wow, professore! Questa sì che è determinazione.”

“Resta. Non abbiamo ancora finito. Non abbiamo ancora la certezza di aver scongiurato il futuro visto da Lena.” Tessa chiuse lo zaino e infilò il giubbino di pelle.

“Ti ho già detto che non posso usare le mie capacità al momento. Non perdere di vista Raven per un po’, ok?”

“Resta.” Disse prendendole una mano.

“Professore, tu non volevi lasciare Westchester. Lo hai fatto perché dovevi. Adesso sono io che devo andare.” Tessa sfilò la mano da quella di Charles e prese lo zaino. Arrivò alla porta ma lui la trattenne.

“L’ho fatto per te. Ho lasciato Westchester per aiutarti. Ora me lo rendi inutile.” Lei non si voltò.

“A Washington ti ho detto che ti ho cercato per diversi motivi ma che non ero pronta a condividerli. Non lo sono neanche adesso. Scusami.”

Tessa lasciò la stanza. Passò davanti ad Erik ma non gli rivolse la parola. Fu lui a farlo.

“Non mi scuserò per averlo fatto. Ti avevo avvertita.” Lei si fermò e si voltò. Sorrise.

“Non mi aspettavo niente di meno da te.”

“Te l’aspettavi?” Lei annuì.

“E sai cos’altro mi aspetto?”

“Cosa?”

“Che proteggi Charles.”

“Da te?”

“Anche. Finora hai fatto un ottimo lavoro.” Disse toccandosi l’addome.

“Cos’è Hellfire?”

“L’inferno.”

“E cos’altro?”

“Un’organizzazione politica ed economica che controlla mezzo mondo e vuole impossessarsi dell’altra metà.”

“E tu ne fai parte?”

“Sì.”

“Chi comanda?”

“Donald Pierce.”

“Non dimenticherò questo nome.”

“Dimenticalo invece. Dimentica Hellfire. E’ una piaga. Una maledetta piaga che infetta ogni cosa che tocca. Non sbagliavi su di me. Col tempo lo capirà anche il professore. Dimentica.”

Erik la guardò andare via da sotto al portico.

“Non dimenticherò. Non potrei nemmeno se lo volessi.” E si accese un’altra sigaretta.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Ferro e fuoco ***


 

Capitolo VI
Ferro e fuoco

 

Raven fece il giro della casa.

Passeggiando piano. Quando arrivò all’altezza della sua stanza e vide le tende tirate, si ricordò del giorno in cui Erik le aveva fatto capire che nascondere se stessa le rubava più energia che sforzarsi di essere se stessa.

Erano passati dieci anni e a malapena lo aveva capito.

Una volta tornati alla villa, aveva parlato a lungo con Charles e aveva compreso parte delle sue motivazioni. 

Non aveva avuto modo, invece, di parlare con Erik. E non perché non ci avesse provato. L’altro l’aveva ascoltata ma era rimasto in silenzio, come fosse concentrato su altro. Raven avrebbe scommesso qualsiasi cifra sul fatto che pensava a Tessa. Da quando la gemella di Lena se n’era andata, una cosa le era diventata estremamente chiara. 

Charles ed Erik erano attratti da lei come lo erano stati dalla sorella. 

Aveva capito anche un’altra cosa. Charles sentiva la mancanza di quella donna mentre Erik sentiva ancora la mancanza di Lena. 

Raven non sapeva se le desse più fastidio scoprire che Erik era ancora innamorato della persona che aveva preso il suo cuore dieci anni prima o che Charles fosse incline ad innamorarsi di ogni donna in difficoltà che attraversasse la sua strada.

Hank la chiamò dalla finestra sopra alla sua.

“Vieni dentro, Raven, ci sono novità.”

Quando la mutante raggiunse il salone, Erik e Charles guardavano la televisione. Un giornalista descriveva gli eventi del congresso di Parigi sugli accordi di pace definendolo un successo per quanto aveva a che fare con il ritiro delle truppe americane dal Vietnam. A latere, invece, descriveva i disordini seguiti alla firma con tinte fosche e presagi orrendi su una nuova minaccia che incombeva sul Paese.

Raccontava nel dettaglio che un gruppo di sovversivi definiti ‘mutanti’ aveva tentato di far saltare la firma degli accordi e che a sostegno di questa teoria c’era anche il fatto che era stato individuato   Erik Lehnsherr appena evaso dalla prigione di stato di Washington tra coloro che avevano provocato i disordini.

Erik se ne stava appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate sul petto. Non disse una parola. Charles sprofondò nella poltrona dove si era accomodato.

“Non sembrano buone notizie.” Sentenziò Hank. Erik gli rispose col suo solito sarcasmo.

“Ora capisco perché non ti dicono mai un cazzo!”

Il giornalista continuava commentando gli eventi successivi e rassicurando i telespettatori che il governo americano stava già approntando delle soluzioni per la risoluzione della nuova minaccia.

“Invece di fermare Trask, lo abbiamo aiutato!” Esclamò Raven indicando il televisore. “Dovevate lasciarmi fare. Ora sarebbe sottoterra e noi ci saremmo tolti un pensiero.” Charles si alzò e fece un paio di volte avanti e indietro prima di risponderle.

“Sarebbe andata nello stesso modo. Almeno le Sentinelle sono ancora negli Stati Uniti e non in mano ad altre potenze.”

“La consolazione dei giusti.” Commentò Erik.

“Secondo te, cosa dovremmo fare? Ti ascolto.”

“Andare a Washington e chiudere questa faccenda. Dimostriamo loro che non devono osare sfidarci.”

“In qualche modo, dobbiamo fermare Trask.” Gli fece eco Raven.

“Sono passati dieci anni. Non siamo stati una minaccia per loro e loro non sono stati una minaccia per noi. E sapete perché?” Domandò loro Charles. “Perché non esiste un noi e un loro. Siamo tutti esseri umani.” Erik raggiunse la scrivania di Charles e prese un volume pesante in pelle blu. L’apri e lesse.

“Alla comparsa della specie mutata ha fatto sempre seguito l’estinzione della specie precedentemente dominante. Sono parole tue, non mie eppure non vuoi accettarle dopo tutto questo tempo e dopo tutti i morti. Non è vero ciò che dici quando affermi che non sono stati una minaccia per noi. Ci hanno perseguitati e feriti. Se non dimostriamo che può toccare anche a loro, non ci lasceranno mai in pace. Questo è il momento di reagire.” Charles si voltò verso Raven.

“E’ così che la pensi anche tu?”

“Non voglio fare del male a nessuno. Voglio solo impedire a Trask di continuare a fare a pezzi quelli come noi.”

“Le vie di mezzo non sono utili a nessuno. O ti decidi a tornare Raven o diventi Mystica.” Gli disse Erik. Raven sorrise con scherno.

“Ho provato ad essere Raven e ho provato ad essere Mystica. La vita la vivo a modo mio e con le mie regole. Mi sembra che finora ho contribuito alla causa molto più di voi. Ho riportato Alex a casa e se non vi foste messi in mezzo, avrei anche vendicato Angel e Azazel.”

“Anche io penso che dovremmo andare a Washington,” disse Charles, “Trask va fermato ma dobbiamo farlo facendo capire a chi decide che non deve considerarci una minaccia.” Erik allargò le braccia.

“E pensare che dovresti solo entrare nella mente del Presidente e ordinargli di confinare quel figlio di puttana per l’eternità.”

“Sì, magari ordinargli di confinare tutti quelli che non sono d’accordo con le tue teorie per l’eternità.” Sputò fuori Charles.

“Non ti sei fatto scrupoli a controllare me.”

“A controllare te? Tu definisci quello che ho fatto, controllarti?”

“Non conta se sono pochi minuti o una vita. L’hai fatto.”

“Ma fammi il piacere, Erik!” Fu il campanello a interrompere la loro diatriba.

Hank andò ad aprire e si ritrovò davanti la figura minuta di Lucy Abbott. 

“Posso entrare? Devo parlare con il professore.” Hank guardò la porta del salone, indeciso sul da farsi ma Charles lo precedette comparendo sulla soglia della stanza.

“Ciao, cara, come posso aiutarti?” Chiese con voce premurosa. Lucy lo guardò per un momento e poi si rivolse ad Hank.

“Ma sta bene?” 

“Domandalo a me, non a lui.” Fece Charles avanzando verso di lei. Lucy fece istintivamente un passo indietro.

“Voglio parlare con il professore.” Ripeté Lucy. La voce di Charles stavolta era più calda e familiare ma non proveniva dalla figura davanti a lei.

“Raven, lasciala in pace, lei non è un pericolo.” Mystica riprese le sue forme.

“Non si sa mai. Non lavora per Trask?” Lucy si girò nella direzione dalla quale proveniva la voce del professore e vide Charles.

“Non lavoro per Trask. Io sono una dipendente dell’Hellfire Club. Lavoro per il signor Pierce, ma sono qui in veste di amica di Tessa.” Charles le indicò il salotto. Quando passò vicino ad Erik lui le tirò una frecciatina.

“Allora il tuo super potere è davvero riconoscere gli stronzi.”

“Il piacere di rivederti è tutto tuo, sign.Magneto.”

“Dimmi che succede.” Tagliò corto Charles.

“Ho un messaggio di Warhawk. Dice che se siete amici di Tessa, questo è il momento di dimostrarlo.”

“Che significa?” Chiese Erik facendosi subito serio. Lucy scosse il capo.

“Non lo so. Tanner è stato mandato a prendere Tessa al suo appartamento il giorno stesso in cui siete tornati da Parigi. Quando è arrivata aveva un pessimo aspetto. Era pallida e aveva diversi lividi ma Tanner ha giurato di non averla toccata. Pierce si è chiuso con lei per due ore e quando sono usciti ha ordinato che fosse portata al Chiostro.”

“Il Chiostro? Che cos’è?” Chiese Charles sempre più teso.

“Un posto orribile. Quelli che ci vanno, non tornano più.” Lucy strinse una mano nell’altra. “Per correttezza devo dirvi che Tessa non vuole il vostro aiuto. Quando le ho detto che sarei venuta a cercarti, professore, mi ha intimato di non farlo.”

“Ti ringrazio per averle disobbedito, allora.” Disse il professore sorridendole con dolcezza. “Tu sai dirmi dove si trova questo Chiostro?”

“Tanner mi ha dato l’indirizzo. Non posso esserti d’aiuto più di così. Non so com’è fatto,  né Tanner era disposto a dirmi di più. Sappi che Tessa è lì da tre giorni. Potrebbe anche essere morta.”

“Sono certo che non è così, Lucy. Tu piuttosto, sei al sicuro?” Lucy alzò appena le spalle.

“Sinceramente, non lo so. Non è importante ora. Professore, ti servirà aiuto. Pierce ha Tanner e molti mercenari armati. In più, dove va lui, va Payge. Lei è in grado di controllare le persone con la voce.” Charles si voltò verso Erik e il tedesco fece solo un leggero cenno d’assenso col capo.

“Ho tutto ciò che mi occorre. Prima però devo trovare lei. Hank mi servirà Cerebro.” Il ragazzo annuì con gioia all’idea che Charles stesse tornando alle vecchie abitudini e corse di sotto.

A raffreddare gli ardori di tutti, pensò Raven.

“E Trask? Che ne è stato della missione? Non dovevamo cambiare il futuro di Lena?” Charles si sentì colpito personalmente da quelle parole.

“E che ne è stato di salvare quelli come noi?” La rimbeccò Erik.

“La vita di una sola mutante di fronte alla possibilità di salvarne milioni oggi e negli anni a venire. Può darsi però che quest’unica vita per voi sia più importante di tutte le altre.” Charles strinse un pugno.

“Perché lo fai, Raven? Perché mi condanni a questo modo?” Fece un passo verso di lei come se fosse tutto il suo corpo ad avere bisogno di una risposta ma la mano di Erik lo trattenne. Quella presa sicura sulla sua spalla gli ridiede vigore.

“Non adesso.” Disse soltanto. Fu Lucy, però, a rincuorare Charles.

“Andrò io con lei. La porterò fino alle sentinelle.”

“E io andrò con loro.” Hank era tornato dai sotterranei. 

“Per controllarmi?” Chiese Raven.

“Per sostenerti. E dimostrarti che sono fiero di ciò che siamo, Raven.” La risposta dell’uomo colse di sorpresa la donna che non rispose. 

 

Tessa sapeva che erano passati tre giorni da quando era stata confinata in quella stanza buia.

Non l’avevano toccata e le avevano portato pane ed acqua. Non era quel tipo di violenza che Pierce voleva infliggerle. Ogni cosa, in quella stanza, era stata posizionata per ricordarle la prigionia in cui il padre l’aveva costretta da quando era una ragazzina.

Persino il il buco rotondo sulla porta chiuso da un pezzo di vetro sporco.

Tessa però non era più la bambina spaventata che aveva abbandonato ogni speranza e ceduto i suoi poteri al padre e quella stanza non era la cella della macchina che Sebastian Shaw aveva costruito per lei.

Si alzò e camminò avanti ed indietro per sgranchirsi le gambe. Il dolore all’addome non era scemato. Si era fatto più intenso e il livido che faceva bella mostra di sé sotto la maglia indicava chiaramente che qualcosa non andava sotto pelle.

Nonostante fosse ferita, la sua mente era tornata lucida. Era riuscita a prevedere l’esito delle azioni poste in essere a Parigi e non le era piaciuto affatto. Il governo degli Stati Uniti si sarebbe sentito minacciato da quelle schermaglie provocate apparentemente dai mutanti e avrebbe accettato di finanziare Trask.

Aveva cercato di capire anche se aveva più possibilità di uscire da quella cella o di morirci e anche stavolta l’esito dei suoi calcoli non le piacque.

Per un attimo le mancò il fiato ed ebbe paura. Chiuse gli occhi e cercò di respirare normalmente. Le tornò in mente l’immagine mastodontica della Torre Eiffel e, per associazione, il momento in cui Erik l’aveva sollevata nel cielo di Parigi e l’aveva stretta.

Si sentì arrossire ma la sua mente fu trascinata improvvisamente verso qualcosa di altrettanto avvolgente e familiare.

“Tessa.” 

La voce di Charles. Era un ricordo intenso. Lo trattenne. Chiuse gli occhi di nuovo. 

“Mi manchi, professore.”

“Non sei sola.”

Tessa spalancò gli occhi. L’oscurità era ancora tutta intorno a lei ma qualcosa era cambiato. Era come se la voce di Charles non fosse nella sua testa ma nella stanza. 

“Non venire qui, Charles. Questa è una tomba per le lucciole. Resta nella luce.”

Il rumore metallico del chiavistello della porta che si muoveva la riportò alla realtà. Si alzò e si concentrò. Forse non sarebbe mai uscita da lì ma un nuovo potere scorreva nelle sue vene e lei lo avrebbe utilizzato per portare a terminare la sua missione. A qualunque costo.

 

Raggiunsero la fine del corridoio sotterraneo. Hank, che li precedeva, si spostò di lato e lasciò che la luce azzurra dell’occhio di Cerebro scannerizzasse la figura di Charles.

“Qualcuno qui è maniaco della sicurezza.” Disse Erik. Hank si sentì chiamato in causa.

“Era un progetto della CIA. Ed è troppo pericoloso perché qualcuno che non sia Charles lo usi.”

Il raggio blu a forma di X passò lungo il corpo di Charles e, quando raggiunse i suoi occhi, sbloccò la serratura.

“Benvenuto, professore.” La voce di donna che li accolse turbò Erik.

“Hai messo la voce di Lena in questa macchina?”

“Lo so, non è stata una buona idea. Da ubriachi sembrava meno inquietante.” 

Entrarono e Charles raggiunse il punto più interno della macchina. Sollevò il casco e lo indossò.

Nonostante fossero passati più di dieci anni, vedere Charles con quel casco puntellato di luci blu in testa lo inquietava ancora.

“Sei sempre sicuro che usare quell’affare non sia nocivo?” Chiese fingendo di non essere preoccupato.

“Non lo è. Hank accendilo.”

La luce si spense e la sfera si riempì prima di piccole luci blu e poi di tanti punti rossi.

“Cosa sono?” Chiese Erik.

“Cerebro distingue gli umani dai mutanti.” Gli rispose Hank. 

Charles si appoggiò al corrimano di metallo e si sforzò di resistere al dolore che ancora provava nell’avvertire tutte quelle voci nella testa contemporaneamente.

“Charles, qui non riesco a proiettare il mio scudo.” Ammise Erik.

“Cerebro è un ambiente isolato. Inoltre la mente di Charles avvolge tutto e si proietta all’esterno. Qui lo spazio si distorce.”

“Si proietta dove?” Chiese Erik.

“Ovunque.” Erik si rivolse a Charles.

“Se è troppo, troveremo un altro modo.”

“Le lucciole.” Rispose Charles.

“Cosa? Che significa?” Chiese perplesso Erik rivolgendosi ad Hank.

“Non ne ho idea.”

“Le vedo. Lei è tra le lucciole.” Charles allungò una mano e tutti i puntini rossi e blu sparirono. Ne rimase solo uno e rappresentava la mente di Tessa. Brillava ad intermittenza. Come le lucciole. Il viso di Charles divenne una maschera di dolore. “E’ ferita. Ha paura di morire. Tessa.” La chiamò piano. “Non sei sola.”

“Charles, dove si trova. Concentrati sul luogo.” La voce di Erik lo riportò alla realtà.

“E’ un vecchio edificio adiacente ad un cimitero. Si entra dalla vecchia chiesa in disuso. E’ nei sotterranei. Due, no, tre piani sottoterra. C’è un uomo con lei. No!” Gridò sfilandosi il casco di corsa.

“Che succede?” 

“L’ha colpita.”

“Chi?” 

“Non lo so.”

“Pierce?” Chiese Erik.

“Ti ho detto che non lo so!” Urlò Charles. La stanza in cui si trova Tessa è isolata. Appena hanno chiuso la porta, è sparita.

“Come la camera in cui si nascondeva Shaw.”

“Esatto.”

“Allora dobbiamo andare subito.” Tagliò corto Erik. 

“Hank, tu va’ con Raven e fa in modo che ci aspetti. Noi vi raggiungeremo a Washington dopo aver liberato Tessa.”

“Charles,” lo richiamò mentre il professore seguiva Erik, “ti fidi ad andare con lui in un posto simile?” Chiese a bassa voce perché Magneto non sentisse quella conversazione.

“Ho altra scelta?”

“Posso venire io con te.” Charles scosse il capo.

“No, andrà tutto bene. Con lui posso salvare Tessa. Glielo devo. E’ merito suo se ho di nuovo il controllo della mia mente. In più, per Erik è l’occasione per pareggiare i conti. Non la sprecherà.”

La voce dell’altro li interruppe.

“Non vieni?” Charles diede una pacca sulla spalla ad Hank e raggiunse Erik di corsa. L’uomo lo guardò mentre entravano in ascensore. “Non si fida di me, vero?”

“Ha torto?”

“Sì. Muoviamoci.”

Charles gli sorrise mentre le porte dell’ascensore si chiudevano.

 

Indulgere nella speranza le era costato. 

Se mai la voce di Charles l’aveva raggiunta in quella stanza, Pierce l’aveva spazzata via.

Non si era illusa che lui l’avrebbe semplicemente confinata, abbandonando ogni pretesa su ciò che lei gli aveva promesso.

Non si aspettava però neppure che l’avrebbe torturata con le sue mani. Per due giorni l’aveva picchiata, tenendola appesa per i polsi ad una trave. 

L’aveva soffocata, annegata, schiaffeggiata, ma mai fino ad ucciderla. 

La sua rivincita stava esattamente in quel suo modo di portarla fino ad un passo dalla liberazione e poi annientarla con la consapevolezza che sarebbe sopravvissuta ad un altro giorno di torture.

La stanza puzzava di sangue. Quell’odore le era entrato fino nei polmoni e non se ne andava più. Non che avesse importanza. Ormai non distingueva più l’ora del giorno, né i confini delle cose che erano nella stanza. 

Le era rimasto solo il suo potere. Per giorni si era rifiutato di usarlo anche quando il dolore era diventato insopportabile.

Lo aveva fatto con un unico scopo. Avere l’occasione di uccidere Pierce. 

Indulgere nella speranza era un errore. Non confidava sul fatto che la morte della persona più potente dell’Hellfire avrebbe sgominato il club. Tuttavia la morte di suo padre aveva regalato all’umanità quasi dieci anni di pace. 

Il rumore del catenaccio la fece trasalire. La porta si aprì. Pierce entrò nella stanza con il suo solito cipiglio sicuro. Si tolse la giacca dell’abito buono e la passò a Payge. 

Anche se non riusciva a vederla, poteva sentirla.

