When northern lights are dancing

di L S Blackrose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Lost in the night ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Whenever wind is blowing ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - When the sun rise again ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Come find me ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - With me into the night ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Running with the demons ***



Capitolo 1
*** Prologo - Lost in the night ***






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Prologo

Lost in the night


 

Non avevo mai pensato seriamente alla mia morte. Ma morire al posto di qualcuno che amavo, era di certo una buona maniera di morire.

Quel pensiero mi aveva sfiorata, era risuonato sopra alle urla e al rumore tonante degli spari. Eppure, mentre crollavo a terra e il sangue cominciava a scorrere, un'altra voce si era fatta largo nella mia mente.

Ora che avevo avuto il coraggio di fronteggiare la morte, l'unico pensiero che mi rimbombava in testa era che volevo vivere. Ad ogni costo, anche se ogni respiro che prendevo era un'agonia e il minimo movimento era sinonimo di sofferenza, sapevo cosa desideravo.

Un'altra possibilità.

Era una pretesa egoista, ne ero consapevole. Altre persone, migliaia di vite innocenti spezzate dopo un singolo respiro su questo mondo, di certo meritavano una seconda chance molto più di me.

Un'ultima speranza.

Perché mai il destino avrebbe dovuto concederla proprio a me, tra tutti?

Eppure, quella sera, il fato decise di accogliere la mia richiesta. La morte posò le sue dita gelide su di me, mi sfiorò appena, ma alla fine decise di non portarmi via con sé. Fuggì lontano, lasciandomi in balia del fuoco.

Un incendio che, malgrado tutto, mi avrebbe donato ciò che più desideravo: una seconda vita.













* * * * * * *

Ciao a tutti! Questa è una fanfiction che ho ritrovato dopo anni nel pc e, complice la lettura di Midnight Sun, ho deciso di rivedere e pubblicare. Come avrete notato, ho ripreso in questo prologo le prime frasi di Twilight.
E' la mia prima fanfiction sulla saga, che ho adorato quando ero adolescente e riletto varie volte negli anni. Non vi anticipo nulla, fatemi sapere cosa ne pensate!

Un saluto a tutti, baci,
Lizz


p.s. il titolo della storia e di ogni capitolo si rifanno ai versi della canzone Spirit in the Sky dei Keiino. Per restare aggiornati e leggere i miei vaneggiamenti vari, questa è la mia pagina Facebook. Mi trovate anche su Instagram (@ecletticalettrice) e sul mio blog.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Whenever wind is blowing ***





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Capitolo 1

 

Whenever wind is blowing




Recensioni


 
Fuoco e sangue. Erano i primi ricordi della mia nuova vita, immagini vivide e sensazioni che, per quanto a lungo avessi vissuto, non avrei mai potuto dimenticare.

Presi un profondo respiro, sebbene non ne avessi bisogno. Un'altra abitudine umana che con il tempo sarebbe scomparsa. Secondo Caius, ero ancora troppo legata agli aspetti della mia vita precedente, quella patetica vita mortale che non mancava mai di nominare con palese disgusto.

Un refolo di vento mi sfiorò il viso, scompigliandomi i capelli. Una cascata di capelli ondulati che viravano dal castano al rosso a seconda della luce, talmente lucidi e perfetti che, a distanza di quasi due anni dalla mia trasformazione, ancora faticavo ad associare a me. Alla me stessa che scorgevo negli occhi altrui. La vampira immortale.

Un odore familiare filtrò tra le mie narici, mescolandosi ai vari profumi che aleggiavano nella notte. Era un'essenza che avrei riconosciuto tra mille, perché apparteneva a colui che mi aveva donato la seconda possibilità che tanto desideravo.

Dalle mie spalle giunse un basso mormorio. «Sapevo che ti avrei trovata qui».

Mi limitai ad annuire, tenendo lo sguardo puntato sul gruppetto di giovani intenti a chiacchierare ai piedi della torre. Studenti, a giudicare dai loro discorsi incentrati su corsi da seguire e tesine da scrivere.

Da quando la mia vita era stata stravolta ed ero stata catapultata, mio malgrado, in un mondo dove i vampiri camminavano indisturbati tra gli umani, c'erano molte cose che non mi era permesso fare. Uscire a mio piacimento da quel palazzo, ad esempio, se non per casi di stretta necessità. Quindi, avevo dovuto trovare – o, meglio, inventare – dei passatempi per non perdere completamente la ragione. Di giorno mi dedicavo ad approfondire la mia cultura personale, dato che, per come stavano le cose, non avrei più potuto intraprendere la carriera universitaria che sognavo fin da bambina. Non nell'immediato futuro, perlomeno. Di notte invece...mi concentravo su una questione più importante, una sorta di studio antropologico.

Trascorrevo interminabili ore in cima alla torre, seduta sul cornicione ad osservare gli umani che transitavano per le vie del centro di Volterra. Ero sempre ben attenta a non farmi notare, anche se era quasi impossibile per loro vedermi, nascosta com'ero tra le ombre. E io ne approfittavo per inspirare a fondo i loro odori, per analizzare i dettagli fisici e affinare il mio autocontrollo. Ero una neonata, per cui la sete era più forte per me che per gli altri vampiri di cui ero circondata. Eppure, sin dal primo istante in cui mi ero resa conto di avere delle armi da taglio al posto dei denti, il pensiero di uccidere non mi aveva mai sfiorata.

Purtroppo, il fatto che non considerassi gli umani delle prede era un problema. Per questo ero tenuta prigioniera, come una principessa ribelle che si teme possa fuggire col figlio del mugnaio.

Dal gruppetto di studenti si alzò un coro di risate. Scoccai un'occhiata ai loro volti spensierati e sentii le labbra curvarsi in un sorriso involontario.

«Vorrei poterti dare molti più motivi per sorridere così, Isabella».

Quell'ammissione sincera mi colse di sorpresa. Distolsi lo sguardo dagli umani e puntai gli occhi sulla figura ammantata di nero, in piedi a qualche metro dal cornicione su cui ero appollaiata. Saltai giù e andai incontro al vampiro dai lunghi capelli scuri, il mio creatore.

Il sospiro di Marcus si perse nell'aria fresca della notte. «So che sei diversa da noi, Isabella. L'ho capito dal primo momento. Se non lo fossi stata...». Lasciò la frase in sospeso, ma sapevo cosa intendeva dire.

Se non avessi posseduto quel qualcosa che mi distingueva dalla massa, a quell'ora non mi sarei trovata su quella torre. Se quella sera di due anni prima Demetri non mi avesse trovata agonizzante, se il mio sangue non avesse attirato la sua attenzione, so bene dove mi troverei oggi.

Sarei morta.
Come era morto Charlie, mio padre.

Strinsi gli occhi quando nella mente tornarono ad affacciarsi i ricordi. Era accaduto tutto durante il mio primo viaggio all'estero, un regalo dei miei genitori per il diploma. Mia madre non aveva potuto accompagnarmi – era sempre in giro per gli Stati Uniti al seguito del nuovo marito –, quindi Charlie si era offerto volontario. Avevamo visitato Londra, poi Parigi e, infine, eravamo giunti a Firenze, tappa finale del nostro tour europeo. Mancavano pochi giorni al nostro ritorno in America, eravamo usciti a cena e stavamo tornando in hotel, quando all'improvviso eravamo stati accerchiati da una decina di uomini armati a volto coperto.

I miei ricordi di ciò che è accaduto in seguito, prima e dopo i colpi di arma da fuoco, sono nebulosi. So solo che mi ero lanciata contro mio padre, un attimo prima che uno dei criminali iniziasse a sparare. Avevo intuito le sue intenzioni e volevo togliere Charlie dalla linea di fuoco, ma da lì in avanti le cose erano precipitate.

C'erano stati altri spari, poi urla disumane e infine il silenzio, rotto soltanto dal mio respiro affannoso. E lo sguardo vacuo di mio padre, steso a terra al mio fianco, la camicia candida inzuppata di sangue...

A quel pensiero sentii il petto contrarsi per il dolore. Era strano: un essere immortale scolpito nella pietra non avrebbe dovuto poter soffrire in quel modo. Il mio corpo sovrumano non poteva essere scalfito, se non dai denti dei miei simili; non potevo ammalarmi, non dovevo temere incidenti, eppure riuscivo ancora a provare emozioni.

Ma, a giudicare dalle grida soffocate che sentivo giungere dai piani inferiori del palazzo, in quel posto ero l'unica.

Mi riscossi dalle mie riflessioni e annuii in direzione di Marcus. «Lo sai come la penso sulla nostra dieta. Rispetto le vostre...», esitai un istante, alla ricerca del termine più appropriato, «...preferenze, ma non fanno per me».

Il sospiro di Marcus si trasformò in uno sbuffo divertito. «Bella, cara, lo sai che puoi parlare liberamente con me. Non temere di offendermi, non sono permaloso quanto Aro, né...irascibile come Caius».

Storsi la bocca. Irascibile non rendeva nemmeno l'idea. Caius era temibile e letale quanto un cobra a digiuno da mesi. A suo confronto, Aro appariva quasi...indulgente.

I Volturi, il clan di vampiri che mi avevano salvato la vita e poi accolta nella loro antica dimora, non erano degli immortali qualunque. Erano un gruppo numeroso, capeggiato da un triumvirato formato da Aro, Caius e Marcus. Abitavano a Volterra da secoli, ben nascosti dagli umani, in agguato nell'ombra come voraci predatori. I miei simili li consideravano una sorta di famiglia reale, incaricata di vigilare sulla razza dei vampiri. Per questo le nuove trasformazioni e le ammissioni nel clan erano centellinate: i Volturi accettavano soltanto chi dimostrava di possedere un determinato talento. Molti dei miei fratelli adottivi erano straordinariamente dotati: Demetri era un ottimo segugio; Jane riusciva a stendere gli avversari con un solo sguardo; Alec, il suo gemello, era specializzato nella deprivazione sensoriale; Felix e Santiago erano guerrieri formidabili.

Ed io ero uno scudo. Nessuno poteva giocare con la mia mente e i miei pensieri. I poteri di Jane, Alec – perfino quello di Aro – non avevano alcun effetto su di me.

Marcus si appoggiò al muro al mio fianco e mi posò con delicatezza una mano sulla spalla. Alla luce delle stelle la sua pelle aveva il colore della neve, liscia e priva di imperfezioni come lo era la mia. Solo che la sua era molto più fragile. Forse era per quel motivo che rischiavo meno di altri l'ira di Caius. Ero una neonata vampira, molto più forte fisicamente di qualsiasi altro membro del clan dei Volturi. A parte Felix, forse.

Gli occhi rossi di Marcus si specchiarono nei miei. «Sono venuto a cercarti perché devo parlarti di una cosa. Una sorta di...proposta a cui penso da un po' e che, inspiegabilmente, ha ottenuto l'approvazione di Aro».

Inarcai le sopracciglia. Quella era una novità non da poco: sapevo quanto fosse difficile ricevere un sì da Aro, qualsiasi fosse la domanda. Sembrava che il vampiro si divertisse immensamente a cestinare una richiesta dopo l'altra e nessuno era così stupido – o incosciente – da riproporla una seconda volta.

Marcus si chinò verso di me, i lunghi capelli scuri che ondeggiavano nella brezza. «Abbiamo in programma per te una piccola gita. Anzi, potremmo chiamarlo...viaggio di formazione».

A quelle parole la mia curiosità si accese, scacciando l'ondata di malinconia di cui ero prigioniera da giorni. Fissai Marcus, trattenendo a stento l'impazienza di saperne di più.

«Ho convinto Aro a lasciarti partire per il Nuovo Continente. Avevo proposto di lasciarti libera di viaggiare per qualche anno, darti il tempo di conoscere un po' il mondo prima di richiamarti qui». Un altro breve sospiro, stavolta di frustrazione. «Ma, naturalmente, Caius si è opposto. Con estrema fermezza, aggiungerei. Ti ritiene instabile, troppo giovane per essere lasciata da sola, e Aro si è dichiarato d'accordo».

Annuii, per nulla sorpresa. Intuivo che Marcus stava tenendo per sé gran parte della loro discussione, scegliendo con cura le parole per non offendermi. Conoscendolo, di certo Caius aveva usato espressioni molto più brutali per definirmi. Non aveva mai fatto mistero della sua avversione nei miei confronti, né aveva mai perso l'occasione per lanciarmi addosso offese o recriminazioni, o per sottolineare quanto fosse contrario alla mia trasformazione sin dal principio. Ero abituata alle sue minacce costanti, ma riuscivano comunque ad intimorirmi.
Con i Volturi non c'era da scherzare, l'avevo imparato da tempo.

Ma...un viaggio in America? Avrei potuto tornare a casa, anche solo per un breve periodo? Mi sembrava troppo bello per essere vero. Se non avessi saputo che era impossibile, avrei giurato di star sognando.

Cercai di non lasciarmi trasportare troppo dall'entusiasmo, mentre Marcus mi illustrava il programma. «Avevamo già deciso di fare visita a qualche nostra conoscenza in America, un...controllo che non può più essere rimandato». L'espressione di Marcus si incupì appena. «Ho pensato che un cambiamento di ambiente ti avrebbe fatto bene. E poi conoscere altri di noi, vampiri che condividono il tuo punto di vista...».

«Il mio punto di vista?», ripetei, confusa.

Il sorriso di Marcus si fece comprensivo. «I vampiri di cui sarai ospite non si cibano di esseri umani. Hanno scelto di ripiegare sugli animali, proprio come te».

Quella rivelazione mi colpì con la forza di un tornado. Quindi davvero ne esistevano altri! Vampiri che, come me, non condividevano la sete di sangue dei Volturi, che riuscivano a sopravvivere senza commettere un massacro dopo l'altro. Credevo che Carlisle Cullen, a cui Aro aveva accennato in passato, fosse l'unica eccezione.

Marcus chiuse un attimo gli occhi. «Demetri e Santiago partiranno tra qualche giorno, e tu andrai con loro. Ti condurranno da uno dei clan con cui siamo rimasti in contatto, un gruppo di vampiri che vivono stabilmente in Alaska. Rimarrai con loro fino al ritorno dei tuoi fratelli, poi tornerete insieme a Volterra. Si tratta di qualche mese, al massimo». Arricciò le labbra, scoprendo i denti. Di sicuro stava ripensando alla discussione con Caius: il fratello era l'unico che riusciva a infrangere l'aura pacata che avvolgeva sempre Marcus. «Avrei voluto concederti più tempo, una maggiore libertà, ma a quanto pare questo è il massimo che possa ottenere».

«È fantastico», fu tutto quello che mi uscì di bocca. Ero a corto di parole, ma Marcus sembrò percepire la mia sincera gratitudine. Lasciò sfumare l'irritazione e mi rivolse uno dei suoi rari sorrisi. Dubitavo che un altro membro del clan avesse mai avuto l'opportunità di vederne uno. Marcus era ben lungi dal mostrarsi felice, specie se nei paraggi c'erano Aro e Caius.

Come dargli torto.

«E come viaggeremo? Di certo non posso imbarcarmi in un aereo pieno zeppo di umani...». Il solo pensiero scatenava in me un profondo orrore, a cui faceva eco il bruciore incessante della sete. Sapevo controllarmi, di certo meglio di altri neonati che mi era capitato di incrociare nel palazzo. La maggior parte veniva giudicata troppo instabile e abbattuta senza ulteriori indugi.

La reale portata del mio autocontrollo, del tutto innaturale per un neonato, aveva stupito non poco i Volturi. Ero un esemplare anomalo già da umana e da vampira non facevo eccezione. Eppure conoscevo i miei limiti: non avrei mai potuto rimanere rinchiusa per ore assieme ad un folto gruppo di umani. Lo stesso doveva valere per Demetri e Santiago, che di certo non avevano mai tentato di controllare la loro sete e i loro impulsi.

Il sorriso di Marcus si trasformò in una debole risata. «Userete il mezzo meno rapido, temo. Impiegherete più tempo, ma almeno non rischieremo incidenti. Sono sicuro che nuotare nell'oceano sarà un'esperienza che non dimenticherai tanto presto».

Risi con lui. Nella mia mente si formarono immagini di squali giganti e onde alte come palazzi. Niente di tutto quello ora poteva nuocermi, realizzai con entusiasmo. Avrei potuto trattenere il respiro e immergermi sott'acqua per chilometri, fino a toccare il fondo dell'Atlantico. Avrei potuto...assaporare di nuovo la libertà, dopo due anni prigioniera in quel palazzo del terrore.

Ed era tutto merito di Marcus.  

Senza pensare, mi allungai e lo avvolsi in un abbraccio. Non ero mai stata un tipo espansivo, neanche da umana, e sapevo di dover dosare bene la mia forza per non fargli male, ma in quel momento ero talmente felice che avrei potuto persino baciare Aro. Non Caius, no. Lui mi avrebbe volentieri strappato braccia e gambe, se solo avessi osato avvicinarmi.

Marcus mi diede qualche colpetto incerto sulla spalla. Nemmeno lui era abituato a gesti tanto spontanei, né a ricevere dimostrazioni d'affetto. «Grazie», mormorai, stringendo appena la stretta sulla sua schiena. Affondai la guancia nella morbida stoffa del suo mantello, chiudendo gli occhi. «Grazie davvero, Marcus. Non sai quanto significa per me».

Il suo fiato freddo mi sfiorò l'orecchio. Nelle sue parole si celava l'eco di un'antica sofferenza. «Promettimi solo che tornerai, Isabella. Sana e salva».

Le mie dita si contrassero tra le pieghe del mantello. «Lo prometto».

E avrei fatto il possibile per mantenere la parola.





*





 
Stavo trattenendo il respiro, cercando dentro di me il coraggio necessario ad aprire gli occhi. Ero ferma immobile davanti allo specchio da qualche minuto, divisa tra impazienza e preoccupazione. Ai miei piedi era posata una piccola sacca, contenente quelle poche cose di cui avrei avuto bisogno durante il viaggio. Almeno fino al nostro tuffo nell'oceano.

Avevo ripassato accuratamente il programma stilato da Demetri. Sapevo cosa aspettarmi: mi ero preparata mentalmente ad ogni possibile scenario. Ero andata a caccia ogni giorno nell'ultima settimana. Anche se ci saremmo tenuti a debita distanza dagli umani, preferivo non correre rischi. Non più di quelli che erano già in gioco.

Nei giorni precedenti mi ero dovuta subire ore e ore di assidue raccomandazioni da parte di Aro, intervallate dalle abituali minacce – neanche troppo velate –, di Caius. Ero stata informata di cosa mi sarebbe accaduto se avessi disobbedito a una qualsiasi delle loro disposizioni, una lista talmente lunga che perfino il mio cervello immortale si era rifiutato di continuare a memorizzare.

Se un mio errore, una qualsiasi mia azione, avesse compromesso la missione di Demetri e Santiago, o avesse messo in pericolo l'esistenza del clan, la mia sarebbe terminata in un battito di ciglia. Non erano raccomandazioni da prendere alla leggera: anche se ero stata catapultata in una non-vita che non avevo scelto, volevo comunque continuare a camminare su questo pianeta il più a lungo possibile. Nonostante le privazioni forzate, la continua sete bruciante e il dolore per la perdita della mia identità passata, era pur sempre un destino preferibile alla morte, all'oblio.

Scrollai la testa e aprii finalmente gli occhi. Dopo la mia trasformazione, quei tre giorni in preda alle fiamme e al delirio, avevo evitato di incrociare il mio riflesso su qualsiasi superficie. Mi bastava cogliere lo scintillio cremisi delle mie iridi riflesse in quelle degli altri vampiri per provare orrore. Due anni non erano serviti per farmi accettare quel piccolo particolare, che, in confronto al resto, avrebbe dovuto apparirmi insignificante. Eppure per me non lo era affatto, il che testimoniava ancora una volta quanto fossi diversa dagli altri della mia razza.

Adoravo il colore dei miei vecchi occhi, che viravano dal verde al marrone a seconda della luce. Grazie alla mia dieta a base di sangue animale, con il passare dei mesi quel rosso inquietante si era ridotto, ma non abbastanza da svanire del tutto. Ne restava una vaga traccia ai margini dell'iride, che forse sarebbe scomparsa se mi fossi nutrita con regolarità, invece di attendere troppo da una battuta di caccia alla successiva.

«Lo posso fare», ripetei tra me, forzandomi di non distogliere lo sguardo dal mio riflesso. «Non sono come loro. So controllarmi. Non metterò in pericolo nessuno».

Nonostante sapessi di essere stabile, di aver dimostrato di poter gestire i miei impulsi anche in presenza di umani, una voce dentro di me continuava ad instillarmi il dubbio. E se durante il viaggio mi fossi imbattuta in qualche umano ferito, avrei saputo trattenere la sete e allontanarmi senza prima esporre uno di noi?

