It Was You... Always di New Moon Black (/viewuser.php?uid=224886)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** *Silver Wires* ***
Capitolo 2: *** *Hey, Can you hear me?* ***
Capitolo 3: *** *Icarus's Weakness* ***
Capitolo 4: *** *Atlas's Strength* ***
Capitolo 1 *** *Silver Wires* ***
Noremma contest
Silver Wires
Era un tardo
pomeriggio del 1 Novembre, il cielo aveva preso alcune sfumature
rossicce ed
indaco, con le nuvole contornavano il vasto paesaggio sempreverde delle
Highlights scozzesi e il profilo delle mura centenarie di Hogwarts; il
vento
caldo autunnale soffiava debolmente tra le fronde degli alberi giganti
e le
foglie giallognole fluttuavano nell’aria come se stessero
ballando una danza
antica, per poi posarsi dolcemente sulle superfici ruvide di alcune
zucche dai
colori brillanti e vivaci.
Sebbene Halloween
fosse passato a malapena un giorno, maghi e streghe di tutte le
età cercavano
di sfruttare il loro weekend libero come meglio potevano:
c’era chi passeggiava
tra le vie affollate di Diagon Alley e vedere le vetrine che esponevano
le
migliori merci sul mercato, chi ancora andavano a visitare le varie
locande
tipiche scozzesi di Hosgmeade come I Tre Manici di Scopa che servivano
la
miglior Burrobirra del mondo o, addirittura, c’era chi
passava una giornata con
i propri familiari per riallacciare i rapporti.
Qualsiasi
motivazione poteva essere, Novembre era sicuramente il periodo adatto
per
tenersi le mani “occupate”.
Il
castello sembrava così vuoto e monotono
senza l’affluenza degli studenti più giovani,
eppure c’era una calma piatta
persino per i fantasmi che vi risiedevano in quelle mura da,
praticamente,
secoli.
Persino Yuugo
Glorybell, custode magonò di Hogwarts dalla dubbia
gentilezza, sentiva la
“mancanza” di quei mocciosi casinisti che creavano,
il più delle volte,
scompiglio; pover’uomo, non poteva sfoggiare nemmeno le sue
nuove catene di
rame, che disgrazia!
Era tutto
tranquillo.
Troppo tranquillo.
Tuttavia, nella
torre Est, più precisamente nella Torre di Astronomia,
echeggiò una risata
femminile cristallina ed allegra, seguito dai nitriti energici di un
cavallo e
lo scalpitio degli zoccoli.
-“Norman!
Norman!
Hai visto?”
Il ragazzo
guardava meravigliato la giovane Grifondoro mentre rideva spensierata e
cercava
di fare amicizia con il suo Patronus, che aveva preso le sembianze di
uno
splendido e maestoso Abraxan.
Le sue ali bianco-argento
evanescenti erano spalancate, mostrandosi in tutta la sua grandezza e
fierezza,
e aveva iniziato a scalpitare con gli zoccoli a mezz’aria,
proprio intorno alla
ragazza dai folti ed indomabili capelli rossi.
Poteva vedere
chiaramente i suoi grandissimi occhi verdi che brillavano di gioia, le guance
imporporarsi man mano per
l’emozione e le labbra che si arcuavano in un grande sorriso.
Caldo.
Raggiante.
Norman era senza
fiato.
La luce del
tramonto, che filtrava nella parte esposta dell’Osservatorio,
rendeva la sua
figura minuta splendente e pura, come
se
avesse ricevuto da
quella ragazza una
gentile carezza al viso, e i suoi capelli sembravano
ancora più rossi come le lingue di fuoco; con
la divisa rosso-oro sprovvista di mantello, le risaltava dolcemente le
poche curve
del suo corpo.
Seppur aveva la
tendenza di comportarsi come una maschiaccio e la predisposizione a
lanciarsi
in avventure pericolose, l’albino non ha mai smesso di
pensare quanto fosse la
strega più bella, dotata e geniale che abbia mai conosciuto.
Era talmente
assorto a guardarla giocare
con
quell’Abraxan evanescente, completamente euforica ed energica
per la grande
scoperta, da non ascoltare cosa stesse dicendo con tanta enfasi.
Si
lasciò scappare
un sonoro “wow” fra le sue labbra sottili.
Era, semplicemente,
se stessa.
Inizialmente, i
giovani Norman Minerva ed Emma Ratri si erano rifugiati,
all’insaputa di tutti
tranne per il loro migliore amico Ray Gracefield, verso la Torre di
Astronomia,
pensando che fosse un posto perfetto
per
poter studiare, indisturbati, un incantesimo difficile e complesso come
l’Incanto Patronus.
Erano più di
quattro/cinque ore che i due ragazzi avevano continuato a provare con
costanza
ed impegno quell’incantesimo di alto livello e dalla
difficoltà estrema, ma
senza nessun risultato concreto.
All’inizio, il
loro Patronus non avevano ancora assimilato una vera forma
“corporea” e il
ragazzo, con una scrollata di spalle, aveva pensato che fosse troppo
presto per
imparare un incantesimo tanto potente per degli studenti del
VI° anno.
Ma
Emma non era nel suo stesso parere.
L’aveva
osservata,
silente, per tutto il tempo e fino ad allora, non ha mai gettato la
spugna al
primo tentativo.
Nemmeno la
seconda, la terza e la quarta volta.
Una ragazza
davvero sconsiderata, temeraria fino all’eccesso e una gran
testa calda, eppure
rispecchiava perfettamente i tratti della sua Casa
d’appartenenza: era una
leonessa audace, determinata e forte.
Emma Ratri era
riuscita ad evocare uno dei Patronus più rari e potenti che
la comunità magica
avesse mai posato gli occhi e lui aveva avuto l’onore di
assistere a un tale
miracolo qui, proprio in quell’Osservatorio.
Ricordò
che suo padre William, un famosissimo Spezzaincantesimi che aveva fatto
il giro
del mondo per tanto tempo, gli confessò che aveva impiegato
vari anni per avere
la padronanza completa del suo Patronus corporeo, ovvero la sua civetta
delle
nevi.
Gli
aveva intimato che erano pochi i maghi e le streghe a saper eseguire,
senza
intoppi, un Patrono completo; certo, la maggior parte di essi tendevano a prendere le sembianze di
animali
assolutamente comuni, inclusi quelli inusuali.
Ma
tant’era vero che erano rari i casi in cui un mago o una
strega, su dieci,
riuscivano ad evocare una creatura magica, esemplare quanto
leggendaria, come patronus
corporeo.
Gli
rimembrò le testuali parole di suo padre.
“Un
mago o una strega che posseggono quella rara dote potrebbe avere un
vantaggio
in più rispetto agli altri… ma come sai bene,
Norman, a differenza degli altri incantesimi, l'Expecto Patronum è un incantesimo "soggettivo": può fare del bene quanto no; e chi possiede tale potere ha queste
caratteristiche
importanti: una mente brillante, unica del suo genere e che non si
ferma alle
apparenze e un’anima pura e forte, capace di
sopportare e di
affrontare ogni
avversità che le si presenta davanti...”
Un
piccolo sorriso increspò le labbra chiare.
Questa
descrizione rispettava, decisamente, il profilo di Emma.
Lei era veramente
incredibile, pensò l’albino.
Le iridi azzurre
rincontrarono nuovamente quelle verdi di lei, quest’ultima
gli sorrise così
genuinamente che temette di aver avuto un attacco di cuore.
Ah, quello
splendido e dannato sorriso che l’ha stregato completamente
in quasi cinque/sei
anni di conoscenza, finendo con l’innamorarsene.
Perdutamente.
“Perché
è così
carina quando mi sorride in quel modo?”
Arrossì
terribilmente quando mille pensieri, decisamente imbarazzanti, fecero
capolino
nella testa del Serpeverde, immaginandosi vari scenari di loro due
insieme,
fianco a fianco, persino fuori dalle mura scolastiche del castello.
Dovette fare
ricorso al suo alto
controllo per non
rischiare di svenire sul posto.
Gli tremò
debolmente il labbro inferiore.
Se Ray fosse stato
lì con loro e non in viaggio con la madre in Inghilterra,
come minimo lo
avrebbe preso in giro esclamando battutine fuori luogo come
“Sei così rosso che
potresti sostituire Rudolph.”, consapevole che provasse una
cotta stratosferica
per la giovane Grifondoro.
Che imbarazzo.
Sospirò
quasi
esasperato al pensiero del corvide ridere alle sue spalle sulla sua
“situazione
sentimentale”.
Il vento
scompigliò alcuni ciuffi dei suoi capelli chiari e bianchi,
avvertì una serie
di brividi di freddo lungo la schiena, battendo un paio di volte le
ciglia
infastidito dalla improvvisa corrente d’aria.
Borbottò qualcosa
riguardo la temperatura e che non ci teneva, assolutamente a beccarsi
una febbre
da cavallo.
Aveva avuto il
pensiero di riprendere il mantello poggiato accuratamente sulla sua
borsa e
quella di Emma, quando quest’ultima non lo chiamò
a gran voce.
Alzò lo sguardo
incuriosito.
-“Emma,
hai detto
qualcosa?”
-“Non
hai provato
a rievocare di nuovo il tuo Patronus?”
Negò
con un cenno
del capo, sorridendo abbastanza in imbarazzo realizzando più
tardi che la rossa
fosse vicina al sottoscritto, sebbene gli arrivasse a malapena al collo
per
quanto fosse alto nel suo metro e settanta, l’aveva comunque
colto alla
sprovvista.
Distratto com’era,
non si era nemmeno reso conto che il Patronus della grifone si fosse
dissolto
nell’aria.
Accidenti a lui,
aveva abbassato la guardia.
Emma aveva
sempre
avuto un talento naturale ad infilarlo in situazioni particolarmente
“inusuali”; all’inizio non ci aveva
prestato molta attenzione, innocua ed
ingenua com’era, tuttavia questo lo portò a
pensare che, prima o poi, la
ragazza avrebbe attentato, inconsciamente, al suo cuore.
Proprio come in
questo preciso istante.
Le sue gambe
tremarono così tanto come una foglia che temette di perdere
l’equilibrio,
tentando di mantenere la calma e il sangue freddo.
Doveva dire
qualcosa per non rimanere muto come un pesce e fare la figura
dell’idiota
davanti alla sua cotta era, decisamente, l’ultimo dei suoi
pensieri.
Andava bene
qualunque cosa, anche la più banale delle scuse.
Dopo vari secondi
passando a rimuginare su cosa poteva essere la cosa giusta da fare,
finalmente,
aveva trovato la soluzione al suo dramma interiore: doveva improvvisare.
-“C-credo
di aver
sbagliato qualche passaggio…”
-“Davvero?”
Aveva fatto
centro.
Si trattenne a
sorridere trionfante, scampato dall’imminente pericolo.
Dopotutto, anche se
stava cercando di non farsi scoprire dallo sguardo ammaliatore della
Grifondoro, non era tanto lontano dalla verità.
Inspira.
Sii composto.
Espira.
Sbatte’ più volte
le palpebre annuendo con un cenno della testa, stavolta più
sicuro di se’ e con
la voce meno tremante.
La grifone aveva
la sua completa attenzione.
Resta calmo e
non
fare mosse avventate stavolta, pensò lui.
Estrasse dalla
tasca nascosta dei pantaloni la sua bacchetta scura, con dei finissimi
ghirigori intrecciati color argento che
si estendevano fino alla punta e,
con
piccoli gesti della mano sinistra, mosse la bacchetta facendo
fuoriuscire a
malapena un piccolo sprazzo di luce bianco-argento.
-“Si,
ero sicuro
che bastava solo mi focalizzassi sul ricordo più felice o un
emozione che mi facesse
scaturire una grande quantità di energia
positiva… ma credo che non funzioni
del tutto.”
Emma
poggiò una
mano sul mento, arcuando le sopracciglia rossicce in un espressione
pensierosa
e buttando un occhio di tanto in
tanto
sulla bacchetta del serpe.
Per Norman, era
inusuale vederla con quello sguardo così concentrato e serio.
Pur non essendo un
talento naturale come il sottoscritto o una studiosa come Ray, lei era
capace
di imparare qualsiasi incantesimo, sortilegio o manovra su una scopa in
poco
tempo grazie la sua formidabile memoria e alle sua capacità
di osservazione,
che la portavano a vedere oltre, anche i piccoli dettagli.
Su questo aspetto,
non l’ha mai sottovalutata, anzi, la maggior parte delle
volte chiedeva sempre
a lei per dei
pareri su incantesimi
“particolari” che si usavano in Difesa Contro le
Arti Oscure o addirittura con
Pozioni che, in quel caso, richiedevano una concentrazione massima nel
prepararle.
Attese con ansia
il suo verdetto finale.
Inizialmente, la
grifone oscillò con un piede e un altro intorno
all’albino, fino a quando non
si fermò di colpo, interrompendo quella strana danza di
passi intrecciati.
Puntò
l’indice
destro contro la sua figura e un grande sorriso le illuminò
il volto,
nonostante fuori dall’Osservatorio il cielo stava iniziando a
scurirsi, bastava
la sua sola presenza ad illuminare d’immenso il suo cammino.