“Come sta la signorina Shaw, stamattina?” Non che si aspettasse una risposta. “Da dove cominciamo? Dalla solita domanda? Mi consegnerai Magneto?” Tessa rise e sputò sangue. Pensò che ormai le sue ferite fossero talmente gravi che, seppure Pierce avesse smesso di torturarla, sarebbe affogata nel suo stesso sangue. “Immagino sia il solito rifiuto. Lo sai cosa farò quando avrò finito con te? Andrò dal tuo bel professore e gli taglierò la gola.” Disse prendendo un coltello da un piano metallico accanto alla porta. Tessa non reagì. Poteva essere quella l’occasione ma non fino a che il coltello stava nella mano di Donald. Si sforzò di agire, di reagire ancora una volta.

“Sai Pierce, tu hai un problema.” L’uomo la guardò divertito.

“Davvero? E quale?”

“Tu parli, minacci, ma quel coltello, beh, lo stai agitando da giorni. Per come la vedo io, non sei capace di usarlo.” Pierce cambiò espressione.

“Tessa, vuoi che ti uccida? Perché non so se ho già finito con te.”

“Potresti uccidermi di noia, forse.” Un malrovescio la fece ondeggiare. Lei sorrise di sfida. “No, non lo sai usare usare il coltello.” 

La lama le tagliò la pelle dell’addome in modo superficiale ma deciso. Fu mentre il dolore aumentava che si concentrò sull’arma e riuscì a sfilarla dalle mani di Pierce. Ricordò la sensazione di liberazione che aveva provato quando Charles aveva usato il suo potere per controllarla. Lasciò che la sua mente uscisse dal suo corpo. Proiettò il suo scudo gravitazionale oltre i limiti a cui si era abituata e immobilizzò Pierce.

Era ferita, sanguinante, debole ma la sua mente era lucida, addestrata, pronta. Il coltello saettò è si conficcò nel corpo di Pierce. Nella schiena esattamente. Purtroppo non alla base del collo come aveva sperato.

L’uomo urlò e si accasciò per un momento. Sembrava confuso, come non riuscisse a credere che Tessa potesse, nelle sue condizioni, costituire un pericolo. 

Invece la donna si concentrò e tutto quello che poteva muoversi nella stanza si sollevò e finì addosso a Pierce. La porta si aprì e Tanner entrò con l’espressione di uno a cui hanno forzato la mano su una cosa che gli sta a cuore. Di fatto era così.

Mitchell aiutò Pierce ad alzarsi e si rivolse a Tessa.

“Mi dispiace, bambina.” La colpì al volto con violenza al punto che lo zigomo destro si aprì, sanguinando.

“Uccidila.” Pierce lo disse quasi sibilando di rabbia. “Uccidila.”

Indulgere nella speranza le era costato. 

“Mi dispiace, davvero.” Ripeté Tanner.

“Non importa,” rispose lei, “ho fatto quello che dovevo.” Chiuse gli occhi. Non per paura. Solo perché aveva finito.

Tanner le portò una mano alla gola e strinse. Digrignando i denti perché era la voce di Payge nell’auricolare ad ordinargli di obbedire a Pierce. Lottando, per una volta, contro quegli ordini così intensamente che quando udì che doveva lasciare la presa, pensò di essere riuscito, per una volta nella vita, a fare andare le cose nel modo giusto.

Tessa ricadde, penzoloni alla trave, ormai priva di sensi. Pierce, un po’ per il dolore, un po’ per rabbia, gridò.

“Ammazzala!” Il rumore della porta che saltava dai cardini, li fece voltare entrambi. 

“So che mi cercavi, signor Pierce.” Il capo dell’Hellfire si girò a guardare colui che aveva osato fare irruzione nella cella. Era una figura composta e slanciata. Teneva un piede appena davanti all’altro e una mano aperta e tesa rivolta verso di lui. Pierce non capì subito chi aveva di fronte. Fu quando il  tubo di ferro, che correva lungo la trave da cui penzolava Tessa, saltò che comprese che quello era Erik Lehnsherr.

Fece un passo indietro e ordinò a Tanner di attaccare. Erik rise mentre Pierce guardava il marine che restava immobile accanto a lui.

“Vedrò di essere chiaro. Credevi di essere al sicuro in questa prigione di cemento armato? O forse pensavi che i tuoi soldi o il potere del club fossero sufficienti a difenderti da noi?”

“Noi?” Chiese Pierce sempre più smarrito.

“Noi.” Ripeté Erik ma Donald sentì la voce di un’altra persona nella sua testa. E non fu come quando Payge gli sussurrava all’orecchio. La voce era nella sua testa e sembrava come se gli fosse penetrata in ogni fibra del cervello.

“Noi. Non la toccherai mai più o ti distruggeremo. Lui col ferro e io col fuoco.” 

Pierce si portò entrambe le mani alla testa e cadde in ginocchio. Gli doleva e bruciava come mai in vita sua. Improvvisamente quel dolore cessò. Lui ebbe appena il tempo di alzare lo sguardo che una sfera di metallo lo colpì alla testa e lo fece ricadere all’indietro. Si lamentò.

“Sei fortunato che sia lui a dirigere il gioco. Io non ti avrei risparmiato.” Erik si chinò a prendere tra le braccia Tessa. La voce di Charles, che lo accompagnava da quando erano arrivati al Chiostro, lo raggiunse.

“E’ viva?”

“Sì. Guidami. Voglio andarmene da questo posto.”

“Esci e vai a destra. Ho preso il controllo della mente di Payge e le ho ordinato di cantare una ninna nanna a tutti i suoi uomini. Warhawk compreso. Troverai una scala. Salì di un piano. Io sarò lì ad aspettarti.”

Erik guardò la donna che aveva tra le braccia. Aveva detto a Charles che era viva ma non era certo che lo sarebbe stata a lungo. Si mosse come da istruzioni, facendo comunque attenzione che i soldati immobili e abbandonati lungo il corridoio non si muovessero. 

Quando arrivò alla scala, il corpo tra le sue braccia si mosse. Guardò il viso di Tessa e si accorse che i suoi occhi erano socchiusi.

“Erik,” balbettò, “sei tu?” Non rispose e lei perse i sensi troppo rapidamente perché lui trovasse il coraggio di dire qualcosa.

Alla cima della rampa di scale, Charles li aspettava con le chiavi di un’auto. Diede un’occhiata a Tessa e dovette girare la testa per non mostrare all’amico quale effetto avesse avuto su di lui vedere la donna nelle condizioni in cui era. Arrivarono all’auto e il professore non riuscì ad infilare la chiave nella serratura tanto gli tremavano le mani.

“Guido io.” Disse Erik usando il suo potere in modo che la chiave si infilasse e girasse per aprire la macchina. Charles gliene fu grato. Si accomodò sui sedili posteriori e sistemò la testa di Tessa sulle sue gambe. Erik accese il motore e lasciarono il Chiostro. Nell’oscurità della sera, sulle tombe del cimitero, le lucciole danzavano a coppie.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Non devi essere la Tour Eiffel ***


Capitolo IX
Non devi essere la Tour Eiffel

 

Il piano era stato un successo.

Erik lo aveva definito ‘il solito piano’ e prevedeva che Charles restasse nelle retrovie a suggerirgli come muoversi e che lui facesse piazza pulita.

Charles aveva acconsentito ma con una variante. Sarebbe entrato anche lui nel Chiostro. Se c’era una telepate, doveva essere lui a confrontarsi con lei. Erik doveva raggiungere subito Tessa.

Usare la voce di Payge per ‘fare piazza pulita’ al posto di Erik senza versare una goccia di sangue, era stato un colpo da maestro e aveva tolto ogni divertimento ad Erik costretto anche a lasciare andare Pierce.

“Non l’ho ucciso perché mi avresti biasimato ma sono certo che me ne pentirò.” Aveva sentenziato mentre guidava. 

Charles, dal canto proprio, non aveva tenuto in vita Pierce per un atto caritatevole. Non era nella sua migliore predisposizione per fare gentilezze quel giorno. Lo aveva fatto perché Pierce gli era sembrato troppo debole e stupido per essere il capo dell’Hellfire e voleva molte risposte prima di tagliare la testa dell’Idra e ritrovarsene altre due da gestire.

“Ha bisogno di un ospedale.” La voce di Erik lo riportò alla realtà.

“Nessun ospedale. Sono enti controllati dal governo. Ho perso molti studenti proprio dopo essere entrati, per diversi motivi, in una struttura medica. Alcuni di essi dirottano i mutanti proprio verso le Trask Industries.”

“Quindi cosa proponi?”

“Torna in centro e raggiungi un locale chiamato ‘Morlock’.”

“Sei sicuro di quel che fai?”

“Non perdere tempo.”

Erik guidò fino al locale e parcheggiò nel retro. Fece scattare tutte le serrature dei maniglioni anti panico del locale e precedette Charles che portava in braccio Tessa che non era più rinvenuta.

Una ragazzina si frappose fra loro e un’ultima porta. Erik s’accorse che teneva una mano stretta a pugno dal quale partivano piccole scariche elettriche di colore viola. Una voce la chiamò e la ragazza si voltò.

“Betsy, tesoro, non sono nemici. Torna a giocare di là.” Un uomo senza capelli e dalla carnagione chiarissima avanzò lentamente. Allargò le braccia e fece un cenno col capo.

“Siete i benvenuti nella mia umile dimora.” La ragazzina si nascose dietro al suo abito bianco continuando a guardare con diffidenza i nuovi arrivati. L’uomo continuò. “Vedi, mia piccola Betsy, loro sono ospiti molto importanti. Calibano è felice di ricevervi.” Charles si fece avanti mostrando il corpo di Tessa.

“Puoi aiutarci?”

“Posso aiutare il prof. Xavier. Egli è un uomo buono e compassionevole. Calibano lo ammira. In quanto al potente Magneto, Calibano cosa può fare per lui?”

“Niente. Io li ho solo accompagnati. Come sai chi siamo?” Anche stavolta fu Charles a rispondere.

“La sua mutazione gli consente di percepire quale sia la nostra. Ci ha riconosciuto per questo.”

“Per questo e per la tv. Siete mutanti molto famosi.” Erik sollevò gli occhi al cielo.

“Non le resta molto tempo.” Fece Charles.

“Venite con me. Calibano è abile in molte cose. Starà bene.”

Charles ed Erik seguirono l’uomo per il corridoio fino ad una scale e poi nel seminterrato. Lungo il corridoio c’erano diverse porte. Erik notò che le stanze del locale erano piene di mutanti, la maggior parte dei quali con mutazioni che definire evidenti era un eufemismo. Alcuni di loro gli ricordarono Azazel o Angel e gli si strinse il cuore a pensare che si rintanavano in un locale notturno con le luci a neon per non farsi notare dalla gente comune.

Per tutto il tragitto si accorse anche che la ragazzina aveva sempre tenuto la mano a Calibano come avesse paura a staccarsi da lui.

Raggiunsero una sala che doveva essere un’infermeria ma sembrava più un ospedale da campo.

Charles stese Tessa su un tavolo operatorio e Calibano si alzò le maniche della tunica candida che indossava. 

“La bambina dovrebbe uscire.” Disse Charles.

“Betsy è la mia migliore aiutante.” Rispose Calibano prendendo una siringa che conteneva un potente anestetico e infilandola nel braccio meno martoriato di Tessa. “Fa vedere, piccola mia.” 

La ragazzina passò una mano su un taglio che Tessa aveva alla gamba e una luce violacea brillò per un attimo. Quando Betsy sollevò la mano, la ferita era stata richiusa come se la pelle fosse stata passata sotto una lama incandescente.

“Non useremo questa tecnica per il viso ma per i piccoli tagli va più che bene.” Asserì Calibano. “Uscite, andate a bere qualcosa. Offre Calibano.” Charles non sembrava convinto ma Erik lo tirò per un braccio.

“Hai voluto tu che la portassimo qui. Lascialo lavorare. Vieni.”

Charles si fece condurre fino al piano superiore e, da lì, nel locale. Si accomodarono su un divanetto e una cameriera gli portò due bicchieri di wiskey. Erik le fece portare la bottiglia e le chiese di lasciarla al tavolo.

“Le ci vorranno molti giorni per riprendersi.” Disse Erik finendo il primo bicchiere. 

“So quello a cui stai pensando.”

“Hai ricominciato? Beh, l’ho voluto io e non posso lagnarmene.” Fece Erik alludendo al fatto che Charles gli avesse letto nel pensiero. “Inoltre non hai più bisogno del mio scudo. Come hai fatto? A Westchester hai fatto una tragedia asserendo che i tuoi muri mentali necessitavano di anni di esercizio per essere alzati.” Charles bevve e sorrise guardando il cubetto di ghiaccio che tintinnava nel bicchiere.

“Ho preso in prestito quelli di Tessa. Li ho visti nella sua mente e li ho replicati.”

“Sembrate fatti l’uno per l’altra!”

“Non scherzare sui miei sentimenti per Lena.”

“E’ di questo che si tratta? Nostalgia?”

“Perché? Non è di questo che si tratta? Non ti è affatto indifferente come sostenevi.”

“Non prenderti tu gioco dei miei sentimenti. Per me è solo una donna che somiglia a Lena.” Charles versò altro liquore nel suo bicchiere e in quello di Erik.

“Per me, no.” Lo ammise candidamente.

“L’ho capito a Parigi.”

“Leggere i miei pensieri è un nuovo super potere.” Lo canzonò Charles.

“Mi piacerebbe ma tu mi mostri solo quello che vuoi. Adesso per esempio,” disse sorseggiando il liquore, “non so se vuoi comunque andare a Washington o preferisci aspettare che Tessa si riprenda.” Charles bevve il suo bicchiere tutto d’un fiato.

“Andiamo a Washington. Non so se Tessa ha visto le conseguenze delle nostre azioni. Non posso fermarmi adesso. Forse è come dici tu. Non ho lottato per le cose a cui tenevo. Devo farlo adesso.”

“Prendi sempre troppo sul serio le cose che ti dico, vero? Non è stata colpa tua.”

“Cosa?”

“Il mio arresto, la fuga di Raven, la morte di Lena.”

“Non è stata neppure colpa tua. Beh, forse il tuo arresto, quello sì.”

“Dev’essere per forza colpa di qualcuno?”

“Siamo noi a muovere i fili del nostro destino.” Charles giocava con il tappo della bottiglia.

“Le tue belle frasi ad effetto. Non potrebbe essere semplicemente la vita ad avere la colpa?”

“La vita è bella, Erik.”

“La vita è vita, Charles. E’ l’unica cosa veramente nostra, per questo ci restiamo attaccati con le unghie e coi denti. Anche quando fa schifo e sembra che morire sia una prospettiva migliore.”

“Erik, una volta mi hai detto che la pace non è mai stata un’opzione per te, ricordi?”

“Non potrei dimenticarlo neanche volendo.” Erik portò il suo bicchiere alle labbra e lasciò che il liquore gliele bagnasse appena.

“La pensi ancora allo stesso modo?”

“Che vuoi che ti dica? Dimmelo tu. Sono passati dieci anni. Non c’è mai stata pace, non solo nelle nostre vite.”

“Quindi, secondo te, dovremo passare il tempo che ci resta combattendo giorno dopo giorno?”

“Non tu. Tu puoi costruire qualcosa di buono. Io credo di non avere il tocco.” Disse ridendo e mimando il movimento delle dita che Charles faceva quando chiedeva il permesso di leggere la sua mente.

“Tu potresti edificare città intere senza muovere un dito.”

“E tu vedi ancora quel lato di me che nessuno vuole.” Charles strinse più forte il suo bicchiere. “Non puoi salvare colui che non cerca la salvezza, Charles.”

“Non penso di doverti salvare. Vorrei solo che fossi felice.” Erik sentì salire le lacrime agli occhi pensando che la verità è sempre semplice. Forse, pensò, era Charles a farla sembrare semplice. Ci provò anche lui.

“Non credo che umani e mutanti possano vivere in pace. E questo mi porterà sempre lontano sia dalla pace che dalla felicità.” Charles sollevò lo sguardo dal bicchiere e lo puntò su di lui.

“Il tuo punto di vista è legittimo e, dato che siamo in vena di sincerità, credo che sia quello più realistico. Tuttavia cosa è mai venuto dalle guerre? L’umanità non ne ha già combattute a sufficienza per capire che, alla fine, sono inutili?”

“Non lo sono affatto. Hanno sempre uno scopo e raggiungono sempre un fine. Spesso immorale, te lo concedo, ma utile. Una volta Shaw mi disse che noi mutanti siamo figli dell’atomo. Forse, senza la guerra nucleare, non saremmo neppure venuti al mondo.”

“E quale sarebbe lo scopo della nostra mutazione se non migliorarci. E quale cambiamento più radicale nell’essere umano ci può essere se non l’accettazione del superamento del confronto armato?” Erik lo ascoltò con attenzione poi mosse il bicchiere di vetro come in una mossa di scacchi.

“Mi è mancato parlare con te. Stasera però vorrei ubriacarmi e pensare solo che abbiamo fatto una cosa buona.” Charles fece tintinnare il suo bicchiere con quello dell’altro ma si girò percependo un’altra persona. Era Betsy, la piccola aiutante di Calibano.

“Si è svegliata.” Disse solo e i due uomini si alzarono per seguirla verso l’uscita dal locale.

 

Tessa aprì gli occhi in un ambiente che non conosceva. Non era morta, ma il dolore che sentiva in tutto il corpo era tale da farle mancare il respiro.

Provò a concentrare le poche energie che aveva sull’ambiente circostante ma non riconobbe niente.

Si ricordò di aver udito la voce di Charles prima che Tanner la colpisse con violenza obbedendo agli ordini di Pierce. Si portò una mano al viso che pulsava e si chiese se la sensazione di essere stata di nuovo tra le braccia di Erik fosse frutto del suo dolore.

La porta della camera si aprì e un uomo magro e pallido si spostò appena di lato per consentire a Charles e ad Erik di entrare nella stanza.

“Tessa, come ti senti?” Chiese Charles sedendosi sul letto accanto a lei. 

“Dolorante.” Rispose lei piano. Il suo sguardo si spostò da lui ad Erik che era rimasto più indietro con entrambe le mani infilate in tasca. “Siete venuti al Chiostro?” Sussurrò a fatica senza smettere di fissare il più grande dei due uomini.

“Non credevi che se fossi stata in difficoltà, saremmo venuti in tuo aiuto?” Chiese Charles con dolcezza ma Erik avanzò di qualche passo e parlò.

“Non credeva che io l’avrei fatto.”

“Avete ucciso Pierce?” Chiese lei senza smettere di fissare Erik. Lui rise.

“Adesso spiegaglielo tu che l’abbiamo lasciato vivere!” Esclamò lui all’indirizzo di Charles. “Le mie proteste sono state messe agli atti e ignorate.”

“La cosa importante era portarti al sicuro.” Fece lui.

“Siamo al sicuro, Tessa?” Le chiese Erik alludendo alla sua capacità di vedere il futuro. Lei chiuse gli occhi e prese alcuni respiri profondi. Riaprì gli occhi gemendo.

“Non devi sforzarti adesso.” La rassicurò Charles, ma Tessa scosse appena il capo.

“La risposta a questa tua domanda è no, Erik.” Lui guardò Charles che, a propria volta, si rivolse a Tessa.

“Cos’hai visto?”

“Trask a Washington. Nixon gli crederà. Attiveranno le sentinelle.”

“Perché il presidente dovrebbe farlo?”

“Raven. Non ha cambiato idea.” Erik sbuffò.

“Non dovevamo lasciarla andare da sola a Washington.” Commentò con un tono carico di disapprovazione.

“C’è Hank con lei. Non le permetterà di nuocere.”

“Potrebbe essere costretta a farlo.” Disse Tessa.

“Perché?” Chiese Charles.

“Trask si serve di un uomo di nome Stryker. Era con lui a Parigi. Stryker in passato ha fatto accordi con Pierce. Lui doveva individuare i mutanti e passare quelli con poteri particolarmente utili al circolo Hellfire, ma è passato dalla parte di Trask.”

“Per qualche motivo particolare,” chiese Erik, “o è un doppiogiochista?” Tessa si sforzò di sollevarsi appena e Charles l’aiutò sistemandole un cuscino dietro la schiena.

“E’ un doppiogiochista ma ha delle motivazioni personali. Odia i mutanti. Per Donnie essi hanno un valore da vivi, per Trask ce l’hanno da morti. Stryker preferisce la seconda visione delle cose.”

Erik guardò Charles masticando amaro.

“Credi ancora che abbiamo una possibilità di uscire da questa faccenda senza prendere una posizione ben definita?” 

Charles lasciò il fianco di Tessa e raggiunse Erik parlando sottovoce.

“Io ho una posizione ben definita solo che a te non piace. Non turbiamo Tessa, lasciamola riposare e andiamo a parlare fuori.” Erik alzò gli occhi al cielo.

“Non è una bambina. Lei vede il futuro, pensi che possiamo nasconderle qualcosa?”

