Accenno di un segno

di Zomi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gesto (Katakuri x Ichiji) ***
Capitolo 2: *** Cicatrice (Kidd x Killer) ***
Capitolo 3: *** Punto (Doflamingo x Crocodile) ***



Capitolo 1
*** Gesto (Katakuri x Ichiji) ***


Accenno di un segno



 
Gesto

 
coppia richiesta da Marauder Juggernaut



Katakuri non vi è abituato.
Solitamente è lui quello che organizza serate al cinema, cene in locali speciali e uscite appariscenti.
Lui che impara subito i gusti del partner, lui che pianifica e prevede con esattezza come conquistare l’amante.
È lui il corteggiatore, il cacciatore, il lupo famelico.
La parte dell'innocente pecorella in balia del predatore la lascia ai suoi obiettivi amorosi.
Non gli è mai interessata, né si è sprecato nel cimentarsi mai in tali ruoli.
Lui è un uomo fatto e finito, non un’adolescente innamorata dell’amore come sua sorella Pudding: non permette al suo cuore di liquefarsi per doni inaspettati, e non si lascia scappare sospiri pieni di aspettative ed emozioni languide.
Solo ora si rende conto di cosa si sia perso.
Le uscite a sorpresa all'acquario, i fiori, le ciambelle glassate del sabato mattina prima delle uscite in centro.
Piccoli e grandi gesti improvvisi che lo fanno sentire desiderato e apprezzato, lo fanno sentire bene e bello.
Bello! Lui!
Per questo venir corteggiati e viziati da Ichiji Vinsmoke, lo destabilizza.
Alquanto.
E lo lusinga.
E lo rende frustrato.
Perché dopo cene e gite e regali di genere e prelibatezza pasticcer differente, Katakuri si aspetta qualcosa di più del semplice bacio della buonanotte che mai manca a fine di ogni loro incontro.
Un bacio passionale, lento, bagnato e a volte mordace, ma mai nulla di più.
E Katakuri si aspetta molto di più.
Spegne la sigaretta col tacco sul porfilo all'esterno dell'Osservatorio Astronomico.
Il buio pesto della notte è perfetto per l'osservazione, per il loro appuntamento romantico e per celare il suo nervosismo.
Se il Vinsmoke non si decide a infilargli una mano dei pantaloni nemmeno al buio di una stanza sferica illuminata solo dalle luci naturali di stelle lontane miliardi di anni luce dal loro pianeta, giura che lo...
-Ho preso i biglietti- interrompe la sua buona intenzione Ichiji, sventolandogli due rettangolini colorati sotto il mento.
-Ci hai messo un po'- gli fa notare, sistemandosi la sciarpa voluminosa attorno alla gola.
Non vi è folla all'ingresso della struttura, e a occhio e croce saranno loro due e una coppia di nonnini gli unici spettatori notturni.
-Ho contrattato- liquida il dubbio di Katakuri il rosso facendone nascere un ulteriore, e ignorando bellamente l'occhiata indagatrice del maggiore gli fa strada verso la sala telescopica.
Discende la scalinata nel settore nord dell’osservatorio, superando le file di seggiolini fino a raggiungerne la metà.
Si volta solo quando raggiunge la fila di metà ala, non troppo bassa per perdersi le stelle maggiori né troppo vicina al corridoio di accesso e ad altri avventori, accorgendosi che Katakuri è rimasto in cima alla scalinata.
Confabula strettamente con la guida dell'Osservatorio, celando le loro parole dietro la vaporosa sciarpa che indossa, chiudendo la discussione con un secco cenno del capo.
-Qualcosa non va?- domanda quando prendono posto nell'ala più isolata, ignorando il vociare degli ultimi arrivati.
-Ho contrattato- ribatte ghignante Katakuri e Ichiji si domanda se non sia una ripicca per la sua precedente risposta.
Non si cruccia a riguardo però, e quando le luci a basso voltaggio si spengono e la voce della guida inizia a introdurre la serata, i suoi occhi si incollano come quelli di Katakuri al planetario gigante che si apre sopra i loro capi.
Le costellazioni si dipanano come mappe, venendo chiamate ad una ad una dalla voce soffusa della guida, che le descrive e ne racconta la storia.