Una parte della mia insicurezza era generata da quella che avevo percepito negli altri miei compagni. Dopo l'annuncio ufficiale da parte di Aro, sia Jane che Alec si erano mostrati alquanto dubbiosi. Avevo persino udito Felix lamentarsi con Marcus per la propria esclusione da quel viaggio, sebbene sapesse che i suoi servigi erano necessari a palazzo. Era una delle guardie con più esperienza e forza: Aro non gli avrebbe mai permesso di allontanarsi per lunghi periodi da Volterra.

Scossi ancora la testa, scacciando quel garbuglio di pensieri ansiosi. Marcus aveva fatto in modo di assicurarmi un periodo di libertà: avrei impiegato ogni goccia di autocontrollo per non deluderlo. E per non dare a Caius il giusto pretesto per la mia esecuzione. Nell'immaginare quel possibile esito, sentii i miei sensi affinarsi e la mia concentrazione divenne granitica.

Non gli avrei mai concesso la soddisfazione di eliminarmi.

Un lungo rintocco risuonò nel salone deserto, il segnale che stavo aspettando. Afferrai la sacca, me la gettai in spalla e mi avviai alla porta. Avevo già avuto modo di porgere i miei rispetti ad Aro e Caius – come prevedeva il loro ridicolo cerimoniale –, e di salutare senza troppa enfasi il resto del clan. Non ero particolarmente affezionata a nessuno di loro, quindi avevo impiegato poco tempo.

L'unico vampiro da cui mi sarei separata a malincuore mi stava attendendo appena fuori dal salone, all'inizio della scalinata che conduceva ai piani inferiori. Marcus mi rivolse un sorriso e un debole cenno del capo. Non disse nulla, non ce n'era bisogno. Sapevo che la mia assenza avrebbe riacceso l'antica sofferenza per la perdita di Dydime, la sua amata compagna. Dopo la sua scomparsa, Marcus non aveva più conosciuto la vera felicità. Tuttavia, diceva che la mia presenza contribuiva a scacciare il dolore di cui era preda da secoli. Ero quanto di più vicino ad una figlia avesse mai avuto, una dei pochi che aveva scelto spontaneamente di trasformare.

Mi allungai per premere le labbra sulla sua guancia e udii distintamente i sibili infastiditi delle sue guardie. Li ignorai, tirandomi indietro con voluta lentezza. Marcus sorrise con più convinzione, divertito come sempre dalla mia intraprendenza. Risposi al suo cenno, poi mi voltai per raggiungere il gruppetto che sostava ai piedi della scala.

Lo sguardo rosso brillante di Jane si soffermò per un istante sui miei abiti, prima di alzarsi per incrociare il mio. «Hai finalmente imparato a vestirti», fu tutto ciò che disse.

Alzai gli occhi al cielo. «Apprezzo che tu lo abbia notato, Jane». La conoscevo abbastanza da sapere che quello era il massimo che mi potessi aspettare da lei, quanto a complimenti. Ma aveva ragione, avevo davvero imparato da poco ad adeguare i miei abiti alla stagione, per non dare nell'occhio in caso qualche umano mi avesse vista. Il che accadeva talmente di rado da non valere lo sforzo. Per il viaggio mi ero limitata ad indossare dei vestiti casual, dal taglio anonimo. Se avessi avuto bisogno di qualcos'altro, ero certa che sarei riuscita a procurarmelo.

Al suo fianco Felix aveva l'aria contrariata. «Avrei tanto voluto accompagnarti, Bella. Non mi sento...sicuro a saperti così lontana e circondata da estranei. Saprei proteggerti molto meglio di Demetri e Santiago».

Trattenni un ringhio. Felix era quello che, più di tutti lì dentro, cercavo di evitare. Sin dai miei primi giorni come vampira aveva dimostrato uno spiccato interesse nei miei confronti. Un interesse che non ricambiavo affatto. Gli lanciai un'occhiataccia, poi lo superai a grandi passi, borbottando un saluto.

Come se avessi bisogno della sua protezione. L'unica vera minaccia per la mia incolumità ero io stessa.

I miei due compagni di viaggio mi attendevano poco più avanti, frementi d'impazienza. Puntai gli occhi sulle loro figure slanciate, sulle spalle larghe di Demetri e sulle braccia scoperte di Santiago. Indossavano degli abiti sportivi, nero pece, molto simili ai miei. Santiago non diede segno di aver notato la mia presenza: prima che potessi accennare un saluto, si voltò e si diresse verso l'uscita secondaria del palazzo. Demetri si limitò a chinare la testa, per poi imitarlo.

Date le premesse, mi si prospettava un viaggio lungo e molto stressante. Forse non avrei dovuto concentrarmi sul non far fuori gli umani, ma trattenermi dal mordere i miei due accompagnatori. Sospirai e scoccai un'occhiata a Jane, ancora immobile al mio fianco. Teneva gli occhi scarlatti puntati su di me e, nel notare la sua espressione corrucciata, mi sfuggì un sibilo di irritazione. Sapevo cosa stava tentando di fare e non mi piacque affatto.

Lei rispose alla mia occhiata seccata con un sorriso luminoso. «Tranquilla, Bella. Stavo solo controllando che fosse tutto a posto, come sempre. A quanto pare il tuo scudo regge». Poi mi precedette, scortandomi fino all'uscita posteriore del palazzo, suscitando un grugnito di fastidio da parte di Santiago. Demetri aprì il pesante portone e uscì nel vicolo buio.
Era scesa la notte, il momento giusto per mescolarci agli umani.

Quando le passai accanto per scavalcare il muro che delimitava il cortile interno, Jane sventolò le dita e mi fece l'occhiolino. «Buon viaggio, Bella. E ricordati di portare i nostri saluti a Tanya e Carlisle».

Esitai un istante. C'era qualcosa che non mi convinceva nel suo tono. La sua voce da bambina era percorsa da una nota ilare, come se in qualche modo mi stesse prendendo in giro. Corrugai le sopracciglia, ma poi decisi di lasciar correre. Mi limitai a un rigido cenno del capo, prima di dileguarmi nel buio.




*




A quell'ora della notte i dintorni del palazzo erano deserti. Se prestavo attenzione, potevo udire distintamente i battiti dei cuori degli umani che abitavano nelle case adiacenti.

Anime ignare e innocenti, che non si rendevano conto di trovarsi a pochi passi dalla morte. Nel percorrere i vicoli stretti, illuminati soltanto dalla tenue luce lunare, procedemmo a velocità umana, tanto per non rischiare che qualcuno ci vedesse. Mantenemmo quell'andatura di una lentezza estenuante fino ai confini della città. Non appena ci lasciammo alle spalle le ultime abitazioni e ci inoltrammo nella placida campagna toscana, percepii il sollievo dei miei due accompagnatori. Raggiunti i primi filari di alberi, abbandonammo ogni finzione e cominciammo a sfrecciare, finalmente liberi di assecondare la nostra natura.

Correre era una delle mie attività preferite nella mia nuova vita. Da umana ero sempre stata troppo pigra per appassionarmi a un qualsiasi sport: di certo la mia imbarazzante goffaggine non aiutava nell'intento. Adesso avrei potuto correre per ore, per giorni interi, senza avvertire la minima fatica. Nuotare in acque ghiacciate, scalare montagne, tuffarmi da una scogliera.

Avrei potuto fare qualsiasi cosa, se avessi voluto.

No, mi corressi: se me lo avessero permesso. Purtroppo la mia libertà, il mio intero futuro, erano nelle mani di Aro. Uscivo dal palazzo soltanto per cacciare, sempre accompagnata da uno del clan e sempre rimanendo nelle vicinanze di Volterra. Quello era uno dei motivi che mi spingevano ad affamarmi, ad attendere molto più del dovuto per nutrirmi. La sete era tremenda, ma dover supplicare Aro per ore era molto peggio. Il capo clan non approvava il mio atteggiamento, quell'ostinata ribellione sul piano della dieta, e mi faceva letteralmente supplicare per ottenere il permesso di uscire da palazzo.

Tuttavia, se da un lato tentava con ogni mezzo di piegarmi e costringermi ad assecondare il suo volere, dall'altro cercava di andarci cauto con me. Dopotutto ero una risorsa preziosa per lui, una pedina che avrebbe arricchito la sua personale scacchiera in vista di minacce future.

Il mio dono era risultato evidente sin dal primo istante in cui le sue dita mi avevano sfiorata. Grazie al suo tocco, Aro poteva leggere tutti i pensieri mai formulati da un individuo, quindi non osavo immaginare quanto dovesse essere rimasto sorpreso ed estasiato nel ritrovarsi tra le mani un'umana che ne era immune. Non mi aveva concesso di diventare una vampira soltanto per pietà, o per pura curiosità: lui aveva scorto un potenziale in me e intendeva usarmi, sfruttare il mio dono per i propri scopi. Stava solo aspettando che mi stabilizzassi a sufficienza, per poi procedere all'addestramento vero e proprio. Ero sicura che fosse soltanto una questione di tempo e le proteste mie – e di Marcus – non sarebbero valse a nulla.

Ma forse quel viaggio avrebbe fatto la differenza.

Mentre correvo nel bosco seguendo la scia di Demetri, mi imposi di scacciare completamente qualsiasi pensiero riguardasse i Volturi. Intendevo godermi la poca libertà che mi era stata concessa, quella breve parentesi in una vita fatta di ordini e imposizioni. Non mi facevo illusioni, ma una parte di me non poteva fare a meno di chiedersi chi avrei incontrato al di là dell'oceano.

E se quel qualcuno avrebbe potuto aiutarmi.  
 





* * *



 
Recensioni-2

 
 
Se mai avessi cessato di esistere, ero certo sarei finito in quello che gli umani chiamavano inferno. Ed ero piuttosto sicuro si sarebbe rivelato un posto molto più interessante di quello in cui mi trovavo al momento.

Liceo. Avevo perso il conto di quante volte, nel corso dell'ultimo secolo, mi fossi iscritto al liceo. Una parentesi non indifferente per un umano, ma per un vampiro con più di cent'anni e due lauree in medicina alle spalle si poteva riassumere in due parole: pura tortura.

Era trascorso qualche mese dal nostro ritorno a Forks, una cittadina di cui serbavo ricordi contrastanti. Quanti anni erano trascorsi dall'ultima volta in cui vi avevo messo piede? Di sicuro qualche decennio, forse un po' di più. Ma ricordavo molto bene in cosa – anzi, in chi – la mia famiglia ed io ci eravamo imbattuti lì in passato. Era un ricordo lontano, eppure sorprendentemente vivido...

Quanto è bello. Vorrei trovare il coraggio di parlargli, ma è così...

Repressi l'istinto di voltarmi in automatico, quando captai il mio nome fra i pensieri della ragazza seduta al tavolo accanto al mio. Mi pareva si chiamasse Jessica. Trattenni a malapena l'esasperazione. Nel giro di mezz'ora aveva architettato un centinaio di metodi diversi per attaccare bottone con me. Li aveva scartati uno dopo l'altro, infastidita dalla propria mancanza di coraggio. Avrei voluto darle una pacca paterna sulla spalla, sottolineandole che non era la propria codardia a tenerla lontana da me, ma puro istinto di sopravvivenza. Se avesse saputo cosa le sarebbe accaduto se si fosse trovata troppo vicina ai miei denti, di certo avrebbe smesso di pensare a me in modo così...ossessivo.

Cercando di smorzare il tono della sua voce mentale, mi presi qualche attimo per valutare il resto dei presenti. La classe di chimica era l'ultimo corso a cui mi ero iscritto e ospitava una ventina di ragazzi. Quel giorno era in programma un esperimento, che ovviamente avrei dovuto svolgere da solo. Dato che mi ero trasferito a metà dell'anno scolastico, ero l'unico a non avere un compagno di laboratorio e dubitavo che qualcuno avrebbe deciso di propria iniziativa di spostarsi al mio fianco. Dal giorno in cui ero arrivato, pochi degli studenti erano stati tanto temerari da avvicinarsi e parlarmi. La maggior parte di loro faticava persino ad alzare gli occhi su di me, figuriamoci starmi vicino più dello stretto necessario.

Per me non era affatto un problema, tutt'altro. Ero abituato a controllare i miei istinti, a tenere sotto controllo la sete, ma non era saggio rischiare. Instaurare una relazione con un qualunque umano poteva rivelarsi pericoloso e controproducente. Inoltre, stando ai pensieri che captavo nella scuola, nessuno di loro valeva un tale rischio.

Nel percepire i pensieri del professor Banner, che in quel momento stava passando tra i banchi per controllare i risultati dell'esperimento, mi affrettai ad abbassare lo sguardo sul microscopio. In pochi secondi riempii il foglio delle risposte e, non appena il professore si avvicinò alla mia postazione, glielo porsi ancora prima che potesse chiedermelo. I suoi occhi scorsero attentamente il foglio, poi si spostarono su di me e mi osservarono con stupore. Nei suoi pensieri aleggiavano incredulità e sospetto, ma anche una riluttante ammirazione.

Tutto corretto, di nuovo. Non mi era mai capitato uno studente tanto brillante. Se non sapessi che è impossibile, giurerei che...

«Molto bene, signor Cullen», borbottò, prima di passare oltre.

Annuii e ritornai alle mie cupe riflessioni, tentando di fare del mio meglio per ignorare il chiacchiericcio mentale del resto della classe. Per quanto fossi ormai abituato ad escludere le voci altrui dalla mia testa, il ronzio di fondo rimaneva costante. E a volte, come accadeva dal primo giorno di scuola, certe voci erano particolarmente insistenti. Con la coda dell'occhio intercettai lo sguardo adorante di Jessica Stanley e sospirai. Sarebbe stata un'ora molto lunga.


 
*


Alle fine delle lezioni mi feci largo tra la calca degli studenti che sciamava nel parcheggio e raggiunsi in pochi passi la mia auto. I miei fratelli sarebbero arrivati da lì a poco – li sentivo ed erano tutti a poca distanza. Emmett e Jasper avevano in programma una battuta di caccia per quella sera, ma non ero esattamente dell'umore. Mi sentivo irrequieto e non capivo da cosa scaturisse quella sensazione. Accesi lo stereo, sintonizzandolo sulla mia stazione di musica classica preferita.

«Mozart? Ah, non ancora», fu il saluto di Alice, la prima a raggiungermi in auto. Si appropriò del posto del passeggero con evidente soddisfazione e cominciò a canticchiare sopra la melodia. Quando Bach lasciò il posto alla Sonata n. 11 di Mozart, Alice schioccò le dita. «Eccolo qui. Mi piace questa stazione radio. Teniamola accesa, tra poco metteranno il mio pezzo preferito di Chopin».

Alzai gli occhi al cielo. Quel pomeriggio Alice era stranamente loquace. Non che non lo fosse sempre, ma adesso pareva quasi si stesse trattenendo dal mettersi a saltellare per l'entusiasmo. Gli occhi le luccicavano e in me cominciò a germogliare il sospetto.

Inarcai le sopracciglia e chinai la testa verso di lei. «C'è qualcosa che devi dirmi?», chiesi, più per educazione che altro. Sapevamo entrambi che avrei potuto estrarre da solo la risposta, direttamente dalla sua testa.

E infatti Alice trincerò i propri pensieri dietro le sue solite, irritanti barriere. Nello specifico, si concentrò a ripetere mentalmente delle assurde filastrocche in coreano. «Non ora», si limitò a rispondere, le labbra incurvate in un sorrisetto di sfida.

Prima che potessi replicare, arrivarono gli altri. Rosalie entrò per prima nella Volvo, Emmett e Jasper si piazzarono ai suoi lati. Rose scoccò un'occhiata irritata ad Alice: il posto davanti era una sua prerogativa, l'avevano stabilito dopo accese discussioni.

Sospirai e misi in moto. Ero certo che l'atmosfera serena che regnava in auto fosse opera di Jasper: una volta arrivati a casa, Rosalie avrebbe iniziato a rispolverare la sua serie infinita di lamentele. Era ancora arrabbiata per il divieto che aveva imposto Carlisle: vietato farsi notare troppo e dare nell'occhio, almeno finché gli umani non si fossero abituati alla nostra presenza in città. Dovevamo mantenere un basso profilo, era logico. Anche non volendo, attiravamo l'attenzione: non avevamo bisogno di dare agli umani altri motivi per spettegolare su di noi e suscitare sospetti. Una coppia “giovane” con cinque figli adottivi? Era sufficiente quel dettaglio a scatenare una valanga di commenti e sproloqui di varia natura. E dire che non era che la punta dell'iceberg. Chissà cosa avrebbero detto gli ingenui cittadini se avessero saputo quanto poco giovane fosse Carlisle in realtà...almeno secondo le loro aspettative di vita.

Percorsi a velocità sostenuta il vialetto che conduceva alla nostra nuova casa. L'ansia che avevo cominciato ad avvertire nel parcheggio si era amplificata, fino a raggiungere il picco massimo non appena avvertii un brandello dei pensieri di Carlisle.

A quel punto sgranai gli occhi e inchiodai bruscamente. Non prestai attenzione alle proteste soffocate dei miei fratelli: lasciai la Volvo parcheggiata in diagonale davanti al garage e mi precipitai in casa, raggiungendo i miei genitori. Erano in cucina – una stanza che non usavamo mai, ovviamente. Faceva tutto parte della facciata che dovevamo costruire per non destare sospetti negli umani, sebbene nessuno di loro avesse (né avrebbe) mai messo piede in casa nostra.

Carlisle ed Esme non furono sorpresi di vedermi arrivare di corsa. Mi fermai accanto a quello che, ormai da quasi un secolo, consideravo come un padre, e lo guardai negli occhi. Avvertivo i pensieri di Esme e i suoi tentativi di dissimulare l'apprensione che provava. Era inutile, avevo già sentito quello che mi serviva sapere.

«Quando?», chiesi, rivolto a Carlisle.

Lui ricambiò il mio sguardo e sospirò. «Fra qualche giorno».

«Quanti?».

«Soltanto una. E, prima che tu lo chieda, no, non si fermerà molto». Il suo tono era pacato come al solito, ma i suoi pensieri erano velati di preoccupazione. «Qualche mese, forse meno».

Dalle labbra mi sfuggì un sibilo. Ci mancava solo quello. Proprio adesso che ci eravamo trasferiti e dovevamo stare attenti ad ogni singola mossa...

«Di cosa state parlando?», domandò Emmett spazientito, interrompendoci. Non li sopporto quando fanno così, continuò tra sé. Come se fossimo tutti capaci di leggere nel pensiero...Edward, se questa cosa riguarda la famiglia, abbiamo tutti il diritto di dire la nostra!

Era fermo accanto alla porta, assieme agli altri. Rosalie ci fissava, incuriosita e perplessa; Jasper era circospetto, stava studiando il clima presente nella stanza grazie al suo dono speciale, quanto ad Alice...lei sorrideva con aria saputa.

Ridussi le palpebre a fessura, concentrandomi su di lei. Stava di nuovo eludendo la mia lettura mentale, stavolta elencando i suoi stilisti italiani preferiti e i nomi dei modelli delle nuove collezioni in ordine alfabetico.

Feci una smorfia e tornai a concentrarmi su Carlisle. Nella sua testa lessi parte della conversazione avvenuta tra lui e Aro, il capo dei Volturi. Erano un clan di vampiri sedentario, come il nostro e quello di Tanya a Denali. Una famiglia allargata, molto numerosa, e si consideravano da secoli una sorta di custodi della nostra razza. Imponevano le regole e le facevano rispettare, usando la forza se necessario – il che avveniva il più delle volte. Non avevo mai avuto la possibilità di incontrarli di persona – e di quello non potevo che rallegrarmi –, ma li conoscevo. Li avevo visti attraverso i ricordi di Carlisle, quando mi aveva parlato del proprio passato. Aveva trascorso un lungo periodo tra loro, a Volterra. Purtroppo i loro punti di vista si erano rivelati inconciliabili: i Volturi non approvavano la visione del mondo e i valori di Carlisle, e le loro strade si erano presto separate.

Perché farsi vivi dopo tutto quel tempo? Per quale motivo riallacciare i rapporti ora? Quali insidie nascondevano quelle strane richieste che udivo riecheggiare tra i pensieri di Carlisle?

Lui circondò con un braccio le spalle di Esme, poi si voltò verso il resto della famiglia. «Stamattina ho ricevuto una telefonata dall'Italia», annunciò. «Si tratta dei Volturi. Aro ha chiamato per chiedermi un favore. Tra pochi giorni arriveranno alcuni dei suoi: due guardie e una...neonata».

Il ringhio di Jasper sovrastò l'imprecazione di Emmett e il sibilo attonito di Rosalie. Con la coda dell'occhio vidi Alice dare una pacca incoraggiante sul braccio del compagno. Jasper si girò a guardarla e, nel notare la sua posa rilassata, si calmò. Sapevo che si fidava ciecamente di Alice e delle sue visioni: se lei si mostrava così tranquilla, significava che quell'imprevisto non ci avrebbe causato problemi. Non alla nostra famiglia, perlomeno. Ma agli umani?