-“Due
sono le
cose, o tu sei distratto o il ricordo felice su cui ti stavi concentrando non
trasmetteva abbastanza
positività!”
Sobbalzò.
Adesso era lui ad
essere confuso.
Oscillò di poco il
capo, arcuando le sopraciglia chiare in un espressione dubbiosa.
-“Cosa
intendi
dire?”
-“Voglio
dire che
non era abbastanza efficace ed intenso. Magari ti sarai soffermato su
un
ricordo del passato di quando eri piccolo, o magari l’euforia
del momento… ma
non era forte abbastanza da scaturire quell’onda di energia
positiva.
Sappiamo che la
natura dell’Incanto Patronus è soggettiva, ovvero
tanto è l’intensità di quella
sensazione di felicità su cui si fa leva, maggiore
sarà l’efficacia del Patrono.
Giusto, Norman?”
Lui
annuì
velocemente.
La rossa
mostrò la
sua bacchetta.
Era di un legno
scurissimo con il manico intagliato di vari cerchi concentrici che, di
tanto in
tanto, alla luce del sole sembravano delle lingue di fuoco; presentava
alcune
sporgenze e non era del tutto dritta come le solite bacchette.
Con un rapido
gesto del polso, gli mostrò la giusta manovra.
-“Bene,
ed è anche
vero che a determinare la potenza e la riuscita
dell’incantesimo, non è tanto
il contenuto, ma la sensazione trasmessa da tale pensiero.
Perciò… credo che
sia abbastanza chiaro.”
Non fece in
tempo
a domandarle a cosa stava pensando che la rossa
si avvicinò quatta quatta all’albino
e, in
meno di pochi secondi, gli strinse dolcemente la mano libera, non
togliendo mai
quel dolce sorriso che aveva sul volto.
Sussultò.
Cosa stava
succedendo?
Aveva giurato di
aver intravvisto un leggero colorito rosso tra le gote della grifone
quando
percepì un calore confortevole tra le dita, ma forse si
sbagliava visto come
aveva iniziato a fare buio così velocemente.
Sì,
doveva essere
per forza così.
Non rischiava
solo
di impazzire, ma anche di avere un brutto infarto per quanta ansia
stesse
provando in quel momento.
Gli tremò il
labbro inferiore e la sua voce uscì a malapena come un
sussurro.
-“E-Emma…?”
La luce del sole
stava sparendo poco a poco, lasciando alle sue spalle un cielo
macchiato di
arancio tra alcune sfumature violacee e la figura purpurea della luna
fece
capolino in un angolo, illuminando debolmente i due ragazzi, intenti a
specchiarsi l’uno negli occhi dell’altra.
Quanto erano belle
quelle gemme preziose, incastonate a regola d’arte, in quel
viso androgino e
roseo?
Come se non
bastasse, il battito del suo cuore stava incominciando a martellargli
quasi
fastidiosamente al petto, le farfalle sfarfallavano energicamente allo
stomaco
e per un attimo pensò che, di lì a poco, avrebbe
avuto un infarto.
Smettila di
attentare così al mio cuore, pensò lui.
Com’era
finito ad
infatuarsi così profondamente di una ragazza
così, come dire, piena di risorse
rimase un gran mistero.
La situazione stava
prendendo una strana piega e quando pensò che niente poteva
andare peggio di
così, la rossa riprese la parola.
Era talmente
disorientato dal calore della sua mano e la sua vicinanza che gli
fischiarono
le orecchie, non potendo udire cosa gli avesse detto tentò
invano di domandarle
cosa gli avesse detto, ma Emma fu più veloce.
Con uno scatto
repentino, gli prese la cravatta verde-argento avvicinandosi poi
pericolosamente
al suo viso e come furono letteralmente “faccia a
faccia” il giovane Minerva
dovette fare del suo meglio per controllarsi a non fare pazzie, come
per
esempio saltarle addosso e baciarle la fronte, le guance e le labbra.
Dannazione, lo
stava facendo impazzire.
In tutti i sensi.
-“Non
devi
necessariamente concentrarti su un ricordo del tuo passato o un momento
specifico che ti è successo, magari potresti andare
oltre… puoi benissimo
immaginare cosa ti fa rendere tanto felice e spensierato da farti
spuntare un
sorriso… e che sia facile da tenerlo a mente.”
Gli
sussurrò
qualcosa vicino l’orecchio e poi, lentamente, lo
lasciò andare allontanandosi
di qualche passo da lui, senza però sparire davanti alla sua
visuale.
Non smise di
sorridergli amorevolmente nemmeno quando spalancò le braccia
in aria e, nel
mentre stringeva con forza la sua bacchetta, uscita fuori in vista per
l’occasione, gridò a pieni polmoni il suo nome
ridendo spensierata.
Stava iniziando a
fare freddo fuori e la raffica di vento era più forte
rispetto a prima,
tuttavia non sentiva niente sulla sua pelle nivea.
Non provava i
soliti brividi di freddo post invernali, se non un inspiegabile calore
che avvolgeva
completamente il suo corpo, il sangue che gli stava dando alla testa e
il cuore
che martellava terribilmente forte al petto, da lasciarlo quasi senza
respiro.
Che sia facile
da
tenerlo a mente, ripeté quella frase talmente tante volte da
diventare il suo
stesso mantra.
Arrossì
così
vistosamente, fino alle orecchie, che per un attimo divenne un grosso
ortaggio
da giardino, pronto per essere raccolto.
La vista si stava
offuscando ulteriormente e temette di svenire in quel preciso istante,
ma non
mollò; la luce della luna illuminò in parte il
suo profilo e le dita
incominciarono a pizzicargli dolcemente la pelle, e in quel preciso
istante, mille
immagini di lui e Emma fecero capolino davanti ai suoi occhi azzurri.
Dannazione, se
fosse morto sul posto, questo era decisamente il Paradiso.
Stava già
iniziando a compilare mentalmente il suo testamento.
Se la immaginava
così, la sua lapide: Norman
Minerva, 16
anni, giovane promessa nel mondo magico come aspirante Auror e figlio
del
talentuoso Spezzaincantesimi William Minerva, causa del decesso:
overdose di
dolcezza verso la ragazza di cui, non solo era pazzamente innamorato,
ma
provava anche una certa attrazione fisica.
Vari erano
momenti
in cui si stringevano la mano timidamente, si abbracciavano con la
felicità
negli occhi, si sfioravano curiosi verso l’ignoto e si
baciavano così
amorevolmente da fargli scoppiare il cuore.
Qualsiasi cosa potesse
solo vedere o sentire, il sorriso di Emma non ha mai smesso di
illuminare il
suo volto, come la forza di mille soli.
Vedeva non solo il
passato, ma anche il presente e il futuro.
Strinse forte la
sua bacchetta e senza nessuna esitazione, recitò la formula
tanto agognata.
-“Expecto
Patronum!”
Le prime cose
che
sentì in quel momento furono il nitrire armonioso di un
equino, seguito poi
dallo scalpitare degli zoccoli e una sferzata di energia positiva
soffiargli
quasi prepotentemente la faccia.
Poi lo vide.
Un raro esemplare
di Unicorno trotterellava allegro e con passi eleganti intorno
all’Osservatorio
e il lungo corno che spiccava sul muso affusolato della creatura magica
non
smise mai di brillare di luce propria.
Si guardarono per
un attimo negli occhi e fu solo allora che comprese cosa successe, in
quel
preciso momento.
Sorrise,
euforico.
Ce l’aveva fatta.
Aveva evocato il
suo Patrono corporeo.
Udì
la risata
trionfante della sua amata grifone, gridando entusiasta per la riuscita
dell’Incanto Patronus e con un rapido gesto della bacchetta,
fece capolino il
suo Abraxan che nel mentre stava facendo conoscenza con
l’Unicorno del giovane
Serpeverde.
Stremato, si
lasciò cadere all’indietro, senza però
smettere di sorridere.
Guardò il cielo ormai
scuro e puntellato di stelle per una miriade di secondi e come
sentì i passi
svelti di una allarmata Grifondoro di sua conoscenza, si
ricordò cosa gli aveva
sussurrato all’orecchio, portandolo ad imporporarsi
vistosamente al viso, fino
alle orecchie.
“Sono riuscita ad
invocare il mio Patrono grazie a te.
Ho ricordato tutti
i vari momenti che abbiamo vissuto insieme da quando ci
conosciamo… e ho
immaginato le nostre vite intrecciarsi ancora e ancora, come i fili
d’argento
presenti sulla tua bacchetta.
Qualunque cosa
stavamo facendo… eravamo insieme, mano nella mano.”
Angolo dell'autor*!
Prima che parta con le mie
solite chiacchere di fanwriter, volevo specificare alcune cosine:
-Durante la
trascrizione della raccolta, non ho potuto farli passare dall'occhio
vigile della mia Beta Reader di fiducia, quindi vedrete i vari pastrocchi a livello di grammatica/sintassi/whatever (
le correzioni vere e proprie le vedrete direttamente quando si
sarà concluso il contest.)
anzianità(?)
non voglio sfotterla-Sto sperimentando alcuni format, visto che io e il
computer ci bisticiamo su vari fattori e spesso lo schermo si mette a
"sfarfallare" vista la sua troppo poverina.
-Non ero cert* di voler partecipare a questa iniziativa visto che sto
attraversando un brutto, bruttissimo momento, ma mi sono volut* dare
uno schiaffo morale a me stess* e buttarmi in questo nuovo viaggio.
Con questa
premessa, passiamo subito agli affari.
La one-shot partecipante al
contest di “Norember” , come ben vedete,
è a cura di Standreamy, una fanartist fantastica che ho
avuto modo di conoscerla
su Instagram e che ha voluto
estendere il contest anche per i fanwriters!
Che ragazza! (andatela a
seguire e supportatela, per favore!)
Ad ogni modo,
è tratta dalla serie che, dopo Banana Fish, mi ha fatto
piangere tantissimo fino a sclerare male, malissimo: The Promised
Neverland, e i protagonisti (indiscussi) che
ci accompagneranno in questa raccolta di one-shots sono, niente di
meno, che Norman ed Emma!
(...e ultimo e non per questo il meno importante, con la
partecipazione straordinaria del magico AU di Harry Potter)
Specifichiamo una cosa: chi mi
conosce bene, sa quanto mi diverta a fare i Crossover/AU con
più fandom (tralasciando, ovviamnete, crisi di nervi e
blocchi dello scrittore obv-)
Nonostante conosco i personaggi da, boh, un paio di mesi, oltre a
mettermi paura di uscire troppo fuori dai loro caratteri, ho faticato
parecchio a capire alcuni dettagli della trama, del tipo "Dove li
smisto a questi qui?" (Norman stava benissimo sia in Serpeverde e in
Corvonero, so, ho tirato a sorte lol) poi è capitato la
scelta del loro Patronus.
Inizialmente ad Emma volevo farle appararire una
leonessa/leopardo/ghepardo mentre a Norman volevo indirizzarmi sul
gufo/civetta...
Ma ho voluto cambiare prospettiva.
Non serve che vi parli in che anno/secolo ho voluto "teletrasportarli"
nell'universo potteriano, so, preferisco lasciarvi viaggiare con la
vostra mente.
Piccolo avviso: la raccolta subirà vari ritardi e saranno
più le volte in cui non riuscirò a rispettare le
date di pubblicazione, ma tranuilli/e, gli aggiornamenti ci saranno; e
più avanti, nella raccolta, potrebbe esserci una
possobilità che si ripresenti di nuovo l'AU di Harry
Potter... ma non vi dirò nulla ewe
Spero che vi sia piaciuta e avrete voglia di seguirmi per
tutta la durata del contest!
Alla prossima,
Artemìs
|
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Capitolo 2 *** *Hey, Can you hear me?* ***
norember/phonecups
*Iniziativa:
scritta per il Contest “Norember”, indetto da Standreamy sulla sua pagina
instagram ispirandosi all’Inktober.
*Numero
Parole: 2.965
*Prompt:
Phone Cups
*Link al vostro blog/twitter/quel che volete:
Profilo EFP (https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=224886)
Profilo Wattpad (https://www.wattpad.com/user/artemiskarpusivargas)
*Hashtag: #NoremmaMonth2020 #Norember
Hey, Can
you hear me?
-“La febbre è ritornata già all’alba… le sue
difese immunitarie sono calate quasi drasticamente. Non l’ho mai vista così
debole e sofferente...”
Sebbene fosse in stato di dormiveglia e
accaldata per l’influenza, Emma riuscì a riconoscere la voce delicata della sua amica Anna quando era in stato
di apprensione; come non darle torto: quando ha saputo di essere caduta in
malattia e faceva fatica anche solo respirare, lei non ha esitato ad
assisterla, personalmente.
L’aveva sentita parlare tra se e se qualche
mezz’ora fa mentre le cambiava il panno bagnato e le asciugava la fronte bagnata
che, nel mentre, aveva ripreso a scottare non poco; ricordò la sensazione di
benessere e pace interiore quando percepì al tatto la pezza bagnata calda
inumidirle il viso, dandole un senso di sollievo.
Nonostante non era nel pieno delle sue forze,
la rossa non era preoccupata per quel malessere che la stava indebolendo poco a
poco, perché si fidava ciecamente di Anna e delle sue doti in fatto di
medicina.
