Die Porträts unserer Welt - I ritratti del nostro mondo

di DhakiraHijikatasouji
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Kapitel 1 ***
Capitolo 2: *** Kapitel 2 ***
Capitolo 3: *** Kapitel 3 ***
Capitolo 4: *** Kapitel 4 ***
Capitolo 5: *** Kapitel 5 ***
Capitolo 6: *** Kapitel 6 ***
Capitolo 7: *** Kapitel 7 ***
Capitolo 8: *** Kapitel 8 ***
Capitolo 9: *** Kapitel 9 ***
Capitolo 10: *** Kapitel 10 ***
Capitolo 11: *** Kapitel 11 ***
Capitolo 12: *** Kapitel 12 ***
Capitolo 13: *** Kapitel 13 ***
Capitolo 14: *** Kapitel 14 ***
Capitolo 15: *** Kapitel 15 ***



Capitolo 1
*** Kapitel 1 ***


KAPITEL 1

Ricordo ancora le note che suonavano in quei maledetti anni...

Leipzig, anno 1916

La prima guerra mondiale stava radendo al suolo la Germania come mai prima di allora. Gli aerei solcavano il cielo con i loro motori assordanti che facevano accapponare la pelle al solo sentirli. Bombe, un’infinità di bombe pioveva sopra il suolo tedesco. E quando esse toccavano la terra, quella saltava, zampillava, ardeva...soffriva. L’uomo poteva essere intelligente quanto stupido per non accorgersi di ciò che era davvero importante. Poteva essere generoso quanto opportunista, se c’era qualcosa che andava contro i suoi interessi. Ma in quella notte dove c’era solo da scappare, le esplosioni stavano facendo di sottofondo alle grida di una donna, alla quale si erano appena rotte le acque. Era incinta di otto mesi, e lo sforzo della corsa, l’ansia, la paura, le avevano indotto il parto. Quando suo marito aveva chiuso la botola, aveva trovato la moglie ansimante su una pozza di liquido amniotico. Lui non era un medico, né potevano permettersi di cercarne uno al momento. Fu solo in grado di aiutarla a svestirsi e di mettersi lì ad aspettare fino a che il bambino non le fosse arrivato alle ginocchia.

- Sto male...ti prego, Joerg…-


- Cosa devo fare, Simone?- Le chiese con evidente esasperazione, come se la donna avesse potuto evitare di avere le doglie proprio in quel momento.

- Tiramelo fuori!- Gridò completamente sfinita dalle spinte che aveva dovuto dare. Una bomba cadde e il suolo tremò. Doveva essere molto vicina, ma questo non era rilevante per la donna quanto per l’uomo, che ebbe un fremito interiore e deglutì.

- Va bene, va bene…- Le alzò la gonna e si posizionò per accogliere il bambino tra le sue mani. Riusciva a vedere la testa: era piena di sangue e ricoperta da qualche capello chiaro. Ma non era normale che aveva già le mani sporche di sangue. - Simone…- Deglutì. Non sapeva se dirglielo, ma stava avendo una grossa emorragia. Tuttavia decise che era meglio affrontare un problema per volta. - Spingi! Fra poco sta per nascere...manca poco…- Simone lanciò un ultimo urlo prima di cadere completamente sfinita stesa sul suolo. Insieme alle bombe ora si riusciva ad udire il sottile pianto di bambino che riecheggiò nell’aria sempre più forte e sempre più sfocato nel cuore di Simone. Sorrise. Joerg invece non smetteva di guardare quella piccola creatura infreddolita dal mondo che strillava indifesa. Poi però ebbe modo di abbassare lo sguardo e sussultò: la pozza di sangue si era triplicata e la gonna di Simone ne era completamente imbrattata.

- Joerg...dammi mio figlio, ti prego- Disse con voce debole, tremante, e provata dall’enorme sforzo che aveva sopportato. Appena l’uomo glielo dette, ella liberò una lacrima: sapeva di avere poco tempo. Intanto il neonato si era calmato tra le braccia della sua mamma. - Amore mio...temo che dovrò lasciarti- Sussurrò per poi baciarlo sulla fronte. - Ti chiamerai Tom, va bene? E perdonami se non sarò con te quando crescerai…- Singhiozzò poche lacrime prima di voltarsi verso Joerg. Glielo passò delicatamente in braccio e il neonato riprese a piangere.

- Le bombe si sono fermate-

- Vorrei tanto poterlo allattare- Joerg capì ciò che intendeva dire con quelle labbra tremanti e il respiro corto.

- Simone, non dire così. Tu lo crescerai, tu lo allatterai, tu gli darai tutto ciò di cui ha bisogno. Ti prego, non parlare in questo modo, sei una donna fantastica- Ella però scosse la testa, gli occhi erano rossi e lucidi, erano l’immagine della morte che la stava cogliendo, della paura dell’ignoto, della fine che le stava toccando e alla quale oramai non poteva più sottrarsi.

- Joerg, vattene…- Sussurrò. - Prendi il bambino e vattene!- Disse a voce più alta. Aveva un brutto presentimento, qualcosa che sarebbe successo da lì a poco. Voleva perlomeno cercare di salvare le due persone più importanti della sua vita.

- Ma che stai dicendo? Non posso lasciarti qui!-

- Sì che puoi. A me non resta molto, io sto…!- Improvvisamente un’altra esplosione, sembrava lontana ma non avrebbe tardato molto ad arrivare. - Ti prego, Joerg! Scappa!- Lo guardò negli occhi. - Fallo per me...fallo per lui!- Si chinò e dette un secondo bacio sulla fronte del neonato. - Un giorno ci rivedremo, amore mio- Gli sussurrò al piccolo orecchio. Era il suo cucciolo, era ciò che aveva sognato per così tanto tempo, ma la guerra glielo aveva strappato via. Ecco cosa causa l’uomo opportunista, vile, crudele...e che non sa cosa sia davvero importante. Diede un bacio morente anche sulle labbra del marito, prima di accasciarsi nuovamente al suolo. L’uomo piangeva e lei sorrise al toccargli le guance. In tutti gli anni di matrimonio non lo aveva mai visto o sentito piangere e ora lo stava facendo per lei, perché doveva abbandonarla. - Vai, ti prego, vai…- L’uomo si alzò e la guardò un’ultima volta prima di aprire la botola.

- Ti amo, e mi dispiace...per tutto- Ella sorrise.

- Lo so- Sussurrò impercettibilmente, poi il rumore delle bombe coprì le sue ultime parole. Joerg scappò fuori e vide il cielo grigio le cui nuvole stavano venendo cavalcate dagli aerei da guerra. Se avessero lasciato cadere l’ennesima bomba sarebbe morto, ma alla fine non aveva più nulla da perdere, doveva perlomeno cercare di mettere suo figlio al sicuro. Iniziò a correre stringendo il bambino al petto, il quale aveva nuovamente ripreso a strillare. Stava lasciando tutto: la sua casa, sua moglie...tutto ciò che aveva cercato di guadagnare in tutti quegli anni stava svanendo in un colpo solo. E per cosa, poi? Per il potere. Riuscì ad arrivare giusto un centinaio di metri dal bunker quando questo venne colpito da una bomba in pieno. L’onda d’urto lo investì e cadde a terra perdendo i sensi…

***

4 anni dopo… (Leipzig, anno 1920)

- Papà! Papà, guarda!- Tom era cresciuto in quegli anni. Era diventato un bambino pieno di energie. Aveva degli occhi dorati così profondi che potevi perdertici dentro, un dolce nasino a patata e una chioma biondo cenere che soleva portare legata in una coda di cavallo. Beh, suo padre non sapeva tagliargli i capelli, e quindi spesso gli uscivano robe improponibili, così Tom, per ovviare a tutto questo, se li legava ogni mattina con un elastico ricavato dai laccetti delle proprie scarpe vecchie.
Jorg abbassò lo sguardo. Il bambino gli stava porgendo un pezzo di ferro che aveva sicuramente preso dal capanno. - Non avevi detto che ti serviva questo?- Aveva capito che a suo padre serviva qualcosa tipo quello per aggiustare la macchina.

- No, Tom...non ho mai detto che mi serviva- Rispose con tono serio riabbassandosi nuovamente dentro il cofano dell’automobile. Il piccolo assunse un’espressione triste. Voleva solo aiutarlo, ma suo padre non voleva mai saperne niente di lui. Sembrava che volesse rimanere distaccato, che egli non avesse un figlio che necessitava del suo affetto, o perlomeno delle sue attenzioni.

- Papà?-

- Mh?-

- La mamma di che colore aveva gli occhi?- Chiese sedendosi da una parte per non dare fastidio.

- Come te- 

- E di che colore ho io gli occhi?-

- Marroni, suppongo- Tom si ritrovò a sospirare e ad abbassare lo sguardo. Aveva un padre che non si ricordava nemmeno di che colore aveva gli occhi. Eppure lo vedeva ogni giorno da quando era nato. - Tom, per favore, non riesco a lavorare con te che mi stai qui. Appena ho finito di riparare la macchina, prometto che parleremo, ma adesso vai via- Si sentì trattato come un cagnolino, un cucciolo che era fastidioso perché troppo gioioso e perciò veniva allontanato. Mestamente, si allontanò ed entrò nella piccola casa che li accoglieva. La guerra era finita da ormai due anni, eppure dentro il cuore del piccolo Tom c’era ancora un conflitto. Era un’eterna battaglia tra ciò che non conosceva e ciò che sapeva e non gli piaceva. Non aveva mai provato felicità, anzi...non sapeva neanche che cosa volesse dire sorridere. Joerg non lo aveva mai accarezzato, non gli aveva mai detto “ti voglio bene”, ma solo “tua madre è morta in un bunker il giorno che nascesti”. Tom non sapeva come sentirsi, se un dono o un rifiuto di dio. Non credeva di meritarsi di stare al mondo, anche se a volte gli accadevano cose così brutte che pensava fosse proprio il posto adatto ad uno come lui. E questo successe dopo quella notte dove Joerg lo stava mettendo a letto.

- Papà?-

- Mh?-

- Ma tu mi vuoi bene?- L’uomo più lo guardava negli occhi, più non aveva il coraggio. Continuava a ripetersi se fosse la cosa giusta da fare, se davvero suo figlio si meritasse una cosa tanto meschina. Tuttavia era giusto che non sospettasse nulla, e poi pensava che in fondo Tom si meritasse un minimo di soddisfazione.

- Sì. Sei mio figlio, è ovvio che te ne voglio- E Tom non era così grande da contestare, da rispondergli che no, non era così ovvio...ma era piccolo abbastanza da farsi bastare quelle parole, da sorridere e da coricarsi sotto le coperte. - Buonanotte, Tom- Si diresse verso la porta e spense la luce.

- Papà…-

- Dimmi-

- Anche io te ne voglio- Joerg rimase per qualche istante immobile, poi annuì leggermente con la testa e Tom si sentì finalmente in pace, finalmente felice, finalmente soddisfatto. Forse qualcosa stava cambiando nell’animo di suo padre, forse era stato sempre così freddo per non farlo crescere con l’idea che era tutto dovuto, perché aveva un carattere severo e con un bambino piccolo credeva fosse un buon atteggiamento per non fargli fare i soliti capricci. Insomma, tante idee si stavano mischiando nella mente di Tom, il quale si ritrovò a guardare le stelle dalla piccola finestrella e pensò per la prima volta che il mondo fosse un’autentica opera d’arte.

***

“Waisenhaus”. Erano dei segni che formavano una nuova parola che avrebbe aggiunto al suo vocabolario quando avrebbe saputo leggere. O forse non occorreva che sapesse leggere. Con la macchina ormai riparata, il padre aveva deciso di caricarlo sopra e di portarlo “a fare un piccolo viaggio”, diceva.

- Ma dove andiamo?- Chiedeva il bambino guardando la strada sterrata e cercando di non respirare il polverone che le ruote del veicolo creavano. Tossì. Troppo tardi. D’altronde quel catorcio non aveva i finestrini, suo padre l’aveva costruito da solo con le proprie conoscenze in meccanica. Però doveva ammettere che andava che era un piacere. Certo, ogni tanto emetteva qualche rumore di natura incerta, ma sembrava reggere ancora un po’. E poi a Tom stava piacendo tanto andare in macchina. Non ci era mai salito, aspettava solo che il padre finisse per poterci salire. Finalmente avrebbe visto il mondo, pensò. E invece niente. Appena arrivati camminarono per qualche minuto fino a giungere ad una costruzione parecchio isolata dal resto della civiltà. Tom era arrivato davanti alla porta e aveva alzato il naso: “Waisenhaus”. Che cosa voleva dire?

- Vieni, Tom-

- Papà...dove siamo?- Chiese mentre l’uomo suonava il campanello. Infatti non gli rispose e Tom non si pronunciò nuovamente. Sapeva che se suo padre non rispondeva c’era un motivo, anche se aveva paura di sapere quale sarebbe stato. Quel silenzio rimase fortunatamente per pochi secondi, prima che una vecchia signora venne ad aprire loro.

- Buongiorno, le serve qualcosa?- Chiese gentilmente. Anche a quella domanda Joerg non rispose e Tom sperò che la signora non rifacesse la domanda. Non doveva rifarla. Era una regola. Tuttavia il padre abbassò lo sguardo su di lui e poi lo rivolse nuovamente all’anziana, la quale sembrò capire senza parole e si scostò per farli entrare.

- Allora Tom, tu aspetta qui. Io e questa signora entriamo in quella stanza. Tu non ti muovere. Mettiti a sedere lì- Il bambino obbedì a bocca chiusa e si mise composto su uno di quelle poltrone polverose e puzzolenti di vecchio, come se quello fosse stato un ospizio. C’era tanto silenzio e Tom stava cominciando già ad avere paura. Era buio, pieno di ombre sinistre...quel posto era inquietante. Voleva poter chiedere a papà di stare con lui, che avrebbe fatto finta di non sentire i loro discorsi, ma sapeva che non sarebbe stato un permesso accordato. Così rimase lì. Ogni tanto sentiva lo scalpiccio di piedi e delle risate che parevano appartenere a dei bambini. Sempre più sinistro tutto quello. Aderì meglio con la schiena alla poltrona e deglutì. Gli stava venendo da piangere, il suo respiro accelerato preannunciava lacrime, quando improvvisamente la porta si aprì.

- Papà!- Joerg uscì con l’anziana signora alle spalle e vide il figlio corrergli incontro. Quando lo raggiunse lo abbracciò forte appoggiando la testa sulle sue cosce. Non voleva più stare in quell’orribile posto. - Papà...andiamo a casa?- Domandò alzando lo sguardo, ma sussultò. Suo padre lo fissava con occhi vitrei, come se fosse cieco e non lo potesse vedere. Tom tremò internamente. Che cosa voleva dire tutto quello?

- Ti chiami Tom, giusto?- Chiese l’anziana signora e il bambino annuì. - Scommetto che farai presto amicizia con qualcuno, ci sono tanti bambini qui che potresti conoscere-

- Cosa…?- Un fil di voce uscì dalle sue piccole labbra, ma neanche il tempo di realizzare, che suo padre si trovava già alla porta. - NO, PAPA’!- Gridò e sentì la mano ossuta di quella donna trattenerlo per un braccio. Cominciò a piangere disperato. Joerg aprì la porta e si voltò un’ultima volta, esattamente come quando lasciò Simone quattro anni prima. Tom si riuscì a liberare dalla presa e lo seguì fino a che non arrivarono alla macchina. - Papà, non andare via! Io ti voglio bene!- Gli afferrò il cappotto.

- Lasciami, Tom!- Glielo levò di mano con uno strattone e questo fece cadere il bambino in ginocchio. Joerg non se ne curò e salì in macchina. Tom ebbe solo il tempo di alzare lo sguardo appannato e di vedere una figura distinta fare retromarcia e lasciare quel posto. Era stato il suo primo e ultimo viaggio in macchina. E lui che non vedeva l’ora di salirci, adesso aveva capito perché suo padre la stava costruendo.
L’aveva abbandonato lì, al “Waisenhaus”.
All’orfanotrofio.

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Capitolo 2
*** Kapitel 2 ***


KAPITEL 2


L’orologio continuava con il suo tic toc in quella stanza buia, sporca e maleodorante. Tom era seduto su quel letto freddo e guardava un punto fisso. Gli occhi spalancati, rossi per non aver dormito tutta la notte. Era sicuro che era morto dentro. Pareva un impiccato, strozzato ormai da quel cappio che gli era stato messo al collo da quando era venuto al mondo. Gli occhi ormai ridotti ad un punto, neri, vuoti, spenti...morti. Forse si era pure fatto la pipì addosso, erano ore che non si muoveva da quella posizione. Suo padre...come aveva potuto commettere quel gesto nei suoi confronti? Come…? Perché? Non riusciva a non porsi quelle domande come un mantra. Lui era un bambino buono, ubbidiente, non dava problemi, suo padre non aveva motivo di lamentarsi della sua presenza. Allora perché aveva voluto sbarazzarsene? Ogni tanto si ritrovava ancora a piangere, ad urlare, a parlare da solo con il fantasma di sua madre, a chiedere un abbraccio invisibile, perché lui era ancora piccolo, era ancora un cucciolo e aveva bisogno del calore. Non era pronto per affrontare il mondo da solo.
- Mamma...sono un bambino cattivo?- Chiedeva nel silenzio. - Ho fatto qualcosa di male a papà? Se torna prometto che gli chiedo scusa- Ma nessuna risposta giungeva. Forse era proprio quello che si meritava, forse…
Sospirò, troppe incertezze. Non gli restava che piangere. Poteva però sentire le carezze delicate di sua madre, o forse era solo il vento gelido che entrava in quella stanza e lui sognava qualcosa di più.

- No, tu piccolo mio non hai nulla che non va-

- Allora perché mi sento così male, mamma?-

- Shh...cerca di dormire…- Era così piacevole la sua voce...Gli occhi gli si chiusero da soli. - Un giorno sarai felice-

TOC TOC!

Tom spalancò improvvisamente gli occhi quando sentì bussare alla porta. Solo in quel momento si accorse di tutto quello che aveva provocato: i pantaloni bagnati, gli occhi che gli bruciavano stanchi e un odore non proprio gradevole nella sua camera. Deglutì e si alzò. Aveva ancora paura di scendere da quel letto, ma avrebbe dovuto se non voleva dormire sulla sua stessa urina. Si fece quindi coraggio e si avvicinò alla porta per poi aprirla. Rimase sorpreso quando non trovò una persona adulta dall’altra parte, ma un ragazzino, alto poco più di lui.

- Ehi, ciao. Mi hanno mandato su per venire a chiamarti per la cena- Tom rimase fermo sulla porta. Non aveva intenzione di mangiare, non aveva fame, voleva solo permanere nella sua stanza a lasciarsi andare tranquillamente, e provare a raggiungere la mamma. - Cavolo…- Disse abbassando lo sguardo e notando i vestiti sporchi di Tom. - No, non puoi scendere così. Vieni, ti aiuto- Si prese la libertà di entrare nella sua stanza e come prima cosa andò a spalancare la finestra. Tutto comprensibile, però non lo aveva giudicato come avrebbe fatto qualcun’altro. Forse perché anche lui aveva provato lo stesso. - Tieni, mettiti direttamente il pigiama, molti lo fanno- Gli passò una piccola vestaglia della sua taglia, ma Tom rimase immobile, la lasciò cadere a terra. Il ragazzino quindi decise fosse meglio prenderla con più calma. - Come ti chiami?- Silenzio. - Io mi chiamo Oskar- Raccolse la vestaglia. - Va tutto bene...va bene?- Cercò di prendergli una mano o perlomeno di accarezzargli il braccio, ma il piccolo si ritrasse. - Sei grande abbastanza per avere certi traumi. Molti bambini vengono qui da neonati e sono cresciuti in questo posto, ma tu...sei come me- A quel punto Tom alzò lo sguardo ed Oskar sorrise. - Esattamente. Abbandonato sia da mamma che da papà perché non potevano più mantenermi. Avevo anche io quattro anni...ora ne ho nove- Dall’occhio destro di Tom scese una lacrima che Oskar provvide ad asciugargli. - Piangere non serve a niente. Ormai sei qui ed io sono tuo amico-

- A-amico?- Chiese con quella voce sottile. Non sapeva cosa fosse ma sembrava una cosa positiva. Il bambino annuì. Aveva dei capelli d'un castano molto scuro e gli occhi verdi come fossero due smeraldi.

- Starò con te, ma voglio che sorridi- Tom lo fissava immobile. - Tranquillo, non c’è fretta. Intanto mettiti questa- Afferrò nuovamente la vestaglia e annuì più convinto. Si tolse tutti i vestiti e si mise della biancheria pulita. - Da’ pure a me i vestiti, li porto in lavanderia. Quando hai fatto, vai pure giù e siediti, io ti raggiungo presto, va bene?- Tom annuì. Adesso si sentiva già un po’ meglio. Si mise la piccola vestaglia e uscì dalla stanza dirigendosi al piano di sotto. C’erano altri bambini e bambine che stavano a tavola aspettando di essere serviti. Nessuno lo fissava, ma era sicuro che lo guardassero di sottecchi. Erano curiosi di sapere chi fosse il nuovo arrivato, ma vedendolo così cupo e triste, non avevano pensato minimamente di rivolgergli la parola. Tom prese posto mentre Oskar arrivò qualche minuto dopo. Quando la donna cominciò a servire, il bambino pensò che dovesse mangiare forzatamente, che sennò lo avrebbero rimproverato, così afferrò la forchetta ma…

- E’ evidente che ancora non conosci le regole di questo posto. Oskar non te le ha spiegate?- La voce della proprietaria attirò tutta l’attenzione su Tom, il quale non stava capendo. Non si mangiava con la forchetta in quel posto?

- Pss- Oskar gli dette due gomitate e poi congiunse le mani. Tom quindi capì che doveva imitarlo e così fece. La donna sospirò e chiuse gli occhi cominciando a recitare la preghiera.

“Vater unser im Himmel, 

Geheiligt werde dein Name. 

Dein Reich komme. 

Dein Wille geschehe, wie im Himmel so auf Erden. 

Unser tägliches Brot gib uns heute. 

Und vergib uns unsere Schuld

wie auch wir vergeben unsern Schuldigern. 

Und führe uns nicht in Versuchung,

sondern erlöse uns von dem Bösen.

Amen”

Cominciarono a mangiare, ma l’anziana signora continuava a fissarlo e questo metteva Tom leggermente a disagio. Va bene, aveva sbagliato, e allora? D’ora in poi non lo avrebbe fatto più. Tanto ormai riusciva a commettere solo errori…
Quando finirono di mangiare, si incamminarono nelle loro stanze, ma quella notte fu terribile: improvvisamente un lampo illuminò la piccola stanzetta di Tom e fu seguito da un forte rumore, sembrava una bomba. Tom era nato con quel rumore nelle orecchie e, nonostante fosse appena in fasce, lo ricordava ancora vivido dentro di sé. Sussultò e si nascose tutto sotto le coperte tremando come una foglia. Continuava a ripetersi in testa che voleva la mamma, che voleva il papà...che comunque, anche se era stato cattivo con lui, lo avrebbe fatto sentire più sicuro saperlo nella stanza accanto. Poi improvvisamente una mano lo toccò…

- AH!-

- Shh, sono Oskar- Un lampo giunse in quel momento e lo illuminò, quindi non aveva più dubbi.

- Oskar?-

- Sì. Anche io la prima notte avevo paura, così sono venuto a vedere come stavi- Tom tremava, era una chiara risposta. - Ti va bene se dormo con te?- Non aspettò che il bambino dicesse qualcosa e scostò le coperte infilandosi nel letto. Tom non perse tempo e nascose il viso nel suo petto quando vide l’altro lampo che preannunciava l’arrivo del tuono. Ma le braccia di Oskar, per quanto piccole, lo stavano tenendo al sicuro. - Ehi, piccolo...tranquillo- Gli sussurrò. Tom sollevò lo sguardo mostrando i suoi lacrimoni, che Oskar gli asciugò una seconda volta. - Ma quando la smetterai di piangere? Vieni qui- In quell’abbraccio Tom sentì di potersi liberare una volta per tutte ed iniziò letteralmente a disperarsi. Oskar lo capiva. Così piccolo e sapeva già cosa voleva dire sentirsi abbandonati, sentirsi non amati e non voluti. - Sì, così...bravo- Lo lasciava urlare, non gli importava di chi lo avesse sentito. Quelle persone dell’orfanotrofio dovevano sentire che sofferenza avevano provocato non facendo ragionare minimamente i loro genitori sul gesto che avevano ormai commesso. - Va bene, adesso calmati. Devi dormire, non hai dormito tutta la notte precedente- Lo aveva visto? Come mai si era preoccupato così tanto da subito? Non lo conosceva neanche. Tom cercò di rallentare il proprio respiro, di chiudere gli occhi, ma ancora il suo piccolo corpo stava venendo scosso dal pianto. - Sei così piccolo…- E Oskar ci si rivedeva, in tutto e per tutto. Avesse avuto anche lui qualcuno che veniva ad abbracciarlo la notte, qualcuno che si occupasse per un attimo dei suoi sentimenti.

- Oskar?- Il giovane era troppo concentrato sulla Luna coperta dalle nuvole nere per sentirlo. Allora Tom non si pronunciò oltre. Aveva chiesto una volta, non doveva richiedere, sennò sarebbe rimasto nuovamente solo. Ma ora che ci rifletteva quella regola non lo aveva portato a niente se non a soffrire di più. - Oskar?-

- Oh, scusa, dimmi- Si era scusato. Per Tom era una nuova cosa. Non avrebbe dovuto scusarsi lui per aver insistito? Deglutì.

- Tom-

- Cosa?- Il bambino si batté una mano sul petto. - Ti chiami Tom?- Annuì.

- Mamma mi ha chiamato così- Oskar ridacchiò. Era così dolce…

- Allora dormi, Tom- Gli sussurrò. Il piccolo sorrise e si accoccolò più comodamente sul suo petto. E Oskar rimase un altro po’ sveglio pensando che finalmente Tom gli aveva rivolto un sorriso ed era stato il sorriso più adorabile che avesse mai visto.

***

8 anni dopo… (Leipzig, 1928)

Tom e Oskar erano cresciuti in quel tempo. Erano diventati grandi amici, più uniti del pane burro e marmellata a colazione. Sempre la stessa da ormai otto anni, almeno che non volevi il latte con i fiocchi d’avena. Correvano per il cortile, si inventavano giochi, i quali spesso includevano la palla mezza stracciata di cuoio che veniva tenuta nel capanno e che spesso dovevano litigarsi con gli altri bambini. Una volta era successo perfino che per ripicca un ragazzino facente parte di un gruppetto la tirasse in faccia a Tom. Il naso gli sanguinò per un bel po’ ma fortunatamente non si ruppe niente...a parte il ragazzino stesso, malmenato da Oskar. Il maggiore era molto protettivo nei confronti di Tom, era finito molte volte dalla proprietaria per averlo difeso. Solo perché era quello più taciturno veniva preso in giro o picchiato e Oskar questo non lo sopportava. Dormivano sempre insieme, nello stesso lettino. Oskar arrivava durante la notte e se ne andava la mattina molto presto, prima che potessero vederlo. E insomma crescendo perennemente attaccati, si erano accorti che non potevano stare l’uno senza l’altro, nonostante la differenza d’età. Anche perché con quello che gli era successo, Tom era diventato un cucciolo che era dovuto crescere troppo in fretta, e come età mentale lui e Oskar erano più o meno uguali. Il loro posto preferito era sotto il grande melo che stava sopra una collinetta dietro l’orfanotrofio. Era cinque minuti a piedi, nulla di impegnativo. Quando l’albero regalava qualche frutto, loro si arrampicavano e se lo prendevano. Se era uno, se lo dividevano; se erano due, condividevano semplicemente quel momento. Era spesso il tramonto. Oskar era sempre così protettivo e dolce, che Tom non poteva fare a meno di lasciarsi avvolgere dalle sue braccia. Però c’era una cosa che non capiva. Perché tutti i bambini li guardassero male o come se fossero una chiazza di pipì lasciata sulle lenzuola, cosa che accadeva spesso le mattine, però tutti sembravano prendere meglio quella che loro due. Tom non era consapevole di quello che sentiva, sapeva solo che non avrebbe mai rinunciato ad Oskar, a passare del tempo con lui a giocare, a chiacchierare, a godersi un tramonto o a fare a botte con quegli altri stupidi, come li chiamava Tom.

- Oskar?-

- Dimmi-

- Sai che cosa ho visto ieri? Però non lo dire a nessuno…-

- Te lo prometto-

- Stavo passando per il corridoio e in una stanza ho praticamente visto due nostre compagne...sai quelle due più grandi di me e più piccole di te?- Oskar annuì. - Ecco, loro forse pensavano di non essere viste, ma io le ho beccate che si stavano...come toccando...non lo so...forse giocavano-

- Giocavano?- Tom annuì. - Cioè erano messe tipo così- Si sdraiò sull’erba allargando le gambe. Però riassunse subito la posizione eretta siccome quella lo faceva sentire molto a disagio. - E avevano la mano lì in mezzo…- Arrossì di colpo. Gli sembrava una cosa così sporca e interessante allo stesso tempo. Si vergognava di ammetterlo, ma non poteva tenere segreti con Oskar. - E forse non avrei dovuto, ma sono rimasto a guardare. Avevano la faccia tutta rossa ed emettevano versi strani...facevano quasi ridere- Il maggiore deglutì. Lui sapeva che cosa stavano facendo esattamente le loro compagne ma Tom era ancora così innocente che stava cominciando a scoprire ora certe cose. - E poi...certe volte, tipo quando mi siedo...e mi struscio...cioè tipo così..- E fece avanti e indietro con il bacino. - Ora no, ma a volte è bello...e non so cosa è...ti è mai capitato a te?- Il castano si grattò la nuca non sapendo bene come spiegargli certe cose. Tuttavia pensò che siccome si stava sentendo a disagio, confessare che anche per lui era lo stesso, lo avrebbe calmato un poco. Quindi annuì. - E perché succede?-

- Ehm...cioè, io penso che va in base a quanto ti cresce il coso che possediamo- Tom alzò un sopracciglio. - Cioè più cresce, più diventa sensibile a certe sensazioni…-

- E quando lo avrò così?- Con le mani fece una misura esageratamente spropositata e quindi Oskar scoppiò a ridere. - Anche fare pipì mi farà provare certe cose?- No, non ce la poteva fare. Oskar era quasi morto dal ridere quando riuscì a rimettersi a sedere. Si asciugò le lacrime.

- Guarda, che prima o poi smette di crescere, sennò come faresti a camminare?-

- Ah...peccato- Oskar scosse la testa. - Perché a me hanno detto che ce l’ho piccolo, e non va bene. Deve crescere assolutamente!- Va bene, ora doveva fare il serio, per quanto fosse divertente. Quelle erano prese in giro e Tom doveva capire la realtà delle cose.

- Tom, devi dargli tempo, come lo hai dato a tutto il resto del suo corpo. Quello ci mette di più perché ancora non sei pronto per utilizzarlo-

- Mah, per quanto ne so l’ho sempre utilizzato bene-

- Sì, ma io dico per altre cose…-

- Quali cose?- Il ragazzo arrossì un poco, ma era anche vero che l’ingenuità di Tom gli stava facendo provare sensazioni mai conosciute prima. Anche se era fisicamente più piccolo, più gracile, e più a bambino, Oskar si sentiva attratto da lui. La sua piccolezza, la sua tenerezza...non gli avrebbe mai fatto del male. Improvvisamente sentirono l’orologio suonare in lontananza.

- Sarà meglio rientrare-

- No, aspetta! Quali cose?-

***

La cena aveva fatto schifo, come al solito. Ma Tom non era rimasto a digiuno solo per quello, anche perché quando aveva tanta fame mangiava eccome, solo che era rimasto con mille dubbi in testa...cosa stava succedendo al suo corpo? Perché ripensare alle sue compagne gli faceva ribollire il sangue nelle vene? Tra le lenzuola continuava a rigirarsi senza riuscire a dormire. Improvvisamente la porta si aprì, ma lui neanche ci fece caso dato che gli dava pure le spalle. Quando sentì il corpo caldo di Oskar insinuarsi nelle sue coperte fu solo capace di fremere e di provare un certo piacere. Non era normale tutto quello. Va bene che nessuna femmina gli si avvicinava per il fatto di essere così timido, ma l’unica volta che una di loro ci aveva provato, Tom non era riuscito a sentire niente, anche con le altre, ed erano tanti lì dentro. Provava qualcosa solo per Oskar…ed era un male? Era per compensare il padre che non aveva mai avuto, che lo aveva abbandonato? Quando Oskar lo abbracciò da dietro, quella fu la fine nel suo cuore. Si voltò.

- Ehi, sei tutto rosso in viso- Constatò il maggiore accarezzandogli una guancia calda.

- Oskar...ma io ti piaccio?- Aveva chiesto ingenuamente.

- Cosa? Tom, certo che mi piaci-

- Ma in che senso?-

- Perché tutte queste domande?-

- Tu rispondi- A quel punto il ragazzo tacque. Si erano promessi di non avere più segreti, ma come poteva confessare certe cose al suo migliore amico?

- Mi piaci...e vorrei poter rimanere sempre con te-

- Anche io- A quel punto Oskar abbassò nuovamente lo sguardo incontrando i suoi occhi dorati. Dio...erano così belli, così innocenti...che non resistette. Chiuse gli occhi e lo baciò. Tom non si staccò. Tutto quello gli stava piacendo tanto. Era una nuova cosa per lui. L’aveva vista fare a qualche suo compagno con una ragazza, e avrebbe tanto voluto provarla. Le labbra di Oskar erano morbide e accoglienti, mentre quelle di Tom erano più piccole e da proteggere. Si staccarono piano. - Oskar…- Il maggiore si avventò nuovamente sulle sue labbra, ma si stava rendendo conto che era davvero troppo e quindi si era staccato improvvisamente. Scese dal letto.

- Forse è meglio che per stanotte io continui a dormire nella mia stanza...va bene?-

- Ma Oskar…-

- Non...è necessario, Tom...davvero. Sei troppo piccolo, ed io non voglio approfittarmi di te, mi sentirei un pedofilo!-

- Che cosa è?-

- Vedi!? Non sai niente, ancora!-

- Allora fammi sapere! Oskar, a me non ha dato fastidio quello che hai fatto e che stavi continuando a fare-

- Perché non capisci! Non puoi capire quanto sia sbagliato, e non solo perché io sono più grande, ma perché sono un maschio!-

- Oskar, io sento...davvero…- Sospirò. Era nuovamente impacciato e un silenzio imbarazzante calò in quella stanza. - Tanto non lo verrà a sapere nessuno. Io non dirò niente e tu non dirai niente- 

- Questo è poco ma sicuro, Tom!-

- Ma che cosa succederebbe se…-

- Se ci scoprissero?- Il minore annuì. - Non lo so con certezza, ma ho letto di torture, uccisioni...esilio!- Tom abbassò la testa. Davvero era così crudele il mondo? - E anche quello che hanno fatto quelle altre non è giusto! Non possiamo avere certi atteggiamenti, per di più se siamo dello stesso sesso-

- Ma io non...non provo nulla per…-

- Perché ancora sei piccolo, Tom!- Lo interruppe Oskar. - Buonanotte- Poi prese e uscì dalla sua stanza cercando di non sbattere la porta o perlomeno sperando che nessuno avesse sentito, perché alla fine la sua forza ce l’aveva messa. Tom si ritrovò quindi a cadere cedevole sul letto completamente sconvolto. Lo aveva detto lui che era completamente sbagliato. Provare attrazione per Oskar era da persone malate! Lui era malato, non c’era altra spiegazione! Domani sarebbe venuto il dottore, si sarebbe fatto visitare!

***

- Ehm...Tom, io qui non vedo nulla- Il medico tolse il bastoncino che aveva messo sulla lingua del dodicenne.

- Guardi meglio!-

- Ho già guardato tre volte, Tom. Non hai niente che non va. Perché sei così convinto di stare male?-

- Perché dico sempre sciocchezze quindi pensavo che lei potesse guardarmi la gola e capire perché!- L’uomo rimase perplesso per qualche secondo, poi scoppiò a ridere. 

- Sei veramente adorabile, Tom. Comunque no, non hai niente. Semplicemente devi stare più attento a quello che dici, pensarci più di una volta-

- E dov’è il foglio?-

- Quale foglio?-

- Sì, quello dove sta scritto cosa mi prescrive per guarire-

- Ma se non sei malato, non…-

- Dottore, forse lei mi crede matto, non lo so, ma se mi scrivesse sul foglio cosa devo fare sicuramente me lo ricorderei meglio- Al dottore non rimase che sorridere, prendere la penna, e scrivere su uno straccetto “Pensa prima di parlare”. Questa sarebbe stata la prima e l’ultima volta nella sua vita, ne era sicuro. Lo porse a Tom. - Grazie, dottore, e buona giornata!- Se ne andò tutto contento.

- Anche a te- Però quando chiuse la porta il sorriso si spense. Oskar era in piedi davanti a lui che lo fissava. Non ebbero il coraggio di dirsi niente, semplicemente il più grande lo oltrepassò ed entrò per farsi visitare. Tom sospirò e abbandonò il posto.

Un’ora più tardi si trovava nel capannone a sedere su dei sacchi di farina. Si stava annoiando a morte, non ne poteva più. Oskar lo stava ignorando da tutto il giorno. Aveva cominciato anche a stare maggiormente con le ragazze, anche se era la prima volta che rivolgeva loro la parola. Tom non capiva. Che cosa era cambiato tra loro? Poi la porta del capanno si aprì ed entrò appunto il tormento dei suoi pensieri.

- Che ci fai qui?- Domandò.

- Voglio chiedere lo stesso a te- Rispose rigirandosi un fiorellino tra le dita. Era una margherita che stava appassendo come il suo animo.

- Volevo parlarti-

- Strano…-

- Perché strano?-

- Così, strano- Oskar sospirò. Tom era naturalmente offeso. Dopo anni che non si erano mai lasciati la mano, improvvisamente dovevano cercare di negarsi perché stavano provando sentimenti che nessuno classificava come “normali”. 

- Tom- Si sedette accanto a lui. - Io e te siamo amici, va bene?- Egli annuì impercettibilmente. - E...ieri sera...quando ci siamo baciati...è stato…-

- Bello- Concluse il più piccolo sovrappensiero. Quel bacio era stato come una cura a tutti i suoi tormenti.

- Tom…-

- No!- Si mise in piedi. - Io sono stanco, Oskar! Va bene!? E’ tutta la vita che mi sento così oppresso, e tu sei stato l’unico che ha permesso alla mia personalità di crescere, hai permesso a me di mostrarmi al mondo! E ora...anche tu vuoi lasciarmi!?- Anche il maggiore si alzò in piedi.

- Non ho mai detto questo…-

- Ma me lo hai fatto capire! Dio, avrei dovuto capirlo prima che sei solo uno che ha aspettato il momento adatto per scaricarmi!- Improvvisamente un dolore lancinante alla guancia lo fece indietreggiare e cadere. Quando riaprì gli occhi vide Oskar, il quale gli aveva appena tirato un pugno.

- Ed io invece avrei dovuto capirlo prima che sei uno stupido superficiale come tutti gli altri! Hai visto solamente quello che è successo ieri, non hai minimamente pensato a tutte le lacrime e il sangue che ho speso per te!- Tom si era rimesso in piedi e lo aveva guardato con sufficienza.

- Non eri obbligato-

- No, certo, peccato che a me è sempre venuto automatico!-

- Che cosa!?-

- Proteggerti, Tom!- Il biondo si fermò sul posto un istante. - Ma tanto non è valso a nulla. E’ stato tutto tempo perso…- Chinò il capo e fece per andarsene mestamente dal capanno quando lo prese per un braccio bloccando il suo passo. Poi gli passò davanti e chiuse il capanno a chiave. - Che cosa stai facendo?- Tom si gettò nuovamente sulle sue labbra baciandolo. Oskar lo resse per non farlo cadere. - Tom, che fai!?-

- Anche a me viene automatico proteggerci, va bene? Non solo perché sono più piccolo vuol dire che ho meno giudizio- Rimasero ad osservarsi con il fiato ansimante. - Ho chiuso...nessuno può entrare...possiamo fare tutto quello che vogliamo, Oskar. Siamo liberi in questi quattro metri quadri- E il suo sorriso sembrava composto da perle. Era luminoso, era...quel sorriso del quale Oskar si era invaghito. Ripresero a baciarsi, e nonostante erano giovani, la voglia era davvero tanta. Sembrava essere esplosa tutta insieme, non potevano controllarla. Non avevano avuto abbastanza esperienza per imparare. Ma avrebbero imparato insieme. Si stesero sui sacconi di farina. 

- Fa caldo qui…-

- Spogliamoci-

- Tom…-

- Non voglio più nascondere quello che sono, Oskar. Basta avere paura- Era stanco di tutto quello. Si tolse la camicetta color avorio e si abbassò i pantaloni. Lo stesso fece anche Oskar e Tom poté appurare che lo aveva più grande del suo. - Da quello che mi hai detto, dovrebbe essere più sensibile-

- Tom...stiamo esagerando, va bene? I baci vanno bene ma…- Ma niente. La mano del più piccolo si era già diretta sopra il tessuto del suo intimo e faceva dei movimenti così inesperti che Oskar non poteva ignorare. - Tom…-

- Cosa?-

- E’ complicato ma...non è per niente vero quello che ti ho detto...che vorrei stare per sempre con te-

- Perché?- Chiese quasi dispiaciuto.

- Perché a me...a me piaci davvero tanto, Tom...e non voglio stare solo per sempre con te...vorrei fosse possibile averti totalmente mio anche lì dove il per sempre non è abbastanza- Tom arrossì davvero tanto, come mai in vita sua. Erano state delle parole meravigliose, che credeva nessuno avrebbe mai pronunciato per lui. - E poi ti ho mentito anche su un’altra cosa…- Allungò anche lui una mano e la immise nell’intimo di Tom, il quale gemette. - Siamo sensibili allo stesso modo- Oskar si spostò sopra di lui per continuare a baciarlo. Si vedeva che erano inesperti, ma stavano solo scoprendosi. La loro era pura ingenuità. Non era essere maliziosi, era capire cosa riuscivano a sentire facendo determinate cose, come quella di toccarsi all’unisono mentre le loro labbra facevano l’amore. A Tom stava piacendo da morire tutto quello, e pure Oskar sembrava gioire delle sue piccole mani. - Tom, voglio che tu sappia una cosa-

- D-dimmi…- Era ansimante.

- Se continui su questa strada non avrai altra scelta che soffrire-

- Almeno io sto scegliendo...voglio continuare a soffrire...e voglio continuare per te- Erano così uniti in quel momento, le loro gambe intrecciate, i loro occhi incatenati. Continuarono a baciarsi, perché alla fin fine era la cosa più bella. Però pure le mani non si fermarono e un dito di Oskar andò anche a sfiorare l’apertura di Tom. - Q-quello preferirei di no-

- No?- Tom scosse la testa. - Va bene, allora- Sussurrò. Passarono minuti interi in quel modo, a sentirsi in maniera profonda, anche se vista da fuori poteva sembrare solo una cosa sporca...e beh, era anche quello, ma non solo. Il sesso si scopre prima o poi, anche se non se ne parla...e la cosa bella è che se nessuno impartisse stereotipi, ognuno sarebbe improvvisamente libero di scoprire cosa più gli piace.

- Oskar, fai più veloce?-

- Aspetta- Si abbassò tra le sue gambe e cominciò ad utilizzare la lingua. Tom vide letteralmente le stelle e non resistette molto prima di venire sul proprio ventre. Rimase lì, con le guance rosse ad ansimare. - Direi che abbiamo finito-

- Ma...cosa è stato?-

- Hai avuto un momento di piacere assoluto, ecco tutto-

- Ma tu non lo hai avuto-

- Non importa-

- No, sul serio, se vuoi continuo…-

- Tom, hai tempo, va bene? Non sono io quella persona con la quale devi fare tutte queste cose. Io ti ho solo fatto capire, poi la vita è tua- Gli disse dolcemente accarezzandogli il viso. - Va bene così, tanto lì c’è una cannella con l’acqua fredda, vedrai che saprò porre rimedio- Tom non riusciva a capire. Una volta che il suo membro era diventato duro lui doveva assolutamente avere quel momento, come mai Oskar ci aveva rinunciato così facilmente? - Smettila di farti tutte quelle domande. Ho fatto così perché volevo essere il primo a regalarti il tuo primo momento di piacere, e a me non interessava avere altrettanto- Come se Oskar avesse sentito i suoi pensieri, disse quelle parole. Tom arrossì. Aveva pensato prima al suo piacere che al proprio. Che cosa era quel batticuore nel petto? Non lo sapeva, ma prima che se ne andasse, ebbe modo di fermarlo una seconda volta.

- Grazie, Oskar-

- Per sempre, Tom- Lo baciò un’ultima volta per suggellare quella promessa.

- Für immer...Oskar-

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Capitolo 3
*** Kapitel 3 ***


KAPITEL 3


Per sempre...Oskar

Queste erano le parole che risuonavano nella mente del moro nel momento che andò a ritirare la posta. Tra le tante lettere, ne trovò una in particolare, e sopra c’era scritto il suo nome, quindi stava a significare che non era solo per l’orfanotrofio, ma anzi, che lo riguardava in prima persona. Tuttavia non poteva nasconderla, perché la proprietaria si sarebbe arrabbiata molto con lui e quindi gliela consegnò chiedendo spiegazioni. La donna aveva preso il foglio e letto con attenzione. I minuti di silenzio parevano interminabili. Si udiva solo il fastidioso ronzio di una mosca, la quale non aveva capito che non poteva attraversare il vetro della finestra solamente sbattendoci sopra.

- Bene bene…- Disse infine la direttrice, e il ragazzo alzò la testa per ascoltare. - Sembra che delle persone vogliano incontrarti, mio caro Oskar-

- I-incontrarmi...?- Chiese. Chi mai avrebbe voluto incontrarlo? Nessuno lo conosceva lì dentro. Per un attimo gli si illuminarono gli occhi pensando che magari i suoi genitori fossero tornati indietro a prenderlo. Certo, non li avrebbe accolti senza risentimento, ma sarebbe stata comunque un’emozione impagabile. Tuttavia, non si mostrò tale la sua aspettativa.

- Sì, i signori Winkler sarebbero interessati ad adottarti, ma prima di tutto vogliono venire qui e conoscerti un po’, parlare un po’ con te- Oskar si pietrificò. Due persone volevano portarlo via dall’orfanotrofio? Due persone che non fossero i suoi veri genitori? Due completi estranei?

- Signora, io non credo di volerlo…-

- Oskar, ma che sciocchezze vai farneticando?! Dovresti essere felice, invece, non tutti i bambini hanno questa possibilità di essere adottati, gli adolescenti ancora meno! E tu vorresti buttare tutto al vento per cosa?- Beh, anche lei aveva ragione, ma c’era un punto non indifferente.

- Ma Tom…-

- Trümper sarà in grado di cavarsela, Oskar. Non puoi basare la tua vita su un ragazzino. Crescerai, avrai altri pensieri. D’accordo, l’amicizia è una bella cosa, ma non puoi negarti certe possibilità per quella. Pensaci, Oskar- Il moro deglutì per poi annuire piano. - Ne sono felice. In questa lettera c’è scritto che verranno domani e che se gli piacerai, andrai via con loro, e non si discute!-

- Ma sign...!-

- Oskar, abbiamo finito. Puoi andare-

- Va bene…- Uscì dalla stanza mestamente. E ora come gliel’avrebbe detto a Tom? Dio, perché non aveva nascosto quel dannato pezzo di carta!? Beh, la situazione non sarebbe cambiata, i signori Winkler si sarebbero comunque presentati e avrebbero stravolto le loro vite. Oskar cercò di sembrare normale, anche quando incrociò Tom per i corridoi che gli chiese dove fosse stato. - Nulla di che, sul serio- Il ragazzino però non sembrava crederci. - Dai, andiamo, ci aspettano a lezione- Oskar lo sorpassò ma Tom lo fermò per una mano. Quel tocco delicato faceva sempre impazzire Oskar.

- Aspetta- Quella voce poi… - Sei sicuro che sia tutto a posto?- Il maggiore si voltò e sorrise intenerito, poi annuì confermando il tutto con un “certo, perché non dovrebbe?”. - Sei stanco?-

- Sì...forse un pochino-

- Allora so cosa può farti felice-

- Tooom- Sapeva che Tom aveva una mente perversa come poche adesso che aveva capito certe cose. - Dobbiamo andare a lezione-

- Ma cosa hai capito?- Si avvicinò mettendosi sulle punte dandogli un bacio sulle labbra. - Io intendevo questo- Al moro si creò un nodo in gola. Gli faceva male sentire quelle sensazioni in quel momento, perdersi in quei baci, la paura di essere visti...niente era più lo stesso. Ora la felicità gli faceva male perché sapeva di non poter mantenere quel “per sempre” che gli aveva promesso. - Non vedo abbastanza felicità, te ne posso dare un altro se vuoi…- Gli sussurrò sulle labbra, ma Oskar si scansò bruscamente.

- Ho detto che dobbiamo andare a lezione, Tom!- Il biondo rimase lì, completamente interdetto mentre lo vide allontanarsi e sparire nel buio del corridoio.

***

Per tutta la durata della lezione Oskar non rivolse né lo sguardo, né la parola a Tom. Quest’ultimo invece non poneva attenzione al precettore, che poi era solo un maestruccio, di quelli che sapevano l’essenziale, però loro lo chiamavano comunque “precettore” per farlo sentire più orgoglioso di sé stesso. Ma Tom continuava a ripetersi in testa che cosa avesse Oskar. Gli aveva detto che stava bene...poi Tom lo aveva baciato e si era innervosito. Era stato quello? Era perché lo aveva fatto in mezzo al corridoio e si era spaventato? Avrebbe dovuto scusarsi, allora. Sapeva che Oskar era più prudente e in quel momento Tom aveva agito in maniera avventata. E aveva davvero fatto così male? Lui voleva solo consolare il proprio ragazzo. Sospirò.

- Bene, potete andare- Quella fu l’unica frase che Tom colse e vide Oskar che uscì saettando fuori dalla stanza prima degli altri. - Tutto a posto, Tom? Non vai a giocare?-

- Non c’è solo il gioco, precettore...non più- L’uomo capì dai suoi occhi bassi che qualcosa non andava.

- Che intendi?-

- Ho altre cose a cui pensare...è tutto sempre più difficile-

- Sì, è vero, ma permettimi di dirti che sono molto sorpreso dal sentirti parlare così. Non credevo che fossi in grado di fare certe riflessioni, sei ancora molto giovane-

- Ma i problemi cominciano per tutti prima o poi, è giusto che ci pensi-

- Problemi!? E che problemi avresti tu? Se sapessi quali sono i problemi veri...- Tom si alzò dalla sedia di scatto a sentire quelle odiose parole.

- E’ vero, sono piccolo, ma ho anche io i miei problemi e non mi piace che sia dato per scontato che non ce li abbia o che siano di poco conto. Ora mi scusi, ma devo andare- E uscì anche lui dalla stanza. Tutti erano in cortile a giocare, ma Tom non ne aveva l’umore, anche perché giocava solo con Oskar. Sicché se ne andò nella propria camera e si chiuse dentro. Non voleva sentire né vedere nessuno. Poco dopo infatti si addormentò nel letto, ma le lacrime stavano rigando il suo volto. Era questo soffrire per amore? E la gente si ostinava ancora a dire che solo perché era giovane non aveva problemi.

***

Per tutto il resto del giorno Tom pensò che fosse sicuro non avvicinarsi ad Oskar. C’era qualcosa che gli stava decisamente nascondendo, ma pensava fosse meglio chiedergliela quella notte tra le lenzuola, dove tutto si zittiva fuorché i pensieri. Quando Oskar venne nel suo letto, Tom non disse niente, rimase a dargli le spalle in silenzio. Aveva tante domande da chiarire, ma forse era meglio che fosse il più grande a cominciare. Poi si sentì abbracciato da dietro e sgranò gli occhi. Credeva che fosse arrabbiato con lui e invece...

- Oskar…-

- Ti prego, non dire niente- Tom deglutì, il respiro leggermente tremante. Sussultò quando invece sentì quello singhiozzante di Oskar. - Tom, ho paura che non potrò mantenere la nostra promessa-

- Il nostro per sempre?- Tom non ne era sicuro, ma percepì un suo gesto di assenso, la cosa che temeva di più. - Perché?-

- Domani due signori verranno per incontrarmi...per conoscermi-

- E perché vogliono conoscerti?- Tom sapeva la risposta dentro al suo cuore, ma preferiva rigirarsi il lenzuolo tra le dita facendo finta magari di tesserlo.

- Per adottarmi- E quella parola lo uccise definitivamente. Tom si voltò verso Oskar. - Potrebbe essere la nostra ultima notte insieme. Non voglio passarla a piangere- Invece lo sguardo del più grande era deciso, aveva capito che tanto le lacrime erano inutili e si era calmato. Accarezzò il viso di Tom e si chinò sulle sue labbra per baciarlo. - Mi dispiace per come ti ho trattato oggi-

- Non m’importa...non m'importa...- Ripeté tra un bacio e l’altro. Oskar si pose sopra di lui continuando quel gioco di labbra che stava accendendo gli animi di entrambi. In quel momento una tale frustrazione albergava nei loro cuori, che non riuscivano neanche a parlare, a chiedere perché quello stava succedendo, se fosse giusto, se avessero dovuto fermarsi. Oskar si tolse la maglietta con uno scatto veloce delle braccia e tornò a baciare Tom, il quale pian piano stava sbottonando pure il proprio pigiama. Ogni bacio era un secondo in più che scorreva sulla loro pelle, e ogni secondo che passava, li aveva fatti privare dei vestiti. Infatti a forza di baci e ansimi, si ritrovarono completamente nudi e abbracciati in silenzio, solo i loro respiri a definire cosa davvero fosse preso loro. Oskar era sdraiato su Tom, mentre lui guardava il soffitto, poi il ragazzo si sollevò piano e iniziò a baciargli il collo e il petto. Tom gemette ma senza staccare gli occhi da un cielo che era solo nella sua mente. Però non riusciva a vederlo pieno di stelle, esso era nudo di quelle e vestito solo di nuvole grigie che gli ricordavano tanto il fumo che proveniva dal capannone di suo padre quando lavorava con il ferro. Ancora nelle narici aveva quell’odore. La sua mente tornò per un attimo alla realtà quando sentì le forti mani di Oskar tenerlo per i fianchi e la sua lingua che percorreva la zona vicino al pube, poi l’inguine. Gemette ancora. Non aveva il coraggio di parlare. Arrossiva, si sentiva bene e male, perché sapeva cose di cui non aveva avuto le palle di fare alcun commento. Se Oskar se ne fosse andato...cosa ne sarebbe stato di lui? - Os…- Questo percepì anche solo quel piccolo verso sommesso, capì che aveva bisogno di lui e così tornò su. Negli occhi di Tom lui vedeva un universo senza fine, un qualcosa di troppo indefinito e di troppo affascinante, anche quando si bagnavano di lacrime. - Non voglio che tu te ne vada- Riuscì a pronunciare tra i singhiozzi. - Resta con me, Oskar- Il più grande non sapeva che dire. Non poteva, non era lui a decidere.

- Tom…!- Egli lo avvolse in un abbraccio che gli tolse il respiro. 

- Resta con me...resta con me…- Ripeteva come se non conoscesse altre parole. Oskar in quel momento si sentì uno stupido: aveva pensato solamente a fare l’amore, qualcosa che Tom poteva anche non volere. Loro alla fine non avevano mai fatto nulla più dei soliti preliminari e forse pensava che il modo più giusto di passare la loro ultima notte fosse quello di avere una prima volta insieme, ma si sbagliava, e Tom glielo stava dimostrando. Si stese quindi accanto a lui e gli accarezzò il viso asciugandogli le lacrime.

- Non ti ho mai visto piangere in questo modo, Tom- Sussurrò il suo pensiero.

- Certo che no, e per che cosa avrei dovuto piangere?!-

- Per tuo padre…-

- Al diavolo quell’uomo!-

- Tom…-

- No, stammi a sentire! D’accordo, io non piango molto, ma perché so per cosa vale la pena piangere, Oskar!- Il moro alzò gli occhi su quelli rossi e gonfi di Tom, e il più giovane lo baciò, ma nel momento che stavano facendo scontrare le labbra, qualcosa di forte salì per il petto di Oskar, che fu costretto a staccarsi e a scendere dal letto. Cominciò a tossire in modo convulsivo. - Oskar! Ehi!- Tom si stava spaventando, Oskar non smetteva più! Finalmente il ragazzo, dopo qualche secondo, si fermò e si guardò la mano. Ci vide sopra una macchia ombreggiata dalla notte. Corse quindi nel bagno e constatò che aveva tutta la bocca e la mano sporche di sangue. Lo capì dall’odore ferroso che emanava tutto lui. Si fece dei risciacqui più volte e lavò via tutto. - Os-Oskar?- Tom stava sull’uscio della porta e tremava un po’ dal freddo.

- Che ci fai in piedi? Sei nudo, dovresti…-

- Non m’importa, dimmi che cosa era- Il maggiore sospirò.

- Un attacco di tosse, Tom. Qualcosa che potremmo avere tutti-

- Sei sicuro?- Oskar si avvicinò e gli dette un veloce bacio a stampo.

- Sicuro- Voleva proteggere Tom più di qualsiasi altra cosa, e forse era meglio che si allontanasse da lui per sempre, perché quello che gli stava accadendo avrebbe potuto coinvolgerlo anche fisicamente. Non sapeva cosa aveva esattamente, ma si sarebbe fatto visitare dal dottore proprio domani prima di andare via, perché avrebbe fatto di tutto, si sarebbe comportato come la persona perfetta, purché lo portassero via dal suo tesoro. Era giusto così. Tornarono tra le lenzuola abbracciati.

- Facciamolo, Oskar- Sussurrò Tom ad occhi chiusi. Proprio per questo Oskar non si era azzardato a dire niente, pensava dormisse. Però quelle parole fecero battere il suo cuore più forte di qualsiasi cosa. - Non so cosa succederà domani, ma so cosa succederà stanotte...e mi basta- Il maggiore sorrise e ripresero ancora a baciarsi. - Però non farmi prendere più uno spavento in quel modo- Oskar parve esitare, poi annuì.

- Te lo prometto- E quella notte si trasformò davvero in qualcosa di magico perché quelle anime, in un modo o nell’altro, si unirono davvero. Era troppo presto? Era pericoloso? Forse sì, ma non riusciva a non pensare che fosse anche dannatamente vero. Perché quella notte, tra tutta la paura, riuscì a nascere un po’ di quell’amore che in quel mondo mancava.

***

- Buongiorno, siamo i signori Winkler-

- Buongiorno, accomodatevi pure. Oskar vi sta aspettando nell’altra stanza- Quando il diretto interessato sentì aprire la porta e alzò lo sguardo, non sapeva perché ma li immaginava proprio in quel modo. Herr Winkler era un uomo alto, capelli brizzolati e occhi azzurri. La moglie invece, Frau Winkler, aveva una distesa di capelli neri e gli occhi anche lei chiari. Facevano impressione, parevano spiriti di una casa infestata. Entrambi erano vestiti molto elegantemente, si capiva che erano di buona famiglia. - Su, Oskar, non fare il maleducato-

- Buongiorno, signori-

- Ciao, Oskar- Quando furono fatte le dovute presentazioni, passarono alle domande, ed in tutto quello Tom stava allo spiraglio della porta ad osservare con il cuore in gola. Ogni tanto ricordava flash della notte precedente, di Oskar e lui uniti sopra quel letto minuscolo, del loro sudore, dei loro gemiti e versi, che a volte sembravano dei cuccioli spauriti, i quali erano solo in grado di amarsi e di proteggersi. Avevano avuto paura e freddo all’inizio, poi il tutto si era trasformato in una leggera confusione avvolta nel calore dei loro corpi. Era stato semplicemente meraviglioso. E ora tutto avrebbe avuto una fine, lo sapeva. Ma i piani degli adulti furono deviati da qualcosa dentro Oskar che si risvegliò di nuovo improvvisamente. Il ragazzo si mise in piedi riprendendo a tossire in quel modo convulsivo. Tom fu tentato di entrare, ma gli bastò notare una piccola goccia di sangue che passava tra le dita di Oskar che si andò a frantumare sul suolo per capire che lui solo non avrebbe potuto fare nulla. Sapeva che c’era ancora il dottore, così corse subito a chiamarlo. Non gli importava se stava visitando un’altra persona, Oskar stava male! Così aprì la porta di scatto.

- Tom!-

- La prego, venga subito!- Gli afferrò il braccio cominciando a tirarlo.

- Tom, sto visitando!-

- Oskar sputa sangue, mi aiuti!!!- A quell’affermazione il dottore non fece più domande e poco dopo Oskar si ritrovò disteso su un letto, con Tom che non aveva intenzione di allontanarsi nonostante la proprietaria gli ordinasse di farlo. Non voleva lasciarlo! Gli teneva la mano nel mentre il medico lo visitava. Voleva solo che stesse bene, che non fosse nulla di grave. I Signori Winkler stavano in silenzio e osservavano la scena come se non c’entrassero niente, come se aspettassero un verdetto che alla fine non avrebbe cambiato niente a loro. Il medico si tolse lo stetoscopio dalle orecchie sospirando.

- Dottore, mi dica, che cosa ha?- L’uomo si alzò senza rispondere alla domanda di Tom. Richiamò invece i signori Winkler e la proprietaria, dicendo che avrebbero dovuto seguirlo fuori. Oskar stava in silenzio, non sapeva che cosa dire. - Aspetta, ora vado a sentire e torno- Gli lasciò un secondo la mano e scappò fuori. Trovò tutti gli adulti riuniti in un piccolo cerchio a parlottare. Non capì niente perché parlavano piano, ma comprese una parola che finiva con “-lose”. Che cosa? Si avvicinò, ma appena arrivò, le voci si zittirono improvvisamente. Tom era stanco che gli nascondessero le cose! Tirò la manica all’uomo per attirare la sua attenzione. - Voglio saperlo-

- Tom, vai via!- Gli ordinò la proprietaria.

- No! Oskar è mio amico, cosa gli sta succedendo?- La donna sospirò ormai rassegnata. Il dottore prese Tom per mano e lo portò lontano da quella gente che non c’entrava niente con lui e con le sue opinioni. - Dottore, me lo dica. Cosa c’è che non va?-

- Tom...sai cosa è la Tuberkulose?-

- La…? No, non lo so-

- E’ una malattia che colpisce i polmoni ed è molto contagiosa. Si può trasmettere via aerea, quindi respirando vicino alla persona che la possiede, oppure anche con scambi di saliva. Insomma, è molto pericolosa, ed è necessario che Oskar stia in quarantena, e che tu non ti avvicini più a lui per nessun motivo. Ora, anche tu potresti averla, ma fortunatamente in alcuni casi il virus rimane assopito per molto tempo, anche per tutta la vita. Per ora ho detto alla proprietaria di separarvi, di mettervi in stanze diverse e di vedere se anche su di te si sviluppano gli stessi sintomi che ha Oskar…-

- Dottore, non mi importa nulla di me, va bene? Voglio sapere che cosa ne sarà di Oskar. Gli darà delle medicine? Perché se è così, voglio essere io a dargliele. Se è vero che posso essere infetto, sarebbe giusto nei confronti degli altri, io…!- L’uomo fermò quel fiume di parole mettendogli una mano sulla spalla.

