The voice of liberty

di Valery
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Irma e Miranda ***
Capitolo 2: *** Katherine Watson ***



Capitolo 1
*** Irma e Miranda ***


 

 

 

Premessa: Questa è una raccolta di one-shot incentrate su personaggi femminili e sulla loro concezione di libertà. il primo capitolo è ispirato alla miniserie Picnic a Hanging Rock, basata sull’omonimo romanzo di Joan Lindsay. La serie si concentra molto so quello che accadde prima della scomparsa di Miranda, Marion e Mrs. McGraw. Irma è la sola ad essere stata ritrovata. Mentre la storia si sviluppa, si viene a conoscenza che tra lei e Miranda, spesso non correva buon sangue. Era amiche, in un certo senso, ma anche nemiche. Miranda è uno spirito libero, infrange le regole e non si vergogna del suo modo di essere. Irma, invece, è devota alla sua classe d’appartenenza, ma allo stesso tempo è invidiosa di Miranda. Irma non ammette mai di sentirsi imprigionata nella vita che conduce, è costantemente alla ricerca dell’approvazione degli altri, soprattutto di sua madre. Miranda lo intuisce, per questo, alla fine, la sostiene, è dalla sua parte. Tutte e due sono imprigionate all’interno del collegio. Purtroppo, Irma non riuscirà a liberarsi dall’oppressione dell’ Alta Società di cui è schiava, a differenza delle sue amiche e della professoressa, che invece, spariscono misteriosamente su Hanging Rock.

P.S. Marion nella miniserie ha discendenze aborigene, per questo ha la pelle scura.

 

1° capitolo, Irma e Miranda

 

C’era un certo fermento nell’ala ovest del collegio Appleyard quella sera, precisamente nelle stanze di 3 ragazze: Irma, Miranda e Marion.

Era una piacevole serata di metà agosto e le tre amiche si erano date appuntamento nella sala comune che compartivano, per mezzanotte. Erano solite passare la serata insieme dopo il consueto orario di coprifuoco, poiché non era concesso uscire, neppure alle studentesse più grandi; inoltre, erano abbastanza distanti dal villaggio più vicino. Per cui, quella sera avrebbero osservato le stelle, e forse, visto qualche stella cadente. Di solito erano abituate a lunghe chiacchierate e a confessioni intime, ma l’idea venuta a Marion, aveva sollecitato l’interesse delle altre due.

La prima a presentarsi all’appuntamento era stata Irma che, ligia e rispettosa di ogni regola, camminava avanti e indietro per la saletta ormai da un abbondante quarto d’ora. Nervosamente, si passava  di tanto in tanto la lingua sulla labbra, per poi sorprendersi e pentirsene: non era un comportamento adeguato, avrebbe rischiato di rovinarsi la bocca. Volse lo sguardo verso l’orologio appeso in cima al camino: mezzanotte e dieci minuti.

- Per quanto ancora mi faranno aspettare, quelle due? – disse tra sé e sé, incominciando a sentire una certa fastidiosa agitazione a livello del cuore.

Irma  sopportava assai poco il dover sottostare ai comodi degli altri e, di conseguenza, attardarsi in ogni cosa. Tanto valeva aprire la grande finestra e osservare il cielo in solitudine: era meglio aspettare il passaggio di una stella cadente, che aspettare Miranda e Marion.

 

A mezzanotte e dodici si voltò verso la sottile tenda in sangallo: era lì pronta a scostarla, quando l’aprirsi della porta che comunicava con la camera di Miranda non la colse di sorpresa.

Irma, siamo qua! Ho portato una mappa! – esclamò Marion con un ampio sorriso sul volto. Si avvicinò anche lei alla finestra, anticipando l’amica nello spostare i tendaggi.

Marion compì dei movimenti leggeri ma decisi, tanto che Irma rimase per un momento incantata: nonostante Marion non venisse da una famiglia nobile (il colore scuro della sua pelle la tradiva), aveva dentro di sé una tale grazia nello svolgere anche solo un piccolo movimento, che ogni parvenza di una umile origine veniva completamente oscurata.

Fortunatamente, le loro stanze davano sul retro del collegio, poco illuminato: questo fatto avrebbe reso più facile la vista delle stelle, un po’ meno la lettura della mappa del cielo di Marion.

Fortuna volle che Miranda, rimasta indietro a chiudere le ultime porte, aveva con se un portacandele, portatosi dalla sua stanza.