Era in ottime mani, essendo prossima a
diventare un medico.
Aprì poco a poco gli occhi un po’ frastornata,
aspettandosi di vedere una delle trecce bionde della sua amica o di sentire la
sua voce augurarle il buongiorno.
Non c’era nessuno.
Era sola.
Aveva avuto il pensiero di alzarsi dal letto,
ma un brutto capogiro la fece desistere fino a sprofondare la testa nel cuscino
morbido, come se qualcuno le avesse buttato un grosso macigno alla faccia
soffocandola interiormente.
Arcuò le labbra in una smorfia di dolore.
Prendere l’influenza in un periodo come questo
era davvero una grande seccatura, tuttavia sapeva perfettamente che se voleva
rimettersi in piedi e continuare a seguire la sua missione di pace, doveva
assolutamente guarire.
Si sarebbe annoiata a furia di guardarsi i
pollici, ma almeno aveva la possibilità di
riposare il corpo e riflettere su molte cose; doveva ancora parlare con
Norman per chiarire alcune cose in sospeso.
Chissà cosa starà facendo in questo momento,
pensò lei.
Si rigirava nel letto caldo con fare
sconsolato, agitata com’era nelle condizioni in cui si trovava negli ultimi
cinque giorni, persino l’odore delle lenzuola che profumavano di biancospino
non le erano di gran conforto.
Aveva borbottato qualcosa, infastidita, che non
si ammalasse mai, eppure venne invasa da un forte attacco di tosse secca per
poi starnutire per tre volte di fila, cominciando a dubitare, dopo ciò, se
poteva perdere la sensibilità al naso per quanto fosse rosso e gonfio
consumando già tre confezioni di fazzoletti.
Le vennero in mente i vari flashback di Grace Field,
di quando ancora lei e Norman non sapevano niente della vera “natura” di
quell’orfanotrofio, come non sapevano che Ray, per tutto quel tempo, li aveva
protetti con le unghie e con i denti affinché non venissero spediti, e di tutto
il resto; alcuni erano felici e pieni di gioia, altri invece erano tristi ed
angoscianti.
Ma c’era un ricordo che custodiva gelosamente
nel suo cuore ed era quello che la faceva più sorridere, intenerita, fino ad
arrossire in volto.
-“Accidenti, è passato tanto tempo da allora…”
Doveva essere un lontano Dicembre, quando la
neve aveva coperto tutta la pianura sempreverde della loro vecchia e amata casa
in una coltre bianca, fredda e soffice e il freddo le penetrava fin sopra le
ossa, facendola rabbrividire.
Sebbene la Mamma aveva cercato di mandarla via
dall’infermeria in ogni occasione, Emma aveva fatto visita, più volte, all’albino: cadeva spesso in malattia e, per
la sua triste sorte, doveva stare in quarantena affinché tornasse da lei e Ray
nel pieno delle sue forze.
Ricordava che non voleva lasciarlo solo e
voleva vedere quel sorriso buono e genuino sul suo viso niveo, illuminarsi di
una gioia e spensieratezza che solo un bambino sapeva dare.
Non dimenticò mai quell’innocente rossore sulle
sue guance quando gli promise di stargli accanto per sempre e i suoi grandi
occhioni azzurri guardarla con profonda ammirazione ed imbarazzo insieme, era
così tenero che più volte aveva pensato di pizzicargli le guance; per non
parlare, poi, della sua risata dolce e cristallina che aveva sentito attraverso
il telefono a spago, costruito sotto il suggerimento del corvino visto che la
Mamma l’aveva cacciata via con la forza.
Era, praticamente, musica per le sue orecchie.
Lui aveva sempre avuto una bella risata, e non
solo.
Sospirò nostalgica.
Nelle condizioni in cui era messa in quel
momento, si rivedeva in Norman: si sentiva debole, faceva fatica a mandare giù
qualche boccone, i costanti tremori al corpo e come se non bastasse aveva la
febbre da cavallo che si divertiva a burlarsi di lei: faceva su e giù come le
montagne russe e puntualmente, quando credeva che il peggio fosse passato, è
sempre lì, nascosta, pronta per attentarle
un agguato alle sue spalle.
Un’ora prima si sentiva abbastanza in forze per
andare al bagno, sciacquarsi la faccia e, magari, camminare intorno alla stanza
alla ricerca di qualche coperta più pesante, due ore più tardi cominciavano i
dolori lancinanti alla testa a furia di starnutire come una forsennata e se
tutto andava bene, riusciva a bere un bicchiere di acqua, seppur in piccole
sorsate; e quelle dopo ancora, si sentiva ancora peggio: non solo iniziava a
farneticare nel sonno, ma faceva fatica persino ad alzare la testa dannandosi
quanto fosse pesante quanto un cumulo di pietra.
Com’era potuto succedere?
Era perché si era buttata nel fiume per aiutare
Hayato e Ray con la battuta di caccia e aveva tenuto a lungo i vestiti bagnati?
Era perché era rimasta fuori troppo a lungo in
esplorazione con gli altri ragazzi di Goldy Pond e, di conseguenza, aveva preso
freddo?
Oppure era perché l’orecchio amputato si era
infettato di nuovo?
Questo era il dilemma che affliggeva Emma: qualunque
cosa avesse fatto in quei giorni, il suo fisico ne stava pagando le conseguenze
delle sue azioni.
Fuori dalla porta della sua stanza, sentiva un
susseguirsi di passi e sussurri ma la voce del suo migliore amico spiccò in
mezzo alle altre, borbottando qualcosa come quanto fosse un inguaribile testona
ed incosciente ad ammalarsi proprio quando doveva evitare di fare tanti sforzi,
ma di certo non nascose la sua preoccupazione.
Annotò mentalmente di dargli un bel pugno in
faccia quando si sarebbe ripresa a dovere dal febbrone.
Questa me la paghi, stupido di un Ray, pensò
lei.
Riconobbe anche le voci di Gilda e Don mentre
parlavano con Ray per come gestire la situazione al Rifugio, le escursioni
all’esterno e a un possibile ritrovamento di altri bambini dei quattro
stabilimenti.
Aveva teso all’unico orecchio sano per
ascoltare un minimo la loro conversazione, scostando qualche ciocca ribelle dei
suoi capelli rossi, che stavano iniziando a crescere e sfioravano dolcemente le
spalle magre e bianche, ma sentiva a malapena il loro discorso visto il tono
basso.
Ah, se solo non si fosse tagliata l’orecchio
per evadere da Grace Field con tutta la sua famiglia e ingannare la Mamma, Emma
avrebbe potuto sentire con entrambe le orecchie.
-“Ad ogni modo, l’avete sentita Anna, no? Deve
stare in assoluto riposo, nessuno può entrare in camera sua se non lei… Mi
raccomando, occhi aperti.”
-“Cosa facciamo se… insomma, lo viene a sapere?
Come minimo tenterà di entrare dentro per vederla.”
-“Di questo, non ti devi preoccupare Don. A lui
ci penso io.”
Inarcò un sopraciglio dubbiosa.
Stavano forse parlando del piccolo Phil?
O era Chris?
Chi poteva mai essere?
Si rimise nuovamente in ascolto, desiderosa di poter
scoprire altre informazioni utili sulla loro conversazione, ma l’unica cosa che
sentì fu lo scricchiolio della moquette e un infrangersi di passi in
lontananza, segno che avevano concluso giusto un paio di minuti la loro
riunione.
Con grande disappunto per la sottoscritta,
dovette arrendersi all’idea di seguirli fuori dalla sua stanza, se ci avesse
anche solo provato, le aspettavano brutte conseguenze.
Come la tirata di orecchie ferrea di Gilda oppure un bel pugno testato
di Ray sulla sua testa, doveva sperare che Don lo tenesse calmo sennò ci andava
con la mano pesante.
Le vennero i brividi dietro la schiena, ma non
per il freddo.
-“No no no, per stavolta passo.”
Si rannicchiò in un angolo nel letto e come si
mise alle spalle della porta strinse forte le coperte, salendole su, fino a
coprire la bocca rosea.
Gli occhi verdi guardavano quasi assenti la
tenue luce del giorno che filtrava da
una finestra poco distante da lei, la sua pelle stava iniziando ad imporporarsi
poco a poco e in quel momento la stanchezza stava avendo la meglio su di lei.
Doveva chiudere gli occhi e riposare, ma la sua
mente che viaggiava verso l’infinito ed oltre la teneva sveglia e con gli occhi
vigili.
Era facile a dirsi che a farsi.
Sbuffò.
Poi venne invasa da un dubbio esistenziale, uno
di quelli che forse non si aspettava di pensare ma che nel profondo l’avrebbero
sconvolta interiormente.
Sobbalzò sul posto, stringendo entrambe le mani
al petto come per proteggersi da qualsiasi pericolo le si presentasse davanti.
E se Ray si riferisse a lui?
Possibile che avrebbe infranto quella regola
solo per vederla?
Aveva il vago sospetto che il corvino si stesse
riferendo a una persona che conosceva fin troppo bene, ma quando provò a
pensare a mente lucida su chi poteva essere il visitatore a sorpresa, un forte
attacco di emicrania la colpì in pieno, proprio all’altezza delle tempie e al
profilo degli occhi.
Gemette appena per il dolore.
-“Non voglio rimanere bloccata nel letto per
sempre… vedi di passare in fretta, stupida influenza.”
Borbottando qualche imprecazione colorita,
chiuse definitamente gli occhi e lasciò che Morfeo la portasse con se in un
lungo sonno senza sogni, sperando di non ricevere altri brutti risvegli.
Dopo varie ore più tardi, al suo risveglio Emma
si sentiva ancora un po’ spossata, ma fortunatamente aveva dormito come un
ghiro e nessuno l’aveva disturbata durante il sonno.
O meglio, voleva credere che nessuno fosse
entrato nella sua stanza.
Non si sentiva ancora tanto bene per poter
alzarsi dal letto, ma almeno la testa non le faceva male quando provò ad aprire
lentamente gli occhi, di questo ne fu rincuorata.
Eppure, anche se non sapeva spiegarselo,
sentiva che c’era qualcosa d’insolito.
Si guardò attorno assottigliando le iridi
verdi, circospetta.
La stanza sembrava intatta al primo impatto, i
mobili erano sempre gli stessi, la tenda vicino alla finestra era ancora bianca
e le piantine poste proprio all’altezza della sua scrivania erano sempreverdi;
non c’era niente fuori posto, a parte il vassoio con sopra una grossa scodella
di ceramica, avvolta da un panno scuro, e un cucchiaio di legno posto proprio
vicino al comodino del suo letto.
Incuriosita, tese la mano su quel tessuto tirandone
leggermente il lembo e come sbirciò il suo contenuto, venne invasa dal buon profumo
della minestra calda di verdure e sentiva pure un leggero odore di menta.
Non fece nemmeno in tempo a dire “sembra avere
un bell’aspetto” che il suo stomaco brontolò, così rumorosamente che temette
per un attimo qualcuno l’avesse sentita.
Sorrise divertita.
Era certa che Ray avesse dato una mano ad Anna
per prepararle la minestra, solo lui poteva mettere le mani su una ricetta
appetitosa quanto gratificante.
A causa dell’influenza, non mangiava già da due
giorni e ora si sentiva talmente affamata che avrebbe mangiato, più che
volentieri, la scodella e il vassoio.
Annotò mentalmente di ringraziare sia la
gentilezza della sua amica a prendersi cura di lei e la premura di quello scemo
del suo migliore amico per la minestra.
-“Meglio che mangio subito, prima che si
raffreddi… ho veramente tanta fame.”
Mugolando debolmente, stropicciò le palpebre
con la manica bianco-arancio del pigiama alzandosi poi con la schiena fino a
poggiarsi sullo schienale del letto.
Come mise a fuoco l’immagine davanti a se, notò
qualcosa al fianco del cuscino.
Un bicchiere.
-“E questo da dove spunta fuori?”
Strano, non ricordava di averlo lasciato
proprio lì, vicino al letto, non aveva nemmeno bevuto niente prima di
coricarsi.
Magari qualcuno era entrato dentro la camera e
avrà voluto lasciarle questo bicchiere, non sapeva se fosse uno scherzo di uno
dei bambini più piccoli, ma non sapeva neppure chi fosse entrato quando dormiva
profondamente.
Si girò su un fianco e con delicatezza prese
quell’oggetto singolare, rigirandoselo fra le sue mani incuriosita.
Sembrava un normalissimo bicchiere di carta,
dalla lieve forma cilindrica, e aveva una superficie bianca e liscia; non aveva
niente di strano finché non notò un altro piccolo dettaglio.
Attaccato al fondo del bicchiere, c’era un
lungo filo scuro, finissimo come lo spago, e andava a prolungarsi per qualche
metro quadrato della sua stanza, più precisamente sotto lo stipite della porta.
Aveva la sensazione di aver già visto uno
scenario del genere, come se l’avesse vissuto in prima persona.
Senza che se ne rendesse conto, portò
delicatamente il telefono all’unico orecchio sano e nel fare quel movimento, lo
spago divenne teso come la corda di un violino.
Fu allora che sentì una voce.
-“Hey, Emma,
riesci a sentirmi?”