Vi è Andromeda, nell’emisfero nord, nella sua principesca posa incatenata per le colpe della madre.
Brilla Pegaso, mentre cavalca nella notte, e brillano le Orse, maggiore e minore, con Venere smagliante.
E vi è il braccio di Ichiji che si porta alle spalle di Katakuri in un adolescenziale abbraccio.
Katakuri lo trova infantile, quasi sciocco, ma sono tutte scuse per mitigare il calore alle guance che lo costringe a infossare il capo maggiormente nella sciarpa mentre scivola accanto al rosso e posa, con magistrale nonchalance, il capo sulla spalla offertagli.
Al diavolo i ruoli: è la prima volta che qualcuno usa un scontato gesto romantico con lui e vuole goderselo.
Manda al diavolo le costellazioni, le spiegazioni della guida e il soffitto apribile che si dipana per lasciare, al vero firmamento, lo spazio occupato dalla volta elettornica con cui la guida dell’osservatorio ha spiegato la disposizione delle costellazioni.
L’unica cosa che ha l’onore della sua attenzione sono le labbra di Ichiji posate con naturalezza sulla sua bocca, sul profilo della mandibola e sulla gola nuda dalla sciarpa, scivolata a terra non sa bene quando.
Gli fremono le mani quando la lingua del rosso scivola lussuriosa tra le sue labbra, accarezzando i canini appuntiti che possiede e stuzzicandolo.
E si sa, se stuzzichi un predatore, poi non puoi lamentarti delle ferite che ne guadagni.
E se stuzzichi uno Charlotte, baciandolo lussuriosamente, con mani ben salde al petto vibrante e con lingua sfuggente, non puoi meravigliarti se lo Charlotte si getta su di te fino a schiacciarti prepotentemente sulla poltroncina occupata.
-Non siamo soli- gli ricorda Ichiji, mentre al buio della sala continua a baciarlo, non accennando a volersi risistemare in una posa composta sul sedile.
-Lo so- lo rimbecca tirato, sgusciando con le dita sotto la maglia del giovane: la consistenza soda e fredda della pelle di Ichiji sulla punta delle dita gli ruba quasi un gemito, che mal trattiene solo quando intravede il ghigno soddisfatto del rosso che lo deride.
Vinsmoke maledetto!
Lo vuole morto, nè è certo: morto e in astinenza.
-Fremi per così poco Charlotte?- ride roco abbassando la voce -E io che credevo avrei dovuto lavorare di più per rubarti un gemito…-
La mano del rosso scivola tra i loro corpi schiacciati, e quando Katakuri percepisce lo schiocco della sua cintura che viene aperta, si ritrova ad appoggiarsi con la punta delle scarpe al pavimento, inarcando la schiena per far scendere da sola la mano che lo accarezza.
Una nuova risata roca di Ichiji lo fa vibrare, ma la zittisce in fretta con un nuovo bacio, arrampicandosi sul sedile con il ragazzo.
-Tu e i tuoi giochetti…- ansima mordendogli la gola.
-Come se non ti fosse piaciuto- lancia una gamba sullo schienale di un sedile, facendogli spazio.
Le mani si perdono nei vestiti, trovando a fatica la pelle dall’altro nel buio del cielo stellato.
-Fa piano- sghignazza Ichiji, inarcando la schiena per facilitare i movimenti di Katakuri -Abbiamo tutto il tempo che vogliamo-
Il moro lo scruta da sopra la patta aperta dei jeans, un sopracciglio arcuato e le labbra sugli addominali del rosso, che sorride straffottente.
-Ho allungato una banconota da venti alla guida per non… richiamarci alla chiusura dell’Osservatorio Astronomico- rivela la sua contrattazione all’acquisto dei biglietti, e il noleggio abusivo di ore rubate all’osservatorio e alla volta stellata.
Katakuri sgrana gli occhi e si solleva dal busto che stava vezzeggiando.
-Venti?!- quasi sbotta, incuriosendo Ichiji.
-Si ven-
-Gliene ho dati cinquanta io!- picchia un pugno sullo schienale.
Ichiji ride, e scuote il capo, prendendogli il volto e riportandolo contro il suo, zittendo le sue proteste.
Venti, cinquanta, che importanza ha?
Ichiji ha intenzione di lasciare l’osservatorio solo quando le stelle scompariranno anche nel cielo.





