Anytime, anywhere and anyway

di Ookami_96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Per Sempre ***
Capitolo 2: *** 69 Giorni con Te ***
Capitolo 3: *** Scapperesti con Me? ***
Capitolo 4: *** Your Voice ***



Capitolo 1
*** Per Sempre ***


Per Sempre

NormalAU - mondo normale, senza quirk.

«Ehi, tutto bene?» Domandò al bambino seduto di fronte a lui; aveva i lacrimoni agli occhi, ma non sembrava volerli lasciar ricadere sulle guance rosse. 
«Si.» Nel dirlo il bambino dai capelli corvini si strinse ancora di più il ginocchio tra le mani, nascondendo probabilmente una brutta sbucciatura.

«Io sono Hizashi» gli porse la mano, sorridente «tu come ti chiami?» 
«Shota.» 
Rimase lì doversi istanti, aspettando che le dita del bimbo di fronte a lui afferrassero le sue, continuando a sorridere.

La sua attesa fu ripagata e quando finalmente Shota si decise a prendere la sua mano, Hizashi lo aiutò ad alzarsi.
«Ti accompagno dalla maestra, okay?»
«Mh.» E così, prendendolo sottobraccio, l'aveva accompagnato dalla donna seduta poco lontano.

*

«Quando ti deciderai ad andare a parlargli?» Non doveva chiederle a chi si stesse riferendo. Lui e l'amica andavano in quel bar tutte le notti dopo il lavoro, a prendere un caffè e qualcosa da mangiare che colmasse il loro stomaco vuoto; da qualche settimana era entrato a far parte dello staff notturno un ragazzo che, nemmeno lui sapeva come, aveva smosso qualcosa nel suo animo.

«E cosa gli dico? "Posso offrirti qualcosa?"» risero entrambi, continuando a sorseggiare il caffè e buttando qualche sguardo verso il bancone. 
«Non è da te essere così impacciato! Dov'è finito il mio latin lover, compagno di rimorchio, preferito?» 
«Mi sa che sono troppo vecchio ormai!»

«A 25 anni? Certo, certo.» La ragazza addentò il cornetto che aveva davanti, sporcandosi il viso di cioccolato bianco. «O forse hai paura...?» 
Quanto odiava quello sguardo malizioso. Quando odiava quando lei aveva ragione.

*

Non sapeva bene come, ma erano diventati amici, lui e Hizashi.
Il biondino lo aspettava al cancello la mattina, entravano assieme e poi giocavano tutto il giorno; pure durante il pisolino il bimbo voleva sdraiarsi vicino a lui. 
Faceva tantissimo rumore, urlava e non stava zitto un attimo. All'inizio la cosa lo infastidiva, ma poi aveva capito che preferiva il macello che faceva Hizashi al il silenzio che regnava a casa sua.

Era pure andato da lui un giorno.
Al venerdì le attività pomeridiane erano facoltative, rimanevano lì di solito perché i genitori di molti bambini erano troppo impegnati per badare a loro già dal pranzo. Quella giornata faceva eccezione per una volta: la madre di Hizashi aveva mezza giornata libera e, ci scommetteva il suo peluche preferito, il bambino aveva fatto di tutto per poterlo invitare.
E così era stato.

La mamma di Hizashi cucinò per loro un pranzo eccezionale e abbandonante; era una signora gentile e socievole. Trattava il figlio in una maniera a lui sconosciuta, pure le attenzioni che rivolgeva a lui erano totalmente diverse.
Giocarono poi tutto il pomeriggio e prima di cena la signora Yamada lo riaccompagnò a casa sua.

Sua madre neanche scese a ringraziare.

*

«Ehm, scusa?» Alzò lo sguardo appena, scorgendo davanti a sé la figura di un giovane ragazzo, probabilmente della sua età. 
Passarono diversi secondi prima che il ragazzo capisse che poteva parlare anche se lui non gli aveva risposto. Non aveva intenzione di sprecare parole non necessarie alle quattro del mattino.

«Posso sedermi qui?» 
Lanciò uno sguardo ad un tavolo in fondo al locale; era sicuro di averlo visto fino a poco prima con la solita ragazza dai capelli neri, per quale motivo voleva importunarlo sedendosi al bancone?
«Prego.» Scrollò appena le spalle, passando una spugnetta sul piano per dargli una pulita.

Il ragazzo sorrise e si sedette proprio di fronte a lui, ordinando un altro caffè. 
Gli posò la tazzina davanti, assieme a un contenitore con zucchero e vari dolcificanti, che però il ragazzo non usò.
La sua espressione doveva essere al limite dell'incredulo, vista la risata che suscitò nel suo cliente. 
«Non ti piace il caffè senza zucchero?» gli chiese, continuando a ridere. 
«E' troppo amaro.» 
Un'altra risata. 
Come si poteva essere così allegri e svegli a quell'ora del mattino?

«E cosa ti piace prendere al bar?» Per la prima volta fece caso ai suoi occhi, verdi come due smeraldi. Se ne sentì ipnotizzato. Per questo ci mise più del dovuto a rispondere.
«Ehm... Il cappuccino alla vaniglia» 
«Prendo quello allora! Fammene due, per favore»
"Non sara troppa caffeina?"
Senza dire niente si mise a preparare il cappuccino con un'attenzione che solitamente non gli apparteneva. 
Quando furono pronti gli mise le due tazzine davanti, ma il ragazzo aspettò a berlo. Spostò invece lo sgabello vicino a lui e gli fece cenno di andare a sedersi vicino a lui. 
Buttò uno sguardo al locale e al retro, una pausa di un paio di minuti forse poteva concedersela, no?

Gli si sedette accanto e, sotto lo sguardo stupito del ragazzo, zuccherò il suo cappuccino, iniziando poi a sorseggiarlo. 
Appena il biondo assaggiò la sua bevanda gli occhi si spalancarono, allontanando la tazza.
«Com'è dolce!» 
Neanche se ne accorse, ma un timido sorriso si dipinse sul suo viso.

*

«Smettila di tenere il broncio Sho-chan!» Alzò lo sguardo verso il casinista in piedi vicino a lui; come potesse essere sempre così felice e solare per lui era un continuo mistero. 
«Tu non sei triste?» Tornò a fissare il terreno, cercando di ignorare il vociare degli altri bambini, tutti presi a giocare e festeggiare per l'ultimo giorno di asilo.

«Triste? Da domani siamo in vacanza Sho!» Si vedeva che non stava più nella pelle; sapeva che Hizashi avrebbe passato quel tempo con sua madre, con i suoi dolci nonni, che spesso lo venivano a prendere, e il suo cagnolino Hiro... 
«Io sto bene qui...» Chi avrebbe voluto passare le vacanze chiuso in casa, con i suoi genitori? E poi...

«E se poi non ci rivediamo più...?» 
Hizashi si chinò vicino a lui, scompigliandogli i capelli con fare scherzoso e affettuoso. 
«Non succederà! Io e te staremo sempre assieme, Sho!» 
Solo a quelle parole si era tranquillizzato. Giocarono assieme finché la campanella non segnò l'inizio delle attività del pomeriggio e, quando tutto finì, salutò l'amico con le lacrime agli occhi.

Lo vide però dire qualcosa nell'orecchio della signora Yamada e, già il mattino del giorno dopo, le due mamme erano al telefono assieme. Tempo poche ore e lui era a casa di Hizashi, a giocare con Hiro in piscina. 
Nonostante la sua tenera età capì da solo che una periodo di vacanza come quello non l'aveva mai passato; cosa più importante poi, ad aprile sarebbe stato di nuovo affianco a Hizashi, pronto a iniziare un nuovo percorso a scuola.

*

Dopo uno sproloquio di dieci minuti sulla bontà del caffè amaro, aveva chiesto al ragazzo corvino seduto vicino a lui gli orari del suo turno; con una bonaria bugia lo aveva convinto che poteva aspettare che staccasse alle sette del mattino. Dopotutto non aveva molto da fare e avrebbe comunque potuto riposare prima delle sue lezioni nel pomeriggio. 
«Non è dura fare i turni di notte in un ventiquattrore?» Gli chiese continuando ad osservarlo mentre lavava le tazzine e metteva in ordine. 
«Ho scelto io questo turno.»

«Come mai?» Anche lui aveva scelto una vita notturna per il momento, ma svolgeva un lavoro totalmente diverso.
«Non... non mi piace stare troppo a contatto con la gente...» 
A quelle parole, quasi sussurrate, scoppiò a ridere. 
«Scusami! Se preferisci posso lasciarti lavo-»
«Figurati, non mi disturbi.»

Sorrise. Forse non era così di troppo come aveva pensato poco prima.
Parlarono molto delle loro vite private. Entrambi lavoravano di notte (il biondo era conduttore radiofonico in una stazione radio), e avevano dei ritmi totalmente sfasati dal resto del mondo. Il corvino infatti continuava a lavorare dopo il turno in caffetteria come assistente di un professore universitario, dormendo poi nel pomeriggio; mentre il chiassoso biondino si concedeva un po' di riposo la mattina, sfruttando il tempo restante della giornata per insegnare musica nelle scuole elementari e privatamente.

«Come fai a sopravvivere senza caffè? Qual è il tuo segreto?» 
Le gote del barista si accentuarono di un colore rosato appena visibile: sapeva di aver usato un tono e uno sguardo provocatorio. Per un attimo si sentì divertito, ma poi sperò di non aver esagerato. 
Il ragazzo fece finta di niente, scrollando le spalle. 
«Soffro di insonnia, non mi cambia molto alla fine.»
Tirò un sospiro di sollievo, continuando a fissare il viso dell'altro.

«Sai, staresti bene con una bella coda o uno chignon!» Era stata la prima cosa che aveva pensato quando i loro sguardi si erano incrociati qualche settimana prima; o forse la seconda, subito dopo a un sonoro "Wau." 
«Non saprei, non li ho mai legati»

«Vieni qui dai! Siediti...» Lo richiamò vicino a lui, tirando fuori dalla tasca uno dei suoi elastici di riserva. Stette ben attento a non fargli male o tirargli troppo i capelli, e quando ebbe finito gli porse il suo smartphone per "specchiarsi".
«Non male...»
Al biondo per poco non prese un infarto: si sentiva come il fautore di una grande opera d'arte, come Michelangelo dopo aver dipinto la Cappella Sistina probabilmente.

«Non male? Stai una favola!» Ipnotizzato da quella visione non aveva nemmeno pensato a cosa stesse per dire. 
Il corvino si grattò nervoso una guancia; non sembrava turbato da quella sua affermazione. 
Fu allora che l'occhio gli cadde su un grazioso braccialetto al polso del ragazzo.

*

Si rialzò lentamente, lo sguardo sicuro e adirato.
Aveva lasciato Shota solo pochi minuti e subito quegli stupidi più grandi se l'erano presa con lui. Non ci aveva pensato due volte a spingere il più grosso di loro per terra per impedirgli di spintonare ancora il suo migliore amico. 
Non era stato un gesto molto eroico, visto che subito uno dei suoi compari aveva fatto lo stesso con lui, facendogli sbucciare le mani sulla ghiaia del cortile. 
Non gli importava però, voleva solo che capissero che dovevano lasciar stare Sho.

«Fila via poppante.» 
«Non sono un poppante! Sono della classe prima!» Lo disse con orgoglio, pavoneggiandosi quel tanto che bastava per far prendere un po' di coraggio anche al corvino dietro di lui. 
Stavano per avventarsi di nuovo su di lui, quando la loro maestra era arrivata a salvarli. 
O, per meglio dire, a mettere tutti in punizione.

«Uff. Noi non abbiamo fatto nulla...» Sbuffò, seduto faccia contro il muro della classe, ancora vuota per via della ricreazione. 
«Però così almeno siamo al sicuro...» 
Non capiva perché quei ragazzi ce l'avessero tanto con il suo amico, e perché lui non volesse ribellarsi, continuando ad avere paura e terrore di quegli stupidi.

Gli afferrò la mano saldamente, sorridendo e mostrando tutti i denti che ancora non gli erano caduti. 
«Tranquillo Sho-chan! Ti proteggerò io!»
Per un attimo il bambino sembrò confortato da quelle parole; sapeva sempre come trattare con lui, come tirarlo su di morale. 
«Ma... ma tu non sei sempre con me...»

