The Night We Met

di rachelesogna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Yggdrasil ***
Capitolo 3: *** Erwachen ***
Capitolo 4: *** Il Lupo ***
Capitolo 5: *** Dass der Mond für dich heult ***
Capitolo 6: *** Vennskap ***
Capitolo 7: *** Les Jeux sont faits ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Era al principio dei tempi: Ymir vi dimorava
non c'era né mare né spiaggia né onde gelide; 
terra non si distingueva ne cielo, in alto: 
un baratro informe c'era ed erba in nessun luogo.


Prima dell'alba dei tempi c'era Ginnungagap.

Ciò che gli esseri umani chiamano 
Il Nulla.

Non era pacifico e limpido ma oscuro, caotico e senza forma.

Dominato da forze che comuni esseri umani non possono comprendere, il Ginnungagap è ciò che viene prima di tutto.

Prima dello scontro tra il gelo del Niflheimr e il calore e il fuoco del Muspellheimr, prima della nascita di Ymir e Adhumula, prima della nascita degli Jotun e di Buri, c'era la sconfinata distesa dell'ignoto.

E per Grethe, Ginnungagap, rappresentava qualcosa di speciale.

Era sempre stata attratta dalla mitologia norrena in generale, ma per lei l'inizio di tutto era ciò che più amava. Si chiedeva come si dovesse sentire quel gigante bambino che tutto solo, accompagnato dalla sua nutrice Adhumula, trascorreva le sue giornate dormendo e sudando. Probabilmente bene, dormire era una delle cose più belle al mondo.

Ma di sudare, Grethe, ne faceva tranquillamente a meno.

E come si sentì quando nacquero i suoi figli, due giganti tali e quali a lui.

Erano domande sciocche, e nei suoi 24 anni di esistenza se ne rendeva conto.

Ma quando Nótt calava nera e scura sulla sua città, Grethe si poneva queste domande, girandosi e rigirandosi nel letto tormentata da quesiti che mai avrebbero avuto risposta.

E la mattina successiva si svegliava con le occhiaie più scure del giorno prima ma meno scure del giorno dopo. E fingeva di essere una normalissima ragazza che faticava a dormire la notte a causa del lavoro e delle bollette da pagare, nascondendo una verità che non era ben chiara neanche a lei.

Perché dentro di sé sentiva che il mondo che amava così tanto, non era poi così remoto e lontano come tutti credevano. 

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Capitolo 2
*** Yggdrasil ***


So che un frassino s'erge
Yggdrasill lo chiamano,
alto tronco lambito
d'acqua bianca di argilla.
Di là vengono le rugiade
che piovono nelle valli.
Sempre s'erge verde
su Urðarbrunnr.


Alle tre di notte di sabato sera ci si aspetta di dormire.

Invece Grethe se ne stava nel letto con una forte emicrania.

Non è insolito per lei averla, con le sue notti insonni è già tanto che non le sia esplosa la testa.

Ma quella dannatissima notte le doleva dannatamente tanto.

Incapace anche solo di pensare di alzarsi, se ne stava stesa nel letto con il respiro affannoso di chi ha corso la maratona.

Sudava copiosamente - e Grethe odia sudare- come se avesse la febbre molto alta.

Il respirò le aumentò ulteriormente.

Disorientata dal dolore e dall'incapacità di muoversi, si agitava leggermente nel letto cercando di divincolarsi dalla morsa soffocante delle coperte.

Poi, all'improvviso, il dolore alle tempie sparì e venne sostituito da una carezza morbida e fresca come rugiada.

Le vennero in mente gli sconfinati paesaggi verdi, così verdi da far male agli occhi.

Vide sé stessa camminare a piedi nudi su quelle distese di erba soffice, accanto alla sua figura vide camminare tre magnifici lupi.

Erano enormi, ma non ne ebbe paura.

Con i loro musi affilati, i loro manti caldi e gli occhi ben vigili- Grethe- si sentì calma e tranquilla.

Sospirò di beatitudine scivolando in un sonno pacifico, mentre dita morbide come seta l'accarezzavano. 

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Correva libera sulle distese verde brillante, le ricordavano le colline erbose che circondavano Villa Spirale, in Cornovaglia.

Le era sempre piaciuto il vecchio castello di suo zio Rodolfo, le pietanze prelibate e il caldo calore del fuoco. Ma ancora di più le piaceva correre tra l'erba umida con Victoria, la figlia dello stalliere.

Le era sempre piaciuto il vecchio castello di suo zio Rodolfo perché le ricordava molto quel periodo lontano costellato di dame e cavalieri, come se quel posto fosse rimasto indietro di tantissimi secoli.

Le era sempre piaciuto il vecchio castello di suo zio Rodolfo ed improvvisamente se lo ritrovò davanti.

Era alto, imponente e vecchio.

Proprio come se lo ricordava. Corse vero il grande portone principale, quello che lei tante volte aveva sognato aprirsi al passaggio di cavalieri a cavallo, e lo spalancò.

Oh dolce misericordia, era tutto immutato.

Un enorme giardino interno si apriva dinanzi ai suoi occhi, piante di ogni genere coloravano quella meraviglia. Fontanelle spruzzavano acqua qua e là, acqua che sapeva fosse fredda come il ghiaccio. Si ricordava ancora la prima volta che tentò di farsi il bagno sotto i getti delle fontanelle. Si beccò una bella polmonite e una sfuriata esemplare di suo zio. 
Ma quello che colpì di più Grethe fu quel maestoso albero che si ergeva al centro esatto del giardino. Poggiava su tre radici grosse quanto un bue e tra queste sorgevano tre fonti di acqua limpida e pura. Allungò una mano tentata di assaporarne la freschezza, una voce la fermò.

"No, non toccarla. Quella è Mimir. Lei non cede mai nulla se non per un sacrificio"

Grethe si guardò attorno spaventata, ma nessuno era lì con lei.

Nessuno, tranne l'albero.

Timorosa alzò lo sguardo e tra le fronde robuste -che sembravano sorreggere qualcosa di molto importante- riconobbe dei movimenti.

"Un falco!" esclamò sorpresa

"Mi permetta di correggerla signorina, io non sono un falco. Io sono IL falco. Il mio nome è Veðrfölnir e sarò molto lieto di aiutarla nel suo cammino verso la verità."

