Metà cuore

di Mari Claire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 4 ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 5 ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 6 ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Vorrei raccontare una storia entusiasmante, che cambi il vostro modo di vedere le cose, che dia una risposta alle domande esistenziali, potrei anche farlo ma sarebbe una bugia. Questa non è la storia della ragazza sfigata che diventa una cheerleader, fidanzata con il capitano della squadra di basket, che diventa madre prima dei vent’anni. Ma non è neanche la storia triste di una ragazza che sta morendo, che vi farà disperare e capire quanto la vita sia troppo breve. No, questa è semplicemente la mia stramba e monotona storia. Il mio nome è Davina, diciasette anni, studentessa al liceo di Benton, una piccola cittadina vicino Portland. Non ho una mamma, ma in compenso ho un papà, Billi, e tre fratelli, Justin, Max e Gabriel. Siamo una famiglia un po' particolare, tutti adottati perché con problemi differenti. Justin, il fratello maggiore, è stato abbandonato perché i suoi genitori naturali non erano pronti; Max è stato abbandonato davanti ad una chiesa all’età di dieci anni perché già sapeva di voler essere Max, possiamo dire che prima era Maxine; di Gabriel non si sa nulla, è stato trovato da Bill in fin di vita dentro ad un cassonetto.
 La mia famiglia sono loro, insieme al mio migliore amico Tom. I nostri genitori, come tutte le storie romanzate che si rispettano, frequentavano lo stesso liceo che frequentiamo noi, ci conosciamo da una vita, il mio braccio destro.
E poi ci sono io, Davina Martin, una ragazza semplice, che si vorrebbe fare i fatti suoi ma che se vengono toccati i più deboli parte in quarta mettendosi in situazioni più grandi di lei. Ora passiamo alla parte più dolorosa per me, perché sono stata adottata? Perché i miei stupidi genitori naturali non erano pronti ad avere una figlia malata, a seguirla per farla stare bene. Tranquilli, ho detto che questa non sarebbe stata una storia triste, infatti non lo è. Non sono la solita persona malata che leggete nei libri o vedete nei film, la mia malattia è diversa, è una di quelle malattie con cui non si muore, ci si può convivere, ma dalla quale derivano delle restrizioni. Ho una malformazione cardiaca, di cui nessuno sa nulla, detto in parole semplici ho metà cuore, l’altra metà è sostituita da un tubicino che cresce insieme a me. Ma questo argomento lo approfondiremo più avanti.
Però devo essere onesta, vi ho mentito, ho detto che questa sarebbe stata la mia monotona storia e lo è stata, fino al suo arrivo.

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 1 ***


 
CAPITOLO 1
Nathan Filler, indovinate un po' chi è? Il più antipatico, montato, pallone gonfiato che Benton abbia mai visto. Lui è il perfetto protagonista di una storia: capelli neri, occhi blu, ricco, affascinante, capitano della squadra di basket, fidanzato palesemente per finta con una delle cheerleader, il protagonista perfetto, come ho detto.
Non ho mai chiesto diventasse il protagonista della mia storia, è capitato. Ma partiamo dall’inizio..
“Buongiorno principessa, sai che non dovresti usare la moto l’adrenalina fa aumentare il battito cardiaco” mi sento dire mentre scendo dalla mia amata bambina, una moto da corsa come regalo per i miei sedici anni.
“Sai che se non vado troppo veloce va tutto bene” rispondo al mio migliore amico incrociando quei bellissimi occhi verdi smeraldo
“Mi preoccupo per te, lo sai” mi dice sorridendo “i tuoi fratelli?”
“Preferiscono le quattro ruote” alzo le spalle mentre entriamo nell’edificio scolastico “oggi è il grande giorno” sorrido, lui sembra tranquillo mentre risponde un semplice “già”.
“Andrai alla grande vedrai, sei nato per giocare a basket, non ti fermeranno delle stupide selezioni. Mi raccomando però quando diventerai famoso non ti scordare della tua monotona amica”
Lui ride rispondendo “spero di riuscire ad essere almeno il suo secondo”
“Secondo di chi scusa?”
“Del prodigio di questa scuola”
“Di chi?”
“L’attuale capitano della squadra”
“Chi?”
“Nathan Filler”
scoppio a ridere per le stronzate che riesce a sparare Tom “ma dai ti prego, tu Thomas Rudden, mio migliore amico, non sarai mai il secondo di nessuno, men che meno di quel caprone che non riuscirebbe a passare neanche l’esame di coscienza”
Sembra che sia riuscita a risollevargli un po' il morale così entriamo a lezione sperando che la mattinata passi in fretta fino all’arrivo delle selezioni di basket.
“Ci vediamo dopo, in bocca al lupo” lo lascio con un bacio sulla guancia, mi sarebbe piacito accompagnarlo ma, da perfetta secchia, ho il club degli scacchi dopo le lezioni. In più la palestra non fa proprio per me, non potendo praticare sport per via del mio problema cardiaco non mi sono mai allenata, così sono abbastanza negata per quanto riguarda quel settore, molto goffa, direi quasi imbarazzante.
Alla fine del pomeriggio mi ritrovo ad aspettare Tom al nostro solito tavolo fuori in cortile, quando lo vedo sembra sembra triste ma la luce nei suoi occhi non mi sfugge, lo conosco da troppo e so che ce l’ha fatta così lo anticipo saltandogli al collo urlando “bravissimo sono molto fiera di te!”
“come hai fatto? Ho anche messo su la mia faccia più triste”
“Thomas Rudden puoi imbrogliare tutti ma non me. Allora? Hai dato spettacolo?”
“Diciamo che non sono secondo a nessuno ma che il gioco verrà equilibrato tra noi due” lo abbraccio di nuovo, troppo orgogliosa di lui, ma prima che riesca a dire qualsiasi cosa sento un urletto così irritante e stridulo che riuscirebbe a rompere le finestre. Ed è lì che la vedo, Bella Potren, ricca, bella, capitano della squadra delle cheerleader, ochetta senza cervello. L’unica cosa che la allontana dallo stereotipo della ragazza ponpon è il fatto che non è bionda ma ha i capelli rossi. Viene verso di noi sparata, sorprendendoci quando bacia a stampo Tom “Benvenuto in squadra stallone” e va via con le sue gambe di due metri.
“Quanto lo sapevo che questa squadra avrebbe cambiato il mio migliore amico, già se ne va in giro a baciare cheerleader”
“è lei che ha baciato me!”
“giusto giusto, come perfetto ragazzo depresso tu sei segretamente innamorato di Rose, la ragazza del tuo rivale, nonché co-capitano delle cheerleader. Che patetico cliché” dico mentre la suddetta ragazza e la sua chioma bionda ci passano davanti.
“ci vediamo domani” riesco almeno a farlo sorridere “e porta rispetto ora faccio parte dei Revens, l’elitè di questa scuola” dice ridendo mentre si allontana.
Rido anche io, felice per il mio migliore amico, mentre mi avvio verso la mia bambina, sto per montare quando sento una voce, quella voce, fino a quel giorno udita solo di sfuggita nei corridoi o in classe, quella voce che mi avrebbe cambiato la vita.
“stai aspettando il tuo ragazzo?” mi chiede proprio lui, Nathan Feller.
“no” rispondo, semplice e diretta. Non mi è mai piaciuto quel ragazzo
“non può essere dai” dice ridendo
“cosa?” chiedo, non capendo sul serio
“non può essere che questo bestione viene guidato da una femmina, dai. Specialmente una come te”
“e come sarebbe una come me?”
“così” dice indicandomi “sei troppo debole, non riusciresti neanche a montarla” sostiene convinto mentre ride.
Da persona matura evito di rispondere, salgo in sella alla mia bambina e vado via, facendogli vedere con i suoi occhi cosa una ragazza gracile è in grado di fare. Il viaggio verso casa lo faccio con un unico pensiero in testa ‘non mi è mai piaciuto quel ragazzo’.


ANGOLO AUTRICE
Per chi non lo sapesse il nome della squadra 'Revens' l'ho preso dalla serie tv One Tree Hill.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 2 ***


