Against The Rules

di Padme Undomiel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9 ***



Capitolo 1
*** 1. ***





Against the rules




1.

 




 
 “Non dici niente?” Hikari sposta il peso da una gamba all’altra, ferma in mezzo al corridoio della scuola, un sorriso esitante sulle labbra sottili e una mano che giocherella con la ciocca più lunga dei capelli castani che le incorniciano il viso. E’ una serenità fragile, quel tipo di serenità che può essere disintegrata anche solo con un’esclamazione un po’ brusca, o un sorriso appena un po’ meno ampio. Non fa che guardarla fisso, anche con le guance rosse per la timidezza. “Mi stai spaventando.”
Miyako si decide a richiudere la bocca.
“No, beh ... wow.” Ride, e si rassetta la gonna della divisa scolastica con gesti rapidi. Non che le serva davvero, sta solo cercando di non annaspare troppo. “Sono solo – da quanto hai detto che va avanti?”
“E’ solo una settimana.”
“Una settimana. Wow.” Miyako si accorge dal modo in cui le sopracciglia di Hikari si aggrottano di star facendo il pappagallo, così si schiarisce la voce, e riprova. “Ma è fantastico! Davvero! Cioè, è il tuo primo – cavoli, era ora che qualcuno ti notasse, sei così carina e gen-”
“Sei arrabbiata con me.” Conclude Hikari a bassa voce, e il commento sarebbe più sopportabile, se non fosse stato detto con quel tono tanto dolce.
“Oh, che assurdità - Hikari-chan, io non so neanche come si faccia, ad arrabbiarsi con te!” Replica esasperata, e si passa una mano sul viso. “E’ solo che ... credevo sarebbe stato Takeru.”
“Takeru cosa?” Domanda la ragazza più giovane, con lo stesso tono pacato di poco prima.
Questa conversazione finirà per essere più stressante del previsto, pensa Miyako.
“Credevo sarebbe stato Takeru a farti arrossire così”, conclude diretta. “Credevo ti saresti messa con lui. Ecco tutto.”
Hikari tace, tanto che Miyako riesce a sentire le ragazze di terza che passano accanto a loro discutere animatamente di chissà quale festa di compleanno che si terrà domani pomeriggio dopo lezione.
“Io e Takeru-kun siamo solo amici, Miyako-san”, risponde poi Hikari, e Miyako torna di scatto a guardarla. Non c’è niente se non una serenità disarmante, sul suo visino da bambola. E’ come se non le dispiacesse affatto. “Te l’ho detto mille volte.”
“Ma-“ Prova a insistere Miyako, un po’ petulante, e Hikari ride.
Ma niente. Potremmo parlare di cose un po’ più concrete adesso?”
La guarda di nuovo con aspettativa trepidante, e Miyako sospira.
Avrebbe quasi voglia di rincorrere le due ragazze di terza e proporre loro il gioco di lotta per playstation che è uscito appena ieri: sarebbe un perfetto regalo di compleanno, dopotutto. E un’ottima occasione per lei per svignarsela da questa conversazione scomoda, anche.
“Non so tanto bene che dirti, Hikari-chan”, si arrende infine. “Cioè, mi sta bene se tu sei felice con – con lui, però non capisco ... ti ricordi quello che è successo tempo fa, no? Come puoi averlo perdonato così facilmente, quando-“
“Ichijouji-kun è diverso da allora”. Hikari ha smesso di sorridere, ora: sembra pensierosa, immersa nel suo mondo. Qualcosa nello stomaco di Miyako si aggroviglia. “Ti capisco se non sei convinta, ma lui è gentile. E persino Daisuke-kun lo ha perdonato – è stato il primo a dargli una possibilità, in realtà.”
“E’ la tua anima gemella?” Domanda Miyako a bruciapelo, prima che possa impedirselo.
Hikari si irrigidisce appena.
“No”, è tutto ciò che dice.
“E la cosa non ti preoccupa nemmeno un po’?”
Hikari fa spallucce.
“Ti ho detto di Taichi e Sora-san, vero?” Replica con un sorriso. “Neanche loro sono anime gemelle, ma non è un problema. Si vogliono bene.”
E tu vuoi bene a Ichijouji Ken? Vorrebbe chiedere Miyako, ma non riesce a pronunciare quelle parole.
Hikari è dotata di un inquietante sesto senso, così si avvicina a lei e le stringe appena le mani. “Io non so quanto durerà”, le dice. “Non so se sarai mai felice per me. Volevo solo dirtelo, perché mi sembrava giusto.”
Ma non è vero, si rende facilmente conto Miyako: sotto sotto Hikari vorrebbe che la sua amica approvasse la sua scelta, la sua frequentazione. Lo vorrebbe davvero tanto.
Sospira di nuovo, ed è una sconfitta.
“Se Ichijouji ti fa piangere lo uccido”, dichiara solennemente, e Hikari ride, le note del sollievo che le colorano la voce.
La osserva allontanarsi quando la campanella di fine intervallo suona, leggera e aggraziata come se danzasse mentre scansa i ragazzi che si affrettano nella direzione opposta senza mai urtarli per sbaglio.
Miyako ha sempre avuto due grandi convinzioni, fin da quando ricorda. La prima: non c’è dono più grande, al mondo, di avere un’anima gemella che ti aspetta da qualche parte, e un modo per riconoscerla. La seconda: se sai come cercarla, dovresti iniziare a farlo senza indugiare.
Chissà perché, allora, la vita si diverte a cercare di disintegrare le sue convinzioni come se non fossero altro che castelli di sabbia.
 
***
 
“Miyako-san”, la voce di Iori è un po’ dubbiosa, mentre le lancia un’occhiata al di sopra della sua sciarpona bianca. “Non ho ben capito perché non stiamo tornando a casa. E’ tardi.”
“Chi se ne importa, sarà questione di un momento. Se si farà vedere, ovviamente.” Replica Miyako in una specie di ringhio, il fiato che si condensa in piccole nuvolette. Diavolo, fa freddo.
Chi deve farsi vedere?” Domanda un po’ sconsolato il suo amico.
Miyako non risponde, gli occhi fissi sul cancello della scuola, l’espressione battagliera in viso mentre scruta viso per viso ogni studente che esce da lì. Se si distrae un attimo può anche darsi che lui esca fuori e si avvii verso casa senza che lei riesca a intercettarlo.
“Spero che avrà una spiegazione convincente”, borbotta tra i denti.
“Sembri una bulletta che vuole pestare qualche studente in un angolo buio.”
“Oh, smettila di stressarmi, Iori-kun.” Gli lancia appena un’occhiataccia, battendo i piedi sull’asfalto per cercare di riscaldarsi. E poi sogghigna. “Chi lo ha detto che lo porterei in un angolo buio, poi? Posso anche pestarlo qui.”
E’ quasi sicura di aver sentito Iori deglutire nervosamente.
“Discorso interessante. Chi è che ti ha fatto arrabbiare stavolta?”
Miyako si volta di scatto al suono della voce appena comparsa alle sue spalle.
“Ciao!” Saluta radioso Takaishi Takeru, una mano inguantata sollevata a mezz’aria e un sorriso a trentadue denti sul viso arrossato. “Che ci fate ancora davanti alla scuola? Pensavo di aver fatto tardi io.”
No, non ha la minima idea di essere nei guai fino al collo, a quanto pare.
Tu!” Miyako gli punta un dito in petto, minacciosissima. “Cosa sei, scemo, per caso?”
“... Perché ho fatto tardi?” Tenta perplesso Takeru, indietreggiando appena.
“Dimmi che non è Takeru-san che vuoi pestare, Miyako-san”, geme Iori alle sue spalle. Miyako non ha tempo di rispondere a domande scontate.
“Di’ un po’, lo sapevi che Hikari-chan si è messa con qualcuno?” Esplode invece, avanzando di un passo verso la vittima della sua ira.
Takeru ha sempre dato più soddisfazione di Hikari, quando si tratta di manifestare qualche emozione: se non altro ha la decenza di sgranare gli occhi e lasciar cadere le braccia. Qualcosa di vendicativo esulta in Miyako.
“Ah, non te l’ha detto?” Incalza, con un sorrisetto tagliente. “Ma che strano. Eppure è da una settimana che va avanti!”
“No. Non mi ha detto niente.” E poi – non è possibile. Sta mentendo, per forza, non è possibile! -, il disgraziato sorride, e sembra appena un po’ spiazzato. “E brava Hikari-chan. Era pure ora!”
Miyako è così sconcertata che rimane a bocca aperta a fissarlo, senza fiato.
“E chi sarebbe il fortunato?” Domanda Takeru, ficcandosi con disinvoltura le mani nel giubbotto.
“Dimmi che stai scherzando”, esala Miyako, con quanta voce riesce a racimolare.
“Perché, scusa? Sono curioso.”
Miyako ci vede rosso.
“La tua stramaledetta anima gemella si mette con Ichijouji Ken e tu te ne stai lì a dire che sei curioso?! Ma che diavolo hai per la testa?” Sbraita, fuori di sé.
Takeru sbianca di colpo, e rapido le mette una mano sulla bocca, guanti gelati e tutto.
Miyako mugugna proteste irate contro la lana.
“Non strillare in quel modo, Miyako-san!” Sussurra Takeru con tono da cospiratore e grandi, grandi occhi azzurri da innocentino. Miyako vorrebbe prenderlo a sberle, e crede di non averlo mai desiderato con tanta intensità. “E se Hikari-chan fosse nei paraggi?”
Miyako minaccia di sferrargli un calcio, così Takeru si affretta a lasciarla andare.
“Tu non glielo hai detto”, soffia, suo malgrado abbassando la voce. “Avevi detto che le avresti parlato!”
“Beh, sì, hai ragione.” Takeru si porta una mano dietro al collo, e sorride, un po’ esitante. “Ma sai, non sono cose che si dicono dall’oggi al domani ...”
“Se lei è la tua anima gemella, tu sei la sua!” Insiste Miyako. “Io non capisco, che senso ha che non stiate insieme? Può darsi – magari le tue prime parole sono state banali, e lei non ha capito che sei tu, e - ”
“Parlando di frequentazioni, sai che sto uscendo con Mina-chan?” La interrompe casualmente Takeru.
Il silenzio che cala nel gruppetto è pesante come un macigno.
“E da quando?” Gli domanda Miyako, con una calma spaventosa.
“Mmm ... diciamo da ieri.”
“Sei davvero un imbecille”, scandisce a quel punto, definitiva, l’espressione schifata. “Perché non te lo ripeti cento volte al giorno guardandoti allo specchio?”
Takeru ride. “Ma perché te la prendi tanto?”
Miyako gli volta le spalle platealmente, colpendolo con un lembo della sciarpa che ha legato al collo nel movimento. “Iori-kun, andiamocene a casa. Hai detto che ti serviva una mano col pc, no?”, annuncia, fissando lo sguardo sul ragazzo più giovane e sulla sua espressione interdetta.
“Aspetta – ma abitiamo nello stesso palazzo!” Takeru sta ancora ridendo, con quella sua gioviale voce insopportabile. “Possiamo fare la strada ins-”
“Andiamo, Iori-kun!” Lo sovrasta lei a voce più alta. “Prima che certi imbecilli ci rivolgano ancora la parola.”
Si era detta di non guardarlo, di ignorarlo, ma non può resistere: gli getta un’ultima occhiata indignata da sopra la sua spalla e poi si volta di nuovo, incamminandosi a passo di marcia per allontanarsi da quella stupidissima faccia sorridente.
Sente Iori scusarsi con Takeru, fargli un enorme inchino, e poi affrettarsi nella direzione opposta.
La guarda di sbieco appena la raggiunge. “Non c’era bisogno di essere così sgarbata.”
“Ce n’era eccome, invece.” Replica Miyako inviperita. “Ce n’era al 200%.”
Iori sospira, ma decide saggiamente di non commentare oltre.
Takeru ha almeno la decenza di scegliere una strada diversa per tornare a casa, e questo lo redime appena un pochino dalla sua imbecillità dilagante.
Appena un pochino non è abbastanza.
 
***
 
Iori la ritrova con la testa sulla scrivania, le braccia lungo i fianchi, il monitor del pc spento davanti a sé, lo sguardo fisso nel vuoto.
“Miyako-san, ti senti male?” Si preoccupa, e chiusa la porta dietro di sé si avvicina immediatamente. “Hai la febbre?”
“La mia vita fa schifo”, si lamenta Miyako senza alzarsi.
Vorrebbe non aver visto Iori alzare gli occhi al cielo, perché vorrebbe dire che il suo migliore amico è una persona davvero pessima che non capisce la gravità della situazione, ma purtroppo ha quattrocchi e sa come impiegarli.
“Non è vero che fa schifo.” Le dice. “Se sei preoccupata per il mio computer e non riesci a farlo funzionare, per me fa lo stesso: lo porterò in assistenza domani.”
“Il computer sta benissimo.” Miyako sbuffa rumorosamente, gesticolando verso l’oggetto in questione senza neanche guardarlo. “Quello almeno so aggiustarlo.”
Iori sta zitto per qualche istante, il tempo sufficiente perché lei possa nascondere il viso tra le braccia in modo più drammatico.
“Ti ho portato un po’ di torta”, dice alla fine.
E questo cambia completamente le cose.
Miyako si issa sulle braccia, dà un’occhiata significativa al piattino tra le mani del suo amico e soprattutto al dolce alla frutta che si trova al suo interno, e afferrata la forchetta prende un boccone di dolce e lo mangia così, direttamente dalle mani di Iori.
“Tua madre è un angelo!” Sospira alla fine, grata.
“Mangiala tutta.” Iori le porge il piattino, poi prende una sedia e ci si accomoda. “Come mai sei così giù? E’ da oggi pomeriggio che va avanti.”
Miyako torna a imbronciarsi, mordicchiando la forchetta sporca di panna.
“Iori-kun, rispondimi sinceramente.”
“Come sempre.”
“Dimenticavo, era una richiesta sciocca.”
Iori la sta di nuovo guardando, gli occhi verdi troppo seri e troppo saldi, come fa tutte le volte che lei ha qualche problema, come fa da una vita.
Qualche volta Miyako se lo chiede, come mai riesca a confidarsi con tanta facilità col suo amico d’infanzia: hanno caratteri praticamente opposti, spesso non si trovano d’accordo, molte volte Iori si trova persino a rimproverarla, come fosse lui il maggiore. In realtà con gli anni ha finito per pensare che sia quello sguardo stesso a costringerla a fidarsi di lui: Iori è sempre stato la sua roccia, qualunque cosa succeda, persino quando disapprova il suo comportamento. Iori non cambierà mai, e non la lascerà mai sola.
Non c’è nulla di più rassicurante al mondo.
“Tu credi che io sia strana?” Dice di getto.
Iori aggrotta le sopracciglia. “Strana?”
“Ma sì.” Miyako inghiottisce un altro boccone di torta con rabbia, punendolo per il semplice fatto di essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. “Per questa storia delle anime gemelle. Pensi che io le dia troppa importanza? Perché mi pare che a nessuno importi un accidenti di niente, di trovare la propria.”
Per un istante Iori sembra credere che lei abbia finito, e apre la bocca per parlare.
“Ma allora a che servirà mai avere le prime parole che ci rivolgerà la nostra anima gemella impresse nella pelle, se poi passiamo il tempo a ignorarle?” Continua invece Miyako, al culmine della frustrazione, gesticolando a mezz’aria, il resto della torta dimenticato sulla scrivania – il che è tutto dire, davvero. “Prendi Takeru-kun. Chi è Mina-chan? Che ruolo potrà mai avere Mina-chan nella sua vita, se già conosce Hikari-chan?”
“Miyako-san ...”
“C’eri anche tu quando Takeru-kun ci ha presentato Hikari-chan, poco dopo il suo trasferimento qui. Ti ricordi come ha parlato di lei prima che lei si facesse vedere? C’è una cosa che dovreste sapere di lei: Hikari-chan è la mia anima gemella. Ha detto questo, no? Te lo ricordi?”
“... me lo ricordo, ma ...”
“Eppure, quando Hikari-chan è arrivata, non si comportavano come una coppia, in nessun modo!”
“Miyako-san, ascolta ...”
“Non che le cose siano cambiate adesso. Il che significa che Takeru-kun non ha la minima intenzione di stare con la sua anima gemella! Anche se l’ha riconosciuta! E tira in ballo Mina-chissà-chi-sei-chan!”
“Se solo mi lasciassi-”
“E io che pensavo che fosse solo il fratello di Hikari-chan, a essere totalmente fuori di testa. Invece pare che sia una moda, ignorare il fatto che qualcuno ci è stato destinato dalla nascita! Chi se ne importa di essere felici in modo giusto ...!”
“E’ vero che tu dai alle anime gemelle troppo peso!” Sbotta infine Iori, e Miyako si ferma di colpo, gli occhi sgranati.
“Beh”, riesce ad articolare lei dopo un attimo, col miglior sorrisetto ironico che riesce a esibire. Per la verità, le parole del ragazzo l’hanno ferita più di quel che poteva immaginare. “E’ facile per te dire una cosa simile, Iori-kun.”
Gli dà una pacca significativa sulla schiena, lì dove sa che si trovano le sue Parole. “Ti basta ronzarmi attorno per scoprire chi è la tua anima gemella.”
Hida Iori ha una scritta molto semplice in mezzo alle scapole, una scritta che da bambini hanno esaminato insieme un bel po’ di volte: Miyako-chan mi ha parlato un sacco di te. Miyako è sempre stata molto felice di essere lei a fare da Cupido per il suo amico d’infanzia, fin da quando erano entrambi due mocciosi.
“Non è facile per niente”, sospira Iori. “Tra l’altro non sappiamo se sei davvero tu, la Miyako-chan in questione.”
“Ma certo che sono io, gli ideogrammi per scrivere il mio nome sono quelli.” Risponde senza scomporsi lei. “E tu non hai comunque il permesso di trovare un’altra Miyako che ti faccia conoscere - ”
“Quello che intendevo dire”, la interrompe nuovamente il ragazzo, passandosi frustrato una mano tra i cortissimi capelli castani, “è che tu soffri troppo per questa storia.”
Miyako incrocia le braccia al petto. Vorrebbe essere intimidatoria, invece ha l’impressione di apparire solo troppo vulnerabile.
“Non è vero.” Replica testardamente.
“Certo che lo è, e lo sai anche tu.”
Miyako si volta dall’altra parte per non incrociare il suo sguardo.
“Ti ricordi cosa è successo alle medie? A un certo punto hai pensato bene di dire a mezzo mondo quali fossero le tue Parole, e così metà della scuola ha finito per considerarti una facile e ha cercato di approfittarsi di te fingendosi la tua anima gemella.”
“Io non l’ho detto a mezzo mondo!” Si difende Miyako con forza, il rossore dell’umiliazione che le incendia il viso e le corrode lo stomaco. “L’ho detto a quella che consideravo la mia migliore amica. Cosa ne sapevo che poi lo avrebbe spifferato a quegli idioti dei suoi amici?”
“Però non te lo ha detto lei, di smettere di indossare il polsino e di sventolare le tue Parole davanti agli occhi di tutti.”
“Ero piccola, ok?” Miyako è stanca di parlare di questa faccenda, stanca di tornare a pensarci di tanto in tanto. E comunque Iori l’ha rimproverata a sufficienza all’epoca, no? “Piccola e impaziente, e ho sbagliato. Possiamo lasciar stare? Cosa c’entra, comunque?”
“C’entra”, le spiega Iori paziente. “Perché ci sei stata malissimo, e non mi va di vederti ancora così.”
Iori è preoccupato per lei, si accorge Miyako con sorpresa, e il moto di tenerezza che prova per il ragazzo è sufficiente a farla fermare. Non può mentirgli e dire che non ci pensa neanche più, a quegli episodi spiacevoli avvenuti tanto tempo fa: non è particolarmente brava a dire bugie, figurarsi quando il suo interlocutore decide di guardarla in quel modo.
“A maggior ragione se ci sono stata male”, sospira infine. “Perché so che significa, desiderare così tanto averne una da comportarmi come se avessi le mosche nel cervello. Ma Takeru-kun ne ha una, lo sa, i due si adorano. Cosa può esserci di sbagliato? Perché non vogliono essere felici?”
“Magari non sono innamorati”, replica Iori.
Miyako lo guarda con tanto d’occhi. “Non puoi non innamorarti della tua anima gemella!”
“Non puoi saperlo.” Iori fa spallucce. “Magari, in fin dei conti, gli esseri umani possono vivere felicemente senza le loro anime gemelle. Magari non vale la pena di cercarle tanto.”
Miyako si indigna.
“A questo non crederò mai.”
“Ma ammetterai che è una cosa possibile.”
Lei alza gli occhi al cielo, riprendendo a mangiare la torta. “Sei sempre il solito cinico, Iori-kun.”
“Se Hikari-san avesse scelto un altro ragazzo, saresti così sconvolta?”
Miyako sussulta, la forchetta che tintinna più del previsto contro il piatto.
“Ma certo”, risponde, con tutta la nonchalance di cui è capace. “Ichijouji non è proprio nessuno per farmi reagire tanto male. Non diamogli troppa importanza!”
“... Ok.”
Miyako detesta quando Iori assume quel tono, detesta quando non sembra crederle. Perché, ogni volta che succede, ha assolutamente ragione.
 “Non diamogli importanza”, ripete con forza, e non sa chi sta cercando di convincere, mentre addenta l’ultimo pezzo di torta.
 
***
 
Le Parole di Inoue Miyako sono comparse sul suo polso destro esattamente il giorno del suo terzo compleanno.
Tre anni è perfettamente normale, come periodo di Manifestazione, anche se ci sono alcuni bambini che presentano qualche segno sfocato dai due anni in poi, e altri che invece non presentano niente se non, per esempio, a cinque o sei anni. In ogni caso, da genitori che avevano manifestato le Parole a tre anni precisi, non poteva che nascere lei, ordinaria fin nel midollo, e prima di lei tre fratelli maggiori altrettanto regolari.
Miyako non ricorda quasi nulla dei tre anni precedenti alla comparsa di quegli strani segni sfocati, però ricorda l'eccitazione nel lavarsi le mani una mattina e nello scoprire che finalmente anche lei poteva essere come la mamma e il papà, e come Momoe, Chizuru e Mantarou, e come mille principesse delle fiabe che passano la vita ad aspettare il loro principe azzurro. Così come ricorda la delusione e la frustrazione nello scoprire che, piccola com'era, non aveva la minima idea di come leggere gli ideogrammi che portava sulla pelle.
Non che sia una cosa insolita, in Giappone, ma una bambina impaziente di tre anni non può mettersi a pensare alla logica e a quell'alieno concetto di aspettare che un adulto la aiuti a decifrare quei caratteri.
Ricorda il modo in cui si era aggrappata al braccio del padre in procinto di andare al lavoro – e a dirla tutta un po' in ritardo -, e di come lo avesse pregato di leggere gli ideogrammi, petulante, insistente e gli occhi brillanti dietro un paio occhialoni già troppo grandi. Ricorda che la mamma era accorsa in tutta fretta, quasi pronta per uscire ma coi capelli ancora spettinati, e, liberando il padre dalla presa ferrea, l'aveva presa in braccio, e in silenzio aveva osservato il suo polso scoperto.
Vorrei aiutarti, aveva letto a voce alta, un sorriso deliziato sulle labbra. Miyako-chan, le tue Parole sono: Vorrei aiutarti. Sono Parole bellissime!
Un bambino ragiona in modo diversissimo da un adulto. Mentre la mamma le dava un bacio sul capo, al settimo cielo, Miyako si imbronciava, ed esclamava al colmo dell'indignazione: Non mi dice che sono bellissima?
Lì per lì non aveva capito perché mamma e papà si fossero guardati, gli occhi sgranati, e fossero scoppiati a ridere di gusto nello stesso momento, così come non capiva che significato potessero avere le sue Parole, ma non c'è niente di più bello, per un bambino, che far ridere i propri genitori. Aveva riso anche lei, e per un po' non aveva pensato più a quella storia.
Le Parole si fanno più nitide, più nere e lucide nello stesso modo in cui il corpo cresce e matura, e gli occhi iniziano a soffermarsi più a lungo sul mondo per cercare di capire come funziona. Così, un giorno come un altro, Miyako gettò uno sguardo sulle sue Parole e non si sentì perplessa, confusa, un po' offesa dalla mancanza di romanticismo della sua anima gemella, ma si sentì emozionata. E iniziò a fantasticare.
Fantasticava quando guardava un anime in tv e Mantarou pretendeva di cambiare canale per quel film western che moriva dalla voglia di vedere, e fantasticava quando parlava al telefono con le sue amiche e Chizuru entrava in camera perché voleva studiare e al piano di sotto c'era troppo chiasso, e fantasticava quando Momoe le spiegava con calma e razionalità perché era importante aiutare mamma e papà al konbini invece di andare a giocare a casa di Iori, o mettere mano alla playstation, o semplicemente starsene a sonnecchiare un po'. Fantasticava quando la casa era troppo piccola e le esigenze troppo numerose, quando passava le ore al konbini e sbuffava quando suo padre le diceva che qualcuno di loro avrebbe dovuto ereditare quell'attività una volta che lui e sua madre fossero stati troppo anziani per occuparsene, quando le pareva che nessuno la stesse a sentire anche quando parlava troppo forte.
Fantasticava che la sua anima gemella sarebbe arrivata a salvarla.
Era facile, allora, sopportare i piccoli soprusi e le numerose limitazioni della sua sconfinata sete di libertà, se immaginava il suo uomo entrare dalla porta, bello come il sole e sorridente, e guardarla come si guarda l'unica cosa che vale la pena salvare al mondo. Vorrei aiutarti, le avrebbe detto, togliendole lo scatolone pieno di detersivi dalle mani e portandolo lui stesso all'apposito scaffale per smistare i prodotti al loro giusto posto; o togliendo il telecomando dalle mani di Mantarou, per poter guardare assieme a lei un anime, o prendendosi l'incarico di lavare i piatti al suo posto quando aveva un appuntamento, o conducendola in una casa vuota, solo per lei e lui, e nessun altro a disturbare la loro assoluta beatitudine. Vorrei aiutarti, le avrebbe detto, guardandola serio e innamorato, e sarebbe riuscito, solo con uno sguardo, a farla sentire la persona più speciale al mondo, l'unica persona importante.
Ma nessun ragazzo bellissimo è mai apparso sulla soglia della sua casa, o all'entrata del konbini. Neanche quando ne aveva più disperato bisogno.
Così Miyako ha cercato, scioccamente, di forzare la mano al destino, e di sfidarlo a negargli la sua anima gemella a ogni tentativo.
Il destino ha vinto la sfida.
E le ha insegnato, a dodici anni, che il fatto che sia meglio non mostrare le proprie Parole in pubblico non è una limitazione, o una stupida usanza dovuta alla riservatezza, ma una tutela contro persone come Satoshi, che si era finto la sua anima gemella per vincere una scommessa, e fornire ai suoi stupidi amici l'occasione di divertirsi un po' a prenderla in giro, ripetendole a ogni dove quei fasulli Vorrei aiutarti che le facevano avvertire un tuffo allo stomaco ogni volta, e ogni volta la riempivano di nausea. Satoshi, che alle sue irate richieste di spiegazione aveva scosso la testa, e le aveva spiegato che doveva essere contenta. Non ti ho mica rubato il primo bacio, no? Dovresti ringraziarmi per non essere stato così meschino. Tra l'altro, non ti offendere ma non avevo proprio voglia di baciare te.
Le ha anche insegnato che picchiare un ragazzo che ti ha spezzato il cuore nel corridoio di una scuola non porta a sentirti meglio: ti porta solo dal preside a sorbirti una ramanzina mentre piangi a dirotto, le mani strette tra loro e la testa bassa.
Poi c'è stato quell'episodio a tredici anni, quello con Ichijouji Ken – ma è sempre meglio non pensare, a Ichijouji Ken.
Malgrado tutto, però, c'è una cosa che il destino non è mai riuscito a insegnarle, con le buone o con le cattive: arrendersi.
Sono sedici anni che Miyako alimenta la sua determinazione prima di andare a dormire, d'altronde.
Ora è distesa supina sul letto nella sua camera, il braccio sollevato e il polso scoperto, fissa le sue Parole come si guarda la foto del proprio amore quando si va in guerra, e aggrottando le sopracciglia pensa che Iori si sbaglia di grosso.
Se gli esseri umani avessero potuto fare a meno delle anime gemelle, non avrebbero degli ideogrammi incisi sulla pelle. Evoluzionisticamente parlando, poi, non avrebbe nemmeno senso: a che pro portare nel patrimonio genetico la tendenza a sviluppare Parole, se non per un effettivo vantaggio biologico?
E' normale venire delusi, nella ricerca dell'anima gemella, ma questo non significa che bisogni gettare la spugna troppo presto. Non c'è alcun bisogno per Takeru di rinunciare a Hikari, o per il fratello di Hikari di accontentarsi.
Figurarsi quanto bisogno ci sia per Hikari di scegliere Ichijouji Ken.
Bisogna solo stringere i denti e andare avanti, perché c'è per tutti speranza di essere amati, di essere felici.
Sorridendo tra sé, Miyako si sfiora un'ultima volta il polso destro, e spenta la luce si rifugia sotto le coperte.
Stanca com'è non ha modo di impedirsi di chiedersi, distrattamente, se Hikari e Ichijouji se lo siano già scambiato, il primo bacio.
 
***
 
I Knife of Day tengono le prove in un garage abbastanza angusto, fin troppo umido e dalla serranda difettosa, ma è a dieci minuti dalla sua scuola, così almeno un vantaggio pratico ce l'ha.
"Come sta la mia band disagiata preferita?" Si annuncia allegramente Miyako, facendo capolino dall'entrata. Kyosuke, il batterista, che stava accennando un ritmo semplice, si arresta e solleva lo sguardo. "Sbaglio o lì hai cibo?" Le domanda, speranzoso.
Miyako ghigna, e solleva il sacchetto sulla testa. "Prodotti Inoue pronti a soddisfare ogni vostro bisogno nutritivo!"
Il ragazzo fischia, e voltandosi indietro si rivolge al frontman. "Ehi, Ishida, possiamo tenerla?"
"Non fare proposte di cui potresti pentirti." Risponde il frontman, mettendo da parte un mucchio di spartiti che stava osservando e, alzatosi in piedi, si avvicina a lei. "Non sai mai se riusciresti a liberartene, poi."
"Ehi! Vuoi restare a digiuno, per caso?" Protesta Miyako, e Yamato sogghigna.
"Dai, da' qua." Le dice in segno di pace, porgendo una mano verso il sacchetto. Miyako glielo rifila, ancora un po' imbronciata. "Pensavo non saresti venuta oggi."
"Avrei potuto scriverti, ma le mie gambe vanno più veloci delle e-mail! Così eccomi qua." Miyako afferra una sedia e ci si siede senza troppe cerimonie. "E gli altri? Li avete divorati nell'attesa?"
"Magari. Invece sono solo in ritardo", si lamenta Yamato, estraendo un tramezzino dal sacchetto e lanciandolo a Kyosuke, "E avranno un gran bisogno di un buon alibi, quando si faranno vivi."
"Perché non dici loro che si stanno perdendo una bomba di arrangiamento musicale?" Miyako fruga nella borsa a tracolla, estraendo un cd audio etichettato Diventerete famosissimi! e mostrandolo con orgoglio agli unici due membri della band presenti. "Ci ho lavorato per giorni, non potrete non amarlo!"
È gratificante osservare il viso del suo amico illuminarsi, e l'esultanza balenare nei suoi occhi. "Grande. Sentiamo subito cos'hai per noi."
Qualche volta Miyako si trova a pensare che qualunque altra teenager di Tokyo darebbe chissà cosa per poter mettere un oggetto qualsiasi nelle mani di Ishida Yamato, e sfiorare del tutto casualmente le sue lunghe dita da bassista, figurarsi porgergli personalmente un cd che contiene una traccia audio del tutto originale che ha realizzato personalmente per la band. Non guasta neanche che Yamato sia un gran bel ragazzo, con le sue spalle ampie e la sua pelle chiara, quel suo lato per metà francese che gli ha regalato capelli biondi e occhi azzurri e quell'immancabile fascino da bello e tenebroso che aggiunge quella ciliegina sulla torta che non guasta mai: chiunque la invidierebbe, con l'intensità di mille stelle.
Quando ci pensa ride, perché lei non lo ha mai aiutato per poterne conquistare l'amore.
Il loro sodalizio è puramente musicale: la band cercava qualcuno esperto di sintetizzatori musicali per incidere i pezzi in modo più ricco e creativo, e lei cercava una scusa per mettere insieme il suo amore per la musica e quello per l'informatica, e creare qualcosa di bello ed energetico che potesse essere ascoltato da tante persone. È l'unica gratificazione di cui ha bisogno.
Per questo è emozionata, quando Yamato si dirige verso il piccolo stereo tondo posato sulla cassa e clicca il pulsante di accensione: ci ha messo tutta se stessa, sa di aver fatto un ottimo lavoro, e non vede l'ora di osservare la reazione degli altri.
E poi il tasto play viene pigiato, e le casse si riempiono di un meraviglioso motivo ritmato, e Miyako non potrebbe essere più fiera di se stessa di così.
"E allora?" Incalza entusiasta, spostando lo sguardo da un ragazzo all'altro. "Non è la fine del mondo?"
Il loro sodalizio funzionerebbe molto meglio, comunque, se Yamato ci capisse qualcosa, di gusti musicali.
"Ma che roba è?" Le chiede sconcertato, voltandosi nella sua direzione.
"E' techno/hip hop, a te che sembra?"
"Non facciamo questo tipo di musica."
"Stai scherzando? Si sposerebbe benissimo col vostro ultimo pezzo!"
"Non la facciamo, fine della storia."
"Oh, ma andiamo!" Si lagna Miyako, sporgendosi sulla sedia. "E' una cosa un po' più giovanile, al contrario dello stile vetusto che preferite di solito!"
Yamato boccheggia, al colmo dell'affronto. "Vetusto?!"
"Non mi rimangio niente!"
"Ma come puoi dire - Senti." Il ragazzo si passa una mano sulla fronte, l'immagine dell'esasperazione, le sopracciglia aggrottate in modo assurdo. "Ti avevo solo chiesto di inserire il violoncello. Niente techno, niente hip hop, niente di niente. Solo. Il. Violoncello."
"Va bene, va bene, ho capito!" Miyako incrocia le braccia, mettendo il broncio. "Lo rifaccio subito, ok? Che diamine. Però non sapete cosa vi perdete."
"Invece sì, e siamo ben felici di perdercelo."
"Sei antipatico come tuo fratello Takeru." Tirando fuori il portatile dalla tracolla, Miyako clicca il pulsante di avvio, ricevendo in risposta il rassicurante rumore della ventola in azione. "A proposito, se decidete di non usare quella base la ripretendo indietro, eh. Ci ho lavorato per giorni per davvero, non stavo mica esagerando!"
"Che ha combinato Takeru stavolta?" Vuole informarsi Yamato, armeggiando col lettore cd per poter estrarre la sua bellissima base musicale bistrattata.
"Il solito: fa il dongiovanni impenitente." Non può fare a meno di fare una smorfia disgustata al desktop del pc appena avviato. “Con una certa Mina-chan.”
“Ma non si chiamava Umi?”
“Chi diavolo è Umi adesso?!”
I due si guardano, lo stesso sgomento dipinto sul viso di entrambi, come fosse un virus contagioso.
“Devo aver capito male”, decide Yamato bruscamente, una smorfia a creargli una piccola ruga d’espressione all’angolo destro della bocca.
Miyako annuisce vigorosamente. “Sicuro che hai capito male.”
Entrambi distolgono lo sguardo nello stesso momento: Yamato torna a riporre il cd nella custodia, Miyako a far partire il programma di editing musicale.
“Gli passerà, prima o poi”, sospira infine il ragazzo, una nota di affezionata esasperazione nella voce. “Finché non fa nulla di male non intendo preoccuparmene, tantomeno occuparmene.”
“Certo, e intanto Hikari-chan si scorderà di lui, si sposerà felicemente, avrà tre bei bambini dagli occhi azzurri e Takeru si mangerà le mani per il rimorso per il resto della sua vita”, replica Miyako sarcastica. “Evvai. E tutti vissero tristi e scontenti.”
Yamato la guarda, all’improvviso, e c’è una strana intensità nel suo sguardo, una profondità amara che costringe Miyako a fermarsi, a sgranare gli occhi, a fissarlo interdetta.
“Vacci piano”, le dice, “con questi pronostici. Le cose non sono sempre così lineari.”
E poi tace, mettendosi a riordinare i suoi spartiti.
Ecco il problema con i belliedannati: a un certo punto smettono di spiegarsi, e cominciano a emanare mistero come acqua di colonia anche quando non ce n’è minimamente bisogno.
“Si può sapere di che stai-”
Non riesce a finire la frase, perché all’improvviso un suono acustico di avvertimento la costringe a riportare lo sguardo sul monitor: la batteria è quasi scarica. Lanciando un’esclamazione, Miyako scatta in piedi.
“Credevo di averlo caricato ieri sera ... C’è una presa di corrente libera da qualche parte?”
“Dietro di me ce n’è una”, interviene Kyosuke sporgendosi un po’ sulla sedia. “Forse. Se scansi un po’ di fili e non inciampi sugli strumenti ...”
Miyako si fionda, brandendo l’estremità del cavo del pc come fosse un’arma. “Un gioco da ragazzi!”
Per la verità, non lo è un granché, un gioco da ragazzi: i fili sono ingarbugliati, tanto per cominciare, e le due aspiranti rockstar lì presenti hanno lasciato in giro un bel po’ di lattine vuote e di cartacce di merendine, che la costringono a slalom dell’ultimo secondo per evitare di ruzzolare a terra.
Non si è mai ritirata da una sfida, però.
E’ per questo che, quando il nuovo arrivato varca la soglia di quel garage troppo piccolo, lei è accovacciata sotto una sedia, gli occhiali a penzoloni sul naso, un braccio sotto un mucchio di fili e l’altro intento a cercare di attaccare il filo all’unica presa disponibile, e probabilmente sta dando una ben povera impressione di sé.
“Ehm”, dice la voce un po’ perplessa di un ragazzo, una che non sembra appartenere a nessuno dei membri dei Knife of Day.
“Ah, Koushiro. Ti ho parlato della ragazza che ci aiuta con la postproduzione?” Interviene Yamato, un sogghigno trattenuto nella voce. Scommette che si sta divertendo un mondo, il maledetto. Miyako alza gli occhi al cielo, continuando imperterrita a tendersi verso la fonte di salvezza del suo pc.
“Giuro che mi rendo presentabile appena posso!” Dice al di sopra dei fili, salutando con la mano nella direzione che, alla cieca, spera sia quella occupata dal ragazzo di nome Koushiro. “E’ una questione di vita o di morte!”
Passa un istante di silenzio interdetto prima che il ragazzo sconosciuto si schiarisca un po’ la gola.
“Ti ho portato una stampa di prova della locandina del concerto, Yamato-san”, lo sente dire al frontman. “Stampandola i colori risultano un po’ alterati, ma prima di mettermi a modificarli volevo parlarne con te. Cosa ne dici?”
“Avremmo tempo di apportare modifiche? Il concerto è tra una settimana, dobbiamo riuscire a pubblicizzarlo per bene ...”
“Per quello non c’è nessun problema, è estremamente semplice modificare le tonalità. Puoi stare assolutamente tranquillo.”
“Mmm. Dovremmo parlarne con gli altri, però. Appena si degnano di farsi vivi possiamo-”
“Oh no!” Geme Miyako disperata, completamente sdraiata sul pavimento in mezzo a un mare di fili. La presa di corrente è attaccata ... il problema è che ora il filo si è scollegato dalla porta del pc, probabilmente non potendone più di quei tentativi estremi di allungarlo allo stremo. “Ero appena riuscita a raggiungere l’obiettivo!”
Yamato inizia a ridere, a questo punto, e le guance di Miyako si chiazzano di rosso. “E dammi una mano, invece di prendermi in giro! Che razza di uomo sei? Tra l’altro sei anche più vicino di me al-”
Non ricorda cosa sta per dire, non lo ricorderà neanche quando ci ripenserà in seguito.
Non sa neanche come faccia a sentirlo, nel frastuono delle sghignazzate di Yamato e di Kyosuke e delle sue stesse strilla indignate. La voce di Koushiro non è neanche forte abbastanza da poter essere distinta facilmente in ogni situazione, e non è che ora abbia alzato la voce chissà di quanto.
Forse è solo un gioco del destino, dopotutto. Forse era indispensabile che, anche sussurrando, le Parole di Koushiro arrivassero alle orecchie di Miyako, e le azzerassero il respiro di colpo.
Cosa?” Articola lei prima ancora di aver realizzato, e per poco non sbatte la testa contro la sedia sotto la quale è sdraiata. Si districa in fretta dai fili, si tira fuori dalla sedia e si mette seduta, voltandosi a fronteggiare il suo personale destino più in fretta che può. “Cosa hai detto?”
Il suo destino è un ragazzo accanto a un pc, la presa correttamente collegata, un sorriso tranquillo sulle labbra sottili. E’ mediamente alto, molto magro, con capelli impossibilmente rossi e un paio di grandi occhi neri.
“Ero più vicino io al tuo computer”, le dice, totalmente ignaro del fragore che il cuore di Miyako sta scatenando nelle sue orecchie. “Fa lo stesso se ci ho pensato io ad attaccare la spina? Dovrebbe essere tutto a posto, comunque.”
“Sono la tua anima gemella”, sussurra Miyako a occhi sgranati.
Koushiro sbatte le palpebre, e sembra cadere dalle nuvole. “Come, scusa?”
Da qualche parte imprecisata dell’universo, e del garage, Yamato e Kyosuke hanno di colpo smesso di ridere.
Miyako ha fantasticato su questo momento per giorni, per anni, e mai una volta avveniva nello stesso modo, nella sua testa, eppure c’era sempre un elemento che accomunava ogni fantasia: la bellezza della scena, come fosse un film.
Nella realtà, invece, Miyako è seduta sul pavimento, una busta di patatine vuota tra i capelli, e Koushiro la guarda come se lei avesse appena detto qualcosa in lingua aliena.
La cosa bizzarra, si trova a pensare, è che la perfezione mancata della scena non la sconvolge nemmeno un po’.
“Sono la tua anima gemella!” Strilla Miyako al settimo cielo, indicandolo platealmente con il dito.
Osservando il viso del ragazzo raggiungere la tonalità dei suoi capelli, lei non può che scoppiare a ridere, sentendosi leggera come una piuma, e correre ad abbracciarlo come se ne andasse della sua sanità mentale.
“E-ehi, aspetta solo un-”
“Mi chiamo Miyako!” Gli dice entusiasta. “Sono così felice di averti trovato!”
 
***
 
Taichi si sta sbellicando dalle risate.
“E pensare”, singhiozza, il viso paonazzo e le lacrime agli occhi, “che sarebbe stata una scena da immortalare e riguardare fino alla fine dei tempi. E noi ce la siamo persa!”
“Non era necessario che la vedeste voi”, risponde Miyako con un sorriso soddisfatto sulle labbra. “Quello che contava era che ci fossimo io e lui.”
Questo non fa che peggiorare il problema-ridarella del ragazzo: Taichi va in apnea, e per un po’ non è in grado di emettere neanche un suono.
“Oh, insomma, qual è il problema?” Sbotta Miyako senza capire e a dirla tutta un po’ risentita dalla reazione del suo interlocutore.
“Perdonalo.” Sora, seduta accanto a lui sul divano, gli lancia appena un’occhiata di riprovazione, cercando accuratamente di nascondere il fatto che anche lei sembri in procinto di scoppiare a ridere. “E’ che conosciamo Koushiro-kun da un sacco di tempo, e ci sorprende un po’ immaginarcelo in questa situazione.”
Le rivolge un sorriso dolce, e gioca sporco, perché ha uno sguardo troppo da mamma per non scioglierle in gola ogni risentimento. Non che sembri vecchia, naturalmente: è solo che c’è qualcosa, nei suoi occhi castani, nel modo in cui solleva le sopracciglia e inclina il capo, che ti costringe a fidarti di lei.
Miyako capitola.
“Davvero lo conoscete da tanto? Che tipo è?” Vuole sapere, gli occhi brillanti, sporgendosi verso di loro. E’ ancora seduta a gambe incrociate sul tappeto di fronte al divano di casa Yagami. “E’ tanto strano che abbia una relazione?”
“Diamine, non hai idea.” Asciugandosi gli occhi, Taichi si rimette seduto composto issandosi con un unico movimento deciso. I suoi capelli castani, normalmente scomposti, sono un vero e proprio disastro in questo momento. “A tredici anni si pietrificava al solo pensiero di andare al caffè a comprare un tramezzino, se a servirlo era una ragazza.”
“A quattordici si è costruito un programma informatico che gli permettesse di fabbricarsi abiti su misura”, gli fa eco Sora. “Tutto perché si sentiva in soggezione a chiedere alle commesse di aiutarlo.”
“Aspetta, e ti ricordi quando a quindici era entrato in crisi per quella lettera d’amore lasciatagli sul banco? Non l’ho mai visto impallidire tanto!”
“Povero Koushiro-kun. Non è stata una bella giornata per lui.”
“Frenate, frenate un attimo!” Li interrompe precipitosamente Miyako, gesticolando tanto da attirare l’attenzione dei due fidanzatini davanti a lei. “State cercando di dirmi che non ha mai avuto una relazione di nessun tipo?”
“Esatto”, rispondono in coro Taichi e Sora, quasi solenni.
“E non è mai stato innamorato? Mai?”
“Mah.” Taichi si gratta la nuca, pensieroso. “Non che io sappia. Se non altro non ha mai dato quest’impressione ...”
“Sarà mica un gay represso?” Non può fare a meno di chiedere di getto, uno sgradevole sospetto a serrarle la gola.
Taichi e Sora si guardano, e il cuore di Miyako le sprofonda nelle viscere.
“No, no, tranquilla!” Si affretta a rassicurarla Sora, un po’ imbarazzata. “Sai, è che è complicato. Non credo che Koushiro-kun sia attratto da uomini, credo che - come posso spiegare? Ecco, non sembra interessato all’amore in generale. Quel che è sicuro, però, è che con gli uomini non si blocca in questo modo, quindi forse questo depone a favore di un orientamento etero ...”
“Grandioso.” Miyako si batte una mano sulla fronte, disperata. Può quasi sentire il destino deriderla malignamente, additandola e mostrandole concretamente che la fortuna non conoscerà mai la strada di casa Inoue. La sua risata ha quasi lo stesso suono del panico che le sta montando dalla pancia.
Cerca di sovrastare quel suono con tutta la forza che ha.
“Che importa!” Salta su di colpo, e Taichi e Sora hanno un piccolo sussulto. “Io sono la sua anima gemella, con me sarà diverso. Magari stava solo aspettando me per innamorarsi! Se no in che modo sarei speciale, per lui?”
Hikari si affaccia sulla soglia del salotto, il telefono ancora all’orecchio, e le rivolge un’occhiata curiosa. Miyako non sa come faccia: sta chiaramente ascoltando il suo interlocutore, ma sta anche cercando di capire cosa stia succedendo nel salotto. Ci scommette quello che vuole che si è preoccupata per il suo tono acceso, e ha deciso di venire a dare un’occhiata.
“Devo andare adesso”, la sente dire al telefono. “Ho un’amica a casa.”
E poi le sorride, come scusandosi di aver trascorso cinque minuti al telefono invece di correre da lei e occuparsi dei suoi problemi sentimentali.
Miyako la adora, davvero. E’ per questo che le fa segno di continuare, le dice a voce più bassa del solito: “Tanto sto carpendo informazioni da tuo fratello”, e le fa un occhiolino.
Il sorriso di Hikari si amplia, ma non si scompone. “Sì, è Miyako-san”, risponde al telefono.
Miyako si pietrifica, sentendosi improvvisamente chiamata in causa.
“Ci sentiamo più tardi. Sì. Buona serata, Ichijouji-kun.”
E riattacca.
“Eddai, Hikari”, si lamenta Taichi insofferente. “Devi proprio venire ad amoreggiare davanti a noi?”
“Non stavo amoreggiando”, replica Hikari alzando bonariamente gli occhi al cielo, e si accomoda su una sedia accanto al divano. “Miyako-san, sei sicura di voler restare sul tappeto? C’è ancora posto sul divano ...”
“Gli parli di me?” Le domanda Miyako impulsivamente.
Per un momento Hikari la guarda senza capire, e Miyako si maledirebbe in tutte le lingue del mondo, se solo le conoscesse. Aveva deciso che non avrebbe aperto l’argomento Ichijouji davanti alla sua amica, si può sapere che cavolo le prende ora?
“Niente, niente!” Tenta di rimediare, ridendo forzatamente, ed evita in tutti i modi di guardarla. “Non importa. Tornando a Koushiro-”
“Ichijouji-kun lo sa che ho un’amica che si chiama Miyako”, la interrompe a bassa voce Hikari, e il suo viso si apre in un sorriso empatico.
Miyako si sente avvampare. “Ah”, gracchia. “Lo sa. Certo, è naturale.”
E che cos’altro sa di me? Vorrebbe avere il coraggio di chiederle, così apre la bocca, inspira, e di colpo si sente stupida. Richiude la bocca.
Dannata codarda.
 “Torniamo a Koushiro-san?”, suggerisce Hikari venendole in aiuto, e Miyako si scuote.
“Torniamo a lui, sì!” Esclama con forza, e forse ci mette un po’ troppo entusiasmo, perché Hikari ridacchia.
“C’è una cosa che non mi riesco a spiegare”, le dice poi. “Hai detto che lui è rimasto molto sorpreso quando ti sei presentata come la sua anima gemella, giusto? Ma non gli avevi parlato prima tu? Non avrebbe dovuto riconoscerti lui per primo, se davvero siete legati?”
C’è qualcosa nelle sue parole, una specie di sottotesto crepitante, come se la risposta che riceverà debba confermare un qualche sospetto non meglio identificato. Miyako lo avverte, e decide di ignorarlo.
“Ero sdraiata sul pavimento, Hikari-chan”, le spiega con calma. “La mia voce gli sarà arrivata quantomeno un po’ strozzata. Per non dire che non stavo urlando, magari non ha capito bene quello che gli ho detto.”
“Dici?” Insiste Hikari, e il sottotesto è un gran rumore adesso, uno che rischia di ferirle le orecchie, che insinua: E’ sospetto.
 “Avevo il polsino addosso.” Dice addosso al rumore, e solleva il polso perché lo vedano tutti. “Le mie Parole sono qui dietro, lui non le ha viste prima di parlarmi, eppure le ha pronunciate. Non è forse una prova sufficiente?”
Hikari sorride, si stringe nelle spalle. Sembra un po’ smarrita. “Può essere, sì.”
Non è una concessione chissà quanto esaltante.
“Voglio dire”, insiste Miyako. “Chi è che al giorno d’oggi direbbe una cosa come Vorrei aiutarti al momento delle presentazioni? La mia anima gemella è inutilmente formale, a quanto pare. Non è che sia un male, intendiamoci, a dirla tutta è una cosa tenera. E’ solo che ... le mie Parole non sono Ciao, o Buonasera. Non sono mica comuni, per cui non ci sono tante probabilità che molte persone me le dicano! Non vi pare?”
C’è un silenzio frustrante che segue il suo discorso, e Miyako si sente nervosa.
“E Izumi Koushiro mi pare molto educato e formale!” Conclude, con lo stesso tono con il quale si annuncia una vittoria alla lotteria.
Hikari stringe ancora tra le mani il cellulare, e il braccio di Taichi è posato con nonchalance sulle spalle di Sora, e Miyako ha l’improvvisa consapevolezza di essere una contro tre. Non la capiscono, si rende conto ad un tratto, come se sbattendo le palpebre la verità le fosse comparsa in tutta la sua chiarezza davanti alle lenti troppo spesse dei suoi occhiali: è come se professassero una religione diversa. Non si chiede a qualcuno che la pensa in modo diametralmente opposto al tuo di risolvere misteri e questioni della tua religione: loro non capirebbero la domanda, tu non avresti una risposta soddisfacente.
“Forse non dovrei parlare con voi di anime gemelle.” Si arrende infine, incrociando le gambe e posando il mento sulle mani. “Per voi è un problema senza senso, no?”
“Senza senso no”, risponde Taichi lentamente, e socchiude un po’ gli occhi marroni, come fa tutte le volte che riflette intensamente su qualcosa. E’ bizzarro quando lo fa, perché la sua espressione si trasforma di colpo: diresti che è un bambino la maggior parte del tempo, con la sua energia spensierata e la sua semplicità disarmante, ma poi l’ombra della maturità gli affiora di colpo in mezzo alle sopracciglia, e ti sembra un veterano di guerra. “Un senso ce l’ha, per alcuni sicuramente. Solo che io posso benissimo farne a meno, di un’anima gemella.”
Per un lungo istante guarda Sora, un punto imprecisato dei suoi capelli ramati, poi sembra scuotersi. E torna di colpo fin troppo giovane, mentre si stringe nelle spalle e sorride leggero.
“E non credo di essere il solo. Prendi Sora, per esempio. Se lei dovesse volere un’anima gemella, dovrebbe anche voler essere scaricata appena conosciuti!”
Sora sembra irrigidirsi di colpo.
“Fratellone”, dice Hikari, e poi nient’altro, come se bastasse quell’appellativo tenero e un po’ infantile a ricordargli un segreto di cui solo gli Yagami sembrano a conoscenza. Gli Yagami, e Sora, che tiene gli occhi bassi, che sembra improvvisamente lontana anni luce da loro.
“Come sarebbe scaricata? Che razza di Parole hai, Sora-san?” Non può fare a meno di chiedere Miyako, un po’ preoccupata dallo strano clima che si è appena creato nel salotto.
Sora non incontra il suo sguardo: posa una mano sul ginocchio sinistro, se lo stringe, sembra volersi proteggere.
“Ti avevo chiesto di non parlarne più, Taichi”, dice a bassa voce.
Taichi sembra essersi improvvisamente reso conto di averla fatta grossa.
“Lo sai cosa intendevo!” Si giustifica precipitosamente. “Non volevo dire – non è certo colpa tua se la tua anima gemella è maleducata!”
“Non è una cosa tua. Non è tuo diritto parlarne.” Sora si mette in piedi, sfugge alle mani protese di Taichi, fa per andarsene ma si ferma sul tappeto, accanto a Miyako. Si passa una mano tra i capelli, e sembra non sapere cosa fare.
“E invece sì!” Sbotta Taichi, e Sora finalmente si volta a guardarlo. “Perché io sono il tuo ragazzo, non la tua anima gemella, eppure non ti tratterei mai con sufficienza. Questo non ti basta?”
Miyako sente il cuore sprofondarle in petto.
Sora esita, poi il gelo sul suo viso si scioglie, e i suoi occhi brillano. Si avvicina al divano, allunga le mani, e Taichi la incontra a metà strada. Lui sorride, sollevato, e allora lei gli posa un bacio gentile sulle labbra.
“Stupido”, dice. “Certo che mi basta.”
E forse le basta davvero, pensa Miyako, ora le basta. Sora ritrova il suo posto sul divano, tra le braccia di Taichi, e qualunque cosa sia scritta sul suo ginocchio sinistro diventa importante quanto un granello di polvere nell’aria, e qualsiasi ideogramma Taichi porti chissà dove sulla pelle non merita neanche di essere menzionato.
Sono felici e si amano, ma cosa succederà quando le Parole di entrambi si metteranno in mezzo? Il loro amore basterà davvero per essere felici?
E’ un problema troppo grande, troppo triste, e così Miyako si alza in piedi.
“Sarà meglio che vada ora”, annuncia. “E’ quasi ora di cena, i miei mi staranno già dando per dispersa!”
Neanche due minuti dopo è già fuori dalla porta.
 
***
 
Miyako non ha intenzione di spifferare a tutti del suo fatidico incontro del pomeriggio precedente: in fondo, lei e Koushiro ancora non stanno insieme ufficialmente.
E’ per questo che la sua famiglia ne resta all’oscuro. Quanto ai suoi amici, invece, naturalmente lo vengono tutti a sapere.
La cosa divertente è che Miyako racconta loro la vicenda praticamente allo stesso modo, ma riceve risposte diversissime.
“E’ una bella notizia” Si illumina Iori, e poi un pensiero improvviso lo fa accigliare. “Sicura che sia un bravo ragazzo? Visti i tuoi precedenti ...”
L’unica cosa di cui è sicura è che cambierà migliore amico, un giorno di questi.
“Koushiro-san? In effetti può avere un senso”, sgrana gli occhi Takeru, e nascosta dietro il suo sorriso sorpreso c’è la stessa confusione che aveva mostrato suo fratello maggiore appena il pomeriggio prima. “Lui parla meglio il codice binario del giapponese, per cui tu sei avvantaggiata. Potreste comunicare agevolmente così!”
C’è una cosa, però, che Yamato e Takeru non hanno in comune: la faccia di bronzo.
“Se non è scemo scapperà appena vista la mala parata”, sbuffa Daisuke, le mani dietro il collo e i capelli rossicci scompigliati dopo una mattinata a dormicchiare sul banco durante la lezione di inglese. “Sei un pericolo pubblico, qualcuno dovrebbe avvertire il poverino.”
Rincorrere Daisuke per il corridoio minacciando di lanciargli contro il librone di chimica è sempre stato il suo sport preferito, d’altronde.
La risposta più assurda, comunque, non viene da nessuno dei suoi amici.
“Non sono la tua anima gemella”, afferma Koushiro categorico, continuando a scrivere chissà cosa al computer.
A ripensarci, le risposte dei suoi amici sono quasi gradevoli a confronto.
“Ma come?” Miyako gli aleggia intorno, sbircia la schermata del suo pc, osserva la sua camera, più spesso cerca sul suo viso fin troppo serio uno spiraglio di emozione. “E io avrei fatto tutta questa fatica per venire fino a casa tua per conoscerti meglio per nulla?”
“Ora che ci penso, come sapevi il mio indirizzo?” Si acciglia all’istante l’altro, sospettoso, e finalmente la guarda.
“Yamato”, risponde subito lei. “In cambio di una promessa di collaborazione tra noi. Sai, per il concerto e tutto il resto.”
Koushiro fa un gran sospiro, e dandosi una spintarella sulla sedia si allontana dalla tastiera, finalmente degnandola di attenzione.
“Perché non ti siedi?” Concede infine.
“Guarda, puoi leggere tu stesso!” Lo ignora vivacemente Miyako, e si toglie il polsino per mostrargli da vicino le Parole che si nascondono lì sotto. Koushiro sembra irrigidirsi di colpo, e arrossendo distoglie lo sguardo. “Vorrei aiutarti, lo hai detto tu stesso. No? E poi hai attaccato la spina del pc!”
“Non ricordo cosa ho detto”, si lamenta Koushiro. “Ti prego, rimettiti il polsino, Miyako-kun. Ti dico che non sono io la tua anima gemella.”
“Ma scusa, che motivo hai di fare il timido?” Insiste lei, continuando a mostrargli il polso nonostante le rimostranze della sua bizzarra anima gemella. “E comunque ti ho sentito, hai detto proprio così! Che altro avresti potuto dire?”
“Ci sono tanti modi di dire la stessa cosa. Il cervello tende a sentire quello che si aspetta di sentire.” Replica testardamente lui. “Bastava che io dicessi Potrei aiutarti, ed ecco qui. Un errore comune e comprensibile ...”
Miyako alza gli occhi al cielo, abbassando il braccio. “Allora mostrami le tue Parole, così risolviamo la questione una volta per tutte.”
Koushiro si alza in piedi, sfuggendole come se fosse ustionante. “Fuori discussione.”
“Perché? Io ti ho mostrato le mie!”
“Non te l’ho mica chiesto io!”
Miyako lo fissa in silenzio, osservando il modo nervoso con il quale Koushiro giocherella con le maniche della sua camicia.
“Oh”, esclama a un tratto, colta da un’illuminazione. “Ci sono: le tue Parole sono in un posto imbarazzante.”
Koushiro sembra soffocarsi con la sua stessa saliva. “Ma che dici?!”
E poi diventa rosso mattone quando scopre l’occhiata sospettosa che Miyako sta rivolgendo al suo didietro.
“Questa storia è ridicola!” Sbotta, e si siede di scatto sulla sedia girevole.
“Vuol dire che ci ho preso?” Insinua Miyako con un ghigno. “Non c’è niente di ma-”
“Non sono quello che credi tu, Miyako-kun. Ti prego di darmi ascolto.”
La serietà definitiva nella voce del ragazzo la fa ammutolire.
Koushiro sbircia il suo viso, cercando di capire se l’ha ferita. Le ultime tracce di rossore stanno rapidamente lasciando il posto a un’espressione dispiaciuta. “Ti assicuro, non mi diverte rifiutarti”, le spiega più calmo. “Ma devo essere sincero con te, soprattutto se si tratta di una cosa così importante.”
“Non esistono anime gemelle le cui Parole non siano appaiate”, replica invece Miyako.
Koushiro batte le palpebre, e lo fa ancora.
“Di’ un po’, hai sentito quello che ti ho detto?”
“Sì, e non ha senso.” Ribatte lei con forza. “Sono sedici anni che mi documento sulle anime gemelle, per tua informazione, e non esistono casi simili. Se io ho le tue Parole sulla pelle, tu hai le mie, Koushiro-san. E questo è quanto.”
Lo vede boccheggiare, scuotere la testa, fare per aprire bocca, ma Miyako glielo impedisce.
“Sai cosa penso? Penso che tu abbia paura, come Takeru-kun che si rifiuta di parlare seriamente con Hikari-chan. E lo capisco!” Aggiunge subito, gesticolando. “Cioè, lo capisco parzialmente, perché anche io ho scoperto di avere un po’ di paura ora che ti ho trovato, ma questo non mi impedisce di voler condividere del tempo con te. Anche se fai il difficile e al momento hai intenzione di rifiutarmi.”
“... io non sapevo niente della sorella di Taichi-san, in realtà-”
“Non mi aspettavo di avere paura!” Riprende Miyako con passione, e si sporge un po’ verso la sedia dove Koushiro sembra voler rimpicciolire. “E’ tutta la vita che aspetto questo momento e penso che gli altri siano sciocchi a non volerci neanche pensare, ma ora capisco meglio come stanno le cose. Mi sono resa conto che è una cosa grande e importante, ma non mi importa. Io voglio provare a vedere com’è, voglio conoscerti meglio, voglio sentirmi completa!”
“No, senti, davvero, io ...” Prova a dire Koushiro, e sembra un po’ atterrito, e un po’ disperato.
“Concedimi solo un po’ di tempo! Una settimana o due, ecco, non chiedo altro. Frequentami, conoscimi, e decidi se vale la pena trascorrere del tempo con me! Se alla fine di questo periodo non vorrai più vedermi capirei. Non ti cercherei più, te lo prometto! Solo ... dammi una chance. Per piacere.”
Miyako si sente gli occhi lucidi, il cuore che batte come un tamburo, ma non può fare la bimba piagnucolona in un momento del genere, così stringe i denti. E gli porge una mano, fissandolo negli occhi, come se con questo gesto gli stesse offrendo tutta la sua determinazione, e in fondo tutta se stessa, debolezza compresa.
Koushiro sembra aver perso la parola. Osserva la sua mano, e poi lei, e sembra desolato. C’è un orrendo momento in cui la mente di Miyako si inceppa, e non fa che gridarle: ti rifiuta, ti rifiuta, ti rifiuta.
Ma poi lui le prende la mano, e gliela stringe.
“E’ una pessima idea”, la avverte con un sospiro. “Potremmo farci male entrambi.”
Il viso di Miyako si apre nel sorriso più grande che le riesce.
“E invece no!” Ribatte con entusiasmo. “Perché non lo permetterò. E’ una promessa!”
“Non puoi promettere una cosa su cui non hai potere”, risponde rassegnato Koushiro. Ma poi sorride, e il sorriso della resa è la cosa più bella del mondo. Soprattutto se significa arrendersi al destino.
Miyako non può fare a meno di gettargli le braccia al collo, e il movimento improvviso spinge la sedia girevole all’indietro, tanto che per poco non vanno a sbattere contro l’armadio.
“Miyako-kun, chiariamo una cosa: non ti ho accordato il permesso di smancerie da fidanzati!”
“Eddai, neanche abbracci?”
“Non vedi che con gli abbracci rischiamo la vita? E dire che hai promesso che non ci saremmo fatti male... ”
“Abbracci discreti.”
“... d’accordo, ma che siano davvero discreti.”
“Baci?”
“No.”
“Prendersi per mano andrà bene, però!”
“Beh ...”
“Sottobraccio?”
“Quello può andar bene.”
“Bingo!”
Ci sarà molta strada da percorrere, molto lavoro da fare per sciogliere quelle spalle ancora troppo rigide di Koushiro, ma Miyako non ha dubbi sul fatto che andrà tutto bene, alla fine.
Stretta alla sua anima gemella, riesce a crederci con tutta se stessa.







Non fidatevi troppo delle coppie che vedete. "Alle scale piace cambiare", ricordatelo.
 

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Capitolo 2
*** 2. ***


 
Against the rules




2.
 




La locandina riesce benissimo, ombreggiature e colori e tutto, e in qualche modo i Knife of Day riescono a non sembrare un gruppo di musicisti disastrati che trascorre il tempo a lamentarsi per la fame e a ridere per video demenziali trovati su internet, ma passano facilmente per una band superseria di persone affermate da tempo nel campo musicale nipponico e con una maturità invidiabile per la loro giovane età.
E’ tutto merito di Koushiro se il palazzetto dello sport è così affollato, questa sera.
“Guarda che non è vero”, le risponde il soggetto in questione quando Miyako glielo fa presente, stupidamente orgogliosa del suo accompagnatore. “A parte il fatto che chiunque sa usare programmi di editing fotografico, al giorno d’oggi, non ho mica scoperto l’acqua calda.”
“Tu dici così perché sei un genio in tutti i campi dell’informatica”, lo corregge Miyako. “Ti stupirebbe sapere quante persone usano Photoshop credendo di essere eccezionali, e invece a vedere i loro lavori ti viene solo voglia di strapparti gli occhi dalle orbite.”
“Essere un programmatore informatico non ti rende ferrato in ogni aspetto dell’informatica. Per esempio io non capisco nulla di quello che fai tu con la musica, Miyako-kun.”
Le sorride, curioso, e lei si sente così lusingata che potrebbe mettersi a ballare lì dov’è, in fila in mezzo a mille altre persone in attesa di entrare e prendere posto per il concerto.
“Comunque sia, i KoD hanno un bel po’ di seguito fin dai tempi del liceo, quando ancora si chiamavano Teenage Wolves”, continua Koushiro, lanciando un’occhiata distratta alle persone in coda prima di loro. “E il loro genere non è il mio preferito, ma secondo me sono bravi. Se c’è tanta gente oggi è per questo motivo.”
“E per la pubblicità”, replica Miyako caparbia. “Pensa a quelli che non li conoscevano, e hanno visto per caso la locandina in giro per Odaiba. Saranno rimasti affascinati da-”
“-dal viso di Yamato-san.” Conclude per lei Koushiro scuotendo la testa. “Hai visto quante ragazze ci sono in coda? Tra l’altro è l’unico che si veda bene in viso in quella locandina, ci hai fatto caso?”
Una ragazza esagitata li urta per sbaglio proprio in quel momento, tentando di riavvolgere in fretta il cartellone Yamato-kun sei bellissimo che ha realizzato per l’occasione.
Miyako inclina la testa di lato. “... Mi sa che non hai tutti i torti.”
Non si può ancora entrare nel palazzetto, i cancelli apriranno tra una decina di minuti a detta dei buttafuori, eppure nel brusìo sommesso e un po’ impaziente delle persone in fila si percepisce già quell’elettricità crepitante che è tipica dei concerti prima che comincino. Miyako adora questa sensazione, quasi più che il concerto stesso: puoi sentire la devozione ai musicisti, la passione e la voglia di vivere intensamente solo per una serata come un formicolio sottopelle, che ti costringe a respirare all’unisono con un mucchio di sconosciuti che molto probabilmente non vedrai mai più.
Condividerla, ora, con Koushiro, dritto accanto a lei e col berretto calato sulle orecchie per non prendere troppo freddo, è un’esperienza preziosa.
“Grazie di avermi portata al concerto, Koushiro-san”, gli dice radiosa.
Koushiro, quando è nervoso, si gratta il naso, e si schiarisce la gola. “Era già mia intenzione venirci a prescindere, ma ... prego. Mi fa piacere accompagnarti.”
“Anche se è un appuntamento?”
“Sì, certo.” E si gratta ancora il naso. “Dopotutto ho acconsentito a una settimana di prova, quindi è meglio provare come si deve.”
“Come sei magnanimo”, ride Miyako, e lo prende sottobraccio. Si sente leggera, e vorrebbe condividere la sensazione con mille altre coppie che sono in fila per i Knife of Day in questo momento. Quante di loro saranno anime gemelle? Quante di loro staranno ringraziando il cielo in questo momento di aver concesso loro di trovare la strada per essere completi?
C’è una coppia, da qualche parte in mezzo alla folla, che non fa altro che parlare concitatamente a voce un po’ sommessa, per esempio.
“Il tuo cellulare continua a non prendere?”
“Già ... ma non fa nulla, sicuramente troverò mio fratello più tardi.”
“Prova col mio.”
“Non sono preoccupata, davvero! Stai tranquillo.”
“Ma ti ho fatto fare tardi io. Se il treno non si fosse fermato per un guasto tecnico, sicuramente a quest’ora ...”
“Stai tranquillo, ti dico. L’importante è essere arrivati in tempo per l’apertura dei cancelli!”
Chissà se quei due sono anime gemelle. Per una volta a Miyako non importa più di tanto: avrebbe voglia di abbracciarli comunque, senza neanche un motivo.
“Mi dispiace che Iori-kun non possa venire”, sbuffa, riportando l’attenzione sul suo compagno. “Per una volta poteva anche saltare le sue lezioni di kendo, che diamine. Te lo avrei fatto conoscere, se solo non fosse sempre così responsabile!”
“Sarà per la prossima volta”, la rassicura Koushiro.
“Piuttosto mi ha sorpreso sapere che Taichi-san e Sora-san verranno! Non pensavo seguissero i KoD, quando Hikari-chan me lo ha detto sono rimasta sorpresa.”
“Ah, non lo sapevi? Taichi-san e Yamato-san sono amici d’infanzia.”
Miyako si volta verso Koushiro, la bocca spalancata. “Davvero? Ma non li ho mai visti frequentarsi!”
“Abbiamo trascorso un campo estivo insieme”, ricorda il ragazzo, un sorriso nostalgico sulle labbra. “Praticamente un secolo fa: io avevo nove anni, Taichi-san e Yamato-san dieci. All’inizio non andavano granché d’accordo, ma tra una litigata e l’altra hanno legato parecchio. Poi si sono persi di vista, ma quando Takeru-san si è trasferito a Odaiba e ha conosciuto Hikari-san, incontrarsi di nuovo è stato inevitabile.”
“Wow. E nessuno mi ha detto niente.” Sorride incredula lei. “Allora anche Sora-san lo conosce!”
“Sai che non credo? Quell’anno non era venuta con noi al campo estivo, se non ricordo male si era ammalata. In ogni caso Taichi-san non vede l’ora di presentarla a Yamato-san. Non ho mai visto qualcuno essere tanto orgoglioso della sua ragazza.”
“Pensa quanto sarai orgoglioso tu di me tra qualche tempo”, insinua Miyako.
Come prevedibile, Koushiro diventa l’immagine del disagio. “Miyako-kun ...”
“Rilassati, scherzavo!” Gli dà un colpetto sul braccio, e si impone di non dare alla cosa troppo peso. Ci sarà tempo, si dice. Tanto tempo.
La coppia nelle vicinanze si sta agitando di nuovo.
“E se tuo fratello si preoccupa? Dai, prova a chiamare col mio.”
“Ma lo sa che venivo al concerto con te, non dovrebbe preocc-”
“Mi permetti di sdebitarmi?”
“ ... va bene, provo col tuo. Grazie, sei molto gentile.”
 “Ma ti pare.”
“In effetti ... che fine avranno fatto quei tre?” Riflette Miyako ad alta voce, alzandosi sulle punte per sbirciare sulle teste in fila. “Dovrebbero essere arrivati, a quest’ora. Tu li vedi?”
“No, ma non credo che li troveremo mai in questo modo”, risponde Koushiro, e non prova nemmeno a cercare. “Forse converrebbe chiamarli.”
“Mi sa che i telefoni non prendono da qui”, replica meccanicamente lei. Koushiro la guarda senza capire, ma poi si ficca una mano in tasca ed estrae il suo cellulare.
Nello stesso momento, la ragazza del cellulare sospira sconfitta.
“Niente, non prende neanche il tuo.”
Che strano, pensa Miyako all’improvviso. Sembra la voce di Hikari.
Si volta, comincia a sbirciare tra le persone, ma a parte qualche occhiata sospettosa da un omaccione altissimo e silenzioso con una bambina in braccio e un paio di ragazzetti in vena di spintonarsi per gioco non riesce a vedere nulla.
Non può essere Hikari, però.
Lei dovrebbe essere venuta con Taichi e Sora, no?
“Oh. Dopo aver insistito tanto ... che figura.” Il ragazzo ridacchia, imbarazzato, e Miyako non conosce quella voce. Un orrendo sospetto inizia a balenarle nella mente.
Si rimette a cercare con più energia, la tensione che le chiude lo stomaco.
“Che c’entra? Magari prima aveva campo!” Ride la ragazza, dolce, e all’improvviso non può essere che Hikari. Solo lei ride a quel modo. “Non è colpa tua, Ichijouji-kun.”
Ichijouji-kun!
Miyako si pietrifica.
In quel momento Koushiro annuncia: “Stanno aprendo i cancelli!”, e tutto diventa molto confuso.
La gente esulta, probabilmente felice di sfuggire al freddo della serata e per l’annuncio del concerto imminente, e inizia a spingere per entrare. Lei non si muove per un momento di troppo.
Koushiro scompare, la gente non fa che spingere in avanti, e Miyako all’improvviso soffoca: fa resistenza, cerca di uscire, sgomita. Non sa neanche lei cosa stia facendo esattamente.
Vuole solo uscire.
Invece inciampa su una bottiglietta d’acqua mezza piena, e finirebbe a terra se qualcuno non la prendesse prontamente per le ascelle.
“Tutto bene?” Le dice l’omaccione un po’ burbero, e poi urla “Fate spazio! La stavate facendo cadere.”
“Grazie”, balbetta Miyako col cuore a mille, e finalmente lui la lascia, e si allontana con un cenno rapido del capo.
Si è creato davvero dello spazio tra la folla, per fortuna, così ha modo di tirare un respiro profondo, di riassettarsi la giacca, di controllare se la sua borsetta è ancora ben chiusa.
Quando solleva lo sguardo, gli occhi sgranati di Ichijouji Ken sono fissi su di lei.
Miyako smette di respirare.
“Miyako-san!” Hikari compare dal nulla dal fianco del ragazzo immobile, e il suo sorriso candido è quasi una nota stonata in quel clima di tensione. “Ti stavo cercando. Non ti sei fatta male, vero?”
No, pensa Miyako. Ma forse sarebbe stato meglio se qualcuno mi avesse pestata abbastanza forte da sotterrarmi.
“Ehi!” Dice invece, un suono strozzato che assomiglia al verso di un animale ferito. “Ma ti pare, sono fatta d’acciaio, io!”
Ride troppo forte, si aggiusta nervosamente i capelli. Hikari la guarda perplessa.
Ichijouji distoglie lo sguardo.
 