Grethe guardò il falco stordita.

"Mi sembra di conoscerti" proruppe dopo minuti di silenzio.

Le sembrò di vedere il falco sorride, il chè era completamente impossibile...poi si ricordò di parlare con il suddetto falco.

"Tu sai chi sono come io so chi sei tu, ma loro non sanno chi sei perché ti hanno fatto dimenticare chi eri."

"Non mi è molto chiaro" sussurrò lei perlustrando con gli occhi il resto dell'albero.

Notò altri animali: serpenti, cervi, un'aquila e un velocissimo scoiattolo.

"Non deve essere chiaro a te, ma deve essere chiaro a me. E ora io so. Quindi ascoltami perché il tempo sta per finire."

Grethe seppur confusa, si mise in ascolto.

Chissà che da quel suo strano sogno non ne fosse uscito qualcosa di interessante.

"Tu sei molto più di ciò che credi" le penne del suo piumaggio vibrarono nell'aria.

"Ti hanno raccontato ciò che ti era consentito sapere. Tu dovevi sapere di essere nata nel 1994 durante una tempesta. Dovevi sapere che i tuoi genitori sono due commercialisti e che tu sei una normalissima ragazza con problemi legati al sonno. Ciò era per te predestinato."

Veðrfölnir rabbrividì e le sue piume si arruffarono. Il suo becco si spostò a destra e a sinistra sospettoso

"Ma era altrettanto predestinato che tu scoprissi la verità su di te e sulla tua dinastia."

Le si mozzò il respiro.

"Tu sei destinata a grandi cose, cose che hai sempre sognato e non hai mai potuto fare. Tutte quelle domande che ti tengono sveglia la notte, tutti quei sogni che ti tormentano...sono legati a qualcosa di più grande. Molto più grande."

Grethe si sentì mancare il terreno sotto i piedi, nel vero senso della parola.

Sotto di lei il terreno si squarciò e per poco non cadde nel buio baratro di cui non distingueva la fine.

"Non c'è più tempo!" la richiamò concitato il falco

"Non posso più tergiversare e indorarti la pillolaGrethe, tu non sei figlia di Olga e Frederick. Tu sei una vilia."

Il terreno franò sotto i suoi piedi. Cercò di restare in quel giardino, aggrappandosi a tutto ciò che trovava, chiedendo aiuto al falco...tutto fu invano.Ben presto le braccia cedettero e il bellissimo giardino venne invaso da una nebbia fittissima.

Grethe si lasciò andare, risucchiata dal vuoto dell'ignoto. 

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Capitolo 3
*** Erwachen ***


Kinloch Rannoch è un piccolo villaggio scozzese immerso nella natura selvaggia.

Si affaccia sull'estremità orientale del Loch Rannoch offrendo ai suoi abitanti, ogni mattina e ogni sera, uno spettacolo unico da vedere.

Alle sue spalle, alti alberi dalle folta chioma verde ricoprono infinite distese di colline e tra questi una ricca fauna selvatica vive indisturbata.

Gli abitanti di Kinloch Rannoch hanno sempre vissuto le loro vite in una completa fusione con la natura che li circonda, trattandola con tutto il rispetto che essa merita.

A causa delle sue piccole dimensioni, tutti sanno tutto di tutti. Non c'è una persona che non sappia del nuovo nascituro della famiglia Anderson o quante volte la signora Scott va a parlare con la vicina della porta accanto, la signora Thomson.

È fastidioso non poter fare qualcosa senza che tutti lo vengano a sapere, ma Kinloch Rannoch è bella anche per questo.

Perché lì, indipendentemente da chi tu sia e cosa abbia fatto nella tua vita, ti senti a casa.

Se metti piede e Kinloch Rannoch entri automaticamente a far parte di una grande e calorosa famiglia scozzese.

Quando Grethe arrivò in quel villaggio 2 anni fa, aveva appena finito gli studi per diventare infermiera e si era concessa una piccola vacanza prima di iniziare il suo lavoro a Dundee.

Solo che da quella piccola vacanza non tornò mai.

Si era innamorata dell'aria fresca e della natura del villaggio.

Si era innamorata del caloroso saluto dell'anziana proprietaria del Riverbank Cafe e della sua torta fatta in casa.

Si era innamorata del burbero signor Campbell che riuscì, dopo quasi 10 anni dalla morte di sua moglie, a far sorridere.

Si era innamorata talmente tanto che il giorno della sua partenza aveva chiamato il responsabile dell'ospedale a Dundee e aveva rifiutato l'incarico.

Aveva stracciato il biglietto di ritorno e si era messa a cercare una casa ed un lavoro.

Così da 2 anni a questa parte -Grethe- vive in una piccola casettina di mattoni alla periferia di Kinloch Rannoch a qualche metro di distanza dal bosco e lavora come infermiera presso uno studio medico.

Non si è mai pentita della sua scelta avventata, ritrovando in quel posto sperduto nel nulla quella tranquillità e quella pace che aveva sempre agognato nella sua vita.

Quando quella mattina Grethe si era svegliata dal suo sogno popolato da uno strano falco parlante, si sentiva scombussolata e con l'emicrania ancora più forte. Le bastò affacciarsi dalla finestra, sentire il fresco profumo degli alberi e il dolce canto degli uccelli per rilassarsi. Come suo solito, aprì tutte le finestre facendo entrare l'aria frizzante di novembre in casa.

Avvolta nel suo grande maglione di lana, creato dalla signora Thomson, riempì il bollitore dell'acqua e lo mise sul piccolo fornellino della sua altrettanto piccola cucina. Visto che si era trasferita da sola e visto che il budget disponibile non era molto, a quel tempo Grethe decise di prendere una casa fatta su misura per lei.

Una camera matrimoniale (perché in fonda le piaceva dormire comoda), un bagno con doccia, una piccola cucina con annesso un terrazzo che dava sul bosco.

L'agente immobiliare le aveva fatto vedere una casa analoga a quella che però possedeva un giardino, la risposta di Grethe era sta semplice e diretta: "Ma io ce l'ho già un giardino" e aveva ampiamente indicato l'infinita distesa di alberi.

Il bollitore iniziò a fischiare così prese la sua tazza preferita, ci mise dentro la bustina di tè ai frutti rossi speziati e ci versò l'acqua bollente.