- Qualcosa ci sarebbe, ma non sei tu che devi occupartene, mio caro Tom-

- Ma…-

- Tu prega per lui- Detto questo, si alzò e se ne andò dalla struttura a passi che risuonavano nella mente di Tom come un mantra e lo stavano facendo impazzire. Lo prese uno scatto e volle correre da Oskar, ma la donna gli afferrò il polso.

- Vieni con me, hai sentito il dottore-

- Ma io gli avevo detto che sarei tornato!- Gridò.

- Vieni ti ho detto!!!- Con quegli artigli lo tirò verso un’altra stanza e nel mentre disse ai Signori Winkler che sarebbe stato meglio rinunciare all’adozione, ma non specificò il motivo. Quello in verità era uno stanzone e, aiutata da altri del personale, spostarono il suo letto lì e poi chiusero a doppia mandata. Gli lasciarono solo la polvere, le ragnatele, e un secchio che gli dissero di svuotare dalla piccola finestra ogni mattina. Trascorsero così i giorni. Gli facevano anche recapitare il cibo solo una volta al giorno, per diminuire i contatti il più possibile, e perciò Tom appena vedeva una formica che entrava da qualche fessura nella struttura, non riusciva a trattenersi e la uccideva per poi mangiarla. Non aveva mai provato una tale fame, non aveva mai dovuto ridurre il cibo in maniera così drastica, non aveva mai mangiato gli insetti...ma lo schifo di cibarsene, lo faceva pensare di meno a quello che stava accadendo ad Oskar. Le formiche risultavano le più facili da buttare giù perché erano piccole e bastava ingoiarle, però era anche vero che lo riempivano di meno, e in un certo senso sperava di trovarne di più. Era diventata una cosa schifosa. Per lavarsi, lo facevano uscire dalla finestra e andare in giardino. Lo bagnavano utilizzando una sistola, così che potessero tenersi a debita distanza. Insomma, era tutto molto carico di disagio, soprattutto perché lo fissavano tutti da dentro l’edificio e nessuno voleva dirgli niente riguardo Oskar. Erano settimane che non lo vedeva più, che non sapeva niente, così decise che una notte sarebbe scappato, lo sarebbe andato a trovare. Uscì piano dalla sua stanza. Sarà stata mezzanotte, non ne era sicuro. Andò piano, cercando di fare il meno rumore possibile. Ormai tutti dovevano essere a letto. Individuò la porta e la aprì piano. Stranamente non li avevano chiusi a chiave per la notte, forse perché pensavano che solo quando era giorno, quando tutti potevano vederli, a loro potesse prendere l’insana idea di incontrarsi.

- Oskar? Dormi?- Sentì il fruscio delle coperte e capì che la sua voce lo aveva destato. Sorrise ed entrò chiudendo la porta. - Come ti senti?-

- Tom, finalmente- Disse con voce impastata dal sonno. Il ragazzino aveva portato con sé anche la lampadina ad olio e appena questa riuscì ad illuminare Oskar, Tom sussultò: Oskar stava sudando copiosamente, la sua pelle era lucida dalla febbre. Il suo viso era smagrito vertiginosamente, sembrava non avesse mangiato niente in tutto quel tempo. Tom deglutì, ma non voleva che Oskar notasse il suo sguardo spaventato, così decise di imporsi la calma. - Tom...ho sete…-

- Dove ce l’hai l’acqua?-

- Non ce l’ho qui...anche quella me la portano quando...quando mi danno le medici...cough cough!!! COUGH COUGH COUGH!!!- Scattò a sedere con la mano alla bocca. Tom per fortuna aveva con sé un fazzoletto e con pazienza gli pulì delicatamente il sangue che era ovviamente uscito.

- Vado a prendertela-

- Stai attento...per favore. Non mi perdonerei mai se dovesse succederti qualcosa...io so che questa malattia te l’ho attaccata io...so che potresti averla anche tu...so che…-

- Shh, Oskar, devi stare tranquillo, va bene? Ora vado a prenderti dell’acqua e mi prenderò cura di te- Gli lasciò un bacio sulla tempia umida di sudore e scappò nuovamente fuori. Era tutto buio, ma aveva preferito lasciare la luce nella camera del ragazzo, in modo tale che sapesse che questa volta sarebbe tornato sul serio, anche solo per riprendersela. Tom andò a cercare l’acqua e alla fine trovò una bottiglia mezza piena dimenticata sulla tavola dalla cena. La prese e la portò in stanza di Oskar. Aprì la porta felice di esserci riuscito. - Sono tornato- Sussurrò e si avvicinò al letto. - Non ho trovato un bicchiere, ma tranquillo, mi sbarazzerò della bottiglia d’acqua al più pre…Oskar?- Tom non capiva come mai l’amico non si muovesse o non gli dicesse niente. Si accostò ancora di più alle lenzuola e notò che erano tutte raggomitolate sul corpo del ragazzo. - Oskar, ma sei matto a coprirti così? Hai la febbre alta- Prese un lembo del lenzuolo e lo scostò.

E la bottiglia d’acqua si frantumò al suolo…

Oskar era lì, la testa mollemente appoggiata sul cuscino, gli occhi semichiusi, come assonnati, e completamente privati di luce. Erano di un verde spento, come se l’erba del prato rigoglioso nei suoi occhi fosse improvvisamente appassita. E un rivolo di sangue colava dalle sue labbra scendendo lentamente verso il lenzuolo. - OSKAR!!!- Il grido di Tom svegliò tutti in quel posto, sapeva che prima o poi sarebbero venuti a prenderlo. - Oskar, svegliati! Oskar! OSKAR!- Ma nulla. - Os...Oskar?- Gli poggiò una mano sul viso. Perfino il suo sudore era freddo come se quelle sul suo viso fossero state gocce di pioggia. - Io...io ti...Oskar…- Non riusciva a parlare. Non era riuscito ancora a realizzare che Oskar lo aveva atteso, aveva aspettato di poterlo vedere un’ultima volta per poi andarsene per sempre. - Ti amo...Oskar- Sussurrò con le labbra tremanti. Glielo aveva detto troppo tardi, ora non poteva più sentirlo. Gli poggiò un leggero bacio sulle labbra fregandosene del sapore del sangue infetto. - Tu adesso, a differenza mia, puoi davvero stare in pace…- Poggiò la fronte sul materasso e si lasciò andare ad una disperazione che gli fece ignorare tutto. Quando la proprietaria e un’altra donna entrarono e lo buttarono fuori dalla stanza, lui continuò a urlare e a piangere sul pavimento della cucina; quando pure tutti i bambini erano accorsi a vedere quel triste spettacolo, Tom non si risparmiò di regalarlo pure a loro. Era completamente impazzito. Aveva appena realizzato che, nonostante la malattia avesse prolungato il loro tempo insieme, quella nella quale avevano fatto l’amore, era stata comunque la loro ultima notte…

***

Quattro anni dopo… (Leipzig, anno 1932)

Tom si trovava lì, in piedi, davanti a quella pietra fredda che non immaginava avrebbe avuto il dolore di vedere. Non credeva che la vita sarebbe stata in grado di torturarlo in così poco tempo, però glielo aveva detto Oskar: scegliendo quella strada, lui avrebbe sofferto molto. Ma alla fine...Oskar era morto davvero per colpa sua? Oskar ci aveva davvero rimesso perché stavano insieme? La tubercolosi era stata una punizione divina che gli era toccata perché si amavano? Sì, perché ormai Tom aveva capito che il suo era amore, come quello di Oskar, ma erano stati troppo impauriti dal mondo per pronunciarlo. Tom aveva trovato il coraggio solo quando aveva capito che ormai aveva perso tutto, perché Oskar era il suo tutto.

- Tutte le volte che andavamo a messa...il prete ci diceva sempre che...ci diceva sempre che Dio ha creato Adamo ed Eva, ha creato l’uomo e la donna. L’uomo stupido e la donna subdola, così si diceva noi. Sai, non penso che alla fine avessimo tutti i torti. La maggior parte degli uomini a questo mondo è stupida e la maggior parte delle donne sa essere subdola...e noi? Non siamo uomini anche noi, Oskar? Sì, ma non come loro. Noi ci amavamo. In questi anni senza di te ho capito che l’amore non è un sentimento univoco, non può essere controllato o riassunto in un solo concetto. So solo che è il sentimento più giusto che si possa provare...e noi lo abbiamo provato, io lo so- Si chinò a posare dei fiori bianchi sulla sua tomba. - Era per questo che ti sei coperto così tanto quella notte. Sapevi che stavi per morire...e mi hai mandato a prendere l’acqua per fare in modo che non ti vedessi…- Gli sfuggì una lacrima che provvide subito ad asciugare. - Dimmi una cosa: siamo davvero così sbagliati, Oskar?- Un venticello leggero cominciò a soffiare e le sue labbra a tremare. - Lo siamo davvero stati?- E a Tom sembrò di sentire come una carezza, come quando ricordò sua madre. - Diamine, Oskar!- Cadde in ginocchio battendo i pugni a terra. Portò la fronte al suolo, tanta la frustrazione che lo invadeva. Si sentiva così sporco, eppure lui non trovava la ragione. Era la religione, era la società...era la vita, che lo faceva sentire così. - Il nostro amore...tutto ciò che è stato...sarebbe dovuto esistere o avremmo dovuto ucciderlo così come quella dannata tubercolosi ha ucciso te? Dimmelo, ti prego- Cominciò a piangere forte. - Dimmelo, Oskar…- Però sapeva che una risposta non sarebbe mai arrivata, così si asciugò le lacrime imbrattandosi un po’ la faccia di terra. - E se dovesse succedere di nuovo? Se dovessi nuovamente innamorarmi?- Improvvisamente gli tornò in mente quella scena di anni fa, quando erano nel capanno, quando si era messo davanti a Oskar...le parole che gli aveva detto… - No, hai ragione. Io devo proteggerlo...io lo proteggerò...chiunque sarà...così come ho cercato di proteggere te…- Si baciò la punta delle dita e accarezzò la lapide. - Spero tanto che non ne sarai geloso- Disse per sdrammatizzare. - Per sempre, Oskar- Sussurrò con il cuore a pezzi. Si alzò, si sprimacciò i pantaloni, e si allontanò lentamente da quel luogo. Era la loro collina, sotto il grande melo. Era lì che Tom voleva fosse seppellito, perché era lì dove Tom aveva avuto il coraggio di parlare.

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Capitolo 4
*** Kapitel 4 ***


KAPITEL 4
 

Qualche mese dopo…

Ormai Tom si era arreso all’idea che nessuno avrebbe provveduto alla sua adozione. Non sapeva che cosa avesse di sbagliato, aveva capito solo che se finivi in un orfanotrofio, era molto difficile uscirne. Però ormai a quella vita si era abituato: aiutava a fare le faccende, stava dietro ai più piccoli quando facevano i compiti assegnati dal “precettore”. Insomma, tutto sommato le sue cose da fare le aveva e quindi trovava poco tempo per lamentarsi. Però il ricordo di Oskar si ripresentava ogni notte che dormiva in quel letto freddo, soprattutto al pensare che Oskar aveva la sua stessa età quando se n’era andato, lasciandolo solo ad affrontare il mondo. In attimi in cui si accorgeva di non farcela, Tom ci parlava ancora, anche se ovviamente non riceveva risposte. Gli raccontava della sua giornata, delle persone nuove, delle persone cambiate. Nessuno se ne approfittava più del suo silenzio, però continuavano tutti ad evitarlo proprio per paura che il virus della tubercolosi si risvegliasse da un momento all’altro in lui. Tom però non ci pensava neanche più. Anzi, credeva che in un modo o nell’altro Dio lo avesse graziato, gli avesse permesso di vivere ancora, forse era una seconda possibilità per aggiustare quella vita, almeno per provarci. Forse era stato proprio Oskar che lo aveva pregato di non ucciderlo, perché anche se omosessuale, era comunque un suo figlio...e Dio non dovrebbe discriminare chi non infrange i dieci comandamenti. Tra questi non è riportato di non amare una persona dello stesso sesso, proprio perché l’amore non è un peccato, non è qualcosa che conduce all’Inferno, e se anche fosse, Tom sarebbe arrivato alle porte dell’Inferno orgoglioso di esservi giunto per amore.

- Buongiorno, Tom. Vieni, siediti pure- La nuova proprietaria era molto più gentile, anche quando lo convocava. Quella precedente era morta un anno fa, e sinceramente a nessuno era dispiaciuto. Tom non era riuscito a versare neanche una lacrima al sol pensiero della morte. Ormai aveva già ricevuto il dolore della morte della persona che amava, che cosa poteva esserci di più atroce? - Ho ricevuto una lettera, e volevo farti sapere che parlano proprio di te-

- Di me?- Chiese sedendosi. La donna annuì.

- E’ una lettera da parte dei Signori Winkler, immagino che tu abbia avuto modo di conoscerli in passato- Sì, lei sapeva cosa era successo, cosa Tom aveva vissuto, ma non glielo faceva pesare o ricordare, solo che in questo caso era indispensabile il suo ricordo. Ma cosa volevano quelli lì da lui? - Mi hanno scritto che si ricordano ancora di te, nonostante tutti questi anni, e hanno voluto darti molto tempo per elaborare il lutto di un tuo caro amico, di Oskar. Però loro sarebbero comunque intenzionati ad adottare un ragazzo di questo posto, e hanno deciso di adottare te. Che ne pensi?- Tom rimase fermo. Non aveva nessun pensiero che circolava nella sua testa. Quella luce dorata che aveva avuto negli occhi da quando era bambino si era improvvisamente spenta, ed era così da anni ormai.

- Perché hanno scelto me?- Chiese con apparente calma, ma era come una bomba ad orologeria.

- Credo che sia perché quando sono venuti per Oskar, hanno in qualche modo conosciuto anche te…-

- Loro non sanno niente di me!- E alla fine era esploso tutto insieme, tanto che la donna fece un salto sulla sedia. Lei non sapeva come erano andate esattamente le cose, aveva solo provato a fare una supposizione, non si immaginava che Tom si sarebbe arrabbiato così tanto. - Loro mi hanno visto in lacrime, con la paura che mi arrivava fino alla punta dei capelli! Mi hanno visto tenere la mano al mio migliore amico che stava per morire! Cosa sanno di me!? Cosa vogliono sapere!?- Poi però si accorse di star usando un tono così violento contro la persona sbagliata e quindi si ricompose. - Mi...mi dispiace, io…-

- Tom, capisco il tuo stato d’animo, va bene? Posso comprendere che tu sia confuso, che tu ti rifiuti, ma pensaci...Oskar avrebbe voluto questo per te? Tu devi provare a prendere in mano la tua vita, devi tentare, devi uscire di qui e vedere il mondo fuori da queste mura. Ti posso assicurare che non sarà facile, ma riuscirai anche tu ad avere qualche piccola soddisfazione, e pian piano ti accorgerai delle cose importanti che sarai riuscito a realizzare da solo- Nessuno gli aveva mai detto queste parole. Nessuno. Tom non sapeva che rispondere. Si alzò semplicemente dalla sedia, si congedò con un saluto, e se ne andò dalla stanza consapevole che dal giorno seguente la sua vita sarebbe cambiata radicalmente ancora una volta.

***

Quando i Signori Winkler arrivarono, Tom non sapeva se aver preso il posto di Oskar fosse stato un destino già scritto, qualcosa che doveva per forza andare così. Tom era consapevole solo che quelle persone che non conosceva, stavano firmando delle carte per portarselo a casa. Decise di fare un voto al silenzio. Non avrebbe parlato con gente come quella, a costo di tagliarsi la lingua se falliva. Non voleva saperne niente, assolutamente niente! Solo quando ebbe preso le sue cose e fu uscito sentì un brivido interiore e si fermò.

- Cosa c’è, Tom?- Domandò il Signor Winkler. Egli non sapeva che a Tom facevano paura le macchine e che in quel momento il ragazzo stava ricordando flash di lui da piccolo che veniva portato in quella costruita da suo padre in quel posto. Anche se poi aveva incontrato Oskar, in lui tutto ciò rimaneva comunque un trauma. - E’ un'auto, non l’hai mai vista? E’ come una carrozza, solo con un motore e non serve il cocchiere, ma lo chauffeur- Tom sapeva anche questo ma rimase lì a tremare.

- Tom, è tutto a posto- La Signora Winkler gli prese la mano, che Tom ritrasse. Non voleva toccarla. - Vuoi che ti dica dove andiamo? Con quella macchina lasceremo Lipsia, che è dove ci troviamo ora, e andremo verso Berlino. E’ una grande città e sono sicuro che ti piacerà- Ma non furono quelle parole a far avanzare Tom, bensì una forza, una voce dentro di lui che gli ricordò che esisteva una vita là fuori, e lui doveva afferrarla, in qualsiasi modo sarebbe andata a finire. Così, in silenzio, salì dentro al veicolo e si appiccicò al finestrino. “Vedrai che ti piacerà” dicevano. Ma che ne sapevano loro? Magari era così abituato a vivere nelle topaie che una città come Berlino gli avrebbe fatto solamente schifo o paura. Cosa avrebbe dovuto fare, dire, o pensare? Qual era la mentalità di un città così grande? Berlino era stata sempre dipinta dal maestro come un sogno irraggiungibile, e invece lui ci stava andando senza meriti. - Ci vorranno circa due ore per arrivare. Intanto tu puoi raccontarci qualcosa di te. Te la senti di parlarci?- Ma Tom continuava a fissarla con gli occhi scuri e guardinghi, come se fosse un animale impaurito pronto ad attaccare se quella donna avesse superato il limite di sicurezza. - Va bene, ho capito, non c’è fretta- Il Signor Winkler invece continuava a fissarlo con un briciolo di sdegno. Sembrava che ce l’avesse con Tom proprio perché non stava esprimendo il suo stato d’animo, ma il ragazzo lo ignorò. I suoi sentimenti non dovevano essere affar loro. E in quelle due ore, Tom guardò fuori dal finestrino. Sopra di lui un cielo ricoperto da nuvole grigie che preannunciavano pioggia, gli alberi che costeggiavano la strada man mano scomparvero e si tramutarono come per magia in grosse magioni di campagna, ed infine in case e palazzi di città. Tom ebbe modo di vedere tanti altri esseri umani, gente che lavorava, che parlava, che prendeva il caffè al bar...gente che alla fin fine viveva la sua vita. Lui non sapeva neanche che sapore avesse il caffè, ma ne aveva sentito parlare dagli adulti dell’orfanotrofio ed era curioso di poterlo assaggiare, così come l’alcool. Le persone grandi lo bevevano quando tutti i bambini andavano a letto, perché davanti a loro non lo potevano fare, giustamente.

- Allora Tom, ti piace?- Iniziò Herr Winkler. Il ragazzo annuì senza pensarci. Era davvero bella, non poteva dire che non lo fosse, sarebbe stato da pazzi...anche se Tom ormai non sapeva più se ritenersi una persona normale. - Volevo dirti che sarebbe necessario che tu cambiassi il tuo cognome da questo momento in poi. Tu fai Trümper, giusto?- Tom annuì di nuovo ma con le sopracciglia aggrottate. Volevano rubargli l’identità? - Essendo nostro figlio adottivo, è giusto che tu erediti il cognome della famiglia, quindi tu da questo momento in poi sarai Tom Winkler-

- T-Tom...Winkler?- Era così sbigottito che dimenticò perfino il suo voto al silenzio.

- Esattamente. Comunque posso farti i miei complimenti? Hai davvero una bella voce- Tom arrossì al commento di Frau Winkler. - E sei anche timido per di più, ma tranquillo, è solo perché ti trovi in un posto diverso. Presto ti abituerai- Lo sperava. Aveva paura che quella vita sarebbe stata troppo grande per uno che non sapeva neanche il gusto del caffè, o anche solo come comprarlo. Presto la macchina si fermò e Tom vide alla sua destra un’enorme casa, una villa. Aveva le mura completamente bianche, un protiro (perché sembrava tanto una piccola cattedrale romanica) sorretto da due colonne con capitello corinzio, cose che Tom aveva visto solo in qualche foto mostrata dal maestro quando facevano storia. - Tutto a posto, Tom?-

- Sì…- Rispose estasiato da quella visione. Ancora non aveva potuto evitare di parlare. Era tutto così sconvolgente che gli stavano tremando le gambe. Sarebbe caduto in ginocchio se non sarebbe risultato troppo imbarazzante. E Oskar avrebbe dovuto abitare qui già da cinque anni!?

- Vieni, entriamo- Herr Winkler prese la sua piccola valigia offrendosi di portarla dentro. Adesso che il ragazzo si era pronunciato, pareva avere meno ostilità nei suoi confronti. Una volta dentro, a Tom girò la testa. Davanti a lui un salone enorme e delle scale così grandi che sarebbe potuto scendere un corteo intero, solcate da un tappeto rosso. Il pavimento era intarsiato, verde e bianco avorio. E ancora non aveva visto niente. 

- Bentornati, signori- Venne ad accoglierli una donna, una domestica.

- Grazie, Sarja. Potresti aiutare Tom ad avere una presenza più consona all’ambiente?- Chiese Frau Winkler. Tom non capiva, ma forse si riferiva ai vestiti. Quel linguaggio era davvero troppo strano per lui. Usavano parole che Tom aveva solo letto e mai cercato su un dizionario.

- Come desidera. Venga con me, le mostro la sua stanza- Tom fece un sospiro e poi seguì Sarja per la villa. Salirono le enormi scale. - Qui sta la stanza dei signori, questa invece è la camera della signorina Saphira, la loro figlia- Avevano una figlia? Non gliel’aveva detto nessuno. Vabbè, perlomeno avrebbe trovato qualcuno con cui parlare, ammesso che si fosse dimostrata un minimo più normale dei suoi genitori. - Venga, mi segua- Entrarono dentro una stanza, nella quale c’era un letto a una piazza e mezzo, con coperte lisce, e non ruvide sotto le quali Tom era abituato a dormire. - Apriamo un po’ queste tende- Sarja fece entrare la luce, che invase la stanza violentemente. - Mmh, tra poco si metterà a piovere. Venga, di qua c’è il bagno- Tom entrò anche lì e c’era una grande vasca, nella quale ci sarebbero state anche due persone volendo. E la stanza era comunque molto grande. Poi che cos’era quel coso lì? - Quell’oggetto che sta guardando in quel modo si chiama Water-

- Vater?-

- No, Water- Ecco, prima figuraccia fatta. Beh, di certo “padre” non era il posto per i bisogni. All’orfanotrofio avevano una latrina in comune, un bagno turco che veniva pulito una volta a settimana...forse. Infatti molti spesso facevano le loro cose in giardino o dietro un cespuglio, siccome quella aveva un brutto odore. - Guardi, mi hanno dato questo per lei- Da sopra un mobile prese una scatola e la aprì. Dentro ci stavano dei vestiti. C’era una camicia bianca con due gemelli da polso, dei pantaloni di un materiale così delicato al tatto che fece provare una sensazione piacevole a Tom nel momento che lo sfiorò. - Si metta questi quando ha finito. Intanto io le vado a preparare la vasca- Quando venne lasciato solo, Tom si fece prendere dall’euforia e fece un salto enorme buttandosi sul letto mandando all’aria tutte le coperte. - SIGNORINO!- Lo rimproverò Sarja. Però nessuno sapeva che dall’altra parte della porta una figura stava spiando dallo spiraglio della porta e se la ridacchiava sotto i baffi. Il sorriso di Tom era bellissimo, si ritrovò a pensare, e poi la sua spontaneità era qualcosa di adorabile. Sì, sarebbero diventati ottimi amici, si disse prima di abbandonare il corridoio per dirigersi in biblioteca.

***

- Non pensavo che le sarebbe stato così bene, signorino Tom- Commentò Sarja una volta che Tom si fu vestito e messo davanti allo specchio.

- Tom va bene, Sarja-

- Non posso chiamarla così, verrei rimproverata dai Signori-

- Anche io sono un tuo signore adesso, e perciò voglio che tu mi chiami con il mio nome, senza parole come “signorino” o “padrone”...non mi sento signore o padrone di nessuno- Era la prima volta da quando era lì che diceva una frase più lunga di tre parole e Sarja era contenta che lo avesse fatto proprio con lei. 

- Va bene, come desidera-

- Però non voglio che tu finisca nei guai perciò...quando siamo davanti ai Winkler...puoi chiamarmi come vuoi- Sarja sorrise mettendo in mostra le rughe del viso. Era ormai una donna di mezza età, ma Tom intuì che quando era giovane doveva essere stata sicuramente una bella ragazza, capelli biondi e occhi verdi. - E ora per favore, mi aiuti a mettere questi?- Mostrò i gemelli da polso.

- Ma certamente. Guardi, non c’è nulla di più semplice…- Sarja pensava che Tom fosse un’anima candida. Sempre gentile, un po’ ingenuo, e che pensava al bene altrui. Però aveva paura che quel mondo lo avrebbe cambiato. I soldi cambiano le persone. Quando ebbero finito, Tom si guardò nuovamente allo specchio. - Ha dei capelli davvero molto lunghi. E’ necessario che se li leghi quando scenderà a cena- Eh sì, gli arrivavano un po’ più giù delle spalle. Con gli anni non erano più biondi, ma crescendo si erano scuriti molto arrivando ad un castano scuro, come il colore della cioccolata fondente. - Va bene, ho capito, si sieda- Prese una spazzola e glieli pettinò facendo attenzione a non fargli male, districando i nodi delicatamente. - Però sono davvero molto belli, speriamo che non glieli facciano tagliare- Tagliare!? No, fino a prova contraria i suoi capelli non li avrebbe tagliati nessuno. - Ecco fatto- Ella gli aveva fatto una semplice coda bassa, giusto per contenerli. Tom si faceva schifo così. Era tutto troppo aggiustato, troppo perfetto...e non si addiceva a come era lui. - Mi raccomando, scenda puntuale. La cena è alle 18 e mezzo- Tom annuì. Fortunatamente aveva imparato a leggere l’orologio e non avrebbe fatto ritardo. Tanto mancava davvero poco, mezz’ora e sarebbe dovuto scendere. Però volle esplorare un po’ quella casa, così uscì e se ne andò a giro. I corridoi parevano infiniti, e non si mise a guardare tutte le stanze, ma entrò in una che stava vicino alla sua. Non sapeva se ci fosse qualcuno o se fosse una delle numerose stanze degli ospiti. Sapeva solo che profumava molto di...di donna, di femmina. Sentì una piccola risata e si avvicinò ad una porticina accostata. Deglutì e si guardò indietro. Non c’era nessuno, così si prese la briga di sbirciare. Dentro c’era una ragazza completamente nuda che stava facendo il bagno nella sua vasca e giocava un po’ con il sapone. Aveva una distesa di capelli corvini neri, e gli occhi di un ghiaccio soprannaturale, come quelli di sua madre, le labbra molto carnose e rosate, la pelle bianca come la neve. Era bellissima, si ritrovò a pensare Tom. Rimase incantato ad osservarla: non aveva un seno tanto grande, ma quello che attirò Tom fu che sembrava così fragile, che se qualcuno avesse osato toccarla si sarebbe rotta come una bambola di porcellana. Ecco sì, lei era una bambola di porcellana. - Che sta facendo?!- Tom sussultò e guardò verso la porta. C’era Sarja con dei vestiti che lo osservava scandalizzata.

- Stavo solo...scusa, non pensavo che...questa fosse…-

- Shh! Venga con me!- Bisbigliò prendendolo per un polso. - Venga via, per l’amor del cielo! Se i Signori lo venissero a sapere finirebbe davvero in guai seri- Lo trascinò fuori dalla sua stanza. - Perché era nelle stanze della signorina Saphira?-

- Lei...era Saphira?-

- Sì, e la stava spiando mentre si faceva il bagno!-

- Non la stavo spiando...ero solo...non lo so- Sarja non se la sentiva di accusarlo. Alla fine non gli sembrava che lo avesse fatto per scopi perversi, era un adolescente ed era normale che fosse curioso riguardo certe cose.

- Va bene, ma non lo faccia più!-

- Lo prometto, scusami-

- Speriamo solo che la signorina non se ne sia accorta- In realtà Saphira aveva sentito tutto e si era resa conto che Tom la stava guardando, ma non aveva pensato fosse una cosa brutta, e aveva continuato a fare come se niente fosse. Alla fine lei sapeva che cosa era destinata ad essere, e da qualche parte avrebbe pur dovuto iniziare, no?

***

Tom non aveva mai visto quella roba. Caviale l’avevano chiamato. Personalmente gli faceva abbastanza schifo, però si sforzava di mangiarlo. Poi c’erano così tante posate attorno ad un solo piatto e non aveva saputo quale scegliere, per lui erano tutte uguali. Per fortuna almeno il coltello era uno solo. Tom ogni tanto alzava lo sguardo verso Saphira, che mangiava tranquillamente e ogni tanto gli sorrideva. Aveva capito che non gli piaceva quel cibo, ma che perlomeno lo sformato sembrava averlo gradito, così intelligentemente gli passò la propria fetta sotto il tavolo, e poi gli fece un occhiolino. Tom aveva sorriso come ringraziamento ed era tornato a mangiare.

- Allora Tom, immagino che tu abbia avuto modo di conoscere Saphira-

- Beh, a dire la verità non ci siamo parlati-

- No, non abbiamo avuto modo di discorrere- Aggiunse lei con quel modo di parlare strano. Non era più semplice la frase che aveva detto Tom? Vabbè, valli a capire, ormai ci aveva rinunciato. - Però dopo la cena, troveremo il tempo di passare qualche ora da soli- I genitori non si pronunciarono più, come se la cosa che gli premesse davvero fosse che la figlia conoscesse Tom e basta. Non chiesero come fosse andata la giornata di Saphira in loro assenza, nulla. Tutta la cena continuò in silenzio. Non c’era davvero qualcosa di cui parlare, come se non si conoscessero affatto, o come se si conoscessero così tanto da non avere ormai più curiosità di niente. In tutto quello Tom pensava a Oskar. Si sentiva così a disagio che desiderava avere la sua mano da stringere accanto, strisciare un po’ vicino alla sedia alla sua sinistra e trovare il suo corpo, dargli qualche pizzicotto per scherzo, e ridacchiare per poi essere rimproverati dalla direttrice siccome non mangiavano. Gli mancava tutto quello. Ancora gli sembrava di udire quella risata. - Tom- Alzò lo sguardo dal pasto e si voltò alla sua destra. C’era Saphira che gli tendeva una mano gentilmente, invitandolo a seguirla. Il ragazzo la afferrò e si lasciò guidare in quella che doveva essere la biblioteca della casa. - Questo è il mio posto preferito- E come darle torto? Si chiese Tom. Era talmente grande che pareva immensa, aveva tanti scaffali con un’infinità di libri ed enciclopedie di colori e lingue diverse. Poi c’era anche un camino e delle poltrone ricoperte di cuoio, che parevano comode per sedersi e leggere un libro o per avere comunque una conversazione. Infatti Saphira lo portò lì. - Bene, Tom. Ti piacerebbe parlarmi un po’ di te?- Il ragazzo stette fermo a guardarla di sottecchi ogni tanto. Non gli piaceva che lo fissasse con quegli occhi grigi. Facevano impressione, ma allo stesso tempo Tom non poteva fare a meno di vederla come un angelo sceso dal Paradiso. Troppo celestiale...se non fosse che i capelli erano neri come le ceneri dell’Inferno. Saphira per Tom reincarnava una perfezione che non avrebbe saputo spiegare in altri termini. Era semplicemente quella persona che non aveva mai visto e temeva che ogni parola detta sarebbe stata inadatta o inopportuna. - Su, non mordo mica. So che vieni dall’orfanotrofio di Lipsia. Posso chiederti come mai ci sei finito?- Non voleva essere invadente, si vedeva, voleva solo trovare un dialogo. Aveva un sorriso tranquillo, bello e assorto in quel fuoco che sfavillava e che stava per diventare bragia da un momento all’altro.

- Mia madre è morta...quando sono nato…- L’espressione della ragazza mutò in una più rammaricata, ma non si azzardò ad interrompere. - E mio padre mi ha abbandonato quando...quando avevo quattro anni, e credo che sia perché non voleva occuparsi di me-

- Dio, quanto mi dispiace, Tom. Deve essere stato terribile- Disse seriamente dispiaciuta. Tom sorrise.

- Sì, beh, ora è tutto passato-

- E per quanto tempo ci sei stato?-

- Tredici anni-

- Quindi tu ora hai…?-

- Diciassette anni- La interruppe senza accorgersene. - E tu?-

- Sedici, compiuti da poco- 

- Ed io sarei il tuo regalo di compleanno da parte dei tuoi?- Saphira scoppiò a ridere e anche Tom prese a ridacchiare.

- Una specie- Rispose poi lei riprendendo un certo contegno. - Vedi, io in questa casa sono spesso sola. E’ difficile per una ragazza come me avere degli amici...-

- Lo è stato anche per un ragazzo come me-

- Allora perché non possiamo esserlo noi? In fondo adesso siamo fratelli...fratellastri- 

- Fratelli va bene- Saphira alzò gli occhi e sorrise arrossendo un poco. Tom era così carino che gli metteva tenerezza e, anche se non lo aveva mai conosciuto prima, nei suoi occhi, nelle sue espressioni, fu in grado di vedere ancora qualche traccia di quel bambino della quale vita era stata presa a calci fino allo sfinimento. - E tu? Non hai nulla da dirmi su di te?-

- Non molto. Sono nata sedici anni fa in una famiglia convenzionale, padre ricco, madre ricca, matrimonio combinato...e tutto va avanti così...da sempre- Si intristì improvvisamente, come se Tom gli avesse fatto una domanda scomoda. Il ragazzo se ne accorse e voleva rimediare, ma ella lo precedette. - Comunque…- E recuperò un piccolo sorriso in un angolo remoto della sua anima. - Domani sera ci sarà un ballo di gala, immagino che tu non ci sia mai stato- Tom scosse la testa. - E’ una festa. Tutta la gente più illustre di Berlino si riunisce in un grande salone e parla, balla, mangia qualcosa dal buffet…- Tom la seguiva, ma non sapeva se la cosa gli andava tanto a genio. Volevano portare anche lui a questo evento? - Naturalmente verrai anche tu-

- Ma io non…-

- Lo so, non sai cosa sia o cosa fare, ma tranquillo...- Allungò un braccio prendendogli una mano. Quella di Saphira era freddissima, mentre quella di Tom era molto calda, e la ragazza adorò afferrargliela perché percepì come un senso di protezione. - ...te lo insegnerò io-

- Cosa?-

- Sì. Innanzitutto devi imparare a parlare meglio-

- Parlare meglio?-

- Sì. Hai una bella voce, ma se vuoi far cadere le signore ai tuoi piedi non basta, devi anche avere un certo vocabolario. Per quello è sufficiente che tu non ripeta le stesse parole semplici. Cerca dei sinonimi...sai cosa sono, vero?- Tom annuì. Non era così ignorante, per fortuna. - Bene. Poi dovrai imparare a ballare. Metti caso una signorina ti guarda insistentemente, tu che fai?-

- Ehm...guardo da un’altra parte?- Saphira rise.

- No! Devi avvicinarti e dire “Mi concederebbe l’onore di questo ballo?”-

- Ma io non voglio ballare con lei!-

- Ecco, questo non dirlo mai. Tu fallo, tanto è solo un ballo- Tom sbuffò e Saphira sorrise intenerita. Sembrava un bimbo che faceva capricci. - In generale devi affinare le buone maniere. Dai sempre del “lei”...e preferirei lo dessi anche ai camerieri. Fanno parte della servitù, ma sono pur sempre persone che non conosci e meritano un certo rispetto- A Tom piacque quella riflessione. Pensandoci, lui non aveva mai dato del “lei” a Sarja, però ormai era tardi. La conosceva e tra loro c’era già una certa sintonia. Poteva essere la madre che non aveva mai avuto. - Direi di cominciare subito- Si alzò in piedi e prese un disco in vinile dagli scaffali. Sistemò il giradischi e fece partire la musica. Era una dolce melodia classica, molto orecchiabile. Tom sarebbe rimasto in quella enorme stanza, un bel temporale fuori, il fuoco acceso e quella musica nelle orecchie. - Vieni- Saphira lo prese per mano e lo fece alzare. - Innanzitutto, con il braccio sinistro devi cingere il fianco della tua dama, così- Glielo prese e se lo posizionò su di sé dove gli aveva detto. Tom in quel momento avvertì il suo profumo e pensò che non aveva mai toccato una donna in quel modo. Era piacevole. - Le dita dell’altra mano le devi intrecciare insieme alle mie e teniamo le mani al nostro lato, poco più sotto delle spalle- Tom si mise a ridere. - Perché ridi?-

- E’ buffo, mi sento stupido- 

- Anche io mi sono sentita così la prima volta che ho ballato. Avevo quattordici anni e posso capirti. E’ imbarazzante, ma alla fine puoi anche divertirti. Adesso, per favore, senti il ritmo della musica-

- Ritmo? Ma non ha ritmo…-

- Sì che ce l’ha, devi solo sentirlo e poi…- Cominciò a muovere i piedi per volteggiare. - Senti, chiudi gli occhi se ti aiuta di più- Tom eseguì. - Uno, due, tre...un, due, tre...un, deux, trois…-

- Che hai detto?- Arricciò il naso e Saphira ridacchiò.

- Sempre la stessa cosa, ma in francese-

- Ah, va bene, come vuoi tu- Alla fine Tom sentì che veramente tutto quello poteva avere un senso e iniziò a spostare i piedi contando solo nella sua mente. Ovviamente poi capì di dover aprire gli occhi se voleva vedere dove andava e non si immaginava di certo di riuscire a fare una cosa del genere, anche se non perfettamente.

- Bravo, Tom. Stai andando bene-

- Davvero? A me gira la testa-

- Anche a me. Meglio fermarsi, che ne dici?- Finirono di volteggiare e piano piano anche la stanza tornò al suo posto. - Nel ballo è l’uomo che conduce...e devo dire che non sei andato affatto male, Tom. Sai comandare, eh?- Chiese con ironia.

- Io non ho mai comandato niente…- Rispose quasi timidamente.

- Infatti stavo scherzando. Chissà come mai, ma sei l’unico uomo che non si vanta delle proprie capacità, che è sincero...che in qualche modo ha conservato qualcosa di importante dentro di sé- Quegli occhi grigi sembravano volergli spaccare l’anima in due per far uscire tutto il fiume di ricordi che portava incisi nel cuore, e la bocca di Tom rimase muta improvvisamente. - Stai soffrendo, non è vero?- Saphira aveva capito che Tom stava attraversando un periodo difficile, ma non era solo quello. Il ragazzo davanti a lui, che la fissava con quegli occhi dorati serio e forse spaventato, aveva subito un dolore molto più forte, qualcosa che in qualche modo lo aveva reso ancora più buono, ma avrebbe potuto renderlo anche più cattivo. Sperava solo che quella purezza negli occhi non scivolasse via troppo presto. Protese una mano per accarezzargli il viso, ma Tom abbassò lo sguardo e, con un sospiro, abbandonò a passi lenti la stanza.

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Capitolo 5
*** Kapitel 5 ***


KAPITEL 5


Il giorno dopo Tom era andato con Saphira con il sorriso sul volto e si era scusato con lei per come aveva reagito la sera precedente. Era stato solo un momento di debolezza, e le aveva giurato che non si sarebbe ripetuto una seconda volta. La ragazza lo aveva ovviamente perdonato, aggiungendo che non dovesse scusarsi. Erano ben altri i motivi per i quali qualsiasi persona avrebbe dovuto chiedere perdono, sia a lei che a Tom stesso, perché egli non aveva davvero niente che non andava. Stava soffrendo, così come lei, e si sarebbero curati a vicenda da quel momento in poi. Anzi, Tom si era fatto trovare già preparato per un’ottima terapia di coppia: aveva portato il giradischi con diversi vinili (perché non si ricordava quello che avano usato) e lo aveva posizionato nel salone. Poi si era avvicinato a Saphira chinandosi leggermente porgendo una mano a favore della ragazza.

- Va bene, è imbarazzante, ma…mi concederebbe l’onore di questo ballo?- Saphira rise e gliel’afferrò delicatamente.

- Con molto piacere- Ballarono davvero tanto, dischi diversi, ritmi diversi, e si divertirono come matti per ore, fino a che non si ressero più sulle gambe. - Ma come balli!?- Chiese ridendo.

- In che senso?-

- Ti sei contorto ad un certo punto, cos’era?-

- Ah, perché? Non si balla così?-

- No, ahah!- E in quelle ore entrambi potevano dire di aver dimenticato i loro demoni, di stare bene, di provare solamente felicità. Tom non credeva neanche che Saphira sarebbe stata capace di non fargli pensare ad Oskar. Era come se in quegli attimi Tom avesse conosciuto la libertà e ora si trovavano entrambi stesi sul pavimento, come fosse stato un prato, a riprendere fiato. Chiunque fosse passato avrebbe potuto rimproverarli, riprenderli, accusarli...la gente non sapeva ridere. Poi sentirono il portone di casa aprirsi e si rimisero velocemente in piedi sprimacciandosi i vestiti. Erano arrivati i Winkler e loro dovevano togliere tutto quello dalla sala. Tom prese velocemente il pesante giradischi e Saphira si occupò di riordinare tutti i vinili. Poi scapparono in biblioteca per riporre tutto a posto.

- Devo dire che siete stati davvero eccezionali- Disse Sarja quando li trovò. Li aveva visti e non aveva mai avuto modo di assistere ad una tale spontaneità. Non avevano seguito uno schema, andavano a sentimento, e si divertivano. Per lei sia Saphira che Tom erano come figli e l’unica cosa che voleva era vederli felici. - Oh, cielo! E’ ora di prepararsi! Venga con me, signorina- Prese Saphira sottobraccio e la trascinò via, diretta alle sue stanze.

- A dopo-

- A dopo, Tom- Anche lui avrebbe dovuto prepararsi. Sinceramente era molto nervoso...che cosa avrebbe raccontato di sé stesso? “Piacere, sono un orfano appena adottato, è veramente bello essere qui. Sa, mia madre è morta sotto le bombe in guerra, di mio padre non so più niente, a malapena mi ricordo come si chiamano queste palline che mettete sul pane! Cav...caviola?” Ecco, sì. Sarebbe andata esattamente così. Rabbrividì e pensò che fosse meglio si sbrigasse. Anche quella volta i vestiti gli erano stati lasciati sul letto e Tom non dovette fare altro che indossarli. Era uno smoking, con camicia bianca e giacca nera, per fortuna niente papillon o cravatte allegati, ma in compenso erano presenti gli immancabili gemelli da polso che Tom aveva imparato ad indossare. Una volta messo il tutto sbuffò: i capelli. Non voleva uscire con quei dannati capelli lunghi! Erano orribili! Andò in cerca di un paio di forbici. Certo, nessuno poteva tagliarglieli, ma lui sì. Per sua sfortuna, però, non le trovò.

- Sarja!-

- Sì?- Gli spuntò da dietro e lo fece sussultare. - Come posso aiutarla?-

- Ma...ma da dove sei…? Vabbè, non importa. Ho bisogno delle forbici!-

- Forbici? Per caso ha ancora qualche etichetta attaccata all’abito?-

- No, mi servono per questi!- E si prese una ciocca di capelli in mano, mano che Sarja si prese la sfacciataggine di schiaffeggiare.

- Mi perdoni, ma lei deve essere matto! Ha i capelli più belli di quelli di una donna, e vuole tagliarli?-

- Senti, Sarja, quella cosa era orribile ieri e…!-

- Che succede qui?- Tom alzò lo sguardo e rimase letteralmente ipnotizzato. Saphira era sulla porta e indossava un abito blu. La gonna era leggermente gonfia, e dei ghirigori di un argento brillante facevano la loro figura e si abbinavano perfettamente al colore dei suoi occhi. Era stupenda. - Tutto a posto, Tom?-

- Ehm...sì, cioè...i capelli...non so come farli, ecco…- Prese a balbettare. Gli sembrava stupido lamentarsi della sua capigliatura davanti a Saphira, che magari avrebbe potuto giudicarlo male, ridere di lui o non capirlo. Invece no. Ella si era avvicinata e gli aveva detto di sedersi. Ordinò a Sarja una serie di piccoli elastici neri e un accendino. - NON ME LI VORRAI BRUCIARE!- Non riuscì a tenere il tono basso appena sentì la parola accendino.

- Shh! Sta’ giù e lasciami lavorare!- Sarja portò tutto l’occorrente e Saphira divise i capelli di Tom in tante ciocche, dalle quali ricavò delle minuscole treccine. - Ho sempre sognato di farlo- Con l’accendino bruciò i capelli in eccesso. Inutile dire che in quella parte a Tom prese un infarto e più volte si era tappato gli occhi non volendo assistere a una tale piromania. - Ecco fatto- Però quando tolse le mani e si guardò allo specchio non riuscì a crederci: gli donavano un sacco! - Si chiamano cornrows. Sarebbe un’acconciatura derivante dall’Africa e che ho sempre ammirato. Io non me la posso fare, ma su di te sta divinamente- Si mise in piedi e ora sì che si sentiva davvero soddisfatto del suo aspetto. Si era sempre odiato al riguardo: capelli sempre disordinati o tagliati male, vestiti che parevano stracci, corpo troppo secco. Oggi quello era cambiato. Adesso si sentiva davvero uomo, anche se aveva solo 17 anni. Saphira aveva provveduto ai capelli, Sarja e la sarta della città all’abito, e al suo corpo...beh, avrebbe solo dovuto accettarlo. Certe cose non si possono cambiare e forse fanno proprio parte di noi in maniera indelebile. 

- Tom! Saphira!-

- Arriviamo!- La ragazza prese Tom per mano e lo condusse al piano di sotto. Appena i Signori Winkler notarono i capelli di Tom, sussultarono. Herr Winkler non si pronunciò, se non con un grugno di profondo disappunto. Frau Winkler invece si sentì proprio in dovere di commentare: “Quelli sono i capelli degli schiavi! Chi te li ha fatti?!”. Tom non voleva mettere nei guai Saphira, perciò stette per dire di aver agito autonomamente, quando ella lo precedette.

- Sono stata io-

- Tu!?-

- Sì, madre, e sinceramente non credo che gli stiano così male...- Cercò di difendersi. La donna la fissò come se fosse la più grande disgrazia che potesse capitarle. Poi sospirò e ci rinunciò. Entrarono tutti in macchina e stettero in silenzio, anche se Saphira si premurava di fare qualche pizzicotto o del solletico a Tom per non farlo smettere di sorridere. Anche se i suoi capelli erano di quelli che venivano chiamati “schiavi”, non voleva dire che lui lo fosse. L’abito non fa il monaco, e allora i capelli non facevano Tom...ma il suo sorriso sì. 

Giunsero ad un enorme palazzo, grande come la casa dei Winkler, se non di più.

- Dove ci troviamo?- Sussurrò Tom alla sorella.

- Siamo a casa Kaulitz. Mi raccomando, cerca di comportarti bene. So che sei un tesoro, ma non far vedere insomma che ti senti fuori posto, anche perché nonostante tutto io provo lo stesso da anni- Tom la abbracciò e Saphira sorrise inspirando il suo profumo. Tom era la sua felicità adesso, l’unica cosa che avrebbe potuto salvarla.

- Saphira, mettiti composta!-

- Sì, madre- Però c’era come sempre qualcuno disposto a rovinare tutto. Quando lo chauffeur aprì loro la portiera, Tom non poté fare a meno di stupirsi, di avere occhi spalancati e bocca dischiusa mentre scendeva da quell’auto. Era tutto così enorme e luminoso, e aveva paura di non riuscire a sopportarlo, ma la mano di Saphira che stringeva la sua gli infuse sicurezza. Da ora in poi le cose piccole e l’oscurità non avrebbero più fatto parte della sua vita, almeno così credeva. Quando entrarono, un enorme tappeto condusse loro dove la musica stava sempre diventando più forte. Erano violini, tanti violini, qualche strumento a fiato dolce e poco percettibile. Questi suoni li accompagnarono fino ad un grande salone gremito di gente. Tutti i signori erano vestiti con nero, blu e grigio. Le dame invece indossavano i colori più disparati: dal giallo, al verde, all’arancione, al rosso fuoco, al rosa antico...di tutto e di più. Tom cercò di apparire sicuro, anche quando il cameriere si avvicinò con lo champagne chiedendo se ne voleva un bicchiere. Fu Saphira a prenderli per entrambi e l’uomo inarcò un sopracciglio, come se lei che era donna non potesse bere esattamente come un uomo, se non di più. Per quanto ne sapeva, lei aveva tutto il diritto di fare un po’ come voleva. Tom assaggiò lo spumante per la prima volta e assunse un’espressione strana, come un neonato che aveva appena succhiato una fetta di limone. Saphira bevve il suo sorso lentamente e rise. - Se non ti piace, puoi metterlo qui- Indicò un vassoio sopra un tavolo.

- No no, ora che sono grande devo anche io bere l’alcool-

- Ma chi ti ha messo in testa certe assurdità?- Nessuno. Se le era messe da solo nel momento che aveva inteso che adesso non aveva più un limite riguardo questa cosa. - Ah, Tom! Guarda là! Lui è il signor Kaulitz!- Tom riuscì a scorgere tra la gente un uomo molto alto e piuttosto imponente dai capelli neri e gli occhi molto scuri. Mettava quasi i brividi per quanto era alto, sembrava che con un destro avrebbe potuto spedirti all’altro mondo. - E’ una persona con un acuto fiuto per gli affari, colta e veramente carismatica...beh, questa è una qualità ereditata pure dal figlio, senza dubbio-

- Ha un figlio?-

- Sì, facevamo insieme lezione con il precettore quando eravamo piccoli- Poi improvvisamente si sporse per guardare alle spalle di Tom con gli occhi sgranati. - Oh eccolo! E’ lui!- Tom si voltò e fu un attimo. Esattamente come la scena di uno di quei film che non aveva mai guardato perché all’orfanotrofio ai bambini era proibita la televisione. Quello che stava contemplando era sicuramente qualcosa che andava oltre tutte le sue aspettative. Quello...era un angelo infernale. Se Saphira scendeva dal Paradiso, egli non poteva che ascendere dall’Inferno. - Si chiama Wilhelm Kaulitz, anche se molti lo chiamano semplicemente Bill, e ha 20 anni- Sentì anche a malapena il suo nome da quanto era occupato a guardare quell’ombra fuggente tra le persone. E quell’ombra quella sera era di un’eleganza sublime. Anche il figlio del signor Kaulitz indossava un completo nero, con la giacca parecchio sbottonata ad evidenziare un’ampia scollatura. Sotto portava una camicia molto fine bianca come il latte e il colore della sua pelle vi si confondeva facilmente. Gli occhi e i capelli sprigionavano invece così tanta oscurità che faceva ben capire i sentimenti nel suo animo, trasparenti. Aveva i capelli corti e neri, pettinati tutti all’indietro, e gli occhi di un marrone così forte e penetrante da farti tremare. - Si sta avvicinando!- Ecco, a quello non era pronto. Il tempo di voltarsi per chiedere a Saphira una fuga immediata ed ebbe modo di udire la sua voce…

- Buonasera, Saphira- Tom fu solo in grado di deglutire e tremare. Era delicata, come tutto lui, ma sentiva che nel profondo sapeva essere dura, perché in qualche modo percepiva che anche lui, come Saphira, possedeva qualche scheletro nell’armadio. Non sapeva come o perché ma...era così.

- Ciao, Bill-

- Chi è il tuo amico dai capelli strani?- Chiese con una leggera nota di ironia. Saphira afferrò il braccio a Tom con entrambe le sue.

- Si chiama Tom...su, avanti, non fare il timido!- Lo spinse leggermente avanti come una mamma che incoraggiava il figlio a fare amicizia con il nuovo bimbo. E Tom si ritrovò a pensare che non avrebbe mai potuto essere amico di uno del genere. Non sapeva cosa provava esaltamente. Un’innata voglia di rimanere solo con lui e di toccarlo ovunque...come fosse un gioco, un gioco sporco e vergognoso. Quel demone terribilmente affascinante prese a ridacchiare del suo disagio.

- Non mordo mica-

- E’ la stessa cosa che gli ho detto io, ma sembra che ci reputi serpenti- E scoppiarono in una risata di coppia che a Tom irritò e basta. In realtà non solo...prima era rimasto imbambolato a sentire quella pulita di Bill e poi aveva realizzato che era una presa in giro.

- Mi chiamo Tom- Disse in maniera seria e afferrò la mano di Bill saldamente, tanto che questo smise di ridere perché gli strinse la mano così forte che per un istante una smorfia di dolore gli apparve sul volto. Tom constatò che aveva pure delle mani delicatissime, e non le avrebbe strette in quel modo normalmente...anzi, non lo avrebbe affatto strette normalmente!

- Bill...Bill Kaulitz. Ora se volete scusarmi devo...devo andare, sì- E la sua ilarità si era improvvisamente spenta, così come il suo dolce sorriso. Tom si dispiacque pensando che magari la colpa era stata sua. Non voleva essere così rude, solo che doveva ancora affinare certi suoi modi di comportarsi. E così lo vide allontanarsi verso quello che era suo padre. Dio, lui al posto di Bill non si sarebbe avvicinato ad un uomo del genere neanche se lo avessero pagato.

- Come ti è sembrato?- Chiese Saphira. - Un po’ strano, ma ti posso assicurare che è una brava persona, anzi, forse l’unica che vale davvero in questa mandria di rincitrulliti- Ovviamente fece ben attenzione a non farsi udire. - E poi non te la prendere se ti prendiamo un po’ in giro, non volevamo offenderti-

- Non preoccuparti- Però Saphira non ci vedeva giusto. Tom continuava a mantenere lo sguardo basso e scostante, come se stesse pensando ad altro. - Scusa, credo che devo andare al bagno...sai dirmi dov’è?- La ragazza sorrise calorosa e annuì indicandoglielo. Non gli chiese nulla e lo lasciò andare. Magari c’era un ingrediente nelle tartine al quale era intollerante e si stava sentendo poco bene. Fece spallucce e si avvicinò a fare una chiacchierata con le altre signorine della sua età.

***

Tom in realtà non necessitava del bagno. Era solo una scusa per allontanarsi da Saphira ed andare alla ricerca di quella creatura mistica che era Bill. Non si rendeva realmente conto di quanto gli fosse bastato uno sguardo per esaurirlo. Gli era stato sufficiente vederlo lì, con un bicchiere di spumante in mano, il portamento delicato, che parlava con altri della classe nobiliare. Il modo di muoversi lo aveva ammaliato, così come il suo modo di esprimere ogni sua più piccola emozione. Era stato come un fulmine che lo aveva improvvisamente atterrato, e adesso lui stava andando nuovamente a cercare quella sensazione. Voleva essere ridotto in cenere. Però rimase deluso. Era scomparso. Non fu capace di ritrovarlo in quell’enorme salone e tra poco Saphira si sarebbe preoccupata enormemente se non lo avesse visto far ritorno. Fece per tornare indietro quando qualcosa dentro di lui lo fece guardare alla sua sinistra, esattamente in fondo...e lo vide. Fu un attimo, ma era sicuro di averlo sorpreso entrare da una porta e uscire dal salone. Deglutì e si girò in direzione di Saphira che stava continuando a parlare. Forse si sarebbe distratta a tal punto da non accorgersi così tanto della sua assenza. Così anche lui lentamente si diresse verso quella piccola porta e, dopo aver controllato che i Winkler non lo tenessero sott’occhio, vi sgattaiolò dentro chiudendola alle sue spalle. Di fronte a lui un corridoio abbastanza nella penombra, però profumava di incenso. Non sapeva perché la gente in quel paese aveva la fissa di far profumare le loro case come fossero chiese, ma alla fin fine quell’odore non lo aveva mai infastidito. Cominciò a camminare piano, quasi con paura che qualcuno avesse potuto scoprirlo e chiedergli che cosa ci facesse lì. Poi quei pensieri furono deviati dal rumore di un pianto...qualcuno stava piangendo. Inarcò un sopracciglio e capì che proveniva da un’altra porta accostata. E lui che se doveva piangere si chiudeva a doppia mandata! Comunque si avvicinò per sbirciare e si sorprese al vedere che quello che stava piangendo era proprio lui: era Bill. Era seduto di profilo rispetto a Tom e guardava la notte che illuminava fuori dalla finestra. I capelli non erano più ordinati, ma leggermente scompigliati, come se si fosse messo le mani tra essi parecchie volte, forse nel tentativo di contenere una pazzia imminente. Stava disperandosi come se non ce la facesse più di qualcosa, come se ne avesse abbastanza. I suoi occhi erano sgranati, le lacrime scendevano autonome e copiose. Tom non seppe dove trovò quel coraggio, ma aprì lentamente la porta di quella stanza, la quale cigolò e quindi Bill alzò immediatamente lo sguardo.

- Che ci fai qui!?- Gli chiese in maniera abbastanza irritata. Beh, era comprensibile, Tom era uno sconosciuto che si stava aggirando per le sue stanze senza il suo permesso.

- Perdonami, io…-

- Vattene- Questo lo disse con un tono più calmo, ma carico di oscurità e depressione.

- No, stai piangendo-

- Wow...non me n’ero accorto- Quell’ironia spinosa non smetteva mai di caratterizzarlo, ma Tom capì essere solo un meccanismo di difesa, così avanzò ugualmente e, una volta che gli fu davanti, gli prese la mano che gli aveva stretto prima, si abbassò e gli donò un bacio sul dorso. Bill rimase spiazzato da quel gesto, le sue guance furono in grado di arrossire per la prima volta nella sua vita e il cuore gli prese a battere come un ossesso nel petto. Ora era quello ad essere impazzito, ma non lo percepiva come se fosse una cosa negativa.

- Mi dispiace per averti stretto la mano così forte prima, ero nervoso-

- N-non...non preoccuparti- Tom si alzò e prese una sedia mettendosi a sedere. - Beh? Che fai?-

- Voglio ascoltarti. Perché piangi?-

- E perché dovrei dirlo proprio a te?-

- Perché nessun altro tra queste mura potrebbe capirti. Forse Saphira, ma lei non è qui, quindi...ti resto solo io- Bill rimane in silenzio per qualche secondo ponderando su quelle parole. Aveva immensamente ragione, nessuno ascoltava il suo cuore...forse Tom avrebbe davvero potuto farlo meglio di qualunque altro, anche se non lo conosceva. E poi non aveva niente da perdere, quindi…

- Non è nulla di importante, comunque-

- Questo sarò io a giudicarlo- Bill sospirò, era inutile che cercasse di nascondersi ancora. Lo aveva scoperto.

- Ti è mai capitato di dover rinunciare a una cosa alla quale tenevi con tutto te stesso?- Quella volta, però, fu Tom ad abbassare lo sguardo.

“Per sempre, Tom”

Deglutì e il respiro prese a tremare.

“Ti fa male?”

“No…”

“Vado più piano se vuoi”

“No...sto bene, mi piace”

Scosse la testa. Quella notte sarebbe rimasta nella sua mente per sempre, fino alla fine dei suoi giorni.

- Sì- Rispose semplicemente.

- Tom, tutto bene? Sei impallidito…-

- Non preoccuparti per me, stavamo parlando di te. Ho risposto alla tua domanda, ora dimmi...per favore- E quel “per favore” risuonò davvero come una preghiera, come se qualsiasi cosa avesse detto Bill, anche la peggiore, avrebbe potuto distoglierlo da quei film mentali. Quest’ultimo si era avvicinato e gli aveva accarezzato il viso.

- Sicuro?-

- Non sono più sicuro di niente da anni ormai- E infatti anche dal suo occhio scese una lacrima che lo tradì e che Bill asciugò. Ecco perché Tom lo stava capendo, quella goccia aveva confermato ogni cosa: anche lui stava provando un immenso dolore. - Ma ti prego, dimmi cosa ti sta facendo stare male. Voglio che tu sorrida- A quella frase Bill si intenerì. Tom sembrava così bambino nonostante avesse 17 anni, però era consapevole di cosa davvero era importante, e questo neanche un uomo sapeva riconoscerlo. Un uomo come per esempio suo padre.

- Io dipingo, Tom. Adoro fare quadri, fin da quando ero piccolo. Mia madre era una restauratrice di opere d’arte ed io ho preso da lei questo interesse. Poi, quando morì, mi disse che aveva visto in me qualcosa e che voleva lo coltivassi. Giorno dopo giorno dipingevo e la bellezza di ciò che creavo cresceva con me...fino a che mio padre non l’ha visto più come un “gioco” adatto a me. Lui...lui vuole che io faccia l’uomo d’affari, vuole che faccia soldi per poi investirli in altri soldi ancora, ma non è quello che desidero. Il mio sogno è fare l’artista, ricco o povero non ha importanza...non ha davvero importanza- Poi si voltò verso Tom. - Tu sei appena arrivato in questo mondo, non sai ancora cosa vuol dire. Saphira è la migliore sorella che ti potesse capitare, ma è giusto che tu abbia la tua opinione e sono sicuro che presto cambierai idea, vorrai scappare...esattamente come me-

- E allora scappa- Concluse senza pensarci, d’istinto.

- Cosa?-

- Sì, cosa te lo impedisce?- Bill sbuffò fintamente divertito.

- La mia popolarità. Sono il figlio del signore più potente di Berlino, chiunque si aspetta qualcosa da me-

- Anche da me la gente si aspetterebbe che non mi interessassero gli uomini ma alla fine...cosa importa?- Bill lo fissava senza espressione. Tom non sapeva se aveva sbagliato a confessarlo, ma non era quello il punto ora. - Cosa importa chi la gente vuole che tu sia se tu stesso in primis non sei felice?-

- Tom…-

- Io ho amato, Bill. Ho provato per una persona lo stesso amore che tu provi per l’arte, se non di più, e una tubercolosi me l’ha portata via, quindi sì, so cosa vuol dire rinunciare o perdere ciò che ho più amato, e proprio per questo non posso sopportare certi discorsi! Tu puoi ancora avere quello che vuoi, sei ancora in tempo, il mio invece è scaduto per sempre!- Bill si passò una mano sugli occhi asciugandosi quei rimasugli di lacrime che ora gli sembravano patetici. - E ora per favore, sorridi- Aggiunse con tono più calmo di quello che aveva intrapreso, così irritato. Prese il viso di Bill tra le mani assicurandosi che le sue guance non fossero più bagnate...e il ragazzo sorrise davvero, o almeno si sforzò e riuscì a tirare fuori un sorriso molto piccolo. - E ricordati che hai ancora tempo e non pensare a ciò che gli altri vogliono da te, loro non ti conoscono-

- Neanche tu mi conosci- Sussurrò.