“Non voglio nasconderle niente, voglio solo che adesso non si agiti. E’ stata appena operata.”

“Mi lasci solo un minuto con lei?” Charles sorrise intuendo i pensieri dell’altro e annuì lasciando la stanza. “E non leggermi nel pensiero, reverendo!” Esclamò Erik chiudendo la porta. 

Camminò fino al letto in cui Tessa era distesa e si sedette dove era stato Charles fino ad un attimo prima. Lei lo guardò e scosse la testa.

“Anche tu leggi nel pensiero?” Fece Erik fermandosi a guardare il braccio della donna nel punto in cui l’ago della flebo lo forava.

“Non ci vogliono i poteri di Charles per capire cosa stai per fare.”

“E cosa starei per fare?”

“Chiedere scusa.” Erik fece un ghigno con le sue labbra sottili.

“E non dovrei farlo?” Tessa scosse di nuovo il capo. “Perché no?”

“Perché non sei stato tu a farmi questo. E perché io avevo davvero intenzione di consegnarti a Pierce.”

“Questa vorrei che me la spiegassi. Se hai scaricato i ricordi di Lena, sai che non volevo ucciderla. Perché ce l’hai con me?”

A Tessa scappò da ridere ma il dolore all’addome la fece tremare e gemere.

“Non ce l’ho con te. So che non hai sparato a Lena di proposito e so anche che volevi vendetta per quello che mio padre ha fatto a tua madre. I ricordi di Lena in proposito sono molto dolorosi. Ho accettato l’accordo di Pierce perché prevedeva di consegnare te o Charles. Avevi ragione anche su questo.”

“Se me lo avessi detto, se ne avessi parlato con me sul tetto dell’hotel la sera che ti ho offerto di scaricare i miei pensieri, ti avrei accompagnato io stesso all’Hellfire. Le cose non sarebbero andate come voleva Pierce, ma avrei potuto proteggere Charles,” disse sfiorandole la fronte, “avrei potuto proteggere te.”

“Puoi ancora proteggere Charles. In quanto a me, sei venuto a salvarmi. Credo basti.”

“Questa,” disse lui toccandole il fianco fasciato, “te l’ho fatta io. Ero arrabbiato, mi sono sentito tradito come quel giorno sulla spiaggia di Cuba. Ho rivisto Lena che sceglieva Charles.”

“Per quello che vale,” rispose lei, “non intendevo più rispettare quel patto. Ero sincera quando ti ho detto che non hai perso la tua umanità nonostante tutto.”

“Tessa, io fermerò Trask. Non so se facendolo cambierò il futuro che ha visto Lena e non posso rischiare di peggiorare ancora le cose per cui tu devi scaricare la mia memoria e dirmi che succederà.”

Lei fece forza sui gomiti e si mise seduta. Guardò Erik dritto negli occhi per cercare un briciolo di dubbio o incertezza. Non ne trovò.

“Lo farò. Ho dedicato tutta la mia vita a questa missione. Voglio fermare ciò che ha iniziato mio padre. Voglio impedire il futuro che ha visto mia sorella. Voglio farlo per renderle almeno in parte giustizia.” Disse stringendo le lenzuola sporche del suo sangue. “In fondo la morte di Lena è stata colpa mia.”

“Tua?” Chiese Erik perplesso.

“Io ho forzato la sua mente, le ho mostrato uno scenario derivante dalla sua scelta di fermarti e lei ha deciso diversamente. L’ho condotta su una strada diversa e troppo breve.”

“Se non avessimo ucciso tuo padre, sarebbe stata troppo breve per tutti. Ora scarica la mia memoria e dimmi cosa devo fare.”

Tessa sollevò una mano e toccò la fronte di Erik. 

La donna avrebbe voluto scaricare solo i suoi ricordi successivi al suo primo incontro con Charles, ma fu Charles stesso a rimandarla più indietro fino ai ricordi che Erik custodiva di sua madre, di Shaw, di un popolo spazzato via alla stregua di cenere nel vento.

Istintivamente allungò l’altra mano e tenne la testa di Erik per le tempie.

Assorbì i suoi ricordi su tutti i ragazzi che lui e Charles avevano recuperato e addestrato e in particolare di Raven. 

Mentre lo faceva non si accorse che Erik stringeva i pugni e si lamentava. Si rece conto che stava soffrendo quando sentì il tocco della mano di Charles sul braccio.

“Fermati Tessa. Adesso devi fermarti.” La donna lasciò andare Erik e il flusso dei suoi pensieri e l’uomo riprese a respirare regolarmente. Solo allora il tono di Charles si fece severo. “Si può sapere cosa vi è saltato in mente? Tu sei debole,” disse all’indirizzo di Tessa, “e tu stavi per farti incasinare il cervello!”

“Deve poter calcolare ogni variabile. E non può farlo senza prevedere le mie azioni oltre alle tue. Dovevo farlo.” Gli rispose Erik guardando Tessa. “Ora dimmi che succederà.”

Tessa chiuse gli occhi e si concentrò. Nella sua mente si delinearono decine e decine di scenari e, analizzandoli, più di una volta scoprì che il progetto sentinella veniva portato a termine comunque.

Ad un tratto sussultò e aprì gli occhi di scatto.

“Esiste,” disse piano ma con fermezza, “esiste un modo per fermare Trask e Raven. Non vi piacerà.” Charles si rabbuiò.

“Se prevede la morte di Raven, non l’accetto.” Disse, ma Tessa scosse il capo.

“Nessuno morirà. Però dovrete fidarvi di me perché il piano prevede molti rischi.”

“Parlacene.” Disse Erik.

“Nixon intende fare una dimostrazione dopo gli eventi di Parigi. Trask mostrerà a tutti che le sentinelle possono fermare i mutanti. Bisogna perciò sabotarle. Fare in modo che nel momento più importante, Trask faccia una pessima figura.”

“E’ una buona idea.” Commentò Charles. Tessa continuò.

“Però abbiamo bisogno di un nemico. Qualcuno che costringa Trask a usare le sentinelle.”
“Pensavi a me?” Chiese Erik rassegnato all’idea di essere considerato quello senza scrupoli del gruppo, ma anche stavolta Tessa disse di no.

“Pensavo a Pierce. Non possiamo distruggere Hellfire. E’ troppo ramificato per sradicarlo in un colpo solo. Però possiamo togliere di mezzo Donnie e Stryker. Se portiamo al presidente le prove del complotto tra lui, Stryker e Trask, sono certa che fermeremo almeno il progetto sentinella. Dobbiamo farlo noi. Raven non deve cadere in mani nemiche.”

“Il piano mi piace,” disse Erik, “e so anche come eseguirlo. Le sentinelle sono fatte di una lega simile a quella delle armi anti Magneto.” Charles alzò gli occhi al cielo.

“Adesso abbiamo definitivamente deciso che si chiamano così?” Erik sorrise.

“Sei invidioso perché non ci sono armi anti professore?”

“Ne esiste almeno una e la usi proprio tu!” 

“L’elmo di Shaw ce l’ha il governo. Me l’hanno preso quando mi hanno arrestato. In effetti dovrei riprendermelo!”

“Vogliamo concentrarci? Che cosa stavi dicendo?” Disse Tessa all’indirizzo del tedesco.

“Se intercettiamo il convoglio che porta le sentinelle a Washington, posso contaminarle con del metallo. A quel punto, quando Trask le attiverà, sarò io a controllarle e vi assicuro che non faranno del male ad alcun mutante.”

“Non faranno del male a nessuno.” Lo corresse Charles. “Si può fare?” Chiese poi a Tessa. La donna annuì.

“Lucy ci aiuterà volentieri.”

“E come portiamo Pierce a Washington?”

“A questo penso io.” Rispose Tessa.

“Tu sei ferita. Come pensi di fare?”

“Gli farò avere un messaggio. Gli dirò che ho cambiato idea e che voglio consegnare Magneto. Verrà, desidera il suo potere più di qualsiasi altra cosa e inoltre ora che l’ha visto all’opera, lo vorrà ancora di più.”
“Devo considerarmi lusingato?”

“Devi considerarti avvisato. Tendi ad essere impulsivo e irrazionale. Troppo per uno che pianifica vendette per anni e anni. Dovrai moderarti.”

“Qual è il mio ruolo in tutto questo?”

“Il peggiore, professore. Dovrai spingere Pierce ad attaccare Nixon.” Charles storse le labbra.

“Non mi piace controllare le persone. Anche se sono come Pierce.”

“O come Nixon.” Aggiunse Erik.

“Io posso portarlo fino ad un passo dal presidente degli Stati Uniti. La voce grossa devi fargliela fare tu.” Disse Tessa.

“Altrimenti io non potrò fare l’eroe e dimostrare che i mutanti sono buoni.” Lo prese in giro Erik. Charles ci pensò un po’ su.

“Se deve essere fatto, lo farò. Sono pronto a fare la mia parte. Contrariamente a quello che pensate,” disse per rispondere ad Erik, “la mia morale non è così rigida da impedirmi di fare delle scorrettezze se sono necessarie.”

Erik guardò Tessa e scoppiò a ridere. La donna fece altrettanto.

“Sì, prendetemi in giro, non mettetemi alla prova!” E anche Charles scoppiò a ridere mentre Erik alzava prontamente le mani in segno di resa.

Per un istante, il professore ebbe la sensazione di essere di nuovo a Westchester con il suo Erik e la sua Lena. Ringraziò il cielo che nessuno dei suoi compagni avesse il dono che aveva lui di leggere le menti altrui. Si alzò e si voltò per non dargli il vantaggio di percepire la sua emozione. 

Erik però lo conosceva bene e per togliere dall’impasse sia lui che l’amico, riprese subito il filo del piano.

“Abbiamo solo un problema. Tessa non è in grado di muoversi. Come farà a coordinarci da qui?”

La donna perse il sorriso. Anche se si fosse sforzata non era in grado di muoversi.

“Per ora tutto ciò che devo fare è chiamare Lucy. Qui c’è un telefono?” Disse sforzandosi di rimanere positiva.

“Vado a parlare con Calibano. Aspettatemi qui.” Disse Charles lasciandoli di nuovo soli.

Erik la fissò dritto negli occhi.

“Prima che Charles ritorni, voglio dirti una cosa.”

“Ti ascolto.”

“Quando ho detto che a Cuba mi sono sentito tradito da Lena non intendevo dire che non penso che lei mi amasse. So che è morta per salvare Charles e so che teneva a lui, ma so cosa provava per me. Sono certo che se ci fossimo trovati a posizioni invertite, avrebbe fatto lo stesso.”

“Me lo stai dicendo perché vuoi una conferma da me?” 

“Niente affatto. Te l’ho già detto. So cosa provava per me. Il mio unico rimpianto e non averle mai detto apertamente che l’amavo. A questo non c’è rimedio. Per questo voglio essere completamente sincero con te. Non riesco ad ignorarti. So che è la somiglianza con Lena ma non ci riesco. Volevo che lo sapessi in ogni caso.”

“In ogni caso?” Chiese lei.

“Per essere una sveglia, sei lenta. Piaci molto anche a Charles.”

“Anche lui rivede la sua Lena.” 

Erik infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e si guardò la punta dei piedi.

“Non credo. E’ troppo onesto per farlo.”

“Per quello che vale, Lena ti amava. La sua memoria in proposito è chiara. Ti ammiro per la forza che sai trarre dalle tue emozioni. Amava anche Charles però e alla fine non ha potuto né dare, né avere niente da nessuno dei due.”

“Ti sbagli su questo. Io le ho dato verità ad ogni costo e passione senza freno e lei in cambio mi ha dato calore e compassione. Lena ha sempre provato compassione per la mia solitudine e ha provato a curarla in ogni modo. Charles le ha dato sicurezza e dolcezza. Sarebbe stato la famiglia che Lena voleva disperatamente. Lei gli ha dato le stesse cose. Meritavamo tutti di più.”

“Non posso riportare indietro il tempo. Se potessi, darei la mia vita in cambio di quella di Lena.”

“Non dirlo!” Esclamò Erik. “Non ti ho detto queste cose perché pensassi di aver preso il suo posto. L’ho fatto perché non ti dimenticassi che la tua vita non deve ricalcare per forza quella di tua sorella.” 

Tessa sussultò. Da quando quella faccenda era iniziata, lei non aveva mai fatto piani per il futuro. Non aveva mai pensato a cosa sarebbe venuto dopo la missione. Tutto per lei si fermava al momento in cui si sarebbe resa conto di essere riuscita a cambiare il futuro di Lena.

Lo chiamava ‘il futuro di Lena’, ma Lena non avrebbe avuto comunque alcun futuro e così aveva pensato per se stessa. 

Non che pensasse alla morte. L’aveva messa in preventivo come tante altre cose, ma non era per quello che non pensava al ‘dopo’. Era per la paura. Sollevò lo sguardo su Erik e parlò con tutta la sincerità che poteva permettersi.

“Una volta mi hai detto che odi le menzogne. Voglio dimostrarti che tengo a te dicendoti anche io la verità. Quando ho scaricato la memoria di Lena ho sentito le sue emozioni. Mi ero ripromessa che non mi sarei fatta coinvolgere da quello che lei provava per voi, da voi due. Ho giurato a Pierce di consegnarti perché tu non eri niente per me. Ho preso informazioni su Charles. Sapevo in che stato versava quando gli ho scritto la prima volta. Ho usato di proposito la mia somiglianza con Lena su di lui. L’ho tirato in questa storia per avere il suo aiuto sapendo che lo avrei messo a rischio e non mi importava. L’unica cosa che contava era cambiare il futuro. Io volevo dare un senso alla mia vita e distruggere quello che avevo involontariamente contribuito a creare con mio padre.” Si fermò a tirare un respiro a pieni polmoni e proseguì. “Ho fallito. La fragilità di Charles mi è entrata nel cuore sin dal principio e tu, beh tu, mi hai presa a pugni letteralmente. Mi hai mostrato che tenere a qualcosa significa sanguinare per essa. Mi hai resa umana. Te ne sono grata, Erik.” 

Il tedesco si sedette di nuovo accanto a lei le prese il viso con una mano.

“Potrei innamorarmi di te. E non perché somigli a Lena ma perché sei diversa da lei. Tu sei una guerriera. Con te al mio fianco, quante splendide cose potrei realizzare.”

Tessa sorrise.

“Vorresti sapere le conseguenze di questa scelta?” Lui scosse il capo.

“Me ne pentirei. Lo so già. Meglio sognare.”

“Erik Lehnsherr un sognatore?”

Accadde in quel momento. Le labbra di Erik si allungarono in un sorriso che Tessa non gli aveva mai visto fare e che le diede comunque un forte senso di nostalgia. Era un sorriso buono, aperto e genuino. Il sorriso di un sognatore. Si sporse in avanti e lo baciò.

Erik chiuse gli occhi e strinse appena la presa sul suo collo. Quando lei si staccò dal suo viso, l’accarezzò.

“Tu sei la mia Tour Eiffel.” Disse lei piano.

“Nessuno mi aveva mai chiamato così. Sai? Potrei amarti, Tessa, potrei. Se tu ti lasciassi amare da me.”

“Sarebbe facile.”

“Sarebbe bello.”

“Non hai detto ‘ti amo’ però.”

“Già.” Disse lui alzandosi e raggiungendo la porta. “Facciamo quel che dobbiamo. Abbiamo tempo.” 

Lasciò la stanza senza voltarsi a guardarla e Tessa si guardò le mani fasciate. 

Erik amava Lena. Lo aveva baciato perché aveva visto la parte di Erik che Lena amava di più. A fatica si sdraiò nel letto e chiuse gli occhi. 

Doveva pensare solo alla missione. Non doveva farsi condizionare da quelle emozioni. Si addormentò per il dolore e la stanchezza.

 

Charles la guardava dormire già da una buona mezz’ora.

Aveva parlato con Erik del piano ma il tedesco non sembrava ben disposto ad approfondire i dettagli. Si era seduto ad un tavolo del night club con una bottiglia di whiskey e sembrava più propenso a finire quella che il discorso con lui.

Si era deciso a sfiorare la sua mente solo per scoprire che pensava a Lena. Così l’aveva lasciato solo e aveva raggiunto Tessa.

La ragazza sembrava soffrire, così si era portato due dita alla tempia e l’aveva condizionata con il suo potere facendola cadere in un sonno ancora più profondo.

Di cosa avevano parlato lei ed Erik? Avevano parlato di Lena?

Rievocò il ricordo di lei la notte prima che partissero per Cuba. Gli aveva confessato il suo amore e lui le aveva detto che gli rendeva difficile rimanere l’uomo che lei amava.

Tessa si mosse nel letto e lui trattenne persino il respiro. 

Che senso aveva avuto essere tanto corretto e responsabile? Avrebbe dovuto stringerla quella notte stessa. Tornò a guardare Tessa e scoprì che i suoi occhi erano aperti.

“Una moneta per i tuoi pensieri, professore.” Lui sorrise.

“Pensavo che non riesco più a vedere la somiglianza, sai?” Lei finse di offendersi.

“Sono messa così male?” Chiese alludendo alle ferite al viso.

“No!” Esclamò Charles. “Non intendevo questo!”
“Calmati, professore, scherzavo.”

“Io no. Dopo tutto quello che abbiamo passato ti guardo e non vedo niente altro che te. Quando te nei sei andata da Giverny, non ho creduto neppure per un momento che non ci sarebbero state conseguenze riguardo alle tue decisioni. Sono stato un vigliacco a lasciarti andare via a quel modo. Sapevo che saresti finita nei guai. Sono stato sulle spine e quando Lucy è venuta a chiedere aiuto, non ho pensato al fatto che Washington potesse essere più importante.”

“Te ne sono grata. Lo sono ad entrambi.”

“Anche Erik era in pena.”

“L’ho visto.” Charles si mosse sulla sedia come se fosse ancora sulle spine e Tessa se ne accorse. “Cosa c’è?”

“Prima di andartene mi hai detto che l’Hellfire era la tua casa. Ho preso una decisione. Io distruggerò l’Hellfire. Brucerò ogni singolo pezzo di quella maledetta organizzazione. Tu sarai libera.”

Tessa sentì qualcosa tirare dentro. Aveva sempre pensato che non sarebbe mai stata libera, che anche se avesse cambiato il futuro delle sue visioni, avrebbe finito con il rimanere comunque incastrata nell’organizzazione di suo padre. Sgominarla, per lei sola, era impossibile, ma Charles poteva riuscirci? Poteva riuscirci l’uomo che era in grado di controllare la mente delle persone, l’uomo che poteva essere Dio? 

Le parole di Charles avevano il profumo di un sogno che diventa realtà.

Che diavolo stava succedendo? Prima Erik che le chiedeva di pensare al futuro e ora Charles che le parlava di libertà.

“Non sono certa che sia così semplice.” Disse, più per non illudere se stessa che per contraddire Charles. L’espressione dell’uomo la colpì e capì che stava parlando alla sua mente.

‘Posso farlo. Posso farlo insieme a te. Devi solo tenermi la mano. Essere la mia coscienza quando il mio potere sarà più forte di me.’

Tessa sentì gli occhi inumidirsi e lasciò che lui leggesse i suoi pensieri, tutti i suoi pensieri.

‘Ho paura di non avere la forza di andare fino in fondo se ti prendessi la mano ora. Ho paura di vedere il mio futuro e di non riuscire a rinunciarci.’

“Non farlo.” Disse Charles ad alta voce allungando una mano. Lei la guardò per un istante che sembrò lunghissimo poi tese la sua. Quando stava per stringere quella di Charles, sollevò gli occhi.

“Ho baciato Erik.” Vide che Charles non spostava lo sguardo, né ritirava la mano.

“Allora adesso bacia me. Non ti perderò. Non mi tirerò indietro. Combatterò per quello a cui tengo. E’ stato proprio Erik a dirmi di farlo.”

Tessa prese la mano di Charles e la strinse. Lui le sfiorò la fronte con la propria e avvicinò le labbra alle sue fino a che lei non si tese a toccarle.

Il bacio che ne seguì non fu come quello con Erik. Fu uno sfiorarsi di labbra ma ebbe il potere di unire le loro menti.

Charles vide la forza e la debolezza di Tessa e il suo desiderio di riscatto. Tessa vide i timori di Charles ad adoperare i suoi doni e il suo desiderio di farlo comunque.

Il Professore vide Tessa che si sforzava di essere Lena e Sage vide Charles che temeva di non essere come Erik. 

“Non devi essere lui.” Gli respirò sulla bocca.

“E tu non devi essere lei.”

“Potresti amare una cinica calcolatrice priva di emozioni come me?” Chiese lei lasciando che una lacrima le sfuggisse dagli occhi. Lui le prese il viso tra le mani, facendo di nuovo toccare le loro fronti.

“Ti amo già, Tessa Shaw. Dovevo dirtelo prima della fine, qualunque essa sia.” Lei chiuse gli occhi.