Caldo vapore si disperse nell'aria liberando un profumo dolciastro, delizioso.

Recuperò una coperta ed uscì fuori sul terrazzo, accoccolandosi sulla sedia a dondolo.

Pace.

Grethe sospirò rilassata.

Amava la domenica.

Era l'unico giorno in cui poteva svegliarsi all'ora che preferiva, fare colazione in santa pace e osservare il mondo che la circondava.

Normalmente veniva privata di queste cose a causa del lavoro: allo studio c'era sempre un gran da fare e gli orari erano pessimi.

Il dottor Andrea Manello, un uomo di trent'anni di origini italiane, aspettava da anni qualcuno che lo aiutasse nel suo lavoro e quando Grethe si era trasferita lì -con una grande voglia di lavorare- per lui era stata una manna dal cielo. L'aveva assunta subito e da quel momento non l'aveva più lasciata, diventando uno dei suoi più cari amici a Kinloch Rannoch.

Proprio perché erano solo loro due allo studio, gli orari erano qualcosa di disumano. Fortunatamente per il dottor Manello, Grethe amava il suo lavoro e mai per nulla al mondo l'avrebbe cambiato.

Così, quando arrivava la domenica, non si preoccupava di fare le cose con fretta, anzi tendeva a farle anche con troppa calma.

Con la mente sgombera dagli impegni di tutti i giorni, si poteva dedicare finalmente a sé stessa. Involontariamente il pensiero tornò alla notte prima, al suo risveglio agitato e al suo sogno strano.

Veðrfölnir

Conosceva quel nome.

Ricordava qualche lettura fatta da ragazzina.

Rientrò in casa e si diresse verso la piccola libreria in camera sua.

Velocemente lesse i vari titoli dei libri finché non trovò ciò che cercava.

Dopo aver cercato nell'indice aprì la pagina e lesse:

"Un'aquila sta fra i rami del frassino e sa molte cose; ma fra i suoi occhi è posato il falco che si chiama Veðrfölnir"

Grethe corrugò le sopracciglia.

Quindi oltre ad aver sognato Veðrfölnir, aveva sognato anche Yggdrasill.

Il frassino di Yggdrasill
deve patire
più di quanto gli uomini sappiano:
il cervo lo bruca in alto,
da un lato marcisce,
lo rode Níðhǫggrda sotto.

Più serpenti
stanno sotto il frassino Yggdrasill,
di quanto credino gli insavi;
Góinn e Móinn
(sono figli di Grafvitnir),
Grábakr e Grafvǫlluðr, 
Ofnir e Svafnir 
io credo che per sempre
ne roderanno le fronde.

Il mal di testa tornò prepotentemente facendola accasciare su una sedia della cucina.

Dio pensare a quella roba le faceva male.

Si massaggiò le tempie cercando di migliorare la situazione, ma il mal di testa persisteva... come le immagini del sogno che le scorrevano ancora in mente.

Tu sei una vilia.

Il ricordo la colpì così forte che Grethe sentì il proprio cuore arrestarsi come in procinto di morire. Poi riprese a battere ancora più forte, pompandole sangue nel corpo ad una velocità sorprendente.

Il dolore alla testa era arrivato a livelli altissimi, facendole vedere le proverbiali stelle. Ansimava, in cerca di aria che non le entrava nei polmoni.

Tu sei una vilia.

Sentiva ancora la voce del falco pronunciare quelle parole. Parole che non comprendeva, che erano insulse, completamente prive di senso.

Tu sei una vilia.

Ma lei non poteva essere una vilia. Le vilie non esistono!

Sono esseri mitologici, finti. Probabilmente erano donne comuni che vennero distorte dal pensiero malato di qualche uomo ubriaco.

Grethe si piegò su sé stessa, le mani attorno alla gola, la testa che le scoppiava.

Non capiva cosa le stesse succedendo. Aveva avuto altri attacchi di emicrania, certo, ma non così. Cose così non le aveva mai viste.

Il suo cervello smise di ragionare per mancanza d'ossigeno e lentamente si spense trascinando con sè sul pavimento il corpo stanco e svenuto della donna. 
 

Tu sei una vilia. 

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Capitolo 4
*** Il Lupo ***


Quando si svegliò erano le nove di sera ed era stesa sul pavimento, con addosso solo il maglione con cui dormiva.

Infreddolita e con i muscoli contratti per la scomoda posizione in cui era svenuta, Grethe si alzò in piedi. La testa vorticò pericolosamente e si dovette reggere al tavolo per non cadere.

Il fuoco.

Doveva avvicinarsi al fuoco.

Barcollando si avvicinò al camino, aggiunse qualche ciocco di legna e poi si sedette sul tappeto al calduccio. Aveva bisogno di riposo, di dormire un sonno tranquillo e soprattutto di non svenire per un po'.

Prese il cellulare intenzionata a mandare un messaggio al dottore per informarlo che il giorno seguente non si sarebbe presentata a lavoro perché stava male, ma ne trovò già uno del collega.  Con suo sommo stupore scoprì che anche lui stava male e che lo studio sarebbe stato chiuso per due giorni.

Sorrise soddisfatta: a volte la fortuna girava dalla sua parte.

Si raggomitolò davanti al camino come una gatta, gli occhi scuri fissi sul fuoco. Erano stati i giorni più strani della sua vita ed anche i più dolorosi, sperava che il lunedì arrivasse presto e che con sé portasse qualcosa di buono.

Con quei dolci pensieri in testa, Grethe chiuse le palpebre pronta a scivolare nel sonno.

Un grattare persistente la svegliò.

L'orologio segnava mezzanotte ed un quarto.

Qualche animale in cerca di cibo, sicuramente.

Era vicino alla foresta, riceveva periodicamente queste visite e lei non riusciva mai a dire di no a qualche animaletto che le chiedeva con uno sguardo da cucciolo un poco di cibo.

In più, tutte le volte che era a contatto con uno di loro, lei ne traeva sorprendentemente beneficio. Come se fossero una cura per la sua persona.

Stringendosi la coperta attorno al corpo come scudo contro il freddo, Grethe, socchiuse la porta spiando al di là per vedere quale animale le era venuto a fare visita quella volta.

Trattenne il respiro.

Un lupo.