CAPITOLO 2
Non mi sono mai definita femminista e credo che mai lo farò. Non mi piace schierarmi, non mi è mai piaciuto. Credo nella gentilezza, nell’eleganza, cose di altri tempi, insomma, e ciò mi ha sempre portato a schierarmi dalla parte di colore che, come luogo comune, vengono chiamati ‘inferiori’ o ‘deboli’ indipendentemente dal sesso. Il fatto che la maggior parte delle volte mi ritrovo ad aiutare donne alle quali vengono messi i piedi in testa è dovuto all’ignoranza di una società basata sul patriarcato. Sono una cardiopatica, la maggior parte delle cose che definireste ‘normali’ mi è proibita, aggiungeteci il fatto che sono donna e una società retrograda, posso definirmi tutto ciò che la parola ‘debole’ o ‘inferiore’ rappresenta. Per una vita intera sono stata quella ‘debole’ quella ‘che si fa male’, tutti mi tenevano d’occhio come se fossi una bambola di porcellana pronta a rompersi, non mi permettevano di fare sforzi, sono sempre stata l’arbitro in qualsiasi gioco perché non mi potevo affaticare, parlo al passato, ma è ancora così. Io sono ‘quella intelligente’ perché non posso praticare sport o minimamente pensare di poter fare le audizioni per le cheerleader, o pensare di poter entrare nel loro mondo, perché il loro stile di vita, con le feste fino al mattino, l’alcool, i bagni a mezzanotte sulla spiaggia, fare after tutti insieme, ecco, quella vita frenetica è una vita totalmente fuori dalla mia portata. Ho sempre vissuto in una gabbia d’oro possiamo dire… ma sempre in gabbia ero. Ma non sono neanche una persona che si piange addosso, così sin da piccola mi sono adeguata a questa situazione, un po' perché non avevo scelta, un po' perché alla fine la mia vita monotona e piatta mi piaceva. Mi bastava, e mi basta, il mio club di scacchi, la mia chitarra, il mio amico Tom che resta sobrio a quelle poche feste che andiamo e che, come Cenerentola, a mezzanotte mi riaccompagna a casa. Ma alla fine di tutto sono anche io un’adolescente che ha bisogno di una via di fuga, la mia è la mia bambina, la moto, la mia cometa, così l’ho chiamata. I pochi esperti sanno che le moto, quelle serie non i motorini da quattro soldi, possono arrivare a velocità parecchio elevate e sanno che la velocità fa salire l’adrenalina che a sua volta fa aumentare il battito cardiaco. Io, ovviamente, non posso permettermelo, l’unica parte di cuore che ho deve battere per due quindi, di conseguenza il mio battito è di per sé parecchio elevato, aumentare troppo l’adrenalina farebbe smettere al mio cuore di battere. Quindi potreste immaginare quanto ho dovuto combattere con mio padre per averla, promettendo in tutte le lingue del mondo che non avrei mai superato il limite. Tutto questo per far capire da cosa deriva la mia voglia di aiutare i più deboli, perché io per prima lo sono.
No, non è vero. Tutto questo è per farmi ricordare che, per quanto possa essere una persona orgogliosa, la parte razionale deve sempre prevalere.
‘Sei troppo debole, non riusciresti neanche a montarla’ non gli devo niente, la voglia di fargli mangiare la polvere in una gara deve svanire, ne va della mia salute. In fondo, lui non sa nulla di me, di ciò che sono, il suo commento si basava solo sul fatto che sono donna, il che lo rende solo un pallone gonfiato maschilista.
“Tesoro sei con noi?” è così che mio padre mi fa tornare a tavola, alzo lo sguardo e trovo quattro paia di occhi che mi fissano incuriositi. “Da quando sei tornata hai detto solo una frase ed è ‘no, non voglio i funghi’, non ci hai neanche salutato” il sorriso sereno di mio papà mi fa calmare all’istante, da quando sono tornata a casa non faccio altro che pensare a quello che è successo, cerco di calmarmi, di calmare il mio orgoglio, ma con scarsi risultati.
“Si scusate, sono molto stanca vado a letto” mi alzo da tavola posando il mio piatto nel lavandino. “Tutto bene?” quella nota di preoccupazione nella voce mi fa subito allarmare, non è possibile che per degli stupidi pensieri su uno stupido ragazzo faccio preoccupare mio padre su una cosa seria come la salute.
“Si papà, non ti preoccupare ho solo dei pensieri, una bella dormita basterà” prima di chiudere la porta sento distintamente Max dire “Davina è innamorata!” sbuffo per il fatto che per i maschi noi donne abbiamo pensieri solo in situazioni del genere e vado a dormire.
“Buongiorno principessa!” l’immancabile buongiorno del mio migliore amico mi accoglie appena fuori dalla porta di casa, sorrido ma quando vedo il borsone dei Revens il mio sorriso non può che aumentare “oggi mi accompagni tu a scuola, la cometa è molta più veloce dell’autobus o della mia scassarola e il coach ci vuole vedere prima dell’inizio delle lezioni”. E’ in ansia e si vede, non vuole fallire e sono fiera di lui per questo ma di certo questo non farà sparire la mia vena sarcastica.
“Ehi bel fusto! Devi tenerci veramente tanto a questa squadra se hai deciso di affrontare la morte sulla mia bambina. Sali su e tieniti forte mi raccomando, non vorrei perderti per strada” le nostre risate si mescolano ma subito dopo l’istinto iperprotettivo di Tom viene a galla “non andare troppo veloce mi raccomando”.
Il viaggio fino a scuola avviene in modo tranquillo, mi calmo, stare con il mio migliore amico mi aiuta sempre. Chiacchieriamo del più e del meno, cerco di farlo rilassare, è molto in ansia per il primo allenamento dei Revens. Dopo aver parcheggiato ci salutiamo, lui deve correre in palestra, io andrò  a strimpellare nella sala musica. Sembrava una mattinata idilliaca, tutto perfetto. Tutto perfetto fin quando una voce irritante non ha scoppiato questa nostra bolla.
“Rudden l’ho sempre detto che sei una femminuccia, ti fai portare a scuola da una ragazza” ride insieme agli altri compagni di squadra, la quale cosa mi fa salire ancora di più il crimine, “tesoro digli quanto sei stata comoda sulla mia Lamborghini”. E dato che i mali non arrivano mai da soli ecco sputare una chioma bionda tutta tette “si cucciolo, una favola” sostiene mentre gli struscia il naso sul collo palesemente per appagarlo.
“Si, cucciolo, usa la tua schiavetta sessuale per poterti far aumentare il testosterone. Ti rende proprio un maschilista virile”. Con questa mia uscita do un bacio sulla guancia a Tom e vado spedita verso la sala musica, colpendo ‘accidentalmente’ la spalla di quel pallone gonfiato di Nathan.
Ed ecco che la calma di stamattina è andata a farsi fottere, non è colpa mia, la sua sola presenza mi infastidisce. Non mi è mai piaciuto quel ragazzo.
Cammino per i corridoi dopo un’intensa ora di pianoforte mi è sempre piaciuto suonarlo, infonde calma e tranquillità sia a chi lo suona che a chi lo ascolta. Ho iniziato a prendere lezioni di pianoforte dopo che la mia mamma adottiva era morta per un brutto male, avevo solo sei anni, ma capii che fin quando avrei avuto la forza di suonare quello stesso pianoforte che suonava lei, un pezzettino della mia mamma sarebbe rimasta per sempre con me. Mi calma suonarlo, come mi calmava ascoltarla suonare.
“Credevo fossi l’unico ad odiare Nathan Filler” sento dire dal mio migliore amico mentre ripone i suoi libri nell’armadietto. I nostri armadietti sono sempre stati vicini, dalle elementari, quando un baby Tom mi aiutò ad aprire il mio.
“Noi siamo una squadra ricordi? Amiamo le stesse persone, odiamo le stesse persone” cerco di giustificarmi.
“Che ti ha fatto?” chiede. Non so come rispondere, effettivamente è tutto nella mia testa.
“Nulla, mi dà solo fastidio che si crede chissà chi, ti dà il tormento per la squadra, è antipatico, punto.”
“E poi?” mi conosce troppo bene.
“Ha detto una stupida frase sul fatto che io non potessi guidare la moto. So che non voleva prendermi in giro per il mio problema, ma sai come sono fatta, aggiungici il fatto che ti dà il tormento, è nella mia lista nera insomma”. Non udendo risposta, essendo intenta a prendere i libri dall’armadietto, alzo la testa cercando il suo sguardo ma i suoi occhi non erano puntati su di me, bensì oltre la mia spalla dove una certa biondina con i ponpon, di nome Rose, lo stava fissando.
Chiudo l’armadietto con un tonfo, facendolo rinsavire “ti ricordi quando un minuto fa ho detto che avremmo amato le stesse persone e odiato le stesse persone? Ecco, limitiamoci ad odiare le stesse persone, che sul tuo gusto in fatto di donne avrei da dissentire”.
“Vorresti dire che è brutta?” dice quasi scandalizzato e totalmente rosso in viso. “Non ho da ridire sul suo aspetto ma sul suo atteggiamento” cerco di farlo riflettere, ma si sa, l’amore rende stupidi allora continuo: “ti sei reso conto che ti guarda, ora, solo perché sei entrato nei Revens?” appena poso gli occhi su Tom capisco di essere stata troppo brusca, lui è da sempre innamorato di quella sciaqquetta ed ora gli ho rovinato un sogno ad occhi aperti.
“Tom scusami, so che questa situazione ti rende felice ma devi capire che lei è la fidanzata di quello”
“Si tradiscono di continuo” ribatte lui.
“E vorresti fare questo? L’amante?” dico sconvolta “tesoro se i suoi standard sono Nathan Filler tu non sei per niente alla sua portata”. Lo prendo sottobraccio e lo trascino in aula mentre sospira.
 