Carlisle intercettò il mio sguardo. «Aro mi ha assicurato che la neonata non rappresenterà un problema per noi. Rimarrà a Denali, affidata al clan di Tanya. L'ho chiamata poco fa e mi ha detto di aver dato il proprio consenso, senza ricevere imposizioni dai Volturi».

«Sì, come no», borbottò Emmett. «E' ovvio che è stata costretta. Nessuno può rifiutare qualcosa ad Aro senza subire conseguenze».

Carlisle corrugò la fronte. «Forse, o forse no. Mi è parsa nervosa, ma entusiasta della novità».

Roteai gli occhi. «Lo sai com'è fatta Tanya. La prudenza non è mai stata il suo forte», puntualizzai.

Carlisle scosse la testa. «Aro mi ha anche chiesto di recarmi a Denali per incontrare la neonata. Ho accettato», dichiarò, suscitando lo sconcerto generale e un'altra imprecazione da parte di Emmett. Mio padre alzò una mano, placando le proteste. «Andrò a Denali la prossima settimana. Mi prenderò qualche giorno di permesso dall'ospedale».

«Verrò con te», mi affrettai a specificare. Carlisle non tentò nemmeno di contraddirmi: mi conosceva bene e sapeva che sarei stato irremovibile su quel punto.

«Anch'io», si inserì Emmett, beccandosi un'occhiataccia da parte di Rosalie.

«Non potrebbe trattarsi di una trappola? Un qualche tranello ai nostri danni?», rifletté Jasper, mentre in testa gli scorrevano immagini della sua vita passata. Decine di neonati dagli occhi cremisi e dallo sguardo allucinato per la sete che lo circondavano, i denti scoperti e pronti a mordere. Tra noi era il più esperto nella lotta e formidabile nelle tattiche difensive contro i nostri simili. I suoi pensieri si fecero frenetici: si mise a fare congetture sui possibili scenari in cui un neonato poteva rivelarsi una minaccia, per noi e per gli umani.

I vampiri appena trasformati erano molti più forti di noi sul piano fisico – quella neonata avrebbe potuto battere anche Emmett, il più muscoloso di noi, in un corpo a corpo. Ma i neonati avevano anche un grosso punto debole, ed era la sete. Noi, come i vampiri di Denali, eravamo allenati a sopportare la vicinanza degli esseri umani e l'incessante sofferenza che ne derivava, ma un nuovo vampiro possedeva impulsi molto più pronunciati. Cacciare, uccidere, sfamarsi: quelle erano le occupazioni principali di un neonato. Se uno di loro si avvicinava ad un essere umano, molto difficilmente avrebbe avuto la forza di controllarsi ed evitare di cedere all'istinto predatorio. Quando c'erano di mezzo i nuovi vampiri, specie se appartenevano ad un creatore negligente che non forniva loro le regole di base, accadevano spesso errori catastrofici. Troppe morti o sparizioni sospette avrebbero potuto smascherarci. Era proibito rivelare la nostra esistenza – in modo diretto o indiretto – agli umani. La presenza della nostra specie sul pianeta doveva rimanere segreta e il compito dei Volturi consisteva nel far rispettare questa legge. Non erano previsti processi democratici, né erano accettate giustificazioni: ogni errore esigeva l'eliminazione immediata dei colpevoli.

Per questo, se non si voleva coinvolgere i Volturi, gli errori andavano evitati ad ogni costo.

La voce sicura di Alice spezzò il momento di tensione. «Andremo tutti», decretò, prima che il commento di Jasper desse il via ad un'accesa discussione. Quella di Alice non era una richiesta, ma un semplice dato di fatto. La sua espressione denotava sicurezza e una vaga traccia di impazienza, che a malapena riusciva a nascondere.

Come se...non vedesse l'ora di incontrare quella nuova vampira.  

Bastò quella minuscola incertezza a causare una frattura tra i vari scudi mentali che aveva innalzato per tagliarmi fuori. Vidi solo un'immagine, un rapido flash di una visione futura, prima che Alice tornasse ad applicare le sue irritanti barriere.

Quello che avevo scorto nello spiraglio era...sconvolgente.
Rimasi talmente turbato che faticai non poco per riprendere la compostezza.

Una distesa bianca, fiocchi di neve che turbinavano nel vento. Lampi di luce verde e viola che danzavano sul ghiaccio, illuminando un me stesso sorridente e...una mano delicata e pallida posata sulla neve accanto alla mia.












* * * * * * *

Eccomi di ritorno con il primo capitolo! Come vi sembra la storia finora? Ringrazio mille volte Giulia, la mia fidata beta reader, per i preziosi consigli. Ho cercato di impostare il tutto affinché la storia potesse essere letta (e capita) anche da chi non ha letto i libri della saga. Come avrete notato, i tempi sono leggermente modificati: in questo contesto i Cullen si sono appena trasferiti a Forks, ma Bella ha già preso il diploma.

Ringrazio le persone che hanno cominciato a seguire la storia e chi ha recensito!
La storia avrà una decina di capitoli e conto di aggiornarla una volta a settimana.

Baci da Lizz.


p.s. per restare aggiornati e leggere i miei vaneggiamenti vari, questa è la mia pagina fb. Il resto lo trovate qui e sul mio blog.







 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - When the sun rise again ***




Recensioni-3



 

Capitolo 2

 

When the sun rise again





Recensioni

 
 
Non so cosa mi aspettassi dal clan di Denali, ma di certo non l'accoglienza affabile che mi riservarono.

Il nostro primo incontro era stato...strano, ma in senso positivo. Sapevo che mi stavano aspettando, quindi ero divisa tra eccitazione e apprensione. Che impressione avrei dato, piombando loro tra capo e collo senza essere stata invitata? Avrei ricevuto un benvenuto di circostanza, forzatamente educato o apertamente ostile?

A quello pensavo mentre seguivo Demetri e Santiago attraverso i laghi e i parchi nazionali del Canada. Non avevo idea di quanto tempo avessimo impiegato ad attraversare l'Atlantico, ma, come aveva preventivato Marcus, era stata un'esperienza affascinante. E me la sarei goduta di più, se non fossi stata sommersa da continue ed ansiose paranoie.

Poco prima di attraversare il confine con l'Alaska, dopo aver superato una cittadina di nome Beaver Creek, Demetri si era fermato e si era voltato a fissarmi. «Da qui in poi dovrai proseguire da sola. In linea d'aria sono poco più di cinquecento chilometri, penso che tu ce la possa fare», aveva detto, con quel tono di superiorità che mi urtava sempre i nervi. Il fatto che gli dovessi la vita era l'unica ragione che mi tratteneva dal rispondergli a tono. Un attimo prima di superarmi per raggiungere Santiago – che aveva proseguito lungo il percorso senza nemmeno accennare un saluto –, mi aveva lanciato un'occhiata penetrante. «Comportati bene, Bella. Vedi di non farmi pentire delle mie scelte», era stato l'avvertimento. Avevo annuito rigidamente e un istante dopo lui era sparito, veloce come il vento. Per un momento, un momento solo, avevo fantasticato di fuggire, di voltarmi e correre nella direzione opposta, dandomi ufficialmente alla macchia. Quello scenario mi aveva lusingata, ma si era trattato di una fantasia patetica, nonché potenzialmente suicida. Non sarei mai riuscita a seminare un segugio esperto come Demetri, se Aro gli avesse ordinato di ritrovarmi.

Quindi avevo proseguito come da programma, senza fermarmi finché non percepii il peculiare odore dei membri della mia specie. Solo allora avevo rallentato e l'ansia era tornata a sommergermi.

I vampiri di Denali mi erano venuti incontro, le posture rigide e gli occhi che mi scrutavano circospetti. Chissà cosa loro si erano aspettati da me. Forse che sarei giunta scortata da un intero plotone di guardie in tenuta da battaglia? O di vedermi bardata da una delle inconfondibili mantelle nere che indossavano sempre i miei compagni?

Invece, eccomi lì, sola e con un look decisamente inadeguato. Pensai a come dovevo apparire ai loro occhi, con ciò che rimaneva dei miei vestiti sportivi, incrostati di neve e muschio, e strappati in più punti. Per non parlare dei capelli: non mi serviva uno specchio per sapere che erano simili ad un cespuglio di rovi ricoperto di brina.

Era una situazione talmente assurda e lontana da ciò che mi ero immaginata, da farmi scoppiare a ridere. Dire che la mia reazione li aveva spiazzati era un eufemismo. Non so cosa si fossero aspettati, ma di sicuro non quello. Prima che potessero prenderla nel verso sbagliato, magari offendendosi, mi ero affrettata a spiegare. «Mi spiace, so di apparire ridicola. Avrei voluto fermarmi lungo la strada per darmi una sistemata, ma avevo fretta di arrivare. Spero che perdonerete il mio aspetto inadeguato».

Dopo le mie affermazioni, sulla radura era sceso il silenzio. I cinque erano parsi indecisi, ma anche incuriositi e un po' meno ostili. Era stato l'unico maschio a fare qualche passo avanti e parlare per primo. «Questa sì che è una sorpresa», aveva mormorato, scrutandomi da capo a piedi. I suoi occhi dorati si erano soffermati nei miei, lo stupore palpabile. «Aro ci aveva avvertiti del tuo arrivo, ma, conoscendo i Volturi, mi aspettavo qualcuno di molto diverso. Meno...». Aveva esitato e due delle femmine avevano completato la frase per lui.

«Educata?», aveva proposto la prima, quella dai lunghi capelli biondo rossiccio.

«Amichevole?», aveva fatto eco l'altra, la cui chioma virava verso il biondo miele.

Il maschio aveva dilatato le narici e inspirato a fondo. «Stavo per dire controllata, ma credo che abbiamo tutti centrato il punto». Aveva incrociato il mio sguardo smarrito e mi aveva rivolto un sorriso cordiale. «Benvenuta a Denali, Isabella. Credo proprio che ti troverai bene qui da noi».

E così era stato.

Una parte di me aveva temuto che i restanti membri della mia nuova specie si rivelassero tali e quali ai Volturi: nient'altro che spietati assassini, pronti ad uccidere al minimo affronto. Creature da cui girare alla larga e con cui interagire il meno possibile, se si voleva continuare ad esistere. Dopo aver avuto a che fare con Caius e Jane, di certo non avrei potuto credere potesse esistere un vampiro dolce e amorevole.

Qualcuno come Carmen, ad esempio. Lei ed Eleazar, il maschio che mi aveva accolta, erano due anime affini, molto sensibili e altruiste. Era difficile – inimmaginabile – credere che avessero trascorso entrambi un periodo assieme ai Volturi. Eleazar mi aveva raccontato di come l'incontro con Carmen gli avesse aperto gli occhi, gli avesse fatto capire come lo stile di vita dei vampiri di Volterra non si adeguasse appieno ai propri valori. Quindi aveva scelto di andarsene, di seguire Carmen in America, liberandosi dal giogo dei Volturi con il loro benestare. Dopo aver ascoltato la sua storia, una flebile speranza si era accesa in me: forse anch'io, in futuro, avrei trovato il modo di sciogliere le catene che Aro mi aveva avvolto attorno.

Le altre tre vampire del clan erano ognuna interessante a modo proprio. Le avevo analizzate mentre interagivano l'una con l'altra, riscontrando differenze abissali tra loro e le femmine che gravitavano attorno ad Aro, Caius e Marcus. Oltre ad essere tutte e tre bionde, splendide come un tramonto di primavera e sorprendentemente tolleranti nei miei confronti, erano anche una compagnia molto piacevole.
Tanya, la matriarca, era molto protettiva verso gli altri membri, simpatica e vivace. Le sue sorelle, Kate e Irina, erano più riservate, ma ugualmente affabili e curiose. In quella settimana mi avevano riempita di domande, attenzioni e complimenti, tanto che ormai mi sentivo una di famiglia.

Più imparavo dettagli su di loro, più li apprezzavo e... invidiavo. Erano un gruppo molto unito, ma quel legame non era dovuto a qualche genere di ricatto. Vivevano assieme perché lo volevano, non obbligati da minacce o imposizioni.

E, cosa ancora più importante, condividevano la mia opinione sulle abitudini di caccia. Nessuno di loro si nutriva di esseri umani, anzi le tre sorelle riuscivano perfino a stabilire relazioni con loro, stando a quanto mi aveva detto Tanya. E non si trattava di semplici amicizie, ma anche di...relazioni fisiche. Non riuscivo nemmeno ad immaginare quanto autocontrollo dovesse servire per stare così vicino ad un umano. Io di sicuro avrei finito per uccidere qualcuno nell'impresa, senza neppur volerlo.

Mi trovavo bene lì, con loro. L'Alaska era il luogo perfetto per un vampiro, con tutti quegli spazi disabitati e il clima inospitale che teneva alla larga i mortali.

In quel momento, poco prima del tramonto, Kate, Tanya ed io ce ne stavamo sedute nella raduna dietro alla loro baita, ad osservare i riflessi dorati e cremisi del sole sulla superficie ghiacciata. Era un sollievo poter parlare, perfino discutere, di nuovo con qualcuno senza temere ritorsioni o reazioni violente.

Distratta dal bagliore del sole morente e dalle mie riflessioni personali, avevo perso le ultime frasi che si erano scambiate. Mi scostai una ciocca di capelli dal viso e mi affrettai a risintonizzarmi sulla loro conversazione.

«...completamente distrutto», stava dicendo Kate. «Ti ricordi? Irina non mi ha rivolto la parola per settimane».

«Già», confermò Tanya, girandosi verso di me per strizzarmi l'occhio. «Era il suo soprammobile preferito. Il quinto che distruggevi in poco meno di un mese».

Kate inarcò le sopracciglia. «Non è colpa mia. Irina dovrebbe imparare a mettere ordine tra le proprie cose, non lasciarle dove io possa toccarle per sbaglio e romperle».

Tanya scoppiò a ridere. «E' proprio per quello che si chiamano “soprammobili”, cara», disse, divertita. «Perché stanno sopra i mobili, e non dentro».

L'altra vampira scrollò le spalle e io mi unii alla risata di Tanya.

«E tu, Bella? Hai distrutto molte cose nei primi tempi?», mi chiese Kate, con educata curiosità. «Sei sorprendentemente controllata per essere una neonata, lo abbiamo notato tutti, ma devi avere avuto comunque dei problemi ad adattarti alla tua nuova natura».

Annuii. «Oh, sì. Potrò anche avere un autocontrollo anomalo verso gli umani, ma per quanto riguarda la mia forza...». Mi rigirai tra le dita una ciocca di capelli. «Ecco, in quell'ambito ho ancora molto da imparare. Non sapete quante penne ho sbriciolato le prime volte che provavo a scrivere». Questa confessione le fece ridere. Sorrisi anch'io. «Una volta ho frantumato uno dei cimeli antichi della collezione di Caius». Nel ripensare alla conseguente sfuriata del vampiro, il mio sorriso si trasformò in una smorfia. «Se non fosse stato per l'intervento di Marcus, sono piuttosto certa che Caius mi avrebbe azzannata e poi ridotta in briciole come quel povero vaso».

Tanya e Kate si scambiarono un'occhiata che non riuscii a decifrare. Quando tornò a guardarmi, Tanya sembrava turbata. «Il modo in cui parli di...dei Volturi...è insolito», affermò, soppesando con cura le parole. Forse per tentare di non offendermi. «Specialmente quando nomini Marcus. Parli di lui come se...come se in qualche modo tu gli fossi affezionata».

Quell'affermazione dissolse ogni parvenza di divertimento. Mi strinsi nelle spalle, distogliendo lo sguardo. «So che è assurdo e difficile da credere, e so come sono e come appaiono al resto dei vampiri. Non sto dicendo che non siano spaventosi e terribili, perché, credetemi, lo sono. Ma per me sono...l'unica famiglia che mi è rimasta». Mollai la ciocca di capelli e affondai entrambe le mani in un cumulo di neve fresca. «Mi hanno salvato la vita, mi hanno dato un posto in cui vivere, mi hanno offerto protezione. Senza il loro aiuto...a quest'ora sarei morta e finita chissà dove. Nel mondo umano, mio padre ed io risultiamo tutt'ora scomparsi». Nel pronunciare quelle parole, venni percorsa da emozioni contrastanti e violente. Paura e rimorso nei confronti di mia madre, del tutto ignara di ciò che era realmente accaduto a me e a mio padre. Dolore e ira cieca per ciò che quegli umani avevano fatto a Charlie. Gratitudine e disprezzo per i Volturi. «Tra tutti loro l'unico vampiro di valore è Marcus. Mi ha sempre trattata come una figlia e gli devo tutto ciò che ho adesso. Degli altri non mi importa nulla, e so che se non avessi questo dono, non ci avrebbero pensato due volte ad eliminarmi». I miei occhi si fissarono sugli ultimi raggi di sole che scintillavano sulle cime innevate delle montagne. «E potrebbero ancora farlo. Sopprimermi come un animale, se decidessi di reclamare la mia indipendenza dal loro clan, o se la mia esistenza diventasse una minaccia per la loro sicurezza. Una parte di me continua a pensare che Aro mi abbia mandata qui solo a questo scopo. Forse spera che mi dimostri meno controllata del previsto, che commetta qualche carneficina o altro per giustificare la mia eliminazione in modo...etico». Serrai i denti dopo aver pronunciato l'ultima parola, intuendo che le mie deduzioni non erano lontane dalla realtà. Aro aveva visto del potenziale nel mio talento, ma forse si era stancato della mia continua opposizione alle sue lusinghe e aveva deciso che ero inservibile, non adatta ai suoi scopi.

Un sibilo si fece strada tra i denti serrati. Con la coda dell'occhio scorsi l'occhiata comprensiva che mi lanciò Tanya prima di annuire. Ci misi qualche istante a capire che quel cenno non era rivolto a me, ma a Kate.

Quest'ultima si strofinò le mani sui jeans per togliere alcuni frammenti di ghiaccio. «Non dirò che ti capisco, perché non credo di riuscirci. La tua è una situazione complicata e con i Volturi coinvolti è doppiamente pericolosa. Però Eleazar ha ragione: tu non sei come loro, Bella, e dubito che lo diventerai. Hai una coscienza troppo forte, talmente forte da permetterti di dominare gli istinti più violenti, la tua sete di neonata. Quindi, se davvero sei destinata a continuare a convivere con quelli, avrai bisogno di tutto l'aiuto possibile. Io non posso fare molto, ma posso almeno aiutarti con quel tuo scudo. Se dimostri loro che questo viaggio ti è servito per imparare qualcosa di concreto, a potenziare il tuo dono per esempio, forse i Volturi saranno più propensi a lasciarti partire di nuovo, a concederti qualche libertà in più». Scattò in piedi e allungò un braccio verso di me, porgendomi la mano. Guardai prima il suo palmo dischiuso, poi sollevai gli occhi nei suoi. Lei mi rivolse un sorrisetto. «Allora, ci stai?».



 
*

 
 
Nei giorni seguenti, fiancheggiate da Tanya e supportate dalla guida di Eleazar, cominciammo l'allenamento. Come me, anche Kate aveva una dote speciale: era in grado di sprigionare impulsi elettrici da ogni punto del proprio corpo. Con me quel trucchetto non funzionava, ovviamente, quindi aveva suggerito di usare Tanya come cavia, e la matriarca aveva accettato senza nemmeno un attimo di esitazione.

Non capivo proprio perché lo avesse fatto, dato che nei primi due giorni non avevo fatto altro che permettere a Kate di colpirla a tradimento con le sue scosse. Non avevo modo di provare la loro reale portata, ma, date le smorfie che si susseguivano sul viso di Tanya, non dovevano essere per niente piacevoli. «Mi dispiace, mi dispiace», non facevo che ripetere, dopo ogni tentativo fallito. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a separarmi dal mio scudo. Avrei dovuto sentirlo e allontanarlo da me per avvolgere Tanya, per impedire che Kate la fulminasse, ma non ci riuscivo. Né Eleazar né Tanya mi mettevano pressione, quanto a Kate...pareva addirittura entusiasta di poter mettere in difficoltà la sorella.

Dopo un nuovo buco nell'acqua, mi lasciai sfuggire un ringhio di frustrazione. «Non ce la faccio. Sento lo scudo, ma non trovo il modo di staccarlo da me». In preda all'esasperazione, battei un pugno a terra, con forza sufficiente a causare una frattura nel terreno sottostante. «Non so più cosa inventarmi».

Percepii la vicinanza di Eleazar e poi sentii il suo tocco gentile sulla spalla. Mi diede una pacca amichevole sul braccio, invitandomi a rialzarmi. «Credo che tu sia troppo affamata. Sei una neonata, hai bisogno di nutrirti più spesso rispetto a noi», affermò, scuotendo la testa. «Prenditi una pausa, vai a caccia. Allontanati un po' di più rispetto alle altre volte, così forse troverai qualche animale più sostanzioso. Domani ci riproveremo e vedrai che entro qualche giorno riuscirai a vedere dei miglioramenti».