“Allora resta con me. Fino alla fine e, se possibile, anche dopo.”

“Lo farò.”

Charles la strinse avendo cura di non toccarle le ferite ancora fresche. Il cellulare che aveva chiesto in prestito a Calibano scivolò a terra ma lui non se ne curò.

Era come se in quel momento qualcosa che era andato in pezzi tanto, tanto tempo prima, si fosse rimesso a posto come per magia.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Preparativi ***


 
Capitolo 10
Preparativi

Il piano stava andando esattamente come Tessa lo aveva immaginato nella sua testa.
Aveva chiamato Pierce e Donnie non aveva dubitato per un secondo che la sua decisione di consegnargli Magneto fosse autentica.
“Vuole uccidere il Presidente degli Stati Uniti d’America, se tu lo fermi, Hellfire diventerà l’organizzazione più potente al mondo, più della CIA, più della Massoneria del Terzo Occhio. Se ti faccio diventare l’uomo più influente del pianeta, sotterrerai l’ascia di guerra, Donnie?”
Gli aveva parlato con la voce più suadente che possedeva e lui aveva accettato prima del previsto.
Charles le chiese se dubitava della sua sincerità e Tessa gli rispose che non si faceva alcuna illusione. Tutto ciò che importava in quel momento era portarlo a Washington.
Dopo era toccato ai preparativi per sabotare le sentinelle.
Avrebbero dovuto viaggiare su un convoglio ferroviario ed Erik si era offerto di andare da solo. Charles si era opposto. Tessa aveva calcolato le probabilità che qualcosa andasse storto se Erik avesse operato in solitaria ed erano alte, troppo per non trovare un’alternativa.
La remora dei due uomini era quella di lasciare la loro amica da sola e fu, inaspettatamente per tutti, Hank a fornire una soluzione quando lo contattarono per confrontarsi e calmare Raven che continuava a meditare vendetta nei confronti di Trask.
“Il siero che iniettavo a te, Charles, dovrebbe riuscire a guarire le ferite di Tessa in tempi record ma la priverà dei suoi poteri per almeno ventiquattro ore.”
Charles aveva deciso che toccava a lei scegliere nonostante le proteste vivaci di Erik.
Alla fine, dopo aver stabilito il piano per l’assalto al convoglio ferroviario che portava le sentinelle dal Presidente, Tessa decise che avrebbe assunto il siero.
Scoprirono che Hank aveva avuto pienamente ragione. Mano a mano che Tessa sentiva le sue facoltà sbiadire, le sue ferite si rimarginavano e lei fu in grado di rimettersi in piedi già la sera stessa.
Giunse così, prima del previsto, il tempo di salutare Calibano.
“Calibano è stato felice di accogliervi e di dare una mano a persone tanto importanti.”
“Grazie di tutto, ci hai aiutati senza chiedere nulla in cambio. Non era affatto scontato che lo facessi.” Rispose Charles.
“Calibano conosce il valore di ogni mutante. Un giorno Calibano potrebbe avere bisogno del grande Professore e del potente Magneto.”
“Ma è me che hai aiutato più di tutti!” Esclamò Tessa. 
“Calibano vede anche la tua forza. Tu che sei saggia, scegli bene.” Le disse stringendole le mani. La donna annuì.
Salirono su un taxi che li portò alla stazione centrale di New York.
La stazione era piena di polizia e Erik cominciò ad innervosirsi. 
“Non è stata una bella mossa portare in ricercato internazionale in uno dei luoghi più affollati del Paese.” Charles lo tranquillizzò.
“Calmati Erik, nessuno farà caso a noi. Resta accanto a me e nessuno ti vedrà.” Concluse facendogli l’occhiolino.
Camminarono tutti e tre fino ai binari più lontani dal traffico e individuarono un convoglio merci che avrebbe incrociato quello di Trask all’altezza di Baltimora. Salirono non visti e si sistemarono in un vagone. Viaggiare col buio avrebbe permesso loro di spostarsi da un treno all’altro con facilità. Anche il convoglio era stato scelto con cura. Trasportava piloni di metallo per uso industriale. Erik scherzò sul fatto che con tutto quel metallo a disposizione poteva davvero innalzare città come Charles diceva spesso.
Tessa si era seduta tra loro e faceva da arbitro come al solito.
“Una città tutta tua, Erik! Immagina a quanti mutanti potresti dare asilo.” Disse Tessa.
“Sto bene da solo.”
“Non hai già passato abbastanza tempo da solo?” Gli chiese Charles, alludendo alla sua prigionia nella base del Pentagono.
“In effetti! Tuttavia quello che si è costruito un castello e una corte, non sono io!” Rispose alludendo alla scuola aperta da Charles.
“Tutto andato.” Fece lui rabbuiandosi. Tessa istintivamente gli mise una mano sul braccio.
“Anche se la via è persa, non è persa per sempre.” Gli disse rubando le sue stesse parole.
“Puoi riaprire la tua scuola,” intervenne Erik, “dovresti farlo. Se su una cosa siamo d’accordo, noi due, è che i più fragili tra noi sono quelli che hanno paura del proprio potere. Convivere con la mutazione non è sempre facile. Raven ce lo ha insegnato. Nessuno dovrebbe essere usato per i propri doni.”
“Erik ha ragione. I più giovani tra noi sono i più fragili, quelli che possono essere spinti sulla via dell’autodistruzione nelle mani di gente senza scrupoli. Se avessi dei figli, vorrei che potessero attraversare quella fase della loro vita in un posto sicuro.”
“Vorresti dei figli?” Le chiese Erik a bruciapelo.
“Non ci ho mai pensato. L’idea che possano ereditare la mia mutazione mi spaventa un pò’.” Rispose lei sorridendo e tirandosi le ginocchia al petto.
“Sarebbero bellissimi.” La confortò Charles.
“O mostruosi!” Esclamò Erik dandole un colpetto col gomito. “Dovresti pensare bene alla persona con cui farli.”
“Ti stai proponendo?” Disse lei restituendo la gomitata.
“Se fate un figlio non mandatelo a scuola da me. Mi rifiuto. Sarebbe un bimbo orgoglioso, indisponente con la predisposizione a muovere gli altri come oggetti di metallo! E lo farebbe con gli splendidi occhi di sua madre e la forza d’animo di suo padre.” Disse Charles prendendoli in giro. Erik s’accorse però che la sua voce era girata al triste e si affrettò a commentare.
“Probabile. Non farli neppure con lui. Ne verrebbe fuori un bimbo affetto da disturbi della personalità. Buono e generoso un giorno, devastante fancazzista il seguente. Capace di controllare le persone con gli splendidi occhi di sua madre e la nobiltà d’animo di suo padre.”
Tutti e tre risero.
“Mi sa che resto single.” Concluse Tessa tirando fuori dallo zaino una bottiglia di Jack Daniel’s. “Brindiamo al futuro che al momento non posso vedere.”
“Non è più bello così?” Le chiese Erik prendendo la bottiglia e facendo un sorso abbondante. “L’eccitante ebrezza del dubbio!” Esclamò passandola a Charles. Anche il professore fece un sorso.
“Quando avremo portato a termine la missione potresti decidere di non seguire più la tua mutazione per scegliere il tuo futuro.”
Tessa riprese la bottiglia e mandò giù un altro pò di whiskey.
“Potrei.” Disse mentre Erik le strappava di nuovo la bottiglia di mano.
“Non rinunciare mai ad essere chi sei veramente. Non ascoltarlo. Adesso è il fancazzista che parla!”
“Lui non entra continuamente nella tua testa. Ti piacerebbe se lo facesse?” Charles sorrise e toccò a lui togliere la bottiglia dalle mani di Erik.
“Questo si chiama scacco matto!” Esclamò.
“No,” rispose il più grande, “perché saperti nella mia testa non mi ha mai dato veramente fastidio.”
Lo disse accaparrandosi di nuovo la bottiglia e bevendo fino a svuotarne la metà.
“In vino veritas?” Chiese Tessa. Erik scosse il capo.
“E’ solo un modo per bere più di voi.” Fece ridendo. Charles riprese la bottiglia e bevve diversi sorsi prima di riprendere fiato.
“Avrei voluto avere la forza di restare nella tua testa mentre eri in prigione. Non avrei voluto lasciarti solo. Soffrivo e ho voluto punirti.” Charles tirò un sospiro, come se si fosse tolto di dosso un peso che portava da lunghissimo tempo.
Erik gli diede una pacca sulla spalla e lasciò che la sua mano restasse ferma a mantenere quel contatto ritrovato.
“Wow!” Fece Tessa prendendo la bottiglia. “Ora tocca a me dire qualcosa di emotivamente intenso?” I due uomini risero. 
“Provaci se vuoi,” la invitò Erik, “ma non so se sarai all’altezza.”
“Tu sei uno stronzo,” disse indicando Erik con la bottiglia, “e tu sei un saputello irritante,” continuò indicando Charles, “e entrambi siete le persone a cui voglio più bene al mondo.” Concluse attaccandosi alla bottiglia e finendola prima di lanciarla fuori dal vagone. Calò il silenzio per un istante poi Erik guardò Charles.
“Ti sei accorto che ha finito il whiskey?”
“Certo. Quella storia sul fatto che ci vuole bene non regge. Quando saremo a Washington ci devi un drink!”
“Due come minimo!” La incalzò Erik. Tessa stava per replicare qualcosa quando la voce nell’interfono del treno avvisò il personale di bordo che stavano per entrare nella stazione di Baltimora.
“Ragazzi, questo è il punto di scambio.” Li avvertì lei.
“Allora saliamo sul tetto.” Disse Erik alzandosi per primo.
I tre usarono una delle scale di servizio dei vagoni e raggiunsero la parte superiore del treno. Si chinarono per non perdere l’equilibrio e attesero lo scambio dei binari che portavano nella zona industriale della stazione di Baltimora. Fu Erik a vedere il treno per primo.
“Ecco il convoglio di Trask.”
“Ci raggiungerà in pochi minuti.”
“Ci resterà accanto per poco. Dovremo saltare in fretta.” Precisò Tessa.
Attesero davvero poco. Il convoglio che trasportava le sentinelle viaggiava più veloce del treno merci che li aveva condotti fino a lì e non si sarebbe fermato nella stazione, quindi non avrebbe rallentato più di tanto.
Erik sfruttò il proprio magnetismo e si sollevò tra i due treni.
“Chi viene per primo?”
“Va’ tu Tessa.” Disse Charles.
Erik le tese una mano che lei afferrò per saltare sul tetto del treno accanto. Quando fu il turno di Charles di fare lo stesso, il treno su cui viaggiavano frenò all’improvviso. 
Erik si tese in avanti e lo prese per un braccio prima che il più giovane cadesse giù dal vagone.
Charles si aggrappò con entrambe le mani all’avambraccio di Erik e picchiò con il lato destro del corpo contro il metallo del treno.
“Charles!” Gridò Tessa. “Erik, tiralo su!”
“Non è così semplice!” Esclamò l’uomo. “Non è fatto di metallo!”
“Tiralo su! Laggiù c’è una galleria!” Lo avvisò lei indicando la struttura di pietra che si avvicinava a grande velocità.
Erik si allungò cercando di afferrare anche l’altro braccio di Charles. 
Tessa si chinò per dargli aiuto.
“Và giù, Tessa, riparati. Ci penso io a Charles. Rallenterò la corsa del treno.” Charles gridò.
“Non farlo! Se si accorgono che il treno rallenta, capiranno che sta succedendo qualcosa. Dobbiamo rispettare il piano!”
Tessa prese un respiro a pieni polmoni e chiuse gli occhi. Era certa di non avere ancora riacquisito il potere di vedere le conseguenze di quella scelta, ma sentiva che la sua telecinesi stava già tornando. 
Strinse i pugni e si concentrò sul corpo di Charles. 
Erik nel frattempo, percependo la minore resistenza, tirò più che poté e Charles si mosse verso di lui    finendo tra le sue braccia.
“Facciamo in fretta!” Esclamò il tedesco. I tre si misero a correre nel senso opposto a quello di marcia del treno saltando tra i vagoni. Tessa però cadde. 
“Tessa!” Urlò Charles rendendosi conto che le scendeva del sangue dal naso e che la donna sembrava disorientata. Erik lo afferrò per un braccio.
“Continua a correre! Raggiungi l’ultimo vagone. Fidati di me!” Charles annuì a malincuore e riprese a correre. Erik usò il suo potere per tirare Tessa a sé tramite le fibbie del suo giubbino. La donna scivolò verso di lui e la strinse.
Ormai mancava poco al tunnel e lui non era certo di riuscire a raggiungere l’ultimo vagone senza rallentare in alcun modo il treno. Strinse la donna. 
“Tessa, mi senti? Sto per fare una cosa molto stupida e ho bisogno di dividere la colpa con te se va male.” Lei mugugnò qualcosa.
“Mi dispiace.” Disse più nitidamente.
“Ora resta sdraiata sotto di me. Non c’è molto spazio tra il bordo della galleria e il tetto del vagone.”
“Pessima scelta.” Disse Tessa sforzandosi di sorridere. Continuava ad uscirle sangue dal naso.
“Sono fatto di pessime scelte. Tu resta ferma.”
Il treno fu ingoiato dalla galleria e Tessa sentì mancarle l’aria. Erik la tenne stretta tra il suo corpo e il tetto del vagone. 
Quando la galleria terminò, Erik s’accorse di due cose. Tessa era svenuta e lui aveva un taglio abbastanza profondo sulla schiena.
Si alzò trascinando Tessa con sé e raggiunse l’ultimo vagone dove Charles li stava aspettando con un’espressione preoccupata sul viso.
“State bene?”
“Non direi che sta bene,” rispose Erik appoggiando il corpo della donna sul pavimento, “continua a perdere sangue dal naso. Ti ricorda niente?”
Charles annuì andando con la mente indietro nei suoi ricordi fino a quello del giorno in cui avevano incontrato Darwin e Lena aveva usato il suo potere per evitare un grave incidente. 
Erik lasciò che l’altro si sfilasse la giacca per mettergliela sotto alla testa e si alzò.
“Vado a sistemare le sentinelle. Il treno viaggia molto veloce. Se perdiamo ancora tempo, arriveremo in prossimità di Washington e sarà troppo tardi. Devo sfruttare il buio.”
Fece per voltarsi e allontanarsi e Charles si accorse che sanguinava.
“Erik, sei ferito. Lascia che gli dia un’occhiata.”
“Non è grave. Ci penseremo stasera, quando saremo al sicuro in albergo.”
Charles annuì, per nulla convinto che il suo migliore amico stesse bene.
Erik, invece, non esitò e tornò sul tetto del treno. Raggiunse un vagone che era vistosamente più lungo degli altri e scoperto. Sollevò il telone che nascondeva ciò veniva trasportato e strinse un pugno per la rabbia che gli montò dentro.
Un’enorme macchina umanoide sembrava come addormentata e in attesa di scatenare il suo potere su chiunque le si parasse innanzi. Erik aveva contato cinque vagoni simili quindi immaginò che ci fossero cinque sentinelle pronte a sfilare davanti al presidente Nixon e a Bolivar Trask.
Alzò le mani e fece forza per sollevare parte dei binari della ferrovia alle loro spalle. La ferita alla schiena si allargò e gli restituì una fitta atroce. Non si fermò. Fece in modo che il metallo dei binari si separasse in piccoli cavi e si infilasse in ogni componente di quei robot, anche la più piccola. 
Quando tutte le sentinelle furono sistemate, si sedette sul tetto a gambe incrociate e provò a respirare normalmente. La schiena doleva e sanguinava. Si chiese se Tessa si fosse ripresa.
Sapeva con certezza che Charles provava dei sentimenti piuttosto forti per lei e gli aveva detto a più riprese che lui amava Lena, che la sua gemella non significava niente per lui.
Eppure quel bacio, quel momento di inaspettata dolcezza che gli aveva regalato, aveva fatto scattare qualcosa. Dubitava ancora, nel profondo, del rapporto che Tessa aveva con il circolo Hellfire nonostante tutto quello che Pierce le aveva fatto, però adesso era convinto che lei non avrebbe mai tradito né lui, né Charles.
Per questo la ferita alla schiena faceva male ma non così tanto. 
“Ho mantenuto la mia promessa, Lena. Le ho fatto da scudo. Li ho protetti entrambi. Continuerò a farlo finché avrò fiato in corpo.”
Le sue parole si persero nel vento mentre l’alba colorava di rosa l’orizzonte.


Raven sospirò raccogliendo le ginocchia al petto.
Guardò il letto disfatto e il volto sereno di Hank sul cuscino, il suo corpo abbandonato tra le lenzuola.
Quando Lucy li aveva lasciati soli per raggiungere Trask e trovare un modo per procurarsi un pass per la manifestazione che si sarebbe svolta di lì a pochi giorni nel parco della Casa Bianca, era scoppiata una lite furiosa.
Lei era al limite. Ce l’aveva ancora con sia con Charles che con Erik per aver preferito andare a salvare Tessa piuttosto che aiutarla a fermare Bolivar Trask.
Hank aveva provato a rabbonirla con ogni mezzo finendo per farla innervosire ancora di più.
Lo scontro, verbale prima e fisico dopo, era stato inevitabile. 
Raven sapeva che ne aveva bisogno. Combattere era l’unica cosa in cui si sentiva sempre all’altezza.
Perciò quando aveva finito col colpire Hank talmente forte da provocare la sua mutazione in Bestia, gli aveva riso in faccia.
Dopo essersene date di santa ragione, Raven finì col sentirsi stanca. Si lasciò andare sul letto e si arrese.
Hank si sedette sul pavimento tornando alla sua dimensione umana e rimase immobile. Lei si alzò dal letto temendo che fosse ferito, invece era semplicemente nudo.
“Effetti collaterali della mia mutazione.” Disse lui indicando gli occhiali finiti in frantumi sul pavimento. Raven si alzò da letto e si andò a sedere accanto a lui.
“Quelli te li ho fatti saltare prima che diventassi enorme e blu.” Sorrise sinceramente ed Hank lo fece con lei.
“Mi passi il lenzuolo?” Chiese lui che si copriva le parti intime con una mano. Raven scosse il capo.
“Non sarebbe giusto, anche io non sono vestita.” Rispose indicando la sua pelle. “Pensi mai al fatto che sei del mio stesso blu?”
“Lo penso ogni volta che mi trasformo.”
“E mi maledici?” Hank scosse il capo.
“Affatto, in tutti questi anni mi ha aiutato a ricordarmi che io avevo torto e tu ragione. E’ un colore bellissimo e un giorno sarà di gran moda.” Raven rise.
“Forse, o forse avevi ragione tu e io ero solo una povera illusa.” Lui le sollevò il mento con due dita.
“Raven no! Tu sei bellissima come sei adesso. Lo dimostra quello che sta succedendo.”
“Sono la causa dell’apocalisse a sentir parlare Tessa!”
“La tua mutazione è talmente speciale che non poteva essere un’altra qualsiasi a finire nel mirino di Trask. Ricordi? Mutante e fiera.”
“Stai dicendo che i miei occhi, i miei capelli, la mia pelle, ti piacciono ora?”
“Mi sono sempre piaciuti. Ero solo troppo vigliacco per ammetterlo.”
Raven non gli diede tempo di dire altro. Gli sigillò le labbra con le proprie e se lo tirò addosso.
Hank aspettava quel momento da una vita e non si fece pregare.
Fecero l’amore tutta la notte. Risero e giocarono come non avevano mai fatto ai tempi in cui si erano conosciuti.
Lui era caduto in un sonno profondo all’alba, lei non c’era riuscita.
Si era alzata dal letto e si era seduta sul davanzale della finestra. Si sentiva bene come mai prima di quel momento.
Hank non voleva che lei fosse buona. Come Charles.
Hank non voleva che lei fosse spietata. Come Erik.
Hank l’amava come Charles ed Erik non avevano mai fatto. Lo realizzò chiaramente e ne fu spaventata e nello stesso tempo felice.
Una lacrima le cadde dagli occhi mentre comprese che dalle sue azioni dei prossimi giorni sarebbe dipesa anche la vita di Hank.
Doveva fare la cosa giusta. Trask era una minaccia per i mutanti e quindi anche per Hank. Lo avrebbe neutralizzato e avrebbe salvato tutti. 
Si rivestì e posò un bacio leggero sulla tempia dell’uomo addormentato prima di lasciare la stanza.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Il segreto di Tessa ***


Capitolo 11
Il segreto di Tessa

 

Tessa aprì gli occhi in un posto diverso da quello in cui li aveva chiusi.

Sembrava una camera d’albergo.

Si sforzò di mettersi seduta e un paio di braccia la sostennero subito.

“Ben svegliata. Pensavo che avresti dormito fino alla fine dei tempi.” La voce di Erik era calma e allegra.

“E’ andato tutto bene?” Lui annuì.