***
 
Sembra tutto uno strano sogno ovattato.
“Mi ero preoccupato”, li accoglie Koushiro all’entrata, le sopracciglia aggrottate e il biglietto ancora in mano. “Non ti ho vista più, pensavo ti fosse successo qualcosa.”
Non riesce nemmeno a sentirsi felice della preoccupazione di Koushiro.
“Beh, sono stata aggredita da una folla urlante!” Dice con pallido entusiasmo, e poi si volta verso Hikari e il suo accompagnatore con un cenno significativo del capo. “E poi, per fortuna, dal nulla ho incontrato Hikari-chan. Insieme al suo ragazzo!”
Ichijouji guarda fisso il pavimento, le mani che lungo i fianchi hanno un breve fremito.
Miyako non ha intenzione di guardarlo per altro tempo. Che cos’è, una stalker? Ci manca solo che si metta a fissarlo.
“A proposito: vi presento ufficialmente Izumi Koushiro!” Annuncia, facendo un passo indietro e permettendo alla coppia di avere la visuale libera per guardare il suo accompagnatore. “La mia anima gemella!”
Non vedeva l’ora di dirlo, si rende conto all’improvviso: ha passato tutta la settimana antecedente al concerto a pensare al momento in cui avrebbe presentato ai suoi amici la persona che avrebbe cambiato la sua vita per sempre. Sapeva che quelle parole, dette a voce alta, avrebbero avuto un sapore dolcissimo sulla sua lingua – il sapore della gioia vinta alla lotteria.
Invece ora si sente patetica, e arrossisce senza un motivo.
Ichijouji di colpo solleva lo sguardo, ma non guarda Koushiro: guarda lei.
Cosa vuoi da me? Vorrebbe gridargli, al colmo dello stress. Non mi sto presentando io, dannazione!
Non riesce a capire che occhiata sia. Non ha la minima idea di cosa fare delle sue mani, così se le torce.
“Molto piacere”, sorride Koushiro, chinando appena il capo nella sua direzione. “Anche se la storia delle anime gemelle è ancora da appurare. Miyako-kun è semplicemente molto entusiasta, ehm ...?” E poi fa una pausa, aspettando di conoscere il suo nome.
Ichijouji sembra scuotersi a quelle parole, e finalmente si decide a guardare la persona giusta. “Ichijouji Ken. Piacere mio, Izumi-san.” Dice, e ha una voce profonda – una voce che Miyako non riconosce. L’ultima volta che l’ha sentito parlare aveva ancora una voce giovane, una voce da dodicenne.
E’ assurdo rendersi conto di colpo di non sapere chi sia la persona che hai di fronte.
“Beh, io e te ci conosciamo già, Koushiro-san”, sorride Hikari. “Ma chiaramente questa presentazione in particolare mi mancava.” Poi lancia un’occhiata di sfuggita a Miyako, e poi a Ichijouji, e sembra esitare.
Miyako è così in tensione che crede di morire.
“Ichijouji-kun, lei è la mia amica, Inoue Miyako”, dice infine Hikari al suo ragazzo, delicata. “Non so se ti ricordi di lei.”
Non ricordare, prega Miyako, con tutta la disperazione che sente stridere con le unghie contro le pareti della sua gabbia toracica. Ti prego, ti prego, non ricordare. Non ricordarti di me!
Per un lungo momento Ichijouji guarda Hikari, e tace. Poi chiude gli occhi, e li riapre. “Certo che mi ricordo”, sussurra, quasi inudibile, e poi si volta verso Miyako.
E Miyako a un tratto riconosce quell’espressione: l’ha già vista, dopotutto, quella lontana sera di tre anni fa, e ancora non riesce a dimenticarla.
Ichijouji è una ferita aperta da anni, per lei. E’ curioso notare, osservando la serietà vulnerabile sul viso del ragazzo, che lei non è la sola a sanguinare.
Lui le sorride, esitando, e le chiede il permesso di guardarla.
Miyako sente dolore fisico in ogni fibra del suo corpo.
Gli tende la mano, e spera che non tremi. Lui la guarda, un po’ sorpreso e molto timido, e poi la stringe.
Ha una presa forte, nota lei distrattamente, e la mano calda.
“Perfetto! Che coincidenza”, sorride Miyako, e prega con tutta se stessa di sembrare naturale. “Anche io mi ricordo bene di te!”
Poi si rende conto di cosa ha detto, dell’espressione incupita di Ichijouji, e si sente così stupida che gli lascia di colpo la mano.
“Andiamo a sederci, dai. Guardate quanta gente che c’è!” Supplica con tono gioviale. Chissà per quale miracolo, la accontentano.
Scelgono un posto abbastanza centrale, sebbene un po’ distante dal palco, ma la visuale è comunque buona. Si accomodano senza troppi problemi: Ichijouji accanto a Hikari, Hikari accanto a Miyako, Miyako accanto a Koushiro. Koushiro chiede a Hikari qualcosa su Takeru, e lei gli parla di come Takeru si presenti sempre prima di tutti ai concerti di Yamato, perché lo sa che senza di lui Yamato-san avrebbe una crisi di nervi ogni tre minuti. Gli racconta di come Takeru sostenga sempre di presentarsi prima per poterlo prendere in giro in seguito, ma del fatto che in pratica non ci crede nessuno, che il motivo sia quello.
“Chissà come avrà fatto oggi”, sorride ampiamente. “Aveva un appuntamento con una ragazza ...”
E poi Koushiro le domanda di Taichi e Sora, e Hikari inizia a parlare di come le linee sembrino sovraccariche, e di altre cose futili di cui Miyako non riesce neanche a preoccuparsi.
Ichijouji è in silenzio, proprio come lei. Guarda nervosamente davanti a sé, sbircia le persone che varcano la soglia del palazzetto, intreccia le dita tra loro. Sembra evitare accuratamente di guardare alla sua destra, forse temendo di incrociare lo sguardo di qualcuno.
Forse lo sguardo che teme di incrociare è proprio quello di Miyako. Ironico, dal momento che lei non riesce a smettere di guardarlo di sottecchi.
E’ ancora bello, non può fare a meno di notare, lo stomaco annodato in modo assurdo; lo è ancora più di prima, a essere onesti, come se in quei tre anni la Natura fosse arrivata con uno scalpello e avesse tirato fuori dal marmo grezzo un accenno in più di maturità. Ha ancora il viso pallido come una porcellana, ma i suoi tratti sono più affilati, più adulti; i suoi capelli, liscissimi e scuri, sono ancora corti, ma gli scendono appena un po’ più in basso del mento ora; era alto, ma ora lo è molto di più, e non ha idea di cosa sia successo alle sue spalle.
Nemmeno i suoi occhi, azzurri e penetranti, sembrano gli stessi, anche se anni fa avrebbe avuto la presunzione di giurare di conoscere a memoria cosa si celava nelle sue profondità. Forse è solo cambiato il suo modo di guardare.
E poi, dal nulla, Hikari si volta verso Ichijouji, e gli prende la mano, stringendola con affetto.
Ichijouji sussulta appena, la guarda come fosse stato sorpreso con le mani nella marmellata, e Hikari gli sorride.
Lui le stringe la mano a sua volta, e il sorriso che le rivolge parla di gratitudine.
Tre anni fa non avrebbe mai sorriso a quel modo.
“Io ho sete, e voi?” Dice all’improvviso Miyako, e l’armonia si spezza. Si frantuma, quando lei ci mette i piedi sopra e si alza. “Vado a prendere da bere, prima che si spengano le luci. Qualcun altro vuole qualcosa?”
“Forse dovrei andare io”, si offre Koushiro interdetto, e fa per mettersi in piedi. “E’ un appuntamento, dovrei essere io a portare qualcosa a te ...”
E’ un commento insopportabilmente maldestro, e Miyako si irrigidisce.
“Se vuoi prendermi qualcosa dovresti farlo perché ne hai voglia”, scatta. “Non perché pensi di doverlo fare secondo quanto galateo impone!”
Si pente immediatamente della sua esplosione, ma come le succede spesso, il danno ormai è fatto.
“Lo avrei fatto perché ne avevo voglia”, replica Koushiro, la fronte corrugata, e lentamente si risiede. “Ma se preferisci ok.”
La fissa, e la fissano tutti, persino Hikari, persino Ichijouji.
Miyako non ne può più: si gira e scappa.
Giù per le scale, in mezzo alle persone eccitate, schivando bambini che giocano a rincorrersi. Arriva al chioschetto delle bibite, lo sorpassa, si ferma.
E si chiede che diavolo sta combinando.
Ha deciso di rovinarsi la serata, a quanto pare, e senza un motivo plausibile. E’ forse impazzita?
E dire che era così felice, all’inizio. Era felice anche di Koushiro.
Prima che decidesse di rispondergli malissimo per una sciocchezza. Lei e la sua stupida bocca larga.
Però ...
Forse ce l’ha un po’ con Koushiro, in fondo.
Avrebbe dovuto accorgersene, che era sconvolta. No?
Come Hikari si è accorta di Ichijouji. Lui non ha certo dovuto fare uscite di scena plateali per essere confortato dalla sua ragazza.
Non sono nemmeno anime gemelle.
Koushiro non ha neanche provato a seguirla, e all’improvviso si rende conto che avrebbe voluto che lui lo facesse. Giusto perché, una volta tanto, vorrebbe una prova tangibile che non è l’unica a cui importa qualcosa di far funzionare questa strana relazione.
Ma d’altronde, è pur vero che ha fatto tutto da sola. Lui le aveva detto di no.
Sono forse una bambina capricciosa, allora?
Miyako si passa una mano tra i capelli che ha passato tanto tempo a pettinare prima di uscire, e quasi senza accorgersene ci si aggrappa con le dita. Si sente in trappola, e fin troppo sola.
Con che faccia mi ripresenterò da loro?
La salvezza assume varie forme, quando vuole venirti incontro.
“Miyako-san?”
In questo caso, per fortuna, assume la forma di Takeru.
“Ma sei tu davvero? Che ci fai qui da sola?” Le sorride gioviale, i capelli biondi perfettamente pettinati e per una volta senza cappello. Ha le maniche della camicia arrotolate sui gomiti, e se lo conosce abbastanza il motivo è che sta morendo di caldo, in mezzo a tutta questa gente. “Pensavo saresti venuta con Koushiro-san. Che fine ha-”
E poi il sorriso gli si spegne, lasciando il posto a un’espressione confusa. “Tutto bene? Sembra che tu abbia visto un fantasma.”
“Ho visto Ichijouji”, risponde Miyako.
Takeru sbatte le palpebre. “... Nella tua testa sono la stessa cosa?” Tenta di scherzare.
“Lo sai? Forse hai ragione.” La risata che vibra nella sua gola ha qualcosa di isterico. “Questo spiegherebbe perché io abbia maledettamente paura di tornare lì dove c’è lui, in compagnia di Hikari-chan.”
Takeru tace, e si fa serio.
“Cosa dovrei fare, adesso?”  Lo supplica, come se dal suo consiglio dipendesse ogni cosa, anche il fatto che il palazzetto dello sport si regga stabile sulle loro teste.
Lui non risponde subito. Si guarda intorno, lancia un’occhiata al palco, poi solleva lo sguardo verso la porta che conduce alla scala antincendio.
Fa un cenno con la testa, allusivo.
“Prendiamo un po’ d’aria”, propone.
 
***
 
“Avevo tredici anni quando Ichijouji Ken diventò di colpo il ragazzo prodigio più famoso di Tokyo.”
Il suo latte e cioccolato è piacevolmente caldo tra le dita: una manna dal cielo, considerando il freddo che fa in cima alla scala antincendio, e sul pavimento sul quale è seduta. Miyako lo sorseggia troppo in fretta, incurante di come le bruci in fondo alla gola. Cerca di farsi forza.
Non parla più di questa storia da anni, ormai.
“Ti ricordi come i telegiornali e le riviste parlavano di lui? Sembrava che avessero scoperto una vera e propria gallina dalle uova d’oro”, continua, lanciando uno sguardo a Takeru, appoggiato di fronte a lei alla ringhiera della scala. “Il suo nome era sempre seguito da un alone di meraviglia e una serie di titoli altisonanti.”
“Tipo Astro nascente del calcio?” Domanda Takeru.
“E Piccolo Einstein. E Mago degli scacchi. E La più giovane cintura nera di judo. E Nuovo Bill Gates.” Miyako gli enumera con le dita, ci pensa un istante, poi scuote la testa. “Non me ne vengono altri, ma hai capito il concetto, insomma.”
“Li avevi imparati a memoria?” Takeru ride appena, ben attento a non esagerare: lei è molto più tranquilla ora, ma ancora tesa come una corda di violino.
“Ero innamorata persa di lui”, ribatte Miyako da sopra il bicchiere.
Takeru sgrana gli occhi, e con un piccolo Oh sembra trovarsi una risposta per tutta la vicenda.
Chiaramente non ha capito un accidente, ma farglielo credere per un momento non può fargli male.
“Intendiamoci, quando per la prima volta sentii parlare di lui mi irritò a morte”, continua lei con naturalezza. “Mi ero interessata a lui per le sue doti informatiche, ed ero piccata, perché grazie tante, ero brava anche io, ma nessuno era mai venuto a intervistarmi. Chiunque poteva riuscire a fare quello che faceva lui, no?”
Miyako sospira, e prende un altro sorso di bevanda calda.
“E invece no. Era di molto superiore a me, e lo venni a scoprire molto presto.”
“Perciò ... quand’è che dalla rabbia sei passata alla cotta?”
“Quando mi resi conto di che mente geniale realmente fosse. E di quanto fosse carino, naturalmente.” Solleva lo sguardo, e fissa il suo amico. “Con quel suo sorrisetto sicuro, quegli occhi intelligenti, e tutti quegli sport che praticava ... persino tu puoi capire perché mi piacesse tanto.”
“Non credo di poter capire, ma ti credo sulla parola”, sorride Takeru stringendosi nelle spalle.
“Secondo me sei solo invidioso perché vuoi essere più carino tu, signor mezzo francese. Comunque.” Miyako esita. “Tu sai chi è Satoshi?”
Il ragazzo ci pensa per un istante. “Non era tipo un tuo ex?”
“Bingo. Se così si può definire quell’imbecille che ho avuto la sfortuna di incontrare a dodici anni.” Col senno di poi è assurdo rendersi conto di quanta importanza viene data a persone che non valgono un soldino bucato, ma ormai è inutile pensarci. “Dopo quella storia deludente non chiedevo niente di meglio che innamorarmi di nuovo, innamorarmi di qualcuno di meritevole, e quale migliore candidato di Ichijouji Ken? Ero molto fiera di aver donato il mio cuore a lui, quasi come se questo mi rendesse un po’ perfetta a mia volta di conseguenza. Tra l’altro, non volevo solo innamorarmi di lui: volevo che fosse lui la mia anima gemella. A un certo punto me ne convinsi anche.”
Takeru sgrana gli occhi, e non dice niente.
Miyako ride. “Se stai cercando il senso di tutto ciò, lascia perdere. A tredici anni non sei troppo intelligente.”
“Guarda che non ho detto niente.”
“I tuoi occhi sì.” Con un’ultima sorsata finisce il suo latte e cioccolato. “Inizi a intravedere il problema?”
“Vagamente, sì.”
“Tutto sembrava coincidere”, riflette Miyako, fissando lo sguardo in un punto imprecisato di fronte a sé. “Mi ero fatta l’idea che la mia anima gemella dovesse essere una specie di cavaliere ipercortese e gentile, perfetto e bellissimo, perché andiamo, uno che ti dice Vorrei aiutarti appena ti incontra non può che essere così. Ichijouji Ken era il candidato perfetto! Il suo viso si sovrapponeva perfettamente all’immagine che avevo del mio salvatore innamorato e devoto, e non dovevo neanche sforzarmi. Sognavo i suoi occhi azzurri prima di andare a dormire. Non vedevo l’ora di parlargli, di scoprire che avevo ragione io. Non vedevo l’ora che fosse Ichijouji Ken a rimettere a posto il disastro che Satoshi e i suoi amici imbecilli avevano combinato ... a farmi sentire bellissima e amata, in modo giusto. A confermarmi che avevo ragione a perseverare con la mia ricerca della mia metà della mela, a dispetto di tutto il dolore e la delusione che avevo provato per mesi.”
Si aggiusta gli occhiali sul naso. “A tredici anni ti basta un bel faccino per immaginarti già sposata e felice per l’eternità. Non è un’assurdità?”
“Non avevi paura di parlargli e scoprire che non era lui la persona che credevi?” Domanda Takeru.
“Non ricordo di essermi mai posta il problema, sai? Ero straconvinta fosse lui, come ti dicevo. Così sospiravo, strappavo articoli di giornale, seguivo ogni suo successo, e intanto aspettavo un’occasione di incontrarlo.
“Ed è qui che entra in scena Daisuke.”
Miyako lancia un’occhiata a Takeru, ancora fermo contro la ringhiera, e si interrompe. “Come mai vuoi sapere questa storia proprio adesso?”
“Perché sei sconvolta”, risponde lui. “E non so se devo preoccuparmi.”
“Per Hikari-chan?” Non può fare a meno di chiedergli senza peli sulla lingua.
Ci ha preso, e lo capisce prima ancora che lui parli. Takeru la guarda, si stringe nel cappotto, distoglie lo sguardo, e poi sorride.
“E’ la mia anima gemella”, risponde. “Vorrei assicurarmi che non debba soffrire, insieme a lui.”
C’è una nota vulnerabile nelle sue parole, una che probabilmente non voleva inserire, ma Miyako la percepisce ugualmente, e ha la conferma che si aspettava e al contempo non voleva ricevere.
“Sei proprio stupido”, non può che attaccarlo, la gola stretta.
Takeru ride. “Lo so, ho fatto gli esercizi davanti allo specchio.”
“Mi spieghi che senso ha starci male e decidere di non fare ugualmente niente? Dico io-”
“Possiamo tornare a Ichijouji?” La interrompe lui, e Miyako si zittisce.
Non trova uno spiraglio, nella sua espressione di nuovo serena, al quale possa appigliarsi per continuare a insistere, e sa che Takeru sa essere particolarmente cocciuto quando decide di non parlare di qualcosa. E’ peggio di Yamato, certe volte.
Si arrende.
“Dicevo. Daisuke.” Riprende. “Giocava a calcio anche allora, no? E la sua squadra era piuttosto brava, ma questo non dirglielo, ho una dignità da proteggere. Comunque sia, a un certo punto si erano piazzati così bene in classifica che riuscirono ad avere la scuola media di Tamachi come avversari. E indovina un po’ chi giocava tra le loro fila?”
“Ichijouji”, completa naturalmente Takeru.
“E indovina un po’ chi decise di sfruttare Daisuke per poter finalmente conoscere il suo amore?” Miyako fa un movimento allusivo verso se stessa. “Ero al settimo cielo, come potrai capire, così dissi a Daisuke che ero persino disposta a venire alla sua stupida partita se potevo incontrare Ichijouji. Lui mi disse fa’ un po’ come ti pare, ma per la verità non aveva neanche troppa voglia di prendermi in giro per la mia cotta. Aveva ben altro per la testa, in quel momento.”
“La partita?” Tenta Takeru.
“Sfidare il suo idolo”, lo corregge Miyako. “Ichijouji.”
“Questo Ichijouji fa davvero strage di cuori”, commenta lui, con una serietà eccessiva per un commento simile.
“Daisuke era fuori di sé dalla gioia. A lui non importava un accidente della sua mente geniale, ti pare, lo sai che è un sempliciotto, ma lo ammirava immensamente per le sue doti calcistiche. Desiderava giocare contro di lui più ancora di quanto desiderasse vincere, per farti capire il livello di idolatria. Sembrava che fosse arrivato Natale in anticipo, per lui, e per giorni non parlò d’altro, e non fece altro che che allenarsi. Finché non arrivò il gran momento.
“Ad assistere alla partita c’eravamo io, Iori-kun e Hikari-chan. Le tribune erano strapiene di ragazzine urlanti, giornalisti e fotografi: dall’esterno avresti detto che stavamo aspettando un gran divo del cinema, un modello, o una cosa così, e invece si trattava solo di un ragazzo di dodici anni. A nessuno importava niente di niente di essere senza controllo, a me per prima. Non facevo che osservare l’entrata del campo: speravo di vederlo prima di tutti, il cuore in gola e la faccia rossa, e sapevo che tutta l’attesa sarebbe stata ampiamente ripagata.
“Beh, vuoi sapere la cosa assurda? Ichijouji non si fece vedere se non dopo i primi venti minuti di gioco.”
Takeru si acciglia. “Un vero vip.”
“Un vero idiota!” Replica Miyako con passione. “Ecco chi farebbe una cosa simile. Un idiota e un esibizionista. Ma sai quanto me ne importava all’epoca?
“Daisuke stava per perdere le speranze di incontrarlo, quando all’improvviso comparve, tra le strilla entusiaste e la gioia dei suoi compagni di squadra. Avresti dovuto vederlo: sembrava l’incarnazione della perfezione, tutto altero e sicuro e pronto per giocare, come lo fosse stato da tutta la vita. Prese posto sul campo, e l’elettricità pervase ogni singolo filo d’erba. C’era una specie di timore reverenziale intorno a lui. Non per Daisuke, però. Lui lo guardava come si guarda l’unica persona degna di essere il tuo rivale.
“E poi l’arbitro fischiò, Ichijouji sorrise, e il gioco si ribaltò.”
Miyako scuote il bicchiere vuoto, desiderando ci fosse ancora almeno un goccio di bevanda calda da mandare giù.
“Lo chiamavano Astro nascente del calcio? Io lo avrei chiamato stratega letale. Giocava per vincere, e sapeva come farlo. Sai quelle persone che sanno sempre dove sono tutti i giocatori, e fabbricano strategie come se fossero in guerra tanto rapidamente quanto respirano? Quello era Ichijouji Ken: una forza della natura, inarrestabile e imbattibile. Prima del suo arrivo la squadra di Daisuke era in vantaggio ... dopo, erano in svantaggio cinque a uno. In dieci minuti appena.
“Io devo aver strillato per minuti, e penso che la mano di Iori-kun che non avevo fatto che stritolare per tutto l’incontro abbia perso la sensibilità per una settimana intera, dopo quel giorno. Tifavo per Ichijouji, chiaramente. Non è che volessi fare un dispetto a Daisuke, per una volta, era solo che non avevo mai visto niente di simile – nessuno aveva mai visto niente di simile. Non avrei potuto farne a meno, capisci? Volevo che arrivasse a fare dieci gol. Non fare quella faccia, ne era perfettamente in grado, se vuoi saperlo. E l’avrebbe fatto ... se solo Daisuke non si fosse messo in mezzo all’ultimo.
“Gli rubò il gol finale. Arrivò in scivolata, gli sottrasse la palla, e tanta la foga di impedirgli l’ultimo tiro che gli ferì la gamba: usciva sangue, l’ho visto. Lo hanno visto tutti. Nel campo calò improvvisamente il silenzio. E poi l’arbitro fischiò, e la partita finì 9-1.”
“Straordinario”, commenta Takeru senza fiato.
Miyako sorride in risposta, un po’ amara. Tempo fa avrebbe detto esattamente lo stesso.
“Daisuke si scusò a fine partita: era mortificatissimo, e più in imbarazzo di quel che puoi immaginare. Non fa nulla, rispose Ichijouji, e sorridendogli gli fece un complimento sulle sue doti di calciatore. Nessuno ha mai fermato quel gol finora. E’ stato bello giocare con te, Motomiya-kun. E gli strinse la mano.
“Daisuke sembrava aver toccato il cielo con un dito. Dovremmo replicare! Gli disse in uno slancio di esaltazione. Una cosa informale, solo io e te. Voglio una rivincita!
“Io e gli altri eravamo a due passi, trattenendo il respiro mentre Ichijouji sgranava gli occhi: avevamo quasi la sensazione che, se lui avesse accettato, sarebbe stato per sua estrema bontà. Come se fosse trenta spanne sopra di noi, capisci. Ma Ichijouji non fece che sorridere, intrigato, e rispondergli che Senz’altro, sarebbe bello. Cosa ne pensi di fare tra una settimana?
“Così si miserò d’accordo, orari, luogo e tutto, e sembrava fatta. Non vedo l’ora di dirlo ai miei amici! Non crederanno alle loro orecchie, disse Daisuke, e Ichijouji sorrise e basta.
“In quel momento ero troppo presa a mangiarmi le dita per l’invidia – volevo stringere anche io la mano di Ichijouji! – per fare caso allo strano lampo calcolatore che era passato in quegli occhi azzurri freddi e perfetti. Ci avrei ripensato solo in seguito. Troppo tardi, ovviamente.”
Un altoparlante, all’interno del palazzetto, avvisa cortesemente i suoi ospiti che lo spettacolo inizierà tra dieci minuti. Miyako e Takeru si voltano verso l’entrata nello stesso momento, e sanno che dovrebbero rientrare. Nessuno dei due si muove.
“Il pomeriggio della seconda partita”, continua lei a voce bassa, “il cielo era grigio, ma non si era vista una sola goccia di pioggia, e non sembrava che sarebbe iniziato a piovere durante la partita. Io, Iori-kun e Hikari-chan pensavamo che non ci sarebbe stato nessuno tranne noi e qualche passante curioso tra gli spalti, invece c’erano un sacco di persone. Perlopiù amici di Daisuke, avevamo scoperto con sorpresa. Chiaramente, quella bocca larga aveva deciso di spargere la voce della sua partita esclusiva con Ichijouji Ken in tutta la scuola, e così i suoi amici avevano portato altri amici, e un paio di giornalisti locali con un bel po’ di tempo libero. Era diventato un evento: Ichijouji non aveva mai risposto a una sfida diretta, prima di Daisuke, così tutti morivano dalla voglia di avere quel frammento inedito del ragazzo prodigio di Tamachi –oh, ecco un altro titolo che mi mancava, me ne stavo dimenticando. Io ero irritata, perché speravo davvero in un evento privato che mi avrebbe concesso di conoscere la mia presunta anima gemella, ma Daisuke ... era radioso. Non faceva che guardare l’orologio, impaziente, mentre i minuti passavano, e gridava a gran voce quanto fosse fortunato.”
Un sapore amaro le resta incastrato in gola. “Fortunato. Certo.”
Takeru tace, il viso immobile. Aspetta la batosta.
Miyako accartoccia il bicchiere.
“Ricordo che Daisuke continuò a dire la storia della fortuna ancora per un’ora e mezza, ma man mano che passava il tempo sembrava sempre più angosciato di essere il solo al centro del campo. Gli spalti vociavano sempre più forte, alcuni si alzavano per andarsene via, ma Daisuke continuava a implorarli di aspettare. Verrà! Mi ha dato la sua parola! Deve venire per forza!
Takeru ha gli occhi sgranati, e Miyako sa che ha capito.
“Lui si fece vedere solo dopo due ore e mezza”, dice. “Quando la metà delle persone era andata via, e l’altra accusava Daisuke di essere un cialtrone e un bugiardo. Era rimasto un solo giornalista, che sonnecchiava sotto la sua sciarpa. E poi c’eravamo noi, pietrificati a lato del campo, senza trovare il coraggio di portare via Daisuke, che lottava da solo contro tutti i presenti e l’evidenza dei fatti, solo per la speranza che aveva riposto in un idolo indegno.
“Ichijouji sembrò sorpreso di entrare in campo, vestito con la sua divisa scolastica e senza neanche un borsone sportivo al collo. Si guardò intorno, plateale, e parve mortificato. Sono arrivato qui più in fretta che ho potuto, disse ad alta voce, ben udibile da tutti i presenti. Mi hanno detto che credevi che avremmo giocato insieme. Perché hai messo in giro questa storia?
“Non credo di aver mai visto Daisuke boccheggiare in quel modo. Ma che dici? Lo abbiamo concordato insieme, Ichijouji! Una settimana fa – non prendermi in giro!
“E Ichijouji Ken, il mio ragazzo perfetto, si esibì nella più convincente espressione confusa che la storia dell’umanità abbia mai visto. Scusami, ma devi ricordare male. Non ti ho promesso niente del genere.
“Daisuke gli mise le mani al collo, a quel punto, strattonandolo. Sei un bugiardo! Perché fai così? Si può sapere che cavolo ti prende?!
“Solo allora Ichijouji si rivelò per quello che era. Afferrò le mani di Daisuke, le staccò dalla sua divisa e si allontanò di un passo. I suoi occhi erano freddi come il ghiaccio, e pieni di disprezzo.
Il bugiardo sei tu, ebbe la faccia tosta di dire. Ne ho viste persone come te – ne sono circondato ogni giorno. Sei così alla ricerca di notorietà che ti inventeresti qualsiasi bugia pur di poterti fare degli amici. Ma tolti i personaggi famosi di cui ami vantarti, resti sempre un patetico sfigato.
“Se ne andarono tutti, a quelle parole. Tutti. Persino l’unico giornalista rimasto, borbottando contro i ragazzini megalomani. La verità è che nessuno aveva sentito Ichijouji fare quella promessa, a parte noi e Daisuke. Nessuno avrebbe mai creduto a Daisuke, quando Ichijouji Ken in persona giurava di non aver mai voluto avere niente a che fare con lui. Così Daisuke passò per bugiardo, per disperato, per stupido, e Ichijouji si prese la sua rivincita. Un’umiliazione per un’umiliazione: nella sua testa era così che doveva andare.”
Miyako si interrompe. Takeru sembra così sconvolto da aver smesso di respirare.
“Noi eravamo lì”, sussurra lei. “Lì vicino, e potevamo vedere tutto. L’espressione ferita di Daisuke, e la vergogna e l’ingiustizia brucianti sulle sue guance. E poi la serietà altezzosa di Ichijouji, i suoi capelli scuri che si sollevavano mentre si voltava, il breve sguardo lanciato nella nostra direzione. Il suo passo deciso mentre arrivava accanto a noi, e ci superava.
“E il suo sorrisetto vittorioso mentre sussurrava Insetto, abbandonandoci lì come degli idioti.”
Il silenzio che cala è soffocante, ma lei non riesce a sollevare lo sguardo.
 “Insetto”, ripete Miyako, e la sua voce ha un tremito. “Disse proprio così. Era accanto a me, praticamente lo disse al mio orecchio. Insetto. Solo perché aveva osato impedirgli un gol a calcio, insetto! Era questo il ragazzo che avevo sognato al mio fianco: una persona meschina che ama distruggere pubblicamente i suoi ammiratori! Come poteva fare questo a Daisuke? Come poteva fargli questo senza motivo? Come poteva andarsene come se niente fosse?
“Non potevo sopportarlo. Non potevo permetterlo. Così lo seguii.”
Miyako prende un grande respiro, cercando di costringersi a proseguire.
“Mi sentì arrivare”, dice. “Si voltò verso di me, l’espressione imperscrutabile, gli occhi azzurri stretti a fessure. Fece per aprire la bocca, non so per dirmi cosa: non gli permisi di parlare. Aprii la bocca e gridai, con quanto fiato avevo: Mi fai schifo!
“Non volevo altro che sfogarmi, non avevo nessuna speranza di intaccare quella maschera perfetta e costringerlo a macchiare il suo viso candido di sangue nero come la sua vera anima. E invece Ichijouji ... impallidì, non so. Non è neanche il modo giusto per descrivere la sua faccia. Sembrò perdere vita tutt’a un tratto.”
Miyako prende ad attorcigliarsi i capelli, in un moto nervoso di cui è solo parzialmente consapevole.
 “Ero esaltata di averlo ferito, suppongo. Esaltata di avere un qualche tipo di potere su di lui. Così continuai, con rabbia, con crudele soddisfazione. Mi fai schifo perché sei marcio. E la persona davvero sola, alla fine dei giochi, sarai solo tu! Perché non ti meriti nulla di quello che hai.
“Ichijouji non disse nulla. Aveva gli occhi sgranati, la bocca chiusa, le mani abbandonate lungo i fianchi. Mi fissava, e di colpo la nebbia rossa nella mia mente si dissipò, e rimasi affannata a guardarlo, chiedendomi come mai non reagiva. Come mai non mi rispondeva a tono? Non detestava forse essere umiliato? Cosa aspettava?  Perché – perché mi guardava in quel modo?
“Non capivo. Non riuscivo a capire. Sarei anche arrivata a chiederglielo, tanto mi sentivo confusa, ma lui non me ne lasciò il tempo: si girò, curiosamente goffo, e se ne andò via.”
Miyako tace. Sente lo sguardo penetrante di Takeru sulla nuca.
“Non ti sentirai in colpa per una cosa simile, spero”, le dice dopo un istante di silenzio. “Hai fatto bene a parlargli in quel modo: se lo meritava.”
“Se lo meritava? Sì, forse.” Miyako solleva lo sguardo, e finalmente lo guarda dritto in faccia. “E’ quello che ho continuato a ripetermi anche io, quel giorno come nei giorni a venire. Se lo meritava, qualcuno doveva pur dirglielo. Se lo meritava, avrei dovuto dirgli di peggio. Non facevo che pensarci, senza riuscire a parlare a nessuno di quello che era successo dopo il disastro della partita mancata. Non riuscivo ... non riuscivo a pensare ad altro.
“Mi chiusi in camera per giorni, davanti a un pc, studiando ogni nuova intervista di Ichijouji Ken. Scoprii tante cose, in quei giorni. Per esempio, che le sue risposte non erano mai gentili, ma formali, vuote, costruite a tavolino. Oppure, che non parlava mai di sé, ma era molto bravo a dissimulare i tentativi di sviare il discorso, così che non te ne accorgevi se non facendoci davvero attenzione. E ogni volta lo pensavo con più forza: Se lo meritava. E man mano Ichijouji sembrava sempre più distratto, sempre più pallido, sempre più assente, e io ogni volta distoglievo lo sguardo, lo stomaco invaso dall’acido, e mi ripetevo: se lo meritava.
“E poi, un giorno come un altro, Ichijouji Ken scomparve.”
Fa freddo: Miyako si stringe nel cappotto.
“E’ stato una settimana esatta dopo quel pomeriggio disastroso”, spiega a Takeru, immobile con lo sconcerto a fargli corrugare le sopracciglia. “Quella mattina Ichijouji non si fece trovare in camera dai suoi genitori: nessun biglietto, nessuna spiegazione, niente di niente. La sua cartella scolastica era abbandonata accanto alla scrivania, i suoi libri di testo erano ancora tutti lì, solo uno zaino sembrava mancare all’appello. Sembrava avesse deciso di star via per un po’ di tempo, senza preavviso, apparentemente senza senso. Nessuno aveva la minima idea di cosa gli fosse successo: né gli insegnanti, come sempre fieri del suo rendimento scolastico, né i compagni di scuola, o quelli di judo, o quelli di calcio – venne fuori che nessuno di loro lo conosceva davvero, nessuno di loro gli era davvero amico. E i genitori ... loro non lo vedevano mai, a detta del padre. Era sempre chiuso in camera sua a studiare, o fuori per attività varie. Non ci parla, sosteneva il signor Ichijouji. Non si è mai confidato con noi. Non abbiamo mai saputo – sembrava non avesse problemi. L’unico problema sembrava averlo con noi. Era sempre lui a rispondere alle interviste, una sorta di orrore frenetico sul viso, le mani sempre in movimento. La madre ... quando la intervistavano lei non parlava mai. Piangeva come se le avessero strappato il cuore pezzo a pezzo, e ad ascoltare quei singhiozzi strazianti ti veniva voglia di piangere a tua volta. Non ho mai dimenticato quel pianto – penso non lo dimenticherò mai più. Me lo sentivo nella testa in ogni istante, non mi faceva dormire la notte. Era una specie di colonna sonora del mio panico.”
“Panico?” Ripete Takeru senza capire.
Miyako fa una smorfia, e non risponde direttamente.
“Daisuke venne a casa mia, tre giorni dopo l’annuncio della scomparsa di Ichijouji. Me lo trovai sulla soglia della porta alle otto meno un quarto, il viso serio e il mento sollevato, e io compresi subito. Non gli dissi neanche ciao. Riuscii a strillare solo una cosa: Non è stata colpa mia!
Takeru sbatte le palpebre, e uno stupefatto lampo di comprensione gli passa negli occhi chiari.
“Cercai di cacciarlo di casa: non volevo sentire una parola. Lo sapevo cosa era venuto a dirmi, di cosa voleva parlarmi. Ma io non riuscivo neanche a fare il suo nome, come poteva pretendere che io riuscissi ad affrontare il discorso con lui? Ma Daisuke non mi permise di allontanarlo. Si aggrappò allo stipite della porta, si puntellò con i piedi, fece resistenza. Chi se ne importa di chi è la colpa?! Si mise a urlare di rimando. So soltanto che non ce la faccio più a sentire quelle dannate interviste al telegiornale!
“Non potei che fermarmi, a quel punto, come se avessi ricevuto un pugno in pancia. Mi ero abituata a star male per Ichijouji da sola, vedi: non riuscivo a credere che anche per Daisuke fosse difficile.
Voglio mettermi a cercarlo, mi disse allora Daisuke. C’è chi dice di averlo intravisto a Odaiba, questa mattina. Vieni con me?
“Non ti so dire cosa stessi pensando a quel punto, avevo la testa completamente vuota. Così dissi una cosa stupida: Ma c’è la scuola.
Io non ci vado, rispose infatti Daisuke, e io lo guardai negli occhi: era mortalmente serio. Tanto serio che mi sentii sollevata. Era così semplice, allora? Era questa la soluzione al mio senso di orrore e di colpa: mettermi a cercare Ichijouji Ken e riportare le cose a posto? Sembrava sempre meglio che stare a macerarsi nell’angoscia giorno dopo giorno, ma io ancora esitavo.
Si può sapere perché lo fai? Non potei che chiedergli, e quasi lo supplicavo. Daisuke a quelle parole sgranò gli occhi, incurvò le spalle, fece una smorfia.
Non certo per lui, disse. Lo faccio per i suoi genitori. E per me.
“Lo seguii.”
“Miyako-san”, dice Takeru, quasi delicato, ma lei non lo lascia concludere. E’ stranamente liberatorio tirare fuori tutto, così non può fermarsi, non ancora.
“Immagina che stupidi: la polizia sulle sue tracce da giorni, e noi due piccoli adolescenti che ci illudevamo di riuscire dove gli adulti avevano fallito, gli zaini in spalla pieni di libri che non avremmo usato e una determinazione cupa a farci correre di qua e di là come dei forsennati. Nessuno dei due aveva molta voglia di parlare, mi ricordo, ma qualche volta Daisuke si voltava a guardarmi, al di sopra della sua cartella, e io sapevo che anche lui sapeva: lo avremmo trovato noi. Non era una convinzione, era certezza.
“Evitammo gli adulti come fossero tanti poliziotti pronti a dare la caccia a noi, invece che a Ichijouji. Non mi ero mai sentita così ribelle, così folle, così fuori di me. Eppure era quello che avrei dovuto fare dall’inizio, mi resi conto a un certo punto: avrei dovuto cercarlo fin da quel giorno. Fin da quella partita mancata, e da quelle parole impulsive che avevano ammutolito il ragazzo che avevo scioccamente creduto indistruttibile.
“Cercammo ovunque: nelle librerie, nei campi sportivi, nei caffè e nei cortili. E poi in metropolitana, e accanto a negozi di videogames, e persino nei supermercati. Niente. Sembrava che avessimo creduto alle parole di un visionario, che non ci fosse nessun Ichijouji Ken a Odaiba. Che avessimo sprecato un giorno a rincorrere una speranza vana.
“E poi il sole prese a tramontare sul mare, e il luccichio del riflesso ci distolse dalla nostra frustrazione, e ci costrinse a guardare. E ci ricordò che c’era un unico posto dove non avevamo controllato.”
“La spiaggia?” Sussurra Takeru.
Miyako lo guarda, e annuisce lentamente.
“Ichijouji era lì, in effetti. Rannicchiato in riva, la sabbia sui pantaloni, le scarpe sotterrate, e il viso nascosto sulle ginocchia. Sembrava una statua, altro che un ragazzino. Sembrava una bambola rotta.
“Non può non averci sentiti arrivare, con tutto il rumore che abbiamo potuto fare, e soprattutto dopo che Daisuke gridò Ichijouji con quanta voce avesse. Sapeva che eravamo lì, eppure non si mosse, e fu questo a farmi pietrificare, i polmoni in fiamme, mentre Daisuke accorreva verso il ragazzo immobile e lo scuoteva per la spalla. Rimasi lì come uno stoccafisso a fissare Ichijouji, lì a testa bassa con i muscoli tesi allo spasmo, lo zaino abbandonato sulla sabbia, Daisuke al suo fianco che lo chiamava e gli chiedeva se riuscisse ad alzarsi in piedi. Per un momento mi convinsi che lui avrebbe scelto di non respirare nemmeno, nell’attesa del momento in cui saremmo andati via.
“Invece Ichijouji sollevò il capo, lento come se provasse dolore, e guardò Daisuke. E poi me.”
La voce le viene a mancare di colpo. Miyako se la schiarisce un paio di volte.
“Aveva ... aveva gli occhi cerchiati, e il viso emaciato – sembrava non dormisse o mangiasse da giorni. Ma lo sguardo che aveva, Takeru-kun, quello sguardo non lo puoi neanche immaginare. Non avevo mai scorto l’anima di Ichijouji Ken, neanche quando ne avevo avuto più presunzione, o anche solo più voglia, sospirando su stupide riviste giovanili, ma in quel momento mi sembrò che qualcuno gli avesse squarciato il petto per osservarne il cuore, e ... che quel qualcuno fossi io. Che stringessi tra le mani il pugnale bagnato di sangue che gli aveva aperto la gabbia toracica.
“Non potevo respirare, così non feci che guardarlo. E lui guardò il mare, come ricordandosi della sua presenza.
“Mi dispiace, disse in un sussurro. Mi dispiace.
“E si prese la testa tra le mani.”
Miyako mima il movimento, ben attenta a non farsi cadere gli occhiali dal naso. Uno non ci pensa mai, a quanto sia drammatico e al tempo stesso liberatorio portarsi le mani al viso: chiunque ti veda non può non sapere che sei triste, ma nessuno potrà vederti in viso e scoprire quanto. Sei nascosto e vulnerabile allo stesso tempo.
“Avrei voluto che piangesse”, continua attraverso le fessure delle sue dita. “Non che avrei potuto consolarlo, pietrificata com’ero, e tutto sommato non sapevo neanche se lo volevo o no, ma sarebbe stato meglio per lui, credo. Meglio fuori che dentro, no? Ma lui non pianse. Neanche una lacrima.”
Poi sospira, riportando lentamente le mani in grembo.
“Ci credi che mi guarda ancora in quel modo?” Chiede a Takeru senza preavviso. “Sono passati tre anni, eppure mi guarda ancora come quella sera. E come il giorno della partita che non ha voluto giocare.”
Si morde il labbro, e si mette a fissare il pavimento come se fosse interessante. Si trova a corto di cose da dire, così sta zitta.
Vorrebbe tanto che Takeru dicesse qualcosa.
Lo sente avvicinarsi, invece, e dopo un istante di esitazione lo vede sedersi accanto a lei. Le lancia un’occhiata di sfuggita.
“Non gli hai più parlato da allora?” Le chiede.
“Sono stata molto brava a evitarlo, quindi direi di no.” Ride, e non sa neanche perché lo stia facendo. “Anche se di occasioni ne ho avute, dal momento che Daisuke ha deciso di continuare a frequentarlo.”
“Perché?” Scandisce il ragazzo, incredulo, e Miyako ride ancora.
“Perché è Daisuke”, risponde. “Daisuke sa dare una seconda opportunità.”
Takeru non capisce, ed è un sollievo così grande che si metterebbe a piangere. Sono due persone normali, riflette: le persone normali non credono ai miracoli con tanta facilità.
“Certo, un ruolo molto importante è stato giocato anche dal fatto che Ichijouji abbassò molto la cresta, dopo essere tornato a casa. La cresta come anche il suo rendimento: pareva che non gli interessasse più primeggiare, o che si fosse annoiato di applicarsi troppo. Non che abbia mai smesso di essere bravissimo, ma nessuno avrebbe più voglia di intervistarlo ora come ora, mi spiego? A ripensarci, meglio per tutti, e meglio per noi. Meglio anche per lui, credo. In ogni caso, Ichijouji contattò Daisuke dopo un paio di mesi da quell’episodio disastroso: gli chiese scusa ancora una volta, e si disse disposto a rimediare. Voglio giocare sul serio, questa volta. Spero ti vada ancora. Venne fuori che a Daisuke andava, eccome. Che tu ci creda o no, quel tonto non invitò proprio nessuno ad assistere, e non gliene importò niente: si godette la partita, e riuscì anche a battere Ichijouji. La partita migliore che io abbia mai giocato, disse. Io non ho potuto smentirlo. Non ci sono andata.”
“Miyako-san, non è stata colpa tua.”
Il tono di Takeru è a un tratto così intenso che Miyako non può che voltarsi a guardarlo.
“Davvero”, insiste lui. “Si era comportato male sul serio. E poi non puoi avere il controllo su tutto quello che succede nella testa delle persone. Forse le tue parole hanno semplicemente scatenato qualcosa che non potevi immaginare: può succedere. Non macerarti così.”
“Col senno di poi potrei anche dirti che hai ragione”, commenta lei schietta, e sembra sorprenderlo. “Cioè, se avessi desiderato una cosa del genere sarei stata peggio di Ichijouji a dodici anni: non volevo farlo a pezzi, volevo solo farlo infuriare. Tutto qui. Però ho scatenato qualcosa di molto peggio, e questa non è una cosa che si può cambiare, che volessi un risultato del genere o meno. Ho comunque una responsabilità importante, non ti pare? Anche perché non ho capito, dopo tutti questi anni, cosa, di quelle parole avventate, gli abbia fatto crollare tutto addosso. E ... non sai quanto darei per conoscerne il motivo. Solo che non posso farlo.”
“Perché no?”
“Perché se lo sapessi avrei voglia di chiedergli scusa. E la verità è che mi vergogno da morire.”
Takeru la guarda, gli occhi insolitamente seri, e non c’è giudizio nei suoi lineamenti. E’ questo a darle coraggio.
“Ho paura di scoprire di averlo giudicato male tutto questo tempo.” Confessa infine. “Paura di non poter mai essere come Daisuke, che lo ha perdonato e ora lo considera il suo migliore amico. O come Hikari-chan, che è riuscita persino ad amarlo. Per loro è naturale, eppure io non riesco a fidarmi. Non riesco a lasciarmi tutto alle spalle. Non riesco a cercare di cambiare idea sul suo conto, e a conoscerlo per quello che è. E’ per questo che mi vergogno.”
Ripensa al sorriso esitante di Ichijouji, al suo nervosismo e al suo disagio, e non sa cosa darebbe per non essere una persona normale, per una volta. Si stringe le braccia al petto.
“Sono io che l’ho ferito, tre anni fa. E sono sempre io, tre anni dopo, che gli impedisco di riscattarsi da quell’errore. Non è orribile?”
Non riceve risposta, ma in fondo non ne aspettava una.
 
***
 
Quando rientrano dalla scala antincendio, le luci sono quasi del tutto spente, un altoparlante annuncia l’inizio del concerto, e ci sono davvero poche persone ancora all’entrata, che si precipitano dentro il palazzetto a tutta velocità. Un po’ come loro due.
A metà strada per raggiungere gli altri Takeru si ferma bruscamente, si batte una mano sulla fronte ed esclama: “Mina-chan!” E poi fa dietrofront, correndo giù per le scale e urlando qualcosa tipo “Mi aspettava all’entrata, ci vediamo dopo, scusami tanto!”, come se si trattasse di un piccolo incidente di percorso e non della cosa più insensata che potesse fare nei confronti di una ragazza. Anzi, di due: niente di meno che la tua ragazza, o presunta tale, e la tua anima gemella.
Miyako non crede che smetterà mai di volerlo prendere a sberle, ma al momento ha altro a cui pensare.
Per esempio trovare gli altri, e farlo prima che Yamato inizi a cantare.
E’ un’impresa ardua, in penombra e con così tante persone che sembrano tutte uguali. Miyako aguzza la vista, le lattine di bibite fresche che ha comprato in tutta fretta per farsi perdonare, sbaglia strada più volte, importuna per errore un gruppo di ragazzi sconosciuti e continua a correre, col cuore in gola.
Poi scorge la zazzera rossa di Koushiro due file di fronte a sé, e quasi non riesce a credere alla sua fortuna. Si affretta in quella direzione, senza riflettere.
E’ appena a due passi da loro, però, quando uno di loro si alza in piedi, e persino in penombra Ichijouji è perfettamente riconoscibile.
Miyako si ferma di colpo, trattiene il fiato bruscamente e stringe più forte le lattine. Ma lui non sembra essersi alzato per lei.
Si è alzato perché ... voleva prendere la sciarpa.
La sciarpa?
“Non farlo”, sta dicendo Hikari al suo fianco, quasi come se l’universo l’avesse avvertita della necessità di fornire una didascalia agli eventi per gli spettatori che non capiscono quello che stanno vedendo. La vede posargli una mano sull’avambraccio, e sembra addolorata, per qualche motivo. “Non è come pensi.”
“Davvero?” Risponde Ichijouji, e l’ironia nelle sue parole è quasi tagliente. “Eppure non torna più.”
Miyako sbarra gli occhi, sentendo un improvviso tuffo allo stomaco.
“Si vede che ha trovato fila al chioschetto delle bevande”, insiste Hikari.
E’ di me che parlano.
E’ surreale, e non ha il minimo senso. La didascalia ha solo confuso ulteriormente gli spettatori ammutoliti e col cuore in gola.
“Onestamente, non riesco a capire cosa c’entri tu”, interviene Koushiro, e nella sua voce c’è un’accigliata perplessità. “Miyako-kun era arrabbiata con me, non con te. Perché dovresti andartene?”
Come sarebbe, andartene?
La verità le piove in testa come un cumulo di neve da un ramo scosso dal vento.
Ichijouji fa una smorfia, e insiste nel mettersi la sciarpa, senza guardare Koushiro – senza guardare nessuno, nemmeno Hikari. Sembra un soldato che vuole gettarsi in un campo minato per salvare i suoi compagni, per preservare il bene superiore.
Ma non c’è nessuna guerra in corso: non esiste nessun bene superiore.
Esiste solo un ragazzo che ha deciso di rinunciare a un concerto per non essere un problema.
Per non essere un problema per lei.
“Ichijouji-kun”, tenta di nuovo Hikari, e nella sua voce c’è una supplica. “Dammi ascolto, Miyako-san è solo-”
“Quando la vedete”, la interrompe Ichijouji, e poi tace, senza sapere come continuare. Sembra turbato, per un istante, come se una miriade di emozioni diverse stesse cercando di prendere il sopravvento sul suo viso; poi le porte si chiudono, e così la sua espressione. Non affiora più nulla. “Quando la vedete, rassicuratela che sto tornando a casa. Avrei dovuto pensarci prima, che vi avrei messi tutti a disagio, ma ... posso sempre rimediare ora.”
“Che idea balorda.”
Si voltano tutti di scatto prima ancora che lei abbia finito di parlare.
"Ma che fine avevi fatto?" Si lamenta Koushiro, il sollievo che suo malgrado gli distende la fronte accigliata.
Hikari, al suo fianco, stringe un po' le labbra, gli occhi insolitamente tristi e pensosi, e la fissa senza fiatare. Sembra aspettare la sua prossima mossa come se ne andasse delle sorti della serata intera.
Miyako non può occuparsi di nessuno dei due, al momento. Ha il sangue che pompa forte fin dentro alle orecchie, che la rende sorda a qualsiasi altra cosa che non sia la sua ribelle consapevolezza.
Ne ho abbastanza.
"Dico a te", riprende con forza, gli occhi fissi sull'unica persona che ha distolto lo sguardo e si osserva ostinatamente i piedi. "Ichijouji Ken. E dicono che tu sia un genio? Quest'idea è balorda sul serio, te ne sei accorto? Ecco per te tre buoni motivi per cui dovresti ripensarci."
A passo di marcia si avvicina a lui, lo vede irrigidirsi, poi lo supera, e si para di fronte a Hikari. Con un gesto secco le porge una lattina, senza curarsi del suo piccolo sussulto sorpreso. "Numero uno:
hai una ragazza, no? Una ragazza carinissima, peraltro, hai visto com'è bella stasera? Nessuno se ne va abbandonando il suo partner al suo destino, a meno che non voglia passare per un farabutto!"
"Ma scusa, tu hai abbandonato me al mio destino!", interviene Koushiro, un po' indignato.
"Appunto, chi meglio di me può parlare con cognizione di causa? Sono stata pessima anche io!" Ribatte Miyako senza scomporsi, e con naturalezza supera Hikari, raggiunge la sua anima gemella e gli porge la sua lattina. "Tieni il tuo oolong, Koushiro-san, e scusami tanto. Però mi avevi fatto arrabbiare!"
Gli dà un veloce bacio su una guancia, e lo sente arrossire bruscamente sotto le sue labbra.
"Ma che ti ho fatto, si può sapere?" Lo sente lamentarsi sconsolato.
Miyako si drizza senza rispondergli.
"Numero due", riprende. "Nessuno sano di mente farebbe tutta questa strada da Tamachi fino a qui per poi andarsene senza aver sentito neanche una canzone. Che poi le canzoni siano quelle dei Knife of Day è solo un'aggravante – sono delle testacce dure, ok, e se ascoltassero qualche mio suggerimento sarebbero ancora più forti, ma sono davvero bravi. E come puoi apprezzarli davvero se te ne scappi a inizio concerto?"
Guarda Ichijouji, ancora a testa bassa, e si morde l'interno guancia, esitando. Ma è proprio perché esita che si è creata tutta questa situazione senza senso, no?
A testa alta riprende a camminare, e in un paio di falcate è davanti al ragazzo silenzioso con la sciarpa al collo.
"Numero tre" gli dice in faccia. "Se te ne vai, mi rovini la serata."
Ed è vero.
Miyako si sporge, prende la mano di Ichijouji, lo sente tentare di ritrarsi istintivamente, non glielo lascia fare. Gli mette l'ultima lattina rimasta tra le dita, lo costringe a stringere la presa attorno ad essa, e giusto per essere sicura che non la lasci andare gli prende anche l'altra mano, e gliela fa avvolgere attorno alla destra.
Quando solleva lo sguardo, Ichijouji la sta guardando, stupefatto e incerto.
E Miyako se lo ricorda, allora. Si ricorda di quanto aveva pianto, tre anni prima, abbracciata al cuscino nella sua stanza chiusa a chiave, con ancora la sabbia nelle scarpe abbandonate sull’ingresso e la cartella per la scuola inutilizzata ai piedi del letto.
Vale ancora la pena di continuare?
Gli stringe le mani, e quasi non si accorge di essere stata lei a iniziare il movimento.
"Se te ne vai, passerò il tempo a pensare che ti ho fatto scappare io. E onestamente non ne posso più di maltrattarti", gli dice sinceramente. "Siamo stati pessimi entrambi in passato, ma è acqua passata, no? Io voglio cambiare idea sul tuo conto, e vorrei che tu mi aiutassi a farlo."
Fa tenerezza, questo Ichijouji così sconosciuto, con gli occhi dolenti e quell'esitazione tra le labbra, come se volessero pronunciare qualche parola ma non riuscissero a farlo.
Miyako si trova a sorridergli, e si sorprende di quanto le riesca naturale.
"Resta, Ichijouji-kun." Gli chiede piano. "Ti va?"
E i portoni che Ichijouji aveva tanto faticosamente sbarrato si spalancano di colpo.
Nello stesso momento, le luci si spengono, e il palazzetto dello sport si riempie di urla entusiaste.
"Inizia!" Strilla a sua volta Miyako, eccitata, e lascia le mani di Ichijouji, correndo al suo posto.
Il palco si illumina, e nel delirio generale i KoD prendono posto davanti al pubblico. I capelli biondi di Yamato sembrano accendersi, sotto i riflettori.
Il frontman si avvicina al microfono, e tutti trattengono il fiato.
In quel silenzio irreale Ichijouji torna a sedersi, la lattina ancora stretta tra le mani, le spalle rilassate in una resa, e Miyako si volta a guardarlo.
Ichijouji la guarda a sua volta, poi abbassa lo sguardo, e sorride.
Tre anni fa non avrebbe mai sorriso in quel modo. Non per lei.
Miyako si illumina.
E poi Kyosuke batte il tempo, la musica parte, e la magia ha inizio.

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Capitolo 3
*** 3. ***



 
Against the rules




3.




“Un classico”, esclama Miyako con le sopracciglia inarcate. “Noi ci affanniamo a cercare Taichi-san e Sora-san in lungo in largo e lui se ne sta lì a parlare con loro in tutta tranquillità, senza porsi il problema di venirci incontro!”
“Eh?” Daisuke si volta, perplesso, con la serenità di chi non si preoccupa mai troppo e sufficiente buonsenso da sapere che si parla di lui. Li guarda tutti per un istante, e ci sarebbero tante cose su cui potrebbe soffermarsi: l’assenza di Takeru, per esempio, o il ragazzo sconosciuto dai capelli rossi accanto a lei, o il fatto che Hikari sembri un po’ stordita per essere stata per un’ora e mezza a portata di tiro di un fan club dei KoD particolarmente rumoroso.
Invece l’unico particolare che nota è il ragazzo che con una mano stringe la mano di Hikari, e con l’altra la sua lattina di succo d’ananas alla quale avrà dato appena un paio di sorsi in totale.
“Ken! Ma ci sei anche tu!” Si illumina Daisuke, e si allontana da Taichi e Sora come se avesse le ali ai piedi. “Che cavolo, potevi avvertirmi che saresti venuto!”
Gli sferra una pacca poderosa sulla spalla, e Ichijouji si affanna a mettere in salvo la lattina per non far versare il contenuto.
“Come potevo avvisarti? L’ho deciso appena ieri”, si giustifica.
“Potevi mandarmi un messaggio! La mia e-mail ce l’hai, no?”
“Sì, beh, grazie tante per aver considerato anche noi, Daisuke”, brontola Miyako gonfiando le guance, indispettita, e si avvicina a Taichi e Sora per salutarli. “Sei il solito maleducato. Sora-san, ma che hai fatto alla faccia? Hai gli occhi lucidi!”
Sora sembra arrossire un po’, e rapida si passa le mani sugli occhi per cancellare ogni traccia di lacrime. Se si truccasse, ora i suoi occhi sarebbero in modalità panda.
Taichi, accanto a lei, ghigna come se avesse scoperto la cosa più bella del mondo. “Qualcuno qui è più sensibile di quel che vorrebbe ammettere”, stuzzica la sua ragazza, e si becca in risposta un’occhiataccia.
Miyako guarda l’uno e l’altra senza capirci niente, cercando di non essere urtata dalle persone che stanno uscendo dal palazzetto dello sport chiacchierando entusiasti del concerto al quale hanno appena assistito.
“Sora si è commossa sentendo Yamato cantare!” Dice Taichi a tutta velocità prima di poter essere fermato. Il risultato è una bella gomitata su un fianco, per cui forse la sua non è stata una grande idea.
“Taichi!” Lo riprende Sora imbarazzatissima, e il suo ragazzo ride a crepapelle. “Non starlo a sentire, Miyako-chan. Non mi sono davvero commossa, è- lascia perdere.”
“Tanto non hai modo di negarlo”, gongola Taichi, e di fronte alla sua espressione corrucciata la avvicina a sé e le posa un bacio sulla tempia.
“Wow.” Miyako sbatte le palpebre, meravigliata. “E chi lo sapeva che Yamato potesse avere un effetto simile? Certo che i concerti rendono le persone proprio strambe.”
“Ti sei accaparrato la ragazza più carina di tutte, Ken!” Si lamenta all’improvviso Daisuke, come se solo in quel momento si fosse accorto del fatto che il suo grande amico abbia portato una ragazza con sé. “E ora io come faccio?”
“Il mondo è pieno di ragazze carine, Daisuke”, replica Ichijouji un po’ in imbarazzo.
“Sì, ma Hikari-chan è su tutto un altro livello! Aah, che invidia”, sospira sconsolato, e poi si volta verso Miyako con una smorfia. “Di libera c’è solo la strega occhialuta.”
Beh, questo è davvero troppo.
“Per tua informazione, la strega occhialuta è impegnata!” Strilla indignata Miyako, e afferra la mano di Koushiro sollevandola agli occhi di Daisuke. Il sospiro rassegnato di Koushiro è leggero da poter benissimo essere ignorato.
“Ma se l’hai detto anche tu che non state davvero insieme!” Replica prontamente Daisuke con l’espressione vittoriosa più irritante del secolo. “Più che altro ti sopporta, no?”
“Io e Koushiro-san abbiamo un appuntamento, idiota, non c’è nessuno che si limiti a sopportare l’altro!”
“Io lo compatisco, il poverino!”
Miyako lascia bruscamente la mano di Koushiro, e si avvicina a grandi passi a Daisuke, gli occhi fiammeggianti. “Anche se fossi libera, e ti ripeto che non lo sono, non uscirei con te neanche se fossi l’ultimo ragazzo disponibile del pianeta!”
“Ah sì? Meno male allora”, sbotta Daisuke in risposta, “Perché io non uscirei con te neanche se mi costringessero con una pistola alla tempia!”
“Testa di rapa!”
“Pazza furiosa!”
“Daisuke-kun e Miyako-san hanno un modo particolare di andare d’accordo”, spiega divertita Hikari a Ichijouji, che li guarda entrambi come se stesse assistendo a una rissa iniziata in modo inspiegabile. “Non preoccuparti, litigano spesso in questo modo.”
“Di solito chi la spunta?” Domanda Ichijouji a bassa voce. I due litiganti lo sentono in ogni caso.
“Io, ovviamente!” Dicono in coro voltandosi di scatto verso il ragazzo, e in perfetta sincronia si indicano col dito per sottolineare il concetto.
Ichijouji sembra non sapere che faccia fare.
Hikari scoppia a ridere, nascondendosi la bocca con la mano come se avesse paura di mostrare le gengive. “Quando fate così siete davvero uguali”, commenta.
“Ma che brutto insulto è, scusa?” Si lagna Miyako disperata. Hikari si limita a ridere più forte.
“Quello non è Takeru-san?” Osserva Koushiro, gli occhi fissi sul lato sinistro del palco. Immediatamente l’attenzione di tutti si sposta in quella direzione.
Miyako e gli altri si sono fermati poco lontano dal palco, il più distante possibile dalla folla che sciama verso l’uscita, per cui sono facilmente riconoscibili: Takeru, infatti, li vede subito. A braccetto con una ragazza minuta dai capelli castano chiaro, solleva il capo, si illumina, alza una mano per salutarli, e dopo aver detto qualcosa alla sua partner i due si affrettano nella loro direzione.
Miyako vede Hikari lasciare la mano di Ichijouji.
“Ottimo, siete tutti qui!” Li accoglie il ragazzo appena arrivato. “Mi risparmia tempo di cercarvi. Volevo farvi entrare nell’antro segreto dei KoD, lontano dai fan – categoricamente lontano dai fan, se no a mio fratello prende un colpo. Vi va?”
“Si è rintanato in camerino, eh? Si dà tante arie ma è un timidone”, ghigna Taichi, e batte una mano sul braccio di Takeru a mo’ di saluto.
“Lui lo chiama recuperare le forze e reidratarsi, ma ... sì, in pratica è una fuga.” Takeru ride, e si volta verso Hikari. La guarda appena negli occhi, poi si china, rapido, e le posa un bacio sulla guancia.
Miyako, incredula, lo fissa a bocca spalancata.
“Come stai, Hikari-chan?” Lo sente chiederle, un sorriso splendido sulle labbra, e per niente in colpa per aver baciato una persona impegnata davanti al suo attuale ragazzo.
Il sorriso in risposta di Hikari ha una strana piega all’angolo della bocca.
“Sono un po’ confusa”, risponde sibillina, “dal fatto che tu abbia lasciato la tua ragazza in disparte, Takeru-kun. Non sei gentile.”
Takeru trasecola appena a quell’ondata di gelo improvvisa. Il suo sorriso si incrina, la fronte si aggrotta, ma poi sbatte le palpebre e torna il ragazzo sorridente che ha sempre un asso nella manica.
“Lasciavo il meglio per ultimo”, dichiara gioviale.
A guardarli si sente a disagio, si accorge Miyako all’improvviso: si sente a disagio e non è mai successo, non così almeno. Non che lei non abbia mai avuto problemi con loro, naturalmente, non dopo il loro mancato comportamento da anime gemelle, che è sempre stato capace di mandarla ai matti ... ma non c’è mai stata questa strana tensione tra loro, come se si stessero reciprocamente sfidando a parlare per primi del Problema.
Qualunque sia, di preciso, il suddetto Problema.
“Vi presento Mina-chan”, dichiara Takeru, con un ampio gesto verso di lei. “La mia graziosa accompagnatrice.”
Mina ha l’espressione un po’ confusa di chi non sa bene quale sia il proprio ruolo in una recita, e guarda Takeru sperando che la aiuti a capire; Takeru, anche indicandola, non le getta che un’occhiata rapida. Miyako sente improvvisamente uno slancio di solidarietà verso di lei, e pensa che arriverebbe persino ad abbracciarla in questo momento.
“Ti conviene stare attenta a Takeru-kun, Mina-chan”, ribatte con una serenità artificiale Hikari. “Non sai mai cosa potrebbe combinare.”
“Hikari-chan, sei cattiva”, si lamenta Takeru con un sorriso forzato.
E, strano a dirsi, per una volta Takeru ha ragione: Hikari è cattiva, per quanto lo può essere lei. Non è mai stata così tagliente con Takeru, neanche quando lo ha visto fare il galletto con le sue compagne di classe, neanche quando lo ha sentito lamentarsi della ragazza pazzamente innamorata di lui che lo seguiva per i corridoi ovunque andasse e gli lasciava lettere d'amore nell'armadietto ogni giorno.
Miyako si rende conto, per la prima volta, che a Hikari Takeru non è affatto indifferente come vuole far credere, come lei stessa aveva creduto – come aveva, in tutta probabilità, creduto anche Takeru, che a stento sembra sapere che pesci pigliare con lei in questo momento.
Bisognerebbe chiedersi se Hikari lo sa, che Takeru non le è indifferente. Ma perché non si capisce mai nulla di quello che succede nella sua testa?
"Stupide anime gemelle che non vogliono saperne di stare insieme", borbotta, battendosi una mano sulla fronte.
Pensava di aver parlato piano, invece Ichijouji la sente, si volta verso di lei, la sorpresa negli occhi.
Miyako ha improvvisamente voglia di morire.
"Ma no, ma no, niente!" Esclama a voce alta, e ride nervosamente, gesticolando a più non posso. "Scherzavo! Ogni tanto mi viene voglia di dire cose stupide a caso, ecco tutto. A te capita mai?"
Ichijouji non risponde, mentre un pensiero sembra passargli davanti agli occhi: aggrotta le sopracciglia, distratto, e torna a guardare Hikari.
Miyako è convinta di aver combinato un guaio di proporzioni cosmiche. Cosa c'è di più bello di rivelare al ragazzo di Hikari che quello che in questo momento lei ha di fronte è il suo legittimo compagno di vita? Cos'è, ha pensato che mancasse una rissa a questa serata assurda?
A dispetto di tutto, Ichijouji non sembra arrabbiato, ferito, e neanche preoccupato: sembra solo un po' sorpreso.
E questa, probabilmente, è la cosa più assurda di tutte.
L'esclamazione ad alta voce di Miyako sembra aver rotto il clima di tensione tra i suoi amici: Takeru si volta, posa gli occhi su Ichijouji, si fa serio per una frazione di secondo. Per un attimo Miyako suda freddo, ricordandosi le cose che lei gli ha confidato prima sulla scala antiincendio: vorrebbe potergli dire che è meglio non ricominciare a litigare, che davvero, perché rovinarsi la serata? Ma Takeru non sembra intenzionato a litigare con Ichijouji.
"Ichijouji Ken, vero? Sono Takaishi Takeru", gli sorride, e gli tende la mano.
E lo sta osservando, è vero, lo sta quasi studiando, ma il suo sorriso è cortese, per cui forse non morirà nessuno questa sera. Miyako tira un sospiro di sollievo, mentre Ichijouji stringe la sua mano e sembra farsi, per qualche motivo, più piccolo.
"Non gli avrei neanche rivolto la parola se non ti avessi visto parlarci prima", si spiega più tardi Takeru a bassa voce, tirando Miyako da parte mentre il gruppetto strampalato e tutto sommato male assortito si avvia verso il camerino dove si nascondono i membri dei KoD. "Ho pensato fosse tutto a posto tra voi. E' così, vero?"
Takeru getta occhiate distratte a Hikari, che chiacchiera amabilmente con Mina mentre cammina loro davanti, la mano distesa sul fianco che non stringe più quella del suo ragazzo, silenzioso accanto a lei. Hikari non lo guarda, ma Ichijouji guarda lei, un’espressione preoccupata e triste che è fuori luogo per qualche motivo che Miyako non riesce a identificare.
Sì, probabilmente tra Miyako e Ichijouji sarà anche tutto a posto. Sono gli altri che non sono a posto, proprio per niente.
Dal camerino sbuca fuori il viso sudato e diffidente di Yamato, che si guarda intorno alla ricerca di fan impazzite e sembra rasserenato a trovare solo le risate fragorose di Taichi che lo prende in giro, che lo tira fuori a forza dal camerino e gli stringe la spalla con calore. Yamato fa resistenza, gli risponde burbero, cerca di nascondere quanto gli faccia piacere rivederlo, si districa a fatica dalla sua presa per sorridere a Koushiro, scompigliare i capelli a Takeru, sollevare un pollice in direzione di Miyako. Poi il suo sguardo curioso si posa su Sora.
“Erano secoli che volevo farvi conoscere!” Esclama Taichi con un sorriso entusiasta, e mette una mano dietro la schiena della sua ragazza. “Sora, questo impiastro è Yamato. Abbaia ma non morde, te lo assicuro!”
“La vostra musica è meravigliosa”, gli sorride Sora, gli occhi brillanti e ancora un po’ lucidi.
Il complimento sembra avere un effetto buffo sul viso di Yamato: il frontman dei KoD si ritrae di un mezzo passo, gli occhi sbarrati.
“Da quanto tempo suonate? Taichi dice che prima ti esibivi con un altro gruppo”, continua Sora, e con lo sguardo cerca conferma sul volto del suo ragazzo. “O era semplicemente un altro nome? Teenage ... qualcosa, mi par-”
“Non voglio parlarti”, sussurra Yamato, e Sora si zittisce.
“Eeh?” Esclama Miyako scandalizzata. “Ma ti pare una cosa da dire, scusa? Perché sei così-”
Una mano sul braccio la ferma: si volta, e incontra il viso pallido di Takeru. Lo vede scuotere la testa, lento ... spaventato.
Miyako non riesce a capire. Chiude la bocca, si guarda intorno, alla ricerca di qualcuno che le spieghi, qualcuno che sappia qualcosa ...
E’ allora che si accorge dell’espressione di orrore e di rifiuto sul viso di Yamato, dei suoi occhi azzurri che non lasciano il viso di Sora ... che non osano guardare Taichi.
E Hikari porta le mani alla bocca, il viso di bambola contratto in una smorfia ...
Yamato fugge. Si volta di scatto, fa un passo, poi l’altro, poi inizia a correre e non si guarda mai indietro.
Gli altri restano pietrificati. Solo Ichijouji resta a fissare il punto in cui il ragazzo è scappato, come se stesse interrogando quel vuoto.
Miyako sussulta, il petto che le si stringe di colpo. “Mi state prendendo in giro …” Sussurra.
Ma l’espressione distrutta di Sora, immobile a fissare il vuoto mentre inconsciamente nasconde contro l’altra gamba il ginocchio maledetto su cui sono incise le Parole che hanno appena cambiato la sua vita, è una risposta sufficiente.
La mano di Taichi, rimasta come sospesa sulla schiena di Sora, ricade lungo il suo fianco.
 
***
 
Mantarou si ferma davanti al divano, una merendina in una mano e il telecomando nell’altra.
“Ma che fai?” Le dice.
“Medito”, risponde Miyako.
Mantarou fa una Faccia, una di quelle che vogliono dire mia sorella è stupida.
“Sdraiata sul divano.” Dice, scettico.
“Mh-mh.”
“Col cellulare sollevato in aria davanti a te.”
“Certo, dove mai potrei tenerlo, sui piedi?”
“Senza fare niente, che ne so, scrivere messaggi o chiamare qualcuno.”
“Beh…”
Mantarou sbircia lo schermo del telefono, e la sua Faccia si accentua ancora di più. “Con tre mail non lette! Aspetti che si aprano da sole?”
“Ma che dici.” Miyako lo guarda senza muoversi. “Ho letto il mittente. So di chi sono e di cosa potrebbero parlare.”
Mantarou la guarda, guarda la tv spenta, guarda il posto dove aveva pensato di sedersi e dove invece ci sono i piedi di sua sorella minore. Fa per dare un morso alla merendina, scuote la testa, ci ripensa.
“Magari sai anche come rispondere, se ti decidi ad aprirle”, le dice sbuffando. Poi posa sconfitto il telecomando sul tavolino, addenta la merendina e se ne va in camera sua a passi pesanti.
Miyako resta a guardarlo andarsene, e improvvisamente vorrebbe rincorrerlo. Almeno non sarebbe lì a fissare stupidamente un telefono che le ricorda silenziosamente la sua confusione totale.
Invece resta sul divano.
Abbassa le braccia, cominciando ad avvertire i crampi per averle tenute sollevate tanto a lungo, e si mette seduta.
Aprirle, già. La fa facile lui. Se fosse facile le avrebbe lette subito appena arrivate, come fa sempre, impaziente di avere notizie dai suoi amici o di parlare di qualcosa.
Ecco. Tipo la mail di Mimi. In altri tempi sarebbe corsa a leggerla.
Soprattutto considerando che quando le aveva scritto, una settimana fa, proprio la sera del Fatidico Incontro, era stata così impaziente di scriverle che aveva fatto anche diversi errori di battitura, e per giorni aveva aspettato risposta.
Bene. Eccola lì, la sua risposta.
Tanto so già di che parla, si dice con un groppo in gola, e la apre.
 
Koushiro-kun è la tua anima gemella??
TU NON HAI IDEA DI QUANTO IO ABBIA RISO quando l’ho letto, Miyako-chan. Gli altri lo sanno? Devi assolutamente dirmi quello che hanno pensato!
Lo sai, sono molto offesa. Perché queste cose succedono quando sono in America??
Conosco una storia molto divertente su Koushiro-kun, a proposito. Ti ho mai raccontato del campo estivo? Quello di quando ci siamo conosciuti tutti quanti, alle elementari. C’è stato un giorno in cui è saltata la corrente elettrica, e quindi tutto il campo era al buio. Non ricordo che fine avessero fatto gli altri, ma io ero da sola con Koushiro-kun, ed ero SPAVENTATA A MORTE. Eravamo in mezzo alle montagne, era notte, avevo solo nove anni, puoi immaginare la sensazione? Ho cominciato a piangere ovviamente, e ho cercato conforto in Koushiro-kun. Lui niente: mi ha piantato in asso, lì piangente e sconvolta, sostenendo che poteva dare una mano agli adulti a ripristinare la luce. Che razza di insensibile!
E alla fine di tutto non riusciva neanche a capire perché fossi così indignata!
Capisci adesso perché questa storia della tua anima gemella mi fa ridere? Non è un gran cavaliere!!
Scherzi a parte, Miyako-chan. Per quanto Koushiro-kun sia un villano con le donne, non lo fa per cattiveria: semplicemente glielo devi spiegare, come ci si comporta da gentiluomo. Però è una bella persona, e credo proprio che ti renderà felice. Ovviamente, no? E’ la tua anima gemella! Come me e Michael. Anche se lui con le donne è molto più bravo (ops scusa, non volevo infierire!!)
Quando torno a Tokyo DOBBIAMO organizzare un’uscita tra anime gemelle! Io porto Michael, tu Koushiro-kun … e … ma sì, facciamo uno strappo alla regola! E’ un secolo che non vedo Sora-san. Può (DEVE!) venire anche lei con Taichi-san, così ci divertiamo e ci raccontiamo un sacco di cose!
Baci baci, Mimi!
 
La gioia prorompente di Mimi è così incongrua col suo umore da provocarle un tuffo allo stomaco.
Sora e Taichi, certo.
Come se non fosse appena esplosa una bomba nucleare tra loro.
Non voglio parlarti.
E’ tutto sbagliato, pensa, nascondendosi il viso contro le ginocchia piegate. Lo sapeva che prima o poi tra Taichi e Sora sarebbero comparse almeno un paio di persone con la giusta pretesa di trovare la propria metà della mela. Lo sapeva, supponeva lo sapessero bene anche loro, che l’avessero accettato.
Ma proprio adesso? Proprio così?
Proprio Yamato?
Miyako ripensa alla fuga di Yamato, al silenzio di Taichi, all’angoscia di Sora. Ripensa al clima pesante con cui si sono tutti congedati in fretta e furia due sere prima, lasciando la coppia a gestire l’ingestibile, chissà come, chissà per quanto tempo.
Non doveva andare così. Non ha mai pensato che sarebbe andata così.
Pensava che il destino sarebbe stato clemente abbastanza, sensato abbastanza da lasciare loro quella complicità e quella pace idilliaca finché fosse durata – perché avrebbe avuto una fine in modo naturale, no? Alla lunga la storia si sarebbe deteriorata e ci sarebbe stato posto per l’anima gemella.
Non doveva essere così?
Perché non è andata così?
Dovrebbe rispondere a Mimi, ma la verità è che non sa proprio cosa. Mimi-neechan, è successa una cosuccia, sai. Non esistono più Sora-san e Taichi-san, ma ehi! Yamato-san a quanto pare è l’anima gemella di Sora-san, nonostante sia tanto amico di Taichi-san! Tu come stai?
Grandioso. Le farebbe venire una sincope. Probabilmente se la ritroverebbero a Tokyo nel giro di ventiquattr’ore, e non a torto.
No, non ha voglia di rispondere. Si sente confusa. Si sente anche un po’ presa in giro dal destino, a dirla tutta.
Mai una volta che le cose siano facili, eh? Grazie tante. Prima o poi farò i conti con te.
La seconda mail è, senza farlo apposta, proprio della sua anima gemella, Koushiro. Il messaggio è molto breve, conciso, eppure curiosamente esitante.
 
Mi chiedevo se fosse tutto a posto.
 
Ma certo che se lo chiede.
Miyako gli ha scritto un sacco di volte durante questa settimana “di prova”, ha cercato di farsi conoscere, di sapere qualcosa di più su di lui. E adesso sono due giorni che non si fa sentire: al poverino sarà parso stranissimo.
Il punto è … non aveva affatto voglia di scrivergli.
Non dopo il concerto. Non dopo Yamato.
La cosa assurda è che non sa neanche bene il perché. Dovrebbe voler cercare conforto nella sua anima gemella, e invece no. Non ha neanche pensato a scrivergli prima che lo facesse lui.
Forse ha paura, dopotutto.
Ma paura di cosa?
Ah, certo, ovviamente. La settimana di prova è scaduta, e ha paura che Koushiro possa mettere fine alla loro “storia” non ancora iniziata. Dev’essere così. Ma non è sciocco aver paura? Se sono anime gemelle tutto andrà bene, le cose si metteranno a posto naturalmente…
… come con Yamato e Sora?
Miyako scuote la testa, scaccia via ogni pensiero – non vuole, non può, non riesce. Chiude la mail e tira un respiro profondo.
Stupido Mantarou. Non è affatto vero che aprire le mail ti porta a sapere come rispondere. Eccola lì, ancora smarrita, ancora fragile, ancora con un peso sul petto che non riesce a sciogliere e non sa neanche perché.
Sta per mettere via il telefono per andare a fare un po’ di compiti, quando all’improvviso ricorda la terza mail che aspetta solo di essere letta.
E’ di Daisuke, e sembra così innocua e spontanea che la apre rapidamente, quasi senza pensarci.
 
Appuntamento a casa mia dopo scuola domani! Merenda insieme e playstation?
 
Che belli i messaggi in cui sai già come rispondere.
 
Spero che tu abbia un sacco di dolci di accompagnamento! Risponde, e invia.
E tutto sembra, solo per un attimo, semplice.
 