 

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Capitolo 2
*** Cicatrice (Kidd x Killer) ***


Cicatrice
 
 
coppia richiesta da Vegethia



Di cicatrici ne aveva numerose.
Di alcune ne andava fiero, altre erano infantili e guadagnate in giovane età, altre sottolineavano le sue sconfitte ma non per questo le celava.
Anzi.
Quest'ultime le sfoggiava con un'arroganza inumana, accompagnandole con velenoso rancore per chi gliele aveva regalate e berciando le peggior bestemmie nel tessere la sua rivincita sempre più vicina e calamitata.
Kidd non avrebbe mai e poi mai nascosto la cicatrice di una sconfitta.
Il braccio mancante, di cui restava reduce solamente un moncherino pulito e roso dall'acida cancrena, era lì mentore che Shanks sarebbe presto morto per mano sua.
Mano metallica e priva di pietà.
La cicatrice in faccia, mostrata a chiunque si avvicinasse troppo come ultima visione del mondo prima della dipartita del malcapitato.
Le unghie laccate di nero e dolore, per i pugni sferrati mentre le iridi dorate brillavano di novica e ferrea voglia di massacro.
Kidd non avrebbe mai e poi mai nascosto alcuna sua cicatrice.
Prima di Kaido.
Il grugnito che liberò echeggiò nella pianura desertica di Wano Kuni, spaventando qualche uccellaccio che prese il volo, gracchiando la sua disapprovazione.
-Fottiti!- sbraitò Kidd, picchiando il masso su cui si era lasciato cadere.
La fuga dalla prigione miniera di Udon non era stata così difficile come si aspettava, ma lo smacco e la successiva incazzatura per essere stato liberato da Cappello di Paglia rodeva sanguinolenta i suoi nervi.
Ma non era l’intervento dell’avversario pirata a bruciargli come olio bollente nei polmoni, nè le ferite souvenir della sua permanenza ad Udon.
Alzò gli occhi alla figura che lo accompagnava e che, nella breve sosta, riprendeva fiato accanto a lui, guardandosi attorno.
Il capo era bendato, ma qualche fascia scappava all’intreccio e permetteva, oltre che a ciocche bionde e scompigliate, anche alla pelle bronzea di Killer di apparire.
Lo yukata sgualcito era stato sistemato frettolosamente dalle mani assassine del pirata in seconda di Kidd, mentre il suo sguardo navigava a vista sulla terra desolata in cui si erano addentrati, non sfiorando mai il rosso con gli occhi.
Lo evitava volutamente e con estrema precisione.
Kidd lo vide deglutire rumorosamente, zittendo gli ansiti di fatica per la fuga e qualsiasi altro suono non richiesto delle sue labbra, mentre tendeva il braccio davanti a sé.
-Gli altri- parlò deciso e asciutto -Ci aspettano in una cittadina ad est- prese fiato e strozzò un gemito di dolore per la nuotata con catene offerta da Queen nella sua prigione.
-Stanno bene e-
-Lo ridurrò in brandelli e inchioderò i suoi resti sulla china della nave-
Killer sussultò e si zittì.
-Quel figlio di una bocchinara morirà per mano mia- masticò bile verde tra le ganasce, stringendo con feroce rabbia entrambi i pugni -Morirà espiando il suo ultimo fiato davanti ai miei occhi!-
Si alzò di scatto, prendendo Killer per il bavero dello yukata e costringendolo a guardarlo negli occhi.
-Ucciderò Kaido- decretò fiero e solenne -Lo ucciderò per ciò che ti ha fatto-
Per aver resto Killer ciò che più odiava la mondo.
Per quella risata strappata al silenzio.
Per un segreto che ora più che mai sarebbe stato impossibile celare a chiunque.
Per aver regalato una cicatrice al suo compagno, che non sarebbe sbiadita, che nessun medico avrebbe potuto guarire, che nessun pugno metallico avrebbe potuto vendicare.
Nessuno aveva mai sentito Killer ridere, tranne Kidd.
Da bambino non aveva permesso a nessuno di deridere il suo amico.
Da ragazzo aveva picchiato a sangue chiunque avesse provato a imitare la sua fonica risata.
Da pirata aveva crocifisso ogni risata dedicata al suo Massacratore, godendo del sangue stillato dalle membra sfilettate da lui stesso.
Da drudo, come Marines e avversari lo additavano, in una notte di luna crescente, dentro lo scheletro di una scialuppa abbandonata sulla spiaggia dell’isola in fiamme appena raziata, con mano insanguinanta allacciata a quella di Killer e l’opposta inchiodata alla bottiglia vuota, aveva promesso ogni scempio di vendetta su chiunque il biondo avesse chiesto.
Chiunque.
Imperatori compresi.
-Morirà- promise ancora, prendendogli il mento tra due dita -Nessuna cicatrice resterà impunita- strinse la presa sul compagno e ghignò -Nè nascosta-
Accostò il volto a quello del biondo e inclinò il capo, leccandosi le labbra a un soffio da quelle purpuree del biondo.
-Quindi ridi Killer- ordinò mollando la presa sul volto paonazzo e bendato del massacratore.
-Ben presto avremo le mani colorate del sangue di un imperatore! E si fotta Shanks, se non sarà il secondo!- calciò un sasso nella terra spoglia, armandosi mancino e bestemmiando contro il cielo unto di fumo di guerra.
Killer lo guardò senza riuscire a proferir parola, ma una risata echeggiò nella steppa sassosa, facendo volare con sgraziato e stridente gracchiare dei corvi di WanoKuni.
-Fa Fa Fa!-



 

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Capitolo 3
*** Punto (Doflamingo x Crocodile) ***


Punto
 
coppia richiesta da NekoRika

 
 