Annuii, non troppo convinta. Non sapevo quanto tempo mi rimanesse da trascorrere con loro: non avevo idea di quale fosse la “missione” affidata a Demetri e Santiago, quindi non sapevo quando sarebbero tornati a riprendermi. Poteva essere una questione di giorni, come di ore. Ma Eleazar aveva ragione: dovevo andare a caccia. Non potevo continuare a tergiversare, ne avevo veramente bisogno. Anche in vista di un mio possibile ritorno anticipato in Italia.

Dopo una lieve esitazione, mi rialzai da terra e partii rapida in direzione della foresta. Sfrecciai silenziosa tra i fitti abeti, sentendo i sensi farsi più acuti ad ogni chilometro percorso. Ad un certo punto dovevo aver superato il confine ed essere entrata in Canada.

Fiutai qualche traccia appetibile, ma nulla che stuzzicasse davvero il mio appetito. Ne avevo abbastanza di alci e caribù: stavolta avrei stanato un vero predatore. Già mi pregustavo il sapore che avrebbe avuto. Un orso sarebbe stato l'ideale, oppure...

Mi immobilizzai nel bel mezzo della corsa, le narici dilatate e i muscoli frementi. Mi voltai verso Sud e inspirai forte.

Non mi ero sbagliata. L'odore dolce e caldo proveniva da qualche parte in mezzo al bosco. Seguii la scia, il veleno che cominciava a scorrermi in bocca. Man mano che mi avvicinavo all'origine di quel profumo ammaliante, il suono divenne più forte. Un martellare ritmico, poi un altro poco più distante.

Due cuori che battevano...ed erano umani.

Oltrepassai un gruppo di giovani aceri ed eccoli lì, a qualche metro da me. Un uomo e una donna, entrambi sulla trentina. Dato il loro abbigliamento, molto probabilmente si trattava di escursionisti. Erano chini su una mappa stropicciata e, a giudicare dalle occhiate perplesse che rivolgevano ai dintorni, era chiaro che si erano persi.

Nella mia mente iniziai a vagliare le possibilità. Quanto sarebbe stato facile avvicinarmi, con la scusa di indicare loro la strada giusta. Mi avrebbero ringraziata, si sarebbero fidati e io...

Un lampo di pelle bianca, un ringhio nella notte. Un viso ricoperto di macchie scarlatte chino su di me, due file di denti affilati e occhi rossi come il sangue...

Quel brandello di ricordo fu sufficiente. Mi diede la forza necessaria a bloccare il respiro e mettere a tacere la voce che mi stava urlando di piombare sulla coppia ignara e affondare i denti nella loro pelle calda.

Strinsi la mascella con forza tale da sbriciolarla. Indietreggiando lentamente, mi nascosi dietro il tronco di un grosso abete. Anche se avevo scongiurato il peggio, non mi fidavo a muovermi più del necessario. Ero stata troppo incauta, avrei dovuto mettere in conto quell'eventualità e procedere con più cautela lungo il percorso.

Per la prima volta nella mia nuova vita, non mi fidavo affatto di me stessa. Mi limitai a chiudere gli occhi e a rimanere immobile come una statua, la schiena premuta contro l'albero.

La gola mi bruciava come se qualcuno vi avesse infilato un attizzatoio rovente. Inghiottii il mio stesso veleno, ma servì a poco. Niente, se non il sangue, avrebbe potuto placare quel fuoco. Sibilai un'imprecazione.

Mi servirono parecchi minuti per ritrovare un minimo di lucidità. Speravo che nel frattempo i due umani si sarebbero allontanati da lì, proseguendo lungo il sentiero che snodava tra gli alberi. Azzardai un'occhiata e ciò che vidi annullò in un attimo tutti i miei sforzi. Sentii le briglie del mio controllo sciogliersi e scattai in direzione della coppia.

Non avrebbero potuto scorgerlo finché non fosse stato troppo tardi.

L'orso era acquattato tra i cespugli di felci, in attesa di balzare sulla preda. Era un esemplare giovane, magro e molto affamato, a giudicare dalla bava che colava lungo la mascella.

Non mi vide arrivare, così come non mi notarono gli umani. In pochi secondi l'avevo inchiodato a terra, il collo spezzato e gli occhi vitrei. Percepii sotto le dita gli ultimi battiti del suo cuore, il calore che gli scorreva nelle vene e fantasticai sul sapore che avrebbe avuto. Non avevo mai assaggiato un orso, ma ero sicura che il suo sangue fosse molto più buono di quello di cervi e capre selvatiche con cui mi ero nutrita nei giorni precedenti.

Tuttavia, non osai rischiare. La situazione era troppo pericolosa e ancora non mi fidavo abbastanza di me stessa. Dovevo allontanarmi subito da lì, frapporre chilometri tra me e i due umani.

Lasciai l'orso accasciato tra i cespugli e mi arrampicai agile su uno degli abeti. Da lì in poi saltai di ramo in ramo, e ad ogni metro percorso guadagnavo sicurezza. Solo dopo aver superato il confine della foresta e aver raggiunto la costa, frenai la mia fuga disperata.

Ce l'avevo fatta.

Il destino mi aveva messa alla prova e io avevo superato indenne la tentazione. Mi sentivo terrorizzata e insieme compiaciuta, e avrei tanto voluto...

Mi accorsi della sua presenza con qualche secondo di ritardo. Non avevo ancora ripreso a respirare, ero avvolta dal fragore del vento e delle onde, ed ero troppo concentrata su me stessa per prestare attenzione all'ambiente circostante.

Mi voltai di scatto, dando le spalle alle acque agitate del Golfo.

Per un istante la sorpresa fu più forte del timore. Ero pronta a lottare per difendermi da una possibile minaccia, ma gli occhi che ricambiavano il mio sguardo mi risultavano in qualche modo famigliari. Ci misi una frazione di secondo per capire il perché: erano della stessa tonalità dorata di quelli di Tanya e degli altri del clan di Denali.

Sapevo di non dover mostrare debolezze quando fronteggiavo un altro membro della mia specie, eppure provai un istantaneo sollievo. Un vampiro che aveva rinunciato a cacciare gli umani non poteva rappresentare un pericolo per me, giusto? Ero una neonata, quindi molto più forte della maggior parte dei miei simili. Dubitavo che il nuovo venuto fosse intenzionato ad attaccarmi – avrebbe potuto farlo, ma aveva scelto altrimenti.

E ora mi stava fissando ad occhi sgranati. Sul bel viso aveva una strana espressione, intensa e incredula allo stesso tempo.

Mi presi qualche istante per valutarlo come lui stava facendo con me. Era alto e non troppo muscoloso. Niente a che vedere con i fisici statuari di Felix e Demetri, ma comunque armonioso e slanciato. I suoi capelli avevano lo stesso colore delle foglie in autunno: castano ramati, con qualche ciocca di un rosso più acceso. Erano scompigliati dalla corsa, come dovevano esserlo i miei. Ebbi l'assurdo impulso di passarmi le mani tra i ciuffi arruffati, di sistemarli in fretta e furia. Era un istinto molto umano: pensai che se avessi incontrato un ragazzo con il suo aspetto due anni prima, di sicuro avrei avuto il cuore a mille.

Perché lui era davvero splendido, il più bel vampiro che avessi visto fino a quel momento. E non dipendeva soltanto da un fattore estetico. C'era...qualcosa in lui. Non trovavo le parole per spiegarlo. Era una sensazione che mi pungolava i sensi e mi creava un vuoto alla bocca dello stomaco.

Circospetta e leggermente impaurita, mi ritrassi bruscamente quando lui mosse qualche passo verso di me. Non ci separavano che pochi metri, ormai. Il sollievo provato dopo aver vinto contro la tentazione lasciò spazio ad uno strano nervosismo.

Mi preparai ad un eventuale attacco, ma il vampiro rimase muto e fermo. Eppure non era affatto calmo: vedevo chiaramente la tensione nella sua postura rigida. Aprì la bocca per dire qualcosa, poi la richiuse, incerto. «Chi sei?», sibilò d'un tratto, le sopracciglia corrugate come se si stesse sforzando di abbattere un muro con il pensiero.

Il suono improvviso della sua voce mi fece quasi sobbalzare. La sua non era una domanda di cortesia: nascondeva una curiosità sincera e una nota di...frustrazione? Tuttavia, il fatto che continuasse ad avanzare, muovendosi lentamente per non allarmarmi, mi innervosì e fece scattare qualcosa in me.

Anziché rispondere o tentare a mia volta un approccio, feci la scelta più codarda possibile. Mossi qualche passo all'indietro e mi tuffai tra le onde agitate del mare in burrasca.



 
 
* * *





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Per qualche minuto, mentre me ne stavo inginocchiato sul bordo della scogliera a fissare la schiuma delle onde, la mia mente si rifiutò di elaborare ciò che era appena accaduto.

Mi occorse una grande forza di volontà per non agire d'istinto e tuffarmi in acqua, tentando un inseguimento che sapevo essere inutile. Inutile perché in quel frangente non avrei avuto il supporto del mio dono.

Lei era immune alla mia lettura dei pensieri.

Mi resi conto all'improvviso di quanto avessi fatto affidamento su quella dote anomala nel corso degli anni. Contavo troppo su quel senso extra, tanto da sfiorare un'arroganza estrema. E ora che avevo avuto un assaggio di cosa significasse esserne privi, mi sentivo scombussolato.

Mi ero accorto della presenza della vampira quand'era ormai troppo tardi per intervenire. Rividi quei due incauti escursionisti e quanto fossero andati vicini alla morte. Quegli occhi rosso ambrati che li scrutavano nell'ombra, occhi che in seguito mi avevano fissato con stupore e confusione, non con la rabbia e l'irritazione che mi ero aspettato.

Credevo che, dopo aver ucciso l'orso, lei fosse scappata perché aveva percepito la mia presenza. Invece no, non mi aveva nemmeno considerato. Era fuggita dalla preda appena uccisa, senza nemmeno la parvenza di rimpianto. Aveva l'aria spaventata, consapevole. Doveva essere corsa via da quegli umani perché...temeva di rappresentare un pericolo per loro, proprio come quell'orso. Li aveva difesi da lui e da se stessa, scegliendo di correre via, veloce come un lampo.

La mia era solo un'intuizione, ovviamente. Non potevo leggere i suoi pensieri: era come se la sua mente fosse protetta da qualche barriera. Non come quelle che impostava Alice, più una sorta di scudo naturale.

Ed era frustrante.  

Volevo assolutamente sapere cosa stava pensando, mentre si lanciava oltre gli umani per impedire all'orso di tendere loro un agguato. Quanto doveva essere stato...difficile per lei scacciare l'istinto e abbandonare la caccia dopo aver abbattuto una preda.

Avevo scorto il sollievo nei suoi lineamenti, subito sostituito da sospetto e timore quando mi aveva visto avanzare verso di lei. I suoi occhi...non erano color topazio come quelli della mia famiglia, né rosso cremisi come i miei del passato. Erano una via di mezzo tra i due. Avevano una sfumatura calda, ambrata, segno che non doveva essere un'esperta nel gestire la sete per il sangue umano. Eppure...aveva risparmiato quella giovane coppia.

Perché?

Perché li aveva seguiti, se non per ucciderli? E come mai si trovava così vicino al nostro territorio? Era una nomade o...?

Confuso e irritato con me stesso, mi rialzai e ripartii in direzione della foresta. Mi ero recato fin lì per cacciare qualcosa di meglio dei cervi che avevo fiutato nei dintorni di Forks. Speravo di imbattermi in qualche orso, o magari un grosso felino.

Non certo in qualche vampira sconosciuta dalla mente curiosamente muta.

Mentre correvo verso casa ripensai allo sguardo che mi aveva lanciato un istante prima di tuffarsi in mare. Non avevo avuto intenzione di spaventarla, né di nuocerle, ma di sicuro il mio approccio non era stato dei più educati.

Digrignai i denti, sentendo crescere la frustrazione. Era la prima volta che incontravo qualcuno – umano e non – immune ai miei poteri extrasensoriali. Una scoperta che era allo stesso tempo spaventosa e affascinante. Finalmente qualcosa che scuotesse la monotonia di giornate, decenni sempre uguali.

In un lampo di lucidità seppi cosa dovevo fare. Decisi di seguire ciò che mi suggeriva l'istinto.

Frenai la mia corsa il tanto che bastava per riuscire a mandare un messaggio ai miei, per avvertirli che li avrei raggiunti a Denali il giorno seguente. Poi invertii la rotta e ritornai sui miei passi, diretto verso la costa.













* * * * * * *

Ciao! Ecco a voi il secondo capitolo della storia! Che ve ne pare?

Ringrazio le persone che hanno cominciato a seguirla e chi ha recensito!
Appuntamento alla prossima settimana per il nuovo capitolo.

Un bacio da Lizz.


p.s. I titoli dei capitoli sono ripresi dai versi di Spirit In The Sky dei Keiino. Per restare aggiornati e leggere i miei vaneggiamenti vari, questa è la mia pagina fb. Il resto lo trovate qui e sul mio blog.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Come find me ***




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Capitolo 3
 


Come find me





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L'eccitazione di Tanya era tangibile. Da quando era arrivata la telefonata, nelle prime ore dopo l'alba, non faceva che saltellare da una stanza all'altra della baita. Da parte mia, ero un fascio di nervi. D'altronde stavo per incontrare una creatura che, nella mia testa, aveva assunto una connotazione quasi mitologica.

Di lì a poco avrei finalmente conosciuto Carlisle Cullen, del quale avevo sentito parlare con rispetto persino all'interno del clan dei Volturi. Ancora non comprendevo come fosse possibile, per un vampiro, riuscire a raggiungere un livello di autocontrollo tale da permettergli di lavorare a stretto contatto con gli umani. E il suo non era un mestiere qualunque: Carlisle era uno stimato medico chirurgo. Mi ero informata e avevo letto qualche articolo su di lui: era famoso anche nel mondo umano.

Mi sentivo come se stessi attendendo l'arrivo di una celebrità hollywoodiana.

Incurante della mia crescente agitazione, Tanya iniziò a canticchiare, attirandosi lo sguardo esasperato di Kate. Quest'ultima era seduta al mio fianco, immersa nella lettura di un grosso tomo polveroso. Un saggio sulla storia dell'arte greca, o qualcosa del genere.

Distolsi lo sguardo dal panorama esterno – aveva appena iniziato a nevicare e il volteggio dei fiocchi di neve era ipnotico e piacevole da guardare –, e lo spostai da Kate a Tanya. Non capivo il motivo di tutto quell'entusiasmo da parte della matriarca. Da quel che mi avevano raccontato, i Cullen avevano lasciato Denali soltanto pochi mesi prima. L'impazienza che sprigionava Tanya, al contrario, suggeriva un distacco molto più lungo, come se non li vedesse da decenni. Sapevo quanto era forte il legame tra i due clan, ma non credevo dipendesse soltanto da quello. Intuivo che c'era sotto qualcos'altro.

Ora Tanya si era posizionata davanti all'unico specchio della stanza e si stava spazzolando i folti capelli biondi. Kate chiuse di scatto il libro e scambiò un'occhiata complice con Irina, seduta su una poltrona poco più in là. «Non vedi proprio l'ora di farti umiliare di nuovo. Quante volte ti ha respinto finora?».

Tanya fece finta di nulla e continuò a sistemarsi i capelli.

A quel punto la curiosità ebbe la meglio sul nervosismo. Mi voltai, sistemandomi a gambe incrociate sul divano. «Di chi state parlando?».

«Di Edward, di chi sennò?», mi rispose Irina, imitando il tono condiscendente di Kate. «Devi sapere che Tanya è una vera masochista. Cerca di sedurlo da anni, ma lui ancora non ha ceduto al suo fascino. Che smacco, eh?».

Tanya ignorò di nuovo la frecciata. «Vedrai, Bella. I Cullen ti piaceranno e sono sicura che piacerai moltissimo anche a loro. Quanto a Edward...», schioccò la lingua e rivolse uno sguardo compiaciuto al proprio riflesso. «Ci vorrà del tempo, ma alla fine cederà. Lo fanno tutti».

A quell'affermazione Kate e Irina scoppiarono a ridere. Tanya non sembrò infastidita, anzi la vidi sorridere, quasi quello scambio di battute fosse una sorta di gioco. Un copione che si ripeteva periodicamente, una bonaria presa in giro. Sorrisi e tornai a focalizzarmi sui fiocchi che volteggiavano accanto alla finestra.

Edward.

Ricordai di averlo sentito nominare durante una delle lunghe chiacchierate con Eleazar e Kate. Mi pareva si trattasse del primo umano trasformato da Carlisle, il suo primo figlio adottivo. Ora che ci pensavo, il clan dei Cullen era composto da sette vampiri, quasi tutti accoppiati. Provai un'immediata simpatia per questo Edward: chissà come doveva sentirsi solo in mezzo a tutte quelle coppie felici.

Mi chiedevo come mai non avesse ancora ceduto alle lusinghe di Tanya, però. Il suo interesse per lui era evidente, era oggettivamente la più bella tra le sorelle di Denali, era estroversa, molto divertente e, anche se ero poco più di una sconosciuta mandata lì a forza, aveva fatto di tutto per farmi sentire a mio agio tra di loro.

Questo Edward doveva essere proprio un tipo strano. Se fossi stata un uomo – anzi, un vampiro maschio – sarei caduta ai piedi di Tanya senza sforzo.

Scossi la testa e mi incantai a fissare la radura innevata che si estendeva poco oltre la baita. Il vento scuoteva le cime degli abeti che delimitavano lo spiazzo, facendole inclinare verso il terreno.

Fui la prima ad accorgersi del loro arrivo. Non so se dipendesse dall'agitazione, dall'ansia che rendeva più acuti i miei sensi, o semplicemente dall'istinto di autoconservazione che mi metteva in guardia dalle possibili minacce.

Mi alzai di scatto dal divano, attirando l'attenzione delle sorelle. Una frazione di secondo dopo Tanya lasciò cadere la spazzola e si precipitò fuori dalla porta. Kate roteò gli occhi e Irina le diede una gomitata scherzosa, prima di precederla all'esterno.

Kate si voltò verso di me, accennando un sorriso. «Andiamo. Non vedo l'ora di assistere all'ennesima umiliazione di Tanya», affermò allegramente, picchiettandomi la schiena finché non mi mossi.

Mi accorsi di essere rimasta ferma e vigile come in attesa di un assalto, i pugni chiusi lungo i fianchi. Dandomi della stupida, mi riscossi dall'immobilità e la seguii sul portico. Eleazar e Carmen erano appollaiati su delle rocce ai lati del vialetto d'ingresso. Tanya li superò di corsa, andando incontro alle figure che stavano sbucando dalla foresta una dopo l'altra. «Carlisle! Sembrano trascorsi secoli, anziché qualche mese».

Un vampiro alto e biondo rispose con calore al saluto di Tanya. «E' sempre un piacere rivederti. Ti trovo bene».

Mi misi accanto a Kate e rimasi ad osservare assorta lo scambio tra i due. Eccolo lì, davanti a me. Giovane e attraente quanto un divo del cinema.

Conoscevo già il suo aspetto: l'avevo potuto ammirare in uno dei quadri della collezione di Aro. Tuttavia il dipinto non gli rendeva del tutto giustizia. Carlisle Cullen non aveva soltanto un aspetto magnifico e un portamento elegante: mentre scambiava qualche convenevole con Tanya, riuscii a percepire altre sfaccettature della sua persona. Aveva una voce pacata, modi garbati e pazienti che trasmettevano istintiva fiducia. C'era qualcosa di profondamente diverso in lui, che lo distingueva da tutti i vampiri con cui avevo avuto a che fare fino ad allora. Emanava pace e compostezza, una gentilezza innata.

In quel momento mi fu chiaro che Aro non provava per lui soltanto rispetto e una riluttante ammirazione: probabilmente era anche geloso di quel quieto, ma risoluto, carisma.

Ero talmente concentrata su Carlisle che mi accorsi a malapena dell'arrivo degli altri Cullen. Tre femmine e due maschi completavano il gruppo: una vampira alta e bionda, due più minute dai capelli scuri, mentre i maschi erano entrambi ben piazzati e dai colori opposti. Uno aveva i capelli neri e ricci, l'altro una criniera biondo miele, lunga e scompigliata.

Corrugai le sopracciglia. I conti non tornavano. Tanya non aveva detto che erano in sette?

Lei sembrava altrettanto perplessa, al che Carlisle le rivolse un sorriso paziente. «Edward ci raggiungerà fra poco», spiegò, voltandosi poi verso di me. Notai subito il guizzo di sorpresa che attraversò il suo sguardo dorato. Ma sparì in fretta, sostituito da calore e apprezzamento.