***
 
“Mi dispiace. Deve essere stato un concerto orribile allora.”
Iori è straordinario: è l’unico di loro a star studiando in una situazione goliardica come quella, eppure riesce a tenersi aggiornato su quello che succede nella stanza e sui racconti dei loro amici, concedendosi giusto ogni tanto di concentrarsi solamente sui suoi esercizi di inglese per poi scusarsi educatamente e riprendere il filo del discorso. Sono abilità che ha affinato nel tempo: da bambino era molto più severo con se stesso e coscienzioso, e nient’affatto sorprendentemente aveva molti meno amici.
Miyako per lui c’è sempre stata, ovviamente, ma non può che essere felice della sua crescita, soprattutto perché sa che Iori stesso è più sereno e rilassato.
“Ma no che non è stato orribile”, interviene vivacemente Miyako, rubando qualche salatino dalla ciotola messa a disposizione dalla signora Motomiya. “Se solo non ci fosse stato quel post concerto ai camerini, sarebbe stata una giornata indimenticabile …”
“Però c’è stato, quel post concerto”, commenta a bassa voce Takeru, senza voltarsi mentre batte senza pietà Daisuke alla play. “E sono sicuro che mio fratello avrebbe tanto voluto dimenticare la giornata.”
Il suo tono è così pesante da zittire tutti, Daisuke-lo-sconfitto compreso.
“Di mio fratello allora è meglio non parlare”, ribatte Hikari con un sorriso che sembra spegnerla. Ha gli occhi fissi sulle sue mani intrecciate, e quasi non ha guardato nessuno dall’inizio della giornata. Miyako prova dolore fisico solo a guardarla. Non osa immaginare cosa stia vivendo in questo momento … o cosa sappia di Taichi, del suo stato d’animo.
Non è neanche sicura di voler chiedere.
Ichijouji è seduto al suo fianco, e ogni tanto le lancia fugaci occhiate che sembrano tristi, ma non apre bocca. E’ comunque un gran cambiamento rispetto all’inizio del pomeriggio: quando è entrato in casa sembrava volersi sotterrare, testa bassa e inchini profondi, e scusarsi di respirare. Ora che l’argomento è cambiato e l’attenzione non è più concentrata su quanto sia bizzarro averlo in mezzo a loro oggi, sembra paradossalmente più a suo agio.
A volte la vita è proprio buffa, se ci si può rilassare quando una coppia rischia di scoppiare in modo così drammatico. A quanto pare con Ichijouji Ken le cose non sono mai prevedibili.
Takeru si gira, forse un po’ troppo bruscamente, e lascia il controller sul pavimento. “Come sta Taichi-san?” Chiede a Hikari, osando porre la domanda che nessuno riusciva a pronunciare.
“E come vuoi che stia?” Replica Hikari, sollevando il capo e guardando l’amico negli occhi. “Ha appena sentito il mondo crollargli addosso, per mano di Yamato-san poi.”
“Quando parli così sembra che tu voglia incolpare Yamato”, scatta Takeru incupendosi.
“Non ho detto niente del genere”, risponde Hikari quasi immobile.
“Eppure mi guardi come se lo credessi.”
Miyako coglie l’espressione disorientata di Daisuke, e sa che neanche lui aveva colto nessuna espressione simile, nell’espressione criptica di Hikari.
“Guarda che Yamato non voleva niente del genere. Gli è successo! Com’è successo anche a Taichi-san e Sora-san”, continua Takeru, al silenzio della sua interlocutrice. “Mio fratello ci tiene al tuo. Non puoi non saperlo!”
“Ehi, ehi, ma che vi prende? Calmatevi!” Si intromette Miyako, sgomenta dallo spettacolo. In realtà è la prima volta che vede Takeru e Hikari litigare: non credeva neanche ne fossero capaci. “Insomma, mi pare sia chiaro a tutti come sono andate le cose, no? E’ una grande ingiustizia, ma non è colpa di nessuno!”
“Ma tu non eri fanatica delle anime gemelle, scusa? Non dovresti star difendendo Yamato in questo momento?” Commenta Daisuke scettico, un bicchiere di succo di frutta in mano.
Hikari abbassa lo sguardo, come se si sentisse tradita.
“Ma che c’entra, scusa! Le anime gemelle sono una cosa seria, e non c’è da essere fanatici per riconoscere quanto siano importanti nella nostra esistenza, ma non riesco a credere che tra Taichi-san e Sora-san possa finire così di colpo quando stava andando tutto così bene!”
Ha il tempo di finire la frase, per fortuna, prima che il groppo in gola le strozzi la voce. Miyako è sorpresa, in realtà, dall’intensità con la quale sta vivendo la cosa: credeva di essere tranquilla col pensiero che il destino sappia mettere a posto le cose, che Taichi e Sora, per quanto carini insieme, non fossero giusti l’uno per l’altra, ma si rende conto solo ora che il pensiero le fa male.
Riesce ancora a vederli, Taichi e Sora, seduti su un divano dopo una discussione, a guardarsi sorridendo senza curarsi del resto, e quel pensiero le è insopportabile.
Non è giusto.
“Non è detto che tra loro debba finire per forza”, dice Hikari, quasi inudibile. Si sta di nuovo fissando le dita in grembo. “Non è detto che a loro importi delle anime gemelle. Tanta gente vive facendo a meno di trovare la propria …”
Miyako apre la bocca, la richiude. C’è solo un pensiero che le passa per la mente, ed è perentorio: Non funziona così. Ma non osa dirlo, non questa volta.
“Io dico che dovremmo lasciare a loro la gestione della cosa”, commenta Iori, sollevando lo sguardo dal suo quaderno. “Lo so, qui siamo tutti amici delle parti coinvolte, e addirittura Takeru-san e Hikari-san sono fratelli di Taichi-san e Yamato-san. Dispiace a tutti, credo, ma proprio per questo non dovremmo litigare tra noi. Nessuno di noi sa cosa sia giusto e cosa sbagliato.”
Takeru si passa una mano tra i capelli, e abbassa il capo con un sospiro. “Mi dispiace di aver alzato la voce, Hikari-chan”, dice senza guardarla. “Sono solo … arrabbiato.”
“Lo sono anche io”, sussurra lei di rimando. “Dispiace anche a me.”
Cala un silenzio pesante, e Miyako ha la sensazione sconcertante che non sia tutto a posto, tra loro. Non sembrano irritati, non più almeno, ma sembrano … distanti. Come se ci fosse una voragine tra loro, che non sanno come aggirare.
Che vorrebbero aggirare, con tutto il cuore, senza poterlo fare.
Daisuke si lascia cadere su una sedia girevole, con uno sbuffo sofferto. “Chissà com’è andata a finire tra loro”, esclama. “Cioè, come si parla di una cosa così? Che dici?”
“Non credo che ci riguardi, Daisuke-san”, risponde deciso Iori, tornando al suo inglese.
“Ma è assurdo! Solo a pensarci mi esplode il cervello.”
“Come se tu avessi un cervello”, ribatte Miyako inarcando le sopracciglia.
Daisuke le fa una smorfia.
“Ma poi … non avrebbe dovuto fermarsi a parlare con loro anche Yamato?” Si chiede poi, scartando una merendina. “Perché cavolo è scappato in quel modo?”
“Ve l’ho detto. Mio fratello non voleva affatto che fosse Sora-san, la sua anima gemella.” Takeru sembra stanco. “E’ scappato perché non sapeva come fare. Non l’ha cercata lui. Non la conosceva neanche prima del concerto … non voleva che Sora-san si accorgesse che era lui.”
“Eppure ha parlato”, interviene a sorpresa Ichijouji.
Tutti, tranne Hikari, si voltano di scatto verso di lui; Ichijouji arrossisce di colpo.
“Scusate”, sembra ritirarsi, “era solo … non importa.”
“Cosa?” Incalza Daisuke, il tono entusiasta perché finalmente il suo amico ha trovato il coraggio di far sentire la sua voce.
“Ma no”, si schermisce, “era solo un pensiero come un altro. Una sciocchezza, credo.”
“Ken, dai, non fare il timido! Sputa il rospo.”
Ichijouji inspira profondamente, espira, stringe i pugni e sembra farsi forza. Le guance, però gli rimangono rosse.
“Pensavo … L’unico modo che abbiamo per farci riconoscere dalla nostra anima gemella è quello di parlare”, inizia, guardando a tratti tutti ma senza fermarsi su nessuno. “Giusto? Qualunque cosa diciamo, pur sciocca o banale, sarà scritta sulla pelle dell’altro senza che possiamo farci nulla. Non scegliamo noi cosa dire, come dirlo, eppure sulla pelle la nostra anima gemella porterà esattamente la prima cosa che ci viene in mente di dire di fronte a lei. Non c’è nulla di pianificato, non abbiamo libero arbitrio, però … una cosa possiamo controllarla. Solo una.
“Possiamo decidere di non parlare. Di non farci riconoscere, insomma.”
Miyako rimane di sasso.
“Cosa vorresti dire, scusa?” Interviene Takeru, le sopracciglia corrugate.
“Nulla, pensavo soltanto che … Ishida-san ha deciso di parlare comunque. Dev’essere stata sicuramente una reazione inconscia”, aggiunge in fretta, osservando l’espressione di Takeru. “Non voglio mettere in dubbio la sua buona fede. Però … avrebbe potuto scappare e basta, eppure non lo ha fatto. Una parte di sé, almeno, ha voluto farsi riconoscere da Takenouchi-san. Mi ha fatto pensare …”
Ichijouji tace, abbassa lo sguardo, sembra distante.
Miyako ripensa di colpo all’espressione del ragazzo alla fuga di Yamato, a quegli occhi che sembravano inseguire pensieri irraggiungibili, e si rende conto che è la stessa espressione che sta esibendo ora.
Nella stanza cala un silenzio tombale, interrotto dal lieve jingle del videogioco in standby.
“Non è una colpa desiderare di trovare la propria anima gemella.” Takeru si alza in piedi, si avvia a passi lunghi verso la porta, la apre. “Vado in bagno, scusate.”
La porta si richiude dietro di lui con un tonfo.
“Wow”, commenta Daisuke. “Siamo tutti nervosi oggi.”
“Mi dispiace.” Ichijouji sembra di nuovo contrito. “Ho esagerato, forse. Non intendevo offendere nessuno.”
“Eh? Ma scherzi, ti pare. Takeru non è offeso, è solo preoccupato per il fratello!”
“Takeru-kun vuole molto bene a Yamato-san”, interviene dolcemente Hikari, e gli fa un sorriso. “Dev’essere dura per lui.”
Yagami Hikari non direbbe mai come lo è per me. Non si sentirebbe mai in diritto di soffrire, non lei: c’è sempre qualcun altro ad avere più diritto di lei. Se si parla dei suoi cari, poi, a maggior ragione.
“Sentite, ma non possiamo cambiare argomento?” Interviene Daisuke, il controller in mano. “Dai! Ken, vieni tu a sfidarmi! Almeno ci divertiamo un po’!”
“Va bene.” Ichijouji stringe per un attimo la mano di Hikari, si alza e poi si dirige verso il televisore. Ha il tempo di inginocchiarsi, prendere il controller di Takeru e rispondere a Daisuke su qualcosa riguardo le impostazioni del gioco, prima di accorgersi che Miyako lo sta fissando.
Lui la guarda, arrossisce, distoglie lo sguardo, teso come una corda di violino.
Chissà come, riesce a non guardarla più per tutto il pomeriggio.
 
***
 
“Ichijouji-kun!”
Non è che Miyako sia una frana nella corsa: se la cava abbastanza bene, a dirla tutta, e i suoi insegnanti di educazione fisica non hanno mai avuto niente da ridire a riguardo.
Il problema è che lui corre un sacco anche solo camminando. Accidenti all’Astro Nascente del Calcio, ecco.
“Sono io, sono io!” Riesce ad articolare, con il fiatone. Ma giusto poco, eh. “Inoue Miyako! Non spaventarti, nessun malintenzionato ti sta seguendo sulla strada di casa!”
Ride, sventolandosi con una mano e cercando di sembrare il più naturale possibile. “Anche perché uno sconosciuto non potrebbe conoscere il tuo nome, no? Ah no, aspetta. Sei comunque Ichijouji Ken. La gente ti riconosce ancora per strada?”
Ichijouji ha l’espressione guardinga di un animale messo spalle al muro, perciò Miyako si rende conto della gaffe e sussulta, le guance in fiamme.
“Lascia perdere! Come se non avessi parlato.” Si schiarisce la gola, e lo guarda. “Scusa se ti ho seguito. Lo so, ci siamo salutati tutti sulla soglia di casa di Daisuke, è tardi, i nostri genitori ci aspettano per cena e così via. Tu poi devi anche andare a Tamachi, quindi devi sbrigarti. Figurati se non lo so! Mi chiedevo solo se potessi accompagnarti per un pochino di strada. Solo un pochino.”
Gli sorride, speranzosa, ma Ichijouji rimane immobile, gli occhi sgranati e il disorientamento sul viso.
“E’ che volevo parlare con te di una cosa”, confessa alla fine. “Ti ricordi il discorso che abbiamo fatto sulle anime gemelle? Tu hai detto una cosa che mi ha sorpreso un sacco, e volevo che mi spiegassi bene come la pensi.”
Sul viso di Ichijouji passa rapidamente un lampo di comprensione, poi rifugge il suo sguardo. Sembra preoccupato.
Miyako lo fissa, interdetta. “… ok …? Allora va bene se ti dico cosa mi ha sorpreso?”
Ichijouji la guarda, torna a guardarsi i piedi, timidamente annuisce.
Beh, è già qualcosa. Con rinnovata forza, Miyako riprende a parlare, e già che c’è cammina verso la stazione metropolitana di interesse di Ichijouji, dato che lui sembra aver scordato come si metta un piede davanti all’altro.
Il ragazzo non sembra gestire bene lo stress, pensa tra sé e sé.
“Correggimi se sbaglio. Tu hai detto in pratica che alcune persone potrebbero non volersi mai far riconoscere dall’anima gemella. E il fatto è che … beh, non lo capisco”, esclama, lanciandogli un’occhiata penetrante. “Non siamo tutti alla ricerca di un’anima gemella? Non dovrebbe essere bello trovare qualcuno a cui appartenere? Cioè, so che ci sono persone che odiano questo concetto, che preferirebbero avere libero arbitrio eccetera eccetera, ma non conosco nessuno di loro direttamente, per cui non capisco perché dovrebbero voler fuggire. Mi spieghi il tuo punto di vista? Ci ho pensato tutto il pomeriggio, ma niente, nessuna soluzione!”
Ichijouji la guarda, dolente, e tace.
Miyako si ferma, sbatte le palpebre, aspetta che si fermi anche lui. “Ehm, tutto bene? Ti ho chiesto qualcosa di strano? Guarda che sei stato tu a parlare così prima, non mi sono inventata niente … oppure ho totalmente travisato il discorso?”
Niente, silenzio tombale.
Miyako inizia a innervosirsi. Si sente tremendamente a disagio a condurre questo strano monologo.
“Ichijouji-kun … Ken-kun.” Decide di colpo, e lui solleva lo sguardo. “Posso chiamarti così, vero? Anche tu puoi chiamarmi per nome, non mi offendo mica – anzi, mi offenderei se mi chiamassi per cognome, fa molto vecchia signora.” Agita una mano per allontanare il pensiero agghiacciante. “Ken-kun, io non ho nessun problema con te. Lo sai, vero? Voglio ricominciare daccapo con te, voglio diventarti amica. Se fai il pesce rosso perché hai paura di me ti assicuro, sono innocua! Sono solo curiosa: voglio sapere come la pensi.”
Ichijouji sembra esitare.
Incoraggiata, Miyako incalza. “Certo, se poi sei tu ad avercela con me dimmi! Tutta orecchie.”
Lo vede scuotere la testa, esitare ancora, per poi abbassare la testa sconfitto.
La pazienza comincia drammaticamente a esaurirsi.
“Insomma, vuoi dirmi qualcosa?” Lo prega. “Qualunque cosa. Perché con Daisuke e Hikari-chan parli, e con me non spiccichi parola?”
Il silenzio pesa come mille macigni.
E forse è una frana quella che le è appena caduta sul petto, perché si sente soffocare.
“Ah”, scatta, uno strano calore che le annebbia la testa, la vista, tutto. “Tu parli con tutti tranne che con me. Ora ho capito.”
Lui sembra di colpo angosciato, ma questa volta Miyako non lo lascia neanche tentare di parlare.
“Cos’è, mi trovi antipatica?” Alza la voce. “Non ti piace come parlo, cosa faccio? Ti do fastidio perché cerco di parlarti nonostante tutti i nostri trascorsi? Dimmelo allora! Qualunque cosa è meglio di questo silenzio assurdo! Hai idea di come mi senta in questo momento?”
Il viso di Ichijouji sembra accartocciarsi per la tristezza, eppure lui non cerca di parlare: se ne sta lì, immobile, muto, a guardarla perdere la testa.
Questa è la goccia che fa traboccare il vaso.
“Non stare lì a fissarmi! Perché stai sempre lì a fissarmi senza dire una parola? Lo fai da quando eravamo piccoli!” Strilla. “E ancora non capisco cosa ti passi per la testa! Perché non vuoi dirmi niente? Si può sapere che ti ho fatto stavolta?”
Ichijouji ha gli occhi più tristi del mondo.
Miyako ha gli occhi pieni di lacrime invece – per la rabbia, per l’umiliazione, per la vergogna -, così non ce la fa più: si gira e lo pianta lì, col suo stupido silenzio.
Lui non tenta di seguirla.
E questa, malgrado tutto, è la cosa peggiore.
 
***
 
A cena non mangia quasi nulla.
Sua madre la rimprovera, le dice che deve smetterla di mangiare “tutti quei dolcetti” fuori pasto, e Miyako si arrabbia, perché “che ne sai di quanti ne ho mangiato? Neanche c’eri!” Chizuru sogghigna e le dice che chiunque la conosca sa che potrebbe mangiare una torta intera senza farsi scrupoli, e i suoi fratelli ridono, e Miyako si alza indignata da tavola dicendo loro che la prossima volta mangerà due torte intere, e non ne porterà loro neanche un po’. Suo padre le intima di non alzarsi da tavola prima di aver finito la cena, ma Miyako non gli dà retta e va in camera sua, gridando che avrebbe studiato fino a tardi.
Non senza aver sbattuto platealmente la porta, ovviamente.
Prende i suoi libri di algebra, la sua penna, il suo quaderno e la sua calcolatrice, e si lascia cadere pesantemente sulla sedia di fronte alla scrivania.
Apre il quaderno, si sofferma distrattamente sulle pagine bianche, si ferma.
Non c’è niente di peggio di una persona che non vuole parlarti, pensa di colpo.
Litigare è molto meglio: in un certo senso Miyako è fan del litigio. Non che le piaccia, naturalmente, e ci sono litigi che tirano fuori il peggio di sé, tanto da farla star male, intensamente, e farla correre in lacrime dall’altro scusandosi ripetutamente. Eppure litigando le amicizie si rafforzano, dagli errori si impara, tramite un rimprovero si cresce, e discutendo ci si conosce.
Col silenzio, invece, sei impotente.
Il silenzio ti rifiuta, e quel che è peggio è che non puoi farci proprio nulla.
Ichijouji è un idiota.
E’ un idiota, perché dopo tutto quello che lei ha fatto per rimettere le cose a posto, per scusarsi, per tentare di conoscerlo, lui la tratta così, come se valesse meno di un soldino bucato.
Solo a ripensare all’orrendo monologo di quel pomeriggio si sente le guance bruciare di vergogna, e la pancia stringere in una morsa.
Nessuno merita un trattamento simile, decide.
E’ per questo che prende il cellulare, apre la casella e-mail e il contatto di Koushiro, e senza pensarci troppo digita in fretta pochi caratteri, ma sufficienti.
Hai qualcosa da fare in pausa pranzo domani?
E’ solo quando preme Invio che ritrova il sorriso.
Ecco qui una vittoria personale contro il Silenzio, pensa trionfante rimettendosi con la testa china sui libri.
E su quello scemo di Ichijouji.
 
***
 
E’ buffo a dirsi, ma Miyako ha scoperto l’indirizzo di casa di Koushiro prima di scoprire che frequentasse il suo stesso istituto scolastico.
L’istituto di Miyako è comprensiva di scuole medie inferiori e superiori: è per questo che Takeru e Hikari -che frequentano la terza media- e Iori -che frequenta la prima- si recano ogni mattina nello stesso posto. Da quel che sa anche Taichi, Sora e Yamato frequentano lo stesso istituto -sono al terzo anno di liceo-, ma non va spesso al piano di sopra per salutarli.
Che Koushiro frequentasse il secondo anno di liceo presso il suo istituto, invece, non sapeva proprio nulla.
E’ colpa di Yamato che non sa dare le informazioni in modo decente: quando Miyako lo aveva scoperto, alcuni giorni prima, e si era lamentata con lui, il ragazzo aveva sogghignato, ribattendo: “Tu mi hai chiesto solo dove abita, e io te l’ho detto”.
Con tutto quello che è successo tre giorni fa, comunque, non ha più molta voglia di avercela con Yamato. Pensare a lui la fa solo preoccupare.
In ogni caso, eccola lì, a correre per il cortile della scuola appena suonata la campanella che preannuncia la pausa pranzo, alla ricerca di una testa rossa che dovrebbe starla aspettando da qualche parte.
Koushiro è seduto su una panchina all’ombra, lontano dagli altri studenti, un cellulare in mano e un enorme ingombro poggiato sulle gambe. Quando la sente avvicinarsi in fretta solleva il capo e si raddrizza con un sorriso, e solo allora Miyako capisce cosa ci sia sulle gambe del ragazzo.
Un bento enorme.
“Ma io avevo preparato il pranzo per tutti e due!” Si lamenta delusissima, fermandosi di fronte a lui.
Koushiro arrossisce e sospira. “Mia madre pensa che io stia dimagrendo troppo”, dice con tono sconfitto.
Miyako fissa il bento.
“E quindi ha deciso di preparare il necessario per sfamare un reggimento”, conclude. “Accidenti. Tua madre ha appena distrutto un mio sogno da sempre!”
Detto questo si lascia cadere pesantemente sulla panchina, alla sinistra di Koushiro.
“Mi dispiace, Miyako-kun. Però non dovevi pensare anche al mio pranzo … se avessi saputo che ne avevi intenzione ti avrei dissuaso.”
“Tua madre non sa che condividere il bento è una cosa molto romantica?” Sbuffa Miyako.
Il silenzio imbarazzato di Koushiro non lascia presagire nulla di buono.
“… aspetta.” Miyako, di colpo insospettita, si volta a guardare il ragazzo in faccia, le sopracciglia aggrottate. “Tua madre non sa niente di me. Giusto?”
“Certo che no!” Si difende precipitosamente Koushiro, un po’ colpevole. “Lo sai che non siamo d’accordo sulla storia delle anime gemelle. Cosa avrei dovuto dirle?”
“Che hai trovato la tua e non intendi far nulla, ecco cosa!” Esclama Miyako con forza.
Koushiro apre la bocca, la richiude, scrolla le spalle con aria impotente.
“Questa è la tua interpretazione delle cose.”
E’ da tanto tempo che non toccano direttamente l’argomento –Miyako ha evitato per non spaventare Koushiro, Koushiro probabilmente ha fatto lo stesso per non litigare -  e sentire di nuovo quel rifiuto categorico è come ricevere un pugno nello stomaco.
Koushiro abbassa di colpo la testa, aprendo il bento e tirando fuori le bacchette, e Miyako ha l’impressione che lui stia cercando qualcosa da fare per non guardarla. “Lo sai che è così che la penso.”
“Koushiro-san, posso farti una domanda importante?”
Koushiro non si aspettava un cambio repentino di argomento simile, e solleva lo sguardo senza volerlo. “Certo.”
“Non vuoi provarci con me perché sei già innamorato di un’altra persona?” Gli chiede a bruciapelo.
In realtà è sorpresa di essere così seria e composta all’esterno: dentro il suo petto il cuore sembra senza controllo. Fare una domanda simile è l’ultima cosa che Miyako vorrebbe fare, ma qui non si tratta di volontà: si tratta di un obbligo. Lo deve a Koushiro, certo, ma anche a se stessa: sa benissimo che la prima cosa che se ne va, quando è agitata in quel modo, è il sonno la notte. E lei non può rischiare l’ennesima notte in bianco.
Meglio la verità nuda e cruda, per quanto faccia male.
Koushiro sembra completamente spiazzato. “Miyako-kun …” Tenta, ma poi esita e tace.
“Ti prego, rispondimi!” Lo supplica Miyako, il bento che ha portato da casa ancora chiuso sulle sue gambe. “Dopo quello che è successo a Taichi-san e Sora-san non capisco più niente. Pensavo di sapere come funziona questa storia delle anime gemelle, ma la verità è che più ci penso e più mi si ingarbuglia la testa. Quando mi hai detto che non volevi stare con me come fidanzato ero confusa, ma pensavo che fosse solo questione di tempo, che essere predestinati dalla nascita ci avrebbe garantito che tutto sarebbe andato per il meglio alla fine … e invece poi c’è stato il concerto … e mi sono resa conto di colpo che non è così facile, che ci possono essere delle situazioni sgradevoli, o dolorose, che impediscono la riunione delle anime gemelle … non è che anche tu hai qualcuno che ami nonostante non sia la tua anima gemella, come è successo a Taichi-san? Se fosse così mi sarebbe tutto più chiaro … sarebbe terribile per me, e credo anche per te, ma sarebbe più chiaro. E’ così, Koushiro-san?”
Il tempo che trascorre tra le sue parole e la replica di Koushiro è una tortura.
Infine, Koushiro sospira.
“No, Miyako-kun”, dice. “Non c’è nessun’altra persona. Non mi sono mai innamorato in vita mia.”
Miyako sbatte più volte le palpebre, cercando di capire perché non si senta sollevata come sperava.
“Neanche una volta?” Gli chiede. “Neanche una cotta minuscola?”
Koushiro fa un sorriso un po’ strano.
“L’amore non è mai stata una mia priorità.”
Beh. Ecco una risposta assurda.
“Ma che vuol dire, scusa?” Boccheggia Miyako. “Passi pure che non dai troppa importanza all’amore – non capisco, visto che per me l’amore è ciò che muove ogni cosa, ma a ognuno le proprie stranezze. Però parli come se fosse una cosa in tuo potere! Non puoi controllare l’amore.”
Koushiro non risponde, limitandosi ad addentare una crocchetta.
Miyako lo fissa incredula, e fa per continuare a difendere le sue idee sull’amore, ma all’improvviso un pensiero scioccante la fulmina, e la lascia a bocca aperta.
“Aspetta. E se invece …”
Koushiro torna a guardarla, masticando la crocchetta con aria interrogativa.
“Dimmi una cosa.” Miyako lo fissa, serissima. “Tu non sei innamorato di me.”
Koushiro sembra sospettoso di fronte alla sua perentorietà. “No. Mi dispiace.”
“E’ perché non ti piaccio?”
Il ragazzo sembra voler terminare la conversazione il prima possibile: si agita nervosamente sul posto, senza sapere dove fermare lo sguardo. “Al contrario, mi piaci come persona … sei intelligente, abbiamo interessi in comune, sei ferrata in informatica …”
“Quindi è solo che l’amore non è una priorità per te!” Conclude Miyako trionfante.
Questa volta Koushiro non sa proprio che pesci pigliare con lei.
“La cosa ti rende felice?”
“No no aspetta. In effetti no, non tanto.” Miyako ci pensa, la testa che frulla senza sosta. “Renderebbe le cose molto meno romantiche … non sono sicura funzioni così … però potrebbe essere la soluzione ai nostri problemi al momento!”
“Ma di che stai parlando?”
“Senti qua.” Miyako si aggiusta gli occhiali sul naso. “Io ti piaccio, ma non sei innamorato di me, pur essendo la tua anima gemella …”
“… cosa su cui non concordo-”
“… e guarda caso mi dici che l’amore non è una tua priorità. Mi viene da pensare … non è che con la tua razionalità stai bloccando la Ricerca, e il sentimento d’amore per la tua anima gemella?”
Koushiro trasecola. “Come?”
“Da tutti i libri che ho letto”, continua Miyako, mettendo da parte il bento e sporgendosi verso di lui, “ogni persona è destinata ad amare la sua anima gemella. Eppure tu non mi ami, e non vuoi avere a che fare con l’amore. E sei anche una persona molto razionale, quindi la tua razionalità potrebbe avere molto potere sui tuoi sentimenti! E se fosse che le tue convinzioni perentorie ti abbiano … non so … bloccato l’Area Anima Gemella? Come se avessi messo una specie di lucchetto all’area cerebrale che controlla l’amore, per cui ti stai impedendo di amare!”
Koushiro sembra un pesce fuor d’acqua. “Io non … non credo proprio funzioni così…”
“Beh, ma non lo sappiamo!” Esclama Miyako vivacemente. “Magari sei un caso raro, e non mi è mai capitato di leggere storie come le tue … ma tornerò in biblioteca! Se ci sono casi simili, magari è anche scritto come sbloccare quell’area nella tua testa …”
“Miyako-kun, credi davvero che il meccanismo delle anime gemelle sia qualcosa sotto il nostro controllo razionale?” Obietta Koushiro. “Qualcosa che possiamo accettare o rifiutare a nostro piacimento, al punto tale da bloccare persino i sentimenti verso l’altro?”
“E’ per questo che dico che si perderebbe gran parte dell’aspetto romantico”, si acciglia Miyako. “Però forse, se capissimo come …”
Si ferma di colpo, di nuovo.
Koushiro sembra preoccupato dal suo nuovo silenzio. “Che c’è adesso?”
“Aspetta un attimo”. Miyako sbianca. “Se scoprissimo che il sentimento si può bloccare … avremmo una soluzione anche per loro.”
“Loro chi?”
“Taichi-san e Sora-san.”
Koushiro tace.
“Cioè”, balbetta Miyako, “se Yamato-san e Sora-san potessero rifiutare questo sentimento … questo legame … potrebbero farlo allora. Potrebbero mantenere le cose come stanno …”
Koushiro sembra adombrato.
Miyako rimane immobile, sconcertata dalla portata della conclusione a cui è arrivata senza volerlo. E’ una cosa enorme.
“Koushiro-san … tu rinunceresti mai alla tua anima gemella per mantenere le cose come stanno?”
“Non sono la persona più indicata per rispondere”, risponde lui a bassa voce. “Ma vorrei che Sora-san ci pensasse bene. Lei e Taichi-san stanno insieme da una vita.”
“Io non penso sarebbe giusto rinunciare”, sussurra Miyako, colpevole.
Koushiro non risponde – probabilmente non sa come fare.
Neanche lei lo sa, dopotutto.
Per un po’ mangiano in silenzio, ascoltando i suoni lontani di risate e chiacchiericci.
“Io vorrei informarmi su questa cosa”, dice a un tratto Miyako, e per una volta è lei che non riesce a guardarlo. “Vorrei provare a studiare, capirci di più. Magari riusciamo a capire come comportarci … lo so che tu mi hai detto che non sei d’accordo, e se non vuoi lo capisco, ci mancherebbe, non sono una dittatrice … ma ti andrebbe di lasciarmi provare? Di – di aspettare ancora un pochino?”
Sente Koushiro guardarla mentre riflette.
“Va bene”, concede.
Miyako si illumina, e solleva di colpo il capo per ringraziarlo, ma Koushiro la ferma.
“Non so se servirà a noi … ma magari potrebbe servire a Taichi-san.”
Miyako richiude la bocca.
Perché non dovrebbe servire a noi? Vorrebbe chiedergli. Se andasse bene forse riusciremmo ad amarci, a vivere una vita perfetta assieme. Perché non vuoi darci neanche una chance?
Ma è una fifona, e teme la risposta. Così sta zitta.
E poi cambia di colpo argomento, e gli racconta di quando aveva pensato di iscriversi allo stesso club di informatica di Koushiro, per poi optare invece per il club di chimica senza motivo apparente, cosa che è stata una pessima idea, per quella famosa volta in cui ha quasi fatto esplodere l’aula … parla, e parla, e parlando sovrasta il ronzio incessante della sua testa iperattiva.
Non è importante, dice alla sua testa zittendola. Perché Koushiro la ascolta, le risponde, le offre qualcosa dal suo bento e assaggia qualcosa da quello di Miyako.
Parlare con lui è piacevole, mangiare con lui anche, ed è questo che conta.
Almeno per ora, è questo che conta.
 
***
 
Si accorge di quella mail solo quando è ora di cena.
Miyako ha passato le ore pomeridiane dopo scuola ad aiutare suo padre al konbini, tra scatoloni da svuotare e onigiri da riporre nel reparto frigo: non ha raccolto neanche una volta la cartella di scuola da terra, né ha preso in mano il cellulare da allora. Non aspettava nessun messaggio d’altronde.
Ma forse, alle 18.30, avrebbe dovuto controllare il cellulare, dopotutto.
E ora è lì, sulla soglia di casa, la cartella su una spalla, a chiedersi se non stia perdendo qualche grado alla vista. Perché non può averle scritto chi crede lei, non può … magari se si pulisse gli occhiali …!
Ma non sono gli occhiali.
Il mittente è inequivocabile.
 
Forse sto sbagliando a scriverti.
Sono mortificato per quello che è successo ieri sera. Non ce l’ho con te, e non è una questione di antipatia.
E’ solo che parlare con te mi è ancora difficile.
Eppure vorrei conoscerti meglio.
Non arrabbiarti con Yagami-san se mi ha dato il tuo contatto, gliel’ho chiesto io.
Dovevo provare.
 
Ichijouji Ken
 
La cartella di Miyako le scivola dalla spalla e cade a terra.
 

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Capitolo 4
*** 4. ***


 

Against the rules



 
4.
 


 
21.15
Da: Inoue Miyako
A: Ichijouji Ken
 
Mi sa che non ti capisco proprio per niente.
Per esempio, a me terrorizzerebbe molto di più scrivere una mail a una ragazza potenzialmente offesa a morte dopo un silenzio stampa inquietante e una lunghissima giornata senza tentare di rimediare, piuttosto che cercare di parlare quando mi viene fatta una domanda.
Ma sono davvero così terrificante? Se hai paura di un tono normale come quello di ieri, ti assicuro, non hai visto proprio nulla!
Però … Ichijouji-kun, se vuoi davvero conoscermi, non c’è proprio niente che ti trattenga. Lo so che magari pensi ancora al passato, e ti dirò che spesso capita anche a me (siamo solo umani, è normale rimuginare!), ma io preferirei di gran lunga andare avanti e costruire nuovi ricordi più belli.
Cosa ti impedisce di farlo?
P.S. Non so se lo sai, ma avercela con Hikari-chan è impossibile … almeno per me. Non dirmi che tu ci riesci!
 
 
21.45
Da: Ichijouji Ken
A: Inoue Miyako
 
Credevo non mi avresti risposto nemmeno … grazie di averlo fatto.
‘Una ragazza potenzialmente offesa a morte’ … lo sei?
Avresti ogni diritto di esserlo. Non sai quanto io mi senta stupido, e spero potrai perdonarmi.
Mi fai una domanda difficile e non so bene come risponderti … spero di riuscire a farlo un giorno. E’ il mio obiettivo, e ci sto lavorando. Ma per quello che vale ti prometto che non si ripeteranno episodi come quello di ieri sera.
Per quanto riguarda Yagami-san, non ho mai avuto nessun motivo per avercela con lei. Speravo solo che neanche tu avessi voglia di farlo … se devi prendertela con qualcuno, fallo con quel pesce rosso che ieri non è stato in grado di spiccicare una sillaba.
 
 
21.48
Da: Inoue Miyako
A: Ichijouji Ken
 
Pesce rosso? Ma allora mi stavi ascoltando ieri!
Scherzo, scherzo, non ti agitare!
Ieri ero molto offesa con te, però mi hai scritto, ti sei scusato … pace fatta, per quanto mi riguarda. Portare rancore a lungo non è il mio forte. Però se lo rifai mi arrabbierò tantissimo, quindi ATTENTO A TE!
Non ho ben capito che tipo di preparazione tu debba fare, onestamente, ma ti do un modo semplice per provare a rimediare. Ti va di rispondermi alla domanda che ti ho fatto ieri? Sai, quella sul non rivelarsi alla propria anima gemella, quella cosa che mi aveva sconvolto tanto.
Sono alla ricerca di più informazioni che posso sulle anime gemelle in questo momento … in realtà sono abbastanza aggiornata sull’argomento, ho letto un sacco di cose a riguardo (ma non ascoltare quello scemo di Daisuke!! Non sono affatto una fanatica delle anime gemelle, è solo un argomento che mi appassiona, tutto qui!), ma sto per iniziare una ricerca approfondita su un aspetto che non avevo mai considerato.
Che ne dici? Si può fare? Poi bandiera bianca, giuro!
 
08.30
Da: Ichijouji Ken
A: Inoue Miyako
 
 
In realtà credo che la risposta alla tua domanda potrebbe deluderti, perché è molto semplice.
Non tutti sono pronti per l’amore.
Io credo che se non avessimo le Parole incise sulla pelle fin da quando siamo piccoli, l’impatto emotivo della scoperta sarebbe meno sconvolgente. Prova a immaginare per assurdo un mondo in cui non esista un modo di sapere che la persona che abbiamo appena incontrato sia la nostra anima gemella … magari esistono segnali che potrebbero aprirci gli occhi anche in quel caso, ma suppongo sarebbero molto più ambigui. Ne deriva che avremmo molti modi per non accorgerci della cosa, per non venirci a patti, per temporeggiare e non essere sopraffatti dalla portata della rivelazione.
Chi non è pronto per l’amore e tutto ciò che ne consegue, quindi, avrebbe tempo e occasioni per affrontare se stesso e l’altro.
Con le Parole non abbiamo questo lusso, e non abbiamo tempo. Possiamo solo decidere su due piedi: rispondere a quello che ci viene detto o no. E come puoi rispondere a cuor leggero a una cosa così grande e incomprensibile? E che succede se in quel momento sei preso da altro, sei troppo immaturo, hai troppa paura?
Non so se sia una cosa corretta non rispondere all’altro, o decidere di non parlare mai con il genere che ti interessa, o aspettare di essere pronto per farlo. Però capisco perché si possa decidere una cosa simile. Lo hai detto tu: siamo solo umani.
Spero di essermi spiegato in modo comprensibile.
Daisuke non mi aveva detto di questa passione per l’argomento, se può rassicurarti. Tempo fa ho letto anche io un po’ di fonti. Cosa ti interessava approfondire, se posso chiedere?   
Non voglio sembrarti invadente, ma se posso darti una mano sono a disposizione.
Ti auguro una buona domenica e spero di non averti svegliata.
 
***
 
 
Miyako accoglie quella domenica insolitamente soleggiata con grande determinazione.
Si sveglia di buon’ora, si veste in tutta fretta, fa una colazione veloce che finisce di sbocconcellare mentre prepara il suo zaino, e dichiara vivacemente a suo padre che andrà in biblioteca, che probabilmente si fermerà a studiare lì fino a tardi.
Suo padre non ha nulla in contrario: probabilmente pensa si tratti di studio per la scuola, ed è ben felice di concederglielo.
Peccato che si tratti di qualcosa di completamente diverso.
E’ tanto tempo che non va ad aggiornarsi sulle anime gemelle, ora che ci pensa. Ha iniziato a frequentare la biblioteca del quartiere dopo la Faccenda Satoshi, non sa neanche bene per quale motivo. Probabilmente è stato per cercare di capire se era stato così sbagliato andare in giro senza polsino con le Parole bene in vista … molto più probabilmente, in effetti, è stato per capire se ci fossero altre persone che vivevano il suo stesso dolore. Voleva sentirsi meno sola, e così cercava verità e conforto nei libri quando nella vita reale non aveva il coraggio di cercare aiuto. Voleva sentirsi meno sola, perché a furia di convincere Iori che era tutta acqua passata, e di convincere i suoi che non aveva più provato emozioni così devastanti nei confronti di una cosa troppo grande per te, per cui avrai tutto il tempo che vuoi tra qualche anno, aveva sentito una parte di sé staccarsi dal resto e diventare pesante e nera come un macigno, e aveva avuto paura che, se non le avesse dato retta, avrebbe potuto caderle per terra come un tonfo, richiamando l’attenzione di tutti e lasciando lei vuota e incompleta.
Ci fa caso solo adesso, stranamente. Lei non va in biblioteca quando si sente tranquilla.
Quando aveva incontrato Koushiro non c’era andata, per esempio.
Adesso, invece, sente di nuovo voglia di cercare, cercare qualsiasi cosa possa aiutarla. Qualsiasi cosa possa darle lenti giuste per guardarsi attorno.
Chissà se anche Ichijouji ha cercato informazioni sulle anime gemelle perché si sentiva confuso, o triste. O solo.
Entra in biblioteca, saluta allegramente le bibliotecarie che ormai la conoscono, si fa zittire da loro come di consueto, dopodiché si mette subito a lavoro. Conosce il reparto Anime Gemelle come le sue tasche, ormai, ma è felice di sapere che sono arrivati tanti nuovi libri che non aveva mai letto.
Ne prende una montagna, ne scarta parecchi dopo averli sfogliati seduta al tavolo di fronte a quegli scaffali, trova per caso un libriccino di narrativa decisamente poco utile ma dalla trama così romantica e commovente che non può che iniziare a leggerlo, e poi esserne rapita, e poi rendersi conto, con le lacrime agli occhi alla fine del romanzo, che ha trascorso la mattinata in modo tutto sommato infruttuoso, che non ha trovato nulla che risolvesse il mistero Koushiro o che le svelasse qualcosa di ignoto. Però di sognare vale sempre la pena, soprattutto in momenti come questi, quando si sente così confusa.
Così, alle 12.30, sconfitta, decide che è meglio tentare di studiare a casa, con meno distrazioni, e sceglie quattro libri interessanti –rigorosamente di divulgazione scientifica, non di narrativa- da prendere in prestito e consultare con calma più tardi.
Ma la giornata persiste col giocarle strani scherzi.
Dall’ascensore occupato che lei stava aspettando esce fuori, a sorpresa, Takeru.
“Ehi”, la saluta interdetto.
Miyako si fa da parte per farlo uscire, e permettere all’ascensore di richiudersi senza occupanti.
“Dove te ne vai a quest’ora?” Gli domanda sbalordita.
Takeru sorride, aggiustandosi il berretto verde smeraldo che indossa. “Mamma non torna a pranzo”, le spiega. “E’ rimasta bloccata in redazione, così mi ha lasciato indicazioni su cosa trovare in frigo. E io ho pensato bene di racimolare i suddetti ritrovamenti e portarli a qualcuno che sicuramente vorrà cucinarli per me.”
Tra le mani, in effetti, stringe una busta alimentare all’apparenza bella piena.
“Hai uno schiavo?” Replica interdetta Miyako. Non si sa mai, meglio chiedere, con persone come lui.
Il sorriso di Takeru si amplia. “Ho un fratello maggiore.”
Miyako sospira, alzando gli occhi al cielo. “E non potevi dirmelo in modo normale? Stavo per chiamare la polizia …”
Takeru ride. “Addirittura?”
“Aspetta un attimo.” Miyako lo guarda, di colpo seria. “Hai detto che stai andando da Yamato-san?”
“Esatto.” Il sorriso del ragazzo vacilla appena. “Anche papà sta lavorando stamattina – sorpresa delle sorprese. Così ho pensato di fare compagnia a Yamato, anche perché non si fa vedere in giro da un po’.”
“Anche con te? A me non risponde alle mail”, esclama di rimando Miyako. “Pensavo che almeno con te avrebbe voluto parlare …”
“Ogni tanto parliamo per telefono.” Takeru sospira. “Forse si illude che così facendo non capirò che per lui è un momentaccio.”
Miyako fa una smorfia. Non conosce Yamato da tempo sufficiente per sapere come gestisca i momenti stressanti, ma non ci vuole un genio a immaginare che non se la stia passando per nulla bene.
Non le piace per niente che abbia tagliato tutti fuori, però. Soprattutto se si tratta di qualcosa che, fosse capitato a lei, l’avrebbe distrutta.
“Posso venire con te? Ti prego!” Gli chiede d’impulso. “Passo al konbini e compro qualcos’altro da mangiare, così non mi sento come se mi stessi autoinvitando in modo così sfacciato!”
Takeru ride.
“Mi stavo giusto chiedendo quando me l’avresti chiesto”, risponde sereno.
Miyako si illumina.
E’ in casi come questi che si ricorda perché gli vuole bene.
 
***
 
12.40
Da: Inoue Miyako
A: Ichijouji Ken
 
Sembra che tu ci abbia pensato molto, eh?
Ho capito cosa intendi, però io non starei zitta comunque. Dici che una persona può avere troppa paura di affrontare l’amore … ma non fa più paura non sapere mai chi è la tua altra metà? O ancora, saperlo senza dirlo mai? Secondo me è più terrificante la solitudine. Oltre al fatto che uno dovrebbe star sempre zitto, e io penso che si finirebbe con l’esplodere, prima o poi!
E se anche l’altro avesse paura? Non si può essere terrorizzati in due, così da essere forti insieme?
Non farci caso, sono un’inguaribile romantica! Anche quando le cose non vanno come dovrebbero.
Tipo riguardo Yamato-san. Su di lui non ho proprio idea di cosa pensare.
E neanche sulla mia anima gemella.
Il motivo per cui sto facendo ricerca è perché mi interessa sapere se gli esseri umani possano bloccare o sbloccare a piacimento il meccanismo dell’innamoramento nei confronti delle anime gemelle … tu sai niente? Hai detto che hai studiato qualcosa, di cosa si tratta?
Voglio sapere se Koushiro-san potrebbe riuscire ad amarmi, visto che ora non è così e neanche sembra volerlo.
E voglio anche sapere se per Yamato-san possa esserci una soluzione …
Boh. Ora ti saluto, mi sono accodata per puro caso a Takeru-kun e sto andando a casa di Yamato-san senza invito. Così impara a non farmi sapere come sta!
 
***
 
“Non vedo proprio perché dovresti prendertela, fratellone. Avresti dovuto aspettartelo.”
Yamato non ha esattamente uno sguardo amichevole quando affetta porri sul tagliere. O forse è solo colpa della loro visita a sorpresa, e i porri non c’entrano niente.
“Non mi aspettavo che la vostra fosse un’associazione a delinquere”, brontola, lanciando loro l’ennesima occhiataccia da sopra la spalla.
“Cominci ad assomigliare a papà”, commenta Takeru, intento ad apparecchiare la tavola. “E comunque non c’è stata premeditazione, ti assicuro. I nostri intenti criminali sono perfettamente allineati senza doverci mettere d’accordo.”
“Eravamo preoccupati per te!” Protesta Miyako, passando a Takeru un bicchiere. “Tu la prossima volta non sparire, e vedrai che non ci autoinviteremo a casa tua!”
Curioso come all’improvviso Yamato non abbia alcuna voglia di guardarli. “Preoccupati per cosa? Sto benissimo.”
Dal modo secco in cui getta il porro sminuzzato nella pentola non si direbbe.
Miyako vede chiaramente Takeru fare una smorfia, la testa china sul tavolo di cui si sta occupando.
“Senti, Yamato-san.” Miyako si raddrizza, e punta gli occhi sulla schiena di Yamato. “Lo so che non sono il massimo del tatto, e a questo punto sappiamo entrambi che combino più danni se fingo di averne. Sono qui perché penso che al tuo posto starei uno schifo, e voglio sapere se è così anche per te. Spero che non lo sia, non sai quanto … ma se lo fosse, non sei da solo.”
Yamato posa il coltello da cucina sul tagliere un po’ troppo forte.
“Cosa ti aspetti che ti dica?” Sbotta.
“Solo che tu mi dica come stai!”
“Che cos’è, una specie di interrogatorio? Devo per forza star male, così sarai contenta?”
Miyako sbatte le palpebre. “Ma no, ti ho detto che spero-”
“E’ una specie di missione di soccorso, la tua? Non ho bisogno di nulla!” Yamato si volta di scatto, e dalla sua espressione sembra fuori di sé. “Voglio solo che mi lasciate tutti in pace!”
“Yamato”, dice semplicemente Takeru.
E Yamato si ferma, respirando affannosamente, gli occhi che vagano ovunque come se cercassero qualcosa senza trovarla, che non osano fermarsi su nessuno di loro due. E si sgonfia.
Apre la bocca, la richiude, scuote la testa in preda all’angoscia, si lascia cadere sulla sedia, si prende la testa tra le mani.
E rimane fermo.
Riesce a parlare solo dopo quello che sembra un tempo interminabile.
“Non … non intendevo, io-”
“Tu sei arrabbiato. Lo capisco.” Miyako si avvicina lentamente, ed esitando gli dà una piccola pacca sulla spalla. “E io forse dovrei davvero imparare un po’ di tatto.”
Yamato fa uno strano sbuffo, uno di quelli che fai quando ti viene da ridere sull’orlo di una crisi di nervi. “Forse.”
Takeru non dice una parola, e va a occuparsi della pentola borbottante sul fuoco.
“Non me l’ero mai immaginato così”, sussurra Yamato.
Miyako prende la sedia più vicina, e si siede di fronte a lui in quella che spera sia una modalità discretamente supportiva e non invadente.
“Beh, certo, nessuno si immagina …” Inizia, ma Yamato la interrompe.
“No. Io in particolar modo non me l’immaginavo così.” Il ragazzo solleva la testa, e Miyako non ricorda di averlo mai visto così disperato. “Non doveva essere così. Non dopo-”
Per un attimo l’unico rumore che si sente in quella cucina è il ticchettio dell’orologio.
“Lo sai che i miei sono anime gemelle?” Dice poi bruscamente.
Miyako trasecola.
“Come? Ma io credevo che i tuoi genitori fossero divorziati!”
Yamato fa una smorfia. “Appunto.”
Per un attimo la cosa non ha senso; un attimo dopo Miyako crede che Yamato la stia prendendo in giro.
Ma la realtà colpisce a tradimento, e al terzo secondo dopo le parole del suo amico Miyako sente che ha la nausea.
“Ma …” Balbetta, cerca lo sguardo di Takeru. “Ma io credevo …”
Takeru sorride, un’espressione di scusa per non averglielo detto prima. Quel sorriso rende inutile qualsiasi io credevo.
“Neanche io credevo che le anime gemelle potessero divorziare”, conclude Yamato. “Eppure li ho visti amarsi, e li ho visti litigare a morte, finché non hanno intrapreso vie legali. Finché mamma non è andata a vivere in un altro quartiere insieme a Takeru.”
Takeru si appoggia con la schiena al frigorifero, e incrocia le braccia. “Io ricordo solo i litigi”, dice.
Miyako non sa cosa dire.
“Ero furibondo”, mormora Yamato, osservando il pugno stretto posato sul tavolo. “Non ricordo molto di quel periodo, se non un gran senso di impotenza e di ingiustizia. Avevano distrutto la nostra famiglia, pensavo. Avevano diviso me e Takeru. E per tanto tempo ho pensato che fosse stata colpa loro … non erano stati bravi ad essere anime gemelle. Io non sarei stato così. Avrei fatto di tutto per far sentire la mia anima gemella sempre amata e rispettata … le avrei dato una famiglia, una famiglia che non si sarebbe mai divisa. Le avrei dato tutto.”
Takeru guarda a terra. Miyako non l’ha mai visto così triste.
“Pensieri sciocchi, ovviamente, ma ero poco più di un ragazzino.” Yamato scuote la testa, come se si vergognasse rabbiosamente di essere stato deluso da piccolo. “Sono cresciuto e ho capito come stavano le cose. Papà era sempre a lavoro, mamma deve essersi accorta che quella non era la vita che cercava. Tutto qui. Eppure non sono mai riuscito a smettere di lavorare su di me … aspettando di incontrare lei.”
Yamato si china, si afferra la caviglia sinistra, si toglie il calzino. Sotto la pianta del piede, ben visibile, si legge: La vostra musica è meravigliosa.
E Miyako riesce a vedere il sorriso di Sora e i suoi occhi brillanti come se fosse lì davanti a loro.
“Non avevo mai pensato seriamente alla musica”, sorride storto Yamato, rimettendosi il calzino. “Suonavo l’armonica per Takeru quando eravamo piccoli, ma era un gioco, nient’altro. Però lei parlava di nostra musica … avrei suonato in un’orchestra, forse? Improbabile, non era nelle mie corde. Ma forse, una band … Ho iniziato quasi per scherzo, vergognandomi come un ladro, a comprare libri di musica, e ho comprato un basso mettendo da parte dei soldi da lavoretti part-time estivi. E ho scoperto che mi piaceva, e anche parecchio. Suppongo fosse destino, non so …”
Si ferma, sembra imbarazzato – sembra molto solo.
“Stavo cercando di essere bravo anche per lei, per creare una musica meravigliosa. Cercavo di essere quello che lei potesse …”
Tace.
Miyako sa di che sta parlando. Sa cosa lo abbia spinto a provare così tanto, così disperatamente.
Si sente gli occhi lucidi.
“E ora cosa faccio?” Sussurra Yamato al tavolo.
“Cosa vuoi fare?” Chiede Miyako a bassa voce.
Yamato la guarda come se la vedesse per la prima volta.
“Vuoi-” La voce di Miyako vacilla; la ragazza è costretta a schiarirsela prima di riprendere. “Vuoi parlare con Sora-san?”
La risposta è palese nel lampo che balena negli occhi di Yamato, ma lui la reprime con forza.
“Per dirle cosa? Scegli me?” Quasi ringhia, e non ce l’ha con nessuno se con se stesso. “Taichi ha sempre parlato di lei come se non si potesse avere ragazza più speciale. Io non posso portargliela via. E neanche voglio, io-!”
Si perde, il respiro affannoso e l’espressione di chi chiede aiuto.
“Ma … e se … parlando con lei scoprissi che non ti piace neanche un po’?”
Takeru, immobile fino a quel momento, si volta a guardarla.
Yamato aggrotta le sopracciglia. “Cosa?”
La gola di Miyako sembra piena di sabbia. “Cioè … quello che voglio dire è … magari succede come con me e Koushiro-san. Magari vi incontrate, vi parlate e … e lei non ti piace. Magari … se tu lo vuoi … puoi bloccare la cosa e non innamorarti di lei.”
Si accorge di star per piangere: sorpresa, chiude la bocca e tenta un poco credibile sorriso incoraggiante.
“In fondo le anime gemelle sembrano essere meno importanti di quello che credevo io, eh?”
Takeru sembra stupefatto, ma non fiata.
Yamato la guarda, e Miyako non vede altro che un profondo senso di impotenza.
“Non credo che funzioni così”, risponde amaro. “Non voglio neanche rischiare di avvicinarmi a lei. E poi ...”
Si passa una mano sugli occhi, e Miyako ha l’impressione che stia cercando di nascondersi.
“Non credo che riuscirei chissà quanto a impedirmi di provare sentimenti, neanche se lo volessi.”
Cala il silenzio, di nuovo. Nessuno si muove.
E poi il timer suona, e Takeru si volta, e con un colpo deciso spegne il fornello. La zuppa nella pentola borbotta pigramente per qualche altro secondo, prima di acquietarsi.
Takeru afferra il mestolo, li guarda, fa un mezzo sorriso.
“Forse è il caso che ci pranziamo su”, dice.
 
***
 
Sulla strada di casa Miyako e Takeru camminano distanti, silenziosi, ognuno perso nel suo mondo pieno di domande e di risposte insoddisfacenti.
“Una volta papà stava cercando le chiavi, e dalla tasca è caduta una foto di famiglia un po’ rovinata”, dice Takeru davanti a lei.
Miyako solleva lo sguardo dall’asfalto.
“C’era lui, mamma attaccata al suo braccio, e poi io e Yamato da piccoli”, continua il ragazzo, e c’è una tenerezza malinconica nelle sue parole. “La foto era spiegazzata, come se fosse stata tenuta in tasca, o nel portafogli, per un sacco di tempo. Ho capito che papà la porta sempre con sé.”
No dai, ti prego, pensa disperatamente Miyako, ed è quasi tentata dal mettersi le mani sulle orecchie per non sentire più nulla. Ti prego, basta. E’ troppo triste così.
“Papà è diventato bordeaux quando l’ha raccolta. Ha balbettato per un po’, guardandomi di sottecchi, e così ho capito che in casi come questi devi far finta di non aver visto, e cambiare argomento. Devi salvarlo … sì, davvero, a volte papà e Yamato si somigliano un sacco.”
“Mi stai dicendo che tuo padre ama ancora tua madre?” Si trova suo malgrado a chiedere Miyako.
Takeru la guarda da sopra la spalla. Sorride, e nient’altro.
“Ma che senso ha tutto questo?” Geme Miyako, e si stringe le braccia al petto come per difendersi. “Che senso ha essere anime gemelle allora? E’ straziante!”
“Lo so.” Takeru torna a camminare, a guardare qualcosa che lei non può vedere. “E’ una bella fregatura, vero? Essere anime gemelle non ti garantisce la felicità. Ti lega solo a qualcun altro, in modi strani, assurdi … è spaventoso.”
Miyako si è sforzata tanto di capire Takeru, fin da quando l’ha conosciuto: si è arrovellata per giorni, ne ha parlato all’infinito con Iori, se ne è lamentata con Yamato. Ma non aveva capito nulla di lui.
Nulla, fino a questo esatto momento.
Forse il sorriso di Takeru è una maschera, o forse esistono due Takeru – quello segreto, sofferente, spaventato, e quello che riesce a sorridere perché ha imparato a vivere a discapito della sua controparte più fragile, lasciandola a marcire in silenzio.
Miyako non sa dirlo. Ma si sente così sciocca a non aver capito, ora.
Takeru si ferma, e d’un tratto sono davanti al portone di casa. Le sorride, e per la prima volta quel sorriso gioviale le sembra tristissimo.
“Ci vediamo domani a scuola”, la saluta.
E poi la precede, lasciandole il portone aperto e dirigendosi fermamente verso le scale.
 
***
 
16.15
Da: Ichijouji Ken
A: Inoue Miyako
 
Miyako-san, ho letto più volte il tuo messaggio.
Mi dispiace dirtelo, so che ci speri. Ma non è mai stato inventato un modo per avere controllo sul meccanismo di innamoramento tra anime gemelle.
Di solito le anime gemelle si innamorano tra loro, a meno che non succeda altro che lo impedisca (ad esempio, non incontrare mai la propria, oppure non riuscire a frequentarsi abbastanza per innamorarsi, ma anche su questo gli studi non sono concordi. A volte basta solo uno sguardo per innamorarsi). Si ha controllo su cosa fare di quel sentimento, ma non sul sentimento.
Quando questo non avviene, c’è qualcosa che non va.
Ti allego qualche ricerca che ho consultato recentemente.
Scusa.
 
 
 
Qualcosa che non va, dice lui.
Miyako avrebbe detto che non c’è niente che vada.
Perché non capisce più cosa stia succedendo alla sua vita, e a quella dei suoi cari, e a tutto ciò in cui credeva.
Non c’è modo di controllare il sentimento, dice Ichijouji. Eppure Koushiro non la ama.
Le anime gemelle si innamorano tra loro, dice, eppure Sora sta con Taichi e non con Yamato.
A volte basta un solo sguardo per innamorarsi, aggiunge. Ma i genitori di Yamato e Takeru hanno deciso di vivere lontani l’uno dall’altra.
Nonostante il signor Ishida ami ancora la signora Takaishi.
Forse Miyako non ha capito nulla finora, e ha sempre sperato in qualcosa che, per citare Takeru, è una bella fregatura. Forse l’umanità intera è stata ingannata, e ha creduto di ricevere un dono quando invece si trattava di una condanna all’infelicità.
Miyako non apre l’allegato di quella mail, e non cerca di sfogliare i libri che ha preso in biblioteca.
Se ne resta immobile distesa sul letto, supina, a fissare la testiera senza vederla davvero.
Ha paura.
Se smette di credere nelle anime gemelle …
Se smette di desiderarne una …
Per cosa ha lottato per tutti questi anni?
Cosa ne sarà del mondo in cui credeva di vivere?
 
***
 
Le lezioni di oggi potrebbero idealmente essere le più interessanti della sua vita, ma Miyako non ci fa caso. Non c’è verso che riesca a concentrarsi sui professori questa mattina.
Se ne resta china sul banco, la penna in mano e il quaderno che usa per scarabocchiare o appuntare idee ogni volta che ne sente il bisogno aperto sul libro di giapponese, e senza pensarci un attimo scrive la bozza della mail che vorrebbe spedire a Mimi appena tornata a casa.
Non sa perché lo stia facendo ora: ne sente il bisogno. E all’improvviso è un fiume in piena.
Le racconta tutto quello che è successo al concerto, quello che ha scoperto su Yamato, la distanza improvvisa tra Takeru e Hikari, i problemi con Koushiro e la confusione che Miyako non fa che sentire da giorni. Non rilegge, non si ferma un attimo, e mentre scrive sente il cuore batterle forte.
Così forte che non si accorge che il professore l’ha sorpresa a distrarsi, e la guarda accigliato a poca distanza dal banco.
E’ la risatina della sua vicina di banco, Aoko, a distoglierla dalla bozza della sua mail. Miyako solleva il capo, sussulta, si scusa a gran voce, si becca il rimprovero del professore e mette via il quaderno con le guance rosse e i capelli davanti al viso.
“Sei sempre la solita, Miyako-chan”, le sussurra Aoko con un sorriso complice. Miyako ride, imbarazzata, e sta al gioco, ma non può che pensare che sia curioso sentirselo dire. Perché non si è mai sentita più diversa di ora.
Ad esempio è insolito che lei se ne stia da sola quando suona la campanella dell’intervallo, mentre il resto della sua classe sciama verso il cortile o verso la mensa. E’ insolito che si senta così distratta e abbattuta, e un po’ la spaventa non riconoscersi. Probabilmente se si guardasse allo specchio si sentirebbe come se guardasse un’estranea.
Così riprende il quaderno, rilegge la bozza, e quasi non riesce a credere che tutto questo sia successo nel giro di poche settimane.
Afferra la penna, e non sa se spedirà mai la mail, ma continua a scrivere.
Non sai quanto vorrei che fossi qui, Mimi-neechan. Non sai quanto io mi senta persa in questo momento. Lo so che staresti malissimo anche tu a vedere i tuoi amici soffrire così senza poterci far nulla. Ho sempre pensato che io e te siamo simili. Eppure tu sei diversa da me… tu sapresti cosa fare. Io non so più nulla.
Che cosa significa essere anime gemelle?
Cosa hai provato quando hai incontrato Michael e ti sei innamorata di lui?
Come si fa ad essere innamorati e felici con la propria anima gemella?
Che differenza c’è tra amore per l’anima gemella e quello per qualcun altro?
E se poi va male?
 
Miyako si ferma, fissa quelle parole, sente il petto farle male.
Non ha mai formulato questo pensiero finora.
E se poi va male?
“Sembri triste”.
Per la seconda volta in poco tempo, Miyako sussulta violentemente, questa volta tanto forte da far cadere la penna. “Cosa? No, sto bene!” Si china a raccogliere la penna, ma poi a mezz’aria ci ripensa, e si solleva verso il suo interlocutore. “Ero solo sovrappensier- oh! Hikari-chan.”
Ma certo, non poteva che essere lei. E’ sempre stata silenziosa, Hikari.
Preferisce di gran lunga pensare sia stata la silenziosità di Hikari, e non la distrazione cronica di Miyako, ad averle quasi fatto venire un infarto, comunque.
Hikari ha un’espressione di scusa e un sorriso esitante sulle labbra mentre la guarda, e come sempre sembra volerle leggere dentro. Fa un po’ paura qualche volta. “Scusami, non volevo spaventarti. Va tutto bene?”
No.
“Come sempre!” Risponde energicamente, e all’espressione sospettosa di Hikari risponde alzandosi di colpo in piedi. “E’ solo stata una giornata lunga e stancante, tutto qui.”
Hikari ha in mano due bento, curiosamente, uno più grosso dell’altro.
“Ehm … Hai molta fame, per caso?” Chiede Miyako molto perplessa.
Hikari si guarda le mani, e per qualche motivo il suo sorriso si spegne.
“Questo è per Taichi”, dice, sollevando appena il più grosso.
Il nome è sufficiente a far avvertire una stretta allo stomaco a Miyako.
“Si è svegliato presto stamattina, non so perché, ed è uscito prima di me. Credo avesse qualcosa da fare”, continua Hikari, e il suo sguardo è di colpo così addolorato da risultare insopportabile. “Ma ha scordato il bento sul tavolo della cucina. L’ho preso io. Sto andando a riportarglielo.”
“Ah”, dice stupidamente Miyako.
Che Taichi si svegli presto e dimentichi il pranzo è strano, decisamente strano.
Forse doveva vedere qualcuno …
“Le cose con Sora-san non stanno andando bene, vero?” Non può fare a meno di chiedere, e nonostante conosca già la risposta darebbe chissà cosa per averne una diversa.
Hikari abbassa la testa, il viso incupito, e non dice nulla. Non serve.
E Miyako vorrebbe chiedere di più, vorrebbe saperne di più, ma se Hikari ha quell’espressione come può insistere? Le sembra così fragile, tanto da poter scomparire da un momento all’altro, silenziosa com’è arrivata.
“Hikari-chan …” Tenta, ma Hikari la zittisce con un sorriso dolce.
“Vuoi pranzare con me, Miyako-san? Se non hai da fare con i tuoi compagni di classe ovviamente”, le propone. “Se vuoi possiamo vederci in cortile appena ho finito con mio fratello. Non ci metterò molto, promesso!”
Miyako apre la bocca, la richiude. “Ma certo che voglio pranzare con te!” Esclama. “Però tu-”
“Oh, bene.” Hikari si illumina, e per un attimo appoggia i bento sul tavolo, si china e le stringe piano le mani.
“Non restare sola, ok?”
Ecco. L’ha fatto di nuovo.
Miyako resta a fissarla inebetita mentre le lascia le mani, si china a raccogliere i bento, si allontana con un sorriso d’intesa e sparisce da qualche parte fuori dalla porta. E si chiede come mai Yagami Hikari riesca sempre a lasciarla senza parole.
Come fa ad essere così?
Aveva tanti pensieri per la testa, si vedeva. Era anche pallida, a dirla tutta, e con gli occhi spenti.
Eppure ha trovato il tempo di notare le sue piccole tristezze, di farsene carico e persino di consolarla.
Non restare sola, ok?
Che assurdità.
E’ Hikari a non dover restare sola, non lei.
Miyako si precipita fuori dall’aula, il pranzo in mano, e guardandosi rapidamente intorno si rende conto che di Hikari non c’è già più traccia. Figurarsi se non si metteva praticamente a correre, pur di raggiungere in fretta suo fratello prima della fine della pausa pranzo.
Non le resta che improvvisare, allora.
Miyako ricorda che le aule delle terze sono al piano superiore, così si affretta per le scale, quasi finendo addosso a un gruppetto di ritardatari studenti di terza diretti verso il cortile. Già che c’è, non contenta, chiede anche loro indicazioni per la 3-C, e i ragazzi sono disponibili abbastanza da risponderle giusto un po’ seccati, senza mandarla al diavolo. Miyako li ringrazia ad alta voce senza fermarsi ulteriormente, e non resta a sentire i loro borbottii increduli.
Sa dove andare, è questo che conta.
Certo, se riuscisse anche a vedere Hikari …
Finalmente, con un po’ di fiato corto, Miyako arriva in cima alle scale. Svolta a destra e poi prosegue dritta, osservando i cartellini identificativi affissi sulle aule.
E poi, da lontano, scorge Hikari.
E’ ferma davanti all’aula con su scritto 3-F.
Miyako sorride, e la chiama da lontano. “Ehi, eccoti qua! Volevo -”
Hikari di colpo solleva la testa, la guarda allarmata, scuote la testa rapidamente.
Miyako tace, e rallenta il passo, confusa. Solo allora si rende conto che Hikari ha ancora i bento in mano, ed è appoggiata con la schiena contro il muro con uno strano atteggiamento di abbandono.
C’è qualcosa che non va.
Si avvicina a lei, si guarda intorno, e non capisce. Non sa perché, ma sussurra. “Hikari-chan, tutto ok? Cosa stai-”
E poi la sente.
“Non dovresti essere qui.”
La voce di Yamato.
Miyako trattiene il fiato, e improvvisamente sa che non dovrebbe essere qui neanche lei.
Perché sa con chi sta parlando Yamato.
“Davvero ti sorprende?” Risponde la voce di Sora, e le viscere di Miyako le sprofondano ancora un po’. “Non sapevi che sarei venuta a cercarti, prima o poi?”
“Non dovevi. Questo non è giusto nei confronti di Taichi.”
Sente Sora fare una risata tagliente e molto amara. “Tu non sai niente di quello che è giusto o no.”
Yamato resta in silenzio.
“Taichi sa che sarei venuta a parlarti.” Continua Sora, e nella sua voce c’è una ferita aperta.
Miyako vede Hikari farsi piccola contro il muro.
“Ed è d’accordo?”
“Lascia stare Taichi!” Sbotta Sora. “Voglio che tu mi dica perché non volevi parlare con me.”
“Come faccio a lasciar stare Taichi, se è il motivo per cui non volevo parlarti?” Yamato alza la voce, frustrato, e il rumore di una sedia smossa le rivela che deve essersi alzato in piedi. Se lo conosce bene sta camminando nervosamente per l’aula, in un tentativo di non mostrarle la sua espressione. “Sora, non possiamo. Taichi è mio amico, e-”
“Taichi è la persona che più ho amato in tutta la mia vita!” Esplode Sora, e la sua voce si rompe. “Perciò non parlarmi come se per me fosse facile, perché in questo momento vorrei strapparmi il cuore dal petto.”
Il suono di un singhiozzo, e Sora piange, sommessa e disperata. Miyako sente una stretta al cuore.
Ha parlato al passato.
Hikari resta immobile, la testa bassa, le mani che stringono forte i bento. Non incontra il suo sguardo, ma in fondo è un bene, perché Miyako non riuscirebbe a sostenere un’espressione del genere.
Così desiste e si avvicina alla porta dell’aula, il più silenziosamente possibile. Sbircia.
Sora piange, il viso rivolto verso la finestra, il corpo scosso da singhiozzi silenziosi. Yamato la guarda, sorpreso e rattristato, e Miyako non gli ha mai visto addosso quell’espressione. Sembra che la stia abbracciando con gli occhi, senza osare muoversi.
Poi lo vede frugarsi nelle tasche, tirar fuori un fazzoletto di stoffa ben piegato, guardarla esitando, e poi fare due passi verso di lei. Sora sembra irrigidirsi, ma non toglie le mani dal viso, e continua a singhiozzare piano.
“Tieni”, le dice Yamato, porgendole il fazzoletto.
Sora solleva il capo. Confusa, guarda il fazzoletto, e poi lui.
“Non voglio farti piangere. Ti prego.” Continua lui.
Sora non può non aver letto nella sua espressione che è sincero.
Sussurra un “Grazie” e prende il fazzoletto, con mani tremanti. Ne tasta la consistenza con i pollici, come se non sapesse che farsene, e poi si asciuga gli occhi.
Yamato continua a guardarla, serio.
“Non sono mai riuscita ad accontentarmi”, sussurra Sora, gli occhi bassi.
Per un attimo nessuno dice nulla.
“Taichi non ha mai capito”, continua poi. “Per lui è sempre stato molto semplice: le anime gemelle sono importanti, ma fino a un certo punto. Non fondano la tua personalità. Non importa se cresci osservando quelle Parole iscritte sulla pelle: sono solo un segno, come un tatuaggio. E se va bene allora meglio così, altrimenti si può vivere bene ugualmente.
“Avrei voluto che fosse così anche per me.”
Sora si ferma, guarda Yamato, poi torna a giocherellare col fazzoletto che lui le ha dato.
“Io sono cresciuta pensando di non meritare amore.”
“Per colpa di quello che ti ho detto?” Chiede incredulo lui. Sul suo viso passa un lampo di orrore.
Le labbra di Sora si piegano in una smorfia amara.
“Mio padre non c’era mai, sempre fuori città per lavoro. Mia madre e io non avevamo un bel rapporto, e non riuscivamo a comunicare. E la mia anima gemella non avrebbe neanche voluto parlarmi. Cosa avrei dovuto pensare?”
Dev’essere devastante pensare di aver minato l’autostima della tua anima gemella prima ancora di conoscerla, pensa Miyako. Lei ci starebbe malissimo, ne è sicura.
A giudicare dall’espressione di Yamato, comunque, non è l’unica a pensarla così.
“Ho pensato che iniziare a comportarmi come un maschiaccio, nascondere le Parole dietro jeans e indumenti sportivi, e dire a me stessa che non avrei mai avuto bisogno di nessuno mi avrebbe protetto dal dolore. Con Taichi, poi, l’ho creduto intensamente. Lui … mi rendeva felice, ma non ha mai capito. Voleva convincermi che avrei dovuto dimenticare la mia anima gemella, che non avrei mai dovuto considerarla importante. Abbiamo litigato tante volte, così tante che neanche immagini. Non capiva che c’era molto altro dietro.”
Sora guarda Yamato, gli occhi lucidi e tutto il cuore in mano.
“Ogni volta che ero felice con Taichi, io pensavo a te.” Confessa. “Senza volerlo. Continuamente. Perché non eri una persona qualunque, anche se non ti conoscevo: eri la persona che sarebbe stata per sempre legata a me. Quella che forse avrebbe parlato con cognizione di causa, quando avrebbe pronunciato quelle Parole. E se non riuscivi ad amarmi tu … forse non ero degna d’amore. E questo pensiero ha rovinato tutto …”
“Io non volevo farti questo”, bisbiglia Yamato angosciato. “Stavo solo cercando di proteggermi.”
Negli occhi di Sora c’è una supplica.
“Da cosa?” Gli chiede.
Il viso di Yamato è una maschera di dolore.
“Dal desiderio di renderti felice.”
Sora crolla su se stessa.
Piange, e si scusa, e piange ancora. “Non riesco a capire cosa mi prende”, singhiozza.
Miyako lo sa. E’ sollievo.
Un sollievo crudele, che fa soffrire più del dolore. Perché è arrivato a caro prezzo.
Yamato è sporto verso di lei, e la guarda, e sembra che capisca.
“Sfogati”, le dice. “Ne hai bisogno.”
Sora, paradossalmente, si calma proprio dopo aver sentito quelle parole. Si asciuga le lacrime con la mano, e non osa guardarlo.
“Tu … mi stavi cercando?”
“Sì”, risponde lui.
Sora esita. “Io non so se sono pronta a prendere delle decisioni. Non so neanche cosa voglio.”
“Io aspetterò”, risponde Yamato serio. “E se vorrai ci sarò.”
Lei lo guarda, timida, e gli scruta nell’anima. E’ un discorso silenzioso così intimo che Miyako si sente del tutto fuori posto.
Dovrebbe andarsene.
E poi, all’improvviso, Sora allunga una mano verso di lui.
Yamato sgrana gli occhi, si irrigidisce, la guarda.
Sora si ferma, gli occhi lucidi, la mano a mezz’aria. Gli chiede il permesso.
Yamato avvicina il viso impercettibilmente, e freme.
Le dita di Sora tremano quando gli sfiorano la guancia, e poi trema anche lei, e di colpo altre lacrime scivolano lungo le sue guance.
Si guardano, come se avessero capito solo in questo momento di essersi trovati.
“Lo senti anche tu?” Chiede Sora con voce tremante.
Miyako cade dalle nuvole.
Sentire cosa?
Guarda rapidamente Yamato, ma lui non sembra affatto confuso. Sembra possedere una consapevolezza indicibile.
Yamato si porta una mano alla guancia, dove si trovano le dita di Sora. Le stringe, e chiude gli occhi. “Sì.”
E poi più nulla.
Miyako sente il cuore scoppiarle in petto, e il silenzio ferirle le orecchie.
Li guarda uno ad uno e li interroga, frenetica, disperata.
Sentire cosa?
Nessuno può risponderle.
Non Yamato e Sora, custodi gelosi di un segreto solo loro.
E nemmeno Hikari, che nel silenzio si stacca dal muro e si allontana, a passi lenti, sulle spalle un peso insopportabile.
Miyako è di colpo sola, e il mondo le si spacca in due.
 
***
 
“Mi dispiace di averti dato poco preavviso, Koushiro-san. Non stavi già per cenare, vero?”
“No, tranquilla, studiavo.” Koushiro la guarda, nel suo cappotto aperto che ha indossato alla bell’e meglio per raggiungerla in fretta fuori dal suo appartamento. “Va tutto bene, Miyako-kun? Che succede?”
“Ti ho spaventato con quella mail, eh?” Miyako si sforza di ridere, ma ha l’impressione che la sua risata sia breve e affrettata come il suo respiro corto. “Stai tranquillo, è tutto ok. Volevo solo chiederti un favore, sarà questione di poco.”
Koushiro aggrotta le sopracciglia. Non la capisce, si rende conto Miyako. Non è mai riuscito a inquadrarla.
“Dimmi tutto.”
“Potresti abbracciarmi?” Gli chiede di getto.
Koushiro resta a bocca aperta.
“Non mi dire che fa parte delle tue ricerche”, tenta, esitante. “Che libri stai consul-”
“Ti prego”, lo interrompe Miyako. “Ti prego, fammi solo questo favore. E’ l’ultimo favore che ti chiedo.”
Koushiro tace, e la osserva. Non sembra per nulla convinto.
“Miyako-kun …” Tenta ancora.
“Ti prego”, ripete ancora lei.
E Koushiro, dopo un interminabile momento di silenzio, annuisce piano.
Miyako si avvicina, tira un respiro profondo, chiude gli occhi e gli butta le braccia al collo.
Sente Koushiro irrigidirsi, deglutire, allungare le mani e metterle il più leggermente possibile sulla parte alta della sua schiena, tra le scapole. Lo sente respirare nervosamente, sente il profumo della sua pelle e la morbidezza della camicia stirata che porta abbottonata al collo. Sente il calore che si propaga dalla sua guancia, posta accanto alla sua.
Si ascolta respirare.
Tutto qui.
Miyako strizza le palpebre, si concentra, si impegna.
E’ tutto qui per davvero.
Allora si stacca, nettamente, come quando ci si toglie un cerotto.
Gli occhi neri di Koushiro sembrano spaesati.
Miyako fa un sorriso gigantesco che le tira fastidiosamente le labbra. “Ehi, grazie mille”, dice, leggera, e non riconosce la sua voce. “Dovresti fare un po’ più di pratica, eri teso come una corda di violino, ma sei sicuramente sulla buona strada!”
“Miyako-kun, mi spieghi cosa c’è?” Insiste Koushiro, ed è bello che sembri preoccupato per lei.
E’ bello davvero che lo sembri proprio ora.
“Grazie”, gli dice. “Vado a casa ora.”
E, sollevando una mano a mo’ di saluto, si gira e si allontana prima che lui possa finire di pronunciare il suo nome.
 
***
 
 
20.18
Da: Inoue Miyako
A: Ichijouji Ken
 
Credimi, non so perché ti scrivo.
Forse perché mi illudo che tu possa capire. Non ho mai incontrato nessuno che capisse le mie ricerche sulle anime gemelle, e da quello che mi dici anche tu hai passato una parte della tua vita immerso nella ricerca. E nella Ricerca, forse?
Non lo so. Forse mi serve solo dirlo a qualcuno. E’ qualcosa che non so dire neanche a me stessa.
La verità è che mi vergogno tanto, Ichijouji-kun.
Non sono stupida. In fondo ho sempre saputo che il mondo non fosse rose e fiori come volevo vederlo. Eppure ho paraocchi spessi come gli occhiali che porto, e la cosa più assurda è che li ho indossati di mia spontanea volontà.
Iori-kun dice che io ho il brutto vizio di crearmi un universo intero nella testa e di convincermi a crederci a dispetto di tutto, contro tutti. Io protesto sempre, ma in realtà credo abbia ragione.
A volte mi agito così tanto che non posso che farlo, vedi. Mi aiuta a non sentirmi preda della marea. E’ una cosa stupida fare il collegamento con la mia paura dei terremoti? Odio sentire il terreno cedermi sotto i piedi … Oh, sto esagerando adesso. Davvero non ho mezze misure tra mentire a me stessa e a tutti e analizzarmi troppo?
Devi credere che io sia matta. Non so se lo sono, ma so che non ce la faccio più.
E quindi lo dico.
Io ho bisogno di credere nelle anime gemelle.
Ne ho bisogno più di molti miei coetanei, più di molti adulti, e per tanto tempo ho pensato fossero strani gli altri. E invece ero solo io che non vedevo il quadro completo.
Sai, io mi sono sempre sentita diversa, da chiunque.
Io vivo le emozioni troppo forte, sono chiassosa e disordinata, sono impulsiva e ragiono in modo comprensibile solo per me, a volte. Non sono elegante, non sono riflessiva, non sono paziente …
Non sono come Hikari-chan, buona e gentile e carina a livelli estremi.
Non sono come Sora-san, forte e determinata.
Non sono come la mia amica d’America che mi tratta come una sorellina, sempre sincera con se stessa e gli altri, sempre allegra ed energica.
Non sono, non sono, non sono.
Sembra un discorso deprimente, mi dispiace. Ma credo di sentirmi così.
Ho sempre cercato qualcuno che mi vedesse. Qualcuno che vivesse quello che vivo io. Qualcuno che capisse cosa provavo.
Qualcuno che venisse a prendermi.
Come faccio ad accettare un pensiero del genere? A me non manca nulla. Ho tanti amici, una famiglia unita, una situazione economica accettabile. Io sono felice della mia vita.
Ma mi sento sola, tante volte.
E vorrei essere come gli altri, perché così forse non dovrei cercare di spiegare perché a volte le emozioni mi sovrastino, perché io non sappia mai controllarmi, perché io non potrò mai essere considerata carina.
Però io sono io, e sarò sempre io.
E così mi sono aggrappata al pensiero delle anime gemelle. Perché che diamine, l’anima gemella deve amarmi per forza, no? All’anima gemella basterò. L’anima gemella capirà, mi vedrà e accetterà i miei difetti.
Ora suono decisamente egoista.
Ma sono stanca di amare più il concetto di anima gemella che l’anima gemella stessa.
Io voglio innamorarmi in modo giusto di lei, al momento giusto, senza fretta o costrizioni. E non voglio essere difettosa e malgrado ciò essere amata … io voglio cambiare, migliorare, essere la brava persona che cerco sempre di essere.
Tutto qui.
Credi che sia tardi iniziare a crescere a sedici anni?
Credi che sia un’impresa possibile?
Credi che potrò ricominciare a credere nelle anime gemelle in modo felice, in modo giusto, nonostante tutto il dolore che possono provocare?
Ma soprattutto, credi che dopo questo fiume di parole vorrai ancora conoscermi?
 
 
22.20
Da: Ichijouji Ken
A: Inoue Miyako
 
 
Vorrei avere tutte le risposte che mi chiedi.
Non so quasi nulla della vita e delle cose importanti, ma alcune cose le so. Se non hai cercato di fare del male a qualcuno, non sei egoista. Se la tua priorità è quello di migliorarti e diventare una persona che ti piaccia di più, non sei egoista.
E voglio ancora conoscerti. Anche più di prima, se me lo permetterai.
Tutti noi ci aggrappiamo a qualcosa, pur di non vedere le parti peggiori del nostro carattere. Alcuni sarebbero disposti a fare di tutto, anche le cose più orribili, pur di non scenderci mai a patti. Fortunatamente tu non sei come me. Non hai dovuto diventare un mostro prima di scegliere di cambiare rotta.
Tu parli di non poter mai essere come Yagami-san, ma ti dirò una cosa sorprendente: lei ti ammira per la tua schiettezza e la tua forza vitale prorompente. A volte vorrebbe essere come te, e parla spesso di te.
Non conosco bene Takenouchi-san, né la tua amica americana, ma almeno questo lo so.
E so anche che ci vuole coraggio per essere onesti con se stessi come hai fatto tu poco fa, anche se in pratica non ci conosciamo.
Grazie per esserti aperta con me.
Per quanto riguarda le anime gemelle, io non credo che portino la felicità, o il dolore. Io credo che quello che facciano, in realtà, sia costringerti a cambiare.
Amplificano ogni cosa. Gioie, tristezze, tutto.
Ti mettono di fronte agli occhi te stesso, quello che cerchi, quello che vuoi, e ti dicono: Ecco. E ora?
Il resto sta a te.
E fa male, è difficile, è una crisi vera e propria. E può esserci tanto dolore, troppo dolore, perché come puoi sopportare di guardarti e vederti davvero?
Ma le crisi non sono necessariamente negative.
Forse potrebbe valerne persino la pena, e si potrebbe riscattare ogni lacrima per una gioia che è il doppio.
Io la penso così. Non so se possa esserti d’aiuto.
Ma non mollare.
Con la forza che hai, credo potresti muovere le rocce.
 
 
Seduta sul letto della sua stanza, Miyako scoppia in lacrime.
Chissà perché piange.
Perché un capitolo della sua vita è finito?
Perché ne sta iniziando uno diverso?
Perché si sente vista, per la prima volta?
Non ha senso saperlo. L’unica cosa che ha senso è quella sensazione di calore tremolante che le scioglie il nodo stretto in gola, le frantuma il macigno che porta nel petto.
E’ sicuramente una cosa positiva, ma per oggi Miyako piange.
Piange finché non è troppo stanca per continuare.
Piange, perché per rinascere devi prima un po’ morire, e portare il lutto di quello che sei stato.
Per tutto il tempo in cui piange, il cellulare rimane stretto fermamente contro il petto, come uno scudo e una medicina.
 
***
 
 
23.30
Da: Inoue Miyako
A: Ichijouji Ken
 
 
Grazie.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** 5. ***





Against the rules







5.