“Il piano ha funzionato alla perfezione.” Erik si alzò e raggiunse il mini bar da cui tirò fuori una birra. 

Tessa si accorse che la sua maglia era sporca di sangue. Si girò per scendere dal letto e si rese conto che aveva solo una camicia di Charles addosso. Erik le fu subito accanto.

“No signora, non puoi alzarti ancora. Il dottore è stato categorico su questo. Mi ha ordinato di farti restare a letto.” Tessa sorrise.

“Dov’è il dottore?” Chiese lei alludendo al fatto che Charles non era lì con loro.

“E’ andato a procurarci qualcosa da mangiare.”

“Non era meglio che ci andassi tu?”

“Non credi che sappia trovare i tramezzini al tonno tra le corsie di un supermercato o hai paura che non ci arrivi neppure?” Ironizzò lui. “Ti ricordo che è la mia faccia quella sulle foto segnaletiche e che Charles può controllare le persone con la forza del pensiero.” Tessa scosse la testa.

“Hai ragione. E’ che tu hai il fisico da uomo di Neanderthal e mi ispiri sicurezza.” Erik allungò un braccio per posare la bottiglia sul comodino con l’intenzione di aiutarla a risistemarsi nel letto ma una smorfia di dolore gli tese i muscoli del viso. Tessa glielo toccò con una mano. “Cos’hai?”
“Nulla.” Fece lui cercando di sfuggire alle attenzioni della donna.

“Dimmi cos’hai, Erik.”

“Sono ferito.”
“Dove? Com’è successo?”

“E’ solo un graffio.”

“Fammi vedere.” Erik si sfilò la maglia e si voltò. 

Sulla sua schiena un taglio piuttosto profondo era stato tamponato con una serie di garze adesive attaccate in modo scomposto.

“Chi diavolo ti ha conciato così?” Esclamò lei.

“Non è facile medicarsi di spalle allo specchio.”

“Mi stai dicendo che non hai neppure chiesto a Charles di darti un’occhiata.”

“Mi curo da solo dal 1943.” 

“Cos’è? La pubblicità di una pianta officinale? Vieni in bagno con me.” Erik scosse la testa ma obbedì.

Tessa lo fece sedere sul bordo della vasca. Staccò con cautela le garze sporche di sangue raffermo e bagnò un asciugamano pulito per lavare la schiena dalle spalle in giù. 

Erik era teso come una corda di violino ma, mentre le mani della donna gli accarezzavano la base del collo e le scapole fino alla ferita, si concesse di chiudere gli occhi e rilassare le spalle.

“Va meglio?” Chiese lei prima di lasciare il panno umido sulle sue gambe e raggiungere la specchiera. L’aprì e si sollevò sulla punta dei piedi nudi chiedendogli se ci fosse dell’alcol da qualche parte.

Erik non le rispose. Il suo sguardo era finito sulle sue natiche appena nascoste dalla camicia di Charles. Si alzò e le strinse i fianchi con le mani poggiando le labbra sul collo di lei.

“Non darmi mai più le spalle in questo modo se non vuoi fare l’amore con me.”

Tessa avvampò. Per un istante che le sembrò lunghissimo, rimasero così. Lei con le mani sul lavandino, le nocche bianche, lui con le labbra strette sul suo collo, quasi la stesse mordendo.

“Erik.” Sussurrò lei spingendosi all’indietro in cerca di aria e fermandosi non appena percepì l’eccitazione di lui.

“Senti cosa mi fai? Voltati,” disse affondando ancora di più le labbra nella carne di lei, “voltati e baciami.”

Tessa lasciò andare il lavabo e si girò per cercare la sua bocca. Lui la sollevò e la fece sedere sul bordo del lavandino stringendole le cosce. Il calore della sua bocca era diventato un richiamo impossibile da ascoltare.

“Sei così bella.” Lasciò andare le sue gambe per cercare i bottoni della camicia ma erano troppi e infilò subito una mano sotto la stoffa per toccarle i seni. Tessa gemette. 

“Erik, tu mi fai perdere la testa,” ammise, “con te non riesco a ragionare.”

“Allora non farlo.” Disse lui scendendo con una mano sul suo inguine. 

La specchiera prese a tremare e con essa ogni cosa che non era fissata alle pareti. Erik improvvisamente si fermò.

“Che succede?” Chiese lei vedendo che l’altro la guardava preoccupato.

“Ti sanguina di nuovo il naso.” 

Tessa scese dal lavabo e si guardò allo specchio. Un capogiro la fece barcollare. Erik la tenne.

“Dovresti tornare a letto.” Disse lui asciugandole il naso con lo stesso panno con cui lei gli aveva pulito la schiena.

“Lascia che prima ti bendi la ferita. Ce la faccio.”

Erik non aggiunse più niente. Tessa passò dell’alcol sul taglio e gli mise dei punti con ago e filo. Gli bendò il torace e le spalle e gli passò una maglia pulita.

“Mi dispiace che sia andata così.” Disse Erik infilando il maglione. 

Tessa scosse le spalle e raggiunse il letto. Ci si infilò in silenzio. Lui si sedette al suo fianco e le baciò la fronte.

“Sei importante per me. Se oggi ti servisse vendermi a Pierce, mi offrirei spontaneamente.” Tessa sollevò lo sguardo di colpo.

“Perché parli in questo modo?” Disse con rabbia.

“Perché non sono capace di amare in modo diverso.”

“Non si vende la Tour Eiffel per un soldo di cacio e tu sei la Tour Eiffel, ricordi?”

“No, io sono Magneto, un assassino e un fuggitivo. Non fare l’errore di sopravvalutarmi.”

Tessa stava per dire che aveva visto le conseguenze di una serie di scelte affatto pessime che lui aveva fatto, ma il rumore della chiave nella toppa li avvertì che non erano più soli.

Erik si allontanò di scatto, quasi non volesse che Charles li trovasse vicini.

“Non sapete quanta gente c’è al supermercato. Spero di aver preso tutto perché non ci torno lì dentro. Non ci tornerò mai più. Non sapevo quanto potessero essere aggressive le persone che si contendono l’ultimo pezzo di arrosto. Tessa, cara, sei sveglia?” Tessa lo vide posare le buste della spesa e scoppiò a ridere.

“Che c’è? Che ho detto?”

“Non hai mai fatto la spesa in vita tua, vero principino Charles?” Lo canzonò Erik.

“In effetti è stata la prima volta e, giuro su Dio, anche l’ultima. Però ho preso hamburger e patatine.”

“Ottimo.” Esclamò l’altro. “Apparecchio io.”

“E per te,” aggiunse il professore sedendosi sul letto accanto a Tessa, “paracetamolo.” Concluse passandole i capelli dietro l’orecchio. Ritirò la mano immediatamente, un po’ perché era il gesto che si concedeva con Lena, un po’ perché s’accorse del segno rosso sul collo della donna. “Te ne sciolgo una bustina in un po’ d’acqua.”

Raggiunse il bagno per riempire un bicchiere e notò le piastrelle crepate e il panno sporco di sangue. Raggiunse Erik vicino al tavolo e versò un po’ di medicinale nel bicchiere.

“Hai detto che la ferita non è grave.”

“Non lo è.”

“Di là c’è molto sangue.”

“Sta’ tranquillo.”

“Me lo hai detto anche quando hai sostenuto che Tessa non t’interessa.” Le mani di Erik si fermarono sulla confezione delle patatine.

“Non ho mentito quando l’ho detto. Sai che non mento mai.”

“E io ti ho creduto. Perciò te lo chiedo di nuovo adesso. Ti è ancora indifferente?” Erik lo guardò negli occhi e quasi quell’azzurro profondo lo fece vacillare. Si riprese.

“No.” Charles si lasciò sfuggire un sorriso amaro, poi sollevò di nuovo lo sguardo in quello sicuro di Erik.

“Stavolta non mi farò da parte. Io l’amo. Credo di essermi innamorato di lei il giorno prima che venissimo a liberarti.”
“Se vuoi che mi faccia da parte, io lo faro.” Disse allora il tedesco.

“Non ce n’è bisogno. Tessa è adulta. Sarà lei a scegliere.”

“E se dovesse scegliere me?”

“Allora mi farò da parte ancora. Voglio solo la sua felicità. E se lei farà la tua felicità, sarò contento per voi due.”

“Non so se sarò capace di fare altrettanto nel caso scegliesse te.”

“Potrai sempre provarci. Nel frattempo, ti sarei grato se non le mettessi le mani addosso. Sono geloso.” Erik aprì le labbra per controbattere ma Charles non gli diede il tempo di rispondere. Prese il bicchiere e tornò da Tessa.

“Bevi questo dopo aver cenato. Domani ci servi in forma.”

“Sei arrabbiato?” Chiese lei a bruciapelo. Charles le fece uno dei suoi splendidi sorrisi.

“Mai con te e neanche con lui.”

“Allora ce l’hai ancora con la massaia che ti ha rubato l’ultimo pezzo di arrosto?”

“Assolutamente sì.”

Tessa rise ma sussultò mentre bussavano alla porta. Erik andò ad aprire. Era il custode dell’albergo.

“Cercano Max al telefono. Mi hanno dato il numero della vostra stanza.” Erik scambiò un cenno d’intesa con Charles.

“Max sono io. Accetto la chiamata.”

“Allora devi scendere di sotto.” Concluse il custode voltandosi e prendendo la via per le scale.

“Cominciate a mangiare, torno subito.” Concluse Erik chiudendosi la porta alle spalle.

Nella stanza cadde il silenzio.

Tessa giocava con l’orlo del lenzuolo mentre Charles finiva di disporre piatti e bicchieri sul tavolo. Fu lei a parlare per prima, alzandosi e raggiungendolo.

“E’ tutto a posto?” 

“Il piano procede bene.”

“Non è quello che ti ho chiesto.” Charles lasciò il tovagliolo e si girò a guardarla.

“Cosa vuoi sapere?”

“Lo sai.” Charles prese quelle parole come un tacito assenso e guardò nella sua mente. Girò la testa di lato.

“Lo domando io a te. E’ tutto a posto?” Chiese infilando le mani in tasca e dondolando il proprio peso da una gamba all’altra.

“No.” Nell’udire quella breve parola, Charles tremò.

“Che significa?”

“Che i miei poteri non sono ancora tornati. Mi sento debole e confusa.”

“Per questo hai baciato Erik?”

“Non lo so. Forse. Forse è il suo modo di parlarmi, di toccarmi.” Charles fece un passo indietro mentre qualcosa nella struttura stessa dell’edificio tremò. “Charles, scusami.” Si affrettò a dire lei.

“Non devi scusarti se provi qualcosa per lui. Mi hai chiesto di restare al tuo fianco. Credevo significasse qualcosa.”

Lei sollevò lo sguardo e si avvicinò posandogli una mano sul petto, all’altezza del cuore.

“Ricordi che a Giverny ti ho detto che non ero pronta a condividere alcune cose con te?” Lui annuì. “Siediti per favore.” 

Charles avvicinò una sedia e si sedette. Lei rimase in piedi di fronte a lui. Gli prese una mano.

“Non voglio che ti spaventi ma c’è una cosa veramente difficile da dire che non ti ho rivelato. Non l’ho rivelata a nessuno. Ho paura che dopo, tu non mi guarderai più allo stesso modo.”

Lui strinse la mano di Tessa nella sua.

“Parla con me, Tessa.”

Lei fece un passo indietro lasciando andare la sua mano e chiuse gli occhi abbassando il capo. Passò un breve momento e lo sollevò di nuovo. Quando riaprì gli occhi, Charles sentì mancare il fiato.

“Ciao, professore.” Disse la donna passandosi con una mano una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

Charles sentiva le gambe tremare. Le sue labbra non riuscivano a pronunciare alcuna parola. “Ti sono mancata?” Chiese lei. Charles fece forza con le mani sulle ginocchia e si alzò.

“Lena, sei tu?”

“Sì, professore. Sono io.”

“Ma com’è possibile?”

“Tessa ha assorbito l’ultima parte della mia coscienza insieme con i miei ricordi. Le serve molta forza per tirarmi fuori da una parte sigillata della sua mente. Soffre molto quando lo fa.” Il volto di Charles si rabbuiò.

“Tu vivi in lei.” Lena sorrise ma scosse il capo.

“Una piccolissima parte di me sopravvive nella sua mente ma io sono morta. Tuttavia sono in grado di rendere la sua vita difficile. Condiziono parte delle sue decisioni e delle sue emozioni.”

“E’ a causa tua che mi ha baciato?” Lena abbassò la testa.

“E’ a causa mia che non riesce a tenere a bada Erik.” Rispose lei.

“Quindi tutto quello che prova per noi, in realtà, dipende da te?”

“Niente affatto. Tessa è sinceramente attratta da te. Sono certa che saprà amarti se glielo permetterai.”

“Lena, vorrei dirti tante cose.”

“Anche io vorrei, ma più tempo Tessa mi concede, più le sue condizioni peggiorano. Lei non vuole confessarlo ma sta ancora molto male per quello che le ha fatto Pierce.”

“Allora che posso dire? Mi dispiace tanto. Non c’è stato momento, da quel giorno a Cuba, in cui non abbia pensato a te.”

“Non farlo, Charles, non rimanere ancorato al passato. Vivi la tua vita per entrambi. E se puoi, bada ad Erik.” Charles sorrise mentre le lacrime gli rigavano il viso.

“Ci proverò. Giuro che ci proverò.”

“E non dirgli di me. Mai.”

“Lo prometto.”

“Addio, professore.”

“Addio Lena.”

La donna gli carezzò il viso e lui sentì un’ondata di emozioni attraversarlo come quando Lena gli restituiva le proprie sensazioni. La vide chiudere gli occhi e aggrapparsi alla sua maglia. La sostenne. Quando sollevò di nuovo il viso, quella tra le sue braccia era di nuovo Tessa.

Sembrava sfinita. Charles la sollevò e la riportò a letto. 

Lei rimase in silenzio.

“Perché me l’hai tenuto nascosto fino ad oggi?”

“Perché temevo che se avessi saputo che era viva da qualche parte qui dentro,” disse toccandosi il petto, “mi avresti chiesto di poterle parlare.” Charles rimase in silenzio un momento come se stesse cercando le parole giuste.

“Ad essere sincero, mi inquieta di più l’idea che lei mi abbia sentito confessare i miei sentimenti per te.”

“Se fosse viva, è lei che ameresti.”

“Tessa, per una volta, vuoi stare zitta e ascoltare? Ho avuto dieci anni per accettare la morte di Lena. Non nego che ti ho seguita la prima volta perché hai il suo stesso viso. La seconda volta però l’ho fatto perché tu mi hai tenuto testa e mi hai messo di fronte alle mie responsabilità. La terza volta l’ho fatto perché non potevo starti lontano. Quando eravamo da Calibano non ti ho forse detto che non riesco neppure più a vedere la somiglianza? Non ho forse intuito subito che era Lena quella che mi hai mostrato poco fa?”

“Con questo che vuoi dire?”

“Che se i tuoi sentimenti per me sono autentici, io vorrei avere la possibilità di ricambiarli.” Tessa lo guardò con gli occhi lucidi.

“Hai visto che è successo con Erik.”

“Ora so perché.”
“E non ti da fastidio?”

“Sì assolutamente, ma ne verremo fuori. Erik capirà.”

“Sembra una previsione ottimistica che al momento non posso smentire senza i miei poteri.” Charles rise di gusto poi si ricompose.

“Lena ha detto che soffri molto quando lasci uscire la sua personalità.”

“Non così tanto.”

“Voglio che tu sappia che non ti chiederò mai di farlo.”

“Grazie.”

“Ti amo, Tessa.” 

Nell’udire quelle parole, lei avvicinò la fronte a quella di Charles come aveva fatto lui quando si erano baciati la prima volta.

‘Ti amo.’ Disse ancora nella sua mente. 

La baciò con dolcezza e a lungo. Lei gli passò le braccia intorno al collo e infilò le dita nei suoi capelli tirandolo a sé. Charles sentì i suoi seni contro il petto e le passò le mani sulla schiena sotto alla camicia.

‘Se mi vuoi, sono tua.’

 Tessa non lo disse a voce alta. Non ce n’era bisogno. Continuò a lasciare dei baci umidi intorno alle sue labbra. Charles rise per il formicolio che partiva dall’angolo della bocca e gli saliva fino all’orecchio e giù per il collo.

‘Ti voglio, ti voglio da impazzire.’

Stavolta fu lei a ridere reclinando la testa all’indietro e lasciando che lui le passasse la lingua sul collo fino alla scapola.

‘Toccami.’

‘Non posso. Se lo faccio, non potrei più fermarmi ed Erik rientrerà da un momento all’altro.’

Lei si staccò dal suo abbraccio e gli prese il viso tra le mani.

“Mi resisti, professore?”

“Se esiste qualcosa cui non posso resistere, sei tu. Dammi tregua Tessa. Non guardarmi in quel modo.” Lei lo lasciò andare.

“Tregua. Non so quanto durerà però!”

“Almeno il tempo di stare un po’ meglio. Ti sanguina di nuovo il naso.” Disse Charles asciugandoglielo con il suo fazzoletto.

“Non smette.”

“Devi riposare. Domani dobbiamo vedere Pierce e convincerlo a venire alla parata delle sentinelle. Dobbiamo contare sui nostri poteri per riuscire nell’impresa.” Lei annuì.

“Passami un hamburger, dai.”

Charles si alzò, glielo prese e glielo passò posandogli un bacio tra i capelli. Si augurò che le condizioni della donna di cui era perdutamente e irrimediabilmente innamorato migliorassero e lo facessero in fretta.

 

Erik sollevò la cornetta ben sapendo chi c’era dall’altra parte.

“Raven, perché hai chiamato? I piani non erano questi.” La voce sarcastica della donna confermò i suoi timori.

“Ho interrotto qualcosa? Tu e il mio fratellino ve la spassate con Tessa? Come va il menage a trois?”

“Hai finito di dire stronzate? Il fatto che ti abbia rivelato il mio vero nome non ti autorizza ad usarlo. Perché hai chiamato?”

“Perché la parata è dopodomani e il piano che avete ideato fa schifo.”

“Raven, ascoltami bene perché non te lo ripeterò. Devi attenerti al piano. Abbiamo già sistemato le sentinelle. Il tuo compito è quello di assumere le sembianze di Stryker e tenere d’occhio il presidente. Tutto qui. Lascia Trask a noi. Tessa sa quel che dice. Il piano funzionerà.” 

La voce di Raven si fece nervosa.

“Tu pendi dalle labbra di quella donna e lo capisco Erik, credimi, lo capisco che è uguale a Lena ma non è lei. Lena è morta. Quella donna fa parte di un circolo pericoloso e potente che sfrutta i mutanti alla stessa stregua di Trask. Non puoi permettere che i tuoi sentimenti per Lena offuschino il tuo giudizio. Stiamo parlando del futuro della nostra gente. Un tempo sei stato il nostro leader. Perché non vuoi proteggere la confraternita dei mutanti?”

Erik esitò. Le parole di Raven erano tutti colpi andati a segno e lo facevano sanguinare. Per un attimo l’immagine di se stesso abbandonato e solo nella prigione del Pentagono con il solo ricordo del profumo di Lena che gli impediva di impazzire, lo colpì più duramente di un calcio in faccia.

“Non permetterò mai ai miei sentimenti di prevalere sulla mia missione. Lo sai. Ho fatto tantissimi sacrifici e continuerò a farne. Non mi tirerò mai indietro.” Ribadì con decisione.

“Allora promettimi che dopodomani potrò contare su Magneto e che Bolivar Trask sarà annientato.”

“Bolivar Trask sarà annientato e con lui Donald Pierce. Spazzeremo via in un solo colpo le due persone che più hanno fatto del male alla nostra gente negli ultimi dieci anni.”

Raven si ritenne soddisfatta.

“Allora conto su di te.”

Erik attaccò la cornetta e prese le scale per tornare alla sua stanza. Le risate di Tessa e Charles si sentivano da oltre alla porta. La aprì senza usare i suoi poteri e vide Tessa mangiare un panino a letto. Charles invece lo aveva aspettato. Non appena il professore incrociò il suo sguardo, perse il sorriso.

“Perché Raven ha chiamato? Ci sono problemi?”

Erik raggiunse il tavolo e si versò dell’acqua.

“Non si rassegna,” disse portando il bicchiere alle labbra, “vuole Trask fuori dai giochi.”

“Sei riuscito a calmarla?” Chiese Charles.

“Sì, ma l’ho tranquillizzata sul fatto che siamo tutti dalla stessa parte.” Ad Erik non sfuggì che Tessa smise di mangiare e posò ciò che restava del suo hamburger nel piatto. “Non è così, Tessa?”