Mi si avvicinò con cautela, quasi temesse di spaventarmi. Era ironico, perché, nonostante l'indubbia esperienza che aveva accumulato nei secoli, ero comunque molto più forte di lui sul piano fisico. «Non so cosa mi aspettassi da questo incontro, ma di certo non te», affermò, spiazzandomi. Nel notare la mia confusione, il suo sorriso si accentuò. «Aro ti ha descritta come la neonata più controllata che abbia visto da secoli. Conoscendolo, non ci avevo creduto fino in fondo. Eppure, stando a quanto dice Tanya, non mentiva». Mi porse la mano, che strinsi in automatico. «È un vero piacere conoscerti, Isabella».

«Bella», precisai, schiarendomi la voce. «Ammetto che anch'io ero scettica quando sentivo Aro tessere le tue lodi. Ha una certa...tendenza all'esagerazione». Dalle spalle di Carlisle provenì qualche risatina. Sentii le mie labbra piegarsi in un sorriso più convinto. «Ma nel tuo caso diceva la verità. E sono molto onorata di averti potuto incontrare».

Carlisle sembrò colpito dalla mia ammissione sincera, poi si accigliò. «Non posso nemmeno immaginare quanto dev'essere dura per te», mormorò, quasi tra sé. Scosse la testa davanti alla mia espressione confusa. «Li conosco e so quanto i Volturi possano essere convincenti e pressanti, persino per un vampiro della mia età. Ma che un neonato riesca a ribellarsi alla loro guida è semplicemente...straordinario».

Non seppi cosa rispondere. Mi limitai ad un'alzata di spalle.

«Bella è molto modesta», sentii dire a Kate, e con la coda dell'occhio vidi Tanya e Eleazar annuire.

«E anche molto dolce», aggiunse Carmen, posandomi una mano sul braccio. «Stare tra quei mostri non ha intaccato la sua coscienza. Né il suo animo gentile. Pensa, Carlisle: non ha mai nemmeno bevuto una goccia di sangue umano. E noi sappiamo come sono i Volturi e cosa fanno in quel palazzo...».

La mascella di Carlisle si irrigidì, mentre annuiva con costernazione.

Mi mossi a disagio e sospirai. Decisi che era giunto il momento di rompere il proverbiale ghiaccio e allontanare l'atmosfera cupa che era scesa sulla radura. «Mi sembra di essere tornata bambina. Vi prego, basta con tutti questi complimenti o mi farete arrossire».

La mia battuta funzionò: scoppiarono tutti a ridere.

In un battito di ciglia mi ritrovai circondata. Davanti a me c'erano le tre vampire Cullen che mi squadravano con un misto di curiosità e tenerezza. Il mio sguardo venne calamitato dalla bionda alta e formosa. E rimasi letteralmente a bocca aperta. «Accidenti», mi ritrovai ad esclamare, mentre la osservavo ad occhi sgranati. Era la...creatura più bella che avessi mai visto. Nemmeno i soggetti immortalati nelle opere d'arte custodite gelosamente da Aro potevano rivaleggiare con lei. Era semplicemente splendida, una bellezza altera che incuteva soggezione. Anche tra i vampiri, tutti attraenti per natura, lei risaltava come una gemma illuminata dal sole.

A confronto mi sentii impacciata e fuori luogo, come mi accadeva spesso quando ero ancora umana.

Nel mezzo di quel momentaneo rimbambimento dovevo essermi lasciata sfuggire qualcuno di quei pensieri, perché la bionda ora sorrideva con più convinzione e annuiva compiaciuta. «Piace anche a me», comunicò ai famigliari che le stavano attorno, come se ritenesse fondamentale il proprio giudizio.

La vampira che le stava a fianco, che intuii essere la compagna di Carlisle, le lanciò un'occhiata esasperata. «Non fare caso a Rosalie, cara», si sentì in dovere di giustificarla. Mi rivolse un sorriso materno e, invece di porgermi la mano come aveva fatto Carlisle, mi circondò con le braccia e mi diede una stretta decisa. «Sono molto contenta di conoscerti. Io sono Esme».

«Piacere mio», mormorai in risposta, un po' frastornata da quei modi così amichevoli.

Non ricordavo l'ultima volta in cui qualcuno mi avesse abbracciata. Nemmeno Marcus, per quanto tenesse a me, brillava quanto a dimostrazioni pratiche di affetto. Quando lo abbracciavo si limitava a restare immobile finché non mollavo la presa.

Esme si tirò indietro, permettendo anche agli altri di presentarsi. Il vampiro più alto, quello grosso come una montagna, si chinò verso di me e mi guardò inarcando un sopracciglio. Mi soppesò con curiosità per qualche istante, poi scoppiò a ridere. «Sono d'accordo con Rose. La piccola piace anche a me».

«Piccola?», ripetei io a bassa voce, mentre Esme gli rifilava uno scappellotto.

«Ma insomma, Emmett! Povera cara, penserai che i miei figli siano dei gran villani e non posso darti torto. Eppure ti assicuro che ho tentato di educarli», precisò, sospirando. «Con poco successo, a quanto pare».

Quell'affermazione mi strappò una risata. «Mi sembra di sentir parlare mia madre...». Dopo aver pronunciato l'ultima parola, però, mi sentii gelare. Il ricordo improvviso di Renée fece sparire qualsiasi traccia di ilarità dalla mia espressione ed Esme parve preoccupata.

Fece per dire qualcosa, ma venne preceduta dall'ultima femmina. Era minuta quanto Esme, leggermente più bassa di me. I suoi lineamenti delicati e i corti capelli arruffati mi ricordarono l'illustrazione di uno dei miei vecchi libri di fiabe, quella raffigurante una ninfa dei boschi. I suoi occhi svegli e vivaci mi guardarono con affetto, quasi fossi una vecchia amica che non vedeva da tempo. Stavo per porgerle la mano, ma lei mi precedette. Mi gettò le braccia al collo, lasciandomi di stucco. Mi irrigidii di riflesso e percepii anche la tensione degli altri vampiri, in modo particolare dell'ultimo maschio, quello che sembrava un leone pronto ad attaccare.

Ma la vampira minuta si mise a ridacchiare. «Tranquillo, Jasper. Bella ed io diventeremo presto grandi amiche», dichiarò, suonando sicura di sé.

Il maschio biondo – Jasper – alzò gli occhi al cielo. «D'accordo, ma almeno presentati come si deve. Non vorrai scioccarla ancora prima che sappia il tuo nome, giusto?».

Lei rise di nuovo e si scostò da me. «Hai ragione. Io sono Alice e, per quanto mi riguarda, noi due siamo già migliori amiche. Sappi che non accetterò un no come risposta».

Non so perché, ma, per quanto suonasse assurdo, le credetti. Alle spalle di Alice, vidi Carlisle ed Esme scambiarsi uno sguardo afflitto. Lei guardò quelli che chiamava figli uno alla volta, e alla fine si passò una mano sulla fronte. «Ragazzi, la state mettendo in imbarazzo e confondendo ancora di più. Avanti, presentatevi come si deve. Bella, davvero, scusali. Non sono abituati a conoscere nuove persone e...».

Stavo per dirle che non importava, che detestavo le presentazioni formali, che i loro modi disinvolti e schietti mi avevano messa più a mio agio, ma venni interrotta dallo strillo entusiasta di Tanya.

«Finalmente!» esclamò, per poi svanire in un lampo. Si diresse verso il limitare della radura, dov'era appena spuntato qualcun altro. Doveva trattarsi del vampiro che mancava all'appello. L'ultimo membro del clan dei Cullen, che Tanya aspettava con trepidazione.

Non appena lo misi a fuoco, un sibilo mi scivolò tra i denti. Se avessi ancora posseduto un cuore pulsante, in quell'attimo avrebbe palpitato impazzito. I miei occhi vennero calamitati da uno sguardo dorato, nel quale lessi lo stesso stupore che dovevo avere dipinto in viso.

Tanya si lanciò verso il nuovo arrivato, che la afferrò con prontezza e si lasciò abbracciare. Mentre scambiava qualche parola con lei, tuttavia, il suo sguardo rimase incatenato al mio.

Era il vampiro della sera prima, quello che mi aveva inseguita fino alla costa. E il suo nome era...

«Ecco di chi parlavamo stamattina», annunciò Tanya, senza staccarsi da lui. Anzi, lo prese per mano e mi lanciò un'occhiata raggiante. «Cara Isabella, ti presento Edward Cullen».



 
*



Se la sera prima mi ero sentita scombussolata e imbarazzata in sua presenza, adesso ero soltanto...infastidita. Edward Cullen mi stava fissando molto più a lungo del necessario. Molto più a lungo di quanto fosse socialmente accettabile, anche per un vampiro.

Se fossi stata umana, quello sguardo insistente e concentrato su di me mi avrebbe di certo fatta arrossire. Da vampira potevo celare meglio le mie emozioni, ma non riuscivo ad evitare di chiedermi perché quel maschio mi apparisse diverso dagli altri che avevo incontrato fino a quel momento.

Edward ci raggiunse, fermandosi a poca distanza da me proprio come aveva fatto la sera prima. Tanya gli stava ancora aggrappata addosso, ma lui non pareva farci troppo caso. I suoi occhi dorati si socchiusero. «Piacere di...rivederti, Isabella», mormorò. Mi parve di cogliere una traccia di ironia, come se avesse fatto riferimento ad una battuta che non potevo capire.

«Bella», lo corressi in automatico. Mi morsi un labbro e il suo sguardo si spostò dai miei occhi alla mia bocca. Avvertii di nuovo quello strano vuoto allo stomaco.

Con la coda dell'occhio vidi Esme scuotere la testa. «Edward, tesoro, almeno tu non...», cominciò, ma il vampiro la interruppe con un gesto della mano.

«Tranquilla, mamma», la rassicurò, sempre senza staccare gli occhi da me. Era come se stesse tentando di...leggermi nella mente, o qualcosa di simile. «Noi due ci conosciamo già. Dico bene, Isabella?».

Strinsi i denti per non sbuffare. «Bella», ripetei, calcando bene il diminutivo. Incrociai le braccia al petto e lo squadrai da capo a piedi con sufficienza. Il suo tono provocatorio mi dava sui nervi e non seppi trattenermi. «E no, non ci conosciamo affatto. Sei solo uno che si diverte ad inseguire e poi apparire alle spalle della gente, spaventandola a morte. Una maniera molto maleducata di approcciarsi agli sconosciuti, lasciamelo dire. Specialmente se quella sconosciuta è una vampira neonata assetata. Hai rischiato parecchio – stai rischiando parecchio – e non te ne rendi nemmeno conto».

Ebbi la soddisfazione di veder scomparire il suo sorriso ironico. Edward inclinò la testa, le sopracciglia inarcate per la sorpresa.

Il breve silenzio imbarazzato che seguì la mia ammissione venne interrotto da una poderosa risata. Di uno dei fratelli Cullen, senza dubbio. Poi un'altra, e in breve l'intero clan stava ridacchiando. Perfino Esme non riuscì a trattenere un sorriso divertito.

Tanya, al contrario, sfoggiava un'espressione divisa tra ilarità e confusione, così come gli altri vampiri di Denali. Quanto ad Edward...pareva sbalordito dalla mia audacia, ma in modo positivo. Come se in vita propria nessuno, tanto meno una completa sconosciuta, avesse mai osato rivolgergli una strigliata di quel tipo.

«Posso ripetermi?», si inserì d'un tratto la vampira bionda di nome Rosalie. «La piccola mi piace. Mi piace parecchio».

Voltai la testa, sorpresa di ricevere il suo appoggio, e lei mi fece l'occhiolino. Avevo appena rimproverato suo fratello, forse un po' troppo acidamente, e lei ne era...felice? Se avessi fatto la stessa cosa nei confronti di Alec, ero certa che Jane mi avrebbe come minimo staccato un braccio.

Incredibilmente, la risata successiva provenì proprio da Edward. La sua espressione si era ammorbidita e ora lo sguardo color topazio era acceso da una strana luce. «Rischiato, dici? Probabilmente hai ragione. Ma ieri sera, nonostante ti avessi colta di sorpresa, il pensiero di attaccarmi non ti ha nemmeno sfiorata. Non posso entrare nella tua testa, ma so ancora interpretare il linguaggio del corpo, e so per certo che non faresti del male a nessuno». Quando mi rivolse quel suo particolare sorriso sghembo, giurai di avvertire uno sfarfallio all'altezza del petto. «Nemmeno a un…maleducato che ti insegue nella foresta e ti appare alle spalle senza prima annunciarsi».

Quelle ammissioni ammutolirono di nuovo i presenti. Soltanto i vampiri di Denali parvero intuire cos'era accaduto tra noi e si esibirono in ampi sorrisi compiaciuti.

Eleazar si fece avanti, battendo una mano sulla spalla di Edward. «Vedo che nemmeno tu hai avuto fortuna, figliolo. E' da una settimana che Kate prova a stecchire Bella con le sue scosse e ancora non c'è riuscita». Eleazar rise e poi si girò verso di me. «Anche Edward ha una dote, come te e Kate. Riesce a leggere i pensieri di chi gli sta intorno. Tranne i tuoi, a quanto pare».

Oh, accidenti.

Restai sbalordita. Allora non era soltanto una mia impressione: Edward stava davvero tentando di entrarmi nella testa! Forse era per quello che mi appariva diverso dagli altri: era dotato di un talento molto potente.

Sentii gli occhi di tutti focalizzarsi su di me e mi venne la tentazione di scavare un buco nel ghiaccio per poi sotterrarmici. Lo sguardo di Carlisle si accese di entusiasmo. «Dovevo immaginare che anche tu avessi qualche dote nascosta, Bella. Aro non ti avrebbe tenuta con sé, altrimenti».

Annuii in direzione del dottore. «Probabilmente è stato proprio il mio talento a salvarmi la vita. Quando...», presi un inutile respiro prima di continuare, «...quando mi hanno sparato, non mi rimaneva molto da vivere. E' stato un colpo di fortuna che Demetri passasse di lì proprio in quel momento». Lampi di immagini mi scorsero davanti agli occhi: una falce di luna nel cielo, sangue che colava da denti affilati, mantelli neri che svolazzavano nella notte e poi...un dolore lancinante al collo e ai polsi. Scossi la testa e ritornai al presente. «Aveva...fiutato qualcosa di anomalo nel profumo del mio sangue. E la mia resistenza al dono di Aro confermò le sue supposizioni. Avevo un talento che avrebbe potuto tornar loro utile, quindi i Volturi decisero di concedermi l'immortalità». Mi strinsi nelle spalle. «Ed eccomi qui. Immune a qualsiasi attacco mentale, a quanto sembra», conclusi, scoccando un'occhiata in tralice a Edward.

«Sei fortunata, piccola. Non sai quanto sia fastidioso non potergli nascondere nulla, o coglierlo di sorpresa. Avrei tanto voluto assistere alla scena», ridacchiò il maschio dai capelli neri, Emmett. Passò un braccio sulle spalle di Rosalie e le diede un bacio sulla tempia. «Com'è che l'ha definito, Rose?».

«Un maleducato che si diverte ad apparire alle spalle della gente», citò lei prontamente, ed Emmett sghignazzò di gusto.

Edward alzò gli occhi al cielo. Ora che si era rilassato, anche una parte della mia ansia si era placata. Non so cosa mi fossi aspettata nel rivederlo spuntare dal nulla. Forse che mi rivolgesse qualche rimprovero, o che mi esponesse al giudizio degli altri vampiri. La sera prima ero andata molto vicino a commettere due omicidi e non ne avevo fatto parola con nessuno: era pur sempre un'omissione sospetta. Invece niente, nemmeno un accenno da parte sua, e gliene ero profondamente grata. Lo trovavo comunque fastidioso e un tantino presuntuoso, e di certo non ero pentita di avergli rivolto quella ramanzina, ma avevo capito che non era affatto maleducato. Anzi, probabilmente se l'avessi conosciuto meglio, avrei finito per trovarlo...affascinante.

Non appena formulai quel pensiero, la mia mente si ribellò. Ringraziai il cielo che Edward non potesse sentirmi, o sarei morta d'imbarazzo.

Trovarlo affascinante? No, non avrei potuto permettermelo. Non sarebbe stato corretto nei confronti di Tanya, che nutriva dei sentimenti per lui, e nemmeno nei miei. Non avrei potuto concedermi quella debolezza; non dovevo affezionarmi a lui, a nessuno di loro. Il tempo che mi era concesso trascorrere lì era limitato. Dovevo soffocare sul nascere certe idee malsane, come provare un'attrazione non richiesta per quel vampiro dai capelli d'autunno e dagli occhi color miele. Quei sentimenti erano pericolosi, andavano stroncati  prima che attecchissero, o avrebbero causato dei problemi.

Puntai gli occhi sul braccio che Tanya teneva ancora ancorato a quello di Edward.
Sì, potevano diventare un serio problema.




 
* * *




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Lei era qui.

Quella frase gravitava nella mia mente da quando ero arrivato nella radura ricoperta di neve fresca. Non so cosa mi avesse spinto ad alzare gli occhi e puntarli subito nella sua direzione, senza degnare di un'occhiata i miei famigliari o i membri del clan di Tanya.

Il mio sguardo aveva seguito una traiettoria non prevista ed era atterrato nel suo, ugualmente meravigliato. Nella frazione di secondo che il mio cervello aveva impiegato a fare due più due, tante emozioni si erano susseguite dentro di me. Sorpresa, per averla ritrovata nell'ultimo posto in cui mi ero aspettato potesse essere. Frustrazione, ovviamente, per non essere capace di leggerle nel pensiero. Poi una vampata di rabbia irrazionale, indirizzata principalmente verso me stesso. Avevo trascorso l'intera notte e parte della mattinata a pattugliare intere foreste e la costa, tentando di fiutare le sue tracce. Ed era stato tutto inutile, perché lei era qui.

Così vicina.

In tutto quel tempo, la vampira che stavo inseguendo non era che la neonata mandata dai Volturi a Denali. L'ospite inattesa di Tanya, che mi ero raffigurato con gli occhi rossi come rubini e il sorriso feroce di una fiera. Avevo dato per scontato troppe cose: che la neonata avesse le stesse abitudini dei suoi mentori, che fosse spietata e insensibile quanto Aro e i suoi. Non mi era neanche passato per la mente che potesse essere qualcosa...qualcuno di diverso.

Mi ero sbagliato. Bella era...di una purezza sconcertante, considerato l'ambiente da cui proveniva. Aveva risparmiato la coppia di umani, li aveva poi salvati dall'attacco dell'orso, e ora se ne stava lì sorridente, ad interagire con un gruppo di vampiri che a malapena conosceva. Non dava segni di fastidio, né di sentirsi minacciata dalla vicinanza di tutti quegli sconosciuti. Un altro neonato sarebbe stato vigile, all'erta, pronto a difendersi. Bella, al contrario, ascoltava con pazienza le chiacchiere di Alice, sopportava le bonarie battute di Rosalie. Era fiduciosa e generosa, non serviva leggerle nella mente per capirlo.

E mi aveva appena rimesso al mio posto.

Nascosi un sorriso. Nella mia vita da vampiro, non ricordavo di aver ricevuto prediche da nessun altro, a parte Carlisle. E lui di solito si limitava a parlarmi in modo educato e a farmi ragionare con calma sui miei eventuali errori. Lo stesso valeva per Esme: erano entrambi concilianti, raramente alzavano la voce. I rapporti con i miei fratelli erano sempre stati distesi, non avevo mai dato loro dei motivi per covare rancore nei miei confronti. Con l'evidente eccezione di Rosalie, che si divertiva un mondo ad inviarmi insulti con il pensiero. Anche in quel momento stava ripetendo a mente il discorsetto pungente di Bella, con una certa maligna soddisfazione. Godeva nel vedermi messo alle strette da una vampira sconosciuta, una neonata per di più.

Non che non me lo meritassi. L'avevo provocata intenzionalmente, chiamandola con il nome completo, ben sapendo – grazie ai pensieri degli altri – quanto poco lo gradisse. Aveva corretto Carlisle poco prima, e i vampiri di Denali usavano tutti il diminutivo quando pensavano o parlavano di lei.

Bella.

Un nome semplice per una personalità complessa come intuivo dovesse essere la sua. La sera prima avevo intravisto il suo lato altruista e protettivo. Prima, durante la breve predica ai miei danni, si era dimostrata combattiva e tenace. Ora, mentre fingevo di interessarmi ai discorsi di Tanya e intanto seguivo quelli tra la mia famiglia e Bella, di quest'ultima potevo notare la gentilezza e la pazienza con cui assecondava Emmett, accettando di buon grado la proposta di una sfida a braccio di ferro. Stando ai pensieri dei miei fratelli, tutti – tranne Emmett – scommettevano sulla vittoria di Bella.