Hizashi parve pensarci un attimo, prendendo davvero sul serio la questione. 
Preso poi da un colpo di genio si sganciò un braccialetto dal braccio sinistro e lo mostrò a Shota. 
«Vedi questo? Me l'ha regalato mio nonno. E' un braccialetto magico che ti aiuta ad affrontare le paure...» Il corvino lo guardava con gli occhi brillanti e stupiti. «Per questo sono così coraggioso!»

Gli afferrò il polso e lo tirò verso di sé, chiudendo il gancio del bracciale e lasciando che gli occhi neri dell'amico lo ammirassero. 
«Ma così tu non sarai più coraggioso...»
«Sì invece! Ormai ho imparato come si fa. Quando avrai imparato anche tu, allora me lo restituirai» sorrise ancora, contagiando il corvino al suo fianco. 
«Grazie 'Zashi... sei il mio migliore amico»

*

«Che carino...» gli prese la mano senza troppe cerimonie, passando il dito sugli anelli del bracciale. 
«Oh, grazie.» Non gli sfuggì il sorriso malinconico sulle labbra del ragazzo «Me l'ha regalato un amico, tanto tempo fa...» 
«Ah si?»
Il corvino annuì, portandosi la mano vicina al corpo e mimando il gesto fatto da lui poco prima. 
«E' buffo, ma non ricordo nulla di quel bambino... Solo che me lo regalò per essere più coraggioso.»
«E ha funzionato?»

Più volte negli anni si era sforzato di ricordare il volto e la voce di quel bambino, ma man mano che gli anni passavano quella figura diventava sempre più sbiadita nella sua mente.
«Non credo, purtroppo.» continuò a fissare il piccolo oggetto legato al suo polso «Credo che più che del braccialetto avessi bisogno di un amico»
Vedendo uno strano sorriso sul volto del ragazzo biondo si riscosse da quei pensieri e da quelle parole. Come gli saltava in mente di dire quelle cose ad un completo estraneo?
«C-comunque-»

«Sai, è strano. Mi sembra quasi di conoscerti da tutta una vita»
Cos'erano quegli occhi così... così intensi? 
Quegli occhi che ora si stavano spostando verso la sua mano, appoggiata sul bancone; anche il suo sguardo si spostò su quel punto. La mano del biondo si stava avvicinando lentamente alla sua; quando furono a pochi millimetri l'una dall'altra allungò le dita per sfiorare le sue.

Rimase come ipnotizzato da quel contatto. Era come se in una parte di lui qualcosa si fosse risvegliato, sopito da troppo tempo. Lasciò che la sua mano risalisse pian piano la sua, ma poi si riscosse. 
«S-scusa. Il mio turno è finito» Scappò via, al pari di un ladro, per andare a cambiarsi e mettere fine a quella nottata così strana.

*

«Sho-chan! Allora vieni a casa mia oggi? »
Sapeva di averlo colto alla sprovvista, non era una cosa programmata. Sperava però che, come lui aveva sorriso e accettato, anche sua mamma facesse lo stesso.
Ma lei sospirò.
«Sweetheart ne abbiamo già parlato, Aizawa-kun non può venire oggi...»

«Non è giusto! Io voglio stare con Sho!»
«Dobbiamo finire di fare le valigie, lo sai...»
Si sentì tirare il bordo della maglietta; non aveva le lacrime agli occhi, ma quando vide lo sguardo di Shota sentì le guance farsi roventi e gli occhi pizzicare.
«Vai via, 'Zashi? » I suoi occhi erano lucidi, leggermente arrossati, risaltando sulla pelle bianca come il latte.

Sua madre gli mise una mano sui capelli corvini, prendendo la manina del figlio nella sua.
«Ci trasferiamo, Aizawa-kun. Torniamo dal papà di Hizashi in America»
America? Shota neanche sapeva cosa fosse, né tantomeno quanto fosse lontano.

«Quando?»
«Domani» 
«E non torni lunedì?» Si rivolse al biondino, sperando davvero con tutto sé stesso che a inizio settimana potesse rivedere l'amico.
Appena le labbra di Hizashi iniziarono a tremolare sentì che pure le sue stavano iniziando a farlo, non riusciva a trattenersi.

«Cambio scuola Sho...» 
Non servirono a nulla i tentativi della signora Yamada di calmare i due bambini; si erano abbracciati con tutta la forza che le loro esili braccine gli consentivano, piangendo e urlando che non volevano separarsi. 
Solo l'intervento brusco della madre di Shota, seccata per il ritardo, aveva messo fine a quello che lei stessa aveva definito come una "lagna insopportabile"; preso il figlio per un braccio l'aveva trascinato via, sotto lo sguardo triste della signora Yamada e quello straziato di Hizashi.

*

"Maledizione."
Strinse forte il pugno che fino a poco prima aveva sfiorato così dolcemente la mano del ragazzo corvino. 
Ne era sicuro, aveva azzardato troppo. 
Eppure c'era qualcosa in quello sguardo, in quelle movenze, che aveva il potere di farlo agire come non aveva mai fatto, nemmeno nei suoi flirt più spinti. 
Lo agiva in un modo completamene diverso, dolce e calmo.

Voleva conoscere quel ragazzo, parlargli ancora, diventare parte della sua vita, anche in minima parte. 
Per questo rimase ad aspettarlo fuori dal bar: voleva stare ancora con lui, non sapeva per quanto, ma non si sentiva pronto ad andare via.

*

«Avanti Hizashi, calmati...» Seduto sul sedile posteriore e legato con la cintura di sicurezza, Hizashi continuava a piangere. Non aveva versato tante lacrime nemmeno quando sua mamma l'aveva portato a vedere il terrario degli insetti allo zoo.

«Voglio andare da Sho!» Ormai l'aeroporto era dietro l'angolo: dovevano solo fare il check-in, salire sull'aereo e attendere di arrivare in America. 
«Stiamo andando da papà tesoro...» 
«Non voglio!»

Gli mancava suo padre, era quasi un anno che non tornava a casa, che non lo vedeva... Mentre Shota gli aveva fatto compagnia tutti i giorni, da quando si erano conosciuti.
«Perché dobbiamo andare noi da papà?»
«Perché papà deve lavorare in America, e mamma e papà sono sposati quindi vogliono stare assieme. Non vuoi stare assieme a noi?» 
Per un attimo Hizashi si zittì, come a cercare una scappatoia che includesse il suo migliore amico.

«Allora io sposerò Shota, così staremo assieme anche noi!» 
Sentì sua mamma fermarsi e accostare, ormai erano arrivati all'aeroporto. 
Lei si girò, sorridendo e accarezzandogli la gamba con fare triste. 
«Certo tesoro, quando sarai grande potrai sposare chi vuoi...»
«Io voglio Sho!»

«D'accordo sweetheart

*

Quando uscì dal locale il biondo era ancora lì, in piedi sul ciglio del marciapiede. Appena lo vide gli rivolse un sorriso caldo e dolce, era sicuro che nessuno prima gli avesse mai sorriso in quel modo... Forse. 
In quel momento una sensazione di felicità invase il suo petto, facendogli desiderare che quella sensazione non avesse mai fine.

«Ancora qui?» Non gli veniva proprio di usare il suo solito tono freddo e distaccato; le sue parole tradivano un certo senso di gratitudine verso quel ragazzo che non ne voleva sapere di lasciarlo solo. 
Lui rise, massaggiandosi la testa con una mano, nervosamente. 
«Già... Volevo scusarmi, forse prima ho un po' esagerato...»
Il suo imbarazzo era palpabile e ben visibile; non voleva pensasse che quello che aveva fatto fosse stata una cosa sgradita da parte sua. Era sempre stato negato con le parole, quindi...

Si avvicinò a lui, lentamente; i suoi occhi verdi erano persi, insicuri, per la prima volta da quando si era seduto al bancone di fronte a lui.
Quando gli fu a pochi centimetri avvicinò la mano al suo viso, accarezzandone la guancia, così liscia e morbida rispetto alla sua; il ragazzo non si spostò, anzi, mimò il suo gesto. 
La sua mano, anch'essa morbida, gli accarezzò il collo e la pelle sotto la barba ispida di qualche giorno.

Pian piano le mani di entrambi attirarono i loro visi uno verso l'altro. 
Le loro labbra si sfiorarono appena, in un bacio casto e dolce. Rimasero così per un po', ad accarezzarsi e sentire il respiro l'uno dell'altro sulla pelle. 
Quando i loro visi si distanziarono furono i loro occhi a fondersi gli uni negli altri; per un attimo quegli occhi verdi a spirale, così particolari, lo riportarono indietro nel tempo.
«Sei tu, vero?»
Si allontanò appena, voleva vedere il suo viso, capire a cosa si riferisse.

«Sho, sei tu?»
Non aveva ancora idea di chi fosse quel ragazzo biondo che aveva fatto irruzione nella sua vita in quel modo, ma come colpito da un incantesimo quelle emozioni gli riportarono alla mente una sensazione di felicità che solo adesso stava provando di nuovo, dopo tanto. 
Cancellando tutto il resto.

*

Raggomitolato nel suo letto quella sera si sentiva più triste del solito; erano ormai quasi due anni che Hizashi se n'era andato, lasciandolo in quella scuola da solo. 
Ormai faceva fatica a ricordare il suo viso, il tono della sua voce... Odiava quella sensazione. 
Ancora di più, odiava avere solo quel braccialetto a ricordarglielo.

Si massaggiò il braccio, ripensando a come quei ragazzi l'avevano strattonato solo poche ore prima.
"Con 'Zashi non sarebbe successo nulla..."
I suoi genitori non ci provavano nemmeno a consolarlo, neanche sapevano perché fosse così triste e chiuso. Aveva solo sette anni, ma sapeva bene che nessuno sarebbe mai riuscito a prendere il posto di Hizashi, nessuno lo avrebbe più fatto ridere e divertire così.

In quel momento odiò l'amico per averlo abbandonato, per averlo lasciato solo; inconsciamente relegò il suo ricordo e tutti i loro bei momenti in un angolo remoto. 
Solo quel bracciale avrebbe fatto da ponte tra loro.

*

«C-cosa?» Incredulo, si allontanò ancora. 
«Chi sei? Una specie di stalker o-»
Il ragazzo di mise a ridere, prendendo per un attimo anche lui le distanze per lasciargli spazio e non opprimerlo.

«Ti ho riconosciuto solo poco fa... Sono Hizashi!» Quel nome smosse qualcosa, ma non riusciva comunque a ricordare quel ragazzo.
«Aspetta...!» Prese il telefono dalla tasca dei pantaloni e iniziò a scorrere le chat alla ricerca di una in particolare; una volta che l'ebbe trovata cercò tra gli allegati e, con la luce negli occhi, gli porse lo smartphone. 
«Ecco, vedi? Siamo noi due!»

Shota prese il telefono in mano: l'immagine era in realtà la foto di una foto riposta in un album; ritraeva due bambini, uno dai capelli biondi e occhi verdi e l'altro dai capelli e occhi neri come la pece. 
Il bimbo biondo aveva preso in spalla l'altro, correndo per un giardino verde; il primo era euforico e felice, l'altro aveva un broncio tutto particolare.

Ne era sicuro, quello era lui. 
Aveva una foto appesa in salotto, a casa dei suoi, di lui da piccolo. Per questo non faticò a riconoscersi.

«Abbiamo frequentato l'asilo e la prima elementare assieme! Poi io mi sono trasferito... Non pensavo che ti avrei mai incontrato di nuovo!» Era euforico come pochi, soprattutto per essere le sette del mattino. 
«Come... Dove...?» chiese lui, continuando a fissare quella fotografia. 
«Oh, mia mamma ha traslocato un paio d'anni fa e quando ha trovato la foto me l'ha mandata...
Non ricordo molto, in realtà. Quando ho visto il bracciale però ho iniziato a pensarci e... beh, ho fatto centro!»

Continuò a stare zitto, a stringere l'oggetto che teneva in mano. 
«Tutto bene...?» La mano del biondo si posò sulla sua spalla, mentre con il viso si abbassava appena per riuscire a guardarlo negli occhi. 
Quando alzò lo sguardo lasciò che vedesse i suoi occhi lucidi e rossi, le prime lacrime che iniziavano a sgorgare dai suoi occhi. 
«Oh cavolo, scusa non volevo-»

«Mi sei mancato, 'Zashi...» Se ne rendeva conto solo in quel momento. Quel vuoto che l'aveva accompagnato negli anni, quel senso di incompletezza, di solitudine... 
Si avvicinò a lui e lasciò che le sue braccia lo circondassero, lo mettessero al sicuro. 
«Scusami Sho... Non volevo abbandonarti» 
Rimasero così per un po', in quell'abbraccio.