“Se Trask muore, il progetto sentinella vedrà la luce. Anche io voglio Trask fuori gioco ma camminiamo tutti sul filo del rasoio. Non dobbiamo commettere errori perché non esiste alternativa se sbagliamo. Siamo al punto di non ritorno.” Charles si alzò in piedi e raggiunse il tavolo. 

“Atteniamoci al piano. Se ci riusciamo, Pierce si assumerà la colpa dell’attacco alla parata e Trask quello del fallimento delle sentinelle.”

“A proposito del piano,” disse di nuovo il tedesco, “abbiamo notizie di Lucy? Senza il pass per accedere alla parata, Raven non potrà assumere l’identità di Stryker e toglierci quello vero dalle palle.” Tessa annuì. 

“Lucy farà la sua parte. Non dubitate di lei. Anche se non è una mutante, sa il fatto suo.”

“E Pierce?” Chiese Erik. “Vuoi davvero andarci a parlare da sola?”

“Non andrà da sola.” La voce di Charles uscì ferma, risoluta. “Andrò io con lei. Impedirò a chiunque di farle del male.”
“E se fosse una trappola? Non è meglio che vi segua da lontano?” Chiese Erik dubbioso.

“Se lo fosse e ci catturassero tutti e tre, il piano salterebbe. Non avremmo più alcuna merce di scambio. Devi rimanere al sicuro e nascosto il più possibile Erik.”

“Non riesco a credere che debbano essere i mingherlini a proteggermi!” Esclamò lui addentando un panino. Tessa sorrise.

“Se è sopravvissuto al supermercato, Charles può farcela anche con l’Hellfire.” Charles si portò le mani al petto simulando sofferenza ed Erik quasi sputò il boccone.

“Mi ferite!” Disse il professore.

“Finiamo di mangiare e andiamo a dormire,” lo incitò Erik lanciandogli una lattina di cola, “domani sarà una giornata impegnativa e abbiamo tutti bisogno di riposare.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Il piano per cambiare il futuro - prima parte ***


Capitolo 12
Il piano per cambiare il futuro -prima parte-

 

Il punto d’incontro che Tessa aveva scelto per incontrare Donnie Pierce era strategico.

Era la hall di un lussuoso albergo del centro noto per la sua politica contro i mutanti, per cui Tessa era sufficientemente sicura che Pierce non avrebbe usato i suoi uomini di punta per creare disordini. L’unica che poteva costituire un pericolo era Payge, ma si sentiva tranquilla per la presenza di Charles che, al suo fianco, si comportava in modo rilassato e sicuro.

Si erano accomodati al bar e avevano ordinato un drink.

Tessa aveva indossato un abito bianco che ricordò a Charles il giorno del loro primo incontro. Avevano acquistato gli abiti quella stessa mattina e lui aveva scelto un vestito blu che Tessa aveva giudicato appropriato.

Ogni tanto giocava con il primo bottone della giacca e sorrideva sorseggiando champagne.

Tessa comprese che era a proprio agio in quell’ambiente. Molto più di quanto lo fosse lei.

Stava per farglielo notare quando vide la figura di Donald Pierce entrare nell’hotel accompagnato da Tanner e Payge.

Charles si alzò e si parò tra lui e Tessa allungando una mano. 

“E’ un piacere conoscerla di persona, signor Pierce.” L’uomo strinse la mano di Charles e indicò un salottino alla destra della hall.

“Il piacere è mio, professor Xavier. Ero impaziente di conoscerla. Il nostro primo, come dire, contatto è stato spiacevole e preferirei considerarlo un incidente di percorso.” Charles diede il braccio a Tessa che lo prese e lo seguì.

“Lo è stato in effetti. Sono sempre molto protettivo con la mia famiglia e ci tengo a precisare che considero Tessa parte della mia famiglia.” Pierce si accomodò sul divano invitando Payge a sedersi al suo fianco. Charles capì che stava usando la donna come una sorta di difesa dal suo potere psichico. Potere che, per la precisione, lui non stava ancora adoperando.  

Tanner rimase fermo vicino all’ingresso del salotto, di guardia.

Charles si sedette di fronte al suo interlocutore e versò due bicchieri di whisky. Ne allungò uno a Pierce.

“Il problema è che anche io la consideravo parte della mia.” Tessa reagì.

“Tu hai preso il comando dell’organizzazione di mio padre e io non faccio parte del bottino.”
“Avevamo un accordo ma tu l’hai disatteso.” Disse ancora Pierce. 

Charles sollevò una mano.

“E’ proprio per questo che siamo qui.” La sua voce era compiacente e Tessa capì che Donnie era totalmente conquistato dal carisma dell’uomo che già vedeva come un prezioso alleato.

“Avete deciso di consegnarmi Magneto?” Charles annuì. “E dovrei fidarmi adesso? Dopo che per due volte mi avete preso in giro? Non vedo alcun motivo per cui potreste aver cambiato idea e non mi fido di Tessa.”

“Ha ucciso Lena.” Le parole di Charles uscirono dirette e cattive. Persino Tessa pensò che fosse la verità.

“Però l’hai aiutata a farlo evadere dal Pentagono.”

“Mi serviva per ritrovare mia sorella. Come ho detto, tengo molto alla mia famiglia.”

Pierce parve considerare la cosa e ritenerla convincente. Prese il bicchiere di whisky e fece girare il contenuto.

“E come pensate di riuscire a farlo? E’ un uomo potente e pericoloso.”

“Che si fida di me.” Disse Charles. “Mi seguirà alla parata che il presidente Nixon ha organizzato per gli accordi di pace e per dimostrare che la Nazione non teme i mutanti. Se verrà lì, glielo consegnerò e poi starà a lei farne ciò che vuole. L’importante è che questo regoli una volta per tutte gli affari in sospeso che ha con Tessa.”

Pierce agitò ancora un po’ il bicchiere e poi lo allungò verso Charles.

“Professore, lei mi piace. Ricordo che Magneto ha detto che è stato lei a volermi vivo quando ha attaccato il Chiostro e non dimentico mai un gesto di cortesia. Brindiamo al nostro accordo. Verrò alla parata, prenderò in custodia Magneto e ognuno di noi andrà per la sua strada. Considererò saldato ogni debito.”

Charles prese il suo bicchiere e lo fece tintinnare con quello di Pierce.

“Alla chiusura di un cerchio.” Disse prima di portarsi il bicchiere alle labbra.

“E di un buon affare.” Rispose Pierce facendo altrettanto.

Tessa lanciò un’occhiata a Paige e poi a Tanner. Non era ancora convinta che fosse bastato così poco. L’uomo sulla soglia del salotto però rimaneva immobile. 

Pierce si alzò, invitò Payge a raggiungere Warhawk e le fece un cenno del capo.

“Ancora una volta hai scelto bene, Tessa. Sei la migliore.” Concluse prima di rivolgersi di nuovo a Charles. “Ci vediamo alla parata. Consegnatemi Magneto e andrà tutto bene.”

“A domani.” Disse solo il suo interlocutore.

Li guardarono andare via come erano arrivati, senza farsi notare.

“Credo che tu abbia fatto davvero un lavoro eccellente. E’ realmente convinto che gli consegnerai Erik.” Charles si voltò a guardarla in viso.

“Meglio così. Ero preoccupato che Tanner fosse pronto ad attaccare.”

“Se eri preoccupato, non lo hai dato a vedere.” Fece lei accarezzandogli il collo della giacca.

“So recitare, se è necessario. Hai fame?” Tessa guardò l’orologio.

“In effetti l’ora di pranzo è passata da un po’.”

“Allora vogliamo mangiare qualcosa?”

“Erik si starà chiedendo com’è andata.”

“Non ci vorrà molto. Ti ricordo che ieri sera mi hai accusato di fare resistenza!” Tessa rise.

“Ok. Vuoi andare da qualche parte?”

“Oh, si!” Esclamò lui prendendola per una mano e trascinandola fino all’ascensore.

“Dove andiamo?”

“Seguimi e basta.”

Le porte dell’ascensore si aprirono. Lui digitò il dodicesimo piano e l’ascensore partì. 

Tessa sorrideva mentre Charles la teneva stretta a sé e le sussurrava quanto fosse bella con quel vestito e quanto le piacesse la curva che faceva il collo per mutarsi in spalla.

Quando le porte dell’ascensore si aprirono, Charles tirò fuori dalla tasca la chiave di una camera. Aprì la porta e un vassoio con alcune portate fece bella mostra di sé accanto al letto.

“Sapevi che avrei accettato?”

“Diciamo che sono un’ottimista per natura!” Rispose lui chiudendo la porta.

Rimase fermo così, appoggiato alla parete, senza dire una parola.

‘Te lo chiedo di nuovo, hai fame?’

Tessa tornò indietro fino a stare ad un passo da lui. Lo prese per il bavero della giacca e lo baciò.

‘Sì, professore, sono affamata.’

Charles armeggiò con i bottoni del suo vestito mentre lei gli sfilava la giacca e sbottonava la sua camicia. Quando il vestito di Tessa cadde a terra, lui la spinse indietro fino al letto e si chinò su di lei.

‘Vuoi fare l’amore con me?’ 

Lei lo guardò negli occhi e, con un colpo di reni che sorprese Charles, invertì le loro posizioni.

“Voglio che mi ami disperatamente, Charles.” Disse sfilandogli la cintura e sbottonandogli i pantaloni. 

Lui le prese il viso tra le mani e la baciò appassionatamente. 

‘Dio mio quanto sei bella.’ Proiettò nella mente di lei, mentre le sfilava gli slip e le accarezzava le cosce e il sedere prima di toccarle con due dita l’inguine.

Tessa si tese nel percepire quel tocco e, prima si chinò a catturargli le labbra, poi rovesciò la testa all’indietro e allargò di più le gambe per consentire a Charles di entrare dentro di lei.

Quando lo sentì, cominciò a muoversi lentamente. Charles continuava a trasmetterle ogni sensazione che i movimenti dei suoi fianchi generavano su di lui.

‘Se continui a muoverti in questo modo, farò una pessima figura.’

Lei sorrise ma continuò a farlo, piano come stesse danzando. Lui le prese i seni e lei si fermò un attimo prima di ricominciare a muoversi, questa volta su e giù.

Charles gemette e lei aumentò il ritmo.

‘Non fermarti, mi fai impazzire.’

Lei si mosse fino a che non cominciò a sentire di essere vicina al suo limite. Si chinò di nuovo su di lui.

“Voglio che mi abbracci, Charles. Voglio che mi abbracci e mi stringi forte.”

Lui la fece alzare nonostante il brivido intenso che gli provocò uscire dal corpo caldo di Tessa. La fece stendere al suo fianco e le passò un braccio intorno alle spalle mentre posò l’altra mano sul suo ventre. La strinse a sé, posandole le labbra alla base del collo, e la prese di nuovo con una sola spinta.

Rimasero un momento così, come se Charles avesse improvvisamente avuto paura di farle male. 

‘Ti amo, Tessa Shaw. Disperatamente.’ Le fece sentire e riprese a muoversi mentre la stringeva sempre più a sé.

Lei gridò il suo nome mentre lui le teneva il ventre con la mano e le accarezzava l’inguine con le dita e veniva sconvolgendole la mente con il piacere che stava provando.

Non la lasciò andare neppure quando uscì dal suo corpo, neppure quando lei si girò a baciarlo.

“E’ stato bellissimo,” disse Tessa baciandogli la fronte, “è stato bellissimo sentire come godevi mentre facevi l’amore con me. Avrei voluto farti provare che cosa sentivo io.”

Lui le accarezzò un fianco con le dita ancora bagnate del suo umore e sorrise.

“Ho come l’impressione di averlo percepito lo stesso.”

“Scemo!” Lo canzonò lei dimenandosi tra le sue braccia, poi si fermò e lo guardò con dolcezza. “Abbiamo fatto l’amore.”

“Sì, lo abbiamo fatto.”

“Non lo dimenticherò mai.”

“Neppure io.”

“E ora che facciamo? Dobbiamo tornare?” Chiese lei. Lui le passò dietro le orecchie i capelli che le si erano attaccati al viso per il sudore.

“Sì, dobbiamo. Non ora però. Non sarà una di quelle volte rubate al tempo che ci resta. Chiudi gli occhi e riposa. Il sole non è ancora tramontato. Se ti addormenti, sta’ tranquilla, ti sveglio io.”

Tessa non se lo fece ripetere. Si accoccolò tra le braccia di Charles e chiuse gli occhi.

Charles però, non fu di parola. Il respiro calmo della donna fra le sue braccia e l’orgasmo intenso appena provato, lo fecero cedere alla stanchezza e si addormentò con lei.

Quando Tessa aprì gli occhi era buio. Guardò Charles che dormiva e sorrise con dolcezza. Era bellissimo, i riccioli bruni sparsi sul cuscino e le labbra rosse gonfie per i baci e i morsi che lei gli aveva dato. 

Intendeva solo fargli una carezza quando gli passò il dorso di una mano sulla fronte, ma il suo potere si attivò involontariamente e lei vide le conseguenze delle sue azioni, di quello che avevano fatto lei e Charles. Una lacrima le rigò il viso e proprio in quel momento, Charles aprì gli occhi.

“Ehi, che succede? Stai bene?” L’uomo si mise seduto e le asciugò il viso con la mano.

“Sì.”

“Non mi sembra.”

“E’ solo che è ho come la sensazione che tutta questa felicità sia impossibile. Che non mi spetti.”

“Non dire così. Chiudiamo questa storia e poi potremo pensare a come vivere la nostra vita.” Lei abbassò lo sguardo.

“E Erik?”

“Non sottovalutarlo. Erik capirà. Gli parlerò io. Non è il tipo che accetta le sconfitte ma tu non sei un trofeo. Capirà. Dovrà farlo. Fidati di me. O c’è qualcosa che non mi hai detto?” Tessa si alzò dal letto raggiungendo la porta del bagno.

“No. Non è successo niente. Mi fido di te. Sono nervosa perché il mio potere è ancora intermittente.” Disse chiudendosi in bagno.

Si lasciò cadere contro l’uscio soffocando i singhiozzi e si ricordò le parole di Calibano.

‘Scegli bene’, le aveva detto.

Lei credeva di averlo fatto seguendo il suo cuore. Si rialzò e si guardò allo specchio. Se aveva sbagliato, aveva ancora tempo per rimediare.

 

Erik era sempre più agitato.

Sapeva che l’appuntamento era a mezzogiorno e che erano usciti presto per far perdere le loro tracce e procurarsi degli abiti adatti ad un albergo di lusso, ma il sole era tramontato da molto e lui era sempre più indeciso su cosa fare.

Si alzò di scatto con l’intenzione di andare a cercarli quando la porta della camera si aprì.

“Era ora! Che fine avete fatto?” Urlò.

“Calmati Erik, volevamo essere certi che non ci seguissero.” Disse Charles ma Erik guardo Tessa.

“Sembri distrutta, stai bene? E’ successo qualcosa?” 

“No,” rispose lei, “sono solo stanca.” Tagliò corto entrando in bagno e chiudendo la porta. 

Erik tornò a guardare Charles.

“Com’è andata?”

“Ci sarà.” Rispose il professore sfilandosi giacca e cravatta.

“Allora domani tocca a me.”

“Sì, ci siamo quasi Erik.” 

La porta del bagno si aprì e Tessa uscì in tuta. Aveva il pacchetto delle sue sigarette in mano.

“Vado a fumare.” Disse lasciando la stanza.

“Sei certo che stia bene?” Chiese di nuovo Erik all’indirizzo di Charles.

“E’ un po’ nervosa. Non credo ne abbia motivo ma le sue capacità non sono ancora tornate completamente. Credo che lei ci faccia molto affidamento. Mi ricordo com’era quando le voci qui dentro,” disse Charles toccandosi la fronte, “erano fuori controllo.” Erik prese le chiavi della stanza.

“Vado a parlarle.”

“Non credo dovresti.” Gli rispose Charles.

“Hai detto che Tessa è adulta e che tocca a lei scegliere, giusto?” Charles si fece da parte.

“L’ho detto. Non stressarla ok?”

Erik non lo degnò di alcuna risposta. Salì sul tetto e aprì la porta con cautela. Lei era seduta sul bordo del muretto di cemento e fumava tremando.

“Non fa troppo freddo?” Le disse sfilandosi il maglione e passandoglielo intorno alle spalle.

“E tu non ne hai?” Indicando con la sigaretta il dolcevita sottile che indossava Erik una volta ceduto il maglione.

“No, io non ne ho.” Tessa prese il maglione e glielo rilanciò. “Che ti prende?”

“Non voglio che fai queste cose.” Erik rise e si sedette accanto a lei.

“Non vuoi che ti presti un maglione?”

“Non voglio che ti sacrifichi per me.”

“Che stronzata. Non sono stato abbastanza chiaro ieri? Dammi una sigaretta.” Lei gli passò il pacchetto. Il tedesco si accese una sigaretta e glielo rese. “Perché sei così nervosa?”

“Non lo so.” Erik sorrise scuotendo la testa.

“Charles dice che è perché non ti sono ancora tornati i poteri. Io dico che è per il motivo opposto. Chi dei due ha ragione?” Lei espirò il fumo e rispose.

“Ogni cosa è una sfida fra voi?”

“Ora stai parlando di te?” Lei si girò a guardarlo negli occhi.

“Anche io non sono nient’altro che il premio in palio per l’ennesima delle vostre partite a scacchi?”

“Mi dispiace se è così che ti senti. Io penso che tu sia perfettamente in grado di scegliere tra me e Charles senza che io e lui ci sfidiamo all’arma bianca.”

“Molto onorevole da parte tua!” Lo canzonò lei ma era ancora di pessimo umore.

“Tessa cosa sta andando per il verso storto? Se si tratta di qualcosa nel piano di domani, devi parlarcene.” Lei si alzò e gettò il mozzicone oltre il parapetto.

“Il piano andrà bene se tu farai le cose che abbiamo progettato senza improvvisare, né fare colpi di testa.” Erik rise di gusto.

“Quindi sei preoccupata che io faccia cose stupide?”

“Esatto.”

“Come proteggerti?” Tessa mise le mani sui fianchi.

“Cos’ho appena detto?”
“Perché non hai fatto la predica al reverendo di sotto?”

“Perché quello impulsivo sei tu.” 

Erik azzerò la distanza tra loro e avvicinò il suo viso a quello di Tessa.

“Non sarà che sei solo preoccupata per me?” Lei fece un passo indietro.

“Certo che sono preoccupata per te. Pierce è un uomo pericoloso.”

“Domani ce ne libereremo una volta per tutte.” Tessa sembrò tentennare. Erik le passò di nuovo il suo maglione attorno alle spalle.

“Promettimi una cosa, Erik.”

“Ti farà stare più serena?”

“Sì.”

“Allora parla.”

“Promettimi che chiunque di noi dovesse essere in pericolo, ti atterrai al piano. In nessun caso devi finire nelle mani di Pierce.”

“A Lena ho promesso che avrei fatto da scudo a Charles. Non posso farne un’altra che infrange la precedente.”

“Allora dimmi che se io dovessi essere in pericolo, ti atterrai al piano.” Erik si rabbuiò. Lei gli carezzò una guancia. “So che tieni a me.”

“Posso prometterti questo: non finirò nelle mani di Pierce qualunque cosa accada. Va bene così?” Lei si infilò il suo maglione.

“Immagino che non otterrò nulla di più da te.”

“Al contrario. Ti sto dando tutto me stesso. Abbine cura, Tessa.”

Lei lo abbracciò e lui la strinse. 

“Mi dispiace di non essere all’altezza, Erik.”

“Sei la cosa più vicina ad una famiglia che abbia avuto. Resta con me, Tessa.”

Lei non rispose. 

La notte era calata su Washington. Il tempo a sua disposizione era finito.

 

Il parco davanti alla Casa Bianca era circondato da un primo cordone di militari e da un secondo schieramento di fotografi e reporter.

Dopo gli eventi di Parigi, sia l’esercito che i giornalisti erano affamati di informazioni.

I primi avevano diffuso le foto segnaletiche di Erik Lehnsherr, l’uomo più pericoloso del mondo e di Tessa Shaw, la figlia del terrorista mutante che aveva fatto quasi scoppiare la terza guerra mondiale.

Raven e Hank avevano incontrato Lucy nella stazione della metro più vicina al punto d’incontro che avevano concordato con Erik e che consisteva in un condotto tra due binari della stazione stessa.

“Credevamo che vi avessero fermati. Ce ne avete messo di tempo!” Esclamò Raven.

“Il mio potere può schermarci ma non possiamo muoverci troppo velocemente.” Le spiegò Charles che aveva nascosto i due ricercati agli occhi delle persone che avevano incrociato raggiungendo il punto d’incontro.

“Avete il pass?” Chiese Erik guardando Lucy.

“Sì,” rispose la ragazza, “Trask sarà assieme al presidente quindi, poiché Stryker lo accompagnerà, dovrai agire in fretta Raven se vuoi sostituirti a lui.”