Un grosso lupo dal pelo nero come la notte la guardava con occhi bassi e affaticati. Sembrava dolorante, le zampe lo reggevano a malapena e le orecchie erano basse, sintomo che quell'animale si sentisse veramente male.

I suoi occhi, due puntini dorati in mezzo al folto pelo, la supplicavano di aiutarlo.

E lei sentì forte e chiaro il suo grido di aiuto. Lo sentì fin dentro le ossa.

Aiutami

E lei lo fece.

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Il gigantesco lupo fece appena in tempo a varcare la soglia della casa della donna che cadde come una pera cotta sul pavimento di legno. Il tonfo del suo corpo fece sobbalzare Grethe che fino a quel momento l'aveva scrutato incuriosita ed intimorita.

Nonostante abitasse in una zona completamente immersa nella natura, non aveva mai visto un lupo nei boschi attorno Kinloch Rannoch.

Sapeva – grazie al circolo dei cacciatori di cui faceva parte un suo paziente- che l'ultimo avvistamento di un branco di lupi era stato a Braemar e sapeva anche che non si erano mai avvicinati al suo piccolo villaggio.

Stupita non poco dalla sua presenza lì, Grethe era stata ferma sulla soglia della propria casa ad osservare un lupo un po' troppo cresciuto rispetto ai lupi che vedeva alla tv, ma quando si era accasciato al suolo con un tonfo sordo si era precipitata da lui pronta a soccorrerlo.

Non aveva mai medicato un lupo -o un animale in generale- ma se era capace di medicare un essere umano sarebbe riuscita a prendersi cura anche della figura stesa sul suo pavimento.

Con una strana frenesia addosso, corse a prendere la cassetta del pronto soccorso in bagno. Tornò da lui in un batti baleno e, con il corpo sconquassato dal timore di una bestia così mastodontica e solitamente fiera, si inginocchiò cercando con lo sguardo l'entità del danno.

La prima cosa che notò era un buco grande quanto una pallina da tennis nella coscia della zampa posteriore destra, molto probabilmente era quella la causa del suo zoppicare.

Doveva fargli molto male e molto probabilmente il proiettile era ancora conficcato nella tenera carne.

Continuò la sua perlustrazione e, a parte qualche graffio sul muso, non trovò nessun'altra ferita. Corse a disinfettarsi le mani, il bisturi e tutto l'occorrente, usando quasi tutto il flacone di disinfettante.

Non sapeva perché ma salvare quel lupo, per lei, era di vitale importanza.

Tornò dal suo "paziente" con il cuore che le scoppiava nel petto e gli oggetti stretti tra le mani, prese un profondo respiro e versò il resto del disinfettante sul foro del proiettile.

Il lupo emise un cupo brontolio, che la spaventò e la fece sobbalzare.

In uno sprazzo di lucidità la sua mente registrò che molto probabilmente era una reazione al bruciore che provocava il disinfettante.

Lentamente avvicinò le mani al suo folto pelo e con le forbici lo tagliò via, deturpando la sua splendida figura, togliendo ciò che le impediva di fare il suo lavoro.

Con una visuale migliore poté effettivamente individuare la gravità del danno e non prometteva nulla di buono.

Il foro era profondo e fiotti di caldo sangue continuavo a fuoriuscire imbrattando il pavimento e il nero pelo.

Controllò se ci fosse un ipotetico foro d'uscita, questo le avrebbe risparmiato di incidere la carne dell'animale per toglierlo.

Sfortunatamente per entrambi, non c'era.

Armandosi di coraggio, come faceva tutte le volte che doveva assistere il dottor Manello durante un'operazione, inserì il bisturi alla ricerca del proiettile.

Il lupo uggiolò ancora e lei tentò di calmarlo con parole dolci, cercando di convincerlo che di lì a poco sarebbe tutto finito.

Come se avesse compreso le sue parole, l'animale appoggiò il muso sul pavimento serrando la mascella, sopportando stoicamente tutta la procedura.

Riuscì a trovarlo, estrarlo e fermare l'emorragia in pochi minuti, le garze si imbrattarono con il suo sangue scuro e appiccicoso sporcandole anche le mani.

Tenne premuto sulla ferita cambiando periodicamente le bende finché il sangue non si fermò del tutto, poi lo ricucì terminando definitivamente il suo lavoro.

Il lupo se ne stava steso, immobile come se fosse svenuto o peggio morto, ma l'abbassarsi e l'alzarsi del suo costato le confermarono che non lo era affatto.

Tirò un sospiro di sollievo.

Con non poca fatica, trascinò il corpo vicino al fuoco e poi si mise a ripulire tutto quel casino che aveva fatto entrando in casa.

Sangue, terra e foglie secche.

E un pungente odore di bosco.

Quando ebbe finito si sedette sulla poltrona accanto al fuoco ed al lupo che riposava pacifico.

L'orologio segnava le 3 e mezza.

Anche per quella notte non avrebbe riposato come avrebbe dovuto, tuttavia non si sentiva stanca o irrequieta dalla presenza del suo ospite.

Era lui stesso a infonderle una calma placida, serena che la cullava dolcemente.

Con l'animale ai suoi piedi si sentiva potente e...completa.

Un pensiero le attraversò la mente, facendola sorride: fortuna che il lunedì avrebbe dovuto essere più tranquillo.

Erano solo le tre di notte e lei aveva fatto entrare un lupo in casa, curato il suddetto animale e ora ci dormiva pure insieme come se nulla fosse.

Bah...la sua vita era strana. 

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Capitolo 5
*** Dass der Mond für dich heult ***


Freddo.

Sentiva freddo ed anche una grande fame.

Aveva voglia di bacon croccante, uova strapazzate e una bella tazza di caffè nero.

Lo stomaco si contrasse dolorosamente al solo pensiero di quel buon cibo.

Da quanti giorni non mangiava? Uno? Due?

Quanto tempo aveva impiegato per allontanare i cacciatori dal suo branco?

Sbuffò sonoramente.

Se non fosse per quei fastidiosi ed irritanti esseri a quest'ora si starebbe gustando la sua preziosa colazione seduto comodamente al tavolo di casa sua.

Dannati cacciatori!

Sempre in mezzo ai piedi con la loro perenne voglia di fare la pellaccia ad uno di loro. Idioti!