«'Zashi... mi accompagneresti a casa?» Aveva ancora il viso premuto sul suo petto, ma a quelle parole il ragazzo lo distanziò; lo guardò negli occhi e gli asciugò le lacrime con il pollice. 
Gli schioccò un bacio sulla fronte e, presa la sua meno nella sua, iniziò a incamminarsi.

«Andiamo! Sono curioso di tutto quello che mi devi raccontare!» 
Si scambiarono un altro bacio, iniziando a raccontare tutto quello che veniva in mente, tutto per recuperare tutti quegli anni passati lontani.

*

«'Zashi?» 
«Sì, Sho?» 
«Tu mi vuoi bene?»
«Certo che sì! Sei il mio migliore amico, no?»

«E mi vorrai bene per sempre?» 
«Che sciocco che sei! Certo che ti vorrò bene per sempre!»

"Per sempre."
 

Hello! 
Eccoci: primo esperimento! Non so dire se sia riuscito o meno... È stato bello scriverla però e devo dire che le parti con loro due piccini sono le mie preferite 🥺
All'inizio infatti dovevano esserci solo quelle, poi ho deciso di complicarmi la vita 😂

La prossima sarà totalmente diversa, vi avviso!

Che dite? Vi è piaciuta? Consigli?

Intanto vi ringrazio! Ci sentiamo presto 💛🖤

 

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Capitolo 2
*** 69 Giorni con Te ***


69 Giorni con Te

Quarantena AU

Day 0

Spense la televisione, incerto su come dovesse sentirsi in quel momento; raramente si era sentito così prima. Proprio per questo afferrò il cellulare, cercando un segno di vita da parte di una persona qualsiasi. 
Si aspettava un messaggio da parte dai suoi studenti, ma probabilmente preferivano commentare la notizia con amici e compagni, piuttosto che con lui e gli altri professori sul gruppo scolastico. Stranamente affianco al nome di Hizashi non era comparsa nessuna notifica, zero. E dire che da lui era quasi sicuro di ricevere qualcosa, anzi, una tempesta di messaggi… 
Sbuffò, sentendo uno strano senso di agitazione crescere sempre di più, pesando sulla bocca dello stomaco. 
“Maledizione.” Iniziò a girare in tondo per la stanza, osservato dai suoi due gatti incuriositi; le parole del giornalista in televisione gli risuonavano nella mente, mentre realizzava che per un periodo indefinito avrebbe dovuto vivere lì, completamente da solo.

La solitudine per lui non era mai stata un problema, anzi. Se n’era andato di casa alla prima occasione e stava bene nel suo piccolo appartamento. 
Il poter andare a lezione però, poter vedere studenti, colleghi e soprattutto Hizashi, facevano parte di una routine che, anche se non lo dava a vedere, amava. 
Si lasciò cadere sul divano. 
Era in quarantena. Non poteva più uscire di casa. 
Non poteva più fare nulla…
Chiuse gli occhi, sperando che quell’ansia lo trascinasse nel sonno, distogliendolo almeno per un po’ da quell’incubo.

*

“Sho!” Strinse le palpebre, girandosi appena e raggomitolandosi su sé stesso.
“Sho! Fammi entrare!” Ci mise un attimo a riconoscere quella voce e i pugni sulla sua porta d’ingresso, e qualche altro istante per realizzare che non si trattava di un sogno. 
Si alzò pigramente, stropicciandosi gli occhi e sbadigliando. 
Solo quando fu di fronte alla porta, ancora chiusa, ricordò perché si era addormentato, cos’era appena successo; all’improvviso quella voce non era più una fonte di disturbo, quanto di salvezza. 
Girò svelto le chiavi inserite nella toppa e abbassò la maniglia. 
Non ebbe tempo di dire nulla: le braccia di Hizashi lo circondarono stringendolo a sé, facendolo quasi soffocare in mezzo ai capelli biondi.

«Sho…» Lo abbracciò a sua volta, percependo qualche brivido sotto alle dita. 
«Perdonami ma… Avevo paura… » Si voltò appena, cercando gli occhi verdi dell’uomo. Questi però affondò ancora di più il viso sulla sua spalla, stringendolo. 
«Non volevo rimanere da solo… Senza di te…» Solo allora intravide una valigia, abbandonata sul pianerottolo accanto allo zerbino. Sorrise, accarezzando la schiena del biondo.

Day 1
Appena aperti gli occhi si ritrovò le iridi di Hizashi puntate sulle sue, come incantate. 
«Good morning babe» Gli schioccò un bacio sulla guancia, lasciando poi che Shota gli si accoccolasse tra le braccia. Il contatto tra la loro pelle ricordò al corvino la loro notte precedente e, per un attimo, si vergognò di essere nudo sotto le coperte con Hizashi. Nonostante gli anni di conoscenza e frequentazione non riusciva proprio ad abituarsi alla nudità (sua, soprattutto.)

Dopo poco si spostarono in cucina, affamati. Trovarono le tazze della sera prima, con ancora un po’ di thè ormai freddo e la scatola dei biscotti aperta. 
«Cosa facciamo ora?» Gli chiese il biondo, portandosi alla bocca un cucchiaio di cereali. 
Effettivamente la sera prima si erano entrambi fatti prendere dall’impulso, soprattutto Hizashi, che aveva fatto armi e bagagli e si era precipitato da lui. 
«Torniamo a dormire» Disse, prendendo un sorso di succo all’arancia dal bricco. Il biondo si alzò, schioccandogli un bacio sulla fronte.
«Vai, io metto un po’ in ordine» Non se lo fece ripetere due volte, e tornò a infilarsi sotto le coperte, lasciando Hizashi a lavare una pila consistente di piatti e tazze e a fare pulizie per tutta casa.

Day 3
Aprì gli occhi, trovandosi davanti quelli di Hizashi, già sbarrati. Di nuovo.
«Good morning» Non seppe neppure lui perché, ma “da quanto sei sveglio?” fu la prima cosa che gli chiese. 
«Tre ore.» Sorrise, mettendogli una ciocca bionda ribelle dietro l’orecchio. 
«Non serve che stai qui finché mi sveglio. Fai come fossi a casa tua.»
«Really?» Si alzò di scatto dal letto, come liberato da uno strano incantesimo. 
«Certo.» 
Senza farselo ripetere gli schioccò un bacio sulla guancia e schizzò via, pronto a una nuova giornata di pulizie e cucina. 
Lui invece era pronto a richiudere gli occhi, e svegliarsi magari tra qualche altra ora.

Day 6 
«Eccomi! Sono tornato!» Urlò, entrando dalla porta carico di buste. 
Shota, assieme ai gatti, lo osservò togliersi mascherina, guanti, cappotto e quant’altro, rosso in viso e visibilmente provato. Il corvino prese poi due delle buste portate dall’uomo e iniziò a riempire scaffali e pensili che neanche ricordava di avere, puliti appena il giorno prima da Hizashi. 
«Quanta roba hai comprato?» Gli chiese quando entrò in cucina, già con la tuta addosso e altre due buste in mano. 
«Siamo in due, e io non sono come te, che campi d’aria e succhi di frutta.» Gli lanciò un’occhiata divertita, aiutandolo poi a mettere in frigo il resto.

«E questo?» La mano di Shota reggeva una scatola presa dal fondo di una busta. 
«E’ un frullatore, così domattina ti faccio la spremuta!» Sospirò, lasciando l’oggetto sul tavolo della cucina; subito dopo però si ritrovò in mano un’altra scatola, ancora più grande.
«E’ per il pane!» 
«Ma il lievito è esaurito ovunque, come puoi-»
«Lo farò io! Don’t worry babe» Con un altro bacio si dileguò, iniziando a montare i nuovi accessori della cucina, al pari di un bambino a Natale.

Day 12
Entrò in cucina avvolto nel profumo di pizza e pane appena sfornato.
«Spiegami quando dovremmo mangiare tutta questa roba» Sbuffò appena l’occhio gli cadde su due torte di mele messe a raffreddare sul tavolo. 
«Pensavo di darne un po’ ai vicini…» Sorrise, grattandosi dietro la testa. 
«Devo ricordarti che siamo in quarantena per un virus?» Effettivamente si era fatto prendere troppo la mano quel giorno.

Osservò poi Shota spostare il tavolino del salotto e il tappeto, già con un pantalone della tuta e una maglietta bianca aderente addosso. Sbuffò: l'ora degli esercizi era arrivata. 
Si tolse il grembiule e andò a cambiarsi, svogliato. 
Di solito gli piaceva allenarsi, soprattutto con Sho; eppure lì, chiuso in casa, non trovava molti stimoli. Oltretutto il compagno era decisamente più flessibile e agile, cosa che infervorava molto il suo spirito competitivo. Proprio per questo cercava di essere costante: se doveva perdere lo avrebbe fatto con dignità.

Infilò leggings e canotta e si posizionò accanto al compagno, iniziando a fare un po’ di stretching. Lui però gli si avvicinò, fissando un angolo della sua bocca. 
«Ti sei sporcato con l’impasto.» Non fece in tempo a replicare o a pulirsi da sé: senza preavviso e senza dire niente, Shota gli si avvicinò ancora, per poi leccarlo ad un angolo della bocca e passarsi la lingua sulle labbra. 
«Un po’ troppo dolce.» Un sorriso strano, malizioso, gli si disegnò sul volto, lasciando spiazzato Hizashi. 
Fece un profondo respiro, come in meditazione; poi aprì gli occhi e afferrò Shota per le braccia, tirandolo verso di sé e facendolo sdraiare sopra al suo corpo. 
«Oggi scelgo io gli esercizi. E nel primo stai sopra tu, babe» In risposta a quel sorriso beffardo, Sho insinuò una mano sotto alla sua canotta, iniziando a baciargli e mordergli il collo.

Day 20
Vedendo la quantità di cibo nel suo piatto già stava pensando a quanti addominali avrebbe dovuto aggiungere alla sessione del giorno dopo; iniziava a pensare che l’obiettivo di Hizashi fosse quello di ingrassarlo e poi cuocerlo al forno, al pari delle patate e del pollo di fronte a lui.
Una cosa era certa, tornare a mangiare barrette energetiche e ramen in scatola sarebbe stato più duro del previsto. 
«Senti darling. Mi hanno chiamato dalla radio…» Lo lasciò continuare, guardandolo negli occhi con una patata già in bocca. 
«Possiamo riprendere a lavorare, mi hanno chiesto di tornare e incrementare il programma.» 
«Quando?»
«Domani…» Abbassò lo sguardo, incerto.

Non gli era mai pesato il secondo lavoro di Hizashi, e non lo preoccupava così tanto per la questione sicurezza. 
Eppure l’idea di addormentarsi solo, senza di lui, lo turbava. 
«Se vuoi andare vai.» Un sospiro, lungo. 
«C’mon… Non fare così, anche a me spiace lasciarti solo, se-»
«Io sto bene da solo.» Usò un tono poco più alto del solito, se ne accorsero entrambi; Hizashi fece per alzarsi, ma lui lo anticipò, rifugiandosi in camera e lasciandolo solo a tavola.

Day 21
Nonostante stesse dormendo, percepì chiaramente il rumore della serratura; aprì gli occhi e si strinse nelle coperte, girato con la schiena verso la porta della stanza. 
Drizzando le orecchie potè sentire i passi di Hizashi, prima verso il bagno e poi verso la cucina, il rumore di un bicchiere e poi quegli stessi passi dirigersi verso la camera. 
Finse di dormire quando lo sentì entrare. 
Non si mise subito sotto le coperte, percepì poco dopo il suo respiro sulla sua guancia, lasciata scoperta. 
«Forgive me… Non essere arrabbiato con me…» Un bacio dolce gli si posò appena sotto allo zigomo. Poi il rumore delle coperte, un “Good night” sussurrato, poi più niente.