Mentre osservavo divertito Emmett sforzarsi al massimo per tenerle testa, mi sentii chiamare da Eleazar col pensiero. Chinai appena il capo e mi misi in ascolto, escludendo le altre voci.

Eccezionale, eh? Il suo autocontrollo, intendo. Pensa che la prima cosa che ha fatto quando è arrivata qui, è stato scusarsi con noi per il proprio aspetto disordinato. Nella sua mente aleggiò il fantasma di una risata. Anche le mie labbra si incurvarono verso l'alto, nel vedere le immagini dell'arrivo di Bella a Denali. Il suono allegro della sua risata mi colpì in modo inatteso. Non avevo ancora avuto l'occasione di sperimentarla di persona e, in tutta sincerità, non vedevo l'ora. Mi sarei impegnato per riuscirci.

I pensieri di Eleazar si fecero di colpo più cupi. Non oso pensare a quanto sia difficile per lei. Vivere prigioniera di quei depravati, con una coscienza così sviluppata, dev'essere atroce. Eppure, lei è così...gentile e... Sembrava alla ricerca del giusto aggettivo da associare a Bella. Incorruttibile, concluse. Sì, direi che non c'è nulla che Aro possa fare per corromperla e renderla uguale agli altri suoi seguaci.

Era quello che pensavo anch'io. Ma mi chiedevo anche cosa avrebbe comportato per Bella. Nonostante il suo talento, a lungo andare Aro si sarebbe comunque stancato di lei e della sua innata bontà? Avrebbe trovato un appiglio per minacciarla e costringerla ad ubbidirgli? Avrebbe...usato la forza per tenerla incatenata a sé?

Mi si strinse la gola. Rividi nella mente alcuni degli episodi terribili a cui Carlisle aveva assistito nel periodo in cui era stato ospite dei Volturi. Torture indicibili, urla continue, rivoli di sangue umano e pallidi brandelli di vampiro sparsi insieme sul pavimento lavorato di un grande salone...

Immaginai Bella affrontare quell'orrore da sola e una parte di me avrebbe voluto mettersi a ringhiare. Nessuno meritava un futuro del genere, tanto meno qualcuno innocente e puro quanto lo era lei.

Scoccai un'occhiata a Eleazar e parlai sottovoce per non farmi udire dagli altri. «So che la state aiutando ad allenarsi con lo scudo». Lui annuì. Tornai a fissare lo scontro amichevole tra Emmett e Bella – che mio fratello avrebbe inevitabilmente perso, stando a ciò che vedeva Alice – e sorrisi. «Vi darò una mano, per quanto possibile. Contate pure su di me».












* * * * * * *

Ciao! Come state? Come vi sembra la storia finora? Scrivetemi, aspetto le vostre recensioni!

Ringrazio chi ha commentato, chi l'ha inserita tra le seguite/preferite/ricordate. Al prossimo aggiornamento!


Baci da Lizz.


p.s. I titoli dei capitoli sono ripresi dai versi di Spirit In The Sky dei Keiino. Per restare aggiornati e leggere i miei vaneggiamenti vari, questa è la mia pagina fb. Il resto lo trovate qui e sul mio blog.


 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - With me into the night ***





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Capitolo 4
 

With me into the night








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Era calata la notte e il cielo limpido sopra la mia testa era una vista mozzafiato. A Volterra nemmeno i miei occhi ipersviluppati riuscivano a scorgere tutte quelle stelle. Lì, distesa su una spessa lastra di ghiaccio, mi pareva quasi di galleggiare nello spazio. L'aria era fredda e pulita, ogni tanto trasportava fino a me qualche soffice fiocco di neve.

Tuttavia quell'atmosfera rilassata non durò a lungo.

«Per quanto ancora intendi ignorarmi, Isabella?».

Chiusi gli occhi, fingendo di aver soltanto immaginato quella voce anche troppo familiare. Riuscii a trattenere anche l'impulso di correggere il mio nome intero in favore del diminutivo. Lo facevo sin da bambina, ormai mi veniva automatico. E Edward usava apposta il nome completo, ben sapendo di infastidirmi. Sembrava che quello fosse diventato il suo passatempo preferito: provocarmi per ottenere una qualche reazione da parte mia.

Forse dipendeva dal fatto che, sin dal nostro primo incontro ufficiale, avevo tentato in ogni modo di ignorarlo. Fingere di non notare la sua presenza costante richiedeva uno sforzo non da poco, visto quanto mi sentissi – mio malgrado – attratta da lui. Mi fingevo interessata ad altro, ma lo osservavo con la coda dell'occhio ogni volta che si muoveva e non perdevo una parola di ciò che diceva ai vampiri di Denali. La sua voce e i suoi modi erano piacevoli, mi ricordavano molto quelli di Carlisle. Dopo tutti quei decenni trascorsi fianco a fianco, era logico che Edward avesse assorbito qualcuno dei comportamenti del padre adottivo. Tuttavia, non era né pacato, né docile e decisamente non rispettava gli spazi altrui. Su quell'aspetto non assomigliava per niente al dottore.

Edward si era offerto di restare a Denali il più possibile, per supportare Eleazar e Kate durante i miei allenamenti. All'inizio mi ero opposta, ma, dato che quanto a testardaggine eravamo alla pari, mi ero presto dovuta arrendere. Avevo ceduto principalmente per far contenta Tanya: lei desiderava che Edward restasse lì e, oltretutto, in quel modo non avrebbe dovuto beccarsi le scosse di Kate a causa della mia incompetenza.

Avevamo approntato un nuovo metodo di allenamento. Stavolta era Kate a fungere da cavia, io avrei solo dovuto avvolgerla con lo scudo, in modo da isolare la sua mente affinché Edward non riuscisse più a captarne i pensieri. Era un metodo ugualmente efficace a potenziare il mio dono, ma più semplice e meno invasivo del precedente; nessuno rischiava di farsi male e io ero più rilassata e ricettiva nei tentativi.

Non che avessi compiuto molti progressi rispetto all'inizio: ero a malapena riuscita a liberarmi dello scudo e indirizzarlo verso Kate, per poi sentirlo rimbalzare verso di me come una sorta di elastico impazzito. Non mi ero data per vinta, ma era frustrante non notare dei successi rilevanti nonostante il mio duro impegno.

Avere Edward sempre intorno, inoltre, non mi aiutava affatto a mantenere la concentrazione. Potevo fingere che la sua presenza mi irritasse, potevo ripetermi che fosse soltanto una questione di attrazione fisica e quindi di non darvi troppa importanza, ma sapevo di mentire a me stessa. Mi piaceva la sua voce, bassa e melodiosa, che gli avrebbe di sicuro fatto guadagnare milioni se avesse deciso di intraprendere la carriera musicale. Mi piacevano i suoi modi da gentiluomo di altri tempi: era divertente notare come riuscisse ad eludere i continui tentativi di approccio di Tanya senza mai offenderla. Si notava da un miglio di distanza che quell'interesse spiccato nei suoi confronti lo metteva a disagio e Kate non faceva che infierire, punzecchiandolo quando Tanya non era nei paraggi, ma non l'avevo mai sentito lamentarsi.

Purtroppo per me, Edward Cullen era affascinante proprio come avevo immaginato. Capivo benissimo perché Tanya facesse il possibile per attirare la sua attenzione e si entusiasmasse ogni volta che lui le sorrideva. Io non ero certo migliore di lei: aspettavo ogni giorno l'arrivo del vampiro con la stessa impazienza della matriarca di Denali. Avevo finalmente capito cosa intendesse dire la volpe in quel famoso passaggio de Il piccolo principe. Impazienza mescolata a felicità, un sentimento pericoloso quanto emozionante.
E sapevo di non averne alcun diritto. Lo conoscevo da quanto, meno di una settimana? Come potevo essermi affezionata così tanto a lui?  
Ero davvero patetica.

«Isabella?», mi richiamò di nuovo quella voce dolce come miele.

Sospirai. Che vampiro ostinato.

Ora rimpiangevo di aver declinato l’invito degli altri Cullen. Avevano organizzato una partita di baseball per quella sera. Quando mi avevano invitata, li avevo fissati come se fossero impazziti. Dei vampiri che giocano a baseball? Come avrebbero fatto a non farsi scoprire dagli umani? Allora Alice mi aveva spiegato che dovevano aspettare che arrivasse un temporale per cominciare: in quel modo i tuoni avrebbero coperto i rumori del gioco. Era un'idea geniale e avrei tanto voluto proporla ai miei fratelli adottivi solo per poter ridere delle loro espressioni stralunate e schifate.

Avevo gentilmente rifiutato l'invito, dando per scontato che Edward avrebbe preso parte alla partita, invece, alla fine, il piano mi si era ritorto contro.

Un vero peccato, perché mi avrebbe fatto piacere rivedere Esme e Carlisle. Avevo incontrato Emmett e Rosalie due sere prima, quando erano passati per un saluto prima di andare a caccia, mentre Alice e Jasper mi facevano visita tutti i giorni. Lei adorava discutere con me di moda italiana (in quel campo avevo due anni di esperienza alle spalle, dato che uno dei miei passatempi consisteva nel memorizzare l'abbigliamento degli umani), Jasper, invece, mi impartiva delle lezioni sulle basi del combattimento tra vampiri. Mi aveva raccontato parte della sua storia personale e ora sapevo che era un esperto di strategie militari e anche di...neonati vampiri. Tutte quelle cicatrici che gli solcavano la pelle...quanto doveva aver sofferto? Non ero mai stata morsa da un mio simile, ma avevo assistito a degli scontri accesi a palazzo e sapevo che dovevo tenermi ben distante dai denti degli altri vampiri. E poi io non...

La voce insistente tornò alla carica, interrompendo le mie riflessioni. «Mi hai dato del maleducato, ma non pensi che far finta che io non esista lo sia altrettanto?».

Visto che ancora non mi degnavo di ribattere, Edward sospirò. Per un attimo pensai che avrebbe desistito e se ne sarebbe andato, ma poi avvertii uno spostamento d'aria e spalancai gli occhi. Si era seduto al mio fianco, decisamente troppo vicino.

Ignorò il mio sguardo truce e mi rivolse un mezzo sorriso. «Non mi sono ancora scusato per averti spaventata, quella famosa sera» affermò, dopo qualche istante di silenzio. «In realtà ci ho provato, ma tu non fai che evitarmi, quindi...».

«Ti hanno mai detto che sei assillante?», non potei trattenermi dal chiedere. Ecco, l'avevo rifatto. Non capivo come Edward potesse essere deluso dal non riuscire a leggermi nel pensiero, quando bastava la sua sola vicinanza ad azzerare qualsiasi filtro avessi tra bocca e cervello.

«Intendi nei pensieri o ad alta voce? Forse entrambi?». Le sue labbra formarono quel sorriso sghembo che mi causava strane reazioni a livello dello stomaco. «Più volte di quante riesca a ricordare», confessò, per nulla offeso dal mio commento.

Distese le lunghe gambe davanti a sé e notai che, come me, era a piedi nudi. Avevo imparato che anche lui preferiva liberarsi del superfluo quando era certo non ci fossero umani nei dintorni. In quel momento entrambi indossavamo abiti che un mortale avrebbe portato solo in piena estate.

Abbassai lo sguardo e feci una smorfia. La maglietta che mi aveva prestato Alice era troppo aderente e scollata per i miei gusti, ma era anche la più sobria tra quelle che mi aveva proposto. Si era offerta di provvedere di persona al mio guardaroba e non avevo avuto cuore di negarle quel piccolo passatempo: a me la moda non interessava nemmeno quando ero umana, ma per lei la scelta e il giusto abbinamento degli abiti pareva di importanza capitale.

Alice era il mio esatto opposto, vivace, espansiva e loquace, e forse era per quello che mi sentivo tanto a mio agio in sua compagnia. Anziché sentirmi in qualche modo intimorita dopo aver saputo del suo dono, della sua abilità di vedere il futuro, quando ero con lei mi sentivo...me stessa. Non dovevo fingere, potevo dire tutto ciò che pensavo senza temere giudizi. Se avessi potuto restarle accanto in futuro, di sicuro saremmo diventate delle grandi amiche, proprio come lei aveva previsto.

Era un gran peccato che il destino avesse piani ben diversi per entrambe, pensai, cercando di sistemare la manica della maglia che minacciava di scivolarmi giù dalla spalla.

Edward spostò gli occhi sulla stoffa che stavo tormentando e inarcò un sopracciglio. «Opera di Alice, senza dubbio», mormorò, soffermandosi un po' troppo sul pezzo di pelle che la maglia lasciava scoperta. Accennò un sorriso. «Scommetto che ci consideri una manica di cafoni invadenti. Finora sei stata anche troppo gentile a sopportare le idee pazze dei miei fratelli. Le continue sfide di Emmett, le battute di Rosalie, ora la mania da stilista di Alice...».

«Oh, no», mi affrettai a smentire. «Mi piacciono molto i tuoi fratelli. Sono così...spontanei e calorosi. Niente a che vedere con i miei». Mi sfuggì una smorfia. «A Volterra non ci sono molte occasioni per divertirsi, ovviamente. Sembra quasi che ridere sia proibito. A meno che non si tratti di Aro, ma nel suo caso sono risate forzate e isteriche. Mettono i brividi, te l'assicuro».

«Non stento a crederlo». Dopo aver pronunciato a bassa voce quelle parole, Edward rimase per qualche minuto in silenzio a contemplare la notte stellata. Lo sentii muoversi appena. «Ti dispiace se rimango qui con te per un po'?», chiese, alla fine.

Cominciai a sospettare che ci fosse una ragione precisa dietro quella richiesta. Ricambiai il suo sguardo attento con uno ironico. «Qualsiasi cosa è preferibile ai complimenti spudorati di Tanya, dico bene?».

La sua occhiata colpevole fu percorsa da una scintilla che non seppi decifrare. «E tu conosci solo quelli verbali...», insinuò malizioso.

Non riuscii a trattenere una risata. Potevo soltanto immaginare che tipo di pensieri vorticassero nella mente di Tanya quando Edward era nei paraggi. Probabilmente molto più audaci dei miei, ma nel suo caso Edward poteva udirli come se lei li avesse pronunciati ad alta voce. Al suo posto io sarei morta di imbarazzo, invece Tanya ci provava gusto a provocarlo col pensiero. Tuttavia quella temerarietà non sembrava portarle gli effetti sperati: Edward stava ben attento a non mostrare niente più che un'educata cortesia nei confronti della vampira.

Trascorsero i minuti e d'un tratto mi resi conto di star trattenendo il respiro. Mi imposi di rilassarmi e di fingere che il vampiro che mi stava a fianco non fosse altro che un pezzo di ghiaccio modellato a forma umana. Non funzionò: il suo odore era sempre lì, stuzzicante e fresco come la prima brezza di primavera.

Stavo già meditando di alzarmi e allontanarmi alla svelta, quando lui ricominciò a parlare. «Starti accanto è...riposante», affermò, lasciandomi di stucco. Fece una breve pausa, respirando a fondo ad occhi chiusi. «C'è solo silenzio, nessuna voce nella testa tranne la mia... è inquietante, ma anche sublime. Non credevo avrei mai potuto sperimentarlo».

«Eppure non fai altro che tentare di entrarmi nella testa», gli feci notare, presa in contropiede dalla sua sincera ammissione. «È anche per questo che ti sei offerto volontario per aiutarmi con gli allenamenti, giusto?». Lui non negò e io mi accigliai. «Perché ci tieni tanto? Cos'è, una sfida con te stesso? O una sorta di esperimento?».

Edward inclinò la testa. Una di quelle arruffate ciocche ramate gli ricadde sulla fronte. «Sì e no. Lo faccio soprattutto perché voglio davvero imparare a decifrarti, capire il tuo modo di ragionare. La tua mente deve essere...affascinante da leggere. Non fai mai ciò che mi aspetto, sei una delle poche persone che riesce a sorprendermi».

Per un momento immaginai cosa avrebbe visto e sentito se fosse riuscito nell'intento. Venni assalita dall'imbarazzo. «Ti assicuro che nella mia testa non c'è proprio nulla di così interessante da ascoltare», ribattei, vagamente terrorizzata dalla possibilità che riuscisse davvero a superare il mio scudo.

Lui scoppiò a ridere. «Kate ha ragione: sei troppo modesta. Un'eccezione non da poco per qualcuno che vive con un clan di comprovati megalomani».

Scrollai le spalle. «Non lo dicevo per modestia. Sul serio, i miei pensieri non valgono lo sforzo». Inarcai le sopracciglia, scoccandogli uno sguardo pensoso. «Più ci rifletto, più mi convinco che, se fosse capitato a me un dono come il tuo, probabilmente sarei impazzita nel giro di pochi anni. Voci altrui nella mente, in continuazione, quando a malapena sopporto di sentire la mia... dev'essere tremendo».

Lui rise di nuovo. «Avrei tanto voluto poterti leggere nel pensiero quando ti ho vista la prima volta, nella foresta», confessò, e ogni traccia di ilarità scomparve.

Mi irrigidii e strinsi i pugni. «Chissà cosa devi aver pensato tu di me. Ho quasi ucciso due umani innocenti. Mi sono comportata da vera irresponsabile, avrei dovuto prestare più attenzione al mio percorso e non allontanarmi così tanto da Denali».

Edward affilò lo sguardo. «Non saresti riuscita ad attaccarli. Stavo per intervenire proprio quando ti sei lanciata sull'orso. Non riuscendo a captare i tuoi pensieri, mi sono tenuto in disparte per capire che intenzioni avessi». Corrugò la fronte. «E poi sei scappata. Credevo l'avessi fatto perché avevi fiutato la mia presenza, ma mi sbagliavo». Il suo intenso sguardo dorato trafisse il mio. «L'avevi fatto per non mettere in pericolo quegli umani. Li hai difesi dall'orso e da te stessa. Non so come tu sia riuscita a trattenerti, ma hai la mia totale ammirazione».

Tralasciai gli ultimi commenti e mi focalizzai su ciò che aveva detto all'inizio. «Mi avresti impedito di ucciderli?», chiesi, incredula. «E come avresti fatto a bloccare una neonata in piena caccia?».

Quando un vampiro puntava una preda, era quasi impossibile fermarlo. Durante la caccia perdevamo il controllo su parte dei nostri sensi, lasciandoci guidare dall'istinto. Fermare un neonato, poi, doveva essere l'equivalente di tentare di bloccare un treno merci lanciato giù per una discesa. Come aveva potuto pensare di potermi fermare?

Senza preavviso, Edward si sporse verso di me, arrivandomi a un soffio dal viso. «Grazie al mio irresistibile fascino, ovviamente», dichiarò, rivolgendomi un sorrisetto arrogante.

Mi morsi le labbra per non ridere e alzai gli occhi al cielo. Se qualcuno ci avesse visti in quel momento, avrebbe potuto pensare che stessimo flirtando. Come due piccioncini innamorati al primo appuntamento...

Dopo aver formulato quel pensiero sgranai gli occhi e mi tirai indietro di scatto, riportando una saggia distanza tra noi.

Edward inclinò la testa di lato, fissandomi ad occhi socchiusi. «Ecco, non sai che darei per poterti leggere nella mente in questo preciso istante», mormorò, la frustrazione evidente nella sua espressione.

Non risposi. Distolsi gli occhi dai suoi, puntandoli verso il cielo ricamato di stelle.

La conversazione con Edward mi aveva distratto, ma c'era un motivo se avevo scelto quel posto per starmene un po' per conto mio.

I miei occhi vennero attirati dai primi bagliori che attraversarono il cielo limpido come onde verdastre. Sentii le mie labbra aprirsi in un sorriso colmo di meraviglia, mentre altre luci, viola e gialle, si susseguivano sopra le montagne. Quando avevo salutato Alice, poche ore prima, lei mi aveva consigliato di recarmi lì, il posto perfetto per ammirare l'aurora boreale. Quella sera sarebbe stata speciale, aveva detto. Mi avrebbe convinta ad andarci anche se non avessi saputo che era in grado di prevedere il futuro. Aveva un modo tutto suo di dire le cose, diretto e schietto, non lasciava spazio a tentennamenti.

Da quando ero in Alaska non avevo ancora avuto l'occasione di assistere a quel magnifico spettacolo naturale. Quand'ero umana avevo desiderato di poterlo vedere con i miei occhi e fotografarlo. Mi ero imposta di farlo almeno una volta, prima di...bè, prima di morire.
Trovavo ironico che, per poterlo vedere davvero, fossi prima dovuta morire.

Sentii Edward trattenere il fiato e mi voltai di scatto verso di lui. Il modo in cui mi guardava mi lasciò senza parole. Il suo sguardo era talmente intenso da darmi i brividi. Brividi piacevoli e caldi che si sommarono allo sfarfallio che avvertivo nello stomaco ogni volta che lui mi era vicino.