La giornata non era iniziata bene.
Non solo il caffè mattutino era arrivato al suo tavolo bruciato, e non nero come da lui richiesto, ma la giornata si era presentata con un’umidità totalemtne insopportabile per fino per lui, amante del torrido e secco clima della regione, suggerendogli che non sarebbero state ventiquattrore da catalogare tra nelle migliori da lui vissute.
Era iniziato tutto con i problemi alle slot machine, quella strana influenza di Das Bornes che l’aveva costretto ad assentarsi dal suo ruolo di tuttofare/guardia del corpo non necessaria ma ugualmente sanguinaria e la mancanza quindi di una figura chiave all’interno del Casinò.
Poi era arrivata la notizia del coccodrillo dell’acquario numero Tre con problemi dentali, il garzone che aveva provato a rubare il menù segreto serale del ristorante del Rain Dinners, costringendo lui stesso in persona a scendere nelle cucine del locale per ricordare ai dipendenti che ogni trasgressione comportava dei tagli al personale.
Direttamente al personale.
La sfortuna, anche in quel frangente, si era però divertita e la punizione al garzone dato in pasto ai coccodrilli, aveva provocato una grassa e sanguinea macchia proprio sui pantaloni  di alta sartoria da lui preferito.
In fine la cena gli era stata servita in intollerabile ritardo e, per non mancare nemmeno un singolo punto negativo nell’elenco giornaliero, il suo piccolo e ringhiante carlino aveva avuto un malessere rivoltando il contenuto del suo stomaco sul pregiato tappeto che ornava il suo maestoso ufficio personale.
Tutto questo aveva dovuto sopportare Sir Crocodile.
In un’unica giornata lavorativa che non sembrava voler giungere al termine e che costringeva l’altolocato possessore del Casinò Rain Dinners, a ponderare l’idea che qualcuno l’avesse maledetto.
Abbandonando il tagliasigari sulla scrivania e portandosi il cubano alle labbra già fumante, oscillando tra il martellante dolore alla mano sinistra -vecchio ricordo dei tempi della scalata al comando della città e che ora si aggiungeva alla lista delle note dolenti della giornata- e all’emicrania nervosa, rinchiuso nel suo ufficio nel più totale silenzio e al chiaro di una flebile luce del planetario principale, Crocodile si chiedeva se finalmente fosse venuta per lui l’ora di ritirarsi dalle sue fatiche e abbandonare per una notte la visione delle telecamere di sicurezza puntate nella sala da gioco principale, per regalarsi delle meritate ore di riposo.
Ovviamente tale premio non gli era stato concesso.
Tratteneva a stento la voglia di scendere direttamente nella sala dei giochi con le puntate maggiori, voglioso più che mani di affondare le mani nella carne del farabutto che fissava da ore attraverso una telecamera di sicurezza.
La farabutta, se voleva essere preciso, e per lui la precisione era tutto.
Ma lo erano anche la calma e la ponderatezza, e per quanto i suoi nervi fossero tesi fino al limite dell’umana sopportazione, Sir Crocodile manteneva alto il suo aplomb e la sua fierezza composta.
Analizzò la situazione con occhio critico e non omicida.
Una cliente stava dilaniando le sue casse più di quanto solitamente era concesso ai migliori giocatori ospiti del Casinò, roteando abile tra i tavoli di Baccara e Black Jack della Sala Baroque Work, stazionando su quest’ultimi da un paio di ore e vincendo senza sosta.
Stava imbrogliando, era evidente.
Meno lo era il suo trucco che non si basava sul conteggio delle carte nè su una squadra attiva per l’attività dell’imbroglio.
Crocodile se ne intendeva, e aveva capito che la giovane donna dai capelli rosso fuoco legati in una coda alta e dal vestito chiaro aperto sulla schiena, e che lasciava in mostra non solo le curve ma il tatuaggio blu sulla spalla sinistra, lavorava da sola e lavorava bene.
Troppo.
E a Sir questo non piaceva.
Soffiò dal naso con disappunto e inspirò, a pieni polmoni, una densa e catramitica boccata di fumo del suo sigaro.
La donna era troppo bella e particolare, e in molti avevano notato la sua presenza ai tavoli da gioco.
Figuriamoci la sua assenza e futura ricomparsa in chissà che vicolo maleodorante, in condizioni ben meno vitali di quelle in cui versava mentre vinceva ancora a Ventuno.
No troppo rischioso.
In più, scendere nella sala padronale del suo Casinò nella veste di Direttore, per svellere le interiora di un suo cliente direttamente dal suo torace, non rientrava nella politica di marketing della compagnia di intrattenimento di Crocodile.
Per quanto gli sarebbe piaciuto sfogare il nervosismo accumulato nell’arco della giornata in quel dilettantistico modo.