Aprì appena gli occhi, lasciando che i suoi sentimenti venissero a galla. 
Si era sentito abbandonato, quasi tradito. Lui doveva rimanere in casa, confinato tra quelle mura, mentre a Hizashi era stata data l’opportunità di uscire, di tornare al lavoro che amava. 
Sapeva che non era colpa sua, che non poteva rifiutarsi e, nel profondo, sapeva che nemmeno voleva farlo. 
Ripensò a quei giorni: lo aveva visto fare di tutto pur di tenersi impegnato… 
Hizashi non era come lui, era quel tipo di persona che va a dormire all’una di notte e alle sei è già in piedi, piena di energia.

Girò il viso, cercando con lo sguardo la chioma del compagno: gli dava la spalle, come la sera prima; si girò poi del tutto, poggiando timidamente una mano sulla sua schiena e incontrando i suoi piedi caldi sotto le coperte. 
Lo vide muovere appena la testa, senza voltarsi. 
«Non sono arrabbiato…» Sussurrò, lasciando poi che Hizashi si girasse e se lo stringesse al petto, iniziando anche a scaldargli i piedi freddi.

Day 30
Da qualche giorno Hizashi aveva notato che l’umore di Shota non faceva che peggiorare. Dopo che lui aveva ripreso a lavorare in radio (tre sere a settimana) si era abbastanza adattato alla situazione, soprattutto visto che aveva la premura di tornare a letto per svegliarlo la mattina e rimanere un po’ con lui, per sopperire alle mancanze della sera. 
Eppure, nonostante questo, lo vedeva sempre più cupo. Non credeva che una persona come lui, così affezionata al suo letto e al suo sacco a pelo, potesse arrivare a patire così tanto lo star chiusa in casa. 
Doveva inventarsi qualcosa.

«Ehi Sho, perché non vai tu a far spesa oggi?» Chiese, cingendogli il busto da dietro. 
«Non sono capace, lo sai» Si trattenne dal ridere: effettivamente in anni di conoscenza aveva appurato più volte che gli acquisti del moro si limitavano sempre e solo a quello che era abituato a mangiare: ramen, succo e barrette energetiche. 
«Andiamo insieme allora!» Esclamò, rubandogli la tazza di caffè che si era appena versato. 
«Lo sai che non si può.» Sibilò, riprendendosi la tazza con il muso di un gattino disegnata sopra. 
Il biondo sbuffò, prendendone una pulita e versandoci un’abbondante dose di caffè dentro. 
«Facciamo due liste diverse e andiamo insieme, ma separati: vedrai, sarà divertente!»

E così, un’ora dopo, erano al supermercato: ognuno con un suo carrello e una sua lista della spesa. 
Shota fece la spesa abbastanza velocemente, cercando di non perdere troppo tempo tra i reparti. 
Poi, mentre stava cercando di scegliere tra due confezioni di carne, una mano gli toccò la spalla. 
«Scusi, dove posso trovare il detersivo per i piatti?» Degli occhi verdi lo fissarono maliziosi; non poteva vedergli la bocca, ma era certo che quel cretino stesse sorridendo.

«Che stai facendo? Così ci-» Ma lui lo zittì, prendendo parola.
«Ah laggiù? Grazie mille!» Disse, indicando da tutt’altra parte. «E’ proprio gentile sa? Non fossi fidanzato le chiederei il numero» Gli fece l’occhiolino e se ne andò. 
Sospirò, tornando a guardare le due confezioni di fettine. 
«Ah, prendi questa, è più succosa» Si sentì sussurrare vicino all’orecchio, poi il vortice biondo sparì.

Day 39
Osservò la stanzetta con un misto di orgoglio e soddisfazione: era riuscito a convincere Shota a mettere in ordine una piccola stanza adiacente alla camera, che fino a poco prima era adibita a ripostiglio. Aveva pulito tutto e buttato cose che probabilmente Sho non ricordava nemmeno di possedere. 
Spesso si era detto dispiaciuto per il suo stile di vita: quell’appartamento era davvero piccolo e arredato con meno del minimo indispensabile. In quel mese di convivenza se ne era reso conto ancora di più, anche se aveva provveduto a rendere il tutto più vivibile.

Ora che poi quella stanza era utilizzabile avrebbe potuto lavorarci e, con la ripresa delle lezioni, potevano spartirsi gli spazi necessari per non parlarsi sopra. Anche se a Sho sembrava importare decisamente di più che nessuno notasse quella convivenza improvvisata.
Sorrise al pensiero di quella parola. Già, ormai era un mese che convivevano “forzatamente”; era convinto che già dopo una settimana il corvino avrebbe provato a soffocarlo nel sonno, eppure sembravano aver trovato una strana complicità, un loro equilibrio.

Tornò in cucina, trovando il compagno sdraiato sul divano a coccolare il suo gattone grigio; gli si avvicinò da dietro, schioccandogli un bacio sulla fronte.
«Ti ho mai detto che ti amo?» Chiese, afferrando una ciocca nera tra le dita e iniziando a giocarci. 
«Solo tutte le mattine appena apro gli occhi.» Gli sorrise, alzando lo sguardo e lasciando che le loro labbra si congiungessero. 
«Mhm, non credo siano abbastanza…» Le mani di Shota gli afferrarono il viso, mentre i loro occhi si perdevano gli uni in quelli dell’altro. 
«Sono dell’idea che i fatti valgano più delle parole» Non gli sfuggì un sorriso malizioso sul viso del corvino, a cui seguì un bacio decisamente più appassionato. 
«Sono completamente d’accordo, darling…» E, leccandosi le labbra, si sdraiò sul divano con lui, pronto a dimostrargli il suo amore.

Day 46
All’inizio la didattica a distanza lo aveva illuso di poter tornare a una parvenza di normalità, o quantomeno l’aveva vista come una possibilità di distrarsi, di riprendere a lavorare, e di rivedere i suoi studenti. 
Ma si stava rivelando più complicato del previsto. 
Tra problemi di connessione suoi, e degli alunni, un po’ di svogliatezza da parte di questi ultimi e il mancato confronto di persona, stava decisamente perdendo l’entusiasmo. 
A questo doveva aggiungere l’essere in due a dover fare lezione ad orari diversi, e il non far intuire nulla agli allievi, fin troppo curiosi. 
«Bene. Ora, Kirishima, esponi a tutti il lavoro che ti ho assegnato l’altro giorno.» Percepì molto chiaramente un sospiro, ma non ci fece caso.

Era talmente concentrato sulle parole del ragazzo e sul monitorare che tutti fossero attenti e non distratti dal cellulare, che non si accorse minimamente della presenza dietro di sé che, molto tranquillamente, attraversò il salotto per prendere un bicchiere d’acqua. 
Se ne rese conto solo nel momento in cui questa figura gli si avvicinò al viso e gli diede un bacio sulla guancia ispida. 
«Good morning…» E, con quelle poche sillabe appena sussurrate, si allontanò verso la camera da letto.

Con gli occhi sbarrati spostò lo sguardo dal corridoio allo schermo del PC, dove venti paia di occhi lo fissavano allibiti, senza parole.
«La lezione è sospesa, ci vediamo domani.» Si scollegò ancor prima di salutare e, con ampie falcate, entrò in camera, quasi sfondando la porta.
«Che cavolo ti è preso?!» 
Hizashi era rintanato sotto le coperte, alzate fino a coprirgli quasi interamente il viso. Non ci diede troppo peso e, con un colpo deciso, gliele tolse di dosso, scoprendolo del tutto. Il biondo tremò appena, socchiudendo gli occhi rossi.

«Beh? Hizashi?» Gli si avvicinò, pronto a prenderlo a schiaffi per farlo svegliare: non capiva quello che aveva appena fatto? 
Solo mentre stava per afferrare il colletto della sua maglietta si rese conto di un fatto importante che fino a quel momento aveva trascurato: Hizashi era ancora a letto, sotto le coperte. 
«‘Zashi, stai bene?» Gli appoggiò una mano sulla fronte; non aveva bisogno di un termometro per capire che sicuramente si era preso una bella febbre. 
“Merda.”

Day 49
Aperta la porta di casa si trovò davanti due buste della spesa, lasciate proprio sopra lo zerbino. Vi era allegato un biglietto, con degli auguri di pronta guarigione per Hizashi e delle faccine scarabocchiate. 
Dopo aver messo in ordine tornò in camera, trovando il povero biondo sotto alle coperte, ancora con un piccolo fazzoletto umido sulla fronte, messo proprio da lui poco prima che il citofono suonasse. 
«Nemuri ci ha portato la spesa, ti ha scritto un biglietto.» Glielo appoggiò sul comodino, sedendosi ai piedi del letto, vicino a lui. 
«Mhm… Grazie» Era ancora debole e quello stato febbrile non voleva andarsene. Lo monitorava costantemente, ma a parte debolezza e tremori sembrava stesse bene.

«Ora ho lezione, tu cerca di riposare.» Bagnò il piccolo pezzo di stoffa in una bacinella che aveva lasciato lì vicino e gliela mise nuovamente sulla fronte, nella speranza che gli donasse un po’ di sollievo. 
Fece per alzarsi, ma la mano del biondo lo trattenne debolmente. 
«Non stai qui…?» 
Gli spezzava il cuore vederlo così: quegli occhi verdi brillanti ora spenti, le gote rosse e i muscoli scossi dai tremori. 
«Devo fare lezione, ‘Zashi» Gli accarezzò i capelli dolcemente, sperando di tranquillizzarlo. 
«Please…» 
Addolcì lo sguardo, confortato da quella parolina detta in inglese, sperando fosse un piccolo segno di ripresa.

Prese il portatile e si sedette a fianco a lui nel letto, poggiando la schiena contro il muro dietro di sé. Lasciò persino gli si accoccolasse vicino e che gli afferrasse la maglia, come un bambino che stringe a sé la sua copertina per dormire.

Day 53
«Buongiorno a tutti.» Sospirò. Era alla quarta videolezione di seguito quella mattina, iniziava ad essere stanco. I suoi studenti lo salutarono contenti, evidentemente le lezioni precedenti non erano state tanto impegnative per loro. 
Si distrasse appena sentendo Hizashi muoversi vicino a lui: stava decisamente meglio ora, anche se la febbre tornava sporadicamente a fargli visita, e allora lui lo costringeva a letto. Per questo aveva preso l’abitudine di rimanere sotto le coperte per quasi tutta la mattina e pretendeva la compagnia di Shota, nonostante le lezioni. 
“Lo sto viziando troppo.”

I piccoli teppistelli dovettero accorgersi di qualcosa, visto che una voce delle loro lo riportò alla realtà.
«Ehm, Aizawa-sensei… Abbiamo saputo che Yamada-sensei non sta bene…» 
Si congelò all’istante. 
“Calma. Siete colleghi, è normale che tu sia informato sul suo stato di salute.”
«Si è stato poco bene, ma si rimetterà presto.» Usò un’espressione quanto più fredda possibile, liquidando il discorso.
«Ne è sicuro…?» 
«Di sicuro non morirà.» Rispose, già irritato. Da quando gli interessava così tanto la loro vita privata?

«Ce lo saluti allora! Ci mancano le sue lezioni!» Stava per zittirli tutti, quando la testa di Hizashi aveva fatto capolino appena sotto alla sua. 
«Ohh you’re so sweet guys… Hai sentito Sho? I miei studenti mi vogliono bene…!» Doveva essere in pieno attacco febbrile, visto che si mise quasi a piangere dalla commozione. 
«Oh buon Dio.» Sospirò esausto, lasciando che il biondo salutasse gli studenti, e che questi ficcassero il naso nella sua vita privata.

Day 60
«Che cos’è?» Il corvino gli era piombato vicino, minaccioso, con il telefono alla mano. 
Abbassò appena gli occhiali da riposo, mettendo a fuoco una foto purtroppo ben familiare… L’aveva scattata la sera prima, quando Sho si era addormentato con una mano intrecciata nella sua. 
E sì, l’aveva pubblicata sul suo profilo social. 
«O-oh, chissà come ci è finita lì…» Si grattò il mento, nervoso. 
Solitamente Shota non accedeva ai social, e di sicuro se lo faceva era per guardare foto e video di gattini, non certo per stalkerarlo (doveva averne già abbastanza di quello vero, figuriamoci se andava a cercarlo online).