Mi è sempre piaciuta la letteratura inglese, tutti quegli intrighi di corte mi hanno sempre affascinata. Ma più di tutti ho sempre amato la Regina Elisabetta I. La regina che sposò il suo popolo. Il coraggio con il quale mise il suo popolo prima di tutto, prima dell’amore stesso, mi ha sempre colpito. Vorrei essere una donna autoritaria e regale come lei, un giorno.
Il mio flusso di pensieri viene interrotto dal prof Taylor e dalla sua idea di farci lavorare in coppia per una ricerca sulla suddetta regina. Ci spiega che, essendo quattro file, le prime due pescheranno un bigliettino dal suo cappello contenente il nome di uno dei ragazzi delle altre due file. Allontano l’idea di poter essere in coppia con Tom, essendo lui seduto nella mia stessa fila, e mi accingo a prendere uno stupido bigliettino.
‘Rose’. Ecco cosa dice il bigliettino, non ci posso credere.
Mi affretto a piegarlo, inserendolo in un altro bigliettino con su scritto ‘poi non dire che non sono la migliore amica del mondo’. Ovviamente lo passo a Tom, che mi ringrazia con un immenso sorriso e mi passa il suo bigliettino. Non faccio in tempo a leggerlo che sento la voce del prof: “Thomas allora tu chi hai pescato?”
“Rose” dice con voce tremante, il solito idiota. Noto con piacere che la suddetta sciaqquetta sorride, speriamo sappia che se fa qualcosa di male a Tom le infilo i ponpon su per il..
“Davina tu?” ancora una volta il prof arresta i miei pensieri. Apro il bigliettino pronta a leggerlo, ma mi blocco all’istante. Non rispondo. L’unica cosa che sono in grado di fare è alzare gli occhi sul viso del mio migliore amico che mima uno ‘scusa’.
“Allora Davina tu chi hai pescato?” mi chiede ancora il prof, gentilmente. Con la promessa di non fare mai più un gesto gentile, sospiro e leggo:
“Nathan”.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 3 ***


CAPITOLO 3
Nathan Filler, non mi è mai piaciuto quel ragazzo. Vi starete chiedendo da dove è uscita tutta questa antipatia. Diciamo che io, specialmente all’epoca, ero un po' Robin Hood, disprezzavo i ricchi. Ma soprattutto i ricchi, figli di papà, che commettono atti di bullismo solo per far capire alla scuola quanto loro siano grandi, quelli che ti guardano dall’alto verso il basso perché tu, in confronto a loro, non sei nulla, quelli a cui non serve studiare, tanto hanno i soldi di paparino. Ecco da dove nasceva l’antipatia per quel ragazzo. Frequentavamo la stessa scuola dalle elementari e non sapeva nemmeno il mio nome. Aggiungeteci che da quando Thomas ha solo pensato di fare il provino per entrare nella squadra gli dava i tormenti, coglieva ogni occasione per fargli capire quanto poco valeva in confronto a lui.  Ma torniamo al presente.
La lezione è proseguita nel migliore dei modi, se non contiamo la nuvoletta nera che si era parcheggiata sopra la mia testa, rispecchiando al meglio il mio umore.
Al suono della campanella raccolgo le mie cose e corro via ad una velocità che non avrei raggiunto nemmeno se la classe fosse andata a fuoco. Il resto della mattinata passa tranquillamente, tra una lezione e l’altra ho potuto, con grande piacere, notare Thomas parlare con Rose, probabilmente sul da farsi per quanto riguarda la ricerca, ma sono contenta comunque. Rose è la vicina di casa di Thomas, lui è sempre stato innamorato di lei. Ricordo ancora tutte le volte che, coraggiosamente, sosteneva di voler parlare con lei e, senza nemmeno dirlo, fallendo miseramente ogni volta. Questi pensieri mi fanno nascere un sorriso che mi accompagna verso l’ultima lezione prima della pausa pranzo, ansiosa di poter parlare con lui e sapere tutti i dettagli del loro incontro.
Ho già detto che Thomas è il mio migliore amico? Ci conosciamo da una vita, l’unico sul quale so di poter contare sempre, l’unico a scuola che conosce il mio problema al cuore, l’unico che, conoscendo il problema, non si è fatto indietro anzi mi ha aiutata con tutti i mezzi possibili, l’unico che non ha pietà di me. Non dico che sia l’unico uomo della mia vita avendo a casa altre quattro figure maschili ma Thomas, sotto molti punti di vista, è l’unico. Di questa sono certa. Questa sicurezza, però, vacilla un po' in questo momento quando lo vedo allegramente ridere e scherzare al tavolo degli sportivi, con tutta la squadra e le cheerleader. Si sa, la mensa viene divisa per tavoli: quello degli sportivi, quello degli emo, quello dei musicisti, quello degli sfigati e quello dei nerd. Poi ci sono tavoli sparsi per persone normali come me e Tom, ma ora lui è a tutti gli effetti uno sportivo e questa nomina non l’attesta solo la divisa, ma anche il tavolo dove pranza. Che sia chiaro, non sono infastidita perché pranza con qualcun altro, sono infastidita perché non mi ha avvisata.
“Mi stai evitando?” i miei pensieri vengono interrotti, come sempre, da una voce, quella voce. Alzo lo sguardo senza rispondere e i miei occhi non credono a ciò che vedono.
“Di solito le ragazze mi evitano solo perché le ho fatte svegliare da sole la mattina dopo una nottata di sesso” dice serio, ma poi aggiunge “no, neanche in quel caso, nessuno mi evita mai”. Sostiene ancora più serio con le sopracciglia perfette aggrottate e le braccia incrociate, come se veramente pensare di evitarlo fosse un peccato capitale.
“Il tuo tavolo è laggiù” lo indico con la testa senza rispondere alla sua domanda, trovando improvvisamente la poltiglia che dovrebbe essere purè molto interessante.
“Dici quel tavolo dove il tuo amico è protagonista?” dice con tono sarcastico nello stesso istante in cui lo sento accomodarsi davanti a me senza alcun invito. Alzo gli occhi verso il tavolo degli sportivi e mi si stringe il cuore per quello che vedo, tutti ridono ad una sua battuta, sembra a suo agio ma soprattutto felice. È grazie a questa visione che trovo il coraggio di dire: “lui è uno sportivo adesso, ha tutto il diritto di essere lì”, lo dico con un sorriso mentre guardo ancora quel tavolo tanto desiderato da tutti.
“Infatti, purtroppo hai ragione, ma non dovrebbe lasciare che una fanciulla pranzi da sola, sempre detto che è un demente”
Volgo subito lo sguardo verso di lui mentre dico alterata: “ehi! È del mio migliore amico che stai parlando”
“Lo so” dice in modo serio, facendomi saltare i nervi. Sono già pronta ad offenderlo a mia volta quando lui continua: “ma solo un demente lascerebbe mangiare da sola una bellezza così rara”
Di primo impatto mi spiazza, di tutte le cose che poteva rispondere, questa sarebbe stata l’ultima a cui avrei pensato. Anzi, a questa non avrei mai pensato. Cosa rispondere ad un’affermazione del genere? ‘Grazie’? Lo guardo meglio, sembra quasi serio: braccia incrociate al petto, schiena appoggiata allo schienale della sedia, come se fosse rilassato e quella fosse una cosa normale da dire, come se stesse parlando del tempo. I suoi occhi blu puntati su di me sprigionano tempesta, ma non gli credo. Non avrei potuto credergli.
“Cosa vuoi da me?” chiedo portandomi subito sulla difensiva. Non mi è mai piaciuto quel ragazzo.
Con una lentezza disarmante stacca la schiena dalla sedia, i suoi occhi sempre puntati su di me come a volermi studiare, o mangiare. Con altrettanta lentezza disarmante appoggia le braccia sul tavolo della mensa, vedo il suo viso avvicinarsi sempre di più.
“Perché mi stai evitando?” è calmo mentre lo chiede, i suoi occhi sono calamita per me, non riesco a voltare lo sguardo, quelle pozze profonde mi mettono quasi a disagio.
“Non ti sto evitando”. A questa affermazione il suo sguardo cambia. Si accende una luce nei suoi occhi, il suo viso si contrae in una smorfia di compiacimento, in un sorriso sbieco. Ed è lì che capisco. È come un ragno che con due semplici frasi ha tessuto la tela intorno alla sua preda. Lui voleva che rispondessi così. Gioco a scacchi, calcolo le mosse e posso dire che ha calcolato bene le sue in questa partita. Lui ora risponderà una frasetta tipica per farmi arrivare a dire che si, lo sto evitando, per sentirsi compiaciuto, per sentirsi importante. Sento il tipico calore della rabbia iniziare a salire, il mio cuore aumenta il suo battito, tipico di quando sono nervosa.
“Si, ti sto evitando. Si, una signorina nessuno sta evitando il magnifico Nathan Filler e non perché mi ha fatta svegliare da sola questa mattina” inizio a dire con calma. Gioco a scacchi, non gliela farò vincere questa partita.
“Ti sto evitando perché non mi va giù il tuo modo di fare, non mi va giù come tratti Thomas, non mi va giù come tratti le ragazze, non mi va giù quello che stavi cercando di fare adesso, non mi vai giù tu.” Ho quasi il fiatone alla fine
“Calma tigre, così ti affatichi” ha una faccia da schiaffi mentre lo dice.
Bevo un po' d’acqua per calmarmi, infondo era una battuta la sua, non avrebbe potuto capire quanto una stupida frase avrebbe potuto farmi male. Mi affatico se mi agito, è vero, il mio cuore è debole e troppo stress non lo regge. Questa cosa mi fa soffrire più del dovuto. Ma lui non avrebbe potuto saperlo, non sa nulla di me.
“Hai ragione, infondo la vera ragione è che non mi va giù di lavorare con una persona che non sa nemmeno il mio nome. Farò io la ricerca, tu potrai firmarla tranquillamente, non preoccuparti.”
Scacco. Una proposta troppo allettante per poterla rifiutare.
Quando alzo lo sguardo in quelle iridi blu, però, capisco che prima mi ero sbagliata. Ora in quegli occhi non mi ci perdo, ci affogo. Non mi mettono a disagio, mi trafiggono. La postura non è cambiata, sempre sporto in avanti, ma ora la postura è tesa, la mascella tirata. Come se lo avessi offeso. E questa volta veramente mi spiazza quando in modo duro mi dice:
“La ricerca è per due persone. Ti aspetto fuori dalla palestra dopo l’allenamento per iniziare il compito.” Detto questo, con la stessa calma dell’inizio, si alza dalla sedia, fa il giro del tavolo e si posiziona dietro di me. Appoggia un braccio sul tavolo e si sporge con il busto, facendo arrivare la sua bocca vicino al mio orecchio, sussurrandomi:
“e io non ti farei mai svegliare da sola perché tu non sei una signorina nessuno, Davina Martin”
Lo seguo con lo sguardo allibita mentre si allontana verso il suo tavolo.
Scacco matto.
Il suo.
Cazzo.