Sgranò gli occhi sorpresa.
Poteva riconoscere la sua voce ad occhi chiusi.
“Norman…”
Sistemandosi meglio tra le coperte affinché le
coprissero le spalle, ci mise un po’ di tempo a rispondere, ma come armeggiò
meglio con il bicchiere lo avvicinò dritto alle labbra che, in quel momento, si
erano arcuate in un gran sorriso.
Era talmente felice di sentire la sua voce che
non si accorse nemmeno di essere arrossita quanto le punte dei suoi capelli.
-“Mhm, forte e
chiaro!”
-“Come ti senti? Stai un po’ meglio?”
-“Rispetto a
prima, sì, faccio ancora un po’ fatica ad alzarmi per andare al bagno… ma per
il resto, tra emicranie e mancanza di appetito, va tutto bene.”
-“Capisco… Ho saputo solo adesso cosa ti fosse
successo…. Avrei voluto vederti, ma sia
Anna che gli altri ragazzi mi hanno impedito di entrare… sai, per la questione
che sono cagionevole di salute.”
Sobbalzò sul posto
quando il ragazzo incalzò con le parole “avrei voluto vederti”, ignorando
completamente sia il suo sospiro stanco e il tremore a una delle sue mani.
Ci teneva davvero così
tanto a vederla?
Strinse forte il
bicchiere.
Cos’era quella
strana sensazione che sentiva nella pancia, facendola provare non solo i
brividi, ma anche farle rizzare ogni ciocca dei suoi capelli?
Centrava, forse,
la febbre?
Non era molto
sicura a riguardo.
Era talmente
sovrappensiero che rispose in ritardo ad una domanda che gli fece l’albino,
incespicando tra una parola e un’altra.
-“Io… non ne ho la
più pallida idea, onestamente…
C-Cioè, ho fatto
tante cose ultimamente, eppure ero sicurissima che non avrei mai preso
l’influenza.”
-“Dovevi fare attenzione, Emma. Sarai anche
forte e tutto, ma anche il tuo corpo ha dei limiti… dii la verità: l’ultima
uscita di caccia con Ray e Don, hai ignorato i primi sintomi?
Certo
che tu...”
A sentire quel
commento, gonfiò le guance paonazza e in un momento di puro nervosismo, gli
fece una linguaccia conscia che non potesse vederla.
Adesso ci mancava
che pure l’albino gli facesse la paternale.
Sospirò.
Ora penserà che
sono una bambina irresponsabile, pensò la rossa.
Questo sì che era
imbarazzante.
Alzò la voce di un
ottava, inconsapevole che stesse perforando tremendamente uno dei timpani
dell’albino, visto quanta enfasi ci stesse mettendo a spiegare la situazione.
-“Andiamo, Norman
ma da che parte stai?! Tu che ci sei già passato, dovresti capirmi più di
chiunque altro!
Ho già ricevuto
tanti discorsi minatori da quello scemo di Ray e Gilda ha gridato così forte
che temevo di diventare sorda. Menomale che Anna mi ha preso sotto la sua ala
protettiva: è un angelo sceso in terra, si sta impegnando con tutta se stessa a guarirmi… però è una
gran seccatura stare chiusa qui dentro tutta sola.
Mi
sto annoiando a morte, uffa!”
Ci
fu un silenzio di tomba per un secondo poi, seppure debole, sentì alcuni versi
strozzati provenire dall’altra parte della porta; tese l’orecchio sul bicchiere
che possedeva e constatò che dal lato opposto aveva giurato di aver sentito un
rombo lento ma ben scandito.
Arcuò
un sopraciglio perplessa.
Non
fece nemmeno in tempo a domandargli cosa stesse facendo che la risata di Norman
le fece venire i brividi dietro la schiena.
-“N-Norman?”
Non
poteva vederlo, ma nella sua mente era chiara e cristallina l’immagine di lui
che si teneva la vita, con le braccia, per non ridere sguaiatamente, il viso
diventare man mano rosso e il sorriso illuminarsi sempre di bianco.
Per
non parlare del suo profilo delineato seppur delicato, nonostante fosse
dannatamente alto, e il pomo d’adamo leggermente sporgente alla gola.
A
quel miraggio effimero, arrossì vistosamente ed era sicura che non era la
febbre a farle quello strano effetto.
Accidenti a lui,
come faceva ad avere una risata così bella e composta?
“Non credo di
sentirmi bene… fortuna che sono già a letto, mi sono risparmiata una brutta
caduta.”
Scosse
energicamente il capo.
Calmati, lui non
può vederti, pensò Emma.
-“Perdonami, non ho potuto fare a meno di
pensare quanto tu riesca ad essere così… energica anche in queste condizioni.
Sei davvero incredibile, sai?”
La rossa ridacchiò
piano.
“Dovrei… prenderlo
come un complimento?”
Posizionò meglio
le coperte intorno alle spalle, avvolgendo anche la testa, percependo già i
brividi di freddo penetrarle fin sotto la pelle.
Sospirò un po’
seccata all’idea di trascorrere un’altra giornata con la febbre alta, chiusa
ancora in camera sua, pregando interiormente che il ragazzo non se ne andasse
via.
-“Hey, Norman… ti
volevo chiedere… s-sì, insomma, tu…”
-“Stai tranquilla, non ti lascio sola.”
-“Cos- davvero?”
-“Mhm,
rimarrò qui con te… anche tutta la notte, se necessario.”
Un grande sorriso
illuminò il viso della giovine, ormai imporporato fin sopra le orecchie.
Temeva di passare
la giornata chiusa in camera senza che nessuno la andasse a trovare; tuttavia,
la fortuna ha voluto che ci fosse Norman a farle compagnia, con il telefono a
spago, durante questa quarantena.
Angolo dell'autor*!
Sono riuscit* ad aggiornare la raccolta, che bellezza-
E' stato inusuale vedere una Emma, sempre energica e piena di
positività, combattere contro l'influenza e bisticciare di tanto
in tanto con la scatola dei fazzoletti... ma ammetto di essermi
divertit* un po' a scriverla :"D
Fluff a parte, la scena del telefono a spago vi ricorda qualcosa???
Ah, che bello fare i parallelismi-
Ora, penso che sia doveroso darvi una spiegazione sulla presenza del nostro carissimo e preziosissimo Phil ehehhe
Durante la trascrizione della one-shot, ho voluto dare un
interpretazione "diversa" ad un avvenimento che succede nel manga,
ovvero di quando Emma, Ray, il resto della famiglia e i ragazzi di
Goldy Pond trascorrono il loro soggiorno al Rifugio/aka Il paradiso dei
bambini e lì troviamo Norman e la sua Squad: composti da
Vincent, Ciclo, Barbara e Zazie (che, a proposito, spero di poterli
trattare/includerli in alcune scene importanti nella raccolta
perchè diciamocelo, sono una squadra affiatatissima)
Visto che, secondo l'ordine cronologico della serie di TPN, Phil si
ricongiunge con gli altri ragazzi nei capitoli più avanti, ho
voluto includerlo nel gruppo dei fuggitivi dalla fattoria di Grace
Field; in poche parole, questa one-shot è stata concepita
come "What If?"
Forse, in futuro, ci sarà un seguito di questa one-shot e Phil
giocherà un ruolo "importante" nel rapporto di Norman ed Emma...
chissà, mai dire mai-
Spero
che abbiate goduto la lettura e, se vi va, lasciare una recensione se
vi è piaciuta e volete esprimere un parere a riguardo.
(Se volete farmi notare gli errori grammaticali, mi date una mano
così potrò mostrarli alla Beta un giorno, con il contest
finito)
E nulla, ho detto quello che volevo dire.
Alla prossima,
Artemìs
|
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Capitolo 3 *** *Icarus's Weakness* ***
noremma contest 3.0
Icarus’s Weakness
-"Norman, vorrei parlarti di una
cosa.”
Quella mattina i due ragazzini si
trovavano nel cortile dell’orfanotrofio, stendendo le lenzuola bianche,
immacolate come la neve, nella struttura
in legno aiutandosi con alcuni bastoni ricurvi per riporli anche nei piani più
alti.
Il sole era alto nel cielo e le
nuvole ne coprivano giusto una parte, in quello spazio azzurro e sconfinato,
dando vita a varie forme astratte.
Per essere solo metà autunno, era
davvero una bella giornata.
Tuttavia, c’era una strana
tensione nell’aria.
Ray assottigliò gli occhi
cangianti sul profilo dell’albino, che in quel frangente avevano preso una
sfumatura più grigia, seguendolo con lo sguardo quanta concentrazione ci stesse
mettendo per allineare le assi di legno alla giusta altezza e posizione
affinché le lenzuola rimanessero simmetriche, da entrambi le parti.
Attese giusto un paio di secondi
prima di ricevere la sua risposta, proprio quando diede un ultima occhiata allo
stenditoio.
-“Riguarda ai preparativi della
fuga?”
Il corvino si guardò circospetto
tenendo ben saldo il bastone tra le mani.
Dal vasto giardino sempreverde di
Grace Field, vedeva di schiena le figure di Don e Gilda che stavano accanto agli
altri bambini, sotto lo sguardo vigile della loro allevatrice, Isabella;
camminava al fianco delle piccole Yvette e Jemima, che nel mentre stringevano
le sue mani con tanta enfasi, sorridendo e scherzando come solo le bambine
sapevano fare.
Dal lato opposto invece, vedeva
l’inconfondibile ciuffo rosso e ribelle di Emma che aiutava Phil e Shelly a
creare delle deliziose composizioni floreali, utilizzando fiori semplici ma di
bell’aspetto.
-“No, si tratta di te.”
A quelle parole, Norman inclinò
il capo, decisamente confuso indicandosi poi con l’indice sinistro.
Ricevette come risposta una
semplice scrollata di spalle, senza però lasciarsi scappare una risata muta tra
le labbra.
Arcuò un sopraciglio.
Ora era decisamente curioso di
saperne di più.
Intenzionato a ricevere ulteriori
risposte, cercò con lo sguardo il viso di Ray, intento a stendere altre
lenzuola, ma quei cespugli sempre spettinati e neri come il carbone coprivano una buona parte la sua faccia, come
se stesse indossando una maschera.
Sospirò, leggermente seccato da
quella strana situazione, ma per sua fortuna, non dovette aspettare molto.
-“Ho scoperto un altro tuo punto
debole.”
-“Mhm? Davvero?”
-“Già, è persino più divertente
di quando, quella volta, hai cercato di aprire un barattolo di sottaceti ma non
riuscivi a svitare il tappo.
Fu Emma ad aiutarti per aprirlo… Ah, che bei tempi.”
Lanciò un’occhiata divertita al
suo amico mentre l’albino, di rimando, bofonchiò infastidito qualcosa come quanto,
in certe situazioni, fosse così invadente, antipatico e privo di tatto.
Ci provava proprio gusto a
burlarsi di lui.
Proprio un gran bell’amico, pensò Norman.
Poggiando il bastone dal lato
dello stenditoio, incrociò le braccia lanciandogli uno sguardo minatorio e che
non ammetteva repliche, seppur il suo rossore alle gote lo tradì fino
all’ultimo.
Dannazione.
-“Oh, curioso… è davvero curioso
che tu mi dica una cosa del genere.
E sentiamo Watson, oltre alla mia
indole ad ammalarmi facilmente e alla poca forza che possiedo nelle mani, quale
sarebbe la mia ennesima debolezza?”
Non fece in tempo a domandargli
cosa lo facesse tanto ridere da piegarsi in due che una risata allegra e ben
familiare attirò la sua attenzione.
Seguendo la fonte di quel suono,
spostò leggermente un lembo delle lenzuola bagnate e nel fare ciò, rimase
immobile come una statua, ignorando così la presenza del suo amico.
Le iridi azzurre ammiravano una
Emma intenta a sfiorare delicatamente la corona di fiori che indossava tra i
ciuffi rossi, ciocca dopo ciocca e fiore dopo fiore; alcuni petali di
margherite, rose e peonie solleticavano dolcemente il viso roseo e delicato
che, lentamente, andava in forte contrasto con il crescente rossore alle
guance.
Perse uno, due, forse tre battiti
a quella visione così surreale.
Vedeva la testa mora di Phil che
si agitava e alzava le braccia in aria, seguita dalla testa color pesca di
Shelly a fare la medesima mossa ma con i piccoli pollici all’insù, facendo così
arrossire ancora di più la più grande; a giudicare dal suo stato d’animo, forse
la rossa aveva ricevuto un complimento dai bambini più piccoli.
Gli parve di vedere un sorriso
timido sbocciare tra le labbra, seguito poi da un flebile “grazie”, dopo vari
tentativi, falliti, a formulare una frase di senso compiuto.
Il cuore gli martellò così
rumorosamente che minacciava di scoppiargli nel petto, arrossendo vistosamente
fino alla punta delle sue orecchie.
Era troppo tenera.
Troppo preziosa.
Decisamente “troppo” per lui.
Si lasciò scappare un sospiro
sognante, sfiorandosi con la mano sinistra il cuore pulsante e rombante che non
accennava a calmarsi, incurante che il corvino fosse ancora lì, con lui.