Mi schiarii la voce. «Ora potrei rigirarti la tua stessa domanda. Tu pretendi di sapere cosa mi passa per la testa, ma non sveli mai nulla su te stesso». Posai un palmo sul ghiaccio, le mie dita sfiorarono le sue. «Per esempio, cosa stai pensando adesso?».

Lui abbassò gli occhi sulla mia mano, poi sorrise. Era un sorriso tenero e insieme...raggiante. Quando rialzò lo sguardo verso di me, sentii accendersi nel petto un calore anomalo. «Sai perché sono arrivato in ritardo, il giorno del nostro secondo incontro?».

Non mi era sfuggito il fatto che avesse deliberatamente evitato di rispondere alla mia domanda, ma decisi di stare al gioco. «Non ne ho idea. Sentiamo, perché?».

«Ti stavo cercando. Mi sono messo sulle tue tracce poco dopo averti vista saltare dalla scogliera. Ho percorso centinaia di chilometri per riuscire a ritrovarti, Isabella», confessò, lasciandomi letteralmente a bocca aperta. Notando il mio sconcerto, il suo sorriso si fece più ampio. «E, tanto per la cronaca, questa maglia ti sta d'incanto. Quella tonalità di blu ti dona molto. Devo ricordarmi di riferirlo ad Alice».





 
* * *




 
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La scorsa settimana avevo definito “pura tortura” il tempo da trascorrere tra le mura scolastiche. Non avrei potuto scegliere parole migliori.

Mentre fingevo di ascoltare la spiegazione della professoressa Goff sulla storia della lingua spagnola, mi sembrava di stare sulla graticola. Il tempo pareva scorrere al rallentatore.

Mi imposi di tenere gli occhi puntati sulla lavagna per non cedere alla tentazione di abbassarli sull'orologio ogni due secondi. Funzionò per i primi cinque minuti, poi tornai a fissare il quadrante, desiderando di poter accelerare il movimento delle lancette con la sola forza del pensiero.

Alla mia destra sentii la risata soffocata di Emmett – che lui fece passare per un colpo di tosse – e sospirai. Sembri sulle spine, fratello. Come se qualcuno ti stesse inseguendo e non sapessi dove nasconderti. Rise di nuovo. Ah, no, dimenticavo. Sei tu quello che si diverte ad inseguire la gente e...

«...apparirle alle spalle, spaventandola a morte», completai stizzito, con un tono che nessun umano avrebbe potuto udire.

Emmett rise ancora e mi strizzò l'occhio, per poi tornare a prestare l'attenzione all'insegnante.

Dal nostro ritorno a Forks dopo la breve sosta a Denali, Rosalie non mi aveva dato tregua: ogni occasione era buona per ripetere parte della ramanzina che mi aveva rivolto Bella, e Emmett le dava man forte con grande soddisfazione. Temevo che prima o poi decidessero di usare quelle parole per comporre una canzone e che l'avrebbero impostata a ripetizione. Ma, al contrario di quello che pensavano, a me quelle parole erano stranamente gradite. Lungi dall'offendermi, mi ricordavano il tono combattivo che aveva usato Bella nel rivolgermele e un sorriso spontaneo mi saliva alle labbra.

Mi bastava solamente pensare al suo nome per provare una strana sensazione, una piacevole stretta allo stomaco e...

Edward Cullen è stranamente agitato, oggi. Sembra quasi...impaziente. Chissà perché...aspetta! Non sarà che...forse esce con qualcuna? Avrà la ragazza? Sarebbe uno scoop sensazionale! Devo assolutamente dirlo a Jessica...anzi, meglio di no, o passerò il pomeriggio ad ascoltare le sue lamentele sulle ingiustizie della vita...come se una qualsiasi di noi avesse la minima possibilità, con uno come lui...

Quel flusso di pensieri proveniva dall'angolo della classe ed apparteneva ad una delle poche persone in quella scuola che fossero piacevoli da ascoltare. Strinsi le labbra per celare un altro sorriso. Se perfino una ragazza quieta come Angela Weber si perdeva in congetture sulla mia presunta impazienza, allora dovevo davvero cercare di mascherare meglio le mie emozioni. Ma lei era stranamente ricettiva per essere un'umana. Nessun altro nella classe – a parte Emmett – pareva essersi accorto delle mie strane reazioni e dell'agitazione che traspariva dai miei movimenti. Provai nuovamente a rilassarmi e a focalizzare l'attenzione sulla pagina del libro di testo.

In quegli ultimi giorni avevo seguito ben poco le lezioni. Per la prima volta da quando mi ero trasferito in quella scuola, non avevo saputo rispondere ad una domanda rivoltami dal professor Varner durante trigonometria. Ero rimasto muto come un pesce e lui si era perfino avvicinato per chiedermi sottovoce, con una certa preoccupazione, se mi sentissi bene.

In realtà, chiunque avrebbe potuto cogliermi di sorpresa in quei giorni. Se Emmett lo avesse sospettato e ne avesse poi scoperto il motivo, mi avrebbe preso in giro per secoli.

Non riuscivo a concentrarmi su nient'altro, se non sui miei pensieri. Nemmeno il chiacchiericcio mentale dell'intero corpo studentesco riusciva a superare il volume del mio. Non facevo che ripetere all'infinito le conversazioni avute con Bella, passando in rassegna le sue espressioni e il tono di voce. I miei occhi non vedevano le frasi in spagnolo che la professoressa Goff stava trascrivendo alla lavagna, ma la pelle di Bella, le sue braccia nude dove danzavano le luci multicolori dell'aurora boreale. E quella mano affusolata e delicata che per un breve istante aveva sfiorato la mia, proprio come nella visione di Alice…

In quel momento ricordai che ancora non avevo consigliato a mia sorella di prestare a Bella altri vestiti di quel blu cupo, che la rendeva ancora più attraente ai miei occhi.

Come se ce ne fosse stato bisogno.

Sospirai e cedetti, abbassando lo sguardo verso l'orologio. Mancavano meno di trentacinque minuti alla fine delle lezioni, poi mi sarei fiondato verso casa e, una volta parcheggiati l'auto e i miei fratelli, avrei corso il più veloce possibile per raggiungere Denali.

Quando mi ero offerto volontario per presenziare agli allenamenti e dare una mano a potenziare il dono di Bella, l'avevo fatto per una ragione essenzialmente egoistica: volevo avere l'opportunità di riuscire a cogliere almeno un guizzo dei suoi pensieri. In più, desideravo davvero conoscerla meglio, parlarle, catturare la sua attenzione.

Ma, nonostante i miei costanti tentativi, lei non mi degnava di un'occhiata.

Il mezzo sorriso che si era affacciato sulle mia labbra al pensiero di rivederla si trasformò in una smorfia di disappunto. Era la prima volta che mi capitava di essere ignorato. Non avevo molta esperienza quanto a incontri con l'altro sesso, ma non ricordavo di essere mai stato trattato con indifferenza. Perfino Rosalie, nonostante l'istantanea antipatia nei miei confronti, mi aveva sempre considerato (suo malgrado) affascinante e cortese. Le altre vampire che mi era capitato di incontrare negli ultimi decenni non avevano mostrato particolare interesse verso di me, ad eccezione di Tanya, ma nei loro pensieri avevo colto comunque una vena di apprezzamento. Per il mio aspetto, se non altro.

Suonava arrogante anche solo pensarlo, ma come mai non facevo lo stesso effetto anche a Bella? Non ero il suo tipo? Era legata a qualcun altro? Sembrava che avermi attorno la irritasse, non mi aveva mai rivolto la parola per prima. Eppure più lei si mostrava reticente, più tentava di tenermi a distanza, più a me veniva voglia di avvicinarmi. Non sapevo dare un nome concreto a questo impulso: quello che volevo era restarle accanto il più a lungo possibile prima...prima dell'inevitabile separazione. Presto, troppo presto, lei sarebbe tornata in Italia, a quel destino infausto cui i Volturi l'avevano condannata.

Strinsi i denti. La sera prima ero riuscito a cavarle qualche parola di bocca, ma ancora non avevo avuto l'occasione di porle il migliaio di domande che mi ronzavano in testa da quando l'avevo incontrata. Sulla sua vita precedente, sulla sua trasformazione, sulla convivenza con quegli assassini...

Probabilmente a lei non faceva piacere parlarne ad un estraneo. Era una persona riservata e taciturna, ma avevo scoperto che era sufficiente farla innervosire per ottenere delle risposte. E io ce la mettevo davvero tutta per provocarla e farla parlare. L'altra sera, ad esempio, avevo compiuto dei progressi: ero riuscito ad aprire una, seppure minuscola, breccia nella sua corazza. Oggi avrei sfruttato quel metaforico squarcio per ottenere altre risposte. Trovavo ancora frustrante non riuscire a leggerla grazie al mio dono, ma dall'altro lato era emozionante e spassoso scoprire pezzi di lei un po' alla volta.

Com'era che aveva detto? Che nella sua testa non c'era niente di interessante da ascoltare?

Trattenni uno sbuffo ironico. Era la creatura più interessante che avessi incontrato in tutta la mia vita da vampiro. Aveva davvero una così bassa opinione di se stessa? O era tutta una strategia volta ad attenuare il mio interesse? In quel caso, era evidente che non mi conosceva affatto. Ero un buon lettore, non solo di pensieri. Grazie al mio dono ero in grado di percepire aspetti della personalità altrui che sarebbero sfuggiti ai più, e il mio intuito difficilmente sbagliava. Bella era una sfida, un'incognita affascinante, una persona che riusciva a tenermi testa e ad attrarmi come nessun'altra.

Ti hanno mai detto che sei assillante?

Nell'evocare il tono esasperato di Bella mi salì spontaneo un altro sorriso. Forse era il caso di osare di più, di sfruttare quel fascino che sapevo di possedere e che Tanya tanto decantava. In un modo o nell’altro, Bella non avrebbe più potuto ignorarmi.














* * * * * * *

Ciao a tutti! Come state? Che ve ne pare della storia? Avete colto i riferimenti ai libri?
Sarei felice di conoscere i vostri pareri, aspetto le vostre recensioni!

Ringrazio chi ha commentato, chi l'ha inserita tra le seguite/preferite/ricordate. Al prossimo aggiornamento!


Un bacio da Lizz.


p.s. I titoli dei capitoli sono ripresi dai versi di Spirit In The Sky dei Keiino. Per restare aggiornati e leggere i miei vaneggiamenti vari, questa è la mia pagina fb. Il resto lo trovate qui e sul mio blog.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Running with the demons ***





Recensioni-3





 

Capitolo 5


Running with the demons






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Quell’autocontrollo formidabile che tutti mi invidiavano stava per andare in fumo.

Strinsi i denti, concentrandomi sulle parole pazienti di Eleazar ed escludendo il resto dei presenti. In modo particolare un certo vampiro dai capelli ramati che quel giorno era deciso a mostrarsi estremamente fastidioso.

Come ogni pomeriggio ci trovavamo tutti riuniti dietro la baita, impegnati nell'allenamento. Spronata da Eleazar e Kate, poco prima avevo rilevato dei sottili miglioramenti rispetto al giorno precedente: ero finalmente in grado di separarmi dallo scudo, ma soltanto per brevi momenti. Forse sarei riuscita a controllarmi abbastanza da liberarmene per più tempo, se non fosse stato per le continue provocazioni da parte di Edward. Avevo i nervi a fior di pelle, tanto che pensavo sarei esplosa da un momento all'altro, saltandogli addosso e mirando alla giugulare. Lui non era capace di leggermi nel pensiero, quindi non sarebbe riuscito a schivarmi in tempo e io mi sarei presa una piccola rivincita. Non intendevo fargli male...non troppo, almeno. Solo una piccola dimostrazione di cosa stava rischiando, pungolandomi a ripetizione con le sue frasi condiscendenti e con i suoi irritanti commenti...

Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo per placare l'impulso vendicativo, ma quando riaprii le palpebre mi ritrovai davanti il volto di Edward. Si era spostato in fretta – come avevo potuto notare in precedenza, era molto più veloce degli altri vampiri – e ora mi stava di fronte, un sorrisetto ironico sulle labbra. «Ti serve maggiore concentrazione, Isabella. Non ti stai impegnando a sufficienza».

Strinsi gli occhi e tentai di convincermi che azzannarlo non fosse affatto un'opzione allettante come mi sembrava in quell'istante. Avrei allarmato gli altri e rischiato di far loro del male involontariamente, se avessero deciso di frapporsi tra noi. Ero sicura che l’intento bellicoso fosse chiaramente inciso nella mia espressione, eppure Edward non diede segno di aver fiutato il pericolo. Sempre restandomi incollato, invadendo di proposito il mio spazio personale, cominciò a camminarmi intorno in stretti cerchi. Quasi fosse un avvoltoio pronto a piombare su di me non appena avessi dato segni di resa.

«Provaci di nuovo, Bella», mi incoraggiò Kate, mentre lanciava uno sguardo chiaramente perplesso ad Edward. Grazie al cielo non ero la sola a trovare bizzarro il suo comportamento!

Strinsi i pugni contro i fianchi, gli occhi strizzati per la concentrazione. Se fossi stata umana, probabilmente sarei stata ricoperta di sudore a quel punto. Tornai a saggiare i contorni labili dello scudo, visualizzandolo nella sua interezza e provando a sciogliere con cautela un lembo alla volta, finché quella sorta di barriera elastica non si staccò completamente dalla mia testa.

«Andiamo, Isabella. Non può essere così difficile», sentii dire ad Edward, un borbottio che per un momento minacciò di farmi perdere la presa sullo scudo.

È Bella, non Isabella! Per quanto tu sia affascinante, sappi che sto davvero meditando di saltarti alla gola. Ti ho detto mille volte di usare il diminutivo, vampiro insopportabile...

«...che non sei altro», completò lui ad alta voce, il tono diviso tra stupore e divertimento.

Turbata dalle sue parole, persi la concentrazione e il mio scudo rimbalzò indietro, tornando al proprio posto con uno schiocco. Intercettai lo sguardo di Edward e notai che sembrava a propria volta incredulo. «Ti ho sentita. È stato solo per un attimo, ma sono riuscito a superare lo scudo e afferrare uno stralcio di pensiero».

Sembrò voler aggiungere qualcos'altro, ma venne interrotto da Eleazar, che si avvicinò a me accennando un applauso. «Ben fatto, Bella. Sciogliere la presa dello scudo era il passaggio più difficile dell'allenamento. Vedrai che proiettarlo verso l'esterno sarà un gioco da ragazzi, in confronto».

Anche Kate si complimentò con me, poi scoccò un'occhiata ironica a Edward. «Con tutte quelle provocazioni, temevo che Bella ti avrebbe aggredito. Io l'avrei fatto», ammise, suscitando una risata da parte del vampiro.

Lui non aveva ancora staccato lo sguardo dal mio. «Credo ci sia andata vicina. Dico bene, Bella?».

Parlai a denti stretti. «Te l'ho già detto: stai rischiando parecchio e non te ne rendi nemmeno conto».

Lo sguardo di Edward si velò di malizia. «Però mi trovi affascinante, oltre che irritante», mormorò, con un tono talmente basso che riuscii a udirlo a fatica.

Maledizione, credevo avesse afferrato soltanto l'ultima parte di quel pensiero! Mi misi immediatamente sulla difensiva, assicurandomi che lo scudo fosse ben saldo al proprio posto.

Edward parve cogliere il mio disagio, ma invece di mostrarsi pentito per quell'intrusione della mia privacy, sfoggiò un enorme sorriso compiaciuto.

Scorsi l'occhiata dubbiosa che Kate inviò a Eleazar, e mi sentii invadere dalla vergogna e da un acuto senso di colpa. Avevo giurato a me stessa che avrei fatto il possibile per tenere Edward a distanza, fuori dai miei pensieri, per non rischiare di ferire in qualche modo i sentimenti di Tanya. Cosa sarebbe accaduto se la matriarca fosse venuta a conoscenza della mia predilezione per Edward, o se avesse frainteso il suo interesse nei miei confronti? Lui continuava a ronzarmi intorno, ed ero cosciente lo facesse soltanto perché era incuriosito dalla mia abilità di bloccare il suo dono. Ma se Tanya avesse interpretato in modo errato le attenzioni che lui mi dedicava? Di certo ci sarebbe rimasta male, avrebbe potuto sentirsi tradita, e io non volevo rischiare di ferirla.

Il tormento e l'irritazione divennero difficili da dissimulare. Dovevo allontanarmi da lì, prendermi del tempo per riflettere in solitudine. Il più lontano possibile da Edward Cullen.

Dominai a fatica le mie emozioni e rivolsi un sorriso rassicurante agli altri vampiri. «L'allenamento mi ha messo un certo appetito. Credo che andrò a caccia», affermai, prima di scagliarmi come una freccia in direzione della foresta. Non prestai attenzione alle loro repliche: mi focalizzai sulla corsa e lasciai sfumare il resto dei pensieri.

La foresta scorreva ai miei lati come un denso fiume verde e marrone. Percorsi parecchi chilometri prima di rallentare e imitare l'andatura lenta degli umani. Al mio passaggio il sottobosco si fece stranamente silenzioso, perfino gli insetti parevano trattenere il fiato in attesa che mi allontanassi. Ero un pericolo per tutte le specie animali, un mostro da evitare. Ma in quel preciso momento la sete era l'ultimo dei miei pensieri.

Ad un certo punto quella voce filtrò nella mia mente, minando di nuovo i miei buoni propositi. Edward mi stava chiamando, da un punto imprecisato del bosco, non troppo distante da dove mi trovavo. Lo ignorai: per quel giorno la mia dose di pazienza era ufficialmente esaurita.

Lui non si arrese, continuò a chiamarmi e sentivo che si stava avvicinando. Strinsi i denti per non imprecare. Sapevo che non avrei potuto seminarlo correndo, quindi non ci provai nemmeno.

Ora che avevo collaudato la giusta tecnica, separarmi dallo scudo divenne più facile, quasi immediato. Stammi lontano, gli intimai con il pensiero. Continuai a camminare a passo umano, calpestando con furia le felci.

Perché mi tormentava in quel modo? Trovava così divertente mettermi alle strette, farmi confessare una verità che non volevo ammettere neanche a me stessa? Provocarmi gli dava così tanta soddisfazione? Cominciavo a capire perché i suoi fratelli cogliessero ogni volta l'occasione per lanciargli frecciatine. Edward era davvero esasperante e non...

Me lo ritrovai davanti all'improvviso, sbucò dal nulla come un fantasma. La sorpresa durò solo una frazione di secondo: l'istante successivo lo stavo già superando, lo sguardo puntato sugli alberi alle sue spalle, quasi lui non fosse altro che uno dei tanti abeti della foresta.

Ma qualcosa mi impedì di proseguire in quella mia camminata inferocita. All'inizio non capii la fonte di quello strano calore che mi percorse il braccio, poi realizzai che Edward aveva allungato una mano e l'aveva avvolta attorno al mio polso.

Per un attimo rimasi immobile, visibilmente sconcertata. Quel contatto inaspettato smorzò in parte la mia collera, lasciandomi confusa e stranamente...agitata. Non avevo mai toccato volontariamente la pelle di un altro vampiro; quando abbracciavo Marcus, ad esempio, sfioravo soltanto i suoi vestiti. E nessuno dei miei fratelli italiani aveva mai toccato me. Nonostante fossi una creatura scolpita nella gelida pietra, a quel contatto mi sentii bruciare. Abbassai gli occhi sulla sua mano, aspettandomi quasi di scorgere le scintille di un imminente incendio.

Le dita di Edward mi avvolgevano il polso con gentile fermezza e non mi lasciarono andare nemmeno quando provai a divincolarmi. Dato che non avevo impiegato molta forza nel tentativo, lui accennò un sorriso. «Puoi colpirmi, se vuoi. Non so come hai fatto a trattenerti finora. Citando Kate, io al tuo posto l'avrei fatto».

«Non ti conviene tentarmi». Sollevai lo sguardo per incrociare il suo. «Un vecchietto come te non si riprenderebbe in fretta se decidessi di morderlo».

Lui sgranò gli occhi, poi gettò indietro la testa e scoppiò a ridere. «Mi hanno definito in molti modi, ma questo mi mancava. Rosalie pagherebbe per sentirti dire in continuazione cose del genere». Dopo una lieve esitazione, sciolse la presa dal mio polso e mi strizzò l'occhio. «Quindi mi trovi affascinante anche se sono un... vecchietto?». Si passò una mano tra i capelli scompigliati e rise di nuovo.

Alzai gli occhi al cielo. «In questo momento ti trovo soltanto seccante. Desidero stare sola, se non ti spiace», replicai indispettita, rifiutandomi di dargli corda. Non riuscivo a capire se mi stesse semplicemente prendendo in giro, o se stesse tentando, in modo alquanto goffo, di flirtare con me. Propendevo per la prima ipotesi, quindi decisi di proseguire con il piano iniziale: mantenere le distanze.