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 4 ***


 
CAPITOLO 4
Non mi è mai piaciuto quel ragazzo. Non so quante volte l’ho ripetuto o semplicemente pensato, ma è vero. Non mi è mai piaciuto. Eppure adesso mi ritrovo fuori dalla palestra di basket ad aspettare proprio lui, dopo aver perso in un duello verbale, io, proprio con lui. Pensando e ripensando alla discussione avvenuta qualche ora prima in mensa mi sono resa conto di aver fatto un errore stupidissimo, il più stupido che potessi fare: ho dato le mie risposte basandomi su degli stereotipi.
Al grande sportivo non importa di uno stupido compito perché non gli piace studiare, men che meno andare bene a scuola, tanto il basket è il suo futuro. Al grande sportivo non importa di nessuno al di fuori di sé stesso, non avrebbe mai potuto sapere il mio nome. Questi sono tutti pensieri stereotipati, di fatti, lui il compito lo vuole svolgere ma soprattutto, lui sa non solo il mio nome ma anche il mio cognome.
Mi ha stupito, lo ammetto. Ma non sarà questo a farmelo rivalutare, lui resta il ragazzo che non mi ha mai nemmeno guardata per anni, il donnaiolo pallone gonfiato, quello che ha preso di mira Tom rendendogli l’entrata in squadra un vero inferno.
“Davina?” sento dire alle mie spalle, mi giro ed incrocio gli occhi verdi di Thomas, fresco di doccia, palesemente stupito di vedermi lì, infatti continua: “ti sei persa? Il club degli scacchi è al terzo piano e la sala computer al piano zero, che ci fai qui?”
Sorrido alle parole del mio migliore amico, sembra quasi preoccupato di vedermi lì. Infatti, solo lui sa che, nel profondo, ho sempre sognato di essere una cheerleader, non di certo per la popolarità e i ragazzi, ma perché adoro ballare e cantare. Cose che, ovviamente, mi sono state categoricamente proibite. Thomas più di chiunque altro sa che alla palestra non mi ci avvicino perché mi ricorda i sogni che il mio cuore mi impedisce di realizzare.
“Sto aspettando il pallone gonfiato, sai la ricerca” dico in uno sbuffo.
“Ciao” sento dire, prima che lui potesse ribatte alla mia affermazione. Subito dopo aver udito questo saluto pronunciato con una voce fin troppo cordiale vedo una mano, perfettamente smaltata, dritta davanti a me, pronta per essere stretta. Non posso credere ai miei occhi quando, alzato lo sguardo, incrocio un paio di occhi nocciola, molto gentili.
“Piacere, io sono Bella, tu devi essere l’amica di cui Tommy tanto mi ha parlato” pronuncia con un sorriso.
Tommy.
“Davina, piacere” rispondo, stringendole la mano. Lei inizia un elogio su quanto ‘Tommy’ sia stato bravo in allenamento. Inizio a non ascoltarla più e mentre la guardo elogiarlo e strusciarsi indecentemente su di lui non riesco a non pensare che Bella Potren è esattamente l’incarnazione dello stereotipo di cheerleader. Bellissima, con le forme giusto, sorriso perfetto… testa vuota. O almeno riempita solo col sesso.
I miei pensieri ed il suo parlare vengono interrotti dalle porte della palestra che si spalancano, dandoci grazia della visione del ragazzo più bello che abbia mai visto. Capelli talmente ribelli da sembrare mossi, occhi color nocciola magnetici, alto, spalle larghe, fisico con i muscoli pompati al punto giusto, camminata sicura, ancora con i pantaloncini della squadra… e senza maglia. Un angelo. Un angelo proibito.
“Ciao” questo saluto l’ho gradito molto di più “Io sono George Potren” può un sorriso accecare gli occhi?
Aspetta un attimo. “Potren?” chiedo.
“Si, purtroppo sono il fratello gemello di questa rompi scatole che ci sta provando con Thomas” ride, di una risata genuina che ti contagia. Contagia tutti, fuorché la diretta interessata, che mette il broncio, sembra una bambina piccola, mi fa tenerezza.
“Suvvia non fare così che ti consola Tommy” la prende ancora più in giro, toccandole la punta del naso proprio come se fosse una bambina.
“In ogni caso, Rudden! Non mi avevi detto che la tua amica fosse così un bel vedere” può un sorriso farti sciogliere come neve al sole? Credo di no, ma come minimo riesce a farti arrossire, esattamente ciò che è successo a me adesso. Non so come riesco a riprendere contegno e dire:
“Davina, piacere” riproponendo il gesto di sua sorella pochi instanti prima. Lui mi stringe la mano e non posso che notare quanto la sua mano sia grande e calda, ma soprattutto quanto la sua stretta sia gentile. I suoi occhi non si staccano dai miei e riescono a mettermi in soggezione, sento che mi studiano, come se fossi un’opera d’arte. Sento che non vuole abbandonare il mio sguardo, ne la mia mano. Infatti, senza smettere il contatto continua:
“Davina del club di scacchi? Sei quella che ha vinto la partita contro quel pallone gonfiato di Dustin di quella scuola privata?” sta parlando della gara di scacchi che si disputa tra le scuole di Benton. Il campione assoluto, questo Dustin, che era più grande di me, non mi ha neanche fatto fare scacco, si è arreso prima, capendo che non c’era speranza di vittoria. Grande mossa. Questa è la vittoria di cui vado più orgogliosa.
“Si sono io” rispondo infatti con una nota d’orgoglio nella voce.
“Non capisco molto di scacchi ma ho letto sulla gazzetta di Benton che l’hai stracciato, dopo poche mosse si è arreso”
“Nove. Dopo nove mosse si è arreso” preciso sempre più orgogliosa di me nel ricordare quell’evento.
“Nove mosse. Devi avere una logica mai vista. Straordinaria, l’intelligenza è così sexy” le nostre mani ancora unite, i nostri sguardi incrociati, il suo sorriso genuino che mi infiamma, la mia faccia tendenzialmente uguale al colore dei capelli dei Weasley.
“Adesso smettila Romeo, la stai mettendo a disagio” non avrei mai detto che un giorno mi sarei ritrovata a ringraziare Bella Potren, eppure grazie a lei sono riuscita ad uscire da questa situazione che iniziava ad andarmi stretta. Non che non fossi lusingata delle attenzioni di quel Dio greco sceso dall’Olimpo ma non sono brava in queste cose, un altro po' e avrei finito con l’apparire come sempre quella fuori luogo.
“Dobbiamo andare adesso, Tommy vieni con noi vero? Lei non stava aspettando te” dice Bella.
“E’ stato un piacere conoscerti, ci vediamo in classe” continua subito dopo avermi stretta in un abbraccio. Ricambio con un po' di diffidenza, troppo amore da parte di una ragazza che fino a qualche giorno prima non sapeva neanche della mia esistenza.
“A domani” ribatte il gemello, facendomi l’occhiolino. Arrossisco senza pudore, che ci posso fare, i bei ragazzi fanno effetto anche a me.
“Sicura che posso andare? Aspetto con te e poi torno a casa a piedi” dice apprensivo Tom, non vuole lasciarmi da sola con Filler, può sembrare ripetitivo ma neanche a lui è mai piaciuto quel ragazzo. Troppo pallone gonfiato per i nostri standard.
“Tranquillo” lo tranquillizzo.
“Va bene, chiamami quando torni a casa così parliamo” mi dice mentre indietreggia facendo il gesto della chiamata.
“Contaci. Ciao a tutti, a domani” saluto in modo cordiale.
Mentre guardo i tre ragazzi allontanarsi sento una strana sensazione dietro alle spalle, di bruciore precisamente, come se qualcosa mi stesse perforando. Non posso che dare ragione al mio sesto senso quando, girandomi, incrocio due occhi di un blu scuro, intenso.
“Ciao Filler” facendo finta di non notare il suo malumore, cerco di essere cordiale. Lo seguo con lo sguardo mentre avanza: la camminata è possente, jeans costosi a vista d’occhio, che fasciano in modo perfetto delle gambe da sportivo, maglietta bianca semplice talmente aderente da lasciare d’avvero poco all’immaginazione e bober tipico della squadra. Solo quando mi passa di fianco noto quanto è alto, un po' più alto di Thomas, ma la sua statura mi fa sentire minuscola. Quando mi supera non posso che notare la sua schiena, forse l’unica cosa più possente della sua altezza: spalle larghe, postura dritta, sedere sodo, passo sicuro e deciso. Dal momento che ho iniziato a studiarlo sembra che tutto vada a rallentatore, così che possa avere la possibilità di studiarlo nei minimi dettagli. Mi rammarico di non aver potuto guardare bene il suo viso, l’unico specchio del suo malumore dal quale avrei potuto ricavarne il motivo, dovremmo stare insieme per un po', cercare una soluzione per non far diventare la situazione pesante è il minimo.
Mi accorgo di essere rimasta imbambolata a fissarlo quando sento dire: “vuoi restare lì? Ti piace troppo ciò che vedi?”
Mi risveglio subito dai miei pensieri ed effettivamente mi accorgo di essere rimasta parecchio indietro. Con l’imbarazzo alle stelle, faccio finta di nulla e lo affianco.
Camminiamo per un po' nei corridoi della scuola in silenzio, la situazione sta diventando imbarazzante, così decido di iniziare smorzare la tensione “dove stiamo andando?”