- Più di tuo padre sicuramente- Bill rise. Era triste come cosa, non avrebbe dovuto ridere, ma lo fece perché era anche assurda: suo padre non lo conosceva da una vita, e Tom aveva già saputo più del dovuto in soli venti minuti. - Sono felice di averti fatto ridere-

- Non rido spesso a dire la verità, o almeno non lo faccio in modo così spontaneo-

- Sì, perché qui fanno delle lezioni anche per insegnarti a ridere- E infatti Bill riprese a ridacchiare pure a quella battuta.

- Tu ci scherzi, ma…-

- Dai, sul serio!?- 

- Portamento ed educazione. Sono le prime parole che impariamo a pronunciare noi di buona famiglia, ancora prima di “Mami”- Doveva essere terribile, pensò Tom. Saphira non lo aveva “educato”, lei lo aveva fatto divertire con quelle scempiaggini. Era giusto essere gentili, ma se essere educati voleva dire privarsi della sana libertà, allora non era educazione, era castigo. - Ma se posso permettermi...Tom, come hai scoperto che ti piacciono gli uomini?- Sussurrò per fare in modo che nessuno potesse sentirli, neanche per sbaglio. - Il tuo segreto è al sicuro con me- Gli fece l’occhiolino, e solo per quel gesto simpatico Tom decise di fidarsi.

- Io...mi interessava un mio compagno all’orfanotrofio. Era il mio migliore amico, siamo cresciuti insieme...e pian piano ci siamo innamorati ma...lui ha preso la tubercolosi e in una notte di temporale si è spento come...una candela consumata...e tutt’ora mi chiedo se è colpa mia- I suoi occhi tornarono lucidi.

- No, non è colpa tua, Tom-

- ...certe volte penso che sia stato Dio a punirci così-

- Se Dio esistesse avrebbe tante cose da spiegarmi, invece! Tom, pensaci un attimo. C’è tanta gente al mondo credente e buona che comunque ha vissuto e vive situazioni spiacevoli e disgrazie; poi ci sono quelle persone spregevoli, blasfeme, che uccidono, e comunque riescono a realizzarsi senza troppi ostacoli. Quindi, Tom, Dio è solo un’idea che gli esseri umani si sono creati. Non condanno chi ci crede, ma io penso che noi abbiamo un destino già scritto...così come era già scritto che ci incontrassimo- Tom alzò lo sguardo e incrociarono i loro sguardi. La Luna era bellissima negli occhi di Bill, e se avesse potuto scegliere, invece che guardarla da quei vetri, l’avrebbe contemplata in quegli specchi dell’anima. Erano così...così singolari che Tom non poteva fare a meno di obbedirvi. Lui non era sbagliato, e se lo era, forse era perché le altre persone gli ci avevano fatto credere, ma in realtà non c’era un ideale o un genere, in amore. Quel minuto di silenzio che passarono a guardarsi negli occhi fu qualcosa di magico, fino a che…

- TOM! TOM, SEI QUI!?- Era la voce di Herr Winkler. Ma da quanto tempo lo stava cercando?

- Mi sa che devi andare…- Sussurrò Bill senza staccare lo sguardo da quello di Tom.

- Non vorrei-

- Nemmeno io, ma se davvero un destino è scritto, allora spero di rincontrarti nel prossimo capitolo- Tom sorrise.

- Anch’io-

- TOM!-

- Non piangere stanotte- Ebbe modo di sussurrare prima di avvicinarsi alla porta, ma quando toccò la maniglia gli venne in mente una cosa che aveva pensato da tutta la sera e che doveva assolutamente dirgli. Così si voltò un’ultima volta. - Hai mai provato a farti un autoritratto?-

- Ehm...no-

- Peccato, saresti una perfetta opera d’arte anche su tela-

Anche quelle parole ebbero il potere di fare arrossire il figlio di Kaulitz.

Ed era la prima volta nella sua vita che il suo cuore batteva per delle semplici parole. E anche quando Tom chiuse la porta, i suoi occhi rimasero a fissare il ricordo di quei venti minuti passati insieme.

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Capitolo 6
*** Kapitel 6 ***


Kapitel 6


Il silenzio dominava quel corridoio, e questo per colpa sua. Herr Winkler, appena lo aveva visto tornare, non gli aveva rivolto la parola, così come sua moglie, logicamente. Saphira invece gli si era affiancata subito, chiedendogli in un bisbiglio dove fosse stato per tutto quel tempo. Tom non rispose inizialmente. Credeva che fosse una cosa cattiva quella che aveva fatto, andare da Bill, ma allo stesso tempo era stata anche l’unica cosa che gli aveva evitato di annoiarsi.

- Tom...ho paura che a casa i miei vogliano rimproverarti. Hai fatto una cosa che non dovevi fare e…-

- Cosa, esattamente?- Chiese serio. Non capiva. Sembrava che qualsiasi cosa facesse risultasse sempre sbagliata per qualcuno, diamine! 

- Ti sei allontanato da me. Io ho cercato di coprirti, te lo giuro…!-

- Coprirmi? Saphira, non sono il tuo cane, sono un uomo, e posso andare dove mi pare e piace!- La ragazza sgranò gli occhi di ghiaccio non aspettandosi una reazione così innervosita da parte di Tom. Egli infatti capì di aver esagerato, non era sua la colpa. In fondo, aveva cercato di evitargli l’inevitabile. Sospirò. - Scusa, è vero. Avrei dovuto non lasciarti per così tanto tempo-

- Non importa che mi dici dove sei stato se non vuoi, ma loro vorranno saperlo- Finalmente arrivarono nella biblioteca, lì dove li avevano condotti i due padroni di casa. Entrarono e si misero a sedere sul divanetto senza che gli venisse ordinato. Metteva troppo disagio tutta quella calma spinosa, inoltre gli occhi spiritati e austeri dei signori Winkler non aiutavano né Tom né Saphira a rimanere tranquilli.

- Bene, Tom. Immagino che tu possa immaginare il motivo per il quale adesso ci troviamo qui- Il ragazzo deglutì e guardò un attimo Saphira, per poi annuire leggermente. Frau Winkler era l’unica che non si era seduta. Stava vicino al caminetto ad osservare il fuoco con l’orecchio teso per non perdersi neanche una parola. - Come mai ad un certo punto della serata ti sei allontanato?-

- Io...dovevo andare in bagno e ci ho messo un po’ per...per trovarlo-

- Capisco. Beh, quasi quaranta minuti mi sembra abbastanza esagerato, non pare anche a te?-

- Lei non aveva il diritto di contare il mio tempo!- Sussurrò con un ringhio.

- Cosa?-

- Tom…- Intervenne Saphira per calmarlo, ma il ragazzo le prese la mano rassicurandola.

- Io sono una persona e non mi piace essere controllato 24 ore su 24! Eravate preoccupati che fossi andato con una donna? No, non l’ho fatto, non sono quel genere di persona!-

- Questo lo vedremo…- Disse Frau Winkler finalmente voltandosi nella loro direzione. - Visto che tu dovrai unirti con Saphira in matrimonio- Quella frase aveva distrutto tutto. Tom aveva sentito come un dolore al petto, qualcosa che per un istante gli aveva impedito di respirare. La signora prese posto sulla poltrona accanto al marito. - Esattamente- E aveva un sorrisino compiaciuto quasi a vedere l’espressione sconvolta di Tom.

- C-come?-

- Certo che potevi avere un po’ più di tatto, cara- La “rimproverò” sottovoce Herr Winkler. - Comunque sì, è così. Ti abbiamo adottato affinché tu sposassi Saphira- Tom si voltò verso la ragazza, la quale teneva lo sguardo basso e colpevole.

- Tu...tu lo sapevi?-

- Tom, io…-

- No!- Scattò in piedi allontanandosi verso la porta. - Io non voglio sposarla! Voglio bene a Saphira ma…!-

- TOM, VIENI SUBITO QUI!- La voce di Herr Winkler tuonò improvvisa e pure Sarja che stava passando fuori per pulire il pavimento si prese un bello spavento. Il ragazzo si fermò in prossimità della porta e lo fissò negli occhi un po’ intimorito, perché era in un luogo che non gli apparteneva e poteva benissimo essere sbranato. Si sentiva come un topolino in mezzo a due tigri affamate. - Ho detto...subito- Disse diminuendo il tono, ma incutendo comunque paura. Tom si avvicinò pian piano. - Tu sei qui per sposare mia figlia, ti è chiaro?-

- Ma io non…-

- TI È CHIARO!?- Tom deglutì.

- Sì...è chiaro-

- Lo spero bene, ma con il tuo atteggiamento mi stai facendo diffidare molto di te- Si alzò, prese una bottiglia di whisky ed un bicchiere riempiendolo e bevendolo in un sorso, come fosse acqua. - Mi hai fatto venire la gola secca- Aggiunse con tono di disprezzo. - Sei troppo cocciuto, sei come un cavallo che ha bisogno di essere ammaestrato. Capisci che intendo?- Tom non rispose. - Hai bisogno di un posto tranquillo, silenzioso...dove non potrai parlare o dire sciocchezze, o fare cose che comunque non ti competono. Andrai perciò a lavorare nella biblioteca del paese da domani stesso, così avrai tempo per riflettere sul fatto che tu sposerai mia figlia, sposerai Saphira, e non si discute!- Tom abbassò nuovamente lo sguardo su Saphira, la quale non sapeva che dire. Ne era a conoscenza e non gli aveva confessato niente. Gli aveva fatto credere che sarebbero stati semplicemente fratelli, nulla di più. Così, molto risentito, girò i tacchi e se ne andò via sbattendo la porta.

***

Saphira non sapeva se entrare o meno. Era ormai mezzanotte passata, ma non riusciva a dormire. Era troppo difficile chiudere occhio quando sapeva che Tom nell’altra stanza stava soffrendo come un dannato per un destino che non aveva minimamente immaginato o scelto. L’ultima cosa che voleva era che Tom stesse male per causa sua. Era consapevole di aver commesso un grosso errore a non avvertirlo o a non parlargli prima, così che perlomeno fosse preparato, anche se forse l’esito della conversazione non sarebbe stato differente. Suo padre, Herr Winkler, era un demonio nascosto dietro a degli occhi blu. E sua madre lo stesso. Erano due vipere, ma Saphira non voleva che Tom si sentisse male in quella famiglia già dal primo minuto che aveva messo piede in quella casa, così aveva nascosto ogni faccia maligna, ma adesso...adesso voleva porre rimedio a questo sbaglio, voleva spiegarsi, cercare di tornare a farsi voler bene da Tom, che forse adesso la stava odiando. Sospirò e abbassò la maniglia aprendo la porta. La stanza era logicamente avvolta nel buio, così camminò lentamente fino a raggiungere il letto. Con la lampada ad olio che aveva in mano riuscì a distinguere la figura di Tom che dormiva, e quando lo illuminò notò un particolare che le fece stringere il cuore: due righe di lacrime ormai secche sotto i suoi occhi. Doveva essersi addormentato piangendo, e come dargli torto? Improvvisamente il ragazzo sbatté le palpebre infastidite dalla luce e aprì gli occhi mettendo a fuoco la figura di Saphira.

- Tom- Lo sentì sbuffare. Sicuramente non era contento di vederla.

- Che ci fai qui? Non puoi entrare così nel bel mezzo della notte-

- Ma io avevo bisogno di vederti, di parlarti. Non riesco a dormire, e…beh…- Si spense tutta d’un tratto non avendo il coraggio di continuare. Sapeva che era riprovevole quello che aveva fatto, ma desiderava la fiducia di Tom più di qualsiasi altra cosa.

- Va bene, ho capito. Vuoi accoccolarti?- Saphira si rianimò improvvisamente con delle stelline ad illuminarle gli occhi grigio-cerulei. Annuì appoggiando la lampada sul comodino e si infilò sotto le coperte con lui. Tom coprì entrambi accuratamente.

- Fa molto freddo stasera- Commentò con il respiro leggermente tremante.

- E’ vero-

- Tom, io volevo dirti che il mio comportamento è stato ingiustificabile, non ho scusanti e…-

- Shh- Il ragazzo le accarezzò una guancia fredda e candida come la neve cercando di rassicurarla sul fatto che non ce l’avesse più con lei. - Ci ho riflettuto, e sono giunto alla conclusione che anche tu non sei d’accordo con questo matrimonio, ma mi chiedo...come mai non parlarne ai tuoi?- Saphira sospirò avvicinandosi per poggiare la testa sul petto di Tom in cerca di quella protezione che amava alla follia ormai, e che solo lui era in grado di darle.

- La fai facile, Tom. Hai visto come sono! Irremovibili, ed io sono obbligata a fare quello che mi dicono, perché sono la figlia-

- E allora perché non fuggi?- Ancora una volta gli venne d’istinto fare quella domanda. La ragione poteva essere che forse, da qualche parte nel suo animo, anche lui aveva voglia di scappare. Bill glielo aveva detto che prima o poi sarebbe successo.

- Cosa?-

- Sì, ma che avete tutti? Perché non fate di tutto per seguire i vostri sogni? Mi sembri Bill-

- Bill? Che c’entra Bill adesso?- Ecco, magari non avrebbe dovuto dirlo, ma ormai era troppo tardi. - Tu sei andato a cercare Bill quando ti sei allontanato da me. Perché?- E Saphira non era per niente stupida, dato che aveva tratto le proprie conclusioni da sola.

- Io volevo scusarmi, credevo di avergli fatto una cattiva impressione e lui mi ha confessato di voler fare l’artista mentre il padre lo costringe a intraprendere la carriera di uomo d’affari. Comunque non voglio parlare di questo ora, sta di fatto che tu, come lui, non siete liberi e non vi ribellate a chi vi tiene prigionieri, ma li assecondate soffrendo-

- Tom, Bill ed io siamo nobili, va bene? Lui è un signorino ed io sono una donna...credo che basti come parola per definire ciò che mi spetta e il fatto che non abbia diritto di scelta- Il suo tono era improvvisamente diventato duro.

- Ma…-

- Niente ma, Tom. Vorrei tanto ci fosse un “ma”...ma non c’è!- A quel punto Tom non aprì più la bocca. Forse stava solo dicendo una marea di sciocchezze. Magari era davvero così difficile e impossibile come diceva Saphira. Una via di uscita poteva anche non esistere, era inutile che cercasse di costruirla o di inventarla. - Scusa, va bene? Sono stata troppo rude-

- No, anzi...credo che tu abbia ragione e se vuoi sfogarti con me puoi farlo- Saphira alzò la testa e cercò di guardarlo negli occhi. Li aveva di un dorato così particolare che chiunque vi si sarebbe perso facilmente. Era così innocente da trasmettere tenerezza perfino in un animo sofferente come quello di lei. Cominciarono a tremarle le labbra. - Saphira-

- Tom-

- Piangi se senti di doverlo fare, non trattenerti- Quelle parole fecero esplodere la piccola Saphira in un pianto disperato come pochi. Tom la strinse a sé accarezzandole la distesa corvina, cercando invano di non farla gridare. In quel momento gli venne in mente Oskar, quando lui era appena arrivato all’orfanotrofio e si era ritrovato a piangere tra le sue braccia urlando il proprio dolore. Adesso capiva come si era sentito Oskar in quel momento: impotente e dannatamente dispiaciuto di non poter dare nulla più di quell’abbraccio.

- Io...odio...la mia vita…- Aveva pensato tante volte quelle parole, ma non le aveva mai sentite pronunciare ad alta voce e credeva che una del rango di Saphira non sarebbe mai arrivata a dirle. Era da brividi. Si sentì tremare tutta la spina dorsale, e perché sapeva che non lo diceva per recita o perché voleva attirare l’attenzione, ma perché lo provava profondamente, e Tom poteva sentirlo. - Tom...ti prego...non mi lasciare mai, ti prego. Io mi scuso per quello che è successo, mi scuserò sempre di tutto se sbaglierò, ma per favore...ti supplico...non mi abbandonare- Singhiozzò aggrappandosi al suo corpo artigliando i suoi vestiti.

- Shh...sono qui, mi hai sentito?- Le baciò i capelli sussurrandoglielo all’orecchio. - Sono qui- E riuscì a farla calmare fino a che non si addormentò tra le sue braccia. Si ritrovò ad accarezzarle delicatamente il viso latteo e bagnato delle sue lacrime. - Sarò per sempre con te...fino alla fine- E quelle parole dovettero rimanere impresse in qualche stella nefasta di quella notte, perché anche quando Sarja aprì la porta la mattina dopo, ella non ebbe il coraggio di svegliarli e li lasciò dormire placidamente.

***

Tom credeva che sarebbe stato molto noioso lavorare in una biblioteca, invece si rivelò davvero terapeutico. Certo, il signor Winkler non intendeva certo quel tipo di terapia che lo rilassava, quanto quella che lo spingeva ad una meditazione sul proprio futuro. La verità era che Tom non aveva nessunissima intenzione di pensarci. Voleva godersi l’unico momento dove non era sotto gli occhi di nessuno e poteva essere un po’ libero. Il proprietario si era dimostrato molto gentile con lui fin dai primi giorni. Gli aveva spiegato le varie sezioni e poi lo aveva incaricato di riordinare in ordine alfabetico vari libri su scaffali diversi. Le persone venivano e non si curavano di ciò, ovviamente. Quel giorno però la biblioteca era abbastanza deserta...anzi, non c’era proprio nessuno. Forse era per il maltempo. Una delicata pioggerella bagnava le strade di Berlino e Tom la trovava davvero rilassante da osservare. Ogni tanto si fermava ad ammirarla e gli veniva in mente Bill. Certo, la pioggia spesso e volentieri non era un’immagine felice, ma Tom la vedeva anche come qualcosa di bello, di benefico. E lì realizzò che stava pensando a Bill, una cosa per lui irraggiungibile, quando tra poco si sarebbe dovuto sposare con Saphira. Sospirò appoggiando la fronte alla finestra e lasciò un alone di vapore sul vetro. Sembrava un’anima in pena.

- Tom, tutto a posto?-

- Cosa?- Si alzò di scatto. Non stava bene che stesse appoggiato in quel modo. Non era più un bambino e certe pose da sognatore non avrebbero più dovuto far parte della sua figura, soprattutto per il rango che ormai ricopriva. 

- Ti ho visto pensieroso e rammaricato-

- No, signor Bücher...va tutto bene-

- Sul serio?- Tom annuì con un sorriso che al proprietario parve sincero e che lo convinse. - Bene, io dovrei uscire adesso per una commissione. Se arriva qualche cliente, ma ne dubito, mi raccomando, servilo con cortesia- Non lo disse perché Tom era maleducato, tutt’altro, ma perché in genere era lui a stare dietro ai clienti, Tom metteva solo in ordine, quindi era la prima volta che lo faceva, ma era sicuro che ne sarebbe stato capace senza alcun dubbio. Ormai in quel tempo aveva conosciuto più o meno bene la biblioteca.

- Va bene, me ne occuperò io-

- Grazie, allora a dopo-

- A dopo- Quando l’uomo chiuse la porta, però, Tom lo sentì salutare qualcuno che aveva avuto la pazza idea di uscire. Il temporale stava cominciando a diventare più burrascoso e poteva essere pericoloso mettere piede fuori. Tom però continuò a fare come se niente fosse stato, non immaginando che la persona salutata da Bücher altri non era che il cliente che più sperava di incontrare.

- Tom- Alzò lo sguardo e si pietrificò mentre stava mettendo un libro sullo scaffale. Non avrebbe scordato il suono di quella voce per nulla al mondo.

- Bill?- Era lì sulla soglia della stanza, tutto bagnato fradicio dalla testa ai piedi. I capelli completamente fradici, e anche sulla pelle del viso si riuscivano ad intravedere delle gocce di pioggia. - Dio, ma devi essere matto ad uscire con questo tempo! Vieni, accendo il fuoco, così puoi asciugarti- Lo prese per quella mano ghiaccia senza esitare e lo condusse a sedere su una poltrona in pelle, così che sarebbe stata più facile da asciugare una volta che il proprietario sarebbe tornato. - Aspettami qui- Non gli dette neanche il tempo di dire una parola, che corse a prendere la legna, la quale venne immessa nella stufa per alimentare il fuoco. Bill intanto lo guardava e non sapeva come dirgli che se era venuto lì anche sotto una tempesta, era stato solo per vederlo ancora.

- Tom- Lo chiamò delicatamente, come suo solito, e questo si voltò per dargli attenzione.

- Bill, santo cielo! Sei davvero zuppo, mi spieghi che cosa ti è passato per la testa? Vado a prendere un asciugamano- Stava nuovamente per andarsene, ma questa volta non gliel’avrebbe permesso. Il moro gli afferrò saldamente il polso prima che potesse allontanarsi. 

- Va bene così, davvero- Il ragazzo con i cornrows si prese qualche momento per osservarlo meglio. Indossava dei pantaloni scuri e una camicia bianca, logicamente bagnata. Salì un po’ più su, sul suo collo niveo che avrebbe riempito di baci e morsi fino a star male, e poi quelle labbra le aveva così invitanti, e quegli occhi erano...erano il Paradiso glorioso per un Tom che altro non era che un perdente peccatore. Ed era per questo che lui non poteva. 

- Come vuoi- Si mise in ginocchio davanti a lui. - Come mai sei venuto qui?- Bill in quell’istante non poté fare a meno di guardare gli occhi di Tom e constatare che alla luce del fuoco, quel dorato cangiava su un marrone rossiccio davvero affascinante. E fu in grado di leggervi dentro, capendo che erano la calamita e il magnete che non avevano il coraggio di attrarsi. Avevano paura di sbagliare, entrambi. 

- Io…- E pure la parola gli aveva tolto, oltre alla forza. Erano giorni che si sentiva inerme, impotente...debole. Pativa come se fosse stato privato di qualcosa, colto da un desiderio inafferrabile che sballottava il suo animo da una parte all’altra senza smettere mai. E adesso che era davanti a Tom esso aveva trovato una posizione e non sapeva se gioirne. - Ero interessato a…- Tom assunse un’espressione un po’ confusa e un po’ impaziente. -...ad un libro-

- E sei venuto sotto tutto questo acquazzone per un libro!?-

- Sì- Rispose fermo Bill. Tom invece era sconvolto. Vabbè, doveva ancora capire certa gente nobile. Sospirò cercando di mantenere il contegno.

- Va bene. Come si intitola?-

- Liebe in der Zeit der Cholera- (NdA. “L’amore ai tempi del colera”. So che è un libro pubblicato molti anni dopo, ma mi serviva per comparare la storia dei due amanti del XX secolo con quella di Bill e Tom)

- Quello di Gabriel García Márquez?-

- Lo conosci?-

- L’ho sentito nominare. E’ una storia d’amore, immagino-

- So che in questo racconto i due protagonisti, Florentino Ariza e Fermina Daza, vivono una vita piena di difficoltà. Renditi conto che il loro amore si realizza totalmente solo quando i protagonisti sono ultrasessantenni-

- Come? E’ ancora possibile? E a Florentino gli si alza ancora il...?-

- Tom!- Lo riprese ridacchiando. - Certo che sei sempre molto romantico tu, eh?- 

- Gli spagnoli sono esagerati. Credono incessantemente che l’amore duri per sempre- Rispose facendo calare la serietà in quella stanza. Improvvisamente si allontanò per andare a prendergli quella fiaba, e quando Bill ebbe il libro tra le mani, tornò a svolgere la propria mansione. Il silenzio regnò sovrano per molto tempo, nel quale Bill rifletté su quell’ultima frase detta da Tom. Egli quindi pensava che l’amore non potesse mai durare per sempre? Credeva che solo perché aveva perso Oskar, il sentimento che provava nei suoi confronti si fosse assopito? Amare un altro...voleva dire dimenticare? Forse era questa la domanda che stava accoltellando la mente di Tom. Chiuse il libro già dopo il primo capitolo. Si alzò e aggirò lo scaffale.

- Non era forse destino che ci incontrassimo ancora?- Disse, e Tom si voltò verso di lui senza pronunciare una parola. - Tom, come puoi dire che l’amore non può durare per sempre?- Il ragazzo sospirò e continuò a riporre i libri al proprio posto con atteggiamenti fiacchi, come se non avesse voglia di parlare.

- Non lo so. Sarà che mia madre è morta, mio padre mi ha abbandonato, il mio migliore amico nonché primo amore adesso è sotto terra...e tu non puoi appartenermi- Il cuore di Bill ebbe un leggero sussulto ed egli arrossì in un attimo. Quella confessione così spontanea non se l’aspettava. - Ecco come faccio a dirlo- E finalmente aveva finito con quello scaffale. Si spostò a quello accanto allontanandosi di qualche passo da Bill, il quale se n’era rimasto lì in silenzio, fino a che non aveva deciso di fare avanti.

- Ma Tom…- E non seppe che cosa scattò in lui, ma la passione in quel momento esplose. Bill non ebbe neanche il tempo, che Tom lasciò perdere tutto, gli tolse il libro dalle mani gettandolo a terra e gli prese il viso imprimendo forse il bacio più passionale che potesse dare. Non aveva mai baciato così, ma solo dio sapeva quanto desiderio stesse tenendo dentro da quando Bill aveva varcato la soglia della porta della sua vita. Erano così presi dalla foga che andarono a sbattere su una delle librerie facendo cadere alcuni libri, ma a loro non importava. In quei baci dati con disperazione non potevano fare altro che abbandonarvisi totalmente. Bill non era mai stato baciato in quel modo da nessuno, e non sapeva come fare, ma quando capì che la lingua di Tom voleva entrare nella sua bocca, la aprì istintivamente e si lasciò andare. Finirono sul divanetto senza staccare le labbra e Tom vi cadde seduto sopra. Bill salì a cavalcioni su di lui cercando di affondare le sue mani delicate in quelle treccine bizzarre che aveva sognato più notti di tirare durante un amplesso. Ed era stato durante quelle notti che aveva capito che cosa provava per Tom. Certo, non un amore come quello di Giulietta per Romeo, ma un’attrazione irrefrenabile sì. Quella l’aveva spinto a trovarsi lì, tra le sue braccia. Improvvisamente si staccarono perché non avevano più fiato e rimasero ad ansimare guardandosi negli occhi. - Che cosa è stato?-

- Non lo so...- Bill si alzò lentamente cercando di sistemarsi i vestiti che si erano leggermente stropicciati in tutto quel movimento.

- Io...credo di dover andare- E detto questo, prese il libro che era venuto a ritirare e se ne scappò via in meno di un secondo, senza neanche dare il tempo a Tom di pronunciare la parola “resta”. Ma in fondo, Tom non aveva neanche la voce per pronunciarla. Era troppo sconvolto da ciò che era appena successo. Non aveva saputo controllare i propri istinti, aveva preso Bill come se avesse voluto saltargli addosso e lo aveva baciato con un tale trasporto da far paura perfino a sé stesso. Era stato...sensazionale. Quelle labbra, sapeva che sarebbero state morbide, ma non così tanto. Rimase lì su quel divano a fantasticare per qualche minuto, poi andò a mettere tutto a posto ridacchiando e sorridendo tra sé e sé. Inutile dire che era felice di aver ottenuto quel momento. Non si fece paranoie sul fatto che Bill non lo volesse, perché - forse era un pervertito - ma la cosa che gli era rimasta più impressa fu quel leggero gemito di piacere che Bill aveva emesso. Era sicuro di averlo udito. Poi poteva pure essere fuggito facendo finta di niente, ma ormai ci aveva messo la firma in quel bacio, così come Tom. Avevano firmato una condanna.

***

Bill non riusciva a concentrarsi davvero su quelle righe. Alla fine Tom era stato il motivo principale per il quale era andato alla biblioteca, ma era anche vero che quella storia gli interessava molto e quindi aveva colto l’occasione per inventarsi una scusa su due piedi. La verità era che Bill in quel momento si ritrovava con lo sguardo perso nel vuoto, senza osservare nessun punto in particolare, a cercare anche solo di percepire nuovamente la sensazione delle labbra di Tom sulle proprie. Non aveva mai baciato, neanche da bambino, neanche per scherzo, e Tom lo aveva preso così, passionalmente, anche se da qualcuno che guardava da fuori poteva essere sembrato rude. Ma forse era quella la cosa eccitante, il fatto che nessuno li avesse visti e che erano completamente nascosti dal mondo circostante. Era scattato qualcosa in Tom, che alla fine aveva coinvolto anche Bill inevitabilmente. Era stato così piacevole che ad un certo punto aveva emesso un gemito compiaciuto accorgendosene solo l’attimo dopo. Se ne era vergognato? No. Era arrossito? Eccome! Non era facile per uno come lui cominciare ad aprire il proprio cuore a questo genere di cose. Era arrivato a vent’anni senza sapere niente dell’amore, dell’attrazione, del sentimento o degli istinti sessuali. Aveva cominciato a fare sogni erotici solo dopo la prima conversazione avuta con Tom, e non sapeva davvero che cosa fosse preso alla sua mente, ma forse non c’era solamente quella in gioco. Ogni tanto portava le dita alle labbra sfiorandosele delicatamente.

- Come puoi dire che l’amore non può durare per sempre?-

E come faceva lui a sostenere il contrario? Non aveva mai provato questo genere di cose e stava rimproverando una persona che le sue esperienze le aveva avute. Che poi non è che a lui fosse andata meglio: anche suo padre non lo aveva mai degnato di affetto e comprensione, sua madre era l’unica che credeva in lui ed era morta, e Saphira...beh, forse lei era la sola persona che gli stava donando uno dei tanti tipi d’amore, ovvero l’amicizia. Quindi Tom non aveva davvero nessuno. Era completamente solo.

- E tu non puoi appartenermi...ecco come faccio a dirlo-

Quella frase era stata forse la goccia che aveva fatto traboccare il vaso nel cuore di Bill. Esso era caduto e si era rotto in mille pezzi, era stato come una scintilla di qualcosa che aveva preso fuoco. Loro si erano improvvisamente incendiati e avevano ritenuto necessario bruciare e sfogare quella loro bramosia. Bill si era sentito così desiderato che non aveva potuto fare a meno di cedere, di aggrapparsi a Tom come fosse stato la personificazione della libertà. Tom era la sua libertà.

- Bill! Sei qui?- Improvvisamente Herr Kaulitz fece il suo ingresso, senza neanche aspettare il permesso del figlio, dato che la stanza era sua. - Che stavi leggendo?-

- Oh ehm...niente, signore...un libro- In rari casi lo chiamava “padre”, credeva che “signore” gli si addicesse di più, sia per il modo di comportarsi, sia per il fatto che in 20 anni che viveva non avevano avuto il tempo di instaurare un legame degno di una parola con una connotazione affettiva più vera e sincera.

- Mh, bene. Spero che sia un libro d’istruzione, non con quelle cose melense-

- No, è un libro che parla di storia...della Spagna-

- Vedo che hai capito che genere di libri dovrebbe leggere un signore. A tal proposito, vieni al piano di sotto che vorrei parlarti di una cosa molto importante- E così chiuse la porta. Bill sospirò e chiuse il libro domandandosi se mai avrebbe finito di leggerlo senza essere distratto dai suoi pensieri o dai propri doveri. Seguì il genitore al piano terra, dove sapeva che l'avrebbe incontrato in salotto. - Sono davvero sollevato che tu ti sia staccato da quel genere di letture- Bill alzò gli occhi al cielo senza farsi vedere. Suo padre una volta lo aveva sorpreso a leggere Pride and Prejudice di Jane Austen, e gli aveva stracciato il libro davanti agli occhi ritenendo ridicolo che un fanciullo del suo rango si dovesse intrattenere con certe “robe da donne”. Così le aveva chiamate lui. Poi gli aveva fatto un lungo discorso calcando sul fatto che avrebbe dovuto acculturarsi con letture di scienza e storia, sia del loro paese, che mondiale. Lo voleva istruito, non un sognatore di amori impossibili. - Comunque, si sta avvicinando il tempo per me di andare in pensione, e vorrei che fossi tu a prendere il mio posto- Se lo aspettava, era inutile negarlo o fingersi sorpreso. Se lo era immaginato che prima o poi quella richiesta sarebbe arrivata. - Perciò smettila di giocare con i colori, e vedi di lavorare seriamente, chiaro?-

- Ma signore…-

- Mi pare che avessimo già fatto questo discorso tempo addietro, ma ho visto un tuo nuovo dipinto in soffitta, ed inoltre non ti sei sbarazzato delle tempere come ti avevo ordinato, sicché deduco che tu non abbia capito bene cosa volessi dire-

- Invece ho capito perfettamente- Iniziò un po’ titubante, ma con l’intenzione di essere chiaro e conciso su ciò che realmente desiderava per sé stesso. - Vuoi che io diventi come te, pur sapendo che io non voglio essere come te-

- Quello che vuoi tu mi è di ben poco interesse! Io devo pensare a mantenere vivo l’onore e la reputazione di questa famiglia, perciò non posso lasciare che un ragazzo pieno di sciocchezze rovini ciò che ho costruito con sudore in tutti questi anni!- Era ovvio che si sarebbe innervosito, ma a Bill non importava, era intenzionato a farsi sentire.

- Ti sbagli. Il sudore vero lo ha versato chi ha lavorato fino allo sfinimento perché aveva dei debiti da saldare, e tu non sei stato minimamente magnanimo, persino con persone che sono venute a baciarti i piedi implorandoti di lasciar loro del denaro per campare, ma tu no...ed io non voglio diventare quel genere di persona!- A quell’affermazione il padre si mise a ridacchiare, come se il figlio gli avesse raccontato una barzelletta.

- Tu mi fai proprio ridere, Bill. Pensi di poter salvare il mondo con le tue opere?-

- No, ma almeno il nome Kaulitz avrà più onore di quanto gliene abbia conferito tu- E quello fu l’insulto più grande che avesse mai potuto rivolgergli, tanto che il signor Kaulitz arrivò ad afferrarlo per il colletto della camicia.

- Vedi di starmi a sentire! Tu non sei e non sarai mai nessuno in questa famiglia finché non ti decidi a mettere la testa a posto! VA BENE?!- Lo scosse con una certa violenza, ma Bill non aveva paura. Ormai era pronto persino a ricevere un pugno in pieno viso. 

- Tu hai sempre creduto di averla a posto, e non sei comunque nessuno per me- Sussurrò con disprezzo. Afferrò il polso dell’uomo e lo costrinse a mollare la presa, in quanto anche quella si era indebolita a sentire quelle parole. - Non abbiamo più niente da dirci. Buonanotte- Girò i tacchi e si avviò verso la porta in silenzio, per poi chiuderla alle sue spalle una volta che fu uscito. Si diresse in soffitta, nella stanza dei quadri. La aprì e un odore di vernice invase le sue narici. Lo adorava. Però, siccome era buio, tutte quelle tele appese ai muri sembravano volerlo avvolgere ed inghiottire nelle tenebre liberatorie della sua mente. Tutto quel mondo lo aveva creato lui, era la sua arte, che alcuni consideravano malata, altri ossessiva, alcuni un semplice passatempo...ma per lui era la sua vita, e grazie a Tom aveva trovato il coraggio per esprimerlo e per combattere. Si sedette al centro della stanza ammirando tutti quei capolavori che erano sempre stati nascosti agli occhi del mondo dei critici d’arte, ma che avrebbero avuto tanto da dire. E in quel momento gli si accese una lampadina in testa, e capì di averla messa a posto così come il padre gli aveva chiesto. Avrebbe indetto una mostra dove avrebbe invitato la gente più illustre di tutta Berlino. Così avrebbe sbattuto in faccia a suo padre e a tutto il creato ciò che lui era e che era destinato ad essere. Ah, e logicamente avrebbe rivisto Saphira e Tom. Chiudendo gli occhi per una volta sorrise, immaginando quale piacere avrebbe provato nell’incontrare nuovamente quegli occhi dorati con quelle sfumature rubate ad un tramonto estivo.
Erano un’opera d’arte. 

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Capitolo 7
*** Kapitel 7 ***


Kapitel 7


Bill quella mattina si era svegliato di buon umore. Il padre gli aveva comunicato di partire per un viaggio di lavoro, e da quel giorno sarebbe rimasto da solo in casa per qualche settimana. Aveva pensato di utilizzare quel tempo per allestire la propria mostra. Innanzitutto aveva fatto venire un organizzatore di eventi a casa sua. Aveva cercato nelle pagine gialle per contattarne uno che stava nelle vicinanze e avere un colloquio. Quando quest’uomo si recò a casa Kaulitz, inutile dire che rimase stupito dalla cura del giardino, dalla grandezza della costruzione, ma soprattutto il fiato gli venne totalmente portato via alla vista di quei quadri. Quella stanza faceva una certa impressione, in quanto sia di giorno che di notte era sempre poco illuminata e quindi sembrava che le figure rappresentate volessero impossessarsi dei corpi degli spettatori.

- Lei dipinge con tutta questa oscurità?- Era una domanda logica. In fondo i tratti di pittura erano così precisi che sembrava quasi impossibile.

- Sì, è il mio ambiente ideale-

- E’ veramente stupefacente. Posso?- Chiese allungando esitante una mano verso la tela.

- Certo, faccia pure- L’uomo la sfiorò seguendo i tratti del dipinto.

- Ha una tecnica veramente interessante, signor Kaulitz. Sarò veramente contento di allestire questa mostra per lei-

- Penso che possiamo discutere al piano di sotto delle varie trattative. Gradisce una tazza di tè, signor Heinrich?- Egli accettò di buon grado, e quando furono in salotto, uno davanti all’altro, Bill congedò la domestica, in quanto sapeva quanto potesse essere pettegola la servitù. Bill non voleva rendere niente pubblico fino a che non sarebbe stato tutto pronto, perché prima doveva calcolare i vari imprevisti. Il signor Heinrich si mostrò molto amichevole e alla mano. Gli disse che la sua mostra l’avrebbe allestita in uno stanzone al museo situato nell’elegante quartiere di Charlottenburg. Successivamente tornarono nella stanza dei quadri per selezionare quelli che erano degni di essere mostrati al mondo. Bill li scelse accuratamente, e ci mise tanto tempo. Ovviamente doveva ancora comprare le cornici, ma per quello optò di attendere fino a che il numero dei quadri non sarebbe stato definito dallo spazio disponibile. Passarono addirittura dei giorni dove Bill non uscì di casa e spendeva tanto tempo al telefono con il signor Heinrich, il quale si trovava al museo Berggruen (NdA. Un museo realmente esistente, ma che nella realtà venne inaugurato anni dopo). Andava a letto con il mal di testa, ma sapeva di star facendo tutto questo per sé stesso e per il suo futuro. Alla fine ordinò delle cornici fatte da uno dei migliori falegnami della città. Le voleva di legni differenti, ma con degli intagli precisi che richiamavano la rappresentazione. Desiderava che fosse tutto al meglio, e poi non poteva presentarsi nel quartiere di Charlottenburg, uno dei più illustri e chic di tutta Berlino, con qualcosa di mediocre e poco raffinato. Però in alcuni momenti in cui la sua testa aveva tempo per vagare pensava a Tom. Certe volte si scusava con sé stesso per essere costretto ad ignorare certi pensieri, siccome doveva lavorare. Era terribile dover costringere la propria mente a ritagliare del tempo apposito per meditare su sé stesso e su ciò che stava accadendo dentro di lui. Suo padre, Herr Kaulitz, desiderava che suo figlio si sposasse e avesse una famiglia, dove avrebbe mantenuto moglie e figli con i propri guadagni, ma Bill non ci si vedeva in quel futuro. Voleva essere libero di amare chi voleva e dipingere. Più volte si era immaginato in amori occasionali e poco duraturi a causa del suo girovagare per il mondo, intento a diffondere la propria arte. Non credeva neanche di essere in grado di occuparsi della prole. Certo, adorava i bambini, ma un conto era se appartenevano ad altri, un altro se era responsabile della loro esistenza e quindi doveva crescerli. Non sapeva cosa poteva insegnare  loro della vita, probabilmente niente. Era solo arte, colori schizzati su una parete che alla fine non definivano nulla di concreto. Invece Tom, pur essendo in grado di capirlo, non era per niente indefinito. Sapeva ciò che voleva e non gli importava dei pensieri altrui, avrebbe fatto quello che voleva in qualsiasi caso. Forse non aveva un obiettivo, o magari la sua meta era proprio la sua anima, il riuscire a realizzarla in un mondo che non la accettava. In quel momento gli venne un’idea e si buttò giù dal letto. Non aveva tempo per dormire, doveva assolutamente farlo ora. Passò tutta la notte a dipingere, ma nessuno se ne accorse, in quanto dall’esterno era possibile solo scorgere il buio dentro la stanza.

 

***

 

- Tom!- Saphira giunse a svegliarlo presto. Aprì la porta, scostò le tende della finestra facendo penetrare il sole nella stanza e gli saltò letteralmente addosso. - Svegliati immediatamente!- Il ragazzo stava prono sul letto, con la guancia incollata al cuscino e gli occhi chiusi. Respirava ancora tranquillo, nonostante la mole della ragazza stava balzando sul suo osso sacro. - Sei veramente un pigrone, ora vedrai- Scese dal letto, artigliò le lenzuola e le tirò via. Tom reagì mettendosi di lato e appallottolandosi leggermente su sé stesso.

- Saphira...ma che fai?- Chiese mugugnando. La ragazza gli andò davanti per controllare se almeno aveva gli occhi aperti. Li vide che stavano combattendo contro la luce del giorno.

- Sono arrivate delle lettere! Devi assolutamente guarda…!- Si interruppe improvvisamente arrossendo come una fragola. Tom non capì il motivo di quella reazione tutta d’un tratto, però vide che il suo sguardo andava verso il basso, così lo seguì. Anche lui sussultò prima di coprirsi con le mani il gonfiore alle proprie parti intime. Afferrò la coperta e vi si arrotolò. - Ehm...se hai bisogno di qualche minuto…-

- E’ una cosa naturale, succede tutte le mattine. La prossima volta impari a svegliarmi in questo modo- Si atteggiava a bambino offeso, e gli riusciva piuttosto bene con quel broncio che si ostinava ad assumere quando era irritato da qualcosa. - Spero che il motivo sia plausibile- E anche le sue guance si erano imporporate. Era in evidente imbarazzo.

- Se vuoi te lo dico a colazione…-

- Ormai credo sia doveroso che tu ti esprima-

- Wow, che linguaggio…-

- Mi stai contagiando con tutti quei libri che mi costringi a leggere!-

- E non ti fanno altro che bene, smettila di lamentarti-

- Ma io non mi sto lamentando-

- E invece sì-

- Invece no-

- E invece sì- Si sedette sul letto quando Tom le fece un po’ di spazio sbuffando per non riuscire ad aver ragione. Saphira ridacchiò. Proprio un infante. - Comunque tieni, leggi tu stesso- Gli passò le carte che Tom prese e portandosele davanti agli occhi. Non erano esattamente lettere, parevano più degli inviti. C’era scritto “Offizielle Einladung zur Kunstausstellung im Berggruen Museum für Tom und Saphira Winkler”. Il ragazzo assunse un’espressione confusa. Era stato invitato insieme a Saphira alla mostra d’arte che si sarebbe tenuta al museo Berggruen di Berlino. Come mai solo loro due e non tutta la famiglia? Saphira colse la smorfia confusa che si dipinse sul volto di Tom e intervenne. - Gira, guarda chi è il mittente- Appena lo fece e lesse quel nome il suo cuore fece un salto e sul suo viso un sorriso prese automaticamente forma. - Sai una cosa? Penso che ci sia il tuo zampino dietro a tutto questo- Gli diede una leggera spinta sulla spalla e Tom era ancora incredulo. Davvero alla fine aveva preso coraggio e aveva trovato il modo di uscire allo scoperto? Era molto contento per lui, e sì, aveva intenzione di accettare, assolutamente.

- Io gli ho semplicemente detto che se quello che vuole è essere artista, non deve lasciare che persone come il signor Kaulitz gli impediscano di raggiungere i suoi sogni-

- E lui ti ha ascoltato. Penso che voglia ringraziarti di persona- Al sol pensiero di rivederlo, l’adrenalina stava salendo su per il petto di Tom...o almeno credeva fosse quella. Era felicità, era qualcosa di indescrivibile, che poche volte nella sua vita aveva provato. Con Oskar non era mai successo perché lo aveva sempre avuto vicino, bastava si girasse o allungasse la mano e lo trovava. Il fatto che Bill gli fosse distante alimentava il fuoco in lui tutte le volte che sapeva che lo avrebbe rivisto, o anche solo quando se lo ritrovava inaspettatamente davanti, come era successo alla biblioteca. Tante notti si era ritrovato a sognare il loro bacio. Una volta ci stava pensando anche a tavola e più volte Frau Winkler aveva dovuto richiamare la sua attenzione, per poi chiedergli: “Come mai sei così distratto, si può sapere?” e lui le aveva semplicemente risposto di star pensando alla scena di un libro che stava leggendo e che gli era piaciuta particolarmente. Non avevano chiesto più niente, né il titolo della storia né quale passo del romanzo in particolare...ma le loro facce sembravano sempre con la puzza sotto il naso. Saphira lo aveva guardato e forse aveva capito che era una bugia, anzi sicuramente, ma anche lei successivamente non si era pronunciata oltre. - Sai che cosa vuol dire questo?-

- Cosa?-

- Andremo a fare shopping, così come dicono gli inglesi-

- E cosa vuol dire?-

- Tu alzati e basta, vestiti e scendi per la colazione. Ti spiego dopo- Tom non aveva perso tempo. Solitamente ci metteva molto ad alzarsi, ma per quell’occasione si era catapultato giù dal materasso. Si sentiva energico come mai. Volò letteralmente nel bagno, si vestì e corse giù per le scale fino a raggiungere il tavolo dove stava seduta solamente Saphira. - Se ti stai chiedendo dove sono i miei genitori, sono a messa-

- Sono religiosi? Ma se non pregano mai a tavola prima di mangiare-

- Questo perché tu arrivi sempre in ritardo e perciò non vedi, ma lo fanno tutte le volte. Sono cattolici ai limiti del disgusto- Tom ridacchiò e si sedette. La tavola era come sempre imbandita e c’era l’imbarazzo della scelta. In Germania era così, la colazione era importantissima. Infatti il ragazzo non sapeva come, per esempio, in Italia facessero a mangiare così poco la mattina, o almeno così gli era giunta voce. Non aveva avuto modo di verificare, ma probabilmente era meglio rimanere nel suo paese, in quanto ad un italiano avrebbe svuotato la dispensa e non sarebbe stato molto carino. Una volta finito di mangiare, Sarja si avvicinò per sparecchiare.

- Dove andate di bello oggi?-

- Porterò Tom a fare shopping-

- E che cosa è?-

- Me lo chiedo anche io. Sai, conosci troppe parole strane- Disse Tom riferendosi alla sorella, la quale sorrise compiaciuta e un po’ orgogliosa di sé stessa siccome sapeva tre lingue: francese, inglese e logicamente il tedesco.

- Andiamo a comprare dei vestiti nuovi per stasera. Sai, Sarja, Bill tiene una mostra d’arte al museo Berggruen e vogliamo essere bellissimi per l’occasione- Fece l’occhiolino al ragazzo che sorrise complice mentre si metteva un acino d’uva tra le labbra. 

- Il signorino Kaulitz è un artista?- Chiese visibilmente stupita.

- Pochi ne erano a conoscenza. Era un segreto che mi aveva chiesto di mantenere quando eravamo ancora bambini, ma adesso non sarà più così. Muoio proprio dalla voglia di vedere le facce dei critici quando vedranno i suoi quadri. Sapete, lui dipinge al buio- 

- Cosa? E come fa a vedere?- Domandò Tom. 

- Nessuno lo sa. Lui mi ha sempre risposto con queste parole: “E’ il mio ambiente ideale”. Non dà un motivo più plausibile, non argomenta. E’ la sua tecnica e va accettata- Se possibile, Tom rimase ancora più esterrefatto. Non aveva mai sentito di persone che lavoravano senza luce e che comunque erano in grado di creare dei capolavori. - Bene, direi che possiamo andare- Si recarono fuori e Tom si sentiva sempre un po’ a disagio. Molti per strada lo guardavano o gli davano il buongiorno, come se lo conoscessero, e lui non c'era ancora abituato. 

- Ho una domanda-

- Dimmi-

- Ma queste persone sanno che noi non siamo realmente fratelli, vero?- Saphira ridacchiò.

- Beh, penso che se ci fosse stato un primogenito maschio nella mia famiglia ne sarebbero stati tutti al corrente da un po’-

- No, intendo...magari potrei essere quel figlio perduto e ritrovato...nel senso...abbiamo lo stesso cognome adesso e noi dovremo...sposarci- La ragazza arrestò il suo passo improvvisamente, come se avesse visto un fantasma. I suoi occhi divennero pensierosi e quasi tristi. - Scusa, forse non avrei dovuto tirare fuori l’argomento- Lei scosse la testa.

- La gente sa tutto quello che non le dovrebbe interessare sapere...ma sa, quindi non preoccuparti di questo- Mormorò leggermente risentita da questo fatto, ovvero che le persone avessero le orecchie e la bocca più grandi dello stomaco. Ripresero a camminare e arrivarono dalla sarta del paese, per vedere se aveva dei nuovi modelli o se dovevano ordinarli per il giorno stesso. Fortunatamente la donna aveva già fatto alcuni vestiti che aveva messo in esposizione e, per non riempirla di altro lavoro, Saphira e Tom decisero di accontentarsi. No che quello che era già fatto fosse brutto, anzi. La ragazza optò per un abito color crema con la gonna a balze leggermente rigonfia. Tom invece andò su una camicia blu, di un tessuto molto morbido al tatto, e su dei pantaloni neri. Molto semplice, ma comunque d’effetto. - Ti sta proprio bene- Disse Saphira avvicinandosi da dietro e abbracciandolo mentre egli si stava guardando allo specchio del camerino. 

- Sì...è…-

- Attraente. Bill non avrà scampo- Tom avvampò in quel momento e si voltò verso Saphira in cerca di spiegazioni a quell’affermazione. - Avrà l’impulso di farti un ritratto appena ti vedrà- Sì...un ritratto, certo. Il ragazzo sospirò sollevato. Per un attimo aveva pensato che la “sorella” avesse intuito qualcosa. Non voleva ferirla. Era destinato a unirsi in matrimonio con lei, e non era giusto che lo scoprisse pensare ad un'altra persona, per giunta ad un uomo! Non l’avrebbe presa bene...forse l’avrebbe anche detto ai Winkler e chissà quale sarebbe stata la sua fine. Oddio, Tom si fidava di Saphira, ma si sa, la gente, soprattutto se presa dalla tristezza o dalla rabbia, può fare o dire cose delle quali poi si pente. Ma non avrebbe avuto senso pentirsi, ormai.
Andarono a pagare gli abiti e tornarono a casa per il pranzo. Il pomeriggio avrebbero fatto un altro giro per il paese, poi avevano in programma di dedicarsi ancora alla lettura. Quando i signori Winkler seppero di questa mostra, non la videro come una cosa sbagliata, ma quanto una nuova occasione per Tom e Saphira di stare insieme. Speravano sempre nella nascita di qualcosa che non sarebbe mai avvenuta, perché loro volevano essere solo ottimi amici, non sposi. E sembrava che tutto ciò che circondasse Tom fosse una realtà impossibile dove prima o poi ci avrebbe sbattuto la faccia.

 

***

 

Il cielo aveva cominciato presto ad imbrunire siccome l’inverno si stava facendo sentire. Anzi, guardando il cielo, esso era stato completamente bianco durante tutto il giorno e Saphira aveva detto che era segno di nevicata imminente. Lei si prese uno scialle di pelo bianco per coprirsi le spalle, mentre Tom una giacca. Lo chauffeur li guidò fino all’elegante quartiere di Charlottenburg. Inutile dire che era qualcosa di spettacolare. Tutta la gente si abbinava alla finezza del posto. Erano tutti veramente sofisticati. Quando arrivarono al museo, pure la struttura faceva la sua bella figura: non era enorme, anzi, sembrava essere piuttosto contenuta, ma infatti la mostra di Bill non era privata, e ci sarebbero stati solo pochi ospiti. 

- Sono così emozionata!- Saphira gli prese il braccio e lo trascinò dentro. Tom si era come congelato. Aveva una certa ansia che gli stava montando il petto. L’idea di presentarsi a questo evento...era panico puro. Il cuore gli stava battendo come se stesse avendo una tachicardia in corso e si fermò tutto insieme non appena riuscì a scorgere Bill tra la folla. Anche lui era elegante, come sempre. Vestito di nero, come di consuetudine. Per lui sembrava non esistessero altri colori. Molto probabilmente pensava che stessero bene solamente su tela e non sul suo corpo. In quell’instante Tom pensò a qualcosa di così lussurioso e divertente che avvampò. - Tom, stai bene?- Saphira si stava preoccupando. Sembrava che Tom avesse qualcosa che non andava. 

- Certo, sto...sto perfettamente. E’ il solito sentirsi un po’...fuori luogo- 

- Non dovresti, Bill è con noi. Sai quando ero piccola, Bill era come una casa vera per me. Con lui potevo essere come volevo- Presero due bicchieri di champagne, che Tom sicuramente non avrebbe bevuto tutto. - Pensa, è a lui che ho dato il mio primo bacio- E infatti gli andò di traverso e cominciò a tossire. - Come puoi biasimarmi? Bill era un vero ladro di cuori- Tom non aveva neanche modo di biasimarla, doveva prima ritrovare l’ossigeno. - Eh sì...erano proprio bei tempi quelli. Ora non so cosa gli sia successo, tende a nascondersi. Il fatto che ha allestito questa mostra mi ha sorpresa molto proprio per questa ragione, e pensare che è merito tuo...devo ringraziarti anche io, Tom- Il ragazzo sorrise timidamente arrossendo un po’. Se veramente era così, doveva ritenersi solamente orgoglioso di sé stesso. Quando finalmente le due persone che stavano parlando a Bill si allontanarono, i due ragazzi si sentirono liberi di avvicinarglisi. Appena il moro alzò lo sguardo e li vide avanzare, anche il suo cuore ebbe un leggero arresto momentaneo. Tom era bellissimo quella sera.

- Ciao-

- Ciao- Sembravano due fidanzatini timidi. Avevano le guance rosate e non riuscivano ad abbassare lo sguardo, gli occhi perennemente incatenati. - Sono davvero contento che siate qui-

- Ci faresti un tour personale dei quadri? Dio, sembrano tutti così belli!- Saphira era eccitata solo guardandosi attorno, invece per Tom bastava guardare Bill per provare quell’ebrezza. Doveva solo stare attento a non lasciarsi troppo andare o avrebbe creato una situazione molto spiacevole per tutti.

- Con molto piacere, seguitemi- E “ciao” fu l’unica parola che Bill sentì pronunciare da Tom in tutta la serata, in quanto ad ogni quadro egli non aveva detto niente. Restava a fissare ogni opera per minuti interi, con gli occhi sgranati e la bocca leggermente dischiusa. Non riusciva a capacitarsi del fatto che quadri del genere fossero risultato di una pitturazione eseguita a luci spente. Erano...perfetti. Bill aveva capito che il suo era stupore, e ne era rimasto molto intenerito. Quel nasino a patata che aveva lo faceva apparire come un bimbo che aveva appena visto la cosa più spettacolare nella sua vita. Ad un certo punto si fermarono davanti al quadro che colpì Tom più di tutti gli altri. Quell’opera era qualcosa di inumano, proprio come il tema che la caratterizzava. C’erano tanti uomini, donne e bambini. Erano tutti ammassati l’uno sull’altro e guardavano verso l’alto. Un cielo scuro si apriva sulle loro teste. I colori dominanti erano il rosso, che indicava l’apparizione imminente della Bestia, e il bianco giallastro della luce che rappresentava Dio. Gli angeli erano rappresentati sullo sfondo in caduta libera, ma apparivano come tante stelle comete dotate di corpo. La cosa però che colpì Tom fu che in mezzo alla mischia di persone, le quali erano nude e inondate di sangue, c’erano due figure, le uniche che invece di scavalcarsi parevano abbracciarsi...come a volersi proteggere. Non era possibile identificare di che genere fossero. Potevano essere un uomo e una donna, come anche due uomini. A quel pensiero Tom sollevò lo sguardo incontrando gli occhi di Bill, i quali lo stavano fissando da tempo con quell’oscurità intrinseca che lo fece rabbrividire. - Il signor Heinrich mi ha consigliato di portare almeno un quadro a tema religioso, così ho scelto “Il giudizio universale”...il giorno dove tutti avremo ciò che meritiamo realmente- Non staccò gli occhi da Tom un secondo, e il ragazzo deglutì. Al sol pensare che quelle due figure potessero essere loro, lo colse un tremore interiore. La sensazione era strana. Se davvero un giudizio universale sarebbe avvenuto, avrebbero meritato il loro castigo, ma Tom lo aveva giurato. Aveva giurato di proteggere Bill a qualsiasi costo e sì, non gli sarebbe importato di niente della furia di un ipotetico dio. 

- E’ davvero...stupefacente- Disse Saphira sfiorando la tela con la punta delle dita. - Mi fa venire la pelle d’oca-

- E’ quello l’effetto che speravo facesse- Si accostò a Tom e gli sussurrò all’orecchio: - Casa mia è libera stasera se vuoi vedere altre mie produzioni- Si rimise composto sistemandosi la cravatta e si allontanò con la scusa di dover rispondere alle domande degli altri ospiti, ma non mancò di voltarsi l’ultima volta per lanciare un’occhiata a Tom. Era un chiaro messaggio. Voleva essere seguito. Il ragazzo guardò Saphira, la quale era ancora catturata dalla bellezza dei quadri. Non poteva lasciarla sola. Beh, avrebbe potuto raccontarle la verità e vedere come l’avrebbe presa. Non vedeva alternative. 

- Ehi…- La ragazza si girò per dargli attenzione. - Bill mi ha invitato a casa Kaulitz per farmi vedere la stanza dove dipinge, così da ringraziarmi personalmente senza tutta questa gente in giro. Non so per quanto la cosa si possa protrarre e...uff, mi dispiace, sembra che tutte le volte io voglia scappare da te- Saphira sorrise come una mamma sorriderebbe al figlio e gli accarezzò una guancia.

- Tom, non devi sentirti in dovere di dirmi nulla. Sei un uomo in fondo, e puoi fare quello che vuoi. Non sei il mio cane, non è così?-

- Mi dispiace per quelle parole- Lei lo sapeva. Tom tendeva a sentirsi in colpa perché pensava di farle un torto, quando invece era un uomo libero da questo punto di vista, almeno per lei. Non sapeva cosa avrebbero detto i suoi genitori, ma avrebbe cercato di fare il possibile per evitargli un’altra ramanzina.

- Va’- Gli sussurrò solamente prima di voltarsi e di andarsene con le altre persone che stavano pian piano lasciando la sala. A Tom dispiaceva. Sapeva che Saphira lo faceva per lui, e che non ci era rimasta benissimo con la consapevolezza che sarebbe dovuta tornare a casa da sola. Tuttavia quella era un’occasione per Tom, e doveva coglierla. Si sarebbe fatto perdonare. Andò alla ricerca di Bill, ma sembrò non trovarlo inizialmente. Poi sentì che una mano afferrò il suo polso e lo condusse in una stanza.

- Bill?- Il moro stava correndo in una direzione senza accennare a mollare la presa.

- Shh, vieni con me- Aprì una porta e il gelido delle strade di Charlottenburg li invase le loro membra facendoli rabbrividire. 

- E’ una fuga?-

- Eccome!-

- Ma i tuoi ospiti?-

- Ho lasciato scritto al signor Heinrich di salutarli da parte mia, e che sono dovuto andare via perché avevo delle faccende burocratiche da sbrigare-

- E i tuoi quadri?-

- Tom, andrà tutto bene. Adesso sali, per favore- Gli aprì lo sportello di una macchina e Tom non perse tempo. Si fiondò all’interno e si agganciò la cintura. Bill si mise al posto guida e fece partire la macchina con una sgommata. - Fiuuu...non dovrebbero averci visti- Aveva il fiatone dato dalla corsa e le mani candide e gelate gli tremavano sul volante. Tom non fece alcuna domanda. Lo eccitava da morire questa cosa della fuga, ma si tratteneva dall’ammetterlo. Allungò una mano per toccare la sua, la quale smise di tremare. - Hai le mani così calde-

- Non posso dire lo stesso delle tue- Bill ridacchiò con gli occhi fissi sulla strada. Avrebbe tanto voluto fermarsi e baciarlo fino a non poterne più, ma potevano essere visti da chiunque e non era proprio il caso. - Mi stai portando seriamente a casa tua?-

- No, in realtà pensavo ad un bordello omosessuale- Tom arrossì tutto insieme. Le immagini che passarono per la sua testa furono...strane. - Ma siccome non esistono, al momento credo dovrai accontentarti di casa mia...anche perché non sono pronto a condividerti...con nessuno- Inserì la marcia e accelerò ancora di più attraversando le strade di Berlino. Aveva un’adrenalina che gli scorreva per le vene. L’eccitazione era alle stelle, non riusciva più a trattenersi. Doveva sfogarsi in qualche modo e la velocità della macchina glielo stava permettendo almeno un po’. Tom rimase a riflettere su quelle parole, il quale gli fecero lo stesso effetto di un dopante, avevano contribuito a metterlo su di giri. Erano entrambi due bombe pronte ad esplodersi addosso. Quando arrivarono a casa Kaulitz, Bill parcheggiò l’auto nel cortile e scesero subito per dirigersi dentro casa. Stavano fremendo dentro, ma c’era la servitù a giro e non potevano rischiare. Esisteva però un unico posto dove i domestici non potevano entrare ed era lì che stavano andando. Salirono le scale e giunsero ad una porta in fondo ad un corridoio buio. Entrarono e la stanza dei quadri si aprì ai loro occhi. Era immensa e Tom deglutì dimenticandosi per un attimo dei suoi pensieri. Si sentiva così piccolo. Bill chiuse la porta a chiave per precauzione. Superò il ragazzo dirigendosi verso una tela ancora coperta da un lenzuolo bianco, che tolse con un gesto secco rivelando un volto. Tom si avvicinò e si accorse che era Bill. - Ci ho provato, così come mi hai detto tu- Era impressionante. Sembrava quasi una fotografia, se non fosse che era troppo grande. La tecnica utilizzata era il bianco e nero, e il volto era voltato di tre quarti. L’espressione era serena, non era facile capire che emozioni stesse provando.