Sono cresciuti insieme in quell’orfanotrofio
da tutta una vita, ma questa era in assoluto la prima volta che vedeva Emma
sotto un’altra luce; un lato di se’ stessa che faceva così fatica ad esporre le
sue emozioni, se non con estremo imbarazzo.
Un lato di se stessa che non
aveva mai conosciuto ma che, nel profondo, gli ricordava tremendamente se
stesso.
Così timida.
Impacciata.
Riservata.
Gli venne in mente un vecchio
aforisma, di cui al momento gli sfuggì di mente il nome dell’autore, che aveva
letto in un libro di poesie tempo fa; parlava della bellezza di una persona
nella sua semplicità e nella sua diversità, anche se agli occhi degli altri
risultava troppo piccolo ed indifeso.
“Il fiore che sboccia nelle avversità è il più raro e il più
bello di tutti.”
Gli faceva uno strano effetto
vedere il suo viso diventare un tutt’uno con i suoi capelli e quel modo di fare,
così inusuale quanto tenero, a toccarsi la corona di fiori con la paura di
rovinare quell’intreccio intricato di foglie e fiori.
Si sentiva come se avesse toccato
il cielo con un dito.
Aveva una voglia irrefrenabile di
stringerla forte tra le sue braccia e dirle quanto fosse carina ed adorabile
con quell’espressione così dolce e delicata e baciarle una ad una le sue gote
rosse.
Sebbene l’albino fosse un po’
timido e goffo con le effusioni e il contatto fisico, quali baci e abbracci,
ogni giorno sognava ad occhi aperti di poter starle accanto senza che si
sentisse in imbarazzo.
Norman sognava di poter essere
quel “qualcuno” per la rossa.
Ma sapeva bene che non era il
momento “adatto” a fantasticare su come poteva conquistare il suo cuore, seppur
l’idea era molto allentante.
Strinse così forte il tessuto
delle lenzuola che le nocche gli si sbiancarono di colpo, diventando un
tutt’uno con la divisa.
Dovevano affrontare i nemici sia
dentro e fuori le mura della “Fattoria” Grace Field House, trovare un modo per
scappare con tutta la loro famiglia una volta evasi e, ovviamente,
sopravvivere.
E per farlo, non poteva
assolutamente commettere altri passi falsi.
Temeva di perdere il controllo
delle sue emozioni e di lasciarsi andare in un pozzo senza fondo, così che la
disperazione lo facesse impazzire allo stato puro.
Ma aveva la fortuna di avere al
suo fianco due persone speciali e che, senza di loro, Norman non avrebbe retto
a lungo il peso di quell’amara e crudele verità.
Era determinato ad affrontare
quell’impresa pericolosa quanto impossibile, sapeva bene dei rischi che correva
e il solo pensarci gli tremavano le mani, ma per proteggere le persone che
amava, specialmente il suo sorriso,
avrebbe messo da parte le sue paure più oscure e fronteggiare persino con il
Demonio in persona.
Tuttavia, non era preparato per
l’imprevedibile e quando se ne accorse fu troppo tardi.
Aveva tirato così forte le
lenzuola bagnate che, nel fare ciò, un lembo gli cadde in faccia, inumidendogli
il viso, i capelli e una buona parte il suo maglioncino bianco panna.
Incespicando e dimenandosi come
un uccello chiuso in una gabbia, non poté vedere la faccia divertita del suo
migliore amico sganasciarsi dalle risate alle sue spalle.
-”Ahahaha, certo che tu sei
davvero imbranato.”
-“Chiudi il becco, Ray.”
Ci mise un po’ di tempo a
liberarsi da quel groviglio di stoffa ma in un modo e in un altro, ce l’aveva
fatta.
Borbottava qualcosa riguardo alla
brutta figura, pregando mentalmente al Signore che lei non abbia visto nulla, gli tremavano così tanto le labbra e le
mani, complici i brividi dell’umidità e la vergogna subita, da lasciarsi
scappare varie imprecazioni silenziose.
Arrossì imbarazzato sotto lo
sguardo incredulo del corvino.
Accidenti, tutto questo solo
perché si era distratto a vedere il sorriso solare della ragazza di cui provava un amore profondo
e sincero e che darebbe qualunque cosa pur di poterle stare al suo fianco e vederla
sorridere tutti i giorni.
La voce del suo amico gli arrivò
dritto nelle orecchie, bloccandolo sul posto mentre cercava di scrollarsi di
dosso le lenzuola bagnate.
-“Emma.”
-“Come?”
-“Emma è la tua più grande
debolezza.
Considerando quanto tu sia cotto perso di lei, perdi completamente
la calma e il sangue freddo, ti assicuri che non faccia delle scelte troppo sconsiderate
e vai nel panico quando si tratta della
sua incolumità.
Non è così, Norman?”
Sgranò gli occhi sorpreso.
Ci fu un lungo silenzio di tomba.
I due ragazzi si guardarono
dritti negli occhi, scavando a fondo nel loro animo, quasi come se stessero
attuando uno scontro mentale: chi batteva ciglio, perdeva.
Solo che in quella “battaglia” non dovevano muovere i
loro corpi, se non i loro sguardi
taglienti, tanto affilati quanto pericolosi come la lama dei coltelli, carichi
di pura adrenalina.
Le iridi cangianti del corvino
scrutavano attentamente quelli azzurro cielo dell’albino, pronto per captare
qualsiasi sua reazione o emozione che potesse tradirlo in un istante.
Sospirò.
-“Sono così prevedibile?”
-“Oh, amico mio, quando c’è Emma
nel tuo raggio d’azione, cambi
espressione in una più rilassata e serena… peccato che ti fanno sembrare
più scemo.”
L’albino si lasciò andare ad una
risata nervosa e spontanea, sfiorandosi una guancia con l’indice sinistro
accompagnato dalla sua immancabile timidezza e nervosismo a fior di pelle
quando si trattava di parlare della ragazza che le piaceva da, ormai, tutta la
sua infanzia.
Colpito ed affondato.
-“Ad ogni modo, rientriamo dentro…
ti devi cambiare.”
-“Eh? Adesso?”
-“No guarda, domani.
Certo che si, sapientone, così
posso stendere i tuoi vestiti e no, non guardarmi in quel modo… mi fai solo
innervosire.”
-“Ma dai, che esagerazione. Non
rischio niente se mi espongo un po’ di più al sole!”
-“Norman, ti conosco quanto il
palmo della mia mano e sappiamo entrambi quanto tu sia debole fisicamente: potrebbe
portarti un brutto raffreddore se rimani con quei vestiti addosso.”
L’albino era sul punto di replicare
ma dovette tacere all’istante visto come lo stesse fulminando con lo sguardo e
come imbracciava il bastone di legno a mo’ di mazza, pronto per suonargliene di
santa ragione.
Non voleva ammetterlo, ma i
vestiti gli si erano appiccicati così fastidiosamente che sentì già i primi
brividi di freddo percorrere su tutte le braccia.
Non aveva tutti i torti quel gran
impertinente di Ray.
Esasperato, si arrese
all’evidenza, sorridendogli di circostanza.
-“Si, mammina.”
Finirono in fretta di sistemare
lo stenditoio e, posando gli strumenti appositi nel cortile interno, entrarono
dentro l’orfanotrofio.
Ray avrebbe cercato delle
stampelle per appendere i suoi vestiti bagnati mentre lui doveva assolutamente
trovare il cambio pulito, visto che non ci teneva ad ammalarsi gravemente.
Salendo le scale di legno a passo
svelto e svoltando alcuni corridoi, arrivarono finalmente alla loro stanza che
condividevano con il resto dei loro fratelli e sorelle.
Norman andò dritto all’armadio,
cercando tra i cassetti e gli scaffali, i soliti vestiti bianchi che davano in
dotazione la struttura; ci mise giusto un paio di minuti a trovare i vestiti
della sua taglia e fu facile trovarli solo grazie al numero in codice.
22194.
Le stesse cinque cifre che
portava al collo.
Come Ray.
Emma.
Il resto della loro famiglia.
Voleva credere che fosse solo uno
scherzo di cattivo gusto, eppure dopo aver conosciuto la verità che si celava
dietro all’orfanotrofio, gli venne spontaneo pensare che quei codici, marchiati
sulla loro pelle, li rendeva degli animali da macello.
Gli veniva il voltastomaco il
solo pensarci.
Sospirò.
Il tempo di poggiare il cambio
pulito sul suo letto e sbottonarsi il maglione e la camicia che il corvino fece
il suo ritorno, con le mani occupate.
Sfilandosi
i vestiti bagnati di dosso, compreso la biancheria, poteva sentire il sollievo
della sua pelle nivea, leggermente rossa sull’altezza delle spalle e delle
ginocchia, al contatto con la stoffa morbida del maglione.
-“Hai
mai sentito parlare del mito di Icaro?”
Si
accingeva a rivestirsi in fretta, ma come la voce del suo amico gli arrivò alle
sue orecchie, si fermò dopo aver abbottonato il terzultimo bottone della
camicia, lasciando scoperto un lembo di pelle e i muscoli del collo.
-“Oh, ricordo qualcosa a riguardo…
Se la mia memoria non m’inganna, lui
e suo padre Dedalo rimasero richiusi nel labirinto di Minosse, a Creta, per via
della morte di Talo, ucciso perché l’inventore era geloso del talento di suo
nipote.
Successivamente, sia lui che
Icaro trovano un modo per fuggire dal
labirinto: infatti costruiscono delle ali, fatti interamente di cera, e altri
piccoli dettagli come il cuoio. Come cala la notte, lui e suo padre spiccano il
volo e fuggono, il più lontano possibile dalla loro prigione.”
Gli diede i suoi vestiti, ormai
umidi, e vide come il corvino li ripose accuratamente nelle stampelle.
-“Dedalo raccomandò al figlio di
non spingersi troppo in alto e di volare dritto sempre ad Ovest: se l’avesse
fatto il Sole avrebbe sciolto la cera e lui avrebbe incontrato solo la morte in
faccia; il ragazzo era talmente felice di poter assaporare la libertà che gli
avevano sottratto… da ignorare completamente i suoi preziosi consigli.
Il mattino arrivò presto e il Dio
Elios fece sfrecciare uno dei suoi raggi solari infuocati verso il cielo,
tuttavia colpì una delle ali di Icaro…
Sai come va a finire, no?”
Annuì.
Si sedette nel letto, stringendo
i pugni ed abbassando la testa fino a vedere le sue ginocchia, come in segno di
lutto.
Un sorriso triste e malinconico
fece tremare il labbro inferiore.
Rimasero in silenzio per alcuni
secondi ma l’albino riprese la parola, senza però smettere ti torturarsi i
pollici.
-“La cera si sciolse e alcune
piume si staccarono, fino a quando non precipitò nel vuoto… andando incontro al
suo tragico destino.
Dedalo assistite alla scena, ma
non poté fare nulla per salvarlo… maledì solo la Morte per avergli sottratto la
sua unica famiglia.”
-“Davvero una brutta tragedia…
non credi?
Se solo Icaro avesse ascoltato
suo padre, si sarebbe potuto salvare.”
Sentì lo sguardo indagatore
dell’amico su di sé e come alzò la testa per guardarlo dritto negli occhi, per
poco non si prese un brutto spavento visto la distanza azzerarsi tra di loro e
un senso di oppressione schiacciargli il petto.
Raddrizzò le spalle.
Inspira.
Espira.
Resta calmo, pensò lui.
-“Dove vorresti arrivare con
questo, Ray?”
-“Sai benissimo di cosa sto
parlando, Norman.”
Si morse l’interno guancia,
nervoso.
Si alzò lentamente in piedi,
sistemandosi i polsi del maglione alla stessa altezza della camicia, abbastanza
seccato dalla brutta piega che stava avvenendo la loro conversazione.
Assottigliò le iridi azzurre in
due fessure, come un avvoltoio che aspettava di attaccare al momento giusto il
suo avversario, lanciando vari segnali al corvino che qualunque cosa avrebbe
detto, non avrebbe cambiato idea tanto facilmente.
Quest’ultimo non reagì molto
bene, infatti, in meno di pochi secondi Norman venne strattonato dal colletto
della camicia, facendo così cadere a terra i vestiti semi umidi, e poté vedere
chiaramente i suoi occhi scuri luccicare di una furia omicida, scoprendo i
denti in una smorfia infastidita.
Pensava davvero di avere la meglio contro di
lui?
Sorrise sardonico, arcuando le
sopraciglia in un espressione più decisa e ferma.
-“Davvero una bella storia, ma
sappi che non ho ancora rinunciato all’idea di far fuggire tutti da questa
Fattoria.”
-“Sei davvero un gran idiota!
Se ti lasci
trasportare dai sentimenti, farai la stessa fine di Icaro: avvicinandoti troppo
al Sole, cadrai e morirai soffocandoti con le tue stesse ali bruciate.
Questa tua debolezza ti porterà a
delle conseguenze e non lascerò che tu sostenga quel peso insostenibile!”
Ray era sicuro che confessandogli
a mente fredda il suo pensiero, il suo migliore amico avrebbe ragionato più a
fondo a non seguire appieno i desideri di Emma, ovvero quello di portare tutta
la “famiglia” fuori dalle mura di Grace Field, in un territorio ostile e
sconosciuto, ai loro occhi da ragazzini.