Si limitò quindi a schioccare la lingua sul palato, grattare tra le orecchie il suo carlino e imporsi di agire con astuzia e non impeto assassino.
Dopo di chè, schiacciò uno dei tasti della pulsantiera a sua disposizione.
-Paula- chiamò secco e controllato, ma lasciandosi sfuggire una lieve nota che tendeva al massacro se non avesse ricevuto subito risposta -Segna sul libro mastro il vinto della vincitrice del tavolo nove di Black Jack… e portale uno dei nostri drink in omaggio-
Paula annuì sotto lo sguardo attento della telecamera con cui Sir la guardava, ed eseguì rapidamente l’ordine.
Un drink speciale, avrebbe ben presto fatto vacillare la ramata, costringendola a ritirarsi nelle sue stanze da cui poi l’avrebbe fatta trasferire in omaggio a qualche altro suo rivale nel ramo dei giochi d’azzardo.
Che andasse da altri a rubare!
Ma, ancora, mai stanca e sazia, la Dea Eris volle giocare con lui e il flutè, appena portato in omaggio alla dolce truffatrice, volò dal ripiano verde di Jack fino al tappeto rosso del pavimento rivestito.
Intoccato, inbevuto, inefficace.
La rossa avrebbe continuato a giocare a derubarlo.
-Tsk-
Crocodile si massaggiò le palpebre chiuse, permettendosi solamente un’unica imprecazione celata dal mugugno monosillabico.
Era vicinissimo a orchestrare una strage da compiere a mani nude, pur di liberarsi dal nervosismo che lo pungeva in ogni dove.
Il caffè, il caldo imperfetto,le slot machine, il coccodrillo, Das Bornes, il garzone e il suo completo...
La rossa.
Cosa, cos’altro poteva andare storto in quelle maledette ventiquattro ore della sua vita?
Quale altro evento avrebbe portato alla rottura dei saldi punti con cui Sir Crocodile stringeva e controllava la sua vena assassina, con una calma imposta e un autocontrollo saldamente ancorato a doppi punti di acciaio?
Cosa poteva ancora arrivare, a fargli perdere del tutto la pazienza?
-Fu fu fu ~♥ -
L’imprecazione si mischiò alla bile, venendo mal celata dal ringhiò del carlino drizzatosi in piedi sotto le gambe tese del suo padrone, incapace di alzarsi dalla sua poltrona al sentire l’orrida risata.
Non si permise di scomporsi, nè di fulminare la porta del suo studio venir aperta e permettere a un paio di gambe fin troppo lunghe di fare capolino nella notte appena illuminata.
-Croco chan~ si può?-
Come se a un suo diniego l’altro l’avrebbe lasciato in pace.
Senza invito nè premuta, con indosso il suo voluminoso e odioso boa di penne rosa e un’accoppiata pantaloni maculati e camicia hawaina improponibili abbinati agli onnipresenti occhiali da sole, Donquixote Doflamingo entrò nello studio di Crocodile, ignaro non si sapeva bene quanto, del suo malumore.
-Noto l’assenza del tuo mastino- fischiettò il biondo avanzando sicuro verso la scrivania del moro.
-È qui in realtà- digrignò i denti Crocodile, sottolineando il ringhiare del carlino.
-Non mi riferivo a quella pochette pulciosa, ma a quell’altro cane che ti segue ovunque- ghignò avanzando ulteriormente -Das Bornes è finalmente morto? Tetano?-
Crocodile nemmeno sollevò lo sguardo dai monitor di sicurezza.
Non c’era mai davvero fine al peggio.
Si domandò ancora, nell’arco della giornata, cosa avesse potuto causare una simile allineamento di punti a lui sfavorevoli, aggiungendo una domanda che invece lo tediava da anni: perchè Doflamingo era lì?
Erano avversari economici, leciti o illeciti che fossero era solo un misero dettaglio irrilevante, e nonostante le innumerevoli minacce di morte messe anche in pratica, in buona parte, il biondo uomo d’affari gli girava attorno con una tale insistenza da renderlo quasi lodevole di una così capricciosa caparbietà.
Si, Crocodile ammirava la testardaggine del biondo, ma l’avrebbe gradita maggiormente se fosse stata indirizzata verso altri soggetti che non fossero stati la sue medesima persona.
Certo, doveva ammettere Sir, che la presenza del biondo era ben più tollerabile da quando aveva scoperto che la bocca di Doflamingo era ottima non solo a enunciare castronerie, ma anche per accogliere il suo membro eretto, ma come la natura dei loro dissapori economici, anche quello era un dettaglio del tutto irrilevante che componeva il loro disarticolato rapporto.
-Das Bornes è assente- si limitò ad evidenziare l’ovvio, storcendo il naso quando Doflamingo osò posare le sue terga sulla scrivania in mogano scuro.
Gli avrebbe amputato le gambe se i suoi raccapriccianti pantaloni avessero ardito a macchiare il ripiano pregiato.