- Sai...non ti rende giustizia- 

- Ah no?- Tom scosse la testa. Bill assunse un sorrisino e cominciò a sbottonarsi la propria camicia nera rivelando il petto candido. - I miei quadri non rendono giustizia a nessuno- Tom si sentiva ipnotizzato e attratto da quella voce. Il modo che aveva Bill di parlare lo ammaliava. Era lento, come se volesse soggiogarlo, ma non lo faceva attendere. - In questo mondo la giustizia non esiste...quindi...perché non commettiamo l’ennesimo peccato?- Lasciò cadere la sua camicia a terra. Era un chiaro richiamo che Tom non poteva ignorare. - Sai, i miei quadri sono come il corpo nudo di una donna. Sono così aggraziati che vorresti vederli sempre, anche laddove non puoi- 

- O come quello di un uomo- Bill sorrise capendo che ci era arrivato. - Il tuo corpo sarebbe una tela perfetta- A quelle parole gli occhi di entrambi assunsero lentamente una sfumatura diversa. La lussuria si stava impadronendo di loro e non poterono fare a meno di obbedirvi. Tom lo tirò a sé in un bacio molto passionale. Iniziarono a strapparsi i vestiti di dosso con una frenesia così grande che tremavano loro le mani. Bill scorse un telo messo a terra, che preveniva gli schizzi di pittura sul pavimento, e vi si stese sopra trascinando Tom con sé. Non gli importava se era sporco, era l’unico posto dove potessero farlo comodamente e senza soffrire troppo il freddo. Non staccarono le labbra neanche per un istante, fino a che non si trovarono completamente nudi uno di fronte all’altro. In quel momento ci fu una certa staticità. Si presero il tempo per guardarsi negli occhi e per osservare ogni centimetro di pelle che avrebbero toccato e baciato durante tutta quella notte. Bill aveva la pelle bianca, come quella di un angelo. Era molto magro, quasi ai limiti dell’anoressia, ma per Tom era bellissimo. Aveva un viso che ripagava tutto quello che poteva mancare. Tom invece era più abbronzato, si vedeva anche da quello che non era di nobili origini. Aveva un fisico leggermente muscoloso e asciutto, e Bill non vedeva l’ora di essere suo. Tom si chinò a baciarlo. La sua bocca percorse il suo collo, il suo petto, e scese più giù. Leccò il suo inguine facendolo attendere apposta. Era bello sentire la sua pelle calda fremere sotto la sua lingua. Non era la prima volta che accoglieva nella propria bocca un membro, quindi alla fine lo fece senza problemi, e Bill fu quasi colto di sorpresa.

- Ah...Tom...- Era stato così bello tutto quello, che il moro si sentiva di poter venire troppo presto. Beh, essendo la prima volta, quelle erano tutte sensazioni nuove, e si stava accorgendo di non saperle reggere così bene. Piuttosto l’alcool, ma il piacere no. Forse la cosa che lo eccitava maggiormente era che tutto quello non sarebbe dovuto accadere. Stavano commettendo un peccato, qualcosa di sporco e imperdonabile. Bill alla fine dovette tapparsi la bocca con la mano per non gemere troppo forte. Non voleva che la servitù sentisse e si facesse delle domande. - Certo che...potresti essere un po’ meno bravo- Tom sorrise maliziosamente e tornò su inchiodando gli occhi nei suoi. Bill aveva già le guance rosse e pareva molto accaldato. Doveva essere l’imbarazzo del momento, molto probabilmente. Non si era mai mostrato nudo a nessuno, e invece con Tom era venuto tutto molto naturale.

- Io non sono bravo, è perché tu non l’hai mai fatto- Ed ecco che la sua modestia tornava a galla. Bill sapeva che se lo avesse detto ad un uomo qualsiasi non avrebbe ottenuto una risposta del genere. Molto probabilmente si sarebbe inorgoglito ancora di più, pur essendo magari un incapace. - Sto solo cercando di capire quello che ti piace- 

- Al momento non ho preferenze, mi piace tutto- Risero piano e si baciarono dolcemente. Tom era così attento con lui. Si prendeva cura del suo corpo come se fosse stato una preziosa reliquia. Forse non era quello che contava? Non era necessario che facesse sesso con lui come nessun altro, che lo sottomettesse e che lo lasciasse senza forze. Non erano quelle le sensazioni che Bill voleva sentire...o almeno non quella volta. Sperava tanto che non sarebbe stata l’unica. 

- Bill…- Improvvisamente il tono di Tom divenne serio e preoccupato.

- Cosa?- Sussurrò sulle sue labbra.

- Quello che stiamo per fare...ti può provocare davvero molto dolore…- Lui lo sapeva. Certo, quando lo aveva fatto con Oskar poi il giorno dopo aveva fatto lezione in piedi prima dell’arrivo dei Winkler e prima che succedesse quella strage. Non voleva che Bill sentisse male, ma sapeva di non poterlo evitare.

- Sopporterò. Voglio farlo, Tom-

- Tu non ti rendi conto…-

- Meglio per te, no?-

- Bill…!- Sospirò calmandosi. Non aveva senso innervosirsi. Doveva fare in modo che Bill non si gettasse in questa cosa a capo fitto. Non aveva diritto di farlo soffrire solo per far piacere a lui. -...promettimi che mi fermerai se dovesse essere troppo per te- Il moro annuì. Si era un po’ pentito di aver detto quella frase, prima. Aveva dato per scontato che Tom volesse solamente godere, e non aveva pensato che potesse ferirlo. 

- Sinceramente ho un po’ di paura- Mormorò alzando gli occhi da cerbiatto sui suoi.

- Lo so...ma ci sono io con te, va bene? Mi prenderò cura di te- Gli divaricò leggermente le gambe e si posizionò per entrare, ma Bill non smetteva di guardare verso il basso, chiaro segno di ansia. - Bill, guarda me- Tom riportò il suo sguardo su di sé. - Rilassati, non irrigidirti- Il moro annuì non del tutto convinto, perché il cuore gli batteva come un ossesso nel petto. Tom provò ad entrare piano e Bill assunse una smorfia di dolore ed iniziò a respirare più velocemente.

- Vai avanti. Non pensarci troppo- Tom gli poggiò una mano sul viso e si abbassò per distrarlo con un bacio mentre si spingeva ancora di più in lui. - Ah! Tom…!- Gli artigliò le braccia gemendo di dolore.

- Shh...ti fa molto male?-

- E’...davvero...doloroso- Disse trattenendo il dolore nella voce senza successo. - Ma non fermarti, non prendere neanche in considerazione l’idea-

- E’ una minaccia?- Chiese con una certa ironia nel tono.

- Eccome se lo è- Tom sorrise perché era bello il fatto che la sfumatura tragica tipica di quella situazione si era trasformata in qualcosa di quasi divertente. Con un ultimo scatto del bacino arrivò a toccare l’inguine di Bill totalmente. Lo lasciò abituarsi, mentre lui realizzò di essere dentro al suo corpo ed era la sensazione più bella del mondo. Era terribilmente caldo e accogliente. Stava impazzendo. Doveva farlo suo quella sera, senza attendere oltre. Aspettò che Bill gli desse un segnale, ovvero un leggero movimento di bacino. Poi in quel momento un’ombra lussuriosa calò sullo sguardo di entrambi e i gemiti riempirono quella stanza. Stavano abbracciati perché fuori aveva iniziato a nevicare e in quella stanza il riscaldamento non c’era. Però stavano bene. - Ah!...Mh…- Il fatto di non poter esprimere liberamente il piacere che provavano era qualcosa di terribile. Bill voleva quasi urlare, ma non poteva. Desiderava tanto che quella specie di soffitta fosse un casolare di campagna abbandonato in mezzo ai campi. Lì solo la natura avrebbe potuto giudicarli. Quando sentì di esserci, prese il viso di Tom tra le mani e lo tirò a sé per baciarlo, così da poter racchiudere i suoi gemiti nella sua bocca, ma questo intento fallì quasi del tutto, in quanto l’orgasmo arrivò prima e lo scosse. La sensazione più bella però arrivò qualche secondo dopo, quando sentì il seme caldo di Tom riempirlo e il corpo del ragazzo crollargli addosso sfinito. Era stata la cosa più spettacolare mai vissuta per Bill. Rimasero per qualche secondo fermi a riprendere fiato. Mossero entrambi le mani cercando l’una quella dell’altro e alla fine si trovarono. - Voglio rifarlo- Quelle parole ruppero il silenzio e scoppiarono a ridere piano. 

- Anche io- Tom si sollevò leggermente guardando gli occhi di Bill. Si gettò sulle sue labbra e ricominciarono nuovamente a fare l’amore.

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Capitolo 8
*** Kapitel 8 ***


Kapitel 8

Il raggio di sole entrò nitidamente in quella gelida soffitta e illuminò i due ragazzi abbracciati su quel lenzuolo logoro di pittura e sesso. Lo avevano fatto e rifatto fino a che avevano respiro ed energie, poi erano crollati. Era incredibile che gli fosse presa in quella maniera, sembrava non avessero mai abbastanza l’uno dell’altro. Si erano toccati tutte le volte come fosse la prima, con tutto il rispetto e l’amore del mondo. Non erano intenzionati a fare nulla di sporco, scabroso o blasfemo - come l’avrebbero definito tutti - ma a onorarsi come una coppia normale...come una coppia di sposi. Tom aprì gli occhi con quel pensiero in mente. Stava facendo un bellissimo sogno, un po’ bizzarro...ma bello. Aveva sognato di sposare Bill in mezzo alle campagne. Egli aveva i capelli lunghi ed era vestito da sposa. Sembrava una donna, ma a Tom non importava. Ah, e avevano due figli, una femmina e un maschio, lei la maggiore. E al loro matrimonio c’erano davvero pochi invitati, che sembravano essere loro amici stretti. Tom aveva provato tante volte nostalgia di un sogno, come quando si svegliava dopo aver visto Oskar nella sua mente, ma non aveva mai e poi mai provato la nostalgia di qualcosa che non era mai avvenuto o che non avrebbe ottenuto mai. Sarebbe rimasto tutto onirico per sempre, lo sapeva. Tom si sollevò leggermente e vide Bill che dormiva placidamente. Era disteso di profilo. Un braccio lo teneva piegato vicino al viso e l’altro allungato a suo favore, appoggiato sul suo fianco, come a volerlo abbracciare inconsciamente. Il viso era tranquillo e terribilmente perfetto. Tom invece era sicuro di avere gli occhi arrossati e qualche segno del lenzuolo spiegazzato in faccia. Era uno straccio tutte le volte che si destava. Però non ci pensò e sorrise. Era davvero felice. Si chinò piano e gli baciò una guancia, e poi le labbra. A quel contatto percepì un mugugno da parte di Bill, che si era scostato e girato dall’altra parte. Di mattina doveva essere davvero romantico.

- Non lo fare più- Aveva detto trascinato. Tom ridacchiò.

- Cosa?-

- Non baciarmi...di prima mattina-

- E come mai?- Chiese avvicinandosi e sporgendosi per vedergli il viso corrucciato, nonostante tenesse ancora gli occhi chiusi.

- Sai, non è che ho un campo di fiori in bocca e non mi piace- Per un attimo Tom aveva pensato che si stesse lamentando di lui, invece parlava di sé stesso.

- A me non importa. Per me è lo stesso. E poi...sei incantevole quando dormi- Il moro si voltò lasciando trasparire un calmo sorriso.

- E ora che mi hai svegliato?-

- Ora sei irresistibile- Bill rise prendendogli il viso tra le mani e lasciandogli un lungo bacio a stampo sulle labbra. - Se inizi a fare così, dovremmo ricominciare da capo-

- Non sai quanto mi piacerebbe ma...sono davvero impegnato oggi. Il primo compito della giornata è inventare una scusa da propinare alla servitù. Sai, non è usuale che il padrone di casa dorma in soffitta dove non c’è un letto...ma c’è un uomo- Il sorriso di Tom si spense tutto insieme improvvisamente. Sembrava avesse pensato una cosa orribile. - Tom, tutto a posto?-

- Devo scappare!- Si alzò e prese i propri vestiti cominciando a metterseli in fretta e furia.

- Posso farti riaccompagnare, non è necessario che tu faccia così…-

- No, te ne sono grato, ma devo assolutamente correre!- Si infilò le scarpe e ringraziò di avere i capelli perennemente in ordine perché non voleva più saperne. Si avvicinò un’ultima volta a Bill per lasciargli un bacio sulla fronte. - Anche io devo inventare una scusa. Non prendere male questa mia fuga…-

- No, lo capisco. Sei abituato a scappare, ormai- Rispose con ironia. - Ci rivedremo-

- Sicuro- Lo baciò velocemente e se ne scappò via. Bill rimase quindi solo in quella stanza gelida a riflettere. Non erano liberi, ma neanche l’essere etero avrebbe garantito loro la libertà, era quella la cosa brutta. Se Bill fosse stato davvero una donna, come nel sogno di Tom, sarebbero solo sembrati delle persone che avevano ceduto al piacere della carne ancora prima di unirsi in matrimonio, due lussuriosi. Ma dato che erano uomini entrambi, c’era anche la blasfemia di mezzo. Il loro rapporto poteva essere considerato una malattia mentale? Erano loro ad essere sbagliati e da aggiustare? Sospirò alzandosi dal lenzuolo e abbracciandosi da solo, siccome era nudo e faceva davvero molto freddo. Si avvicinò alla finestra e riuscì a scorgere Tom che correva in strada. Sorrise teneramente. Aveva certi modi da adolescente che facevano ben vedere la sua età di diciassette anni, ma stava affrontando una questione che neanche un adulto avrebbe saputo sopportare. Quella non era una semplice marachella, e ringraziando che ancora nessuno aveva scoperto niente! Tornò serio e pensò che fosse meglio vestirsi e scendere per la colazione. Se qualcuno gli avesse fatto domande, avrebbe detto che Tom e lui si erano addormentati durante una conversazione che stavano avendo sui suoi dipinti, in quanto alla mostra avevano bevuto un po’ troppo. Sperava gli avrebbero creduto, sennò sarebbe stato un grosso problema.

 

***

 

Tom rincasò dopo qualche minuto nel quale si era fermato in cortile a riprendere fiato. Non poteva farsi vedere paonazzo e con il fiatone, sennò gli avrebbero chiesto un motivo plausibile. Era davvero brutto che non potesse tenersi delle cose per sé e che fosse quasi costretto a spifferare i fatti suoi o a trovare scuse. Non era normale una vita del genere, non era giusta, ma una vita ingiusta gli era toccata da quando aveva schiuso gli occhi al mondo, ormai avrebbe dovuto averci già fatto la corazza. Prese un enorme respiro ed entrò in casa. Sulle prime un silenzio tombale lo accolse, sembrava deserta, ma poi una voce…

- Tom- Sobbalzò quasi dallo spavento e si voltò in direzione delle scale. C’era il signor Winkler con un sigaro in bocca che lo fissava dall’alto della sua posizione. Sembrava volesse ridurlo esattamente come quel sigaro. - E’ strano vederti di buon mattino. Mi farebbe piacere sapere dove hai passato la notte, e soprattutto il motivo per il quale sei così mattiniero...o dovrei dire di fretta?- Il ragazzo pensò innanzitutto a mettersi composto, ma non pronunciò parola. - Ti ho visto mentre fiatavi ansimante nel cortile. Ora spiegami-

- Saphira non le ha detto niente?-

- Certo, ma sono curioso di sapere la tua versione dei fatti- Ecco, adesso era nello schifo più totale. Se la sorella aveva raccontato una storia differente, Tom sarebbe risultato molto sospetto e lo avrebbero punito in qualche modo.

- Io sono...sono andato a dormire da un collega...di lavoro. Avevamo delle faccende da sbrigare...e alla fine lui mi ha offerto di rimanere ed io...non ho potuto rifiutare- Il signor Winkler sembrò ponderare la sua risposta e intanto l’ansia stava crescendo nel cuore di Tom. Camminava avanti e indietro lentamente, continuando a consumare quel povero sigaro. In che razza di bocca si trovava, pensò Tom.

- Sì...più o meno. Saphira ha detto che ti trovavi dal signor Bücher, che è il tuo datore di lavoro- 

- Lo so, ma io e il signor Bücher ci consideriamo colleghi, ormai. E’ stato lui a dirmelo- Rispose prontamente il ragazzo.

- Capisco. Resta comunque il fatto che hai lasciato Saphira da sola, in una maniera a dir poco maleducata e villana!- Il tono dell’uomo era nuovamente tornato duro e minaccioso.

- Mi sono scusato con lei, le ho detto che mi dispiaceva, ma che non riuscivo a dire di no…-

- Sì, delle tue patetiche scuse lo ha detto anche lei- Ora era sprezzante. Eccolo, eccolo l’odio che Tom aveva sempre percepito. Stava nuovamente tornando alla luce e questa volta non sapeva che cosa gli avrebbe riservato. - Sai una cosa, Tom? Il tuo comportamento non mi piace affatto, e non piace neanche a mia moglie, ed io come marito voglio che lei sia felice, lo capisci, vero?- Tom annuì. - E’ normale desiderare la felicità delle persone che si ama, come è normale rispettarsi in una coppia...non ho forse ragione?- Annuì ancora. - Bene. Tu questo non hai saputo farlo. Saphira non l’ha detto, ma era visibilmente turbata dall’atteggiamento che hai avuto ed io non voglio più che una cosa come questa si ripeta, va bene!?- 

- Sì...signore-

- Lo hai detto anche l’altra volta. Devi capire veramente a che gioco stai giocando, perché sembra che non lo sappia nemmeno tu-

- Io…-

- Invece io il mio lo so bene- Lo interruppe. - E siccome tu hai fatto il tuo tiro, adesso è il mio turno, sta a me giocare- Il respiro di Tom prese a tremare. Era terribilmente stufo di quella vita. Si sentiva uno schiavo, e ora stava per arrivare l’ennesima pena. - Che ne dici di questo fine settimana?- Tom assunse un’espressione confusa.

- Che cosa intende?- Invece il signor Winkler sembrava improvvisamente contento.

- Ma è chiaro, mi sto riferendo alle nozze con mia figlia- Il ragazzo sbiancò in un istante. - Cosa c’è? Te ne eri dimenticato per caso?- Doveva aspettarselo, l’ennesimo tiro mancino. Non se ne era dimenticato, ovviamente. A volte non dormiva bene per colpa di questo destino...ma non credeva che fosse così imminente. Pensava di avere ancora tempo. 

- E’ una punizione?- Chiese coraggiosamente, cercando di non far tremare la voce. 

- Prendila come credi. Il tuo comportamento non sta piacendo a nessuno in questa casa, fattene una ragione- Si avvicinò puntando gli occhi nei suoi. - O ti metti in riga da solo oppure lo facciamo noi- Poi si allontanò, silenzioso come la morte. Tom prese a respirare in maniera convulsiva e le mani gli si strinsero in due pugni. Andò al muro e cominciò ad urlare picchiando la parete. Lacrime amare cominciarono a scendere dai suoi occhi e il sangue dalle sue mani. Sarja sentì tutto quel baccano e, spaventata, accorse immediatamente. Non appena entrò, si posò le mani sul cuore. Tom era sulle ginocchia a piangere con le mani tutte piene di ferite. Sembrava un bambino che si era appena sbucciato il ginocchio, ma Sarja sapeva che non poteva trattarlo come tale. Si chinò alla sua altezza.

- Che cosa è successo?- Cercò di asciugargli le lacrime, ma Tom gli allontanò le mani per puro orgoglio. Era un uomo, e gli uomini non dovevano farsi vedere piangere, non dovevano farsi consolare.

- Nulla. Vammi a prendere del disinfettante e delle bende- Quel tono così...autoritario...non apparteneva per niente a Tom. Sarja sulle prime rimase sconcertata, seppur era abituata a sentire ordini a destra e a manca. Gli occhi dorati del ragazzo si puntarono su di lei, seri come mai prima. - Sei sorda per caso? Muoviti!- Sarja annuì e si alzò per andare a prendere quanto necessario per curarlo. Nel tragitto trovò il signor Winkler e fu un attimo, ma ebbe modo di rivolgergli uno sguardo pieno di astio. Era sicuramente colpa sua per il cambiamento repentino di Tom, e lei non voleva che il signorino rinunciasse alla sua gentilezza per un mondo che non gli avrebbe regalato altro che un immenso dolore. Quando trovò il disinfettante e le garze, tornò indietro. 

- Mi dia la mano, per favore- Tom gliela porse e Sarja cominciò con il disinfettante, che bruciava, ma era sopportabile. - Non avrebbe dovuto farsi così male...lo sa, vero?- Lo sentì grugnire. - Io ho capito che tra lei e Saphira non potrà mai esserci un amore, ma...lei non è il primo, e di certo non sarà l’ultimo...mi capisce?-

- E questo cosa vuol dire? Se una cosa capita frequentemente, non significa che sia necessariamente quella giusta-

- E le do immensamente ragione, ma che cosa può farci, alla fine?- Sarja non voleva andargli contro. Soffriva a vederlo così, esattamente come fosse stato un figlio.

- Niente…- Aveva degli occhi così spenti che faceva quasi paura. Quello non sembrava Tom. Quella gente gli stava togliendo la poca felicità che gli restava, la poca libertà che non aveva mai avuto veramente. Ma Sarja era solo una domestica e, per quanto volesse bene a Tom, non poteva fare nient’altro che esserci e aiutarlo laddove era possibile. Una volta che ebbe terminato di curargli le mani, lasciò che il ragazzo se ne andasse in silenzio nella sua stanza dove logicamente si chiuse per tutto il giorno. Quando Saphira rincasò, chiese a Sarja il motivo dell’assenza di Tom. La donna le raccontò quanto successo e la ragazza, anche lei all’oscuro di tutto, non poté fare altro che assumere lo stesso atteggiamento: estraniarsi da quel mondo che non faceva altro che prenderla a calci.

 

***

 

Qualche giorno dopo…

Tom aveva cercato di evitare Bill per tutto quel tempo. Non aveva risposto alle sue chiamate o alle sue lettere. Perfino una volta egli era venuto per visitarlo e lui non aveva avuto il coraggio di scendere e di chiarire. Il moro quindi si era fatto l’idea di aver commesso un errore che Tom non volesse perdonargli. Eppure l’ultima volta si erano lasciati per bene, con il desiderio di vedersi ancora. Come poteva essere? Bill non riusciva a concentrarsi totalmente sulle carte e sugli incassi ricevuti dalla mostra. Era perennemente in un’altra dimensione a ricordare la notte più bella della sua vita con la paura che non si sarebbe più ripetuta. Erano forse venuti a conoscenza di tutto e lo avevano segregato in casa come terapia purificatrice? Ormai stava arrivando anche alle supposizioni più assurde. Non riusciva proprio a spiegarsi questo isolamento forzato. Sarebbe potuto andare alla biblioteca, ma se c’era anche il proprietario con altra gente estranea, non avrebbero potuto intrattenere una conversazione su certi temi. Per quella volta il tempo non gli era stato d’aiuto, e la giornata sembrava a posto, con qualche nuvola qui e là. Tuttavia decise di uscire ugualmente. Una passeggiata non gli avrebbe fatto di certo male. Erano giorni che stava seduto ad una scrivania, doveva liberare la mente e rilassarsi un attimo, così si vestì meglio per uscire. Una volta in paese, la gente lo fissava in maniera strana, come fosse una creatura mistica, e spettegolava penosamente di nascosto. L’evento della mostra aveva fatto scalpore, come la sua presenza tra i compaesani in quel momento. Bill non usciva mai di casa e veniva raccontato che avesse la pelle bianca come il latte perché non prendeva mai il sole. Qualche persona si fermò anche a congratularsi oppure anche solo a rivolgergli un saluto. Alcuni gli chiesero persino delle notizie su suo padre. Sarebbe tornato a breve, lo sapeva, ma non gli mancava per niente. Ovviamente finse. Un falso sorriso e delle false parole erano necessarie nella sua società. Poi d’un tratto scorse una persona, che gli parve familiare, allontanarsi in mezzo alla folla.

- Scusi un attimo- Prese a correre allontanandosi dalla donna con la quale stava parlando. Inseguì quella figura con le treccine fino ad un piccolo vicolo, per poi afferrarla per il braccio. - Tom!- Aveva il fiatone per la corsa. - Ehi...finalmente. Hai idea di quanto ho patito perché non ti facevi sentire?- Il ragazzo si voltò lentamente e Bill corrugò la fronte leggermente senza capire bene cosa c’era che mancava. Quello non sembrava essere il Tom che aveva conosciuto: aveva uno sguardo gelido, morto, terribilmente spento. - Si può sapere che ti succede?- Chiese con evidente preoccupazione.

- Ho cercato di evitarti apposta- Confessò con un tono tranquillo, tentando di non risultare scortese.

- Perché? E’ accaduto qualcosa dall’ultima notte che…?-

- Sono accadute tante cose tutte insieme ed io mi sto rendendo sempre più conto che non sono in grado di reggerle- In quel momento a Bill salì come un nodo alla gola, perché intravide tutta la debolezza che si stava celando nell’animo di Tom. - Mi dispiace di essere scappato veramente, di non essere tornato...ma tutte le volte che l’ho fatto, non ho mai scoperto niente di buono- Ricordò Oskar in quell’istante, quando aveva promesso che avrebbe fatto ritorno e lo aveva trovato senza vita. - Tu non te lo meriti...e neanche io-

- Tom, ma che cosa stai dicendo? Ti vuoi spiegare meglio? Che cosa è accaduto con i Winkler?- Bill stava cominciando a temere il peggio. I discorsi di Tom sembravano non avere alcun filo logico, parevano parole buttate a caso per costruire delle frasi intricate e senza senso.

- Devo sposare Saphira questo fine settimana- Il moro in un primo momento rimase immobile, poi assunse un’espressione confusa.

- Non sono sicuro di aver capito…-

- Hai capito benissimo, Bill. Io, Tom Winkler, sposerò Saphira...mia sorella- Bill abbassò lo sguardo incredulo cominciando a boccheggiare, come se volesse dire qualcosa, ma la voce non volesse venir fuori. 

- E...come mai io non ne sapevo niente?- Chiese finalmente con quel fil di voce che riuscì a far uscire.

- Non lo so. Tuo padre magari ne era a conoscenza, ma…- Fu un attimo. Un dolore prese forma sulla sua guancia facendola lentamente arrossare. Quello schiaffo diede il potere a Tom di vedere una buona volta. Lo risvegliò da quella specie di incantesimo mentale in cui era caduto. Bill aveva gli occhi rossi dalle lacrime che stava cercando di trattenere, fremeva dalla rabbia e gli aveva appena elargito un ceffone.

- Io volevo saperlo da te! Come mai non me l’hai detto!? Quella notte io...dio!- Cercò di calmarsi, sennò avrebbe dato un pessimo spettacolo per strada. Erano nascosti in quel vicolo, ma chiunque avrebbe potuto vederli se Bill avesse cominciato a dare di matto. - Abbiamo passato una notte stupenda insieme...ed io per un attimo ho pensato che tu potessi…- Si girò dall’altra parte non riuscendo a trattenersi, e due lacrime abbandonarono i suoi occhi. Tom in quel momento non sapeva che cosa fare. Era diviso tra il suo cuore e i suoi doveri. Voleva Bill più di qualsiasi altra cosa, ma tutti in quel posto volevano vedere lui e Saphira sposati, uniti in matrimonio, e chissà che cosa avrebbero chiesto in seguito. Allungò una mano per toccarlo, ma Bill si scansò bruscamente. - Lascia perdere, è stato bello finché è durato- Si asciugò le lacrime così da risultare un po’ più presentabile. - Vi auguro tanta felicità- E così dicendo, se ne andò senza voltarsi indietro. Era furioso anche con Saphira, perché pure lei aveva mantenuto il silenzio tutte le volte. La città di Berlino sapeva e lui come uno sciocco aveva preferito non sentire nulla perché gli interessava solo stare chiuso in quella soffitta a dipingere. Ora che quella soffitta l’aveva condivisa e non l’aveva utilizzata solo per esprimere la propria arte...si sentiva come se fosse stato tradito. Aveva regalato il suo mondo ad una persona, e questa gli comunicava, quasi con superficialità, che stava per sposare la sua migliore amica, che ugualmente non gli aveva accennato niente. Era un colmo per Bill. Ci era rimasto davvero molto male. Infatti, dopo quell’incontro, si era rinchiuso in casa e nessuno aveva più sentito parlare di Bill Kaulitz nei giorni che vennero successivamente

 

***

 

Tom non aveva mai sentito parlare di matrimoni felici. Nessuno gli aveva mai detto di essersi sposato con una donna fantastica o con un uomo meraviglioso. Nessuno che si vantava della propria vita familiare. Nella sua vita aveva conosciuto solo tristezza e morte, e tutte le volte che aveva provato la felicità più immensa, gli era sempre stata portata via in qualche modo. Anche il tempo sembrava esprimere i suoi sentimenti: c’erano delle nuvole nere. Preannunciavano pioggia, ma i signori Winkler avevano insistito per festeggiare le nozze in cortile. E lui si guardava allo specchio ed era...morto, esattamente come tutto il resto. Il suo cuore batteva così piano che non sapeva se era ancora vivo o se stava fingendo. Non aveva ansia, paura...era solo resa.

- Questo smoking le sta veramente bene- Sarja era molto gentile con lui, ma non riusciva più a esserle grata, questo perché lei continuava a spingerlo dove non voleva andare. Desiderava fargli vedere il lato positivo dove non ce ne era. - Tom, so che non sei felice-

- Sarja, io non la amo...io...credo di amare un’altra persona- La donna si bloccò mentre gli stava abbottonando la giacca e alzò lo sguardo incontrando il suo.

- Tom…-

- Sì. Sono innamorato...di qualcuno che non potrò mai avere. Ma tanto non è una novità in questa società, no?- A Sarja fece nuovamente tenerezza. Sentire Tom che parlava di amore era adorabile, ma allo stesso tempo disastroso. Saphira, la sua piccola, meritava tutta la felicità del mondo, ed era orribile che si dovesse sposare con qualcuno che non provava nulla di più che un’amicizia o un amore fraterno per lei. 

- Mi dispiace. Io voglio che tu e Saphira siate felici...e vi vedo in gabbia e vorrei fare qualcosa ma…-

- Ti ringrazio, Sarja, ma non c’è nulla che tu possa fare. Dobbiamo tutti accettare quello che succederà oggi- La donna non sapeva più che aggiungere. Si sentiva male a vedere Tom così, e sapeva che Saphira non stava certamente meglio. La luminosità della giovinezza nei loro occhi si era affievolita come una candela spenta dal vento gelido. 

- Vado a vedere se Saphira ha bisogno di una mano- Uscì dalla stanza. Tom rimase a guardarsi allo specchio tutto il tempo. Aveva una terribile voglia di buttarsi dalla finestra e morire. Ogni tanto si ritrovava a guardarla immaginando sé stesso cadere nel vuoto. La morte era l’unica liberazione che la sua anima poteva avere. Se Bill non poteva essere la sua libertà, l’avrebbe ottenuta nel riposo eterno. Si avvicinò alla finestra e guardò giù. Erano cinque metri di salto, sufficiente a spaccargli qualche osso se fosse caduto correttamente, a spezzargli il collo se fosse andato di testa. Erano orribili i pensieri che stava facendo, ma lui non ce la faceva più a vivere, voleva che tutto questo dolore avesse una fine. Era così occupato a meditare il proprio suicidio che non si accorse della porta che si aprì alle sue spalle. Aprì quindi le grosse vetrate e salì sul davanzale. Improvvisamente si sentì afferrato da dietro e buttato per terra, e quando aprì gli occhi si ritrovò la cosa più bella che potesse mai esserci al mondo.

- Sei diventato matto!? Tom!- Bill era lì, con i capelli scompigliati e il respiro affannoso, che lo guardava impaurito e tremante. - Che cosa volevi fare?- Tom poggiò una mano sulla sua guancia cominciando ad accarezzarla, in un gesto di rassicurazione che non sapeva se toccava a lui farlo. I suoi occhi erano indefiniti ma stava pian piano tornando alla realtà. 

- Sei davvero tu? Perché sei qui?- Chiese con voce indebolita.

- Sono qui perché stamane mi sono svegliato con un brutto presentimento, vengo e scopro che hai avuto l'intenzione di ammazzarti! Ma che cosa ti dice la testa!?- Stava piangendo perché si era seriamente spaventato. Se fosse arrivato qualche secondo dopo, per Tom sarebbe finita per sempre.

- Mi dice che se io non posso avere te...non ha più senso rimanere- 

- Tom, mi dispiace per come ho reagito, io...non dovevo andarmene così. Io voglio rimanere al tuo fianco, qualsiasi cosa accada- Erano quelle le promesse di matrimonio che lui voleva sentire. Non sperava le dicesse piangendo, ma bastava che le pronunciasse la sua voce e per Tom quello era il vero paradiso.

- Anche a me dispiace per non avertelo detto, e mi dispiace anche per adesso...non sapevo quello che facevo- Bill lo tirò a sé in un abbraccio disperato. Era così sollevato di essere accorso in tempo. Sapeva che quella situazione era difficile, ma sulle prime era stato egoista, aveva pensato solo ai propri sentimenti, escludendo quelli di Tom. Poi aveva riflettuto e aveva capito che l’unica cosa importante era che loro continuassero a rimanere uniti nonostante questo. Improvvisamente sentirono bussare alla porta e si dovettero alzare. Andarono ad aprire ed era Sarja.

- Ah, buongiorno, signorino Bill. Non sapevo che era arrivato. Come sta?-

- Bene, grazie, Sarja- Rispose con un lieve sorriso, tutto ciò che poteva mostrare. La donna tornò subito seria.

- La signorina Saphira è pronta. Sarebbe necessario che il signorino Tom scenda…- Non concluse la frase, perché sapeva che ogni parola era come una coltellata al petto per il ragazzo, il quale sospirò e annuì.

- Ci può dare un momento?- Si intromise Bill, e, senza aspettare la risposta della domestica, chiuse la porta. Una volta assicuratosi che ella si fosse allontanata prese Tom e gli diede un lungo bacio appassionato. Era la disperazione più pura a muoverli, la voglia di consolarsi, di darsi sostegno. - Io sono sempre con te, va bene?- Gli chiese guardandolo in quegli occhi nuovamente tornati spenti. Sembrava stesse parlando ad una persona che era sotto incantesimo. - Anche se sui documenti sarà scritto che sei sposato con Saphira, a me non importa. Mi vedrai sempre, continueremo a stare insieme, perché è quello che vogliamo...non è così?- Tom annuì, e già questo scaturì un sorriso speranzoso sul volto di Bill. - Bene. Ora ti prego, attraversa quella porta e sposa Saphira. Non sorridere se non vuoi sorridere, ma cerca di non cedere...perché è quando cedi che a loro gliel’avrai data vinta, d’accordo?-

- Tu non soffrirai?- Tom non era capace di pensare solamente a sé stesso. Il suo dolore era anche il dolore di Bill.

- A vederti sposare un’altra? Sì...ma anche io vedrò di resistere. Il passo enorme lo stai facendo tu, ed io ho il dovere di supportarti- Quelle erano le parole che facevano apparire Bill e Tom come una coppia sposata. Non si erano nemmeno detti “ti amo”, che già usavano parole come “supporto”, e non era quello di un amico, era quello di una persona che ci tiene a te più di qualsiasi altra cosa al mondo. Tom lo aveva percepito, e fu quello a fargli aprire la porta e scendere le scale. Bill gli era dietro, era con lui. Lo avrebbe accompagnato sempre, anche se non poteva tenergli la mano. Parlarono con Frau Winkler, che ovviamente non si risparmiò una frecciatina - "siete veramente una bella coppia" - e con altre persone invitate che Tom non sapeva neanche chi fossero. Quando tutti ebbero preso posto e Tom si fu messo all’altare, Bill era nell’ultima fila, isolato da tutti, che però guardava, fermo e immobile, come se stesse cercando di non esplodere in un pianto disperato. Era una visione orribile per Tom, ma venne interrotta dal corteo nuziale, nel momento che Saphira fece la sua entrata. Tom corrugò la fronte. Anche lei era strana, e non poco. Non la vedeva da giorni, ma il grigio dei suoi occhi si era scurito, ed era dimagrita esageratamente. Il viso incavato e i capelli secchi, crespi...eppure era sempre bellissima e a modo suo incantevole nell'abito bianco semplice che indossava. Sembrava una sposa cadavere. Tom in quell’istante capì che Saphira era una pedina esattamente quanto lui, che non aveva alimentato per niente questa cosa, e che stava soffrendo in maniera indicibile. Appena arrivò al suo fianco, Tom le prese la mano, che era delicata e fredda.

- Saphira...tutto bene?- Le sussurrò molto preoccupato. La ragazza annuì guardando un punto fisso davanti a sé. D’accordo, era stata una domanda inopportuna, ma Tom voleva bene a Saphira, e provava un certo timore a vederla così. Il prete aveva cominciato a dire la cerimonia, i signori Winkler li fissavano in prima fila, orgogliosi di esserci riusciti. E sorrisero ancora più compiaciuti quando sentirono i deboli “sì, lo voglio” di entrambi. Ormai la cosa era fatta, ma in quel momento qualcosa si spezzò. Saphira non si stava sentendo tanto bene, era impallidita tutta insieme. - Saphira...- E tutto ad un tratto ribaltò gli occhi all'indietro avendo uno svenimento. Tom, che era tutto il tempo che non smetteva di avere ansia per lei, agì subito e la prese al volo. Tutti gli invitati cominciarono ad allarmarsi, a cercare un dottore, ma Bill fu il primo ad accorrere e a suggerire la cosa più giusta.

- Il matrimonio è finito, andate a casa- Disse a tutti. I Winkler ovviamente lo guardarono subito male per aver dato un ordine ai loro invitati.

- Come ti perme…!?- Ma anche lo sguardo gelido di Bill non fu da meno.

- Ho detto che il matrimonio è finito- Scandì meglio le parole con il suo tono autoritario, facendo ben intendere che non si sarebbe per niente scusato. - Tom, portiamo Saphira in un luogo più appartato per riprendersi- Tom la prese in braccio e si accorse che pesava davvero pochissimo, come se avesse preso una bambina di dieci anni. Era orribile ciò che si stava facendo, o forse era più orribile ciò che loro stavano facendo ad entrambi. Portarono Saphira in una stanza e Bill provvide, con l’aiuto di Sarja, a toglierle l’abito. Tom sistemò il letto con dei cuscini più morbidi e accese il fuoco. Ci teneva che la sorella fosse più a suo agio possibile. Quando Sarja se ne andò sospirando sconsolata, Bill e Tom rimasero tutto il tempo in silenzio. Non avevano nulla da dirsi. Ogni tanto il moro si alzava dalla sedia e lo abbracciava da dietro, gli baciava la nuca per calmarlo, gli accarezzava la schiena. Sapeva che l’immagine che Saphira aveva dato di sé aveva turbato non poco Tom. 

- Credi che si riprenderà?-

- E’ solo svenuta. E’ necessario che al suo risveglio Sarja gli prepari qualcosa. Non mangia niente da giorni- Bill si avvicinò al letto e accarezzò i capelli della ragazza, anche lui molto dispiaciuto per ciò che stava accadendo alle persone che amava di più. - Temo proprio che devo andare. Oggi torna mio padre ed è necessario che io sia presente a casa- Si voltò e avvolse Tom in un abbraccio. - Ci rivedremo presto. Ti prego, tu non mollare. Saphira ha bisogno che tu sia forte...e anche io- Era una promessa che gli stava facendo, e non era facile da mantenere, ma se resistere avrebbe portato a qualcosa di buono, forse ne sarebbe valsa la pena.

- Te lo prometto- Bill gli lasciò un bacio a fior di labbra e poi uno sulla fronte. Si accostò alla porta e l'aprì per andarsene - E grazie...per avermi salvato la vita- Bill sorrise ma non rispose. Non era necessario che lo ringraziasse, ma lo aveva apprezzato ugualmente. Doveva essere grato lui a Tom per averglielo permesso e per avergli dato ascolto. Sperava solo che la situazione non peggiorasse ulteriormente, ma anche in quel caso Bill sarebbe rimasto al fianco di Tom. Era la promessa di un matrimonio che non sarebbe mai avvenuto.

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Capitolo 9
*** Kapitel 9 ***


Kapitel 9


Il temporale aveva cominciato ad infuriare ormai da tutto il giorno, ma quella notte era diventato qualcosa di insostenibile, sembrava che venisse giù il mondo! Tuttavia Bill trovava davvero rilassante lavorare con la pioggia. Sì, carte e documenti vari non facevano per lui, ma si sforzava di fare bene il lavoro di suo padre, in quanto egli era impossibilitato. Herr Kaulitz era tornato a casa ormai da qualche giorno ma aveva presentato sintomi di una qualche malattia, sicché il dottore gli aveva suggerito di stare a letto. Bill lasciava che fossero i domestici a prendersi cura di lui. Dava gli ordini e loro dovevano semplicemente eseguirli. Non sarebbe stato il bravo figlio che andava a controllare ogni giorno la salute del padre. Lui credeva di odiare suo padre. Non gliel’aveva mai detto, ma forse l’aveva capito. Bill non era una persona rancorosa, ma ormai non si preoccupava neanche più dei peccati che commetteva: sarebbe finito comunque all’Inferno in un modo o nell'altro. 
Era tranquillo il suo ufficio, come sempre. La luce fievole della lampada illuminava fievolmente tutta la stanza, e ogni tanto qualche lampo le faceva compagnia, seguito subito dal tuono. Bill non era stanco, stranamente. Stava facendo il suo lavoro con calma, senza pressioni, e non poteva desiderare di meglio. Ad un certo punto una domestica fece il suo ingresso.

- Scusi il disturbo, signorino Kaulitz-

- Nessun disturbo, dimmi pure- Rispose senza staccare gli occhi dalla carta.

- C’è una persona al piano di sotto che è venuta a farle visita, mi ha chiesto espressamente di lei- Bill si massaggiò le tempie sospirando. Non aveva voglia di intrattenere conversazioni, soprattutto a quell’ora della sera. Chi poteva essere che veniva a reclamare la sua presenza? 

- Va bene, scendo subito-

- Intanto mi sono presa la libertà di farlo accomodare in sala-

- Hai fatto bene, c’è un tempo terribile fuori- Prese la propria giacca e la indossò per essere presentabile. Non poteva farsi vedere solo in camicia, chiunque fosse. Magari era un collega del padre che era venuto a fargli visita, oppure un compaesano che voleva chiedere del suo stato di salute. Preso da questi pensieri, scese le scale e andò in sala. Non sapeva perché, ma il cuore gli stava battendo di un’insolita agitazione. Aveva come il presentimento che non sarebbe riuscito a dire neanche una parola. Forse era la voglia che gli mancava, oppure il tempo. Gli sembrava sempre che non avesse più modo di occuparsi di niente se non di quel lavoro noioso ereditato da suo padre. - Buonasera…!- Sussultò quando vide chi stava seduto sul divano. Sinceramente non se l’aspettava proprio, soprattutto con un tempo del genere. - Tom?- Il ragazzo con i cornrows alzò lo sguardo. I suoi occhi erano nuovamente differenti. Non assomigliavano di certo a quelli amorevoli e sbarazzini, ma neanche a quelli morti e derelitti dell'ultima volta che si erano visti. C’era una nuova sfumatura adesso in quello sguardo, qualcosa che Bill non stava riuscendo a decifrare. - Come mai qui a quest’ora?- Chiese con un sorriso tranquillo e con consueta delicatezza nel tono, in modo tale da non far notare troppo la sua perplessità.

- Volevo parlarti...in privato- Anche qualcosa nella sua voce era cambiato. Era un po’ più gutturale, sembrava che non si stesse rivolgendo a Bill, quanto invece ad una persona qualunque...ad una persona che gli era in qualche modo ostile.

- Va bene...ehm...andiamo di sopra- Si girò incamminandosi e provò in tutti i modi a non voltarsi indietro. Sapeva che lo stava seguendo, riusciva a percepire i suoi passi...e la cosa gli stava provocando un inspiegato timore, come se quello dietro di lui non fosse realmente Tom. Lo condusse nella propria stanza, l’unico luogo appartato e più confortevole dalla stanza dei quadri. Congedò la servitù per la notte. Non era più necessaria, potevano andare a riposarsi. 

- Buonanotte, signor Kaulitz e ospite- Il ragazzo rispose alla domestica con un accenno di sorriso e un piccolo assenso, ed ella poi si ritirò. Tom invece non parve proprio considerarla. Bill aprì la porta e aspettò a testa bassa che passasse. Non riusciva ad alzare lo sguardo perché la gola gli si era seccata a causa della paura. Temeva per ciò che gli avrebbe detto. Si era presentato senza un bagliore di contentezza negli occhi, o anche solo di soddisfazione per averlo finalmente davanti a sé. 

- Cosa devi dirmi?- Gli chiese rompendo il silenzio. Tom si voltò a guardarlo dritto negli occhi come a volerlo accoltellare. Lo fissava ancora una volta sotto incantesimo, e stavolta questo non annullava i suoi sentimenti...ma li trasformava in qualcosa di maligno. Aveva negli occhi una sfumatura rossiccia, come fosse stato un vampiro, e questo fece deglutire Bill di un’insolita paura. La mano di Tom si posò dolcemente sulla sua guancia e lentamente lo baciò. Il moro non riuscì propriamente a lasciarsi andare, il cuore gli stava battendo troppo forte dall’agitazione per quanto ciò che provava per Tom stesse cercando di prevalere.

- Le mie sono solo scuse...delle dannate scuse- Tentò di reprimere quel ringhio, ma non ebbe successo.

- N-non capisco…-

- E’ molto semplice- Lo prese per le spalle e lo spinse sul letto. - Non ho niente da dirti- Gli salì sopra e lo bloccò sul materasso, con le braccia sopra la testa. Non gli diede neanche il tempo di replicare che già si era fiondato nuovamente sulle sue labbra. Bill lasciò andare un gemito di dolore quando iniziò anche a morderle, e ad un certo punto percepì anche il sapore ferroso del sangue. Stava esagerando...ma come mai non riusciva a dirglielo? La lingua di Tom passò sulle sue labbra come a volerle sanare dalla ferita e nel mentre con la mano si dedicava a sbottonargli la camicia. 

- Tom…- Ad un certo punto parve stancarsi e con un gesto secco, gli scoprì tutto l’addome facendo saltare qualche bottone. In quel momento si bloccò per un istante e rimasero a fissarsi negli occhi con il respiro ansimante. Bill si stava chiedendo che cosa stesse prendendo al ragazzo di fronte a lui, che cosa era successo...perché non era più capace di toccarlo in quella maniera gentile? Tom invece era un mistero perfino per sé stesso. Aveva un’incredibile voglia di sottomettere Bill, la libidine non gli stava dando tregua, voleva che gli appartenesse, anche a costo di fargli del male. Sapeva che erano pensieri malati, ma era la sua testa...non era il suo cuore. Non voleva ferire Bill, ma non stava riuscendo davvero a controllarsi. Quando una mano fredda del moro si poggiò sulla sua guancia, sussultò leggermente. Bill stava studiando il suo sguardo, non lo stava giudicando, non stava scappando e non sembrava averne l’intenzione. Cercava semplicemente di comprendere cosa dovesse fare per ottenere qualche risposta o per calmare Tom. Alla fine sospirò togliendosi la giacca e la camicia rotta gettandole entrambe sul pavimento. Si lasciò guardare aspettando che Tom facesse qualcosa, e si sentiva come un’antilope completamente esposta davanti al leone, e senza possibilità di fuga...con una sola differenza: l’antilope non si sarebbe per niente eccitata al sol pensiero di cosa il leone le avrebbe fatto. - E’ quello che vuoi, no?- Sussurrò avendo il coraggio di alzare gli occhi su di lui. - Fammi quello che desideri- E sulle labbra vi dipinse un sorriso leggermente malizioso. Avrebbe sentito molto dolore a provocarlo in quella maniera. In quel momento Tom non era pienamente cosciente, era solo un animale in calore...e Bill la femmina pronta a soddisfarlo. Da antilope era passato a leonessa, perché si era messo al suo stesso livello. Pazzo contro pazzo, non avrebbe vinto nessuno poiché quello che stavano per fare altro non era che una follia. Non avevano nemmeno chiuso la porta a chiave. Tom assottigliò leggermente lo sguardo, realizzando ciò che Bill stava facendo...e gli piaceva da morire. Si avventò sulle sue labbra nuovamente riprendendo a spogliarlo totalmente. Lo liberò da qualsiasi indumento che lo ricopriva, e anche lui fece lo stesso per sé. Non lasciò che fosse Bill a toccarlo, perché va bene che il moro poteva seguirlo ovunque, mettendosi al suo pari, ma qualche sentore da uomo attivo voleva averlo ancora. Bill era capace di dargli e di togliergli qualsiasi cosa solo con un gesto e con delle parole, e questo lo faceva impazzire in due sensi: di goduria perché gli teneva testa anche laddove la testa non l’aveva, e di rabbia perché era consapevole di non poter mai fare altrettanto con lui. Dopo qualche minuto si ritrovarono entrambi nudi, Bill sotto Tom, a baciarsi dolcemente, e le loro pelli creavano un contrasto piacevole alla luce della Luna che penetrava dalla finestra. Le mani scarne e delicate di Bill gli accarezzavano dolcemente le spalle larghe arrivando al petto, sentendo il battito del suo cuore. In quell’istante si chiese se erano davvero amanti e basta o se c’era qualcosa di più. Una domanda che in un modo o nell’altro lo turbò. Quando Tom si spostò a baciargli il collo poté voltare il viso e fermarsi ad osservare la Luna, forse cercando una risposta, ma era solo un cerchio bianco che tentava di avere un valore tra quelle nuvole nere che la sottomettevano. Bill si sentiva quella Luna e Tom forse era le nuvole. Ma chissà...magari queste ultime non volevano nascondere la Luna, assoggettarla o ferirla. Probabimente desideravano solo toccarla, accarezzarla...proteggerla.

- Ah!- Quel dolore familiare lo fece risvegliare da quegli insoliti pensieri da mente artistica. Non aveva per niente fatto attenzione a quando Tom si era leccato il palmo della mano per bagnare la propria erezione, pronta ad entrare in lui ormai da quando aveva messo piede in quella magione. Non riuscì però a rimproverarlo per la mancanza di cura, ma gli lanciò una leggera fulminata, come per dirgli “potevi avvertire”. Tom però non prese bene questa sua voglia di educarlo, lo afferrò per i fianchi tirandolo su con un gesto secco, petto contro petto. Bill si ritrovò improvvisamente tutta la lunghezza di Tom per il retto e cercò di trattenere in gola qualsiasi cosa, ma gli uscì lo stesso un piccolo urlo. Le sue mani cominciarono a tremare, ma si lasciò andare ed avvolse Tom con le braccia appoggiando la testa sulla sua spalla prendendosi del tempo per riprendersi. D’un tratto percepì le labbra di Tom poggiarsi delicatamente sulla sua nuca, lasciando dei piccoli baci. Era il suo modo di chiedere scusa? Forse sì. Tom diede il primo colpo di bacino e Bill gli strinse dei cornrows in una mano. Quei colpi, dapprima lenti e sinuosi, cominciarono ad essere più decisi e secchi senza che Bill gli avesse dato il consenso. - Tom…!- Anche lui gli afferrò i capelli tirandoli per costringere il moro a scoprire il proprio collo niveo, che assalì a morsi. Amava l’odore della sua pelle e sentire la sua morbidezza sotto le labbra. Imprimette bene i denti sulla sua clavicola sinistra e attuò un movimento di suzione, lasciando un segno violaceo. Avrebbe voluto farlo sul collo ma sarebbe stato un rischio e non era così sprovveduto. Bill era ancora perso nelle varie sensazioni di piacere e dolore che si stavano concentrando dentro di lui, quando Tom lo spinse nuovamente sul materasso sfilandosi dal suo corpo.

- Vorrei che ti voltassi...ma se scegli di farlo, non sarò gentile con te- Mormorò leccandosi il labbro inferiore, gesto che fece fremere le membra di Bill. Vedeva la sua eccitazione e l’unico desiderio che aveva era quello di averla dentro una volta per tutte, come si doveva, in quella maniera violenta che non si sarebbe ripetuta in una seconda occasione. Annuì leggermente scegliendo di essere il suo schiavo sessuale per una notte, per quelle ore che non sarebbero finite mai nel cuore di Bill. Fece come gli aveva detto. Si voltò dandogli le spalle e si abbassò al punto di far toccare il materasso alle spalle gracili. Si sentiva terribilmente esposto e la cosa gli piaceva, ma gli prosciugava anche la saliva in gola. Non poteva nascondere un po’ di timore, ma non gli era permesso tornare indietro. Tom gli afferrò entrambe le natiche con le mani aperte e Bill gemette. Era solo l’inizio, ma poteva mostrare un po’ di intraprendenza, perché aveva imparato anche lui a giocare a questo gioco. Retrocedette volutamente andando ad accarezzare l’erezione di Tom con le proprie natiche. Voleva vedere fino a che punto sarebbe stato in grado di resistere. Il ragazzo gemette rocamente, non aspettandoselo, e si disse che Bill voleva proprio morire. Era dannatamente eccitante...sarebbe potuto venire anche solo così.

- Ti vedo in difficoltà, Tomi- Disse voltandosi per guardarlo dritto negli occhi e mordendosi il labbro inferiore con evidente voglia di provocare. - Non vorrai perdere così- Si fece ancora più indietro fino ad arrivare letteralmente a segarlo contro il proprio ventre. I movimenti del suo bacino erano sinuosi come un serpente del deserto, e così dannatamente diabolici. Si stava burlando di lui? Era un pensiero ineluttabile nella mente di Tom, il quale decise di smetterla.

- Sarai tu a perdere- Gli artigliò i fianchi e afferrò la propria intimità direzionandola sull’apertura di Bill, per poi spingere con un colpo secco. Bill non resistette e cadde ancora in avanti, con il viso premuto sui grossi cuscini. Ne afferrò un stringendolo per urlarci dentro, ma ancora una volta il piacere ebbe la meglio.

- Aaah!- Un lungo gemito uscì fuori dalla sua bocca, e fu il segnale per Tom per scatenare l’Inferno nelle loro membra. Iniziò a dare colpi di bacino sempre secchi e veloci, e anche lui cominciò a vedere le stelle. Se qualcuno gli avesse chiesto il posto più bello dove era stato, avrebbe risposto sicuramente dentro Bill. Era così caldo, stretto e accogliente, che gli stava facendo provare sensazioni indicibili.

- Dio, Bill!- Il moro gli afferrò i polsi tirandosi su per farlo arrivare ancora più in profondità. Non si risparmiò un grido di piacere che ormai si era arreso all’idea di contenere. Non credeva di poter essere così disposto a subire certe cose nel sesso. Non si sentiva per niente umiliato o una prostituta. Oppure se anche lo avesse chiamato così non si sarebbe offeso, al contrario, sarebbe venuto all’istante. Non sapeva come definirlo. Era semplicemente del sesso violento che, da nuovo per lui e precipitoso per Tom, era diventato consenziente per entrambi e non se ne sarebbero mai pentiti, neanche se li avessero beccati in quell’istante in quella posizione. - Credi che all’Inferno ce lo faranno ripetere?- Chiese con voce roca e respiro ansimante. Un sorriso prese forma sulle labbra di Bill, era una prospettiva interessante quella di fare del sesso selvaggio in mezzo alle fiamme.

- Dipende...se ci troviamo nello stesso...cerchio- Avrebbero potuto commettere altri peccati peggiori di quello di blasfemia. La vita era imprevedibile, e sapevano entrambi di avere un destino già scritto che poteva avere in serbo per loro tante sorprese. 

- Se in caso non fosse così, ti vengo a trovare-

- Oh sì...ehm...volevo dire...non potresti- Si era corretto rendendosi conto che si era lasciato un po’ troppo andare, ma la virilità di Tom non gli stava lasciando un minimo di tregua.

- Non permetterò a nessun demone di possederti, tantomeno al Diavolo- Era Tom il suo Diavolo. Tom era la sua condanna e la sua salvezza messi insieme, e neanche Dio e la sua Bibbia avrebbero potuto cambiare questo. Era un amore che non poteva essere compreso neanche dagli angeli, perché essi erano manovrati dagli uomini. Erano stati gli uomini a stendere le sacre scritture su carta, e la Bibbia poteva essere una favola e loro i bambini da mettere a letto con la sicurezza di un mondo dove in tutti c'è del buono e alla fine c’è sempre un qualcuno di più grande lassù che ti perdona. Per Bill quella era una grande falsità, perché se aveva davvero sbagliato doveva chiedere scusa solamente a sé stesso e imparare a perdonarsi.
D’un tratto bussarono alla porta e Bill non ebbe il tempo di realizzarlo, che Tom lo aveva tirato su, facendogli appoggiare la schiena al suo petto, una mano gliela teneva sul collo e l’altra sulla bocca per reprimere i suoi gemiti, ma non si azzardò minimamente a diminuire il ritmo delle spinte. Anche quello era un gioco pericoloso. - Sei in grado di parlare normalmente? Io non riesco a fermarmi- Gli sussurrò all’orecchio. Bill annuì.

- Signorino Bill? Mi scusi se la disturbo. L’ospite è andato via?-

- Sì...è andato...mh…- Gli strinse un polso reprimendo un gemito. - Dimmi quello che devi-

- Sono passata da suo padre per controllare la sua salute, e ho visto che le è aumentata la febbre. Gli ho fatto un impacco con il ghiaccio e gliel’ho messo sulla fronte per fargliela abbassare, ma sarebbe necessario che lei andasse a controllare tra qualche minuto. Io mi ritiro- 

- Va bene...dopo ci vado- 

- E mi raccomando, non lavori troppo. Si distragga in qualche modo- 

- Oh dio…- Alzò gli occhi al cielo. Amava sentire la mano grande e calda di Tom sul suo collo. La sola idea gli stava provocando delle scosse di piacere assurde. 

- Signorino?-

- Sì...ti ringrazio...buonanotte-

- Buonanotte anche a lei- E finalmente la sentì allontanarsi. Non si era accorta che non se n’era ancora andata. Certo, era stato un rischio, ma era sicuro che non aveva udito assolutamente niente. 

- Ha sentito, signorino Kaulitz?- Gli sussurrò Tom all’orecchio con voce suadente e ironica. - Deve distrarsi, lavora troppo- 

- Sì...lavoro davvero tanto ultimamente- 

- E quale modo migliore?-

- Lo stavo per dire io- Voltò lo sguardo incontrando i suoi occhi. Si avvicinò piano assicurandosi di avere il via libera e lo baciò. Era il primo bacio che gli dava di sua spontanea volontà quella sera, ed era contento che se lo fosse lasciato fare. - Continua a distrarmi- Gli mormorò sulle labbra. Tom eseguì l’ordine e riprese a spingere dentro di lui, e Bill adesso non poteva fare altro che lasciarsi andare ed essere felice, chiudere gli occhi e sentire ogni più minima sensazione. - Tom...sto per venire!- Il ragazzo capì di dover dare un’accelerata senza però esagerare. Voleva avere il suo momento insieme a Bill, perché non era lo stesso senza di lui. - Tom! TOM!- Il moro inarcò la schiena venendo con un gemito liberatorio sulle lenzuola, Tom dentro di lui. Avevano entrambi il respiro ansimante. E non sapevano se era giusto esprimersi o se il silenzio poteva già essere una forma di espressione. Bill però lo capì nel momento che Tom lo abbracciò da dietro nascondendo il viso nell’incavo del suo collo.

- Mi dispiace…-

- Per cosa?- Gli prese una mano che stava all’altezza del suo petto e la accarezzò dolcemente. Era pronto ad ascoltarlo, qualsiasi cosa gli avesse detto. 

- Ho commesso un errore...che tu non mi potrai mai perdonare, e mi dispiace perché l’unico modo che ho trovato per rimediare nella mia mente era venire qui e farti questo, senza pensare che avresti potuto anche non volerlo- Bill sospirò. Questa volta aveva promesso che non si sarebbe arrabbiato più. Doveva cercare di essere un minimo razionale e comprendere.

- Vorrei sdraiarmi. Questa è una posizione un po’ scomoda per le confessioni- Si mise giù sotto le coperte aspettando che Tom lo raggiungesse. Erano sporche ma a loro non importava. Avevano talmente tante macchie morali addosso che quelle fisiche erano le meno incisive. Tom appoggiò la testa sulla sua spalla lasciandosi coccolare. Erano piacevoli le dita di Bill tra i suoi capelli, lo rilassavano. 

- Mi sa tanto che alla fine hai vinto tu, Bill-

- Che intendi dire?-

- Vinci sempre tu, in un modo o nell’altro. Sei l’unica persona che ancora sa cosa è e che cosa è destinata ad essere- Perché gli stava facendo tutto quel giro di parole? Dove voleva arrivare esattamente?

- Tom, non riesco a capire-

- Saphira...lei sta meglio adesso-

- Sono felice di sentirlo- Per un attimo si chiese se stesse cambiando discorso, ma purtroppo non era così, e se ne accorse molto presto.

- E sono andato a letto con lei...stasera- Le dita di Bill si fermarono improvvisamente sui suoi capelli. La confusione cominciò a farsi strada nella sua mente. Tom era omosessuale! Come poteva avere fatto sesso con una donna!?

- Sei...voi due avete…?-

- Sì…-

- E come…?-

- E’ successo e basta. Ci siamo chiusi in una stanza ed è accaduto. Io non so esattamente come. In quel momento ero così frustrato dall’idea del matrimonio e i signori Winkler non facevano altro che opprimermi con la cosa della prima notte di nozze ed è stato un modo per zittirli- Bill si era promesso di non lasciar sopraffare le emozioni, ma l’idea che Tom fosse andato a letto con Saphira per obbligo lo stava facendo quasi vomitare. Non sapeva se provare compassione per entrambi o semplicemente niente. Che cosa si aspettava, in fondo? Erano sposi, non potevano stare a girarsi i pollici tutto il giorno. Forse alla fine a Tom non piacevano solo gli uomini...forse Tom non provava sentimenti solo per lui. Quel pensiero gli fece venire un nodo alla gola. Non voleva piangere, dannazione! - Bill?-

- Devo andare a vedere come sta mio padre- Si era alzato e si era vestito con una vestaglia di seta nera. Non aveva voglia neanche di mettersi l’intimo, in quanto sarebbe significato un secondo in più in camera con un Tom che gli aveva appena confessato di essere stato nient’altro che un ripiego. Aveva fatto sesso con lui solamente per frustrazione! Per capire chi dei due lo aggradava maggiormente! Batté una mano su una parete del corridoio prendendo un enorme respiro. Doveva calmarsi, si stava già arrabbiando troppo...o forse la sua non era rabbia, quanto delusione. Entrò nella stanza di suo padre e lo vide dormire placidamente. Russava molto forte. Per fortuna i muri erano spessi. Si avvicinò accarezzandogli il viso ruvido dalla poca barba che aveva. Non sapeva da dove era venuto quel gesto. Sarà che in quel momento si sentiva così fragile che accarezzare il padre, per quante discussioni avevano avuto, gli aveva dato un minimo di conforto. - Ho fatto tutto il lavoro. Voglio solo che ti riprenda presto- Sussurrò prendendo l’impacco con ghiaccio mezzo sciolto dalla sua fronte. - Che mi piaccia o no, sei mio padre...e tu non mi hai abbandonato in un qualche orfanotrofio quando mamma è morta- Cominciò a piangere. Si sentiva terribilmente male. Si inginocchiò appoggiando la testa sul materasso prendendo a singhiozzare silenziosamente. Non voleva svegliare il padre con le proprie paranoie. Non le avrebbe comprese. - In qualche modo devo volerti bene…mi dispiace se ti deluderò...ma io sono fatto così...e sono felice di essere così- 

- Bill?- Sussultò alzando gli occhi vedendo che suo padre si era svegliato e lo stava fissando stranito. - Che cosa ti succede?- Cercò di ricomporsi asciugandosi le lacrime.