Irma le rivolse un sguardo corrucciato: incrociò le braccia al petto, un po’ indispettita.

- Si può sapere che fine avevate fatto? – chiese, per modo di dire, in quanto dal suo tono, si capiva che pretendeva una risposta e non stava ponendo un gentile quesito.

Miranda, per tutta risposta, si sedette sulla sedia in velluto accanto alla finestra, che Marion aveva provveduto ad aprire. Appoggiò per terra il piccolo candelabro e incrociò le gambe, scoprendo i suoi polpacci, forti e robusti. Guardò Irma con un sorriso mellifluo e, prima di  parlare, alzò leggermente le sopracciglia.

- Stavo aspettando che Sarah ¹ si addormentasse, non volevo che si sentisse sola stanotte. E Marion, invece, doveva passare da Mrs. McGraw per recuperare questa preziosa mappa –

Al sentir nominare la loro professoressa di matematica e scienze, Marion sussultò leggermente ². Il sussulto non destò assolutamente nessun scalpore in Miranda, ma non scappò a quest’ultima.

 

- Mrs. McGraw? Per quale motivo hai chiesto a lei una mappa? – domandò con fare inquisitorio, come se fosse entrata nelle vesti di un’arcigna sorvegliante. Marion arrossì leggermente e abbassò lo sguardo: per fortuna, il rossore era ben camuffato dalla sua carnagione.

- Beh, onestamente, non avrei saputo a chi chiederla se non a lei, sicuramente è utile per individuare qualche costellazione. – spiegò cercando di essere convincente. A Irma pareva una scusa bella e buona: possibile che Marion nascondesse qualcosa? Ma la voce di Miranda interruppe i suoi pensieri.

- Allora, vogliamo iniziare? – incalzò quest’ultima, facendo svanire quell’attimo di suspense che si era creato nella stanza.

 Se c’era proprio una persona che, volente o nolente, riusciva a far quasi perdere la pazienza a Irma, quella persona era Miranda: veniva da un famiglia di contadini del Queensland, non aveva mai conosciuto le buone maniere e non aveva nessuna intenzione di rispettarle. Viveva secondo una legge morale tutta sua, anzi, proprio non aveva legge. Era istintiva e usava poco il raziocinio. Talvolta, Irma si chiedeva se mai si fosse fatta qualche esame di coscienza: così facendo, non avrebbe mai avuto una vita facile.

Eppure, nonostante tutto, Miranda era popolare. Non popolare come lei, sempre corteggiata da uomini di tutti i ranghi, ma popolare nel senso che riusciva ad avere l’approvazione di chiunque le stesse intorno; e questo succedeva, per esempio, con Sarah, la sua piccola compagna di stanza. Miranda era magnetica, su questo non si dubitava. Era indomabile come il più selvaggio dei cavalli, ma continuando di questo passo, si sarebbe presto spinta nelle braccia del pericolo.

Miranda si posizionò accanto a Marion, la quale aveva di fianco all’altro lato Irma.

- Bene, direi che possiamo iniziare a orientarci nel cielo cercando le costellazioni più visibili. Vediamo se riusciamo a trovare la Croce del Sud … - Marion indicò alle ragazze un punto esatto della mappa, situato all’incirca sul lato sinistro: un gruppo assai piccolo di appena quattro stelle unite da due righe, come se fossero 4 punti uniti da due linee: dei segmenti perpendicolari che formavano una croce.

- Scusate, perché mettere queste 4 stelle insieme e pretendere che formino una croce? – domandò dubbiosa Miranda, ma più con l’intento di sottolineare l’assurdità di tutto ciò, che per sincera ignoranza.

- Perché le civiltà antiche non possedevano i nostri stessi mezzi per orientarsi nello spazio e nel tempo, soprattutto quando intraprendevano lunghi viaggi. Il riconoscere le stelle in cielo e, successivamente, raggrupparle in costellazioni secondo precisi criteri, li aiutava a non perdersi. E inoltre, il raggruppamento delle stelle permette ad astronomi e a studiosi di tutto il mondo di poterle studiare e riconoscere facilmente. Lo studio del cielo è una disciplina assai antica, sia nelle antiche civiltà europee che africane..-

- Sì sì, certo Irma, molto interessante il tuo sapere sciorinare a memoria le pagine del nostro libro di fisica, ma non era questo che intendevo. – Miranda interruppe l’amica, decisamente non intenzionata ad ascoltare oltre quelle parole dette con saccenteria e un po’ di volgar “so tutto io”.