-Ma non mi dire- si leccò le labbra, portando una mano a uno dei monitor, roteandone il video fino a potervi dare uno sguardo  -E, fu fu fu, cosa abbiamo qui…?-
La mano sinistra di Crocodile si mosse con lentezza e dolore, riportando all’asse originario il video, e ammonendo con un’occhiata severa e sprezzante il bambino troppo cresciuto che lo importunava.
-Sto lavorando- ringhiò, venendo presto accompagnato dal basso latrato del carlino.
-Zitto tu, botolo!- abbaiò anche il biondo, sollevando rapito il capo dopo averlo abbassato ad ammonire la povera bestiola che si era attaccata con ferocia all’orlo dei suoi pantaloni.
Crocodile lo stava educando bene.
Con movimento fluido, Doflamingo si concentrò sul moro, studiandolo attentamente.
-Ti fa male la mano- si arcuò quindi verso il moro, analizzando l’arto sinistro che malamente muoveva a piccoli e calcolati movimenti.
Doflamingo conosceva bene il suo avversario, forse troppo per un soggetto che avrebbe dovuto essere suo rivale in affari ma a cui preferiva la versione viva a quella morta, e conosceva la storia e i dolori di quella mano mancina.
-Ti sei faticato!- lo riprese ma Sir lo zittì con una densa nuvola di fumo esalatagli contro a esigua distanza.
Capriccioso!
Capriccioso e testone.
Saltando a gambe tese dalla scrivania, si spostò alle spalle di Crocodile, poggiando le mani laddove altre volte aveva osato adagiarle e riuscire a strappare gemiti e ansimi goduriosi, ma che ora cercavano di trovare la causa del nervosismo del moro.
La tensione del moro era evidente, e non era un bel vedere se accoppiata col carattere stoico e duro del proprietario del Rain Dinners.
-Ti vedo stressato- rise bonario, agitando le mani sulle spalle di Crocodile, che le smosse infastidito.
-La tua presenza non aiuta- ringhiò, venendo presto imitato dal carlino che tornò all’attacco dei disdicevoli pantaloni del partner occasionale del suo padrone.
Oh si, Crocodile lo stava addestrando bene nel dilaniare gli orribili abiti del Donquixote.
Non altrettanto però a scansare i calci di quest’ultimo, che colpì in pieno le terga del botolo, costringendolo alla ritirata nella sua cuccia ai lati della scrivania.
Un latrato di disappunto venne emesso dall’animale e dal suo padrone.
-Non ti è permesso maltrattare il mio cane- abbaiò Crocodile, sollevando gli occhi dal monitor dove la rossa persisteva nel suo gioco, ora affiancata da uno sciatto ragazzone dai capelli verdi.
Doflamingo sorrise sadico, come nella sua natura, scivolando da dietro ad avanti la poltrona di Sir, impedendogli di tornare a fissare i monitor di sorveglianza.
Fu fu fu, era riuscito ad avere la sua attenzione finalmente.
-Non mi è nemmeno permesso entrare qui- allargò le labbra sornione -Eppure eccomi-
Crocodile strinse il mozzicone di sigaro con ferocia, ponderando cautamente se potesse liberarsi facilmente del corpo ingombrante del biondo senza essere visto: quanto si poteva notare un cadavere alto due metri?
Ma il fremito alla mano lesa lo riportò alla realtà, ricordandogli i punti mal cuciti sull’epidermide e il nervosismo che pizzicava su di essi per la giornata non ancora conclusa.
Gettò il mozzicone nel porta cenere di cristallo nero, massaggiandosi le palpebre chiuse con la mano sana e liberando un pesante, quanto strozzato, sospiro di rassegnazione.
-Perchè sei qui?- concesse il dubbio della presenza del biondo per affari e non per tediarlo come ennesimo punto negativo della giornata.
-Mi andava di vederti- cinguettò innocente l’altro.
E tanti cari saluti al dubbio.
-Il desiderio non è ricambiato- continuò ad oscurarsi la vista, stanca anch’essa per la luce dei monitor.
-Vuoi forse dirmi che non sei felice di verdermi?- lo sentì puntare le ginocchia a lato delle sue cosce, acquistando equilibrio puntellandosi sul sedile della poltrona.
-Per niente- storse il naso e la lunga cicatrice che gli segnava il volto, reggendosi il capo mentre riapriva gli occhi sulla figura imponente del Donquixote che lo sovrastava.
-Fu fu fu, così mi spezzi il cuore- si chinò a portare i loro nasi a sfiorarsi.
Un contatto intimo, privato, che non si addiceva ai loro ruoli.
Ma che Crocodile, segretamente, apprezzava per la delicatezza ed eleganza che racchiudeva.
-Preferirei spezzarti le gambe- mostrò un accenno di denti quando l’altro rise.
-È una proposta di sesso sadomaso Croco chan?- si leccò le labbra, facendo oscillare gli occhiali che lo seguivano anche nella penombra dello studio -Credevo preferissi una cosetta più tranquilla data la tua giornata…-
Lo studiò prendergli la mano lesa con entrambe le sue, portandosela alle labbra e leccandone palmo e dorso, prima di portarsi due intere falangi in bocca.