- Niente, padre...è solo che...sono stressato, tutto qui-

- Sei sicuro?- Bill si asciugò ancora il viso. Voleva cancellare ogni traccia di tristezza da esso. Poi annuì. - Ho sentito quello che hai detto, Bill...e anche a me dispiace di non aver avuto con te quel rapporto che volevi...ma tu sei così...così strano. A volte non ti capisco e a volte mi sembra...di avere una figlia. Hai dei modi di fare così delicati...e quella voglia di dipingere, i romanzi d’amore…- Sospirò. - E’ davvero questo che vuoi per te? Vuoi andare avanti con questo atteggiamento?- Chiese con calma nella voce. Non era arrabbiato, per una volta stava cercando di comprendere.

- Sì- Rispose semplicemente. Era più che sufficiente per il signor Kaulitz.

- Allora ti auguro buona fortuna- Bill sapeva di non poter pretendere di più, sicché si alzò e si diresse verso la porta. - E...Bill?-

- Sì?- Il padre rimase un po’ in silenzio senza sapere realmente come dire ciò che voleva.

- Io…- E Bill lo fissava aspettandosi chissà che cosa. - Buonanotte- E alla fine sapeva che era già tanto ciò che si erano detti in quei minuti, che non era il caso di eccedere.

- Buonanotte...padre- E chiuse la porta. Sospirò e tornò nella propria stanza. Tom era ancora lì nel letto che stava guardando il soffitto. - Dammi un buon motivo per il quale non dovrei sbatterti fuori di casa- Non poteva perdonare su due piedi una cosa come quella. Prima voleva una ragione per restare, perché lui non era un oggetto e Tom non poteva manipolare la sua anima a suo piacimento solamente perché era quello che comandava a letto. Voleva che questo fosse chiaro.

- Bill, so di aver sbagliato, ma io adesso sono qui da te, perché è te che voglio-

- Dimmi solo che pensavi a me mentre eri dentro di lei e poi siamo la coppia perfetta, giusto?- Tom aveva capito che certe parole non sarebbero bastate a fare in modo che Bill lo vedesse come prima. Aveva perso un po’ della sua stima, e come dargli torto? Stava commettendo solamente sciocchezze perché era costretto alla tortura della goccia d’acqua, che batteva in continuazione sulla sua testa portandolo ad impazzire. La sua vita era una prigione e stava distruggendo la chiave d’oro che l’avrebbe aperta. Si alzò e iniziò a rivestirsi sotto lo sguardo di Bill, il quale teneva le braccia conserte in attesa di una risposta. Voleva capire come sarebbe andata a finire. Non avrebbe permesso a Tom di uscire di sua spontanea volontà, almeno che non avesse aggiustato tutto e subito. Non vedeva come potesse farlo, ma era sempre meglio crederci fino all’ultimo.

- Che cosa vuoi che ti dica, esattamente?-

- Sorprendimi- E i suoi occhi erano una sfida da sopportare per Tom. Era la sfida più bella del mondo. Bill per una volta gli stava lasciando la situazione in mano. Era il momento di crescere e di prendersi le proprie responsabilità. Era andato a letto con Saphira perché si sentiva oppresso, e poi aveva cercato Bill per riparare al torto che aveva fatto al proprio corpo. Non si era comportato bene, ma non avrebbe lasciato che le cose scivolassero via così. 

- Non so quanto possa sorprenderti il fatto che ti amo- Lo aveva confessato con una tale naturalezza, che questa disarmò Bill in un istante e gli fece scivolare le braccia lungo il corpo nel mentre il suo cuore faceva salti mortali.

- Hai appena detto...che mi ami?- Tom si morse il labbro inferiore annuendo, quasi con timore di aver sbagliato a pronunciare delle parole così forti. - Allora perché?- Chiese con occhi lucidi. 

- Perché sono costretto a dividermi in due e vorrei che non fosse così. Vorrei aver messo quell’anello al tuo dito, aver condiviso il letto solamente con te e amarti come meriti...perché lo meriti come nessun altro, o almeno non quanto lo merito io...sempre se lo merito ancora- Bill lesse nei suoi occhi che era terribilmente dispiaciuto per tutto e che confessare a pieno i suoi sentimenti era stata una mossa disperata per non perderlo. Aveva capito di aver combinato qualcosa di sbagliato, ma si era promesso che non si sarebbe più ripetuto. Lui voleva Bill, e i signori Winkler non avrebbero dovuto più entrare nelle sue questioni intime. - Ti ho ferito…-

- Molto-

- E hai appena pianto-

- E’ vero...ma può succedere quando si ama...non è così?- Sulle prime Tom non realizzò quelle parole, ma poi comprese tutto insieme e sobbalzò interiormente. - Lo chiedo a te perché per me è tutto nuovo...ma sento che è la realtà. Io ti amo- Tom si avvicinò piano e gli prese il viso tra le mani. Quelle mani grandi e calde che Bill amava. - Dimmelo anche tu-

- Ti amo, Bill-

- E ora baciami- Fu il moro a coglierlo di sorpresa e a baciarlo per primo. Non che Tom non l’avesse fatto, ma non c’era qualcuno di predefinito che doveva prendere sempre l’iniziativa. Loro erano alla pari, avevano lo stesso valore...e per ultima cosa, ma non meno importante, anche lo stesso sesso. Quello fu un bacio vero, senza più segreti o paure da nascondere. L’avrebbero presa come una nuova sfida da superare insieme. Amarsi non era facile, ma avrebbero imparato con il tempo quanto forte fosse il loro sentimento, e che avrebbe potuto regalargli sia l’inferno che il Paradiso in un Purgatorio che non avrebbero mai percorso veramente. Non dovevano purificarsi da un peccato, dovevano purificarsi dalle persone che erano, dagli sbagli che facevano, sostenersi a vicenda...e vivere.

 

***

 

Due settimane dopo…

- Tom- Saphira finalmente sembrava stare meglio. Aveva ripreso a mangiare normalmente per fortuna. Sarja l’aveva seguita per tutto il tempo, mentre i signori Winkler ogni tanto andavano a chiederle come si sentisse e se il suo stato era in miglioramento, ma nulla di più. Era la preoccupazione massima che riuscivano ad avere. Tom, quando Saphira lo chiamò, era impegnato nella lettura di un libro che si era preso dalla biblioteca quel giorno a lavoro. - Puoi venire con me un secondo?- Tom si alzò e seguì la ragazza per i corridoi della casa fino ad arrivare in un altro luogo più appartato, ovvero la stanza di lei, dove potevano parlare senza essere ascoltati da orecchie indiscrete.

- C’è qualcosa che non va? Ti senti poco bene? Chiamo il dottore?- Le accarezzò dolcemente il viso, come era suo solito fare. Tom era sempre carino con lei, cercava di non farle mai mancare niente. Non perché era suo marito, ma perché le voleva bene e ci teneva che stesse il meglio possibile. Saphira sorrise rassicurante.

- No, non preoccuparti...sto bene- Non lo disse però con aria del tutto convinta. Per Tom c’era comunque qualcosa sotto. - E’ solo che…- Si fermò sbuffando e borbottando qualcosa che Tom non riuscì ad afferrare.

- Puoi parlare di tutto con me- Lei pareva molto confusa e in difficoltà. Agitata.

- Tom, non so se saresti disposto a capire. Vedi, tu sei così buono e gentile e premuroso...ma non so quale potrebbe essere la tua reazione a ciò che voglio dirti- Tom non capiva. Era qualcosa di grave? Era malata e glielo stava nascondendo? Se era così pretendeva di saperlo subito, in modo da poter fare qualcosa. 

- Cerca di spiegarti meglio…- Saphira prese l’ennesimo respiro.

- Ho vomitato stamattina- Mormorò con sguardo basso e colpevole.

- Lo dicevo io che stavi male. Può essere stata un’indigestione. Ieri sera hai mangiato davvero tanto...come la sera prima...e quella prima ancora…- La ragazza questa volta non riuscì ad intenerirsi alla sua ingenuità, ma anzi, capì che sarebbe stato più difficile del previsto.

- Tom…-

- Era necessario che mi portassi qui per dirmelo? Devi stare tranquilla…-

- Tom…-

- ...non è qualcosa di così grave. Un po’ di acqua e limone e...-

- Tom!- Il ragazzo smise di parlare a raffica. Era chiaro che stava andando completamente fuori pista. Saphira deglutì. - Sono incinta...Tom-

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Capitolo 10
*** Kapitel 10 ***


Kapitel 10


- Sono incinta...Tom-

Due parole che non gli avevano permesso di chiudere occhio letteralmente. Da quella notizia ricevuta in un giorno come tanti, Tom Winkler non era più riuscito a dormire. Pensava che la sua vita fosse dettata ad essere perseguitata dal male, dalla sfortuna, da qualcosa che in un modo o nell'altro gli impediva la felicità. Una volta aveva perfino pensato che potesse essere l'anima di Oskar, il suo spirito che, ingelosito di lui, era sceso sulla Terra per fare in modo che Tom non appartenesse a nessuno. Eppure sapeva, sapeva che Oskar non l'avrebbe mai fatto, non avrebbe mai desiderato il suo male per degli scopi egoistici. Lui era una persona buona, l'unica che gli era stata veramente vicina il più a lungo che aveva potuto...poi se n'era andata. Allora forse era la punizione di Dio, che stava cercando di ricondurlo sulla retta via. Forse Tom era davvero l'unico che andava contro corrente e aveva trascinato anche Bill in quel baratro. Anche lui sarebbe stato condannato all'infelicità? Era proprio l'ultima cosa che desiderava, ma più lo aveva vicino, e più sentiva che le cose potessero in qualche modo migliorare. Non sapeva come, ma udire il cuore Bill battere all'unisono con il proprio gli faceva capire che era ancora vivo e che era in grado di cambiare ancora qualcosa, poteva combattere, ma solo nei momenti buoni e dove era colto da un bagliore di ottimismo. 
Aveva chiesto a Bill di ribellarsi e ora era lui che non riusciva a fuggire da quelle catene. L'amore della sua vita poteva scappare libero e Tom sarebbe rimasto incatenato ad un muro a subire tutte le torture. Dopo questo, il moro non avrebbe più desiderato stargli accanto. Gliene aveva combinate troppe: aveva sposato Saphira, ci era andato a letto e ora stava per avere un figlio da lei. Tutte le discussioni avute con Bill al riguardo parevano aver sempre denotato una fine definitiva che per fortuna non era mai avvenuta. Ma adesso che cosa poteva sperare? Un altro perdono? L'ennesimo suo passo avanti quando lui ne aveva fatti mille indietro? No. Doveva andare in terapia a farsi curare? Comprendere che quella che immaginava lui non era una realtà fattibile? Magari sì...se ne avesse avuto la forza. Anche in quei giorni meditò molto sul proprio suicidio, su come sarebbe stato il mondo senza una persona come lui. 
Una volta era andato in bagno e aveva cominciato a tagliarsi con il rasoio tutto il braccio sperando di morire dissanguato senza accorgersene. Vedendo che non accadeva nulla, aveva cominciato a spogliarsi totalmente e si era immerso in una vasca di acqua calda lasciandosi andare. Aveva chiuso con il mondo, con tutti. Tom Winkler finalmente sarebbe morto. L'unica cosa che un po' lo fece desistere erano state le lacrime che Bill avrebbe versato a sapere del suo decesso, ma poi si era "confortato" con il fatto che Bill non avrebbe voluto una persona che lo aveva tradito su tutti i fronti. Meritava decisamente più di quanto Tom avrebbe potuto dargli. E nel mentre una pozza di sangue si era generata sul pavimento e i suoi sensi stavano cominciando ad annebbiarsi. Il primo ad andarsene fu la sensibilità al dolore, in quanto si abituò al bruciore delle ferite; successivamente l'olfatto, anche se l'odore ferroso del sangue gli stava dando la nausea; poi la vista, la quale iniziò pian piano ad appannarsi ed infine...l'udito. L'ultima cosa che udì furono le urla di una donna...poi era collassato.
Saphira si era ritrovata con questo scenario una volta entrata e stava per avere un infarto. Aveva cercato di mantenere il sangue freddo ed aveva chiamato Sarja urlando. La domestica appena aveva sentito la ragazza gridare a quella maniera aveva pensato subito ad un problema con il bambino. Tuttavia non fu per niente sollevata da ciò che invece la accolse.

- Oddio...Tom! TOM!!- Aveva gettato al vento l'etichetta ed era corsa da lui per vedere se dava segni di vita. - Da quanto tempo è così!?-

- Non lo so, sono appena entrata!- Anche Saphira cercava di mantenere la calma. - Ho preso delle bende!-

- Dobbiamo tirarlo fuori dall'acqua prima!-

- Ti aiuto io-

- No!- La domestica aveva bloccato le intenzioni della ragazza sul nascere. - Vai a chiamare tuo padre!-

- No, io...!-

- Tu sei incinta, non puoi fare sforzi e Tom non ha molto tempo! Vai a chiamarlo!- Era la prima volta che Sarja si era azzardata ad alzare i toni con la sua padrona, nonché figlia che non aveva mai avuto. Saphira capì che doveva sbrigarsi perché Tom si era provocato un'emorragia importante e non gli restavano che pochi minuti dove la situazione era ancora reversibile. Saphira corse impanicata al piano di sotto, e raggiunse la sala dove il signor Winkler stava controllando dei documenti burocratici. Alla notizia che Tom stava cercando di ammazzarsi nella vasca, l'uomo non reagì con chissà quale preoccupazione. Alla fine Tom aveva già dato ciò che a loro interessava, e se fosse morto sotto una macchina poco importava. Tuttavia non voleva neanche che lo spavento e il dolore per la sua morte causasse qualcosa a ciò per il quale lui e sua moglie avevano lavorato durante tutti quegli anni di matrimonio. Aveva sospirato e si era alzato con tutta la dovuta calma. Aveva aiutato Sarja a togliere il corpo nudo di Tom dalla vasca abbondantemente sporca del suo sangue.

- Medicalo! Appena si sveglia faremo i conti!- Inveì una volta che lo ebbero adagiato sul letto.

- Che intenzioni ha? Non so se ha capito che ha appena tentato di ammazzarsi!- Sarja non sapeva che cosa le fosse preso, ma era stanca di stare agli ordini di queste persone che altro non facevano che rendere la vita di Tom peggiore ogni giorno che passava. Saphira intanto ascoltava, disinfettando il braccio del ragazzo per poi avvolgerglielo in uno strato consistente di bende. Il sangue doveva assolutamente smettere di uscire e loro dovevano pregare che Tom si riprendesse.

- Tu resta al tuo posto, o come è vero che il sole sorge ogni giorno, ti ritroverai in mezzo alla strada!-

- Padre, non trattare Sarja in questo modo! Se Tom si riprenderà senza alcun danno è merito suo!- Anche Saphira tentò di alzare la voce. L'uomo la fulminò e basta con uno dei suoi sguardi di ghiaccio, poi se ne andò senza far sapere se i suoi propositi di torturare Tom appena sveglio fossero svaniti o permanenti. - Tom...lo so, è difficile...ma non puoi lasciarmi sola così...non puoi lasciare...- Scoppiò a piangere tendendogli la mano che era ancora calda. Sì, quello era un segno di speranza. Sarja sospirò poggiando le proprie mani sulle spalle scosse della ragazza tentando di calmarla. - Voleva ammazzarsi a causa mia? Sono io il problema?-

- Non pensarlo minimamente!- La domestica le asciugò le lacrime per fare in modo che potesse guardarla bene negli occhi. - Tu hai un animo così gentile che nessuno si ammazzerebbe per non starti accanto, ma vedi...Tom è innamorato di un'altra persona-

- Cosa?-

- Sì...me lo ha detto prima che vi sposaste. Molto probabilmente non regge la distanza da lei- Saphira abbassò gli occhi osservando quelli morbidamente chiusi di Tom. Lei sapeva che per lui non sarebbe mai stata una prima scelta, che Tom la amava come una sorella, come una migliore amica, e nulla di più...e che perciò non desiderasse quel figlio da lei. Magari lo voleva dall'altra donna che amava, magari avrebbe voluto mettere a lei un anello al dito, farne la sua sposa...e invece si trovava ammanettato a lei.

- Se sapessi chi è le direi di venire subito qui. Non sono gelosa, in fondo per me Tom è solo il più grande amico che potessi desiderare e la migliore compagnia per una persona spenta come me...ma merita di avere chi veramente ama accanto- Saphira stette per lasciargli la mano, ma Sarja vi pose sopra la propria bloccandola nell'intento.

- Tu sei l'unica persona presente in questo momento alla quale vuole più bene e vali molto per lui. Non abbandonarlo- La ragazza comprese le sue parole e promise di prendersi cura di Tom nel miglior modo possibile, fino a che non si fosse ripreso totalmente. Abbassò lo sguardo sul proprio ventre accarezzandolo con la mano libera e sospirando. Già poteva sentire che non era da sola in quel corpo e che in qualche modo anche il piccolo ospite dentro di lei desiderava che Tom stesse bene. Lui aveva due persone e mezzo presenti che attendevano la sua guarigione e volevano la sua felicità.

- Non arrenderti adesso- Sperava che quelle parole riuscisse a sentirle. Non poteva lasciarsi andare, soprattutto ora che aveva bisogno di lui più che in tutto il resto della sua vita. Saphira non poteva però non pensare che la sua esistenza aveva incasinato quella di Tom e non se lo sarebbe perdonato mai. I suoi genitori volevano maritarla per avere un erede e ora che l'avevano ottenuto, per loro quel ragazzo quasi morente altro non era che uno scarto...ma per Saphira non era così. Era suo fratello.

***

Stava succedendo nuovamente. Erano passate settimane dall'ultima volta che aveva visto Tom e non capiva questa volta quale fosse il problema. Bill stava cominciando a stufarsi. Gli aveva detto che lo amava ma non faceva niente per vederlo, neanche di nascosto. Era solo venuto a scoparselo per riparare ad un torto fatto a sé stesso...e poi? Lo aveva abbandonato nuovamente. Certo, Bill non aveva escluso neanche l'idea che gli avessero fatto qualche tiro mancino, ma gli avevano per caso mozzato mani o gambe per impedirgli di scrivere o camminare? Non sapeva che pensare. A volte credeva che Tom non fosse abbastanza maturo per prendere la loro relazione seriamente. Poi, soprattutto dopo la morte di suo padre, anche lui si era distaccato molto dalle cose sentimentali. Non aveva dipinto più per un bel tempo. Alla fine lui un po' di bene gliene voleva, anche se quell'uomo non aveva mai avuto l'ardire di pronunciare quel "ti voglio bene" tanto atteso, neanche sul letto di morte. Bill adesso aveva un grosso dovere che gravava sulle sue spalle: prendere il posto del padre e fare l'artista nel tempo libero. Avrebbe fatto in modo che piano piano anche quella diventasse una professione affermata e poi chissà...magari sarebbe pure partito. Cosa glielo faceva fare di rimanere ad aspettare qualcuno che alla fin fine lo cercava solo quando ne aveva bisogno? Questi pensieri facevano male, e infatti spesso Bill si trovava a versare qualche lacrima fuggitiva, che provvedeva ad asciugarsi in fretta. Amava Tom, ma aveva paura che da parte sua ci fosse stata della fretta. Forse si era sentito oppresso, forse aveva visto Bill come una seconda occasione per le proprie perversioni amorose siccome lo assecondava. Aveva talmente tante supposizioni in testa...che alla fine seppe che cosa fare. Era giusto chiedere al diretto interessato e chiudere questa faccenda una volta per tutte. Prese la propria macchina quel tardo pomeriggio e comunicò a uno dei servi che sarebbe stato fuori per qualche ora. Odiava dire dove precisamente sarebbe andato, non erano affari dei quali gente doveva impicciarsi. Parcheggiò davanti al cancello di casa Winkler e andò a bussare. Uscì Sarja ad aprirgli.

- Signor Kaulitz, buonasera-

- Buonasera, Sarja. Chiamami Bill, ancora non mi sono abituato a quel modo di rivolgersi a me-

- Come vuole- Gli aprì il cancello e lo fece entrare. - E' venuto per Tom?-

- Sì, ho bisogno urgente di parlare con lui riguardo alcune questioni- Lo sguardo della domestica si incupì subito, e Bill non poté non notarlo. - E' successo qualcosa?-

- Io...vede...- Sospirò vedendo che non stava riuscendo ad allineare le parole correttamente per spiegare la questione. - Il signorino Tom ha tentato il suicidio questa mattina- Il passo di Bill si arrestò all'istante non appena furono entrati all'interno della casa e Sarja ebbe pronunciato quelle parole. Suicidio? Tom aveva cercato di togliersi la vita? - So che non avrei dovuto dirglielo così ma...-

- Dov'è adesso?- Chiese con gli occhi velati da tanta preoccupazione che era costretto a celare per non risultare inopportuno o comunque una persona troppo intima nei confronti di Tom. Il proprio cuore stava battendo talmente tanto veloce che il respiro gli stava venendo a mancare, ma doveva risultare normale.

- E' a letto, non ha ancora ripreso i sensi. La signorina Saphira gli sta tenendo compagnia-

- Posso salire?-

- Certo, ma non cerchi di svegliarlo. Il dottore ha detto che è bene che si riprenda da solo quando se la sentirà- Bill annuì e si incamminò per le scale lasciando il proprio cappotto alla domestica. Anche su quei gradini avrebbe voluto correre, e per una buona volta ebbe il coraggio di mandare tutto a quel paese e ascoltò ciò che il suo cuore gli diceva. Era preoccupato come mai in vita sua, e non c'era niente da nascondere in questo! Arrivò alla porta della camera di Tom e non bussò nemmeno, ma vi entrò direttamente. Saphira era lì seduta al suo fianco, pareva molto stanca. Era da tanto che non si vedevano, ma Bill non ce l'aveva con lei. Alla fine era la sua amica e lei non sapeva che tra lui e Tom c'era qualcosa...fortunatamente. Bill sapeva che era una persona fragile e non l'avrebbe presa per niente bene.

- Bill-

- Ciao- Si chiuse la porta alle spalle e si avvicinò al letto. Un nodo alla gola si formò repentino insieme ai sensi di colpa per aver pensato ancora una volta come un autentico egoista. Tom era in una situazione schifosa e lui si preoccupava solamente del loro rapporto e non della sua persona, di come stesse vivendo tutto quello o perché non poteva mantenere certe promesse che faceva al suo cuore. - Come sta?-

- Ha ripreso il colorito naturale, fortunatamente-

- C-cosa ha fatto?- Gli stava tremando la voce, non andava bene. Prese un bel respiro, non doveva crollare.

- Era nel bagno...e quando sono entrata l'ho visto nella vasca che aveva perso i sensi, il braccio completamente ricoperto di tagli, il sangue sul pavimento...- Anche lei tentò disperatamente di buttare giù il magone che le era salito alla gola. - Sarja ha detto che...che lo ha fatto perché...perché è innamorato di un'altra persona, e questo lo sa da prima che mi sposasse- Bill a quel punto non riuscì a trattenere una lacrima, che uscì percorrendo tutto il suo viso lentamente, e poi essa venne seguita da molte altre. - Bill, si riprenderà- Tentò di consolarlo.

- Sì, è solo che...- Tirò su col naso asciugandosi le lacrime. - Fa sempre male sentire certe cose, soprattutto parlando di persone come Tom- Era orribile doversi fingere solo un conoscente davanti agli altri. Avrebbe tanto voluto potersi lasciare andare ma aveva le mani legate. Non desiderava per niente che Saphira venisse a saperlo, perché era una cosa troppo strana per non diffonderla in giro, per quanto lei non desiderasse il loro male. Sarebbe bastato un solo errore, una sola parola...e tutto sarebbe crollato nel giro di un istante.

- Già. Senti, vuoi rimanere un po' tu con lui? Io dovrei andare a riposare. Questa gravidanza mi sta già distruggendo- Sbuffò alzandosi dalla sedia sulla quale era stata per tutte quelle ore. Bill drizzò le orecchie a quella parola, "gravidanza", e per un attimo si augurò di aver udito male.

- Sei incinta?- Chiese con un filo di voce.

- Ehm...sì. Scusa se non te l'ho detto, è che ero così presa dalla situazione di Tom, che...-

- Sì, lo capisco- Bill cercò di sorridere accomodante. Alla fine la notizia di un bambino in arrivo doveva essere sempre accolta con il sorriso. Sarebbe risultato sospetto permanere con un'espressione seria, o peggio, cambiare in una triste, arrabbiata o delusa. - Congratulazioni- Anche Saphira costruì lo stesso sorriso di etichetta. Anche lei non era contenta di questa gravidanza. Era giovane e sola. Aveva capito che non avrebbe potuto contare su Tom come supporto, in quanto anche lui aveva bisogno di uno. Avrebbe dovuto essere forte e sperare di farcela. Detto questo, uscì dalla stanza lasciando Bill e Tom da soli. Il moro sospirò avendo perfettamente inteso tutta quanta la verità sul fatto che Tom non si stesse facendo vedere: aveva paura di una sua reazione alla gestazione di Saphira. Sì, Bill riconobbe che non sarebbe stata delle migliori, ma Tom si stava ammazzando pur di non parlargli. Era vigliaccheria? No...era solo resa. La loro relazione era la più complicata al mondo da realizzare. Bill capì quindi che se davvero teneva a Tom, doveva provare più amore per le sensazioni che gli aveva fatto provare, invece che rabbia per i suoi sbagli. - Tom, sono qui- Decise di lasciarsi un po' andare, si tolse le scarpe e si stese accanto a lui facendogli appoggiare la testa sul proprio petto. - Non devi temere che io me ne vada. So che nella tua vita hai sofferto e continui a soffrire perché le persone sono capaci solo di abbandonare ma...- Gli scese l'ennesima lacrima. Questa volta poteva permettersi di piangere. -...mi sono innamorato di te, forse perdutamente- A quelle parole poté percepire chiaramente qualcosa muoversi tra le sue braccia e una mano che, delicatamente, si poggiò sul suo viso per asciugargli le lacrime.

- Non essere triste, non mi piace sentirti piangere- E la sua voce debole che cercava di farsi sentire. Bill abbassò lo sguardo sulla sua spalla dove la testa di Tom vi stava appoggiata. Il ragazzo lo fissava e odorava il profumo della sua pelle. Bill non riusciva a parlare, così chiuse gli occhi e lo baciò delicatamente sulle labbra. - Dimmi un po', è questo l'Inferno?- Bill ridacchiò accarezzandogli il viso e lasciando altre calde gocce colare dai suoi occhi, che Tom provvide nuovamente ad eliminare con le proprie dita.

- Sì, lo è- I veri demoni sono sulla Terra, e il fatto che Tom si fosse ripreso, aveva significato per loro una sconfitta. Si avvicinarono lentamente ricominciando quel contatto di labbra che era davvero mancato ad entrambi. Passarono dei minuti dove non era necessario parlare, ma ad un certo punto Bill decise di chiarire delle cose. - So che Saphira aspetta un bambino da te-

- Bill...-

- Io resto-

- Come?-

- Mi hai sentito bene. Io resterò vicino a te e a Saphira, per tutto ciò di cui avrete bisogno. Siamo le uniche persone che si possono rovinare la vita l'un l'altro ma renderla contemporaneamente migliore, non credi?- Tom non aveva mai realizzato quel punto, ovvero che, unendo le forze, avrebbero potuto stare tutti meglio, ma come potevano se Saphira continuava ad essere all'oscuro di tutto? A Tom non le sembrava rispettoso esserle così infedele. Forse era giusto che almeno lei sapesse tutta quanta la verità.

- Va bene, ma per ora voglio rimanere così...ancora un po'- Si accoccolò tra le sue braccia confortandosi con il pensiero che Bill sarebbe rimasto con lui per sempre. Però ancora non credeva di aver fatto una sciocchezza a tentare il suicidio. In quel momento era ciò che voleva, più di qualsiasi altra cosa, e il pensiero di stare ancora al mondo era duro da sopportare e accettare, ma lo avrebbe fatto per amore di Bill. Improvvisamente la porta si aprì ed entrò proprio l'ultima persona che Tom avrebbe voluto vedere: Herr Winkler.

- Cosa state facendo!?- Non era usuale trovare due uomini in certi atteggiamenti nel letto, neanche due amici. Entrambi non sussultarono o fecero capire di essere stati beccati a fare qualcosa di sbagliato. Si guardarono semplicemente negli occhi comprendendo che prima o poi la realtà veniva alla loro ricerca se loro per primi non si fossero presentati al suo appello.

- Tom si è ripreso. Mi aveva detto che aveva freddo e non sapevo dove prendere delle coperte- Disse Bill senza guardarlo negli occhi.

- Potevi chiedere alla domestica! Che cos'è questa scempiaggine!?- Il moro si era alzato a malincuore e si era messo le scarpe senza rispondergli. La rabbia stava montando per il suo animo e Tom poteva vederlo. Allungò una mano e gliel'afferrò, come per dirgli di mantenere la calma, gesto che il signor Winkler notò. - Allora!?- Bill scattò in piedi.

- Non disturbo la servitù per certe questioni- Gli andò a pochi centimetri dal viso senza problemi, con gli occhi di una persona che ne aveva piene le tasche. Non temeva quel riccone presuntuoso. - E poi non deve dare la colpa a noi se ci piace il contatto fisico. Lo so che per lei è una cosa nuova, visto che sua moglie raramente si azzarda anche solo a toccarla-

- Mia moglie è una donna per bene, e tu sei solamente un...!-

- Un Giuda sceso sulla Terra? Traditore di Dio e della patria? Non mi sono nuovi questi insulti, signore, ma non sono minimamente disposto ad accettarli da una persona come lei- Herr Winkler fremeva dalla rabbia. Quel ragazzo aveva una sfacciataggine tale che faticava a credere che fosse figlio di un uomo come Kaulitz!

- Comunque sia, non sono venuto a parlare con te, ma con Tom!-

- Tom è ancora molto debole, non è in grado di sopportare le sue lamentele. Aspetti di scontrarsi con qualcuno al suo pari, invece di intavolare la sua vigliaccheria!- In tutto questo il ragazzo con i cornrows stava sotto le coperte senza avere modo di spiccicare parola, e si vergognava di questo. Era già tanto che riuscisse a muovere le braccia, e che la voce uscisse dalla sua bocca come un soffio di un vento stanco. Non avrebbe retto uno scontro diretto con Herr Winkler, ma non voleva che Bill ci rimettesse per colpa sua.

- Ma come ti permetti!? Se non la smetti subito, ti farò cacciare dalla mia casa!-

- E poi? Avanti, sono curioso di sapere in che altri modi ha intenzione di zittirmi-

- Magari potessi levarti di mezzo- Sibilò con disprezzo. Stavano fulminandosi come se non ci fosse cosa peggiore per loro da guardare. Qualsiasi cosa sarebbe stata migliore che trovarsi di fronte l'uno all'altro in quell'istante.

- E adesso se ne vada-

- E' casa mia!-

- Faccia come vuole, ma non le permetterò di dire neanche una parola a Tom-

- Bill...- Tentò il ragazzo per fargli capire che se esagerava sarebbe stato lui ad avere la peggio. Purtroppo era il signor Winkler ad avere il coltello dalla parte del manico. Tuttavia lui ebbe solo modo di lanciargli uno sguardo poco rassicurante, per poi girarsi e andarsene chiudendo la porta. Il moro sospirò voltandosi con un sorriso tranquillo verso Tom. - Non dovevi dirgli quelle cose...-

- Prima o poi qualcuno avrebbe dovuto farlo- Prese la sedia e si mise a sedere. - Come ti senti? Hai fame? Posso andare a prepararti qualcosa-

- Sai cucinare?-

- Dovrò imparare per quando andremo a vivere insieme, no?- Ad entrambi spuntò un sorriso sincero ad immaginarsi come una coppia normale, in una casa normale, in una vita normale. Un sogno irrealizzabile.

- Comunque sì, credo mangerei volentieri qualcosa-

- Allora vado subito a darmi da fare- Scattò immediatamente in piedi energico come se dovesse affrontare un lungo viaggio. In realtà era perché era felice di potersi prendere cura di Tom e occuparsi della sua guarigione. - Torno subito!- Pareva un bambino gioioso e Tom si sentiva già meglio. I pensieri tristi avevano abbandonato la sua mente da un po'.

- Bill- Lo chiamò prima che potesse uscire. - Stai attento, per favore-

- Va bene, controllerò di non cadere in nessuna trappola per topi- Sdrammatizzò, e chiuse la porta. Tom tornò immediatamente serio in volto. Bill aveva sfidato il signor Winkler come non si sarebbe permesso nessuno, e forse aveva sbagliato, ma la colpa era anche sua. Gli aveva insegnato ad avere un animo ribelle per ciò che amava, e Bill lo amava, eccome se lo amava. Sospirò, poi qualcuno bussò alla porta. Sussultò pensando che quell'orribile uomo fosse tornato ora che Bill si era allontanato, ma spuntò Saphira che fece il suo ingresso timidamente.

- Bill mi ha detto che ti sei svegliato- Ed ecco un'altra sfida che gli si stava presentando e questa volta nessuno lo avrebbe difeso. Lei avrebbe dovuto sapere che cosa stava succedendo. Era giusto così. Tom si doveva fidare di lei come lei lo aveva fatto con lui quando le aveva raccontato tutti i suoi demoni. - Immagino che tu non voglia parlare adesso...-

- In realtà...credo che sia il momento giusto per farlo- Rispose debolmente. La ragazza inizialmente rimase perplessa, poi si sedette sulla sedia che prima era stata occupata da Bill, in attesa che Tom cominciasse a dire qualcosa. - Tuo padre è entrato nella stanza...voleva parlare con me- Lei abbassò la testa mugugnando qualcosa. Non si smentiva proprio mai quell'uomo. - Ma Bill gli ha detto chiaramente che non lo avrei ascoltato e lo ha cacciato da questa stanza- A quell'affermazione Saphira sgranò gli occhi. Aveva avuto il coraggio di fare una cosa simile? Ma con quale forza? 

- Bill deve stare attento, Tom-

- Sì, gliel'ho detto ma...in quel momento era fuori di sé, non ha saputo controllarsi. Si vede che voleva sputargli in faccia quelle cose da tanto tempo-

- Che altro gli ha detto?-

- Che è un vigliacco, che sua moglie non si azzarderebbe a toccare una persona come lui, e che sa solo lamentarsi- Erano insulti che nessuno sulla faccia della Terra avrebbe avuto l'ardire di pronunciare davanti a suo padre. Era fuori discussione! E poi Saphira conosceva Bill, sapeva che era un tipo generalmente pacato. Che cosa gli era preso tutto d'un tratto? - Adesso temo che possa succedergli qualcosa di male, quindi ti prego...vai da lui- Aveva ragione. Non era saggio lasciare una persona ostile a Herr Winkler girovagare per la sua casa da sola. Avrebbe potuto fargli qualsiasi cosa desiderasse. - Mi dispiace di metterti a rischio- Disse abbassando lo sguardo sul suo ventre.

- Ho solo una domanda...perché fai tutto questo per lui?- Sapeva che glielo avrebbe chiesto, e infatti era proprio lì che voleva arrivare.

- Perché è lui la persona che amo- Le mani di Saphira smisero di tenere la sua e scivolarono lentamente via mentre sul viso della ragazza si dipingeva uno sguardo sconvolto da tale confessione. Tom...era innamorato di un uomo?

- Che stai dicendo?- Chiese sperando di aver capito male.

- Bill ed io ci amiamo- Affermò nuovamente, senza abbassare gli occhi.

- Ma...come è possibile?- La ragazza era basita. Non stava comprendendo. Come potevano due uomini essere attratti l'uno dall'altro? Era possibile? Non l'aveva mai sentito prima! - Tom, ti rendi conto delle parole che dici?-

- Sì. Mi piacciono gli uomini, mi sono sempre piaciuti e sempre mi piaceranno...sono omosessuale- Ormai non c'erano più dubbi. Quello non era un delirio ma la sacrosanta verità. Era un segreto che le aveva tenuto nascosto per tutto quel tempo senza darle un briciolo di speranza che un amore tra loro potesse nascere continuando a vivere insieme, e con un figlio in arrivo. Saphira si era un po' illusa di questo perché non sapeva che Tom fosse interessato a tutt'altro genere, sperava che prima o poi sarebbe riuscito a dimenticare "la donna" che amava. In quell'istante capì quanto aveva fatto male e che nessuno l'avrebbe mai amata veramente. Era destinata a rimanere sola per tutta la vita. Il suo respiro divenne ansimante e si alzò improvvisamente dalla sedia. In quel momento Bill entrò con un vassoio e si scontrò con lei, che lo spinse via per uscire. Tutti i cocci caddero per terra e si frantumarono. Era stato un attimo e il silenzio era calato improvvisamente in quella stanza. Bill era rimasto bloccato sulla porta turbato da quanto era appena successo. Solo dopo riuscì a puntare gli occhi su Tom, che invece aveva voltato il viso dall'altra parte.

- Gliel'hai detto?- Disse con quella poca voce che riuscì a far uscire. Il ragazzo non rispose, e da quello Bill comprese che sì, aveva commesso un altro errore ancora. Si era chinato per raccogliere le porcellane rotte.

- Vai via...per favore- E pure Tom se ne doveva essere accorto. Il suo tono era carico di tristezza e le sue spalle erano scosse dai singulti.

- Ho detto che resto, Tom-

- VAI VIA, DANNAZIONE!- Prese un cuscino e glielo lanciò senza colpirlo per poi rigettarsi sul letto sofferente. Adesso capiva come mai non si era pentito di aver avuto l'intenzione di ammazzarsi. Perché c'era sempre qualcuno disposto a portarlo indietro!? Perché tutti volevano salvarlo dalla morte!? Perché non lo lasciavano perire!? Bill lo prese tra le braccia. Era un attacco di rabbia e frustrazione, non doveva abbandonarlo in quel momento per quanto glielo chiedesse. - Voglio morire...voglio morire...- Ripeteva singhiozzando così forte da mozzarsi il fiato. E anche Bill non riuscì ad evitare che le lacrime bagnassero un'altra volta il suo viso.

- Non parlare così...-

- Voglio...voglio che tu...che tu venga via...con me- Si stava calmando un po'. Bill gli prese il viso tra le mani. - Andare via con te- Singhiozzò ormai al limite. Al moro doleva il petto a vederlo così, perché sapeva che non poteva realizzare i suoi sogni dei quali stava parlando e che il suo questa volta era davvero un delirio. Era necessario che non tornasse in una fase di panico. Cercò di allontanarsi ma Tom si aggrappò a lui. - N-on mi lasciare!-

- Shh, tranquillo. Vado a cercare Sarja, non scappo via- Gli accarezzò amorevolmente il viso baciandogli la fronte. Cercò la domestica in ogni stanza, e la trovò a stirare delle lenzuola. Le disse che aveva urgente bisogno di un calmante e lei glielo fornì. - Sarà sufficiente qualche goccia- Prese un bicchiere d'acqua e tornò in quella stanza. Tom era lì, a sedere sul materasso in posizione fetale e tremava. - Amore mio...- Sussurrò dal profondo del cuore, il quale si strinse a quella visione. - Vieni, prendi questo- Si avvicinò e Tom indietreggiò come se gli volesse somministrare del veleno. - Fidati di me, è per il tuo bene- Gli pose il bicchiere tra le labbra, che finalmente schiuse per bere. - Adesso stenditi-

- Rimani con me-

- Sì, ma tu riposati- E rimase davvero, ma solo fino a che non si addormentò, poi si alzò lasciandogli piano la mano per non svegliarlo. - Ti amo- Si chinò per lasciargli un bacio a fior di labbra e lo coprì meglio. Uscì dalla stanza chiudendo delicatamente la porta. Doveva andare a casa, in quanto era necessario che si occupasse del proprio nuovo lavoro, ma si promise che sarebbe venuto ogni giorno. Non doveva lasciare Tom da solo più di un certo lasso di tempo, o avrebbe potuto commettere nuovamente pazzie. Non credeva che l'amore potesse spingere le persone fino a questo punto, ma forse non era solamente amore...era anche instabilità mentale. Tom stava crollando mentalmente, ormai era chiaro da un bel periodo a questa parte. Attraversò il corridoio per arrivare alle scale principali ed in quell'istante apparve Saphira. Entrambi arrestarono il proprio passo. Anche lei aveva pianto, era visibile dagli occhi rossi e gonfi che aveva. Non lo guardava con odio, e nemmeno lui. Bill provava solo tanta compassione per lei. Voleva aiutarla in qualche modo, ma non seppe che cosa dire. Saphira alla fine si voltò continuando a camminare, scomparendo lentamente, come un fantasma che trascinava le pesanti catene.

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Capitolo 11
*** Kapitel 11 ***


Kapitel 11


Mesi dopo... (Berlin, anno 1934)

Era passato del tempo da quello spiacevole accaduto che sconvolse Sarja, Tom, Bill e soprattutto Saphira. La gravidanza stava procedendo bene, era arrivata al nono mese senza riscontrare complicanze. Non sapeva se questo era dato dalla sua giovane età. I Winkler si erano dimostrati leggermente più amorevoli nei confronti della figlia, in quanto si interessavano molto che non si stancasse e la costringevano spesso a del riposo. Bill passava a casa Winkler la maggior parte del suo tempo e se ne creava di tempo se questo veniva a mancare dato il lavoro. Aveva abbandonato la pittura pur di non lasciare Tom, pur di passare giorni con lui a fare delle passeggiate, durante le quali sembravano due semplici amici che si tenevano compagnia. Non era permesso loro esprimere delle effusioni logicamente. Bill cercava di coinvolgere anche Saphira, che era sempre pronta ad accettare, ma veniva frenata dai genitori. Più di una volta Bill ci aveva discusso con loro, insistendo sul fatto che dell’aria fresca non avrebbe fatto certamente male ad una donna incinta, ma loro trovavano sempre il modo di chiudergli i ponti, visto e considerato che Saphira, volente o nolente, era comunque la loro figlia minorenne. Quindi per forza di cose la maggior parte delle volte, se non sempre, si ritrovavano da soli a camminarsi accanto senza sapere che cosa dirsi. Il loro tempo insieme stava scadendo, perché una volta che il bambino sarebbe nato, Tom avrebbe dovuto dedicarsi unicamente a lui, poiché era suo padre. Bill glielo aveva fatto presente durante una delle tante passeggiate, aggiungendo che lui sarebbe potuto rimanere per aiutarlo ogni tanto, ma nulla sarebbe potuto essere più come prima. Tom insisteva sempre nel parlare poco, mangiare poco, e prendersi poco cura di sé stesso. Era caduto in depressione, così diceva il medico. Non sorrideva più, e spesso era Bill che doveva aiutarlo anche per lavarsi, come se non fosse autosufficiente. Tom pareva una bambola, e Bill la bambina che giocava ad aggiustarla…ma quello non era un gioco. Il moro sapeva che più di un tot non poteva fare, perché la depressione non si sconfigge dall’oggi al domani, tanto è vero che era mesi che la situazione andava avanti in questa maniera.

- Tom, guarda. Ho preso questo libro dalla biblioteca- Il giardino dei Winkler era davvero un posto accogliente per passeggiare, ed era una bella giornata calda di inizio estate. Giugno era un mese che Bill amava più di tutti: era il mese delle lucciole e del sole. Un mese di luce che in quel momento in quella casa sembrava essere morta da secoli. Il moro passò il libro al ragazzo che lo prese osservandone la copertina: “Wuthering Heights - Emily Bronte”.  - Parla dell’amore di Heathcliff per Catherine, e della loro passione che si rivelerà distruttiva. Il tema centrale del libro è l'effetto distruttivo che il senso di gelosia e la voglia di vendetta possono avere sulle persone. Ti va di leggerlo insieme?- Tom non ci mise molto a rispondere. Scosse la testa e gli rimise il libro tra le mani. Bill sospirò sconsolato.

- Sai che tanto non ti ascolto- Era vero, alla fine Tom, tutte le volte che Bill gli leggeva un romanzo, aveva lo sguardo perso in un mondo fatto di luci e ombre che nessuno poteva comprendere appieno. Pensandoci, alla fine era meglio che gli dicesse di non avere voglia piuttosto che lo lasciasse continuare da solo. - E poi sai che non mi piacciono i romanzi d’amore, li trovo senza senso- Tom aveva perso fiducia nell’amore. Non ci credeva più, e Bill a volte si ritrovava a chiedersi se ancora lo amasse o se stesse solo fingendo perché gli faceva comodo averlo lì...o semplicemente se Tom stesse tentando di gridargli di andarsene libero e di lasciarlo morire in santa pace. Forse era quest’ultima, ma Bill non poteva permetterlo, perché lui non aveva smesso di credere nell’amore. Era la forza che muoveva il mondo e le persone, era ciò che permetteva a Bill di essere lì in quel momento.

- Sì, è vero...delle volte penso anche io che io e te non abbiamo senso insieme- Tom non accennò un cambiamento di espressione, mentre il tono di Bill stava cedendo per quanto cercasse di rimanere duro...stabile. - Ma se ti sto tenendo la mano in quest’istante, Tom…- Ed era realmente così. - ...forse un senso potremmo trovarlo...insieme- A quelle parole il ragazzo arrestò il suo passo e si fermò a guardarlo negli occhi, come se stesse cercando di scoprire qualcosa tra quelle pupille castane che non potevano essere più sincere di così. - Ti amo, Tom...come non ho mai amato nessuno in vita mia- E vi leggeva il più immenso dolore di vedere la persona che aveva detto di amare stare in quel modo e trattarla come se fosse meno di niente. Per Bill era un duro colpo tutte le volte che Tom dimostrava di non riuscire ad uscire da quel baratro dove era precipitato, quando scostava lo sguardo o non parlava. Voleva che tornasse da lui. - Devi reagire, non puoi rimanere chiuso in questo modo per sempre. Ci sono persone che hanno bisogno di te, io ho bisogno di te, Saphira, tuo figlio- Calcò bene sulle ultime due parole. Quel bambino che nessuno sembrava volere a parte quei dannati Winkler. - Dovrai dargli l’amore che non riceverà mai da gente come quella! I Winkler vogliono usare quel neonato per far proseguire la loro ricchezza, come mio padre ha voluto usare me!- Tom ancora non accennava a muovere un muscolo, come se stesse tentando di assimilare tutto ciò che Bill gli stava dicendo. Non era difficile da capire, ma per come era la mente di Tom in quel momento, era forse la cosa più complicata: comprendere che esistevano anche gli altri oltre a lui e alle sue sventure. Tom stava per rispondere, quando ad un certo punto Sarja si avvicinò interrompendoli.

- Scusate- Si inchinò con una riverenza. - I Winkler chiedono la presenza del signorino Tom, dicono di avere una comunicazione da fargli in quanto il dottore ha appena visitato Saphira e ha dichiarato che partorirà a breve- Tom abbassò lo sguardo, mentre Bill costruì un calmo sorriso che rivolse alla domestica rispondendo che sarebbero venuti subito. Sarja se ne andò e i due ragazzi rimasero ancora qualche secondo fermi, tra quegli alberi.

- Cosa volevi dirmi?- Chiese il moro, che non si era ancora scordato che Tom stava per controbattere alle proprie parole. 

- Nulla di importante, andiamo- Ma ovviamente non sortì l’effetto sperato. Sospirò e si incamminarono per tornare a casa. Entrarono e raggiunsero la biblioteca, luogo molto noto per le conversazioni. Appena vi misero piede Frau e Herr Winkler alzarono lo sguardo, che parve abbastanza contrariato del fatto che anche Bill fosse presente. Tutte le volte che incrociavano gli occhi aleggiava sempre un certo odio palpabile che aleggiava nella stanza. 

- Non sapevo che avessimo adottato un cane, marito mio- Lo schernì la signora ottenendo solo un sopracciglio alzato da parte di Bill, che stava a significare che aveva sentito, ma ciò che aveva detto non gli rodeva neanche un po’.

- E’ un complimento, magari lo fossi. Essere un umano mi accomuna maggiormente a gente come voi, il che mi fa un certo ribrezzo- Ma ovviamente non si permetteva di certo di starsene zitto, e questo tutti in quella casa lo sapevano. Bill non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno. - Ma non fate caso a me, dite pure quello che dovete- Si sedette su una poltrona e Tom su quella accanto. Notarono entrambi l’assenza di Saphira e si chiesero il motivo siccome la cosa riguardava lei principalmente, a quanto era sembrato di capire loro.

- Bene- Il signor Winkler si schiarì la voce. - Come Sarja ti avrà detto, Tom, nostra figlia darà presto alla luce il bambino che porta in grembo- Il ragazzo non reagì, se non con uno sguardo, come per fargli intendere che stava seguendo, che non era necessario che facesse quelle pause per la suspance, visto e considerato che pareva non gli importasse più di niente e di nessuno. Delle volte ringraziava di essere caduto in depressione, non provava più dolore. - Tuttavia avrai notato che Saphira non è qui con noi in questo momento, questo perché dobbiamo affrontare una questione molto delicata, e mi serve la tua più completa attenzione- Si fece più serio e si compose meglio sulla poltrona. Pure Bill assottigliò lo sguardo per concedergliela, perché sembrava qualcosa di davvero importante da comunicare. - Saphira è molto malata- Quelle parole fecero sgranare gli occhi a Bill, ma Tom ancora rimase impassibile, come se ormai ci fosse abituato alle “sorprese”, pure quelle più disastrose. - Lei ha problemi di cuore, per questo in questo tempo non l’abbiamo fatta uscire a passeggiare, non deve affaticarsi e deve risparmiare tutte le energie per il parto- Quelle frasi erano inaccettabili da sentir pronunciare, tanto che Bill scattò in piedi. Aveva promesso di rimanersene calmo e buono in un angolo, ma come poteva udire certi discorsi!? Sapevano che la figlia aveva gravi patologie cardiache e avevano fatto di tutto per metterla incinta!? E adesso parlavano di prendersi cura di lei per fare in modo che non ci rimanesse secca prima del parto!?

- Mi fate schifo, ma come potete considerarvi dei religiosi!? Persone così pie che condannano a morte la loro figlia solo per i propri sporchi interessi!- 

- E’ la natura, cosa che tu sembri non conoscere. Le donne esistono per partorire, e basta!-

- E per cosa esistono gli uomini come lei!? Che utilità ha lei in questo mondo, si può sapere!?- Gli occhi del moro erano letteralmente infiammati. Stava esplodendo di una rabbia mai vista in precedenza. Prima erano continue frecciatine, mentre adesso pareva che li avrebbe uccisi se avesse avuto un coltello a portata di mano. Tom lo guardava e qualcosa si stava muovendo nel proprio animo. Sapeva di non essere totalmente un morto vivente e che certe sensazioni Bill gliele provocava ancora ma...non riusciva più a dirglielo. Il moro si voltò immediatamente verso Tom, senza lasciare il tempo di contrattaccare ai Winkler. - E tu non dici niente!? Ne sapevi qualcosa, eh!?- Il ragazzo non ebbe un secondo per reagire che Bill lo afferrò per il colletto della maglia artigliandolo con entrambe le mani sollevandolo dalla sedia. Beh, ormai era leggero quanto lui, se non di più, quindi era facile per Bill strattonarlo in quel modo, soprattutto se colto dalla furia. - Dimmi che non ne sapevi niente, o giuro su dio…!- Non poteva credere che Tom potesse partecipare ad un piano così malato, che avesse condannato Saphira solamente per zittire le voci nella sua testa. Tom non era così, ma era anche vero che Tom non era più la persona della quale Bill si era innamorato e il moro non sapeva se mai sarebbe tornata un giorno. Ci sperava e accumulava frustrazione. Appena aveva sentito questa notizia, sconosciuta pure a lui, anche se Saphira era la sua amica d’infanzia, non aveva potuto trattenersi...ed era ineluttabilmente esploso. 

- No, assolutamente niente- Tom scandì bene quelle parole con gli occhi seri e scuri puntati su di lui. Gli afferrò fortemente il polso ignorando la smorfia di dolore che si dipinse sul viso di Bill, per poi levarsi le sue mani di dosso. 

- E allora perché non dici o non fai niente!?- Tuttavia il moro non demordeva. Era la prima volta che stava “discutendo” con la rabbia a fior di pelle per una cosa di cui non avevano alcuna colpa. Pure Tom stava fremendo, ma non riusciva più a darlo a vedere come invece stava facendo Bill. Era come se avesse una candela con lo stoppino consumato e nero, e che nessun fuoco sarebbe riuscito ad accendere e a farla ardere come un tempo. Ma qualcosa in quel momento prese il sopravvento, e quella candela parve sostituirsi con miccia di una bomba.

- VUOI CHE FACCIA QUALCOSA!?- Ormai cieco a qualsiasi avvertimento, si avvicinò al tavolo in mezzo a loro. - ECCOTI ACCONTENTATO!- E lo ribaltò buttando all’aria qualsiasi cosa ci fosse sopra e facendo prendere un colpo a Frau Winkler, che si poggiò una mano sul petto. Tom aveva successivamente abbandonato la stanza sbattendo la porta, facendo sussultare perfino Bill, che era rimasto nuovamente allibito da questa uscita improvvisa ed eclatante che aveva avuto. I signori Winkler invece erano permasi lì, in silenzio, forse a rimuginare quale condanna sarebbe toccata a gente come loro nell’aldilà. Bill se lo augurò nel momento che si voltò e fece in modo che lo guardassero dritto negli occhi.

- Pregate che nessuno di quei due ci rimetta, o giuro che non mi darò pace e pregherò il vostro amato dio affinché vi rovini- Li minacciò con gli occhi ridotti ad un punto. Prese la propria giacca e uscì per seguire Tom e tentare di fare la pace, anche se era sicuro ormai che il ragazzo non fosse arrabbiato con lui, bensì diversamente sconvolto da ciò che aveva sentito. Bill si ritrovò a pensare che molto probabilmente quelli di Tom erano sensi di colpa. Credeva che fosse colpa sua se Saphira ora stava rischiando la vita.

- Bill!- La ragazza gli venne in contro scendendo lentamente le scale. Faceva sempre molta attenzione, siccome la pancia non le permetteva più di vedere neanche dove stessero i piedi. Bill le sorrise calorosamente, anche per nascondere il buio che portava dentro. - Ho sentito delle grida e qualcosa cadere. E’ successo per caso...?- Il moro scosse prontamente la testa e allungò una mano per toccarle la pancia. - Eh sì, manca davvero poco-

- Tu sei felice?- Chiese con un tono un po’ cupo. - Voglio dire...di averlo-

- Sì, molto- Rispose con un sorriso molto solare, che Bill si ritrovò costretto a ricambiare per quanto fosse contagioso. - Prima il pensiero di essere così giovane mi aveva un po’ destabilizzata su questa decisione, ma poi...piano piano...non so, credo di essermi affezionata all’idea di diventare madre- Era comprensibile, pure Bill in un certo qual modo era emozionato, ma si chiedeva se la ragazza sapesse dei propri problemi o se era una diagnosi che il dottore aveva confessato ai genitori e basta. Doveva essere di più la seconda, in quanto lei non mostrava paura o preoccupazione all’idea di mettere al mondo quel bambino. - Dov’è Tom?- Domandò guardandosi attorno.

- E’ scappato…-

- Cosa? I miei genitori…-

- Oh no no…- Si accostò al suo orecchio. - Sta giocando a nascondino- Sussurrò. - Ed io devo trovarlo- Le fece l’occhiolino e Saphira ridacchiò come una bimba avendo compreso che era una cosa tra loro due ed era sollevata che non ci fosse nulla di grave. Dal canto di Bill, egli ovviamente cercava di fare di tutto per nasconderle le discussioni che accadevano in famiglia e per non attuarle davanti a lei. Ci teneva che fosse tranquilla, al contrario dei suoi genitori. Le accarezzò i capelli. - Adesso vai. E’ davvero una bella giornata fuori e sotto il portico si sta benissimo- Saphira sorrise e fece come gli aveva detto incamminandosi. - E mi raccomando, non stare troppo sotto il sole-

- Va bene- Alla fine aveva accettato la relazione che c’era tra Bill e Tom, sempre se di relazione si poteva ancora parlare. Saphira pensava che Bill dovesse amare Tom davvero tanto, perché qualsiasi persona si sarebbe stufata dopo tutti quei mesi. In fondo Bill era giovane, bello, creativo e carismatico, avrebbe potuto trovarne un altro disposto a commettere quella pazzia dell’omosessualità pur di stargli vicino...eppure no, non aveva mollato la presa e non l’avrebbe mollata mai. Tom era una testa calda, e ora che era depresso ancora di più! Era apatico verso qualsiasi cosa, mangiava molto poco, dormiva male, anche se era perennemente stanco, e non aveva desiderio sessuale. Più volte Bill aveva cercato di stimolarlo, quando erano soli in casa, ovviamente. Gli massaggiava le spalle, gli dava baci sul collo, tentava di spogliarlo...ma poi era Tom a fermarlo e ad allontanarsi. Era difficile per tutti, ma lui sembrava che non volesse minimamente collaborare. Certo, era colpa della depressione, ma Bill avrebbe letteralmente pianto di gioia se gli avesse visto provare una singola emozione. Però una cosa era certa: quando aveva ribaltato il tavolo, nonostante la rabbia stesse scorrendo nelle sue vene, e quindi un sentimento dichiarato, non era riuscito a versare neanche una lacrima di felicità, ma solo a chiedersi fino a che punto potesse spingersi la sua disperazione.

***

Il momento del parto arrivo qualche giorno dopo, anche se non avvenne nel migliore dei modi…

- Sarja!- Saphira sembrava sola in casa. I genitori erano andati alla messa della Domenica e a risolvere degli affari fuori città. Sarebbero tornati il giorno dopo. Bill era a casa Kaulitz per svolgere le solite mansioni e per controllare che i servi non stessero a poltrire quando lui non era presente. Era diventato un padrone di casa come si conveniva, anche se era difficile vivere soli, ma Bill si era abituato alla solitudine perché era nato e cresciuto da solo, così diceva. Era anche vero. Tom invece era alla biblioteca. Aveva ricominciato ad uscire, e lo aveva fatto spontaneamente, senza costrizioni, che era la cosa fondamentale. - Sarja, dove sei?- La stava cercando perché aveva appena cominciato a sentire dei dolori più forti delle semplici doglie e lei era l’unica donna in grado di infonderle tranquillità. Era già successo in precedenza e lei aveva cominciato ad avere panico e Sarja le aveva accarezzato i capelli dicendole che era normale, che non per forza il bambino doveva nascere in quell’istante. “Lo capirai quando ti si romperanno le acque” e fino a quel momento non era ancora successo, sicché poteva stare un po’ tranquilla. Temeva tutte le volte che stesse per accadere e poi era un falso allarme, e questo la rendeva quasi impaziente. Voleva stringere suo figlio tra le braccia ma non era stoica in fatto di dolore, quindi aveva una contrapposizione nella sua mente che, senza la nascita del bambino, stava diventando estenuante giorno dopo giorno. Mentre camminava, però, accadde che una piega del tappeto le fece perdere l’equilibrio e cadde proprio sulla pancia. Rimase ferma inizialmente appurando ciò che era appena successo tenendo gli occhi sgranati. - Oh no...no no no…- Sentiva un liquido scorrere fuori da lei e bagnarle le gambe. Non riusciva a muoversi, o comunque aveva paura a spostare anche solo un muscolo. Stava succedendo e nessuno stava passando di lì! La servitù era nella loro soffitta e avrebbe dovuto raggiungere il campanello da tirare per chiamare qualcuno. Respirando affannosamente, si girò su un fianco per fare in modo di non premere sulla pancia ulteriormente. Aveva terribilmente paura di aver arrecato qualche danno al bambino. Ora il primo pensiero era lui, anche se le fitte lancinanti che la stavano cogliendo la costringevano a piegarsi in due dal dolore. - AIUTOOOOOOOOOO!!- Gridò con tutta la forza che aveva nei polmoni ma la casa gli rispose con il solito silenzio disarmante. Respirava forte dalle narici per non andare in iperventilazione. Il panico stava salendo forte e sentiva un bisogno immane di spingere.
Nel frattempo Tom era sceso dalla macchina del signor Bücher, che lo aveva gentilmente accompagnato a casa offrendogli un passaggio. Il ragazzo inizialmente si era rifiutato, ma poi durante il tragitto, l’uomo aveva ripreso a parlargli. Non avevano fatto altro in biblioteca. “Sai, prima di essere bibliotecario io ero psicologo...poi hanno bombardato il mio studio nel 18 e il dopoguerra non mi ha permesso di riscattarmi” e Tom si era quindi confidato con lui, omettendo il fatto di essere omosessuale. In quei giorni lo aveva aiutato a capirsi più di chiunque altro, era riuscito a districare almeno la metà dei numerosi nodi che abitavano nel gomitolo che era la sua mente. Si sentiva già meglio rispetto a qualche giorno fa.

- Arrivederci...e grazie-

- A te, Tom. Mi hai fatto ricordare gli anni migliori della mia vita- E con quel sorriso caloroso e vecchio se ne andò. Tom sospirò e si incamminò verso casa. Entrò chiudendo la porta. Non passarono molti secondi prima di sentire un urlò. Riconobbe subito che era la voce di Saphira, e corse su per le scale. La trovò distesa su un fianco in mezzo al corridoio con la gonna bagnata di liquido amniotico e sangue.

- Saphira!-

- Tom!-

- Da quanto tempo sei qui?- Chiese con il panico che gli stava salendo. Non sapeva che cosa doveva fare. - Che cosa è successo?-

- Sono inciampata e sono caduta sulla pancia. Ho tanta paura!- Si contorse dal dolore per una contrazione che le arrivò immediata. - Fa dannatamente male- Tom si guardò intorno cercando di mantenere la calma. Doveva essere tranquillo, non era lui che stava per partorire, e di certo se si fosse agitato, avrebbe compromesso anche Saphira ed era l’ultima cosa che voleva. 

- Vieni- Cercò di prenderla in braccio.