 
I suoi genitori sono sul divano l’uno accanto all’altra, e guardano distrattamente la tv.
E’ strano pensarci, ma Miyako non si sofferma mai a guardarli quando non stanno facendo altro che rilassarsi sul divano assieme. Finiscono per essere sempre altro, in qualche modo: i fautori delle leggi di casa, i responsabili, gli apprensivi, quelli che non capiscono.
Sempre qualcosa che ha a che fare con lei. Mai qualcosa che esiste di per sé.
Il pensiero le fa girare la testa.
Chi sono, quando non sono impegnati a fare i genitori? Cos’è che li rende felici quando hanno un’oretta di relax tutta per sé? Di cosa hanno paura? Hanno mai rinunciato a qualche sogno per lei, per tutti loro?
Loro non ne parlano, ma lei si è scordata di chiederglielo. Perché dev’esserci stato per forza un periodo in cui Miyako parlava con loro senza avere la mente obnubilata da conflitti o chiusure o dolori incomunicabili … solo che, in qualche modo, lo ha dimenticato.
Non le piace averlo dimenticato.
Non le piace questo mondo matto in cui essere adolescenti e scordarsi di guardare i suoi genitori, e vederli davvero, è considerato normale.
Così si avvicina.
I suoi genitori non si accorgono di lei se non nel momento in cui Miyako sale sul divano accanto a sua madre raccogliendo le gambe davanti a sé. Si voltano entrambi, sorpresi, come se non credessero ai loro occhi.
“Miyako-chan”, dice sua madre. “Tutto a posto?”
Miyako annuisce. “Posso restare un po’ con voi?”
Loro sgranano gli occhi, e Miyako si sente stupida.
“Cioè – se vi do fastidio me ne vado! Stavate facendo i piccioncini sul divano?” Ride, e dissimula, e guarda verso la porta. Forse ha commesso un errore e basta. Come ha potuto pensare che fosse una buona idea?
“Ma no, resta! Ci fa piacere”, dice precipitosamente suo padre.
C’è qualcosa nel suo tono di voce che costringe Miyako a guardarlo di sottecchi.
Suo padre ha l’espressione tesa di un uomo che teme che il suo vaso preferito, in bilico, possa cadere di sotto e andare in mille pezzi. E’ un’espressione curiosa da avere, se in bilico c’è solo una banale conversazione con sua figlia.
“Davvero?” Chiede Miyako sospettosa.
“Questo divano ha posto per tre”, dice sua madre, un sorriso troppo ampio e un lampo di speranza subito nascosto dal suo viso.
Non ci speravano più, capisce Miyako sconcertata. Stavano davvero aspettando che io mi fermassi a parlare con loro.
Si guarda le gambe strette al petto, e nota che inconsciamente ha coperto il polso destro con la mano sinistra. Come fa sempre. Come ha sempre fatto da quell’incidente a dodici anni.
In quel momento anche solo uno sguardo fugace al suo polso le faceva ribollire il sangue nelle vene, la faceva sentire esposta e vulnerabile, le ricordava le sue insopportabili debolezze. Non voleva sentirli più farle la predica prima, e cercare di parlarle preoccupati poi. Loro non potevano capire, loro non avevano provato quello che aveva provato lei, e se anche l’avevano provato l’avevano dimenticato.
Non potevano capire.
Eppure … eccoli lì, in silenzio, timorosi di dire qualcosa di sbagliato che porterà Miyako nella sua stanza in quattro e quattr’otto. Eccoli lì, a mostrarle supporto nel silenzio totale, fingendo di essere concentrati sulle immagini che passano alla tv.
C’è qualcosa, in questo silenzio, che commuove Miyako.
E allora si appoggia alla spalla di sua madre, la testa bassa e il cuore che le batte forte, e stringe i denti per impedirsi di fingere di essere forte, felice, normale.
“E’ che questo periodo fa un po’ schifo”, dice di pancia.
Sua madre le accarezza i capelli. Forse è una cosa un po’ per bambini, ma a Miyako non importa proprio nulla.
“Ti possiamo aiutare?” Dice sua madre dolcemente.
Miyako scuote la testa. “Naa. Ce la farò. Non è così grave.”
“Non devi essere forte per forza”, insiste suo padre.
“Non lo sono.” Risponde sinceramente Miyako. “Io penso davvero che ce la farò. E’ solo … credo di avere un po’ bisogno di voi. Mi basterebbe restare qui a vedere una sciocchezza alla tv con voi, solo per un po’.”
Cala un silenzio che Miyako non riesce a interpretare.
“Posso?” Insiste un po’ timida.
Sua madre la fa sollevare gentilmente dalla sua spalla, poi si alza in piedi. All’espressione smarrita di sua figlia sorride, e le fa un cenno con la mano. “Dai, spostati. Al centro vedi meglio.”
E’ una scusa, capisce Miyako. Ma va bene così. E’ perfetto così.
Miyako si avvicina a suo padre, e lascia che sua madre si sieda alla sua destra. La abbracciano entrambi, come facevano quando lei era piccola e guardavano assieme un cartone animato alla tv. 
Si sente un groppo in gola.
“Stanno facendo le repliche di Takeshi’s Castle”, le dice suo padre. “Adoro questa sfida.”
“Speriamo che non cada in acqua anche stavolta”, commenta sua madre. “Questo concorrente è un disastro.”
“Secondo me ci riesce”, commenta Miyako. “Guarda che faccia determinata che ha!”
“Eh, ma non basta. Ci vuole equilibrio, altroché. Non è facile per niente.”
“Scommettiamo che ce la fa? Cucino io se cade in acqua.”
“Oh, dovremmo vedere più spesso la tv con Miyako-chan”, commenta sua madre.
“Ehi! Questo è sfruttamento!”
“Te la sei cercata tu.”
Miyako finge di offendersi, si lamenta, dà gomitate ai suoi genitori che ridono. E’ così impegnata a tifare per il tizio mingherlino del game show che si scorda di coprirsi il polsino destro.
Non importa.
I suoi genitori non controllano se ha il polsino addosso neanche una volta.
Miyako sorride, guardandoli di sottecchi, illuminati dalla luce dello schermo.
Ha fatto bene a venire.
 
***
 
Taichi e Sora si sono lasciati.
Non è più una supposizione, un sospetto o un timore: Taichi e Sora non stanno più insieme, fine dei giochi. Non sa come sia successo, né quando, né quanto sia stata una decisione di entrambi o solo di una parte, ma forse non è neanche importante saperlo.
Fa solo tanto strano.
Taichi e Sora sono stati sempre presenti, nei racconti di Mimi come in quelli di Hikari. Sono sempre stati un binomio indivisibile, tenuti insieme da anni di ricordi e da un legame che sembrava forte, nonostante non fossero anime gemelle, quasi dato per scontato. Mimi si chiedeva spesso se si sarebbero mai lasciati.
Ecco la risposta.
Sembrava che avrebbero resistito, e invece no. Il destino, a quanto pare, ha altri piani per loro.
“Al diavolo il destino”, dice Taichi con forza.
Miyako lo ha trovato vicino al campo di calcio della scuola, seduto su un muretto, il viso basso e gli occhi ardenti. E’ vestito con la maglia della squadra, ha uno zaino sportivo accanto, ma non sembra avere nessuna voglia di andare ad allenarsi col suo club, che vocia nel campo e sugli spalti.
“Ho sempre saputo che l’avrei persa. Ma non così. Non per lui.” Dice, e scuote la testa con una smorfia. “Quanto sono stato stupido ad avergliela presentata.”
“Takeru-kun dice che al momento lui e Sora-san non si sentono”, replica Miyako un po’ esitante.
“Cambia qualcosa?” Taichi la guarda di colpo, penetrante, e Miyako chiude la bocca.
Non conosce la risposta.
“Il fatto che sia Yamato la sua anima gemella rende solo le cose più difficili”, continua il ragazzo, e torna a guardare distrattamente davanti a sé. “Tanto lo so che prima o poi si metteranno insieme, e che lui la tratterà bene. Fortunatamente so che è un bravo ragazzo e avrà cura di lei. Ma ora come ora ti giuro che lo prenderei a pugni.”
Ride e ride ancora, e si passa una mano tra i folti capelli castani. E’ una risata insopportabile, che ferisce, e Miyako darebbe chissà cosa per sapere come spegnerla. Ma come può aiutarlo?
Davvero c’è qualcosa che possa consolarlo, dopo quello che è successo?
“Lo so anche io che non poteva continuare così”, bisbiglia poi.
“Così come?” Gli chiede Miyako.
“Ma sì, dai, lo sai anche tu. Lo sapevano tutti.” Taichi lascia cadere nuovamente la mano lungo il fianco, come fosse immensamente stanco. “Sora era infelice. Non importa cosa facessi per lei, i salti mortali che ero disposto a fare: non potevo farci nulla.”
“Tu hai fatto il possibile, Taichi-san!” Protesta vivacemente Miyako. “E sono sicura che Sora-san lo sapesse. Se lei era infelice non dipendeva da te …”
“Tutto questo non conta!” Sbotta Taichi, e Miyako si ferma. “Non conta nulla che sarei andato contro il destino stesso per averla al mio fianco. Non conta nulla che io sia stato innamorato di lei fin da quando ho capito cosa significasse amare. Non contano nulla i nostri tre anni assieme … nulla. Sai cosa conta davvero? Che avevo una possibilità, solo una, di farcela, ma ho perso. E’ finita.”
La mano di Taichi si stringe a pugno, e prima che Miyako possa anche solo pensare di fermarla, colpisce seccamente il muretto dove sono seduti.
“Ahi”, geme il ragazzo rabbioso, impotente, disperato, e stringendo i denti guarda in alto, verso il cielo, in un punto imprecisato tra le nuvole che si muovono rapide sulla loro testa.
Sembra un naufrago in mezzo all’oceano che non sa a cosa aggrapparsi.
“Taichi-san …”, tenta Miyako addolorata.
“Io sfido il destino”, dice tra i denti. “Lo sfido a trovare per me qualcuno di giusto quanto Sora … più di Sora, se ci riesce. Lo sfido! E spero davvero che vinca lui, perché … io non avrei voluto nessun’altra. Non voglio nessun’altra.”
La voce si rompe, il suo viso si contrae.
“Io avrei barattato le mie Parole per lei.” Dice.
E tace.
Taichi sembra di nuovo un uomo ora, maturo e sofferente e disilluso. Non c’è traccia della sua fanciullesca energia nei suoi lineamenti, nessun frammento di risata a piegargli gli angoli degli occhi: sembra cresciuto di colpo, in modo definitivo questa volta, senza possibilità di tornare indietro.
Come se Sora, andandosene, avesse portato via anche la giovinezza di Taichi.
Miyako non può credere che sia finita, neanche adesso che le sue credenze secolari sono state messe così in discussione. Non riesce neanche a pensare a uno scenario tanto brutto. Taichi si riprenderà, si leccherà le ferite, e forse non tutto tornerà come prima, ma forse questo non sarà un problema. E forse il suo lato giocherellone tornerà più forte di prima, e allora si sorprenderà a pensare di aver sofferto così tanto in passato.
E lo sa, oh, lo sa bene, che la sua anima gemella è lì da qualche parte. E forse non sarà tutto rose e fiori, forse Taichi soffrirà ancora, ma il semplice fatto che ci sia qualcuno per lui, pronto ad amarlo, non è già di per sé motivo di speranza?
Quel giorno Taichi avrà ancora amore da dare, forse più di ora, senza dover temere che il legittimo proprietario venga a riscuotere il suo prezzo ogni volta che presenta la sua ragazza a qualcuno. E la sua anima gemella potrà solo ritenersi fortunata ad essere stata destinata a lui fin dalla nascita.
Miyako lo sa, ci metterebbe la mano sul fuoco.
Ma sa di non poterglielo dire, non ora, non così.
Però c’è qualcosa che può e deve dirgli, ora più che mai.
“Mi dispiace tanto, Taichi-san. Davvero.”
Taichi si ferma, e si volta verso di lei. Miyako non può fare a meno di notare che i suoi occhi sono lucidi, appena un po’.
Lui la studia, sorpreso e un po’ interdetto, e Miyako sa a cosa sta pensando. Sta pensando che lei è la paladina delle anime gemelle, che lo è sempre stata. Forse si sarebbe aspettato che lei l’avrebbe rimproverato per il suo desiderio di rinunciare alla sua anima gemella, che avrebbe cercato di convincerlo che si tratti di un dono, anche ora che a lui sembra una disgrazia.
Miyako lo sa, e lo fissa. Vuole che lui capisca che è sincera.
E forse lo convince, perché Taichi sorride appena, e sembra grato, in modo un po’ impacciato.
Le dà una pacca sulla spalla. “Non stare a preoccuparti”, le dice. “Fortuna che non tutti hanno problemi così, eh? Vedrai che prima o poi Koushiro si convincerà a lasciarsi un po’ andare. Il destino è dalla tua parte, dopotutto.”
Miyako sente la gola serrarsi.
“Ah … beh …” Balbetta, senza sapere come continuare.
“Aggiornami se gli prende un attacco di cuore però!” Taichi le fa un sorriso sfuggente, per poi raccogliere la borsa e slanciarsi di sotto, sull’asfalto. Una mano alzata a mo’ di saluto e il ragazzo si allontana, le spalle chine e un peso invisibile addosso.
Miyako lo osserva andarsene, un po’ indecisa.
Non gli interessava davvero sapere dettagli, riflette. Non è importante spiegargli come stanno le cose.
Lo lascia andare, e non dice altro.
 
***
 
I cambiamenti ci mettono davvero poco tempo ad ammantarsi di normalità.
Sembra che sia passato un uragano su tutti loro, eppure sembra che tutto vada più o meno come sempre.
Al mattino scuola, al pomeriggio studio intervallato da aiuti al konbini, mentre febbraio volge al termine e si avvicina sempre più l’incubo degli esami di fine anno, per cui sa già che dovrà passare qualche notte più o meno insonne. Ci sono i soliti pomeriggi con Iori, quelli in cui si studia tanto ma si chiacchiera tanto, e si finisce sempre per mangiare qualche dolce buono fatto dalla signora Hida o semplicemente qualche snack di marca Inoue.
Eppure non ci sono più riunioni a casa di Daisuke – nonostante lui l’abbia proposto più volte, perché tanto lo studio lui non sa cosa sia.
Eppure parlare con Hikari a scuola è difficile e poco soddisfacente: lei è apparentemente normale e interessata a quello che viene detto, eppure i suoi occhi sembrano guardare un mondo tutto suo, uno per cui nessun altro ha la chiave.
Eppure Takeru ha smesso di rispondere ai messaggi e non si fa mai trovare a casa: le poche volte che lo ha incontrato per caso nel suo condominio lui era sempre di fretta, sempre sorridente, e sempre lontano anni luce. Miyako-san, va tutto bene. E’ solo un momento un po’ incasinato, tutto qui.
Se lo dice lui.
Eppure i libri che ha preso in biblioteca le fanno ancora venire un vago senso di nausea, e non riesce ad aprirli perché non ne ha il coraggio. E’ assurdo, perché sa benissimo che se mai lo facesse adorerebbe quegli argomenti. Ma non ce la fa, non ancora.
Eppure sono giorni che non sente Koushiro, e non se la sente di scrivergli.
In compenso oggi è qui, seduta al tavolino di uno dei suoi café preferiti, a giocherellare con una ciocca di capelli, a guardarsi intorno un po’ nervosamente e ad aspettare qualcuno che non avrebbe mai pensato di dover aspettare.
Se non è assurdo questo …
La porta si apre, e Ichijouji compare, i capelli perfettamente in ordine e gli occhi azzurri che si guardano rapidamente intorno. Miyako si raddrizza, qualcosa che senza motivo le strizza lo stomaco.
“Buonasera, hai bisogno di un tavolo?” Gli si rivolge gentilmente un cameriere.
Miyako solleva una mano per farsi vedere, un sorriso sulle labbra, e Ichijouji la nota: le sue sopracciglia scattano in alto nell’espressione più sorpresa del mondo.
Lo sa cosa sta pensando: che è in anticipo. Ma non dovrebbe parlare, visto che è in anticipo anche lui. Probabilmente sono entrambi pedine inconsapevoli manovrate da questo strano, strano mondo capovolto che si maschera da realtà quotidiana.
“Dovrei incontrare qualcuno”, lo sente dire al cameriere, e con un cenno impacciato del capo attira l’espressione dell’altro sul tavolo dove Miyako si sta sbracciando. Ichijouji sembra un po’ imbarazzato.
“Prego”. Il cameriere sorride, lo invita ad accomodarsi, e va a prendere un altro menu.
Ichijouji, rimasto solo, sembra per un istante non sapere cosa fare. La guarda.
Miyako fa un sorriso più ampio, confusa, e con la mano lo invita a raggiungerla.
Lui obbedisce.
Arriva al tavolo, la guarda ancora, sorride timidamente e solleva una mano per salutarla.
“Che ci facevi lì fermo come uno stoccafisso?” Gli chiede Miyako gioviale, e gli allunga la sedia accanto a sé. “Scusa se ho già ordinato qualcosa. Ero un po’ in anticipo ed ero in seria carenza da frappè – te li consiglio, a proposito! Sono davvero buoni qui, soprattutto quello alla nocciola.”
Ichijouji aggrotta le sopracciglia mentre si siede, e guarda prima il frappè, poi lei. Sembra confuso.
“Cosa?” Chiede Miyako. “Ah. E’ perché fa freddo fuori e non è ancora stagione di frappè? Beh, chissenefrega, un buon dolce è buono sempre. Non credi?”
Lo guarda trepidante, e aspetta una risposta.
Ichijouji arrossisce. Apre la bocca, prende un respiro, si blocca. Scuote la testa.
E poi, con sommo orrore di Miyako, tira fuori il cellulare e comincia a scrivere.
“No dai”, esclama. Ichijouji solleva il capo di colpo, l’aria di un bambino colpevole. “Non vorrai dirmi che neanche stavolta vuoi parlarmi! Pensi di scrivermi le tue risposte per mail per tutto il pomeriggio?”
In realtà stava esagerando, non pensava sul serio fosse un’opzione possibile. E invece Ichijouji assume un’espressione di scusa, confermandole silenziosamente le sue supposizioni.
Miyako spalanca la bocca.
“Fai sul serio?” Gli chiede. “Ma … ma perché?”
Ichijouji abbassa di nuovo lo sguardo, e scrive rapidamente. Pochi secondi dopo Miyako riceve una mail.
“Mi rendo conto che possa sembrare scomodo. Vorrei fare diversamente, ma non ci riesco.”
Questo ragazzo non è reale.
“Beh, questo non risponde alla mia domanda”, ribatte Miyako scrutandolo.
Ichijouji fa un mezzo sorriso ironico.
“Se rispondessi alla tua domanda probabilmente chiameresti uno psichiatra.
Miyako lo fissa.
Ichijouji è sempre più mortificato.
Comunque se non avesse un viso così carino quando è imbarazzato non la passerebbe liscia, ecco.
Miyako fa un gran sospiro, abbandonandosi sulla sedia. “Ok. Ok, facciamo come dici tu, d’accordo? Spero però che tu non me la stia facendo pagare per quella faccenda di tre anni fa, perché non so più come scusarmi e dirti che voglio ricominciare da capo!”
Ichijouji sembra farsi di colpo serio. China in fretta il capo, le sue dita che corrono rapidissime sul telefono. Miyako si trattiene a stento dal sbirciare il messaggio prima che le venga inviato.
“Miyako-san, non ho nessuna intenzione di fartela pagare per un comportamento aberrante che, tra parentesi, ho messo in atto io e non tu. Ti giuro che non è una punizione, e mi dispiace, non sai quanto. Vorrei parlarti con la mia voce ma non posso. Però capirò se non vorrai più vedermi dopo oggi. Devo sembrarti un gran maleducato.”
Miyako non è preparata allo sguardo penetrante che Ichijouji le rivolge non appena mette giù il telefono: sembra pronto ad alzarsi e ad andarsene al minimo segno di disgusto da parte sua.
Non dovrebbe fare così, pensa. Non dovrebbe rendersi così vulnerabile pur mantenendosi così misterioso su quello che pensa o che fa, perché la verità è che questo strano mix la confonde.
Lui attende, paziente, senza tentare di scriverle altro.
Miyako capitola.
“Non esagerare adesso”, replica. “Sembri solo decisamente matto.”
Ichijouji fa un mezzo sorriso.
“Mi è andata bene”.
Miyako sorride a sua volta, incredula.
“Chiedo scusa. Ho portato un altro menu, se può servire”. Il cameriere sbuca di colpo alle spalle di Miyako, e porge il menu a Ichijouji. “Ti lascio un po’ di tempo per pensare a cosa ordinare.”
“No, posso ordinare subito”, risponde Ichijouji, e Miyako è così sorpresa dal risentire la sua voce che sussulta leggermente. “Facciamo …”
Miyako indica il suo frappè con aria allusiva, e Ichijouji si ferma.
“Dai, è buono, giuro!” Insiste lei. “Cos’è, hai paura di congelarti il cervello?”
Negli occhi di Ichijouji passa un lampo improvviso.
“Un frappè all’ananas. Grazie.” Risponde.
E così le sfide gli piacciono.
“Subito.” Il cameriere fa un piccolo inchino e si allontana.
Al tavolino cala di nuovo il silenzio. Ichijouji giocherella con il suo cellulare con aria fin troppo intenta.
“Ah!” Esclama Miyako all’improvviso, battendosi un pugno sul palmo. Lui fa un piccolo salto sulla sedia. “Ora capisco perché non parli con me! Ha a che fare con l’anima gemella, giusto?”
Ichijouji sbianca, come se fosse stato scoperto. Prende il cellulare e scrive, cancella, riscrive.
“Che intendi?”
“Puoi anche smettere di fingere. Ti ho smascherato, caro mio.” Gongola Miyako, e si sporge verso di lui per osservarlo meglio. Ichijouji si pietrifica. “Tu non mi parli perché sono una donna. E siccome ti piacciono le donne, ma hai paura di incontrare la tua anima gemella – visto quello che mi hai scritto qualche giorno fa -, preferisci non parlare con le donne a meno che tu non sappia già che non potranno mai essere la tua anima gemella!”
Ichijouji la fissa senza muovere un muscolo.
“Ci ho preso?” Incalza Miyako fiera di sé. “Dopotutto ti ho sentito parlare a voce solo con maschi e con Hikari-chan. E tutto torna con le cose che mi hai detto!”
Ichijouji non dà molta soddisfazione quando viene scoperto, purtroppo. Si limita a sgonfiarsi, a sospirare, e a scrivere lentamente: “In un certo senso potrebbe essere vero, sì.”
“Bingo!” Miyako ride, per poi scuotere la testa. “Incredibile, non credevo che avrei mai sentito di altre persone che si comportano così. Credevo che Jyou-san sarebbe stato l’unico di cui avrei conosciuto la storia!”
Ichijouji aggrotta le sopracciglia, interrogativo.
“Jyou-san?”
“E’ il fratello minore di Shuu-san, il ragazzo di mia sorella maggiore Momoe”, gli spiega. “Qualche volta quando viene a cena ci racconta così tante storie su Jyou-san che mi sembra quasi di conoscerlo … non viene spesso in realtà, perché lavora a Kyoto. Fa il ricercatore!”
Ichijouji sorride, timido. “E’ Jyou-san o Shuu-san a fare il ricercatore?”
“Oh scusa, mi stavo ingarbugliando. Shuu-san è ricercatore, e collabora con il padre di Sora-san.” Miyako si sente la testa un po’ leggera: si schiarisce la voce prima di riprendere. “Jyou-san sta studiando per diventare medico. E’ una persona molto intelligente e molto coscienziosa, ma ha un problema: alcune volte gli va in corto il cervello per il troppo pensare. E direi che è anche un po’ sfortunato e imbranato, quindi puoi immaginare l’effetto.”
Ichijouji la osserva curioso, invitandola silenziosamente a continuare.
Ha decisamente occhi assurdi, pensa Miyako. Sembrano immergersi completamente in quello che dici.
“Insomma, questa è una delle mie storie preferite”, continua. “Riguarda l’anima gemella di Jyou-san. Sì, ha incontrato la sua da un paio di mesi: è una sua collega di corso, dovrebbe chiamarsi Nahoko. Lui ha rotto una penna mentre era a lezione, bam, completamente andata e inchiostro ovunque: questa ragazza gli era casualmente seduta accanto, e casualmente aveva una penna di riserva. Hai presente quel tipo di persone che è sempre impeccabile, sempre ordinato, ha sempre ricambi di penne, matite, gomme, quaderni, eccetera?”
Ichijouji fa una smorfia. “Temo di doverti annunciare che faccio parte di quel tipo di persone.”
“Ma dai, ma come fate?” Esclama Miyako aprendo le braccia, teatrale. “Siete alieni, per caso?”
“Non saprei. Forse in futuro ci studieranno in laboratorio: ti farò sapere.”
“Comunque sia”, continua Miyako cercando di non ridere. “Jyou-san rompe la penna, Nahoko gli presta una delle sue e gli dice: Non preoccuparti, ho un astuccio pieno. E ovviamente erano le sue Parole, come puoi immaginare. Ovviamente nell’ovvio, poi, Jyou-san si è innamorato a prima vista di lei. Dove sta il problema, diresti tu? No, in effetti forse tu potresti indovinarlo. Prova!”
Miyako attende, e prende a sorseggiare il suo frappè ormai caldo con aria misteriosa.
Ichijouji sembra in difficoltà. Ci pensa un po’, la osserva di sottecchi, scrive lentamente.
“Se posso indovinarlo sicuramente si tratta di una problematica con le anime gemelle. Non so, aveva forse paura di incontrarla?”
“No, sbagliato.” Miyako lo osserva, curiosa. “Quindi tu e Jyou-san non avete le stesse questioni irrisolte … no, era più semplice di così, e anche più assurdo: voleva semplicemente dirle qualcosa di bello, come prime Parole. Così per settimane è stato zitto e ha risposto a gesti o scappando, pur di non dire nulla! Capisci, voleva che fosse qualcosa di memorabile per lei.”
Ichijouji resta sorpreso.
“In effetti può avere senso, ho letto di molte persone con Parole banali che non hanno avuto la Ricerca facile.”
“Sì, ma non è questo il punto!” Insiste Miyako scuotendo la testa. “Cioè, la sua anima gemella era lì, a lui piaceva da matti, ma non si palesava perché voleva essere poetico?!”
Ichijouji sorride appena. “Siamo tutti fuori di testa per le anime gemelle.”
La semplice verità di quel messaggio la fa fermare.
“Ecco il frappè all’ananas.” Ritorna il cameriere, un bicchierone di frappè posizionato davanti a Ichijouji. Il ragazzo ringrazia – a voce, ovviamente: che razza di ingiustizia – e l’uomo si allontana portando con sé i due menu presi dal loro tavolo.
Ichijouji le fa un piccolo sorriso di scusa, come a chiederle una breve pausa dal discorso, e titubante assaggia il frappè. Lo sorseggia, si ferma, la guarda. Per un attimo non si muove.
“Beh? E’ o non è il miglior frappè del quartiere?” Incalza Miyako.
Ichijouji si stacca dalla cannuccia, e scrive un breve messaggio.
“Non posso risponderti, ho il cervello congelato.”
“Che faccia tosta!” Miyako fa l’indignata. “Eppure riesci a scrivere dei messaggi!”
“A fatica.”
“Non mi pare per niente!”
Ichijouji china il capo sul cellulare, ma non abbastanza in fretta da nascondere un lampo divertito nello sguardo.
“E’ molto buono, Miyako-san. Ti ringrazio del consiglio.”
“Mm. Così va meglio.” Miyako lo guarda con aria sospettosa, e poi ricade contro lo schienale della sedia. “Comunque non mi stai dando soddisfazione con la storia di Jyou-san. Avresti dovuto sconvolgerti o ridere, invece sei lì ad analizzare tutto come se fosse normale.”
“E’ che esistono così tante situazioni particolari con le anime gemelle che non mi sorprende più nulla. Ma mi interessava il finale.”
La guarda, come se cercasse di capire se Miyako se l’è presa sul serio – come se non fosse palese che sta scherzando. Inspiegabilmente anche in modo molto spontaneo, poi.
“Se non ridi sul finale sei una brutta persona, sappilo.” Gli punta un dito contro, a mo’ di avvertimento. “Questo episodio risale a un mesetto fa circa. E’ un normale lunedì mattina pieno di pioggia e vento, sai, di quelli che ti inzuppano dalla testa ai piedi qualsiasi cosa tu faccia per evitarlo. Jyou-san sta andando all’università con un ombrellino che ha sicuramente visto momenti migliori, e lotta invano per evitare che il vento glielo rompa. Davanti a sé c’è Nahoko insieme ad alcune sue colleghe, che si affrettano verso l’entrata chiacchierando allegramente. Jyou-san l’ha vista eccome: diciamo che non ha alcuna voglia di farsi vedere da lei in quelle condizioni, inzuppato, con gli occhiali a penzoloni, la borsa fradicia e un ombrello che si ostina a rivoltarsi al contrario. Così decide di fare un disperato tentativo per aggiustarlo, almeno il tempo necessario per entrare dignitosamente nel complesso universitario. A fatica inclina l’ombrello … e, proprio in quel momento, una folata di vento improvvisa e violenta glielo strappa dalle mani. Indovina verso dove!”
Ichijouji sgrana gli occhi con un’espressione empatica. “Verso la sua anima gemella ignara?”
“Ovviamente.” Miyako cerca di trattenersi dallo scoppiare a ridere. “Tragedia! Jyou-san tenta di inseguire l’ombrello il più in fretta che può, ma il vento va troppo veloce, e sembra puntare proprio la testa di Nahoko! Così Jyou-san, disperato, urla d’istinto: No no no attenta, l’ombrello ti viene addosso! E Nahoko si gira, gli occhi spalancati e il viso acceso, ed evita per un soffio l’ombrello, che le sfiora i capelli e poi cade a terra, come se niente fosse. E Jyou-san …” Niente, non riesce a trattenersi: inizia a ridere, cercando comunque di continuare a parlare. “Jyou-san sbianca, perché si rende conto di aver parlato, di – di averle detto una cosa idiota, e che Nahoko dev’essere cresciuta aspettando di sentire quelle parole, delle Parole che la mettono in guardia contro un ombrello! Si agita così tanto che non guarda dove mette i piedi, e scivola rovinosamente a terra.”
Ichijouji le fa presto compagnia nella risata: lui ride in modo sommesso, portandosi una mano al viso come se avesse paura di ridere troppo. Miyako non lo fa apposta: si ferma, vuole sentire la sua voce, per sapere che suono ha la sua risata. Ma c’è poco che riesca a distinguere.
Si chiede se lui rida sempre così, anche con gli altri. Anche con Hikari.
E si chiede perché se lo stia chiedendo.
“Ma poverino”, le scrive lui, interrompendo i suoi pensieri.
“Oh sì. Shuu-san dice che non si riprenderà mai più dal trauma”, risponde vivacemente Miyako. “Però Nahoko non si lascia scoraggiare, anzi. Raccoglie l’ombrello, si avvicina a Jyou-san e si piega verso di lui. Gli porge la mano per aiutarlo ad alzarsi e gli dice: Ora si spiegano tante cose.
“Pare che Jyou-san si sia scusato per tutto il giorno, ma andava tutto bene anche così, con fango e pioggia dappertutto. Erano felici. Si erano trovati.”
Sente quella familiare stretta al petto che la accompagna ogni volta che pensa alle anime gemelle che si ritrovano, quella specie di commozione sospesa che per tanti anni l’ha resa più agguerrita e più determinata a trovare la sua. Oggi la sente più dolorosa, come qualcosa che le pizzica anche gli angoli degli occhi.
Da ragazzina non avrebbe mai avuto paura per il destino di due anime gemelle innamorate.
“Lo sai”, continua senza pensarci, giocherellando con la cannuccia abbandonata nel bicchiere vuoto. “E’ strano ripensarci, perché mi sembra tutto diverso da un mese fa, eppure … storie come queste mi fanno ancora emozionare. Cioè, è come se dentro di me fosse rimasta una parte testarda e romantica che, nonostante tutto quello che è successo in questi giorni, nonostante le cose che ho scoperto e che non avrei voluto scoprire … comunque mi dice che incontrare la propria anima gemella sia un dono. Secondo te è sbagliato?”
Ichijouji la guarda, assorto, e c’è qualcosa che lei non comprende della sua espressione.
“Non è sbagliato. Non conosciamo la fine della storia, no? Magari quello che è successo sarà la parte peggiore della vicenda, e da adesso in poi le cose andranno meglio.”
“Tu dici?” Miyako sorride, piegando la cannuccia con le dita. “Lo spero davvero.”
Ichijouji la fissa ancora.
“Tu stai bene?”
E’ un messaggio semplice e molto conciso, ma Miyako si sente scrutata nell’anima, senza sapere perché. Ripensa alle confidenze che gli ha fatto senza pensarci qualche giorno prima, ripensa alla naturalezza con la quale ha riversato tutte le sue insicurezze e le sue sofferenze sulla tastiera di un cellulare.
Ancora non sa spiegarsi cosa le sia passato per la testa.
Però non è pentita.
Guarda l’espressione intensa del ragazzo seduto di fronte a lui, la sua preoccupazione, la sua presenza silenziosa e cauta mentre sembra chiedersi come aiutarla senza essere invadente.
No, non è pentita proprio per nulla.
“Sì, sto bene. E’ ora di smettere con le bambinate”, dice sinceramente, e gli sorride. “Lo sai che il tuo messaggio dell’altra sera mi ha fatto un sacco bene?”
Ichijouji arrossisce di colpo, e abbassa in fretta lo sguardo sul cellulare. “Ma non ho detto nulla di che.”
“Però ci sei stato.” Gli risponde. “E’ sufficiente.”
Lui la sbircia, un po’ confuso. Lei gli fa l’occhiolino.
“Grazie, Ken-kun. Dico sul serio.”
Magari è un’illusione ottica, o magari è solo frutto della sua immaginazione, ma le sembra che l’averlo chiamato con il suo nome invece che con il cognome lo abbia reso felice.
Forse è la piega del suo sorriso, un po’ più accentuata del solito, o forse sono i suoi occhi. Sono sempre i suoi occhi, che di colpo le parlano più di quanto le parole potrebbero mai fare.
“Grazie a te”, le scrive. “Per avermi dato una seconda possibilità.”
E Miyako, per un attimo, ripensa a quel ragazzo arrogante e algido che ha incontrato tre anni fa, quello che avrebbe calpestato chiunque avesse incontrato sul suo cammino, senza pensarci, senza guardarsi indietro.
Quel ragazzo non l’avrebbe mai guardata così.
Con quel ragazzo non avrebbe mai voluto avere nulla a che fare.
Ma con questo … con questo sì.
Miyako gli sorride, e i conti in sospeso tra loro sembrano, finalmente, chiudersi.
 
***
 
Gli paga il frappè, ovviamente: è stata lei a invitarlo questo pomeriggio, e quindi lei offre. Non le importa proprio un bel niente se lui protesta, se si agita, se tira fuori il portafogli o prova a scriverle messaggi il più velocemente possibile.
“Mi dispiace, ma paga chi parla”, gli dice Miyako con una linguaccia.
Il suo accompagnatore sembra prenderla malissimo.
“Allora facciamo così. La prossima volta offri tu, che ne pensi?” Gli concede, accomodante. Lo vede sollevare di scatto la testa alla menzione di una prossima volta, sorpreso come se gli avessero detto che la Terra ha preso a girare al contrario. E’ un’espressione così buffa che lei non può che ridere.
“Guarda che non sei così antipatico come credi!” Esclama. “Dovresti volerti un po’ più bene, sai?”
La risposta è uno sguardo eloquente, e un messaggio.
“Difficile, se sai di essere uno scemo.”
E poi la guarda con l’espressione più rassegnata del mondo.
Miyako soffoca dalle risate, tanto da sentire male alla pancia. E’ costretta a uscire in tutta fretta, perché tutti al cafè si girano per guardarla e capire cosa stia succedendo. Quanto a Ichijouji, poveretto, raggiunge tonalità di viola impressionanti alla velocità della luce.
E ora sono qui, a camminare l’uno accanto all’altra, a guardarsi di sottecchi e a distogliere lo sguardo.
Parlano di argomenti leggeri, e di Daisuke, che in qualche maniera è terreno stabile per entrambi. Si raccontano gli episodi più assurdi, le sue incongruenze, la sua semplicità di pensiero che spesso lo mette nei guai e spesso ce lo tira fuori: una a voce, l’altro tramite uno schermo, procedono a conoscersi cellulari alla mano. I passanti che sentono Miyako parlare senza avere risposta gettano loro occhiate confuse e diffidenti.
Ichijouji – Ken: si chiama Ken – non fa che scomparire dietro i suoi capelli lisci che gli cadono sul viso quando scrive, e riapparire quando cerca di scorgere l’espressione di lei mentre legge il messaggio che gli ha inviato. Sembra sempre un po’ sull’attenti, come se si aspettasse che, senza preavviso, Miyako possa voltarsi e mollargli un ceffone sulla guancia. Eppure ad ogni risata di Miyako le sue labbra sorridono un po’ di più, appena un po’ alla volta.
Accorgersene la rende un po’ felice.
Forse perché il sorriso, a Ichijouji Ken, dona più del viso serio.
“Ecco, ora che mi stavo abituando a comunicare chattando siamo arrivati a destinazione”, esclama Miyako quando si accorge di essere arrivata di fronte all’entrata della stazione metropolitana che riporterà Ken a Tamachi.
Lui fa un sorriso di scusa. “Lo so che non sono stato di grande compagnia.”
“Ti dirò. Non so se tu sia particolarmente bravo dopo anni di pratica, ma è stato molto simile a una conversazione normale”, riflette lei, una mano sotto al mento. “Questo non è un invito a continuare così in eterno, eh! Dovrai pur sbloccarti prima o poi.”
Ken abbassa lo sguardo, e sembra malinconico per qualche motivo.
“Forse è solo questione di coraggio.”
“Se è così siamo a cavallo”, gli sorride Miyako incoraggiante. “Non sei tu quello che ha avuto tanto coraggio da lottare per cambiare l’opinione che avevamo di te?”
Gli occhi di Ken volano su di lei, spalancati, scoperti. C’è un lampo di meraviglia e gratitudine al loro interno, talmente intensa e profonda che lei quasi non è capace di gestirla.
“Non credo che quello fosse coraggio. Penso si trattasse di un bel po’ di faccia tosta”, le scrive in fretta. Miyako può scorgere l’emozione nel modo in cui lui muove le dita per digitare.
“Appunto”, commenta lei con il sorriso che si allarga. “Proprio quello che ci vuole.”
Ken la guarda, fa per scrivere, si ferma. Sospira, come per arrendersi, e le sorride.
“Un giorno ti parlerò”.
Miyako incontra gli occhi seri e sicuri di Ken, una promessa determinata nascosta tra le labbra serrate. Gli crede.
“Non vedo l’ora che accada”, gli risponde vivacemente.
Ken sorride ancora, poi i suoi occhi si muovono dietro di lei per un istante, e lì si fermano, si spalancano.
“Ken-kun?” Miyako è confusa dal cambiamento d’umore repentino del suo accompagnatore; aggrotta le sopracciglia, segue il suo sguardo, si volta dietro di sé. “Che succede? Cosa stai-”
E poi, di colpo, li vede.
Sono sul marciapiedi di fronte, poco più avanti di loro, seduti su una panchina fianco a fianco. Hikari è raccolta su se stessa, le mani in grembo, il viso stanco. Takeru è chinato verso di lei, le parla concitato, sembra volerla convincere di qualcosa in ogni modo che può. Ma non è la concitazione della rabbia o delle discussioni accese. E’ quella di quando ti senti impotente, perché la persona più importante per te ti taglia fuori dai suoi pensieri.
La gola di Miyako si serra.
Si volta verso Ken, segue nuovamente il suo sguardo, spera in tutti i modi che lui stia guardando altrove. Ma non c’è modo di negare l’evidenza: li ha visti, li ha visti eccome.
E il suo viso sembra un sacco distante, ora.
“Caspita, com’è tardi!” Esclama con finto entusiasmo e tanta, realissima angoscia. “Non dovresti andare? Non ti aspettano a casa?”
Ken non risponde, e continua a guardare la coppia.
Miyako sposta lo sguardo da lui a Takeru e Hikari, il cuore che le batte forte. Non sa cosa fare. Pensa disperatamente a Taichi, a Yamato e Sora, al bel pomeriggio che ha appena trascorso con Ken, al sorriso che è appena sparito dal suo viso, e si chiede perché certe cose succedano sempre nel momento sbagliato e nel posto sbagliato.
Che cosa diamine fanno quei due? Si sono evitati per tutto questo tempo, hanno fatto gli scemi finora, e ora stanno lì a chiacchierare da soli a pochi metri di distanza davanti al ragazzo di Hikari?
Miyako non riesce a capire l’espressione di Ken, o a indovinare cosa stia pensando.
C’è qualcosa che le chiude lo stomaco in una morsa, e non sa nemmeno perché. Fatto sta che non vorrebbe guardare, vorrebbe solo andarsene e scordarsi tutto questo.
Però guarda, immobile accanto a Ken.
Guarda, mentre Takeru sembra aver addolcito i toni, sembra parlarle ancora più preoccupato, ancora più vicino. Hikari gli dice qualcosa a bassa voce, si volta, incontra gli occhi di Takeru, si ferma. Sembra piegarsi, come se l’avessero spezzata.
Le braccia di Takeru le si avvolgono attorno, la stringono dolcemente, e Hikari si abbandona a lui. Anche a distanza si vede benissimo che piange.
Takeru le appoggia il mento sul capo, affonda le dita tra i suoi capelli, i suoi occhi guardano lontano senza vedere altro che dentro di sé. Hikari sembra piccola, un sacco piccola in quell’abbraccio, ma anche lei lo cerca, anche lei lo stringe come fosse l’unico rifugio sicuro in mezzo a un tornado.
Takeru le posa dei baci sul capo, sulla fronte. Il suo viso è turbato, come se avesse finalmente capito qualcosa di fondamentale, ma non scioglie l’abbraccio. Sembra non potere.
Nessuno potrebbe mai fraintendere cosa ci sia tra loro. Nessuno potrebbe mai sperare che quei due possano allontanarsi e continuare la loro vita come hanno sempre fatto.
“Ken-kun, mi dispiace”, si ritrova a dire Miyako, arrendendosi alla realtà dei fatti.
Si arrischia a guardarlo, e scopre che i suoi occhi azzurri sono di nuovo su di lei.
“Di cosa?”
“Beh … per Hikari-chan, tu-” Si interrompe, balbetta, non sa come continuare. Come glielo spiega che lei ha tifato per Takeru e Hikari fin da quando li conosce? Come glielo spiega che, guardandoli ora, ha avuto la sensazione che fosse andata come doveva andare, a discapito di Ken?
E’ pur sempre il suo ragazzo. E’ pur sempre un altro Taichi.
Non è giusto che sia giusto così, e che qualcuno debba sempre rimetterci.
“Takeru-kun è la sua anima gemella”, sussurra impotente, scusandosi con gli occhi.
Ken fa un mezzo sorriso.
“Lo so. Me lo hai fatto capire al concerto.”
Il senso di colpa di Miyako si acuisce. “Oddio, scusa, io parlo sempre troppo, quella volta mi è sfuggito! Non volevo ferire nessuno, è solo che-”
Ken solleva un dito a mezz’aria, come per chiederle di aspettare. Miyako ammutolisce, mentre lo vede scrivere lentamente, il cuore che le batte all’impazzata.
“Sapevo che Yagami-san conoscesse già la sua anima gemella, e sapevo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato. L’unica cosa che non conoscevo era il suo nome.”
“Eri innamorato di lei?” Gli chiede precipitosamente, prima che possa impedirselo. E poi si morde la lingua, perché che le è saltato in mente? Lei non vuole saperlo, non vuole in nessun modo …
Ken rimane immobile, le labbra chiuse e un’espressione strana sul viso. Sembra rifletterci un po’ – ma cosa ci sarà mai da riflettere? E’ sì o no, che senso ha non saperlo?
Poi lo vede sospirare, praticamente inudibile, e chinarsi nuovamente sul cellulare.
Invia il messaggio, la guarda, aspetta.
Il messaggio recita: “Mi dispiacerà non starle più accanto.”
E basta.
“Ti rendi conto che non rispondi mai alle domande in modo chiaro?” Si lamenta Miyako.
Ken si stringe nelle spalle con aria di scusa.
“Mi ha fatto piacere incontrarci oggi, Miyako-san. Buon ritorno a casa.”
Miyako ha appena il tempo di sollevare lo sguardo che Ken comincia a scendere le scale che lo porteranno alla metropolitana.
“Ehi, non andare via così!” Cerca di fermarlo.
Ken si volta, e il suo viso si apre in un sorriso. Sembra malinconico, ma sereno: lei rimane interdetta.
Così, quando lui solleva una mano per salutarla e riprende a camminare, lei non ha neanche il tempo o la forza di ricambiare in tempo.
Non ha senso.
Miyako si volta ancora verso Takeru e Hikari, verso lo spazio che hanno creato solo per loro.
Lei sarebbe stata distrutta, a osservare quella scena, se avesse amato davvero Takeru o Hikari. Altro che malinconia e dispiacere. Avrebbe pianto, avrebbe fatto la matta, avrebbe mandato all’aria tutto … avrebbe lasciato stare, perché sarebbe stato giusto così.
Però avrebbe fatto male assistere, sicuramente.
Che razza di relazione hanno, lui e Hikari?
E’ così che doveva andare, oppure è semplicemente capitato tutto troppo in fretta, senza avere il tempo di spiegare?
Davvero si può semplicemente prendere atto, e andare avanti con le proprie vite?
Domande, troppe domande. Così tante da potercisi rompere la testa, ma per quanto possa sforzarsi non cambierebbe nulla.
Perché Takeru e Hikari sono ancora lì.
Guardandoli ora, fronte contro fronte, le guance accese e un sorriso consapevole sulle labbra, Miyako può scommettere che i suoi amici stiano sentendo qualcosa, qualcosa di solo loro – qualcosa che dev’essere per forza simile a quello che hanno sentito Sora e Yamato giorni fa.
E allora la colpisce un pensiero, quasi un fulmine che illumina tutto a giorno.
E’ stato quel dolore, il disastro relazionale di questi ultimi giorni tra Taichi, Sora e Yamato, che ha avvicinato Takeru e Hikari, infine. Dopo tanto rincorrersi, e tante pressioni fatte e ignorate, e tante gelosie e tanti non detti, eccoli lì, a mettere da parte tutto e tutti di colpo, apparentemente senza preavviso.
Miyako pensa, dal nulla, che il dolore abbia strani modi di farti crescere.
Forse perché ridimensiona tutto, e ti fa capire cosa stai per perdere, cosa potresti, invece, ottenere se non avessi tanta paura.
Forse è per questo che incontrare la propria anima gemella può farti soffrire tanto?
Forse Ken aveva ragione.
E guardando Takeru e Hikari, nella loro semplice felicità originata dal dolore, Miyako non può fare a meno di sentire il cuore scaldarsi, con la stessa semplicità che scorge nei loro gesti, nei loro sguardi.
Solleva un pollice nella loro direzione, anche se non potranno mai vederla – ed è giusto così.
Sorride.
“Siate più felici che potete, razza di tonti”, sussurra. “E non arrendetevi se le cose si fanno dure.”
Poi si volta, e cammina nella direzione opposta per tornare a casa.
Troverà una strada differente. Quei due ci hanno messo così tanto a trovarsi … il minimo che può fare per loro è lasciarli a loro stessi.
Chissà quante cose avranno da raccontarsi, dopotutto.
 
***
 
“Prima o poi dovrai spiegarmi come fai ad avere sempre ragione.”
Iori la guarda, seduto ai piedi del letto con un quaderno di appunti aperto davanti a sé.
“Io non ho sempre ragione, Miyako-san”, ribatte tranquillo. “E’ solo che tutto questo non dipende da me, e neanche da te.”
“Sì, ma io non sapevo che non dipendesse da noi, Iori-kun.” Miyako si issa a sedere sul letto, decidendo che se rimane sdraiata ancora a lungo sul materasso non troverà mai la voglia di essere produttiva; forse non è stata una grande idea decidere di restare a casa sua invece che andare dagli Hida, per una volta. “Tu invece sai sempre quando è il caso di darsi da fare, e quando invece è bene lasciare che il destino faccia il suo corso. Sei un veggente, per caso?”
“Ma no che non sono un veggente”. Iori riprende a sottolineare i suoi appunti distrattamente. “Il criterio è molto semplice: devi aver fiducia nelle persone, perché sanno tirarsi fuori dai guai da sole. E comunque … se si sono comportati così finora avranno avuto i loro buoni motivi.”
“Sì, ma è così difficile restare a guardare se i tuoi amici fanno gli autodistruttivi!” Si lamenta Miyako.
Iori le rivolge una lunga occhiata eloquente.
“Lo so bene.”
“Ehi.” Miyako gli lancia un cuscino, che Iori afferra prontamente prima che possa colpire i suoi appunti, la sua testa o semplicemente il pavimento. “Che cosa vorresti dire? Io non ho passato mesi e mesi a far finta di non avere un’anima gemella, flirtando con chiunque altro o addirittura trovandomi un ragazzo dal nulla invece che provare ad accettare la realtà dei fatti!”
“Miyako-san, stai di nuovo giudicando solo in base alla tua visione delle cose.”
Miyako sbuffa, ributtandosi sul letto a braccia aperte. “Va bene, va bene. Takeru-kun e Hikari-chan avevano e hanno tutto sotto controllo. Sei più contento così?”
“Più o meno. C’è solo una cosa che secondo me non è stata molto corretta da parte loro.” Iori aggrotta le sopracciglia, in quella che è sempre stata, da che lo conosce, la sua espressione da non è così che ci si comporta. “Hikari-san e Takeru-san non avevano delle relazioni? Avrebbero dovuto chiudere le loro rispettive storie prima di pensare di costruire qualcosa assieme.”
Miyako fa una smorfia. “Guarda, se parliamo di Mina-chan non credo avesse molte speranze neanche prima”, ribatte. “Avresti dovuto vedere Takeru-kun al concerto dei KoD: a stento ricordava che quella povera sfortunata esistesse … E’ stato davvero pessimo.”
“Non è stato carino da parte sua trattarla in quel modo, se le cose stanno così. Spero solo che lui non l’abbia illusa.”
“Più che altro… è Hikari-chan a sorprendermi”, riflette lei, gli occhi fissi sul soffitto. “Forse mi ero fatta un’idea strampalata fin dal principio, ma pensavo che a Ken-kun ci tenesse.”
Iori si volta di scatto verso di lei. “Ken-kun?”
“Insomma … tutte quelle strette di mano, quei sorrisi complici … non me lo spiego, ok? E neanche il comportamento di Ken-kun quando li ha visti insieme. Avevo capito che fossero innamorati, e invece boh? Tranquilli e sereni. E’ cambiato qualcosa nella logica delle relazioni o sono loro ad essere fuori di testa?”
“Scusa, ma da quando lo chiami Ken-kun?” Scandisce Iori, gli occhi spalancati.
Miyako lo guarda senza muoversi dalla sua posizione. “Che vuoi dire? Si chiama così, come altro dovrei chiamarlo?”
Iori sembra aver visto un mostro verde spuntarle dall’orecchio.
“Insomma, che ti prende?” Miyako torna a sollevarsi su un fianco.
“Cosa prende a te!” Esclama il ragazzo. “Fino a poco tempo fa neanche riuscivi a fare il suo nome, poi gli hai rivolto un paio di parole al concerto. E poco altro, no? E adesso è Ken-kun.”
“Va beh, ma non sono mica una bambina, le cose cambiano”, ribatte vivacemente Miyako, e si sente arrossire sotto lo sguardo indagatorio di Iori. “Piantala di guardarmi come se fossi un detective di fronte a una falsa testimonianza, Iori-kun. Ci ho parlato, è simpatico. Ci sono anche uscita assieme.”
Che cosa?” Trasecola Iori.
“Ma non in quel senso!” Il rossore sulle guance di Miyako si intensifica. “Nel senso che ci ho parlato! Ci siamo sentiti via mail in questo periodo, lui è stato carino con me, così ho voluto ringraziarlo!”
Iori tace, fissandola a bocca aperta.
“Ma non eri tu quello che diceva che dovevo provare a dimenticare l’incidente Ichijouji?” Miyako apre le braccia esasperata. “Ecco, l’ho fatto! Certo che sei incontentabile, eh.”
“Non ho detto che non avresti dovuto farlo”, risponde Iori. “Sono solo sorpreso, tutto qui.”
“Beh, smetti di essere sorpreso.” Miyako incrocia le braccia al petto. “E’ tutto a posto tra noi, tra parentesi. Credo sia davvero cambiato rispetto ad anni fa. Vuoi vedere che Daisuke per una volta ci abbia visto giusto?”
Iori non sembra molto convinto. “Quindi non hai più dubbi su di lui?”
“No, non direi.” Miyako ci pensa su. “Sembra un’altra persona: ti sta a sentire, ha senso dell’umorismo, ha preso il frappè nonostante faccia ancora freddo… ci si parla bene.”
E poi ride, scuotendo la testa. “Cioè. Parlare si fa per dire.”
“Cioè?” Iori sembra sempre più sconcertato.
“Non mi parla.” Lei solleva le spalle, noncurante. “Non a voce, se non altro. Immaginaci: abbiamo passato un pomeriggio intero con un cellulare davanti agli occhi. Io parlavo e lui scriveva. Gli ho chiesto che follia fosse questa, e lui ha detto che è una cosa che riguarda le anime gemelle, e qualcosa relativo al trovare il coraggio di parlare. Vai a capire che significa. Tanto più che continua a dire che vuole conoscermi …”
All’improvviso Iori sembra sbiancare. “Ha detto proprio che c’entrano le anime gemelle? E’ per questo che non vuole parlarti?”
“E’ eccentrico, ma non so perché mi ci trovo a mio agio.” Miyako fa spallucce. “E poi mi ha scritto: prima o poi ti parlerò. Solenne, capito? Come fosse poi questo grande evento.”
Eppure, il pensiero che lui lo consideri un grande evento la fa sorridere.
Iori, all’improvviso, è zitto. La fissa, una strana meraviglia negli occhi verdi, e non dice nulla.
“Iori-kun, ti senti bene?” Incalza Miyako, seriamente preoccupata dallo stato d’animo del suo migliore amico. “Sei strano.”
Iori scuote la testa, incredulo, e poi sospira, passandosi una mano sugli occhi.
“Le persone sanno tirarsi fuori dai pasticci da sole”, borbotta tra sé.
“Eh?” Miyako aggrotta le sopracciglia. “Ma che fai, parli da solo?”
“No, no.” Iori la guarda ancora, poi torna ai suoi appunti, con una bizzarra espressione imperscrutabile. “Miyako-san, sei davvero brava a preoccuparti delle vite degli altri, ma a volte sei totalmente inconsapevole di quel che succede nella tua.”
Miyako ci resta di stucco.
“Ma che significa?” Esclama sconcertata. “Di cosa dovrei essere inconsapevole?”
“Dovremmo studiare, gli esami si avvicinano.”
“Iori-kun, non puoi sentenziare cose sulla mia vita senza spiegarti decentemente! Ora parli, da bravo!”
“Non posso dirtelo io.”
“E chi dovrebbe dirmelo? Non so neanche cosa tu stia farneticando!”
“Dovresti pensarci.”
“Iori-kun, sei cattivo!”
Miyako lo prega, lo supplica, gli tiene il broncio, protesta, cerca di sottrargli l’evidenziatore e ottiene solo un’occhiataccia dal ragazzo più giovane e un silenzio ostinato.
Così è costretta, suo malgrado, ad arrendersi.
Non sa proprio che cosa Iori volesse dire, nonostante continui ad arrovellarcisi in silenzio, ma una cosa la sa per certo.
Iori non sarà un veggente, ma gli piace un sacco far finta di esserlo, accidenti a lui.



 

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Capitolo 6
*** 6. ***


 
Against the rules







 
6.





 
Il primo di marzo Miyako racimola tutti i libri che ha preso in prestito sulle anime gemelle, e li riporta indietro.
Non è che creda sul serio che riportarli un giorno invece che un altro cambi le sue decisioni o il corso della sua vita, ma ha sempre amato le azioni simboliche: in qualche modo cristallizzano il momento e lo fortificano. Così può rievocare ogni volta che vuole cosa ha provato in quel momento e cosa sperava di ottenere, e darsi uno spintone immaginario se dovesse venirle l’idea balzana di mollare tutto.
O forse è solo una fifona, e ha bisogno di uno sprone esterno che le dia la forza di procedere nella direzione che ha scelto. Ma che importanza ha? L’importante è il risultato.
Miyako ha sempre pensato a marzo come al mese della rinascita, dei nuovi inizi, del cambiamento alle porte ma ancora non sbocciato, in attesa come i boccioli dei ciliegi che fioriranno a fine mese. Lei vuole fare lo stesso: rifiorire, in modo diverso.
Così entra in biblioteca, a passo di marcia, e con decisione e senza pensarci posa i libri che non ha mai letto nello scaffale delle anime gemelle. Li guarda, fa un sospiro che le sgonfia il petto, e poi annuisce tra sé, soddisfatta.
“Fate i bravi finché non sono pronta a riprendervi!” Esclama ad alta voce, dando loro un paio di pacche di commiato. La sua esclamazione viene immediatamente seguita da un “Sssssh” perentorio e irritato da parte degli ospiti della biblioteca, ma ormai c’è abituata. E comunque, non è con loro che sta parlando.
Non è un addio, pensa tra sé. Non vuole rinunciare alle anime gemelle, né smettere di essere curiosa sul loro funzionamento.
E’ solo che forse c’è altro che può fare, finché aspetta di capirci un po’ di più. Forse deve prima mettere a posto un paio di cose, così da avere in futuro la mente sgombra abbastanza per loro.
Tornerà più agguerrita di prima, lo sa. Più agguerrita e meno ingenua.
Ma, se il primo passo è facile, è il resto che è difficile. Cosa viene dopo?
Miyako scrive un messaggio a Ken, all’uscita dalla biblioteca.
“Missione biblioteca conclusa! Sto cercando la prossima missione. Idee? Qual è stata la prima cosa che hai fatto quando hai scelto di cambiare?”
E poi se ne sta lì, incerta, a mordicchiarsi le labbra e a fissare lo schermo. Magari non le risponderà, riflette. Magari è stupido chiedergli una cosa così. Magari penserà che non sa sbrigarsela da sola …
Qualunque cosa lui abbia pensato, la risposta non tarda ad arrivare.
“Ho parlato con le persone che avevo accanto e ho cercato di conoscerle.”
Beh, non troppo utile, pensa con una smorfia. Lei parla già tanto, se parlasse di più parlerebbe troppo, e tutti quanti ne uscirebbero rintronati. Magari poteva essere utile per Ken, visto che lui, da quel che ha capito, è un introverso.
Però …
E se questo fosse uno spunto? Parlare di meno, e ascoltare di più?
Miyako non la farebbe melodrammatica come la fa Ken: non pensa affatto di non conoscere i suoi amici … però, ora che ci pensa, questi ultimi giorni le hanno dimostrato che ci sono tante cose che non sa di loro. Non ha mai chiesto a Mimi del campo estivo in cui ha conosciuto Taichi, Yamato, Koushiro e Jyou, il fratello di Shuu; non si è mai interessata alla storia dei genitori di Yamato e Takeru; continua a non sapere proprio niente di Koushiro.
Non le fa molto onore.
Forse concentrarsi troppo sulle anime gemelle non l’ha resa una grande amica.
Forse, prima di dedicarsi alle questioni di cuore, potrebbe dedicarsi ai rapporti interpersonali.
“Non male, Ichijouji”, risponde a Ken. “Dovrei impiegarti più spesso come mental coach!”
E, intascando il cellulare, guarda il timido sole che fa capolino da nuvole distratte, e decide che d’ora in poi si cambia registro.
E’ con questa mentalità che si ferma, il giorno dopo, davanti agli armadietti all’ingresso della scuola, per avvicinarsi a una Mina in lacrime davanti all’armadietto di Takeru. Le porge un fazzoletto, cerca di farla ridere con battute terribili, le dice che Takeru è un idiota ma che ci sono mille altri ragazzi che aspettano solo di poterla conoscere, le offre una merendina che ha comprato al konbini poco prima e le dà persino il suo recapito mail per poter chiacchierare nel tempo libero. Mina le sorride tra le lacrime, e quel sorriso grato riempie Miyako di gioia.
E’ davvero così bello essere d’aiuto?
Forse è semplicemente bello uscire dal suo mondo, e poter toccare quello degli altri.
E che ne sa del mondo dei suoi compagni di classe, per esempio? Li ha sempre davanti agli occhi, ma non le è mai venuto in mente di cercare di capire come potessero essere anche fuori dalle mura scolastiche. Così fissa Aoko e un paio di altre sue amiche con un’espressione che loro definiscono, antipaticamente, inquietante, finché non le danno retta abbastanza da ottenere un invito per un cinema e qualche oretta di shopping senza impegno. Loro accolgono la proposta, e l’uscita, in modo entusiastico, ed è divertente, tanto, scoprire che una cosa che ha dato così scontata da scordarsene può essere replicata, regalare bei momenti, farla sentire leggera.
E la sua energia cresce.
Con Iori, invece, sperimenta qualcosa di diverso: si sfida a non parlare mai di anime gemelle. E forse il suo amico d’infanzia, sospettoso, se n’è accorto, forse quelle occhiate di sottecchi che le rivolge vogliono dire che non è stupido e ha capito benissimo che c’è sotto qualcosa, ma la asseconda, e non le fa domande. Quanto a Miyako, scopre due cose importanti da questa piccola sfida con se stessa: primo, che le prime volte è difficile, ma che man mano le viene sempre più naturale frenare la lingua quando sta per pronunciare le parole anime gemelle; secondo, che Iori ha un sacco di cose da raccontare, cose che magari in altre occasioni andavano un po’ perdute, per colpa del fatto che Miyako non sta zitta un attimo e finisce, senza volerlo, per monopolizzare la discussione. Le racconta di kendo, di quel ragazzo che ride forte e grida ancora più forte durante l’allenamento, di quella ragazza minuta e determinata che vorrebbe tanto essere come lui e che gli chiede sempre consiglio, di quel ragazzone gigante che riesce sempre a concentrarsi, in ogni situazione, tranne quando ha fame. Le racconta delle gare in arrivo, di quanto lui si stia allenando duramente, dei preziosi consigli di suo nonno, da sempre il suo maestro d’elezione, anche ora che Iori ha smesso di allenarsi con lui ed è passato a un dojo comune. Le racconta anche di essere preoccupato per il nonno, di vederlo spesso affaticato, troppo, e per le cose più semplici … Iori sembra improvvisamente più giovane quando ne parla, più spaventato, e Miyako ci rimane male. Non ne sapeva nulla, non si era accorta di nulla.
“A volte mi sembra di dover fare tutto da zero”, dice un pomeriggio come tanti a Ken, seduti sulla spiaggia a bere una bevanda calda. “Cioè, come se dovessi disimparare a fare tutto, per imparare a farlo meglio. Chi lo sapeva che cambiare fosse così difficile?”
Ken la guarda di sottecchi, con un sorriso sulle labbra che è difficile decifrare.
“Ecco perché la gente di solito non cambia.”
Tenere il cellulare davanti a sé mentre si sorseggia una lattina è abbastanza impegnativo.
“Sì, ma io non voglio essere la gente. Io voglio cambiare per davvero”, si acciglia, imbronciata. “E ce la sto mettendo tutta, ma a volte mi sembra che sia tutto inutile.”
Ken scuote la testa, e la guarda per un lungo istante.
“Non lo è.”
“Vorrei che Iori-kun sapesse che io ci sarò sempre per lui”. Miyako giocherella con la sabbia sotto le sue gambe. “E’ vero, sono una lagna, e a volte non mi rendo conto di dire cose inopportune, ma questo non cambia il fatto che mi taglierei un braccio per lui.”
“Se ci tieni tanto a farglielo capire perché non glielo dici?”
“Beh, gliel’ho detto.” Miyako sorseggia la sua bevanda. “L’ho anche abbracciato forte e gli ho detto che aiuterò suo nonno, se ha bisogno di qualcosa. E io ho deciso che ne avrà bisogno, perché il signor Hida non può assolutamente star male!”
Ken sorride, mentre scrive la sua risposta.
“E allora non dovresti preoccuparti. Sa che ci sei.”
“Dici davvero?” Domanda quasi supplichevole lei.
Ken annuisce, senza guardarla. E Miyako giurerebbe, nonostante i colori rosati del tramonto che danzano sui loro visi, che le guance del ragazzo siano diventate rosse.
“Non sei affatto una lagna.”
Le lancia un’occhiata, nota la sua espressione stupefatta e lusingata, e arrossisce ancora più intensamente, e per quel pomeriggio non si sbilancia oltre.
Miyako si ritrova ancora a leggere quel messaggio, a distanza di giorni. Non sa perché, ma la rende felice. La spinge a lottare con più energia di prima.
E poi, un giorno come un altro, la porta del konbini Inoue si apre mentre Miyako sta aiutando sua madre alla cassa, ed entrano Takeru e Hikari, due sorrisi luminosi e speculari sulle labbra e le mani, stranamente eppure ovviamente, intrecciate.
La visione è così sconcertante che Miyako li fissa per lunghi istanti a bocca aperta, senza riuscire a dire niente.
Hikari solleva lo sguardo su Takeru, divertita. “Te l’avevo detto che avrebbe reagito così.”
Voi!” Strilla Miyako alla fine, indicandoli col dito.
“Ho un senso di déjà-vu”, ride Takeru. “Anche se tempo fa ce l’avevi solo con me. Neanche questo va bene?”
Solleva le loro mani intrecciate perché Miyako possa vederle, e il suo sorriso si amplia. Hikari arrossisce, timida e felice.
E’ un quadro troppo bello perché Miyako possa mantenersi seria ancora per molto.
“Questo va benissimo! Ma vi sembra questo il modo di annunciare il fatto che state insieme?” Continua Miyako, cercando in ogni modo di nascondere il sorriso che le sta nascendo, suo malgrado, sulle labbra. “Cos’è, adesso siete diventati anche plateali? Che faccia tosta!”
“Scusaci”, si stringe semplicemente nelle spalle Hikari. “Abbiamo pensato non ci fosse modo migliore per dirtelo.”
E poi la fissano, l’espressione più innocente del mondo in viso.
Miyako non ce la fa più: molla tutto e corre a stringerli nell’abbraccio più stretto del mondo.
“Sono così felice per voi!”, esclama sinceramente. “Non avete idea di quanto sembriate radiosi insieme!”
“Ci abbiamo messo un po’, ma alla fine … pare avessi ragione tu, Miyako-san”, dice Takeru una volta sciolto l’abbraccio. “Era l’unica cosa sensata potessimo fare. In fondo ci stavamo solo prendendo in giro.”
“Mica prendevate in giro solo voi stessi”, le scappa senza pensarci.
I due la guardano di colpo, e Miyako si morderebbe la lingua, ma ormai è tardi, no? Può solo proseguire su questa strada.
“Beh”, tenta, un sorriso esitante sulle labbra, “Ammetterete che avete lasciato almeno un paio di cuori infranti dietro di voi … effetti collaterali dell’aver aspettato troppo!”
Miyako si sorprende a sentire come suona la sua voce; si sorprende a sentire un sapore strano in fondo alla gola. Quando per la prima volta ha sentito che Hikari e Takeru avevano deciso di cercare altrove quello che potevano trovare l’uno nell’altra avrebbe dato qualsiasi cosa per vederli assieme, sereni e innamorati … invece eccola lì, a pensare al viso di Ken quando aveva visto la sua ragazza cadere tra le braccia della sua anima gemella. Per qualche motivo, quel pensiero la disturba.
Lui non sembrava sconvolto, o particolarmente addolorato, eppure …
Eppure perché Hikari-chan gli ha fatto questo?
“Hai ragione”, risponde piano Hikari.
Miyako la guarda. La sua amica non sembra turbata, sorpresa, o arrabbiata: sembra calma, come se avesse già pensato a tutto. Sembra anche un po’ triste, e i suoi occhi castani sembrano chiederle, per qualche motivo, perdono.
“Il nostro comportamento ha avuto conseguenze che non avrebbe dovuto avere”, continua. “Lo sappiamo benissimo: siamo stati egoisti.”
“Però non possiamo cambiare il passato”, continua Takeru, stringendo appena la mano di Hikari. “Possiamo solo prendere atto di una cosa: io e Hikari-chan siamo fortunati ad essere anime gemelle. Non tutti hanno avuto questa fortuna.”
I loro volti si adombrano, e Miyako sa che stanno pensando ai loro fratelli.
“Invece noi andiamo d’accordo, e non riusciamo a smettere di orbitarci attorno”, riprende Takeru, e c’è una dolcezza improvvisa nelle sue parole. “Sono cose per cui vale la pena provarci, ecco.”
Si guardano, si sorridono, e non servono altre spiegazioni.
“Certo che sono proprio una rompiscatole”, ride Miyako imbarazzata, e giocherella con una ciocca di capelli. “Non datemi retta! Non dovete rendere conto a me. Anzi, sapete cosa? Io penso davvero che voi siate coraggiosissimi.”
Takeru e Hikari la guardano, sorpresi.
“Non fate quelle facce! Dico sul serio. Certo, voi eravate destinati a stare insieme e il destino aiuta sempre in qualche modo, ma … la scelta di buttarvi è vostra. Ecco cosa penso. Sono felicissima che i miei amici abbiano smesso di essere fifoni e si siano dati una mossa!”
Miyako sorride loro, incoraggiante, e la neo coppietta si illumina. Sembrano avere un’energia interna che li accende costantemente dall’interno, ed è quasi sdolcinato a vedersi.
Lei non vorrebbe niente di meno per sé.
“Ma perché anche quando fai il tifo per noi sembri insultarci?”, sorride Takeru, e Miyako gli fa una linguaccia.
“Non devi preoccuparti, Miyako-san”, aggiunge Hikari. “Io e Ichijouji-kun abbiamo parlato molto, e non c’è niente di irrisolto tra noi.”
La guarda dritto in faccia, e improvvisamente Miyako si sente lo stomaco congelato.
Oh, pensa di colpo. Ha parlato con Ken.
Cosa le ha detto lui? Le ha detto che si scrivono mail, che ogni tanto si vedono di persona? E in che termini potrebbe averglielo detto, che parole può aver usato?
Ma magari neanche gliel’ha detto, dai.
E anche se fosse, che problema ci sarebbe?
… Hikari era la sua ragazza però. Non ci ha pensato, quando ha deciso di invitarlo a prendere quel frappè.
Perché ci pensa solo adesso?
Santo cielo, perché Hikari la sta guardando in quel modo?
“Non sono preoccupata!” Dice in fretta con un sorriso esagerato, e si chiede cosa faccia normalmente con i muscoli del viso, quando il suo cervello non va in corto circuito. “Cioè, mi fa molto piacere che non ci siano rancori o cose simili. Siete rimasti amici? Voglio dire, diventati amici – come si dice in questi casi? Oh, lascia stare, non so quello che dico.”
Hikari ride. Miyako si prenderebbe a sberle.
“Sarà meglio che andiamo”, dice Takeru a un tratto, guardandosi alle spalle. “Mi sa che ti stiamo intralciando sul lavoro: il konbini si sta affollando.”
“Oh, scusaci!” Hikari, mortificata, fa un passo indietro, manifestando la sua intenzione di seguire l’invito di Takeru. “Tanto ci vediamo a scuola, avremo un sacco di tempo per parlare.”
“Ah … sì, certo, ovvio …” Balbetta Miyako un po’ interdetta.
“Allora a presto!” Dice Takeru sollevando la mano libera. Hikari le sorride, ed entrambi si voltano per andarsene.
E potrebbe finire così, sarebbe facile e indolore. Non c’è nulla che Miyako debba aggiungere per giustificarsi, giusto? Lei non voleva fare niente di male.
E Hikari adesso non è forse felice con Takeru? Non ha forse detto che non c’è niente di irrisolto? Non c’è più niente tra lei e Ken, no?
Potrebbe lasciar perdere.
“Io e Ken-kun ci stiamo sentendo.”
E invece parla.
Takeru e Hikari si voltano ancora.
Il viso di Miyako sembra incandescente, ma lei non abbassa lo sguardo. Deglutisce, e guarda Hikari -solo lei, nessun altro.
“Come amici, eh.” Ci tiene ad aggiungere. “Non c’è niente tra noi, giusto per essere chiari, anche se in effetti l’ho detto proprio male … non pensare cose strane, Hikari-chan. Però volevo dirtelo, perché detesto mentirti. Va bene per te? Se ti dà fastidio ti giuro che-”
“Che bella notizia”, la interrompe Hikari, il sorriso più dolce del mondo.
Miyako trasecola. “Co- davvero?”
Ok, non ha proprio idea di cosa stia succedendo, è ufficiale.
Hikari non sembra affatto arrabbiata, sconvolta o dispiaciuta. Miyako aveva creduto –sperato? – che, ora che è più sincera con se stessa e gli altri, Hikari sarebbe diventata più comprensibile all’esterno … e invece no, è più misteriosa che mai. Accidenti.
“Certo!” Il sorriso di Hikari si amplia. “Sono davvero contenta per voi.”
“Ma … voi? Ma cosa-”
“Stai tranquilla.”
Non le lascia aggiungere altro. Getta uno sguardo significativo a un super interdetto Takeru, scuote la testa come a dirgli dopo, e con un ultimo sorriso gentile Hikari si porta via il suo ragazzo, lasciando Miyako sola con la sua cassa e il suo cuore martellante nelle orecchie.
Tutto qui.
Nessun cataclisma, nessuna espressione amareggiata, nessuna richiesta di spiegazioni. Niente.
La sua testa è ancora sulle sue spalle, a quanto sembra.
Certo che ho proprio amici strambi, eh.
Non sa cosa abbia capito Hikari, o per quale motivo stesse sorridendo in quel modo. Forse è solo molto felice perché, all’uscita del konbini, può tranquillamente salire sulle punte e scoccare un bacio sulle labbra a un Takeru che sembra non capirci più niente. Forse la gioia ti mette addosso un paio di occhiali variopinti e quelle lenti colorate ti trasfigurano il mondo, e basta.
Deve essere così.
Però …
Non è buffo quanto siano cambiate le cose?
Non è forse partito tutto da Hikari e dalla sua confessione di avere una storia con Ichijouji Ken?
Com’è successo che sia Miyako, ora, a confessare a Hikari un rapporto speciale con lui e sperare che sia lei a non prendersela?
 
***
 
E’ vero che qualche volta Miyako fa cose senza pensarci, perché le sembra perfettamente normale sul momento, salvo poi rendersi conto che quel qualcosa normale non lo è, non così tanto, o che quantomeno la vita avrebbe potuto prendere una piega totalmente diversa se lei, in date circostanze, avesse pensato che potessero esserci soluzioni diverse da quelle che ha intrapreso.
E’ più o meno quello che è successo con Ken. Prima che Hikari si presentasse al konbini Inoue, lei non ci aveva affatto pensato su.
Cioè. A lui pensa spesso, a dirla tutta. Quello a cui non aveva pensato era che scrivergli, eleggerlo a strambo amico silenzioso e consigliere senza conoscerlo più di tanto, potesse essere sospetto o inopportuno.
Ichijouji Ken è qualcosa che le è più o meno capitata, non saprebbe spiegarlo meglio di così. Ma ora che ha scoperto com’è parlare con lui, non ha dubbi che si tratti di qualcosa di bello.
Non è stato difficile passare dalle mail al desiderio di vedersi di persona: a un certo punto, Miyako non saprebbe dire come, hanno cominciato a scriversi ogni giorno, tanto che una volta si è sorpresa a rendersi conto che lei non iniziava neanche più i messaggi giornalieri con un Buongiorno o Buonasera, o neanche con un Ciao.
“Ti giuro che non lo faccio apposta!” Gli aveva scritto, ridendo di sé. “E non sono così maleducata come sembro. E’ solo che è come se la mia conversazione con te non finisse mai.”
Lui le aveva risposto diversi minuti dopo.
“E’ la prima volta che ho una conversazione che non finisce mai con qualcuno. Non sei maleducata … e se lo sei, lo sono anche io, perché non ci avevo fatto caso. Mi sembrava perfettamente normale riprendere da dove ci eravamo lasciati.”
Da lì è venuto tutto da sé.
Ci sono tante cose che ha scoperto su Ichijouji Ken, nonostante lo frequenti da così poco. Innanzitutto, che è una persona particolare. E’ riservato e riflessivo, ma gli piacciono le sfide, ed è molto curioso. Ha senso dell’umorismo, eppure non si mette in mostra, e spesso il soggetto che più ridicolizza è sé stesso. E’ un ottimo ascoltatore, ma conosce un sacco di cose e gli piace discutere di argomenti diversi, dai più seri ai più bislacchi.
Senza esagerare, sono passati dalle marche di biscotti preferiti alla guerra, e dai cambiamenti climatici alle cose più stupide a cui credevano quando erano piccoli.
Con Ken non c’è bisogno di imporsi di non parlare di anime gemelle: se ne parlano va bene, anche se non accade troppo di frequente. Miyako non sa perché con lui sia diverso, ma i paletti e i confini non si sposano bene con il loro tipo di rapporto. Ed è strano, visto e considerato che Ken ancora non le rivolge la parola. A quanto pare, non sentire mai la voce di qualcuno non limita la tua sensazione di sentirti a tuo agio tanto da essere te stessa.
Con Ken Miyako riesce persino a parlare dei suoi genitori.
“Ho detto loro che non voglio lavorare al konbini da grande”, gli rivela un giorno mentre passeggiano per Shibuya. “Mi sentivo un sacco in colpa, tanto che mi tremavano tutte le gambe, pensa un po’. Però loro mi hanno sorpreso. Miyako-chan, ma cosa ti salta in mente? Tu sei brava a studiare, non abbiamo mai pensato di lasciare il konbini a te: ci sono i tuoi fratelli. Tu vorresti fare l’università, vero? Mi credi se ti dico che ero sconvolta? In tutti questi anni ho creduto che non sapessero nulla di me, e invece sapevano che avrei voluto fare l’università persino prima di me!”
Ken si sorprende un sacco. “Non pensavo che anche tu avessi problemi così.”
“Sì, a quanto pare sono la regina dell’incoerenza: parlo con tutti meno che con la mia famiglia, è ridicolo. Ma tutto questo cambierà.” Poi Miyako lo guarda, e realizza. “Ma… hai detto anche tu?
Il sorriso di Ken è a un tratto molto amaro, e i suoi occhi troppo assenti.
“Hai dimenticato che sono scappato di casa quando avevo dodici anni?”
Leggere quelle parole sul display del cellulare la fa un po’ sobbalzare. “No, non l’ho dimenticato, però …” Balbetta, e per un attimo non sa che dire. Il pianto disperato della signora Ichijouji le risuona ancora nelle orecchie, e non sa collegare quel ricordo al viso serio e amaro di Ken. “Hai risolto con loro, vero? Adesso vi parlate?”
“A volte è ancora difficile dire loro quello che penso”, scrive lentamente Ken. “Ma va sempre meglio. Per lo meno adesso sanno quello che contano per me.”
“E’ un’ottima notizia!” Sospira sollevata Miyako. “Devono volerti davvero bene.”
Ken sorride appena. “Non sono il figlio che meriterebbero, ma farò del mio meglio. Non sarò mai come Osamu, ma non voglio che questo sia un problema.”
“Osamu?” Miyako si ferma, e questa volta è lei a essere sorpresa. “Aspetta, hai un fratello?! Come facevo a non saperlo? Tempo fa sapevo tutto di te!”
“Perché è morto.”
Il gelo la colpisce a tradimento prima ancora che il suo cervello abbia correttamente processato il messaggio.
Miyako lo guarda, Ken fa lo stesso. E’ serio, e un po’ dolente. Non è l’espressione di un idiota che dice bugie tanto gravi giusto per fare lo spiritoso.
“Come, morto?” Sussurra incredula.
“E’ stato investito da un’auto. E’ successo molto tempo fa.”
Miyako non riesce a trovare niente da dire: di colpo sembra tutto incredibilmente futile. Cosa c’è di paragonabile alla morte di un fratello? Ha davvero importanza che sia successo tanto tempo fa?
“E tu che mi hai fatto parlare di scemenze finora”, dice senza fiato, e si sente addolorata. “Mi sento così stupida ora. Non potevi avvertirmi? Mi sono lamentata un sacco di volte dei miei fratelli …”
Ken scuote la testa in modo deciso.
“Tutti hanno problemi, e non credo che le persone debbano smettere di considerarli importanti solo perché qualcun altro ha avuto di peggio. Non preoccuparti. Come ti ho detto, è una storia vecchia.”
“Però mi dispiace tanto”, dice con un filo di voce Miyako.
Lui le sorride, e le strane ombre sul suo viso sembrano un po’ assottigliarsi.
Quel giorno lei non gli chiede più nulla, e dopo quella confessione lui cambia decisamente argomento, come se non volesse parlarne. Da quel giorno Miyako capisce anche un’altra cosa di Ken: ci dev’essere per forza un motivo molto valido per cui questo ragazzo, tre anni fa, era un bullo arrogante della peggior specie. Ne aveva avuto il sentore, dopo quella maledetta partita e tutto il resto, ma non ci aveva mai seriamente pensato. Magari era solo molto sofferente. Magari lo è ancora.
Ci sono tante cose che non sa di Ichijouji Ken.
Però conosce le minuzie, questo sì.
Conosce l’espressione che fa quando sta per scriverle una battuta, perché le sue labbra tendono verso l’alto, qualunque cosa lui faccia per mascherarlo. Conosce la sua voce quando ride – lo ha fatto ridere di gusto una volta: il suo viso era acceso, le sue guance anche. Lei gli ha detto d’istinto che quando ride è davvero carino, e questo lo ha mandato in corto circuito per qualche minuto.
Riesce a riconoscere quando non è sicuro di quel che dice, perché ci mette tanto tempo a inviarle un messaggio, tanto che a volte Miyako si sporge verso la sua spalla per sbirciare, e lui le scrive, timidissimo, Non essere impaziente.
Sa che a volte i suoi occhi diventano così trasparenti che può quasi sbirciargli l’anima, e quando lui la guarda Miyako si illude che sia lui a permetterglielo, perché si fida di lei. Lo sa, dopotutto: lui non è così con tutti.
Sa anche che Ken è molto bravo nello studio, ma che, a dispetto di quel che credeva lei, non conosce la soluzione di alcuni quesiti matematici su cui Miyako si stava preparando un giorno in cui sono andati assieme in biblioteca.
“Pensavo che, essendo un genio, magari fossi a un livello più avanzato di conoscenze rispetto alla tua età! Allora i giornalisti esageravano?” Gli chiede, sinceramente sorpresa e con nessun intento derisorio. Vuole solo sapere.
“Sicuramente esageravano”, risponde Ken, accigliato e anche un po’ mortificato. “Però è vero che tempo fa non facevo altro che studiare. Volevo essere un genio. Ora voglio essere solo Ken.”
E quella risposta le piace un sacco.
A volte pensa che loro due siano simili, in qualche modo, anche se il loro carattere è praticamente agli antipodi. Sembrano entrambi non sapere come si legge una bussola in un mondo di marinai. Certe volte Miyako scherza, e gli dice “Siamo proprio due disagiati allo sbaraglio”: Ken scuote la testa, scrive “Evviva”, e poi sorride. Perché lo sa che non è un problema per nessuno dei due.
E questo è rassicurante.
Miyako riflette su tutto questo, quando torna a casa e può buttarsi, stanca morta, sul letto. Ci riflette attentamente, scrutando il soffitto come se avesse la risposta a tutti i suoi problemi.
E poi capisce che, se a Hikari fosse dispiaciuto che lei e Ken avessero creato questa specie di strambo rapporto inclassificabile ma prezioso, Miyako si sarebbe certamente scusata, e avrebbe promesso solennemente – per poi rispettare sul serio la parola data, che diamine, ci tiene a queste cose, e ci tiene alla sua amicizia con Hikari – di evitare per quanto possibile di restare da sola con lui. Avrebbe cercato di frequentarlo comunque, certo, perché lui le piace come persona e le piace quello che sta succedendo tra loro, ma lo avrebbe fatto coinvolgendo Daisuke, per esempio, oppure qualcun altro dei suoi amici, onde evitare fraintendimenti.
Però le sarebbe dispiaciuto un sacco.
Perché lui la fa stare bene, in modi che per il momento Miyako neanche capisce del tutto, e rinunciare anche solo a una piccola parte di questo benessere le sarebbe sembrato qualcosa di infinitamente triste.