«Non fare il finto tonto, me l’ha mandata Nemuri.» 
“Impicciona.” Doveva ringraziare che non poteva uscire di casa, altrimenti sarebbe corso a farle rimpiangere quella soffiata. 
«Beh che c’è di male? Non mi fai mai pubblicare niente di noi…» Mise il broncio, lasciandosi cadere sul divano e provocando la fuga del gatto, seduto proprio lì vicino fino a poco prima. 
«E c’è un motivo.» Shota gli si sedette vicino e gli posò una mano sul ginocchio. 
«Potremmo eliminare questo “motivo”…» 
Era stufo di doversi nascondere, di non poter esternare la sua felicità a nessuno se non a pochi intimi. Voleva che il mondo sapesse che lui era felice, con l’uomo che amava.

«E poi ai miei listeners è piaciuta…» Aggiunse. Un’affermazione che poteva salvarlo e condannarlo allo stesso tempo; ma forse quella era la sua serata fortunata: Shota infatti lo prese delicatamente per le spalle e lo giudò verso di sé, fino a fargli appoggiare la testa sulle sue gambe; gli accarezzò i capelli poi, con la dolcezza che solitamente dedicava solo ai suoi gatti.

Da quando Hizashi era stato male aveva più volte pensato alla loro vita assieme: non aveva rischiato la vita, ma vederlo così debole e indifeso gli aveva fatto uno strano effetto. 
Non sentiva il bisogno, al contrario del biondo, di rendere pubblica la loro relazione; dopo quei giorni però aveva capito che se a uno dei due fosse mai successo qualcosa nessuno avrebbe mai saputo nulla, nessuno avrebbe mai saputo del loro legame, del loro amore. 
«Ci penserò» Disse solo, e sentì il corpo di Hizashi rilassarsi, fino a scivolare in un sonno finalmente tranquillo.

Day 70
Eccola, la notizia ufficiale. La quarantena era ufficialmente finita. 
E loro erano lì, sul ciglio della porta, come più di due mesi prima: Shota all’interno del suo appartamento e Hizashi fuori, in compagnia della sua valigia. 
«Ti scrivo quando arrivo a casa.» Gli diede un altro bacio, il millesimo di quella giornata. 
Non voleva andarsene, ma doveva andare a controllare lo stato del suo appartamento dopo tutto quel tempo di assenza; oltre a quello, non si sentiva di forzare Shota ora che non erano più obbligati a stare assieme. Quella quarantena aveva avuto molti aspetti belli, ma era chiaro a entrambi che più volte avevano necessitato ognuno dei propri spazi, e il corvino più di lui. 
Si mise la mascherina e, con un po’ di tristezza addosso, lasciò quella casa e il suo padrone.

*

Era tornato da appena un paio d’ore; aveva riordinato e iniziato a togliere tutta la polvere accumulata in quei due mesi e mezzo. Guardò per l’ennesima volta la sua povera orchidea appassita: non aveva il cuore di buttarla dopo averla abbandonata lì da sola. 
Con il pensiero della sua povera piantina in mente e il panno ancora in mano, quasi si spaventò quando sentì bussare insistentemente alla sua porta. 
Andò ad aprire, trovandosi di fronte proprio il corvino, piegato in due, forse per lo sforzo della corsa. 
«Sho? Che cosa-»

Lui però lo interruppe, entrando in casa e strappandosi dal volto la mascherina.
«H-hizashi io… Tu…» Balbettava, rosso in volto. 
Gli prese il visto tra le mani, fissandolo negli occhi nero pece; solo allora il suo sguardo si fece poco più convinto e afferrò quelle mani posate sulle sue guance tra le sue. 
«Torna. A casa mia.» Sorrise, non sapendo bene come prendere quell’affermazione. 
«Da te? Ma sei tu che-» E di nuovo, lo fermò.

«Lo so cos’ho detto. Però… Vorrei che tu tornassi da me e che, beh, che ci rimanessi.» Voltò lo sguardo dall’altra parte, rompendo il contatto visivo. Non era per niente convinto di quello che stava facendo. Proprio per niente. 
Eppure quelle due ore erano bastate a farlo sentire solo come non mai, a fargli sentire la mancanza di Hizashi.
«Potrei accettare, a due condizioni.» La fronte del biondo si posò sulla sua, costringendolo a guardarlo negli occhi. 
«Ovvero?» 
«La prima: che tu mi faccia pubblicare una foto, nostra.» Il suo labbro si corrucciò in una smorfia, tanto buffa quanto irresistibile agli occhi di Hizashi. 
«Va bene. E la seconda?» Il biondo si morse il labbro, contento per la risposta di Shota, ma eccitato per la seconda condizione.

«Che traslochi anche tu.» 
«Cosa?»

Day 90
«Sei proprio sicuro?» Chiese, alzandosi  e abbandonando la sua comoda spalla. 
«Non farla tanto lunga, pubblicala e basta.» Finse di non essere interessato, ma nel momento in cui il dito di Hizashi premette sul tasto incriminato si allungò verso lo schermo, per sbirciare. 
Non dovette attendere molto prima che dei cuoricini iniziassero a spuntare dalla barra delle notifiche. 
Ora non poteva più tornare indietro. 
«Thank you darling» Esultò, afferrandolo per il collo e iniziando a baciargli le guance e il viso. 
«Se ti basta così poco…» Spostò lo sguardo, cercando di nascondere quelle strane emozioni che provava: erano ufficialmente fidanzati agli occhi del mondo, non doveva più nascondersi.

«Ah, stavo per dimenticarmi. Ho sentito la ditta dei traslochi, passeranno prima da casa mia e poi verranno qui.» Gli si strinse contro, strusciandosi al pari di un gatto. 
Era strano, neanche quando se n’era andato di casa si era sentito così entusiasta all’idea di trasferisti, eppure ora non stava nella pelle. 
«Non vedo l’ora babe… Una casa tutta nostra.» Gli strinse le braccia intorno, appoggiando il mento sulla sua testa. 
«Si, tutta nostra ‘Zashi.»


 

Buongiorno a tutti!! 

Come al solito ho iniziato a scrivere pensando a un capitolo corto, poi mi sono ritrovata con questa cosa eterna, ma vabbè, ormai mi conoscete.
Era da un po' che volevo scrivere un capitolo "quarantena", così mi sono decisa e ho provato a buttare giù qualche idea. Spero vi sia piaciuta e non sia stata troppo melensa come cosa, ma avevo bisogno di scrivere qualcosa di felice XD

Buona domenica, e grazie a chi leggerà il capitolo <3

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Capitolo 3
*** Scapperesti con Me? ***


Scapperesti con Me?

Mafia AU

Sospeso a qualche decina di metri da terra agganciato alla fune, lanciò un'occhiata alla città alle sue spalle: uno spettacolo di colori da mozzare il fiato. 
Sarebbe volentieri rimasto a contemplare quel panorama, quelle luci così potenti da rischiarare il buio della notte... Ma aveva un lavoro da fare, ed era già in ritardo. 
Si calò ancora per qualche metro, accompagnato dal rumore del moschettone sulla corda e dalla sensazione dell'imbracatura sul suo corpo.

Arrivato al terrazzo designato come obiettivo si sganciò e tolse l'attrezzatura, lasciandola lì dove si era fermato; estrasse gli arnesi da scasso da un piccolo borsello legato in vita ed iniziò ad armeggiare con la porta a finestra. 
Tempo pochi secondi ed era già riuscito ad aprirla. 
Lanciò gli attrezzi sopra all'imbracatura e si introdusse dentro alla stanza. 
La luce era spenta, l'unica fonte di illuminazione era data dalla televisione, lasciata accesa; diede una rapida occhiata in giro, dirigendosi verso il fondo del locale. 
Fece in tempo a fare qualche passo però che un rumore inconfondibile dietro di lui lo fece bloccare sul posto.
Sapeva come disarmare qualcuno con una pistola, ma era meglio trattenersi per il momento. 
«Girati.» La luce si accese all'improvviso, obbligandolo a chiudere gli occhi per un secondo. 
Sorrise, ubbidendo all'uomo armato dietro di lui.

Strinse la pistola tra le dita, scrutando l'intruso con attenzione. Aveva i capelli castani lunghi e degli occhi marroni del tutto anonimi. Il visto era quello di un trentenne, con un fisico spesso, non molto longilineo. 
«What? Io sono tutto imbardato e tu sei già cambiato?» Sorrise appena, facendo un cenno con la pistola.
A quel gesto, l'uomo di fronte a lui si afferrò con forza i capelli appena sotto l'attaccatura e, tirando, scoprì il vero colore della sua lunga capigliatura: un biondo acceso, intenso.
Tirò via anche quella che a tutti gli effetti sembrava una maschera e, toltosi la giacca, rivelò anche la presenza di una specie di imbottitura, a definirgli il fisico.

«Okay. Sono io.» fece una giravolta sul posto e appena il suo sguardo tornò sul corvino di fronte a lui se lo ritrovò a pochi centimetri dal suo viso. 
«Manca qualcosa.» La mano dell'uomo andò sicura verso il suo viso, togliendo un piccolo dispositivo circolare attaccato appena dietro l'orecchio sinistro. 
«Ah sorry, me ne ero dimenticato!»
«Ne hai scelta una orribile, fattelo dire.» Gli era mancato il suono della sua voce, il suo accento dal tono squillante. 
«Hai detto che dovevo camuffarmi al meglio, beh: this is il meglio!»

«Sicuro di essere solo?» il corvino, ancora armato, si affacciò guardingo alla finestra.
«Sicuro è una gran parola, diciamo al 94%» L'occhiataccia che l'uomo gli lanciò lo fece ridere; gli era mancato così tanto che non gli importava essere sgridato o linciato.
«94%? Da dove tiri fuori questi numeri?» 
Il biondo gli andò incontro, chiudendo la porta finestra che lui stesso poco prima aveva scassinato e, cingendo l'uomo per i fianchi, lo riportò verso il centro della stanza.

Con totale nonchalance si tolse le lenti a contatto colorate, lasciando ora che i suoi occhi verdi ipnotizzassero il corvino con la loro magia.
«Stavo scherzando Sho, c'mon!» Lo strinse a sé, facendo in modo di assaporare il suo odore il più possibile.
Sentì le mani dell'altro ricambiare quella stretta, il respiro più profondo, il battito accelerato.
«Mi sei mancato...» 
«Anche tu Hizashi.»

Avevano poco tempo, troppo poco; soprattutto se consideravano da quanto era che aspettavano quell'incontro. 
Le loro mani bramavamo di poter di nuovo toccare il partner, così come i loro corpi desideravano essere toccati. Fu tutto un dare e ricevere, bramosia di tastare ed essere tastati. 
Si spogliarono in fretta e furia, lasciando che i vestiti si mischiassero sul pavimento, e si abbandonarono sul letto ancora fatto.
Il biondo indugiò su una ferita ancora fresca sul fianco del compagno; questi però prese la sua mano, appoggiandola invece sul gluteo, invitandolo a tastarlo. 
Non se lo fece ripetere e tornò a concentrarsi sul resto del corpo dell'uomo. 
Si graffiarono, morsero, strinsero... Tutto, in quel letto, dopo quell'astinenza.

«Sho-chan... il sesso con te è sempre qualcosa di, come dire, ultraterreno» 
Lui rise, ancora con le braccia tese a sorreggerlo sopra all'amante. Si lasciò cadere subito dopo, accolto nella stretta di Hizashi. 
«Sei esagerato come sempre» Gli diede un bacio sulla fronte, lasciando che al contempo il biondo lo baciasse sul collo.
Ora che si erano lasciati andare alla passione potevano godersi un po' di dolcezza. 
O almeno, avrebbero voluto.

Hizashi tornò con la punta delle dita su quella cicatrice, talmente recente da essere ancora di un colore rosa acceso e lucido.
«Che ti è successo?»
«Sparo, a bruciapelo.»
Strinse i denti, cercando di non far trasparire la rabbia che provava in quel momento. Era sicuro che fosse stato uno dei suoi, ed era altrettanto sicuro che ora fosse morto.
Una parte di lui glielo augurava pure.

«Andiamocene. La mafia c'è dappertutto, no?» Gli sussurrò, continuando a baciarlo e ad accarezzare quel punto in cui la pelle ancora non c'era.
«L'Italia ad esempio: è bellissima, sai?» il corvino sorrise, allontanando però Hizashi e sedendosi sul materasso.
«La mafia c'è dappertutto, è vero. Ma ti ricordo che qualcuno qui è il boss della famiglia Yamada, e quel qualcuno non sono io.»