- No! Tom…-

- Shhh...stai tranquilla. Non puoi rimanere qui, è necessario portarti nella tua stanza- E chi glielo diceva questo? Lo aveva letto da qualche parte? No, ma sentiva che era giusto così. Era un istinto. La ragazza alla fine annuì decidendo di fidarsi di lui. - E se ti faccio male, ti prego di perdonarmi- La prese e la sollevò con tutta la forza che aveva in corpo. Ci mise un po’ a stabilire l’equilibrio perché si era molto indebolito e Saphira non era sola in quell’istante.

- Ho tanta paura...ho tanta paura…- Continuava a ripetere fiatando per contenere il dolore. Tom la portò nella sua stanza e la adagiò sul letto. Le accarezzò il viso.

- Devo chiamare il dottore-

- Tom! Non lasciarmi, ti prego- Iniziò a piangere.

- No, Saphira, guardami- Le poggiò una mano sulla guancia. - Io non posso fare niente per te, non so cosa è accaduto, se il bambino sta bene. Prometto che durante il parto non ti lascerò neanche un secondo, ma ora devi essere forte...capito?- Ella annuì e Tom le baciò la fronte, per poi allontanarsi verso la porta e uscire. Scappò giù al telefono per chiamare il dottore. Gli rispose una voce differente da quella che aveva sentito in quei giorni.

- Buongiorno, dottor Listing-

- Buongiorno! Mia moglie sta per partorire ed è necessario che lei venga al più presto! Casa Winkler, casa Winkler!- Ripeté, avendo paura che il medico non avesse sentito o che la linea non prendesse bene. 

- Innanzitutto è necessario che mantenga la calma. E’ un parto iniziato naturalmente?-

- No, è caduta e mi sono permesso di spostarla nel letto-

- Ha fatto bene. Il liquido amniotico presentava tracce di sangue?-

- Mi è sembrato di sì…-

- Va bene, sarò subito da voi- E riattaccò. Tom scappò subito a cercare Sarja, che sapeva essere come una seconda mamma per Saphira, se non la madre vera e propria, visto che l’aveva cresciuta lei. La trovò nella soffitta che stava stirando le lenzuola.

- Tom, è successo qualcosa?- Chiese spaventandosi di vederlo così agitato.

- Saphira è nella sua camera ed è arrivato il momento- Ella non se lo fece ripetere due volte. Lasciò perdere tutto e corse di sotto insieme a Tom che si occupò di chiamare anche Bill. Sapeva che ci teneva ad essere presente in quell’occasione e si augurava che non fosse così occupato da rinunciare. A sentire la voce di Tom, il moro aveva sorriso, poi appena aveva udito del parto, aveva cominciato ad agitarsi anche lui. Aveva afferrato subito le cose più indispensabili da portarsi dietro e si era diretto più velocemente possibile a casa Kaulitz. In meno di due minuti Tom si ritrovò tra le sue braccia.

- Ho fatto più in fretta che ho potuto, come sta? Il dottore?-

- Sta arrivando- Gli occhi di Bill gli stavano comunicando tante parole non dette, tante emozioni e cose solo pensate ma mai vissute, però il campanello li sorprese nuovamente e aprirono per far entrare il dottore. Era molto giovane rispetto a quello precedente, capelli castani e occhi verdi. Portava con sé una valigetta fatta di cuoio marrone. 

- Sono il dottor Georg Listing, piacere- Strinse loro la mano.

- Tom Winkler, il marito-

- Bill Kaulitz, un amico di famiglia- Amico per modo di dire, ma non potevano lasciarsi andare a spiegazioni poco rilevanti. Il dottore chiese loro di accompagnarlo nella stanza di Saphira, ma intimò che solo una persona dovesse essere presente oltre a lui e alla partoriente. Bill ovviamente guardò Tom che annuì.

- Ci andrò io, gliel’ho promesso- Sarja infatti si ritrovò a dover uscire e dare il cambio al ragazzo. La donna era parecchio agitata, tanto che Bill la abbracciò per infonderle coraggio, e lei continuava a piangere. Non ci voleva un genio per capire che era preoccupata a causa dei problemi di cuore di Saphira.

- Respirava a fatica...dovevi...dovevi vederla, Bill- Il moro gli accarezzò la schiena cercando di farla calmare, anche se pure dentro il suo petto il cuore stava battendo come un ossesso. Sentiva che a momenti gli sarebbe venuto un infarto. Da fuori sentivano le urla di Saphira, così forti che quasi non sembrava lei. Ella solitamente possedeva una voce delicata e dolce, ma quelle grida la trasformavano completamente. Non poteva immaginare che dolore stesse provando...d’altronde lei era sterile.

- Vieni, stare qui non fa altro che aumentare la nostra ansia- Bill condusse Sarja al piano di sotto e si mise a preparare una tazza di tè dove avrebbe aggiunto del calmante. Bill se le bevette d’un sorso direttamente, senza diluirle, mentre Sarja le assunse più lentamente con l’ausilio del tè caldo. 

- Perché sei qui?- Domandò d’un tratto.

- Mi ha chiamato Tom-

- Senti, Bill...ma c’è qualcosa tra te e Tom?- Era da un po’ di tempo che non gli dava più del lei, essendo che ormai si consideravano amici dopo tutti quei mesi passati a vivere sotto lo stesso tetto. Quella domanda non destabilizzò Bill neanche un po’ stranamente. Forse perché era Sarja o perché quelle urla gli stavano facendo pensare che qualsiasi pena avesse potuto subire, non sarebbe mai stata dolorosa quanto un parto. - Intendo...più di una normale amicizia- Precisò, pensando che il ragazzo non avesse inteso il senso. Bill si mise a sedere e la guardò negli occhi, aprì bocca e…

- Weee...weeeeeee- A quel pianto scattarono in piedi e corsero da Saphira. Dalla stanza videro uscire il dottore, il quale aveva un’espressione non proprio solare, anzi, pareva piuttosto sconvolta.

- E’ nata una bellissima bambina- Dichiarò, e Sarja si portò le mani alla bocca commossa. - Tuttavia Saphira è molto debole ed è necessario che riposi, molto. Il suo cuore ha dovuto sopportare uno sforzo molto grande e…- Sospirò. - Mi auguro con tutta l’anima che possa riprendersi- Non c’erano altre parole da aggiungere, e poi il dottore non voleva farli attendere oltre. Permise loro di entrare nella stanza e si congedò. Sarja corse subito al capezzale della ragazza, che teneva tra le braccia deboli una pargoletta avvolta in un panno e piangeva lacrime di gioia. Tom, accanto a lei, sorrideva e sembrava felice mentre con un dito accarezzava la guancia di quella piccoletta. Quella era la sua bambina. Bill osservava quella scena come fosse uno spettatore esterno. Le due donne in lacrime, il ragazzo-padre contento...e lui che non c’entrava niente. Non sapeva neanche perché era lì.

- La chiameremo Marleen- Pronunciò Saphira spostando lo sguardo verso Tom.

- Certo, come vuoi tu- Le rispose lui baciandole la fronte. - Sei stata bravissima- Bill deglutì. Una spiacevole sensazione gli stava montando il petto fino alla gola e gli tornarono in mente quelle parole: è la natura, cosa che tu sembri non conoscere. In quell’istante pensò che quella era una scena naturale, che Tom, Saphira e Marleen fossero la famiglia perfetta e che lui era come una brutta macchia d’inchiostro su un quadro che ritraeva un tramonto estivo. Magari Tom si sarebbe abituato presto e così facendo avrebbero smesso di mettersi in pericolo a vicenda.

- C-congratulazioni- Pronunciò per poi uscire dalla stanza mestamente. In quel luogo il silenzio cominciò a regnare. Tutti i mormorii felici e le lacrime si fermarono improvvisamente. Saphira alzò lo sguardo su Tom, che aveva abbassato il proprio avendo compreso che cosa stava passando per la testa di Bill in quel momento. La ragazza gli afferrò la mano e annuì, come per dargli il permesso di uscire. Bill era già in cortile nel momento che qualcosa, o meglio qualcuno, lo fermò chiamandolo ad alta voce.

- Bill!- Si bloccò sul posto voltandosi. Non aveva potuto evitare di versare qualche lacrima che gli era rimasta bloccata sulle guance. Tom si accostò a lui e gliel’asciugò con le dita, ma Bill si tolse dal suo tocco, come se detestasse essere consolato in questo modo, come se fosse un bimbetto che si era appena sbucciato il ginocchio. - Ehi…dove hai intenzione di andare?-

- A casa mia-

- Perché? Abbiamo una bambina-

- No, tu hai una bambina...tu e Saphira...ed io sono un qualcosa di superfluo e dannoso, che non ti serve davvero per sopravvivere. Non ti sono servito in questo tempo che sei stato come un manichino e necessiti di me ora che hai una famiglia?- Il suo discorso non faceva una piega, se non per una sola eccezione…

- Quando sono stato in depressione...non avevo bisogno di te perché non avevo emozioni. Ora che mia figlia è nata, qualcosa si è nuovamente acceso in me e volevo che tu fossi lì per accogliere su di te tutti i miei sentimenti, e...mi dispiace che tu non sia contento per questo- In quell’istante Bill comprese dove voleva andare a parare il discorso, e non gli piaceva per niente. - Dovresti capire una cosa, Bill- Continuava a parlare lentamente, come se lo stesse spiegando ad uno con deficienza mentale. - Non puoi essere il centro del mondo- Quella era un’accusa bella e buona per Bill.

- Il centro del mondo!? Chi è che ti è stato accanto quando ne avevi bisogno!? Chi è che ti è venuto a cercare, eh!? Chi!? IO TI AMO!- Gridò con gli occhi che gli si stavano inumidendo di lacrime e il respiro che stava cedendo lentamente per trasformarsi in ansimi. - E tu questo sembri non capirlo! E non si tratta del fatto che odi i romanzi d’amore, si tratta del fatto che mi hai chiamato qui e ho potuto vedere con i miei occhi che nel tuo romanzo il mio nome è solo una dannata virgola, che si ripete in continuazione, ti aiuta ad avere un senso, ma alla fine è solo un segno!- Tom rimase lì cercando di comprendere le sue parole e un tuono squarciò il cielo. Un temporale estivo si abbatté su Berlino e le gocce battenti di acqua gelida caddero sui loro corpi immobili. 

- Un segno che vorrei fosse indelebile dentro di me, dannato...o no- Si avvicinò facendo un passo verso di lui. - Siamo tutti dannati...non esistono persone beate e il Paradiso. E’ questo ciò che comunicava quel quadro, vero?- E lo sorprese il fatto che se lo ricordava dopo tutto questo tempo in cui era successo il finimondo. 

- Tom…- Il ragazzo lo afferrò per la vita tirandolo a sé e rubandogli un bacio disperato. Era da mesi che Tom non lo baciava e non immaginava che quando lo avesse rifatto ci avrebbe impresso così tanto desiderio, desiderio del suo amore. Era così pieno di foga ciò che stavano facendo che caddero a terra, ma le loro labbra non si separarono mai. Distesi sotto il freddo e la pioggia, cercavano il calore della bocca dell’altro. Quando quel fuoco parve un raffreddarsi un po’ sotto l’acqua fresca, riuscirono a staccarsi, sempre lentamente, per completare il film di ricordi che si stava creando nella loro mente, come se ne avessero passate così tante...eppure si conoscevano da neanche un anno. Tom gli guardò per un istante il viso con le guance imporporate, poi si chinò sulle sue labbra e Bill chiuse gli occhi.

- L’hai mai fatto sotto la pioggia?- Sussurrò, godendosi il suono della sua risata.

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Capitolo 12
*** Kapitel 12 ***


Kapitel 12


Due giorni dopo...

Bill aprì gli occhi su quel letto ombreggiato dalle gocce di pioggia poggiate sui vetri. Dopo ciò che era successo tra loro, Bill se n'era ugualmente andato perché voleva lasciare il tempo a Tom di realizzare la propria responsabilità, poi, appena si erano rivisti...

- Tom!- Il ragazzo si era affacciato dalla finestra della propria stanza e vide Bill che lo chiamava. Aveva una rosa bianca in mano e gli sorrideva. - Buongiorno, principessa sul pisello!- Bill era scoppiato a ridere e Tom si stava ancora strofinando gli occhi.

- Mi sa che stai confondendo i ruoli- Poi si era stiracchiato poco elegantemente sollevando le braccia. - Perché sei qui?-

- Per corteggiarti. Che c'è, solo perché sei tu che comandi a letto non puoi ricevere questa bellissima rosa?- Gliela porse e Tom si allungò per afferrarla. Bill continuava a fissarlo con finto sguardo innocente mentre sbatteva le palpebre ripetutamente. Tom comprese e sbuffò divertito.

- Mi dai un momento?-

- Ti ho dato due giorni- Calcò bene su quel lasso di tempo non cambiando per niente espressione e facendo ben intendere la sua impazienza. Tom sorrise e si sporse per baciarlo.

- Comunque tu devi essere matto, potevano esserci i Winkler-

- Sono matto, ma so anche che quel matto del prete celebra la messa tutte le mattine e che quei matti dei Winkler non se la perderebbero per nulla al mondo. Io ho di meglio da fare-

Tom era uscito qualche minuto dopo, aveva preso Bill per mano, lo aveva riportato dentro e aveva raccomandato alla servitù di non disturbarli perché avevano da parlare di un sacco di cose. Certo, ci avevano messo del tempo infatti. Spogliarsi non era sempre una cosa veloce, e poi gettarsi sul letto e dimenticando tutto ciò che era appena accaduto negli ultimi giorni. C'erano volute delle ore, tanto che non avevano sentito il bisogno di mangiare. Quando accadeva una cosa come quella, era come entrare in una dimensione magica dalla quale ti illudi di non uscire mai, come un sogno che credi vero, poi ti svegli e realizzi che la realtà è un ricordo dimenticato che riaffiora improvvisamente e ti deprime. Tom ancora dormiva placidamente accanto a lui, forse era l'unico che era riuscito a chiudere occhio. Bill aveva troppi pensieri che gli vorticavano in testa, poteva dire di aver dormito davvero male. Era stato l'ennesimo pianto della piccola Marleen a svegliarlo e adesso, guardando Tom, pensava che per lui doveva essere davvero difficile mettere sua figlia e lui sullo stesso piano. Bill riteneva che Marleen dovesse venire prima in qualche modo, però allo stesso tempo non desiderava di perdere questa guerra tra loro e la società. Ma cosa avrebbero fatto da quel momento in poi?

- Ciao- La voce assonnata di Tom gli giunse alle orecchie e le sue labbra a baciargli il collo risalendo lentamente sul mento.

- Ciao...- Bill era serio e Tom ci mise poco ad accorgersene. Prima rideva, si era lasciato andare, e adesso sembrava aver improvvisamente cambiato umore.

- Che hai?-

- AAAAAAAHHHH!!- Un urlo di donna li fece trasalire entrambi e non ci misero neanche due secondi a scendere dal materasso, vestirsi alla meno peggio e correre fuori. Il presentimento che la cosa riguardasse Saphira balenò nelle loro menti come un fulmine a ciel sereno e si precipitarono immediatamente nella sua stanza. Appena entrarono, si gelarono sul posto. Saphira era nel letto che respirava davvero male, piena di sudore, e Marleen strillava sul suo grembo siccome stava prendendo il latte e le braccia della mamma non la stavano reggendo più. Sarja era lì impanicata che non era in grado di agire. Saphira aveva gli occhi vitrei, non riusciva ad emettere una parola. Tom si precipitò immediatamente al piano di sotto per chiamare il dottor Listing. Bill si avvicinò al letto senza sapere che fare. Pensò che fosse opportuno prendere in braccio Marleen e di non farle né vedere né percepire sua madre in quello stato. Ci mise tutta la delicatezza possibile, dato che non aveva mai tenuto un neonato tra le braccia e si affidava all'istinto, sperando di averne.

- Vieni qui, piccola- La bambina continuava a piangere logicamente, ma Bill tentò di cullarla e di fare in modo che smettesse, perché le sue urla, per quanto giustificate, non permettevano di riflettere lucidamente. - Basta piangere, su...devi essere forte...- Le asciugò le lacrime e Marleen permase con un broncino. Era la prima volta che Bill aveva modo di osservarla bene: aveva gli occhi indefiniti, né grigi come la madre né marroni come il padre...parevano un miscuglio di entrambi. Erano davvero belli. Anche la sua pelle era di una carnagione media, non era pallida o abbronzata, ma al tatto molto delicata. Bill le afferrò una manina e lei gli strinse un dito istintivamente. Sorrise. Non seppe perché, quella era la situazione meno opportuna per sorridere, ma quella bambina gli aveva provocato una sensazione nuova, qualcosa di inspiegabile che si era creato a guardarla negli occhi. Era la figlia di Tom. - Ciao...- Le sussurrò dolcemente, come se l'avesse appena partorita lui, e Saphira, nella sua difficoltà respiratoria e il panico, fu in grado di percepirlo.

- B-Bill...- La voce della neomamma gli giunse molto debole dal letto. La ragazza stava provando a dirgli qualcosa e doveva essere molto importante. Il moro si avvicinò ponendosi in ginocchio per guardarla negli occhi e le strinse la mano.

- Non sforzarti a parlare, sta arrivando il dottore-

- I-io...devo dirte...dirtelo...Bill- Bill alzò lo sguardo su Sarja che aveva iniziato a piangere in silenzio, con la mano tremante sulla bocca e gli occhi rossi. Gli stava montando una spiacevole sensazione nel petto, un presentimento, un presagio forse. Ma lui doveva reagire, doveva farlo per chiunque lì dentro, soprattutto per Tom e Marleen.

- Ti ascolto- Anche gli occhi di lei si bagnarono di lacrime, le quali cominciarono a scendere fino a toccare il cuscino giù umido del suo sudore. - Sarja, prendi del ghiaccio- Le passò un panno che aveva trovato lì e la domestica inizialmente non lo afferrò. Era così presa dalla paura che sapeva di dover fare qualcosa, ma si era come bloccata. La voce di Bill le era giunta come ovattata, ma alla fine era riuscita a muovere il braccio e a prendere con la mano tremante quel dannato panno.

- Bill...- Tossì. - Se...se dovessi...morire...cough cough! Desidero che tu...ti prenda cura di...Marleen- Il moro sgranò gli occhi abbassandoli poi sulla piccola creatura che teneva tra le braccia e che si stava ciucciando una mano. Saphira le poggiò la mano sul corpicino caldo. - La amo...più di qualsiasi altra cosa al mondo...e lei merita l'amore... quello che io non ho potuto avere...- Anche dagli occhi di Bill le lacrime presero inevitabilmente a scendere sul suo viso. Si era promesso di non piangere, di resistere fino all'ultimo ma...

- Tu vivrai, mi hai sentito? Tu non puoi andartene!- Saphira aveva sorriso davanti a quel viso che per un istante rivide bambino e ricordò tanti momenti insieme a lui. Le litigate, le azzuffate, le coccole, il primo bacio. Adesso tutto ciò che c'era stato quando erano piccoli sembrava essere stata tutta un'illusione. Era arrivato Tom e aveva stravolto completamente le loro vite senza volerlo. Bill si era innamorato di lui e Saphira aveva dovuto rinunciare alla sua seconda possibilità. Adesso poteva dire che non le interessava più: voleva prima che Marleen fosse felice, e sapeva che con l'amore di due genitori che si amavano a loro volta avrebbe ottenuto la realizzazione del suo ultimo desiderio. Era felice della sua scelta, per questo sorrideva. Sarja tornò con il ghiaccio e poco dopo di lei spuntò anche il dottor Listing.

- Eccomi, uscite tutti, per favore!- Aveva intimato con una certa urgenza. Dalle parole di Tom aveva capito che era grave e che doveva assolutamente correre. Bill era andato subito a cercarlo e lo aveva trovato a sedere sulla poltrona davanti al fuoco a riflettere, provando a non andare nel panico, come chiunque, ma Bill aveva notato la lacrima ferma tra l'occhio e la bocca.

- Sapevamo che prima o poi sarebbe successo...- Sussurrò insicuro avvicinandosi. Lo sguardo che Tom gli lanciò lo fece sussultare. Aveva degli occhi più rossi del demonio, come mai glieli aveva visti. Era consapevole di aver detto una frase stupida, e magari avrebbe dovuto starsene in silenzio, e lasciare che quel fuoco ardesse solamente dentro il suo petto. Lo aveva come risvegliato, poiché aveva compreso che nei suoi occhi non albergava solo la disperazione, bensì l'ira. Ad un certo punto sentirono la porta d'ingresso aprirsi. Tom scattò immediatamente in piedi. - Che cosa vuoi fare?- Chiese Bill allarmato.

- Resta qui con la bambina-

- Tom...-

- Resta qui ho detto! E non uscire per nessun motivo al mondo! Non voglio che guardi!- E aveva sbattuto la porta senza lasciargli neanche un secondo per replicare. Bill era rimasto con gli occhi spalancati davanti a quella superficie fredda. Aveva una certa paura. Non sapeva che cosa sarebbe successo e temeva tanto per Tom. - ANDATE VIA!- Lo sentì gridare completamente fuori di sé. Si sedette sulla poltrona chinandosi sulla bambina, come a volerla proteggere da quelle urla. - FUORI! HO DETTO FUORI!- Ad un certo punto si sentì rumori di oggetti sbattuti al muro, grida miste e ovattate, come se due persone si stessero azzuffando. - NON RIMETTETE PIÙ PIEDE IN QUESTA CASA CHE VI AMMAZZO! AVETE CAPITO!? VI AMMAZZO!!!- E di nuovo rumori di mobili e tavoli ribaltati. Sembrava volessero distruggere la casa! Poi silenzio...e il botto di un portone che veniva chiuso fece sussultare e spaventare anche Marleen, la quale ricominciò a piangere. Tom improvvisamente rientrò in stanza. Aveva qualche livido sul viso, il sopracciglio spaccato e sanguinante e la camicia strappata sulla manica. - Dammi la bambina-

- Tom...- Esitò scuotendo leggermente la testa. Temeva un Tom in quello stato, non sapeva se era sicuro per la piccola.

- Ti prego- Ma nel momento che glielo chiese così, con quel tono sommesso, capì che era tornato in sé, che ne aveva bisogno, e gliela passò. Tom la portò al petto coccolandola e sussurrandole che da quel momento in poi sarebbe andato tutto bene. - C'è il papà adesso...non piangere- L'averla in braccio faceva sì che i suoi nervi si calmassero e dopo un po' infatti Marleen ricominciò a guardare suo padre come l'uomo che le voleva bene e non quello che aveva appena avuto un momento di totale pazzia.

- Hai cacciato i Winkler-

- Sì- Rispose deglutendo per mantenere la calma al sol pensiero. - Lui ha opposto resistenza e nel momento che ho spinto sua moglie fuori, ce le siamo date di santa ragione, fino a che non ho avuto la meglio e non l'ho gettato sul pianerottolo...poi ho chiuso a chiave-

- E adesso che succederà?-

- Che penseremo a Saphira!-

- Tom, quelli possono farti causa, e le parole grate della servitù per averle liberate da questo calvario non ti salveranno!-

- Non m'importa! Saphira potrebbe morire per colpa di quei bastardi! E adesso andiamo da Listing sperando che non ci siano brutte notizie- Tom affidò Marleen a Sarja raccomandandole di darle ancora latte in quanto la piccola doveva essere ancora affamata. Bill sapeva che Tom era una persona impulsiva, e per certi versi anche lui. Quando vedevano una cosa che non era giusta, non si facevano problemi a farlo presente e credeva che Tom non avesse esagerato, che i signori Winkler meritassero più che essere cacciati via, ma purtroppo per la legge non era così. Se si fosse venuto a sapere che lui e Tom avevano una relazione, non ci sarebbe stato più scampo per loro e Marleen sarebbe finita nelle mani dei Winkler. Saphira non avrebbe voluto questo.
Listing uscì dalla porta con un'espressione più abbattuta della volta precedente, e che fece capire che le speranze di chiunque lì dentro erano vane.

- Proprio come temevo, il suo cuore ha subito ulteriori danni e la patologia che ha sembra essere degenerata-

- E questo che vuol dire?- Chiese Tom nella propria ignoranza. Bill, che invece aveva già compreso, si limitò ad abbassare gli occhi in silenzio.

- Vuol dire che ha bisogno del supporto di chiunque le voglia bene e di non essere mai lasciata sola. E' difficile affrontare una cosa del genere da soli- Bill in quell'istante lo guardò storto. Non aveva detto tutta la verità, aveva invece cercato di omettere cosa realmente volesse comunicare. Tom infatti non aveva compreso.

- Prometto che le starò accanto fino a che non guarirà- Aveva detto. Georg aveva sorriso per poi tornare immediatamente serio. Gli permise di entrare logicamente, affermando che il respiro di Saphira era tornato regolare, ma di non farla sforzare.

- Posso parlare con lei?- Si avvicinò a Bill, che in effetti aveva una domanda da porgli. - Perché non gli ha detto la verità? Perché illudere le persone?- Georg abbassò lo sguardo sospirando.

- Tom non è una persona stabile- Il moro assunse un'espressione confusa. - Ha una mentalità molto compromessa. Non ho voluto perciò peggiorare la situazione. Conosco il signor Bücher...era uno psicologo e mi ha detto che Tom è stato "in cura" da lui per del tempo, e mi ha comunicato lui queste informazioni. Saphira in questo momento ha bisogno del supporto delle persone vicine e Tom non sarebbe stato in grado di darglielo a saperla...condannata-

- Sta parlando di Tom come se fosse pazzo!- Bill iniziò ad alterarsi e il dottore doveva prevederlo. - Lei è solo uno dei tanti che non sa e parla a sproposito! Tom è una persona che ha sofferto e né io né lei possiamo permetterci di giudicarlo! Soprattutto lei che è già tanto se sa il suo nome!- Lo guardò negli occhi inquisitorio cercando di inchiodarlo. - E adesso se ne vada- Sibilò come un serpente velenoso. Georg chinò il capo come segno di rispetto, poi lo oltrepassò e scese le scale. Il salone era pieno di sedie spezzate, mobili ribaltati e soprammobili distrutti. Si voltò una seconda volta verso Bill che, dall'alto delle scale, manteneva lo sguardo austero. Georg sospirò scuotendo la testa e abbandonò casa Winkler. Tutto quel caos era la rappresentazione di quello che Tom aveva nella sua testa, e nessuno riusciva a vederlo.

- Dottore, aspetti!- Sarja gli corse dietro con la bambina in braccio e Listing arrestò subito il suo passo. - Guardi, la prego! Temo che abbia la febbre!- Appena Bill udì quella parola si precipitò giù dalle scale e uscì fuori prelevando Marleen dalle braccia di Sarja, senza chiederle niente. Era come se fosse la sua bambina ormai, e nessuno doveva permettersi di trattarla come se lui non c'entrasse niente. Saphira gliel'aveva affidata, perciò doveva sapere tutto di lei. La bambina aveva gli occhi assonnati e Bill le poggiò le labbra sulla fronte. Ella iniziò a piangere.

- No temi, HA la febbre!-

- Mi permetta di visitarla, signor Kaulitz- Chiese il medico con sguardo e tono quasi sommessi. Il moro non si azzardò ad addolcire per niente il proprio, anzi, assottigliò gli occhi.

- Non si azzardi a mentire con me-

- Non lo farò, glielo prometto-

- Allora va bene, mi segua- Rientrarono dentro casa e Georg visitò la neonata sotto lo sguardo vigile di Bill e Sarja.

- Ha vomitato prima...quando le davo il latte...e piange spesso...sembra che ci sia sempre qualcosa- Georg si tolse lo stetoscopio dalle orecchie.

- Infatti qualcosa c'è- Bill si fece avanti. - La bambina ha la scarlattina- E il suo cuore fece mille capriole a udire quelle parole. La scarlattina? - E' necessario abbassarle la febbre come prima cosa, Purtroppo non posso darle nessuna medicina, è troppo piccola e potrebbe peggiorare la situazione- Nel mentre parlava pensò a rivestirla e a ridarla in braccio a Sarja.

- E come possiamo fare?- Chiese quest'ultima.

- Deve essere immersa nel ghiaccio-

- Nel ghiaccio!?-

- Sì, è necessario per far scomparire la febbre, ma è troppo piccola e ha bisogno della presenza della madre-

- Ma Saphira...- Controbatté Bill.

- Lo so- E tacque. Il moro comprese che cosa stava cercando di dire e annuì convinto.

- Va bene, la ringrazio...e mi scusi per come l'ho trattata prima-

- Scuse accettate. Non è né il primo né l'ultimo, in fondo- Chinò nuovamente il capo. - Con permesso- E si congedò nuovamente, questa volta per davvero.

- E adesso che facciamo?- Chiese Sarja con la bambina strillante tra le braccia. Bill la guardò e bastò quello sguardo perché anche la domestica realizzasse. In meno di un'ora ella aveva riempito una vasca piena di cubetti di ghiaccio e acqua, avevano spogliato la bambina totalmente, mentre Bill si era tolto solo le scarpe. - Sei molto buono, Bill- Gli sussurrò mentre lo aiutava ad entrare in modo che non scivolasse. Il moro stava già visibilmente tremando, si sentiva come trafitto da mille lame.

- D-dammi Marleen- Sarja non se lo fece ripetere due volte e gli mise la bambina tra le braccia, la quale strillava e scalciava infreddolita. Le labbra di Bill si stavano facendo lentamente viola e il fumo bianco usciva dalla sua bocca. In pochi minuti si fece sera. Sarja aveva abbandonato la stanza per andare a controllare Saphira e dare così il cambio a Tom. - Marleen...- La piccola aveva smesso di piangere finalmente e Bill l'aveva tirata un po' su dall'acqua gelida appoggiando la sua guanciotta alla propria. - N-non perme-tterò che...che anche tu...te ne v-vada- Era sempre stato fermamente convinto dell'idea di non desiderare figli, perché non avrebbe saputo che cosa insegnare loro, che regole, che morali. Anche ora che aveva una neonata tra le braccia non ne era a conoscenza ma il suo istinto era quello di proteggerla. Ad un certo punto la porta si aprì ed entrò Tom, abbastanza agitato.

- Bill!- Si inginocchiò vicino alla vasca accarezzandogli i capelli.

- Tom...- Il ragazzo sorrise con le lacrime agli occhi. - Perché...piangi?- E gli passò il pollice sulle labbra tremanti prima di baciarle. - T-Tom...-

- Grazie- Abbassò lo sguardo su Marleen che lo fissava. - E tu? Mi fai prendere certi colpi- Le accarezzò la guanciotta fredda. Bill lo aveva visto davvero preoccupato per sua figlia, era corso subito non appena aveva sentito che c'era qualcosa che non andava, come un vero papà. - Non sembrerebbe avere più la febbre. Aspetta...- Immerse le braccia nell'acqua per prendere Marleen e tirarla fuori. - Asciughiamo questa piccina tutta bagnata- Bill sorrise a quella scena tenera, con gli occhi leggermente arrossati. Molto probabilmente si era preso un bel raffreddore, ma non gli importava. Marleen era salva. Tom la asciugò accuratamente e la rivestì per poi metterla nella culla. Lei inizialmente mugolò un po', ma appena Tom la coprì non si fece scrupoli a girarsi dall'altra parte per addormentarsi in un secondo.

- Sei...un bravo papà-

- Non è una cosa che ho scelto, mi viene naturale. Come mi viene naturale fare questo- Si chinò nuovamente sulla vasca ponendo un braccio sotto le ginocchia e un'altro dietro la schiena di Bill per poi sollevarlo dall'acqua. - Dio...sei gelido- Se ne stupì quasi, domandandosi come aveva potuto Bill fare una cosa del genere.

- Per tua figlia questo e altro- Si guardarono negli occhi, pensando a quanto erano fortunati ad esserci sempre l'uno per l'altro...o meglio, questo era il pensiero di Tom. Gli occhi di Bill denotavano tristezza, soprattutto per le parole del dottore. Tom non era pazzo, non era instabile...era una persona che aveva sopportato dei dolori indicibili e tutt'ora non trovava la pace. Gli poggiò una mano sulla guancia e Tom rabbrividì leggermente. - Ti amo-

- Anche io...terribilmente-

- Sì, può essere terribile a volte- Ridacchiarono e si baciarono ancora delicatamente.

- Puoi dormire qui stanotte- Gli sussurrò sulle labbra.

- Senz'altro, se mi lasci andare-

- Oh sì, scusa- Lo mise giù immediatamente. Bill amava stare tra le sue braccia, ma lo preferiva se non aveva i vestiti completamente fradici e il freddo che gli gelava il sangue. Andò quindi a darsi una sistemata non avendo ovviamente problemi a spogliarsi completamente davanti a Tom, il quale lo osservava e non sapeva veramente a chi rendere grazie per avere conosciuto una persona come Bill. Adesso non provava più quel martellante desiderio di morte, ed era solo merito suo. Il moro tornò in camera con una vestaglia di seta molto femminile e di color rosso carminio. - Ti sei messo quella della signora Winkler-

- Infatti l'ho disinfettata prima- Ironizzò sedendosi accanto a lui e appoggiando la testa sulla sua spalla. Quei brutti pensieri invasero ancora la sua mente.

- Stai bene?-

- Forse ho solo paura, come ce l'hai tu-

- Già...- Sospirò e rimasero per qualche secondo in silenzio. - Forse so come farti stare meglio- Si alzò e si diresse verso la culla prendendo Marleen, che non si destò. Emise solo qualche lamento. - Tienila con te, come fosse il tuo orsacchiotto di peluche- Bill rise e la prese mettendola sotto le coperte per non farle prendere freddo.

- E' davvero bella, Tom- Si sdraiò anche lui continuando ad osservarla con occhi persi e accarezzandole quei pochi capelli neri che aveva. Tom aveva compreso che tra Marleen e Bill si stava creando un bel legame, e a modo suo ne era contento.

- Mi stai tradendo con lei Bill?- Chiese ironicamente alzando un sopracciglio.

- Per stanotte sì, perché è giusto che tu stia con Saphira, così come ha detto il dottore- Tom annuì convinto di ciò. Se farle compagnia poteva contribuire a farla stare meglio e a curarla in qualche modo, Tom era il primo che si sarebbe fatto avanti. Bill si mise sotto le coperte cingendo la bambina con un braccio, in modo tale che non gli rotolasse via durante la notte.

- Siete bellissimi- E arrossì un poco, soprattutto quando Tom si chinò per baciargli la fronte e fare altrettanto con il nasino alla piccola. - Chiedo a Sarja di portarti qualcosa da mangiare, poi fate dolci sogni d'accordo?- Il moro annuì e Tom si chinò nuovamente a posargli un bacio sulle labbra accarezzandogli il viso.

- Lo sai, Tom? Questo mi sembra un sogno...e al tempo stesso un incubo-

- Anche a me-

- Tu, io e Marleen...ma Saphira...-

- Lei si rimetterà e ti prometto che saremo una bella famiglia, tutti insieme, e ci impegneremo per crescerla- Spostò il suo sguardo sulla piccola e per questo non notò quello nuovamente rammaricato di Bill. - Non credi anche tu?-

- Certo- Rispose prontamente riassumendo un piccolo sorriso. - Buonanotte, Tom-

- 'Notte amore mio- Accarezzò la sua bambina. - E buonanotte anche a te. Se ci dovessero essere problemi, chiamami- Bill annuì e lo lasciò libero di uscire dalla stanza. Sospirò. Desiderava il meglio sia per Tom che per Saphira, ma lui era a conoscenza della verità e aveva tentato di farla vedere anche a Tom, solo che lui era come un bambino che continuava a credere nelle favole sperando che avessero un lieto fine senza sapere che pure le favole possedevano il loro lato oscuro.

***

Entrò nella stanza di Saphira e la trovò esattamente come l'aveva lasciata, distesa sul letto che guardava il soffitto.

- Sai una cosa?- Chiese debolmente.

- Dimmi-

- Abbiamo delle pareti così bianche in casa...vorrei tanto che Bill le dipingesse come se fossero delle tele...le renderebbe più belle...- Fece un respiro, che per lei sembrava ormai essere una sfida. - Ha smesso di dipingere...pur di stare dietro ai nostri problemi...- E ne prese un altro ancora. - Tom...io sono convinta che...lui sarà la persona giusta...- Gli strinse la mano. - Lui...si prenderà cura di te...e di Marleen...nel miglior modo possibile...-

- Che cosa stai dicendo?- Domandò con un timore così evidente che la voce gli uscì più debole di quella della ragazza. Ella sorrise, come una madre sorriderebbe ad un bambino ingenuo, e allargò le braccia facendogli capire che voleva abbracciarlo. Tom non ci mise molto ad insinuarsi in mezzo ad esse e a sentire il suo profumo. Ricordò qualche flash di quando lo avevano fatto insieme e da quello era nato quel piccolo angelo che adesso riposava con l'altro angelo nell'altra stanza. Il sesso a volte è una cosa che non puoi davvero controllare...o semplicemente Tom non c'era con la testa in quell'istante, tanto è vero che rimembrava poco e nulla, come se fosse stato solo un sogno, pure quello. Delle volte non era nemmeno più capace di distinguere il sogno dalla realtà e si sentiva impazzire.

- Io...credo che tu debba dormire, Tom...-

- No, voglio sapere che cosa volevi dire- Saphira continuò ad accarezzargli i capelli delicatamente senza rispondergli e pian piano, esattamente come un bambino, Tom si addormentò. Saphira rimase sveglia e rivolse nuovamente lo sguardo verso il soffitto. Per un istante rivide quel Giudizio Universale che aveva sempre temuto, fu come un bagliore, e una lacrima cominciò a scendere sul suo viso ma non arrivò a toccare il materasso.

***

Un sole grigio illuminò debolmente Berlino quella mattina verso le 6.00 e fu quello a destare Tom, il quale si era addormentato in una posizione davvero scomoda. Gli faceva dannatamente male la schiena. Quando aprì gli occhi sbuffò per il dolore e percepì ancora la mano di Saphira ferma sui suoi cornrows. Non si era mai destato così presto in vita sua. Sbadigliò e si tirò su per stiracchiarsi. Guardò fuori dalla finestra e vedeva la città di Berlino cominciare a prendere vita, le persone incontrarsi e conversare pacificamente. Si voltò verso il letto e siccome vedeva ancora un po' appannato non era riuscito a distinguere bene. Sapeva che c'era Saphira e sorrise grattandosi la nuca.

- Spero che tu stia dormendo bene- Si alzò per darle un bacio sulla fronte. - Ti è scesa anche la febbre per fortuna- E andò verso il bagno per sciacquarsi la faccia, così da riacquistare la vista. Si asciugò e tornò in camera, ma quello stesso asciugamano gli cadde dalle mani non appena rivolse il proprio sguardo alla ragazza, e percepì lo stesso rumore della bottiglia di vetro di anni fa. Ella teneva gli occhi aperti e le braccia abbandonate sul grembo. L'immagine di Oskar gli ferì la mente come un flash. Quella di Saphira in quell'istante le era così familiare. Non riusciva a muoversi, rimase lì a tremare incerto. Il suo cuore si era come arrestato, non era in grado di emettere una parola. D'un tratto entrò Sarja con le lenzuola e anche quelle finirono al suolo appena vide Saphira senza vita. Lanciò un grido disperato e la prese tra le braccia.

- Bambina mia no!- Cercava di scuoterla inutilmente, sperando invano di riottenere qualche accenno di vita. - Ti prego, non guardarmi in questo modo! Di' qualcosa, ti prego!- Dalla porta aperta entrò anche Bill, vestito normalmente, e quando vide il terribile spettacolo, corse subito verso Tom, il quale ancora non si stava muovendo, pareva non respirare nemmeno. Era traumatizzato. Aveva speso la notte...con una persona morta...nel letto...e non una persona qualsiasi...sua moglie...sua sorella...la madre della sua bambina. Nemmeno le braccia di Bill poterono fare qualcosa, Tom era una statua davanti a tutto quello. Sarja ad un certo punto si staccò dal corpo della ragazza per chiuderle gli occhi e la adagiò sul letto continuando a piangere disperata rimproverando il cielo e Dio per questa disgrazia. - Come farà Marleen? Come farà senza una madre?- Tutti lì dentro adesso pensavano anche a quella bambina, che aveva passato con sua madre solo due miseri giorni prima di essere costretta ad abbandonarla per colpa della scarlattina. Quanto poteva essere crudele il mondo...

- Tom...TOM!- Il ragazzo sussultò sbattendo le palpebre e riprendendosi da quei film mentali dei tempi andati. - Tom...- La voce di Bill entrò nella sua mente e gli rivolse uno sguardo, poi lo oltrepassò andando da Saphira. Salì in ginocchio sul materasso e la prese in braccio accarezzandole il viso e il collo bianco. Non sembrava neanche lei, così spenta...ed era così giovane. Alla fine crollò anche lui gridando disperato, con lo sguardo nascosto nell'incavo del collo di lei. Gridò fino a che ne ebbe la forza e pure Bill rimase lì a piangere in un angolino, straziato da quella scena.

- Portate la bambina lontano da qui- Sussurrò Sarja e Bill alzò lo sguardo piangente. - Non appena i signori Winkler lo sapranno, reclameranno la custodia della nipote e faranno qualsiasi cosa per portarvela via. Intanto fate in modo che Marleen non rimanga dentro questa casa un solo minuto di più- Bill comprendeva che era la cosa giusta, ma come faceva? Tom non aveva nessunissima intenzione di separarsi dal corpo della ragazza. - Ci penso io, tu vai a chiamare il prete e...e porta Marleen a casa Kaulitz-

- E tu?-

- Io devo rimanere qui-

- No, tu verrai con me e Tom!- La donna scosse la testa.

- Saremmo troppi ad abbandonare questa casa. Li avete già cacciati e porterete via la loro nipote, se farete lo stesso con la servitù avranno sempre più carte da giocare contro di voi-

- Ma come fai a rimanere al servizio di gente come loro?!-

- I vostri soldi servono per pagare tutto ciò di cui la bambina ha bisogno, per crescerla e per darle tutto ciò che Saphira non ha potuto, non avrete tempo di pagare anche una sola domestica in più. Preferisco così- A quel punto, Bill non se la sentì di insistere. Alzò lo sguardo su Tom che ancora singhiozzava accarezzando il viso freddo e terribilmente pallido di Saphira.

- Non sembra nemmeno lei...- Sussurrò, ed era vero. Come era possibile che una persona da morta cambiasse a tal punto da essere irriconoscibile? Eppure neanche la morte l'aveva resa meno bella. Sembrava una rosa bianca e delicata, sola...che stava finendo i suoi giorni sepolta dalla neve. Bill si fece coraggio e andò a prendere Marleen che dormiva ancora ignara che la sua mamma non c'era più. Quando Bill si ritrovò a guardarla scoppiò nuovamente a piangere prendendola in braccio. E mentre sentiva le urla straziate di Tom nell'altra stanza - siccome Sarja stava cercando di allontanarlo dal corpo esanime della ragazza - accarezzò la guanciotta della piccola. - Non posso sostituire tua madre ma farò di tutto per proteggerti. Sarai felice- E le baciò la fronte delicatamente mentre le ultime lacrime calde scorrevano sul suo viso. 

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Capitolo 13
*** Kapitel 13 ***


Kapitel 12


Dopo la tragedia, Bill aveva provveduto a mettere in sicurezza il palazzo Kaulitz. Tutte le porte di accesso erano state chiuse, così come i cancelli, ben sorvegliati da dei servi fedeli. Doveva essere fatto rapporto a Bill per chiunque si avvicinasse. Il moro aveva moralmente attestato la casa anche a Tom, ma sapeva che non era in condizioni di controllarla. Vivevano loro due lì dentro, insieme a Marleen. Alla fine, dopo un po’ di tempo, era stato costretto a licenziare tutta la servitù, in quanto il loro segreto era troppo grande, andava protetto, e tutte le donne insistevano per chiamare una balia per la piccola e Bill rischiava molto spesso di infuriarsi e di non rispondere più di sé stesso. Credevano che due uomini non potessero crescere una neonata. Così, dopo tutti questi problemi, si erano isolati: rimasero loro due, Marleen e un mazzo di chiavi in mano. Avevano ancora una serva fidata che faceva loro la spesa, l’unica che se ne rimaneva muta e non si impicciava dei loro affari. Da quel momento in poi nessuno vide più né Bill Kaulitz né Tom Trümper aggirarsi per Berlino. Ebbene sì, Tom aveva ripreso il suo cognome e lo aveva dato anche a Marleen. Lei non doveva essere contaminata da quella famiglia come lo erano stati lui e Saphira. Marleen Trümper. Ogni giorno che passava cresceva sempre più bella. Aveva gli stessi capelli scuri di sua madre, le guanciotte rosse e il sorriso perennemente a fior di labbra nonostante stesse venendo su in un brutto contesto. Tom aveva trovato pian piano la forza di superare la morte di Saphira guardando sua figlia che tentava di camminare e ripetendosi che non poteva spegnersi di nuovo. Bill e Marleen avevano bisogno del suo amore e della sua presenza ora più che mai.

- Guarda, lo sta facendo ancora!- Bill era bravissimo con la bambina. Era davvero formidabile. Certe cose che le persone credevano contro natura, come l’adozione con due genitori omosessuali, erano uno spettacolo...Bill e Marleen erano uno spettacolo. Ella stava in piedi traballante e si reggeva ad una sedia. Sorrideva perché capiva di star imparando sempre di più a fare una cosa automatica e naturale. - Vai da papà Tom, su-

- Perché vuoi che venga da me? Sei più vicino tu-

- Perché so che ce la può fare...vai, amore- Marleen lo fissò per un po’, poi voltò la testolina verso Tom che stava seduto e la guardava senza sapere che dire. Certe volte quegli occhietti vispi erano davvero un enigma per lui, eppure era suo padre. - Incoraggiala però, sennò come capisce che deve venire da te?- 

- Ehm...va bene- Si schiarì la voce e si mise in ginocchio sul pavimento aprendo le braccia e invitandola a camminare verso di lui. - Vieni qui- Marleen scosse la testa, troppo impaurita dal lasciarsi. - Che c’è? Non vuoi il tuo pupazzo?- Tom afferrò il suo coniglietto di peluche, oggetto dal quale Marleen non si separava mai e molto spesso piangeva e urlava se qualcuno glielo osava levarglielo dalle mani per un qualsiasi motivo. Appena la bimba lo vide allungò una manina mugugnando qualcosa.

- Dada...dada…- Ripeteva.

- Dada ti aspetta, vienilo a prendere- Ella cominciò ad innervosirsi e mise un broncino. Batté i piedini sul pavimento e questo era segno che si stava arrabbiando e non poco. Tom si stava già arrendendo all’idea di essere un pessimo padre, e non pensò che invece sua figlia era ancora troppo piccola per comprendere che quello non voleva essere un gesto cattivo, bensì un incentivo per spingerla a camminare. Bill si alzò da terra e si chinò a prendere Marleen per le mani. 

- Andiamo a riprenderci Dada, che papà Tom ce l’ha rubato...è un papà davvero cattivone- La bimba si staccò e iniziò a camminare alla conquista del suo Dada perduto. Avevano compreso entrambi che era ancora troppo piccola per farlo senza un sostegno, ma era già stupefacente che stesse in posizione eretta. Bill ad un certo punto la lasciò, quando mancavano pochissimi centimetri, e Marleen fece i suoi ultimi due passi da sola prima di cadere tra le braccia di Tom che la sorresse appena in tempo. La bimba alzò lo sguardo incontrando gli occhi amorevoli del suo papà e sorrise gioiosa alla vista di Dada, che poté essere nuovamente stritolato dalle sue braccia.

- Sei la mia piccola, non sai minimamente quanto ti amo- Le sussurrò senza pensarci. Era vero. Tom amava quella bambina più di qualsiasi altra cosa al mondo. Non se ne sarebbe mai separato e avrebbe fatto di tutto per impedire che gliela portassero via. Dovevano rimanere insieme, lui, Marleen e Bill. Dovevano essere una famiglia. Bill si inginocchiò accanto a loro e appoggiò la testa sulla spalla di Tom. - Vuoi anche tu le coccole dal papà cattivone?- Annuì sbuffando divertito dalla sua stessa battuta.

- Vorrei un altro tipo di coccole...ma prima è necessario che la mettiamo a letto- Gli soffiò all’orecchio iniziando a lasciargli tanti piccoli baci lascivi sul mento. - E devi farti la barba, mi pungi-

- Me la fai tu? L’ultima volta mi sono scorticato mezza faccia-

- Questo perché sei un autolesionista- E fu Tom a ridere.

- E’ vero...quindi?-

- Certo, te la faccio io- Si alzò per andare a preparare la piccola bacinella con l’acqua calda e il sapone, mentre Tom si occupò di addormentare Marleen. Era tardi per lei e si era allenata tanto quel giorno, era necessario che andasse a dormire. Quando la mise nella culla, rimase qualche minuto a guardarla. Gli dispiaceva non riuscire ad essere totalmente presente, ma la sua mente, i suoi ricordi, erano in grado di giocargli brutti scherzi nei momenti meno opportuni. - Vieni?- Sussultò a sentire la voce di Bill alle sue spalle. Annuì e poco meno di due minuti si trovava su una sedia e Bill che con una lama gli levava la schiuma dalla faccia. - Lo sai? Ti preferisco senza barba-

- Ma a te è mai cresciuta?-

- Certo, ma me la faccio. Mi piace andare in giro ben pulito e curato, e sono solito fare lo stesso con tutto ciò che mi appartiene- Si chinò a lasciargli un bacio sulle labbra sporcandosi un pochetto di schiuma. Beh, non gli era nuovo avere la bocca sporca di sostanze bianche da quando aveva conosciuto Tom.

- Se non fosse che sono con te impazzirei...rimanere rinchiuso in una casa con una bimba e senza poter uscire...-

- Sì, sarebbe terribile-

- Stai facendo un ottimo lavoro con Marleen- 

- Tom, cerca di non parlare troppo, potrei tagliarti. Pazienta un po’, ho quasi finito- Rispose concentrato nel rasargli la guancia destra. - Comunque Saphira l’ha affidata a me e intendo non deluderla, oltre al fatto che amo quella bambina, come...come se fosse mia- Tom lo guardava e basta, essendo che gli era stato proibito l’uso della parola e quando Bill diceva una cosa, era un ordine. - Delle volte mi trovo a guardarla e, per quanto somigli così spaventosamente ad una persona che non è né me né te...non posso non pensare che stia crescendo tra le mie braccia, che lei avrà il mio odore, imparerà da me tutto ciò che potrò insegnarle della vita...ed è una sensazione impagabile- 

- Non avrebbe potuto sperare di me- ah!- 

- Oh no! Scusa!- Un piccolo taglietto stava rilasciando qualche goccia di sangue sulla guancia destra del ragazzo. - Comunque te l’avevo detto di stare zitto- Prese un panno bagnandolo con dell’acqua pulita e gli tamponò la ferita accuratamente. - Delle volte ho la sensazione che tu non mi dia ascolto-

- Delle volte io ho la sensazione che la mia testa non me lo dia- E un silenzio scese pesante tra loro due, una volta che Bill ebbe realizzato che cosa stesse dicendo. In un attimo gli tornarono in mente le parole di Listing. Tom era strano a volte, era vero, ma sembrava stare molto meglio ora che aveva ciò che realmente desiderava. Appariva solo assente e scostante certe volte, ma mai violento o iracondo. Bill si sentì un po’ colpevole e gli salì a cavalcioni sulle gambe prendendogli il viso tra le mani.

- Non volevo rimproverarti, solo che mi dispiace averti fatto male, sono stato sbadato-

- Sei bellissimo- Sussurrò Tom estasiato. Si era innamorato davvero di quel viso dalla prima volta che gli aveva posato gli occhi addosso. Si sentiva in colpa perché non era in grado di comportarsi come una persona normale anche adesso che non gli mancava niente per essere felice. Non gli importava davvero di quella prigionia se era con Bill e Marleen, ma allora dove stava il problema? Era lui il problema. - Voglio fare l’amore con te-

- Era anche nei miei piani-

- No, Bill...non hai capito- Il moro era rimasto in silenzio a vedere Tom arrossire leggermente, senza veramente comprendere le sue intenzioni. Non poteva proprio immaginare che cosa gli stesse per chiedere. - Voglio che tu...faccia l’amore con me...per una volta- E Tom non era in grado di capire se era ancora la sua testa a giocargli brutti scherzi, oppure il cuore. Un desiderio strano che aveva provato solamente con Oskar, alla sua prima volta. Bill era rimasto fermo, come se ancora non ci stesse arrivando. In realtà aveva realizzato, ed era questo il punto: non sapeva se ne era capace. - Hai ragione, forse non avrei dovuto chiedertelo, io…-

- No...va bene...si può fare- Ma nonostante il suo annuire convinto, Tom leggeva timore nel suo sguardo.

- Cos'è che ti preoccupa?-

- ...che non sia come tu te lo immagini- 

- Io lo immagino con me e con te, il resto non conta- Bill sorrise, anche se nei suoi occhi era possibile captare una certa timidezza, come se fosse una prima volta per entrambi. Si chinò per baciarlo, ma si fermò appena ad un millimetro dalle sue labbra, un secondo di esitazione. Poi si convinse che era arrivato a fare cose nella vita che mai avrebbe pensato e si lasciò andare. Il sapore delle labbra di Tom era sempre lo stesso, anche se ora come ora aveva assunto una sfumatura diversa. Bill doveva essere in grado di cambiare genere dell’opera. Se lui era un attore di drammi adesso doveva recitare il copione di uno da commedie. Nessuno aveva detto che sarebbe stato semplice, ma si sarebbe impegnato tanto per ottenere quella parte. Si trasferirono in camera da letto e si presero tutto il tempo per spogliarsi e fin lì nulla cambiava. A baciarsi avevano invertito le solite posizioni, Tom sotto e Bill sopra, ma alla fine non era la prima volta. Era quindi tutto molto tranquillo e senza pressioni di alcun tipo. Si stavano rilassando a vicenda. 

- Sei ancora convinto?- Chiese quando sentì che ormai era arrivato il momento di cominciare ciò che sarebbe stato diverso. Tom annuì.

- Lo sai che sono molto testardo- Disse per sdrammatizzare, anche se anche lui aveva un po’ di disagio negli occhi. Era da sei anni che non lo faceva, aveva dimenticato perfino la sensazione. Ricordava che quando era piccolo, aveva fatto davvero molto male, aveva perfino perso un po’ di sangue nonostante Oskar fosse stato il più gentile e delicato possibile. Alla fine arrivò a pensare che questo poteva essere un aspetto di sé che non concedeva a tutti, era in qualche modo una prova di amore eterno. E se quello con Oskar non aveva potuto esserlo perché morto nel momento che lo avevano scoperto, era sicuro che non avrebbe mai smesso di amare Bill, anche se quello stesso destino fosse toccato ad uno di loro due. - Bill-

- Dimmi-

- Tu non pensare a me ora, va bene?-

- Mi stai chiedendo una cosa leggermente impossibile- Rispose ridacchiando leggermente nervoso.

- Io questo l’ho già fatto. Voglio che per te sia una seconda prima volta...e come l’originale, desidero che sia altrettanto bella e soddisfacente per te- Il moro comprese che era il suo tentativo per non farlo agitare e sorrise chinandosi per donargli un piccolo bacio. 

- Ed io per te- Sussurrò. Prese poi un respiro dirigendo la mano a sud verso l’apertura di Tom e la forzò con un dito. Non trovò nessuna difficoltà ad entrare completamente. - Ti ho fatto male?-

- No…- Tom era davvero arrossito e Bill lo trovava così dolce.

- Sei adorabile- Tom non ebbe il tempo di replicare, che Bill introdusse due dita cominciando a fare avanti e indietro per abituarlo a quella sensazione.

- E’...terribilmente strano- Ansimò sentendosi già avvampare. Le dita di Bill stava risvegliando nuove sensazioni in lui, ed erano dannatamente piacevoli.

- Più parli e più mi sto eccitando- Quella parte così vulnerabile di Tom stava facendo letteralmente impazzire Bill. Pareva così fragile, così da proteggere, come fosse stato ancora quel bambino dell’orfanotrofio abbandonato da suo padre. Bill non voleva solo farlo suo, bensì desiderava amarlo e fargli comprendere che anche lui avrebbe fatto di tutto per la sua felicità. Tornarono a baciarsi con sempre più passione. Bill ad un certo punto fu costretto a poggiare una mano sulla spalliera perché stava per “scivolare” erroneamente dentro Tom senza preavviso e si era fermato appena in tempo. Dopo una serie infinita di baci e preliminari, si ritrovarono ansimanti a guardarsi negli occhi.

- Non aspettare ancora- E quelle parole sussurrate nel silenzio fecero sparire qualsiasi dubbio dalla mente di Bill, il quale avvicinò le proprie dita alla bocca di Tom. Lui le leccò assicurandosi di inumidirle di saliva abbastanza per bagnare l’erezione di Bill. Una volta fatto, realizzarono entrambi che era giunto quel momento. - Che c’è? Adesso non hai più il coraggio?-

- Non prendermi in giro, lo faccio seriamente, Tom- E nonostante sorridesse, il suo tono era serio e ciò fece deglutire Tom per un istante, ma non di paura. Bill era davvero uno spettacolo, con il suo ciuffo ora sbarazzino e quegli occhi scuri e decisi. Si sentiva quasi una stupida verginella davanti a lui e desiderava poter essere infinitamente suo per quella notte. Bill si chinò su di lui, in un gesto di protezione che aveva imparato da tutte le volte che era Tom a farlo. - Fermami se dovesse essere troppo per te- Tom sapeva che sarebbe stato troppo, ma era consapevole anche che non lo avrebbe fermato, per tutto il sangue versato e il dolore espresso. Desiderava Bill. Quando egli iniziò a spingersi dentro Tom, si stupì di quanto fu facile...e infatti non passarono neanche due secondi prima che il ragazzo contrasse i muscoli e lo bloccasse. Bill gemette e non seppe per cosa, ma era stata una sensazione nuova e unica. Tom era così caldo e lui stava cominciando a non vederci più chiaro. Era questo che si provava? Si abbassò sul suo collo lasciandogli tanti baci per farlo rilassare. Tom piano piano cedette, gli permise di entrare totalmente, e, proprio come ricordava, faceva davvero male. Non era per niente una bella sensazione a primo impatto. - Come stai?-

- Un po’ male...ma va tutto bene, davvero- Non voleva che si fermasse o che pensasse di star sbagliando qualcosa. Era tutto perfetto.

- C’è qualcosa che posso fare?-

- Continuare...e dire che mi ami- 

- Amo tutto di te, qualsiasi cosa- 

- ...e adesso continua- Bill cominciò a dare leggeri colpi di bacino e quella nebbia gli invase nuovamente lo sguardo. Si sentiva come un animale che non poteva più controllare i propri istinti. Tom aveva ripreso ad ansimare e ogni tanto emetteva dei piccoli gemiti che non riuscita a trattenere. Gli stava piacendo. Pensò che dire che amava Tom fosse un eufemismo, pareva banale, ripetitivo e senza più valore. Però era vero e sapeva di poterlo dire tutte le volte convinto che fosse realmente così. Non aveva nulla da nascondere a Tom e non lo avrebbe avuto mai! - Ti amo, Wilhelm- E quando anche Tom lo sussurrò con il suo nome completo accanto, ormai madido di sudore e scosso dal piacere, fu anch’esso un momento autentico. Voleva che Tom non smettesse mai di dirgli che lo amava, anche laddove non ci sarebbe più stato con la testa, loro dovevano continuare maledettamente ad amarsi, a respirare l’uno dell’altro, a vivere insieme! Loro due e quella splendida bambina.

- Ci hai mai pensato?-

- In questo momento non riesco a pensare- Risero senza riuscire a baciarsi come avrebbero voluto. - A cosa?-

- Io, te e Marleen...in una casa di campagna...soli…- Disse tra gli ansimi. Sì, Tom lo aveva sognato tantissime volte prima di avere la piccola. La campagna era il luogo di pace dove nessuno li avrebbe disturbati. Si sarebbero rifugiati lì non appena tutto quel tumulto fosse finito e sarebbero invecchiati insieme, Marleen sarebbe cresciuta, avrebbe studiato e si sarebbe sposata con qualcuno che l’avrebbe amata sul serio. Tom però non aveva la forza di rispondere in quel momento, tirò semplicemente Bill a sé per fargli capire che sì, ci aveva pensato. Durante quei baci però accadde che Tom si sentì improvvisamente inebriato dal piacere più assoluto e non si trattenne più venendo prima di quanto si potesse immaginare. Non credeva che Bill potesse essere così bravo...o magari non era bravo, era lui che era “vergine” da un bel po’ di tempo. Nonostante questo, Bill continuò, e venne dopo pochi secondi liberandosi con un lungo gemito dentro Tom. Era stato davvero bello, non credeva che potesse essere così completo anche da quel punto di vista. Finirono ansimanti nel letto a riprendersi da questa nuova esperienza. Si coprirono di più perché il freddo li investì improvvisamente e ripresero a baciarsi per ritrovare calore almeno sulle labbra. - Come è stato?-

- Qualcosa che non mi aspettavo. Sei stato...molto bravo...e attento- Ora che era finito pareva in imbarazzo a parlarne. Bill ridacchiò a notare le sue guance rosse. Lo amava tanto. - Mi chiedo come tu non abbia avuto occasione di farlo prima- Bella domanda. Bill a quel punto non sorrise più tanto, ma si sistemò meglio tra le braccia di Tom sospirando. - In effetti ci sono tante cose che non so di te ora che ci penso…-

- Forse è arrivato il momento di raccontartele- Il moro odiava parlare di certe cose, non voleva ricordare il suo passato felice che poi aveva irrimediabilmente cozzato con una realtà spinosa e a tratti rivoltante. Tuttavia per Tom fece questo sforzo. - Non ho mai avuto certe occasioni per molti motivi, ma tutto partì dal fatto che fui costretto a rimanere in casa quando ero piccolo siccome ero un bambino molto particolare e spesso gli altri tendevano ad escludermi. I miei genitori decisero di nascondermi agli altri, di farmi vivere al buio da tutto e da tutti, così da non crescere con una brutta reputazione. Certo, rare volte mi capitava di uscire...ma a causa del fatto che non vedevo mai il sole, la mia pelle era bianchissima e molti vociferavano che io fossi un fantasma. Ero spesso debole a causa della carenza di vitamina D, ma durante quegli anni, guardando mia madre, sviluppai la mia passione per l’arte- Wow, era una storia davvero strana e particolare. Tom ammirava tanto la pelle di Bill, la trovava bellissima anche se era paragonabile a quella di un albino. Gli prese la mano accarezzandogliela. Era così morbida... 

- La gente è davvero stupida, ti ha trasformato in una leggenda nel mondo delle favole spaventose e non in quello dell’arte- Bill sorrise intenerito da quel broncino che a volte riaffiorava sulle labbra del ragazzo al suo fianco. Assomigliava dannatamente a quello di Marleen.

- Non voglio essere una leggenda per nessuno, meno che per te e nostra figlia- Sussurrò alzando lo sguardo. Tom abbassò il proprio incontrando i suoi occhi. Aveva appena detto…?