 
***
 
Per la fine degli esami Hikari decide di far felice il povero Daisuke sofferente, e di organizzare un pomeriggio tutti insieme a casa Yagami.
E’ una specie di evento epocale, anche se ci scommette che Hikari non avesse la minima intenzione di renderlo tale. Tanto per cominciare, è la prima volta che Takeru e Hikari si presentano a una riunione del gruppo come coppia, e questo senza dubbio modifica tutti gli equilibri in modi sconcertanti; seconda cosa, alla stessa riunione è invitato anche Ken, che, se avranno tutti un po’ di fortuna, non cercherà in nessun modo di accoltellare la legittima anima gemella della sua ex ragazza.
Terza cosa, è la prima volta che Taichi vede Takeru dopo il disastro Sora e Yamato, ma per fortuna lui non trascorrerà direttamente tempo con loro: di solito non lo fa, anche se si affaccia qualche volta per chiacchierare o per mangiucchiare qualcosa assieme. In più, oggi ha compagnia anche lui.
E andrebbe benissimo, ovviamente … se solo la suddetta compagnia, la stessa che le apre la porta quando Miyako si presenta a casa Yagami, non fosse Koushiro.
“Ah”, dice lui aggrappato alla maniglia, molto sorpreso.
“Koushiro-san!” Esclama lei, ancora più sorpresa.
E poi si fissano come due stoccafissi senza aprire bocca.
“Perché sei tu ad aprire la porta di casa?” Chiede poi Miyako, cercando goffamente di rompere il ghiaccio.
“Stavo aspettando – lascia stare, non importa. Taichi-san non poteva aprire”, spiega Koushiro, e si sposta su un lato per farla entrare. “Stava aiutando Hikari-san a organizzare gli snack.”
“Chi è che stavi aspettando?” Indaga Miyako.
Koushiro svia decisamente l’argomento.
“E’ un po’ che non ho tue notizie”, le dice, e i suoi occhi neri sono confusi.
Ed ecco lì il tanto atteso tuffo delle viscere. Miyako incassa il colpo.
Tipico di Koushiro. Non ci ha messo troppo a tirar fuori l’Argomento Scomodo.
La verità è che lei è attivamente sparita dal suo radar, altro che non dare sue notizie. Non se la sentiva proprio di affrontarlo, nonostante tutti i suoi buoni propositi e tutte le cose che sta facendo per cercare di vivere meglio la sua vita: Koushiro rimaneva qualcosa da evitare, fisicamente e mentalmente.
Povero Koushiro. Non se lo merita per niente.
E non si merita neanche il fatto che ora, a dispetto di tutto e del fatto che Miyako si senta terribilmente in colpa, non sia cambiato nulla: lei vuole ancora scappare via da lui.
“Questo è perché stai parlando con una Nuova Miyako!” Annuncia a voce alta, cercando di apparire disinvolta –senza troppi risultati, sospetta. Non può fare a meno di sbirciare verso la camera di Hikari, con la speranza di essere salvata da qualcuno, in qualunque modo. “Vorrei tanto spiegarti, ma mi sa che sono in ritardo e mi aspettano di là … Che ne dici se ne parliamo la prossima volta?”
Sembra una scusa plausibile, no?
Fa’ che se la beva, ti prego.
Koushiro non se la beve. Le sue sopracciglia scattano verso il basso.
“Miyako-kun, non capisco cosa stia succedendo”, esclama, e sembra esasperato. Il senso di colpa di Miyako si acuisce un altro po’. “Tempo fa mi scrivevi quasi ogni giorno, ora sembra che tu non abbia alcuna voglia di rivolgermi la parola. Come cambiamento non è un po’ troppo drastico? Credo che dovresti come minimo spiegarmi cosa ti ha fatto cambiare idea in modo repentino …”
“Ora dovrei spiegarti, eh?” Risponde Miyako, colta sul vivo. “Curioso! Ti ho chiesto mille volte spiegazioni sulle tue Parole, ma quelle non meritavo di conoscerle, giusto?”
Koushiro ammutolisce, e lascia ricadere le braccia lungo i fianchi.
Miyako maledice di nuovo la sua boccaccia larga, e strizza gli occhi.
“Senti”, ritenta stancamente. “Non ha senso parlarti così, non ce l’ho con te.”
Koushiro la guarda scettico. “Davvero?”
“No, ok, un pochino sì.” Ritratta Miyako. “Ma davvero, solo un pochino. Non ha a che vedere strettamente con te: è solo tutto complicato. C’è un motivo se non sono riuscita a parlarti in questo-”
“Miyako!”
La salvezza in cui poco prima aveva sperato si concretizza nella voce esasperata di Daisuke, e i due sobbalzano entrambi, per poi voltarsi nella direzione della porta della stanza di Hikari.
Di Daisuke è visibile solo la testa arruffata e metà volto: si dev’essere sporto quel tanto che basta per far sentire la sua presenza anche a distanza. “Si può sapere che fai lì impalata? Qui stiamo aspettando te, sai!”
“Ma cosa vuoi? Sono appena arrivata, dammi almeno il tempo di togliermi le scarpe!” Gli risponde Miyako a tono.
“Poi non lamentarti se i salatini finiscono!” Ribatte Daisuke, e la sua testa torna a scomparire nella stanza.
Miyako sbuffa. “Il solito maleducato.”
“Forse è davvero meglio rimandare questa discussione.”
Lei volta nuovamente, e scopre che Koushiro la sta guardando, una strana espressione pensierosa sul viso.
E improvvisamente Miyako è invasa dalla quantità dei non detti tra loro due.
Le piaceva un sacco parlare con lui, prima. Non vedeva l’ora di raccontargli i suoi progressi e sperare nella sua approvazione, o di sentirsi simile a lui, in qualche maniera. Solo anticipare col pensiero il momento in cui sarebbero stati assieme la faceva sentire piena di energia, su una specie di montagna russa psichedelica.
E’ triste pensarci ora.
“Io voglio davvero parlare con te”, gli dice, ed è quasi una supplica. “Voglio riuscire a spiegarti tutto.”
“Sì”, annuisce Koushiro grave. “Anche io.”
Miyako sgrana gli occhi, sorpresa.
Ma Koushiro non le dice altro: si volta, come se non la vedesse più, e sparisce nel corridoio, probabilmente raggiungendo Taichi in una qualche stanza della casa.
Miyako sospira, ascoltando il suo cuore che, non sa quando, ha preso a batterle a ritmo irregolare nel petto. Si china a togliersi le scarpe, nelle orecchie le chiacchiere scomposte e vivaci dei suoi amici che la aspettano in camera.
Una Nuova Miyako, eh?
Non è che sta prendendo un granchio, ed è sempre la stessa con comportamenti diversi?
“Miyako-san! Ben arrivata”, la accoglie la voce vivace di Hikari, e Miyako solleva il capo. La sua amica ha una ciotola di patatine tra le mani, e sorride con tutta l’anima. “Dai, vieni. Sono tutti di là.”
E lei non può fare a meno di obbedire.
La stanza è piena di alcune delle sue persone preferite, e Miyako è felice di essere accolta dalla sensazione di familiarità e serenità che i suoi amici naturalmente emanano. La salutano, le fanno posto, le offrono una bevanda gassata. Stanno parlando degli ultimi strascichi degli esami appena conclusi, come a volersi liberare delle loro ultime scorie prima di potersi dedicare a un po’ di meritato riposo e divertimento.
“Non sono per niente sicuro delle ultime tre domande del mio compito”, si sta lamentando Iori, decisamente preoccupato. “Non ho ancora avuto modo di verificarle, ma spero di non averle sbagliate.”
“Solo delle ultime tre?” Risponde Daisuke sinceramente incredulo. “Se dovessi mettermi a pensare a tutte le risposte su cui non sono sicuro …!”
“Daisuke-san, devi impegnarti di più”, lo rimprovera Iori. Daisuke scrolla le spalle, rubando una patatina dalla ciotola che Hikari ha portato dalla cucina.
“Spezzo una lancia in favore di Daisuke-kun”, interviene Takeru. “Questa volta non ero troppo concentrato nemmeno io.”
Hikari si siede accanto a lui, e Takeru si illumina. Le cinge le spalle con un braccio, e si rivolge a loro. “Hikari-chan è seduta al banco accanto al mio, dopotutto”, si giustifica, senza sembrare neanche un po’ contrito.
Hikari lo guarda, l’innocenza fatta persona. “Scusami, non ti ho fatto concentrare? Sono stata troppo rumorosa?” Gli dice, mortificata.
Takeru sembra interdetto. “No, intendevo – era in senso buono, cioè che tu-”
Miyako sogghigna. “Ti è andata male, Takeru-kun. Lei non si è distratta standoti accanto, al contrario tuo”, insinua.
Takeru porta una mano al petto, tragico, come se lo avessero ferito. Hikari guarda entrambi sempre più mortificata, senza capire.
“Dai, ragazzi, volete smetterla?” Si lagna Daisuke con una smorfia. “Tutto questo mi ricorda che ancora non ho una ragazza.”
“Il prossimo sarai tu, Daisuke-kun”, gli risponde dolcemente Hikari.
La smorfia di Daisuke si accentua. “Hikari-chan, non dirmi così proprio tu!”
Ridono tutti, e per un attimo tutto sembra leggero, spensierato, felice.
Poi Miyako si volta, e incontra gli occhi blu di Ken, seduto accanto a lei.
Non ha fatto apposta a sederglisi accanto: è semplicemente successo, senza pensarci, ma col senno di poi ne è molto felice. Così può parlargli senza attirare troppo l’attenzione, anche perché si è appena resa conto di aver fatto una gaffe tremenda.
“Ehi, scusa”, gli sorride, imbarazzata. “Stiamo esagerando con Hikari-chan? Sei così silenzioso e discreto che non è facile ricordarci di non essere stupidi. Se vuoi li faccio smettere!”
Ken sembra un po’ rigido, seduto sul pavimento, ma non sembra arrabbiato. Scuote appena la testa, e la osserva per un tempo che sembra interminabile. Miyako non sa cosa stia cercando.
“Tutto ok?” Gli chiede. “Onestamente. Lo sai che ci tengo a te.”
Ken diventa improvvisamente scarlatto, e Miyako lo trova così adorabile mentre china di colpo la testa per cercare il cellulare che non può che sorridere.
“Non sono turbato per loro due, non preoccuparti. Sono felice per loro. Sembrano star bene … no?”
Miyako aggrotta le sopracciglia. “Ken-kun, vuoi costringermi a dire cose di cui potrei pentirmi?”
“Non pentirti, ti ripeto che non è un problema.”
“Ok, d’accordo.” Miyako guarda verso Takeru e Hikari, ancora abbracciati mentre parlano serenamente con gli altri, e il suo sorriso si amplia senza che lei possa farci nulla. “Sembrano stare più che bene.”
“Mi fa piacere.”
“Ma dici davvero?” Miyako lo guarda con sospetto. “E allora perché sembri seduto sulle uova?”
Ken si muove un po’ a disagio, probabilmente nel tentativo di sciogliersi.
“Mi chiedevo se stessi bene tu.”
Il messaggio la lascia interdetta. “Io?”
Ken la guarda, e sembra improvvisamente guardingo. Poi sparisce tra i capelli scuri mentre digita un breve messaggio.
“Izumi-san.”
Miyako sussulta. Ken la guarda, e non aggiunge altro. Sembra starla aspettando.
“Ah”, gli dice, un sorriso esitante. “Mi hai sentito parlare con lui di là?”
Ken ha un’espressione esitante, come se stesse lottando contro qualcosa. Tira un respiro profondo, riprende il telefono, cancella più volte quello che sta scrivendo.
“Sei preoccupato per me?” Capisce di colpo Miyako. Ken china maggiormente la testa sul telefono, e si blocca. “Tranquillo, non stavamo litigando. Mi sono solo ricordata che sono una fifona, tutto qui.”
Ken la guarda di sottecchi.
“E’ un po’ lungo da spiegare”, ride lei, e agita una mano davanti a sé. “Lasciamoci queste amarezze alle spalle! Piuttosto, sono andati bene gli esami? Io devo dire di essere abbastanza sicura di quello che ho scritto!”
Ken non sembra per nulla convinto.
Miyako si rende conto improvvisamente che Iori li sta guardando fisso, dall’altra parte della stanza. Gli lancia un’occhiata interrogativa, ma lui si limita a guardare altrove. Chi lo capisce è bravo.
Dall’ingresso si sente improvvisamente il suono di un campanello suonare.
“Ma chi altro deve arrivare?” Domanda Miyako a voce alta, e d’un tratto ripensa a Koushiro che va ad aprire la porta rimanendo sorpreso. “Non siamo già tutti?”
“In teoria”, si acciglia Iori, e si volta a guardare la padrona di casa.
Hikari sorride ampiamente, e sembra più misteriosa che mai.
“Ok, cosa sta succedendo?” Domanda Takeru spiazzato.
Ken osserva la porta con curiosità.
Dal corridoio si sentono passi, sussurri concitati, qualcuno che zittisce qualcun altro. Miyako è sempre più confusa, e guarda gli altri senza capire.
I passi si avvicinano alla loro stanza, si fermano. Altri sussurri.
Poi qualcuno bussa un paio di volte, e apre la porta.
Sulla soglia c’è Taichi, un sorriso entusiasta e uno sguardo d’intesa con Hikari. Dietro di lui Koushiro, che sembra stia ostruendo la visuale di proposito.
“Si può?” Dice Taichi. “C’è qualcuno che vorrebbe farvi un saluto.”
“Insomma, cos’è tutto questo mistero? Non lasciateci sulle spine, tutti quanti!” Si lamenta Miyako impaziente, cercando di sbirciare allungando il collo.
Taichi alza le mani. “Come volete.” E, uno sguardo a Koushiro, fanno entrambi un passo indietro.
Hello!
Miyako avverte un tuffo al cuore.
Dalla soglia compaiono due persone: una ragazza dai lisci capelli castani e un ragazzo biondo dagli occhi azzurri che la accompagna.
La ragazza sorride, il sorriso più luminoso del mondo, e solleva una mano piena di bracciali tintinnanti. “Vi sono mancata?”
“Mimi-neechan!”
Miyako si alza e corre ad abbracciarla stretta, felice come non mai. Mimi ride, e la stringe a sua volta.
“Sorpresa riuscita!” Si complimenta con se stessa, molto soddisfatta.
Dietro di lei Michael, il suo ragazzo e la sua anima gemella, solleva un pollice in segno di vittoria, e la stanza si riempie di esclamazioni di gioia e saluti entusiasti.
 
***
 
“Era un secolo che volevo venire a trovarvi, ma non riuscivo mai a trovare il momento adatto! Quando potevo io eravate impegnati voi, e così via.”
Mimi è seduta in mezzo a loro, e sembra totalmente a suo agio a dirigere e a stare al centro della conversazione. E’ una sua qualità incredibile: la semplicità con la quale sa comportarsi come una principessa senza per questo risultare antipatica.
Miyako ha sempre adorato quell’aspetto di lei.
Ma chi vuole ingannare? Miyako ha sempre adorato tutto di lei. E’ il suo modello di vita fin da quando la conosce.
“Ma come hai potuto non dirci niente? Ti avremmo accolto come si deve se l’avessimo saputo!” Protesta Miyako, in realtà senza essere affatto arrabbiata.
Mimi le lancia un’occhiata di rimprovero, mettendosi le mani sui fianchi perfettamente modellati. “Tu non parlare! Hai smesso di rispondermi alle mail da un momento all’altro!”
Ops. Si era dimenticata di non averle più spedito quella mail, alla fine.
“Per non parlare poi di voialtri. Nessuno che si sia degnato di farmi sapere più niente su quel che succede qui!” Mimi guarda tutti storto, salvando giusto Daisuke, Iori e Ken.
“Scusaci”, fa Hikari guardandola negli occhi.
“E’ incredibile che ti scusi tu quando sei quella che ha commesso il male minore”, scuote la testa Mimi. “Se non altro tu e Takeru-kun vi siete dati una mossa. A proposito, che ne è stato dell’ex?”
“Ehm”, tossicchia Takeru.
Involontariamente tutti gli occhi si posano su Ken, e lui ha di colpo l’espressione affranta di chi vorrebbe sparire dalla faccia della Terra.
Mimi sgrana gli occhi, mettendosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Ah, quindi sei tu Ichijouji!” Esclama, osservandolo con interesse. “Siete rimasti amici? Bravi, il rancore rovina la salute e fa invecchiare molto prima!”
“Mimi-san”, la riprende debolmente Hikari, molto imbarazzata.
Ken, dal canto suo, lancia un’occhiata a Hikari, come per accertarsi che Mimi abbai senza mordere, poi le fa un goffo inchino con il capo.
Mimi rimane interdetta.
“Non ci far caso”, interviene vivacemente Miyako, sentendosi improvvisamente una grande esperta. Non sa perché, ma si sente un po’ sollevata. “Ken-kun non parla con le donne. Non è mica per te! Giusto?”
Guarda Ken, e si sorprende a trovare il suo sguardo ancora fisso sulle ginocchia.
“Dovresti conoscere Jyou-san”, commenta Mimi sorpresa. “Credo andreste d’accordo.”
“Insomma, ma parlaci di te!” La incalza Miyako, sporgendosi involontariamente verso la sua amica. “Come stai? Che ci fai qui? Sono contenta che tu sia arrivata giusto in tempo per la fine dei nostri esami!”
Mimi le strizza l’occhio. “E secondo te non era tutto calcolato?” Si vanta, e scambia un’occhiata complice con Michael. “Volevo tornare, te l’ho detto. Ho sentito Sora-san in questi giorni. Mi ha raccontato un po’ di cose.”
Taichi, ancora appoggiato sullo stipite della porta, distoglie volutamente lo sguardo. Koushiro si adombra.
“Quindi sai tutto”, commenta Miyako con una smorfia. Poi guarda Taichi, indecisa su come continuare senza ferirlo.
Taichi decide di toglierla dall’imbarazzo.
“Come sta Sora?” Chiede a Mimi, e sembra fare forza su se stesso.
Mimi scuote la testa, rattristata. “Non una favola. Però”, aggiunge poi, con rinnovata grinta, “Ora che sono a Tokyo sarà più facile parlare un po’! La trascino di peso stasera, andiamo a divertirci!”
Miyako non ha bisogno di sforzarsi per sapere che Mimi l’avrà vinta, e porterà Sora in giro quanto le pare, riuscendo anche a strapparle qualche risata sincera. Mimi ha quest’effetto sulle persone.
E’ un effetto rassicurante.
“Ho scritto anche a quell’orso di tuo fratello, ma non mi ha risposto”, continua Mimi, guardando imbronciata Takeru. “Se mi sta ignorando di proposito, povero lui!”
“Temo sia così”, risponde Takeru con una risata. “Ma si farà vivo, non preoccuparti. Ha sicuramente voglia di vederti, è solo che … beh, è tutto strano ora.”
Taichi fa un mezzo sbuffo ironico. “Ottima sintesi.”
“Spero che ci ripenserà, visto che non ho troppo tempo da poter passare qui in Giappone”, ribatte Mimi sollevando il mento con aria altezzosa. “Lo stesso vale per Jyou-san, ovviamente. E’ inutile che scappa con la scusa dello studio, io devo conoscere la sua anima gemella!”
“Jyou-san ha trovato l’anima gemella?” Cade dalle nuvole Koushiro, seriamente spiazzato.
Si becca l’espressione incredula di tutte le persone che ne erano già a conoscenza, e la sua bocca si spalanca ancora di più.
“Quindi ero l’unico a non saperlo?”
“Comunque sia”, lo ignora volutamente Mimi, “Io ho portato Michael con me questa volta, e non ho intenzione di sprecare un’ottima occasione per fare qualcosa di divertente tutti insieme! Siete anche liberi, non avete scuse.”
Lancia loro un sorriso carico di promesse, e Miyako sa che è arrivato il momento in cui sgancerà la bomba. Ogni volta che torna Mimi, Tokyo sembra piegarsi alla sua volontà, e non ci sono impedimenti che tengano: c’è solo l’energia scoppiettante di una nuova avventura. E non si può mai indovinare in cosa consisterà.
Miyako trattiene il fiato, e si prepara.
“Sono felice di fare la vostra conoscenza”, si presenta Michael scandendo ogni parola, come se avesse appena imparato a parlare in giapponese. “Mimi mi ha parlato di terme qui in Giappone, e mi piacerebbe vederle assieme a voi. Facciamo una gita?”
Nice!” Mimi gli sorride con entusiasmo e tenerezza, e Michael la guarda come se fosse la persona più meravigliosa del pianeta. “Io, lui, voi, terme! Prenotiamo per una notte e ci godiamo un po’ di Giappone tutti insieme! Cosa dite?”
Ed ecco qui. La proposta è lanciata come un tiro di dadi: ora sta a loro decidere come giocare.
“Eh? Terme?” Daisuke si gratta il capo, preoccupato. “Se lo sapevo prima evitavo di comprare quel videogioco ieri … non ho tanti soldi da parte!”
“Non preoccuparti, Michael qui è ricco.” Interviene Mimi senza scomporsi. “Paga lui.”
Iori si strozza con la sua aranciata.
“Stai scherzando?” Esclama Miyako con voce stridula. “Cioè, fammi capire un po’ … Te lo sei trovato bello, gentile, pazzo di te e pure ricco?”
“Ovvio”, sorride furba Mimi.
Michael le guarda candidamente senza capire cosa stia succedendo.
“Pago io”, ripete sorridendo.
“Ma non posso accettare una cosa simile”, protesta ovviamente Iori. “Devi quantomeno permetterci di contribuire.”
“D’accordo, se volete potete pagare il biglietto per arrivare a destinazione”, concede Mimi, con il tono categorico di chi ha già deciso per tutti e non accetta repliche. “Dai, ditemi che ci sarete! Organizzo tutto io per dopodomani, voglio solo assicurarmi che mi direte di sì!”
E poi li guarda uno per uno, gli occhi che le brillano, e aspetta.
 “Mimi, siamo gli unici ad essere invitati?” Chiede Taichi con le sopracciglia corrugate. E’ una domanda che prevede una decisione netta, non negoziabile, in base alla risposta.
“Giuro”, risponde solennemente Mimi. “Sora-san non ci sarà.”
Il viso di Taichi sembra rilassarsi visibilmente. “Allora ci sto.”
“Non amo le terme, ma ci sarò anche io”, interviene Koushiro facendo spallucce, come se non gli importasse troppo la destinazione.
“Beh, un viaggio con i senpai non me lo perdo!” Esclama Daisuke vitale. “Soprattutto se praticamente gratis.”
“Daisuke-san”, lo riprende Iori, e poi scuote la testa. “Io non so, dipende tutto da come sta nonno. Non voglio gravare troppo su mia madre …”
“Si tratta solo di un giorno, Iori-kun”, interviene Miyako rassicurante. “Vedrai che non ci sarà problema, e saranno loro stessi a dirti di andare. Ti sei meritato una vacanza!”
Iori abbassa il capo, sentendosi probabilmente in colpa per star desiderando qualcosa per sé. “Vi farò sapere. Se non potrò esserci mi dispiacerà molto, ma sono sicuro vi divertirete ugualmente.”
“Accidenti, questa non ci voleva”, fa Mimi con una smorfia. “Spero davvero sarai dei nostri!”
Iori le risponde semplicemente con un sorriso.
“E’ tanto che non vado alle terme”, dice Takeru pensieroso. “E’ un bel modo per goderci un po’ di meritato riposo!”
“E per festeggiare il ritorno di Mimi-san”, aggiunge Hikari con un sorriso. “Noi ci siamo volentieri.”
“Bravi ragazzi”, annuisce soddisfatta Mimi.
Poi si volta verso Miyako, aggrottando le sopracciglia.
“E tu come mai non hai detto niente, Miyako-chan? Non provare a dirmi che non vieni!” Le dice, con un tono pericoloso.
“No, no!” Si affretta a dire precipitosamente Miyako, agitando le mani davanti a sé. “Stavo solo capendo se c’eravamo tutti, prima di dire la mia!”
“E da quando in qua?” Le domanda Mimi perplessa.
Da quando sembra che i rapporti tra tutti loro si siano ingarbugliati, ecco da quando.
Da quando il fatto che venga Taichi significhi precludersi la presenza di Yamato e Sora.
Da quando il fatto che ci sia anche Koushiro rende tutto, di colpo, più difficile, anche se lui non sembra accorgersi del problema e sta lì ad assaggiare salatini con aria distratta.
Da quando Takeru e Hikari sono una coppia.
Miyako si volta verso Ken, e scopre che lui la sta guardando ancora una volta. Lui può capirla.
E paradossalmente è proprio questo che fa scattare la molla dentro di lei.
La verità è che non le importa niente di tutto questo. Non le importa degli equilibri rotti, né dei possibili disagi tra loro, e neanche della sua paura di parlare con Koushiro: quello che le importa davvero è che sono tutti qui riuniti, tenuti insieme dall’energia e dall’entusiasmo di Mimi, e che hanno un’occasione unica per divertirsi tutti insieme, per bearsi gioiosamente della presenza di tutti e creare ricordi memorabili.
E Miyako vuole quell’occasione, con tutta se stessa.
“Non mi perderei questa gita per nulla al mondo”, risponde a Mimi sincera, con un enorme sorriso sicuro. “Ma solo a patto che siamo tutti!”
Guarda Ken, e sente il suo sorriso farsi speranzoso. “Tu verrai, Ken-kun?”
Perché capirebbe se lui non volesse venire. Capirebbe se non volesse trascorrere tutte quelle ore con Takeru e Hikari che fanno i piccioncini innamorati.
Però Miyako vorrebbe tanto che Ken venisse. Tutto qui, senza troppo fronzoli.
Vorrebbe che in quei ricordi ci fosse anche Ken.
Ken sembra sorpreso, per un momento. Lo vede esitare, poi drizzarsi, e i suoi occhi illuminarsi un po’. Annuisce, e le sorride, timido.
Miyako si sente felice.
 “Allora è deciso!” Esclama Mimi al settimo cielo. “Dopodomani le terme saranno tutte nostre!”
E poi si volta, raccoglie il suo zainetto che ha lasciato ai suoi piedi quando si è seduta, ed estrae senza esitazione alcuni pacchetti variopinti.
“Per festeggiare, chi vuole qualche dolcetto americano?”
La risposta non può che essere un unanime Io.
 
***
 
“Lo sai, per un momento ho temuto davvero non venissi.”
Miyako e Ken stanno passeggiando verso la stazione metropolitana, mentre il sole tramonta da qualche parte oltre i grattacieli. Miyako non fa che camminare troppo in fretta, mentre Ken ha la strana tendenza a camminare piano.
“Temuto?” Le scrive Ken.
Miyako si ferma e lascia che lui la raggiunga. “Ken-kun, prima o poi smetterai di sorprenderti per cose del genere?” Si lamenta per scherzo.
Ken sorride, distogliendo lo sguardo. “Credo di no.”
“Sei impossibile. Certo, temuto”, scandisce Miyako, e riprende entusiasticamente a camminare. “E’ la prima volta che facciamo qualcosa tutti assieme, e che tu lo voglia o no, sei parte del gruppo adesso!”
“Dici davvero?”
Ancora una volta Miyako si ritrova a desiderare di poter sentire la voce di Ken. Quanto sarebbe bello dare un suono a quel messaggio esitante?
Stupido Ken. Prima o poi lo ammazzerà, se lo sente.
“Ti ho mai mentito?” Replica Miyako, e malgrado tutto sorride. “Dai, non ti preoccupare! Sarà bellissimo.”
“In realtà io non sono mai stato alle terme.”
“Ah, neanche io”. Miyako osserva il cielo che tende al crepuscolo, pensierosa. “Da bambina morivo dalla voglia di andarci. Naturalmente la mia motivazione era idiota: volevo andare alle terme miste per potermi far riconoscere dalla mia anima gemella. Sai, con il fatto che saremmo stati nudi e tutto il resto.”
Ken si ferma di botto. Miyako, confusa, si gira verso di lui: il suo viso sconvolto è tendente al bordeaux.
“Cosa?” Gli chiede innocentemente.
Lui si passa una mano sul viso, scuotendo la testa. Sembra rifiutarsi di guardarla.
“Oh, è per la storia della nudità?” Capisce di colpo. Ken sembra nascondersi maggiormente dietro la mano. “Non ci pensare, non credo che Mimi-neechan apprezzi le terme miste. Sicuramente opteremo per vasche separate per maschi e femmine!”
Ken la guarda, incredulo e paonazzo, e si affretta a scrivere un messaggio che invia per sbaglio.
“Non era per que”
Que- cosa?” Ride Miyako, senza capire.
Ken scuote risoluto la testa. “Cambiamo argomento.”
“Boh, certo che sei strano.” Miyako riprende a camminare. “Comunque sia, non credo proprio dovrai preoccuparti di nascondere le tue Parole, ovunque siano.”
Ed ecco che pensa di nuovo alle Parole di Ken. E’ una cosa che le capita spesso: avverte una curiosità a riguardo che sarebbe considerata indecente da chiunque. Non sta bene cercare di capire dove si trovino, o quali possano essere le Parole di qualcuno che non ha ancora trovato la propria anima gemella. E lei dovrebbe saperlo molto bene, giusto? Davvero non ha imparato niente da quando era una dodicenne sciocca?
Eppure non può fare a meno di interrogarsi sull’anima gemella di Ken.
Chissà chi è, cosa fa, dove vive. Chissà se lui la incontrerà mai.
E’ un pensiero che la fa sentire strana, in modi che non riesce a comprendere.
“Ho sentito dire che ci sono cerotti speciali che, se applicati sulla pelle e bagnati con un panno umido, ti colorano la pelle in modo da coprire le Parole”, continua Miyako, imponendosi di tornare a pensieri più utili e meno morbosi. “Credo li abbiano inventati apposta per poter permettere alle persone di frequentare le terme. Secondo me sono gli stabilimenti stessi che li mettono a disposizione!”
Per qualche istante Miyako aspetta un messaggio che non arriva.
“Pensi che li userai?” Indaga quindi, osservandolo ancora.
Ken sembra in imbarazzo, e si sta guardando i piedi. Coglie lo sguardo interrogativo di Miyako, e si affretta a prendere il cellulare e scrivere pochi caratteri.
“Credo di sì.”
“Ah, quindi anche le tue Parole sono abbastanza in vista!” Esclama Miyako, e suo malgrado si sente felice di aver scoperto un nuovo indizio. Perché non riesce a smettere di pensarci?
Ken esita. “Non troppo però.”
“Uffa, così mi viene curiosità però!” Si lamenta Miyako.
Ken fa un mezzo sorriso distratto, come a scusarsi del fatto che non aggiungerà altro. Poi i suoi occhi si posano, per un istante, sul polsino di Miyako, prima che Ken si renda conto di quello che ha appena fatto: come ustionato, distoglie in fretta lo sguardo, e arrossisce.
Miyako gli sorride. “Guarda che non fai niente di male”, gli dice, e mentre parla si assicura che il polsino copra accuratamente le sue Parole. “Te l’ho detto che il mio segno è lì. Non c’è niente di misterioso – a parte, ovviamente, quello che c’è scritto.”
“In ogni caso da qui non avrei letto niente neanche se l’avessi voluto.”
“Ma figurati, lo so”, lo rassicura. Poi estende il braccio davanti a sé, osservandosi il polsino. “Mamma mia, non vedo davvero l’ora di toglierlo! Sta iniziando il periodo in cui non lo sopporto più.”
Ken è ancora molto rosso, e il suo passo si è fatto di colpo esitante, lento, piccolo. Sembra davvero a disagio, per qualche motivo che Miyako non riesce a capire.
“Mi avevi detto che ti dava fastidio indossarlo”, le scrive.
“Sì, ricordi? E’ che fa calore”, esclama lei con uno sbuffo. “Immagina d’estate quanto sia impegnativo indossarlo. E la cosa assurda è che non posso sostituirlo con niente. Non c’è niente che sia efficace come il polsino!”
“Avevi provato anche con i bracciali … giusto?”
“Beh, che memoria.” Miyako sbatte le palpebre, sorpresa. “Sì, ma in giro trovo solo bracciali troppo piccoli o troppo larghi o troppo scomodi o troppo brutti. Niente che faccia al caso mio … ma perché stai facendo questo riassunto delle puntate precedenti?”
Ken si ferma di nuovo, e questa volta non lo fa di scatto: è come se il suo movimento si sia naturalmente esaurito, come se le sue forze si fossero concentrate altrove.
E ora se ne sta lì, a sbirciarla senza osare fissarla, e sembra chiedersi incessantemente se scappare o restare.
“Ken-kun?” Miyako è confusa. Solleva il cellulare per cercare tra le mail: si è forse dimenticata di leggere qualche suo messaggio?
No, niente di niente. Li ha letti tutti. E allora che succede?
Quando solleva nuovamente lo sguardo, scopre che Ken ha un sacchetto in mano.
Miyako sgrana gli occhi.
E’ un incarto piccino, uno di quelli che possono stare facilmente nella tasca di un cappotto – Ken ha tenuto quasi sempre la sinistra in tasca, ora che ci pensa. E ora quel sacchetto sta tra le mani di Ken come ci starebbe un uccellino dall’ala spezzata.
Ken sembra aver paura di fare movimenti troppo bruschi, o forse solo di essere impulsivo: Miyako non riesce a capire a cosa lui stia pensando.
Poi, di colpo, Ken trattiene il respiro, chiude un attimo gli occhi per farsi coraggio e, due passi in avanti, la guarda dritto in faccia e le porge il sacchetto.
Miyako guarda lui, poi il sacchetto, poi di nuovo lui.
“Ma è per me?” Balbetta stupidamente.
Il viso di Ken si accende nuovamente, ma annuisce. Con gli occhi la supplica di prenderlo.
Miyako, inebetita, lo fa.
E poi lo fissa, in una specie di attesa stordita scandita dai battiti furiosi del suo cuore, mentre Ken afferra il cellulare e, quasi furiosamente, come a vincere qualche lotta interiore, le scrive un messaggio senza cancellare nulla, così come viene.
“Scusa se ti sembro eccessivo, mamma tempo fa mi ha parlato di un negozio di bigiotteria vicino casa e sembrava piacerle molto. Tu hai detto che hai cercato a lungo una soluzione per il polsino, spero questa ti vada bene e ti piaccia. Se ti sembra brutto puoi anche buttarlo, capirei. Non ho mai comprato cose simili per nessuno”
“Mi hai fatto un regalo?” Riesce a dire Miyako.
Ken probabilmente morirà per autocombustione, ma annuisce.
Miyako apre il sacchetto.
E poi si ferma, incredula, gli occhi fissi su ciò che vede.
E’ un bracciale etnico, piuttosto grosso, fatto di quattro file di perline intrecciate, sulle tonalità calde del marrone e del rosso. Le estremità sono tenute insieme da un laccetto di cuoio regolabile.
Il cellulare le vibra all’arrivo di una mail.
“Il laccetto dovrebbe risolvere il problema della larghezza del bracciale, così non rischia più di scivolarti come i tuoi precedenti. E non ti stringe troppo il polso bloccandoti la circolazione.”
Miyako prende tra le dita il bracciale, e sente che non è neanche troppo pesante. Sotto le sue dita, le perline sono lisce.
Sa che coprirà perfettamente le sue Parole.
“E’ bellissimo”, dice con un filo di voce. “E’ proprio il tipo di bracciale che cercavo.”
“Non devi dirlo per forza. Ti piace davvero?”
Miyako solleva lo sguardo, il bracciale ancora in mano, e incontra gli occhi apprensivi di Ken. E’ davvero preoccupato: sembra che dal giudizio di Miyako dipenda il destino del mondo.
“Ma certo che mi piace!” Lo accusa, l’emozione che sicuramente le sta affiorando sul viso. “Ken-kun, sei impazzito? Non è mica il mio compleanno … Perché?”
Ken la guarda, e non prende il cellulare, per una volta. Fa solo spallucce, come a voler dire: Così.
E questo la colpisce più di tutto.
Nessun motivo, nessun obbligo. Voleva solo renderla felice.
Ken è stato a sentirla in queste settimane, e l’ha ascoltata davvero. Anche quando lei si lamentava di un banale polsino che in fondo ha sempre desiderato togliersi, fin da quando era bambina.
L’ha ascoltata, l’ha capita, e ha cercato di fare il possibile per farla stare bene.
E’ andato appositamente in un negozio a cercare lei e le sue esigenze stravaganti tra una serie infinita di bracciali e accessori.
Nessuno le ha mai comprato un bracciale.
“Grazie”, gli dice, e le sembra che quelle parole provengano da una parte intima e spontanea dentro di sé – una parte che non sa localizzare, che non si è mai resa conto di avere. “Oddio, grazie, davvero … non sai quanto mi sento felice adesso!”
Senza pensarci, in una mano il bracciale, in un’altra il pacchetto vuoto, si slancia in avanti e gli getta le braccia al collo.
Lui la prende, prima ancora di capire cosa sta succedendo.
E poi si immobilizzano entrambi in un abbraccio di colpo troppo intimo, troppo silenzioso.
Ken non si scosta, pur sembrando un po’ rigido per l’imbarazzo. Sembra che la stia ascoltando.
Ed è strano, perché anche Miyako sta, apparentemente senza motivo, ascoltando lui.
Ascolta il suono che fa il suo cappotto contro quello di lei, ruvido e impercettibile. Ascolta il suo respiro, quasi rarefatto, come se lui avesse improvvisamente paura di rompere quella quiete, quella bolla che hanno creato involontariamente, e solo per loro.
E il profumo di Ken è tutto attorno a lei, e i suoi capelli leggermente smossi dal vento le solleticano l’orecchio, e la testa le gira per quanto concreta si senta in questo momento. Come se, in qualche momento che non riuscirà mai a identificare, si fosse scordata di quanto può essere semplice vivere.
Come se fosse stato quest’abbraccio a ricordarglielo.
Ken esita, e poi la stringe a sé con attenzione, con delicatezza, quasi con devozione. Come se lei fosse preziosa.
La gola di Miyako si serra di colpo, e lei chiude, per un istante, gli occhi.
E poi si risvegliano.
L’abbraccio si scioglie, i due si guardano, entrambi storditi.
Ken le fa un sorriso esitante, senza saper dire niente.
Miyako non ricorda come si faccia a parlare.
C’è ancora silenzio tra loro, ma qualcosa è cambiato: Ken fa un sospiro, si volta, riprende, un po’ goffamente, a camminare, come se non fosse successo niente – e invece sembra sia successo tutto.
C’è un momento, mentre Miyako fa un paio di passi, e comincia a seguirlo: un momento rassicurante in cui la sua testa piena di vuoto se ne resta zitta, e riproduce senza fine, amplificandolo, il rumore sordo del suo cuore nelle orecchie, e nient’altro.
Ma poi arriva.
Dallo stomaco il calore le incendia le guance, prepotente, preponderante, e Miyako si ferma, le mani occupate che non possono accertarsi di quanto sia bollente il suo viso.
E la verità si annuncia urlando nel silenzio.
Oh no.




 

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Capitolo 7
*** 7. ***





 
Against the rules






7.

 







Lo zaino aperto è ancora ai piedi del letto, proteso verso le sue gambe, come se si stesse pigramente chiedendo come mai lei abbia smesso di riempirlo tutto d’un tratto.
Sul materasso, il bracciale di perline aperto, a prendere più spazio possibile.
Come se non avesse preso già abbastanza spazio, in qualunque altro posto. La testa, il petto, la gola.
Il polso destro.
Miyako l’ha provato, eccome se l’ha provato. E’ come pensava: le calza a pennello.
Ma la sensazione delle perline fredde contro le sue Parole l’ha sconvolta a tal punto che ha dovuto toglierlo, come se l’elettricità che emanano le avesse fatto formicolare la pelle.
Non le è ancora passata, anche se sono diversi minuti che lo fissa.
E un giorno intero che ci pensa.
Questa volta mi sono cacciata in un bel guaio, eh?
Qualunque cosa faccia, in qualunque altro modo tenti di occupare la sua mente, non c’è momento in cui il ricordo di quell’abbraccio non zittisca tutto il resto, costringendola a mollare tutto, a sentirsi il cuore balzarle in gola, a ritrovarsi quasi con gli occhi lucidi.
Non c’è scampo e non può fuggire.
Miyako è innamorata di Ken.
Di nuovo.
In modo peggiore.
Perché anni fa era una cosa così superficiale e infantile da farla sorridere, un sentimento effimero e volatile che ha preso fuoco non appena ha scoperto che ragazzino egoista e crudele fosse.
Ma ora … cosa potrebbe dire ora?
In quell’abbraccio non c’era solo emozione, gambe che tremano, guance rosse e imbarazzo.
Se chiude gli occhi può ancora rievocare quella sensazione sconvolgente … come se mente e corpo, per la prima volta, fossero completamente concordi nel concedersi, nel regalarsi, nell’affidarsi al ragazzo capace di stringerla in quel modo.
Non ha mai provato niente di simile.
Non doveva provare niente di simile.
Miyako si afferra il polso destro, e osserva le sue Parole scoperte, ingenuamente pregandole ancora una volta di indirizzarla verso la felicità.
Non hanno niente da dirle, niente di più di quel che già sa.
Vorrei aiutarti.
Ci stava provando a vivere mettendo da parte queste faccende, pensa, e le lacrime si affacciano prepotentemente tra le sue ciglia – ma Miyako non piangerà, non stavolta.
Ha cercato di pensare ad altro, migliorarsi – ha fatto tutto quello che ha potuto per poter costruire solide basi su cui, un giorno, far crescere la sua storia con la sua anima gemella. Ha provato con tutte le sue forze … e il suo cuore l’ha tradita, di nuovo.
Facendola innamorare di un ragazzo che non è destinato a lei.
Un ragazzo che merita amore, lo merita davvero tanto. Merita di essere conosciuto, merita qualcuno che voglia fare esperienze bizzarre con lui, merita qualcuno che lo abbracci quando si sente triste e rida con lui quando qualcosa accende il suo viso pallido e i suoi occhi azzurri che sembrano chiedere solo di poter vivere, vivere intensamente, in qualunque modo.
Miyako darebbe chissà cosa per poter essere quel qualcuno. Anche se lui non è destinato a lei.
Ed è proprio questo a spaventarla.
Le Parole restano ferme davanti ai suoi occhi, immutabili, silenziose come la luna.
Non pensava fosse così facile innamorarsi di qualcuno che non è la tua anima gemella.
E ora ripensa a Taichi e Sora, a quanto le fosse sembrata una scelta rivoluzionaria, quella di amare qualcun altro.
Non era una scelta.
Non lo è stata neanche per Miyako.
Sulla schiena ha ancora la sensazione della mano di Ken che la stringe piano, e un groppo in gola le impedisce di deglutire.
Davvero c’è qualcun altro, là fuori, che possa emozionarmi più di quanto non mi senta ora?
Perché non poteva essere Ken, fin dall’inizio?
Le mani le ricadono in grembo.
Guarda ancora il bracciale, e poi lo zaino aperto che ha ai piedi.
Impulsivamente afferra il bracciale, lo ripone nel suo sacchetto, e mette il tutto in una tasca nascosta dello zaino.
Non riesce ancora a indossarlo.
Ma non vuole staccarsene, neanche per il breve periodo in cui sarà fuori città. Per nulla al mondo.
 
***
 
“Allora, a te la parola.”
La costruzione in legno circondata dal verde che li attende davanti ai loro occhi, placida e ricca di promesse ancora inespresse, è gentilmente illuminata da un cielo solo appena imbiancato e da un sole insolitamente caldo.
“Sei tu che paghi, quindi sta a te giudicare”, continua Mimi rivolta verso il suo ragazzo, l’espressione esultante di chi aspetta solo di sentirsi riconoscere un merito per il quale ci si è già incoronati nella propria testa. “Cosa te ne pare di questa location che trasuda Giappone da ogni poro? Non è esattamente quello che ti avevo promesso?”
Michael si guarda attorno, inspira a pieni polmoni, espira e sorride, luminoso. “Splendida”, commenta. “Sei la numero uno”.
Taichi alza gli occhi al cielo. “Perché non mi sorprende che tu gli abbia insegnato proprio queste espressioni in giapponese?” Commenta ironicamente.
“Ha imparato solo le cose essenziali!” Gli risponde Mimi sfacciatamente, scoccando un bacio sulle labbra a Michael.
Takeru ride. “Mimi-san, se tutti avessimo la tua autostima saremmo a cavallo.”
“Guarda che tu sei sulla buona strada”, replica Mimi, con un sorriso soddisfatto.
“Ma come cavolo fai a parlare così bene una lingua straniera?” Esclama Daisuke sconvolto, guardando Michael con tanto d’occhi. “Quanto ci hai messo? Quali sono i tuoi trucchi?”
“Meglio che tu non gli dici quanto hai preso all’ultima verifica di inglese, Daisuke”, ghigna Miyako, dandogli una gomitata leggera. “Umiliato su tutti i fronti.”
“Ah sì? Forza, ti sfido a parlare fluentemente inglese con Michael, ora!”
“Ok! E sai che farai se vinco? Prenderai un megafono il primo giorno del prossimo anno scolastico e, davanti a tutti, griderai forte e chiaro: Miyako-sama è la migliore, non posso nulla contro di lei!”
“Se io sono sulla buona strada, Miyako-san dove si colloca?” Chiede Takeru, indicando Miyako con il pollice.
“Miyako-chan è il mio orgoglio”, dichiara Mimi solennemente.
Miyako le manda un bacio.
“Donne”, borbotta Daisuke, guardando Ken in modo significativo.
L’espressione allarmata di Ken è l’unico preavviso che Daisuke riceve, prima di farsi pestare il piede da Miyako più forte che può.
“Secondo me possiamo iniziare a entrare”, dichiara lei vivacemente, ignorando gli ululati oltraggiati di Daisuke.
“Concordo”, conviene Koushiro, scrutando l’entrata. “Meglio sfruttare la giornata il più possibile.”
Sfruttare appieno la giornata era il loro piano fin dall’inizio: è per questo che hanno preso l’autobus molto presto, questa mattina. Tutto questo ha richiesto diverse misure precauzionali per i meno mattinieri del gruppo, tra le quali una tirata d’orecchie per Taichi da parte di Mimi e la necessità di Ken di dormire a casa di Daisuke. Per comodità, naturalmente, visto che il ritrovo era a Odaiba, ma tacitamente lo sanno tutti che era soprattutto una strategia per impedire a Daisuke di dormire per l’intera durata della mattinata.
Miyako ha ricevuto una foto, questa mattina, da parte di Ken, senza didascalia: un Daisuke addormentato sul tavolo della colazione. Ne ha riso, e gli ha risposto intimandogli di non cancellare mai la prova del delitto, casomai dovesse tornare utile. E’ stato strano scrivergli qualcosa di così naturale con il cuore in gola e le dita tremanti.
E’ stato strano rendersi conto, nero su bianco, che quel messaggio è stato il primo dopo la Questione Bracciale. Né lui né lei si sono scritti nulla per un giorno intero.
Chissà se lui se n’è chiesto il motivo.
Ken non ha fatto altro che guardarla, per tutto il viaggio. Prima di salire sull’autobus; in un tranquillo momento come un altro di risate e chiacchiere; appena scesi, con le ciambelle che Iori ha portato per tutti loro – una specie di personale lasciapassare per perdonarsi di aver accettato una gita alle terme gratuita, e di aver rinunciato alle sue fin troppo adulte responsabilità per un giorno –; durante l’intero tragitto a piedi per arrivare davanti alla loro destinazione finale. Non si tratta di uno sguardo fisso, ma di uno fugace, evitante, pieno di domande alle quali non si può rispondere.
Miyako lo sa, perché ha fatto lo stesso.
Ma il cellulare tace, e le loro bocche anche. Parlano tanto, con chiunque altro, e mai tra loro.
Miyako darebbe qualsiasi cosa per parlargli. La sua testa si arrovella, in ogni istante, cercando una scusa banale, una sciocchezza da dirgli: qualsiasi cosa per rompere il ghiaccio, per cercare di non vedere quell’enorme elefante nella stanza che le mette ali al cuore e macigni nella pancia.
Eppure non può: è come se qualcuno le avesse rubato la spontaneità. Come se quel qualcuno fosse stato lei stessa.
Si ferma a guardarlo ancora una volta, mentre lo vede seguire Daisuke e gli altri, zaino sulla schiena e quella curiosa tensione alle spalle che inconsciamente tende a mantenere ogni volta che spera di essere adeguato in una data situazione. Conosce quel modo di camminare; conosce la silenziosissima meraviglia di essere parte di qualcosa, che gli colora il viso quando qualcuno lo coinvolge e gli parla. La conosce, eppure non l’ha mai vista con questi occhi. Non ha mai sentito quella specie di tensione fremente verso di lui …
Ken si gira, e incontra il suo sguardo.
Miyako sussulta. Lui si ferma.
Lui può vederlo, vero? Lo sa cosa lei sta provando, le turbinose emozioni che le stanno offuscando qualsiasi altra sensazione che non sia l’opprimente silenzio creato dai loro volti immobili …
Ken abbassa gli occhi, e torna a girarsi verso l’entrata dell’edificio.
La sensazione di mancanza le brucia nello stomaco.
Ma gli altri sono tutti davanti a lei, e la superano, chiacchierando entusiasticamente – un umore completamente diverso dal suo, sotto i piedi.
Non c’è tempo per tutto questo, giusto?
Miyako si fa forza. Corre più veloce dei suoi pensieri: in un attimo è accanto a Hikari, e le sorride fingendo di esserle sempre stata vicino.
“Sono proprio curiosa di sapere com’è dentro!” Esclama, mettendo volutamente il turbo a qualsiasi cellula del suo corpo.
Le basta varcare la soglia d’ingresso per sapere che Mimi ha fatto di nuovo centro.
Il ryokan che ha scelto per loro è molto spazioso, elegantemente arredato, con diverse attrattive – “Due grandi vasche esterne e una interna”, legge Hikari dal dépliant che ha trovato all’ingresso, piacevolmente meravigliata – e un personale all’accoglienza gentile e disponibile. Mimi e Michael concordano per cena e pernottamento, e scelgono tre camere da occupare: due per i ragazzi e una per le ragazze.
“Michael starà con i più grandi”, spiega loro Mimi. “I piccolini, invece, tutti insieme!”
Iori passa almeno un paio di minuti a inchinarsi a Michael e a ringraziarlo infinitamente per la sua gentilezza. Miyako non pensa che Michael abbia capito proprio tutto, però i ringraziamenti tendono ad essere universali, pur nelle loro abissali differenze. Michael sembra molto divertito degli inchini, tanto che ci si cimenta anche lui, con un “Prego” entusiasta.
La donna all’accoglienza li conduce in una stanza comune, offrendo loro del tè e illustrando loro i servizi della struttura e dove trovarli. Oltre ai bagni termali c’è una sala giochi, provvista di tavoli da biliardo e da ping-pong, e un distributore automatico da cui servirsi liberamente. I bagni non hanno limiti orario, e possono essere visitati anche di notte.
“Non ci sono vasche miste”, specifica l’anziana padrona del ryokan. Ken, alla notizia, rilassa visibilmente le spalle.
Le camere che hanno prenotato non sono grandi, ma in compenso sono decisamente ariose e piene di ikebana nelle nicchie di abbellimento. La cosa più bella di tutte è decisamente il panorama che si vede all’esterno: un giardino ben curato e silenzioso, un piccolo angolo di quiete in un complesso altrimenti imponente. Hikari è la prima a entrare nella stanza, con tutti gli altri ancora fuori: si guarda attorno, sbircia il giardino fuori, poi il suo viso di bambola si apre in un sorriso che la accende in ogni parte.
“E’ un gran peccato che le macchinette fotografiche non siano permesse qui”, dice. E i suoi occhi osservano ogni dettaglio come se volessero scattare foto accurate da portare con sé per sempre.
Quello di cui non si accorge è l’espressione di Takeru, sull’uscio della stanza, mentre la osserva assorto con un sorriso sulle labbra. Miyako non l’ha mai visto sorridere così, con tanta intima devozione.
Accorgersene le fa provare una buffa capriola nel petto.
Se non fossero stati anime gemelle l’avrebbe guardata ugualmente in quel modo?
“In ogni cassettiera delle vostre stanze ci sono yukata e obi di varie fantasie e misure”, spiega loro la padrona del ryokan. “Scegliete liberamente quel che preferite.”
“Tanto poco importa, nelle vasche non ne avremo mica bisogno!” Commenta Daisuke. E’ buffo come improvvisamente il sonno che ha perso non sembri pesargli affatto: è fresco come una rosa, e come sempre impaziente di vivere al massimo.
Ken si schiarisce un po’ la voce. “Credo che importi almeno un po’, visto che qui dentro gireremo in yukata.”
Daisuke sbatte le palpebre. “Ah”, dice imbarazzato. “Già.”
Taichi ridacchia.
“Oh, prima che vada”, aggiunge la donna. “Nella cassettiera troverete cerotti a volontà per le vostre Parole. Li abbiamo, naturalmente, di varie tonalità, forme e dimensioni: speriamo che li troverete adatti per le vostre esigenze.”
E’ un attimo, ma nello stesso momento lo sguardo di tutti si incontra, prima di essere distolto.
E’ una nozione banale, ma fino ad ora non era mai stata così evidente.
Ci sono persone che non useranno quei cerotti, oggi.
 
***
 
Miyako si accarezza il braccio nudo, pensierosa.
Il cerotto ha fatto un ottimo lavoro: il colore dell’incarnato scelto è perfetto, non si percepisce la differenza. Inoltre, al contrario dei cerotti medicali, questo qui non ha neanche lasciato l’alone sulla pelle.
Non ha lasciato, naturalmente, nessuna traccia delle sue Parole.
Miyako ha provato a portarsi il polso il più vicino possibile agli occhi, per cercare anche il più piccolo segnale che le sue Parole siano ancora lì, proprio dove le ha sempre viste e studiate, ma non riesce neanche a scorgerne l’ombra dietro le goccioline d’acqua rimaste dopo l’applicazione del cerotto. Non sono semplicemente meno visibili: sono proprio sparite.
Come se non fossero mai esistite.
Non ha mai visto il suo polso così spoglio: è normale che stia passando così tanto tempo a studiarlo ora. E’ un’occasione più unica che rara, visto che non avrà mai più l’opportunità di osservarlo così – a parte, ovviamente, se deciderà di tornare alle terme.
Non sa se sia normale sentirsi così disorientata di fronte al silenzio del suo polso, però.
Non sembra neanche più il suo polso.
Così tanti anni passati a osservarsi, a cercare, con determinazione e forza di volontà, di capire come vivere nel modo giusto, e ora si ritrova con un braccio perfettamente anonimo. Come se avesse di colpo indossato una maschera spessa, che rende impossibile riconoscersi e farsi riconoscere.
E se ci fosse nata così?
Il pensiero le esplode nella testa come una deflagrazione.
E se le Parole non fossero mai esistite, per nessuno?
Questa qui sarebbe la normalità, in quell’universo parallelo. Questa pelle bianca, candida, priva di segni distintivi, priva di segnali ambigui.
Una pelle che non parla, che non guida, che non finge nemmeno di farlo.
Una pelle che ti scaraventa, senza mezzi termini, in una vita completamente imprevedibile, senza neanche la certezza di sapere che al mondo esiste qualcuno che condivide con te una porzione invisibile della tua anima.
Beh. Non che avere delle Parole ti indirizzi chissà quanto, in realtà.
Fa quasi ridere pensare che, forse, non averle affatto sarebbe una maniera molto più semplice di vivere.
Miyako non vorrebbe, ma gioca. Prova ad immaginarsi a vivere una vita diversa, una vita Muta.
E’ incredibile come la presenza o meno di Parole ti condizioni così tanto.
Senza Parole non ci sarebbe stato Satoshi, lui e le sue orribili bugie solo per una goliardata tra amici. Nessun litigio con i suoi genitori, nessuna chiusura con i suoi fratelli. Nessuna spaventosissima, dolorosissima sensazione di essere sbagliata, di essere diversa, di essere troppo strana per essere amata sul serio.
Forse non avrebbe neanche reagito così male, di fronte a quella partita mancata con l’Astro Nascente del Calcio. Non avrebbe parlato in quel modo a Ken, e non si sarebbe sentita così in colpa nel venire a conoscenza della sua fuga da casa.
E Koushiro? Come sarebbero state le sue interazioni con lui? Probabilmente non si sarebbe resa ridicola in quel modo, non ci vuole molto per capirlo. Qualunque altro modo per rendersi ridicola sarebbe stato probabilmente preferibile.
Per non parlare di Ken …
Le fa male pensarci, profondamente; eppure non può farne a meno.
La verità è una sola: se non ci fossero state le Parole di mezzo ci avrebbe provato con lui, senza se e senza ma.
Ma le Parole esistono, e fingere che non sia così non la porterà da nessuna parte.
Non era lei che ringraziava il cielo per avere un’anima gemella?
Da quando amare qualcuno è diventato più importante di avere un’anima gemella, per lei?
Miyako sospira, lascia cadere il braccio.
Che stupide riflessioni, davvero.
Il corridoio è vuoto, ed è inutile indugiare ancora. Lascia gli abiti nel cesto di paglia, e con passo deciso esce.
Mimi e Hikari sono già immerse nella vasca caldissima e nel vapore che essa diffonde nella ricca vegetazione circostante. Ci sono altre due donne immerse nell’acqua, e una alle docce: per il resto sono sole. Il venticello fresco che scuote arbusti e piante è sufficiente a farla rabbrividire, senza la protezione dello yukata.
“Miyako-chan, che fine avevi fatto?” Mimi la scorge, e le fa segno con la mano, il vapore caldissimo che le colora le guance – il trucco che le dona più in assoluto. “Qui abbiamo iniziato senza di te!”
“Scusate, scusate!” Sorride a forza Miyako, strofinandosi velocemente con acqua e sapone sotto la doccia. “Dovevo capire bene come usare quegli stupidi cerotti. Ci ho messo un po’ prima di trovare la tecnica adatta! Non sembra, ma non è facile come si crede.”
“Cerotti?” Ripete Mimi incredula.
C’è una parte di Miyako che ancora sta sperando di riuscire a cavarsela senza spiegare nulla, senza parlare affatto delle spinose questioni sentimentali che la stanno paralizzando. “Beh, certo!” Esclama, facendo la vaga. “Bisogna trovare la forma perfetta, la perfetta tonalità e …”
“Inoue Miyako, vieni subito in acqua.”
Una parte molto ingenua, ovviamente.
Miyako chiude gli occhi, sconfitta. Come se si potesse sfuggire a Mimi.
Inspira, riapre gli occhi, chiude il rubinetto. Fa ancora più freddo, ora che è bagnata fradicia.
Corre verso il bordo della vasca, e si immerge il più velocemente possibile. Il sollievo è immediato: l’acqua è piacevolmente calda, e sembra sciogliere qualsiasi cosa. Anche il blocco di marmo che si sente nel petto.
Mimi e Hikari la raggiungono in fretta, stando attente, nonostante tutto, a non schizzare acqua addosso alle altre visitatrici delle terme. Senza occhiali è difficile scorgere i loro visi da lontano, ma man mano che si avvicinano Miyako riesce a notare i particolari. Riesce a vedere la confusione nel viso di Mimi, e la preoccupazione in quello di Hikari.
E scorge il braccio sinistro di Hikari, proprio sotto l’attaccatura della spalla. E la curva del seno destro di Mimi, appena accennata sopra il livello dell’acqua.
Non riesce a leggere quali Parole si portino addosso, ma di certo non c’è motivo di nasconderle, per loro.
“Nell’ultima mail che mi hai mandato, tu mi parlavi della tua anima gemella”, inizia Mimi, le sopracciglia aggrottate. “Eri tutta felice di averla trovata, no? Eppure subito dopo sei sparita nel nulla. Mi aspettavo di capirci un po’ di più vedendoti con Koushiro-kun: avevo paura che lui si stesse comportando con te come … beh … come Koushiro-kun, ed ero pronta a tirargli un po’ le orecchie. Ma tu e lui siete lontani anni luce, da sempre! E ora viene fuori che hai messo il cerotto!”
“Miyako-san, lo sai che puoi parlare liberamente con noi”, continua Hikari.
“Ci spieghi che succede?” Incalza Mimi.
“Ok! Ok.” Miyako si arrende, alzando le braccia. “Non ce la faccio più a tenermelo dentro. Ho bisogno d’aiuto, perché se no impazzisco.”
“Dai”, la incoraggia semplicemente Hikari.
Come se fosse facile. Come se fosse giusto. Come se già sapesse che andrà bene tutto, qualsiasi cosa lei dirà; che la cosa peggiore sarebbe tacere.
“Mi sono innamorata”, sussurra infine. “Ed è sbagliato, perché lui non è la mia anima gemella.”
Mimi e Hikari sgranano gli occhi. E lo vede, oh se lo vede: Mimi sta per aprir bocca, e chiederle qualcosa che lei non può dire. Così, precipitosa, continua.
“Lo so anche io che è sbagliato. Voglio dire, a che pro? A che serve dare il mio cuore a qualcuno che non è quello giusto per me? Servirà solo a farmi del male, perché …” Inspira. Espira. “Perché lui mi piace tanto, davvero tanto. Lui mi capisce, e io capisco lui, e credo che potremmo davvero, davvero avere qualcosa di bello assieme … ma sarà destinato a finire. E io non voglio straziarmi il cuore così.”
“Miyako-san”, dice Hikari.
“Vorrei non essermene mai accorta!” Esclama Miyako, disperata, e il groppo in gola le strozza la voce. “Vorrei tornare ad essere beatamente idiota, a ridere e scherzare con lui come se niente fosse, a pensare al nostro rapporto come qualcosa di prezioso ma indefinito. E invece ho aperto gli occhi, e ho rovinato tutto.” Ride, un po’ istericamente, senza neanche un briciolo di divertimento. “Già, aperto gli occhi. Perché ehi, sapete cosa? Non so neanche io quando abbia iniziato a provare qualcosa di diverso per lui! Mi arrovello senza fine, e la risposta non ce l’ho. E’ cresciuto dentro di me come fosse qualcosa di naturale, e invece naturale non lo è per nulla …”
“Miyako-san, aspetta”, la interrompe Hikari. “Perché dici così? Perché parli di giusto e sbagliato?”
“Come sarebbe a dire, perché?” Miyako la guarda, incredula. Hikari dovrebbe capire quello che sta dicendo, no? Ha visto personalmente cosa succede in casi del genere, con Taichi. Perché la fissa con quell’espressione così calma? “Se dovrò comunque rinunciare a lui, tanto vale che io lo faccia subito! Almeno per quanto riguarda i sentimenti romantici, perché col cavolo che voglio che lui sparisca dalla mia vita. Per cui … aiutatemi, ok? Voi che avete trovato la vostra anima gemella lo saprete, no? Come si fa a rinunciare a tutti gli altri innamoramenti senza capo né coda?”
“Non si può”, dice Mimi. “E meno male, direi.”
La risposta secca le piove addosso come un’incudine.
“Intanto, sappi che non si fa così”, la rimprovera Mimi, il viso imbronciato. “Perché costringerci a parlare per assurdo? Tira fuori nome e cognome e-”
“Mimi-san, dopo”, la ferma dolcemente Hikari. E poi sorride a Miyako, rassicurante. “Non è la cosa più importante in questo momento.”
“Ma certo che lo è!” Protesta Mimi. Hikari scuote la testa, lanciandole un’occhiata ammonitrice.
Miyako le guarda entrambe, smarrita, senza sapere cosa dire.
“Va bene, dopo”, sospira Mimi, frustrata. Si aggiusta l’asciugamano sulla testa con attenzione, cercando di non rovinarsi l’acconciatura. “Miyako-chan, stai andando in panne. Che senso ha avere un’anima gemella, se devi rinunciare a qualcosa di importante per trovarla?”
“Ma come?”, ribatte Miyako, completamente interdetta. “Ha senso eccome, se significa trovare l’altra parte della tua anima …”
“E che senso ha trovare l’altra parte, se non trovi prima questa parte?”
“Mimi-neechan, si può sapere di che –”
“Tu.” Mimi la indica in modo significativo, perentorio, e Miyako tace. “Tu sei la parte di anima di cui devi prenderti cura, prima di qualsiasi altra cosa.”
Hikari annuisce silenziosamente dietro Mimi, senza aggiungere altro.
“Ok, sentite.” Miyako fa un respiro profondo, cercando di mantenere la calma. Si sente come se stesse parlando un’altra lingua: è quasi pentita di aver tirato fuori il discorso in primo luogo. “Ho capito cosa state cercando di fare, e vi adoro per questo, ma il discorso è molto semplice: mi sto prendendo cura di me, se mi impedisco di farmi male con qualcuno che non è stato destinato a me. Mi sto prendendo cura di me se decido di aspettare la persona giusta, e –”
“Ma no che non ti prendi cura di te!” Si infervora Mimi. “Sai cosa stai facendo? La schiava delle tue Parole! Stai sacrificando te stessa per un culto che non ti renderà mai felice, non così!”
Miyako sussulta.
“Non è vero”, si difende debolmente. “Io ho deciso di lasciar stare per il momento. Volevo vivere liberamente –”
“- tagliando fuori i sentimenti romantici però!” Continua Mimi. “Cosa vuoi fare, anestetizzarti? Non puoi rinunciare a vivere una parte di te così importante solo perché non è la persona giusta!
“E cosa dovrei fare allora?” Esplode Miyako, a voce troppo alta. Le tre donne in acqua si voltano verso di lei, con disapprovazione, ma non importa. Urlerebbe anche più forte, se solo potesse avere una risposta definitiva a tutto questo dramma insensato. Urlerebbe con tutta la forza che le concedono i suoi polmoni.
“Le ho provate tutte! Perché sembra che niente funzioni per me?”
Sono così sbagliata?
“Perché tu pensi che le Parole che indossi ti parlino principalmente di qualcun altro”, dice Hikari a bassa voce. “E invece parlano di te. Sono uno specchio.”
Miyako la guarda, gli occhi lucidi.
Hikari le tira fuori gentilmente la mano destra dall’acqua: gliela stringe, come a volerle infondere tutta la forza che ha. Il polso destro di Miyako, silenzioso, brilla di raggi solari per via delle gocce d’acqua rimastele sulla pelle.
E poi la vede sorridere, e il suo sorriso è più caldo dell’acqua termale nella quale sono immerse.
“Sai qual è il vero modo di trovare la tua anima gemella? Di trovarla davvero, non solo di sapere chi è”, aggiunge, e la guarda come se quell’aggiunta cambiasse ogni cosa, in modo radicale. “Seguire i tuoi sentimenti, senza temerli. Essere te stessa, in ogni momento. Non inibirti mai.”
Tutto qui.
“E se questo dovesse portarmi a perdere la strada che mi porta alla persona destinata a me?” Domanda Miyako a fatica, dando voce a una delle sue paure più profonde.
Il sorriso di Hikari si amplia. “Impossibile. E’ la scorciatoia più efficace che io conosca.”
Miyako non sa cosa dire. Il cuore le martella sordo nel petto.
“Ti ho mai raccontato di come ho incontrato Michael?” Interviene Mimi casualmente.
Miyako scuote la testa.
“E’ una storia divertente, se ci si pensa. Le prime parole che mi ha rivolto, poco tempo dopo essermi trasferita con i miei in America, erano complimenti”, ricorda, con un sorriso nostalgico. “Niente di meglio, per come la vedevo io, perché ho sempre adorato ricevere complimenti. Un’anima gemella devota era proprio quello che cercavo.”
“La pensavo anche io così quando ero piccola”, dice Miyako, un sorriso incerto.
“Per me era un aspetto fondamentale. Solo che, quando ci siamo messi insieme … beh, c’era anche lui, e i suoi bisogni, e il suo giusto desiderio di essere considerato importante quanto me. Ma a quel tempo ero così vanitosa da non poterlo accontentare … continuavo ad amare le attenzioni altrui, sai”, aggiunge. “Michael era geloso, e non riusciva a capire per quale motivo una relazione con lui non mi bastasse. E io sono stata cattiva, perché mi piaceva farlo ingelosire. Lo vedevo come un modo di dimostrarmi che tenesse davvero a me.”
“Eri più piccola”, dice conciliante Hikari.
Mimi scrolla le spalle, come se non avesse importanza. “Ci siamo lasciati. Siamo durati qualche mese la prima volta.”
Miyako spalanca la bocca. “Hai lasciato la tua anima gemella per qualche complimento altrui?” Esclama.
Mimi annuisce. “Mi dispiaceva un sacco che la persona destinata a me non mi facesse stare bene, ma che potevo farci? Forse potevo essere più felice così. Dovevo pensare prima di tutto a me, e seguire le mie inclinazioni.”
“E com’è finita?” Miyako pende dalle sue labbra.
Il sorriso di Mimi è all’improvviso molto tenero. “E’ finita che mi sono accorta che complimenti fini a loro stessi non mi facevano star bene come gli occhi di Michael”, risponde. “Mi mancava, proprio perché lui non assecondava tutti i miei capricci. Lui voleva una storia seria con me: voleva camminare al mio fianco, non precedermi in ginocchio con un tappeto rosso davanti ai miei piedi. Paradossalmente è stato proprio baciare altri ragazzi che mi ha fatto aprire gli occhi su quel che davvero volevo … e a farmi crescere, e diventare la persona che Michael si meritava.”
Miyako non può impedirsi di sorridere di fronte a quella storia. Il lieto fine ha uno strano modo di scaldarti il cuore, soprattutto nei momenti di confusione. “Michael è tornato a cercarti?”
“Oh no. Ho dovuto fargli una corte spietata, altroché!” Si lamenta Mimi esasperata. “Ancora gli rinfaccio di essere stato così difficile con me. E lui mi rinfaccia di essere stata una principessina insopportabile, e che un po’ me lo sono meritato.”
“E’ ancora vivo dopo un commento simile?” Miyako si ritrova a ridere, quasi contro la sua volontà.
“Lo aiuta il fatto che sono pazza di lui, altrimenti non sarebbe con noi oggi!” Mimi ride a sua volta, poi il suo viso ritorna gentile. “Hai capito cosa voglio dire davvero, Miyako-chan? Se non avessi seguito le mie emozioni, e non avessi vissuto a fondo i miei sentimenti, avrei perso Michael. E non saremmo così felici oggi.”
“Potrei dire lo stesso di me e Takeru-kun”, dice timidamente Hikari.
Miyako ripensa improvvisamente a Ken, alla sua espressione mentre guardava Hikari e Takeru abbracciarsi su una panchina, e le si aggrovigliano le viscere. “Non voglio sacrificarlo sull’altare del mio egoismo”, esclama, angosciata. “Lui vale tanto di più di questo … non voglio che sia uno strumento per portarmi alla mia anima gemella.”
“Non lo sarà”, le dice Hikari, sicura. “Perché tu non lo stai usando. I tuoi sentimenti sono autentici, no?”
Non serve che Miyako le risponda: Hikari la guarda, e sembra capire lo stesso. Si avvicina a lei e le cinge la schiena con le braccia, in una specie di abbraccio pudico, posandole la testa sulla spalla.
“Andrà tutto bene, Miyako-san”, le dice. “I tuoi sentimenti sono meravigliosi: non hanno nulla di sbagliato.”
E’ terribile che Miyako si senta così cullata in quell’abbraccio: il mondo è pazzo e ancora non vuole saperne di trovare un senso.
“Se solo sapessi di chi sto parlando”, bisbiglia, piena di senso di colpa.
“Lo so già.” Risponde Hikari.
Miyako sussulta, e si volta di scatto.
Hikari non dice nulla: si limita a strizzarle l’occhio.
Ma è impossibile che lo sappia, no? Come farebbe a saperlo?
Davvero le si legge così facilmente in faccia quello che prova?
Tu lo sai? Dai, dillo anche a me allora!” Mimi, oltraggiatissima, si sporge verso Hikari, cercando di carpirle il segreto con la forza. “Che fate, mi escludete?”
“Non posso dirlo, sono affari di Miyako-san.”
“E perché a te li ha detti e a me no?”
“Ma non me li ha mica detti!”
“Hikari-chan, se non me lo dici … ti molesto!”
“Non lo faresti mai, sei una brava persona.”
Miyako ride di gusto, e le due litiganti si voltano verso di lei.
“Non sapete quanto vi voglio bene”, dice sinceramente, il cuore finalmente più leggero.
L’abbraccio stretto che riceve in risposta da entrambe vale molto più di mille parole.
 
***
 
Quando Miyako arriva alla grossa fontana sul retro del giardino, il sole sta già calando.
E’ stata la voce degli altri a farla fermare, una lattina di limonata tra le mani, e a distoglierla momentaneamente dal suo intento di andare a cercare la vasca interna del ryokan – l’ultima che ancora le manca.
Non le è capitato spesso di incrociare i ragazzi durante la mattinata, se non per qualche saltuario incontro tra i corridoi, oppure alla macchinetta per sgranocchiare qualcosa. E’ il limite di una gita alle terme: un po’ di tempo tutti assieme si perde per forza, se scegli una struttura senza vasche miste.
Questo però non toglie il piacere di rincontrarsi dopo, e di condividere episodi buffi e qualche risata in compagnia.
Forse è proprio questo che la costringe a fermarsi ora, e a osservare le schiene dei suoi amici mentre, seduti sul bordo della fontana, cercano il coraggio di immergerci i piedi dentro.
“Sono pesci innocui, dopotutto”, sta dicendo Takeru, probabilmente cercando di autoconvincersi. “Ti fanno un massaggio gratis e in più ci guadagnano anche qualche pellicina da mangiare.”
“Certo che la natura è proprio strana, se qualcuno può trovare appetitosi i miei piedi”, esclama Taichi, seduto al suo fianco.
“E’ strana l’idea di un massaggio simile”, dice Ken molto dubbioso. “Siamo sicuri sia piacevole?”
“No”, ride Takeru. “Solo sentito dire.”
“Oh andiamo”, esclama Taichi con energia. “Davvero ci stiamo facendo spaventare da dei pesciolini in una vasca per piedi?”
“A nostra discolpa … non sembra anche a voi di star offrendo della carne fresca a dei piranha?” Aggiunge Takeru a bassa voce.
“Ora che me l’hai detto, ci penso anche io”, commenta mestamente Ken.
E poi rimangono in silenzio, ad osservare l’acqua tendente all’arancio del tramonto con la stessa espressione di tre condannati a morte.
E’ una visione così comica che Miyako non può che scoppiare a ridere a voce alta, rendendo palese la sua presenza. I tre ragazzi si voltano di scatto.
“Non vi facevo così fifoni!” Dice allegramente.
“Non è fifa”, risponde Takeru. “E’ istinto di sopravvivenza.”
“Ah, hanno cambiato il nome alla fifa adesso?”
“Perché non vieni qui e non ci provi anche tu?” La sfida Taichi, appoggiandosi la testa sulla mano.
E Miyako li guarda, e si chiede perché si stia limitando a guardarli.
Non è da lei, si rende conto di colpo. Non è da lei e non è neanche divertente fare la spettatrice della vita, sua e altrui.
Non le piace muoversi in punta di piedi, lasciandosi scappare l’opportunità di vivere, vivere intensamente, essere parte di quel caldo flusso di energia che le scorre dentro e la unisce agli altri, a tutto il mondo.
La stessa energia che sente scorrere dentro di sé anche adesso.
Guarda Ken, improvvisamente reso muto dalla sua presenza, e il pensiero che non potrà più sentire la sua voce le dispiace tanto. Ma c’è qualcosa di particolare nello sguardo che lui ha paura di mostrarle: una richiesta.
Ti va di restare con noi?
E Miyako ha la risposta.
Finisce ciò che resta della sua lattina in un solo sorso: il frizzantino delle bollicine sembra crepitarle per tutto il corpo, e probabilmente avrebbe dovuto andarci piano, ma onestamente va benissimo così. E’ così che vuole vivere.
Avanza verso la fontana, spedita e determinata, e potrebbe scegliere il posto accanto a Takeru, il posto sicuro, invece sceglie quello accanto a Ken. Appoggia la lattina sul muretto, prende un respiro e si issa accanto al ragazzo, che la guarda sorpreso come si guarda un fenomeno straordinario.
E li sente: il calore della presenza familiare eppure sconosciuta di Ken, la sensazione disorientante di essere col cuore in gola ma euforica, ben radicata al suolo ma pronta a volare.
“Il vostro errore è stato pensarci troppo”, spiega ai ragazzi con aria scherzosamente supponente. “In casi come questi … bisogna buttarsi!”
Trattenendo il fiato, chiudendo gli occhi, Miyako immerge di colpo i piedi nella vasca.
E poi li riapre, ridendo senza fiato, quando si sente invasa da pesciolini.
“Bingo!” Esclama a voce alta, vittoriosa.
“Siamo stati battuti”, commenta Takeru, annuendo tra sé.
“Sarà, ma io non ci tengo a farmi chiamare fifone”, dice Taichi. Ed è straordinario, perché di colpo il suo sorriso è di nuovo il sorriso da Taichi: quello impulsivo, bambinesco, solare che Miyako ha imparato a conoscere e che non vedeva l’ora di rivedere. Immerge i piedi nell’acqua e fa una smorfia sorpresa. “Wow”.
“Tanto strano?” Vuole sapere Takeru.
“Takeru-kun, ci stai ancora pensando troppo!” Lo sprona Miyako, muovendo un po’ le gambe nell’acqua. “Fatti sotto!”
A farsi sotto, invece, è Ken.
Senza una parola, senza esitazione, i suoi piedi sono nella vasca, ben attenti a non invadere lo spazio di Miyako. Se li osserva per un po’, studiando a occhi sgranati l’azione dei pesciolini tutti raccolti attorno alle dita dei piedi.
E poi solleva il capo, serio e incerto, e incontra gli occhi di Miyako.
Lui è tanto bello, col suo yukata grigio e con il viso lievemente arrossato dal calore delle vasche termali. E’ tanto bello anche ora, con i colori del tramonto, accanto ai suoi amici, a pochi centimetri da lei.
E Miyako vuole amarlo. Non è qualcosa che va contro la sua volontà, nonostante faccia paura, nonostante si senta come una trapezista in equilibrio precario sul vuoto.
Miyako vuole quel sentimento, perché la fa star bene. A prescindere da come andrà.
Così gli sorride, luminosa, sincera, e probabilmente i suoi occhi stanno rivelando troppo, ma va bene così. Va bene, perché vede Ken fermarsi, battere le palpebre e sorriderle a sua volta.
E il momento diventa, all’improvviso, perfetto.
Se ne restano per un po’ in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, a guardare in direzione del cielo che si scurisce sempre di più, acquisendo qualche tonalità violetta. E’ in quel silenzio che finalmente Takeru si decide, con un sospiro, a immergere a sua volta i piedi in acqua.
Gli altri tre si girano a guardarlo mentre lui se ne sta in silenzio a valutare l’esperienza.
“Beh”, commenta poi. “Sono quasi deluso dall’assenza dei piranha.”
“Lo sai che hai ragione? Mi aspettavo un massaggio decisamente più intenso”, commenta Taichi con una risata. “E noi che ci siamo fatti tanti problemi.”
“Siete davvero incontentabili”, sbuffa Miyako. “Io lo trovo un massaggio bellissimo e rilassante!”
“A me non dispiace”, commenta Ken. Arrossisce un po’ quando si sente addosso lo sguardo di tutti, e si concentra nell’aprire e chiudere le dita dei piedi. “Ma non credo lo proverò mai più.”
Tutti ridono, Taichi lo prende gentilmente in giro battendogli una mano sulla schiena, Takeru dice qualcosa sull’importanza della diplomazia nella vita. Ken sembra imbarazzato, ma sorride, e sembra divertirsi.
Miyako chiude gli occhi, godendosi il venticello fresco sul viso.
Per la prima volta oggi, si sente felice.
 