Lui fa un sorriso sghembo prima di rispondere “dovresti riconoscere la strada, smettila di arrovellarti il cervello per l’imbarazzante scena di prima è passata ormai” lo dice con tranquillità, come se effettivamente è una cosa passata e non farà nulla per mettermi ancora più a disagio. Gli sono molto grata per questa piccola concessione ed inizio a rilassarmi, mi concentro sul corridoio ed effettivamente riconosco la strada, ma è impossibile, avrei scommesso l’anima al diavolo che lui non sapeva neanche dell’esistenza di questo posto, sicuramente mi sto sbagliando.
Capisco che i miei sospetti erano fondati quando ci fermiamo davanti ad una porta con la scritta ‘Club di scacchi’. Mi giro a guardarlo, sorpresa. E la sorpresa aumenta quando lo vedo aprire la porta permettendomi di entrare per prima, in modo galante. L’aula riservata al club di scacchi è molto piccola, ci sono dei banchi sparsi per tutta l’aula, bachi singoli con sole due sedie poste una di fronte all’altra. Al centro di ogni banchetto una scacchiera. Lui si accomoda su un banco, spostando la scacchiera. Non posso reprimere un sorriso notando che quello è proprio il mio banco, dove mi alleno sempre. Mi accomodo di fronte a lui prima di dire:
“Non sapevo conoscessi questa mia passione, men che meno questo posto” in tutta onestà.
“Quindi vediamo” inizia sbattendosi l’indice sul mento e alzando gli occhi, enfatizzando l’atto di star pensando. “Non sapevi che conoscessi questo posto” continua alzo un dito dalla mano.
“Non sapevi che conoscessi questa tua passione” un altro dito alzato
“Non sapevi che conoscessi il tuo nome o men che meno il tuo cognome” altre due dita alzate.
“E scommetto che non sapevi che sapessi che questo è il tuo banco preferito” conclude con la mano totalmente aperta. “So molte più cose io di te che tu di me, Davina Martin”
Il suo tono di voce cambia drasticamente, le sue labbra accarezzano il mio nome in un movimento idilliaco, la sua voce profonda pronuncia il mio nome come qualcosa di proibito. Proibito in senso buono, quasi porno. È da qui che mi accorgo delle sue labbra sottili ma perfette; il suo naso dritto, non grande ma proporzionato al suo viso; gli occhi dal taglio quasi asiatico di un blu sempre più scuro; la sua pelle chiara; i capelli scurissimi un po' in disordine e ancora umidi dalla recente doccia. Ogni parte di quel viso è perfetta, nell’insieme è come vedere un’opera d’arte. Una di quelle rare e bellissime.
“Devi smetterla di fissarmi o mi darai ragione” con questa frase scoppia la bolla che mi ero creata in testa e, confusa, non posso credere ai miei stessi pensieri.
“Cosa?” ancora in confusione non riesco ad emettere una frase di senso compiuto. Vedere il suo busto avvicinarsi e poggiare le braccia sul tavolo, esattamente come stamattina in mensa, non fa che aumentare la confusione.
“Ti piace ciò che vedi” non è una domanda, questo è certo.
“E’ vero di te non so molto, ma so il necessario” decido di cambiare totalmente argomento non volendo ammettere che, si, mi piaceva quel che vedevo.
“Per ‘necessario’ intendi il fatto che sono un pallone gonfiato, prepotente e che farebbe carte false pur di vincere una partita?” mi chiede serio.
“Esatto” rispondo con voce un po' tremante, il suo sguardo mi penetra facendomi sentire a disagio.
“Io non sono un prepotente.” Sostiene.
“E come sei, sentiamo”
Lo vedo prendere un respiro profondo prima di dire:
“Mi dà fastidio chi si avvicina troppo alla mia cerchia, loro sono la mia famiglia non devono essere toccati. Ma non faccio mai del male a nessuno. Se hai sentito di storie dove ho fatto a botte è stato solo per difendere qualcuno, sempre un mio amico o comunque qualcuno a cui tenevo.
Sono il miglior giocatore della squadra di basket, prossimo a diventare capitano, per un luogo comune vengo descritto come un pallone gonfiato e persone estranee mi vedranno sempre così, perché fa più comodo piuttosto che provare a conoscermi. Non sono un Dio, se ti avvicini ti parlo, se ti rispondo male, lo faccio solo perché vedo pregiudizio nel tuo sguardo e lo sento nelle tue parole.
Per quanto riguarda il basket, è la mia vita. Credo nella lealtà, una partita vinta barando non è una partita vinta. Mi alleno sodo per essere ciò che sono, per diventare un degno giocatore dell’NBA e non lo sarò mai barando le partite. Sono ricco è vero ma non pagherei mai per vincere, non ci sarebbe soddisfazione” conclude con il suo solito sorriso sghembo. Non l’ho mai sentito parlare così tanto, forse è la prima volta che lo sento veramente parlare. Man mano che andava avanti il discorso gli si accendeva una luce negli occhi, arrivata al suo massimo splendore quando ha parlato del basket, facendo trasparire tutto l’affetto che prova per quello sport.
“E con Thomas? Tu gli davi il tormento.” Un po' sulla difensiva non voglio accettare di essere come tutti ed essermi affidata a luoghi comuni.
“Hai capito quanto conta il basket per me, lui è molto bravo: lo so io, lo sa lui e lo sa anche il coach. Mi sentivo minacciato, avevo paura che mi rubasse il primato come miglior giocatore. Cercavo di farlo demotivare per fargli giocare delle pessime partite ma hai potuto notare che non l’ho mai toccato. È un giocatore prezioso non gli farei del male.” È tranquillo quando lo dice, appoggiato con la schiena alla sedia e con le braccia incrociate. Le sue parole, la sua postura, il suo viso: tutto di lui emana tranquillità.
“Perché mi dici queste cose?” chiedo.
“Perché me le hai chieste” ed ecco di nuovo quel suo sorriso sghembo con annessa faccia da pallone gonfiato.
Per quanto sarcastica sia la risposta, capisco cosa intende: esattamente quello che ha detto. Io gliele ho chieste e lui mi ha semplicemente risposto, aprendosi in totale sincerità.
“E questo posto? Come fai a conoscerlo?” chiedo veramente incuriosita, incitata dalla vena di sincerità che gli è partita.
“Toccherebbe a me farti delle domande adesso” dice, ed effettivamente ha ragione. Non obbietto, incitandolo con un gesto della mano a porgermi la domanda. E quando penso che non ci sarà più nulla che mi stupirà ecco che se ne esce con: “Tu promettimi che non mi giudicherai, io trarrò le mie risposte”
Non capendo cosa intende mormoro un “promesso”.
“Tu sei la campionessa di questa scuola, sei uscita sul giornalino, sul giornale locale ed anche in televisione. Sei la prima donna a primeggiare in questo campo, non sarai famosa ma tutti ti rispettano. Anche se gli scacchi non sono proprio la mia passione diciamo che mi è un po' difficile non ignorarti” sorride, non quel suo sorriso sghembo, è un sorriso sincero. Credo sia la prima volta che lo vedo sorridere così.
“Mia mamma ti elogia molto, è forse più orgogliosa di te che di me. Un po' di tempo fa mi ha chiesto di chiederti come ti sentissi per la partita contro quel damerino della scuola privata, così ti ho cercata. Arrivato qua fuori tu eri con gli occhi puntati su una scacchiera, ti ammiravo da fuori essendoci il vetro davanti alla porta, ho fermato uno che stava per entrare, mi ha dato le informazioni che cercavo e sono andato via. Ma quel giorno ho capito che questa era la tua palestra: il tuo posto tranquillo. Così ho pensato di portarti qui oggi, per metterti a tuo agio” sorrido a questa confidenza.
“Qualche giorno dopo sono passato davanti l’aula di musica e ti ho visto dare lezioni di pianoforte. Eri il ritratto dell’eleganza e della purezza, così lontana da tutte le ragazze che mi girano intorno. Non saprei spiegare quello che ho provato: un misto di ammirazione e rabbia”
“Perché rabbia?” chiedo totalmente ipnotizzata dal discorso.
“Perché non era possibile, tu rappresentavi tutto ciò che avessi mai desiderato: intelligenza, eleganza, buon cuore, bellezza. Anche se bellezza sarebbe riduttivo, sei parecchio sexy.” Conclude con il solito sorriso sghembo.
Non ho mai ricevuto complimenti così espliciti ed è per questo che arrossisco come una bambina. Ma lui sembra felice di questa mia reazione, si accomoda meglio sulla sedia prima di dire soddisfatto:
“Con fatica, ma finalmente ho ottenuto le mie risposte”
“Ossia?” chiedo, confusa da questa uscita.
Lui torna con i gomiti sul banco, stampandosi in faccia quel suo sorriso sghembo sostenendo:
“Arrossisci anche con me”
Questa frase non fa che farmi arrossire, se è possibile, ancora di più.
“Ho un’ultima domanda prima di iniziare la ricerca” devio totalmente il discorso.
“Spara” dice.
“Le tue storie sono ambientate tutte e due un po' prima della gara con Dustin?”
“Ti ho sentita suonare precisamente tre giorni dopo la gara. Lì ho capito che rappresenti tutto ciò che desidero” dice tranquillo.
“Ma è successo più di quattro mesi fa” dico sconvolta.
“Lo so”.