Aveva già ricominciato a vestirsi, cercando i suoi vestiti in mezzo a quelli del biondo: non avevano più molto tempo.
Le sue mani però lo afferrarono da dietro, trattenendolo sul bordo del materasso.
«Non ce la faccio più Sho... il pensiero di perderti, che uno dei miei possa ucciderti...» 
«Lo so. Ma non abbiamo via di fuga, noi-»
«Se ci fosse un modo, tu verresti via con me?»

Certo che sarebbe andato con lui. Ma dirglielo equivaleva a fargli firmare la sua condanna: avrebbe cercato qualunque mezzo per sottrarlo a quella vita, qualsiasi, mettendo a rischio la sua incolumità.
«Vestiti, è tardi.»
Hizashi sorrise, alzandosi e iniziando a raccogliere i vestiti che il corvino scartava e gettava sul letto, compresi quelli del costume.

«Cosa posso fare per farti cambiare idea?» Si specchiò, sistemandosi come meglio poteva. 
«Potresti diventare un Boss tradizionale, di quelli che stanno seduti dietro la scrivania, al sicuro, e abbandonare l'hobby del tiro al bersaglio»
Sicuramente era un Boss atipico, lui. Odiava quella condizione: era sempre stato prima di tutto un uomo d'azione che uno d'affari, nonostante se la cavasse niente male con la "burocrazia". Vestire i panni del Capo senza dar prova della sua bravura o senza divertirsi un po' non era proprio nelle sue corde.
«Ci proverò.» Lo diceva tutte le volte, eppure il Boss Yamada rimaneva il cecchino più preciso e spietato del Paese, aumentando il numero delle sue vittime mese dopo mese.

Fece un rapido check: era esattamente come quanto era arrivato. Doveva solo risalire il muro dell'edificio e rientrare nella sua stanza, 6 piani più in alto, e poi Shota avrebbe lasciato la sua qualche ora dopo, anche lui camuffato al meglio.
Era stufo di tutto. Il loro incontro, la prima volta, era stato fortuito: entrambi cercavano solo qualcuno con cui divertirsi un po', niente di serio. Solo dopo qualche incontro avevano realizzato chi avessero affianco, nello stesso letto. 
Avevano stabilito una tregua, che valeva solo dentro le pareti di quelle stanze d'hotel e per poche ore. Non si scambiavano informazioni, e non importava a nessuno dei due se l'altro uccideva dei colleghi o se veniva ucciso. O almeno, così credevano all'inizio.

«Stai attento, mi raccomando» lo baciò sulle labbra, pronto a sparire sul bancone «E non uccidere troppi dei miei»
«Non mandarne troppi ad uccidermi e non ci saranno problemi.» Si sorrisero, scambiandosi altri baci d'addio.
«A presto Darling»
«A presto 'Zashi»

Lo guardò uscire sul balcone, e rimase lì, ad aspettare per potere tornare a indossare la sua maschera con tutta la sua famiglia.

*

Varcò la porta dell'immensa casa di periferia nel freddo della notte, valigetta alla mano e una stanchezza addosso incredibile.
La Famiglia lo aveva spedito in un paesino sperduto nel nord della Cina a rintracciare un componente della loro stessa famiglia, sfuggito per paura e per potersi rifare una vita.
Entrò nel salone grande, immerso nei festeggiamenti.

«Oh Aizawa! Vieni vieni, festeggia con noi!»
Lui si sedette al tavolo con i suoi subordinati e i suoi due parigrado: vantava infatti di essere uno dei tre uomini più fidati della Famiglia, e a quanto pare era l'unico a mancare all'appello.
«Missione compiuta?»
«Certo. È tutto risolto» Matsuda gli versò una copiosa quantità di sakè nel bicchiere, rabboccando anche il proprio.
«Ovviamente, che te lo chiedo a fare! » L'uomo buttò giù tutto d'un colpo, non stupendo affatto Shota.

«Che si festeggia?» Chiese, sorseggiando il suo sakè.
«Oh non lo sai? Ecco perché sei così mogio!»
«Piantala Shimada! Lo sai che quella è la sua solita espressione!» I due battibeccarono un po', poi l'attenzione di Aizawa fu catturata da un foglio, lanciatogli sul tavolo dal Boss in persona, sceso da poco per i festeggiamenti.
Raramente sorrideva, e quella era una di quelle situazioni.
Prese il foglio, curioso; al tatto sentì che in realtà si trattava di una fotografia. La girò, e il suo cuore, il suo intero mondo, tutto, si fermò.

Hizashi era lì, la sua immagine impressa su quella foto.
Il corpo e il volto orrendamente sfigurati, spiaccicati al suolo.

«Quello stronzo è morto. Ha ucciso 9 dei nostri prima di decidersi a crepare»
«Ci è andata di culo Boss! Quel cretino è rimasto lì e siamo riusciti a beccarlo in tempo»
«Dovevi esserci Aizawa! Gli ho infilato il coltello dritto in gola e prima di sfilarlo l'ho guardato dritto negli occhi...» Shimada si indicò gli occhi con indice e medio «... Poi l'ho estratto e mentre il sangue schizzava ovunque Matsuda l'ha spinto giù dal palazzo con un calcio!»
«Poteva andare meglio, non ci ha nemmeno dato la soddisfazione di urlare! Avrei davvero voluto sentirlo implorare pietà a quel bastardo!»
Tutti risero.

Strinse talmente tanto il bicchiere che lo ruppe, mandandolo in frantumi e tagliandosi la mano. Shimada gli offrì un fazzoletto, continuando nel mentre a ridere e bere di gusto.
«Avanti Aizawa! Festeggia!»
Lui ignorò tutto e tutti, uscendo nel grande giardino della casa, bottiglia alla mano e rivoltella nell'altra.

Non pianse, non versò una lacrima. 
Ribolliva di rabbia, più che di tristezza. 
Potendo sarebbe entrato lì dentro e avrebbe ucciso tutti, dal primo all'ultimo. 
Ma quella era la vita che si era scelto, che anche Hizashi aveva scelto.
Quegli uomini, il suo boss, lo avevano accolto quando lui non era niente, solo un ragazzino impaurito e maltrattato. Lo avevano cresciuto, istruito, iniziato agli affari della mafia quando lo aveva chiesto lui stesso.
Per la prima volta odiò quello che era diventato: uno spietato assassino, Eraser Head, colui che in un attimo cancella la vita delle sue vittime.

Non poteva mettere fine alla sua Famiglia.
Ma poteva ricongiungersi a Hizashi.
Si puntò la rivoltella alla tempia, pronto a sparare. Il suo dito premeva sul grilletto senza emozione, esattamente come quando mirava alla testa dei suoi bersagli.
Nel silenzio della notte, pochi minuti dopo, un colpo venne esploso dalla sua pistola.

*

Uscì sul piccolo balconcino con due cocktail in mano e li posò sul tavolino bianco che avevano comprato appena arrivati in quella piccola cassetta solitaria in riva al mare.
Si sedette e subito l'uomo con cui conviveva lo abbracciò da dietro, posando le labbra sui suoi capelli biondi, tagliati corti. 
«Non mi abituerò mai a vederti con questi capelli» 
«Solo ai capelli? » Risero entrambi, sorseggiando i drink che Shota aveva preparato e portato fuori.

Accarezzò i lineamenti di Hizashi, così diversi da quando si erano conosciuti e incontrati. 
Ogni giorno, ogni singolo giorno, ripensava a come erano finiti lì, assieme. 
Ogni giorno ripensava a quella fatidica notte.

*

Era pronto a mettere fine alla sua vita, ma la mano di uno sconosciuto comparso all'improvviso lo aveva fermato.
Un uomo dal viso leggermente squadrato, i capelli corti neri. Solo gli occhi riconobbe subito: un verde acceso disarmante, impossibile non riconoscerli.
Quelli, e poi la voce.
«Sho! Fermati sono io!»
Lo aveva fissato a occhi sbarrati.
«Sono vivo, fammi spiegare!»Ringraziò tutti i Kami dell'universo per essersi convinto ad andare a parlargli subito, anziché aspettare. Se Shota fosse morto, dopo tutto quello che aveva fatto...

«Ti ho visto, in foto...»
«Era un mio subordinato. Ho organizzato tutto, nei minimi dettagli, da mesi.» Gli afferrò la mano saldamente, continuando a fissarlo negli occhi.
«Per questo sono sparito nei mesi scorsi: mi sono fatto operare e ho fatto fare lo stesso a quel ragazzo...» trattenne il respiro al pensiero di quello che aveva costretto a fare al suo uomo.
«Erano sulle mie tracce, entro poche settimane mi avrebbero fatto fuori sul serio, e sarebbe potuto capitare a te farlo.»
Aveva pianificato tutto, nei minimi dettagli, per tutte quelle settimane. Aveva atteso il momento giusto, ovvero quello in cui Shota fosse stato via per una missione.

«Loro hanno ucciso quell'uomo al posto mio, perché io potessi fuggire. »
«E i tuoi uomini?»
«Non sanno niente. Sarà come se io sia morto davvero, cosa che comunque sarebbe successa da qui a poche settimane...»
Gli veniva da piangere ora. Lasciò che una lacrima solitaria gli rigasse il volto e che Hizashi, accortosene, lo abbracciasse. 
«E' la nostra occasione Sho. Sono venuto a prenderti... Ho i soldi per il chirurgo, ci vorrà qualche settimana per gli interventi e i documenti falsi, ma-»
«Sì.» I suoi occhi neri erano sicuri, decisi. 
Gli porse la pistola, ancora stretta nella sua mano, e allargò le braccia. 
«Vedi di non uccidermi» Sorrisero entrambi, l'adrenalina in corpo e il cuore a battere veloce come forse non aveva mai fatto in tutti quegli anni. 
«Ci proverò.»

Lo sparo, del sangue lasciato colare sull'erba umida della sera, e i segni di una colluttazione e di un trascinamento. 
Questo, associato ad un pacchetto che il postino avrebbe recapitato alla villa di lì a qualche giorno, avrebbe contribuito a inscenare la morte di Aizawa, e a renderlo finalmente libero.

*

«Tutto bene?» La voce dolce e premurosa di Hizashi lo riscosse: capitava spesso che si fermasse a osservare il suo volto riflesso in uno specchio o, in questo caso, nel vetro della finestra. Abituarsi a quel volto, a quei corti capelli biondi... Non era semplice, come non lo era abituarsi ai nuovi lineamenti del compagno, così occidentali e mediterranei. 
«Mi ci devo solo abituare, tutto qui.» L'uomo gli prese la mano, accarezzando quel punto in cui aveva dovuto affondare il coltello nella sua carne, quelle erano state il prezzo per la sua libertà. 
«Vedrai, andrà tutto bene ora.» Si scambiarono un bacio, cullati da una piacevole brezza marina e dal suono delle onde del mare.

«Te l'avevo detto: l'Italia è un posto stupendo.» sussurrò, a pochi centimetri dalle sue labbra. 
«Sì, lo avevi detto.» Si scambiarono un altro bacio, poi Hizashi prese il suo drink, appoggiato alla ringhiera del balconcino. 
«Sai, stavo pensando a un nome per la nostra nuova Famiglia.»

«Non avevamo deciso di aprire una piccola libreria?»
«Certo. E potrebbe essere una buona copertura per qualche affare losco e illegale e-»
Shota estrasse un coltello da sotto la sedia, puntandoglielo al collo; un sorriso malefico gli comparve sul volto, mentre con la lama premeva appena sotto al mento. 
«E va bene. Negozio di libri sia.»

 

 

Buonasera a tutti!
Spero non sia stato troppo "pesante" come capitolo e che vi sia piaciuto!
Per ogni AU che sto scrivendo mi verrebbe voglia di scrivere una storia a parte, ma mi tratterrò (per il bene vostro e mio XD)

Alla prossima ❤

 

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Capitolo 4
*** Your Voice ***


Avvolto nel nero della notte, illuminata flebilmente solo dai raggi lunari, e dal suo mantello, anch'esso nero, Shota Aizawa si avvicinò alle mura del castello. Ovunque era pieno di ossa e cadaveri appartenuti quasi sicuramente a coloro che, come lui, avevano intrapreso quel viaggio.
A conti fatti era una missione di suicida, come l'avrebbero definita molti.
Era riuscito ad attraversare il ponte di corda abbastanza agilmente e, con quasi altrettanta facilità, iniziò la scalata della parete.
Era insolito che un cavaliere viaggiasse senza armatura, ma questo oltre a renderlo suo malgrado troppo simile a un comune ladro, lo aveva avvantaggiato spesso: questa era una di quelle volte: senza il peso del metallo scalare era più semplice e, soprattutto, meno rumoroso.
Ci mise diverse ore, ma prima dell'alba era quasi arrivato: la finestra della stanza più remota, della torre più alta, era ora a pochi metri da lui.
Entrò di soppiatto, allerta.