***
 
Quando le Parole le ricompaiono sul polso destro, irruente come se fossero state per ore in apnea sott’acqua, Miyako si sente pronta ad accoglierle.
Sarebbe riduttivo dire che si tratti solo di questo, in effetti. Ha già in mente qualcosa di bello per loro: è una decisione che ha preso di pancia ma che sa essere quella giusta.
Così, quando si riunisce con gli altri, raggiante nel suo yukata rosso fiammante, al polso sta indossando il bracciale di perline che ha tenuto nascosto nello zaino per tutto il giorno.
Non è solo un modo per essere più elegante ed evitarsi il polsino. Non è neanche un mero tentativo di nascondere le sue Parole.
Lei sta abbellendo, proteggendo, abbracciando le sue Parole.
E vuole che gli altri sappiano che lo sta facendo, anche se non potranno capire quanti significati possa nascondere un semplice bracciale donato.
Gli altri non potranno capire, ma Ken sì.
Ken deve per forza, perché se ne accorge subito, appena lei si avvicina per salutarlo. Il suo sguardo vola sul suo polso, ed è palese la sua sorpresa, la sua insperata gioia.
Ha forse bisogno di un’ulteriore conferma di aver preso la decisione giusta?
“Volevo fartelo vedere indossato”, annuncia, mostrandogli il braccio come una bambina entusiasta. “Bello, vero? Non potevi farmi un regalo più incredibile!”
Ken le sorride, muto perché non ha con sé il cellulare – stupide regole del ryokan -, e la tenerezza nel suo sguardo la confonde di colpo.
Per la verità, c’è ancora un regalo che lui potrebbe farle, più prezioso di qualsiasi bracciale.
Ci sono due tavoli da ping-pong nella sala giochi, e così si decide per una specie di torneo a turni, che decreterà il vincitore assoluto della serata. Al vincitore spetterà offrire una bibita a tutti, naturalmente.
“E va bene, per una volta posso fare questo sacrificio per voi!” Si vanta Daisuke, smargiasso, afferrando una racchetta.
Miyako lo schernisce. “Oh sì, come no. E come farai, se ti batto prima?” Replica con un sorriso deciso. Afferra una racchetta a sua volta, e si pone davanti al suo sfidante.
Sfortunatamente, perde.
La disfatta è rovinosa nonostante la sua buona volontà e il suo spirito agguerrito: a niente serve lamentarsi ad alta voce, mettere il broncio e augurare a un Daisuke reso ancora più smargiasso dalla vittoria di perdere le sfide successive, una sconfitta è una sconfitta. Così Miyako va a sedersi, e diventa una mera spettatrice.
Koushiro è il secondo a perdere immediatamente, contro Michael, ma non sembra prendersela: alza le spalle, annuncia “Me lo aspettavo”, e si siede di fronte a dov’è seduta Miyako, al di là del tavolo da ping-pong dove ora si stanno sfidando Taichi e Mimi.
Lui le lancia un’occhiata, sentendosi osservato, ma niente di più: come se niente fosse torna a osservare la partita, con espressione distratta.
Sembra essersi dimenticato che c’è ancora un discorso in sospeso tra loro. Miyako non può certo dire lo stesso, ma non ha trovato l’occasione adatta per avvicinarglisi oggi.
Ok, forse non l’ha cercata con particolare impegno, d’accordo. Però è vero che Koushiro è sempre rimasto in compagnia degli altri, durante tutta la giornata. Parlare di argomenti simili non è certo qualcosa che si può fare in pubblica piazza, giusto? Ci vuole un po’ di privacy, che diamine.
Privacy che Miyako non sa se sia il caso di ricreare.
Giocherella distrattamente con il cordoncino del bracciale, sbirciando di sottecchi il ragazzo senza sapere come muoversi. Dovrebbe andare da lui adesso? Dovrebbe chiedergli quando sia il caso di parlare faccia a faccia? Vale la pena di indagare su cosa pensi in realtà Izumi Koushiro, e rischiare di starci male per qualche motivo?
Ma perché si ritrova sempre paralizzata da decisioni difficili? Forse sarebbe il caso di pensare al torneo e basta.
Potrebbe concentrarsi, per esempio, sul secondo tavolo da ping-pong occupato, al momento, da due sorridenti ma agguerriti Takeru e Hikari: è la sfida del secolo, e tutti gli spettatori sono entusiasti di vedere come andrà a finire.
“Non ci andrò piano con te, Hikari-chan. Ti avverto”, sta dicendo Takeru, una nonchalance incredibile nel posizionarsi davanti alla sua avversaria in posizione d’attacco.
E Hikari sorride, angelica, senza retrocedere neanche di un passo. “Mi hai tolto le parole di bocca”, risponde.
“Fallo nero, Hikari-chan!” Fa il tifo Miyako ad alta voce, e viene riecheggiato ampiamente da Daisuke. Takeru si guarda attorno, platealmente affranto, e Hikari ride.
“Dai, qualcuno tifi anche per Takeru-kun”, li invita.
“Tifo io per te, tranquillo”, lo rassicura Iori. “Così siamo un po’ più equi.”
“L’equità nel tifo non si può sentire, Iori!” Esclama Daisuke.
“Insomma, nessuno sta seguendo la nostra partita?” Si lamenta Taichi con lo sguardo concentrato, intento a fronteggiare una Mimi super battagliera e insolitamente brava.
“Non perdere la concentrazione”, dice Ken automaticamente, gli occhi fissi sullo scambio di palla. Purtroppo il guaio è già fatto: la pallina rimbalza oltre il campo nemico, e Mimi esulta, saltellando sul posto con le braccia al cielo.
Taichi fa un breve sbuffo per rilasciare la tensione, e si scosta i capelli ribelli dalla fronte con un sorriso incredulo. “Ma sei una furia!”
“Sono troppo per te, caro”, si vanta Mimi con un occhiolino.
Tra le risate e il chiacchiericcio generale, Koushiro si stiracchia e si alza in piedi. “Vado a prendere una boccata d’aria fuori”, dice, e si dirige verso il giardino senza guardarsi indietro.
Gli altri non ci fanno troppo caso, limitandosi a un saluto tranquillo e a dirigere nuovamente l’attenzione sulle partite in corso.
Miyako, invece, sì.
Lo guarda uscire, e per un attimo fa per dirgli qualcosa, ma non appena apre bocca non sa come continuare. Perciò resta ferma, le mani in grembo e il cuore che batte forte, e sente chiaramente di essere a un bivio.
Potrebbe restare lì, certo. Continuare a tifare per Hikari e non perdersi una partita tanto interessante. Potrebbe continuare a coltivare il suo rinnovato buonumore, chiacchierare con gli altri, restare in zona protetta.
Oppure … potrebbe seguire Koushiro.
Potrebbe dare una scossa notevole alla sua codardia e accettare qualsiasi risposta lui potrebbe darle. Potrebbe, finalmente, mettere un punto a tutto quello che è successo tra loro, e riuscire infine a dargli un senso.
Ma parlargli sarebbe davvero la fine di tutto?
Si guarda intorno, osservando la tranquilla serenità dei suoi amici, del tutto inconsapevoli di ciò che stia succedendo dentro di lei in questo momento.
Lei non può restare. Non vuole restare. Perché nessun buonumore sarebbe reale, con la consapevolezza che ha di nuovo perso l’occasione di essere sincera con se stessa, prima ancora che con Koushiro.
Se se ne sta qui, a torturarsi un braccialetto di perline come se fosse un’àncora di salvezza, e si rifiuta di agire, se ne pentirà, qualsiasi cosa Koushiro possa dirle.
Guarda Ken, intento a osservare la partita di Taichi e Mimi e occasionalmente a parlare di strategie di gioco con Taichi, che ne sembra molto interessato. Lui, per una volta, non si accorge di lei, ed è meglio così.
Miyako ha preso una decisione su Ken, giusto? Se intende seguirla, deve fare una scelta.
E lei non sceglierà mai di essere vigliacca.
Lascia bruscamente le mani lungo i fianchi, tira un gran respiro per farsi forza e si alza di scatto. Senza guardarsi indietro, senza dire niente a nessuno, segue Koushiro.
Fuori il clima è abbastanza fresco da farla rabbrividire, ma non eccessivo da costringerla a prendere la giacca in camera sua; il silenzio del giardino è in totale contrasto con il chiacchiericcio allegro e goliardico che si è appena lasciata alle spalle, come se volesse accentuare il divario netto che esiste tra lì e qui, tra prima e dopo.
Dovrebbe smetterla di pensare ai simboli, accidenti. Meno pensieri, più fatti.
E il fatto imminente di cui occuparsi è solo uno: cercare Koushiro.
La luce nel giardino è discreta e soffusa, e permette appena di scorgere una coppia, poco distante, che passeggia chiacchierando sottovoce. Ma forse è solo Miyako che trova difficile vedere i dettagli, senza occhiali e al buio.
Per fortuna che Koushiro ha deciso di fermarsi sul luogo più illuminato del giardino: un piccolo ponte che collega le strutture che ospitano le due vasche termali esterne del ryokan
Miyako si ferma, sussulta, ascolta la sua ansia. Poi stringe i denti, si pianta le unghie nei palmi delle mani e avanza quasi a passo marziale, ascoltando la sua determinazione.
Koushiro sta osservando il tranquillo corso dell’acqua davanti a sé, perso in chissà quali pensieri elaborati e complicati – quelli che solo una persona come lui, abituata a tenere la parte più intima di sé ben nascosta dietro password e firewall, può costruire. Anche così assorto, in ogni caso, la sente arrivare: si volta a guardarla, con aria sorpresa.
“Ah”, dice. “Dovevo immaginare che saresti venuta qui anche tu.”
“Davvero? Perché?” Chiede lei.
Koushiro fa spallucce. “Non è ovvio?”
Miyako tace, e sa che anche lui ha capito: è questo il momento, e non ne avranno altri migliori.
Si appoggia lentamente alla ringhiera, e osserva il vento smuovere gentilmente le fronde degli alberi.
La parte difficile, si rende conto, l’ha già passata quando ha mosso un piede davanti all’altro per raggiungerlo sul ponte.
“Tu non sei la mia anima gemella”, gli dice.
Per un attimo nessuno dei due fa altro che non sia ascoltare il ricordo di quelle parole nel silenzio della sera.
“Come l’hai capito?” Chiede infine Koushiro, continuando a guardare dritto davanti a sé.
“Lo so che sei tentato dal dire finalmente.” Miyako fa una breve risata, così breve che a stento la registra lei stessa. “Non è stato difficile, e al contempo è stato difficilissimo. Nel senso … lo sapevo, in fondo, ma non volevo ammetterlo nonostante tutte le prove a mio svantaggio. E’ difficile anche dirtelo ora.”
Koushiro si gira a guardarla, infine. Sta di nuovo cercando di decifrarla.
E’ buffo, forse entrambi non hanno mai smesso di tentare di decifrarsi.
“Il fatto è che avrei potuto già capirlo quando me l’hai detto tu, o prima ancora quando non hai reagito alle prime parole che ti ho rivolto”, continua Miyako schiettamente. “Eppure la prova più convincente che ho trovato è questa: tu non provi nulla per me, e viceversa.”
Koushiro sembra davvero spiazzato a quest’ultima affermazione.
“Già. Ti sembra assurdo che io te lo dica, vero? Ma io non sono mai stata innamorata di te.” Miyako sorride, sentendosi improvvisamente stanca. “Pensavo che avrei dovuto esserlo, visto che insomma, credevo di averti trovato. Ma non ho mai provato nulla per te. Amavo quello che avresti potuto essere.”
Per un attimo Miyako trattiene il fiato, e cerca qualche traccia di delusione sul viso di Koushiro.
Non ne trova. C’è solo una consapevole accettazione di ciò che lei gli sta dicendo.
Era così palese. Avrei potuto accorgermene in ogni istante.
“Ti ricordi quando ti ho abbracciato, quel pomeriggio a casa tua? Stavo cercando di sentire qualcosa, e invece ho sentito il vuoto. E so che non può essere così, qualsiasi cosa siano le anime gemelle”, continua lei. “Io ti voglio bene e ti stimo, Koushiro-san, ma non sento nulla per te se non questo. Mi dispiace di averci messo tanto, ma non sapevo cosa significasse tenerci davvero a qualcuno se non quando mi sono innamorata sul serio.”
Koushiro non fa domande. “Ah”, ripete.
Nient’altro.
“Beh, sarai felice adesso, no?” Insiste Miyako, cercando di sdrammatizzare. “Sei libero! Niente più Miyako La Rompiscatole. Non so come tu abbia fatto a sopportare tutto questo così a lungo!”
Koushiro si passa una mano tra i capelli, evitando di guardarla.
Il silenzio comincia a farla sentire tesa.
“Sul serio, Koushiro-san. Io non lo so davvero”, gli chiede, improvvisamente seria. “Perché non hai mai voluto rivelarmi nulla? Anche solo una parte delle tue Parole, visto che lo capisco: è una cosa privata, ed è giusto che lo sia. Ma giusto quel tanto che bastava per far sparire questa matta scriteriata dalla tua vista!”
“Miyako-kun, non è mai stata mia intenzione di farti sparire dalla mia vista”, protesta Koushiro.
“D’accordo, ma potevi farmi smettere!” Esclama Miyako con forza. “Potevi negarmi quelle inutili settimane di prova, e invece non l’hai fatto! Ora che abbiamo messo tutte le carte in tavola, puoi dirmi a che cavolo stavi pensando?”
Koushiro esita.
“Ti prego”, incalza Miyako. “Spiegami. Chiudiamo questa storia.”
Koushiro sospira, e annuisce lentamente. “Hai ragione. Meriti una spiegazione.” La guarda per un istante, gli occhi neri e impenetrabili, e poi aggiunge: “E delle scuse.”
Questo la coglie del tutto alla sprovvista. “Scuse?” Ripete a bocca aperta. “Che hai fatto?”
Koushiro fa un piccolo sorriso. “Ho ceduto ad una debolezza”, risponde. “Credo che tu sia stata la persona più vicina ad un’anima gemella che io avrò mai nella vita.”
“Ma che dici?” Miyako crede di non essere mai stata tanto confusa come ora. “Non ti facevo tipo da preoccuparti per le anime gemelle! Dici sempre che l’amore per te non è così importante …”
“E’ vero”, conferma Koushiro.
“E allora perché dici così? Vedrai che la tua anima gemella arriverà, e –”
“Miyako-kun, io non ho le Parole.”
Miyako tace di colpo.
Koushiro le lancia un’occhiata rapida, e poi torna a guardare l’acqua che scorre al di là del ponte.
Miyako sbatte le palpebre. Una, due, tre volte.
“Eh?” Riesce solo a dire.
“Non le ho”, ripete a bassa voce il ragazzo. “Non ho mai avuto la mia Manifestazione. Ho pensato di essere semplicemente in ritardo fino alla pubertà … poi mi sono dovuto rassegnare. Non si è mai sentito di una Manifestazione dopo la pubertà. E’ ragionevole pensare che io non le abbia, punto e basta.”
Miyako non capisce. Si rifiuta di capire.
Le sembra che l’aria le sia scomparsa interamente dai polmoni.
“Com’è possibile?” Sussurra.
“Non lo so. Devo essere una specie di anomalia del sistema”, risponde Koushiro. “C’è gente che nasce senza un arto, senza un organo, senza funzioni cognitive avanzate. Io sono nato senza Parole.”
E’ tranquillo, si rende conto Miyako con una consapevolezza violenta. E’ tranquillo come se stesse parlando del colore dei suoi capelli, quando quello che sta dicendo è di essere diverso.
Di essere solo.
“Credo ci siano altre persone come me”, riflette a voce alta Koushiro. “Ci sono diversi forum, diversi siti dedicati a persone senza Parole. C’è chi crede che la nostra anima gemella esista da qualche parte, solo che non lo sapremo mai. C’è chi dice che i Muti possano trovare la propria anima gemella solo tra i Muti. C’è anche chi dice che noi non ne abbiamo affatto una.”
“Ma questo non è possibile!” Esclama Miyako, la voce che quasi le esplode dal petto. Koushiro sussulta un po’. “Non è giusto! Tu non meriti questo, tu …”
Lui la guarda, e lei non sa come continuare.
E’ orribile.
Ma come potrebbe dirlo?
“Non credo sia qualcosa che si merita o meno”, dice Koushiro. “E’ semplicemente qualcosa che è successa a me, e bisogna prenderne atto. Oltretutto, io posso ritenermi fortunato: non ne sento particolarmente la mancanza. Io non mi innamoro. Forse non so nemmeno come si fa.”
“Ma certo che sai come si fa!” Protesta Miyako. “Magari non hai trovato la persona giusta, punto e basta! Mica siamo tutti uguali …”
Koushiro fa spallucce. “Forse. O forse l’assenza di Parole è solo l’ulteriore prova a favore della mia tesi.”
Si volta verso il ryokan, verso gli amici che hanno lasciato davanti ai tavoli da ping-pong.
“Alcune volte ho pensato di essermi innamorato”, ammette lentamente, e sembra un po’ in imbarazzo. “Ma erano sentimenti troppo effimeri per essere cotte, o innamoramenti. Non ho mai avuto il desiderio di entrare in intimità fisica con qualcuno … abbracciare, dare un bacio, tenere per mano. In fin dei conti, quel che cercavo forse era un rapporto un po’ più simile all’amicizia.”
“Ripeto, sei ancora un ragazzo”, insiste debolmente Miyako. “Se solo tu –”
“Quel che intendo dire è che va bene così.” Koushiro sospira nuovamente. “Che io ne abbia una o meno, che io possa innamorarmi o meno, io sono felice. Ho tanti amici, due genitori che mi vogliono bene, e la possibilità di inseguire i miei sogni lavorativi. La mia vita è già completa.”
“E allora perché mi hai lasciato fare?” Dice Miyako a bruciapelo.
Koushiro incassa il colpo, e Miyako capisce, di nuovo troppo tardi, di aver parlato a sproposito.
“Domanda più che lecita”, le risponde infine, dopo una lunga pausa. “Sarebbe troppo semplice dirti che l’ho fatto perché non sapevo come fermarti. Ti ho lasciato fare, è vero, e più di una volta. E qui arriviamo al motivo per cui desidero scusarmi.”
Sembra cambiato quando la affronta faccia a faccia: più vulnerabile, più esposto, più incerto. Il prezzo da pagare per conoscere per davvero Izumi Koushiro.
“Tu eri così sicura quando sostenevi che dovevamo essere un caso particolare di anime gemelle … sembravi disposta a metterci la mano sul fuoco, nonostante io ti dicessi che non poteva essere vero. Ho provato curiosità: volevo sapere se mi stavo sbagliando, se c’era una possibilità che tu potessi essere la mia anima gemella. Forse volevo sapere cosa si provasse ad avere una relazione, o comunque qualcosa che ci somigliasse almeno un po’.”
Non si sbagliava, prima. La verità fa male, eccome.
Koushiro abbassa il capo, serio e pensieroso. “Ci sono delle volte in cui vorrei essere in grado di innamorarmi”, ammette. “Non è qualcosa che mi fa soffrire, in realtà. E’ solo che a volte vorrei sapere cosa si prova. Penso sarebbe una cosa bella, anche se non fa per me.”
“Mi dispiace di non essere la ragazza giusta per te”, dice Miyako con un filo di voce. “Oddio, dovevi dirmelo subito. In un certo senso sono io che ti ho deluso e ho giocato con te …”
“No, non trovo che sia così.” Koushiro sembra di colpo spiazzato dalla tristezza di Miyako. “Tu pensavi davvero di amarmi. E io ho avuto una dimostrazione importante di come funziono, e cosa cerco. Avere la certezza che noi non siamo innamorati, che non siamo profondamente legati, non mi fa sentire distrutto: sto bene.” Le sorride, nuovamente sicuro. “Le Parole non condizionano la mia vita, che io le abbia oppure no. Sono io che decido dove andare e che tipo di relazioni stringere: interamente io. Ed è così che sono a mio agio.”
Non sta mentendo per farla stare meglio. Probabilmente un tipo come lui non sa mentire.
E’ una cosa che le piace di lui, e quel pensiero le stringe un po’ il cuore.
“Per la cronaca”, gli dice, e non può impedire che due lacrime si precipitino giù dalle sue ciglia. “Sarei stata onorata di averti come anima gemella. Sei un grande, e so che sarai molto felice a modo tuo.”
Koushiro la guarda, colpito.
“Vale lo stesso per me”, dice, e a un tratto è il solito Koushiro, un po’ a disagio nei rapporti sociali. Si gratta un po’ il naso, e quel gesto familiare la fa sorridere. “Spero che, nonostante tutto, riusciremo a restare amici.”
“Stai scherzando? Per me è scontato”, risponde prontamente Miyako.
Koushiro sembra rilassarsi visibilmente. Sorride, con quello che le sembra gratitudine – è sempre un po’ difficile capire le sue emozioni – e le porge la mano. Miyako gliela stringe, anche se è un po’ troppo pomposo farlo.
“E’ stato piacevole passare del tempo assieme, Miyako-kun”, le dice. “Ti ringrazio.”
E poi le lascia la mano, si volta e si allontana, diretto verso l’entrata del ryokan.
Finisce così.
Miyako si stringe nelle spalle, rabbrividendo un po’.
In un mondo giusto, sarebbe andata come nei romanzi d’amore che ama leggere: lei sarebbe stata l’anima gemella di Koushiro, il ragazzo senza Parole, e gli avrebbe dimostrato che nessuno è immune all’amore, che le anime gemelle hanno tanti modi per parlare, e mille per amarsi.
In un mondo giusto, si sarebbero innamorati follemente, contro ogni logica ed evidenza.
Ma non lo è. La fiaba è solo una fiaba: nessuno dei due vorrebbe quel futuro. E’ ora di svegliarsi.
Eppure è sempre difficile rinunciare a un po’ di sicurezza, per prendersi la responsabilità di vivere secondo i propri valori.
Spera solo che entrambi sappiano essere forti, e che sappiano essere felici.
Miyako si impone di darsi un contegno. Si passa una mano sugli occhi, asciugandoseli con il polso destro.
Ed è solo allora che si accorge di avere il polso nudo.
Dalla voragine che le si apre nel petto fanno capolino le mani gelide dell’ansia, ad artigliarla da ogni parte.
Si guarda i piedi, si scuote le maniche dello yukata. Si sporge verso il corso d’acqua, tentando di scorgere qualcosa nonostante il buio. Niente bracciale. Non lo vede da nessuna parte, quindi forse non è lì. Ma può davvero esserne sicura?
Quando l’ha perso? Come? Ce l’aveva quando è salita sul ponte?
Oh no. Oh no, per favore, no.
Miyako si porta le mani tra i capelli, cercando di respirare. Non le riesce molto bene, perché sa di non potersi fermare neanche per un secondo.
Rinuncia, e corre.
Fa il percorso a ritroso dal ponte, chinandosi, guardandosi attorno, e a ogni secondo in cui non lo vede la sua ansia si trasforma in angoscia.
Dev’esserle caduto perché ci ha giocherellato prima, sicuramente. Non poteva stare ferma, accidenti a lei? Deve aver allentato il cordoncino, e così lo ha perso.
Il suo bel bracciale nuovo …
Si china sull’erba, spostando rametti e piccole foglie senza alcun criterio, gli occhi che le si riempiono di lacrime.
Stupida, stupida, stupida.
Probabilmente dovrebbe chiedere aiuto. Oppure dovrebbe correre in stanza, afferrare i suoi occhiali e chiedere cortesemente una torcia alla padrona del ryokan. Sicuramente avrà qualcosa di simile, giusto? Dubita che avrà fortuna così al buio, di sera, da sola, in un giardino di colpo troppo grande.
Solleva lo sguardo, pronta a tornare dentro, e vede Ken.
Miyako sussulta violentemente, e cade con le ginocchia sull’erba. Ken, allarmato, fa un movimento istintivo verso di lei, avanzando di un paio di passi.
“Mi hai spaventato!” Esclama lei, con una risata tremante. “Che ci fai qui?”
Ken la guarda, le sopracciglia corrugate. Sembra preoccupato.
“E’ che mi è caduta una cosa”, dice in fretta Miyako, sperando di risultare credibile. “E non riesco a trovarla. Non è che hai una torcia con te, vero?”
Ken, naturalmente, non può rispondere. Decide di chinarsi a sua volta, a tradimento, tanto in fretta che Miyako non ha neanche il tempo di asciugarsi gli occhi.
Quando Ken nota le sue lacrime, il suo viso cambia.
Miyako capitola. “Ho perso il tuo bracciale”, sussurra, divorata dal senso di colpa. Le sopracciglia di Ken scattano in su di colpo. “Ce l’avevo addosso, ma devo averci giocato prima, e non so quando mi è caduto … non ho sentito il rumore. E ora non so come fare.”
Miyako abbassa lo sguardo, le guance che vanno a fuoco per la vergogna. “Devi pensare che io sia pessima. Ma come, hai perso un regalo che ho scelto per te con tanta cura? E avresti ragione! Mi darei così tante testate da cambiarmi totalmente i connotati, non hai idea. Mi sento malissimo … Ma lo troverò, te lo giuro!”
Gli dà le spalle, si solleva a mezzo busto, e continua frenetica la ricerca. “Devo cercare di ricordarmi la strada che ho fatto … ma sarò passata di qui?” Dice a voce alta, cercando di ignorare il battito accelerato del suo cuore. “Facciamo così, Ken-kun. Io lo trovo e poi ci vediamo dentro, ok?”
Per un momento non sente alcun rumore. 
Poi Ken si muove, ma non certo per andarsene via. La affianca, molto serio, e comincia a rovistare tra l’erba del giardino con attenzione.
Miyako si ferma a guardarlo. “No, dai”, gli dice, con una mezza risata. “Non esiste che me lo cerchi tu! Sono io che ho sbagliato – Ken-kun, dico sul serio. Non devi farlo!”
Ken non solleva lo sguardo, e continua imperterrito a cercare.
“Ehi – ma perché non mi dai retta?” Si lamenta debolmente Miyako. “Per favore, Ken-kun, torna dentro e basta, ok? E’ colpa mia. Tra l’altro come faresti a comunicare con me? Non hai neanche un cellulare con te!”
Niente. Come se non avesse parlato.
“Ti prego.” Sussurra.
A quel punto Ken si ferma, e la guarda. I suoi capelli sono nerissimi nella notte, come se ne facessero parte.
“Lasciami rimediare”, continua, la voce che le si rompe di nuovo. “Non potrei mai perdonarmi di aver perso il tuo bracciale per una stupida distrazione, o di aver costretto te a sporcarti per me. Dopo tutto quello che fai per me … sarebbe ingiusto, non ti pare?”
Vorrebbe scappare. Vorrebbe urlare. Vorrebbe abbracciarlo forte, come l’ultima volta.
Ma non lo farà. Ken merita più di un trattamento simile.
“Lo so che sono una pasticciona, una distratta, una gran babbea, ma io non mi arrendo”, conclude, con la voce più stabile. Gli rivolge un sorriso, il migliore che le riesce. “Resterò qui anche tutta la notte, se serve. Io non voglio più perdere niente di importante.”
Riprende la sua ricerca, più determinata di prima, dandogli le spalle un’ultima volta.
Un respiro del vento appena.
“Vorrei aiutarti”.
Miyako si ferma.
Il mondo si ferma.
Probabilmente si è fermato anche il suo cuore, e non lo sa.
La sua testa si volta prima che lei le abbia dato il segnale per farlo.
Ken è in piedi, le mani strette tra loro, lo sguardo fisso su di lei. E’ curioso che sembri così immobile, quando il suo viso sta praticamente palpitando.
Cosa?” Esala lei, senza voce.
Lui deglutisce. Sembra teso, e a guardarlo bene sembra star tremando appena. Come se da lei dipendesse il destino di una galassia intera.
Ma non si tira indietro.
“Vorrei … vorrei aiutarti”, ripete, la voce bassa ma chiara nel silenzio.
E poi la guarda. La guarda e basta.
Come se –
Come se stesse cercando di capire se ha detto le Parole giuste.
Le Parole giuste.
Le ha dette. Ha detto proprio quelle Parole. Le mie Parole.
Il suo cuore sembra volerle spaccare in due la gabbia toracica.
Miyako lo guarda, muta, completamente pietrificata.
E poi il vento soffia di nuovo, smuovendole la manica del suo yukata. E’ allora che un pensiero la colpisce con tutta la forza che ha, facendola boccheggiare.
“Hai visto il mio polso?” Gli chiede, le labbra tremanti. Il terrore la paralizza, mentre si porta una mano al polso e lo stringe, lo stringe, lo stringe. Non ha niente a coprirla adesso. “Tu … Hai letto cos’ho scritto sul polso, non è così?”
“Cosa – no!” Ken parla. E’ così strano sentirlo parlare quando non c’è nessuno. Il mondo sembra vorticare mentre il viso del ragazzo passa dalla solennità allo sconcerto. “Non ho visto niente, non avrei potuto! Miyako-san …”
“Giura che non lo hai visto!” La voce le esce fuori come una specie di strillo isterico. Probabilmente un’altra se stessa se ne sarebbe preoccupata, in un’altra vita. “Ti prego … ti prego giuralo. Giura che non mi faresti questo. Giuralo …”
Non mi spezzare il cuore anche tu. Non tu. Ti prego.
Ken tace. Si limita a guardarla, la tristezza che gli colora i lineamenti.
C’è un fugace momento folle in cui Miyako muore un po’ dentro, perché crede di averlo smascherato.
Ma poi lo vede sospirare piano, come arrendersi.
E poi si avvicina. Un passo dopo l’altro, gli occhi fissi in quelli di lei, come se volesse assicurarsi di non vederla scappar via.
Come se Miyako potesse muoversi. Ha i piedi radicati al suolo, i polmoni in fiamme.
Ken si ferma quando è di fronte a lei, proprio accanto al lampione che Miyako ha sulla destra.
“Posso farti vedere”, le dice.
Si gira, lentamente, e si passa una mano sulla nuca. Un attimo di esitazione, e poi si scosta i capelli dal collo, inclinando leggermente la testa verso lo sterno.
E ora se ne sta lì, immobile, ad aspettarla. Sembra che non abbia fretta.
Miyako non sa come abbia fatto a muovere le gambe, ma in un attimo è di fronte a lui.
Trema quando si avvicina, e trema ancora più forte quando scorge il segno degli ideogrammi sulla sua nuca.
Si solleva sulle punte.
E poi legge, il respiro trattenuto.
Le Parole di Ichijouji Ken recitano: Mi fai schifo.
La violenza di quegli ideogrammi la fa barcollare di colpo.
Non sono Parole recitate: sono Parole gridate.
Gridate, con la voce di una ragazzina furibonda accanto a un campo di calcio, a pieni polmoni, in ogni momento della giornata. Da sempre, anche da prima che Ken l’avesse incontrata.
Gridate, prepotenti, che costringono Ken a portarsi eternamente addosso l’espressione che aveva assunto, quando quella ragazzina dai capelli viola gli aveva vomitato addosso le sue Parole senza pensarci, senza aspettarsi altro se non uno sfogo e una vendetta.
Senza sapere niente, senza capire niente.
E allora gli argini cedono.
“Ma che razza di Parole sono Mi fai schifo?” Geme Miyako, disperata, e appoggiandosi al lampione scoppia in un pianto irrefrenabile.
Le sembra di star tirando tutto fuori: il dolore, la vergogna, il sollievo, il senso di colpa. Tutto l’amore che ha in corpo, che sta diventando incontenibile, incontrollabile.
“Anni e anni ad aspettare questo momento”, singhiozza, “e quello che faccio è traumatizzare la mia anima gemella! Ma che problemi ho, si può sapere?”
“Miyako-san, non è così.”
Miyako, riluttante, tira su col naso e scosta le dita dal viso, il naso rosso e le guance inondate di lacrime.
Ken, la sua anima gemella in carne ed ossa, la sta guardando con una specie di seria tenerezza che gli rende il viso più fragile, e più sincero.
E il suo sorriso sembra volerle porgere la sua anima stessa su un piatto d’argento, senza fronzoli, e per una volta senza ostacoli.
“Tu mi hai salvato”, le dice.
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** 8. ***




 
Against the rules







 
8.






 
Quando era piccolo, Ken aveva sempre la pelle piena di inchiostro.
Le sue zone predilette erano mani e braccia, destra o sinistra non importava; ma a volte, soprattutto d’estate, col caldo e i pantaloncini corti, arrivava a scriversi anche le gambe, le ginocchia, i piedi e persino gli alluci.
C’era poco che sapesse scrivere per allora: aveva imparato a scrivere il suo nome in ideogrammi, e quel “Ken-chan” sbilenco, storto, tremolante, goffo o anche solo abbozzato era tutto ciò che qualunque adulto potesse leggergli addosso.
A lui bastava.
Agli adulti no.
“Non sono vere Parole”, era costretta a spiegare sua mamma quando veniva convocata, all’asilo, da insegnanti preoccupate e un po’ giudicanti. “Ken-chan gioca. Gli abbiamo detto più volte di non farlo, ma vuole avere le sue Parole.”
“Ma suo figlio ha già quattro anni”, rispondeva di solito l’insegnante. “Come mai non ne ha di vere e proprie?”
Ken guardava sempre sua mamma, quando facevano domande del genere. La mamma non conosceva mai la risposta.
“Non succederà più”, prometteva invece. “Sia comprensiva, sta cercando di emulare suo fratello.”
Bastava dire quel nome perché l’atteggiamento dell’insegnante cambiasse.
“Certo, certo, capisco benissimo … e come sta Osamu-chan? Che bambino sveglio, mai avuto qualcuno con una mente come la sua. Sapeva già leggere e scrivere a cinque anni … d’altronde cosa aspettarsi da un bambino precoce come lui? Se non ricordo male aveva le Parole già a due anni!”
Non riesce mai a ricordarsi cosa la mamma rispondesse di fronte a commenti simili. C’è solo una cosa che ricorda: come gli occhi le brillassero ogni volta che si parlava di Osamu.
Solo quando si parlava di Osamu.
Ken stava zitto, abbassava la testa, si strofinava distrattamente le sue finte Parole, e le osservava sbiadire.
“Devi avere pazienza”, gli diceva qualche volta Osamu quando giocavano in terrazza. “Guarda che le avrai anche tu. Le hanno tutti.”
“Ma io voglio essere come te!” Si lamentava lui. 
Osamu gli sorrideva. I primi tempi gli sorrideva un sacco, se lo ricorda ancora. “Ma tu vai bene così, Ken.”
Però non era vero.
Non andava affatto bene così, perché lui non aveva proprio nulla di speciale.
Non aveva i voti migliori della classe, tantomeno della scuola. Non aveva sempre qualcosa di intelligente e adulto da dire, qualcosa capace di zittire gli adulti e costringerli a guardarsi con stupore e meraviglia e dire quel mantra sempre uguale, hai sentito cosa ha detto? Alla sua età! Non era stato precoce a parlare, a scrivere, a contare. Ad avere le Parole.
Ken era un bambino normale, e questo non era abbastanza.
Non serviva a nulla andare bene a scuola, se non poteva portare a casa dei punteggi tali da costringere la mamma a riempirlo di baci, a preparargli un dolce, a vantarsi di lui con amici e parenti. Non serviva a nulla essere portato per lo sport, perché giochi con la palla e arti marziali non potevano pareggiare l’ennesima vittoria di Osamu ai giochi matematici. Non serviva a nulla cercare amici con l’entusiasmo di un bambino, perché da qualche parte suo fratello era già un
ometto*.
Nessuno voleva bene a Ken quanto ne volevano a Osamu.
Nemmeno Osamu gli voleva bene quanto Ken ne volesse a lui.
Giocavano spesso assieme, da bambini. Osamu prendeva un bicchiere di plastica per ciascuno, lo riempiva d’acqua e sapone, e tagliava le cannucce all’estremità con le sue forbicine dalla punta arrotondata. Facevano le bolle di sapone assieme. Ken era più bravo di Osamu a gonfiarle senza farle esplodere. "Tu sei più gentile di me", gli diceva Osamu.
Sono gli unici ricordi felici che ha con suo fratello. 
La cosa che gli manca più di tutto, ancora oggi, sono i ricordi felici che non ha più avuto dopo quelli.
Ben presto i libri si mangiarono Osamu, le porte chiuse lo segregarono, e tra i due si creò un muro invalicabile. Non sa quando successe, ma Ken smise lentamente di cercarlo.
A sei anni Ken aveva smesso di scriversi la pelle in zone visibili, ma non di chiudersi in bagno per inchiostrarsi la pancia. Non scriveva più il suo nome, ma un semplice
Ti voglio bene, più e più volte: la mamma aveva smesso di rimproverarlo, e si limitava a sospirare quando lo aiutava a farsi il bagno. Una volta sentì suo padre mormorare la parola Muto con sua madre quando credeva di non essere ascoltato. Nessuno ci fece più caso.
Giocava da solo, studiava da solo, evitava di far rumore quando Osamu era in casa. A volte lo sbirciava dalla terrazza, quando cercava invano di tagliare le cannucce in modo adatto a creare bolle di sapone: era sempre con la testa china sulla scrivania, sempre serio, sempre scuro in volto. 
Iniziò a diventare sempre arrabbiato, per qualche motivo che Ken non riusciva a capire.
Non con mamma e papà, quello mai: con loro era sempre il solito ometto, impeccabile e perfetto, con un sorriso gentile e i modi da adulto. Con Ken, invece, era brusco, scostante, freddo.
Mamma e papà non se ne accorgevano. Se lo facevano, era solo per ripetergli: "E' solo nervoso, Ken-chan. Si sta impegnando tanto, dobbiamo capirlo."
Ma perché nessuno capiva mai lui?
Perché nessuno era felice dei suoi successi come lo erano di quelli di Osamu?
Perché nessuno gli dava mai un bacio in più, un abbraccio in più?
Perché non era mai abbastanza per nessuno?
Ken iniziò a odiare Osamu, con una rabbia crudele e indomabile - una rabbia da bambini. 
Era tutto più bello quando Osamu non c'era. I suoi genitori erano solo suoi, le sue parole erano ascoltate, non c'erano metri di paragone. Quando c'era Osamu, a lui non restava più nulla. Era solo un bambino mediocre senza Parole, che faceva preoccupare i suoi genitori senza dare nulla in cambio.
Una volta, Ken fece una pazzia.
Si svegliò di notte, si acquattò ai piedi del letto di Osamu, tentò di scoprirgli la caviglia per leggere le sue Parole, il suo segreto. Osamu non aveva mai rivelato le sue Parole, se non ai suoi genitori. Per qualche motivo, quella notte, per Ken era fondamentale scoprirle.
Osamu si svegliò proprio in quell'istante.
Si arrabbiò, si sedette di scatto sul letto, si mise a urlare.
"Che cosa pensi di fare? Queste sono le mie Parole. Sono solo mie, mie e di nessun altro! Non potete averle!"
"Scusami", balbettò Ken mortificato, spaventato, con un groppo in gola. Neanche sapeva perché si fosse arrabbiato tanto.
Oggi può immaginarlo. Oggi, però, è troppo tardi.
Accorsero mamma e papà, scarmigliati e sconcertati, e portarono via Ken, una carezza distratta e un mezzo rimprovero. Osamu tornò a dormire, Ken lo raggiunse poco dopo, con un peso nel petto che non andava via.
I suoi genitori non rimasero nella stanza ad aspettare che Ken si addormentasse.

Sparisci, disse Ken fortissimo nella sua testa, come una maledizione. Sparisci, Osamu-niisan. Sparisci dalla mia vita!
Per una volta, per l'ultima, Osamu lo accontentò.

***
 
Una distrazione fatale, dissero. L'uomo al volante era al telefono in quel momento - stava litigando con la sua ex moglie. Ricorda di averlo visto piangere davanti ai poliziotti che lo portavano via, davanti a quell'asfalto imbrattato di sangue, davanti a quel corpo senza vita che appena qualche istante prima era suo fratello.
C'è poco, davvero poco, che ricorda di quei momenti.
Le urla di sua madre, terribili, quasi animalesche, come se l'avessero improvvisamente privata delle viscere con un coltellaccio.
Le lacrime di suo padre, inarrestabili, proprio su quel volto sempre saldo, sempre pacato.
Tanti visi, tanti sussurri, tanti abbracci senza senso. La mano enorme e assente di suo padre mentre stringeva quella di Ken.
Una celebrazione funebre, il viso di suo fratello su una lapide.
Il nome di Osamu con una data di morte.
Il suo stesso orrore, la sua stessa, indicibile, colpa.
"Non dicevo sul serio", sussurrò di fronte a quella foto sorridente ed eternamente giovane, eternamente bambina. "Non dicevo sul serio, non dicevo sul serio. Non volevo, non dicevo sul serio..."
Il silenzio attorno a sé, braccia che lo portavano via.
E poi una specie di sbigottito torpore, che avvolse qualsiasi cosa per giorni, per settimane.
Finché, un giorno come un altro, tutto andò in pezzi.
Una sua compagna di classe, timidamente, con la stessa goffa delicatezza che usano tutti gli estranei di fronte a un dolore che non possono comprendere, gli domandò cosa avesse sul collo.
Fu nel bagno della scuola, davanti agli specchi, che Ken vide le sue Parole per la prima volta.
Gli sentirono lanciare un urlo, un ultimo suono disperato e inumano, e poi più nulla.
Accorsero, e lo trovarono in ginocchio, le mani pressate sulla nuca, gli occhi sbarrati e le labbra serrate. Non riuscirono a farsi dire cosa fosse successo; non riuscirono a fare nulla per lui in infermeria, se non fornirgli un cerotto provvisorio per coprire il collo e rimandarlo a casa. 
D'altronde, come avrebbero potuto aiutarlo?
Come avrebbero potuto capirlo?

Mi fai schifo, diceva con sprezzo la sua anima gemella.
Ecco perché le sue Parole avevano aspettato tanto ad arrivare. Chi mai avrebbe voluto essere l'anima gemella di un assassino?
Di una persona sporca, marcia, crudele, avida, sbagliata?
Si sentì marchiato, e seppe che quella era la sua punizione per aver voluto troppo, per aver perso tutto.
Sentì che lo meritava, e quel pensiero zittì tutto il resto.
Quel pensiero zittì il mondo, e zittì Ken, e da allora nessuno riuscì più ad arrivare a lui.

***
 
Si fece crescere i capelli: il modo più rapido per nascondere le sue Parole sporche, per impedire che altri potessero leggerle e capire ogni cosa.
I suoi genitori non ebbero nulla da obiettare. D'altra parte, neanche loro le avevano lette in primo luogo: non avevano insistito per farlo. Non c'era posto per nient'altro, nella loro vita svuotata, che non fosse l'enorme voragine lasciata dal loro
ometto perduto.
Ken divenne un ragazzino schivo, silenzioso, solitario.
Camminava a testa bassa per le strade, curvava le spalle in avanti per proteggersi. Non parlava, semplicemente agiva: diligente in classe, competitivo nello sport. Nessun amico, mai. Nessuna distrazione, di nessun tipo.
La prestazione iniziò a diventare il suo unico scopo.
Come tante volte nella sua vita, iniziò senza pensarci: un giorno si sedette alla scrivania di Osamu per studiare, sentendosi come chi profana un luogo sacro, terrorizzato come un peccatore, eccitato come un trasgressore. Con mani tremanti prese i suoi quaderni dal cassetto, sfogliò i suoi appunti, iniziò a studiare materie avanzate con la bramosia di un ingordo, di un ladro.
Era davvero tutto lì? Tutto ciò che Osamu era stato, era davvero rinchiuso in quelle poche pagine?
La porta della stanza era aperta: sua madre, passando per il corridoio, lo vide.
Qualche volta Ken si domanda cosa sarebbe successo, se quel giorno sua madre non avesse soffermato, per la prima volta dopo tanto tempo, gli occhi su di lui.
Forse sarebbe cambiato tutto.
Forse, se sua madre non avesse sorriso, le lacrime agli occhi; se non fosse accorsa, a passi leggeri e silenziosi, e non gli avesse cinto le spalle con tenerezza, sussurrandogli qualche sciocchezza che tradotta aveva solo un significato,
Ti vedo; se non gli avesse posato un esitante bacio sul capo, chiudendo poi la porta dietro di sé per lasciarlo studiare in pace, Ken si sarebbe fermato in tempo.
E invece continuò.
Ogni giorno si sedeva a quella sedia, studiava quegli appunti fino a tardi, sfiorava la scrittura troppo adulta di suo fratello. Ogni giorno diventava sempre più bravo, sempre più geniale, sempre più brillante. I suoi voti salirono vertiginosamente, tanto che nessuno nella sua classe prima, e nella sua scuola poi, riuscì a stargli dietro.
Ora parlavano tutti di lui.
E ora, i suoi genitori gli sorridevano.
Improvvisamente ritrovarono le parole, la voglia di vivere, il desiderio di parlargli. Divennero premurosi, pieni di abbracci e attenzioni, orgogliosi. Iniziarono a guardarlo con quella gioia dolente che si riserva a un raggio di sole dopo una tempesta rovinosa.
Diventarono, finalmente, i genitori che aveva sempre voluto.
Ken iniziò a disprezzarli.
Odiava il loro sorriso esitante, odiava la loro falsa premura, il modo in cui la loro espressione sembrava spegnersi ogni volta che Ken li allontanava di mala grazia. Odiava la loro presenza ingombrante, le loro chiacchiere vuote, odiava in modo devastante vederli così fragili, così dimessi ogni volta che lo accontentavano e lasciavano che lui si sigillasse in camera, muto e tiranno.
Come aveva potuto dar loro tanto potere, in tutti quegli anni? Erano solo persone molto piccole. 
Piccole, senza meriti, che vivevano di luce riflessa, che cercavano un riscatto tramite i loro figli.
Che vivevano senza senso, attratti dalla luce delle lampadine attorno alle quali gravitavano eternamente.
Insetti.
Com’erano insetti anche tutti gli altri.
Gli insegnanti, che erano in ritardo di diversi anni nel notare le sue capacità, nel consentirgli di mettersi alla prova, che ora facevano a gara a chi lo sponsorizzava e lo supportava di più. Gli allenatori, che gli permettevano di fare tutto quello che voleva e di destreggiarsi tra calcio e judo, tra corsi di scacchi e di informatica, che erano pronti a infrangere ogni regola, in barba agli altri allievi, pur di rendere Ken felice. I membri delle sue squadre, sempre a guardarlo con rispetto e devozione, come se fosse una divinità. 
I giornalisti che iniziavano ad accerchiarlo, ansiosi di accaparrarsi lo scoop più succoso, che si sfregavano le mani di fronte ai suoi successi, che non chiedevano altro che inventarsi, per descriverlo, appellativi sempre più ridicoli, sempre più idioti – l’Astro Nascente del Calcio era il più audace, e certamente anche il più imbarazzante.
Ma nessuno di loro riusciva ad avere nulla di Ken, se non qualche sorriso gelido e un paio di parole vuote ben costruite. Nessuno di loro poteva capirlo, nessuno di loro poteva meritarlo.
Sotto la sua maschera di perfezione si celava un inferno d’odio.
Certi giorni Ken avrebbe incendiato il mondo. Avrebbe urlato e urlato, preso a schiaffi ogni viso ipocrita, ogni sorridente sanguisuga, fino a farli scomparire.
Certi giorni gli tremavano le mani, tanta la rabbia che lo divorava dall’interno.
Eppure nessuno sembrava accorgersene.
Il mondo non faceva che mettergli le mani addosso, tentando di farlo in pezzi per esibirlo come un trofeo, e lui voleva solo che lo lasciassero in pace. Che lo ammirassero da lontano. Che non osassero scalfire la sua perfezione.
Così continuò a collezionare vittorie su vittorie, rendendosi impenetrabile e inavvicinabile, e lo sa: sarebbe andato avanti così per anni, forse per sempre.
Invece, affrontò Motomiya Daisuke su un campo di calcio.

***
 
Ken richiuse la porta dietro di sé. 
La serratura scattò con un rumore secco, che rimbombò nella casa insolitamente vuota. Nessuna traccia di chiavi sul mobiletto accanto all’ingresso: sua madre doveva essersi attardata al supermercato.
Era tanto tempo che non gli capitava di essere da solo.
Si tolse le scarpe, lasciò che rotolassero in modo scomposto sull’uscio della porta. Camminò a passi leggeri, inudibili, lungo il corridoio, per un attimo smarrito dal silenzio, turbato dalle porte aperte.
Entrò in cucina. Perfettamente ordinata, come sempre. Nessun dolce in forno, per una volta. Un vaso di fiori sulla tavola, al centro – ma i fiori erano finti.
Scostò una sedia con la mano, rimase ad ascoltare il rumore stridente dei suoi piedi sul pavimento. E, di colpo, quel rumore sembrò strizzargli il cuore come uno straccio vecchio.
Afferrò lo schienale della sedia, e con forza la buttò sul pavimento. Il clangore sembrò moltiplicarsi in quella casa morta, come se stesse gridando.
Non gridava abbastanza.
Ken prese a calci il tavolo, una, due volte, e il vaso barcollò ma rimase ostinatamente in piedi al centro della tovaglia; lo spinse giù dal tavolo, e il suono secco dell’impatto sul pavimento non bastò a romperlo in mille pezzi. Fasullo anche il vaso allora, pensò con rabbia ferina. Lo raccolse, lo lanciò con più forza – i fiori caddero, impotenti e perfetti, e il vaso rotolò verso il frigorifero.
Ken cadde sulle ginocchia, un peso insopportabile nel petto. Picchiò il pavimento, lo picchiò ancora, e poi urlò con tutta la voce che aveva, perché sarebbe morto se non l’avesse fatto.
Non rispose nessuno.
Per un attimo rimase immobile, i capelli sul viso, il fiato corto. 
Poi, lentamente, sollevò lo sguardo.
Non era sufficiente calciare un tavolo, buttare giù un vaso, picchiare così forte il pavimento da farsi male alle mani. Quel disastro non era abbastanza. Niente avrebbe potuto essere abbastanza per placarlo.
Era tutto inutile.
Improvvisamente il suo stomaco sembrò ribaltarsi.
Si portò una mano alla bocca, corse verso il bagno, si accasciò accanto al water.
Vomitò, nonostante cercasse di non farlo. Vomitò, e odiò la sua prostrazione, odiò il suo terribile malessere, odiò la sensazione di debolezza che gli appannava la vista, gli faceva tremare le braccia.
Vomitò per quelle che parvero ore, finché non gli rimase che uno stomaco svuotato e il dolore degli spasmi.
In quella posizione umiliante, il sudore sulla fronte e gli occhi chiusi, Ken ricordò improvvisamente che i fiori in quel maledetto vaso erano viola.
Viola come i capelli di Lei.
Che stupido colore per dei capelli, pensò.
Proprio tipico di una persona che non ha paura di niente. Tipico di una ragazzina che è capace di guardarti dritto negli occhi, con odio e disgusto, e gettarti in faccia il suo disprezzo per te. Proprio oggi, il giorno della tua tanto pregustata vendetta sul tuo rivale.
Avrebbe dovuto aspettarselo, dalla sua anima gemella. D’altronde, non faceva che tentare di mandarlo in pezzi fin da quando era nato, giusto?
Voleva forse dire che c’era riuscita, finalmente? Dopo tutti gli sforzi fatti per non pensare a Lei, giorno dopo giorno, per sottrarle il potere che Lei aveva sempre avuto su di lui?
Non lo avrebbe mai permesso.
Ken si rimise in piedi a fatica, tirò lo scarico, si diresse verso il lavandino. Si lavò la bocca, si gettò dell’acqua sul viso, finendo per bagnarsi anche un po’ i capelli. Chiuse il rubinetto, e i suoi occhi incontrarono lo specchio.
Uno spettro.
I capelli spettinati, il viso pallido, gli occhi sgranati. Non si riconobbe.

Mi fai schifo.
Il suo viso si contrasse in una smorfia che sembrò cambiargli i connotati. Nessuno lo aveva mai visto così. 
Nessuno avrebbe mai dovuto vederlo così.
Diede le spalle allo specchio, e promise a se stesso che Lei non l’avrebbe mai avuta vinta.
Indossò la migliore indifferenza che riuscì a costruirsi addosso, strinse i denti e drizzò le spalle, e continuò il suo spettacolo fatto di successi, interviste, sguardi impenetrabili e fredda condiscendenza. 
Se la bevvero tutti.
Nessuno si avvide del cambiamento, neanche se il suo stomaco non smetteva di bruciare.
A stento gli consentiva di mangiare, spesso lo piegava in due per il dolore, lo costringeva a correre in bagno, di nascosto, e vomitare tutto ciò che con fatica ingurgitava. Iniziò a diventare debole, tanto debole da dover saltare gli allenamenti, tanto debole da dover passare spesso in infermeria a scuola. 
Eppure nessuno se ne accorse.
Gli allenatori parlarono di stress dovuto allo studio, gli insegnanti di fatica da allenamenti. Tutti continuarono ad annuire, continuarono a idolatrarlo, fiduciosi che la loro Stella non si sarebbe mai offuscata. Tutti rimasero concordi: non è che una fase. Non è preoccupante.
L’importante era continuare a vincere.
Ken iniziò a guardarli, incredulo, sconcertato. Erano davvero così stupidi? Era davvero così facile ingannarli? Rischiò più volte di svenire durante un’intervista, di fronte a cameramen e giornalisti, e nessuno smise un attimo di sorridere. 
Recitavano anche loro?
Avevano davvero così bisogno di un ragazzino prodigio da bendarsi entrambi gli occhi, tapparsi entrambe le orecchie, diventare ignoranti sulla rabbia, sul dolore?
Chi, tra loro, recitava con maggiore intensità?
Ken, nel buio della sua stanza, si toccava il viso sempre più scarno, cercando di sentire qualcosa. Voleva sentire le infossature create dalla sua ira, i bozzoli duri della sua disillusione, le crepe delle sue sofferenze. Eppure non c’era nulla. Il suo viso era magro ma ancora perfetto, ancora una vetrina.
Ancora una maschera, che celava un abisso.
Un abisso di cui provava orrore.

Mi fai schifo perché sei marcio.
Una volta ripulito, il vomito non lasciava traccia. Non c’era nulla che corrodesse la sua vita perfetta, la sua perfetta distanza da chiunque.
Era stato così bravo a nascondersi. Così bravo che neanche lui sapeva più dove iniziasse lui, dove invece gli altri.
Ebbe paura. Una paura tremenda, infantile, senza via d’uscita.
Non sapeva più a che gioco stesse giocando.
Le attenzioni altrui iniziarono a diventare un tormento, a farlo sentire braccato. Non aveva più assi da giocare, non aveva più nessuno da ingraziarsi.
Era stanco, sempre più stanco, tormentato dal dolore del suo stomaco implacabile.
I suoi genitori non facevano che chiedergli di parlare loro, di dire loro cosa stesse succedendo. Sua madre bussò alla porta del bagno finché poté una sera, piangendo, supplicandolo di aiutarli a capirlo, e Ken non ebbe forza a sufficienza per dirle di andarsene. Ricorda solo di aver fissato la porta chiusa, ansimante, aggrappato appena al lavandino, e di essersi chiesto cosa volesse sua madre da lui.
Non aveva più niente da darle. 
Forse non aveva mai avuto niente da darle.

E la persona davvero sola, alla fine dei giochi, sarai soltanto tu!
C’erano giorni in cui si convinceva che l’unica cosa che lo spronava ad alzarsi dal letto era il suo odio per Lei.
Chi si credeva di essere, quella ragazzina? Cosa poteva saperne di lui? Come osava farlo sentire così?
Aveva rovinato tutto.
Quella era la sua rivincita, erano anni che ci lavorava instancabilmente, erano anni che inseguiva quel mondo fatto di frasi vacue e graffiante silenzio. Ed erano bastate alcune frasi a far crollare tutto, come se Ken non fosse che uno stupido, un perdente.
Era felice, prima. Era finalmente riuscito ad essere felice.
Era felice, dopo tanti anni passati a soffrire!
Era felice e aveva tutto. Lo sapeva che aveva tutto.
E gliel’avrebbe detto in faccia, a quell’Insetto, senza remore, senza risparmiarsi. Le avrebbe detto tutto, tutto quanto!
Le avrebbe detto ogni cosa …
… perché quel giorno avrebbe ricordato i motivi per i quali era stato felice fino a quel momento.
Quel giorno sarebbe stato lucido, e avrebbe saputo dirle con certezza in cosa, esattamente, consisteva la sua rivincita con il mondo. Le avrebbe mostrato i risultati concreti del suo duro lavoro, così che sarebbero stati inequivocabili. Così che Lei potesse solo arrendersi, meravigliata, e dirgli:
Hai vinto.
Non gli servivano altri stupidi premi fisici. Voleva solo sentire qualcosa di caldo nel petto, qualcosa che non bruciasse, qualcosa che non gelasse.
Qualcosa di solo suo …
Eppure oggi non sentiva nulla.
Sentiva solo il vuoto delle sedie accanto alla sua a mensa, il silenzio di fronte alla sua presenza agli allenamenti. 
Il gelo della sua sedia lasciata vuota durante la cena, a casa.
Sentiva solo sguardi che gli scivolavano addosso senza fermarsi mai, il lampo di riflettori che illuminavano troppo e mai abbastanza.
Sentiva, a volte, che l’unico sguardo reale fosse quello di Lei, che non riusciva a lasciarlo andare neanche nei sogni.
E quello sguardo assomigliava fin troppo ad uno specchio.

Perché non ti meriti nulla di quello che hai.
Un giorno Ken passeggiò per casa, e incontrò una foto di Osamu.
Si fermò, lentamente, come controvoglia. Poi si chinò, afferrò la cornice con mani tremanti, e la portò accanto agli occhi.
E si ricordò, dopo tanto tempo, di suo fratello.
Osamu era piccolo in quella foto: poteva avere massimo cinque anni, perché ancora sorrideva con tutto il cuore. Forse in quel momento era felice.
Forse in quel momento custodiva nel cuore qualcosa di prezioso.
Una famiglia amorevole, un fratellino con cui giocare, tante ragioni per rendere orgogliosi tutti.
La cornice iniziò a tremargli tra le mani, la vista iniziò ad appannarsi.
Il petto gli parve squarciarglisi in due.
Ken aveva desiderato portargli via tutto. Nonostante gli avesse voluto così bene, nonostante gli avesse voluto così male.
Aveva desiderato portargli via tutto.
L’affetto di mamma e papà. Le attenzioni degli insegnanti, dei compagni, della città intera. I suoi successi nello studio. 
Aveva cercato di essere lui – di essere meglio di lui.
Eppure non gli assomigliava così tanto. Non a quel bambino di cinque anni, almeno. Non a quel bambino felice.
La maschera che indossava era solo una pallida imitazione del fratello che aveva desiderato essere.
Era grottesca, fasulla, scomoda, e si stava squagliando sotto la forza del suo vero sé che aveva cercato di soffocare, perché non degno d’amore.
E non gli aveva dato niente di quel che davvero desiderava.
Ken andò in pezzi.
Si chiuse in camera, si accasciò contro la porta, e per la prima volta dopo anni pianse.
Pianse con gli ultimi brandelli di energia che gli erano rimasti. Pianse come un bambino: rannicchiato, impotente, sconfitto.
“Hai ragione tu”, disse agli occhi di Lei, un sussurro che a stento udì lui stesso. “Hai ragione tu.”

Mi fai schifo.
Mi fai schifo perché sei marcio.
E la persona davvero sola, alla fine dei giochi, sarai solo tu.
Perché non ti meriti niente di quello che hai.

***
 
Il giorno in cui scappò di casa, Ken si svegliò molto presto.
I suoi genitori dormivano, la porta chiusa dietro di loro. Non lo sentirono prepararsi, vestirsi nel modo più comodo che gli riuscì – non aveva mai avuto felpe comode, si rese conto con sorpresa: solo camicie e maglie formali, forse troppo per un dodicenne. Non lo sentirono prendere uno zaino, riempirlo di qualche cambio abiti senza criterio, di un paio di banconote, parte dei suoi risparmi. 
Non lo videro esitare, di fronte a un foglio di carta bianco e una penna.
Non lo videro lasciare quel foglio in bianco.
Ken scivolò via di casa, silenzioso come un’ombra.
E chi mai avrebbe potuto accorgersi della sua assenza?
Aveva cominciato ad essere un’ombra anche in casa, a scuola, ovunque. Non faceva rumore: erano gli altri che gli avevano costruito del rumore addosso.
Lui li aveva solo lasciati fare. Tutti hanno bisogno di un capro espiatorio, in fondo.
Ma, una volta rotto uno specchio, non lo si può riaggiustare.
Così Ken iniziò a camminare, nel gelo di una mattinata nuova, un cappello con visiera calato sugli occhi e un vecchio cappotto di suo padre addosso, irriconoscibile e dolorosamente anonimo, e non riuscì a fermarsi. Arrivò alla stazione metropolitana, salì sul primo treno disponibile, si sedette su un sedile gelido, si mise ad ascoltare lo sferragliare del treno sulle rotaie, e neanche per un istante si chiese dove stesse andando.
Sapeva solo che doveva andarsene.
Sul primo treno c’erano impiegati dal viso stravolto e gli occhiali sul naso, disperatamente aggrappati ai loro doveri per non addormentarsi sul posto. Sul secondo che prese, a caso, da una stazione che non ricorda nemmeno, iniziarono ad esserci studenti pendolari, universitari tra libri e appunti. Il terzo era pieno, ma ricorda quella donna immobile seduta accanto alla porta, i capelli ben stretti nel suo chignon perfetto, il completo elegante e gli occhi lontani, persi in un dolore che avrebbe rischiato di spettinarla, di stropicciarla, se solo lei gliel’avesse permesso.
Ken rimase a guardarla a lungo, senza sapere neanche perché. La guardò finché non scese, quasi a passo marziale, alla sua fermata. Nakano, probabilmente. La sua mente registrava cose strane, come se non gli appartenesse più.
Scese anche lui a quella stazione, e rimase per un attimo fermo alla banchina, perso tra le tante persone che sciamavano verso l’uscita.
Non sapeva neanche se stesse provando dolore in quel momento.
Non riusciva più neanche a sapere come stesse, cosa volesse, cosa cercasse.
Osamu l’aveva saputo?
Aveva avuto degli obiettivi, dei desideri, dei sogni?
Aveva saputo con certezza dove stesse andando, dove volesse andare?
O piuttosto aveva seguito la corrente, tentando di restare a galla nell’unico modo che aveva conosciuto?
Chissà se a lui piaceva davvero essere un genio, si chiese.
Chissà se gli piaceva essere un
ometto.
Chissà se non avrebbe voluto fare altro, invece. Giocare con lui ancora un po’. Appena un giorno in più sulla terrazza, una cannuccia tagliata all’estremità tra le mani, un po’ di acqua e sapone …
Se avesse potuto, sarebbe scappato anche lui?
Ken uscì dalla stazione metro, alla luce del sole ormai alto. L’aria fresca gli inondava i polmoni, condannandolo alla libertà. Gli sembrava di non aver più respirato da anni.
Camminò fino a farsi dolere i piedi.
Camminò fino a rendersi conto che l'orario di scuola era finito, che quel giorno era un martedì, e il martedì aveva gli allenamenti di calcio. Camminò finché non si rese conto che aveva inseguito studenti e lavoratori andare a scuola, e ora invece inseguiva studenti e lavoratori in pausa pranzo prima, alla fine della giornata di studio e lavoro poi. Camminò finché non sentì lo stomaco brontolare.
Solo allora si rese conto di non aver più vomitato dal giorno prima. Forse non aveva più neanche un briciolo di cibo da provare a smaltire.
Però aveva fame. Una fame terribile, primitiva.
Si nascose di nuovo in una stazione metro, terrorizzato da banconisti e cassieri dei negozi e dei konbini, e spese alcuni spiccioli in merendine e dolcetti presi al distributore automatico.
Li divorò, assente, ascoltando senza criterio il suo stomaco placarsi, come una tigre domata. Non era sicuro di essere sazio; d'altronde, non sapeva nemmeno in che modo avrebbe potuto saziarsi.
Salì su un nuovo treno. E poi riscese, risalì, riscese.
Si addormentò più volte su un paio di treni, tanto che spesso fece due volte capolinea senza accorgersene. Quando si rese conto di essere troppo stanco per esistere scese dall'ultimo treno, si infagottò nel suo cappotto e si distese su una panchina alla banchina della metro. Sprofondò nel sonno senza neanche accorgersene.
Fu svegliato bruscamente il giorno dopo, una mano sulla spalla a scuoterlo, un poliziotto dalle sopracciglia aggrottate chino su di lui.
"Che ci fai qui? Non puoi dormire in stazione. Non hai una casa?"
Ken si mise a sedere di colpo, chinando la testa, il cuore impazzito dalla paura di essere riconosciuto.
"Ma sei un ragazzino! Dove sono i tuoi genitori?"

Scappa, gli gridò il cervello.
Ken scappò.
Corse come un matto, tra le grida del poliziotto, scansando malamente chiunque si mettesse sulla sua strada, ascoltando freneticamente il rumore di passi che lo inseguivano. Ma lui non poteva fermarsi, nonostante non avesse più energie; non poteva fermarsi, così corse più veloce.
Si fermò soltanto quando i polmoni minacciarono di ardere fino a diventare cenere.
Ken si appoggiò al muro di un palazzo, i capelli appiccicati alla fronte, il cappotto a serrargli la gola come una catena. Per un momento si limitò a respirare affannosamente, tenendosi una mano sul petto, cercando di dire a se stesso che era salvo.
Fu allora che sentì il notiziario acceso dalle porte del cafè che aveva accanto, e si rese conto che il mondo aveva notato la sua assenza.
Ichijouji Ken era scomparso. I giornalisti ne parlavano con sgomento e allarme, come si parla di un meteorite abbattutosi con violenza su un paesino pacifico. Ne parlavano come se fosse avvenuto un evento traumatico, un brusco risveglio da un sogno.
Così si erano svegliati anche loro, infine.
Ken fu inseguito da televisori accesi ovunque andasse. Fu sorprendente rendersi conto, per la prima volta, che non gli importava nulla di cosa avessero da dire su di lui. Gli importava solo di nascondersi meglio, calarsi più decisamente il cappello sugli occhi, stringersi con più forza nel suo cappotto.
D'altronde nessuno avrebbe potuto riconoscerlo. Il Ragazzo Prodigio non avrebbe mai potuto cambiarsi nei bagni pubblici, mangiare in un vicolo deserto qualche snack poco salutare, bere dalle fontane. Non avrebbe mai potuto scegliere di perdere volontariamente, autoescludersi, rinunciare.
Non avrebbe mai potuto passare così inosservato.
Ancora non lo sapevano: il Ragazzo Prodigio era morto. Il corpo che si nascondeva come un ratto, che si guardava dagli sguardi dei passanti, era una gabbia che nascondeva uno spirito di cui Ken non sapeva nulla. Poteva solo sentirlo battere nel petto, con insolita determinazione.
Il tempo perse d'importanza, giorno e notte si confusero. 
Poi, una sera, sentì i suoi genitori piangere da un maxischermo.
C'era ancora tanta gente in giro a Odaiba; tanta gente che affollava le strade, che guardava lo schermo ad occhi sgranati, che commentava col vicino parole concitate. Ken non era che una testa tra le tante, le tasche drammaticamente vuote, le energie allo stremo.
Fu l'unica testa a sussultare.
La voce di suo padre sembrava diversa, amplificata e diffusa così chiaramente in ogni angolo della strada. Non riuscì a capire cosa dicesse: riusciva solo a vedere il suo pallore, la sua magrezza, le sue occhiaie, la disperazione nei suoi occhi. Ogni sua parola era una preghiera, una supplica. 
Sua madre nemmeno riuscì ad alzare gli occhi, nascosta tra le mani, piccola -così piccola che sembrava scomparire nel suo maglione beige.
Ken si chiese per chi piangessero, chi desiderassero a tutti i costi trovare.
Sarebbe andato bene chiunque?
Sapevano di chi sentivano la mancanza esattamente?
Sentiva il cuore pesante e gonfio, e questa sensazione lo sconvolse. 
E lui, sapeva di chi sentiva la mancanza?
Eppure neanche lui sapeva chi fossero quelle due persone in lacrime su uno schermo. 
Come si fa a sentire la mancanza di qualcosa che non si ha mai avuto?
Restò ad ascoltare le voci di quegli estranei finché poté, finché gli fu concesso. Finché le persone non iniziarono a disperdersi. Un uomo lo guardò con fin troppa insistenza, tanto da metterlo a disagio: Ken si mise a correre.
Non poteva restare lì.
Non poteva andare da nessuna parte.
Si era solo illuso di essere in esilio, non è vero? Non c’era strada che non fosse pericolosa. Non c’erano occhi che non lo scrutassero, diffidenti, preoccupati, sconcertati – minacciosi. Non c’era vicolo che potesse chiudersi sulla sua testa, nasconderlo, stringerlo a sé fino a renderlo invisibile.
Come aveva potuto camminare così tranquillamente per giorni?
Nella sua fuga sentì, a un tratto, il rumore del mare.
Non pensò: si precipitò in spiaggia, come un disperato che desidera avere salva la vita.
E lì rimase, impietrito, boccheggiante, di fronte al fragore del mare.
Non c’era nessuno.
Non si vedeva nulla che non fossero le luci lontane del Rainbow Bridge, perennemente vive nonostante l’ora.
Il cielo si era fuso con il mare, dando origine ad una voragine nera che parve volerlo inghiottire.
Una vertigine lo colse.
Cadde sulla sabbia gelida. 
Forse avrebbe dovuto restare lì per sempre.
Forse avrebbe dovuto sparire, non farsi mai più trovare. Perdersi nel nulla.
Sarebbe forse cambiato qualcosa? Per gli altri, per lui?
Era solo.
Non avrebbe mai potuto essere altro che solo.
Annichilito, rassegnato, appesantito, si accucciò sulla sabbia, coprendosi con tutto ciò che aveva. Chiuse gli occhi, tremante, e desiderò non sentire più nulla.

Eppure si risvegliò.
I gabbiani cantavano, incuranti, accogliendo le prime luci del giorno.
Ken riaprì gli occhi, controvoglia, e vide il cielo vestirsi dei colori dell’alba.
La meraviglia lo investì a tradimento.
Si mise seduto a fatica, pieno di sabbia e intirizzito. 
Il sole non era che una palla infuocata che si faceva strada tra i grattacieli in lontananza, ancora abbastanza rosso da non ferirgli gli occhi, immersa nell’arancio, violetto, azzurro del suo letto celeste.
E ora il mare brillava, placido e sereno, come se fosse pieno di lucciole.
Sembrava vivo.
Qualcosa gli tremò nel petto.
Si tolse le scarpe e le calze, abbandonò il cappotto sulla sabbia, rimise nello zaino il cappello.
Avanzò come un sonnambulo, rabbrividendo per la sabbia gelida sotto le piante dei piedi.
Esitò; poi mise i piedi nell’acqua ancora tiepida.
E lo sentì, mentre il sole si levava ancora nel cielo, mentre i gabbiani volavano sulla sua testa, mentre Tokyo l’insonne iniziava l’ennesima giornata produttiva.
Sentì chiaramente di essere vivo.
Le lacrime gli si formarono tra le ciglia: Ken lasciò che gli scivolassero lungo le guance, senza senso, senza scopo, senza un seguito. Il vento fresco del mattino gli asciugò quelle scie salate addosso.
Di fronte a quella luce prepotente, a quello spettacolo mai contemplato, Ken sentì un’energia disperata crescergli dentro, prendere possesso di ogni fibra del suo corpo.
Ken
voleva essere vivo.
Voleva emozionarsi, voleva gioire, voleva condividere.
Voleva credere che un posto per lui ci fosse, da qualche parte.
Voleva essere amato.
Voleva-
Voleva essere trovato.
Un’onda più grossa gli lambì le caviglie, gli schizzò i pantaloni.
Desiderò essere trovato, lì, così com’era. Rotto, solo, abbandonato, senza scopo né sogni, con solo la vita a pulsargli nelle vene.
Lo desiderò così tanto da restare paralizzato.
E le onde andavano e venivano, portatrici di segreti atavici, silenziose e placide, e Ken pregò con ogni forza che aveva. Affidò se stesso al mare, come solo le persone sofferenti sanno fare.

Trovatemi.
Qualcuno … chiunque … non importa.
Sono qui.
Ho perso la strada.
Trovatemi.

La sua mente si aggrappò a quella preghiera, la ripetè come un mantra per minuti. Per ore.
Ken rimase ad attendere, sedendosi a riva, la fronte sulle ginocchia.
Attese, il corpo teso, la mente sgombra.
Attese.
Così tanto che, quando si sentì chiamare, credette a uno scherzo della sua immaginazione.
Eppure la voce continuò sempre più forte, sempre più vicina.

Ichijouji. Ichijouji!
Sono qui, avrebbe voluto rispondere. Ma le sue labbra erano sigillate.
Così lasciò che quei passi concitati si avvicinassero, si fermassero di colpo, si affrettassero con ancora più energia.
“Ehi, Ichijouji!”
Motomiya.
Ken si lasciò scuotere, sentì parole accorate che non gli riuscì di comprendere. Riusciva solo a vedere l’espressione sul viso del suo rivale: preoccupata, sincera, limpida ed energica, come se nulla fosse successo. Come se quella partita non ci fosse mai stata.
Fu per puro caso che guardò altrove, e si accorse che non erano soli.
Il suo cuore sembrò fermarsi.
Scarmigliata, il cappotto aperto, gli occhiali a penzoloni sul naso e quegli assurdi capelli viola sul viso, Lei era a pochi metri di distanza, ansimante e sconvolta, e guardava lui.
Lo guardava, senza dire una parola.
Oh. 
Era così diversa, ora.
Aveva immaginato così tante volte i suoi occhi furibondi che aveva finito col credere che lei non lo avrebbe mai guardato in modo diverso.
Eppure eccola lì, fronte distesa e bocca dischiusa, con un’espressione che Ken non riuscì a leggere.
C’era qualcosa che palpitava, nei suoi occhi castani, e non era odio, né disgusto.
Sembrava dolore.
Il cuore di Ken si gonfiò così tanto che credette che gli sarebbe esploso.
Distolse lo sguardo –dovette farlo.
La voce ritornò, dopo giorni di silenzio, e lo fece a pezzi.
“Mi dispiace.”
Il mare riecheggiò le sue parole, ripetendole all’infinito.

Mi dispiace.

***
I suoi genitori lo accolsero tra le lacrime.
Lo videro varcare la soglia, più morto che vivo, scortato da un Motomiya rimasto in disparte, rispettoso ma vigile. Si precipitarono da lui e iniziarono a rimproverarlo, tremando per il sollievo. Gli dissero che erano stati mortalmente preoccupati, che non avevano idea di dove cercarlo. Gli parlarono come normali genitori infuriati, e questo colpì Ken come nient'altro prima d'ora.
Alle lacrime era abituato: alla rabbia no.
Quella rabbia era tutta per lui, perché era lui che l’aveva provocata. Sparendo per giorni … facendoli impazzire per anni.
Eppure era una rabbia che apriva porte, invece che chiuderle.
Ken li fissò, muto, mentre le loro voci si sovrapponevano, mentre le lacrime inondavano il viso di entrambi. 
Si era comportato malissimo con loro. 
Eppure eccoli lì, pronti ad accoglierlo, le braccia frementi che non potevano fare a meno di sfiorarlo, timorose di vederselo sfuggire di nuovo, timorose di un rifiuto. 
Forse loro sapevano chi avevano perduto, invece. Forse avevano sentito proprio la sua mancanza: non quella di Osamu, non quella di un figlio perfetto. La sua, e basta.
Ken pianse, senza freni, e i suoi genitori tacquero.
“Mamma”, balbettò a fatica. “Papà.”
Non riuscì a dire altro. D’altronde, non gli lasciarono dire altro.
Sua madre gli gettò le braccia al collo, singhiozzando. Suo padre li strinse entrambi, più forte che potè, la sua mano calda sul capo di Ken.
"Ken-chan", disse sua madre. Come faceva quando lui era ancora un bambino – quando c’era ancora Osamu.
"Perdonaci. Perdonaci, ti prego."
Ken si abbandonò tra le braccia della sua famiglia, senza trovare la forza di abbracciarli a sua volta. Chiuse gli occhi.
Li perdonò.