SPAZIO AUTRICE
So che è lunghissimo ma dividerlo in due parti sembrava riduttivo. 

 

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 5 ***


CAPITOLO 5
Credo di non aver mai parlato abbastanza di me. Dico sempre solo lo stretto necessario: la mia età, da dove vengo, i componenti della mia famiglia, il colore degli occhi e dei capelli, le mie passioni. Preferisco non parlare delle cose serie: i miei sogni, i miei sentimenti, la mia malattia. Volevo raccontare una storia vera e cruda, dove trasparisse tutto il mio dolore, ma, come sempre, non ne sono stata in grado.
Se siete adolescenti che devono affrontare il liceo e siete sani, allora siete fortunati. Se siete adolescenti che devono affrontare il liceo ed avete una cardiopatia con la quale convivere, allora la situazione cambia. Badate bene: non mi sto lamentando della mia vita; adoro tutto, sono stata più fortunata di altri, me ne rendo conto, e ringrazio sempre per questo.
Ciò che mi contraddistingue dagli altri è il mio cuore. Sono stata più fortunata di altri perché la mia malformazione cardiaca era incurabile. Avete letto bene: incurabile. Sulle carte dei medici c’è scritto ‘incompatibile con la vita’ una frase orribile solo a leggerla. Certo, leggerla diciasette anni dopo fa quasi ridere.
Il fatto che io oggi possa raccontarlo lo devo ai miei genitori adottivi. Hanno lottato con le unghie e con i denti con i miei genitori naturali per convincerli a portare a termine la gravidanza. Bill e Teresa, questo è il nome della mia mamma adottiva, sono molto cattolici e non credono nell’aborto. Scientificamente parlando non saprei spiegarvelo ma proverò a raccontarvelo come una storiella: sapete che il cuore è diviso in due atri e due ventricoli? Ecco io ho un solo atrio, non permettendo così la divisione di ossigeno e anidride carbonica durante la respirazione. In parole ancora più povere: appena spezzato il cordone non sarei stata in grado di respirare normalmente e sarei morta soffocata.
Quindi dopo il parto mi hanno portato subito in sala operatoria, per un’operazione a cuore aperto durata sette ore. I miei genitori naturali se la sono svignata subito dopo il parto e dopo parecchi mesi sono stata affidata a Bill e Teresa. Che hanno dovuto affrontare con me quattro anni di inferno, con diverse operazioni e preoccupazioni a casa. Dopo i primi quattro anni la situazione si è stabilizzata ma è comunque difficile, ci si può convivere ma hai molte restrizioni.
Quindi se sei un’adolescente che deve affrontare il liceo ed hai una cardiopatia con la quale convivere, la situazione è doppiamente difficile. L’amore per gli adolescenti è una costante, per quelli come me no. Si ha un cuore debole, non lo si può affidare a chiunque, è molto più propenso a spezzarsi. Non puoi neanche distaccarti e pensare solo al sesso perché, si, anche in quel caso ti stanchi; devi trovare una persona che ti comprenda e ti accetti, accetti i tuoi limiti, non ti faccia affaticare; una persona che principe azzurro spostate. Perché così come affrontare il liceo in salute è più facile, anche amare una persona sana lo è. Quindi bisogna trovare una persona che, manco a dirlo, non esiste.
La soluzione più semplice sarebbe quella di diventare asessuata, di barricare l’amore fuori dalla mia vita, ma il mio cuore questo non lo sa e si innamora comunque. Fortunatamente (o sfortunatamente, dipende dai punti di vista) nella mia breve vita mi sono innamorata una sola volta. Mason. Lui era l’amore della mia vita, so che sembra scontato ma è così. Avevo quattordici anni, siamo stati insieme tre anni, è stato il mio primo tutto: la prima uscita, il primo bacio, la prima volta. Non mi pento di nulla, tornando indietro rifarei tutto. Purtroppo, però le favole esistono solo per la Disney e invece di vivere per sempre felici e contenti mi spezzò il cuore, nel modo più brutto che ci possa essere. Non mi tradì, non mi picchiò, semplicemente mi usò. Io ero totalmente soggiogata da lui, l’amore che provavo mi portava a fare di tutto pur di renderlo felice. Non importava se io soffrissi o se mi affaticavo troppo, la mia salute sarebbe passata sempre in secondo piano rispetto alla sua felicità. Dopo il nostro primo anno insieme lui mi lasciò e per i seguenti due anni tornava da me in periodi scaglionati di tre mesi sostenendo di “dover capire cosa provava”, io ero piccola ed ingenua, vi lascio immaginare la mia felicità nel sapere che lui poteva provare ancora qualcosa per me. Così gli davo tutto ciò che chiedeva, che significava sempre scopare. Alla fine della scopata, con una disinvoltura che ancora oggi gli invidio, diceva “non ho ancora capito” e mi lasciava sull’autobus per tornare a casa piangente. Era furbo sotto un punto di vita: aspettava la sua fermata prima di dirmelo, così non sorbiva le mie lacrime.
Consapevolmente continuò ad usarmi in questo modo non per una settimana, non per un mese, ma per due anni. Due. Vantandosi poi con gli amici di “avere la scopata assicurata”. La cosa più ironica è che dopo questi due anni di inferno è stato lui a lasciarmi. Quello fu l’anno più brutto della mia vita, fu in quello stesso anno che mamma morì. Eravamo tutti distrutti a casa, uniteci anche la chiusura con quel bastardo, dal dolore caddi in depressione.
Ho fatto un lungo percorso di terapia, ero diventata l’ombra di me stessa, non uscivo, non mangiavo, ero rinchiusa in camera a guardare film, non andavo neanche a mangiare con gli altri. Avevo allontanato tutti, anche Thomas.
Lo so che è assurdo, dopo tutto questo, definirlo ancora l’amore della mia vita ma lo era, l’amore che mi legava a lui credo sia impossibile spiegarlo a parole. Dopo di lui non c’è stato più nessun altro: credo di aver amato abbastanza per una vita intera.
È esattamente per questo che ho preferito fare questo tuffo nel passato, perché sennò non avreste capito, nessuno avrebbe capito.
 