- Marleen...nostra figlia- Lo stava ancora realizzando ma quando ebbe chiaro il concetto non poté fare a meno di sorridere. - Sì...è nostra-

 

***

 

Due anni dopo… (Schwerin, anno 1936)

In quel poco tempo la situazione in Germania era decisamente peggiorata. Quel pazzo di Hitler era riuscito a prendere il potere ormai da tre anni e nessuno era riuscito a debellarlo. Nessun angolo del mondo sembrava essere sicuro, per nessuna persona! Era giunta notizia anche del primo campo di concentramento aperto a Dachau dove gli ebrei venivano deportati. Era tutto solo all’inizio e sembrava che la vita stesse decisamente capitolando. Bill e Tom permasero chiusi nella loro dimora fino a che compresero che la capitale non era più un posto sicuro per loro due e neanche per la piccola Marleen. Una notte quindi la presero e scapparono. Fu la fuga più brutta e ansiogena della loro vita. Non presero niente, solo lo stretto necessario. Si misero addosso quanti più vestiti poterono e quelli della bambina li riposero in una sacca non troppo grande. I soldati avevano cominciato a controllare le strade, ma fortunatamente non in maniera così tassativa. Bill e Tom cercarono di apparire più volte persone separate, che non avevano niente a che fare l’uno con l’altro. Grazie a questo metodo, riuscirono ad acquistare due biglietti del treno diretti a Schwerin. Non era una città molto distante da Berlino, ma non potevano permettersi di più per non rimanere al verde. Erano riusciti anche a trovare un appartamento carino aiutati soprattutto da un amico di Bill, il signor Gustav Schäfer. Egli era un signore illustre di Schwerin e conosceva Bill tramite suo padre. Era un amico fidato, una persona riservata e l’unico che era arrivato a conoscenza della situazione di Bill e Tom a tutto tondo, per questo aveva deciso di aiutarli. Egli non li discriminava, al contrario, li ammirava per il loro coraggio. Quando arrivarono, si resero conto che per campare avrebbero dovuto cercare un lavoro. Entrambi non persero tempo. Quando non erano in casa affidavano Marleen a Gustav, che cresceva e teneva compagnia alle sue due figlie più grandi di lei di un anno. Tom aveva trovato un impiego in una fabbrica mentre Bill come commesso in un negozio di abbigliamento. Non avevano chissà quale paga ma riuscirono ad andare avanti due anni così e Bill fortunatamente non dovette rinunciare alla passione per la pittura. Quando non riusciva a dormire si alzava e andava a dipingere, rigorosamente al buio. Sentiva le sirene di alcune macchine dell’esercito che passavano a tutta velocità e vedeva i soldati passeggiare da quella finestra, ma tentava di concentrarsi sulle proprie emozioni e su ciò che voleva imprimere su quella tela. Si ritrovò a pensare che aveva rinunciato a tutto: al titolo, ai soldi, ad un lavoro prestigioso e ad una protezione. Tutto per amore. Cominciò a buttare giù roba e non si accorse che un musetto curioso lo stava osservando. Quando percepì il rumore della porta che cigola, sussultò.

- Chi c’è?-

- Papà...- Era la vocina di Marleen che ormai aveva imparato a camminare. Stava lì sulla porta, i capelli lunghi e scarruffati, leggermente mossi, gli occhi assonnati e la vestaglia da notte un po’ sgualcita.

- Amore dovresti essere a letto- Le sussurrò con dolcezza.

- Papà russa- Bill sorrise intenerito e divertito. Era da un po’ di tempo che Marleen dormiva con loro. Era capitato che alla radio sentissero la notizia di un bombardamento e lei si era spaventata. Da quel momento in poi non aveva voluto saperne di dormire da sola. - Che fai?-

- Dipingo-

- Posso io?- Bill rimase stupito di questa domanda, tuttavia le passò il barattolo con la tempera.

- Non sporcarti troppo- Si raccomandò. Bill a quel punto si aspettava che Marleen cominciasse a dipingere a caso, visto e considerato che era notte fonda e non si vedeva un accidente, invece la piccola iniziò a tracciare linee chiare e precise. Per un attimo Bill pensò che aveva acquisito la sua vista da gatto e arrossì sciogliendosi in un brodo di giuggiole. Quella era la sua bambina ed era orgoglioso di lei.

- Che ci fate qui?- Una terza voce si intromise nella stanza ed era quella di Tom che si stava strofinando gli occhi con le mani per acquisire una buona vista, anche se era difficile in quell’oscurità. Bill si avvicinò e lo prese per mano. Lo fece sedere su una poltrona un po’ polverosa e gli si mise a sedere sulle ginocchia.

- Non avevamo sonno- Rispose mentre Tom aveva cominciato ad accarezzargli le lunghe gambe nude. - Abbiamo pensato di dipingere un po’ insieme- 

- Capisco- Egli non sembrava dello stesso avviso in quanto appariva molto assonnato. Bill cominciò a lasciargli teneri baci sulle guance, sulla fronte e sulla bocca. - Bill-

- Dimmi-

- Ti sei mai pentito di tutto questo? Voglio dire, guarda dove siamo, tu…-

- Shh- Bill gli poggiò un dito sulle labbra. - Non ho mai avuto dubbi da quando ti ho conosciuto, vada come vada, io sarò sempre con te- “...anche quando non mi vedi” avrebbe voluto aggiungere, ma non volle pensare minimamente ad un futuro senza Tom e Marleen.  Si fermarono a guardarla che stava andando davvero sicura su quel foglio con le dita sporche di vari colori. Era adorabile. - Ha un futuro da artista, non credi?- 

- Dipinge al buio?-

- Ha gli occhi da gatto...come me- La piccola procedeva concentrata, senza prestare ascolto ai loro discorsi. Era stupefacente. Ad un certo punto quella calma venne interrotta da un insolito fischio, come se qualcosa stesse cadendo dall’alto. Tom era sicuro che non gli era nuovo come rumore, e appena realizzò, il cuore si arrestò in un istante, e non seppe dove prese la forza ma riuscì a gridare: 

- PRENDI LA BAMBINA!- Bill si fiondò su Marleen e con Tom si rannicchiarono in un angolo. Pochi secondi dopo il rumore dell’esplosione di una bomba li scosse, ma rimasero fermi e abbracciati sperando che quella non fosse la fine. Dopo quel frastuono e leggero terremoto, realizzarono di essere ancora vivi, ma i vetri delle loro finestre erano saltati a causa dell’onda d’urto. Fu il pianto spaventato di Marleen la certezza che erano ancora in vita. - Oddio…-

- Tom…-

- Non è successo niente…- Prese la bambina con le braccia che ancora tremavano e la cullò per calmarla. Era molto terrorizzata e non smetteva di strillare logicamente. Nessuno sapeva se quella sarebbe stata la sola bomba che avrebbero lanciato su Schwerin. Fu in quel momento che, guardandosi negli occhi, Bill e Tom realizzarono che cambiare città era stato inutile. La seconda guerra mondiale li avrebbe seguiti ovunque loro cercassero di scappare e prima o poi li avrebbe trovati. Era un gioco a nascondino dove era facile capire chi avrebbe vinto, ma sul libro del destino poteva esserci scritto tutt’altro finale. 

 

***

 

- SEI MATTO, TOM!?- Non avrebbe mai pensato di riuscire ad urlarglielo addosso in quel modo, ciò che più aveva cercato di negare nella propria vita. Era la loro prima vera discussione e nessuno dei due immaginava che sarebbe stata così accesa.

- Smettila, Bill! Ho deciso di fare così e non puoi impedirmelo!-

- Allora io vengo con te!-

- Ti ho detto di no, maledizione!- Gridò con gli occhi iniettati di disperazione e stritolando nella mano una carta giallognola contenente una lettera da parte dei Winkler. Entrambi, non si sa come, avevano scoperto dopo due anni dove abitassero, e avevano spedito loro delle parole all’apparenza pacifiche. Era una lettera di scuse, lunga, sincera e sentita, dove chiedevano perlomeno di poter vedere Marleen un’ultima volta, giurando successivamente che non li avrebbero più importunati e che avrebbero ritirato la denuncia fatta a carico di Tom per averli buttati fuori dal loro domicilio. Bill si era opposto categoricamente alla cosa, temendo che ci fosse qualcosa sotto e volendo proteggere Marleen. Tom invece era di tutt’altra veduta, dato che credeva di essere abbastanza responsabile di lui e di sua figlia, ed inoltre gli avrebbe fatto comodo che quella denuncia venisse ritirata. Quando si erano resi conto di non percepire la questione allo stesso modo, era iniziata la litigata. Bill era arrivato al punto di insinuare che Tom volesse mettere a repentaglio la vita della figlia e questo il ragazzo non aveva potuto sopportarlo. Aveva preso la bambina e l’aveva chiusa in una stanza. Preferiva piangesse perché aveva paura della solitudine e non perché li vedeva discutere. A quel punto si era liberato. - Devi rimanere qui!-

- Sì, ad aspettarti!? Tu potresti non tornare, e neanche Marleen!-

- Torneremo, invece-

- E se così non fosse?- Gli occhi di Bill si inumidirono alla sola immagine. - A che cosa sono serviti i miei sforzi, le mie rinunce? A che cosa? A sapervi morti o magari...se venissero a conoscenza di noi due...catturati e...deportati…- Ed era crollato con le mani sul viso per nascondersi da un Tom che non sapeva se adesso lo avrebbe compreso ancora. - Tom, ammazzano la gente! E tu vuoi accontentare persone che ti sono sempre state ostili!? Preferisci rischiare per cosa!? Per una denuncia!? Tom, ora ti sparano con niente!-

- Stai esagerando, e poi sono tedesco, non ebreo-

- Certo, e pensi che quel pazzo si fermi all’idea che tu sei omosessuale! -

- Ma questo quel pazzo non lo sa!- 

- Tu...vuoi avere proprio l’ultima parola, vero?- Aveva realizzato che era inutile continuare. Tom non era intenzionato a cambiare la sua idea. - Ed io dovrei lasciare che tu metta in pericolo la vita di Marleen?- 

- Ancora con questa storia!? E’ mia figlia!-

- Sì e non fai niente per proteggerla! VUOI SOLO METTERLA IN PERICOLO! COME HO FATTO A PENSARE ANCHE PER UN ATTIMO CHE TU POSSA ESSERE UN BUON PADRE!?- Non passò neanche mezzo secondo prima che Bill sentì la propria guancia frizzare e stette quasi per perdere l’equilibrio. Tom era ansimante dalla rabbia accumulata. In quello schiaffo ce l’aveva messa tutta, al punto che per un secondo Bill non era sicuro di poter muovere la mascella per parlare. Tom aveva osato colpirlo, lo aveva fatto davvero. 

- Bill…-

- Voi uomini violenti li sapete piazzare proprio bene gli schiaffi…- Commentò massaggiandosi leggermente la parte lesa e che si stava visibilmente arrossando. Le lacrime scendevano calde e copiose, ma senza aiutare a lenire o sfogare il dolore morale che Bill stava provando in quell’istante. 

- Io...Bill, non so...non so cosa mi sia preso- Si avvicinò cercando di prendergli il viso tra le mani ma Bill si scostò malamente da lui.

- Non toccarmi!- E lo spinse via. - Voglio che tu te ne vada! Vai dove accidenti ti pare! Prendi quella bambina, prendi le tue dannate cose! VATTENE DI QUI!!!- Aveva gridato fuori di sé. Tom era rimasto bloccato non aspettandosi che una tale furia uscisse da Bill. La guerra stava cambiando anche lui. Si era spogliato degli abiti ricchi e del portamento posato, dell’uomo che gli piaceva leggere romanzi d’amore aspettando di poter vivere il proprio. Adesso era un uomo con stracci addosso, i capelli scompigliati, gli occhi rossi, il viso irruvidito da una leggera barba che stava cominciando a spuntare...e aveva smesso di credere alle favole. Tom aveva leggermente indietreggiato sotto gli occhi iracondi di Bill, che lo fissava accertandosi che facesse esattamente come aveva detto. Il ragazzo andò nella stanza dove Marleen aveva smesso di piangere e si stava intrattenendo con dei soprammobili, li tocchicchiava e li esplorava come una bimba di due anni fa. Suo padre la prese in braccio allontanandola da quel noioso passatempo. Le asciugò i residui delle lacrime senza dirle niente. Afferrò la sacca e cominciò a prepararla sotto lo sguardo della bimba che permaneva a sedere sul materasso dei suoi genitori.

- Che fai papà?- Chiese con la sua vocina, ma Tom non le rispondeva continuando a porre tutto dentro alla rinfusa. Sembrava avere l’intenzione di farla scoppiare. - Papà?-

- Andiamo via-

- Dove?-

- Dai nonni-

- Dai nonni?-

- Sì, dai nonni!- Rispose con un tono un po’ alto che fece sussultare la piccola. Sospirò accorgendosi che non era colpa sua. Lei non poteva avere colpa di essere venuta al mondo. Tom si pose in ginocchio davanti a lei e l'abbracciò. - Scusa, amore- Ma Marleen iniziò comunque a piangere.

- Papà cattivo!- E credeva che fossero le parole più giuste in quel momento, non le dava torto. Marleen cercò più volte di picchiarlo con quelle manine per allontanarlo da sé tutte le volte che egli tentava di vestirla. Tom tentò di non esasperarsi, anche se a volte avrebbe voluto colpire pure lei. Non in maniera brusca ed esagerata come era successo con Bill, ma semplicemente per farla stare ferma! Doveva obbedirgli, per la miseria! Con un po’ di pazienza alla fine riuscì a vestirla e la riprese in braccio. Bill era ancora in salotto con le braccia conserte, che attendeva. In quel tempo aveva riflettuto, ma la rabbia era ancora troppo forte. Tom si era permesso di fare un gesto che non sarebbe stato perdonato facilmente. - Papà…- Mormorò Marleen appena lo vide. Tentò di allungarsi, ma Bill si rifiutò di prenderla e questo le fece male. Non la stava neanche guardando, perché?

- Lascialo stare, noi dobbiamo andare-

- Papà!- Continuò lei, e Bill cercò di resistere alla sua vocina dolce. Era così brutto sentirsi chiamare “papà” e non poterle rispondere, fare finta di non sentirla e di non esistere. Fingere di non essere davvero il suo papà, che quella non fosse sua figlia. Stava deludendo anche Saphira, ma il quell’istante l’orgoglio lo muoveva, convinto che non poteva sistemare le cose con Tom adesso. Forse non avrebbe più avuto occasione di farlo...ma ora come ora non sembrava importargli. - Papà!- All’ennesima volta Bill alzò lo sguardo e vide la bimba in lacrime che tentava di sbracciarsi per raggiungerlo. Stava sentendo una sensazione di abbandono.

- Tom…-

- Dobbiamo andare o perderemo il treno- Affermò serio ignorando Bill e le urla di sua figlia, uscendo quindi dall’appartamento.

- Non piangere...piccola mia- Riuscì a dire prima che la porta si chiudesse, poi cadde in ginocchio scoppiando in un pianto disperato con le mani sul cuore. Non aveva avuto modo di dire addio alla piccola Marleen, a sua figlia. Era successo tutto così in fretta. Sapeva però di non poter dare tutta la colpa al tempo. - Non piangere…- Sussurrò in quella stanza ormai silenziosa.

 

***

 

Il viaggio verso Berlino era stato davvero lento, ma Tom era riuscito ad estraniarsi con la mente per fare in modo che passasse il più in fretta possibile. Marleen aveva tenuto un broncio offeso per una buona oretta, nella quale non aveva voluto saperne di rivolgere mezza parola a suo padre. Era molto arrabbiata con lui e gli mancava terribilmente papà Bill, anche se ce l’aveva pure con lui. Perché non aveva detto a Tom di fermarsi? Perché non gli aveva impedito di andarsene? Certi problemi lei ancora non poteva capirli, ma ne subiva comunque le conseguenze perché troppo giovane e indifesa. Marleen nel suo cuore non vedeva l’ora di diventare grande e alta come i loro papà, così nessuno avrebbe più potuto maneggiarla come fosse un oggetto da trasportare dove più aggradava loro. Tuttavia l’ultima mezz’ora di viaggio non aveva potuto fare a meno di addormentarsi e Tom di prenderla tra le proprie braccia. Nel mentre le accarezzava i capelli pensava a Bill, alla loro discussione e anche ai momenti vissuti in quegli anni. La prima parola e i primi passi della loro bambina, le notti d’amore, le risate...e non si rese conto delle lacrime.

- Papà...pangi?- Chiese una vocina. Abbassò lo sguardo e c’era la bimba che lo fissava con i suoi grandi occhioni di quel marrone-grigio indefinito. 

- Dormigliona, ti sei svegliata- Le sorrise per rassicurarla. 

- Facevi sigh sigh- Imitò dei singhiozzi. - E ho sentito…- Concluse con un tono un po’ colpevole, come se avesse appena fatto la spia. - Pecché piangi, papà?-

- Va tutto bene-

- Sicuo?- Chiese poggiandogli una mano sulla guancia ancora un po’ umida.

- Sicuro, amore. Scusa per prima, non volevo essere cattivo con te, mi perdoni?- La bambina sorrise e annuì abbracciandolo forte forte. Amava il suo papà, amava le sue braccia, il suo odore e il suo calore. Era capace di farla sentire davvero protetta. - La mia bambina…- Sospirò felice di quel momento. Pochi secondi dopo il treno fischiò e li separò dall’abbraccio. - Siamo arrivati, scendiamo- Marleen non ricordava come fosse Berlino. Quando uscirono dalla stazione, la vide così grande che quasi ne ebbe timore. Lei era ancora così piccola...

- Papà…-

- Dimmi-

- In baccio…- Protese le braccia verso l’alto e Tom, con un leggero gemito di sforzo, la prese e proseguì camminando. Alcuni soldati logicamente marciavano ma non li importunarono. Non portavano la stella gialla sui vestiti ed inoltre un uomo con una bambina non rappresentava alcuna minaccia per le forze dell’ordine. Fortunatamente la dimora dei Winkler non distava chissà quanto dalla stazione, circa venti minuti di camminata. Quando arrivarono, Tom si fermò e ricordò tante cose. Quella casa era sempre stata sotto delle nuvole grigie.

- Ci siamo-

- Dai nonni?-

- Sì- Deglutì infondendosi coraggio. Schiacciò il campanello e aspettò che qualcuno gli aprisse.

- Signorino Tom!- Una donna gli corse incontro verso il cancello e il ragazzo non ci mise molto a riconoscerla.

- Sarja!- Era sempre una donna bellissima, le era spuntata solo qualche ruga in più, al contrario di Tom che invece era ancora fresco nei suoi vent’anni. - Come stai?- Ella intanto aprì loro il cancello e li fece entrare.

- Bene...e questa piccina? Vieni qui, pasticcino- La prese in braccio e Marleen non protestò. Le piaceva quella donna anche se non sapeva minimamente chi fosse.- Quanto è diventata grande- Disse con voce commossa. Nella bambina rivedeva tanto Saphira e ricordò il giorno del suo funerale. Non aveva fatto sapere niente né a Tom né a Bill in modo che non si sentissero in colpa per non essere stati presenti.

- Il tempo passa per tutti-

- Già...e Bill? Ho sentito di quel bombardamento a Schwerin…-

- E’ stata una bella botta ma stiamo tutti bene- Cercò di mantenere un’espressione serena e non menzionò per niente il ragazzo. Non aveva voglia di parlarne adesso. La domestica condusse entrambi in casa e i signori Winkler erano lì nel salone in piedi per accoglierli. Frau Winkler si avvicinò subito prelevando Marleen dalle braccia di Sarja.

- Ciaooo, bene arrivata, bene arrivati a tutti e due- Si accostò a Tom e lo abbracciò, quando prima non si sarebbe minimamente azzardata a respirare la stessa aria di un pezzente come lui, e già quello parve molto strano. 

- Avete fatto buon viaggio, spero- Si palesò Herr Winkler. - Vuoi qualcosa da bere, Tom? Una birra?-

- No...sono a posto così- Si allentò il colletto sentendosi divorato dal nervosismo. Erano così strani, non sembravano neanche loro. Frau Winkler mostrò la nipotina al marito, il quale si congratulò per quanto fosse bella. Marleen in tutto questo si sentiva smarrita. Aveva visto così tanti volti nuovi in pochi secondi che le stava venendo da piangere, voleva il suo papà. 

- Papà…- Disse infatti. Tom scattò subito sull’attenti e si avvicinò prendendola dolcemente dalle braccia della signora Winkler.

- Non è abituata alla gente nuova- Cercò di giustificarsi.

- Non preoccuparti, Tom, è tutto normale, soprattutto in questo periodo dove è bene non uscire più di tanto- Era la prima volta che il ragazzo si trovò a sorridere loro, quasi contento che capissero la situazione e il temperamento della nipote. 

- Abbiamo una sorpresa per Marleen, le piace il succo ai mirtilli?- Tom fece un’espressione stranita.

- Ehm...non glielo abbiamo mai fatto bere- 

- Ah allora lo assaggerà. Vieni, Sarja deve aver preparato la merenda- Si spostarono nella sala da pranzo sedendosi a tavola. Tom venne nuovamente invaso dai ricordi di quando lui e Saphira si consideravano solo fratelli e si scambiavano il cibo da sotto il tavolo. Ora la sua sedia era vuota ma in compenso gli aveva lasciato una bellissima figlia, la quale stava divorando i biscotti preparati da Sarja. - Ma la nutrite?- Chiese scherzando Frau Winkler. Tom cercò di non percepirlo come un insulto e mostrò un’espressione bonaria.

- Si vede che i biscotti di Sarja sono davvero buoni, anche io li ricordo irresistibili-

- Allora serviti pure- Herr Winkler gli avvicinò il vassoio. Tom esitò un po’ ma alla fine allungò una mano e ne prese uno sgranocchiandolo quasi a disagio. - Proprio come li ricordavi?-

- Sì…-

- Bevi anche del succo- Fu Frau Winkler a versarglielo in un bicchiere che Tom si sforzò di accettare e di buttare giù giusto per non essere scortese. - Ti piace il succo ai mirtilli, amore?- Si rivolse poi alla bambina, la quale annuì con le guance piene di briciole e il pancino pieno. - Allora te ne faccio mettere da parte una boccetta così te la porti a casa, mh?- Prima che Tom potesse dire che non era necessario, la donna ordinò a Sarja di prepararla. Si trattennero con altre chiacchiere e ovviamente non poterono evitare di chiedere di Bill. Il ragazzo in quell’istante si bloccò un poco, ma non volle far trasparire niente di male. 

- Ha trovato un lavoro in un negozio di vestiti, ma purtroppo il bombardamento lo ha danneggiato abbastanza gravemente e poi in questo periodo è difficile incontrare un impiego stabile-

- Oddio...ci dispiace molto. E tu, Tom?-

- Io in una fabbrica, che è ancora in piedi fortunatamente- Non menzionò una loro relazione e non sapeva se i Winkler ne erano a conoscenza o meno, lui era lì solo per chiudere con il passato. - Direi che si è fatto tardi, dobbiamo tornare a casa- Anche se non sapeva se aveva ancora una casa. Voleva solo tornare da Bill e chiarire, gli mancava da morire. Si sarebbe fatto perdonare in tutti i modi possibili, se necessario. 

- Aspettate, non dimenticate questo- La donna passò loro la boccetta di succo di mirtilli e fu Marleen a prenderla tra le piccole mani. Salutarono anche Sarja, la quale sperava di rivederli un giorno, anche per caso, ma chissà perché, aveva il presentimento che non sarebbe stato così. I signori promisero di ritirare la denuncia, furono realmente di parola, e Tom rimase molto bene di questo incontro, cosa che sinceramente non si aspettava. Tornarono alla stazione e lì trovarono il dottor Listing nei pressi dei binari in attesa. Appena anche egli li vide, non si risparmiò un caloroso saluto.

- Ciao, Tom! Quanto tempo! Come stai?- Si prese la libertà di abbracciarlo e solo in quell’istante Tom notò che portava sul cappotto una stella gialla. 

- Ciao…tutto bene- Per questo lo salutò con una certa riluttanza nel tono. - Perché qui?- Tuttavia sorrise. In fondo quell’uomo non gli aveva fatto niente. Ebreo o no, non aveva senso odiarlo al punto di volerlo morto.

- Sto aspettando un treno per Potsdam, successivamente prendo quello per Schwerin- Tom annuì semplicemente, sempre con un sorriso accomodante. Georg notò anche la piccola Marleen e non mancò di farle qualche moina. - Mi sembra solo ieri che eri appena nata- La accarezzò sospirando al ricordo di sua madre e di quel parto a tratti traumatico. - Beh, allora ci vediamo, Tom-

- Sì, sicuramente- Il dottor Listing si allontanò e poco dopo si sentì il fischio del suo treno che partiva. Tom in quell’istante ebbe un giramento di testa e perse per un istante l'equilibrio.

- Papà!- Gridò la piccola preoccupata.

- Non preoccuparti, tesoro, non è stato niente. Vieni, quello deve essere il nostro treno- Salirono e trovarono posto in fretta fortunatamente. Tom stava cominciando a sentirsi poco bene. Non sapeva perché ma aveva delle caldane assurde e gli occhi pesanti. Marleen si addormentò ancora e in poco tempo si fece sera. Era comprensibile che fosse stanca. Tom quindi si dovette armare nuovamente di una forza che non possedeva per prenderla in braccio una volta giunti a Schwerin, dopo le solite due ore. Il ragazzo fermò un taxi e si fece lasciare nella via dove abitavano. Entrò nel condominio girando le chiavi nella toppa. Non aveva più fiato...si sentiva terribilmente accaldato e stanco. Si fece anche le scale e arrivò alla porta del loro appartamento. Bussò senza esitare. Quando la porta si scostò mostrando gli occhi di Bill, Tom già non li stava vedendo più. Aveva la vista appannata.

- Tom!-

- Bill…- Pronunciò debolmente. Il moro prelevò Marleen dalle sue braccia e andò a portarla nel suo lettino coprendola accuratamente. Non aveva fatto caso alla condizione di Tom, in quanto era già incredibile che si trovasse lì in casa sua ancora una volta e poi ce l’aveva ancora con lui per quello schiaffo. Il moro accarezzò il viso della bambina pensando che adesso era il momento di chiarire, ma non ebbe neanche il tempo di realizzare che udì un tonfo sordo provenire dal salotto. Accorse immediatamente e trovò il ragazzo disteso a terra completamente privo di sensi e con la febbre alta.

- TOM!- 

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Capitolo 14
*** Kapitel 14 ***


Kapitel 14


Marleen si era svegliata di soprassalto quando aveva sentito gridare il nome del suo papà in quella maniera. Il cuore le stava battendo all'impazzata. Era scesa immediatamente dal lettino ed era corsa in cucina. Quasi non si era neanche accorta di essere tornata in quella casa che credeva di aver abbandonato per sempre, era proprio l'ultimo dei suoi pensieri. Tom era ancora a terra e Bill lo scuoteva cercando di farlo rinvenire. Si augurò di star ancora dormendo perché tutto ciò la stava spaventando da morire.

- Papà!- La bimba corse accanto a Bill con la voglia di piangere. Che cosa stava succedendo al suo papà? Perché non rispondeva!?

- Marleen, ascoltami, non devi piangere- Le aveva detto Bill, sperando che lo ascoltasse. Era impanicato quanto lei ma non dovevano lasciarsi prendere dallo sconforto adesso. Era necessario mantenere il sangue freddo in certe situazioni. - Aprimi la porta della camera- Marleen eseguì mentre Bill cercava di prendere Tom tra le sue braccia e acquistare l'equilibrio necessario per non cadere. Erano entrambi molto indeboliti dalle circostanze ma non potevano far altro che aiutarsi a vicenda come il sogno di famiglia che si impegnavano penosamente ad imitare. Sarebbero davvero riusciti a rimanere uniti nonostante tutto? Non lo sapevano nemmeno loro. La guerra stava togliendo sempre più certezze giorno dopo giorno. Adagiò Tom sul letto e provvide a levargli anche i vestiti. Non doveva stare esageratamente al caldo.

- Papà...- Marleen si avvicinò con il labbro tremulo. Ci stava provando con tutte le sue forze, ma sentiva il bisogno di piangere. Sapeva che le sue lacrime non avrebbero fatto svegliare Tom, ma forse avrebbero dato pace al suo piccolo cuore. Bill non voleva vederla in quel modo, però comprendeva che per una bimba di soli due anni era difficile capire che doveva essere forte in quell'istante. Pensò che se avessero tirato un'altra bomba per loro sarebbe stata la fine, quindi il fatto che Tom avesse la febbre sarebbe dovuto essere il male minore...vero? Bill credette davvero di essere un pessimo genitore, perché tutto quello che fece fu accarezzare la testa della bimba, come se quel tocco sarebbe stato sufficiente a non farla cedere, e si era successivamente diretto a prendere del ghiaccio per vedere di abbassare la febbre di Tom. Intanto Marleen era rimasta lì e gli stava toccando la faccia con le manine raffreddate dal timore. - Papà- Sussurrava. - 'vegliati peffavore- E come se le sue parole fossero state magia, Tom riaprì gli occhi ritrovando quelli enormi della sua piccola Marleen che lo osservavano un po' intimoriti.

- Amore...- Emise con voce molto debole cercando di accarezzarle il visino rotondo, ma si sentiva tutto intorpidito e gli sembrava di avere più mani invece che una sola. La vista era notevolmente alterata.

- Pecché 'tai male?- Chiese, pur sapendo che la ragione non avrebbe contribuito a renderla tranquilla.

- Non è niente...è solo una febbre...- Marleen non ci credeva a quelle parole. Anche prima le aveva detto che non era niente, solo un giramento di testa, e invece era svenuto facendola spaventare a morte. Aveva tanta paura, però non lo disse, perché non desiderava che il suo papà avesse anche questo pensiero di lei spaventata. Doveva fare come aveva detto papà Bill, doveva non piangere e sperare che sarebbe andato tutto bene in qualche modo.

- Tom!- Appena Bill lo vide sveglio, mollò da una parte tutto quello che aveva preso e si era inginocchiato accanto a lui.

- Bill...- Il moro gli prese il viso tra le mani.

- Lo sai, ti riempirei di schiaffi fino a sdoppiarti adesso...- E fu lui invece a scoppiare in lacrime appoggiando al fronte sul petto del ragazzo, che adesso si sentiva in colpa. Aveva fatto soffrire Bill in tutti i modi possibili e lui era sempre lì per amarlo, per prendersi cura di quel fiore che andrebbe bagnato tutti i giorni...anche se il loro stava lentamente morendo. Tom si sentiva come se stesse per morire. A malapena riusciva a parlare e il respiro...percepiva come se ci fosse qualcosa che glielo rendeva una difficile impresa. Era sicuro che era colpa dei Winkler, era sicuro che erano stati loro...che in quel succo di mirtilli c'era qualcosa. Fu in grado di alzare la mano e di condurla ai capelli sempre morbidi di Bill accarezzandoglieli con dolcezza.

- Ti amo- Sussurrò dal suo cuore che si stava ammalando di una sostanza che non conosceva neanche lui. Forse era veleno...forse...forse sarebbe morto sul serio. Voleva quindi che in quel momento Bill sapesse che lo amava e che quello schiaffo non era stato un gesto lecito e soprattutto voluto. - Mi dispiace...per tutto...io non...non volevo farti...del male- Bill scuoteva la testa piano, non doveva parlare adesso. Era davvero molto debole.

- Tom, ti perdono qualsiasi cosa...qualsiasi- Gli poggiò una mano sulla guancia e si chinò per donargli un bacio a fior di labbra. - Ma non parlare ora e soprattutto non parlare in questo modo...- E delle lacrime tornarono a bagnare il suo viso. Sentiva come se gli stesse dicendo addio. No, non era così che doveva andare a finire. Marleen era ancora piccola, necessitava di entrambi per crescere, e Bill necessitava di Tom per vivere. Si era sempre detto che non sarebbe appartenuto a nessuno, ma Bill non apparteneva a Tom...lui gli aveva fatto conoscere la libertà e l'amore...e Bill apparteneva all'amore che Tom gli donava.
La bimba salì sul materasso e si stese con la testa sulla spalla di suo padre cercando di abbracciarlo con le sue piccole braccia sperando che questo lo guarisse almeno un pochetto. - Io e Marleen ci prenderemo cura di te, d'accordo?-

- Bill, voglio che mi prometti una cosa- Aveva freddo...e una sensazione indefinita, molto vicina alla paura più nera.

- Cosa?-

- Se...se ci dovesse essere un altro...bombardamento...non esitare a prendere Marleen e scappare...non voglio...essere un peso...perché è questo quello che sono...io e le mie decisioni idiote...io e la mia testardaggine...-

- Non dire queste cose, diamine!- Bill si era alzato di scatto, nuovamente arrabbiato, ma anche scoraggiato. Non poteva dirgli così, come se non credesse in un minimo di speranza. Afferrò il ghiaccio messo in un panno e glielo appoggiò sulla fronte.

- Bill, devi considerare...questa possibilità-

- La considererò nel momento che accadrà, ora voglio credere che tu starai bene e che prima o poi questo inferno avrà fine- Tom non pronunciò altre parole. Aveva ragione. Il pessimismo era l'ultima cosa che serviva, per quanto in quel periodo pessimismo e realismo fossero quasi sinonimi.

La mattina seguente...

Marleen aveva dormito con Tom tutta la notte, mentre Bill non aveva chiuso per niente occhio. Naturalmente aveva passato il tempo nella piccola soffitta a dipingere. Tuttavia quella mattina, quando Bill rientrò, il timore gli era scemato via in un istante alla vista di Marleen e Tom che dormivano insieme. La piccola si era svegliata subito, appena aveva sentito un rumore.

- Shh, sono io- La rassicurò. Era diventata davvero vigile dal bombardamento. Ogni minimo rumore la metteva sull'attenti. Era orribile che neanche una bambina di due anni potesse dormire sogni tranquilli senza rimanere perennemente allerta. Tom logicamente aprì gli occhi quasi subito dopo siccome aveva sentito qualche movimento nel letto. - Buongiorno, come ti senti?-

- Penso che andrò a farmi una corsetta...intorno all'isolato, sai...- Lo prese in giro. Bill assunse un sorrisino.

- Se ti è tornata la voglia di scherzare, allora stai sicuramente meglio. Senti, io devo andare a prendere delle provviste...insomma, ci vediamo tra qualche minuto. Vuoi venire con me?- Chiese poi guardando Marleen, la quale si protese e dette un bacetto sulla guancia del padre. - Vuoi rimanere qui con lui, vero?- Bill aveva già capito cosa quegli occhi stessero a significare. Marleen era terribilmente affettuosa quando si trattava di Tom. Come volevasi dimostrare, la bimba annuì. - Allora prendo qualcosa per colazione, faccio quanto prima- Si chinò e lasciò un bacio sulle labbra di Tom, che assunse un sorriso stanco. - E tu fai la brava, d'accordo?- Marleen fece un cenno d'assenso con la testa e Bill le sorrise capendo che non c'era neanche bisogno di raccomandazioni con una bimba come lei. Fortunatamente il mercato non era lontano e ci avrebbe realmente messo poco. Non osava immaginare che cosa sarebbe successo in quei pochi minuti, però erano senza alimenti e uno di loro doveva uscire per forza di cose.

- Vai pure...lei è un'ottima infermiera- Lo rassicurò Tom accogliendo Marleen tra le sue braccia. Lei sentiva che tra le braccia calde di suo padre stava pian piano riprendendo il sonno mancato. Bill intanto era già andato via e Tom era rimasto ad osservare il visino roseo di sua figlia che si era lentamente addormentata. Era un angelo, il suo piccolo angelo. Però...lui aveva ucciso sua madre facendola nascere...solo per non diventare pazzo. Aveva sulla coscienza, ogni giorno, il pensiero di Saphira e il modo in cui era morta. Avrebbe tanto voluto tornare indietro nel tempo ed evitare tutto quello, evitare quella notte dove avevano fatto sesso, evitare quel giorno dove gli aveva detto di essere incinta. No che non desiderasse la presenza di Marleen, la amava come nessun altro...ma era morta una vita per la nascita di un'altra, e a causa sua. Era merito suo se Marleen adesso gli dormiva accanto, e colpa sua se Saphira li osservava da lassù. Si avvicinò e baciò le piccole labbra di Marleen accarezzandole la guanciotta arrossata. Doveva scusarsi anche con lei perché le aveva portato via la madre...e con Bill perché si era innamorato di una persona come lui. Diceva di amarli ma era stato solo capace di ferirli e adesso si trovava nel letto con la febbre durante una delle peggiori guerre mai viste. Sì, meritava proprio che quel malore se lo portasse via. Si voltò verso la porta e riuscì a scorgere la boccetta di succo di mirtillo sul tavolo. In quell'istante un'idea malata mascherata da buona gli balenò per la mente.
Bill avrebbe capito.

***

Il moro rientrò a casa giusto un'oretta più tardi perché c'era una fila abbastanza chiassosa per il pane. Era veramente complicato anche solo girare per le strade, sembrava una guerra tutti contro tutti, nonostante fossero gli ebrei il problema. Bill non capiva perché avercela con quella gente. Per quanto ne sapeva, non avevano mai fatto niente di male ed erano persone acculturate, illustri, forse più di loro tedeschi. Erano solamente da ammirare. Ma l'uomo era portato a distruggere, soprattutto se il motivo era invidia, mescolato a pazzia e bramosia di potere. Appoggiò la borsa con le provviste sul tavolo e notò che la bottiglietta di succo ai mirtilli era priva del tappo e un po' di sostanza macchiava il legno. In un primo momento aveva pensato che Marleen aveva cercato di berlo e aveva combinato un disastro, così si armò di pazienza e pulì accuratamente la macchia promettendo di non arrabbiarsi con lei. Sistemò la spesa nelle dispense e poi si diresse in camera loro per vedere se Tom stava ancora dormendo e soprattutto se aveva voglia di mangiare qualcosa, più precisamente la colazione che aveva comprato. Si avvicinò al letto con passi lenti perché lo vedeva immobile e dedusse che si era nuovamente addormentato. Non voleva che gli prendesse un colpo come a Marleen quella mattina. Ma il colpo venne a lui quando si accorse che dalle sue labbra colava un liquido rossastro.

- Tom!!!- Si chinò prendendogli il viso tra le mani e dedusse che quello non era sangue...ma succo di mirtillo. Il panico iniziale scemò via, ma non del tutto. Cosa stava succedendo? Marleen si era logicamente svegliata e si era alzata perché doveva andare in bagno. Bill non l'aveva fermata e non le aveva chiesto nulla, dedusse solo che se lei era a letto non poteva aver bevuto il succo e che quindi era stato Tom...e capì che c'era qualcosa in quel liquido che non lo convinceva per niente. - Tom...- Non sapeva se essere furioso o sconfortato. Non comprendeva le sue intenzioni, perché avesse bevuto quell'affare. Stava scherzando!? Voleva farlo spaventare. - Tom, svegliati, non è per niente divertente!- Ma il ragazzo, per la seconda volta, non dava segni di reazione. Il panico tornò repentino quando comprese che in quella boccetta altro non c'era che del veleno. I Winkler avevano avvelenato Tom, ma perché lui ne aveva bevuto dell'altro? Voleva per caso ammazzarsi!? Il pensiero lo bloccò definitivamente.
Lui...si era ucciso.
Non c'era più niente da fare. Gli sentì il polso ed era completamente assente...forse appena percettibile o era perché le sue mani tremavano. Sembrava così freddo. - TOM!- Lo prese tra le braccia sperando che riaprisse gli occhi come l'ultima volta. - TI PREGO, TI PREGO TOM!- Lo scuoteva ma senza ottenere alcun tipo di risultato. Le lacrime avevano ripreso a scendere senza che lui potesse fermarle. Tom...era morto. Il suo amore, la persona che gli aveva detto che le avrebbero superate tutte rimanendo insieme, la persona che voleva una famiglia con lui! Si era tolto la vita! Si era suicidato a vent'anni!

- Papà...- La vocina di Marleen lo riportò alla realtà e la vide che teneva la bottiglietta di succo tra le mani. Sussultò e con uno scatto fulmineo, balzò verso la bambina e le schiaffeggiò la mano appropriandosi dell'oggetto.

- NON TOCCARE MAI PIÙ' QUELLA ROBA!- Gridò fuori di sé. La bimba aveva sobbalzato. Mai papà Bill si era azzardato ad urlarle contro, soprattutto in quel modo disumano. Non immaginava che lo aveva fatto perché quello altro non era che veleno e lei sarebbe potuta morire subito, senza neanche passare da sintomi come febbre e chissà cos'altro. Scoppiò infatti a piangere credendo di essere stata sgridata senza una ragione. In quell'istante Bill comprese di non essere adatto. Lui non poteva crescere Marleen senza Tom, perché non aveva un legame di sangue con quella creatura. Lo aveva detto fin dall'inizio che lui non voleva figli e quel viso arrossato gli stava confermando che aveva pensato giusto. - Vieni qui- La prese in braccio senza che lei si ribellasse e uscirono immediatamente di casa. Sapeva che cosa doveva fare, per quanto questo pensiero lo stava distruggendo. Non voleva che Marleen sapesse che suo padre era morto, non desiderava neanche che lo vedesse o che lo intuisse. L'unico modo era...lasciarla andare.
Suonò il campanello e aspettò che gli venissero ad aprire.

- Bill, che ci fai qui?- Fu questa l'accoglienza di Gustav, che logicamente sapeva il pericolo che correvano lui e Tom, e non voleva che si esponessero se non era indispensabile.

- Ti prego, fammi entrare- La sua voce era rotta dal pianto e il biondo non esitò ad accogliere lui e la bambina nella sua casa. Mise giù Marleen, che aveva visto le figlie di Gustav giocare con le bambole e voleva partecipare anche lei a quel siparietto.

- Che è successo?- Chiese preoccupato il biondo.

- Gustav, ho bisogno di un tuo favore enorme...ti prego-

- Bill...- Era esitante perché non sapeva che cosa gli avrebbe chiesto e in quel tempo non era sicuro di poter fare favori così grossi. - Dimmi-

- Hai una famiglia perfetta...una moglie meravigliosa...due bambine adorabili...e siete stati sempre molto gentili con me, Tom e Marleen...- Il biondo aveva un brutto presentimento. Gli stava per caso chiedendo di...?

- No, Bill. Non posso...non posso proprio- Si affrettò a rispondere. - Siamo in tempo di guerra e per noi è già difficile andare avanti...-

- Noi non abbiamo più un soldo...e neanche la forza...di andare avanti...- Gustav vedeva quanto Bill era sciupato e distrutto, e sentiva con che tono stava dicendo quelle parole. Era resa, una cosa che Gustav aveva sempre temuto in una persona come lui.

- Bill...-

- Ti prego, è l'ultimo favore che ti chiedo- Sancì con occhi fermi. Il biondo sospirò e dopo qualche secondo annuì. Se tenere Marleen poteva essere un modo per aiutarli, allora lo avrebbe fatto. Immaginava che in qualche modo sarebbero fuggiti per non soccombere a tutto questo.

- Ma come intendi farlo?- Bill voltò lo sguardo verso Marleen che sorrideva con due bambole in mano che stava facendo interagire con quelle delle sue amiche. Sarebbero state delle sorelle perfette per lei, pensò.

- Hai un sonnifero?- Chiese con una lacrima a rigargli la guancia e la voce spezzata, senza staccare gli occhi dalla figlia. Gustav annuì e andò a prenderlo, logicamente una quantità molto ridotta, sufficiente per far addormentare Marleen. Bill sperava che funzionasse, anche perché la bambina aveva dormito molto e non sapeva se il sonnifero avrebbe fatto adeguatamente il suo dovere. Gustav fece in modo di preparare loro una colazione un po' ritardata e nella tazza di latte di Marleen vi mise qualche goccia di sonnifero. La bimba logicamente non sospettava nulla e bevve tutta la tazza sotto gli occhi indefiniti di Bill. Stava facendo una cosa orribile...ma era giusto per Marleen. Non poteva crescere con una persona come lui. Tom non c'era più e le sue forze le stava concentrando tutte per quel gesto estremo.
Dopo pochi minuti, la bimba iniziò a sbadigliare.

- Papà...- Lo chiamò. Bill si avvicinò subito capendo che il momento era giunto.

- Dimmi, amore-

- Ho sonno...andiamo a casa?- Chiese con vocina un po' trascinata. Bill la prese in braccio prima che cadesse, siccome non si stava reggendo neanche più in piedi.

- Sì...ora andiamo a casa- Pronunciò lasciando scendere due lacrime. Marleen dopo pochi secondi era caduta completamente addormentata.

- Bill...non sei obbligato a farlo- Tentò di riportarlo alla ragione, ma le occhiaie rosse sotto gli occhi di Bill parlavano per lui.

- No, non farmici ripensare- Si asciugò le lacrime e gliela passò a Gustav. - Ti prego, abbi cura di lei- Si chinò e le posò un bacio sulla fronte, prima di scappare via. Appena fuori si lasciò andare ad un grido disperato e cadde in ginocchio. Era la cosa più orribile che avesse mai dovuto fare. Abbandonare sua figlia. Aveva appena abbandonato la sua bambina. Da come singhiozzava non riusciva neanche a riprendere fiato. Immaginava lei che si risvegliava e non lo trovava, Gustav che le doveva spiegare tutto. Gli aveva lasciato veramente una grande questione da risolvere e una vita da crescere. Si ricompose, ringraziando il cielo che la strada era praticamente deserta. Tornò a casa con le gambe che avanzavano come se fossero state fatte di piombo. Il mondo attorno a lui era completamente sparito, adesso c'erano solo Tom e lui...solo Tom e lui.
Una volta arrivato, Bill bevve quel poco di succo che rimaneva nella bottiglietta di vetro e si pose nel letto con Tom ancora incosciente, accarezzandogli una guancia fredda. Sapeva di star commettendo una pazzia ma tutto ciò non aveva più senso. Non poteva più vivere. Aveva lasciato Marleen perché non voleva che vedesse anche lui sul letto di morte. Si sporse su Tom leccando quel poco di succo che gli era rimasto sulle labbra e, anche se ci sarebbero voluti dei giorni, lui doveva e voleva morire. E finalmente sarebbero stati solamente lui e Tom...lui e Tom.
Chiuse gli occhi.

***

Gustav uscì da quella stanza piena di urla. Marleen si era appena svegliata e logicamente aveva chiesto di Bill. Quando lui e Linda erano riusciti a dirle che lei sarebbe rimasta da loro per del tempo che non sapevano quanto sarebbe stato, la bambina logicamente aveva cominciato a piangere e urlare dicendo di voler tornare a casa e gridava "papà" come se essi potessero sentirla e venire a riprendersela. Per Gustav era stato davvero straziante, perciò aveva lasciato Linda ad occuparsene dopo un po'. In fondo lei era una donna e Marleen in quel momento aveva bisogno di una figura femminile che sostituisse quella materna di Bill e di Saphira. Linda era la più adatta, decisamente. Gustav però, mentre si dirigeva al piano di sotto, non riusciva a capacitarsi di alcuni eventi appena accaduti. Bill era piuttosto strano quando era venuto, aveva l'aspetto di una persona che voleva farla finita, non che voleva tentare il gesto estremo della fuga. Ricordò anche le sue ultime parole, ovvero "questo è l'ultimo favore che ti chiedo" e fu quello a farlo trasalire. Doveva assolutamente fare qualcosa. Se Bill aveva intenzione di ammazzarsi era necessario chiamare una persona che non era delle autorità, qualcuno che li conosceva e che avrebbe potuto comunque assisterli meglio di lui. Gli venne immediatamente in mente chi poteva essere quella persona. Fece il suo numero e aspettò che rispondesse.

Pronto?-

- Pronto, Georg. Sono Gustav-

Oh, Gustav, qual è il motivo della tua chiamata?- Lui e Georg si conoscevano da un pezzo in quanto egli abitava a Schwerin ma poi si era trasferito a Berlino per continuare a lavorare. Adesso che sapeva che era di nuovo in circolazione, doveva assolutamente approfittarne.

- Mi serve che tu vada a questo indirizzo, va bene?- Il castano sentì il suo tono molto impanicato, ma rimase calmo e lo ascoltò. Gustav gli espose la situazione, che delle persone avrebbero potuto commettere suicidio e quindi di aspettarsi di tutto non appena sarebbe arrivato sul posto. Georg non si tirò indietro e accettò di andarci, nonostante tutti i pericoli che avrebbe potuto incontrare uscendo. Si armò di valigetta e raggiunse il palazzo dove abitavano Bill e Tom. Sinceramente aveva avuto dei sospetti su una loro possibile relazione. Era strano che due uomini coetanei convivessero, sinceramente. Quando bussò, esattamente come si aspettava, nessuno gli venne ad aprire e fu costretto ad utilizzare le maniere forti.

- Bill! Tom! APRITE!- Ma sembrava che nessuno si muovesse lì dentro, non udì né voci né passi. Prese quindi la maniglia e la forzò fino a romperla e sfondò la porta. Entrò e gli si presentò lo scenario di una casa super modesta, deserta e silenziosa. La prima cosa che fece fu dare un occhiata in giro per vedere dove potessero essere. Quando giunse alla camera da letto si gelò sul posto. Erano entrambi stesi sul letto, l'uno accanto all'altro, privi di sensi. Bill stava sudando copiosamente, colto dalla febbre, mentre Tom pareva non dare proprio alcun segno di vita a primo sguardo. - Bill!- Lo chiamò e il ragazzo riuscì solamente ad osservarlo con la coda dell'occhio.

- Dottor...Listing...-

- Che cosa è successo?-

- Io...abbiamo bevuto...del veleno...- Riuscì a dire. Georg non sapeva che genere di sostanza avessero ingerito ma non per questo si sarebbe tirato indietro. Avrebbe fatto tutto il possibile pur di guarirli. Era il suo mestiere, la sua vocazione e ciò che aveva sempre voluto: salvare la vita alle persone.

- Posso aiutarvi-

- No...Georg...-

- Bill, suicidarsi è da incoscienti! Avete una bambina tu e Tom, lei non può crescere senza i suoi due padri, perciò adesso taci e fammi lavorare!- L'etichetta era andata a farsi benedire da un po', soprattutto dopo quelle parole. Lui non comprendeva il voler morire fino a questo punto. D'accordo, c'erano tanti problemi, ma avevano l'amore che li univa, come potevano mandare all'aria tutto come se niente fosse? Georg rimase lì per giorni interi, logicamente purificò prima Bill, che era la persona meno a rischio. Tom invece temeva che non sarebbe riuscito a salvarlo. Aveva fatto loro delle iniezioni quotidiane e all'ennesima, Bill era già in grado di stare a sedere e qualche volta di alzarsi anche in piedi senza nessun sostegno.

- Perché lo hai fatto?- Chiese mentre Georg stava pigiando lo stantuffo per far defluire la medicina nel braccio del moro.

- Perché secondo me non è finita qui, Bill. Ho compreso cosa c'è tra te e Tom, e siamo sulla stessa barca noi tre in questo istante. Io perché ebreo, voi perché omosessuali. Ci stanno punendo ingiustamente e credo che non dobbiamo darla vinta a gente come loro- Bill non contestò. Sinceramente non gli era mai stato simpatico quell'uomo, ma se poteva curare Tom, sarebbe arrivato perfino a baciargli i piedi dalla felicità. Poggiò una mano sulla spalla nuda del ragazzo disteso accanto a lui, che ancora aveva gli occhi chiusi e sembrava dormire.

- Io lo amo...ma nonostante lo abbia perdonato per tutti i suoi sbagli lui ha voluto abbandonare me e Marleen-

- Tu lo hai perdonato, Bill...ma lui? E' stato capace di perdonare sé stesso?- La risposta era più che evidente. Tom non stava riuscendo a perdonarsi per i propri errori, credeva ancora di meritare la morte come punizione. La stava cercando perché credeva che senza di lui, la gente che amava sarebbe stata bene. Bill lasciò cadere due lacrime silenziose che Georg provvide ad asciugargli. - Si riprenderà-

- Ho abbandonato nostra figlia...-

- Sì, Gustav mi ha detto anche questo. Ci conosciamo anche noi da tempo e mi ha detto lui di passare di qui per controllare la situazione siccome era molto preoccupato per voi- Bill non contestò. Era davvero così importante che loro non se ne andassero? Era veramente ciò che contava di più? Perché le persone non erano capaci di far andare le cose come era giusto che andassero? Forse...perché non era giusto così. Georg fece l'ennesima iniezione anche a Tom. - Ecco, questa dovrebbe essere l'ultima...adesso dovrebbe cominciare a migliorare- A quelle parole Bill riuscì a ritrovare quel piccolo sorriso nascosto nel suo cuore e Georg lo ricambiò.

- Non so come ringraziarti-

- Non devi farlo, Bill. Comunque se pensi che ci sia ancora bisogno del mio aiuto resto-

- Ti ringrazio ma non credo che sia necessario, mi occuperò io della persona che amo- Georg annuì e augurò loro di guarire presto così da poter riabbracciare Marleen. Quello era l'obiettivo di entrambi. Quando Georg se ne fu andato con le dovute raccomandazioni, Bill pensò bene di cominciare a rassettare la casa, pulirla un po' e prepararsi qualcosa da mangiare. Dopo questo, andò a cambiare il panno bagnato sulla fronte di Tom, ma nel momento che glielo tolse e stette per andare verso il secchio con l'acqua, una mano afferrò il suo polso e si voltò. Tom era lì che lo osservava con occhi smarriti.

- Bill...- Il moro cercò di non far esplodere il proprio cuore e cadde a sedere sul materasso.

- Tom...-

- Perché sono ancora qui...?- Bill si sporse e lo abbracciò stretto. Non era la prima volta che aveva dovuto rispondere a quella domanda, ma era difficile trovare una motivazione diversa dalla verità.

- Sei qui perché non è il momento di abbandonarmi, Tom. Non adesso...non ora che ho bisogno di te più che mai- Gli lasciò un leggero bacio sul naso e poi scese sulle sue labbra. - Adesso pensa a riprenderti...e non scusarti...perché se ci tieni tanto a vedere Dio, giuro che te lo faccio vedere io questa volta...è chiaro?- Il suo era un rimprovero serio, ma il tono lacrimoso e debole lo rendeva tanto una preghiera.

- Non mi scuserò...non servirebbe a niente...ma dimmi dov'è Marleen- Bill in quell'istante non ebbe il cuore di dirgli che l'aveva abbandonata, così fece trasparire un sorriso decidendo di raccontare una mezza verità.

- Non volevo che stesse qui e ti vedesse stare male, così l'ho fatta tenere a Gustav per questi giorni-

- Giorni!? Da quanto tempo è che sto così?-

- Beh...anche io ho perso un po' la cognizione del tempo...ma suppongo siano giorni-

- E tu come stai? Stai bene?- Chiese apprensivo, come se si fosse appena fatto del male.

- Sì...sono solo un po' stanco- Rispose Bill cercando di rassicurarlo. Tom allora lo prese per il polso e lo tirò giù fino a farlo stendere nel letto accanto a lui. - No, non farmi sdraiare...- Si lamentò.

- Troppo tardi- Bill trovò la forza di ridacchiare.

- Va a finire che mi addormento...e tu hai bisogno di me...- Il suo tono di voce era già trascinato.

- Ho bisogno di te che stai totalmente bene. Necessiti di riposo tanto quanto me- Bill dopo qualche secondo si era già addormentato. Forse era il sollievo che tutto stesse andando bene in qualche modo. Tom era vivo, Marleen era al sicuro, quindi lui ora poteva permettersi di dormire un po'. Tom invece rimase ad osservare, illuminato dalla luce di un cielo bianco che entrava dalla loro piccola finestrella. Sembrava che non mangiasse da giorni, aveva il viso più scarno del solito e un po' di occhiaie, ma per Tom era bellissimo. E se tutte le volte qualcuno aveva desiderato riportarlo indietro dalla morte, forse un motivo c'era. Avrebbe potuto tentare e ritentare, ma se non era il momento di andarsene, qualcosa o qualcuno glielo avrebbe impedito. Tanto valeva arrendersi e aspettare quel momento. Per ora era sufficiente attenderlo mentre guardava il viso di Bill che dormiva finalmente tranquillo.

***

- Ecco fatto, sei perfetta così- Linda aveva appena finito di legarle il nastro sui capelli corvini. Erano passate solamente due settimane e mezzo da quando Bill aveva tentato di abbandonarla, ma quando il moro aveva annunciato che sarebbero venuti a riprendersela, pure Linda era scoppiata di gioia. Marleen ancora le notti piangeva e non si era abituata a stare da loro, nonostante in alcuni momenti avesse ritrovato un po' di gioia con le proprie "sorelle". Anche la donna credeva che Marleen dovesse stare con i suoi due papà, non perché le creava fastidio averla intorno, figuriamoci, ma perché, come Georg, pensava che Bill e Tom non dovevano arrendersi di fronte a questo, per quanto tutto ciò sembrasse invincibile. Dovevano perlomeno tentare di rimanere in piedi grazie all'amore che condividevano l'uno per l'altro. Marleen non sapeva che quel giorno sarebbero giunti entrambi i suoi papà per riportarla a casa con loro e perciò aveva chiesto spesso a Linda perché la stesse vestendo in quel modo. Aveva un abitino molto semplice ma davvero carino, con qualche pizzo e merletto. Anche Gustav logicamente era a conoscenza del lieto evento e non vedeva l'ora che la piccola Marleen potesse riabbracciare i suoi genitori. Tutti erano in trepidante attesa di quando sarebbero giunti a prenderla e circa un'ora dopo suonarono al campanello. Marleen sobbalzò. Aveva paura che pure Gustav e Linda l'avrebbero abbandonata perché erano in troppi in quella casa e lei non era neanche la loro figlia. Non riusciva più a pensare positivo dopo tutti i traumi che aveva subito e gli eventi che la travolgevano senza che avesse il potere di controllarli, come una piccola conchiglia mossa dalla potente corrente del mare. Anche adesso il suo cuore batteva davvero forte, si sentiva come soffocare. Afferrò la mano di Linda, che abbassò lo sguardo con un bel sorriso sul volto. Non capiva che cosa significasse, fino a che...

- Marleen!- Sentì una voce che, per quanto tempo non la udisse, non l'avrebbe mai potuta dimenticare. Era Tom. Era il suo papà. Le giunsero immediatamente le lacrime agli occhi e prese a correre in direzione dell'ingresso, il quale sembrava così lontano e irraggiungibile.

- Papà!-

- Marleen!- Sentiva la sua voce ma ancora non riusciva a vederlo. Svoltò l'angolo e il suo piccolo cuore si arrestò. Tom era lì, con il suo aspetto trasandato, vestito di abiti poveri e mal ridotti. Ma era lì e l'attendeva a braccia aperte. Appena i loro occhi si incrociarono Marleen scoppiò in un pianto disperato e corse nella sua direzione. Fu un enorme sollievo quando si accorse che quelle braccia non erano l'ennesimo sogno incompiuto e la stavano stringendo veramente. - Marleen...- Anche Tom stava piangendo di gioia a poterla finalmente avere tra le sue braccia. - Quanto sei...sembri più grande...vestita così- Riuscì a dire tentando di asciugarsi le lacrime. La sua bambina era bellissima e i suoi capelli parevano cresciuti tantissimo in quelle due settimane e mezzo. Bill logicamente aveva successivamente provveduto a raccontargli la verità, ovvero che aveva lasciato Marleen a Gustav perché aveva intenzione di seguirlo nell'aldilà. Tom non si era infuriato, era rimasto in silenzio e aveva abbassato lo sguardo per poi concludere che anche quella mossa disperata di Bill era stata solamente colpa sua. In qualche modo lui non era destinato a morire per mano propria, non era scritto così in quel libro del destino che Bill si ostinava a dire che esisteva, e Tom non aveva mai smesso di crederci, ora più che mai. Marleen aveva bisogno di lui, Bill aveva bisogno di lui, e se loro due avevano bisogno di lui, voleva dire che possedeva un valore, in qualche modo inestimabile.

- Dove è papà Bill?- Doveva ammetterlo. Era stata molto arrabbiata con lui perché l'aveva lasciata senza permettere neanche che li salutasse. Ma andando avanti in quei giorni si era accorta che le mancava il suo dolce profumo, la sua pelle morbida e calda che la rassicurava sempre e i momenti di quando dipingevano e ridevano insieme. Le mancava anche quando la metteva a letto, che la copriva sempre con attenzione e si raccomandava che non prendesse freddo. In quei giorni aveva capito come era perdere una madre...ed era stato orribile.

- Lui...sta arrivando- E il suo tono si era leggermente incupito.

- Tom, che è successo?- Si avvicinò Gustav, preoccupato da quell'espressione irrequieta.

- Abbiamo incontrato dei soldati che marciavano sulla città mentre stavamo venendo qui e Bill è stato costretto a prendere un'altra strada...ma dovrebbe essere qui tra poco- Prese in braccio Marleen che lo fissava con un timore che gli cresceva nel petto. Aveva paura per papà Bill. Odiava quegli uomini in uniforme, avevano uno sguardo così cattivo e a volte li aveva visti che picchiavano gente per strada. Non voleva che picchiassero anche Bill. - Intanto andiamo in salotto, mh?- Propose con un sorriso tranquillo per non far andare nel panico nessuno, men che meno sua figlia. Era tutto sotto controllo, o almeno era quello che sperava.

- Come pensate di tornare a casa vostra? In questi giorni i controlli sono diventati più rigidi, vanno a cercare chiunque sia diverso da loro, lo prendono e lo conducono in questi campi di concentramento...un posto orribile. Tu e Bill siete fortemente in pericolo- E lo era anche Marleen. Di certo non avrebbero esitato a portare anche lei in quei campi e a farla sterminare dalle docce velenose. E sia Tom che Bill non erano a conoscenza di questi marchingegni, ma solo il pensiero che Marleen sarebbe stata nuovamente lontana da loro era atroce da sopportare.

- Ci abbiamo già pensato a questo, ma abbiamo bisogno nuovamente del vostro aiuto- Gli scomodava chiedere sempre favori a Gustav, ma erano davvero gli unici amici sui quali potevano contare veramente. - Vi sto chiedendo un po' di denaro...giusto la somma che ci manca per prendere due biglietti e cambiare nazione- Il biondo guardò la moglie, la quale sospirò. Capiva che stavano pensando la medesima cosa.

- Tom...noi saremmo lieti di potervi aiutare, anche se siamo quasi sul lastrico...ma...non è davvero sicuro mettere piede fuori...forse potreste...venire deportati-

- E' per quel forse che vogliamo tentare, Gus. Rimanere significherebbe una certezza che sia io che Bill ci rifiutiamo di accettare. Appena tutto questo sarà finito, vi prometto qui e ora che vi restituiremo il denaro, e con gli interessi, ma per adesso...vi prego- Non seppe in che altro modo concludere. Non c'erano spiegazioni necessarie o giustificazioni valide. Erano in una situazione di estrema difficoltà e loro volevano vivere insieme con la bambina. Alla fine non facevano del male a nessuno.