 

Irma guardò Miranda quasi sconvolta: ma come si permetteva di interromperla in questo modo così disdicevole?

- E allora perché fai queste domande, Miranda? Possiedi anche tu i miei stessi libri, lì potrai trovare tutte le risposte. – replicò senza battere ciglio e senza dargliela vinta. Marion iniziò a sentirsi un po’ scomoda in quella situazione: quando gli spiriti di Irma e Miranda si agitavano, era in arrivo un probabile tifone dell’Atlantico.

- Ragazze, smettetela di discutere, fra poco sarà ora di metterci a letto! Piuttosto, venite a vedere qua, sopra alla Croce del Sud, è possibile vedere la costellazione del Centauro, è davvero grande e immensa, probabilmente non riusciremo a veder tutte le stelle da cui è formata … - 

 

Così dicendo, Irma e Miranda, per il momento, deposero le loro asce di guerra e si concentrarono sull’individuazione e osservazione di possibili costellazioni. Sembrava che, per il momento, la quiete fosse ritornata in quella stanza.

 

*

Marion si era ritirata nella stanza che condivideva con Irma, avendo prima cura di ripiegare con grande attenzione la mappa della professoressa McGraw, lasciata per il momento nelle mani di Irma, e augurando la buona notte alle sue compagne.

Irma stava chiudendo la finestra e tirando le tende, mentre Miranda si intratteneva guardando la fiammella ardere nel suo candelabro.

- Come mai così assorta? – domandò Irma, appoggiandosi alla balaustra e incrociando le braccia al petto. Miranda la osservò mentre la luce conferiva ai capelli boccolosi di Irma una sorta di aurea … malefica. Voleva ancora discutere? Sarebbe stata accontentata, si disse, continuando a scrutarla

- Sai perché trovo insulso raggruppare le stelle in costellazioni? Perché le stelle non sono nate per essere raggruppate. Sono lì, nell’universo, distanti tra di loro anni e anni luce, e noi vogliamo a tutti i costi porre a loro le briglie della conoscenza, ma chi siamo noi per decidere che ci sia una Croce, una Lepre, un Centauro, un Pavone? –

Miranda provò così a dar voce a questo suo turbamento, che d’altronde era più che plausibile: lei era selvaggia nel cuore ma soprattutto nella testa. Non accettava nessuna spiegazione a posteriori di come funzionasse il mondo là fuori.

 

- Potresti anche avere ragione, ma sin dall’antichità l’uomo ha sempre cercato la regolarità, la bellezza, la linearità nella natura e nel cielo, nella società, è normale che si preferisca raggruppare le stelle in costellazioni: anche se all’apparenza sembra caos, l’universo è governato da una legge ben precisa che dà armonia a ogni cosa, niente è a caso, lassù in cima. –

- Ma l’universo è nato da caos e confusione e nel caos e nella confusione finirà, perché voler cercare di dar ulteriore compostezza dove non ce n’è bisogno? È tutto assurdo! – Miranda pareva quasi esasperata, non riusciva a trovar la logica in tutto ciò.

Irma provò una leggera compassione nei suoi confronti: lei non riusciva a capire. O non voleva?

- Con tutto il rispetto, Miranda, la vita è meglio vissuta in completa osservazione di regole ben precise, in modo da avere sempre un punto fisso dove guardare, come le stelle per i viaggiatori e i marinai. Tu non vuoi accettare tutto questo, ma prima o poi ne pagherai le conseguenze, e lo sai. – L’ammonizione di Irma fece vacillare Miranda per un momento: Irma sembrava ostinata a farla ragionare, forse aveva ragione lei? No, Miranda non avrebbe mai ceduto.

 

Miranda porse il palmo della mano destra verso Irma, un tacito invito a poter avere la mappa di Mrs. McGraw. Irma la guardò con uno sguardo interrogativo, ma le passò comunque quel pezzo di carta.

Miranda aprì la mappa che era stata chiusa in quattro e la mise davanti alla sua compagna. Puntò un gruppo di stelle ben precise, simili alla Croce del Sud, ma con un nome ben diverso.

 

- “Falsa Croce”? – lesse Irma, guardandola perplessa. Gli occhi di Miranda parvero infuocarsi per un istante.