“Ma è successo più di quattro mesi fa”
“Lo so”
Penso e ripenso a quello che è successo mentre mi preparo per andare a scuola.
“Dai non scherzare” dico imbarazzata
“Puoi non credermi” risponde calmo. I suoi occhi ancora puntati su di me.
“Dovremmo iniziare la ricerca” abbasso lo sguardo non riuscendo a sostenerlo.
Lui con calma prende il suo pc dallo zaino e mi invita ad accomodarmi di fianco a lui. La sua presenza mi porta agitazione, tenerlo così vicino non fa che peggiorare la situazione.
“Di questa regina so poco che niente, sarò onesto” dice con quel suo solito sorriso sghembo. Sorrido di cuore, ringraziandolo silenziosamente per avermi tolta dall’imbarazzo ed inizio a spiegargli tutto ciò che già so sulla regina Elisabetta I.
“Dav andiamo?” mi riporta alla realtà Gabe. Prendo lo zaino e raggiungo i miei fratelli in auto. Una bellissima Range Rover grigio perla.
“Oggi sei distratta” mi guarda preoccupato Max.
“Ho dormito poco” sorrido mentre salgo in auto.
Non ho mai preferito prendere l’auto, ma oggi è diverso. Guardo dal finestrino le case che scorrono, noto che sono tutte di colore simile, monotone, tutte color panna, formando un’immensa striscia bianca.
“Quindi…” inizio appena raggiunta la mia moto. Non so bene cosa dire, cosa fare, non avevamo mai parlato così tanto, no, in effetti non avevamo mai parlato.
“Quindi…” ma lo abbandona mai quel ghigno? Lo vedo avvicinarsi sempre di più. Non mi sta piacendo come si sta mettendo questa situazione, inizio ad agitarmi, sento il cuore in gola. Mentre si avvicina i suoi occhi non abbandonano nemmeno per un momento i miei, totalmente ipnotici da non riuscire a farmi abbassare lo sguardo: cosa vuoi da me?
“Ricordati che tra tre giorni dobbiamo consegnare la ricerca. Come da accordi la scriverai tu ma io la esporrò quindi cerca di darmela almeno un giorno prima così me la imparo” dice mentre, arrivato al minimo di distanza consentito a due sconosciuti, inizia ad abbassarsi col busto verso di me. Il suo viso è sempre più vicino al mio, i suoi occhi da questa distanza sono di un blu ancora più intenso. Non so cosa la mia faccia esprima in questo momento: forse paura o sconcerto. Sta di fatto che l’ultima cosa che vedo è il suo immancabile ghigno prima di sentire le sue labbra posarsi sulla mia guancia.
Non mi dà il tempo di rispondere, di capire, di reagire. Si allontana da me ed inizia ad indietreggiare.
“Cercami” sento prima di vedermi fare l’occhiolino e voltarmi le spalle. Con una strana nota di supplica.
-2 giorni.
Saluto i miei fratelli nell’atrio della scuola e mi dirigo verso il mio armadietto. I miei pensieri sono affollati dagli avvenimenti accaduti ieri. I ragazzi per me non sono mai stati un problema, dopo Mason ho sempre preferito prendere le distanze. A differenza delle ragazze della mia età, da sempre, non mi sono mai approcciata ad un ragazzo con doppi fini e non ho mai apprezzato quelle ragazze che nel sesso maschile vedono solo un boytoy da dover giudicare in base a quanto siano “tosti i suoi addominali” anzi ho sempre pensato che il cervello fosse molto più importante. Dopo la chiusura con Mason questo non ha potuto far altro che aggravarsi, ovviamente. Quindi in sostanza mi tengo alla larga dal genere maschile, la mia famiglia totalmente men e Thomas mi bastano.
Come avrò ripetuto già un milione di volte quando si parla di Nathan Filler: non mi è mai piaciuto quel ragazzo. Ho sempre pensato fosse uno di quelli legati al giudizio della gente, quelli ai quali aumentava l’ego se elogiavano “quanto fossero tosti i suoi addominali”, tutto muscoli e niente cervello, insomma. Una parte di questo preconcetto ho potuto sfatarlo ieri: è un ragazzo molto intelligente, collaborativo e per niente borioso. Però c’è stato qualcosa ieri, qualcosa che non mi so spiegare. Abbiamo frequentato per anni gli stessi corsi e non ci siamo mai neanche guardati, o almeno io non l’ho mai guardato.
“Lì ho capito che rappresentavi tutto ciò che desidero”
“Ma è successo più di quattro mesi fa”
“Lo so”
 Nel suo viso, nei suoi gesti, nel suo modo di parlarmi ritrovo una nota di seduzione.
Sto per richiudere il mio armadietto ancora persa nei miei pensieri quando vedo una barretta Kinder entrare nella mia visuale, seguendo il braccio del proprietario che me la sta porgendo ritrovo le iridi verdi di Tom che ha messo su la sua migliore faccia da cane bastonato.
“Stai provando a sedurmi?” dico mentre trattengo a stento una risata.
“Sei ancora troppo ignorante in materia per riuscire a capirlo” dice con un sorriso mentre mi porge un pezzetto di cioccolato.
“Facendo i seri volevo chiederti scusa. Ho sbagliato a bidonarti a pranzo ieri, solo che Rose mi ha chiesto di mangiare con loro e gli spostivi sono una cerchia ristretta, mi sono fatto convincere da quei bellissimi occhi azzurri e sono stato un vero bastardo, prometto che non succederà più” sostiene con la mano sul cuore come a compiere un giuramento sacro.
“Lo pensi davvero?”
“Ovvio Dav, se mai mi chiederanno ancora di mangiare con loro tu verrai con me” sorride sincero.
“Ma no” dico agitando una mano come a scacciare qualcosa “Intendevo: pensi sul serio che non riuscirei a capire se uno ci provasse con me?”
“Converrai con me che Voldemort non ti abbia mai sedotta, al di fuori di lui non hai avuto nessun altro ed hai allontanato tutti i ragazzi, nessuno ti ha mai sedotta potresti non capirlo se uno lo facesse. Intendevo questo” mi spiega con una faccia un po' confusa.
Sorrido tra me a sentire Tom che chiama il mio unico ex ragazzo Voldemort. I primi tempi dopo la rottura piangevo solo a sentir nominare il suo nome e così è diventato Voldemort ossia Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato.
“Hai ragione probabilmente” nel dire questa frase due occhi blu mi tornano in mente accompagnati con l’immancabile ghigno.
“Lì ho capito che rappresentavi tutto ciò che desidero”
“Cercami”
Ma infondo Tom ha ragione, ho sempre pensato a lui come ad un playboy ma ho sempre pensato fosse stupido eppure ieri mi ha confermato il contrario. Non è detto che ci stesse provando anche con me. Così mi riscuoto dai miei pensieri, prendo il mio migliore amico sotto braccio e inizio a dirigermi in classe non prima di dire:
“Sei solo un sottone la prossima volta che mi dai buca te la faccio pagare”
Lo sento sospirare senza obbiettare. Sa che ho ragione.
La lezione di educazione fisica è sempre stata quella che più detesto. L’unica materia in cui non vado bene data non solo la teoria ma anche la pratica. Sono stata sempre un’imbranata. Per il mio problema potrei avere l’esonero ma ho preferito evitare, parlandone semplicemente con il professore facendomi evitare le cose più pesanti con una scusa. Quindi in sostanza quando si deve giocare io sono l’arbitro, quando bisogna correre dopo mezzo giro c’è una chiamata urgente per me in segreteria, oppure bisogna subito fare delle fotocopie e cose così. L’importante è che nessuno ha mai sospettato niente. Però purtroppo il voto della pratica devo comunque averlo ed il prof, che è anche il coach dei ragazzi, mi incastra sempre con qualcosa di semplice che dato il mio essere imbranata mi porta ad avere un voto basso e ad abbassarmi inevitabilmente la media. Educazione fisica, assurdo lo so. Oggi mi ha incastrato con un tiro libero da tre punti al canestro. Ho già detto quanto sono negata per ogni tipo di attività fisica? Quindi è inutile sottolineare la mia faccia da funerale mentre mi dirigo con gli altri in palestra, Tom di fianco a me fischia felice, per lui sarà una passeggiata.
Mentre mi posiziono in fila per aspettare il mio turno mi sento un po' meglio nel constatare che, al di fuori degli sportivi, fanno tutti abbastanza cagare. Davanti a me si trova Nathan, arrivato il suo turno da le spalle al canestro, mi ritrovo quindi a guardare quegli occhi blu scuro, ghigna prima di tirare con una mano sola centrando in pieno il canestro. Sento fischi ed applausi da parte di tutti, lui ghigna non staccando mai gli occhi dai miei, io applaudo come tutti accennando un sorriso che mi muore sul viso nel momento stesso in cui mi fa l’occhiolino prima di girarsi.
“Cercami”
“Martin tocca a te, ce la puoi fare” mi riscuote il coach. Gli rivolgo un timido sorriso sentendo già la figuraccia che si preannuncia. Come da copione la palla non sfiora neanche il canestro. Mi gratto imbarazzata la testa mentre mi dirigo di fianco a Tom che aveva già tirato.
“Sei pessima” ride pizzicandomi il fianco. Metto su la mia faccia offesa ma non riesco a ribattere venendo anticipata da Bella Potren, il capitano della squadra delle chearleader, che a sorpresa prende le mie difese.
“Sei uno dei giocatori più forti nella squadra e non aiuti la tua migliore amica con un semplice canestro. Sei tu quello pessimo” dice con fare altezzoso, sorprendendomi.
“Grazie Bella, almeno qualcuno mi compiatisce, non si prende semplicemente gioco di me” dico fulminando con lo sguardo Tom. Dopo due secondi ridiamo tutti spensierati. Passiamo il resto dell’ora a parlare tutti e tre e scopro che Bella è una ragazza veramente simpatica nonostante sia vanitosa ed egocentrica.
Al suono della campanella non posso che essere felice, non solo perché è finita la tortura ma anche perché ora ho un’ora buca e posso passarla ad esercitarmi agli scacchi. Tutto questo entusiasmo viene smorzato nel momento esatto in cui udisco le parole del coach.
“La settimana prossima faremo una verifica un po' speciale. Sarà un semplice tiro libero ma con lui vi giocherete il voto della pratica. Ci vediamo la settimana prossima, con i ragazzi della squadra oggi alle tre”
Blocco Tom prima che riuscisse a fare anche solo un passo iniziando a supplicarlo “devi aiutarmi, un solo tiro libero sarò pur in grado di impararlo” con una vaga nota di disperazione nella voce.
Lui scoppia a ridere prima di dire “tranquilla ce la farai, ti aiuto io, oggi ho la giornata piena quindi ci vediamo dopo gli allenamenti” sento solo le sue labbra sulla mia guancia prima di vederlo scappare via.
Rinuncio all’idea di allenarmi con gli scacchi e quando vedo la palestra totalmente deserta inizio ad allenarmi da sola, fallendo miseramente.
Al quarto tentativo fallito, dopo che la palla invece di centrare il canestro non so come è arrivata sugli spalti, capisco che da sola perdo tempo così decido di recuperare la palla per metterla a posto ed andare via. Nel momento stesso in cui decido di avviarmi verso gli spalti mi prende un piccolo infarto, lì seduto, con la palla tra le mani e la sua immancabile faccia da schiaffi trovo lui: Nathan Filler.
“Alla fine sono io che ti ho trovato”
“Cercami”

ANGOLO AUTRICE
Scusa il ritardo di pubblicazione. Per capire bene questo capitolo bisogna rileggere quello precedente.
Premetto che, può sembrare assurdo, ma per quanto riguarda i problemi cardiaci o le strorie passare è tutto tratto da una storia vera.

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 6 ***


 
CAPITOLO 6
“Ti avrei cercato domani per darti la ricerca che staserà finirò di scrivere” non so perché mi volli quasi scusare per non averlo cercato ma trovarmelo davanti dopo ieri mi provoca disagio e confusione.
“E saresti riuscita a stare lontana da me per così tanto?” dice mentre mette su la sua migliore faccia triste.
“Sbruffone” sussurro voltandomi di nuovo verso il canestro accorgendomi subito però che la palla è nelle sue mani. Prima ancora di riuscire a girarmi per poterla richiedere indietro me lo ritrovo alle spalle con la bocca allineata al mio orecchio a sussurrarmi a sua volta: “ti ho sentita”. Lanciando la palla con una sola mano facendo immancabilmente canestro da dietro le mie spalle.
“Volevi dimostrarmi che ho ragione?” non riesco a non essere sarcastica mentre mi giro per affrontarlo, trovandomelo ad un palmo dal naso.
 