-Scommetto- lo sentì deglutire, imperlandogli indice e medio -Che quella rossa è stata la famosa goccia che ha fatto traboccare il vaso-
Leccò la mano, dalla punte delle dita fino al polso, giocando con la punta della lingua tra le valle delle dita prima di risalirle, una ad una, e renderle morbide e lisce.
Stava per portarsi la mano nei pantaloni maculati, quando Crocodile gliela strinse al collo, e il gemito strozzato che liberò non poteva definirsi propriamente sorpreso e di dolore.
Anzi.
Doflamingo era lusingato di avere per sè quella rabbia e quell’attenzione.
-Tu- abbassò la voce il moro, portando il volto dell’altro vicino al suo -Che ne sai della mia giornata?-
Il biondo sorrise sghembo e l’emicrania di Crocodile, assopita per un breve attimo, ebbe un’impennata.
-Quella rossa tutte curve mi ha spennato ieri sera- ghignò Doflamingo, mostrando i denti nel sorridere -Ha svuotato le casse del mio Casinò Il Colosseo in una sola notte- aprì le labbra e ne srotolò la lingua fino a sfiorare appena la mano che lo strozzava -Le ho offerto una camera nel tuo hotel… pensavo che si dovessero dividere le gioie e i dolori tra di noi no?-
La presa di Crocodile si fece più forte, segno che il gradito pensiero del biondo non era stato ben accolto.
-Dammi solo una ragione per non gettarti in pasto ai miei coccodrilli, e forse… forse!- accentuò la presa e storse il naso -Forse potrei non farlo-
-Fu fu fu, Croco chan- gli prese il polso della mano lesa che lo attanagliava -Da quel che so i tuoi adorati coccodrilli sono già sazi, e il tuo prediletto ha problemi alla dentatura-
Crocodile infossò gli occhi sul biondo, pronto a strozzarlo.
Ne sapeva fin troppo…
-... e con prediletto non parlo nè del tuo lacchè nè di quel botolo pulcioso- tirò una linguaccia al carlino, che in tutta risposta gli ringhiò contro.
Inutile discutere in quelle condizioni con quel soggetto.
Sir sospirò, allentando lievemente la presa sulla gola del biondo, riducendola a una pesante carezza dai tratti violenti.
Sentiva la testa esplodergli e la mano ridursi a singoli punti dolorosi come scintille, che tuonavano a ogni singolo movimento provato a compiere.
Stava per ordinare a Doflamingo di andarsene e lasciarlo solo con un nuovo sigaro, una ladra ben vestita e il dolore lancinante da controllare, quando lo stesso Doflamingo riprese a vezzeggiargli la mano in pena, coccolandola con le labbra.
-Scommetto che muori dalla voglia di uccidere qualcuno- ridacchiò, portandosi ancora più vicino con il busto al suo.
-Ma se permetti- gli leccò nuovamente due dita -Ho un’idea più sfiziosa-
Crocodile si permise un lieve sorriso, tentennando all’idea carezzevole di veder piene le labbra del biondo del suo membro e non di parole irritanti.
Ma non era ancora pronto a cedere.
-Che ci fai qui?- si sistemò meglio sulla poltrona, permettendo all’altro di posarsi con un braccio piegato sopra al suo capo.
-Non sopportavo l’idea che la tua giornata fosse resa disastrosa da eventi non di mia ideazione- si avvicinò oltre il confine di difesa, arrivando a baciarlo sulla gola, risalendola e arrivando a baciarlo sotto al lobo sinistro -Se non posso rovinarti l’esistenza, almeno che possa rendertela piacevole-
Posò con delicatezza le labbra su quelle strette in una stoica linea dritta di Crocodile, piegando il bacio in un morso quando il moro gli concesse un piccolo spiraglio, ottenuto fin troppo facilmente.
Inutile minacciare un sadico come Donquixote per quel tradimento affettivo, che si piegò subito in una scusa quando notò il biondo scivolare dalle sue labbra al suo busto stretto nella camicia candida, e poi più giù.
Sulla cinta, slacciandola.
Sui pantaloni di seta, la cui presa si allentò con l’aprirsi della patta.
Sull’intimo, strattonato coi denti verso il basso, e la cui scesa permise a Doflamingo di saggiare la pelle olivastra di Crocodile laddove amava posare le labbra.
Adorava mordere, segnare, lasciare in punti strategici il suo passaggio su quella pelle dura come scaglie di anfibio, ma dal sapore di sale e dalla ruvidezza della sabbia.
Ghignando, si sistemò gli occhiali da sole contro il volto, accarezando a mano piena il sesso del moro.
Crocodile non aveva espresso verbo, ma i suoi occhi rettiliani non avevano perso un sol gesto del biondo: come lo aveva spogliato, come si era appropriato del suo membro, come lo aveva vezzeggiato fino a risvegliarlo, canalizzando nel basso ventre il nervosismo dell’intera giornata.