Il suo Geri l'aveva avvertito di un gruppo di cacciatori che era entrato nel loro territorio qualche giorno prima e che, armati di tutto punto, si muovevano verso Braemar alla ricerca del suo branco.

In seguito a questa sventurata notizia, aveva dovuto prendere una decisione insieme al suo Hati e al suo Sköll.

Avrebbe dovuto allontanarli.

Lui e solo lui, in veste di Fenrir, doveva compiere quel gesto per il bene del suo branco.

Così, una volta lasciato il branco ai suoi secondi in comando, si era tramutato in lupo e aveva condotto i cacciatori più a sud, permettendo un'organizzazione migliore del controllo dei confini.

Un brivido di freddo gli serpeggiò su per la schiena facendogli aprire gli occhi .

Dov'era?

Spezzoni di ciò che lo aveva portato lì quella mattina gli attraversarono la mente.

Correre. Allontanare. Cacciatori. Spari. Sangue. Dolore. Vilia.

Riconobbe il pavimento di legno che aveva continuato a guardare per ore, mentre la Vilia si prendeva cura di lui.

Riconobbe il forte profumo di frutti rossi con una sfumatura speziata che gli punse le narici.

Riconobbe la giovane Vilia appollaiata su una poltrona, il corpo addormentato interamente ricoperto dalla pesante coperta, i capelli arruffati e la bocca imbronciata.

Aveva fatto un buon lavoro quella mattina, estraendogli il proiettile d'argento che ad ogni movimento si era andato a conficcare un po' di più nella sua carne.

Ricordava ancora di come l'aveva guardato quando si era presentato alla sua porta.

Lo sguardo stupito, la bocca leggermente aperta e il corpo immobile...come se nella sua vita non avesse mai dovuto soccorrere un lupo.

Era una Vilia, il suo compito era aiutare quelli come lui!

Quando correndo nel bosco aveva avvertito un'ondata di potere bianco sfiorargli placido il corpo, per poco non aveva guaito per la contentezza facendosi scoprire dai cacciatori.

Le Vilie erano rare e le poche ancora in vita o erano rintanate in qualche casetta sperduta o erano bambole di pezza nelle mani di qualche cacciatore depravato.

Trovarne una nel momento del bisogno era stato per lui fonte di salvezza.

Si alzò in piedi, la ferita alla coscia completamente rimarginata.

Sorrise soddisfatto delle capacità di guarigione della sua razza, molto conveniente in casi come quello.

Ancora nudo, si avvicinò al corpo della Vilia profondamente addormentato.

Di lei non distingueva nulla, se non il viso e i capelli.

Un visetto dolce a forma di cuore spuntava dalla coperta, le sopracciglia scure ben delineate sul viso dall'incarnato di un delicato rosa, il piccolo naso a patata le donava un'area fanciullesca ancora più accentuata dalle labbra sottili imbronciate.

I capelli, una chioma di corposi fili castano-biondi, si apriva a ventaglio sullo schienale della poltrona.

Nel complesso era molto carina, con quell'aria da bambina un po' troppo cresciuta.

Ed improvvisamente l'uomo venne scosso dal bisogno di scoprire di più di lei, di poter guardare i suoi occhi e scoprire il loro colore.

Di accarezzare la sua pelle di pesca e di passar le dita tra le morbide onde dei capelli.

Voleva togliere quelle dannate coperte e divorare il suo corpo con lo sguardo.

Come sarebbe stata?

Quanto sarebbe stata alta in confronto al suo metro e novantaquattro di testosterone?

Aveva i fianchi scarni e il fisico asciutto? Oppure aveva il fisico pieno e morbido?

E fianchi a cui aggrapparsi mentre facevano l'amore.

La testa gli vorticò pericolosamente.

Espirando con forza dalle narici, uscì da quella casa.

Aveva bisogno di aria, di spazio.

Si sentiva opprimere da quel profumo così dolce e da quel viso troppo bello.

Il suo stomaco si contorse dolorosamente.

Doveva andarsene.

Assolutamente.

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Si era inoltrato nel bosco incurante delle sue nudità, del muschio freddo e delle pietre acuminate che gli tagliavano i piedi.

Non se ne preoccupava.

Il suo lupo era troppo occupato a pensare alla giovane vilia addormentata; nei suoi 32 anni di vita non era mai rimasto così tanto colpito da una femmina.

Scosse la testa cercando di scacciare le immagini dalla sua testa: ora non aveva tempo per perdersi in quei pensieri agrodolci.

Doveva tornare dal suo branco.

Il corpo mutò in lupo, folta pelliccia nera sostituì la sua glabra pelle olivastra.

I muscoli d'acciaio guizzarono mentre l'animale si lanciava in avanti affondando le possenti zampe nel terreno morbido e umido.

L'odore di casa nelle narici.

Schivando tronchi e massi, consumò chilometro dopo chilometro.

Al calare delle tenebre finalmente arrivò al fiume Royal Deeside, il confine naturale che sanciva l'inizio del suo territorio.

Sapeva che nascosti nel tetro bosco erano appostate le sue sentinelle e sapeva altrettanto bene che, per quanto lui fosse il loro Fenrir, entrare nel territorio di un branco di soppiatto significava morte certa.

Si fermò e attese che il suo odore muschiato raggiungesse l'umido muso delle sentinelle.

Nell'ombra, occhi rosso sangue scintillarono come rubini.

Menelik.

Il massiccio lupo uscì allo scoperto snudando i denti.

Ah il solito Menelik.

Si conoscevano da quando erano piccoli. Erano cresciuti insieme odiandosi fino ai 15 anni quando avevano attraversato il cambiamento. Si erano avvicinati, erano diventati migliori amici e poi quando 8 anni fa era diventato Fenrir aveva deciso di nominare Menelik suo Hati.

Il lupo dagli occhi rossi annusò l'aria alzando l'umido naso al vento.

Un basso ringhio di gola fendette l'aria, poi un rumore come di uno strappo avvertì la trasformazione di Menelik che si chinò in un profondo inchino.

"Mio Fenrir."

Il grande lupo nero chinò il muso salutando il suo secondo in comando.

"Finalmente sei tornato! Si può sapere dove cazzo eri finito? Nora stava morendo di paura!" urlò furioso Menelik avvicinandosi al suo Fenrir.