- Sì, esattamente! La stavo osservando prima, credo sia il solo nome azzeccato trovato su questa mappa: racchiude la falsità di tutte le costellazioni e dà valore alla mia teoria.  – concluse Miranda, con un piccolo sorriso trionfante sul volto. Sembrava che i ruoli si fossero invertiti, ora era Miranda che voleva a tutti i costi far ragionare Irma.

- Oh, Miranda, ma che assurdità! È soltanto un nome! –

- Non sono assurdità, e tu lo sai benissimo! –

 

Anche se lo avessero voluto veramente, non sarebbe mai stato possibile farle combaciare: le loro personalità erano troppo radicate per poter essere malleate e modificate in modo da potersi incontrare.

Irma rappresentava la stabilità, la concretezza, era un’ancora sicura alla quale aggrapparsi.

Miranda, invece, era l’incertezza, una tempesta in mare aperto, una tormenta di sabbia che acceca. Non c’era sicurezza in lei, solo imprevedibilità.

Eppure, anche se Irma sapeva quanto fosse vano continuare a parlare, non riusciva ad accettare il fatto che Miranda non provasse a cambiare i suoi modi di fare. Diamine, perché non capiva?

 

- Credo sia inutile continuare a discutere, non troveremo mai un punto d’accordo … - disse Irma, mentre prendeva e richiudeva la mappa di Mrs. McGraw.

 

- Miranda, tu credi di essere libera, ma in realtà sei schiava delle tue passioni. Prima o poi, ti uccideranno. – sentenziò Irma con tono di voce severo e profondo. Per tutta risposta, Miranda prese il suo candelabro e la guardò, assottigliando gli occhi. La sua mente stava pensando a qualcosa, infatti non tardò a dar voce ai suoi pensieri.

 

- Preferirei vedermi morta per i miei ideali, piuttosto che viva e schiava per volere altrui. Buonanotte, Irma. – e così dicendo, spense la candela e si avviò verso la porta che conduceva alla sua stanza, guidata solo dalla debole luce che penetrava leggermente dalla finestra.

 

Irma la osservò mentre se ne andava, in punta di piedi e stretta nella sua vestaglia di lana azzurrina.

 

Buonanotte, Miranda.

 

 

*

 

Marzo 1900, Collegio Appleyard.

 

Madamoiselle de Poitiers si affrettò a raggiungere la carrozza che avrebbe condotto Irma alla stazione.

 

Aveva il fiato corto, il cuore in gola: da quando Marion, Miranda e Mrs. McGraw erano scomparse quel giorno di San Valentino a Hanging Rock, si sentiva perennemente come se ogni cosa le potesse sfuggire di mano da un momento all’altro.

 

Alla fine, non è quello che è successo, quel pomeriggio, al picnic?³

 

Mlle de Poitiers cercò di scacciare questi pensieri nefasti e si concentrò su Irma, che si trovava di spalle, davanti a lei. 

La ragazza finì di scambiare qualche parola con il cocchiere e si voltò, conscia che qualcuno si trovasse dietro di lei.

 

- Mlle de Poitiers, deve dirmi qualcosa? – chiese Irma guardandola dritta negli occhi.

La professoressa di francese le prese le mani, stringendole forte: una silenziosa richiesta d’aiuto.

- Irma, per favore, se ricordi qualcosa, qualsiasi cosa, devi dirmela. Qualcosa che possa aiutarci a ritrovare le tue compagne e la cara McGraw. – la implorò con occhi lucidi e un tono di voce che lasciava trasparire tanta ansia e preoccupazioni malcelate. Irma la guardò intensamente: non sapeva se parlare o no, ma alla fine, a lei cosa importava? Stava comunque per andarsene.

 

- Vuole sapere una cosa? –

 

- Certo, dimmi Irma! –

 

- Io odio Miranda. –

 

E Irma salì sulla carrozza, senza mai voltarsi indietro, lasciando Mlle de Poitiers più confusa e turbata che mai.