Se partivano solo loro tre nella
grande fuga, con le loro doti, avevano più possibilità di sopravvivere nel
mondo esterno.
Tuttavia, quello che non si
aspettava affatto nei suoi calcoli, era la risposta sagace dell’albino,
immobilizzandolo sul posto come se i suoi piedi si fossero sprofondati nella
terra.
-“Sarò pronto a sopportarne il
peso.
E ti assicuro che non finirà come in una tragedia greca.
Dopotutto, è di
me che stiamo parlando, no?”
Allentò poco a poco la presa
ferrea del colletto della sua camicia aprendo la bocca come per urlargli
contro, senza però a far uscire una parola o un suono; come se non bastasse gli
prudevano fastidiosamente le mani e non trovò alcun conforto sfregando tra di
loro i polpastrelli.
-“T-Tu… sei davvero disposto a
fare tutto questo, per lei!?”
-“Si.”
Fu una doccia fredda per il
corvino.
Il sorriso di Norman gli fece
raggelare il sangue, confermando così che, in quel momento, non stesse
scherzando o mentendo; era completamente certo di voler attuare il suo folle
piano di seguire i desideri di quella ragazzina sfrontata e dallo spirito
libero che, nei peggiori dei casi, li avrebbe portati sicuramente in una morte
lenta e dolorosa.
Non fece nemmeno in tempo a
stringergli nuovamente il colletto della camicia e sbraitargli contro che
l’amico strinse forte il suo polso, facendolo desistere nel commettere un
possibile omicidio.
Magari se avesse potuto dargli un
bel pugno in faccia; giusto per farlo rinsavire e fargli capire, una buona
volta, quanto fosse un incosciente senza il minimo senso del pericolo a
buttarsi in un impresa rischiosa quanto mortale.
-“Non hai tutti i torti quando
hai detto che lei è la mia debolezza… ora come ora, sono come Icaro: cerco di
volare lontano dalla mia prigione, verso mete sconosciute, con le mie ali di
cera… ma come vengo accecato dalla luce abbagliante del Sole, perdo quota, fino
ad andare incontro al mio tragico destino.”
-“Aha, ora che lo so mi sento più
tranquillo!
Non prendermi in giro, idiota!”
-“Ray, tu pensi che questa mia
debolezza mi porterà a delle conseguenze.
Ma devi sapere una cosa: lei… lei non è solo
questo.”
-“Cosa intendi dire?”
Strinse così forte il polso dell’amico
che riuscì a liberarsi dalla morsa ferrea al colletto, grato di poter respirare
l’aria a pieni polmoni, sorprendendosi di tale gesto.
Ripensò ai vari avvenimenti
trascorsi tra le mura di Grace Field: di come aveva trascorso un infanzia
gioiosa, divertente e piena di sorprese, a come voleva un gran bene ai bambini
dell’orfanotrofio e ai suoi cari amici, e
ovviamente, al sorriso radioso e puro di Emma che gli stringeva il mignolo
promettendosi a vicenda che avrebbe le rivelato quel segreto che custodiva
tanto gelosamente e che, al giorno del suo undicesimo compleanno, non aveva
voluto svelare.
Non
poteva assolutamente perdere.
La
posta in gioco era alta e se volevano uscirne vivi da quella prigione, dovevano
agire con discrezione.
Sorrise.
-“Sarà anche la mia debolezza, ma
Emma rappresenta anche la mia forza.
Mi ha sempre dato la forza nel
poter andare avanti e affrontare le avversità, a testa alta e lo sta facendo
tuttora, nonostante l’ho vista crollare giù dalla paura.
È vero che non sono forte
abbastanza per proteggerla, ma vorrei almeno tentare di trovare la via più
sicura per tutti noi, con le mie stesse mani.
Lei significa molto per me e non
permetterò che le succeda qualcosa.”
-“Tu sei completamente pazzo… ha
parlato il folle innamorato del Sole.”
-“L’amor che move il
sole e l’altre stelle”… dici che se Dante Alighieri
fosse esistito ancora per qualche altro secolo, ci sarebbe stato d’aiuto per la
fuga?”
Ray rimase vari minuti in
silenzio, sconvolto quanto turbato dall’improvviso cambio di persona
dell’albino, intento con un lunghissimo sproloquio di come un poeta italiano,
deceduto da vari secoli, poteva dargli una mano a risolvere non solo la sua situazione
sentimentale con una stupida ragazzina dai folti capelli rossi, ma anche
trovare un idea ingegnosa per poterla sfruttare per la grande evasione dalla
Fattoria.
Si trattenne una risata.
Merda, che situazione assurda.
Angolo dell'autor*!
Sono
decisamente troppo in ritardo per l'aggiornamento, ma come vedete non
ho nessuna intenzione di mollare all'iniziativa di Standreamy-
Non ho molto da dirvi visto che sono pochi i lettori a seguire la
raccolta e il contest, perciò ritorno a spaccarmi la schiena
come mio solito...
Intanto, vi auguro buona lettura!
Con affetto,
Artemìs
P.s:
no ok, qualcosa vorrei dirla: avete visto quant'é carino quel
Cinnamon roll ch'è il nostro Einstein preferito, specialmente quando fa l'imbranato per Emma?
Norman è un angelo sceso in terra and nobody can change my mind when he speak and sobbing all his love for the Sunflower Queen ;-;
Dannazione se questi due mi faranno morire prima del tempo-
|
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Capitolo 4 *** *Atlas's Strength* ***
Noremma-Atlas
*Iniziativa:
scritta per il Contest “Norember”, indetto da Standreamy sulla sua pagina
instagram ispirandosi all’Inktober.
*Numero
Parole:
4.850
*Prompt:
Strength
*Link al vostro blog/twitter/quel che volete:
Profilo EFP (https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=224886)
Profilo Wattpad (https://www.wattpad.com/user/artemiskarpusivargas)
*Hashtag:
#NoremmaMonth2020 #Norember
Atlas’s Strength
-“Quanti minuti sono passati da quando è uscito
dall’ufficio?”
Seduto sul divano di pelle scura, a sorseggiare
una tazza di thé caldo, il corvino alzò lievemente lo sguardo verso l’orologio
appeso al muro.
Segnavano le cinque in punto.
Una volta, le aveva confessato che odiava il
ticchettio di quell’orologio quando capitava che si sentisse tesa e con il
fascio di nervi al limite della sopportazione, e più volte aveva avuto il forte
impulso di distruggerlo con le sue stesse mani.
Menomale che aveva avuto il pensiero di
smontarlo e cambiare qualche meccanismo dell’orologio, cosicché non facesse più
quel ticchettio costante e fastidioso.
-“Venti minuti contati.”
Seguì poi con lo sguardo la figura irrequieta
della sua amica, che non la smetteva di mordersi frequentemente il labbro
inferiore e a rigirarsi tra le mani il ciondolo dorato a forma di un occhio, donatagli
dalla sua amica demone Mujika, usandolo come antistress.
Le parve pure di sentirla sussurrare, di
sfuggita, fra sé e sé alternando varie frasi; alcune la facevano allarmare fino
sbattere più volte le ciglia e scuotere la testa contrariata per chissà cosa,
mentre le altre la facevano semplicemente serrare la mascella in una piccola
smorfia infastidita prendendo poi vari respiri profondi.
“E
se non dovesse tornare in tempo?”
“E
se lui non avesse alcuna intenzione di ascoltarmi?”
“E
se decidesse di cambiare strategia, nonostante avessimo stipulato un accordo?”
Per Ray, era insolito vederla in quello stato.
Emma non è mai stata una persona ansiosa o
paranoica, eppure era chiaro come il sole che, in quel momento, non riusciva ad
essere positiva come al suo solito.
Era lì, che con passi svelti camminava avanti
ed indietro dentro lo studio di Norman, le mani intrecciate come in segno di
preghiera e un’espressione pensierosa fino a farle corrugare la fronte.
La giovine era talmente in sovrappensiero e
concentrata a parlare tra se’ e se’ che non sentì la sua voce quando provò a
chiamarla.
Sospirò, seccato da quella strana situazione in
cui si era ritrovato involontariamente.
Imprecò mentalmente ad un certo migliore amico,
di lunga data, che pur di far avverare i desideri più folli della ragazza che
le piaceva, si sarebbe spezzato l’osso del collo pur di riuscirci.
Non lo diceva spesso, ma il corvino ha sempre
pensato che quando si trattava di proteggere la propria famiglia, certe volte, i
suoi amici davano di matto.
Senza preoccuparsi dei rischi o di qualche
imprevisto, Emma e Norman erano capaci di tutto per raggiungere il loro
obbiettivo, arrivando persino ad usare ogni mezzo possibile ed inimmaginabile.
In veste di fratello e migliore amico di
entrambi i ragazzi, lui doveva fare qualcosa.
Doveva agire.
Posando la tazza ormai vuota, si alzò con
decisione dal divano e arrivando proprio davanti alla sua interlocutrice, le
diede un bel pugno sopra la sua testa distraendola da pensieri poco piacevoli.
-“Hey, scema se non te ne fossi accorta, starei
cercando di parlarti.”
Sussultando per il colpo appena ricevuto alla
nuca, Emma si lasciò scappare un gemito di dolore fra le labbra, esclamando un
sonoro “ahia” massaggiandosi cauta sul capo, il suo punto più dolente.
Ovviamente, non prima di aver lanciato
un’occhiataccia ostile al corvino lamentandosi di quanto, certe volte, avesse
la mano pesante.
Alzò la voce di un’ottava, indicandosi poi
l’indice la botta subita alla testa.
-“Mi hai fatto male, miseriaccia!
Ma che ti
salta in mente di colpirmi in quel modo!?”
-“Oh, domando perdono per avervi disturbata nel
vostro sonno di bellezza.
Ma non ho potuto fare a meno di notare, Vostra
Altezza, quanto sembravate buffa con quell’espressione da ebete.”
Di tutta risposta, lei ringhiò mostrando i
denti, piccoli ma bianchissimi, come per intimorirlo dal suo sguardo truce.
Serrò poi le iridi verdi al suo interlocutore,
chiaramente infastidita dal tono saccente e sarcastico.
Antipatico, pensò lei.
Saettando lo sguardo verso l’orologio appeso al
muro, proprio dietro di lei, girò lentamente la schiena fino a quando non ebbe
una visuale migliore nel suo campo visivo.
Si morse nuovamente il labbro inferiore.
Cinque e un quarto.
Sarebbe dovuto tornare indietro molte ore fa,
da loro due, ma non si era presentato all’appuntamento stabilito.
Non andava affatto bene.
Doveva ancora parlargli di cosa aveva scoperto
nella Foresta Promessa, prima di arrivare con Ray e gli altri ragazzi di Grace
Field e Goldy Pond alla base operativa “La Mascella del Leone”, grazie
all’aiuto di Jin e Hayato.
Doveva, assolutamente, persuadere l’albino a
non attuare il suo folle piano: un
genocidio di massa sia all’intera comunità dei Demoni, la Famiglia Reale e al
Clan Ratri, sebbene non nutrisse una buona simpatia per loro.
Voleva proteggere Mujika e Sonju a tutti i
costi, visto che a loro doveva tutto: li avevano salvati da morte certa da
altri mostri famelici, senza avere secondi fini, gli avevano insegnato le varie
tecniche di sopravvivenza ed a cacciare autonomamente e, cosa più importante, li
avevano trattati come dei veri esseri umani; stringendo così un insolito
legame.
La ragazza era talmente grata e riconoscente di
quell’amicizia che, finalmente, aveva trovato nuovamente la speranza di poter
andare avanti.
La speranza di poter vivere appieno il
“domani”, con la sua famiglia, senza paura.
Emma doveva lottare con tutte le sue forze, per
poter realizzare quel suo sogno impossibile conscia che, presto, avrebbe corso
vari rischi.
Pensò a Mujika.
Se lei, il Demone del Sangue Maledetto, poteva
forgiare la nuova Promessa alla Famiglia Reale e alla comunità stessa,
significava una sola cosa: libertà.
Se Mujika avrebbe guidato tutti i Demoni ad una
nuova “Era”, maggiori erano le possibilità di poter bandire, una volta per
tutte, l’allevamento dei bambini bestiame nelle Fattorie.
Niente più morti.
Niente più guerre.
Niente più sacrifici.
“Devo giocarmi il tutto per tutto.”
Ripensò alle parole del ragazzo albino quando,
nel cuore della notte e in stato di dormiveglia, era appoggiata sulla sua
spalla ignaro che potesse sentirla.
“Emma,
perdonami per quello che sto per fare…
Ma non voglio perderti, di nuovo.”
Prima di andarsene con Vincent a discutere
privatamente di altre questioni, le aveva promesso che avrebbero parlato meglio
del piano, visto quanto ci teneva la sua opinione e quella di Ray.
Eppure stava tardando a ritornare nel suo
studio.
Per quanto ancora avrebbe dovuto aspettare per
rivederlo?
Abbassò lievemente la testa, dirigendosi con
passi lenti e strascicanti fino al divano dove ci sedette sopra a peso morto,
sprofondando man mano nei cuscinetti di pelle.
Sospirò.