L'onda di potere a basso voltaggio che scaturì dal suo corpo fu un chiaro segnale che, stanco com'era, non aveva voglia di sorbirsi qualche rimprovero solo perché era stato via più giorni di quanto aveva detto avrebbe fatto.

Menelik percepì l'onda di potere e placò la sua ira.

Sbuffando si fece da parte e inchinandosi nuovamente disse: " Ci vediamo a casa. Che la luna ululi per te, mio Fenrir!"

Annuendo distratto il lupo nero oltrepassò il confine e iniziò a correre verso il villaggio di Braemar.

Verso casa.

Non vedeva l'ora di appoggiare le sue chiappe pelose su un comodo letto. 

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Capitolo 6
*** Vennskap ***


Un leggero bussare la distolse dal programma di cucina americano che stava facendo una triste rivisitazione della pasta al pomodoro.

Anche se non era di origini italiane non era sicura che il ketchup fosse un buon condimento.

Guardò schifata la televisione e si diresse verso la porta sorridendo apertamente mentre l'apriva.

Leila Collins era ferma sulla soglia di casa sua, infagottata in un pellicciotto nero pece con i piedi infilati in un paio di scarponcini da trekking.

"Sei pronta?" la sua voce sorridente la fece sbuffare.

"Ti avevo detto che non avevo voglia" borbottò Grethe lasciandola entrare.

"Vuoi morire di fame per caso?" Leila si tolse il pellicciotto restando in gonna, collant e maglioncino poi frugò nella dispensa alla ricerca del buonissimo tè ai frutti rossi speziati che tanto piaceva a Grethe e glielo mise sotto al naso.

"Non puoi vivere di tè! Quindi vestiti e andiamo a comprare tanto cibo!" le ordinò Leila.

" Come se avessi bisogno di altro cibo!" borbottò Grethe abbracciandosi il corpo un po' troppo morbido.

Lo sguardo che le rivolse l'amica avrebbe potuto uccidere, invece si limitò a sibilare uno "stai zitta" e a spingerla verso la sua camera.

Da quando aveva conosciuto Leila – nel più famoso e unico pub di KinLoch Rannoch- avevano stabilito che un giorno alla settimana sarebbero andate a fare la spesa insieme nel piccolo alimentari vicino alla scuola elementare.

Le era sempre piaciuto fare la spesa con la sua amica, anche se le faceva comprare molte schifezze che lei puntualmente mangiava e accumulava sui fianchi.

Ma quel lunedì non aveva proprio voglia, non dopo che quel lupo era sparito nel nulla.

Si era svegliata alle 9.00 di mattina e già il mastodontico lupo si era dileguato, ma cosa peggiore non riusciva ancora a capire come fosse uscito. Non c'erano porte o finestre aperte, neppure graffi che indicavano il tentativo d'apertura della porta. Si era dissolto nel nulla non lasciando dietro di sé nessuna traccia. E questo invece di renderla irrequieta, la rendeva solo molto triste.

Voleva ancora vedere quel bellissimo animale e risentire il morbido pelo sotto le mani.

Un fremito la scosse e piccole farfalle le svolazzarono nello stomaco.

Scosse la testa e uscì dalla sua stanza indossando il giubbotto imbottito color giallo canarino.

"Ce l'hai fatta! Forza andiamo."

A braccetto scesero la collinetta e a piedisi diressero verso il Sharon Market.

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Sharon MacDowall era una signora di appena 60 anni che viveva in una casettina in riva al lago con suo marito Alecxander.

Sharon era la donna più energica di tutta la città ed era conosciuta per il suo piccolo alimentari e per la sua voce non così intonata.

Alecxander la seguiva ovunque assecondandola in tutte le sua pazzie.

Il loro amore era invidiato da tutti al villaggio.

Proprio per la particolare personalità della donna, Grethe e Leila adoravano fare la spesa da lei.

"Buongiorno splendori" sorrise Sharon.

"Buongiorno Sharon" risposero in coro le due ragazze.

"Come state? È così bello vedervi qui, non venite mai a farmi visita!" brontolò indispettita.

"Scusaci Sharon...è che la nostra cara Grethe non ama venire a fare la spesa...dice che le faccio comprare tutte cose che la fanno ingrassare!" risposeLeila gesticolando.

La castana le rivolse uno sguardo di fuoco ed ignorando lo sguardo accusatoria di Sharon si allontanò verso il reparto confetture: aveva voglia di fare una crostata e la marmellata di albicocche era finita.

Leila le corse dietro alzando gli occhi al cielo, oramai la conosceva abbastanza bene da sapere che non era veramente arrabbiata ma solo infastidita.

"Dai idiota vieni qui! Stavo scherzando" le stringe piano una mano chiedendole implicitamente scusa.

Grethe sorrise tranquilla.

"Lo so"

Iniziarono a girare per gli scaffali riempiendo il cestino di parecchie cose, così non sarebbero dovute tornare durante la settimana.

"Devo andare a prendere le uova per la crostata, mi aspetti qui?" chiese Grethe iniziando ad incamminarsi.

"Vado a prendere un pacco di biscotti, ci vediamo qui fra poco" sorrise Leila.

Lo scaffale delle uova era vicino a quello del latte, nascosto nell'angolo più lontano del negozio. Ci andava di rado Grethe perché non le piacevano per niente le uova, quando le comprava era solo per fare dolci.

Sapeva che prima di arrivare a quell'angolo c'era lo scaffale delle tisane ad infusione e lei stava finendo il suo quindi avrebbe svaligiato completamente lo scompartimento del tè rosso speziato.

Era quasi arrivata alla sua meta quando un forte odore di bosco la fece bloccare sul posto. Le tornò in mente il maestoso lupo nero sparito nel nulla e il suo profumo, lo stesso che le riempiva le narici ora.

Alzò lo sguardo e nel suo campo visivo entrò un petto ampio fasciato in uno spesso maglione grigio antracite.

Sollevò ancora di più la testa e vide un robusto collo abbronzato reggere un viso duro e mascolino circondato da neri capelli acconciati in una crocchia.

Era l'uomo più bello che avesse mai visto a KinLoch Rannoch o in tutto il mondo.

Era un uomo volitivo e abituato ad avere il controllo, ad imporre la propria supremazia...lo si notava dalle spalle ben aperte e dalla posa rigida quasi militaresca.