“Quel bastardo non mi vedrà neppure arrivare.” Rispose lei.

Tessa prese un respiro e parlò.

“Ripetiamo il piano dall’inizio. Lucy cominci tu?” La ragazza annuì.

“Io rallento Trask. Gli impedisco di vedere Stryker fino a che Raven non si sostituisce a lui.” Raven proseguì.

“Io fermo Stryker e prendo il suo posto. Dopodiché raggiungo Trask e lo porto dal presidente.” Stavolta fu Hank a prendere la parola.

“Io metterò addosso a Raven un congegno che disturba le comunicazioni così, quando lei sarà con Nixon e i suoi uomini, lancerò il segnale che li metterà tutti su false frequenze.” Tessa annuì e guardò Erik.

“Quando partirà il discorso di Nixon, io metterò in funzione le sentinelle e farò confusione.”

“Io,” intervenne Raven, “ordinerò che per la sicurezza del presidente è necessario evacuare l’area e condurrò Nixon e Trask nella sala ovale.”

“La stessa cosa farò io con Pierce.” Disse Charles.

“Io vi seguirò e quando Charles farà capire a Nixon che dietro tutta questa storia c’è un accordo tra Trask e Pierce, interverrò per metterli fuori gioco.” Concluse Erik.

Tessa aspettò un momento, come se stesse riepilogando tutto nella sua mente, e parlò.

“Ok. Prendiamo posizione.”

Tutti annuirono. Charles si fermò a scambiare due chiacchiere con Hank, Tessa e Lucy ricontrollarono la piantina della Casa Bianca e i pass mentre Raven avvicinò Erik.

“E se qualcosa va storto?” Gli chiese a bruciapelo. “Qui sembra che nessuno voglia interessarsene.”

“Al contrario!” Esclamò Erik. “Qui sembra che nessuno abbia più fiducia nei nostri mezzi.”

“Voglio essere certa che se avrai l’occasione di uccidere quei bastardi, non la sprecherai.”

“Voglio ucciderli quanto te, ma sai bene come la pensa Charles. Ho già avuto l’occasione di uccidere Pierce e non me l’ha lasciato fare.”

“Neanche a Cuba Charles voleva uccidere Shaw, ma questo non ti ha fermato. La tua vendetta era più importante della mia?”

Erik sapeva che Raven diceva il vero. Con Shaw non aveva avuto alcuna pietà. Era andato fino in fondo e aveva finito col ferire Charles e uccidere Lena. Guardò Tessa per un attimo e poi tornò a fronteggiare la mutante che più di tutti comprendeva la sua rabbia.

“Non la farà franca, questo te l’ho già promesso.” La donna annuì ma, quando stava per voltarsi e andarsene, aggiunse poche parole indicando Tessa con un cenno del capo.

“Lei ha detto a tutti cosa fare. Sappiamo cosa farà lei, nel frattempo?”

Erik non rispose. La lasciò andare consapevole che lei aveva detto ad alta voce quello che lui si era domandato sin da quando Tessa aveva comunicato loro i dettagli del suo piano.

 

 

Si erano divisi da pochi minuti. Il gruppo costituito da Raven, Lucy ed Hank si era defilato lungo una traversa che, dalla grande piazza, conduceva fino alla via degli alberghi chiusi al pubblico e messi a disposizione delle personalità che avrebbero partecipato alla manifestazione.

Charles, Erik e Tessa avevano imboccato un sotterraneo che portava esattamente dalla parte opposta e cioè in corrispondenza dell’hangar in cui erano state alloggiate le sentinelle.

“Qui le nostre strade si dividono.” Disse Charles che si era cambiato d’abito indossandone uno adatto agli ospiti d’onore della parata. “Vado a prendere Pierce.”

Tessa gli diede un’occhiata fugace e finse d’interessarsi alle notizie che arrivavano da una radiolina che gli aveva dato Hank. Charles camminò fino a fronteggiare Erik.

“Si va in scena.”

“Fa’ la tua magia, reverendo.” Lo prese in giro il più grande cercando di sorridere.

“E tu fa' la tua. Sta’ attento a non ferire nessuno con quelle cose, mi raccomando.”

“Sempre il solito. Se ti senti in pericolo, entra nella mia testa, chiamami.”

“Non ce ne sarà bisogno. Bada a lei.” 

“Non c’è bisogno di chiederlo. Sta’ tranquillo.” 

Charles annuì e prese la via per uscire dal piccolo bunker.

“Charles, aspetta!” La voce di Tessa lo fermò proprio sugli ultimi gradini. Lei si fermò come se fosse pentita di averlo richiamato. 

‘Andrà tutto bene.’ La mente di Charles le parlò con dolcezza. Lei annuì ma i suoi occhi si riempirono di lacrime. L’uomo tornò sui suoi passi.

“Cosa c’è?”

“Volevo solo abbracciarti,” disse lei gettandogli le braccia intorno al collo e stringendolo forte, “e dirti che prima di te io non ero niente. Io non provavo niente. Ero tormentata dai miei demoni e dai sensi di colpa. Non sapevo cosa significasse amare. Tu mi hai dato speranza, mi hai restituito fiducia nel prossimo. Per questa e mille altre ragioni, faccio quello che faccio Charles, voglio che te lo ricordi, voglio che te lo ricordi per i prossimi mille anni.” Charles, che fino a quel momento aveva ricambiato la stretta, la scostò da sé e la costrinse a guardarlo negli occhi.

“Hai visto qualcosa che ti spinge a parlare in questo modo?” Lei scosse il capo asciugandosi gli occhi.

“No, tutto andrà come deve andare. Tu starai bene, Erik starà bene, cambieremo il futuro di Lena.”

Allora Charles osò fare l’unica domanda che gli pesava sul cuore.

“Noi staremo insieme quando tutto questo sarà finito?” Lei gli prese il viso tra le mani.

“Oh, Charles, mio gentile e buono Charles, io sarò sempre con te,” disse toccandogli la fronte, “ci siamo uniti in un modo che temo sarà impossibile sciogliere.” Concluse sorridendo. Charles si chinò su di lei e la baciò. Le sorrise un’ultima volta e lasciò il corridoio.

Tessa si lasciò andare ad un pianto incontrollato. Si sarebbe accasciata sui gradini se due mani grandi non l’avessero sostenuta.

Si rese conto della presenza di Erik, si asciugò gli occhi e lo sopravanzò tornando nel bunker. La reazione di Erik però non tardò ad arrivare.

“Che diavolo significa? Perché gli hai detto addio in quel modo?”

“Non gli ho detto addio!” Urlò lei, ma la porta del bunker si chiuse violentemente e il metallo nella stanza tremò.

“Non mentire a me. Accadrà qualcosa a Charles?” La furia di Erik era incontenibile.

“No!” Gridò realizzando che ancora Erik non si fidava totalmente di lei. “No! Come puoi anche solo pensare che possa deliberatamente mandare Charles incontro al pericolo!” 

Nel vederla gridare in quel modo, scossa dal pianto e dalla rabbia, Erik comprese.

“Allora sei tu quella che non ce la farà?” 

Tessa prese un respiro. Smise di tremare e si asciugò il viso. Erik le porse un bicchiere d’acqua. Lei fece solo due sorsi.

“Non morirò.” Disse guardando negli occhi il tedesco che la fissava preoccupato in attesa di una risposta.

“Allora perché quando Charles ti ha chiesto se starete insieme gli hai risposto in quel modo?”
“Perché noi due non staremo insieme.” Tessa lo disse guardandosi i piedi.

“Charles ti ama e tu hai detto che tieni a lui.”

“Nonostante ciò non staremo insieme.” Stavolta lei lo guardò negli occhi affinché capisse che gli stava dicendo la verità.

“Ed è mia la responsabilità?” Erik lo chiese con tanta rabbia nella voce, quella rabbia che Tessa aveva imparato a riconoscere e a capire.

“Sì.” Lo disse scoppiando a ridere e a piangere assieme. Erik le si avvicinò e le accarezzò il viso.

“Non dico che se scegliessi Charles io capirei, né mi congratulerei per la vostra felicità. Però lo accetterei. Non vorrei mai essere la causa della tua sofferenza.”

Lei lo guardò come se lo vedesse di nuovo com’era davvero, come la sera che si era svegliata dall’intervento.

“La mia Tour Eiffel. Erik, ricorda bene una cosa. La scelta è mia. Ogni scelta che ho fatto è mia. Ogni scelta che farò è mia. Se non starò con Charles, la scelta è mia.”

“E’ me che stai scegliendo?” Chiese allora lui desiderando e temendo la risposta.

“Sì. Stavolta scelgo te. Quindi fa ciò che devi fare e rispetta il piano. Solo così andrà tutto come deve andare, come ho scelto che vada.”

Erik, rinfrancato da quelle parole, si allontanò da lei ma, prima di lasciare il bunker, si girò a dirle poche parole.

“Farò ogni cosa in mio potere per cambiare il futuro di Lena. Però sappi Tessa che cambierò anche il tuo, qualunque esso sia. Lo giuro.”

Tessa lo lasciò andare senza dire niente.

Il tempo per le parole era finito. Bisognava agire e farlo in fretta.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Il piano per cambiare il futuro - seconda parte ***


Il piano per cambiare il futuro - seconda parte -


Tessa raggiunse la camera degli inservienti al piano dell’albergo in cui soggiornava Pierce per vedere l’unica persona che poteva fare la differenza per lei quel giorno.

Mitchell Tanner se ne stava seduto con gli occhi chiusi e le mani dietro la testa su una poltrona in ecopelle di terza categoria. 

Entrò e chiuse la porta senza fare rumore anche se sapeva che lui aveva già capito che era lì.

“Certo che ne hai di fegato, bambolina.” Disse senza aprire gli occhi.

“Ho bisogno del tuo aiuto, Mitchell.” L’uomo aprì gli occhi e la guardò da capo a piedi.

“Come diavolo hai fatto a guarire così in fretta?” Le chiese versandosi un bicchiere di scotch che era sul tavolino accanto alla poltrona.

“Pozione magica,” disse sollevandosi la maglia e mostrando un livido esteso dallo sterno all’anca, “anche se non sono esattamente tutta intera.”

“Hai un’emorragia interna e sembra grave, dovresti essere in ospedale. Cristo! Come fai a stare in piedi.”

“La mia mente è in grado di isolare il dolore. Tanner, concentrati, ho bisogno di te.”

“Davvero vuoi il mio aiuto?” Disse l’uomo alzandosi e indicando il livido. “Vuoi che finisca il lavoro?”

“Questo non me lo hai fatto tu. E’ stato un frigorifero. Una bella storia ma non ho tempo di raccontarla.”

“Anche se mi assolvi dai miei peccati, sai che non sono sempre me stesso. Se mi controlla Paige, io non ho voce in capitolo. Lo sai bene.”
“Ti controlla adesso?”

“No.”

“Allora aiutami.”
“Cosa vuoi?”

“So che Pierce ha portato qui la macchina. Dov’è?” Tanner sputò in terra.

“Come diavolo fai a saperlo?” Tessa si toccò la tempia.

“Prevedo le reazioni di tutti, ricordi? Alla fine non si è fidato di Charles come voleva farci credere.”

“Al contrario! E’ talmente certo che il tuo professore glielo consegnerà che ha voluto portare qui la macchina per assaggiare subito i poteri di Magneto.”

“Dove la tiene?”

“Non gli consegnerete Magneto, vero?”

“Non realmente e te lo sto dicendo perché mi fido di te.”

“Bambolina, Pierce ha modificato la macchina. Una volta dentro, il meccanismo si blocca per sempre e te lo sto dicendo perché mi fai pena e mi farà pena ancora di più chi verrà rinchiuso là dentro in eterno.” Tessa ascoltò le parole di Tanner come se non la riguardassero.

“Dimmi dov’è la macchina.” Ripeté ancora come un automa.

“Nel seminterrato dell’hangar dove hanno collocato le sentinelle. Pierce ha un accordo sottobanco con Trask. E qui finisce il mio aiuto. Fra poco Paige scende a prendermi. Devi andartene.”

“Grazie Tanner e spero che il tuo aiuto non finisca qui. Paige non verrà. Ha un appuntamento con me e non si riprenderà così presto da questa esperienza.”

“Non fare cazzate, bambolina.”

“Addio, Mitchell. Grazie di quanto hai fatto e per ciò che farai. Se incontrerai Charles,” disse lanciandogli una moneta che aveva il simbolo del Reich su un lato, “proteggilo, ti pago in anticipo.”

Tessa uscì e corse come non aveva mai fatto in vita sua per raggiungere il piano in cui sapeva c’era la stanza di Paige.

La donna stava uscendo in quel momento. Usò il suo potere telecinetico, la spinse dentro e raggiunse la camera chiudendosi la porta alle spalle.

“E’ un piacere rivederti, tesoro!” Ironizzò la donna rimettendosi in piedi. “Ma oggi è una giornata importante e non posso tardare al lavoro.”

“La tua presenza non è prevista.” Disse Tessa cominciando a far tremare gli oggetti nella stanza.

“Vuoi fare questo gioco con me?” Chiese Paige controllando lo smalto delle sue unghie.

“No, non è un gioco.”

“Non puoi difenderti dal mio potere, Tessa, per cui per quanto tu sia forte, ti ordinerò di dormire e tu andrai a ninna.” 

Fu in quel momento che Tessa sembrò barcollare. Paige sorrise.

“Non ti reggi neppure in piedi.” Disse avvicinandosi a lei. Si accorse troppo tardi dello scudo. Si espanse dal corpo di Tessa respingendola in modo violento e repentino. Finì contro la parete opposta priva di sensi.

Tessa si asciugò il sangue dal naso e si accertò che fosse realmente svenuta. 

Si alzò per controllare l’ora e il dolore all’addome la fece accasciare. Il naso non smetteva di sanguinare. Raggiunse il bagno e si lavò il viso poi preparò l’iniezione che avrebbe tenuto Paige fuori dei giochi tutto il giorno. Tornò nella stanza in cui giaceva e le somministrò il potente sonnifero.

Si alzò e uscì chiudendo la porta a chiave. 

Accese la radio. Tutto andava per il verso giusto. La parata era cominciata.

 

Raven aveva preso il posto di Stryker come da piani e aveva indossato la spilla che conteneva il dispositivo per distorcere il segnale antimutante di Trask e quelli per le comunicazioni del presidente Nixon.

Intravide Charles seduto in prima fila con accanto l’uomo che doveva essere Pierce.

Rimase immobile nonostante la voglia di spezzare il collo all’uomo che in apparenza doveva proteggere. 

Il presidente fece un commovente discorso su come il mondo non sarebbe stato più lo stesso dopo la presentazione delle nuove armi prodotte da Trask.

Strinse un pugno per impedire a se stessa di mutare aspetto e sparare a quello stronzo ma la voce di Charles le arrivò repentina.

‘Non dubitare del piano, Raven. Erik sta arrivando. Ti prego. Ho passato tutta la vita a cercare di controllarti, voglio che questo sia il primo giorno di una vita diversa. Cambiamo il futuro per tutti i mutanti e cambiamolo anche per noi.’

Charles era sempre il solito e avrebbe voluto rispondere che se non si agiva in prima persona, nulla poteva mai veramente cambiare, quando le sentinelle si attivarono e cominciarono a sollevarsi disponendosi contro le persone che, nelle idee del presidente degli Stati Uniti d’America, avrebbero dovuto difendere.

Tirò fuori la pistola e mise una mano su una spalla di Trask. Sarebbe stato facilissimo spezzargli il collo in quella confusione. Con la coda dell’occhio vide Charles portare via Pierce.

“Andiamo via, signore!” Urlò all’indirizzo di Trask. “La porto in un posto sicuro.”

Guidò gli uomini del presidente verso l’hangar delle sentinelle invece che verso il bunker presidenziale che era sotto i giardini della Casa Bianca. Quando le guardie se ne accorsero era troppo tardi. Assunse l’identità di uno di loro e li mise tutti fuori combattimento tornando ad assumere le sembianze di Stryker.

E fu in quel momento che apparve Erik, due sentinelle alle sue spalle.

Nixon lo riconobbe immediatamente e così anche Trask.

“State indietro, signore!” Gridò all’indirizzo di Nixon. “Quest’uomo ha già ucciso un presidente degli Stati Uniti!”

“E’ una menzogna.” Rispose Erik. “E’ gente come te, Trask, che ha deciso che la minaccia sono i mutanti. Ed è così. I mutanti rappresentano una minaccia per chi desidera schiacciarli, umiliarli, farli a pezzi. E’ questo che l’America vuole? Uccidere milioni di americani perché mutanti? E’ questo che farete con queste macchine. Si è chiesto chi ha finanziato Trask, presidente? Si è chiesto perché? Esistono minacce ben più gravi per il popolo americano.”

Mentre Erik terminava il suo discorso, arrivarono nella stanza anche Charles e Pierce. Il telepate non aveva dovuto fare alcuno sforzo per spingere Pierce a raggiungere Erik e il presidente Nixon. L’uomo già sognava di diventare l’eroe del giorno, quello che avrebbe fermato Magneto.

Per questo non comprese subito ciò che stava succedendo e rimase in silenzio quando Erik lo indicò come la reale minaccia.

“Ecco chi finanzia macchine più potenti di quelle costruite dal governo che rappresenta, presidente!” Disse Erik indicando Pierce.

“Trask mi spieghi che sta succedendo. Cosa sta insinuando quest’uomo?” Chiese Nixon osservano i nuovi arrivati. Trask esitò e poi guardò Stryker.

“Spara a quel maledetto!” Stryker tirò fuori l’arma antimagneto ma, mentre lo faceva, riprese le sembianze di Raven e gliela puntò alla testa. Aspettava quel momento da oltre un anno e la voce le uscì ferma e severa.

“Tu hai assassinato migliaia di miei fratelli e sorelle. Dammi una sola, buona ragione per cui io ti risparmi la vita.” 

Fu Charles ad intervenire. Prese il controllo della mente di Pierce e finse di aver condotto lì il capo dell’Hellfire perché smascherasse Trask.

“Raven, non ucciderlo, Pierce confesserà e Trask pagherà!” Gridò mentre Donald Pierce, lo sguardo vacuo e l’andatura lenta, camminò fino a stare innanzi al presidente e parlò.

“Io ho pagato Trask per costruire queste macchine affinché sradichino i mutanti uno ad uno dalla faccia della Terra. Affinché ripuliscano questo pianeta da ogni uomo e da ogni donna che portano in sé anche un solo gene mutante. Li odio come li odia lui. Non importa che siano americani, russi, cinesi. Importa solo che muoiano. Loro hanno il potere? Noi ne avremo di più. Non importa cosa ne pensano i governi di uomini vigliacchi e senza spina dorsale. L’Hellfire ha più risorse di ogni governo legittimo al mondo. Noi regneremo.”

Le parole gli uscirono di bocca talmente spontanee che Nixon non ebbe dubbi sul fatto che fossero sincere. Il presidente indietreggiò fino a sbattere contro la parete. Charles fu diretto con lui.

“Lo farebbero se potessero.” Disse.

“Non lo faranno, non ne avranno più i mezzi,” fece invece Erik sollevando una mano e facendo in modo che il metallo all’interno delle sentinelle le distruggesse pezzo per pezzo, “se lei non gliene darà di nuovi.” 

Così quelle magnifiche macchine da guerra si sbriciolarono sotto lo sguardo di Trask e di Nixon.

“Non sarò io a farlo. Il progetto sentinella è cancellato.” Disse Nixon mentre Trask si lasciava cadere a terra, sconfitto.

Solo allora Charles lasciò andare la mente di Pierce che si ritrovò occhi negli occhi con Erik. Il signore dei metalli lo sfidò memore dello scontro in cui lo aveva risparmiato nonostante il male che aveva fatto a Tessa.

“Avresti il fegato di affrontarmi stavolta, signor Pierce?” Chiese Erik mentre le sue labbra si allargavano in un ghigno.

Ciò che nessuno in quella stanza aveva previsto, fu la risposta di Donnie.

“Oh, si!” Disse piano mentre spingeva il pulsante di un dispositivo che aveva nascosto in tasca.

Charles capì prima di tutti cosa stava per accadere. Le testate dei missili delle sentinelle si attivarono contemporaneamente. Urlò.

“Raven, metti al sicuro il presidente!” 

La donna capì che doveva agire in fretta e che non aveva molta scelta. Tirò indietro Nixon un attimo prima che il pavimento dell’hangar cedesse.

 

Tessa era riuscita a trascinarsi fino al luogo in cui Tanner le aveva detto essere la maledetta macchina che suo padre aveva creato per controllare il potere di un altro mutante.

Quando era bambina, era una camera di metallo abbastanza grande da consentirle di viverci dentro anche se rinchiusa. Azazel era l’unico a poter entrare e uscire dalla stanza anche se lei sapeva che suo padre avrebbe potuto aprirla in qualunque momento.