C’era un’altra faccenda che aveva lasciato in
sospeso e che non poteva in alcun modo ignorarla: doveva salvare il loro legame e la promessa di quel
lontano 21 Aprile di tre/quattro anni fa.
“Norman…”
Sapeva bene quanto male avessero causato quei
esseri malvagi alla loro famiglia, quante anime innocenti sono state strappate via
ai loro cari per poi essere spediti
nell’aldilà e quanti orrori avesse visto gli occhi di Norman al stabilimento
sperimentale Lambda 7214.
Eppure, non poteva assolutamente starsene con
le mani in mano e fingere di “non vedere” come stavano davvero i fatti.
Conosceva l’albino quanto il palmo della sua
mano e sapeva, perfettamente, che nascondere le sue emozioni per proteggere il
prossimo e farsi forza con le sue gambe, lo avrebbero portato a brutte
conseguenze.
Immaginava vari scenari in cui il ragazzo fosse
coinvolto ed erano uno più sconcertante dell’altro.
L’ipotesi peggiore era vederlo trascinato in un
baratro senza fondo: qualsiasi sua mossa, un passo falso o un solo movimento
incerto, lui sarebbe caduto giù.
Proprio lì.
Nelle viscere dell’abisso.
Le venne in mente un altro spiacevole scenario,
che la portò non solo a darsi i pizzichi alla pancia, ma anche a preoccuparsi
ulteriormente per la sua sorte.
Come il Titano Atlante, secondo alcuni miti
antichi, Norman stava sostenendo sulle spalle tutto il peso del mondo, facendo affidamento
sulle sue forze; tuttavia, lei sapeva bene che presto o tardi, quel macigno lo
avrebbe distrutto.
Letteralmente.
Certo, era un pensiero nobile e giusto voler
costruire un mondo migliore per poter vivere tutti, insieme, senza che
venissero etichettati come cibo o carne da macello; eppure, Emma non poteva
fare a meno di pensare che il ragazzo si stesse assumendo troppe
responsabilità, facendo così che il peso sulle sue spalle si aggravasse drasticamente.
Le iridi verdi persero poco a poco il loro
tipico luccichio, divenendo man mano sempre più scuri e tristi.
“Cosa ti sta succedendo, Norman?”
Non poté fare a meno di pensare quanto fosse
cresciuto fuori e, tristemente, quanto fosse cambiato dentro, in quei due/tre
anni.
Perché provare un astio così profondo e
viscerale per i Demoni, arrivando addirittura a programmare ed attuare varie
strategie di sterminio?
Perché riservare lo stesso trattamento anche
alle altre forme di vita che, per molto tempo, sono state innocue?
Perché arrivare a tanto?
Non riusciva a spiegarselo e più cercava di
capire le sue intenzioni, più il suo lato pacifista e genuino continuava a non
approvare le sue scelte.
Emma si sentiva non poco bene sapendo che,
nonostante si stesse comportando in maniera fredda e cinica, l’albino stesse soffrendo,
in silenzio, i suoi demoni interiori.
Le spezzava il cuore.
Aveva pianto per due/tre anni alla sua spedizione,
credendolo morto, e per via di quell’episodio la rossa rimaneva sveglia durante
la notte.
Più di un’occasione.
Quando si accertava di essere sola, in quei
momenti di puro sconforto, si lasciava andare in un pianto disperato e muto.
Tra se’ e se’ pensava: cosa sarebbe successo,
se le cose fossero andate diversamente?
Magari avesse avuto una macchina del tempo per
cancellare, per sempre, quel momento doloroso quanto opprimente.
Avrebbe smesso di darsi costantemente la colpa
per non averlo protetto abbastanza e di essersi lasciata sopraffare dalla sua
più grande debolezza.
Strinse i pugni.
Però, lei non era più debole quando era a Grace
Field.
No, Emma è diventata molto più forte di prima.
Ora sapeva che era vivo ed era riuscito a
scappare dalla sua prigione, questo significava una sola cosa: aveva ancora una
possibilità.
Aveva ancora un’occasione con Norman e, questa
volta, non avrebbe mai più commesso lo stesso errore.
“Sono forte abbastanza da potergli guardare le
spalle e, dora in avanti, lui non dovrà più avere il pensiero di proteggermi…
da chissà quale pericolo.
Non posso perderlo di nuovo…”
Era una promessa, sia a lui che a se stessa.
Sotto lo sguardo incredulo del corvino, si mise
a giocherellare con i fermagli per capelli che aveva tra le dita, sciogliendo
così l’intreccio intricato delle varie ciocche rosse.
Non lo faceva mai, se non quando c’era qualcosa
che la turbasse nel profondo della sua anima.
-“Che ti succede, Emma?”
Persa nei suoi pensieri, Emma intrecciò con le
dita sottili una ciocca fino a creare un arriccio, era in tensione come la
corda di un violino, quando la lasciò scivolare su di se’, le solleticò leggermente
il viso roseo e stanco e le ciglia scure.
I suoi capelli avevano avuto una ricrescita
spaventosa, a tal punto che erano lunghi abbastanza da poterli alzare in un
codino, non troppo alto visto quant’erano scalati, ma aveva modo di tenerli a bada.
Assomigliavano tanto alla criniera di un leone,
belli vaporosi quanto ribelli, ed era di un bel rosso fiammeggiante da avere
varie sfumature; rosso nelle radici, arancio sopra le ciocche e alle punte e
gialle tra i punti luce.
Pur di non guardare Ray faccia a faccia, le
iridi verdi guardavano di sottecchi le sue dita che intrecciavano invano la
ciocca rossa e fluente.
-“N-Non è niente, tranquillo.”
Gli rispose così, a bruciapelo, ma non smise di
torturarsi tra le dita sia i fermagli che le ciocche dei suoi capelli.
Sei poco credibile, pensò lei.
Percepì una leggera fitta all’orecchio
cicatrizzato, cercò di non darlo a vedere all’amico ma si tradì non appena
sentì un brivido proprio all’altezza dell’intero padiglione sinistro, segno che
la stava avvertendo del cambio di temperatura all’esterno.
Bofonchiò un “maledizione” a denti stretti,
stringendosi le nocche fino a sbiancarle, desiderando ardentemente che l’albino
piombasse all’instante nel suo ufficio, solo per poterlo vedere.
-“Non ti credo, sai?
È più che palese che c’è
qualcosa che non va.”
Non si accorse della presenza del corvino che,
con passi felpati, la raggiunse sul divano sedendosi poi con la schiena dritta
e poggiando le mani alle ginocchia, come se si stesse preparando
psicologicamente a una qualsiasi sua uscita “inaspettata”.
Le sue iridi cangianti osservavano silenti e
curiosi la figura minuta di Emma che, nel mentre, si massaggiava con i
polpastrelli il dorso della sua mano destra.
Le venne un brivido dietro la schiena.
-“Eh?”
Inclinò leggermente la testa, facendo oscillare
le ciocche che precedentemente nascondevano l’orecchio cicatrizzato, ora
esposte alla luce.
Le pizzicavano le ciglia e, una buona parte, il
viso; poteva sentire, anche se lieve, il profumo dello shampoo che aveva usato
qualche giorno fa.
Sapeva di fiori di campo.
Non provava fastidio ritrovarsi con i capelli
davanti la sua visuale, nemmeno della lunghezza, visto che alcune volte li
usava come una coperta; per proteggersi dai sbuffi di vento improvvisi e il
freddo secco di fine autunno.
Tuttavia, doveva trovare seriamente qualche
trucco per poter trattare meglio i suoi capelli, visto che non ci teneva sia a
sperimentare altre acconciature “poco” pratiche e farsi trattare da cavia per
le assurde idee di stile della cara Gilda.
Voleva un gran bene alla sua amica, ma certe
volte sapeva essere “troppo” esasperante in fatto di moda.
Sospirò nuovamente.
Ogni volta che si toccava la cicatrice, provava
un senso di disagio mostrare quella ferita deturpata, così, davanti a qualcuno;
ma in presenza di Ray, non aveva alcun timore, anche perché insieme ad Anna si
erano occupati di lei dopo la fuga dall’orfanotrofio.
-“Di che parli?”
-“Non fare la finta tonta con me.
È da quando siamo nello studio di Norman che
continui ad avere degli sbalzi d’umore repentini, in più ti metti a sospirare
con la vista annebbiata… mi fai venire i brividi.”
Lo guardò accigliata.
Delicato come sempre, eh Ray?
-“Non sei divertente.”
Il sorriso sardonico di Ray fece capolino fra
le labbra sottili non appena vide una smorfia infastidita deformando in maniera
infantile le labbra, la fronte e le sopraciglia della ragazza.
Aveva un’idea di cosa si stesse crucciando così
intensamente la sua amica d’infanzia.
-“Ma non stai negando la cosa, no?”
Di tutta risposta, la rossa sospirò.
Bingo, pensò lui.
Pur parlando vagamente, incespicando con le
parole e fermarsi nel bel mezzo del discorso per poi rabbuiarsi di colpo, le aveva
confermato una buona parte i suoi sospetti: Emma aveva un problema con le
cosiddette “questioni di cuore”.
All’inizio dubitava fortemente di quell’ipotesi,
visto che la vedeva poco interessata su quell’argomento, tuttavia il corvino dovette
ricredersi visti gli ultimi episodi successi al Rifugio.
Le poche volte in cui guardava la rossa di
sottecchi, aveva l’aria che stesse nascondendo qualcosa, cercando invano di
comportarsi normalmente davanti agli altri ragazzi con il sorriso.
Specialmente, in presenza di Norman.
La prima cosa che notò in lei fu il suo sguardo.
I suoi occhi verdi e brillanti guardavano
sempre intensamente, se non ammaliati, la figura slanciata dell’albino
accompagnato poi dal suo portamento elegante, l’espressione concentrata e
silente quando compilava alcune scartoffie d’ufficio e le iridi azzurre
saettare freneticamente da un documento all’altro.
S’incantava così facilmente che, spesso,
sembrava di stare tra le nuvole e quando Norman o lui stesso cercavano di farla
ritornare con i piedi per terra, un attimo prima sbiancava di colpo per lo
shock e, quello dopo, la sua pelle diventava un tutt’uno con i suoi capelli
rossi, incespicando con le parole.
Gli capitò di vederla da lontano mentre lo
spiava, di nascosto, mentre lavorava alla scrivania.
Alcune volte, sfruttava il suo tempo libero
davanti alla sua porta, senza farsi scoprire, indecisa se entrare o meno per
salutarlo.
Quando Emma guardava negli occhi il loro
migliore amico, lo faceva con la stessa intensità in cui l’altro vegliava,
silenzioso e discreto, quest’ultima da tempo immemore, come se dipendesse dalla
sua stessa vita.
Come se fosse caduta vittima di un sortilegio a
cui non poteva sottrarsi.
Pensò che fosse solo una mera coincidenza.
La seconda cosa che notò in lei furono i suoi
sbalzi d’umore, che lo fecero stare in stato di allerta.
C’erano giorni in cui, nonostante si mostrasse sempre energica e
positiva, la ragazza si sentisse particolarmente sensibile sognando chissà cosa
ad occhi aperti; poi, c’erano momenti in cui cadeva preda a varie crisi di
pianto isterico e, se Gilda e Anna non erano al suo fianco, non riusciva a
reggersi in piedi.
E quelli ancora, se la ragazza si svegliava con
l’umore sottoterra e non aveva alcuna intenzione d’iniziare una conversazione,
attaccava chiunque si trovasse nel suo raggio d’azione, senza fare nessuna
distinzione, mostrando un lato di se stessa da far lasciare a bocca aperta
tutti quanti.
Irascibile.
Intrattabile.
Erano pochi i momenti in cui lei si lasciasse
così tanto andare, addirittura a sputare varie imprecazioni colorite, ma era
davvero inusuale vedere la sua positività e il suo innato altruismo frantumarsi
in mille pezzi, con una facilità disarmante.
Chi l’avrebbe mai detto che, anche la sua amica
d’infanzia, potesse tirare fuori gli
artigli?
Ora che ci pensava, ultimamente la rossa aveva
un’aria decisamente tesa quando andavano a visitare Norman: era poco propensa a
parlargli del perché fosse così agitata e nervosa; più di una volta, liquidava
la questione con scuse strategiche, del tipo “non ho niente che non va, sarà
l’ansia da prestazione” oppure “è normale se, durante una missione, sono
nervosa”.
C’era stata un’occasione in cui Violet, Paula e
Gillian, avevano preso da parte la rossa per un cosiddetto “scambio di opinioni”
su alcune faccende personali, ma per Ray
si traduceva in una sola cosa: una “chiacchierata tra ragazze”.
All’inizio era un po’ sospettoso nei loro confronti, ma
finì nell’ignorarle completamente; pensando che forse le faceva bene stare con
le altre ragazze e, magari, allargare i suoi orizzonti.
Era una bella giornata di sole nel Paradiso dei
Bambini e non poté fare a meno di sorridere distrattamente per la pace che
regnava in quel luogo, lontano da occhi nemici.
Ricordava che lui era nel cortile, insieme a
Don e Nat, a vegliare da bravo fratello maggiore ai bambini che giocavano
fuori; mentre gli altri due ragazzi partecipavano attivamente alle loro attività,
Ray teneva d’occhio a Jemima, Chris, Yvette e Christie che giocavano a campana.