Era affascinante, magnetico, selvaggio.

E profumava di bosco.

"Ciao" un sussurro roco raggiunse le orecchie di Grethe facendola sciogliere come neve fresca al sole.

"Ciao" gracchiò lei schiarendosi subito dopo la gola imbarazzata.

L'uomo sorrise deliziato guardandola con occhi caldi che, se solo ne fosse stata in grado, l'avrebbero fatta arrossire.

Grethe si appoggiò allo scaffale, troppo destabilizzata per restare in piedi sui suoi piedi.

L'uomo si spostò in avanti, pronto a sorreggerla in caso di bisogno, portando con sé quel forte profumo che tanto le piaceva.

"Si sente bene?" chiese con la sua voce maschile, così profonda da risultare quasi cupa.

"Tutto...tutto bene" rispose la donna prendendo un profondo respiro...peggiorando la situazione.

I suoi polmoni si riempirono del suo profumo mandandola in visibilio.

"Sicura? Siete molto pallida" mormora l'uomo pensieroso.

"Sto bene, non si preoccupi" lo rassicurò la donna.

"È che il suo profumo è così forte" continuò poi.

Il sorriso che le rivolse le fece tremare le ginocchia.

"Mi dispiace per il mio profumo, spero di riuscirmi a far perdonare con una cena. Questa sera, alle 8."

"Ci sarà" la voce di Leila giunse improvvisa facendo sobbalzare Grethe.

"Questa sera alle 8 vi troverete da Gillis, così ti farai perdonare" continuò Leila guardando l'uomo e scatenando lo sgomento dell'amica.

"Leila!" scattò infatti la diretta interessata.

"Che c'è? Gillis non va bene?" domandò lei inarcando un sopracciglio.

"Si che va bene è che..." mormorò impacciata alternando lo sguardo dall'uomo alle sue spalle, alla donna davanti a lei.

"È che non conosci neanche il mio nome..." sussurrò l'uomo avvicinando il viso all'orecchio della donna, facendola rabbrividire.

"Si..." mormorò Grethe girando impercettibilmente il viso verso di lui.

L'uomo si raddrizzò, superò Grethe e Leila e si diresse verso l'uscita lasciando dietro di sé una scia di profumo.

Poco prima di uscire definitivamente, l'uomo si fermò e con occhi brillanti si volse a guardare Grethe.

"Nikolai" parlò

"Il mio nome è Nikolai."

E poi se ne andò. 

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Capitolo 7
*** Les Jeux sont faits ***


"Non ci vado"

"Tu ci vai!"

"Ma non lo conosco nemmeno"

"Ci devi uscire proprio per questo"

Grethe e Leila, seduta una davanti all'altra al tavolo della modesta cucina della prima, continuavano a discutere sulla possibilità di andare all'appuntamento con l'uomo del supermercato.

"È troppo tempo che non esci con un uomo, Grethe. L'ultima volta è stata con il povero turista tedesco e mi sembra che non sia finita neanche poi così bene. "

Una risatina lasciò le belle labbra di Leila facendo incupire l'amica.

"Non è colpa mia se era un imbranato cronico! Mi ha bruciato uno dei miei vestiti preferiti!"

Leila rise apertamente ricordandosi perfettamente lo sguardo allucinato della donna quando si era precipitata a casa sua con addosso solo il cappotto e il vestito bruciacchiato in mano.

"Quel Nikolai non mi sembra il tipo che fa cedere un candelabro addosso alla sua accompagnatrice, al massimo ti incendia con uno sguardo" ghignò maliziosa la bionda una volta fermata la risata.

Grethe si coprì il viso, troppo imbarazzata per continuare ad ascoltare i motivi per cui sarebbe dovuta andare a quel dannato appuntamento.

La verità era che non aveva paura di uscire con uno sconosciuto ma aveva paura di conoscere fin troppo bene il proprietario di quel buonissimo profumo.

Sperava che quello fosse solo uno stupido sogno, ma in cuor suo sapeva fin troppo bene che c'era un collegamento tra il lupo della scorsa notte e Nikolai.

Non sapeva come fosse possibile e soprattutto da dove derivava quella sua sicurezza, sapeva soltanto che per scoprire qualcosa di più su quel misterioso uomo doveva accettare il suo invito a cena.

"Ci andrò" pronunciò a voce alta, fermando lo sproloquio dei Leila.

L'amica urlò felice a le gettò le braccia al collo.

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Alle 7:55 si fece trovare davanti al Gillis, vestita di un semplice pantalone nero e maglioncino.

Leila l'aveva aiutata a raccogliere i capelli ribelli in una coda alta- che le scopriva la morbida curva del collo- e l'aveva truccata leggermente facendola risplendere nella sua disarmante semplicità.

Poi aveva costretto l'amica a chiamare Andrea Manello, intimandogli di convincerlo ad uscire quella sera con lei e di ritrovarsi casualmente a cenare al Gillis. Solo per evitare di bruciare un altro vestito, sia chiaro.

Così se ne stava in piedi davanti l'insegna a neon gialla del locale, aspettando che una qualche divinità benevola la convincesse ad entrare.

Sospirò una, due, tre volte e poi spinse la porta.

Individuò subito l'uomo seduto ad un tavolo abbastanza centrale, proprio sotto le luci soffuse che pendevano dal soffitto. Ovviamente Stacy, la figlia quarantenne di Gillis con qualche problema a non fare l'ochetta con qualsiasi essere vivente di sesso maschile, aveva avuto la brillante idea di mettere un uomo così bello e prestante al centro dell'attenzione di tutto il pub.

Come se già non lo fosse...

E Nikolai, splendido nel suo dolcevita bianco, se ne stava lì a farsi rimirare da tutte le donne del locale, lo sguardo fermo sulla porta d'ingresso. Con estrema soddisfazione Grethe si accorse che l'uomo non degnava di uno sguardo nessuno, come se la cosa più importante dovesse ancora arrivare.

E capì che la persona che tanto aspettava era lei.

Nikolai le rivolse un sorriso bianchissimo. Gli occhi – due fanali color cioccolato fuso- la riscaldarono tutta.

Grethe si avvicinò, avvistando quattro tavoli più indietro Leila e Andrea che la stavano tenendo d'occhio.