 

*

                                                                                                                                                                                               

Irma teneva lo sguardo fissò davanti sé, sembrava essere entrata in uno stato apatico. In realtà, il suo pensiero era diretto alle amiche scomparse e a Mrs. McGraw: non riusciva davvero a ricordare cosa fosse successo, sapeva solo che un attimo prima era su quelle rocce e, un attimo dopo, si era svegliata distesa su un letto che non era il suo, con vestiti che non erano i suoi e ricordi che non le appartenevano più. Pensò intensamente a tutte loro, soprattutto a Miranda: non si sentiva forse sola, ovunque fosse? Marion era insieme a Mrs. McGraw, molto probabilmente, ma lei? Con chi era? Ma subito si rese conto dell’inutilità delle sue preoccupazioni: ovunque fosse andata, Miranda non sarebbe mai stata sola; con lei c’era sempre la sua sete di libertà. E si ricordò perché aveva appena confessato di odiarla.

 

Fine

 

¹Sarah è la compagna di stanza di Miranda, una ragazzina più piccola di lei. Sarah è assai devota a Miranda, ma c’è da dire che, è stata ben plagiata da quest’ultima.

²Marion è innamorata di Mrs McGraw, la quale ricambia le attenzioni della ragazza, ma sa che il loro amore non potrà mai concretizzarsi perché non è un amore “convenzionale”. Irma, nel 4° episodio scopre la loro storia e ne sarà inizialmente gelosa.

³Mlle de Poitiers è colei che ha acconsentito a Miranda e le altre di visitare da sole Hanging Rock, e, di conseguenza, si sente assai colpevole per la loro scomparsa. Per questo vuole a tutti i costi che Irma l’aiuti a capire quale sia stata la loro sorte.

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Ed eccoci qua! Non scrivo da tantissimo tempo, più di dieci anni! Ma la passione per la scrittura non mi ha mai abbandonato, solo che la vita cambia J La visione di Picnic a Hanging Rock ha risvegliato la mia vena creativa, quindi ecco qua un piccolo esperimento. Ho cercato di attenermi il più possibile al carattere dei personaggi ma forse ho un po’ esaltato il lato ribelle di Miranda; tutto sommato posso ritenermi soddisfatta.  Seguiranno altri capitoli, che avranno come protagoniste personaggi femminili anticonvenzionali e rivoluzionari tratti da film e libri. Avrei piacere a ricevere qualche opinione, perché da sola non riesco a valutare se il capitolo sia ben scritto, oppure presenti delle lacune. In ogni caso, spero possa essere piaciuto! Ci terrei a precisare, inoltre, che io non sono assolutamente contro le costellazioni ;P E so che a quei tempi non era ancora stata formulata la teoria del Big Bang, ma serviva per rafforzare il contrasto tra Irma e Miranda. Magari può sembrare un ragionamento senza capo né coda, ma era quello l’intento, mettere in risalto l’incompatibilità tra le due, anche davanti a ragionamenti senza senso. Il prossimo capitolo sarà incentrato su due personaggi tratti da un film, ma non svelo di più ;)

 

A presto!

 

Valery

 

 

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Capitolo 2
*** Katherine Watson ***


Ciao a tutti! Eccoci arrivati al secondo capitolo, ispirato al film Mona Lisa smile. Ho incentrato il capitolo in un tempo precedente all’inizio del film, quando Katherine decide di comunicare a Paul (il suo compagno a Los Angeles) di voler partire per il Massachusetts. Ovviamente il capitolo è comprensibile solo per chi ha visto il film ma credo possa essere letto anche da chi non lo ha mai visto e anche da chi non se lo ricorda J Il prossimo capitolo forse arriverà un po’ più tardi perché è si basa su un libro che ho letto un po’ di tempo fa, ma soprattutto è ambientato in tempi “recenti”, quindi vorrei cercare di dare un buon background storico. Come sempre, se volete lasciarmi un commento, è ben accetto!

Buona lettura!

Valery

 

2° capitolo: Katherine Watson

 

Un signore di circa quarant’anni, vestito con una camicia di lino bianco e dei pantaloni color cachi, si prestava a sfrecciare su una bicicletta un po’ sgangherata, ma tutto sommato ancora utilizzabile, tra le vie di Los Angeles cercando di non correre il rischio di essere investiti. Ogni tanto si beccava qualche insulto da taxisti e autisti, ma sembrava non darne troppo conto.