I suoi occhi, già abituati all'oscurità, individuarono subito un letto al lato opposto della stanza, e una figura adagiatavi sopra.
"Buongiorno principessa" In quell'esatto momento, iniziò a pregustare la sua ricompensa.
Si avvicinò, silenzioso e guardingo; prese un fiammifero e accese lo stoppino di una piccola candela, posta sopra al comodino di fianco al letto.
Illuminò una chioma bionda, che copriva in parte il viso, mentre il resto del corpo era avvolto in calde e spesse coperte.
Guardò fuori dalla finestra, intravedendo una prima timida luce: doveva sbrigarsi se voleva andare via prima dell'alba. Con una mano afferrò la spalla della giovane e la scosse, non troppo dolcemente, con l'intendo di svegliarla.
Un paio di occhi verdi si lo fissarono di scatto e subito la ragazza si mosse svelta, rannicchiandosi contro il muro, le coperte ancora premute sul corpo.

«Mi scusi, non volevo spaventarla. Sono venuto a salvarla e-» un ruggito smosse le fondamenta del castello diroccato, annunciando ai due il risveglio del temuto drago.
«Merda. E' meglio se ci muoviamo, ho faticato per evitare di incontrare quella bestiaccia.» La bionda però non mosse un muscolo, rimanendo ferma al suo posto.
«Senta, non ho tempo per le presentazioni e tutto il resto, dobbiamo andare.» Gli porse la mano, ancora sporca di calce e con dei piccoli graffi dovuti alla scalata.

La ragazza si mosse verso di lui, stava per afferrarla, ma invece prese la candela, ancora poggiata sul comodino e se la avvicinò al viso.
Non potè fare a meno di notare dei tratti decisi ora, su quel volto. Accigliò lo sguardo, ma non aveva proprio tempo ora per osservarla e dirle quello che voleva sentirsi dire (qualunque cosa fosse).
«Ne parliamo dopo, okay?» La prese per mano, tirandola verso la finestra.

Lei cercò di ritrarla, costringendolo a stringerla; quando però gli arrivò un pugno ben assestato sulla spalla, l'uomo si fermò, irritato.
«Sa, inizio a pensare che la vera difficoltà non sia il drago, ma convincerla a scappare.» Mollò la presa, girandosi verso di lei. Per dargli il pugno aveva lasciato cadere la coperta che prima teneva stretta intorno a sé, quindi ora poteva vedere la sua vestaglia, di tessuto leggero e di un colore azzurro chiaro.
«Vuole cambiarsi...?» Ipotizzò. Ma questa non gli rispose, anzi afferrò i bordi del vestito e, con un singolo rapido movimento, se lo tolse.

«O porca-» si girò di scatto, cercando di non guardare, per poi coprirsi gli occhi con il braccio.
Sentì i suoi passi avvicinarsi, la sua mano afferrargli le dita, per costringerlo a guardarla.
Fidandosi, si scoprì gli occhi.
«O porca puttana! S-sei, sei un uomo?!» Non era abituato a urlare, ma non si dovette sforzare per esprimere tutto quello stupore.
Effettivamente, davanti a lui aveva tutto meno che una principessa: era un ragazzo magro, slanciato; i capelli biondi gli ricadevano lunghi fin sotto le spalle larghe, per quanto esili. Senza la vestaglia, il petto era nudo, coperto da pochi peli biondi, mentre dalla vita in giù indossava dei classici calzoni da notte.
Il ragazzo annuì appena, stringendosi nelle sue stesse braccia, come se avesse paura del suo sguardo.

Il corvino fece per parlare, ancora incredulo, ma un altro ruggito gli ricordò della presenza del drago, a pochi piani sotto di loro.
«Merda. Senti mi spiegherai tutto dopo, ora rimettiti quell'affare.» Lo sguardo del ragazzo per un attimo lo immobilizzò; cos'era quella? Incredulità? Riconoscenza?
«Su, muoviti!» Senza farselo ripetere il biondo indossò nuovamente la vestaglia e si avvicinò all'uomo, ora sopra alla finestra.
«Ho fatto due calcoli, dovremmo farcela. Tu fidati di me, okay?» Lui annuì, poco convinto.
Gli prese la mano e lo tirò nuovamente verso il fondo della camera poi, senza avvertirlo o altro, lo prese in braccio, dicendogli di aggrapparsi a lui.
Prese la rincorsa e, arrivato alla finestra, spiccò un balzo, mettendo nelle gambe tutta la forza che aveva; sorvolarono così il piccolo pezzo di terra attorno al castello, di appena qualche metro, e poi sotto di loro iniziò ad esserci solo l'acqua del lago che aveva attraversato sul ponte.

L'impatto con l'acqua fu comunque tremendo, talmente tanto che per un secondo pensò di aver perso i sensi... O forse successe davvero, visto che quando riaprì gli occhi era sulla terra ferma, vicino al ragazzo biondo intento a tossire anche l'anima.
Fece per alzarsi, ma oltre al bruciore in gola una fitta al braccio lo fece sussultare; doveva aver colpito una roccia o un qualcosa di simile, vista la spaccatura che percorreva quasi tutto il suo avambraccio sinistro.
Il biondo si accorse di lui, sveglio, e gli si precipitò vicino. I suoi occhi verdi sembrano preoccupati e spaventati, per questo si sentì di rassicurarlo.
«Sto bene, grazie per avermi portato a riva.» Si alzò, tenendosi il braccio con la mano; ricevette solo un grande sorriso come risposta.
«Ma tu sai parlare?» Gli occhi del biondo si fecero tristi; scosse la testa, facendo segno di no.
«Senti mi dispiace ma devo saperlo: sei davvero il figlio del Re?»
Annuì convinto.
«Okay.» sospirò.

Beh, che fosse un principe o una principessa poco importava. Non aveva mai pensato di chiedere al Re la mano di sua figlia come ricompensa, quindi riportare in dietro l'erede al trono rimaneva la sua priorità, fosse esso maschio o femmina. Anche perchè cos'altro poteva fare, lasciarlo lì da solo?
Con un fischio richiamò il suo cavallo, una bestia grande e possente che aveva addestrato lui stesso; prese due cambi di vestiti dalle bisacce legate dietro alla sella e ne porse uno al ragazzo.
Non erano vestiti molto principeschi, ma per evitare il congelamento e un raffreddore andavano più che bene.

Quando il ragazzo vide la sua ferita non indugiò e strappò parte della sua veste, porgendogliela per usarla come fasciatura.
«Grazie, ma, vedi mi ero portato qualcosa per medicarmi» disse, indicando delle bende, estratte anch'esse dalla bisaccia. Sconsolato, il povero principe si limitò a cambiarsi.
«Io mi chiamo Aizawa Shota, sono un cavaliere proveniente da un piccolo villaggio.» Gli tese la mano, e quando il biondo l'ebbe stretta ricominciò a parlare. «Ora ti spiego brevemente come funzionerà il viaggio, okay?» L'altro annuì.
Avrebbero percorso assieme il tragitto fino alla capitale; lui da solo ci aveva messo quasi due settimane, quindi probabilmente avrebbero impiegato un po' più di tempo. Avrebbero fatto poche soste in villaggi e piccole cittadine, giusto per rifornirsi, e avrebbero dormito all'aperto.
Si sarebbe occupato lui dei vari conti e delle spese con il suo denaro, denaro che tanto avrebbe riavuto con la ricompensa.
«Tutto chiaro?» Di nuovo, annuì.

«Bene. Allora monta su forza, non voglio perdere altro tempo.» Il principe si indicò con l'indice, guardandosi attorno.
«Certo che dico a te! Forza, sali.» Si avvicinò al cavallo, accarezzandone il pelo morbido.
Al solo pensiero di poter di nuovo salire su un destriero gli scese una lacrima.
Ripensò a tutto quello che aveva passato, chiuso in quella torre, senza il coraggio di scappare. Ripensò a tutti gli uomini che erano rimasti uccisi dal drago, e a quelli che come Shota erano riusciti a raggiungerlo, ma che alla scoperta del suo segreto se n'erano andati.
Qualcuno aveva persino provato ad abusare di lui, come "premio di consolazione". Un uomo l'aveva fatto evadere da quella prigione ma, arrivati al suo cavallo, l'aveva legato ai polsi e aveva iniziato a trascinarlo, al pari di uno schiavo.
Il drago era volato fin da lui e l'aveva riportato indietro, ovviamente solo dopo aver divorato l'uomo.

Con tutti quei pensieri in testa, lasciò scivolare ancora qualche lacrima sul volto, poi salì in sella al cavallo. Shota fece lo stesso e, prima che potessero partire, diede un'ultima occhiata al castello: il drago era lì, in piedi sulla soglia. Le scaglie bianche azzurrine riflettevano la luce del sole appena sorto, mentre i suoi occhi gialli lucenti lo guardarono allontanarsi all'orizzonte.

*

Alla prima sosta Aizawa aveva lasciato il cavallo libero di riposarsi e abbeverarsi ad un piccolo ruscello, mentre lui e il suo nuovo compagno di viaggio avrebbero semplicemente aspettato di ripartire.
Il principe non ci mise molto a capire che il suo compagno di viaggio non doveva essere proprio quello simpatico e chiassoso ai balli; così, stanco di quel silenzio, decise che avrebbe fatto conversazione a modo suo.
Si alzò dal tronco su cui si era seduto e ritornò poco dopo, seguito dallo sguardo attento di Shota, con un bastoncino alla mano.
Cercò, con quanta più precisione possibile, di scrivere sul terreno fangoso.

«Qualcuno qui vuole fare conversazione, eh?» Il sorriso che gli rivolse per poco non gli bloccò il cuore: nessuno gli aveva mai sorriso in quel modo e soprattutto, nessuno che conoscesse da meno di tre ore.
«Hi... zas... Hizashi?» Lui annuì felice, come un bambino.
«E' il tuo nome? Hizashi Yamada?» Euforico esultò.
Gli chiese se volesse essere chiamato per nome o per cognome, ma a quella seconda ipotesi il biondo non sembrò molto entusiasta.
«E Hizashi sia. Ti direi di chiamarmi Shota, ma penso sarebbe inutile.» Gli riservò un'occhiataccia offesa, ma lui sorrise.

«E come mai non puoi parlare? Sei nato così o-» Il ragazzo scosse la testa, poi impugnò nuovamente il legnetto, cancellando il suo nome e iniziando a scrivere.
«Un incantesimo? Sul serio?» Gli veniva da ridere, non erano cose così frequenti nel loro mondo; ma dopotutto poco prima aveva intravisto un drago, quindi non poteva del tutto escluderlo.
«Non è che in realtà sei una donna, sotto incantesimo e-» Lui gli diede un bonario pugno sulla spalla, mimando una risata silenziosa con la bocca.
Ripartirono, e a quella sosta ne seguirono molte altre: alcune fatte di silenzi, altre di qualche domanda e qualche parola scritta con un bastoncino.

*

La sua vita a corte, nella giovinezza, non era stata molto ricca di conoscenze, soprattutto di plebei, come li chiamava suo padre; se a questo aggiungeva qualche anno di prigionia in una torre remota, da solo, era logico che non si trovasse a suo agio in mezzo alla gente.
Questo però Shota non lo poteva sapere, quindi si era ritrovato a girare per la piccola cittadina con le redini del cavallo in una mano e l'altro braccio arpionato tra le mani di Hizashi.
«Okay, calmati ora. Dobbiamo solo comprare da mangiare» La presa del biondo si fece ancora più stretta; in un giorno di mercato come quello era inevitabile scontrarsi con più gente del solito, ma questo al principe sembrava non entrare in testa.