Sembrava tutto tranquillo, come quando vivevano
allegramente a Grace Field, ignari di tutto; come se intorno a loro governasse
una sorta di “calma piatta”.
Ma avvertì un campanello d’allarme non appena
sentì un urlo.
Era una voce femminile, a lui fin troppo
familiare, provenire dal lato Nord del cortile e come scattò sull’attenti, vide
da lontano il ciuffo rosso, sempre ribelle, di Emma.
Urlava qualcosa a quelle tre ragazze di Goldy
Pond, agitando la testa e le braccia in maniera scomposta, come posseduta da
chissà quale spirito.
Qui si mette male, pensò lui.
Non potendo leggere bene il suo labiale da
lontano, non aveva modo di comprendere cosa stesse dicendo, ma dato le sue urla
e il fatto che stesse andando letteralmente
in escandescenza, non era un buon segno.
Per niente.
Qualunque cosa avessero detto quelle ragazze ad
Emma, non solo avevano scombussolato negativamente i suoi sentimenti, ma
avevano inconsciamente innescato una bomba ad orologeria, pronta ad esplodere
in qualsiasi momento.
“Ho una sorta di déjà vu…”
Non capì come si accese quella che doveva
essere una “chiacchierata pacifica”, ma era certo che se non fossero
intervenuti Don, Nat e lui stesso a
dividerle, come minimo la rissa avrebbe preso una brutta piega.
Da un lato c’era Violet in ginocchio, che
prendeva fiato, ed era assistita dal moro mentre dall’altro, Paula e Nat
tenevano Gillian su una spalla; a parte qualche bernoccolo, non sembravano
messe male.
Peccato che non poteva dire lo stesso con le
altre due.
Emma aveva i capelli tutti arruffati, qualche
strappo tra i vestiti e un paio di lividi sul viso e alle braccia; aveva
giurato di aver intravisto una goccia di sangue fuoriuscire dal naso, ma i suoi
capelli coprivano una buona parte la sua faccia.
Violet, che si alzò lentamente da terra
ignorando l’aiuto di Don, aveva le stesse ferite che aveva la sua amica, con le
uniche eccezioni della presenza di qualche bernoccolo, un livido intorno
all’occhio destro e il plasma che colava copiosamente dal naso piccolo;
assottigliò le palpebre in due fessure e, nonostante provasse dolore, non smise
di guardare torva la sua avversaria.
Aveva l’intento di suonargliene, nuovamente, di
santa ragione ma con l’arrivo di Oliver e Hayato dovette fermarsi e venire
mandata in infermeria assieme a Gillian e Paula.
Dopo quell’episodio, le ragazze non avevano più
detto una parola.
Nemmeno una.
Persino Emma fece il voto del silenzio.
Ci vollero molte settimane più tardi a farle
convincere che, invece di azzuffarsi come cane e gatto, dovevano
riappacificarsi, decidere chi doveva fare il grande passo e suggellare,
finalmente, il tanto ed agognato patto di pace.
Non ebbe la possibilità di poter capire appieno
tutta la versione dei fatti da entrambe le parti, visto quanto ci tenevano a
mantenere il segreto; tuttavia, se ne dimenticò quasi subito non appena la
rossa le fece una confessione inaspettata.
Ammise, con il cuore aperto, che la sua più
grande debolezza era Norman e, con lui, ogni parte di se stesso: i suoi occhi
azzurri e brillanti, il suo sorriso morbido e caldo e il tepore delle sue mani.
Lui era sempre stato il suo punto debole, ma per
lei era anche la sua forza.
Quando era al suo fianco, si sentiva forte,
energica e determinata come non mai, ma nel momento in cui credette di aver
perso per sempre Norman, si sentì per la prima volta persa.
Debole.
Incapace.
“Ha
sempre nascosto le sue emozioni, per mostrarsi forte davanti ai miei occhi… e
darebbe tutto se stesso pur di proteggermi.
È
come se lui possedesse una maledizione, che lo porta a sostenere un peso
abnorme sulle sue spalle; pur rimanendo in piedi soprafatto dal dolore, lui
resiste… non perché può farcela, ma perché deve farlo.
Non
permetterò che Norman si sacrifichi nuovamente per il mio bene, e se sarà
necessario, sopporterò anch’io quel peso sulle spalle.
Lui…
Io non… è una cosa che non posso accettarlo!”
Possibile che avesse iniziato a capire di
provare qualcosa per lui?
I suoi occhi guardavano, per davvero, l’albino
oltre il “semplice affetto fraterno”?
Rimase stupito quando lo paragonò ad Atlante,
il Titano ribelle che, per punizione di Zeus il Re degli Dei, doveva scontare
la pena di sostenere il Cielo e la Terra con le sue braccia.
Pur conoscendolo da tanto tempo, era la prima
volta che vedeva Norman sotto un’altra prospettiva.
Guardò Emma dritto negli occhi, senza lasciar
trasparire nessun’emozione dalla sua espressione seria e composta.
Nonostante fosse convinto di quella teoria, il
corvino non aveva alcuna prova per dimostrarne la veridicità, complice il suo
silenzio riguardo quell’argomento.
Non aveva scelta se non di rischiare.
Ray doveva far “ruggire” nuovamente l’impavida
leonessa.
-“Non potresti capire… è abbastanza complicato
da spiegare.
Io… e-ecco, persino io faccio fatica a capir-”
-“Ti sbagli.
Ho capito tutto, ma era chiaro fin
dal principio.”
Chissà, pensò lui, magari sarebbe riuscito a
farle estorcere qualche informazione “interessante”.
-“Eh? Che vorresti dire?”
-“Noi tre abbiamo vissuto nell’orfanotrofio da
tantissimo tempo e, mentre cercavo di salvarvi la vita dalla mamma e da quei
mostri…
Ecco, mi rendo conto solo adesso, di non aver
calcolato l’eventualità che tu…”
-“Mhm?”
Lui rimase in silenzio giusto per qualche
minuto, guardando di sottecchi la rossa che aspettava, paziente, di poter
seguire il racconto senza intoppi.
Ebbe un flashback di loro tre da bambini che
leggevano di nascosto, nel cuore della notte, un libro di fiabe con solo una
lanterna consumata e una coperta a proteggerli dal buio e dal freddo.
Sebbene gli sfuggì di mente il titolo di quel
libro, ricordava perfettamente come Norman ed Emma pendevano dalle sue labbra,
desiderosi che lui continuasse a raccontare la storia e scoprire come il
cavaliere e il principe avevano unito le loro forze, grazie anche alla loro
solida amicizia, per poter spezzare il maleficio di uno stregone nel loro regno.
Costretti a vagare in eterno nel mondo dei
sogni, per aver distrutto una clessidra dai poteri straordinari in una rovina
antica, i due giovani non sarebbero mai più ritornati nel loro presente; e le
loro amate, la principessa di un altro regno e la sua dama di corte, che
avevano provato invano a salvarli, erano cadute vittime di un altro maleficio:
ogni volta che toccavano lo specchio dell’acqua durante un plenilunio, si
trasformavano in dei cigni, bianchi e candidi come la neve.
Nonostante non nutrisse un gran interesse per i
romanzi di fantasia, Ray aveva sempre provato una sorta di ammirazione nello
spirito combattivo e fiero del nobile cavaliere, ma anche della sua virilità e
umanità; tanto da ritrovarsi in lui in certi momenti.
-“Norman è proprio cresciuto in questi anni,
sembra il principe di quella fiaba che leggemmo insieme tempo fa… sai, quella
dove parlava della nobile amicizia tra lui e il cavaliere.”
Lei lo ascoltò mentre tentava di rifarsi la
treccia al lato dell’orecchio amputato, tuttavia non nascose la sua incertezza
davanti al suo interlocutore.
Perché aveva tirato fuori, proprio adesso, un
vecchio ricordo ai tempi di Grace Field?
Arcuò un sopraciglio dubbiosa.
-“Ad ogni modo, è perfettamente normale che tu
provi queste cose... anche se ne dubitavo.”
Sobbalzò sul posto, facendo cadere i fermagli
colorati che aveva precedentemente con se’ in un tintinnio sordo, sgranò gli
occhi sorpresa.
Una delle punte dei capelli più lunghi gli finì
tra le labbra, tremando debolmente, e il viso cominciò ad imporporarsi sempre
di più non appena si palesò l’immagine del sorriso candido dell’albino nella
sua mente; viaggiava ad una velocità
inimmaginabile che per un attimo temette di dimenticarsi come si respirasse.
Aveva il forte impulso di coprirsi la faccia
con entrambe le mani, cercando di nascondere il suo crescente rossore, ma si
bloccò non appena s’immaginò Norman indossare gli abiti del nobile principe
della fiaba; che per puro caso del destino, erano simili a quelli che aveva
indossato al giorno del suo undicesimo compleanno.
Dire che fosse rossa come un pomodoro era decisamente un eufemismo.
Era talmente occupata a sognare ad occhi aperti
da non notare il piccolo sorriso del corvino.
Ma guarda un po’ cos’ho scoperto oggi, pensò
lui.
Si era intenerito all’idea che Emma, la stessa
bambina sempre energica e piena di vita che tifava per il lieto fine dei due
protagonisti, stava affrontando la più grande battaglia della sua vita, non
considerando però la cotta che aveva per Norman.
“Ti ho sottovalutata, Emma.”
Ai suoi
occhi, la ragazza si era infatuata di un Icaro, non avendo la benché minima
idea di quanto era disposto a spezzarsi l’osso del collo solo per lei.
Eppure
vedeva la forza virile e la tristezza malinconica di Atlante, condannato a
soffrire in silenzio a sopportare tutto il peso del mondo.
Da solo.
Era proprio vero che, quando si è innamorati,
le persone possono fare cose pazze.
Gli venne in mente le parole di Norman, o come
chiamava lui, Icaro il Folle.
“Sarà
anche la mia debolezza, ma Emma rappresenta la mia forza.”
Si fece forza con le ginocchia e alzandosi dal
divano, prima scostò dolcemente i suoi capelli rossi da bravo fratello maggiore
qual’era, fino a quando non li scombinò energicamente.
Quest’ultima si riprese, quasi subito, dal suo
stato di trance e accigliata, tentò di tenerlo fermo; anche se con scarso
successo, visto quanto fosse diventato forte.
-“H-Hey, ma insomma, Ray!
Così mi fai male,
maledizione!”
Ridacchiò divertito quando cercò di sistemarsi
i capelli in maniera presentabile, anche se non poteva domare al meglio la sua
chioma arruffata e vaporosa.
La rossa inarcò le sopraciglia, ancora più
confusa di prima.
-“Allora, cosa farai con il principe Atlante?
Userai un approccio diretto come solo tu sai fare o hai in serbo una
strategia?”
-“M-Ma di cosa stai parlando!?
Cosa centra
Siegfried con Norman?”
Lei si affrettò a raccogliere con fretta e
furia i suoi fermagli per poi stringerli, arrossendo vistosamente alle gote
andando fino all’orecchio sano.
Presa da un attacco di nervosismo, scattò in
piedi sferrando un paio di pugni al diretto interessato, solo che il corvino le
tenne la testa con una mano; così che
lei colpisse semplicemente l’aria.
Come sentì le sue grasse risate echeggiare per
tutto lo studio, avvampò nuovamente sentendo già il sangue andargli alla testa.
-“RAY, SE FAI ANCORA LO STRONZO GIURO CHE TI
PRENDO A CALCI!”
-“Ohhh, la piccola leonessa sta spalancando le
sue fauci perché ho nominato il suo adorato
principe azzurro.”
Di tutta risposta lei digrignò i denti, più che
furiosa, assottigliando le iridi verdi in due fessure, proprio come quelli di
un felino.
-“Lo sai che così potrei prenderti in giro fino
alla morte, vero?”
Proprio in
quel preciso istante, la porta dello studio si aprì rivelando la figura
slanciata di Norman che, spingendo con la schiena all’indietro, entrò dentro
chiudendola poi alle sue spalle.
I due
ragazzi erano talmente concentrati ad azzuffarsi come gatto e topo da non
notare la sua presenza.
-“Scusate
il ritardo, ragazzi. Vincent m-”
-“ORA TI
PRENDO!”
-“Uhhh, sto
tremando di paura.”
Angolo dell'autor*:
Avrei
voluto aggiornarlo prima, ma come si è visto, arrivo sempre in
ritardo e temo che sarà così fino alla fine della
raccolta.
Chissà quando potrò farlo correggere ulteriormente dalla mia Beta-
Considerate l'aggiornamento della raccolta Noremma come regalo di
Natale e se ce la farò mai ad aggiornare anche più
avanti, tipo prima della fine dell'anno, dipenderà dalla mia
velocità(?)
Non ho molto da dirvi visto che sono pochi i lettori a seguire la
raccolta, perciò ritorno a spaccarmi la schiena come mio
solito... se vi è piaciuto e volete esprimere la vostra gioia,
per favore lasciate un commento, anche una critica costruttiva.
(Purchè sia costruita bene)
Intanto, vi auguro buona lettura e, in anticipo, Buon Natale!
Con affetto,
Artemìs
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