- Va bene...vai alla cassaforte con Linda e prendi tutto ciò che vi necessita...noi in qualche modo ce la caveremo- Assunse un sorriso calmo. Non voleva che Tom si sentisse troppo in colpa per questo, voleva realmente aiutare lui e Bill con tutto ciò che aveva a disposizione. Il ragazzo scattò in piedi quasi euforico e ringraziò sia Gustav che Linda con un caloroso abbraccio. La donna poi gli disse di seguirla per arrivare alla cassaforte. Marleen quindi rimase con Gustav, il quale le sorrise domandandole: - Sei contenta?- E lei sballottava i piedini avanti e indietro, come un cane che scodinzola la coda.

- Sì!- E pensò davvero che la felicità di quella bambina era un tesoro da tenere ben custodito. Lei non meritava l'odio che aleggiava in quell'aria malsana, lei doveva ricevere solo amore.

Improvvisamente i loro sguardi si fecero confusi, quando udirono un rumore di sommossa provenire dall'esterno, come se ci fosse una rivolta. Voci altamente concitate. Gustav si alzò per andare alla finestra e pure Marleen lo seguì, incuriosita da tutto ciò. Tuttavia non arrivava alla finestra e fece appena in tempo ad aggrapparsi al davanzale per mettersi in punta di piedi, che Gustav sbiancò.

- Oh no...- Sussurrò sconvolto.

- Cosa?- Domandò Marleen, che riusciva a distinguere solo un gruppetto ridotto di persone che urlava. Si tirò più su con tutta la forza che aveva e aguzzò la vista. Tra tutti quei volti distinse quello di Bill. Che cosa ci faceva il suo papà in mezzo a così tanta gente? Non si era accorto che la casa di Gustav era questa? Perché continuava a camminare? Notò anche che lui non stava gridando, affatto. Solo successivamente si rese conto che aveva un'arma puntata alla schiena e sobbalzò.

- Merda...merda, merda!!!- Vide Gustav prendersi la testa tra le mani e imprecare. Che cosa voleva dire tutto quello!? Perché nessuno andava ad aiutare Bill!? Il biondo invece si stava chiedendo che cosa avrebbe detto a Tom. Bill era lì fuori e i soldati lo avevano preso con chissà quale accusa! Marleen credeva di potersi rendere utile. In fondo aveva quasi tre anni, doveva smetterla di agire come se fosse ancora neonata. Se il suo papà era in pericolo, lei lo avrebbe salvato. Tom in quell'istante tornò con una busta che conteneva logicamente delle banconote, completamente ignaro di tutto ciò. Gustav decise che doveva dirglielo. - Tom- E a vedere la faccia sconvolta del biondo, sia Tom che Linda si preoccuparono.

- Che è successo?-

- Papà Bill!- Si manifestò Marleen.

- Cosa!?- Chiese Tom, sempre più allarmato.

- Lo hanno preso, Tom...qui fuori...- Gli occhi di Tom si ridussero ad un punto e con una zampata spinse via Gustav per guardare dalla finestra. Bill era inginocchiato al centro della strada e una folla gli stava sputando e buttando oggetti addosso, mentre i soldati si godevano lo spettacolo prima di portarlo via. Marleen nel mentre aveva aperto la porta. Se nessuno aveva in mente di fare qualcosa, lo avrebbe fatto lei. Si buttò in mezzo alla folla, con l'intenzione di raggiungere Bill. Non le importava se quei brutti ceffi l'avrebbero pestata a sangue. Voleva avere modo di scusarsi con Bill per la rabbia che aveva provato nei suoi confronti in quei giorni.

- MARLEEN!- Sentì suo padre urlargli dietro, ma lei non poteva retrocedere. Certo, venne spinta un paio di volte, siccome le persone facevano di tutto pur di non farla passare, ma lei era forte. Anche se le lacrime avevano cominciato a scendere sul suo viso, lei doveva farcela, doveva essere forte! Con un ultimo grido riuscì a sorpassare gli ultimi due corpi che le sbarravano la strada e corse verso Bill. Il moro, appena la vide, sgranò gli occhi e scosse la testa, come per dirle di non avvicinarsi, ma lei era cieca a qualsiasi avviso e si gettò comunque tra le sue braccia.

- Papà! 'Cusa, papà...peddonami...-

- Marleen...che ci fai qui?- Sussurrò ormai prossimo alle lacrime, ma si contenne, prendendo un grosso respiro. Cominciò a guardarsi intorno, nella speranza e nel timore di vedere anche Tom. Come previsto, il ragazzo riuscì a spingere via tutte le persone e a farsi largo tra la folla che gridava a Bill di essere un abominio, un mostro della natura...e altre parole molto pesanti. In quell'istante i due ragazzi si guardarono, ognuno negli occhi morti dell'altro. Occhi che avevano perso tutta la speranza.

- Di chi è questa bambina!?- Chiese un soldato. - La conosci!?- L'uomo prese Bill per i capelli, tirandolo su in piedi. - Eh, femminuccia!?-

- No...- Rispose con la voce colta da dolore. Tom si sentiva terribilmente impotente.

- Allora perché ti sta abbracciando!? MI VUOI FORSE PRENDERE IN GIRO!?- Stette per tirare fuori la pistola, ormai deciso a farla finita, quando una voce lo fermò.

- Marleen!- Tom si era gettato al centro della piazza recuperando la bambina, che stava gridando il suo dolore e nascose il viso nell'incavo del suo collo. - Sono il padre di questa bambina...e le posso assicurare...che né io né lei...conosciamo questa persona- Riuscì a mantenere lo sguardo fermo, nonostante il suo tono fu un po' tremolante. Puntò gli occhi su Bill, il quale gli fece capire che aveva fatto la cosa giusta. Lui e Marleen dovevano rimanere insieme.

- E la madre?- Chiese il soldato.

- Deceduta...tre anni fa-

- E come mai permetti a tua figlia di venire qui e abbracciare questa sporca feccia!?- Diede un cazzotto a Bill spedendolo al suolo. Successivamente si avvicinò e gli caricò calci sullo stomaco. - VEDI PICCOLA COME SI TRATTANO LE MERDE!? QUESTO DOVRESTI INSEGNARE A TUA FIGLIA!- Bill aveva iniziato a sputare saliva e il suo sguardo rimase indefinito mentre tentava di riprendere fiato, dopo ben quattro colpi. Tom tentò di ammorbidire il pugno che si era lentamente formato a vedere quella scena, aveva appoggiato quella mano sulla testa di Marleen intimandole di rimanere giù e non guardare. - TIRATELO SU!- Due soldati si avvicinarono e presero Bill per le braccia rimettendolo in posizione eretta. - E adesso vattene a casa! ANDATEVENE VIA TUTTI! LA RAZZA ARIANA VI RINGRAZIA!- Razza ariana? Che diamine era la razza ariana? Bill alzò debolmente lo sguardo su Tom e tentò di sorridere, anche se possedeva un enorme livido sul volto.

- Ti amo...- Sussurrò così tanto, che fortunatamente fu inudibile...ma Tom comprese dal labiale. Non riuscì a dire "anch'io", perché in quel momento ciò che gli stava dimostrando non era amore. Non sapeva neanche lui che cosa era diventato tutto quello. Quindi deglutì cercando di spingere indietro le lacrime e sussurrò:

- Mi dispiace- Le ultime parole che si dissero, prima che Bill venisse sbattuto dentro un camion militare. Questo abbandonò quella strada, la quale divenne improvvisamente silenziosa...solo il pianto disperato di Marleen riecheggiava. Tom cadde in ginocchio e Gustav si precipitò fuori per sostenerlo.

- Tom...- Il ragazzo gli artigliò la camicia e seppellì il viso nel suo petto liberando il grido più forte che avesse mai fatto in tutta la sua vita. Mai...mai aveva provato un dolore così lancinante...era il dolore di una persona delusa da sé stessa perché non era riuscita a fare niente...e sapeva che il motivo era che lui era niente.
Marleen adesso occupava metà della sua mente...l'altra metà venne presto posseduta da un serpente infido che aveva giocato con la sua sanità mentale per tutti questi anni e che alla fine l'aveva avuta vinta.

La pazzia.

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Capitolo 15
*** Kapitel 15 ***


Kapitel 15


Berlin, 24 Dicembre 1960

Nessuno realmente era a conoscenza di cosa era successo in tutti quegli anni esattamente. Nessuno davvero era in grado di comprendere ciò che aveva stravolto il mondo fino a portarlo a quel punto. La seconda guerra mondiale era la rappresentazione di quello che l'umanità era disposta a perdere e di ciò che in effetti avevano perso, perché nel momento che si è intenzionati a sterminarci, tutti abbiamo perso qualcosa, chi una persona, chi la dignità, chi la voglia di vivere...Tom aveva perso tutte quelle in un colpo solo, e la testa gradualmente.
Anno dopo anno, Marleen si faceva sempre più grande. Aveva vissuto l'esperienza della guerra come un romanzo di formazione lungo meno di una pagina, ciò che l'aveva fortificata e costretta a crescere in fretta. Però per lei l'avvenimento più duro era stato il deterioramento di suo padre. Lei, una donna di ormai quasi 27 anni, e lui, un uomo di 44 che sembrava averne il doppio quando cercavi di parlargli. Diceva cose sconclusionate, oppure la coccolava come se ancora fosse la bimbetta che aveva cresciuto in quel mondo allo scatafascio. A Berlino aveva cominciato a girare la voce che Tom la molestasse, per il suo carattere possessivo e perché alla sua età, la figlia non aveva mai avuto un fidanzato, ma Marleen si sforzava di non prestarvi ascolto. Lei amava suo padre, nonostante questo. Era l'uomo più importante della sua vita, quello che aveva attaccato al muro chi gli aveva detto che non potevano prenderla a scuola per questioni che lei, essendo troppo piccola, non aveva ben compreso; quello che rinunciava al suo pezzo di pane quotidiano purché lei andasse a letto sazia; quello che quando la vedeva triste si inventava qualsiasi specie di gioco o di storia per farla ridere. Già, Tom era il tipico papà che nasconde il suo dolore alla figlia, quando in pratica le piange davanti senza ritegno. Marleen era in grado di vedere, molto più di quanto lui potesse immaginare. Quando Tom si faceva la barba davanti allo specchio, la figlia altro non vedeva che l'apparizione di una maschera pirandelliana sul suo volto. Poi le prendeva la mano e le diceva: "Sono pronto, possiamo andare" e lei era costretta a rivangare che non era necessario che la accompagnasse a lavoro, dato che aveva la macchina da ormai sette anni. Certo, non era facile dirgli così, perché le sembrava di ricordargli, giorno dopo giorno, quanto la sua mente si stesse disfacendo. Ancora voleva accompagnarla a scuola, voleva che lo abbracciasse e che gli dicesse "Ci vediamo questo pomeriggio", voleva che corresse tra le sue braccia mostrandogli un disegno nuovo oppure parlandogli della lezione del giorno. Non era riuscito a capacitarsi del fatto che fosse praticamente una donna, giovane, ma pur sempre adulta. Era da poco che lavorava come dottoressa in un ambulatorio. Aveva abbandonato l'idea dell'artista che l'aveva contraddistinta fin da ragazzina. A 17 anni aveva realizzato che il mondo non era fatto di tele, ma di realtà che non poteva dipingere, che non sarebbe stata in grado di raccontare, talmente erano inguardabili. Nessuno avrebbe voluto un dipinto che ricordava l'enorme dolore di quegli anni, così si era iscritta alla facoltà di medicina e si era diplomata con il massimo dei voti.

- Grazie, dottoressa Trümper-

- Mi raccomando, segua la dieta che le ho prescritto e si rimetta presto-

- La ringrazio ancora...e buon Natale!-

- Sì...buon Natale- Rispose con un lieve sorriso a contornarle le labbra. La signora si voltò un'ultima volta e poi lasciò il suo studio. Marleen sospirò, lasciandosi sgraziatamente cadere appoggiandosi allo stipite della porta. Era stato un giorno davvero pesante e non aveva davvero il cuore di pensare alle feste. Oggi era la Vigilia, il 24 Dicembre. Poteva vedere i bambini correre per le strade innevate e colpirsi con le palle di neve a tradimento, le madri che cercavano di tenerli a bada mentre intrattenevano un discorso tra di loro, gli uomini a leggere il giornale al bar di fronte. Sorrise sinceramente. Erano delle belle immagini di vita quotidiana, una vita che lei credeva di non possedere.

- Giornataccia, eh?- Alzò lo sguardo davanti a sé e arrossì leggermente quando dall'altra parte del corridoio vide il suo collega, il dottor Elias Wagner, un cardiologo. Certo è che poteva essere bravo con i cuori quanto voleva, ma ancora non era riuscito a capire che Marleen gli andava dietro da quando era entrata a lavorare lì. Elias possedeva i capelli neri come lei, ma gli occhi così azzurri che parevano lastre di ghiaccio, e Marleen rabbrividiva ogni volta come se potesse toccarle sul serio.

- Sì, ma per fortuna adesso si torna a casa- E che fortuna, pensò. Se a lavoro le persone pretendevano che lei fornisse una risposta per qualsiasi questione le venisse presentata davanti, a casa era lei ad aspettarsi delle risposte da sé stessa per ciò che accadeva a suo padre. Sperava di uscirne il prima possibile da quella situazione. Era come sopravvivere con un'emicrania costante.

- Vuoi che ti accompagno? Ora sta nevicando piuttosto forte- Marleen si stupì di questa sua proposta e il cuore eseguì un doppio salto mortale. Assunse alla svelta un sorriso accomodante e annuì.

- Mi farebbe molto piacere-

- Allora ok- Rispose Elias indietreggiando per rientrare nel suo studio a cambiarsi.

- Ok...- E lei fece altrettanto. Chiusero le porte all'unisono ed entrambi vi si appoggiarono con la schiena tirando un forte respiro. Entrambi si piacevano, ormai da qualche anno, ma Elias non aveva avuto modo di fare la prima mossa, o comunque non gli era mai sembrato il caso. Vedeva Marleen sempre così stanca e afflitta per qualcosa, che temeva non potesse essere mai il momento giusto per parlarle e chiederle di prendere una cioccolata o un caffè insieme. Per ora accompagnarla a casa era già qualcosa di incomparabile, avrebbe passato del tempo in sua compagnia. Non sapeva nulla di lei e questo era ciò che gli dava la voglia di parlarle. Chissà quale era il suo passato...

***

Mesi dopo...

Marleen ed Elias avevano cominciato a frequentarsi sempre più spesso da quel momento in poi. Era davvero sorprendente il fatto che bastasse un pizzico di coraggio per dare inizio a qualcosa di così speciale. Marleen si rendeva sempre più conto di cosa volesse dire incominciare ad innamorarsi veramente di qualcuno, provare il dolore al cuore per la sua mancanza e il desiderio di rivederlo il prima possibile. Però il peso sull'anima non lo sentiva solo in assenza di Elias, ma questo aumentava quando lo aveva vicino. Non era colpa sua, fortunatamente comprendeva che Tom non era ancora pronto per conoscerlo e forse non lo sarebbe stato mai. Però Marleen non voleva rinchiudere suo padre in un manicomio solo perché non la lasciava libera, non ci pensava nemmeno lontanamente! Quei posti erano orribili e trattavano le persone con certi problemi come se fossero segatura! Che poi suo padre non ci era nato...matto ci era diventato. Gli avevano tolto tutto! Il diritto ad una famiglia, il primo amore, la libertà, sua sorella e...Bill. Tom non era riuscito ancora a superare il fatto che ormai fosse morto, per questo la sua mente era rimasta ad anni prima, quando Marleen era piccola. Era come se non riuscisse a mollare quegli anni passati. Voleva tenerli stretti perché temeva di vagare in un infinito senza più alcun appiglio, ancora più disperso di adesso. Quei tempi, per quanto brutti, rimanevano l'unica sicurezza nella sua mente. Era tutto ciò che sentiva di sapere, di capire, di aver vissuto realmente! Era quello che gli confermava di aver avuto una vita, di aver provato delle emozioni vere! Marleen non poteva biasimarlo, e ora che Elias era nella sua esistenza in quel senso, poteva comprendere meglio il suo dolore. Quando era tra le braccia di Elias a volte piangeva, perché si immaginava di perderlo e poi a tutto quello sommava il sentimento di Tom. Non sopportava che soffrisse così.

- Così è questa casa tua- Aveva commesso questo errore, ma in quel momento non lo stava percependo come tale. Aveva portato Elias a casa sua per la prima volta dopo mesi. Tom non c'era e non sarebbe dovuto tornare per qualche ora, sicché Marleen aveva calcolato tutto: Elias sarebbe stato fuori prima che Tom se ne potesse accorgere.

- Sì, non è un granché, ma è confortevole- Lei e suo padre vivevano in un appartamento molto modesto, simile a quello che avevano a Schwerin e dove erano rimasti per ben due anni nascondendosi dai nazisti. Deglutì a quel nebbioso ricordo. Nella sua mente, perfino il viso di Bill che dipingeva stava lentamente sbiadendo dopo ben 24 anni. Sospirò. - Ehi...tutto a posto?- Domandò l'uomo accorgendosi del suo malessere. Ella si rese conto di essersi lasciata troppo andare ai ricordi, perciò si tolse quell'espressione dal viso e sorrise.

- Certo, solo...che a volte è complicato-

- Cosa è complicato?-

- Amare...quando sai che stai sbagliando- Elias rimase qualche istante in silenzio riflettendo su quelle parole. Come mai faceva pensieri tanto oscuri? Non era la prima volta.

- E come mai amare è uno sbaglio?-

- So quello che vuoi dire e ti prego di risparmiarmi questi discorsi, Elias. Amare non è uno sbaglio, ma per l'uomo a volte lo è, e sento che noi stiamo facendo un errore-

- Parli di tuo padre?- Annuì leggermente. - E perché siamo noi l'errore se è a lui che dà fastidio?- Elias le prese il viso tra le mani. - E' la stessa cosa di quando una persona ti critica senza un motivo. La critica viene fatta perché ciò che hai detto o fatto dà fastidio a lei, non è una tua imperfezione o qualcosa che manca a te, se tu ci credi veramente. Ci credi a noi due, Marleen?- La ragazza abbassò leggermente lo sguardo. Non sapeva se la loro coppia potesse sopravvivere a tutto. In fondo si stavano frequentando in quel senso particolare da sette mesi e basta. Erano abbastanza per definire un rapporto? Questo si chiedeva. - Marleen?-

- Io...so solo che ti amo- Non glielo aveva mai detto, gli era uscito spontaneo, esattamente come quando Bill aveva chiesto conferme a suo padre e lui gli aveva risposto semplicemente così, sperando in un sì, sperando che fosse abbastanza e che il suo amore avesse ancora un valore. Marleen non sapeva se il suo amore avesse un valore, ma comprese che lo possedeva quando le mani di lui si fecero più fredde, oppure era il suo viso che si era accaldato quando le labbra dell'uomo si erano posate sulle sue. Non era la prima volta che la baciava in quel modo, ma quando succedeva, aveva sempre il potere di farle imporporare le guance, come se fosse stata ancora una ragazzina. Beh, riguardo questo aspetto, lei si sentiva ancora inesperta. Le lacrime cominciarono a inumidire i suoi occhi, il respiro ad accelerare. Le sembrava di non essere libera, di dipendere sempre da un'idea che era completamente contraria a ciò che realmente pensava! Si portò le mani ai bottoni della camicetta che portava, ma quella di Elias le raggiunse prima che potesse fare alcunché.

- Mi fido delle tue parole, non sei costretta a fare niente- Le poggiò una mano sulla guancia umida asciugando l'ennesima lacrima che cadde, ma la ragazza la afferrò riconducendola esattamente dove era prima, avvicinandosi alle sue labbra. Non si stava sentendo obbligata, lo voleva fare e basta. Non ci doveva essere sempre una ragione. Non sapeva se la relazione con Elias sarebbe durata, se sarebbe bastata una piccola difficoltà a far crollare il suo castello di carte. Non poteva prevedere nulla, ma era convinta delle proprie decisioni. La sola di cui si era pentita era stata quella di non essersi fatta ammazzare dai tedeschi nel momento che avevano portato via Bill. Ancora gli mancava terribilmente, voleva solo che quel momento con Elias glielo facesse dimenticare. Desiderava tanto non aver vissuto un passato fino a quell'istante. Durante quel bacio la tensione stava crescendo. C'era la paura e l'eccitazione di essere scoperti o sentiti, ma riuscirono a levarsi i vestiti e a trasferirsi nella camera da letto di lei. Caddero sul materasso ancora con le labbra attaccate, e mentre Elias la baciava delicatamente sul collo, lei stava pian piano dimenticando tutto e poteva dire di essere felice. Non aveva mai fatto tutto quello e forse stava agendo da incosciente, ma era così attratta dalle cose nuove che non poteva farne a meno. Bastava che fosse diverso. Poi se tutto quello l'avrebbe ferita un giorno, ci avrebbe pensato in un secondo momento. Gemette mentre il suo ragazzo scendeva sempre di più e si morse il labbro inferiore. Un turbine di emozioni si stava scaturendo nella sua anima. Aveva paura, aveva voglia e sentiva di amare Elias, di amarlo veramente. - Ti amo da morire- E quelle parole, sussurratele all'orecchio, furono la conferma, il punto fermo che fece smettere alla sua testa di girare. Immerse le mani nei suoi capelli, accarezzandogli la nuca, e sorrise. Era quella la felicità?

- Marleen!- Improvvisamente la porta si spalancò e i due ragazzi rimasero immobili tra le coperte, il cuore completamente scoppiato nei loro polmoni. Tom era sulla porta, anche lui fermo come una statua di ghiaccio, e li osservava dall'uscio che occhi inclassificabili.

- Papà...- Avrebbe voluto rimproverarlo per non aver bussato, ma percepiva che dentro suo padre stava crescendo una rabbia omicida nei confronti di Elias, che non stava facendo altro che prendersi cura di lei, ma sembrava che Tom non vedesse più alcuna forma d'amore valida se non quella tra sé stesso e sua figlia.

- Chi è lui?- Chiese in tono duro. Marleen stette per rispondere, ma fu Elias ad alzarsi dal letto prima che lei potesse proferire parola. Ella tentò di bloccarlo con lo sguardo, ma il ragazzo non lo colse e si avvicinò lo stesso a Tom, accettando il rischio di star oltrepassando il limite. Infatti Tom lo guardava con un astio evidente, soprattutto perché era senza maglietta, mezzo nudo, nel letto di sua figlia. Che ci faceva un uomo in quelle condizioni con la sua bambina?

- Mi presento, sono Elias Wagner, un collega di sua figlia-

- E questo sarebbe il vostro modo di lavorare insieme?- Chiese Tom con ironia pungente.

- Papà, posso spiegarti...- Tentò di uscire dalle coperte ma lo sguardo di suo padre la congelò.

- Tu non ti muovere di lì!-

- Mi rendo conto che questa non è la situazione migliore per dirglielo, ma io amo sua figlia...- E tutte le parole che vennero dopo, Tom non fu in grado di assimilarle. "Io amo sua figlia" era una frase che non avrebbe mai voluto sentire. Normalmente un genitore avrebbe dovuto essere contento, ma l'amore equivaleva a soffrire e lui non si fidava di quest'uomo. Chi era!? Qualcosa nel suo cervello scattò e una rabbia sopraffece la sua persona. Sganciò un pugno sul viso di Elias, così forte da riversarlo al suolo.

- ELIAS!- Marleen era scesa dal letto senza ascoltare più niente e si era precipitata dal suo ragazzo, che si stava rialzando a fatica con una mano a toccarsi il labbro sanguinante. - Stai bene?-

- Sì...sto bene, tranquilla- Marleen si voltò a guardare suo padre con occhi pieni di qualcosa che non seppe classificare: odio, disprezzo, frustrazione, stanchezza...c'era di tutto in quello sguardo che gli stava rivolgendo.

- Papà, lui è Elias, è il mio fidanzato, la persona con la quale voglio stare e ti prego, smettila di comportarti così!- Disse con le lacrime che le stavano arrossando la sclera.

- Ma io...lo faccio per il tuo bene, io quest'uomo non lo conosco! Potrebbe farti del male ed io non potrò proteggerti!- Quelle parole la stavano facendo piangere ancora di più, come una bambina. Si sentiva come una madre che stava male a rimproverare il figlio, anche se andava fatto perché era giusto che comprendesse!

- Papà...io non ho bisogno della tua protezione, d'accordo?- L'uomo alzò un sopracciglio confuso, poi però assunse un sorriso, di quelli increduli.

- Che storie sono? Io sono tuo padre- Elias aveva afferrato la propria camicia ponendola sulle spalle della ragazza per coprirla, dato che era in intimo davanti al suo genitore. Quel gesto fece scattare lo sguardo di Tom dalla figlia a lui e non seppe dire se aveva apprezzato una cosa del genere. Poi il ragazzo se n'era andato in salotto andando a cercare qualcosa per medicarsi, pensando che fosse meglio lasciarli da soli.

- Lo so, e sei stato bravissimo...-

- Lo sono stato? Ne parli come se adesso non lo fossi più!-

- No, no...papà, ascoltami. Io sono e sarò sempre tua figlia, qualsiasi cosa accada, ma questo non ti dà il diritto di scegliere per me per sempre. Io...ti voglio bene...- Non riuscì ad andare avanti quando vide Tom abbassare lo sguardo. Faceva così solamente quando tentava di nascondersi perché stava per piangere. Esattamente come un bambino.

- Anche io te ne voglio...- E anche la sua voce aveva preso a tremare. - ...da morire- Tirò su con il naso. - Ma tu non vuoi stare con me...preferisci la compagnia di un altro alla mia...e forse è giusto così...- Marleen lo aveva preso e lo aveva abbracciato forte. Poche volte suo padre piangeva, ma sapeva che quando lo faceva, era perché una forte paura albergava nel suo animo. Quella di perderla, esattamente come aveva perso tutte le persone alle quali aveva voluto più bene. - Non mi lasciare-

- No, non lo farò. Starò con te, papà, ok? Adesso basta piangere- Sussurrò amorevolmente accarezzandogli la schiena. Era però delusa da sé stessa, perché non era in grado di fargli capire che l'andare via non sempre voleva dire abbandonare, che lei mai avrebbe smesso di considerarlo suo padre.

***

Berlin, 13 Agosto 1961

Marleen quella mattina di Agosto era rimasta bloccata davanti alla finestra, ipnotizzata a fissare ciò che non aveva mai visto fino ad ora. Come era possibile che in una notte avessero costruito quel muro senza che nessuno se ne accorgesse? Era uno scherzo per caso? Il panico la colse tutta assieme e uscì di casa avvicinandosi alla folla che circondava la costruzione e protestava. C'erano anche dei soldati e questa fu la cosa che la bloccò. Un'immagine le sovvenne alla mente. Bill, circondato da quegli uomini e la folla che lo denigrava, sputandogli e lanciandogli oggetti addosso. Scosse la testa e si immerse anche lei tra le persone, come aveva fatto quando era piccola, convinta che avrebbe trovato una risposta o la morte certa. Retrocedette solo quando un soldato puntò una pistola al cielo e sparò scatenando delle urla.

- INDIETRO! NON AVVICINATEVI O SARÀ PEGGIO PER VOI!- Abbassò l'arma lentamente, puntandola verso la gente, che si stava allontanando, dissolvendosi, esattamente come il soldato aveva detto. Marleen prese la macchina e pensò di andare perlomeno a lavoro. Ci sarebbe stato un punto dove questo muro sarebbe finito, no? Eppure si ritrovò a non trovare uno sbocco per passare dall'altra parte. Quella costruzione grigia la seguiva ovunque andasse, non importava quanto si allontanasse. E ora come avrebbe fatto ad andare a lavorare? C'erano persone per strada che giravano con dei cartelli con su scritto "WEST-BERLIN". Berlino Ovest. Deglutì e fermò la macchina. Questo voleva dire che li avevano imprigionati e adesso erano sotto il dominio dell'Unione Sovietica, esattamente come temevano sarebbe successo. Si bloccò non appena realizzò che Elias era rimasto dall'altra parte. Lui stava a Ost-Berlin e quindi sotto il dominio americano capitalista. Questa situazione stava cominciando a fargli immensamente paura e non le rimase che tornare a casa. Non appena entrò, suo padre stava leggendo il giornale seduto al tavolo.

- Papà, hai visto?-

- Sì...sto leggendo le regole da rispettare-

- Le regole?-

- Noi siamo come delle pedine, Marleen, siamo dei personaggi da muovere su una scacchiera, poco importa se veniamo mangiati- La ragazza rimase a fissarlo lì sulla porta. Come poteva dire queste parole? Non era neanche un minimo preoccupato? Che se lo aspettasse? O che la vedesse come una cosa normale essere controllato? - Non possiamo avere alcun tipo di contatto con l'altra parte, ma ci è consentita la corrispondenza postale. In poche parole, tutto ciò che c'è a Berlino Est non ci riguarda più da oggi in poi-

- Papà, ma come fai ad essere così tranquillo!?- L'uomo sospirò, alzandosi dalla sedia e avvicinandosi a lei con un sorriso calmo sul volto. Marleen non lo sopportava più quel sorriso, come se fosse una bimbetta che faceva le sue stupide deduzioni. Doveva smetterla.

- Finché ho te, non mi interessa di ciò che succede fuori. L'importante è che tu faccia attenzione e che rimanga al sicuro- Tentò di accarezzarle il viso, ma la figlia gli schiaffeggiò la mano via da lei. Che discorsi erano!? La stava privando della libertà! C'erano persone che li avevano come chiusi in gabbia e lui non faceva altro che ripetere che l'importante era averla vicino! ANDAVA TUTTO BENE FINO A CHE ERANO INSIEME! In quel momento non c'era frase più giusta e più sbagliata da pronunciare. Tom rimase colpito da quel gesto, non immaginando che potesse mai succedere.

- IO SONO STANCA, D'ACCORDO!? SONO STANCA DI QUESTA STORIA! PAPÀ, BILL E' MORTO E TU QUESTO LO DEVI ACCETTARE! LE PERSONE NON POSSONO SEMPRE RIMANERTI ACCANTO QUALSIASI COSA ACCADA, PERCHÉ SI CRESCE, SI CAMBIA! DEVI CAPIRE CHE NIENTE PUÒ RIMANERE IMMUTATO! BASTA ILLUDERSI!- Rimase con il fiato ansimante ad osservarlo. L'espressione di suo padre non era cambiata, la osservava con occhi sgranati, come se quella davanti a lui non fosse più sua figlia ma il demonio che aveva preso forma. - Non puoi pretendere che io non viva. Io lo so che tu mi vuoi proteggere, ancora di più da quando Bill è stato catturato e portato nel campo di concentramento, ma...- Tom non aveva più voluto sentire ragioni. L'aveva oltrepassata e se n'era andato via, a chiudersi nella sua stanza, dove non ne uscì per giorni e giorni. E quei giorni...si trasformarono in anni.

***

Berlin, anno 1975

Hallo, meine Liebe.
Denkst du immer noch an mich? Das tue ich, jeden Tag. Da wir gezwungen waren, uns zu trennen, ist kein Tag einzigartig. Sie sind alle gleich. Ich schaue in den Himmel und es scheint mir, dass die Sonne nicht mehr existiert. Es sind immer graue Wolken darüber. Ist es auf deiner Seite auch so? Ich wünschte, ich könnte dich umarmen, dich berühren, dich küssen und dich spüren lassen, wie sehr ich dich vermisse. Wann wird das enden? Es wäre mir egal, wann, aber es würde mir reichen, es zu wissen, damit diese Qual ein Ende hätte. Mein Vater kommt nicht mehr aus dem Zimmer, er redet nicht mit mir. Er hat seit Jahren nicht mehr mit mir gesprochen und ich habe das Gefühl, dass ich mich aufreibe. Ich weiß nicht, ob ich noch lange überleben kann, aber ich schwöre, ich werde stärker werden und bete jede Sekunde auch für dich.
Ich liebe dich.

Marleen.*

Sospirò chiudendo quel foglio per relegarlo all'interno di una busta un po' giallognola. Ora era lei ad avere l'età di suo padre tempo addietro. 41 anni si stavano facendo sentire. Era sempre più donna e ancora, da quella volta che gli aveva urlato addosso, Tom non aveva voluto saperne di rivolgerle la parola. Lei ci aveva provato, ma l'uomo rimaneva nella sua stanza, ad invecchiare nel silenzio di quelle mura. Mangiava raramente e non si fidava più di nessuno, men che meno di lei. Era come se si sentisse tradito e il dolore era talmente forte, che anche il solo vederla lo metteva a disagio, perciò preferiva rinchiudersi. Lei era riuscita a trovare un altro posto di lavoro, era stato un ufficiale ad assumerla come dottoressa e lavorava per loro. Curava le persone che l'avevano ridotta in questo stato, ma non poteva fare altrimenti se non voleva essere fatta fuori in un colpo solo. I russi erano terribili con loro. Più volte, durante una visita, qualcuno di loro si permetteva di allungare le mani, di immetterle sotto la sua gonna e lei doveva stare zitta. Quando succedeva, tentava di mantenere la calma e pensava ad Elias. Il pensiero che avrebbe presto ricevuto una lettera da lui, la faceva resistere. Fino a quella sera.
Aveva voluto fare un extra per avere il giorno dopo un po' più fattibile e perciò aveva finito tardi con l'ultimo paziente. Tornando a casa, dei soldati russi si erano avvicinati, visibilmente ubriachi. Erano in tre e l'avevano accerchiata. Lei logicamente tentò di scappare, ma questi la afferrarono e la portarono nel loro furgoncino. Nessuno la sentì, nonostante le sue grida. Quella notte aveva perso la sua verginità nel modo più macabro possibile. Quando era tornata a casa, sanguinava violentemente...ma non aveva avuto il coraggio di parlare, di andare in quella maledetta stanza e piangere tra le braccia del suo papà. Quelli sapevano tutto di loro, erano a conoscenza del fatto che avesse un padre che era più di qua che di là con la mente, e che non avrebbe potuto fare niente. Ma era anche lei che non voleva regalargli un altro dispiacere. Poi era successo la cosa più orribile. Si era chiusa nel bagno e ne era uscita con il viso pallido e un test di gravidanza positivo. Da quella violenza era rimasta incinta e non era più capace di stare davanti a quegli uomini senza sentirsi minacciata. Era scoperta, incinta, e stuprata. Aveva paura di qualsiasi cosa fosse dietro l'angolo e questo bambino che stava crescendo dentro di lei non aveva alcuna colpa. Ad abortire non ci pensava nemmeno. Era l'unico con cui potesse parlare.

- Io esco...- Aveva biascicato suo padre aprendo finalmente la porta di ingresso dopo tempo immemore. Marleen non lo aveva neanche sentito, stesa sul divano, con gli occhi rossi di lacrime e il ricordo di quella notte impresso nella mente. Solo dopo qualche minuto realizzò che suo padre era uscito e poteva parlargli, poteva confessarle ciò che le era accaduto e provare quel senso di protezione che le era mancato da morire.

- Papà!- Si alzò a sedere guardando dietro la spalliera ma di lui nessuna traccia, la porta d'ingresso rimasta socchiusa. Scattò immediatamente in piedi e si vestì ponendosi un cappotto. Pioveva a dirotto, come sempre! - PAPÀ!- Gridò e il fumo bianco le usciva dalla bocca, il panico che straboccava dal cuore come un fiume in piena. Era una figlia smarrita che stava cercando suo padre, aveva bisogno del suo aiuto e lui era scomparso! Iniziò a piangere e cominciò a correre in direzione del muro. Dove accidenti stava andando!? - PAPÀ!- I capelli stavano cominciando ad appiccicarglisi al viso, così come i vestiti, incollati sulla sua pelle. Provava un terribile freddo e sapeva che nelle sue condizioni non avrebbe dovuto sforzarsi fino a quel punto, ma doveva assolutamente parlargli. Lo vide che stava cercando di scavalcare quella costruzione mostruosa. Non poteva avvicinarsi al muro fino a quel punto! Era totalmente dentro la Todesstreifen (NdA. "Zona della morte"). - NO, TORNA INDIETRO!- Lo raggiunse e lo prese per una caviglia.

- LASCIAMI!- Si divincolò e cercò di raggiungere un punto più alto, ma a causa del bagnato, scivolò un po' ferendosi la mano. Gemette di dolore.

- MA CHE COSA VUOI FARE!? E' PERICOLOSO!-

- VADO DA BILL, VOGLIO RAGGIUNGERLO! LUI E' DALL'ALTRA PARTE! IO LO SO!-

- PAPÀ, TI PREGO! HO BISOGNO DI TE!- Gridò, ma un tuono coprì le sue parole. Tom continuò imperterrito a voler andare dall'altra parte. - TORNA INDIETRO!- I polmoni le stavano finendo da quanta forza metteva in quelle urla, ma Tom era determinato. Stava credendo in un sogno che aveva fatto, dove Bill era comparso e gli aveva detto di seguirlo, al di là della parete. Non c'era dubbio che fosse ancora vivo e Tom l'avrebbe raggiunto. - PAPÀ, NON MI LASCIARE, IO...MI DISPIACE, MI DISPIACE!- Solo a quelle parole l'uomo fermò il suo intento e guardò in basso. Era quasi in cima, ma poi osservò il viso in lacrime di sua figlia che lo guardava e si domandò che cosa stesse facendo. Come mai si trovava lì? - Vieni, papà...torniamo a casa, insieme- Gli tese la mano, che l'uomo afferrò senza esitare. Aveva ancora quel tocco gentile e rassicurante, e questo la fece sorridere. - Torniamo a casa- Ma fu un attimo. Tre colpi netti partirono da una canna di fucile e trafissero la schiena di Tom che si sbilanciò e si lasciò cadere al suolo. Marleen sgranò gli occhi. Cosa era successo? Abbassò gli occhi e ai suoi piedi stava il corpo di suo padre, ansimante e sanguinante. - PAPÀ!- Cadde in ginocchio prendendolo tra le sue braccia e afferrandogli una mano. - Papà...-

- Marleen...- Tremava dolorante.

- Resisti, d'accordo? Chiamo qualcuno...e...- Stava piangendo a dirotto, non riusciva neanche a distinguere bene il volto di suo padre...ma capì che le stava sorridendo.

- Era così...che doveva andare...- Esalò a fatica. Mosse una mano tremante e le accarezzò una guancia. - Non porto rancore...io ti voglio bene...qualsiasi cosa accada...sono io che ti chiedo perdono...- Tossì sputando del sangue.

- Papà!-

- Io e Bill non siamo stati...i tuoi genitori per...tanto tempo, però...abbiamo cercato di fare del nostro meglio per...renderti...così come sei e...io sono tanto orgoglioso, Marleen...- Lei non riusciva a rispondergli, troppo colta dai singhiozzi violenti e dalla voglia di urlare, ma una cosa gliela doveva dire.

- Anche io ti voglio bene, papà-

- Lo so...l'ho sempre...saputo- Chinò la testa da un lato e la mano, prima poggiata sul volto della figlia, si abbandonò al suolo. Marleen adesso stava comprendendo suo padre più di qualsiasi altro al mondo. Aveva appena perso tutte le persone che amava. Era rimasta sola. Un suo grido sguarciò il cielo. Non aveva neanche avuto modo di dirgli che aspettava un bambino. E a quel pensiero bloccò le sue lacrime e abbassò lo sguardo sul suo ventre. No, non era sola...aveva ancora lui. Strinse a sé il corpo di Tom, baciandogli una guancia e la fronte. Non era stata in grado di proteggerlo. I ricordi di quando lei era piccola le sovvennero violentemente, di tutte le volte che gli aveva detto che gli voleva bene ingenuamente e adesso solo dopo anni era stata capace di ripronunciarlo. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poterlo dire ancora e vedere il suo sorriso, perché il suo amore aveva un valore, e quelle pallottole sparate da un soldato che lo aveva colto nel fatto non erano servite a niente. Il loro amore avrebbe vissuto per sempre.

D'un tratto, un colpo alla testa spense il mondo attorno a lei.

***

Quando riaprì gli occhi si rese conto di trovarsi in un ospedale. Vedeva ancora tutto sfocato e sentiva le voci delle persone che erano nella struttura. Aveva un enorme mal di testa e si rese conto di avere una benda che le fasciava la fronte.

- Dio, Marleen. Per fortuna ti sei ripresa- Quando fu in grado di mettere a fuoco la figura di quell'uomo, il suo cuore fece un salto mortale, ma era troppo debole per reagire.

- Elias...- Esalò debolmente. L'uomo sorrise. Era sollevato che si ricordasse di lui. Meno male il colpo alla testa non aveva intaccato la memoria. - Che ci fai qui?- Chiese debolmente.

- Avevano bisogno di un cardiologo in questa struttura, sono arrivato qui giusto ieri. Avevo in mente di venirti a trovare, ma ieri sera...quando ero per strada...ho sentito degli spari e...ti ho vista piangere...e...- Si fermò sospirando. Non era sicuro di poterglielo ricordare.

- Mio padre...dov'è mio padre?- Temeva quella domanda più di qualsiasi altra cosa.

- Marleen...io mi sono avvicinato, ma lo stesso soldato che ha sparato a tuo padre ha colpito successivamente te con la canna del fucile. In quell'istante sono stato in grado di intervenire e ho potuto portarti in salvo, ma tuo padre...lui non ce l'ha fatta- Disse dispiaciuto. Marleen lo fissava come se gli stesse dicendo delle parole incomprensibili. Solo dopo qualche secondo realizzò ciò che era successo. Lei aveva perso suo padre. Tom era morto. Gli occhi le si velarono di lacrime e scoppiò a piangere. Elias la accolse tra le sue braccia, incoraggiandola a sfogarsi e a buttare fuori tutto. - Ho fatto in modo che venisse sepolto degnamente, non gettato in qualche fossa- La ragazza lo ringraziò mentalmente per questo e tentò di calmarsi un poco. - Ti hanno fatto delle analisi e...beh...- La guardò negli occhi tentando di rassicurarla. - Sei incinta, Marleen- A quelle parole lei non riuscì a smettere di piangere, ma annuì ricominciando ancora più forte. - Lo sapevi di già?- Annuì di nuovo. - Che cosa è successo? Ti sei innamorata di un altro e...- Scosse prontamente la testa.

- Io...una notte...tre...i soldati...loro...-

- Ehi ehi...prendi un bel respiro, così, brava- Le asciugò le lacrime e solo in quell'istante Marleen notò quanto era cambiato. Erano entrambi un po' più invecchiati, ma Elias non aveva perso il suo fascino, solo che non riusciva più a rabbrividire come un  tempo. - Adesso se vuoi, mi dici tutto-

- E' successo...una notte...stavo tornando a casa da lavoro e tre soldati mi hanno fermata...erano ubriachi...mi hanno condotta ad un furgone dicendo che dovevano perquisirmi...e altre parole sconclusionate...ma mi hanno violentata e...io adesso aspetto il figlio di uno di loro- Elias non poté fare altro che abbracciarla ancora più forte, non era la prima volta che sentiva una storia come quella ma gli dispiaceva enormemente che fosse accaduto proprio a Marleen. - Io non voglio abortire, voglio tenerlo...nonostante questo. Io mi sento così sola- Quelle parole fecero male al cuore di Elias. La solitudine era una brutta bestia e Marleen stava facendo di tutto pur di non finire come suo padre.

- Ora non lo sei più, d'accordo? Ci sono io qui con te e mi prenderò cura di entrambi- Erano le parole che meno si aspettava di sentire e che più desiderava. Non credeva che Elias fosse ancora innamorato di lei dopo tutti quegli anni passati a scriversi lettere sempre meno frequentemente. Non credeva che sarebbe rimasto dopo una rivelazione di quel calibro. Per Marleen era come se gli avesse detto di avere una brutta malattia, perché quel bambino non aveva colpe però era sbagliato poiché sarebbe nato da uno stupro. - Ti ricovererò personalmente e poi ti porterò con me a Berlino Est. Lì tutto è diverso...-

- Ma quanto può essere diverso se comunque siamo rinchiusi?- Era una domanda lecita. La libertà non l'avrebbero trovata da nessuna parte e non sapeva fino a quanto quella situazione sarebbe durata. Sospirò. Era bene che la smettessero con quei discorsi, non le stavano facendo bene nello stato in cui si trovava.

- Adesso ti lascio, è bene che riposi un po'-

- No, rimani con me- Elias doveva lavorare, ma non riuscì a dire di no agli occhi di Marleen.

- D'accordo, a patto che ti addormenti-

- Va bene, ma non lasciarmi- Dopo neanche cinque minuti, Marleen aveva perso i sensi ed Elias si era ritrovato a fissarla imbambolato. Nonostante l'età era ancora una bellissima donna, anzi, non dimostrava nemmeno di essere entrata nei cosiddetti -anta. Forse era la gravidanza a renderla ancora più bella. Era ammirevole da parte sua dire che avrebbe continuato a portare in grembo il frutto di quell'aggressione. Ma in quel tempo che si erano frequentati, il cardiologo era stato in grado di vedere quanto Marleen fosse una donna forte. Sopportare la situazione con il padre, la loro separazione, e ora questo...tutto da sola. Sospirò alzandosi dalla sedia. Si chinò a poggiarle un bacio sulla fronte, poi la lasciò dormire, sperando che non si svegliasse tanto presto da accorgersi che non aveva potuto adempiere alla propria promessa.

***

Berlin, Novembre 1989

28 anni. Erano rimasti in quello stato di reclusione per quasi trent'anni, ma finalmente anche quella era finita. Marleen non osava pensare a suo padre che aveva vissuto la fine della prima guerra, totalmente la seconda, e l'inizio di questa agonia, in più doveva nascondere chi era veramente per paura dei giudizi e delle punizioni. Suo padre era stata una persona valida, ma erano riusciti ad ucciderlo. Però ora era passato tanto tempo da quell'avvenimento. Il piccolo Nathan era nato in una ventosa notte autunnale e nel suo sorriso aveva marchiati dei brutti ricordi che Marleen non avrebbe mai potuto ignorare, ma nonostante ciò lo amava terribilmente. Adesso aveva 14 anni, i capelli castano chiaro e gli occhi dorati, come suo nonno. L'unica cosa che non gli apparteneva era il naso, leggermente alla francese, ma per il resto ricordava in tutto e per tutto suo padre. A volte pensava che Nathan fosse un modo di Tom per farle dimenticare tutto il male, renderlo così simile a lui per non farle pensare più a quella maledetta notte, ma per tenerla al sicuro, per proteggerla. Erano rimasti solo loro due, purtroppo. Andando avanti con gli anni, Elias e Marleen si erano resi conto che erano cambiati troppo rispetto a quando erano più giovani e che non necessitavano più l'uno dell'altra per andare avanti. Tuttavia Elias aveva mantenuto la patria potestà sul piccolo Nathan.

- Nathan-

- Dimmi, mamma- Marleen lo guardò dritto negli occhi, seduti su quella squallida panchina del Treptower park, ad ammirare le costruzioni in marmo bianco, durante quel giorno silenzioso dove solo pochi vecchietti passeggiavano qua e là.

- Ti va di andare a stare da tuo padre per un po'?- Il ragazzino rimase sorpreso di questa richiesta, ma continuò imperterrito a mangiare il suo gelato, che sennò gli colava da tutte le parti.

- E come mai?-

- Perché io devo andare da qualche parte e non so per quanto tempo starò via. Potrebbero essere anni-

- Cosa!? Mamma, che stai dicendo!?- Nathan era ancora troppo piccolo, e non sapeva tutta quanta la verità sulla vita precedente di sua madre, per questo stentava a comprendere quelle parole, e forse lo stava vedendo come un tradimento nei suoi confronti.

- C'è una persona che devo rivedere, una persona molto importante per me. Ho ricevuto un biglietto pochi giorni dopo la caduta del muro ed io devo assolutamente partire-

- Ma perché stare via così tanto? Hai detto "anni"!-

- Perché voglio che quella persona non stia da sola, ha bisogno di me-

- Ma anche io ho bisogno di te!-

- Amore, lo so, ma...tu hai ancora tutta la vita davanti e poi tuo padre è una buona compagnia. Io non voglio che prendi queste mie parole come se ti volessi abbandonare, d'accordo? Ti chiamerò ogni giorno e non te ne accorgerai neanche del tempo che passa, te lo prometto- Nathan era ancora confuso, però era anche vero che in quegli anni aveva imparato ad essere forte, perché mai aveva vissuto un periodo come quello dei suoi primi 14 anni di vita.

- D'accordo, ma mi prometti che mi spiegherai tutto?- Marleen sorrise annuendo e abbracciandolo forte. Nathan era l'unico che riusciva a comprenderla senza che lei dovesse parlare. E ora, mentre lo guardava, con quell'adorabile broncio offeso, capiva che metterlo al mondo era stata la cosa più giusta che avesse potuto fare.

***

Si ritrovò a guardare fuori dalla finestra per l'ennesima volta durante tutti quegli anni, ma non fu necessario richiamare tutte le forze per farsi spuntare un sorriso sulle labbra. Forse era la buona volta che gli sarebbe venuto un infarto, ma prima doveva assolutamente riabbracciarla. Andò ad aprire la porta e la trovò con il braccio teso, in procinto di bussare. Era cambiata tantissimo, beh...come anche lui. Ricordava quando l'aveva lasciata, all'età di tre anni, e adesso...era nuovamente davanti ai suoi occhi e non c'era dubbio, aveva contattato la persona giusta.

- Buongiorno...- E anche la sua voce, nonostante i 52 anni che li avevano divisi, era rimasta soave, leggermente squillante, esattamente come la ricordava. La sua piccola Marleen. La vedeva che le tremavano le mani, strette davanti al ventre, non sapeva se alzare lo sguardo oppure no. Marleen, dal canto suo, capiva che doveva avere coraggio. Non poteva aver fatto tutti quei chilometri per niente, la Svizzera non era proprio dietro l'angolo e aveva lavorato sodo per permettersi i soldi per fare quel viaggio. Alzò il viso e incontrò quegli occhi che temeva di aver dimenticato per sempre. Bill era...invecchiato, logicamente, ma c'era di più. Aveva conservato comunque la sua bellezza quasi efebica. Sotto quelle rughe, Marleen riconobbe che era davvero lui, era il suo secondo papà, l'uomo che Tom aveva amato fino alla fine dei suoi giorni. - ...Bill- Al sentirla pronunciare il suo nome, l'uomo sorrise e i suoi occhi si inumidirono un po' di lacrime. Era davvero lei, la sua bambina. Che bella che era, pensò. - Vorrei abbracciarti ma...mi sento così strana- Le sue braccia erano completamente bloccate, non riusciva a muoversi. Il suo cuore invece stava battendo così forte, che aveva paura gli scoppiasse un'arteria. - Tu sei davvero qui...davanti a me. Sei sopravvissuto...- E anche lei non si trattenne dal liberare delle lacrime. Fu Bill a farsi avanti e ad avvolgerla tra le proprie braccia. A quel punto la donna non poté evitare di singhiozzare sempre più forte. Quell'odore, era convinta che non lo avrebbe più sentito. Quel calore sicuro delle sue braccia. Si sentiva come una bambina, come quella bambina che in fondo sapeva di possedere ancora nell'animo. Bill le prese il viso tra le mani asciugandole le lacrime e lasciandole un delicato bacio sulla fronte.

- La mia Marleen- Sussurrò visibilmente emozionato e commosso di averla nuovamente con sé. Entrarono in casa e continuarono ad abbracciarsi. Marleen sperava che non fosse tutto solo un dannato sogno, perché se così fosse stato, il risveglio l'avrebbe condotta ad uno stato di depressione enorme, ma l'emozioni che provava erano troppo vere per non credere che fosse reale. - Sono passati così tanti anni da quel giorno-

- Sì...a volte lo rivivo nei miei incubi-

- Anche io...ma adesso siamo insieme- Bill non aveva alcun legame di sangue con Marleen, non era figlia sua, ma avrebbe mandato a quel paese chiunque avesse osato pronunciare quelle parole, perché la donna che stava stringendo tra le braccia, anche se aveva avuto l'onore di crescerla solo per i primi 3 anni della sua vita, non aveva lasciato il suo cuore neanche un secondo. Forse fare il padre adesso che aveva 76 anni sarebbe stato giudicato come inutile, ma a Marleen serviva un papà. Non perché lei non sapesse cavarsela da sola, ma semplicemente perché da quel massacro erano sopravvissuti solo loro due e stringersi la mano fino alla fine era l'unica cosa giusta che potessero fare. - Voglio mostrarti una cosa- La prese con delicatezza per la mano e Marleen la strinse sicura, lasciandosi guidare in un'altra stanza. Quando Bill andò a scostare le tende, permettendo alla luce di invadere l'ambiente, alla donna mancò letteralmente il fiato. Quelli erano tutti...quadri. Era un enorme stanzone tappezzato di ritratti. Bill si accostò a lei per ammirare il suo lascito al mondo, la sua eredità. - Che cosa ne pensi?-

- Io...non ho parole, davvero- Il moro si avvicinò ai quadri sfiorandone uno con la punta delle dita, sentendo il ruvido della tela scorrere sotto i suoi polpastrelli. Sospirò.

- Ogni quadro in questa stanza rappresenta un momento della nostra vita- La fece avvicinare, tirandola leggermente verso di lui. Marleen era ancora ipnotizzata dalla bellezza di quelle opere. Erano tutte precise e ognuna di loro sembrava contenere un episodio degno di essere raccontato, come le storie narrate davanti ad un falò la sera prima di andare a dormire.

- Che cosa ti è successo dopo che ti hanno catturato? Come hai fatto a sopravvivere?- Chiese con un fil di voce, rubata dalle immagini che stava osservando.

- Credo che non dimenticherò mai le atrocità che ho visto...ma vorrei che rimanessero solo nella mia mente- Marleen comprese il suo desiderio e decise che non gli avrebbe più chiesto niente. Era convinta che andando avanti nella storia, qualcuno sarebbe diventato abbastanza forte per aprire bocca e raccontare quegli orribili avvenimenti. Se Bill non se la sentiva ancora, alla sua veneranda età, doveva essere stata una cosa ancora più inconcepibile di quella del muro.

- Allora parlami di questi quadri- Bill sorrise, annuendo. Era ciò che voleva fare. - Chi è quella?- Indicò abbastanza in alto, dove si trovava un quadro abbastanza grande. Vi era raffigurata una donna incinta, con un abito bianco come una sposa, o come un angelo. Era di profilo e sembrava che stesse camminando, ma era così leggera che pareva volasse.

- E' Saphira...tua madre, quando era incinta di te-

- Mia...madre?- Bill annuì. - E' davvero bella-

- Lei...era la donna più bella che avessi mai visto...fino a che non ti ho preso tra le mie braccia- A quelle parole, Marleen arrossì un poco. Non era abituata a sentirsi dire queste cose, men che meno che gliele dicesse suo padre. Tom non era così spontaneo come Bill, o forse lo era prima di impazzire ed imparare a rinchiudersi in sé stesso. - Se non fosse stato per tua madre, io non sarei qui oggi-

- Che cosa è successo, papà?- E pure quella parola uscì spontanea dalle sue labbra. Non la pronunciava da 14 anni, da quando Tom non c'era più. E Bill provò un leggero tuffo al cuore.

- Vedi...durante il dopoguerra sono fuggito in Svizzera, qui, in questa casa. Ho cominciato a dipingere, ma la "caccia agli omosessuali" non era ancora finita. Degli ufficiali sono venuti qui a perquisirmi per accertarsi che fossi..."normale". Hanno visto questo enorme quadro, come anche altri, e hanno dedotto la cosa più stupida, ma che in quel momento mi ha salvato la vita-

- Cosa?-

- Che mi piacessero le donne dato che ho ritratto tua madre in più di un'opera- Marleen corrugò la fronte. Ma davvero? A volte non si spiegava proprio. Bastava così poco per avere salvi la vita? Sì. Esattamente come bastava poco per essere condannati. - Tua madre ha salvato il mio corpo...e tuo padre il mio cuore- Abbassò lo sguardo, improvvisamente incupito.

- Hai qualche quadro di lui?- Chiese coraggiosamente Marleen, con un nodo alla gola. Bill si sforzò di lasciar trasparire un leggero sorriso. Indicò un quadro che raffigurava un paio di occhi, dipinti con un dolce color oro.

- Ricordo tutto...ma quel dipinto rappresenta ciò che mi colpì la prima volta che lo vidi. L'oro negli occhi di tuo padre- E nella sua mente un film in bianco e nero prese forma, delle diapositive che scorrevano per dar forma alla loro storia, a ciò che erano stati. Forse il loro amore era durato il tempo di una candela accesa, ma Bill non aveva più voluto nessun altro. Tom era la sua persona. 

"Mi chiamo Tom"

Lo ricordava come fosse ieri.

I ritratti del nostro mondo- Sussurrò.

- Eh?-

- Sì, la chiamerò così-

- Intendi questa collezione?- Lo vide annuire. - Papà...vuoi che...tutti possano vederla?- Annuì nuovamente.

- Voglio che sia tu a rendere queste opere pubbliche. Ho voluto contattarti anche per questo- Si voltò a guardarla dritta negli occhi. - Tu hai la capacità di essere un'ottima artista, ancora più di me- Le prese le mani, ma assunse un'espressione confusa quando la vide abbassare gli occhi. - C'è qualcosa che non va?-

- Io...non so se sono in grado di dipingere ancora, di continuare ciò che tu hai fatto. Io ho un figlio, Bill. Si chiama Nathan, ha 14 anni, è ancora troppo piccolo e non lo posso lasciare per sempre. Io voglio rimanere qui con te per tenerti compagnia, per non lasciare che passi questi ultimi anni di vita da solo...così come è successo con mio padre- Ormai era entrata nel discorso, perciò si sentì in dovere di confessarlo. Prese un bel respiro. - Papà, Tom...-

- Lo so- Percepì una sua mano calda sulla guancia bagnata. - Quando la notizia del muro di Berlino è arrivata anche qui, ogni giorno controllavo l'elenco delle persone che morivano uccise dai soldati...e un giorno tra quelli lessi anche il nome di tuo padre. In quell'istante...il mondo...mi è crollato addosso...mi sono sentito...vuoto...- Quella volta fu il turno di Marleen di asciugargli le lacrime. - Realizzare che...avrei potuto rivederlo e invece...l'ho perso per sempre-

- Anche io l'ho pensato. Quando papà morì, io ero incinta di Nathan e credimi, più quel bambino cresce e più gli somiglia. Ho quindi compreso che mio padre non mi ha veramente lasciata e non ha abbandonato nemmeno te. Lui ti ha amato fino all'ultimo, i suoi ultimi pensieri sono stati rivolti a te, il suo gesto disperato! Sbagliato o no, tutto ciò che faceva e diceva era nel tuo nome, papà- Bill sospirò, tentando di riprendere fiato.

- Portami da lui-

-...va bene-

***

Bill non credeva che avrebbe provato nuovamente quella sensazione di vuoto, così forte da schiacciargli l'anima. Su quella lapide c'era scritto "Tom Trümper 1916-1975". Era morto a 59 anni, mentre Bill era ancora in vita. Quel pensiero lo fece sentire male per un attimo e ricominciò a piangere davanti a quella pietra, pensando a quanto era stato sbagliato tutto ciò che avevano vissuto. Perché dovevano ucciderlo? Lui stava tentando di raggiungerlo, e quelli non ci avevano messo neanche un secondo a sparargli. Perché l'odio e l'etica erano più importanti dei sentimenti? Percepì una mano posarsi sulla sua spalla, la afferrò. Forse, tra tutto il marcio, quel mondo era stato capace di regalargli qualcosa di positivo. Voltò lo sguardo, incontrando gli occhi di Marleen, inumiditi e rossi di lacrime come i suoi. La donna pensava che, se proprio i suoi due papà dovevano rivedersi, non era giusto che si trovassero uno sulla terra e l'altro due metri sotto il suolo e chissà quanti sopra il cielo.

- Era così...che doveva andare- In quell'istante Marleen rivide il flash di suo padre, morente tra le sue braccia, che pronunciava le stesse parole. - Si vede che il libro del destino non aveva più pagine per noi o che era finito l'inchiostro- Tom aveva creduto fino all'ultimo al destino, come Bill gli aveva insegnato. Era un rischio che entrambi avevano scelto di correre, perché il destino non è Dio, il destino non può aiutarti, anche se ci credi, il destino è così e tu non puoi fare altro che lasciarti trasportare come una piuma portata dal vento. In poche parole, speri solo che a quello che scrive quel dannato libro non giri storto o che non gli tremi la mano.

- Secondo me lo avete lasciato senza parole- Si palesò la voce di Marleen tra i suoi pensieri e ritrovò il sorriso.

- Sì, può darsi-

- Papà...vorrei sapere cosa è accaduto prima che nascessi- Quella richiesta sorprese non poco il moro. Tom non le aveva detto niente? Certo, come avrebbe potuto farlo? Molto probabilmente anche lui aveva voluto dimenticare tutto ciò che lo aveva ferito. Prese un grande respiro e si sedette per terra. Marleen fece altrettanto, aspettando.

- D'accordo, ti dirò tutto- Lui, che aveva vissuto di peggio, ricordava ogni singolo attimo di quell'agonia e per lei, solo per lei, avrebbe fatto lo sforzo di raccontare. - Ricordo ancora le note che suonavano in quei maledetti anni...-

DAS ENDE!



SPAZIO DELL'AUTRICE
Eccoci. Dopo un anno difficile come questo, siamo giunti alla conclusione di questa storia. Spero che vi sia piaciuta, che vi abbia emozionato e che vi resti nel cuore. E' stato un piacere scriverla per voi. Ci vediamo presto con il continuo e la conclusione de IL FIORE DEI SOGNI, che con questa estate vedrò di portare a termine il prima possibile dato che ho della roba nuova in attesa che sta aspettando solo le mie attenzioni. Grazie per aver letto, votato e commentato.
DhakiraHijikatasouji



Traduzione della lettera di Marleen

"Ciao, amore mio
Mi pensi ancora? Io sì, tutti i giorni. Da quando ci hanno costretti a separarci, nessun giorno è più unico. Sono tutti uguali. Guardo il cielo e mi sembra che il sole non esista più. Ci sono sempre le nuvole grigie a coprirlo. Anche dalla tua parte è così? Vorrei poterti abbracciare, toccare, baciare e farti sentire quanto mi manchi. Quando finirà tutto questo? Non mi importerebbe quando, ma mi basterebbe saperlo, in modo che questa agonia abbia una fine. Mio padre non esce più da quella stanza, non vuole parlarmi. E' da anni che non mi rivolge parola ed io sento che mi sto consumando. Non so se riuscirò a sopravvivere ancora per molto, ma giuro che diventerò più forte e pregherò ogni secondo anche per te.
Ti amo.
Marleen."

 

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