***
 
Col senno di poi non può che pensare che, se Motomiya Daisuke non avesse deciso di essergli amico nonostante tutto, la sua nuova vita si sarebbe rivelata diffcile, un arduo esercizio di funambolismo con diversi chili di troppo.
I suoi voti iniziarono a calare, con sgomento e scoramento di tutti. Ricorda i giornalisti fuori dalla porta di casa, all’entrata di scuola, accanto al campo di calcio. Ricorda la loro voce alta, i microfoni puntati verso di lui, gli occhi ora diffidenti, ora delusi, ora paternalistici. 
Ricorda i suoi genitori intervenire.
“E’ solo un ragazzo. Lasciatelo vivere la sua vita, per favore. Non vogliamo altra pubblicità.”
Ricorda le espressioni scontente e i borbottii dei giornalisti, sempre più radi, sempre più rassegnati, sempre più pronti a ritenere Ichijouji Ken una persona come tante, un invisibile.
Ricorda i sorrisi timidi e autentici di sua madre e suo padre, insospettabili alleati, e il suo imbarazzo misto a senso di colpa che lo costringevano a scusarsi invece che ringraziare.
Era molto più facile trovare parole per mettere distanza che per accorciarla, e Ken non aveva parole per l’amore.
Balbettava quando parlava di sé, a fatica, con frasi brevi e concise. Era incapace di rifiutare il bis del cibo che sua madre cucinava per lui, mangiando fino a riempirsi dolorosamente la pancia, solo per vedere gli occhi di lei brillare. Ogni volta che sorrideva doveva abbassare gli occhi, farsi piccolo, non farsi notare.
Eppure sentiva calore, per la prima volta: un calore così caldo e così intenso che non avrebbe mai potuto gestire da solo.
Ecco perché Daisuke fu così prezioso per lui, a quel tempo.
Lui non aveva mai avuto troppi pensieri per la testa, certamente non aveva alcun desiderio di primeggiare negli studi: gli bastava vincere a calcio contro di lui – l’unico sport che Ken non abbandonò, non sorprendentemente. Daisuke non aveva timore dei suoi silenzi, nessun rancore per ciò che era successo tra loro: era una persona generosa, solare, divertente e genuina. Rendeva tutto sempre facile, sempre possibile.
Un giorno Ken gli chiese come mai avesse deciso di essergli amico. Daisuke lo guardò con stupore.
“Beh, perché sì!” Fu la sua risposta spontanea e totalmente insensata. Di fronte all’espressione insoddisfatta di Ken, Daisuke si grattò la testa. “Ma scusa, che ti importa? Ci divertiamo insieme, no? Sono contento di essere tuo amico!”
E poi gli sorrise, perfettamente tranquillo come se il problema non si ponesse neanche.
Ken non lo capiva: era totalmente diverso da lui, non avevano assolutamente nulla in comune.
Eppure si fece trasportare.
Accettò il suo invito a casa Motomiya per studiare assieme, e poi quell’invito a restare a dormire. E poi lo invitò a sua volta, le guance in fiamme e il terrore di star sbagliando, incoraggiato da sua madre, felice come non mai al vederlo divertirsi accanto al suo primo vero amico, ridere persino.
E poi non ci fu più nulla da fare: nessun modo di tornare indietro.
Per fortuna.
Daisuke fu il primo ad aprirgli il mondo, quando il resto della città gli chiuse le porte e lo lasciò da solo.
Non sorprendentemente, fu anche grazie a lui che conobbe Yagami Hikari.
Non ricorda esattamente quando, ma un giorno lei bussò a casa Motomiya con un libro tra le mani e buoni propositi di aiutarlo a studiare inglese dopo il suo ultimo compito in classe disastroso. Naturalmente Daisuke si era dimenticato di avvisarla che ci sarebbe stato anche Ken.
Di fronte alla sorpresa di Yagami, Ken rimproverò il suo amico con lo sguardo.
“Che c’è?” Replicò candidamente Daisuke. “Mica ti dà fastidio? Hikari-chan è bravissima con l’inglese!”
“Magari non aveva voglia di avermi tra i piedi”, mormorò Ken. Abbassò lo sguardo, le guance in fiamme, e fece un breve inchino. “Me ne vado subito.”
“Resta”, rispose Yagami. 
Ken si azzardò a sollevare lo sguardo.
Sapeva che lei era stata presente a quella partita di calcio mancata: Daisuke gli aveva parlato di lei tante volte – d’altronde, in quel periodo aveva una specie di cotta per lei-. Si aspettò, quindi, quantomeno freddezza o rigidità da lei.
Quello che vide, invece, fu curiosità.
“Hai cambiato espressione, Ichijouji-kun”, gli disse. “Sono felice di sapere che tu stia meglio.”
E poi il suo viso delicato si aprì in un sorriso dolce, che lasciò Ken in uno stato tale di confusione e di imbarazzo da ammutolirlo completamente.
Lei non ne sembrò turbata. Andò a sedersi, chiacchierò con Daisuke come se nulla fosse, lo aiutò a studiare come poté, nonostante lui fosse un pessimo studente. Non rivolse più direttamente la parola a Ken, se non con gli occhi, che ogni tanto gli sorridevano, incoraggianti.
Non la vide più per diverso tempo dopo quel pomeriggio. 
Dentro di sé ne fu sollevato.
Era
troppo.
Pensava che Daisuke fosse l’unico al mondo a poter perdonare così facilmente senza ricavarne nessun vantaggio. Invece no: anche i suoi amici dovevano avere questo problema, a quanto pareva.
Non meritava niente di tutto questo. Possibile che non importasse a nessuno?
Avrebbe potuto ferirli ancora, come aveva già fatto. Possibile che non lo sapessero?
Solo Lei lo sapeva.
Lei non aveva mai cercato di incontrarlo. Forse era l’unica a sapere che brutta persona fosse Ichijouji Ken.
Daisuke e Yagami avrebbero dovuto seguire il suo esempio, si ritrovava a pensare, un peso nel petto. Avrebbero dovuto fermarsi alla cortesia e all’altruismo: Ken era tornato a casa, dopotutto, giusto? Il loro compito finiva lì. Sarebbe bastato rendersi disponibili in caso di bisogno, dopodiché defilarsi discretamente ma dignitosamente.
Lei aveva fatto così.
Era venuta a cercarlo, lo aveva trovato, lo aveva lasciato nelle mani di Daisuke ed era tornata a casa. Senza farsi più vedere o sentire.
Una reazione da persona normale, senza dubbio.
Eppure … chissà perché era venuta a cercarlo in spiaggia.
Forse voleva compiacersi di averlo zittito, umiliato e sconfitto, ma vedendolo così provato e disperato non se l’era sentita.
O forse aveva avuto pietà di lui, e aveva voluto fare la cosa giusta.
Oppure stava semplicemente accompagnando Daisuke, quel giorno?
Ken non sapeva niente di Lei. Non aveva mai neanche trovato il coraggio di chiedere di Lei a Daisuke. Con che scusa avrebbe potuto farlo, d’altronde?
Dirgli che si trattava della sua anima gemella sarebbe solo stato offensivo per Lei.
Così tacque, si defilò, e, come aveva fatto fin dalla scoperta delle sue Parole, cercò in tutti i modi di non pensare più a Lei.
Ci riuscì fino a un certo punto.
Poi, un anno dopo, per puro caso la rivide.
Aveva raggiunto Daisuke all’uscita da scuola, dopo gli allenamenti di calcio. Era primo pomeriggio, e gli studenti stavano uscendo dalle loro attività ai club di doposcuola, vociando tranquilli con zaini e libri tra le mani. Ken aspettava il suo amico un po’ defilato, la divisa grigia della sua scuola che lo identificava come diverso, in qualche modo meno autorizzato degli altri a sostare nel cortile, accanto al cancello. 
Stava cercando la zazzera di capelli di Daisuke tra la folla; fu per questo che gli venne istintivo voltarsi, senza pensarci, quando sentì delle voci parlare con tono più alto.
Scorse il Viola prima ancora di scorgere Lei.
Ken si nascose, il cuore che batteva a mille, la testa che gli ripeteva stupido, stupido, stupido. Avrebbe dovuto saperlo che avrebbe rischiato di incontrarla: era la scuola più grande del quartiere, quante probabilità c’erano che non studiasse anche Lei lì? Come aveva potuto non pensarci?
Avrebbe dovuto, forse, andarsene e mandare una mail a Daisuke, chiedendogli di raggiungerlo altrove. 
Non seppe muoversi.
Non seppe resistere.
La sbirciò, dietro il cancello, sentendosi un idiota. Voleva solo vederla un attimo, tutto qui. Voleva solo sapere se stava bene, che tipo di vita faceva, lontana da lui. Voleva solo rubare un altro ricordo di quel viso – un ricordo diverso dai primi due, che non lo avevano abbandonato un istante in tutto quel tempo.
Quell’attimo gli bastò.
Lei parlava a voce alta, due ciocche di capelli raccolte dietro la testa in una mezza coda, gli occhiali più piccoli di quel che ricordasse. Il suo viso era acceso: i suoi occhi castano chiaro brillavano, le sue guance erano rosee. Gesticolava un sacco, totalmente presa da quello che stava raccontando, qualunque cosa fosse. 
Per la prima volta, Ken pensò che fosse bella, e quel pensiero lo sconvolse.
Lo era sempre stata? Non riusciva a ricordarlo. Era sempre stata bella e lui non se n’era mai accorto, troppo preso dagli schemi nei quali l’aveva incasellata? Oppure quell’anno l’aveva cambiata, fatta fiorire da un momento all’altro?
Non sembrava più bambina, l’ultima volta?
La sentì ridere: un suono cristallino, potente, vitale, che gli si incastrò tra le costole.
Non aveva mai sentito nessuno ridere così.
Lei sembrava ridere con tutto il cuore, la testa gettata all’indietro, gli occhi chiusi, il viso radioso. 
Ridere le donava, pensò, smarrito.
Forse rideva spesso quando lui non era presente.
Quel pensiero fu come una doccia fredda.
Qualcun altro era mai riuscito a turbarla in quel modo? Era stato il solo a ferirla così tanto?
Era solo lui la persona sbagliata, capace solo di rovinare le cose belle con la sua semplice presenza?
Rimase impietrito a guardarla, desolato, mentre Lei attraversava il cancello, le braccia attorno alle spalle delle sue amiche, e incurante di tutto se ne andava.
Lo seppe, allora, ancora una volta: lui non c’entrava nulla con Lei. Non avrebbe mai dovuto cercare di avvicinarla.
Non avrebbe neanche dovuto guardarla da lontano, come uno stalker …
Vergognandosi di sé, la testa bassa e il cuore pateticamente infranto, Ken si voltò e vide Yagami a pochi metri da lui.
Sobbalzò, fece un passo indietro, diventò rosso come un peperone.
E poi calò uno dei silenzi più imbarazzanti della sua vita.
Yagami lo fissava, gli occhi imperscrutabili, come se stesse cercando di sondare la sua anima. 
Ken si rese conto, con orrore, che non sapeva da quanto lei fosse arrivata. Aveva forse visto tutto?
Forse ora pensava di lui che fosse una specie di maniaco, o qualcosa del genere…
“Io … ecco … Non …” Balbettò, senza sapere come uscirne. Avrebbe dovuto far finta di nulla, andare avanti come se nulla fosse? “Ciao.” 
Pessima strategia.
 “Si chiama Miyako. Inoue Miyako.” Disse Yagami senza mezzi termini.
Ken sentì le orecchie andargli a fuoco.
“C-chi?” Balbettò come un imbecille. 
Yagami sollevò le sopracciglia, con un sorriso incredulo.
Sembrava dirgli: per quanto tempo vogliamo prenderci in giro?
“Non è come credi”, disse infine. “Stavo solo …”
Non seppe come andare avanti.
“Non stavi facendo niente di male”, rispose Yagami. 
“Invece sì”, rispose Ken istintivamente.
Incrociò senza volerlo gli occhi di Yagami, e il suo imbarazzo crebbe.
“Scusami, devo andare”, disse frettolosamente. Chinò il capo, umiliato, e si allontanò a grandi passi.
Non si voltò indietro, ma si sentì gli occhi di Yagami piantati sulla schiena finché, finalmente, non fu troppo lontano per essere visto.
Quel giorno, fu costretto a dare buca a Daisuke.

***
 
Inoue Miyako.
Era più facile, in un certo senso, non conoscere il suo nome. Gli dava un comodo alibi:
Non posso farci nulla, non so neanche come si chiama!
E invece eccolo lì, con una notizia che non voleva avere ma che bramava.
Inoue Miyako.
Daisuke aveva parlato mille volte di lei, allora. 

L’amica pazza, la nerd dei pc, l’inguaribile romantica. La senpai a cui non avrebbe mai riconosciuto alcuna saggezza aggiuntiva. Nonostante tutto, un’amica per la quale battersi e al fianco della quale schierarsi.
Ce l’aveva così vicina. L’aveva sempre avuta così vicina, e non lo sapeva. Non aveva voluto saperlo.
Cosa avrebbe dovuto fare, ora?
Ora, con l’immagine della sua anima gemella sorridente, in divisa scolastica verde, lontana anni luce da lui stampata nelle retine e scolpita nel cervello. 
Ora, col terrore di volerla avvicinare, di aver bisogno di sentirla ridere – per lui, con lui.
La sua mente immaginava continuamente scenari irrealistici, senza senso, di cui provava imbarazzo e vergogna, e lui non sapeva come farla tacere.
Nessun libro sulle anime gemelle preso in prestito in biblioteca seppe dargli una soluzione. O meglio, gliene forniva, ma erano le soluzioni sbagliate. 
Nessun accenno su come sciogliere il Legame. I ricercatori non avevano nessun amore per Inoue Miyako, a quanto pare, e nessun interesse a tutelarla.
Se solo avesse saputo chi le fosse capitato come anima gemella si sarebbe messa a urlare. Come darle torto.
Ken cercò di non presentarsi più davanti alla scuola, adducendo qualunque scusa gli venisse in mente con Daisuke. Era il suo modo di proteggerla, finché non trovava una soluzione migliore.
Non servì, perché di punto in bianco Yagami iniziò a farsi vedere più spesso.
Sugli spalti durante le partite uno contro uno che Ken e Daisuke facevano spesso nel weekend, davanti alla scuola di Ken insieme a Daisuke, a casa di Daisuke quando c’era da vedere un film assieme. Yagami era sempre lì, sorridente e innocente, totalmente indifferente all’imbarazzo, alla vergogna, persino all’esasperazione sempre più evidente di Ken.
Un giorno se la ritrovò alla biblioteca del suo quartiere, esattamente un tavolo dietro di lui, e il suo limite di sopportazione fu raggiunto.
Si alzò in piedi, le si parò davanti, catturò il suo sguardo. Senza dirle nulla, dopo qualche istante, si diresse verso la porta per uscire in corridoio.
Yagami non tardò a seguirlo, senza esitazione.
Gli si mise davanti, lo guardò fisso, rimase ad aspettare di sapere cosa Ken avesse da dirgli.
Sembrava totalmente sicura dell’importanza di quel stava facendo.
“Mi piacerebbe sapere che sta succedendo”, disse Ken infine, fingendo una spavalderia che in realtà non possedeva affatto. Si sentiva sotto esame.
“Mi dispiace di averti messo a disagio, Ichijouji-kun”, rispose Yagami stringendosi un po’ nelle spalle. Allora  sapeva di averlo fatto, pensò Ken interdetto. “Ho solo pensato non ci fosse altro modo per avvicinarti e parlarti.”
“In privato, intendi”, aggiunse Ken, aggrottando le sopracciglia. “C’è qualcosa che non vuoi che Daisuke sappia?”
Yagami annuì. “Ho pensato che avresti preferito anche tu parlarne tra noi e basta.”
Non c’erano molti dubbi su quale sarebbe stato l’argomento di conversazione, viste le premesse.
Ken si incupì, distogliendo lo sguardo. “Forse è meglio non girarci troppo attorno”, disse piattamente. “Mi dispiace per quanto hai dovuto vedere quel pomeriggio davanti alla tua scuola. Se vuoi delle scuse, eccole. Io non … non pensavo ci fosse nessuno dietro di me, e chiaramente deve essere stato imbarazzante, trattandosi di una tua amica. Però volevo rassicurarti che non ho intenzione di avvicinarmi più a lei.”
“Perché no?”
Ken credette di aver sentito male.
“Ma …” Sollevò lo sguardo, aspettandosi una risata, qualsiasi cosa rivelasse che si trattava di una domanda sarcastica. “E’ evidente.”
“Non lo è.”
“Se è uno scherzo non fa per nulla ridere.”
“Vorrei tanto lo fosse.” Yagami sembrò, di colpo, triste. “Tu pensi di non meritare nulla di bello al mondo, giusto?”
La vertiginosa sensazione di essere messo con le spalle al muro lo lasciò senza fiato.
“Tu non sai nulla di me”, replicò d’istinto. Una rabbia cieca, insensata, piena di paura gli accecò lo sguardo. “Non sai cosa penso, cosa voglio, di cosa ho bisogno. Non puoi capire cosa-”
“Infatti non posso. Per questo vorrei che me lo spiegassi”.
“Perché?” 
“Perché vorrei esserti amica.”
Silenzio. Ken rimase a fissarla, con ancora i pugni contratti in tasca, con ancora il cuore impazzito nel petto.
Non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo.
“Perché?” Ripeté, ancora più incredulo di prima.
Yagami fece un piccolo sorriso empatico. “Perché mi sembri tanto solo.”
Ci sono parole che ti scorticano la pelle.
Bastava così poco, allora, per renderlo di nuovo quel bambino smarrito, affamato di attenzioni senza speranza di poterle ottenere, senza essere sufficientemente meritevole di averne?
Ken distolse lo sguardo – un estremo tentativo di proteggersi dalla pugnalata finale.
Davvero sembrava così patetico?
“Non voglio pietà”, sussurrò.
“Non provo pietà per te, Ichijouji-kun”. Yagami sembrò addolorata al solo pensiero di essere stata fraintesa. Soppesò le parole per un istante, come se ne conoscesse il peso e volesse trattenerne un po’ per sé. “Credo che, in fondo, il mio sia un desiderio egoistico. Tu hai il diritto di vivere la tua vita esattamente come meglio credi … ma vederti soffrire mi fa male.”
Meglio soffrire che far soffrire.
“Io non ho nulla da donare.” Ken aprì le braccia, impotente, disperato. “Non ho niente di speciale, non so come si faccia l’amico, non ho la minima idea di cosa ci si possa guadagnare a starmi accanto.”
E Yagami, temeraria, sorrise, gli occhi castani brillanti.
“Lascia che sia io a deciderlo”, disse.
Ken non riuscì a trovare nulla da controbattere, e così perse.
L’ennesima sconfitta della quale sarà per sempre grato.

***
 
Chiunque incontri Yagami Hikari per la prima volta pensa una cosa di lei: è un essere sovrannaturale.
C’è stato un periodo in cui lo ha pensato anche lui, e un po’ se ne vergogna.
Era troppo buona, pensava. Troppo empatica, troppo saggia, troppo silenziosa. Troppo altruista. Sapeva sempre quando esserci, e quando non farsi sentire. Ti guardava, e solo guardandoti riusciva a sentirti, a riscaldarti.
Non in tanti sono in grado di reggere un’espressione simile.
Fu solo in ritardo, come sempre, che Ken si accorse dell’altra faccia della medaglia, dell’onere terribile che ereditano tutti gli esseri sovrannaturali: nessuno ti assomiglia.
Ma Yagami lo nascondeva fin troppo bene.
Perché non sembrava pesarle, dare così tanto di sé da non avere neanche una briciola da conservare a fine giornata. Sembrava che votare la propria vita agli altri potesse sopperire alla mancanza di contatto con altri.
Lei aveva sempre le mani protese. Nessuno tendeva le mani a lei, però.
Rendersene conto lo colpì come mai avrebbe creduto possibile, e solo allora riuscì a capirla meglio.
Era il suo modo di creare un contatto. L’unico che conosceva, probabilmente.
Eppure Ken non gliene parlò mai, e nemmeno Yagami si aprì tanto con lui: la loro era una specie di comprensione tacita. Ken aveva l’impressione, e la presunzione di credere che fosse così anche per Yagami, che loro due si sentissero a un livello profondo, senza bisogno di parole.
Era la prima persona simile a lui che conosceva, e la cosa lo turbò profondamente.
Aveva già un posto sicuro dove stare: accanto a Daisuke, dove si sentiva accolto chiunque lui fosse, qualunque cosa facesse. Ma fino a quel momento non aveva mai sperimentato quel tipo di accoglienza, di quelle non aprioristiche, ma perché
lui era lui, e non qualcun altro.
Yagami era nettamente diversa da Daisuke. Dove lui era rumoroso e solare, lei era introversa, riflessiva. Daisuke urlava, Yagami parlava piano, con frasi brevi ma sempre intense, sempre sentite. Daisuke era molto fisico, Yagami rispettava gli spazi altrui, ma sapeva benissimo quando allungare una mano e toccare delicatamente una mano, una spalla. Daisuke era una persona semplice, lei sembrava avere un mondo intero racchiuso tra le labbra.
Ken scoprì, con sorpresa, che la sua presenza lo rassicurava.
Forse perché era sensibile, fin troppo, ai suoi sentimenti di disagio, frustrazione, inferiorità quando tentava di interagire con gli altri. Forse perché gli sorrideva, incoraggiante, nonostante fallisse, come a dirgli: almeno ci hai provato.
E Ken si cullava, come un bambino ferito, in quelle braccia sempre pronte ad accoglierlo, anche quando lui stesso non sapeva cosa gli succedesse, anche quando Daisuke non sembrava accorgersi dei suoi cambi d’umore.
Daisuke si accorgeva solo della loro strana, incomprensibile vicinanza, travisandone completamente il significato.
“Ma ti piace Hikari-chan?” Gli diceva, gli occhi spalancati. “Se vuoi provarci non ti preoccupare per me, mi è passata! Ti ci puoi mettere assieme … aspetta, state già assieme?”
“Non hai capito proprio nulla, Daisuke”, rispondeva Ken, arrossendo miseramente.
Forse nemmeno Ken stesso ci aveva capito nulla. In fondo, non era lui quello bravo con i sentimenti.
Era Yagami l’esperta, gli sembrava a quel tempo, quantomeno dei sentimenti altrui. Gli dava, a volte, l’impressione di volerlo guidare, tenendolo per mano, alla scoperta del mondo esterno, e di come si poteva stare accanto a qualcuno senza rischiare di ferirlo. 
Una specie di manuale d’istruzioni, insomma: il più dolce del mondo.
“Sei preoccupato per me? Ti ringrazio, Ichijouji-kun. Mi rende felice sapere che ci tieni.”
“Quando sei felice non dovresti nasconderlo, sai?”
“Se non sei a tuo agio, non devi farlo per forza.”
“Hai un’idea in mente per oggi pomeriggio? Puoi dirla liberamente, io sono a corto d’idee.”
Tante, tante parole. Mai nessuna su Yagami stessa.
Sembrava fosse limpida come l’acqua, e profonda come un oceano.
Ken avrebbe voluto aiutarla come lei aiutava lui, ma questo Yagami sembrava intenzionata a non insegnarglielo.
Di contro, sembrava volergli insegnare mille cose su Miyako.
Non faceva che raccontargli di gite fuori porta e pomeriggi assieme, e di quanto fosse golosa di dolci, e di quella volta in cui le aveva mandato un’improbabile traccia audio destinata ad essere la sua suoneria del cellulare, e nel riprodurla aveva fatto girare indignato mezzo vagone di metropolitana. E poi ancora della sua passione per il té nero e la cerimonia del té, sostituita da quella degli idol, e poi ancora da quella del bricolage. Tutte passioni amate all’estremo, e rapidamente abbandonate.
“Smettila”, chiedeva a Yagami ogni volta, asciutto, gli occhi distanti.
“Miyako-san fa parte della mia vita”, ribatteva lei. “Vuoi davvero che la tagli fuori da ogni racconto?”
Assolutamente no, ed era proprio quello il problema.
“Non ti chiederò di presentarmela.”
E Yagami si sgonfiava appena, ogni volta inspiegabilmente un po’ delusa – come se le cose potessero essere diverse. “Cambierai mai idea?”
Una volta, all’uscita da scuola, Miyako aveva incontrato fugacemente il suo sguardo.
Stava parlando con Yagami, a voce così alta che Ken avrebbe potuto dire a memoria ogni dettaglio della nuova traccia audio che stava editando, e mentre si scostava una ciocca di capelli dal viso il suo sguardo si era posato distrattamente su Ken.
La velocità con la quale lo aveva distolto, come se fosse stata scottata, e l’espressione turbata del suo viso lo avevano gettato nello scoramento più totale.
Non si era più girata nella sua direzione, volontariamente, in modo evidente e stereotipato.
Nonostante lui la guardasse così.
“No”, rispondeva semplicemente.
E Yagami abbassava lo sguardo, pensierosa e muta, e Ken si ritrovava a sperare, ogni singola volta, che avrebbe capito.
Non succedeva mai, e il tormento si acuiva giorno dopo giorno.
Sembravano incastrati in un loop senza fine, che nessuno dei due sapeva come interrompere.

***
 
“Ichijouji-kun, ho letto le tue Parole.”
Il giorno in cui infine Yagami Hikari risolse l’enigma, stavano studiando assieme, l’uno accanto all’altro, silenziosamente assorti nei loro rispettivi compiti, a casa Ichijouji.
Yagami ruppe il silenzio senza preavviso, appena un bisbiglio, capace di far crollare grattacieli.
Ken rimase immobile, il vuoto che piombava come un macigno sulle sue viscere.
Yagami lo guardò appena, di sottecchi. Gli bastò un solo sguardo per comprendere che non era stato intenzionale.
“Ti sei chinato per raccogliere la penna”, aggiunse lei. “Ti si sono scostati i capelli dalla nuca. Non ho pensato … mi sono voltata e le ho lette. Perdonami.”
“Ah”, disse Ken. E non seppe come continuare.
Chinò lo sguardo sul suo quaderno, i caratteri che si confondevano, perdevano di significato. Prese la penna, se la passò tra le mani, la posò nuovamente. Gli era diventato difficile respirare.
“Ti prego, di’ qualcosa”, sussurrò Yagami, mortificata. “Sei arrabbiato con me?”
Ken scosse la testa. “Non sono arrabbiato.”
“Avresti ragione ad esserlo.”
“Non lo sono, davvero”, ribadì. Se ne sorprese. “Non … non pensavo fosse così visibile. Sono io a chiederti scusa.”
“Nessuno se n’è mai accorto?” Tentò Yagami timidamente.
Ken sollevò il capo, un debole sorriso sulle labbra. “Nessuno si è avvicinato tanto a me.”
Yagami tacque. Ken seppe che aveva capito.
“Sono un idiota”, disse infine, mentre l’imbarazzo gli colorava le guance. Si mise a guardare qualsiasi cosa, qualsiasi, che non fossero gli occhi di Yagami. 
“Non è poi così tanto visibile”, tentò di consolarlo lei. “E’ solo che sono seduta accanto a te.”
“Sarebbe potuto succedere mille volte.” Ken rise di sé. “E dire che ho fatto crescere i capelli apposta.”
“L’hai già incontrata?”
Eccola lì. La domanda scomoda. Sapeva che sarebbe arrivata, prima o poi.
Ken si prese il tempo di un lungo respiro.
“Me lo stai chiedendo davvero?” Le disse. “Oppure conosci già la risposta?”
“Ho un sospetto”, rispose Yagami. 
Ken le sorrise. “E’ più di un sospetto.”
Yagami non disse nulla.
Lui tornò a guardarsi le mani, le dita inerti sul tavolo. Le aprì, le strinse. 
Riprese a parlare, quasi senza avere controllo sulle sue labbra.
“Lei… non sa di essere la mia anima gemella”, disse a fatica. “Per saperlo dovrei riuscire a parlarle. E io non so neanche se dovrei farlo …
Mi fai schifo, ha detto quel giorno dopo la partita. Mi fai schifo… non Non vai a genio, non Ti comporti da bullo. Mi fai schifo. Sono passati anni, e… io sono ancora d’accordo con lei.”
Ken, senza fiato, si accorse di non essersi mai aperto così, con nessuno.
C’era una specie di istinto di sopravvivenza ad artigliargli il petto, intimandogli di tacere,
è troppo, basta, basta. Ma Ken non poteva fermarsi.
Non voleva farlo, per la prima volta nella sua vita.
Perché Yagami Hikari voleva ascoltarlo.
“Sto … cercando di essere una persona migliore, ci sto provando, davvero, ma … non capisco bene come si fa.”  Ken si torse le mani. “Resto intrappolato nelle stesse situazioni … non sono capace di fare del bene, eppure ne ricevo continuamente. Dai miei genitori, da Daisuke, da te. Nonostante tutto non so donare nulla, so solo prendere… sono io l’insetto.” Rise appena, di una battuta amara che conosceva solo lui. “E lei si merita un’anima gemella migliore… qualcuno solare come lei, magari, pieno di interessi come lei, capace di renderla felice. Qualcuno che non si sarebbe mai comportato come me… o se non altro qualcuno in grado di fare ammenda. Qualcuno che … qualcuno che non posso essere io.”
La gola gli si serrò.
“Ho questo marchio d’infamia che mi ricorderà per sempre chi sono davvero”, continuò, portandosi la mano dietro il collo. Strinse appena la presa delle dita, come se cercasse di soffocare le sue Parole. Come aveva sempre cercato di fare, in fondo.“Qualunque cosa io provi a fare, io sarò sempre io. E Miyako-san sarebbe infelice con me. Io non posso pensare di renderla infelice, lei è così…”
Il groppo in gola ebbe la meglio: Ken tacque, turbato, sconfitto, la mano fermamente posata sul collo.
Scosse lentamente il capo.
“Non posso.”
Yagami si avvicinò silenziosamente, così tanto che Ken quasi non se ne accorse.
Gli posò una mano sulla sua, proprio quella che nascondeva le sue Parole. Una mano fredda, liscia, gentile.
Ken ebbe uno scatto, ma non si ritrasse.
“Ma tu non sei questo”, disse dolcemente Yagami.
Ken continuò a tenere gli occhi bassi.
“Ichijouji-kun”, lo chiamò ancora lei. “Guardami. Tu non sei le tue Parole.”
Ken la guardò. 
Non c’era mai stato così tanto amore negli occhi di Yagami: non l’aveva mai guardato con tanta tenerezza, con tanta accettazione. 
Non era mai stata così vicina.
“Anzi … tu sei quello che sei soprattutto grazie a loro”, continuò Yagami, un sorriso luminoso come una stella. “Hai preso quell’episodio doloroso e l’hai trasformato nella tua spinta a fare meglio, a essere meglio. Non è un marchio: è un punto di partenza. Tu sei una bella persona, Ichijouji-kun. Lo penso davvero. Ed è normale che tu abbia dovuto ricominciare da capo, magari più tardi di molti nostri coetanei, ma guarda cosa hai conquistato … guarda cosa ci hai regalato. Stare con te è un dono. Io sono grata al destino per averti potuto conoscere.”
Le lacrime affiorarono ai suoi occhi prima che potesse impedirselo.
E lì rimasero, sospese, indecise, mentre la vista di Ken si appannava, e tutto il mondo si capovolgeva.
Yagami era lì, la mano ancora posata su quella di lui, gli occhi brillanti, il sorriso consapevole, tanto vicina che avrebbe potuto distinguerle ogni neo sul viso. Aveva sempre avuto quel delicato profumo da ragazza? Non l’aveva mai sentito. Non si era mai concesso di sentirlo.
Ken non pensò.
Si chino, e posò le sue labbra su quelle di Yagami.
Fu solo un attimo, la testa vorticante, il cuore in subbuglio. Un attimo goffo, forse troppo irruento, che gli diede appena il tempo di sorprendersi della consistenza di altre labbra contro le sue.
Poi, la realtà lo colpì in faccia come un pugno.
Ken si ritrasse bruscamente, gli occhi spalancati.
Yagami era rimasta immobile, come stordita, le mani ancora sospese a mezz’aria. 
Il suo stomaco si contrasse, nella sensazione di aver sbagliato. 
“Perdonami”, sussurrò Ken. “Io…”
Yagami, lo sguardo assente, si posò due dita sulle labbra, e ancora tacque.
“Yagami-san, perdonami”, disse ancora lui, desolato. “Non so cosa mi sia preso.”
Non lo sapeva davvero. Sapeva solo di aver rovinato tutto.
Tutto quello che avevano costruito assieme era rovinato, per colpa sua. Come poteva essere successo solo in un secondo? 
Come aveva potuto essere così avventato?
“Se vorrai andare via lo capirò.”
Distolse lo sguardo da lei, colpevole. Attese.
Ma Yagami, ancora una volta, non andò via.
Abbassò le dita, lentamente, come se avesse paura di rompere il momento – o forse se stessa.
E quando, infine, parlò, la sua voce sembrò accarezzare ogni parola.
“Io ho già incontrato la mia anima gemella.”
Ken, pietrificato nella mortificazione, alzò bruscamente il capo. 
Era la prima volta che Yagami parlava di una cosa tanto personale.
“E’ il fratello minore di un caro amico di Taichi”, disse. “Si è trasferito recentemente a Odaiba, viene in classe con me. Taichi me lo ha presentato, e così l’ho conosciuto. Mi ha fatto un sorriso enorme, mi ha teso la mano … e mi ha detto le mie Parole.”
C’era un sorriso tutto diverso ora, sulle labbra distratte di Yagami. Un sorriso sottile, delicato, ma capace di tagliare a fondo – come un foglio di carta sulle dita.
“Ho provato un’emozione fortissima in quel momento… non so neanche descrivertela, ma forse puoi capirmi. Lui mi guardava, con grandi occhi limpidi, e io non sapevo cosa fare, così decisi, semplicemente, di rispondergli. Rispondergli in modo banale, capisci. L’importante era parlargli, dopotutto… non avrebbe potuto non riconoscermi. Quindi gli risposi, col cuore che mi batteva all’impazzata, con le mani tremanti, e aspettai una sua reazione.”
Due lacrime silenziose solcarono il viso immobile di Yagami, sotto il viso stupefatto e colpito di Ken. Gli sembrava di vederla ora, finalmente, per la prima volta.
“Lui mi riconobbe”, continuò lei, lo stesso tono delicato e dolente. “Glielo lessi negli occhi. Vidi il suo viso cambiare in sorpresa, meraviglia… e poi paura. Sapeva chi ero, ma ebbe paura di me, di cosa significavo. 
“Corse ai ripari. I suoi occhi si mascherarono. Ritornò a sorridermi, con nonchalance, e si mise a parlare con me come se niente fosse. Taichi non si accorse di nulla. Ce ne accorgemmo solo noi due… attori incastrati in una recita in cui ci avevano catapultati senza conoscerne le battute.”
Yagami dovette accorgersi dell’espressione turbata sul viso di Ken: il suo sorriso si fece più ampio.
“Ho scoperto più tardi – a fatica, perché non ne parla affatto volentieri - che, da bambino, ha sofferto moltissimo per la separazione dei suoi genitori, cosa che lo ha anche allontanato da suo fratello maggiore”, gli spiegò, con una dolcezza che fu a un tratto rivelatrice dei suoi sentimenti per questo ragazzo. “I suoi sono anime gemelle. E’ normale non voler soffrire.”
“Tu non lo faresti soffrire”, disse Ken stupidamente.
“Tutte le persone fanno soffrire”, ribatté Yagami. “Bisogna solo chiedersi se ne valga la pena.”
Il cuore di Ken si strinse dolorosamente.
“Sei la persona più buona che io conosca, Yagami-san”, le disse, balbettando appena per l’imbarazzo. “Vali certamente la pena.”
Yagami scosse la testa, gli occhi lucidi. “Non per lui.”
E rimase immobile, tristemente assorta, come una bambola abbandonata sul pavimento.
Ken non riuscì a sopportare una vista simile.
“Hai mai provato a parlargli?” Le chiese.
Yagami scosse, di nuovo, la testa. “Non ne ho il coraggio.”
Certo che no.
Perché si sentiva tracotante, Yagami Hikari, a chiedere un po’ di amore. Perché pensava di essere insignificante, senza troppo da dare, non importante abbastanza per avere qualcuno a lottare per lei.
Perché non aveva mai imparato ad essere egoista, solo un pochino, quel tanto che basta per essere felice, per condividere quella felicità con qualcuno.
Non aveva bisogno di dirglielo: Ken lo sapeva. 
Lo sapeva davvero.
E così l’affetto che provava per lei crebbe, lo rese coraggioso.
Si avvicinò, allungò le mani. La vide irrigidirsi appena, un segnale evidente di che tipo di contatto non desiderava.
Ma il pericolo era passato.
Ken si limitò a prenderle le mani posate sul grembo, come lei aveva fatto tante volte per lui – come lui non si era mai azzardato a fare finora, pur desiderandolo tante volte.
Incontrò i suoi occhi castani, serio come poche volte lo era stato.
“Vorrei che tu gli parlassi”, le disse.
Gli occhi di Yagami erano così scoperti, ora.
“E io vorrei che tu parlassi a Miyako-san”, lo provocò dolcemente.
Un tuffo, l’ennesimo, alle viscere.
“Lo so che non sono credibile”, sospirò Ken. “Ma io ti supporterò. Voglio che tu trovi il coraggio di parlare alla tua anima gemella. Se lo troverai tu…”
Le labbra di Yagami si incurvarono appena, così Ken continuò.
“Se tu troverai il coraggio, sentirò di averne un po’ di più anche io. Per Lei.”
“Tu vuoi parlarle, non è vero?” Gli domandò dolcemente Yagami.
Ken chiuse, brevemente, gli occhi.
“Sì.”
Yagami gli strinse le mani a sua volta.
“Allora dobbiamo impegnarci tantissimo entrambi.” Disse. “Grazie. Anche io mi sento più coraggiosa, ora.”
“Dimmi che non ho rovinato nulla”, mormorò Ken.
Yagami lo guardò.
“Dimmi che possiamo continuare a starci accanto.” Forse Ken non aveva il diritto di chiedere una cosa tanto egoistica. Forse doveva smettere di aggrapparsi alle persone, pregandole di non abbandonarlo. Ma questa volta, solo questa volta, non riuscì a farne a meno. “Non sopporterei l’idea di aver perso il nostro rapporto per colpa di uno stupido errore.”
Yagami rimase in silenzio per un istante, sorpresa. Poi, mentre Ken iniziava a chiedersi se non fosse il caso di lasciarla andare accettando la responsabilità delle sue stupide azioni, la vide scuotere la testa serenamente.
“Cosa dici, Ichijouji-kun?” Gli disse semplicemente. “Siamo più legati di prima, ora.”
E ogni parte di lei, stavolta, sembrò sorridere. 
L’ansia di Ken si sgonfiò come un palloncino, lasciandolo tremendamente sollevato.
“Però”, aggiunse poi Yagami, esitando, a mezza voce, “Non posso darti niente di diverso da quello che siamo ora. Per te va bene?”
Sembrò quasi impaurita dalla risposta, come se dalle parole di Ken dipendesse il destino del loro rapporto.
“Così come siamo”, rispose Ken semplicemente, e credette a ogni parola pronunciata. “Esattamente così come siamo. Non voglio altro.” 
Yagami gli sorrise, ancora una volta.
E lì rimasero, le mani strette tra loro, una vicinanza forse eccessiva per due semplici amici, decisamente non abbastanza per due innamorati.
Aveva poi un senso cercare di descriversi?
Avevano bisogno l’uno dell’altra.
E solo ora, con quelle dita intrecciate, Ken aveva la sensazione che le cose si sarebbero messe a posto, prima o poi. Che avrebbero trovato, insieme, la forza di farlo.
Un giorno, forse, ce l’avrebbero fatta.

***
“Ho detto a tutti che ci stiamo frequentando.”
Ken quasi inciampò per la sorpresa.
“Non guardarmi così”, aggiunse Yagami serenamente, le mani fermamente strette attorno alla maniglia della sua cartella scolastica. “Tutti cominciavano a farsi domande. Ho pensato che fosse più facile per entrambi rispondere così, alla luce del tempo e del modo in cui stiamo assieme abitualmente.”
“Tu non lo pensi davvero, giusto?” Chiese Ken esterrefatto. “Che ci stiamo frequentando.”
“Ma no. Però ci chiamiamo ogni giorno, usciamo spesso assieme. Ci hanno visti seduti vicini.” Yagami si strinse nelle spalle, fin troppo innocentemente. “Non somiglia un po’ a una relazione?”
“Non ho idea di cosa somigli a una relazione”, sospirò Ken. 
Non c’erano mai più stati baci tra loro. Non ce ne sarebbero stati mai più.
“Se ti dispiace dirò a tutti che ci siamo lasciati.”
Ken le lanciò un’occhiata rapida. 
“Lo hai fatto per Lui?” 
Yagami non incontrò il suo sguardo, continuando a fissare la strada davanti a sé. “Forse l’ho fatto perché ho ancora bisogno della tua vicinanza.”
“Quindi sì.” Ken sospirò ancora. “Non importa, puoi … puoi dire che stiamo assieme. Non è affatto un problema per me.”
E poi cercò, con tutte le sue forze, di assumere un’espressione noncurante.
Non gli riuscì.
“Anche Miyako-san lo sa”, aggiunse Yagami.
Ovviamente.
Ken strinse i denti, il cuore che prendeva a impazzire nel dubbio, nell’incertezza, nel tentativo di indovinare una conversazione per lui paranormale. “Ah.”
“Non avere paura”. Gli prese la mano, gliela strinse. “Andrà tutto bene.”
“Dubito. L’ha presa male, immagino.”
“Andrà bene, Ichijouji-kun. Fidati di me.”
Yagami gli sorrise, sicura, rassicurante. 
Quel giorno Ken fece un pensiero fugace, che cercò di respingere con tutto se stesso.
Sospettò che Yagami volesse proprio avvicinare loro due, con quella mossa. Che volesse aiutare più lui che lei, portando Ken e Miyako a conoscersi, portando Ken a desiderare maggiormente di parlarle e magari anche a dargli il coraggio di farlo, con la presenza di Yagami accanto.
Ma Yagami non poteva essere stata così calcolatrice… vero?
Non poteva aver previsto tutto.
Non poteva aver previsto il loro incontro al concerto dei KoD, il tumulto nel quale quell’incontro aveva sprofondato entrambi, nonostante tutto la forza con la quale Miyako gli aveva preso le mani e gli aveva chiesto di restare, per lei.
Non poteva aver previsto che Miyako avrebbe cercato di parlargli trovandosi di fronte a un muro, che avrebbe pianto nel sentirsi rifiutata da lui, che lui avrebbe così tanto pensato a quelle lacrime da buttare alle ortiche ogni prudenza e scriverle una mail senza sapere se questo lo avrebbe fatto scoprire. 
Non poteva aver previsto che quella mail sarebbe stata solo la prima, e che ce ne sarebbero state una valanga dopo. Le confessioni a cuore aperto, la sensazione di sentirsi così simili da sentire i ghiacciai eterni del suo cuore sciogliersi impotenti, così diversi da volersi scoprire ogni giorno, senza sosta.
Non poteva aver previsto che la situazione di Ken, le sue speranze disperate, si sarebbero aggravate ogni giorno in cui conosceva Miyako, in cui si faceva conoscere da lei.
Non poteva… o forse sì?
Si doveva forse supporre che Yagami avrebbe mai potuto prevedere che, una notte di fine marzo, Ken si sarebbe finalmente arreso di fronte alla potenza di quel che provava e avrebbe lasciato che le sue labbra si schiudessero, rivelando il segreto su chi lui era e su chi voleva essere?
Impossibile.
Yagami era un mistero: probabilmente lo sarebbe rimasta in eterno.
Ma se quel giorno Ken avesse creduto fino in fondo al suo sospetto… le cose sarebbero andate in modo diverso?
Avrebbe voluto cambiare il corso degli eventi o avrebbe lasciato tutto così com’era?
In fin dei conti, esiste davvero un universo parallelo in cui Ichijouji Ken e Inoue Miyako non avrebbero finito per incrociare i loro destini?




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* Il riferimento al termine ometto viene da "L'ultima stagione", di D. Robertson. L'uso che ne faccio qui è leggermente diverso, ma non posso ignorare il nocciolo che lega strettamente i due ometti, così come l'enorme peso che si portano dentro dentro entrambi per tutta la loro vita.

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Capitolo 9
*** 9 ***


 
 
Against the rules



 
9.

 
 
 
 



"Io non me la bevo", dice Miyako rompendo il silenzio.
Il vento sembra essersi placato, ora. E' una sensazione strana: è come se il giardino intero in ogni singolo filo d'erba, in ogni singola foglia stesse trattenendo il fiato, osservando con placida curiosità quei due ragazzi in yukata seduti l'uno accanto all'altra sulla panchina, accanto al lampione. E' come se loro due fossero stati accettati, come se non potesse esistere un posto più adeguato per loro dove sostare e raccontarsi.
Ken si volta di scatto, come risvegliandosi da un sogno troppo vivido. "Non te la bevi", ripete.
"No."
Lo vede aprire le braccia, con la sicurezza di chi ha parlato per quelle che sembrano ore, e sul suo viso compare un sorriso spiazzato. "Ho paura che dovrai essere più specifica."
Beh, ha ragione, accidenti. Ma figurarsi se potrebbe mai dargliela vinta in un momento simile.
"Ti sei convinto per anni di una cosa che non ha alcun senso!" Esclama Miyako. "Tu mi hai salvato, hai detto. Giusto?"
E' curioso che Ken riesca ad arrossire ancora dopo la confessione a cuore aperto che le ha appena fatto.
"Giusto", conferma.
"Bene, non è vero!" Conclude Miyako.
Ken aggrotta le sopracciglia. Sembra di colpo l'espressione confusa di un bambino che non sa dove ha sbagliato, ed è tenerissimo a vedersi, ma Miyako non ha tempo per questo adesso: sta cercando di risolvere una questione importante.
"Perché dici così?" Le domanda Ken a voce bassa.
"Senti, ormai conosco questo tipo di meccanismi." Miyako si posiziona meglio sulla panchina, voltandosi verso Ken tanto che le loro gambe quasi si toccano. Lo sa che entrambi se ne sono accorti, nello stesso momento. Nessuno dei due si muove dalla posizione. "Tu non ti riconosci mai uno straccio di merito personale. Ottieni qualcosa di bello? E' fortuna. Risolvi un problema? Chiunque avrebbe potuto farlo. Qualcuno ti vuole bene? D'altronde i masochisti esistono a questo mondo..."
"Esistono per davvero, non dovresti essere scettica", ribatte Ken. Le labbra si sono di nuovo incurvate in un sorriso, quasi senza che lui lo volesse.
Miyako lo fulmina. "Sei stato zitto per secoli, proprio ora devi metterti a parlare?"
"Comincio a pensare che forse avrei fatto meglio a tacere", commenta Ken ironicamente. Eppure c'è una certa mestizia nel modo in cui solleva il capo a guardare le stelle sopra le loro teste: come se non stesse scherzando, non fino in fondo. Come se si stesse chiedendo, ancora una volta, se per caso non ha rovinato tutto.
E' davvero così facile, per lui, pensare di essere sbagliato. La consapevolezza ferisce Miyako.
"Ma lo vedi che lo hai fatto di nuovo?" Geme, disperata. "Ken-kun, è proprio questo che intendo! Tu non ti rendi proprio conto di quanto tu sia importante e speciale. Quello che mi hai raccontato..."
Tutto quel dolore, quella solitudine, quello smarrimento. Quella disperata ricerca di un posto dove stare, di un proprio ruolo nel mondo, di rapporti autentici.
Come si fa a sopportare una sofferenza simile? Miyako sarebbe impazzita. Solo a pensarci ora si sente il cuore pesante come un macigno, stracolmo di emozioni che ancora non trovano un ordine.
"Non hai idea di che regalo tu mi abbia fatto", dice infine. "Ho sperato ogni giorno che mi avresti parlato, ma non che ti fidassi di me fino a questo punto. Questo va oltre ogni previsione, anche le più ottimistiche. Non riesco a capire se si tratti di un coraggio infinito o di una voglia tremenda di parlare di queste cose con qualcuno..."
"O di un tempismo particolarmente sfavorevole?" Tenta Ken.
"Ma per piacere! Un tempismo del genere è molto romantico."
Ken si immobilizza, Miyako si rende conto troppo tardi di quel che ha detto. Arrossisce, distoglie lo sguardo, finge di avere il pieno controllo di quel che dice.
"Comunque io non ho salvato proprio nessuno", continua ostinatamente.
"Invece sì", dice piano Ken.
"Invece no!" Miyako torna a guardarlo, infervorata. "Tutto quello che hai fatto, tutto quello che hai ottenuto, dipende da te! Sei tu che hai saputo tirarti fuori da quell'inferno. Tu hai sfidato te stesso e le tue paure per cercare di stringere legami forti con gli altri, con i tuoi genitori in primis. Tu hai fatto tutto... tu, e Daisuke e Hikari-chan, casomai. Io non ho fatto proprio nulla, e al massimo il mio ruolo è quello della comparsa caotica. Una specie di elemento di disturbo, insomma. O addirittura assumo il ruolo del cattivo - non ne esco molto bene dalla tua storia, no?"
Ken sembra restarci di sasso. "Ma ..."
"Dai, pensaci! Ti ho fatto soffrire come un cane. La tua storia è piena di momenti in cui ci ho fatto la figura della scema o dell'odiosa, nemmeno in grado di parlarti per mezzo secondo. E sono la tua anima gemella! Neanche se mi fossi impegnata avrei potuto comportarmi in modo più stupido. Dovrai riconoscermi una certa abilità nel fare teatrini, non nel salvare - ma si può sapere perché sospiri?"
“Perché non sono riuscito a farti capire.” Ken sta scuotendo lentamente la testa, come se non potesse capacitarsi di aver trasmesso un messaggio totalmente opposto a quel che lui desiderava.
“Guarda che ho capito benissimo, semplicemente credo che tu ti stia arrampicando sugli-”
“Miyako-san.” Ken fa il suo nome, e Miyako si zittisce di colpo.
Non l’ha mai sentito chiamarla per nome prima di stasera, e l’enormità di questa conspevolezza le fa girare la testa.
Settimane e settimane a leggerlo su un display, a immaginare. A chiedersi che intonazione avrebbe usato, che suono avrebbe avuto quel semplice paio di sillabe sulle sue labbra.
Ora, ogni volta che succede le sembra naturale, e dolce, e intimo, e Ken è la sua anima gemella.
E ora i suoi occhi sono nuovamente incastrati in quelli di lei, e Miyako può leggervi, finalmente, qualsiasi cosa.
Quanto l’ha cercata, e quanto l’ha aspettata. Quanto ha cercato di meritarla, quanto ha cercato di proteggerla.
Quanto lei è importante per lui.
Poi lo sguardo di lui si posa sul polso destro di lei.
Esita. “Posso…?” Chiede, una mano porta che non ha il coraggio di schiudersi completamente.
Non ha bisogno di finire la frase.
Miyako allunga il braccio verso di lui, le dita che tremano appena.
Ken le prende il polso con una delicatezza tale che a stento sente le sue dita chiudersi attorno ad esso – ma il calore lo sente eccome, come lo ha sempre sentito, più di quanto lo abbia mai sentito.
Miyako si accorge, distrattamente, di star respirando appena. Ma non ha tempo per minuzie simili.
Perché Ken sta leggendo le sue Parole, le ciglia lunghe che gli accarezzano gli zigomi, l’emozione che sembra accumularsi nella piega delle sue labbra, con la stessa espressione di una persona che assista a un miracolo.
E’ così bello, ora, che il cuore di Miyako le fa quasi male.
“Incredibile”, lo sente sussurrare. Poi solleva il capo, e i suoi occhi brillano di una gioia inesprimibile.
Miyako non si è mai sentita così nuda.
Ken la guarda per un lungo momento, gli occhi azzurri che si fanno distanti.
“Ho pensato a lungo a quel … periodo buio”, dice poi. “Tanto a lungo da sentirmi la testa fumare. Mi sono chiesto per anni cosa stessi cercando, in realtà … di cosa avessi così disperatamente bisogno. Non volevo davvero essere un genio, volevo solo… poter essere me stesso, ricevere amore così com’ero. Ma sentivo di non poterlo ottenere, così ho indossato una maschera, credendo di vincere una partita col mondo … in realtà ingabbiandomi in una vita fasulla. Intrappolandomi in una rabbia che nessuno riusciva a vedere, e che pensavo seriamente avrebbe finito per incenerirmi. Ero terrorizzato dall’intensità di quella rabbia, che non trovava sfogo, che si mangiava il mio dolore, la mia solitudine e il mio senso di colpa come fosse un mostro degli inferi a cui avevo venduto la mia anima in cambio di una pace fittizia. Forse quello che volevo davvero … era qualcuno che riuscisse a vedere la mia rabbia. Qualcuno che mi fermasse, che mi rimproverasse, che mi costringesse a rompere la mia maschera.”
Le sorride appena, e in quel sorriso c’è ogni parola che sta per pronunciare.
“Tu sei stata l’unica”, continua. “Mi hai smascherato. Hai odiato quella facciata che, dopotutto, odiavo anche io. Sei stata la prima a dirmi che ero marcio, che non potevo ingannare gli altri e me stesso facilmente come credevo. E… ti prego di non pensare che io sia masochista sul serio, ma ne avevo disperatamente bisogno. Perché senza quelle Parole, non avrei avuto il coraggio di cambiare. Non ci sarebbe stato Daisuke, non ci sarebbe stata Yagami-san, e per i miei genitori avrei continuato ad essere un estraneo. Non avrei saputo accettare i doni che la vita aveva da offrire, se tu non mi avessi mostrato quanto è facile vivere nei propri panni senza paura.”
La guarda, e il suo viso ritorna serio, più sincero che mai.
“Tu mi hai salvato davvero, Miyako-san”, bisbiglia. “Per favore, credimi.”
“E’ solo che mi sento uno schifo”, balbetta Miyako in risposta.
Questa volta Ken ha proprio la faccia sconcertata di chi considera le proprie parole un gas nervino sganciato a tradimento sui civili. “Eh?”
“Avrei voluto starti accanto!" Miyako, a malincuore, si libera dalla delicata presa di Ken sul suo polso. "Mi si spezza il cuore a pensarti soffrire in quel modo per anni, senza nessuno con cui parlare. Ti scrivevi la pancia, santo cielo! Mi viene da piangere solo a pensarci!"
"Non ne vado particolarmente fiero. Miyako-san..."
"No no no. Niente Miyako-san questa volta." Miyako, in preda all'agitazione, si alza in piedi. Anche senza occhiali si rende conto che l'espressione di Ken cambia di colpo a vederla allontanarsi. Questo rende solo le cose peggiori. "Lo so, non sei stato da solo in ogni caso, e dobbiamo ringraziare Daisuke e Hikari-chan per questo, ma... Avrei voluto esserci anche io."
"Ci sei ora", risponde Ken.
"Ma ora non ne hai bisogno come-"
"Ora ne ho bisogno più che mai", la interrompe Ken fermo. "Perché ora, finalmente, mi sento me stesso. Non ho bisogno di stampelle... non avrei sopportato di rendere te la mia stampella."
Miyako apre la bocca, la richiude. Si guarda intorno freneticamente, cercando di dar voce a quello che prova. Sta cercando in tutti i modi di non cedere, di non arrendersi a una spiegazione così dolce e così bella.
"Però guarda cosa ti porti sul collo da anni!" Esclama, amaramente trionfante nell'aver trovato la prova definitiva della sua inadeguatezza. Marcia verso la sua schiena, scorge la sua nuca ora coperta dai capelli, si sente sopraffatta. Forse per questo ci mette troppa forza quando, senza pensarci, allunga una mano e indica un punto imprecisato al di là dei capelli scuri del ragazzo.
“Ahi”, dice Ken.
“Sai cosa farei ora? Prenderei un bel pennarello e scriverei un Non davanti al tuo Mi fai schifo – anzi, te lo tatuerei direttamente! Se solo sapessi farlo, sta’ sicuro che lo farei!”
“Sta’ lontana dalle mie Parole”, ride Ken. “Ci ho messo sei anni ad averle.”
“Beh, bel guadagno del cavolo! Sono arrabbiata”, ammette con forza, sentendo, finalmente, di essere arrivata a toccare con mano l’emozione tumultuosa che sta provando. Toccarla non fa che costringerla a risalire il suo petto e inumidirle gli occhi, ma cosa c’è di nuovo, giusto? “Pensavo che le anime gemelle dovessero essere le prime. Nel senso, le prime oltre alla famiglia a far sentire speciali, le prime nelle esperienze importanti. E invece mi sento inutile e dannosa, vedi? Il primo che ti ha fatto sentire importante era Daisuke. Sono stata battuta da Daisuke, capisci quanto sia terribile? E invece la prima che ti ha fatto sentire amato è stata Hikari-chan. D’accordo, lei fa sentire tutti amati, è successo anche con me, ma voi due avete un rapporto speciale, no? Tu-lei- il tuo primo bacio lo hai dato a lei!
Ken si volta, strabiliato. Sembra aver appena avuto un'illuminazione alla quale non riesce a credere, non fino in fondo. "Ma... sei gelosa?"
"Certo che sono gelosa!" L'ammissione le viene fuori come una specie di strillo. "Gelosa marcia. Non credo proprio che sia uno scontro alla pari, gareggiare contro Yagami Hikari su queste cose! Lei è troppo tutto. Avrei dovuto almeno avere, che ne so, delle cartucce extra... tipo avere avuto altri tipi di esperienza finora. Invece in pratica non so neanche che significhi dare un bacio, e tu... Tu lo hai dato a lei!"
"Ah... Asp-"
"Intendiamoci: non penso affatto che non avresti dovuto farlo", lo interrompe precipitosamente. Corre a sedersi accanto a lui sulla panchina. "Hai fatto bene, probabilmente lo avrei fatto anche io al tuo posto! Anzi mi sorprende sia successo solo una volta."
"Cosa..." Nella confusione più totale, Ken arrossisce, di nuovo. "Ma che stai dicendo?"
"E' solo una cosa mia, capito? Nella mia testa farai un sacco di paragoni, e magari penserai..."
"Prima di tutto." Ken solleva una mano per fermarla, perentorio. "Credo che tu abbia frainteso. Non..." Se possibile, riesce ad arrossire ancora di più. "Non è stato un bacio chissà... quanto... beh."
"Ma non importa, perché comunque Hikari-chan-"
"... è stata la prima, sì. E allora?"
Miyako prende fiato, si ferma, si sgonfia.
"Non lo so", dice infine, sconsolata. "Ho la strana impressione di aver sbagliato qualcosa. In qualche punto, in qualche modo..."
"Solo perché ho dato il primo bacio a qualcun'altra?"
Ken la sta palesemente prendendo in giro; Miyako si acciglia, e gliene direbbe quattro, ma il sorriso di Ken la fa fermare.
Che sleale, ad essere così dolce in un momento simile.
"Non c'è proprio niente da ridere."
"Non sto ridendo."
"Bugiardo."
"Ascolta." Ken cerca in tutti i modi di mantenersi serio, così è costretto a guardare altrove, mentre cerca le parole adatte per spiegarle la verità. "Sì, io l'ho baciata. Non ne avevo neanche il diritto, ma so perché l'ho fatto, e non riesco a pentirmi di cosa sia successo. Yagami-san sarà per sempre speciale per me... in un modo che non sarò mai in grado di spiegarti, probabilmente. Ma non nel modo che pensi tu."
"Eri innamorato di lei?" Gli domanda Miyako, una stretta allo stomaco.
Non è la prima volta che gli pone una domanda del genere. E’ già successo, tempo fa, davanti ad una panchina occupata da Takeru e Hikari il giorno in cui hanno deciso di amarsi consapevolmente. E’ già successo, ma Miyako non era pronta a conoscere quella risposta, Ken a fornirgliela.
Oggi è diverso, perché oggi sono temerari abbastanza da essere pronti.
Lui torna a guardarla. "Credevo di esserlo", risponde.
"E..." Miyako stringe forte le mani tra loro. "Lo sei adesso?"
Qualcosa trema, nella sua espressione.
Allunga una mano, lentamente, e la posa sulle mani che Miyako si sta torturando. Le ferma.
Dolcemente, gliele scioglie, con attenzione e meticolosità, finché anche l'ultimo dito intrecciato non è libero. Così è alla mano di Ken che Miyako non può che aggrapparsi, stringendogliela forte.
Così che Ken non può non capire.
Quanto lo ha cercato anche lei, e quanto lo ha aspettato anche lei. Quanto ha rischiato di soffocare, trattenendo il fiato in attesa di riconoscersi nei suoi occhi. Quanto è stata dura, infine, lasciar andare quel fiato trattenuto e respirare ancora, più forte, senza fermarsi, buttando fuori l'idea che i veri cambiamenti vengano solo dall'esterno, senza incentivi, senza avanzare mai.
Quanto abbia paura, ora, nel desiderare così forte qualcosa - qualcuno.
Ken allenta la presa disperata della mano di Miyako sulla sua, ma solo per accomodarsi meglio nella sua presa - per accoglierla, avvolgerla, riscaldarla.
A Miyako piace la sua mano: vorrebbe stringergliela in eterno.
"Miyako-san", lo sente sussurrare. "Davvero non sai cosa sei tu per me?"
Che calore strano che sente dentro.
Somiglia a un fuoco incandescente che scioglie i metalli, che li forgia in forme nuove, in meravigliose opere d'arte.
"A guardarti così", sussurra a sua volta, senza fiato, "direi che è impossibile non saperlo. Ma potrei essere io, che lo voglio così tanto da sentire male. Davvero, male. Non esagero."
"Male?" Forse anche Ken è senza fiato, appena un po'. Forse è perché è vicino a lei, più vicino di quanto sia mai stato. Forse perché la vera felicità ti fa collassare i polmoni, e nessuno è mai riuscito a dirlo, perché non ha mai avuto fiato a sufficienza per farlo. "Male dove?"
"Male ovunque", risponde coraggiosamente lei. "Non credo di poterlo localizzare, il mio corpo è una specie di tutt'uno mescolato in questo momento. Succede anche a te?"
"Difficile esserne sicuri, sembra una condizione spaventosa."
"Ma se stai sorridendo con tutti gli occhi! Dimmi tu se non è un segnale palese di una condizione di organi mescolati."
Ken non può fare a meno di ridere, gli occhi bassi, la gioia sul viso. Non ha mai riso così. Non dovrebbe mai smettere di ridere così. "Dici che i dottori dovrebbero visitarci?"
"Dico che se non mi baci adesso, io potrei morire."
E la risata si spegne.
E sono di nuovo disarmati, entrambi, nel silenzio del giardino, senza più nulla a impedire loro di precipitare l'uno nell'altra.
Ken allunga la mano sinistra - la mano destra sta ancora stringendo quella di lei, naturalmente - e la posa sul suo viso, le dita che arrivano a toccarle lo spazio del collo dietro l'orecchio.
E il vento che sta tirando sarà anche freddo, ma Miyako lo sa che la sua pelle brucia.
Ken la sta guardando come non l'ha mai guardata prima: sembra voglia imparare a memoria ogni singolo millimetro del suo viso - i suoi occhi, l'attaccatura dei suoi capelli, il suo naso, le sue labbra. I suoi occhi, ancora.
Sembra stia ascoltando a fondo il momento, o forse il battito del suo cuore. Che comunque, se batte come quello di Miyako, deve fare un gran rumore.
Poter aspettare è un lusso delle persone felici, dopotutto.
"Curioso", lo sente dire, a voce così bassa che Miyako può sentirlo praticamente solo con lo stomaco. "E' la prima volta che mi togli le parole di bocca."
E poi dischiude le labbra, tira un breve respiro tremante, e i suoi occhi azzurri si posano, di nuovo, sulle labbra di lei, e Miyako va in apnea-
Quando Ken la bacia, il mondo sembra spegnere la luce.
Niente deflagrazioni, fuochi d'artificio, o roba assurda da film: solo le labbra di Ken, calde, morbide, perfettamente modellate su quelle di lei, tanto da sembrare create apposta per baciarla. Niente di più, niente di meno.
C'è poi bisogno di altro?
Quel contatto è come una carezza, la più intima che abbia mai sperimentato, e Miyako resterebbe così per sempre, se potesse: sospesa sul respiro di Ken.
Poi Ken si scosta, e Miyako apre lentamente gli occhi.
Lui ha le guance arrossate, gli occhi accesi. La guarda come se non ricordasse più come si fa a stare separati.
E' Miyako ad avvicinarsi, questa volta.
Le mani sul suo viso e nemmeno un pensiero coerente in testa, Miyako torna a baciarlo, e sente sotto le dita la sorpresa di Ken contrargli i muscoli delle guance, per un solo secondo. Prima di tornare ad abbandonarsi a lei.
Non assomigliava propriamente ad un bacio prima; non a quello che i bambini imparano a chiamare bacio, almeno. Miyako prova a muovere le labbra, appena un po', a posare piccoli baci sulle labbra di Ken, lasciando che le sue labbra le catturino dolcemente, una alla volta. Non le riesce così semplice; non con Ken che fa lo stesso, seguendo il suo esempio.
Sono scomposti, irregolari, completamente scoordinati. Non sanno come si fa: non si conoscono. Stanno solo ascoltando il respiro dell'altro, sperando che sia sufficiente.
La seconda volta che si fermano, non sono in grado di separarsi per più di pochi centimetri.
Non dura molto: giusto il tempo di un paio di respiri rarefatti.
Poi Ken torna a baciarla, labbra dischiuse e mano sui suoi capelli, e Miyako semplicemente si perde.
Incontrarsi, a metà strada, è inaspettato, e la sorpresa non fa che strizzarle ulteriormente ciò che resta delle sue viscere. Ma Ken è timido, gentile, rispettoso, così Miyako ha il tempo di accorgersi di quanto sia bello sentire il suo sapore. Di quanto sia bello che lui senta quello di lei.
Di quanto sia bello avere il potere di fermare il tempo, ancora e ancora, e costringerlo a restare incastrato tra il minuscolo spazio che ancora li separa.
Sfortunatamente, il tempo sa sempre come sgusciare via.
Sono costretti a cedere, infine, e a dargliela vinta, a corto di fiato.
Miyako appoggia la testa sul petto di Ken, lasciando che lui la abbracci delicatamente. Da quella posizione, perfettamente al sicuro, ascolta il battito dei loro cuori frenetici, osserva il giardino rifiorire, gli alberi ricrescere, il vento tornare a respirare, le stelle brillare con maggiore intensità, nella più convincente parvenza di normalità che abbia mai visto indossare al mondo.
"Ehi", dice a un tratto, senza muoversi.
"Dimmi."
"Mi sa che io e te dovremmo parlare più spesso."
Silenzio.
Poi Ken inizia a ridere, molto piano, poi sempre più forte, finché Miyako non si stanca di ascoltare quella risata crescere sotto il suo orecchio e non si unisce a lui. Ridono, senza un senso, si guardano e ridono ancora, e non riescono a smettere.
E poi Miyako torna a baciarlo. Perché è ora, proprio ora, che la gioia le sta letteralmente crepitando tutta attorno, che vuole rubare, sbirciando, l'immagine del viso di Ken mentre la bacia di rimando.
Vuole conservarla per sempre, nascosta a fondo, così a fondo dentro di sé che nessuno potrà mai trovarla.
Quell'espressione, in fondo, parla molto più di mille Parole.
E sarà per sempre solo sua.
 
***
 
02:40
Da: Tachikawa Mimi
A: Inoue Miyako
 
Hello!
Il volo extra comfort è stato piacevole... per essere un volo così lungo ovviamente. Che ora è da te? Non riesco mai a ricordarmi i fusi orari!
Volevo solo dirti che ho amato ogni momento della nostra piccola gita a Tokyo. Michael è entusiasta del Giappone e di voi, dice che già non vede l'ora di ritornare... e succederà presto, ma non così presto. Sarà pure ricco, ma purtroppo non miliardario!
E, tra parentesi, neanche io ce la farei a riprendere l'aereo a così breve distanza...
Mi mancate tanto. E' stato difficile non avervi tutti accanto durante la nostra gita, vedervi così tristi. Ma sono contenta che ci abbiate accontentati per le terme! Detto tra noi, credo che abbia fatto bene a tutti. Hai visto come sorrideva Taichi-san? Credo sia stata una vittoria farlo divertire in una situazione tanto brutta. E per una volta non me ne prendo tutto il merito! E' che passare del tempo assieme è magico, e tu lo sai bene.
Miyako-chan, lo so che lo sai, ma neanche tu sarai triste a lungo. Semplicemente non sei fatta così.
E' la cosa che mi piace più di te: una volta che sai cosa provi e cosa vuoi, non può fermarti più nessuno. Non avere paura di essere quello che sei! Sii sempre sincera con te stessa, e non avere paura di amare con tutte le tue forze.
Spero davvero che il tuo Mr Wonderful ti ricambi come ti meriti!
A proposito... qualche possibilità che si tratti di Ichijouji-kun?
Non sono riuscita a parlarci praticamente affatto durante la nostra gita, ma so quello che ho visto: quel ragazzo non ha fatto che guardarti come se non potesse esistere nient'altro di più meraviglioso al mondo. Te ne sei accorta? Non puoi non essertene accorta!
Secondo me dovresti dargli una chance. E' anche decisamente carino, cosa che non guasta mai!
Naturalmente io ESIGO di essere aggiornata su qualsiasi novità! Se non ne avrò verrò a cercarti personalmente, non importa quante ore di viaggio mi ci vorranno!
Ti voglio tanto bene,
La tua onee-sama Mimi
 
***
 
"Miyako-chan, hai finito? Guarda che arrivi tardi!"
La voce di sua madre sa essere bella squillante anche di prima mattina. Deve per forza esserlo, così può rincorrere sua figlia facilmente tra gli scaffali.
Miyako studia ancora un paio di onigiri, pensierosa, soppesandoli come se lo spazio occupato sulle sue mani potesse farla propendere per l'uno o per l'altro. "Aggiungimi un altro tuna mayo, ok?" Le grida di rimando, ficcando rapidamente l'onigiri prescelto nel piccolo carrello che porta al polso. "E- biscotti al cioccolato!"
"Miyako-chan", ripete sua madre, e questa volta la sua voce è spazientita. "Guarda che è arrivato Iori-kun."
Oh cavolo.
"Digli che ho finito!" Esclama di corsa, correndo un'ultima volta avanti e indietro nel suo scaffale preferito. Prende il suo pacco di biscotti, indugia davanti alla sezione bevande, aggiunge un'aranciata e poi una limonata. "Ho finito, ho finito!"
"Mi dispiace, è sempre stata un disastro con gli orari", sente sua madre sospirare.
"Non si preoccupi, Inoue-san", arriva, pacata, la risposta di Iori. "Ormai sono abituato ai suoi continui ritardi."
Pacata e crudele, ovviamente.
"Iori, sei cattivo!" Miyako emerge, il carrello pieno e il broncio accentuato. Afferra una busta alla cassa e inizia a mettere tutto dentro, il più rapidamente che può. "Stavo lavorando per tutti, tra qualche ora sarai più che grato che io abbia lavorato anche per te!"
“Prima di tra qualche ora c’è il problema di tra qualche minuto”, replica Iori, avvicinandosi per aiutarla a mettere i suoi acquisti – o qualcosa di simile, visto che il konbini è dei suoi – nella busta. La sua divisa scolastica è perfetta: neanche una grinza, meticolosamente stirata e ordinata. In effetti, sono rare le volte in cui lo ha visto in disordine: persino a casa sua è comodo, ma impeccabile. “Se non ci presentiamo a scuola in orario sarà un problema, lo sai.”
“E’ solo il primo giorno, cosa vuoi che succeda? Tanto, ci scommetto che saranno tutti troppo impegnati a leggere i nomi dei propri compagni di classe di quest’anno per preoccuparsi della puntualità!”
“Credo che la maggior parte delle persone sappia informarsi sulla composizione della classe e nonostante tutto essere puntuale.”
“Uffa! Saremo puntuali, vedrai!”
Iori le prende la busta senza commentare ulteriormente. “Le auguro una buona giornata, Inoue-san”, dice, rivolto verso sua madre, un inchino e un sorriso.
“Passate un buon inizio di anno scolastico, ragazzi!” Esclama la mamma. “Non correte per strada.”
“Mamma, ho preso anche un’aranciata e una limonata, ok?” Aggiunge Miyako, salutandola con la mano. “Ci vediamo per cena!”
“Ah-Miyako-chan!”
“Dai, Iori. Se usciamo ora non avremo problemi, vedrai!” Miyako si avvia a rapidi passi verso la porta del konbini, senza voltarsi ulteriormente, con la voce di sua madre, sconvolta, che la insegue: “Miyako-chan, torna qui! Fammi rivedere il polso!”
Sente Iori seguirla appena qualche istante più tardi.
La strada è piena di ragazzi in divisa scolastica, cartelle in mano e sorrisi e sbadigli, e chiacchiere energiche che sono tipiche solo del primo giorno di scuola, e dell’ultimo. Miyako sorride, dando un’occhiata ai petali di ciliegio che sono caduti dagli alberi, portati via dal vento. Gioca a scansarli, per non calpestarli.
“Credi che il tempo reggerà? Guarda che nuvoloni!” Esclama poi, guardando con preoccupazione il cielo. “Se venisse a piovere questo pomeriggio sarebbe davvero un problema… Ah! Chissà se ho portato l’ombrello.”
“Ce l’ho io eventualmente, non preoccuparti”, risponde Iori.
“Mi preoccupo invece! Lo sai che devo fermarmi un po’ più tempo a scuola oggi.” Miyako si imbroncia. “Detesto arrivare in ritardo!”
“Pensavo che il ritardo non fosse un problema per te.”
“Lo è per le cose importanti!” Ribatte Miyako. Per sbaglio finisce su un grumo di petali; il broncio si accentua.
“Ma è una cosa importante anche essere eletti presidenti del club di informatica, no?” Insiste Iori.
Miyako si ferma. “Puoi giurarci che lo è!” Esclama, con orgoglio. “E sta’ sicuro che sarò la migliore presidentessa che la scuola abbia mai visto! Ah… dopo Koushiro-san, naturalmente. Lui è decisamente inarrivabile, ma farò del mio meglio!”
“Purtroppo avere ruoli di responsabilità richiede dell’impegno in più, ma vedrai che oggi pomeriggio non ti peserà arrivare un po’ più tardi”, la rassicura Iori.
“Però non volevo perdermi neanche un minuto della partita”, si lamenta Miyako sospirando. “Ci tenevo!”
Iori la osserva un po’, con un’espressione strana.
“Sei molto carina oggi”, le dice a un tratto.
Iori è incredibile. Riesce a dire cose simili con un candore e una franchezza che farebbero impallidire qualunque timido, e arrossire qualunque ragazza che non fosse Miyako, che conosce questo ragazzo come le sue tasche. Sa che questo commento è esattamente quello che è: una verità in cui Iori crede, senza doppi fini o allusioni amorose.
Per questo Miyako lo prende così sul serio.
“Parli dell’acconciatura? Volevo provare a inaugurare il nuovo anno con qualche novità!” Miyako fa un mezzo giro su se stessa, tremendamente orgogliosa delle due piccole trecce che partono dalle tempie e sono legate insieme, dietro la testa, con un laccio rosso fiammante. “Quindi ci sto bene? Ci ho perso una mattinata!”
“Volevi inaugurare il nuovo anno”, ripete Iori. Ha di nuovo il tono scettico di chi non crede a una sola parola, ma vuol vedere fin dove il suo interlocutore può spingersi.
Miyako solleva coraggiosamente il mento, tentando di essere imperturbabile. “Che c’è? Bisogna pur festeggiare i piccoli, importanti nuovi inizi!”
“Vale lo stesso anche per il tuo polso destro?”
La risposta spavalda di Miyako le muore sulle labbra.
Lo sapeva che non l’avrebbe fatta franca ancora a lungo. Non dopo che sua mamma aveva urlato in quella maniera; non con Iori che è un cane da tartufo per qualsiasi minimo cambiamento che la riguardi.
Miyako si guarda il polso, agitandolo appena. Il bracciale di perline è strettamente legato attorno alla sua pelle, splendidamente efficiente nel coprire le sue Parole. Eppure basterebbe allentare appena il laccetto di cuoio…
Sorride, toccando le perline con le dita.
“Te l’avevo fatto vedere, questo?” Gli chiede, leggera. “Me lo ha regalato Ken-kun. E’ il braccialetto che credevo di aver perso alle terme, ti ricordi?”
“Quello che hai ritrovato prima di partire?” Iori si avvicina per osservarlo, probabilmente incuriosito dal tono che sta usando Miyako. “Non ho ben capito come avessi fatto a perderlo.”
“Oh, perché sono una distratta di prima categoria. Mi è caduto accanto ai tavoli da ping-pong e gli addetti alle pulizie lo hanno trovato il giorno dopo. Che bello spavento che ho preso!”
E che bello era stato, tornare a stringere, con le lacrime agli occhi, quel braccialetto come se possedesse un’anima che Miyako aveva rischiato di perdere. Incontrare un paio di occhi azzurri a pochi passi da lei, condividere un sorriso segreto, non aprire bocca davanti agli altri perché non serve farlo.
Perché, per una volta, non voleva altri spettatori della sua gioia se non chi gliel’aveva donata.
“E’ un bel bracciale”, commenta gentilmente Iori. E poi fa un passo indietro, e il suo sguardo sembra diversa: è come se la vedesse ora sotto una luce del tutto nuova, che mette in discussione quello che aveva sempre pensato di lei.
“Lo vedo che c’è qualcosa che è cambiato in te”, le dice, soppesando ogni parola. “E va bene se non sei ancora pronta a parlarne, non devi necessariamente dire tutto a me o a chiunque altro. E’ solo che non posso fare a meno di preoccuparmi. Nella tua testa ci sono continue esplosioni, e a volte è difficile capire se si tratti di bombe nucleari o di Big Bang… mi chiedevo di quale delle due si trattasse, questa volta.”
Miyako scoppia a ridere. “Esplosioni? Che modo assurdo di descrivere la mia testa!”
“Ti chiedo scusa, è solo che mi sembrava una metafora calzante.”
“Guarda che mi piace. Non è una cosa di cui molti potrebbero vantarsi!”
“Non ne parlavo come di un vanto…”
Miyako guarda il cielo color latte sopra la sua testa, provando ad ascoltare quello che succede dentro di sé.
“E chi dice che non possa trattarsi di entrambe le cose?” Risponde infine. Poi torna a guardarlo, sorridendo dell’espressione confusa che gli legge in faccia: sa che non ha la minima idea di cosa lei stia parlando, e probabilmente neanche lei ce l’ha. Ma perché questo dovrebbe essere un problema? “Creazione, distruzione: va bene lo stesso, purché quelle esplosioni non mi annientino del tutto. L’importante è che qualcosa continui a scoppiare… ha senso per te?”
“No”, risponde sinceramente Iori.
“Quello che intendo dire è che sto bene. Riesci a credermi?”, continua Miyako. Sono davanti scuola: il gruppo di ragazzi che si accalcano davanti ai tabelloni che segnalano la composizione delle nuove classi sono un’immagine familiare, e al tempo stesso elettrizzante. “E che sto iniziando a pensare che sono le esplosioni più intense che creano le meraviglie più incredibili… perciò non importa se il boato fa paura. Metterò un paio di cuffie con la mia musica preferita a tutto volume e aspetterò, perché so già che amerò quello che ci sarà dopo, qualunque cosa sia!”
Riconosce Aoko tra le teste accalcate, che la saluta a gran voce e la chiama. Miyako risponde vivacemente al saluto agitando la mano sopra la testa.
“Prima o poi ti racconterò tutto, promesso!” Continua, gettandogli un’occhiata di sfuggita, già presa dalla curiosità di raggiungere le sue amiche e di leggere i tabelloni. “Devo solo capirci qualcosa in più, ma appena lo farò sarai il primo a saperlo! Adesso sarà meglio – toh guarda, ma quello non è Jiro-senpai?”
“Riesco a crederti.”
“Cosa?” Chiede Miyako distrattamente, e si volta nuovamente.
E si ferma, sorpresa, di fronte al sorriso pieno di affetto di Iori.
“Riesco a crederti”, ripete. “Perché mi fido di te. So che starai bene, qualunque cosa succeda.”
E’ la prima volta che le dice una cosa simile.
Miyako corre ad abbracciarlo forte, sentendo la gola liberarsi di un nodo che non sapeva neanche di avere.
“Ti voglio bene, Iori”, gli dice, la felicità che le riscalda il cuore.
Lui la abbraccia a sua volta. “Questo non significa che non saprai dove trovarmi, se avrai bisogno di me.” Aggiunge.
“Ma lo so.” Si stacca da lui, gli sorride, inizia a camminare in direzione dei tabelloni, una mano sollevata e le guance accese di entusiasmo. “Ci vediamo dopo, non mangiate tutto prima che io arrivi!”
E corre via, lasciandolo lì ad osservare la sua schiena che si allontana, dov’è sempre stato, dove è sicura lo troverà sempre.
Il suo punto fermo, qualunque cosa succeda, pronto a guardarle le spalle, ma disposto a lasciarle combattere le sue battaglie senza intervenire.
E’ bello esplodere, se si sa che ci sarà una barriera infrangibile a contenerti.
 