"Buonasera" la salutò lui sorridendo ancora.

"Buonasera" rispose lei accomodandosi alla sedia di fronte la sua.

Sentì lo sguardo dell'uomo sondare il suo corpo. Nikolai colse ogni neo, cicatrice, piega sulle parti del corpo non coperte dai vestiti. La studiò con occhi instancabili e avidi. E sotto quello sguardo si sentì rilucere di una sfolgorante bellezza.

Grethe sentì il calore salire al viso ed abbassò lo sguardo anche se era perfettamente consapevole di non poter arrossire.

"Sei qui"

Grethe sollevò di scatto lo sguardo sorpresa dal tono sollevato dell'uomo.

"Sono qui" sospirò tremula lei, troppo destabilizzata dal suo profumo e dal suo sguardo.

"Allora...mi dirai il tuo nome entro la fine della serata?" sorrise lui riacquistando la sua tipica compostezza militare.

"Tu mi dirai tutti i tuoi segreti entro la fine della serata?" rispose lei mettendosi composta.

Nikolai si irrigidì sul posto, le dita si strinsero l'una con l'altra fino a far sbiancare le nocche.

Le bastò quello per pentirsi della sua avventatezza, ma non era riuscita a contenere la sua linguaccia impertinente.

Les jeux sont faits.

" Facciamo un patto." esordì lui all'improvviso.

"Tu mi dirai il tuo nome e io ti dirò un mio segreto, ci stai?" sorrise malandrino sporgendosi con il corpo mastodontico oltre il tavolo.

Grethe annuì e sorridendo rivelò il suo nome.

" Un bellissimo nome, per una bellissima donna." mormorò lui sovrappensiero.

A quell'affermazione la sua gabbia toracica si strinse dolcemente attorno al suo povero cuore.

"Ora tocca a te" parlò lei schiarendosi la gola.

L'uomo drizzò la schiena, oscillò a disagio sulla sedia e si preparò a svelare il segreto tanto atteso.

Un'esplosione distolse la loro attenzione e la portò sul cratere che si era aperto nel muro del Gillis. Urla e scalpiccii di piedi saturarono l'aria di paura.

In quel trambusto una donna, accerchiata da altri quattro uomini, entrò nel locale puntando il suo sguardo di fuoco su Grethe.

"Tu!" urlò la donna digrignando i denti come un cane.

Nikolai le fu subito accanto e se la strinse addosso digrignando i denti a sua volta.

"Ti prego non dare di matto" sussurrò l'uomo lasciandole il fianco, spingendola morbidamente via.

"Dovrai fare esattamente tutto ciò che ti dico, hai capito?" continuò lui. Grethe tremò sul posto ed annuì automaticamente, come se obbedirli fosse più che naturale.

I nuovi arrivati avanzarono formando una freccia umana letale indirizzata verso di lei.

I sensi di Grethe erano come lucine lampeggianti impazzite: continuavano ad inviarle segnali di pericolo che la destabilizzavano.

Le sue mani, come animate di vita propria, si aggrapparono alla manica del morbido maglione di Nikolai, richiamando la sua attenzione.

"Andrò tutto bene, te lo prometto." le sorrise lui accarezzando con dita lunghe e callose la pelle liscia della sua mano.

"Chi sono?" domandò tremula, soggiogata dal suo sguardo caldo.

"Persone cattive, mia dolce luna." morbidamente le sue labbra accarezzarono quell'appellativo che, per un motivo a lei ancora ignoto, le calzava a pennello.

"Cosa..."

Un urlo squarciò il loro scambio di sguardi.

"Prendetela!" urlò la donna in nero dall'alto della sua aura oscura.

Gli uomini si lanciarono in avanti, pronti ad afferrarla.

In quel esatto momento successero due cose: Leila si frappose- armata di lancia- tra lei ed uno degli assalitori e l'uomo con cui aveva dialogato fino a due secondi fa era sparito.

Al suo posto ora c'era...un lupo. Un grosso lupo nero dagli occhi ambrati.

Era lui.

Quest'ultimo la guardò per un attimo prima di spingerla di lato con la possente coda.

Grethe cadde e si ritrovò tra le braccia di Andrea.

"Resta qui" le sussurrò lui stringendosela addosso.

Grethe non pensò neppure di spostarsi, era una cosa che il suo cervello non concepiva neppure, soprattutto perché sapeva perfettamente che oltre il sottile strato di legno stava succedendo qualcosa di pericolo e soprannaturale.

Stordita e immobilizzata dalle braccia di Andrea, la donna si ritrovò a pensare a quello che era appena successo.

Chi erano quegli uomini?

Chi era quella donna?

Da quando Leila sapeva maneggiare una lancia?

Ma soprattutto perché diavolo si era messa in mezzo?

Nikolai era un dannatissimo lupo.

Com'era possibile?

Un uomo che tramuta in lupo.

Tu sei una vilia.

Il ricordo la colpì in pieno petto mozzandole il respiro, bloccando il fiume in piena che erano i suoi pensieri.

Come richiamo dal suo dolore, il grosso lupo si parò davanti ai suoi occhi studiandola ad orecchie ben dritte, pronte a captare qualsiasi movimento.

"Sali"

Era stato il lupo a parlare?

Lo guardò ad occhi sgranati, incapace di credere ad una cosa simile.

"Grethe sali su quel dannatissimo lupo" la voce di Leila la raggiunse.

No, non era stato il lupo.

Accettando la terribile realtà che stava per montare in groppa ad un lupo gigantesco, rivolse uno sguardo ad Andrea.

"A lui ci penso io, tu vai con Fenrir. Ora." disse Leila intercettando il suo sguardo.

Grethe salì in groppa al lupo, o forse doveva chiamarlo Nikolai?

Gettò uno sguardo dietro di sé mentre il corpo sotto di lei iniziava a muoversi.

Molti uomini erano riversi a terra, privi di vita. Altri stavano battendo in ritirata trascinando con sé gli amici feriti.

In tutto quel disordine di corpi e legno, la donna si ergeva fiera di odio.

"Ti troverò" mimarono le sue labbra laccate di rosso.

Grethe rabbrividì violentemente allontanandosi sempre di più in groppa a Nikolai.

L'avrebbe trovata ancora, ne era certa.

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