Il signore per fortuna arrivò presto a destinazione: un delizioso caffè non troppo distante dal campus universitario della UCLA. Sistemò con molta cura il suo mezzo di spostamento e diede una rapida lisciata alle pieghe presenti sulla camicia, prima di entrare nel caffè. Appena si trovò all’interno, si diede una fugace occhiata intorno: si intuiva dunque, che era alla ricerca di qualcuno. Subito sul suo volto si dipinse un’espressione lievemente preoccupata, poiché non era ancora arrivata la persona che stava aspettando. Sospirò e portò le mai sui fianchi: avrebbe comunque potuto sedersi e aspettarla, ma preferì voltarsi per uscire dal locale. Non appena si voltò, la porta d’ingresso si spalancò ed entrò una giovane donna di tutta fretta, così di fretta, che urtò contro a questo signore malcapitato.

- Accidenti! Mi scusi tanto! – furono le parole che la donna esclamò, portandosi le mani davanti alla bocca.

- Ehi, Katherine, sono Paul! Eccoti finalmente! – le disse l’uomo, massaggiandosi la spalla contro la quale era andata a sbattere la suddetta Katherine. Quest’ultima chiuse gli occhi sollevata e lo abbracciò.

- Paul, scusami tanto! Non volevo farti male, ma ero sicurissima che tu fossi già qua e non volevo farti attendere troppo. –

- Non preoccuparti, tesoro, sono abituato ai tuoi colpi di scena. – rispose Paul sorridendo mentre la guardava intensamente negli occhi, facendo inevitabilmente arrossire Katherine.

- Dai, sediamoci, sono curioso di sapere che cos’hai da dirmi! – disse Paul, prendendo a braccetto la donna.

 

- Prego, che cosa desiderano i signori? – domandò una cameriera assai giovane dai lunghi capelli raccolti in due trecce: portava una divisa rossa e bianca, al centro il logo del caffè: delle alte palme, una strada trafficata e tante auto stilizzate, dirette verso non si sa dove.

 

- Per me un caffè shakerato con un goccio di latte, e per te, Katherine? – ma la donna non pareva ascoltare: il suo sguardo si era perduto ad osservare quella giovane ragazza. Paul le toccò leggermente la mano, destandola dai suoi pensieri. Katherine sbatté energicamente le palpebre e alzò lo sguardo: la cameriera la stava guardando, assai accigliata.

 

- Signorina, cosa desidera ordinare? – le ripeté facendo cenno al taccuino che teneva in mano. Katherine parve rinvenire.

 

- Oh, certo! Vorrei un frappé alla fragola con panna, se possibile. – e riuscì finalmente a fare la sua ordinazione. La cameriera annuì e se ne andò.

Paul notò un certo disagio sul volto di Katherine: pensò quindi di prendere le sue mani tra le sue, un gesto per tranquillizzarla.

 

- Allora Katherine, come stai? Ti vedo pensierosa, devo forse essere geloso? – chiese Paul con un tono fintamente geloso.

- Ma no, che dici! Solo, stavo osservando quella pessima rappresentazione del Sunset Boulevard sul grembiule della ragazza … a proposito, secondo te, quanti anni può avere? -  domandò di punto in bianco. Paul rimase colpito da questa domanda, ma si affrettò a rispondere.

- Beh, ne avrà 17, su per giù. Ma perché ti interessa saperlo? – chiese a sua volta.

- Anche secondo me, e mi dico, ma questa ragazzina non dovrebbe essere impegnata con qualche laboratorio scolastico o chiusa in un’aula di studio, al posto che lavorare in questa caffetteria? – proseguì Katherine, cercando di  dissipare dubbi di Paul.

- Magari non può permettersi di frequentare dei corsi extra scolastici e preferisce lavorare per poter aiutare la sua famiglia. – ipotizzò Paul, provando a dare una spiegazione plausibile a Katherine. Ma quest’ultima non pareva soddisfatta.

- Sì, forse è così, ma in questo modo sta mettendo in secondo piano la sua istruzione per guadagnare soldi che non riuscirà mai a mettere da parte, non pensi anche tu? Non sarebbe meglio che si concentrasse sullo studio in modo da privilegiare la sua formazione che le consentirà di ambire a un futuro migliore? – Paul ascoltava come incantato le parole di Katherine e quando terminò le rivolse una sorta di sorriso, un sorriso di rassegnazione si poteva dire.

- Katherine, non cambierai mai, vero? Non puoi pretendere che ogni ragazza su questo pianeta abbia le tue stesse aspirazioni. E poi, è giovanissima, ne avrà di tempo per pensare al futuro! Lascia che si goda l’adolescenza. – e così, Paul tentò di chiudere lì il discorso, giusto in tempo prima dell’arrivo delle loro ordinazioni ed evitare così una brutta figura con la cameriera. Katherine sembrò aver consentito ad accantonare l’argomento e non le restò che gustarsi  il frappé appena arrivato.