E se Crocodile concedeva l’attenzione a qualcosa, a qualcuno, a lui!, non era un caso.
Era volontà.
Era desiderio.
Doflamingo sorrise, la bocca piena del sesso di Crocodile, i cui occhi si erano richiusi, inglobando nel buio della notte le iridi gialle, quando la bocca scurrile e larga del Donquixote si era chiusa amabile e morbida su di lui, strappandogli un primo ansimo nel leccargli la punta sensibile.
Non gli aveva permesso di perdere molto tempo e, con il successivo affondo che aveva rapito metà asta, Crocodile aveva aggiunto una mano tra i crini biondi del partner, imponendogli il silenzio e di lavorare a fondo, per bene, senza sosta, su di lui.
Doflamingo aveva eseguito l’ordine.
Senza protestare per una volta, impegnandosi nel prendere totalmente la frustrazione del moro e farla sua, azzannarla e sfamarsi con essa, fino a mutare alchemico la tensione e la rabbia del direttore de Rain Diners in bassi, rocchi, lunghi gemiti di piacere.
Succhiava con lentezza o con voracità, a seconda del respiro di Sir, riempiendosi la bocca di lui quando iniziò ad accompagnare i suoi affondi di bocca con spinte di bacino secche e dure.
Sollevò gli occhi dal bacino di Crocodile solo quando lo sentì ormai prossimo all’orgasmo, strusciando il capo sulla mano ancora stretta ai suoi capelli, e liberando l’asta per leccarla interamente.
Avrebbe voluto stuzzicarlo con una battuta delle sue, lasciva, provocatoria, sfacciata, ma l’espressione rilassata e calma che il moro gli rivolgeva era estasiante.
Troppo peccaminosa per rovinarla con una delle sue smorfie di disgusto o distacco emotivo.
Lo preferiva così, rilassato, calmo, suo, perso nel piacere mentre lo vezzeggiava in quei punti precisi e intimi che aveva imparato a riconoscere.
Riprese in bocca il membro e riprese dove aveva interrotto, riempiendosi il palato del piacere liquido dell’altro quando venne.
Non nè sprecò una sola goccia, bevendolo avido e riportandosi rapido sul petto del moro quando ancora stava riprendendo fiato.
Sarebbe venuto anche il suo di momento per godere, per perdersi nell’estasi e liberarsi di ogni barriera difensiva -occhiali compresi- con lui, ma al momento gli importava solo di baciarlo con le labbra sporche del suo stesso seme, marchiadolo e rubando ogni dettaglio del suo climax.
Le labbra arricciate, gli occhi d’oro liquidi, i capelli scuri lievementi umidicci per il sudore e le mani, oh quelle mani, strette a stringerlo in un abbraccio possessivo e inconscio.
Doflamingo amava sentirsi prendere in quei punti privati.
Doflamingo amava che quei punti privati fossero conosciuti solo da Crocodile.
Lo baciò sulle labbra, portandogli i capelli indietro con una carezza.
-Meglio Croco chan?- ruppe il silenzio, vedendolo deglutire e socchiudere gli occhi fino a posarli su di lui.
-Il garzone- ansò, lasciandosi leccare dall’orecchio alla mandibola.
Doflamingo corrugò la fronte, premendo geloso la montatura degli occhiali contro una sua tempia.
Se osava pensare a quel lavapiatti ormai defunto, dopo che lui, lui!, gli aveva fatto un servizietto coi contro fiocchi…
-Ha fatto il tuo nome- inspirò a fondo il moro, espirando poi in un sorriso -L’ho gettato personalmente nell’acquario-
Sempre pronto a mordere, il coccodrillo.
-Ops~ Fu fu fu, è sempre più difficile trovare personale devoto al silenzio- lo baciò con un schiocco sotto al mento.
-Ti manderò il conto della lavanderia del mio miglior completo- gettò un’occhiata ai monitor per caso, notando la scomparsa della rossa dai suoi tavoli da Black Jack.
L’equilibrio stava tornando a suo posto.
-Mandami direttamente il tuo completo: te lo laverò con le mie stesse manine- ghignò -Sono abituato a mettere le mani nei tuoi pantaloni-
 -Nemmeno sotto tortura ti permetterò di toccare i miei vestiti- storse il naso, rabbrividendo al pensiero di veder accostati il suo stile elegante e impeccabile, a quello chiassoso e fluorescente dell’altro.
-E se ti permettessi di togliermi i vestiti, tu mi permetteresti di toglierti i tuoi Croco chan?- si sistemò meglio sulle sue ginocchia e contro il suo petto, scivolando con le dita da pianista nuovamente nei pantaloni del moro -Perchè avrei giusto qualche idea…-
Crocodile sorrise sghembo e si accese un sigaro recuperato dalla scrivania.
Stava ascoltando Doflamingo e la sua melliflua voce direttamente contro il suo orecchio, tra baci e colpi di lingua, con fin troppa attenzione, scendendo a mano piena sulla natica del biondo.
Doflamingo non aveva idea in che punti avesse appena stuzzicato Crocodile.
O forse si.

 

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