***
 
Si mette a piovere, a metà mattina.
E’ una pioggerellina fitta e sottile, fastidiosa, fatta apposta per rovinare i piani organizzati da giorni.
Accidenti.
Miyako osserva fuori dalla finestra, sbirciando insistentemente l’asfalto del cortile che si scurisce, i fiori sugli alberi che sembrano ravvivare il loro colore man mano che si bagnano. Sembra che ne avrà ancora per un po’, considerando la nuvola gigante che troneggia sulla loro scuola. Ma si può ancora sperare che per l’ora di pranzo smetta, giusto?
Basterebbe anche che smettesse nel primo pomeriggio…
Incontra per caso il suo riflesso sul vetro della finestra, e un po’ si sorprende che si veda così tanto, che è impaziente. Ha ancora la penna tra le mani: non ha smesso un attimo di giocherellarci. Il quaderno, aperto sul suo banco, è palesemente immacolato, non fosse per qualche schizzetto senza significato tracciato con la matita all’angolo in basso a destra. Le lancette dell’orologio, alle sue spalle, sono ancora ferme a pochi minuti più avanti dell’ultima volta che ha controllato, nonostante sembrino passate ore.
Ma i capelli sono ancora a posto, giusto?
Se li appiattisce un po’ con le mani, tentando di capire se qualche ciuffo un po’ ribelle possa darle un’aria più sbarazzina o più trasandata. Forse non avrebbe dovuto correre per le scale, questa mattina…
All’improvviso comprare, sul vetro, il riflesso della sua professoressa di matematica, arcigna e decisamente accanto a lei, e Miyako si volta di colpo, scattando in piedi e scusandosi a voce alta, le guance rosse per essere stata beccata.
“Ti dispiace ripetere la risposta al problema che abbiamo appena svolto?” La interroga, con la soddisfazione perversa tipica dei professori più sadici: quelli perfettamente consapevoli che una risposta corretta – o persino una risposta qualunque, visto lo stato colpevole del suo quaderno immacolato- non potrebbe mai arrivare, rendendo la sventurata una perfetta candidata per una bella sfuriata di inizio anno scolastico.
Miyako annaspa, tenta disperatamente di dire una cosa qualunque, sapendo perfettamente di star solo prendendo tempo. Sta per costituirsi alla strega, mani giunte e un inchino di scusa, quando per caso volta la testa, e nota la sua nuova compagna di classe alle spalle della professoressa, quaderno aperto davanti a sé e quella che ha tutta l’aria di essere la soluzione del problema scritta a caratteri giganti. Gliela indica pure, come se non fosse abbastanza chiaro, un paio di occhi castani e furbi che fanno capolino dalle pagine del suo quaderno.
Miyako recita quel risultato con la stessa foga con la quale un uomo disarmato afferrerebbe un bastone di legno per sfuggire ad un assalto nemico.
La professoressa non sembra convinta. Un sopracciglio inarcato su quel viso decisamente troppo truccato, che la invecchia invece di ringiovanirla – come forse voleva -, si volta di scatto alle sue spalle, e per un momento Miyako suda freddo. Ma la sua salvatrice inaspettata deve essere una professionista, perché è completamente disinvolta nel tornare rapidamente con la testa china sul quaderno, l’espressione concentrata e la penna chiusa che picchietta ritmicamente contro le sue labbra. Inattaccabile.
La professoressa non sembra affatto felice nell’arrendersi, ma in mancanza di prove ritorna alla lavagna, cominciando a dettare una nuova traccia.
Miyako si sgonfia, ricadendo sulla sedia con evidente sollievo. Getta un nuovo sguardo verso la ragazza nuova, accorgendosi che la sta osservando di sottecchi. Le fa un sorriso e un occhiolino, e Miyako è sicura di aver appena trovato una nuova amica.
“Non ti conosco ma già ti adoro, lo sai?” Le dice in pausa pranzo, correndo al suo banco al primo via libera. “Già mi vedevo impalata sulla sua bacchetta tipo trofeo di guerra!”
“Ehi, ci si aiuta a vicenda in casi simili. Giusto a scopo informativo: non sono molto brava con la chimica. Sai, casomai volessi ricambiare il favore”, risponde lei con un gran sorriso. E’ davvero carina, con quei lunghi capelli castani e quella frangetta sugli occhi. “Sato Satsu. E tu sei…?”
“Inoue Miyako! Il mio nome è scritto col kanji di Kyoto, ma si legge Miyako.” Le stringe le mani in modo caloroso. “Possiamo mangiare insieme, se ti va! Così puoi insegnarmi tutti i tuoi trucchi per sfuggire all’ira dei professori!”
“Mmm. Ci sto. A patto però che tu risponda a una mia domanda.” Risponde Satsu, il mento poggiato sulla mano.
“Spara!”
Satsu la indica col dito. “Tu hai un appuntamento con qualcuno che ti piace. Dico bene?”
Miyako sussulta, colta alla sprovvista, e Satsu sorride soddisfatta.
“Ma come hai fatto, scusa?” Esclama ad alta voce. “Prima il trucchetto con la professoressa, ora questo. Hai capacità sovrannaturali o cosa?”
“Ti agitavi un sacco durante la lezione”, spiega Satsu tranquilla. “Continuavi a guardare l’orologio e la finestra, e ti aggiustavi i capelli. E hai quell’espressione.”
“Quale espressione?”
“Quella di chi non sta più nella pelle ma allo stesso tempo ha un po’ paura. In modo dolce, però. Del tipo, di chi sta mettendo in gioco tutto se stesso, sperando di essere apprezzato così come si è.”
Miyako spalanca la bocca, fissandola.
Il sorriso di Satsu si allarga. “Mi sa che ci ho preso.”
“Tu. Tu sei pericolosa.” Articola Miyako, e questa volta è lei a indicarla. “E hai capito tutto questo a un solo sguardo?!”
“Più di uno, dai.”
“Devi essere super esperta di relazioni sentimentali!”
“Oh sì. Sono praticamente una guru.” Satsu fa spallucce. “Posso vantare una lunga schiera di amori letterari, film sentimentali e shojo manga. E un numero di ragazzi pari a ben 0.”
Ci mette qualche secondo per capire che non sta parlando sul serio.
“Mi stai dicendo che non hai avuto neanche un ragazzo?” Esclama ancora Miyako, sempre più incredula. “Mi stai prendendo in giro! Come sarebbe possibile? Sei così carina!”
“Sono un sacco esigente, è questa la verità.” Satsu fa un sospiro. “Comunque stai cambiando argomento. Allora?”
E poi la guarda, in attesa, con un sorriso incoraggiante.
“Bene! Hai vinto.” Miyako si arrende, aprendo le braccia. “Però non ci hai preso del tutto. Non sto andando a incontrare il ragazzo che mi piace.”
C’è un momento in cui esita, sfiorandosi il bracciale di perline che porta al polso. Ma Satsu è ancora un’estranea: non la conosce affatto, non sa tutto quello che ha combinato per via delle Parole e delle anime gemelle.
E, in fondo, non vedeva l’ora di poterlo rivelare a qualcuno in modo sicuro.
Così si drizza, si illumina, e con entusiasmo misto a una strana nota tremolante annuncia: “Si tratta della mia anima gemella!”
Satsu fa un buffo saltello sulla sedia.
“Conosci la tua anima gemella?” Le chiede, gli occhi brillanti.
“Ebbene sì. E bada bene che ho l’anima gemella più speciale di tutte!” Miyako sente il sorriso affiorarle prepotentemente sulle labbra.
“Oddio, che cosa romantica!” Satsu si sporge verso di lei vivacemente. “E dimmi, l’hai trovata da poco?”
“Pochissimo!”
“E ora state uscendo assieme!”
“Beh…” Il sorriso di Miyako si spegne, lasciando spazio a una smorfia. “A dire il vero, non lo vedo da qualche giorno. Da quando si è rivelato a me, insomma!”
“Come mai?” Le chiede Satsu.
La smorfia di Miyako si fa sconsolata. “Non lo so!” Esclama.
Satsu sbatte le palpebre più volte. “Mi sa che mi sto perdendo”, ammette.
“E’ che lui è stato impegnato, io ho dovuto aiutare col konbini… insomma, in realtà non ho idea del motivo per cui non ci siamo visti in questi giorni”, esplode Miyako, iniziando a parlare a tutta velocità. “Non che non volessi vederlo, ma è tutto così confuso… mi sentivo al settimo cielo, ma allo stesso tempo avevo il cuore così stretto che mi faceva male! E poi sono praticamente inappetente, riesci a crederci? Ho lasciato una fetta di cheesecake a metà l’altroieri! Non ho mai lasciato una fetta di torta in vita mia. E’ che lui mi scrive mail, e io vado in confusione totale, e gli dico che non vedo l’ora di rivederlo, e lui mi dice che succederà presto, e doveva chiedermi di uscire prima nonostante gli impegni!”
“Credo che dovresti respirare, ora”, ride Satsu.
Miyako respira profondamente, come se dovesse andare sott’acqua. Espirare, in ogni caso, non le serve a granché: non si sente affatto calma.
“Credi che potrei morire prima di oggi pomeriggio?” Le domanda supplichevole.
“E’ probabile, ma vedrai che sopravviverai. Hai resistito finora!” Risponde Satsu incoraggiante. Poi inclina la testa, osservandola con un’espressione curiosa. “Però. Non pensavo che fosse così.”
“Così come?”
“Così simile a una cotta normale. Perciò anche con le anime gemelle si può essere insensati e caotici.”
Miyako ci resta di sasso.
“Però immagino che sia comunque molto diverso da una cotta normale, giusto?” Aggiunge Satsu. “Più intenso, magari?”
“Lo è di sicuro!” Si riprende Miyako con forza, nonostante il cuore abbia preso a batterle in modo bizzarro nel petto. “Non ho mai provato niente di simile per nessuno. E me ne sono piaciuti, di ragazzi!”
“Che meraviglia dev’essere”, sospira Satsu.
“Ma tu, piuttosto!” Miyako vira decisamente verso la sua interlocutrice – un terreno più sicuro. Non ha tempo di ascoltare che sta succedendo alla sua testa impazzita, per il momento. “Non ti è mai piaciuto nessun ragazzo? O ragazza. Non sono mica schizzinosa, qualsiasi esperienza va bene!”
“Ma no.” Questa volta è Satsu a sembrare sconsolata. “Non c’è nessuno nella realtà che somigli anche solo vagamente ai personaggi tormentati e profondi che trovi nelle storie. Sono rassegnata a diventare una gattara zitella, ormai.”
“Che sciocchezza! Sicuramente ci sarà qualcuno adatto a te!”
Satsu alza le sopracciglia ironicamente. “Certo. Perché è molto facile trovare qualcuno educato, magari più maturo della sua età, con una certa tendenza al romanticismo vecchio stampo e in grado di dire cose schifosamente sdolcinate senza battere ciglio.”
“Caspita, che tipologia specifica!”
“Che posso farci, sono perfettamente allineata con le mie Parole. Scusami se ti sembro brusco e spero di non deluderti: sono la tua anima gemella, e sono onorato di conoscerti. Molto lunghe e da uomo di altri tempi, non credi?”
Miyako ride, prendendola sottobraccio mentre va a prendere il suo bento. “Ti confesso che i gentiluomini piacciono anche a me”, ammette come se fosse un segreto. “Ma sai che la tua anima gemella parla proprio come il mio migliore amico Iori? Prima o poi dovrei farvi conoscere!”
 
***
 
Succede ad appena dieci minuti dalla fine del primo incontro col club di informatica, a pomeriggio inoltrato: finalmente, miracolosamente, il cielo decide di darci un taglio con quella pioggia fastidiosa, accontentandosi di un cielo grigio topo ma creando condizioni quantomeno decenti per giocare.
Le arriva una mail quasi immediatamente, con mittente Takeru.
Stiamo iniziando adesso, abbiamo temporeggiato finora confidando nel meteo. Se vieni in fretta ti perderai pochissimo!
Miyako vola.
Saluta rapida i membri del club, blaterando ad alta voce che i presidenti hanno tante cose a cui pensare, tantissime, che richiedono calma ed energia, cose che tendon a scarseggiare dopo un primo giorno di scuola così pieno. Promette che domani sarà molto più carica e con idee super innovative – magari si potrebbe pensare a un bel jingle che funga da sigla di aperture delle attività del club? Non sarebbe una figata pazzesca?-, ma per ora batte una mano sulla spalla del vicepresidente, un tipo accigliato e serioso del primo anno per nulla felice dello scaricabarile imminente, dicendo che della conclusione dell’incontro e del verbale se ne occuperà lui, perché siamo in democrazia, avanti, tutti noi siamo elementi fondamentali di questo club! Chiede loro, sull’uscio della porta, di non pensare a niente di troppo incredibile in sua assenza, e senza neanche aspettare risposta è già corsa via.
Non passano neanche tre minuti ed è già fuori dal cancello principale.
Col senno di poi è molto felice di essersi dimenticata l’ombrello: se avesse continuato a piovere sarebbe stato un guaio, ma le gocce fredde che le cadono dagli alberi sui capelli non sono sufficienti per inzupparla. E poi con l’ombrello avrebbe solo avuto un ingombro in più, buono solo a rallentarla mentre corre.
Il campetto dista da scuola circa quindici minuti a piedi, dodici se si è veloci abbastanza.
Miyako ha deciso che ne impiegherà dieci.
Si sollevano piccole goccioline di pioggia ogni volta che mette il piede a terra, da pozzanghere troppo piccole per poter fare altro che schizzarle leggermente le calze ma profonde abbastanza per fornirle una specie di rumore cadenzato alla sua corsa, una sorta di tamburo di guerra che la sprona a tenere il passo, a non rallentare neanche per un secondo. E’ la prima volta, in tutto il giorno, in cui il corpo è finalmente coerente col suo cuore impaziente, scattante e implorante, così decide di assecondarlo. E se i capelli un po’ si sciolgono, beh, pazienza. Non ne può più di esserne schiava, e confida comunque nella tenuta dei suoi elastici.
Inoltre, ne vale la pena, giusto?
Non ha tempo di pensare, sospirare, agitarsi: anche quei pensieri la rallentano. E, in ogni caso, non appena sarà arrivata ogni cosa le sarà chiara.
Finalmente intravede il tanto sospirato campetto da calcio, proprio in sincrono con i suoi polmoni che sembrano riempiti di spilli giganti: Miyako fa un ultimo sprint, che macchia irrimediabilmente la sua calza destra e le fa pensare, per un momento molto vivido, che perderà le gambe, ma non importa, perché infine riesce a toccare con mano la rete.
Ci si aggrappa, respira affannosamente, tenta disperatamente di ritornare umana. Controlla l’orario sul suo cellulare.
“Undici minuti esatti”, esclama ansimando, per nessun altro fuorché se stessa. “Bingo!”
E’ solo allora che si rende conto di non essere sola.
Si volta di scatto, ancora senza fiato.
“Se non fosse stato per il colore dei capelli non ti avrei riconosciuta”, dice, sorridendo, una voce che non sentiva da diverso tempo. “Non sapevo potessi correre così veloce.”
Sora-san!”
Miyako si slancia ad abbracciare la sua amica, dimenticando prontamente che è quasi morta di fatica pochi secondi fa. La stringe troppo forte, tanto che la sente lamentarsi appena.
“Ops.” Miyako scioglie l’abbraccio, una risata di scusa. “E’ che non ti vedo da tanto – caspita. Anche io a stento ti riconosco! Cosa hai fatto?”
Sora arrossisce, stretta nella sua giacca beige che nasconde parte della gonnellina a quadri che indossa. Ora che ci pensa, non è anche leggermente truccata? “Diciamo che sto sperimentando un po’”, dice timidamente.
Ecco, forse questa è davvero la cosa più strana di tutte, più della gonna e persino più del trucco: Sora timida. Non le è mai successo di vederla così, ha sempre pensato che semplicemente non fosse una cosa da lei.
Già, una cosa da lei. Forse in casi come questi non esistono più solo le cose da lei. Forse c’è semplicemente tanto altro di Sora, adesso, di cui Miyako non sa proprio niente, e non crede che sia soltanto perché non si vedono da un po’. Forse è uno dei soliti scherzetti della vita, che cambia le persone anche nel giro di una manciata di secondi.
Quel che è sicuro è che non è il caso di mettersi a filosofeggiare, con un’amica insicura che la sbircia di sottecchi, le gambe leggermente strette tra loro.
“Se questo è il risultato, credo che dovresti continuare a sperimentare! Sei bellissima”, le dice in fretta, un pollice alzato a mo’ di approvazione. “Ti valorizza un sacco vestirti così! Si può sapere perché non ti ho mai vista tanto femminile?”
“Adesso inizi a parlare come Mimi-chan”, sospira Sora sconsolata.
Ah! Sapevo che questo giorno sarebbe finalmente arrivato!”
“E’ solo una gonna.” Sora se ne aggiusta le pieghe con le mani, per avere una scusa per guardare a terra. Poi però le sorride, grata. “Ma sono felice di non starmi rendendo ridicola.”
“Persone come te non si rendono mai ridicole!” Afferma sicura Miyako, una verità incontestabile.
Sora le tocca il braccio, e improvvisamente le sembra di riconoscerla nello sguardo affettuoso e pieno di calore che le rivolge. Averla riconosciuta scioglie un piccolo nodo, dentro di lei, che non sapeva di aver stretto. “Come stai? Oggi era il primo giorno di scuola, vero?”
“Esatto! E’ stato stranissimo non vederti nel cortile stamattina, o non incrociarti per i corridoi”, risponde Miyako, una smorfia sul viso. “Ma tu, piuttosto! Cosa fai ora?”
Ikebana”, risponde semplicemente Sora.
Ok, Miyako si rimangia tutto. Non ha idea di chi sia questa ragazza in gonna che le sta davanti.
Ikebana?! Ma non hai sempre detto di detestarlo?”
Sora ride, stringendosi nelle spalle. “Mille volte. E sempre con convinzione”, dice. “Convinzione resa più battagliera se parlavo con mia madre, naturalmente. Le avrò detto mille volte che non avrei portato avanti la sua attività, che era stupida e non faceva per me. Non che ci avessi davvero provato… mi rifiutavo di provarci, per non darle soddisfazione.”
“Non pensavo che i rapporti tra voi fossero così disastrati”, commenta di getto Miyako.
“Siamo state ai ferri corti per così tanto tempo…” Sora sospira, il sorriso scompare. “Per tanti anni ho creduto che l’unica cosa che ci accomunasse fosse il nostro brutto carattere e la nostra testardaggine.”
“E poi?”
“E poi ho dovuto… rivalutare mille cose.” La vede ritornare a sorridere, debolmente. “Rimettere tutto in discussione, non so come altro spiegartelo, fino ad arrivare a quello che ho sempre pensato di me. Mamma mi ha proposto di provare con le composizioni floreali in un momento… duro. Ha detto: Ti aiuterà a ritrovare il tuo centro. Non le credevo, ma ci ho provato ugualmente, perché non avevo nulla da perdere. E… ho scoperto che mi piace davvero, ci sono anche abbastanza portata.” Sembra farsi piccola, come se stesse aspettando qualcuno sbucare dal vialetto gridandole che non può comportarsi in modo tanto diverso dal Tipo-Sora che ha sempre interpretato. “Ho deciso di assistere mamma e imparare il mestiere.”
“Quello che non capisco è perché ne parli come se fosse una specie di delitto!” Esclama Miyako sbigottita. “Se ti piace cosa ti vieta di farlo? Hai anche tua mamma ad aiutarti!”
“Mamma mi sta aiutando molto, in molti sensi”, dice Sora a bassa voce, dolcemente.
Sembra stia guardando qualche grande dolore dentro se stessa, un dolore che sembra irraggiungibile. Miyako ha improvvisamente tanta voglia di riportarla indietro.
“Senti, che ne pensi di venire con me? Hai da fare?” Propone vivacemente, indicando il campo proprio dietro di loro che sta cercando volutamente di non guardare, per non sentire l’impazienza e la voglia di precipitarcisi dentro lasciando Sora indietro. “C’è una partita che si sta giocando in questo momento, uno contro uno! Vieni a tifare con me!”
“Sì, ho visto”, commenta Sora. Poi il suo viso assume un’espressione di scusa. “Mi dispiace, Miyako-chan. Mi piacerebbe, ma non posso venire con te.”
“Ah, quindi hai da fare! Immagino qualcosa di bello, visto come sei vestita! Dove te ne vai?”
Sora arrossisce. “Sì… ho un impegno, è vero. Ma anche se non l’avessi avuto, non sarei venuta.”
Questa, poi. “E perché no? Il calcio ti piace, ne hai sempre parlato come-”
“E’ che c’è Taichi.”
Il nome piomba tra loro con uno schianto.
Le due ragazze si guardano, improvvisamente consapevoli entrambe della voce di Taichi che stabilisce un calcio d’angolo, da un qualche punto vicinissimo e allo stesso tempo lontanissimo.
“Non lo sapevi?” Chiede Sora, osservando la sua faccia sconvolta.
“No no! Lo sapevo, è solo che non ricordavo… Scusa, Sora-san! Potrebbe essere la prima volta che ci parliamo senza Taichi-san accanto!”
Il viso di Sora assume un’espressione strana: sembra quella di una persona appena punta da uno spillo.
Prima o poi Miyako imparerà a parlare con tatto, davvero. Davvero.
“Hai ragione”, commenta Sora. “Ti confesso che è tanto strano anche per me.”
Miyako non l’ha mai vista tanto triste.
“Senti, ma…  Sei sicura di star bene?” Tenta, l’urgenza che le impedisce di riflettere sul serio su quello che sta dicendo. Non ha tempo per il Filtro Iori, ora. “Lo so, lo so, la questione anime gemelle non è affatto uno scherzo, ma non sei obbligata a dare ascolto alle tue Parole nel momento esatto in cui te le dicono… Non mi guardare con quella faccia!” Gesticola. “Sì, lo so, è strano che lo dica io e blablabla. Sono successe cose, ok? Ma non è questa la cosa importante!”
“Cosa stai cercando di dirmi?” Le chiede Sora, quasi immobile.
“Che se vuoi stare con Taichi-san, sei ancora in tempo!” Esclama infine.
La guarda, cercando di capire se ha esagerato o no – è ancora troppo difficile, per lei, capire quando si spinge troppo oltre. Che farà se adesso si mette a piangere? D’altro canto non ha senso edulcorare le cose, non se c’è in ballo qualcosa di più grosso. Eventualmente si scuserà dopo, con tutto quello che ha.
Ma Sora non piange.
Un breve sospiro, e la vede guardare altrove, verso il campo di calcio alle sue spalle.
“Penso spesso a Taichi”, mormora, e sembra che ogni parola le costi fatica. “Ripenso a tutto quello che abbiamo condiviso negli ultimi anni. A quella volta che ho litigato con lui perché mi aveva regalato un fermacapelli – una cosa da ragazze. A tutte le volte che abbiamo fatto squadra, a tutte le volte che lui c’è stato per me. Al modo che ha sempre avuto di farmi sentire al sicuro, con le spalle coperte, qualsiasi cosa succedesse.” Sorride appena, prima che il suo viso si spenga. “E poi ho pensato anche ad altro. A quando piangevo, e lui pregava che io smettessi il prima possibile, perché non sapeva proprio che fare quando piangevo. A quanto rideva, quando gli parlavo di mia madre e dell’idea che io potessi lavorare in kimono al suo fianco. A quanto si immusoniva, ogni volta che menzionavo le mie Parole e quel che significavano per me. A tutte le volte in cui tra noi diventava una lotta di potere, un continuo litigare per potersi far capire senza rivelare l’un l’altra quanto ci sentissimo insicuri. A quanto mi vergognassi ad avere desideri da ragazza, a volermi truccare, a volermi mostrare debole… perché temevo che Taichi non mi avrebbe apprezzata allo stesso modo.”
Torna a guardarla, ancora una volta, e il dolore nei suoi occhi è brillante e duro come un diamante.
“Il mio ginocchio sinistro è l’unica parte di me che non ha mai sfiorato”, dice.
Lo stesso ginocchio sinistro che ora è scoperto, nota Miyako con un tuffo al cuore, nonostante sia appena nascosto dall’altra gamba che inconsciamente cerca sempre di coprirlo. Un Non voglio parlarti che Sora sta provando a indossare con fatica, impegno e sofferenza, che sembra essere allo stesso tempo una ferita e uno scudo.
Sembra quasi che sia il suo lato fragile, ad essere la vera forza di Sora. Ed è meraviglioso – e doloroso – che stia uscendo fuori solo ora, a questo prezzo.
“Taichi mi manca”, continua Sora, la voce che le trema appena. “Ma non tornerò con lui. E non solo perché è stato lui a lasciarmi…”
“E’ stato lui?” Esclama Miyako, incredula. Il viso di Taichi che sfida il cielo davanti a un campo da calcio le si affaccia prepotentemente alla memoria, totalmente incongruo con quello che Sora sta raccontando.
Sora annuisce. “Si arrabbiava tanto per le mie Parole perché, in fondo, sentiva di non poter competere”, dice, amara. “E’ più insicuro di quel che credi. Il colpo di grazia lo ha dato il fatto che fosse Yamato, la mia anima gemella. Non si sarebbe mai messo in gioco contro di lui.”
Se lui avesse lottato per riprovarci, tu saresti rimasta? Vorrebbe chiederle Miyako. Ma c’è qualcosa, nell’espressione dolceamara di Sora in questo momento, che per una volta la blocca. Questa domanda sembra fin troppo intima anche per lei, Filtro Iori o meno.
“Quindi… per te lasciarvi è stata la cosa giusta?” Dice invece, esitante.
Sora tace per qualche altro istante.
“Io credo di sì”, risponde infine. “So che tornare con lui sarebbe uno sbaglio. Io dovrei mutilare qualcosa di me, e lui qualcosa di sé, per poterci ritrovare. Non è giusto, per nessuno dei due. Non voglio una vita così. E poi…” Si sfiora i capelli, sistemandosi il fermaglio nero che indossa. “Sto scoprendo tante cose di me di cui non ero affatto consapevole, e la cosa mi piace. Sto… provando ad accettarmi, a non mascherarmi come ho sempre fatto. Sto provando a sperimentarmi in tante cose nuove, nonostante ci siano cose che adesso non posso più fare, almeno per ora… come andare a vedere partite di calcio. Sono rinunce dolorose, ma so che è la strada giusta, che non devo più vergognarmi o nascondermi per paura di non meritare amore.”
“Sei felice?” Le chiede di getto Miyako, sporgendosi verso di lei.
Sora sorride, nonostante gli occhi lucidi, ferma e fiammeggiante come l’ha sempre vista – più di quanto l’abbia mai vista.
“Lo sarò.” Le dice, sicura.
Miyako la abbraccia stretta, di nuovo, il cuore gonfio per l’ammirazione e l’affetto che sente per lei. “Ero tanto preoccupata per te!” Ammette sulla sua spalla. “Ma ora capisco che non dovevo esserlo. Sei una persona straordinaria, Sora-san, e sarà meraviglioso vederti raggiungere quel traguardo!”
Sora ride. “Non esagerare adesso”, commenta, ma l’abbraccio che la circonda, di cui sembra avere terribilmente bisogno, è così caldo e grato che Miyako si sente felice. “Non è tutto merito mio. Se sono quella che sono è anche merito di chi mi ha amata finora. E’ stato Taichi a insegnarmi a prendermi cura di me, anche se tra noi non è andata bene… Se non fosse per lui, non sarei qui, ora. Credo che in un certo senso lo amerò sempre, anche se non è la mia anima gemella e non torneremo più assieme. Sarà per sempre il mio primo amore…un posto che nessun altro occuperà, qualunque direzione prenderà la mia vita.”
L’intensità di queste parole ammutolisce Miyako.
Hanno la solennità di una sentenza, e la dolcezza di un legame che non si perde, nonostante tutto. Portano con sé il dolore per una fine, e la speranza per mille rinascite. E il perdono, per non essere riusciti ad essere, l’uno per l’altra, presente e futuro, ma solo un meraviglioso passato imperfetto.
Commossa e turbata, Miyako si stacca da quell’abbraccio sentendo un desiderio impellente di dirle qualcosa, qualsiasi cosa, anche se non saprebbe mettere a parole quello che sente. Non ha tempo di pensare a nulla, in ogni caso: nel momento stesso in cui apre la bocca getta un occhio alle spalle di Sora, e tutto si ferma.
Ah!” Esclama Miyako, come se avesse appena ricevuto un’illuminazione.
“Ma che ci fai tu qui?” Sbotta un Yamato pietrificato e decisamente a disagio, il basso sulle spalle e una camicia nera un po’ elegante che sinceramente non gli ha mai visto addosso, che gli sta così bene che le viene un po’ da ridere. Se lo immagina davanti allo specchio, ora, intento ad aggiustarsi i capelli in modo che ricadano in modo sbarazzino sulla sua fronte per donargli la solita espressione da Lupo Solitario Ma Di Buon Cuore che porta in giro ovunque vada neanche fosse un passaporto.
Beh, dubita che Sora ci abbia messo meno impegno di lui, davanti allo specchio. Sarà passata attraverso il tormento di voler apparire carina ma non sfacciata per il suo appuntamento?
Yamato e Sora si guardano, per un momento fugace. Il rossore che invade i loro visi, perfettamente all’unisono, conferma tutto senza bisogno di dire altro.
“Dovevo immaginarlo che avessi un appuntamento con Yamato-san!” Dice Miyako entusiasta.
La povera Sora supera ben presto il colore dei suoi capelli. “Miyako-chan, non è- I Knife of Day mi hanno invitata ad assistere a una sessione di prove!” Tenta pateticamente, chissà se per convincere lei o se stessa. In ogni caso, non funzionerà.
“Certo, certo, come no. Immagino anche che sia stato Kyosuke a chiedertelo, vero?” Alza bonariamente gli occhi al cielo. Poi le sorride, maliziosa, e corre a darle un bacio sulla guancia. “Facciamo che ti credo e non vi trattengo oltre. Anche io ho un appuntamento importante, tra l’altro!”
“Ehi, la pianti di arrivare a conclusioni affrettate?” Sbraita Yamato, decisamente paonazzo e all’apparenza sul punto di girare i tacchi e correre via. L’unica cosa che sembra fermarlo è che scappare via lo costringerebbe ad abbandonare Sora nelle sue grinfie.
Che carino.
“Ti prometto che le mie conclusioni me le terrò per me!” Miyako gli fa l’occhiolino. “Salutatemi quei babbei, va bene? Tornerò presto a proporvi qualche nuovo arrangiamento, sono piena di idee!”
Non aspetta risposta: con un ultimo sorriso Miyako si volta e si allontana, lasciando i suoi imbranatissimi amici al loro silenzio attonito.
Si sta già pregustando la sua amata partita, a pochi metri dall’entrata del campo, quando sente passi concitati alle sue spalle.
“Aspetta un attimo!”
Miyako, sorpresa, si volta ancora.
Yamato l’ha raggiunta di corsa, probabilmente decidendo che se non poteva scappare poteva almeno inseguire lei. Ha degli occhi strani, pieni di tormento, e sembra chiederle un’assoluzione.
“Se hai capito che io e lei stiamo insieme, sei fuori strada”, dice con fervore. “Non sono un mostro… E lei non è una brutta persona, lei – è troppo presto. E non sappiamo neanche se io e lei- Vogliamo solo passare del tempo assieme.” Tira un respiro sofferto, sembra morire di imbarazzo ma coraggiosamente tiene duro. Solleva il mento. “E finché a lei andrà bene, non smetterò di proporglielo. Ok?”
Miyako ride, tenendosi la pancia, e il viso di Yamato si scurisce. “Che cavolo c’è da ridere?!”
“Sei comico!” Dice impietosa lei. “Se solo ti vedesse Takeru-kun morirebbe! Si può essere così impacciati nel corteggiare una ragazza?”
“Non ti azzardare a coinvolgere Takeru, o ti…!”
“Guarda che si è truccata”, dice poi Miyako, appena si è calmata. Yamato ammutolisce immediatamente. “Si è truccata e vestita di tutto punto, e questi sono segnali di interesse in donnese. Non dirmi che non te ne sei accorto!”
Yamato si guarda fugacemente indietro, passandosi distrattamente una mano tra i capelli. Sembra un uomo a cui abbiano appena fornito la mappa per un tesoro creduto inesistente per secoli. “Co- ma certo che sì, io... Donnese?”
Miyako si solleva sulle punte, sussurrandogli all’orecchio: “Torna indietro e falle un commento su quanto è carina oggi. Se ti vergogni, dille qualcosa sulla sua pettinatura diversa, non lo so, basta che non fai il broccolo e ti decidi a farle capire quanto ti interessi!”
“Senti, tu…”
“E soprattutto”, aggiunge infine, con un largo sorriso. “Sono sicura che, se perseveri, ti dirà di sì. Perciò, non ti abbattere, Ishida!”
Gli dà una pacca incoraggiante sulla spalla, forse un po’ troppo forte, perché il BelloeTenebroso fa una smorfia. Ma lui non si lamenta.
La guarda, invece, meravigliato e tanto insicuro, e Miyako non può fare a meno di sentirsi il petto pieno di gioia. Ha in testa una delle sue canzoni preferite dei KoD, una ballad strappalacrime e romantica su un amore nato prima ancora di incontrare i suoi occhi, e la fa sorridere pensare che Yamato potrebbe casualmente farla sentire a Sora questa sera, in un vecchio garage pieno di patatine e cartacce di merendine, ma trasudante passione e autenticità in ogni angolo.
E’ sicura che Sora capirà.
Chissà come sarà la sua musica, in futuro.
“Sarà per sempre il mio primo amore.”
Il ricordo di quelle parole, per un momento, stride con l’armonia che sente dentro.
Ma è solo un momento.
Non deve avere senso per lei, dice tra sé Miyako. Non è detto che un primo amore sia per forza più importante di uno nuovo, tutto diverso e decisamente stravolgente. Non è detto che un posto occupato significhi carrozza piena.
La vita sa essere più bizzarra di così.
Yamato sorride, cercando di scompigliarle i capelli – e scatenando, ovviamente, uno strillo indignato e proteste vivaci da parte di Miyako.
“Vedi di sparire”, le dice Yamato, gli occhi pieni di affetto.
Miyako gli fa una linguaccia. “Prima tu!”
Ma poi si volta, lasciandogli la possibilità di andarsene indisturbato senza essere spiato.
Lo sente raggiungere Sora, scusarsi, borbottare qualcosa a mezza voce. E’ solo quando le voci si stanno allontanando che lo sente balbettare qualcosa riguardo il fermacapelli di Sora.
Miyako sghignazza tra sé, avviandosi finalmente verso l’entrata del campetto.
Imbranato.
 
***
 
La Partita è un rituale che va avanti da qualche anno, ogni inizio anno scolastico.
Non è certo l’unica occasione in cui quei due si sfidano, naturalmente: conosce i suoi polli, sa quanto sia importante il calcio per loro, qualcosa che li ha uniti da ancora prima di conoscersi. E’ solo che l’evento capita in un felice incrocio di fattori: il meteo più mite, l’energia accumulata nella pausa post esami di fine anno, l’entusiasmo per un nuovo capitolo che inizia, naturalmente l’assenza di moli di compiti capaci di scoraggiare qualsiasi sportivo, per quanto competitivo sia.
Poi, naturalmente, c’è l’elemento più importante, il vero senso di quel rituale: ricordare, ad ogni calcio dato a quel pallone, a se stessi così come a chiunque voglia far parte della loro vita, che potranno anche essere l’uno contro l’altro sul campo, ma saranno sempre compagni nella vita di tutti i giorni, amici pronti a lottare l’uno per l’altro, con lealtà, rispetto, e una sanissima dote di divertimento che non fa male a nessuno.
Forse è proprio questo elemento a rendere il mitico incontro Motomiya-Ichijouji, uno contro uno, uno spettacolo imperdibile.
Spettacolo che lei non ha mai visto, comunque.
Miyako scende i gradini degli spalti in fretta, approfittando del fatto che siano quasi completamente vuoti, gradevolmente vuoti. Sente la voce di Taichi dal campo, che funge da arbitro per l’incontro: non crede neanche che sia la prima volta che lo fa, visto il tono sicuro che sta usando. Avrebbe senso: Taichi deve aver partecipato alla Partita almeno un paio di altre volte, in quanto fratello di Hikari. Due volte prima, in più, di lei.
Non riesce ancora a mandar giù questi anni che si è persa, per quanto ci provi. Sa che lui la rimprovererà per questo, ma dovrà essere paziente, accidenti. Una volta di più.
Perché lei è così elettrizzata da non poter credere di aver cercato per tanti anni la felicità nel posto sbagliato.
E’ quasi un caso che gli sfidanti passino proprio nello spazio di campo sotto di lei in quel momento, accaldati e concentrati e assolutamente ignari di quel che succede sugli spalti. Miyako si ferma di colpo, perché ha commesso il grave errore di posare gli occhi su Ken, e questo ha sempre l’effetto di catalizzare la sua completa attenzione, qualunque cosa faccia.
Ken ha i capelli scarmigliati e il sudore sulla fronte mentre si contende la palla con Daisuke, molto più scarmigliato e molto più energico di lui. Ha l’espressione concentrata, le labbra strette, gli occhi che dardeggiano da una parte all’altra del campo, molto probabilmente cercando una strategia vincente per smarcarsi. Eppure qualche volta incontra gli occhi di Daisuke, che invece ha un’espressione esaltata e battagliera proprio tipica di lui quando gioca. Non ricorda di averlo mai visto guardare negli occhi l’avversario, prima d’ora.
Non ricorda di averlo mai visto con il viso così arrossato durante una partita. Non crede che sia solo perché sta giocando uno contro uno, e deve per forza essere il protagonista assoluto di ogni sua azione, se vuole vincere. E’ solo che Daisuke fa quest’effetto: tira fuori l’entusiasmo e la passione da qualsiasi anfratto nascosto tu abbia dentro di te.
Una cosa che sicuramente Ken desiderava con tutto se stesso, anni fa: potersi appassionare davvero a qualcosa, trovare qualcosa per la quale valesse la pena di impegnarsi.
Miyako sorride, e il calore la investe a tradimento, aggrovigliandole le viscere ma non i pensieri, non più i pensieri: è come se improvvisamente tutto avesse trovato un centro, un equilibrio, un punto di convergenza.
Miyako aveva avuto paura, quella mattina, svegliandosi col cuore a mille ad appena le cinque. Era stata come un’illuminazione, che aveva squarciato giorni e giorni di tormenti e batticuori al pensiero, al desiderio e al bisogno di rivedere Ken dopo quei due giorni alle terme che sembrano al contempo vicinissimi e lontanissimi. E se, rivedendolo, non avesse provato le stesse cose? Se si fosse illusa troppo, gonfiando quel che provava per lui solo per la gioia di aver trovato la sua anima gemella, e prima ancora, qualcuno che ricambiasse i suoi sentimenti? E se i suoi sentimenti non fossero stati intensi come li immaginava, dopotutto? Se quando lo avesse rivisto avesse provato solo un tiepido piacere, quel poco in più che si può provare di fronte a qualcuno che ti piace un po’ di più di un semplice amico? Iori le ha sempre fatto notare quanto fosse, a volte, incredibilmente volubile: sono poche le costanti della sua vita, in fondo, quelle che davvero resistono al tempo e ai suoi innumerevoli cambi di umore. Miyako ha sempre fatto una Vita Stile Flipper, dopotutto. Lei è la pallina del flipper, naturalmente, lanciata da tutte le parti e a volte precipitata per un colpo sbagliato, o troppo irruento.
Il pensiero di perdere Ken l’aveva pietrificata e riempita di dolore. Era stato tutto più doloroso quando aveva pensato, con gioia e tristezza mescolati, che i sentimenti di Ken sicuramente fossero molto più stabili dei suoi, che, cavolo, a giudicare anche solo da come la guarda, Miyako metterebbe la mano sul fuoco sul fatto che lei sia dannatamente importante per lui. Sicuramente lui pensava solo a quanto volesse rivederla, senza tormentarsi con la paura di provare un po’ meno di quanto promesso, dal destino e dalle loro labbra.
Beh, avrebbe dovuto saperlo che Ken è Ken. Le regole della sua Vita Stile Flipper non si applicano a lui, non crede che potrebbero mai farlo.
Perché ora lo guarda, e crede che non si sentirà mai così felice, così piena solo alla vista di qualcuno. Lo vede giocare, e pensa solo che non lo ha mai visto così bello, perché non lo è mai stato, non così, non in modo così unico, un modo che non ha proprio nulla a che vedere con i lineamenti delicati che la natura sembra avergli generosamente regalato ma piuttosto con quanto ora sia molto più se stesso di prima, in un certo senso.
Le sembra ancora più bello di prima, ora che sa chi è davvero Ichijouji Ken – ora che lui le ha permesso di vederlo davvero. Ora che sa che le basterebbe chiamarlo, anche solo una volta, e lui non esiterebbe ad essere di nuovo tutto per lei.
Però non lo chiama, non ancora. Resta a guardarlo ancora un po’, il petto gonfio di quello che sembra una strana, esaltata commozione che non riesce neanche lei a spiegarsi, rubando la visione di un Ken completamente concentrato in altro che non sia lei, completamente ignaro che lei sia arrivata da lui.
Crede davvero che sarebbe rimasta in silenzio ancora per diversi minuti, se solo Ken non si fosse liberato di Daisuke con un paio di tiri ben assestati e non avesse, infine, guadagnato un gol pazzesco nella porta avversaria.
“Grande, Ken-kun! Sei il numero uno!” Esplode infine, ad alta voce e saltellando sul posto, e Ken si volta di scatto, ancora ansimante e reduce dall’azione appena terminata. Anche a quella distanza può vedere i suoi occhi sgranarsi, la sua espressione cambiare completamente, e il suo viso chiazzarsi di rosso a velocità impressionante. Di colpo c’è di nuovo lei nel suo mondo, e tutto è cambiato.
“Ehi, Miyako! Piantala di tifare per Ichijouji!” Le urla Daisuke, alzando un dito nella sua direzione. Apparentemente, e inspiegabilmente, durante la Partita i contendenti tornano a chiamarsi per cognome: non si metterà a discutere con due invasati del calcio il motivo di tutto ciò.
“Io tifo sempre per il migliore, mi spiace tanto per te!” Gli urla Miyako in risposta. “Non sarai mai all’altezza di Ken-kun!”
“Beh, questo lo vedremo!” Replica Daisuke, e sembra ulteriormente stimolato dal tifo avversario. “Dai, Ichijouji. Si ricomincia!”
“Sì”, dice Ken distrattamente. I suoi occhi la cercano, ancora una volta: le sorride per un attimo appena, timido ma grato, e Miyako sa quanto lui sia felice che lei sia qui.
Si può dire quel che si vuole sulla bellezza di sbirciare le persone quando non ti vedono, ma quando Ken ridiventa il suo Ken nient’altro può reggere il confronto.
Sorride teneramente quando la partita riprende, sotto le direttive di Arbitro Taichi, sempre a bordo campo.
E’ solo allora che si rende conto che tre paia di occhi, ad appena due gradini di distanza, sono puntati su di lei.
“Direi che è arrivata Miyako-san”, commenta Takeru con un sorriso. “Non so come io abbia fatto ad accorgermene.”
“Avrai avuto qualche soffiata”, gli fa eco Hikari, gli occhi brillanti, seduta accanto a lui.
“Oh, fatela finita, voi due. Che partita è una in cui non si fa il tifo?” Sbuffa Miyako in modo plateale, e avvicinandosi a loro ruba una patatina alla paprika dal pacchetto che i due si stavano palesemente dividendo. “Voi siete fin troppo zitti!”
“Lo sai che non sono tipa da tifo”, si scusa Hikari, facendo spallucce. Si stringe un po’ a Takeru, facendole posto accanto a lei.
“Io potrei anche esserlo, ma mi distrae”, riflette Takeru, assaggiando un’altra patatina. “Preferisco concentrarmi su quello che vedo in gioco. Sai, sulle tattiche e roba così.”
“Sono 3 a 2”, la informa Iori, seduto accanto a Takeru ma mantenendo, in ogni caso, una discreta distanza dalla coppia. Avrà sicuramente pensato di voler rispettare la loro privacy, anche se si tratta di una Partita e non di un appuntamento romantico. Iori è fatto così, non ci arriva proprio. “Daisuke-san in vantaggio.”
“Come sarebbe, in vantaggio?” Si lamenta Miyako, prima di portarsi le mani alle labbra e urlare, a voce molto alta: “Ken-kun, straccialo! Fagli vedere chi sei!”
Ken la sente, e sbaglia il calcio alla palla in modo clamoroso.
“Oh cavolo”, commenta Miyako, portandosi istintivamente le mani su occhi e occhiali.
Takeru scoppia a ridere. “Che partita è una in cui non si fa il tifo?” Le fa eco. “Una in cui i giocatori si concentrano, forse.”
“Takaishi, ti faccio presente che stai mangiando il mio cibo! Potresti portare un po’ più di rispetto? Sono anche la tua senpai!”
“E per il cibo ti ringrazio immensamente, i prodotti Inoue sono sempre i migliori.”
Miyako guarda scioccata il sorriso da angioletto del ragazzo, prima di rivolgersi a Hikari. “Ma lo senti? Chi gli ha dato quella faccia tosta?”
“Me lo chiedo tutti i giorni”, alza gli occhi al cielo Hikari. Ma non è una grande alleata, visto il sorriso che rivolge al suo ragazzo. “Ma prima o poi si stanca di prendere in giro le persone”, lo rimprovera dolcemente.
Takeru si porta una mano al petto, solenne. “Giuro che è così”. Annuncia. “Miyako-san, fai pure il tifo quanto vuoi.”
“Sai cosa? Non credo che faccia bene a Ken-kun, nonostante tutto”, dice Miyako, osservando con apprensione la distrazione furiosa con la quale Ken sta giocando. “Vorrei incoraggiarlo, ma vorrei anche che vincesse! Dovrei fare il tifo a bassa voce? Ma che senso ha, allora?”
Hikari si avvicina un po’ a lei, con la scusa di porgerle un bicchiere pieno di aranciata.
“Gli fa piacere se tifi per lui”, le sussurra all’orecchio.
Miyako sente lo stomaco farle un buffo balletto all’improvviso.
Vede la sua amica sorriderle, calorosamente e in modo incoraggiante, mentre si allontana appena per tornare da Takeru, come se niente fosse.
Voleva aiutarla, dice a se stessa. Voleva aiutarla perché le vuole bene. Dovrebbe esserle grata, essere felice di quelle parole, di quanto la sua presenza possa condizionare Ken.
Ma allora perché si sente, di nuovo, terribilmente insicura?
Riesce a capire Ken-kun solo con uno sguardo. Lo ha sempre fatto.
Accidenti, non di nuovo con queste stupidaggini.
Miyako sorseggia la sua aranciata, imbronciata con se stessa.
“Scusate il ritardo.”
E poi, all’improvviso, compare Koushiro, divisa scolastica e il solito portatile sottobraccio, che probabilmente non abbandona nemmeno quando dorme. Ha un sorriso tranquillo sulle labbra, come se fosse del tutto normale la sua presenza ad una partita di calcio, quando invece sembra sempre un po’ fuori posto. In modo carino, però; in Modo-Koushiro.
“Koushiro-san!” Esclama Miyako, entusiasta di vederlo. “Non mi avevano detto che saresti venuto anche tu!”
“Non era in programma, ma ho pensato di venire lo stesso a dare un’occhiata”, le risponde Koushiro, prendendo posto appena dietro di lei. “In ogni caso avevo appuntamento con Taichi-san, dopo la Partita.”
“Che dovete fare, dopo la Partita?” Gli domanda lei, aggrottando le sopracciglia.
Koushiro accende il pc. Accende il pc durante una partita di calcio. Chi lo capisce è bravo. “Gli ho promesso che avremmo studiato assieme per i test di ammissione.”
A Miyako quasi cade il bicchiere di aranciata dalle mani.
“I test di ammissione?” Esclama. “Taichi-san?”
Koushiro la guarda, illuminato dalla luce dello schermo. “Tenterà anche lui di passare i test universitari l’anno prossimo”, le dice come se fosse la cosa più normale del mondo. “Ma non riesce a concentrarsi se studia da solo, così mi ha chiesto una mano, visto che ho iniziato a prepararmi anche io.”
Miyako chiude la bocca, attonita. Si volta verso il campo, per una volta fissando lo sguardo sull’arbitro spettinato che segue le azioni a bordo campo, e che corre da una parte all’altra, sospetta, non solo per sapere sempre cosa succede, ma anche perché darebbe chissà cosa per giocare anche lui. Vede il suo viso aprirsi in un sorriso vittorioso mentre solleva un pollice in direzione di Daisuke, per l’ennesimo gol che il maledetto ha segnato. “Nice play, Daisuke!”
“Tu sei l’arbitro”, sente il commento incolore di Ken, decisamente frustrato in zona attacco.
“Oh. Vero.” E Taichi si passa una mano tra i capelli, come sempre peggiorando la loro situazione di disordine. “Che posso farci? Era davvero un bel tiro!”
Miyako si volta ancora verso Koushiro, indicando il campo con aria decisamente significativa.
Taichi-san vuole fare l’università?!”
“Ha sorpreso tutti, a casa”, commenta all’improvviso Hikari, e tutti si voltano a guardarla. Lei, invece, non distoglie lo sguardo da suo fratello maggiore, persa in pensieri solo suoi. “Credo abbia sorpreso anche se stesso: non ha mai pensato di provare i test d’ammissione prima d’ora. Ma è determinato a provarci: conta sul fatto che avrà un anno di tempo per studiare per bene. Per non parlare dell’aiuto di Koushiro-san.”
Miyako, dubbiosa, getta ancora un’occhiata a Taichi, ora di nuovo serio e assolutamente concentrato nella partita. Uno dei soliti momenti confondenti di Yagami Taichi, in cui non sai mai se considerarlo uno sciocco o affidargli la tua stessa vita.
“Beh… chiaramente spero davvero che ce la faccia”, dice alla fine. “Ma non è strano che gli sia venuta così, senza preavviso, la voglia di stravolgere tanto la sua vita?”
Hikari si volta a guardarla, un’occhiata così intensa che è quasi doloroso sostenerla.
“No”, dice a bassa voce. “Non è strano per niente.”
Ah.
Sora.
E così anche lui, come lei, sta scoprendo parti di sé che non credeva nemmeno di avere. O parti che aveva dovuto mutilare finora, chissà.
Avrebbe dovuto pensarci.
Takeru sta guardando Hikari, serio e grave, e Miyako non sa bene a cosa stia pensando. Forse a Yamato, che in questo momento sta tentando il tutto per tutto con l’ex ragazza di Taichi; forse a Taichi, a quanto stia faticosamente tentando di risalire, con tutte le forze che ha; forse a quanto si possa sentire impotente a vedere Hikari così triste.
Ma poi lo vede chinarsi verso Hikari, posandole un bacio sulla testa così dolce e significativo che Miyako non può non sapere, in fondo, a cosa stia pensando Takeru.
Hikari torna a guardarlo, come se fosse riemersa dalle profondità di un oceano.
“Taichi-san ce la farà”, le dice, con un sorriso sicuro, gli occhi incastrati in quelli di lei. “E avrà bisogno di noi quando sarà ammesso all’università che desidera: non ci crederà mai, neanche risultati alla mano.”
Il viso di Hikari si apre nel più bel sorriso che le abbia mai visto addosso. Solo Takeru la fa sorridere così, come se lui fosse il porto sicuro e accogliente in cui attraccare dopo un lungo viaggio nella tempesta. E’ una sensazione strana, che scommette non riuscirà mai a spiegare bene a parole.
“Sì”, gli dice semplicemente. E poi appoggia il capo sulla sua spalla, dimentica di loro e di qualsiasi preoccupazione.
Ecco, se dovesse mai pensare di dipingere l’amore, crede che utilizzerebbe loro come modelli.
Miyako sorride, intenerita e molto felice per loro, e decide di lasciare loro un po’ di privacy – e no, per una volta non è perché Iori la sta guardando in modo eloquente, seduto accanto a loro. O, perlomeno, non solo.
Si volta, invece, verso Koushiro, e nota che lui la sta guardando.
Lo vede arrossire appena, a disagio, mentre distoglie lo sguardo. Miyako gli rivolge un largo sorriso, incoraggiante.
“Quindi stai davvero già studiando per l’ammissione? Non era solo una scusa per abbandonare il club di informatica?” Lo punzecchia.
“Certo che non era una scusa!” Si difende Koushiro, un po’ indignato. “Il club mi portava via troppo tempo, e ho bisogno di restare concentrato. Mi dispiace non partecipare, ma sono sicuro che ve la caverete alla grande.”
“Proprio l’anno in cui avremmo potuto frequentarlo assieme!” Si lamenta Miyako. “Sei un gran guastafeste!”
Koushiro sembra non sapere bene cosa fare della consapevolezza che lei avrebbe voluto passare del tempo con lui. Chissà se ne sarebbe stato imbarazzato anche senza la questione disastrosa delle Parole non appaiate, e del gigantesco equivoco che ne era scaturito. Miyako, a dirla tutta, crede proprio di sì.
“Se vuoi”, dice lentamente, guardingo. “Puoi sempre contattarmi in caso di bisogno. Ma credo non ne avrai, sei davvero brava con il pc.”
Ci crede davvero, che lei sia brava: è stato Koushiro a fare il suo nome ai membri del club, consigliandola come prossima presidentessa nonostante fosse il primo anno, per lei, al club di informatica – davvero, a cosa stava pensando quando aveva deciso di iscriversi al club di chimica, l’anno scorso? Non che Koushiro gliel’abbia detto personalmente, ma, che lui lo volesse o no, lei l’ha saputo lo stesso. Non saprebbe dire quanto si sia sentita orgogliosa di essere considerata degna di subentrare al genio informatico Izumi Koushiro – che lui la stimi abbastanza da spendersi tanto per lei, soprattutto.
Sa solo che è felice, tanto felice, che finalmente sia possibile per loro iniziare ad essere amici senza ingombranti Parole di mezzo, e non.
“Posso davvero contattarti?” Gli chiede Miyako entusiasta. “Cioè, non per chiedere necessariamente aiuto, ma posso raccontarti lo stesso come vanno le cose al club di tanto in tanto? Come stanno gli altri e tutto il resto? O mandarti il jingle del club?”
“Certo.” Annuisce Koushiro, con un sorriso. “Aspetta… quale jingle?”
“Troppo tardi, ormai hai promesso!”
L’espressione di orrore sul viso di Koushiro la fa ridere, ma non la impietosisce: sa che finirà per adorare i cambiamenti che apporterà al suo vecchio club, deve solo smetterla di fare il conservatore brontolone. Gli porge, però, una bottiglietta intera di oolong in segno di pace, cosa che almeno impedisce che il ragazzo si rimangi la promessa appena fattale.
Quanto alla Partita, Ken perde, 6 a 4: 4 meravigliosi gol, bisogna dirlo, ma la verità non cambia. Non lo ha mai visto così distratto durante le partite, così frustrato a bordo campo, così disperatamente disposto a correre dietro il suo avversario: a dirla tutta, si è preoccupata per lui quando lo ha visto perdere, nonostante il suo tifo indiavolato - quel maligno di Takeru direbbe a causa del suo tifo indiavolato-, ma ora che osserva Taichi decretare la fine della Partita con un vecchio fischietto che usava Hikari da bambina sa che non ce n'è motivo. Daisuke si precipita da lui, dopo aver esultato, con un sorriso luminoso, di quelli che non hanno nulla a che vedere col piacere di aver vinto, ma con l'entusiasmo di avere un vero amico con cui giocare.
"Non è stato facile batterti!" Gli dice sinceramente, porgendogli una mano.
E Ken, che fino ad un attimo prima sembrava decisamente scontento di sé, non può che sorridere a sua volta incontrando gli occhi castani del suo migliore amico, contagiato dal suo entusiasmo. "La prossima volta sarà così difficile che non ci riuscirai", gli promette, stringendogli la mano con calore.
Beh, a quanto pare ancora non gli piace perdere, ma gli piace molto più giocare, ora che non deve dimostrare nulla a nessuno. Miyako sorride, orgogliosa di lui.
E poi incontra il suo sguardo, e Miyako si illumina. Gli fa cenno di salire verso di loro, speranzosa; ma Ken indica lo spogliatoio, stringendosi nelle spalle con aria di scusa. Miyako si imbroncia, ma sembra non ci sia verso: Ken fugge di nuovo, seppur per poco, insieme a Daisuke.
"Uffa", sbuffa lei, abbandonandosi di nuovo sul gradino degli spalti.
"Ti sta facendo un favore", interviene Iori, ragionevole. "Dopo aver giocato è sempre meglio andare a cambiarsi."
"Ma io non ce la faccio più ad aspettare!" Si lamenta ad alta voce. Iori la osserva, con tanto d'occhi, ma non commenta nulla. Non ha idea di cosa stia pensando: probabilmente, che è uscita completamente di senno. In tutta onestà, potrebbe anche essere vero.
Miyako freme, quasi saltellando sul posto, continuando a sorvegliare lo spogliatoio senza prestare troppa attenzione alle chiacchiere di Takeru, di Hikari, di Iori e di Koushiro. La sua mente sta frullando, immaginando il momento in cui gli parlerà, cercando di capire quale potrebbe essere la prima cosa che gli dirà dopo tanti giorni passati ad aspettarlo. Potrebbe dirgli quanto sia contenta di essere parte della sua vita, quanto abbia amato vedere tutti i suoi amici -che sono diventati anche amici di Ken- lì ad assistere alla Partita, quanto si senta tremare le gambe al pensiero di essere stata attesa per tutto il giorno tanto quanto lei attendeva di vedere lui. Oppure... potrebbe aspettare che sia lui a dire qualcosa. Se dovesse scegliere qualcosa da dirle, così, su due piedi, cosa le direbbe? Quale sarebbe la cosa più importante, secondo lui?
Gli scenari sono mille, Miyako se li figura uno ad uno, come se avvenissero davvero. Eppure, quando lo vede uscire dallo spogliatoio, nella sua normale divisa scolastica, intento a chiacchierare con un Daisuke ugualmente cambiato, Miyako capisce che la soluzione non può essere che una.
Si alza in piedi, correndo a più non posso, incurante della voce degli altri che le chiedono di aspettarli. Scende ogni singolo gradino quasi senza guardarli, gli occhi fissi su Ken che ora ha raggiunto Taichi e sta parlando con lui della Partita.
Gli getta le braccia addosso, con tanta veemenza che è quasi doloroso.
"Ken-kun!"
"Ah-"
E rischierebbero entrambi di cadere, se solo i riflessi di Ken non fossero così pronti da prenderla istintivamente per le spalle; si sbilanciano per un paio di passi, giusto quel tanto che basta per finire quasi addosso a Daisuke - che fa un passo indietro con tanta enfasi che sembra stia scansando una bomba-, ma poi si stabilizzano.
E poi Ken la guarda, sconcertato e decisamente imbarazzato, e Miyako inizia a ridere, leggera come una piuma, non sentendosi minimamente in colpa.
"Ci avete messo una vita a cambiarvi!" Gli dice vivacemente. E poi il suo cuore inizia a scoppiettare, scomposto, e allora stringe più forte Ken, perché ora può farlo - ha sempre potuto farlo, ma ora di più, ora diversamente. Lui le è mancato così tanto. "Non importa. E' stata una Partita bellissima!"
"Miyako, ci farai venire un infarto così!" Si lagna quella primadonna di Daisuke, aggiustandosi gli immancabili occhialetti sulla testa. In ogni caso, l'unico che sembra stia per avere un infarto è Ken, visto il colore paonazzo del suo viso: dev'essere perché non lo sente più respirare. Miyako lo lascia andare perché ha pietà di lui: c'è una strana bellezza nel sentire la stretta al cuore che le segnala che sta facendo una cosa contro natura, a staccarsi da lui. Se ne sente felicissima, per qualche strano e contorto motivo.
"Dovresti essere grato che una spettatrice entusiasta come me sia venuta a sostenervi!" Si vanta, gonfiando il petto. "A proposito, non male il tuo modo di giocare. Battere Ken-kun è praticamente un privilegio, confido che tu lo sappia!"
"Ehi, con chi credi di avere a che fare, scusa?" Daisuke, se possibile, gonfia il petto ancora di più. "Mi sono allenato duramente quest'anno! Lo sapresti se qualche volta venissi a vedere i miei allenamenti!"
"Sai cosa? Magari lo farò!" Miyako gli dà un pugno scherzoso sul braccio. "Così potrò spifferare tutti i tuoi segreti al tuo rivale per la prossima Partita!"
"Questo è barare!" Si indigna Daisuke. "Ehi, Taichi-senpai, devi dire che non si può fare!"
"Ah, sono arbitro anche quando non gioco?" Taichi sorride, mani in tasca e fischietto al collo, e sembra tanto più giovane della sua età in questo momento. "Allora no, Ken, non puoi avere soffiate, a meno che tu non consenta lo stesso vantaggio anche a Daisuke." Il suo sorriso si fa, all'improvviso, più furbo. "Anche se non so se mi va di vietarlo. La rivalità è rivalità... e in amore e in guerra tutto è lecito."
"Taichi-senpai! Mi fidavo di te!"
All'improvviso Ken si schiarisce la gola. "Giusto per essere chiari", interviene tetramente. "Non volevo soffiate, non ho mai chiesto soffiate, e sul serio, avete idea di quanto sia umiliante pensare di poter vincere solo tramite raggiri?"
"Ecco, Ken, diglielo! Combattiamo in modo onesto!" Si anima Daisuke, battendo una mano sulla spalla del suo rivale di Partita.
Ken, democraticamente, finisce per biasimare con lo sguardo persino Daisuke. "Forse dovremmo evitare di rendere una partita di calcio una questione di combattimento."
Daisuke esclama: "Ken, ma la Partita è importante!" nello stesso momento in cui Miyako si indigna: "E' un combattimento vero e proprio invece! Tira fuori la tua grinta!" I due si guardano, ammutoliti dalla sorpresa di essere d'accordo.
Ken fa un sospiro, udibile solo perché sono tutti in silenzio.
E Taichi scoppia a ridere, voltandosi dietro di lui, dove i loro amici stanno finalmente arrivando. "Credo che sia arrivato il momento di bere qualcosa. Ragazzi, è aranciata quella?"
Takeru lancia loro una bottiglietta per uno, prontamente afferrate dai contendenti e dal loro arbitro. "Splendido incontro", dice loro, sollevando il pollice.
"Siete migliorati tantissimo rispetto all'anno scorso", sorride Hikari.
"Vi ringrazio davvero per avermi concesso di assistere", fa un piccolo inchino Iori.
"E' stato strano vedere una partita uno contro uno, ma piacevole", commenta Koushiro.
E in quel chiacchiericcio tranquillo e rilassato Ken smette di sospirare, e incontra il sorriso gioioso di Miyako.
Non c'è niente di più bello di un sorriso che diventa contagioso, pensa Miyako.
"Non gioco sempre così male", si giustifica Ken, un po' a bassa voce, per non farsi sentire.
"Io invece sono sempre così rumorosa quando faccio il tifo", commenta Miyako. "Ti conviene abituarti!"
"Ah." Ken sembra di colpo molto sconfortato. "Allora non mi vedrai mai giocare decentemente."
"Ma piantala! Devi solo restare concentrato come quando hai fatto gol. Il terzo mi ha fatto venire i brividi! Credo sia proprio il mio preferito!"
"Il-" Ken arrossisce, di nuovo. "Ti ricordi ogni gol."
Non sembra una domanda, non davvero.
"Tutti", sorride orgogliosamente Miyako. "E non vedo l'ora di ricordarne tanti altri!"
"Devo seriamente allenarmi." Lo vede distogliere lo sguardo, rapidamente, e sa che è per non farle vedere quanto sia felice di essere così importante per lei. "Non posso perdere ancora in modo così tragico."
"Senti, Daisuke è bravino, ma lui non vale il tuo dito indice! Fidati di chi ha quattro occhi!"
"Ed è di parte", aggiunge Ken, un sorriso incredulo, rivolto alle sue scarpe, che sembra dubitare di ogni parola che sta pronunciando.
Miyako fa spallucce. "Cambia poco, perché sono dalla parte giusta!"
Ken la guarda. Miyako ricambia lo sguardo.
"Non puoi vincere contro di me, Ichijouji", aggiunge.
Ken sospira, un sospiro diverso. "No", dice infine. "Suppongo di non potere."
Così tipico di Ken, accettare di arrendersi solo sapendo di avere qualcosa da guadagnarci.
Lui si avvicina a lei, un paio di passi soltanto, tranquillo della distrazione degli altri.
Ma poi si ferma, nell'esatto momento in cui capisce che no, non tutti sono distratti.
Miyako non sa da quanto Hikari si sia voltata, da quanto i suoi grandi occhi castani siano posati su di loro. Ma ora è lì, a pochi passi da loro, muta e sorpresa, e non c'è davvero modo che lei non abbia sentito Miyako parlargli, e Ken rispondergli, senza nessuna mail, senza nessun intermediario. Non c'è verso che non abbia notato il loro abbraccio, i loro sguardi, i loro sorrisi.
E' l'unica che può mettere insieme i pezzi, adesso.
Probabilmente Ken non le avrebbe rivolto la parola davanti a tutti, non adesso, non così presto: qualcosa di molto simile, per motivazioni, a quel che ha fatto Miyako stamattina col bracciale. Non voleva essere scoperto; ne ha la certezza, mentre lo vede sbiancare, poi arrossire, nella consapevolezza di non poter tornare indietro dopo essere stato così poco accorto.
Miyako si chiede quanto, però, fosse importante per lui non essere scoperto.
Perché Hikari sta guardando Ken, una domanda muta nell'espressione del suo viso, e per una volta l'interlocutore è lui, e solo lui. Forse sta ricercando in lui una vecchia promessa, un'antica solitudine, un paio di mani intrecciate come unico salvagente per non affondare. Forse il loro passato è ben chiaro e concreto ai suoi occhi, proprio accanto al loro presente e futuro.
Forse è lo stesso che vede Ken, gli occhi ben fermi in quelli di Hikari.
E ritorna in Miyako, pungente, violenta, la consapevolezza che basterebbe un No a quella domanda muta per rendere tutto vano. Per costringere quelle mani a unirsi nuovamente. Chi lo sa, magari per attualizzare un futuro diverso, per creare una relazione diversa, con maggiore affinità caratteriale e un minor bisogno di parlarsi per capirsi.
Ne è valsa la pena?
E Miyako è tagliata fuori: non c'entra nulla con la domanda, non può fornire lei la risposta.
Non può che guardare Ken, resa muta dall'ansia, dalla tensione, dal dolore di sentirsi appesa a un filo, e sperare che la risposta possa essere diversa da quella che teme.
E poi tutto cambia, di colpo, quasi senza che lei se ne accorga.
Le spalle di Ken sono di nuovo dritte, e c'è una nuova intensità nel suo sguardo, una nuova decisione, una nuova vita. E Hikari non è mai stata così bella, gli occhi che brillano di una commozione inesplicabile, il sorriso che nasce sulle sue labbra e sembra illuminarla come un faro nella notte.
E Miyako sa di essere una sciocca.
Come potrebbe essere un No, la risposta?
Come può pensare di non c'entrare nulla?
Ken è al suo fianco, a due passi da lei, e la sua mano è tesa, quasi inconsciamente, verso le sue dita, che sono rimaste strette tra loro in una morsa.
E Hikari si stringe a Takeru, distogliendolo per un momento dalla sua conversazione vivace con Taichi, portandolo a voltarsi verso di lei e a sorriderle con una dolcezza tale che scioglierebbe anche l'acciaio più resistente. La attira a sé mentre continua a parlare, e lei sembra tanto minuta e protetta, con il braccio di Takeru attorno alle sue spalle. Tanto silenziosamente felice.
Si volta ancora, solo per un attimo.
E Ken le sorride, con sincero affetto, con una gratitudine che non esprimerà mai a parole.
Un ultimo sorriso in risposta, e Hikari torna a voltarsi, verso il futuro che ha scelto, verso il ragazzo che la fa sentire a casa.
E Ken prende la mano di Miyako, facendola sussultare, nascondendo le loro dita intrecciate dietro il borsone che si porta al collo. Una mossa che la sorprende, ma che accetta di buon grado, perché è grazie a questo espediente che riesce a tenerle la mano anche quando i loro amici arrivano a salutarli, pronti a ritornare ai loro impegni o ai loro appuntamenti. Miyako pensa che la felicità sia come la fiamma di una candela: così intensa da bruciare, così delicata da doverla proteggere da ogni spiffero. Con la mano di Ken stretta nella sua, sa che un giorno quella fiamma sarà un camino acceso, che la nutriranno con legna e cura, e non ci sarà spiffero che possa farla vacillare. Ma per ora, va bene così.
Saluti, abbracci, sorrisi, e Taichi e Koushiro vanno via, un pc sottobraccio e un borsone pieno di libri su una spalla; Takeru e Hikari si allontanano, ancora abbracciati, parlando di un immancabile appuntamento burger-e-patatine; Iori fa un inchino e corre al dojo, dove ha promesso che sarebbe passato per un allenamento di inizio anno scolastico.
E così restano solo Miyako e Ken, fermi al centro di un campetto da calcio, gli occhi fissi sulle schiene dei loro compagni che si allontanano.
E c'è uno strano silenzio, ora che i borsoni-che-nascondono sono diventati inutili.
"Fanno un gran chiasso quando ci sono, vero?" Tenta Miyako, improvvisamente nervosa, solo per dire qualcosa, qualsiasi cosa. "Pensa se fossero venuti anche i KoD. Oppure Mimi-neesama. O Michael - hai notato che gli americani parlano a voce molto alta? E' una cosa che-"
"Posso baciarti?" Sussurra Ken all'improvviso, e questo mette a tacere qualsiasi tentativo di conversazione vacuo che Miyako stava tentando, nello stesso momento in cui il cuore le balza in gola come se fosse un tuffatore pronto a un grande salto.
Miyako torna a guardarlo.
Ken ha gli occhi del più intensi che lei abbia mai visto.
"Quando smetterai di essere così formale?" Finge di lamentarsi Miyako, un sorriso dolce che le si apre sulle labbra. "Prima Vorrei aiutarti, ora Posso baciarti. La prossima cosa sarà, Potrei avere l'onore di-"
Non riesce a finire la frase, perché Ken si china a baciarla.
Forse stavolta gliela darà vinta, pensa Miyako. Solo questa volta, però.
 
***
 
"Sono innamorata di te", dice Miyako a bruciapelo.
Ken soffoca nella merendina che stava mangiando.
Miyako gli dà qualche pacca sulla schiena, cercando di aiutarlo. "Che teatrale, strozzarsi in un momento simile. Ti sembrano cose da fare?"
"Senti chi parla", gracchia Ken alla fine, gli occhi strabuzzati e il viso completamente paonazzo -ci scommette che non è colpa della merendina che gli è andata di traverso. "Tu mi vuoi morto!"
"Macché morto! Io ti faccio un'appassionata dichiarazione d'amore, e tu muori? Che senso ha?"
Ken nasconde il viso tra le mani, disperato.
"Ehi, ascoltami." Miyako si avvicina a Ken, chinando il capo verso di lui per cercare di catturare nuovamente il suo sguardo. "E' una cosa molto seria, sai. E' la risposta che ho trovato!"
Ken la sbircia, da sotto le dita che gli coprono il viso. "Risposta?"
"Alla storia delle anime gemelle!"
E' incredibile il potere che ha anche solo pronunciare quelle due parole: riesce persino a far uscire nuovamente Pomodoro-Ken dal suo nascondiglio dietro le sue mani. Ora la guarda, stupefatto e confuso.
"Non ti seguo", le dice.
Una frase che gli sente spesso dire, in effetti, anche se il canale verbale è una novità.
"Senti, lo so che forse potrebbe essere presto per dirti una cosa del genere. Ci siamo appena messi insieme ed è passata meno di una settimana da quando mi hai raccontato la storia della tua vita per intero, o quasi", premette precipitosamente Miyako. "E poi, non sei l'unico ad essere quasi morto poco fa: avresti dovuto sentire cosa succedeva a me prima di dirtelo! Ho passato un'eternità a tormentarmi sul parlare o meno, e ti assicuro che tormento è la parola giusta."
"Un'eternità? Intendi, quei due minuti che sei rimasta in silenzio?"
"Sì, quelli!" Risponde Miyako senza battere ciglio. "Il punto è questo: era vitale che io te lo dicessi in questo momento. Quindi, morte o non morte di entrambi, ecco qui. E poi è la verità, quindi mi sarebbe sicuramente scappata di bocca molto presto. Non ha senso temporeggiare, se è quello che sento. E lo sentivo forte ora, se vuoi saperlo."
Se c'era stata una minuscola - e stupida, stupidissima- parte di sé che aveva avuto paura di una reazione da parte di Ken, deve essersi sciolta come neve al sole: non ce n'è più traccia, quando vede il sorriso emozionato di Ken nascergli dagli occhi, ed estendersi al viso solo dopo.
Sembra a corto di parole per un istante, come se non sapesse quali scegliere, tra le mille che gli affiorano alle labbra.
"Perché era vitale dirmelo ora?" Le chiede infine. Per un attimo si guarda attorno, osservando il campo da calcio deserto, gli spalti occupati solo da loro due e i pochi prodotti Inoue rimasti, il sole che tramonta dietro gli edifici.
"Perché non mi basta che tu sia la mia anima gemella", risponde Miyako. "Non basta per nessuno, te ne sei accorto? Se c'è una cosa che ho capito da tutta questa storia è che c'è qualcosa di sovrannaturale e divino nelle Parole... ma noi siamo solo umani, non facciamo altro che giocare contro le regole. Perché abbiamo paura, perché siamo presi da altro, perché vogliamo sentirci onnipotenti, o semplicemente perché... non conosciamo nemmeno perché ci siano, delle regole, o a che gioco stiamo giocando! Non sappiamo neanche noi perché abbiamo le Parole, che significhi essere anime gemelle. Ci interroghiamo tanto, ma la verità è che è una cosa troppo grande per noi. Non ne arriveremo mai a capo."
Ken aggrotta le sopracciglia. "Quindi... vuoi far finta che non siamo anime gemelle?"
"Certo che no!" Replica Miyako scandalizzata. "Tu sei la mia anima gemella, io sono la tua. Sono d'accordo con te quando dici che, in un modo o nell'altro, le nostre strade avrebbero finito per incrociarsi. Sento quest'intesa con te che è pazzesca, una cosa che è impossibile da descrivere. Con te so che sono al posto giusto, al momento giusto, e so che lo senti anche tu!"
Ken arrossisce appena, ma annuisce, timido.
"Non possiamo dare per scontato che tutto andrà come vogliamo che vada, ma non possiamo neanche ignorare quanto intensamente siamo legati l'uno all'altra", continua Miyako infervorandosi. "Così, ecco cosa ho pensato: noi ci siamo trovati, e ci sarebbe bastato capirlo per dedurre che proviamo dei sentimenti romantici l'uno per l'altra. Ma io non ci sto, non mi accontento, è riduttivo. E mi fa pure un po' paura."
"Cosa ti fa paura?" Chiede Ken in un soffio.
"Dare per scontato. Pensare: ecco, ora siamo arrivati. E magari, siccome sono distratta a pensare a un mondo utopistico che non esiste, fare qualche stupidaggine che ci allontanerà facendoci soffrire come cani."
Il viso di Ken si adombra, tutt'a un tratto.
"Non voglio fare stupidaggini", sussurra, gli occhi improvvisamente dolenti.
"Neanche io!" Miyako si sporge verso di lui. "Senti, ho passato anni a credere che trovare la mia anima gemella sarebbe stata la fine di ogni mio tormento. Eppure ho ancora un sacco di pensieri sciocchi che non se ne vanno, alcuni sono addirittura più forti di prima! Dovrei pensare di andarti bene sempre, eppure ho passato un’eternità davanti allo specchio oggi pensando che avrei potuto non piacerti. Non voglio nemmeno dirti la quantità di paranoie che mi sono venute in questi giorni, quando non trovavamo neanche un momento per vederci! E sono ancora gelosa di Hikari-chan – non dire niente, di questo non preoccuparti, domani sarà completamente acqua passata.” Tira un respiro, a corto di fiato. “Ora che ti ho trovato, ho paura di perderti. Questo non c’era scritto in nessun manuale d’istruzioni sulle anime gemelle!”
“Nessuno sarebbe così sciocco da tentare l’impresa di scrivere un manuale d’istruzioni.”
“Hai anche tu paura che tutto finisca tra noi, prima o poi?” Insiste Miyako.
Ken distoglie di colpo lo sguardo.
“Perché l’altroieri notte ho sognato che eri sparito dalla faccia della Terra. Mi sono svegliata con le lacrime…”
“Perché mi dici queste cose?” Le dice a fatica.
All’improvviso, Ken le sembra disperato. Non ha solo paura di perderla: ne è terrorizzato. Ha paura di sperarci troppo e di non essere in grado di starle accanto; di deluderla, di vederla andar via.
Ma questo non succederà.
“Perché se non parliamo di queste paure, rischieremo di usare le armi sbagliate. E io sono qui a proporti qualcosa di diverso.”
Miyako gli sorride, sicura e determinata, e non vacilla finché lui non torna a guardarla, prima esitando, poi diretto, perché non può farne a meno. Vuole che lo sappia, che possono farcela: che ce la faranno. Perché ne è davvero convinta, ora.
Non può che essere così, perché anche di fronte alla disperazione a Ken basta guardare il suo viso per rasserenarsi.
"Hai suggerimenti?" Le chiede Ken, le labbra che non possono che incurvarsi in un nuovo sorriso.
"Ricordarci che ogni coppia ha in comune qualcosa, anche quelle non legate dalle Parole: la necessità di essere coltivata ogni giorno." Poi ci ripensa. "Aspetta, due cose: anche l'essere così imbranati all'inizio. Non è possibile che io e te siamo i soli!"
Ken fa uno sbuffo divertito, mettendo giù la merendina che non ha più toccato e probabilmente non toccherà più. "Io mi sento davvero imbranato, se può consolarti."
"Ecco, appunto." Miyako annuisce, convinta. "Io e te saremo anche anime gemelle, ma abbiamo insicurezze come chiunque altro. Una ragazza che ho conosciuto oggi me lo ha fatto capire: le anime gemelle sono qualcosa di divino, ma le relazioni sono decisamente umane. E noi non possiamo che attingere agli strumenti umani per far funzionare la nostra!"
"Strumenti umani", ripete Ken.
Gli prende le mani. "Corteggiarci", spiega. "Ascoltarci, scoprirci ogni giorno. Impegnarci. E dirci quello che proviamo senza stancarci, neanche se siamo anime gemelle e già lo sappiamo. Ecco perché era vitale dirti che sono innamorata di te!"
Beh, se continua a guardarla con quella dolcezza, Miyako è convinta che continuerà facilmente a innamorarsi di lui, secondo dopo secondo.
"E le anime gemelle in questo discorso come si collocano?" Le chiede Ken, la voce più calda ora.
"Che dobbiamo impegnarci il triplo a fare tutto ciò, perché sappiamo che ne vale la pena!" Replica sicura Miyako. "E anche a velocizzare qualche tempistica, perché no. Sarà presto per dirti che sono innamorata di te? Non credo, perché siamo anime gemelle!"
Ken sorride apertamente, ora, ogni traccia di apprensione scomparsa. "Non mi convince. La tua mi sembra una scusa per parlare liberamente ogni volta che vuoi uccidermi senza che tu sia ritenuta colpevole."
"Ehi! Non ho bisogno di scuse per parlare liberamente!"
"La cosa mi puzza di bruciato..."
"Non ti conviene prendermi in giro, Ichijouji! Tra l'altro, la tua dichiarazione d'amore ancora non l'ho sentita!"
Ken arrossisce, ma finge un'espressione indignata. "Quindi era una trappola? Sono obbligato a dirlo anche io in questo momento?"
"Beh, sarebbe cortese, sai!"
"Cortese." Ken scuote la testa. "Non c'è più romanticismo."
"Senti, se non vuoi dirlo fai come ti pare, ma sappi che io aspetto che tu lo faccia! Prometti solo che me lo dirai quando lo sentirai vero."
L'espressione di Ken diventa di nuovo molto seria.
Avrebbe potuto dirle mille cose, e in mille modi diversi, Miyako lo sa: ma non ha bisogno sul serio di sentire dalle sue labbra qualche parola. Perché Ken parla in tanti modi, il canale verbale è solo l'ultimo di questi.
Di quello che prova per lei sono testimoni il calore delle mani che stringono le sue, la dolcezza della sua fronte contro quella di lei, i suoi occhi chiusi mentre respira la loro vicinanza e ascolta i loro cuori battere così vicini.
Miyako lo sa già: sente che glielo sta dicendo proprio in questo momento, con tutta l'anima.
Per questo aspetterà, senza fretta. Sa che le basta, per oggi: che non potrebbe essere più felice di così. Pensa che a volte le parole non siano la cosa giusta da usare.
Ma poi sente Ken prendere un respiro, avvicinarsi rapido al suo orecchio, e sussurrarle quello che prova per lei.
Come se qualcun altro potesse ascoltarlo, se non lei.
Come se per qualcun altro potesse essere così vitale ascoltarlo.
Come se quelle parole fossero persino più intime delle Parole.
Miyako avrebbe dovuto saperlo.
Ken non giocherà mai secondo le regole.
 
 
 
 
 ---

Poche cose da aggiungere.

Chi mi segue da un po' conosce Satsu: è lo stesso personaggio che trovate in Purity. Nella mia testa è sempre tutto collegato, nonostante si tratti di universi così differenti. 

Niente di tutto questo esisterebbe se non fosse per R. Lo sai, questa è per te. Non può che essere per te, e lo sarà per sempre.

Grazie a ognuno di voi per aver seguito me, e Miyako, in questo lungo viaggio. Ho un abbraccio per ognuno di voi.

Ho inventato quasi tutto, eppure è successo davvero.

Padme Undomiel

 
 
 
 

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