“Lì ho capito che rappresentavi tutto ciò che desidero”
 
Avvampo all’instante. Mi sforzo di trovare le parole giuste ma quegli occhi mi confondono. Sorprendendomi non poco lui fa un passo indietro, alternando lo sguardo da me al canestro.
“Hai bisogno di una mano?” mi chiede. Nessuna nota di sarcasmo, nessuna faccia da schiaffi. È serio, quasi… gentile.
Per un momento quelle iridi blu mi hanno veramente portato in qualche altro posto difatti devo girarmi verso il canestro per capire che cosa intendesse “oh quello, no grazie dopo gli allenamenti mi aiuta Tom” sorrido sinceramente grata.
“Sicura?” sono sicura di intravedere sul suo viso un lampo di non saprei... consapevolezza?
“Sisi, grazie mille in ogni caso” lo ringrazio gentilmente ma dal tono con cui lo dice non sono sicura sia proprio la risposta giusta, non sono sicura intenda quello che intendo io. In ogni caso quello sguardo, quel corpo, lui mi mette troppo a disagio così abbozzo un saluto tirato e scappo nello spogliatoio prima di correre nell’aula di scacchi.
Il resto della giornata passa tranquillamente tra lezioni e chiacchiere per i corridoi. Tra un po' di tempo ho una gara regionale di scacchi, il club a scuola mi ha spronato perché vi partecipassi e la città non fa altro che parlarne, mi è sempre piaciuto questo periodo prima di una gara dove tutti si fermano a parlarmi per accertarsi che sia pronta, come se la vittoria non fosse solo mia ma di tutta la città. Ricordate la partita contro quel damerino di Dustin di cui tutti parlano? Quella era una partita della contea ed è stata anche la partita che mi ha reso ‘famosa’ e rispettabile da tutti. Non ho mai pensato di andare al di fuori della mia contea ma la scuola, la mia faglia e Tom hanno insistito così mi sono iscritta e tra qualche mese dovrò disputare la prima fase.
La giornata è passata tranquillamente è la fine della giornata ed il mio incubo è tornato: devo andare in palestra per allenarmi con Tom. Gli allenamenti dovrebbero finire tra cinque minuti quindi inizio ad avviarmi all’entrata per aspettarlo.
Dopo dieci minuti vedo la figura di Tom uscire di fretta e affaticato dalla palestra con ancora la tuta addosso “perché sei ancora vestito? Puzzi di sudore vai a lavarti non mi ci alleno con te in queste condizioni” dico mentre mi porto un braccio davanti al viso per diminuire la puzza.
“Mi dispiace, sono nuovo, non lo sapevo” inizia freneticamente “non avrei creduto fosse solo oggi, mi dispiace già ti ho dato buca a pranzo” parla così veloce che riesco a capire poco e niente.
“Tom che stai dicendo, calmati” cerco di fare ordine e di farlo calmare ma una voce profonda da dietro le mie spalle lo anticipa.
“Oggi è il giorno delle pulizie, il coach lo chiama così perché chiamarlo ‘giorno in cui ci fa faticare il triplo senza un apparente motivo’ faceva troppo galera” girandomi incontro il sorriso più bello che abbia mai visto. Ho già detto che George Potren è una visione paradisiaca? “ma infondo capisco Rudden, anche io sarei desolato di dover faticare invece che stare con una bellezza come te” soggiogata totalmente da quegli occhi e quel sorriso l’unica cosa che riesco a fare è ridere quasi istericamente ed ovviamente… arrossire.
“Dav stai bene? Sei tutta rossa” dopo aver udito questa frase ed aver pensato al modo più sadico per uccidere il mio migliore amico vedo l’oggetto dei miei pensieri avvicinarsi per accertarsi che io stia bene. Di sottecchi riesco ad intravedere George Potren che sogghigna quasi compiaciuto, il che non fa altro che farmi arrossire ancora di più.
“Potren, Rudden dovete entrare” ringrazio mentalmente il mio salvatore e mi annoto di dovergli innalzare una statua d’oro un secondo prima di sentire il mio migliore amico darmi un bacio sulla guancia e urlare “mi farò perdonare ti prometto che domani dopo gli allenamenti ci mettiamo sotto. Ah no, domani è la serata cinema, okay allora poi vediamo a costo di saltare la scuola ma ci alleniamo, scusa ancora, ti adoro, a domani” riesco a percepire un altro bacio sulla guancia prima di vederlo correre dentro la palestra.
Sto per ridere della dolcezza del mio migliore amico quando vengo bloccata da delle labbra che si fermano sulla guancia opposta a quella di Thomas, riesco ad intravedere solo un ricciolo castano prima di paralizzarmi ed avere nella mia visuale due occhi nocciola ed un sorriso sincero “ti chiedo scusa dato che cercherò di ricattare Tom perché mi inviti alla vostra serata cinema. Scusa ancora, ti adoro, a domani” mi esce un sorriso spontaneo subito dopo aver visto il suo occhiolino e la corsa verso l’interno della palestra.
“Patetico” il mio buon umore viene demolito con una sola parola proveniente da quello che suppongo essere il mio precedente salvatore. Mi giro per rispondere a tono quando due occhi blu mi inchiodano al posto. Sta succedendo troppo spesso, ma com’è possibile che da quando lo intravedevo per i corridoi ora me lo ritrovo sempre in mezzo ai piedi? È un bel vedere, non sono ipocrita da negarlo ma il suo atteggiamento è così irritante. Continuo a fissarlo in modo truce mentre nella mia mente affiora una consapevolezza.
“Sicura?”
Immagino che la mia faccia abbia cambiato espressione da truce a sorpresa a incazzata perché lui ride di gusto non abbandonando mai quel suo fastidioso ghigno.
“Tu” inizio “mi hai preso in giro! Sapevi che oggi era la giornata delle pulizie o non so cosa. Sapevi che Tom non avrebbe potuto aiutarmi” man mano il mio tono da guerriera sceme abbassandosi sempre di più “sapevi anche che Tom non era a conoscenza di tutto ciò. Hai calcolato tutto.” Fin quando mi affiora un sorriso “io qui direi proprio: scacco matto. Complimenti.”
Da perfetta sportiva gli allungo la mano perché, si, è stato bravo. Non ne capisco il motivo ma ha calcolato tutte le sue mosse e sostanzialmente ha vinto. È stato furbo e lo rispetto, per questa volta.
Sul suo viso affiora un sorriso sbiego sembra quasi sincero mentre mi stringe la mano. Ma poi il sorrisetto diventa il suo immancabile ghigno prima che giri la mano e mi fa un impeccabile baciamano.
“Scusa, ti adoro, a domani” nel dirlo i suoi occhi non abbandonano mai i miei. Sto per ridere di gusto ma mi riprendo in fretta ed in modo serio non posso che replicare “patetico”.
Lui sorride prima di lasciare la mia mano e prendere la stessa via degli altri due. Quando la porta della palestra si chiude mi lascio coinvolgere da una risata sincera. Non ho mai sopportato quel ragazzo ma infondo può essere anche simpatico se vuole. Con questi pensieri vado verso l’autobus per tornarmene a casa.
Passo praticamente tutto il pomeriggio ad allenarmi con gli scacchi e a scrivere la tesina sulla regina Elisabetta I, rinunciando ad allenarmi col canestro da sola, verso le otto mi avvio in cucina per preparare la cena ma vengo bloccata da una chiamata da un numero sconosciuto.
“Pronto?”
“Sono sotto casa tua scendi”

Io conosco questa voce

“Chi ti ha dato il mio numero?”
“Il tuo amico è quasi più imbranato di te, fregargli il telefono è stato un gioco da ragazzi”
Riesco a percepire il suo immancabile ghigno dal telefono
“Dove sai dove abito?”
Ti ho cercato”

‘Cercami’ le sue parole mi rimbombano ancora per la testa ‘alla fine sono io che ti ho trovata’.

“Se stavi tentando un qualche tipo di seduzione sappi che sei risultato solo molto inquietante quasi da stalker”
Ammetto che le sue parole mi hanno fatto un qualche tipo di effetto ma, come ogni volta, rifiuto tutto ciò che la mia mente può pensare nascondendomi dietro il sarcasmo.
Difatti funziona perché lo sento ridere, ma ridere davvero, di gusto. Il suono della sua risata sincera mi fa nascere un sorriso, non credo di averlo mai sentito ridere, è un suono così bello, armonioso. Può una risata risuonarmi nella testa come la più dolce delle melodie?
Quando realizzo i miei pensieri mi si spegne il sorriso e subito vado in confusione, non faccio in tempo a formulare un pensiero sensato che la sua voce mi riporta alla realtà.
“Mia madre è ossessionata da te, può sembrare una stalker ma ti ammira solo molto e quindi sa tutto di te, me l’ha detto lei. Non ti dico i salti di gioia quando le ho detto che mi serviva per venirti a prendere, credo che tra poco organizzerà il matrimonio”
Non rispondo, quel suono armonioso mi pianta sul posto ancora una volta, mi rispunta il sorriso, si sente che è felice quando parla della madre.
“Davina Filler suona malissimo”
“Io direi che suona magnificamente”
Perché d’improvviso ha abbassato il tono di voce? Perché d’improvviso mi tremano le gambe? Il panico mi assale ‘Lì ho capito che rappresentavi tutto ciò che desidero’. Credo che in questo momento mi stia andando a fuoco la faccia. Non riesco a trovare una risposta sarcastica così ho deciso di cambiare totalmente argomento.
“In ogni caso perché sei qui sotto?”
“Ti voglio portare in un posto”
Perché d’improvviso tutta questa preoccupazione? Questo ragazzo mi confonde. Fino a tre giorni fa a stento mi guardava per i corridoi mentre adesso è sotto casa mia e mi vuole ‘portare in un posto’, assurdo.
‘Lì ho capito che rappresentavi tutto ciò che desideravo’
Non smetto di pensare alle sue parole. Assomiglia ad un rompicapo, una partita a scacchi dove non so che mossa fare. Da una parte correrei da lui solo per capire le sue intenzioni, dall’altra, la parte più razionale, mi dice di restare a casa e girare all’argo da un ragazzo del genere. Dal passato si impara. Ed io ho imparato a ragionare sulle cose, a capire quando è il momento di non farsi prendere dalla situazione. Eppure …

Non mi è mai piaciuto quel ragazzo, eppure, in quel preciso istante, capii tre cose. Numero uno: Nathan Filler voleva giocare. Numero due: non avrei mai permesso che giocasse con me, ma solo contro. Numero tre: non gli avrei mai permesso di vincere.
In quel preciso istante presi la decisione che cambiò per sempre il corso della mia storia, in quel preciso istante iniziai la partita più difficile della mia vita, solo che ancora non sapevo… che ero
destinata a perderla.


“Spero ne valga la pena” dissi prima di uscire di casa.

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