 

Passarono all’incirca cinque minuti di silenzio tra Katherine e Paul: il locale si stava riempiendo, soprattutto di impiegati, appena usciti dai loro uffici, assai impeccabili con giacca e cravatta. Dalle finestre penetravano raggi di sole assai decisi che illuminavano tutta la stanza e rendevano quel tardo pomeriggio di metà maggio piacevole: l’invito a fare una passeggiata per Venice Beach era molto forte e, si potrebbe aggiungere, quasi ovvio.

- Katherine, ti va di andare a vedere il tramonto verso la costa? – le propose Paul sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi. Katherine lo guardò intensamente negli occhi e poi, inspirò profondamente, prima di prendere parola.

 

- Paul, dopo l’estate mi trasferirò al Wellesley College, hanno accettato la mia candidatura come docente di storia dell’arte. – disse Katherine, sorvolando sull’invito di Paul.

Quest’ultimo non riuscì a trattenere l’ultimo goccio di caffè che stava bevendo, il quale finì sfortunatamente sulla sua camicia di lino. Katherine si apprestò a prendere un tovagliolo ad asciugare come meglio poteva la macchia che si era formata.

- Scusami Paul! Forse avrei dovuto dirtelo in un altro modo! – disse Katherine assai dispiaciuta. Ma Paul non le diede ascolto, anzi, la guardò assai preoccupato.

- Katherine, ma sei pazza ad andare là? Il Wellesley è un’università assai conservatrice. Cosa ti salta in mente? – disse finalmente Paul, non del tutto ripreso dallo shock di questo annuncio.

- Beh, a dir la verità sono stati loro ad avermi scelto, io ho solo fatto domanda e poi ho confermato la mia disponibilità. – proseguì Katherine, nel tentativo di dare una spiegazione.

- Cosa? Hai confermato la disponibilità? E me lo dici solo adesso? – Paul in quel momento iniziò a sentirsi offeso, oltre che furibondo.

- Non abbiamo avuto più occasione di vederci, Paul, non volevo comunicartelo tramite telefono, ci tenevo a dirtelo di persona! – continuò Katherine, cercando di fargli comprendere come stavano le cose.

- Ok, ma avresti comunque potuto aspettare ad accettare! In questo modo saremo distanti kilometri e non so quando ci rivedremo, Katherine. Non conto più niente per te? – anche Paul sembrava non essere da meno e voleva far capire alla donna tutto il suo sgomento.

Katherine sospirò e si volse a guardare la gente passare accanto alla caffetteria: vedeva sorrisi sereni, gruppi di amici, mamme con bambini, coppie di anziani; sembravano tutti così felici e spensierati. E poi proseguì.

- Paul, non è che non conti più per me, assolutamente! È solo che, penso che questa sia per me una grande opportunità. Posso contribuire a far conoscere l’evoluzione dell’arte e far sì che il mio insegnamento arrivi a studentesse assai preparate e competenti e portare avanti quello in cui credo. Non credi sia lecito il mio voler ambire a qualcosa in più, Paul? – terminò Katherine, avvicinandosi col il viso a quello del suo compagno.

- Katherine, sai che io non dubito di te, ma dubito sul fatto che là tu possa sentirti bene. È un ambiente così diverso dalla California, perché vuoi andare fin là? – le chiese a sua volta.

- Voglio andare là perché qua, purtroppo, non riesco più ad avere stimoli, mi sento sottoposta a un sovraccarico di … creatività, ecco! –

- È normalissimo, Katherine, Los Angeles è fonte d’ispirazione per tantissimi artisti! – le disse Paul, con molta ovvietà.

- È vero, solo che mi sento talmente … bombardata da innovazioni artistiche che non capisco più cosa faccia parte di me e cosa no, non riesco più a sentirmi libera di esprimermi. Ho bisogno di dare concretezza ai miei sogni in un altro modo.  Ho bisogno di cominciare un nuovo capitolo, Paul. –

- E in questo nuovo capitolo, io non sono incluso, vero? – le disse infine con un sorriso amaro in volto.