Pierce l’aveva modificata. Era diventata una sorta di loculo largo un metro e profondo ottanta centimetri. Una bara di metallo.

L’aveva montata dietro una porta. Evidentemente il suo scopo era convincere qualcuno ad entrarci come fosse l’ingresso di una stanza.

Nella camera antistante c’era un computer che doveva essere l’unità di controllo.

L’accese ma riuscì a comprenderne il funzionamento solo in parte. Non capiva come spegnerla. Raggiunse la macchina e pensò di toglierle la corrente. La voce di Tanner la spaventò.

“Ha delle batterie in grado di farla funzionare per ventiquattro ore. Mi dispiace bambina, non si può mettere fuori uso.”

Tessa sospirò. Era allo stremo. Dopo aver usato i suoi poteri sul treno per aiutare Erik a mettere in salvo Charles, si era resa conto che la ferita all’addome non era affatto guarita come gli altri credevano. Ormai si trascinava. 

“Io devo fare qualcosa. Se Erik finisce qui dentro non sopravvivrà.” Il suo viso era una maschera di dolore. Tanner cercò di calmarla.

“Non morirà. La macchina rilascia una specie di gas che induce uno stato di ibernazione.” 

“Invece lo ucciderà! Non può essere rinchiuso di nuovo. Io lo so.” Disse lei scoppiando a piangere. Il peso delle conseguenze delle sue azioni, sapere cosa sarebbe successo dopo che lei era entrata nelle vite di Charles ed Erik la stava schiacciando. 

“Bambina, tu non puoi salvare tutti. E di certo, alcune persone non vogliono essere salvate.”

Tessa stava per ribattere che non era vero, che persino lei, lei che non aveva mai pensato alla salvezza, lei che aveva sacrificato la vita di sua sorella e la sua per rimediare alle colpe di suo padre e cancellare un futuro di morte per tutti i mutanti, lei che aveva sempre detto di non avere bisogno di nessuno e di niente oltre al suo potere, lei avrebbe voluto disperatamente che qualcuno la salvasse. 

Stava per farlo quando il rumore di una fortissima esplosione fece tremare le pareti. Neanche il tempo di alzare lo sguardo che il soffittò crollò loro addosso.

 

Trask giaceva in terra privo di vita.

Pierce era stato sbalzato oltre Charles dall’esplosione di uno dei missili che era sfuggito al controllo di Erik. Questi aveva difeso se stesso e Charles ma il più giovane era stato colpito da un masso alla testa e sanguinava dalla fronte.

Erik lo distese sul pavimento prima di rendersi conto che il pavimento si era sbriciolato sotto ai loro piedi ed erano finiti nel seminterrato.

I massi davanti a lui si mossero rivelando la figura di Tanner ed Erik impallidì quando vide che tra le braccia aveva Tessa.

“Che diavolo ci fate qui?” Esclamò lasciando andare Charles e correndo dalla donna.

“Avete fatto un bel casino là sopra!” Esclamò l’uomo che gli lasciò Tessa tra le braccia. Lui la scosse appena e lei aprì piano gli occhi.

“Erik, che è successo?”

“Pierce ha fatto saltare in aria i missili delle sentinelle. E’ più morto che vivo ma ci ha quasi portati con lui. Tu stai bene? Ti sanguina di nuovo il naso.” Tessa se lo asciugò e sorrise.

“Sto bene,” disse concentrandosi un attimo e guardando oltre come faceva quando adoperava il suo potere, “e voi ce l’avete fatta. Raven e Nixon?”
“Lei è una fottuta eroina. Ha salvato il presidente. Quella non doveva essere la mia parte?” Erik si sforzò di non mostrare alcuna preoccupazione per le sue condizioni. Tessa invece chiese dell’unica persona di cui non sapeva niente.

“E Charles?” 

“Laggiù,” disse Erik indicando l’uomo, “la bella addormentata si sveglierà con un bacio, ne sono certo. Faccio io o vuoi provarci tu?” Tessa rise e il dolore la fece piegare in due. “Tu non stai affatto bene.” Commento Erik ma la donna scosse il capo.

“Aiutami ad alzarmi.”

Erik lo fece ma, quando si voltarono, Pierce era in piedi di fronte a loro con l’arma antimagneto di Raven in pugno.

Aveva metà della faccia ustionata e un braccio in meno ma la sua espressione era di puro odio.

“Ora, signor Lehnsherr, lasci andare la troietta ed entri in quella stanza.” Erik strinse un po’ di più Tessa.

“Non penserai che puoi costringermi a fare qualcosa minacciando la mia vita.”

“No, ma posso sparare ad uno a caso dei tuoi amici e tu non potrai fermare il proiettile. La vita di quale dei due vuoi sulla coscienza?” Erik si rivolse a Tessa.

“Va’ da Charles, se si sveglia la partita è chiusa.”

“No! Non ti permetterò di entrare là dentro.”

“Cosa c’è oltre quella porta?” Chiese lui stringendola più forte. Lei scoppiò a piangere.

“Una tomba per le lucciole.”

“Lucciole?” Erik guardò istintivamente Charles. “Io non sono una lucciola come Charles. Io sono la Tour Eiffel ricordi?” Disse lasciandola andare e camminando verso Pierce facendo attenzione a rimanere sulla linea di tiro dell’arma dell’uomo.

“Molto bene, Magneto, vediamo di cosa sei fatto. Entra!” Disse Tanner aprendo la porta. 

Tessa però non era disposta a vedere diventare realtà l’unico futuro di cui non aveva parlato a nessuno. Così liberò liberò il suo potere. Una sorte di bolla di energia telecinetica si allargò da lei verso Erik e Pierce. Questi reagì puntando l’arma verso l’unico bersaglio libero e sparò.

Tessà tremò pensando che non era abbastanza forte da allargare la sua energia fino a Charles e urlò il suo nome sperando che il professore si svegliasse. Il proiettile però non raggiunse il corpo dell’uomo e rimbalzò sul dorso di Tanner che gli aveva fatto da scudo. 

Ormai certa che Charles sarebbe stato al sicuro, Tessa sprecò le sue forze residue per strappare l’arma di mano a Pierce. 

Lui però fece fuoco di nuovo contro Erik anche se ciò che restava del potere dello scudo di Tessa lo protesse. Erik allora usò il suo potere per scagliare addosso a Pierce ogni pezzo di metallo presente tra i detriti. Tessa urlò ad Erik di allontanarsi dalla porta quando Pierce riuscì ad accendere la macchina che reagì al potere di Erik e cominciò ad attrarlo verso di essa.

Tessa allora si mise tra lui e la macchina e vi entrò afferrando la porta. Stava per tirarla verso di sé quando vide Charles sanguinante e con occhi imploranti che scuoteva la testa.

‘Non farlo! Troveremo un altro modo!’

Tessa pianse ma non si fermò. Tirò la pesante porta di ferrò verso di sé fino a che non udì lo scatto della serratura.

Charles urlò e si lanciò verso la porta.

“Erik! Erik, vieni qui, aprila! Aprila Erik!” Il tedesco lasciò andare Pierce e raggiunse la porta. Oltre essa, la donna rideva e piangeva insieme esattamente come quando Erik l’aveva vista salutare  Charles. Una terribile sensazione di angoscia lo colse e iniziò a usare tutta la forza che aveva in corpo per tirare via i cardini mentre Charles continuava a gridare e a piangere.

“Aprila Erik, ti prego, aprila!”

“Non ci riesco, non ci riesco!” Cominciò a dire lui nonostante non smettesse di provarci. Il ticchettio della macchina continuava. 

“Non si aprirà,” la voce di Tanner li fece voltare entrambi, “quella macchina non si aprirà. Tessa lo sapeva per questo ha fatto di tutto perché non ci finissi dentro. Avete meno di un minuto per dirle addio, dopodiché il gas che vi è contenuto le indurrà uno stato di ibernazione. Usate bene il tempo che vi rimane.”

Charles continuava a pregare Erik di aprire la porta. Lui fece ogni cosa in suo potere.

“Usa il tuo potere su di me.” Disse ad un certo punto rivolgendosi al più giovane. “Tu puoi aprire la mia mente come hai fatto con quella di Tessa a Parigi.” Charles si voltò a guardare l’amico con gli occhi gonfi per il pianto.

“Quel giorno l’ho quasi uccisa!”

“Fallo!” Gridò Erik e l’urlo fu rabbioso, cattivo.

“Non farlo.” La voce di Tessa invece fu tremante e dolce e li fece voltare entrambi. “Io starò bene. Sono già sopravvissuta a questo una volta. Lo rifarò e un giorno ci rivedremo. Io lo so, l’ho visto. Per cui adesso non soffrite e non piangete per il mio destino. Il futuro si può cambiare, voi me lo avete dimostrato. Rimanete uniti come Lena avrebbe voluto sin dal principio e un giorno sarete in grado di cambiare di nuovo il futuro. Siamo salvi, siamo tutti salvi.”

Il ticchettio divenne più veloce.

“Tessa io non posso, non voglio perderti. Ti tirerò fuori di qui, lo giuro dovessi scatenare l’apocalisse!” Disse Erik avvicinando la mano al vetro oltre il quale c’era il volto della donna che amava, che in qualche modo aveva sempre amato. Lei si sforzò di continuare a sorridere nonostante il dolore e la paura e fu in quel momento che la mente di Charles le sussurrò poche parole.

‘Non posso vivere senza questo legame. Tu sei la mia forza, la mia vera forza.’  

Lei sorrise e lasciò che lui leggesse i suoi pensieri. Lui capì quanto fosse terrorizzata.

‘Ti prometto che sarò sempre con te, qui,’ disse indicando la sua mente, ‘e qui.’ Fece indicando il suo cuore.

Legati in un modo che trascende il tempo e lo spazio.’

Pensò Tessa nel momento in cui il ticchettio s’interruppe e un fumo bianco avvolse il suo corpo. Quando si dipanò, lei sembrava avvolta nel ghiaccio, una splendida statua della donna che amavano entrambi. Charles appoggiò la fronte contro il vetro. Non percepì più nulla. 

Erik gridò. Un urlo straziante e feroce. Provò ancora e ancora a divellere la porta che teneva Tessa rinchiusa in quella fredda bara di metallo, ma non riuscì neppure a scalfire il meccanismo che la sigillava.

Batté i pugni fino a che gli mancò la forza, fino a che si rese conto che Charles sembrava come morto al suo fianco. Tentò di scuoterlo.

“Charles,” disse senza nascondere la sua preoccupazione, “Charles parlami. Dimmi qualcosa. Che cosa facciamo adesso?”

Il telepate sollevò il capo e lo guardò. Erik indietreggiò. L’espressione negli occhi di Charles era ancora più dura di quella che aveva il giorno in cui gli aveva puntato contro la pistola a Cuba. Mosse le labbra e parlò in un modo che spiazzò l’amico.

“Lo facciamo a pezzi.”

“Pierce?” Chiese Erik alludendo al fatto che l’uomo era fuggito approfittando della confusione in cui li aveva gettati il sacrificio di Tessa.

“L’Hellfire. Faremo a pezzi il dannato Hellfire. Lo bruceremo. Li bruceremo tutti. Dal primo all’ultimo. Non avrò pace fino a che l’ultima testa del Club non sarà caduta. E salveremo Tessa. Troveremo un modo. C’è un modo. Lei lo ha visto.”

Erik, come avesse ritrovato nuova linfa nelle parole del suo vecchio amico, raddrizzò la schiena e annuì.

“Lo bruceremo. Lo faremo insieme.”

Nell’udire quelle parole, l’espressione del viso di Charles si addolcì un po’ e tornò a guardare la macchina che imprigionava Tessa.

“Insieme.” Sussurrò.

“Insieme.” Ripeté Erik.

I vigili del fuoco giunsero per tirare fuori i superstiti dell’esplosione. Non li videro.

Charles ottenebrò le loro menti e Erik sollevò la macchina in cui era rinchiusa Tessa.

Raggiunsero Hank, Raven e Lucy mentre il sole tramontava su quella folle giornata. Warhawk non li seguì. Quando gli chiesero di unirsi a loro, rifiutò. Mostrò loro la moneta però, quella che Tessa gli aveva dato e per il cui prezzo aveva aiutato Charles.

Erik la riconobbe. Era quella che aveva ricevuto da Shaw, la stessa che aveva usato per ucciderlo molti anni dopo, quella che aveva ferito Charles devastando la sua mente e che adesso lo aveva salvato perché aveva comprato l’aiuto di Tanner.

Quando Charles rivelò al soldato la storia di quella moneta, Tanner la lanciò ad Erik che la afferrò al volo.

“Non è il tuo prezzo?” Gli chiese.

“Quella moneta ha chiuso il cerchio. E’ giusto che torni da te. E’ tua. Ha fatto una cosa buona alla fine. Forse la bambolina lo sapeva e voleva che fosse così. Vi aspetto all’Hellfire.” Disse l’uomo voltandosi e andandosene.

“Credo che sia come ha detto Tanner. Tessa voleva che tu perdonassi te stesso, che ti dessi un’altra occasione.”

“E tu? Tu mi darai un’altra occasione?” Charles sorrise.

“Andiamo a casa.” Disse stringendo Raven e Hank. Erik caricò la macchina sul furgone e asciugò le lacrime di Lucy.

“Non è morta,” le disse, “resta con noi e vedrai che ho ragione.”

Salirono sul veicolo e si lasciarono alle spalle Washington, Nixon, le sentinelle e il futuro orribile previsto da Lena.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Epilogo ***


Epilogo

 

Payge aveva avvisato tutti i membri del circolo di New York che occorreva indire un consiglio straordinario per nominare il sostituto di Daniel Pierce scomparso dopo i fatti di Washington.

Era passato un mese e non se n’era avuta più alcuna notizia.

Il consiglio si teneva sempre in un luogo diverso e quella volta fu scelto il palazzo della famiglia  Buckman, tra le fondatrici del Club.

Erano presenti tutti i più importanti membri della cerchia esterna che finanziava e, allo stesso tempo, godeva dei benefici del Circolo.

Lady Chantel si versò da bere e invitò a fare lo stesso a due dei gentiluomini che sedevano al suo fianco. Howard Stark e il signor Osborn non se lo fecero ripetere.

Il senatore Kelly era evidentemente a disagio. Non vedeva l’ora che la riunione finisse. Lord Braddock invece sedeva composto.

Warren Worthington prese la parola.

“E’ passato un mese. Dobbiamo gestire in qualche modo la transizione tra Pierce e il nuovo Alfiere Nero. Sapete tutti che mio figlio è il più adatto a ereditare questo ruolo.” Lady Chantel tossì per richiamare l’attenzione su di sé.

“Tuo figlio è un mutante, vero, ma non ha i mezzi per reclamare l’eredità di Shaw. Sebastian aveva due figlie. Se Donnie non avesse offeso la maggiore, tutto questo non sarebbe capitato.”

“Le figlie di Shaw sono entrambe morte.”

“Non è quello che mi risulta.” Intervenne Osborn. “Sage è in una situazione di coma criogenico. Reversibile ritengo.”

“Hai a che fare con questa storia?” Chiese Stark.

“Non nego di avere aiutato Pierce a perfezionare la macchina di Sebastian. Ignoravo che l’avrebbe usata su sua figlia.”

“Per decidere questioni della cerchia interna non avete bisogno di noi.” Esclamò il senatore Kelly alzandosi. “Io ho altri affari da seguire.”

“Stia seduto senatore, non abbiamo finito.” Lo ammonì il vecchio Braddock.

“Non ci sono altri pretendenti a quella poltrona dopotutto!” Insistette Worthington.

Fu in quel momento che la pesante porta d’oro e legno si spalancò e due uomini fecero il loro ingresso. Worthington scattò in piedi.

“Chi osa!”

“Seduto.” Disse il più minuto dei due e il capo di quel consesso obbedì senza colpo ferire costretto ad eseguire l’ordine. L’uomo più alto fece qualche passo, arrivò al tavolo e prese il bicchiere di Stark.

“Non c’è bisogno di essere incivili, signori, lasciate che ci presentiamo. Il mio nome è Erik Lehnsherr, qualcuno di voi mi conosce come Magneto. Il reverendo laggiù è il professor Xavier. Vi avviso! Ha avuto un mese impegnativo ed è di umore piuttosto contrariato.” Erik si portò il bicchiere alle labbra e bevve un sorso restituendolo poi al suo proprietario.

Charles avanzò fino all’altezza della seduta di lady Chantel.

“Vi informo che non avete bisogno di nominare un nuovo Alfiere Nero. La sede di New York dell’Hellfire è stata requisita dalla Confraternita dei mutanti. Se qualcuno di voi non è d’accordo, non ha che da dirlo.”

Il senatore Kelly si fece minuscolo nella sua poltrona mentre Erik gli dava una pacca sulla spalla invitandolo a rimanere seduto. Lady Chantel sollevò il bicchiere e mimò un brindisi.

“Stabilire un nuovo ordine era il motivo per cui eravamo qui riuniti in fondo. Morto il re, viva il re!”

“Dovremmo cedere il potere a questi uomini senza colpo ferire?” Chiese perplesso Braddock. Erik camminò fino a stargli di fronte.

“Posso senz’altro ferirvi, ma ciò non toglie che la vostra fedeltà deve andare a Tessa Shaw a far data da oggi.”

“E chi parlerà per lei mentre dorme?” Chiese Osborn.

“Io. Qualcosa in contrario?” Domandò Erik sorridendo in modo minaccioso. Fu allora che Worthington, liberato poco prima da Charles, chiamò Paige e Tanner.

I due comparirono sulla porta ma non si mossero. Paige chiarì la loro posizione. 

“Noi obbediamo solo al Re Nero e lei, signore, non è il Re Nero.” 

Worthington tirò fuori un’arma e la puntò contrò Charles. Erik lo costrinse a fare fuoco contro se stesso. L’uomo cadde, ferito, sul pavimento.

“Chiunque pensa di fare altrettanto, riceverà lo stesso trattamento.” Precisò Magneto. Howard Stark si alzò e raggiunse Charles.

“Mi avevano detto che lei è una persona perbene.” Disse al professore guardandolo negli occhi.

“Mi hanno detto la stessa cosa di lei. Perché allora è qui? E’ lei che ha inventato le armi antimagneto, vero?” Stark non rispose e tornò a sedersi. “Potete andarvene oggi, ma ricordate che io posso entrare nelle vostre teste e convincervi a fare del male alle persone che sono sotto al vostro stesso tetto. Non ne avrò piacere ma se mi forzerete la mano, lo farò.” 

Il senatore si alzò per primo, annuì e uscì. Osborn aiutò Worthington e fece altrettanto. Stark prese il braccio di lady Chantel che attese che la sala fosse vuota prima di congedarsi.

“La ricchezza del Hellfire è senza fine e senza fine è il suo potere. Tutti desiderano arrivarvi in cima ma la sua fortuna non è quella di chi lo comanda. Ho conosciuto Sage quando era una ragazzina. Non si meritava una simile fine ma se avete preso New York per lei, sappiate che Worthington chiamerà Londra e poi Parigi, Honk Kong e Mosca. Non avrà mai fine.” Erik le passò il cappello decorato di piume che aveva posato sulla poltrona.

“Londra e Parigi sono già capitolate. Le altre cadranno una ad una. Non temete, madame, cambieremo il destino di Tessa.”

La donna e Stark uscirono e li lasciarono da soli nella grande sala riccamente decorata.

Erik tirò fuori da una tasca la moneta del Reich che dal giorno della parata portava sempre con sé.

“Sai, amico mio, credo di aver capito cosa fare di questa alla fine.”

“Davvero?” Chiese Charles infilando le mani in tasca e dondolando il proprio peso da una gamba all’altra mentre guardava fuori dalla finestra del grande attico dei Buckman.

“Sì, in fondo è l’eredità di Shaw ed ora lo è anche di Tessa.”

“A me basta che la tieni lontana dal sottoscritto.” Erik rise.

“Te lo giuro.” Disse facendosi passare la moneta tra le dita. “Credo che mi metterò in affari anche io  e comincerò con una sola moneta.”

“Intendi abbandonarmi? Hai sentito la signora? Ci sono molte altre sedi del Club.”

“Niente affatto amico mio. Lo bruceremo tutto come promesso a Tessa. Dico solo che ciò che le apparteneva, lo conserveremo per lei, per quando si sveglierà.”

“L’eredità di Tessa?” Chiese Charles con un’espressione di nuovo gentile e curiosa sul viso che fece bene al cuore di Erik. 

“L’eredità di Tessa.”

New York, ai loro piedi, si fece custode di queste rinnovate speranze.


NdA:
Grazie per essere arrivati fin qui. So di non essere stata costante con gli aggiornamenti.
Spero comunque che la storia abbia meritato tanta pazienza.
Vi aspetto alla prossima insieme ad Erik e Charles.
Mary.

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3892912