«Ehi tu! Guarda dove vai!» Un energumeno, il doppio di loro due messi assieme, andò a sbattere proprio contro il gracile biondino, e aveva tutta l'aria di voler attaccare briga.
«Vieni Hizashi.» Shota afferrò il compare, tirandolo via. L'omone però prese entrambi per un braccio, proprio dove il corvino aveva la fasciatura.
«Chiedimi scusa.»
«Lasciaci.» Non avrebbe sprecato fiato con quello lì, poco ma sicuro.

Appena il pugno dell'uomo vibrò verso il suo volto spinse Hizashi di lato, sfoderando un coltellino da sotto la maglia; schivò il colpo e, agile e veloce, colpì l'uomo con un pugno al fianco, poi gli salì sulle spalle. Attorcigliò le sue gambe al suo collo e con una capriola lo ribaltò in avanti; era ancora steso a terra quando gli salì sulla schiena e gli afferrò il mento, tirandolo verso di sé quel tanto che bastava per esporre la giugulare, pulsante.
«Sparisci.» Sibilò, pungendo appena la pelle con il coltello.
Questi si alzò e corse via svelto, seguito da un piccolo omuncolo che non aveva mosso un dito per tutto il tempo.
Hizashi gli corse incontro, preoccupato; lo rassicurò e, sempre con il braccio stretto tra le sue mani, comprarono l'occorrente e ripresero il viaggio.

*

Allungò le mani verso il fuocherello acceso, beandosi di quel tepore, e volse lo sguardo al cielo: non si sarebbe mai stufato di poter osservare le stelle e la luna così liberamente, e non da una piccola finestra.
«Tieni.» Shota gli passò la sua cena in una piccola scodella; non era molto bravo a cucinare, ma a lui sembrava ogni volta come se quello fosse il pasto più buono della sua vita.
Da circa dieci giorni ormai era in viaggio con lui: gli era grato per averlo salvato, ma non avrebbe mai immaginato che si sarebbe affezionato a quel corvino scontroso, e mai così tanto.
Era spesso taciturno, ma non sembrava infastidito quando voleva "chiacchierare"; anzi lo scopriva a fissarlo dal nulla in certi momenti, a volte poi era lui per primo a porgergli un bastoncino trovato "per caso".
Consumò la sua cena, poi gli si avvicinò per cambiare la medicazione al braccio: una piacevole routine che gli consentiva di stare vicino a lui più del solito.
«Sembra migliorata.» Annuì convinto, porgendogli la spada, come tutte le sere. Per Shota l'allenamento era essenziale, e anche con quel braccio non si era mai fermato.

Quando si sedette di nuovo con lui, Hizashi scrisse poche lettere sul terreno.
«Età? Vuoi sapere quanti anni ho?» Il biondo gli si avvicinò, curioso. Faceva sempre così quando si aspettava qualcosa di più di una semplice risposta.
«Ventidue» L'altro si agitò, indicando ripetutamente sé stesso. «Ah anche tu? Sì?»
Rise al pensiero che lui, un guerriero del Re, e quel principino, così magro e smilzo, fossero coetanei.
Con il bastone indicò la spada dall'elsa nera, appoggiata poco lontano da loro.
«Vuoi sapere da quando sono un soldato?» Non ci fu quasi bisogno che lui facesse segno di si; ormai dopo una settimana era diventato particolarmente bravo a interpretare i suoi segni e le sue scritte.

Gli raccontò della povertà della sua famiglia, della fuga di suo padre e di come lui fosse rimasto solo, sotto le grinfie di una madre non troppo affettuosa. Le due sorelle erano la sua unica fonte di felicità: per proteggerle aveva imparato a tirare di spada e un cavaliere, passato per caso vicino a casa loro, lo aveva preso sotto la sua ala e lo aveva portato fino al cospetto del Re.
«Avevo forse tredici anni quando il mio maestro morì, lasciandomi in eredità la sua spada. Da quel momento, ho dovuto cavarmela da solo.»
Hizashi lo guardava con gli occhi sognanti, impressionato. Di sicuro avevano avuto due infanzie totalmente diverse, agli antipodi forse.
«Mi piacerebbe sentirti dire qualcosa su di te»
Lo vide mimare "anche a me" con le labbra, in un modo dolce e... sensuale.

Lo faceva spesso ultimamente, tralasciando il modo in cui lo faceva: mimava spesso le parole, rivolto verso di lui. Aveva compreso che forse quello era un modo inconsapevole di dirgli che avrebbe voluto parlargli, fargli sentire la sua voce, nonostante non potesse.
Avevano deciso di mettersi a dormire, quando delle gocce avevano iniziato a cadere dal cielo, provenienti da diverse nuvole minacciosamente grigie. Senza perdere tempo raccolsero tutta la loro roba, alla ricerca di un riparo dove passare la notte.
Per loro fortuna trovarono una vecchia casa, probabilmente abbandonata. Controllarono in giro: la totale assenza di tegami, coperte, vestiti e molto altro sembrava dar credito alla loro ipotesi.
«A nessuno dispiacerà se passiamo la notte qui.» Stese per terra le coperte, per fortuna non così zuppe come temeva.

Hizashi gli si sistemò subito vicino, molto vicino.
Se n'era accorto: erano diversi giorni che il biondo si aggrappava ancora più stretto a lui mentre cavalcavano e, da un paio di giorni, gli sembrava che la loro vicinanza prima di addormentarsi si stesse facendo sempre più... intima.
La cosa in un certo senso lo turbava, però allo stesso tempo gli piaceva.
Gli piaceva sentire il contatto con la pelle morbida del ragazzo, il suo profumo così dolce, perdersi nel verde di quegli occhi.
Senza accorgersene, mentre cercava di trovare una posizione che non fosse equivocabile, si appoggiò proprio sul braccio ferito, disattenzione che gli costò un lamento a denti stretti.
Le mani di Hizashi gli afferrarono subito il polso, tastando la fasciatura e sfilandola, per controllare lo stato del taglio.

Quando alzò lo sguardo, il principe trovò gli occhi nero pece di Shota a fissarlo come nessun altro aveva mai fatto: era forse quello lo sguardo di chi è innamorato? E se era quello, pure lui assumeva quell'espressione, quando guardava il corvino?
Si avvicinò a lui, attratto dalle sue labbra rosee e si stupì di come persino Shota si stesse pian piano avvicinando a lui.
Si sfiorarono appena, per poi lasciare che quel bacio diventasse più intenso.
All'improvviso però, il cavaliere lo spinse via.
«No. No è sbagliato. Siamo due uomini, e per di più tu sei il Principe!
Santo cielo, che sto facendo...» Si mise una mano sugli occhi, mentre le dita di Hizashi si aggrappavano a lui e con gli occhi gli implorava di non dire quelle cose.
«Ascolta, non si può. Sei- sei solo confuso, perché ti ho salvato dalla prigionia... Tu non vuoi questo, credimi.» Si alzò, pronto ad andarsene e dormire fuori, sotto la pioggia battente.
«Ma io ti amo...» Era appena un sussurro, ma l'aveva sentito fin troppo bene.

Voltatosi di scatto, vide con i suoi occhi che Hizashi si teneva la gola con entrambe le mani, gli occhi sbarrati, sorpreso quanto lui.
«T-tu hai...?»
«S-shota...» Era flebile, di nuovo, ma lo sentì.
Gli corse incontro, felice come forse non lo era mai stato in vita sua, e lo abbracciò; Hizashi era troppo scosso persino per muovere un muscolo, ma appena si rese conto di quello che era successo ricambiò l'abbraccio, e cercò le labbra del corvino come se fossero aria.
Passarono tutta la notte abbracciati, con il principe a raccontare tutto quello che in quei giorni non aveva potuto dire, e il cavaliere a pensare che non avrebbe mai più potuto fare a meno di quella voce.

*

Arrivarono al castello pochi giorni dopo, entrambi con un ritrovato ottimismo per la vita.
Persino a Shota i prati sembravano più verdi e i cieli più azzurri; tutto sembrava più bello, ora che era con Hizashi.
Non sapevano ancora come comportarsi dinnanzi al cospetto del Re, ma speravano nella buona sorte e che qualche divinità si schierasse dalla loro parte.
Contro ogni aspettativa, il principe fu accolto solo da poche guardie e il Re richiese la loro presenza nel salone principale dove, sempre molto stranamente, non vi era nessuno se non loro.

«Padre!» Urlò Hizashi quando vide arrivare l'uomo; era invecchiato da quando lo avevano relegato in quel castello, non aveva perso però quel fare orgoglioso e regale che l'aveva sempre contraddistinto, e che da piccolo lo aveva sempre intimorito.
«Sei vivo, dunque.» Non finse nemmeno di essere contento. Gli diede una pacca sulla spalla e si avviò verso il centro della sala, verso Aizawa.
«E così, sei riuscito nell'impresa, giovane cavaliere.»
«Si, mio signore.» Si inginocchiò, chinando il capo.
«Dammi la spada, cavaliere.»
Restio, vedendo l'ombra di una guardia dietro di sé, obbedì. Sfilò la spada dalla guaina e la porse al sovrano, tenendo sempre il capo chino.
«Per anni mio figlio è rimasto prigioniero in quella torre. Per anni i più prodi cavalieri hanno tentato di riportarlo qui. Mai avrei creduto che qualcun altro riuscisse nell'impresa.»
«Per la seconda volta, questa spada tradirà il suo stesso cavaliere.» Fece per alzarsi e indietreggiare, ma il colpo vibrò più veloce di quanto potesse immaginare.

Sentì il dolore e il calore del suo stesso sangue avvolgerlo; poi, solo l'urlo del principe... Quella bella voce, angelica, ormai distorta.
Per un secondo, gli sembrò di sentire ancora la sensazione delle sue mani sulla sua pelle, ad accarezzargli il viso. Ma durò poco.
Chiuse gli occhi, stanco.

«Pezzente di un contadino. Avrebbe dovuto morire tra le fauci del drago!» Volse lo sguardo verso il figlio, accasciato ai piedi del trono.
«E tu... Avresti dovuto rimanere in quella torre. Hai forse dimenticato quel cavaliere di dieci anni fa?
Tu! Riportalo in quel posto sperduto. E bada che non scappi.»
Come in trance, lasciò che lo caricassero a peso morto su un cavallo e che lo riportassero lì, dove tutto era cominciato e finito allo stesso tempo.

*

«Mio Signore, siete in partenza?» Aprì gli occhi, riscosso dai suoi pensieri.
«Hai preparato l'oro che ti ho chiesto?» Si alzò dal trono, tenendo una mano salda sull'elsa nera della sua spada.
«Sì, Sire.» Afferrò la borsa tintinnante e, con passo spedito, salì i gradoni che dalla sala principale percorrevano a spirale una piccola torretta, fatta costruire apposta per lui.
Quando fu sulla sommità, produsse un sonoro fischio con le dita, e rimase in attesa per una manciata di secondi: un enorme, maestoso drago azzurro, comparve appena sotto di lui; spiccò un salto millimetrico, finendo a cavalcioni proprio sul collo della creatura.

«Andiamo Shirakumo.» Il drago sbuffò, i muscoli tesi e le ali spiegate, pronto a partire.
Lui, creatura fedele che lo aveva lasciato partire quel giorno; creatura che lo aveva protetto negli anni e che lo aveva accolto sulla sua groppa il giorno che si era deciso a tornare per affrontare il padre.
Diede un'occhiata al Regno, sotto di lui. Il suo Regno.
Né la vendetta, né il potere avevano colmato il vuoto che da quel giorno divorava il suo cuore.

Solo portare quelle piccole somme di denaro a due ragazzine di un piccolo villaggio, attenuava di poco quel dolore: vedere i loro occhi neri come la pece, e i capelli corvini.
Strinse di nuovo l'elsa nella mano e, sorvolando sopra a una piccola casetta abbandonata in periferia, si diresse al villaggio.

Salve ❤️
Sorry per il ritardo ma in questi giorni sono stata davvero incasinata e la stanchezza ha avuto il sopravvento...

Mi scuso comunque, il capitolo è un po' sad, molto sad... Quando l'ho scritto il mio pensiero è andato subito alle favole con un lieto fine, poi ho voluto cambiare il finale (non so bene perché, ho solo voluto stravolgere un po' le cose e dare un finale felice all'Erasermic mafiosa e un non-finale a loro, ma vabbè.)
 

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