- Oh, Paul, non voglio assolutamente separarmi da te! Però sai come la penso, ho bisogno di pensare al mio sogno, soprattutto in questo momento.-

- Lo so Katherine, ma sai che non potrò aspettarti per sempre. –

 

Katherine e Paul ora si trovavano fuori dalla caffetteria, il Sole pian piano si stava abbassando e scomparendo oltre i grandi grattaceli della città. La donna stava osservando malinconicamente l’insegna di quel locale e Paul sembrò notare che qualcosa non andava.

- A che pensi, Katherine? – quest’ultima impiegò un po’ a rispondere, ma alla fine trovò le parole per dar forma ai suoi pensieri.

- Mi sento un po’ come quelle macchine che corrono alla rinfusa verso un “non dove”, per le strade della città. Senza una meta precisa, senza sapere se ci arriveranno … Paul, tu pensi che io sia una vagabonda? –

- Io credo che semplicemente tu non abbia ancora trovato la tua strada. Questo però non significa che tu non possa trovarla. Chissà, forse quel college saprà indicartela. – le rispose Paul, cercando di infonderle un po’ di sicurezza.

- Chissà, può essere. Io desidero solo sentirmi libera di esprime quello che sento dentro di me. – concluse la donna, guardandolo ora negli occhi.

- E ci riuscirai, ne sono sicuro. Ora, che ne dici di terminare la serata a Venice Beach? –

E allora Katherine, sentendosi un po’ più sollevata, buttò le braccia intorno al collo di Paul, baciandolo appassionatamente. Per il momento, quella era la sola cosa certa che sapeva. Di averlo al suo fianco.

 

1 anno dopo

 

Katherine stava leggendo l’ultimo articolo dell’anno scritto per il giornalino universitario da Elizabeth Warren: senza che potesse accorgersene, alcune lacrime spuntarono ai lati degli occhi. Non avrebbe mai immaginato di poter avere un impatto simile su quelle ragazze, tanto intelligenti ma purtroppo altrettanto manipolate dall’indole conservatrice impartita dal college. Ma soprattutto, doveva ammetterlo, non si sarebbe mai aspettata certe parole da Betty Warren: sin da subito Katherine aveva capito che tra di loro non sarebbe mai corso buon sangue, in quanto la studentessa era troppo condizionata dagli insegnamenti che le erano stati impartiti dalla famiglia e, forse, anche troppo accecata dal desiderio di diventare presto “qualcuno” degno di amore e rispetto, per capire che prima di tutto doveva imparare a portarli a sé stessa.

Alla fine, però, la piccola Betty era riuscita a imporsi a una vita che non le apparteneva: aveva fatto svanire quell’inganno, tanto sottile quanto subdolo, che le faceva credere di aver ottenuto ciò che desiderava. E aveva chiesto il divorzio da un uomo che non la amava, aveva rigettato i doveri imposti dalla sua austera madre e si era iscritta all’università di Harvard. Per dar forma ai propri sogni.

Tutto sommato, rifletté Katherine, è quello che aveva fatto anche lei, allontanandosi da Los Angeles: aveva abbandonato un luogo che la teneva al chiuso, la soffocava, nonostante fosse forse il solo dove non sarebbe mai stata giudicata troppo severamente per le sue ambizioni “progressiste”. Ma Los Angeles era diventata una bolla spessa, ma fatta d’illusioni. Al di fuori, c’era un mondo completamente diverso, un mondo che Katherine voleva scoprire e imparare ad amare. Presto si sarebbe trasferita in Belgio, dove avrebbe potuto studiare più da vicino l’arte fiamminga. Una scelta assai azzardata, certo, d’altronde, non sarebbe stato da lei rimanere a Wellesley sottostando ai compromessi stabiliti dalla Commissione dei docenti. Avrebbe trovato altre sfide toste oltre l’oceano, ma chissà, avrebbe trovato anche qualche altro “pazzoide” disposto a sostenere le sue tesi. Tutto sarebbe stato possibile. L’unica certezza, ora, era che aveva finalmente trovato la sua strada. E, a quanto pare, non era stata la sola.

 

Fine

 

Bene, come vedete si respira un’atmosfera molto diversa al capitolo precedente, incentrato di più su ostilità e incomprensioni. Personalmente mi piace la forma che sta assumendo questa raccolta, spero che il mio pensiero sia condiviso.

A presto!                                                                                                                    

Valery

 

 

 

 

 

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