Gli voltai le spalle e tornai a seguire lo stretto sentiero che zigzagava tra gli abeti. Dopo qualche passo, tuttavia, dovetti nuovamente fermarmi. Presi un respiro profondo, contai fino a venti, ma la creatura caparbia che mi stava alle spalle non diede segno di voler scomparire. Allora mi girai, pronta ad esibirmi in una degna replica della sfuriata del nostro secondo incontro, ma Edward mi anticipò. «Dato che ci troviamo reciprocamente affascinanti...», esordì con studiata noncuranza, rischiando di procurarmi un infarto.

Un vampiro poteva avere un attacco di cuore? Propendevo per il no, ma quando c'era di mezzo Edward Cullen le mie certezze si rivelavano solide quanto un muro di cartapesta.

E lui aveva appena ammesso di…trovarmi affascinante?

Incurante del mio turbamento, lui mi lanciò un sorriso complice. «Dicevo, dato che abbiamo entrambi bisogno di cacciare, che ne dici di accompagnarmi? So dove potremmo scovare qualche degno predatore». Fece un passo avanti, obbligandomi a reclinare il capo per guardarlo negli occhi. Nonostante il sorriso impertinente che ancora gli danzava sulle labbra, il suo sguardo era inaspettatamente serio. Tese una mano, mostrando il palmo aperto. «Vuoi venire a caccia con me, Bella?».

Abbassai per un secondo gli occhi sulla sua mano, poi la scostai con un gesto deciso. Non mi sarei lasciata incantare da inutili moine: se sperava di rabbonirmi in quel modo era totalmente fuori strada. Se si era finalmente deciso a comportarsi in modo civile, le condizioni della tregua le avrei decise io.

Mossi un passo a mia volta, avvicinandomi talmente che i nostri vestiti si sfiorarono. «D'accordo», sibilai. Poi alzai una mano, gliela puntai contro il petto e diedi una leggera spinta, imprimendo nel colpo metà della forza che avrei voluto usare. Ma sufficiente a spostarlo per qualche metro e farlo urtare contro il tronco dell'abete che gli stava alle spalle. «Ma cerca di non farmi arrabbiare di nuovo. Credo di non essere poi così docile come sostengono tutti».

Edward non sembrò particolarmente sorpreso dal mio gesto, forse si era aspettato un ripicca del genere. Senza perdere il sorriso, si tolse alcune schegge di legno dai vestiti e annuì. «Messaggio ricevuto. D'ora in poi basta provocazioni, hai la mia parola».



 
*



Avevo fatto bene ad accettare: osservare Edward mentre era impegnato a cacciare era uno spettacolo magnifico. I suoi movimenti erano rapidi, precisi e fluidi, eleganti come dei passi di danza. Scivolava nella foresta rapido come una saetta e più silenzioso di un fantasma, tanto che il puma che aveva appena abbattuto non l'aveva nemmeno udito sopraggiungere.

Ero convinta che si potesse imparare moltissimo sul carattere di un vampiro semplicemente analizzando le sue abitudini di caccia. Edward era meticoloso e accorto, non perdeva tempo a giocare con le proprie prede, non annunciava la propria presenza per poi godere della loro paura. Concedeva loro una morte rapida e indolore, e, a differenza mia, era capace di procurarsi da mangiare senza combinare disastri.

Poco prima ero riuscita a catturare a mia volta un puma, ma non con la stessa grazia e velocità di Edward. Non avevo esperienza con i grandi felini, quindi la strenua resistenza di quel grosso maschio mi aveva colta impreparata. Il suo sangue aveva un sapore molto più forte rispetto a quello degli erbivori a cui ero abituata, non mi sorprese che fosse il preferito di Edward.

Leccai via le ultime tracce di sangue dalle labbra, poi controllai lo stato dei miei vestiti e dovetti soffocare un lamento. No, non ero affatto abituata a dover lottare contro le mie prede. La mia maglietta lo poteva testimoniare: gli artigli del puma avevano tranciato di netto la stoffa dal collo in giù, riducendola praticamente a brandelli.  

Incrociai le braccia al petto e sospirai. Da umana ero un vero disastro ambulante, goffa e disordinata al limite dell'accettabile. Credevo che da vampira avrei perlomeno acquisito un po' d'eleganza, ma era evidente che avevo ancora molta strada da fare. Paragonata ad Edward non ero altro che una ragazzina – una neonata – imbranata.

Come se fosse riuscito a captare il proprio nome nei miei pensieri, lui si voltò di scatto verso di me. Arricciai il naso nel constatare che i suoi vestiti non avevano la minima grinza. La camicia era immacolata e i suoi jeans non erano chiazzati di terra e muschio come i miei.

Nel vedermi in quello stato, Edward dapprima sgranò gli occhi, poi strinse le labbra – molto probabilmente per trattenere una risata.

Imbarazzata come non mai, tentai di coprire con i capelli la stoffa squarciata. «Puoi anche ridere, non mi offendo. Non sapevo che i felini potessero essere così difficili da abbattere».

«Alcuni sono più ostinati di altri, ma è tutta una questione di pratica. Ricorda che io, in quanto vecchietto, ho decenni d'esperienza alle spalle», disse, e poi, sotto il mio sguardo incredulo, cominciò a sbottonarsi la camicia. Prima che potessi avanzare una qualche protesta, se la sfilò e me la posò con delicatezza sulle spalle.

Proprio come avrebbe fatto un gentiluomo d'altri tempi.

Lo sguardo eloquente che lanciò alla mia maglia sbrindellata mi fece avvertire uno strano calore sulle guance, un residuo dell’umanità perduta. Lo ringraziai a mezza voce e mi affrettai a coprirmi, mentre lui distoglieva educatamente lo sguardo. Lo osservai di sottecchi mentre terminavo di abbottonare l'indumento; grazie al cielo indossava una maglietta a maniche corte sotto la camicia. L'attrazione che sentivo scorrere fra noi, sommata alla foga della caccia, era già abbastanza da tenere a bada, non serviva aggiungerci anche la visione di Edward mezzo nudo.

Scacciai alla svelta quelle fantasie imbarazzanti, prima che lui si voltasse e potesse leggermele in viso. Quando mi guardò ero già tornata padrona di me stessa. Aprì bocca, ma io lo battei sul tempo. «Credo sia il caso di tornare indietro. Non mi ero mai allontanata tanto da Denali e non vorrei che gli altri stessero in pensiero», mentii.

In realtà volevo porre fine il prima possibile a quell'atmosfera di intimità che si stava formando tra noi. E liberarmi al più presto della camicia di Edward e del suo odore che mi avvolgeva come una nube di feromoni, stuzzicandomi i sensi. Ero piuttosto sicura che, se fossimo rimasti troppo a lungo da soli, avrei finito per fare qualcosa di stupido. Qualcosa di molto, molto stupido, di cui mi sarei pentita di qui all'eternità.

Contrariamente a quanto avevo preventivato, Edward non protestò e non mi fece domande. Si limitò ad annuire e mi invitò a precederlo sul sentiero.

Ci eravamo allontanati parecchio dall'Alaska, ma non avrei saputo dire dove ci trovassimo di preciso. Forse da qualche parte tra Canada e Stati Uniti, nella regione dei grandi laghi.

Non ero certa di quanto tempo fosse trascorso dalla mia fuga precipitosa, ma ora la luce del sole stava calando e in cielo cominciavano a brillare le prime stelle. Percorremmo qualche centinaio di chilometri di corsa, poi, quasi ci fossimo letti nel pensiero a vicenda, rallentammo fino a fermarci.

A dire la verità non ero così impaziente di ritornare a Denali come avevo lasciato intendere. Lanciai un'occhiata ad Edward e mi accorsi che stava sorridendo – anzi sogghignando tra sé. Non riuscii a decifrare la sua espressione, ma mi parve in qualche modo compiaciuto. Di cosa dovesse esserlo, poi, non ne avevo alcuna idea.

Accennò con il capo in direzione delle montagne che circondavano la foresta sul lato Nord. «Seguimi, voglio mostrarti una cosa», disse, e non aspettò che gli rispondessi. Si lasciò alle spalle il sentiero e iniziò di nuovo a correre, diretto verso i pendii innevati che luccicavano debolmente nel buio.

Non persi tempo a protestare: lo seguii, faticando non poco a tenere il suo passo. Era davvero veloce per essere un vecchietto, rapido e scattante come un ghepardo. Non si fermò finché non arrivammo in cima alla montagna più alta, poi si sedette su una grossa roccia ricoperta di neve e mi fece segno di raggiungerlo.

Mi presi qualche secondo per valutare la situazione e prevedere le sue intenzioni, ma il mio cervello non volle collaborare. Una vocina molesta nella mia testa mi stava incitando a farmi avanti, a decidermi a confessare ciò che provavo nei suoi confronti per non temere rimpianti una volta tornata in Italia, ma sarebbe stato inopportuno ed inutile, e avrebbe potuto portare a delle conseguenze su cui non volevo nemmeno soffermarmi.

Scrollando le spalle, mi accomodai al suo fianco. Edward rimase in silenzio, gli occhi puntati verso l'orizzonte. Da quell'altezza pareva avessimo il mondo intero ai nostri piedi: se fossimo scesi dal versante opposto della montagna, avremmo potuto tuffarci in un enorme specchio lacustre, circondato su tre lati da fitte foreste di abeti.

Una folata di vento freddo mi investì, scompigliandomi ancora di più i capelli già provati dalla corsa e dalla caccia. Mi tolsi qualche ciocca dal viso e attesi in silenzio che Edward dicesse qualcosa. Con il passare dei minuti, cominciai a fremere di nervosismo. «Perché mi hai portata fin quassù?», mi decisi a chiedere.

Lui accennò un sorriso. «Fra poco capirai», si limitò a dire.

Aveva ragione, non dovetti aspettare molto. Quasi fosse dotato dello stesso dono di Alice, Edward mi aveva condotta nel posto giusto al momento giusto. Le nuvole che avevano tenuto lontano il sole per tutto il pomeriggio cominciavano a diradarsi, lasciando il posto ai primi bagliori dell'aurora boreale. Il cielo sopra le nostre teste cominciò a colorarsi di verde e viola, lunghe scie di luce che si riflettevano sulla neve e sulla superficie piatta del lago.

Caspita.

Era una vista mozzafiato, mi sembrava di assistere ad una magia. Non so per quanto rimasi in silenzio, a contemplare quell'incredibile spettacolo naturale con un enorme sorriso stampato in faccia. Una buona mezz'ora, credo. Quando mi ricordai di non essere sola quasi sobbalzai e mi voltai di scatto verso Edward.

Lui non stava guardando l'aurora boreale: stava fissando me, e chissà da quanto tempo. Non stava sorridendo, però. Aveva un'espressione che potei definire soltanto...rattristata.

Gli rivolsi un sorriso di scuse. «Giuro che stavolta non ti stavo ignorando intenzionalmente. È davvero difficile distogliere l'attenzione da uno spettacolo così splendido».

«Già. È davvero difficile», concordò, e mi parve di cogliere una nota malinconica nella sua voce. I suoi occhi restarono incollati ai miei ancora per qualche istante, prima che li spostasse verso il lago, che rifletteva le luci come un enorme specchio. «Vengo spesso qui. A volte ho bisogno di allontanarmi dalla mia famiglia e trascorrere qualche ora in solitudine». Scrollò le spalle. «Non è sempre…facile convivere con sei vampiri accoppiati».

La sua sincera ammissione mi colpì e fece sciogliere qualcosa dentro di me. Avrei tanto voluto allungare una mano e prendere la sua, ma non osai muovermi. Mi limitai ad un cenno di assenso. «Per un lettore di pensieri dev'essere doppiamente difficile».

«Ma non tanto quanto convivere con dei mostri assassini», rilanciò svelto Edward. Aveva le sopracciglia corrucciate, come se stesse cercando di risolvere un complesso rompicapo. «Ancora fatico a credere che tu non abbia mai ceduto, che non ti sia mai nutrita di sangue umano. Ricordo molto chiaramente la sete dei miei primi decenni da vampiro. Era costante e insopportabile, un vero supplizio. Ma io potevo spostarmi a mio piacimento, rifugiarmi in qualche posto sperduto quando diveniva insopportabile, tu, invece, sei costantemente circondata da umani. Come riesci a resistere?».

Mi irrigidii, sentendomi stranamente vulnerabile sotto il suo sguardo diretto. Alla fine scelsi di ricambiare la sua sincerità con una risposta altrettanto schietta. «Il primo anno è stato...atroce. Tutti quei cuori pulsanti a così poca distanza... Mi sarebbe bastato un salto per fare irruzione in una delle case adiacenti al palazzo e...». Mi bloccai e scossi la testa, deglutendo a vuoto. «Se volessi, sarebbe facile uccidere qualche umano e poi coprire le mie tracce. Anzi, credo che Aro organizzerebbe addirittura una festa in mio onore se mi decidessi finalmente a nutrirmi assieme al resto del clan». Rabbrividii di disgusto al solo pensiero. «Ma ogni volta che la tentazione si fa più accesa, mi compare davanti agli occhi l'immagine di mio padre, l'ultimo ricordo che ho di lui. Lo vedo steso a faccia in giù nel suo stesso sangue, e la sete viene soffocata da rabbia e dolore». Serrai le dita sul bordo della roccia. «Vedi, lui era un poliziotto. Offenderei doppiamente la sua memoria se diventassi un'assassina. Inoltre, so con certezza che non mi sentirei affatto meglio se bevessi sangue umano. Preferisco patire il bruciore della sete al disprezzo che proverei verso me stessa, se cedessi. Non voglio mai più rivedere quegli occhi rossi ogni volta che mi ritrovo davanti uno specchio».

Edward annuì e si prese qualche secondo prima di replicare. «Capisco cosa intendi e ti rispetto molto per questo. E mi sento veramente un inetto in confronto a te e alla tua forza di volontà». Gli lanciai un'occhiata confusa e lui sospirò. «In passato, dopo qualche decennio dalla mia creazione, ho abbandonato per un po' la...dieta vegetariana che Carlisle mi aveva imposto. Ne avevo abbastanza di soffocare la sete: volevo cacciare in libertà, fare quello che mi pareva senza dover sottostare a continui divieti...».

«Una vera e propria ribellione adolescenziale, insomma», lo presi in giro, e lui ridacchiò.

«Qualcosa del genere. Ma, grazie al mio dono, potevo selezionare accuratamente le mie prede, uccidere soltanto gli umani che erano a loro volta dei mostri e risparmiare gli innocenti». Scosse la testa, come se volesse scacciare quei ricordi. «Ma hai ragione tu. Non mi ha fatto sentire meglio».

Dal suo tono potevo intuire quanto fosse profondo il rimorso che provava. «Se quelli che hai ucciso erano criminali, hai contribuito a salvare delle vite. Forse molte di più di quante ne hai prese», ribattei, e lui mi fissò sorpreso. Mi strinsi nelle spalle. «Ci sono molti mostri anche tra gli umani. Come quelli che hanno messo fine alla vita di mio padre...e alla mia. Se non mi avessero sparato, sarei rimasta umana, avrei frequentato il college e...». La gola mi si chiuse e non riuscii a continuare. «Non posso certo dire di essere dispiaciuta per la loro morte».

Edward fece per dire qualcosa, ma poi serrò i denti e si irrigidì. Il suo sguardo saettò verso le pendici della montagna e si fece vacuo per un momento. Un muscolo si contrasse sulla sua mascella e lo vidi stringere le mani a pugno. Allarmata, acuii i sensi e mi preparai ad affrontare un imminente pericolo.

«Sono ancora lontani, ma riesco a sentirli», lo udii sibilare, mentre scattava in piedi. Mi si parò di fronte, quasi volesse farmi da scudo contro qualcosa. «Sento il tuo nome nei loro pensieri». Si passò nervosamente una mano tra i capelli e mi scoccò un'occhiata inquieta. «Stanno venendo a prenderti, Bella».



 
*



Le parole di Edward mi investirono come una secchiata d'acqua gelida e i miei pensieri si fecero frenetici. Non servì specificare di chi fossero le voci mentali che Edward aveva appena captato. C'era soltanto una risposta possibile: Demetri e Santiago avevano portato a termine la missione per cui erano venuti in America, e ora stavano per raggiungermi e scortarmi di nuovo in Italia come stabilito.

No.
Non adesso.

La mia mente si ribellò all'idea. Strinsi i pugni e scoprii i denti in un basso ringhio. Era troppo presto, mi ero appena ambientata, non era giusto. Credevo di avere a disposizione almeno un mese prima di ripartire per l'Italia e invece non mi erano state concesse neanche tre intere settimane.

Un'intuizione orrenda mi balenò in testa: e se quello non fosse stato un viaggio di istruzione, come l'aveva definito Marcus, ma un altro dei giochetti crudeli di Aro? Se fosse stata una presa in giro, sin dall'inizio?

Più ci pensavo, più mi sembrava plausibile. Aro aveva soltanto finto di cedere alle richieste del fratello, mi aveva allettata con la promessa di una lunga parentesi di libertà, per poi strapparmela via bruscamente. Potevo quasi udire le risate di scherno di Caius, mentre lui e Aro si facevano beffe di me. Risentii nella mente il tono condiscendente di Jane, il sorriso subdolo che mi aveva rivolto prima che partissi, e mi sentii una stupida.

Il loro scopo non era lasciarmi libera per osservare il mio comportamento, in attesa che commettessi qualche errore per poi sbarazzarsi di me, come avevo immaginato in precedenza. No, era molto più infido. Probabilmente speravano che mi ribellassi, che mi rifiutassi di tornare in Italia e che scegliessi di distaccarmi dal clan.

Ma perché? Cosa potevano ottenere da quel...

In un secondo mi fu tutto chiaro, di una lucidità lampante, quasi avessi avuto un flash delle visioni di Alice. Mi misi a tremare, di rabbia e di terrore.

I Volturi non volevano eliminare me: i loro obiettivi erano i clan americani. Era per quello che Aro aveva chiesto a Carlisle di incontrarmi. Conosceva la sua personalità altruista e sapeva che non sarebbe rimasto indifferente nei miei confronti, se mi fossi rivolta a lui in cerca di aiuto. Se avessi chiesto al dottor Cullen di appoggiarmi nella mia richiesta di indipendenza, ero sicura si sarebbe offerto di intercedere per me presso i Volturi. E loro ne avrebbero approfittato, usando quel pretesto per schiacciare lui, la sua famiglia e anche il clan di Tanya, che di certo si sarebbe schierato con i Cullen. Li avrebbero accusati di avermi corrotta, di avermi strappata al mio creatore e al mio clan, e sarebbero piombati su di loro come avvoltoi. Li avrebbero annientati senza pietà. O forse, alla fine, si sarebbero finti misericordiosi e avrebbero concesso a qualcuno di sopravvivere. Ero certa che Aro sarebbe stato più che felice di accogliere i più dotati tra le sue fila, Alice in primis, ma anche Edward e Kate possedevano dei talenti che gli avrebbero fatto comodo...

«Bella», mi chiamò Edward a bassa voce. Mi stava osservando, la fronte aggrottata per la preoccupazione. Allungò una mano, esitò qualche istante, poi appoggiò il palmo alla mia guancia. «Se desideri restare, non hai che da dirlo. Sono certo che Carlisle non avrebbe obiezioni se volessi unirti a noi, alla nostra famiglia. Io...tutti noi garantiremmo per te, se decidessi di rimanere in America».

Oh, certo che l'avrebbero fatto. E sarebbe stata la mossa sbagliata, proprio ciò che Aro si aspettava. Sin dall'inizio, non ero stata altro che un'esca, una sciocca pedina nelle sue mani. Ma, se questo era realmente l'intento dei Volturi, non sarei stata al loro gioco. Avrei fatto in modo che fossero loro a perdere, e che si trattasse di una sconfitta schiacciante.

Presi un bel respiro e, con cautela, feci scivolare via lo scudo dalla mia mente. Edward, ascoltami.

Colto di sorpresa dalla mia voce mentale, lui sgranò gli occhi e si immobilizzò. Gli sorrisi mestamente e afferrai la sua mano, togliendola dal mio viso. È meglio se non ci vedono insieme. Non mi fido di nessuno di loro, e non voglio che si avvicinino a te, alla tua famiglia o a quella di Tanya. Rilasciai un sospiro sofferto. Sono persone meravigliose, non li dimenticherò mai. Avrei tanto voluto avere la possibilità di salutarli e ringraziarli per quello che hanno fatto per me...

«Non preoccuparti. Lo farò io per te», assicurò lui, la voce bassa e tormentata.

Gli strinsi la mano e mi accorsi che la mia tremava appena. Grazie. Grazie di tutto.

Per quanto mi costasse, sapevo di star facendo la cosa giusta. Ed ero pronta a tornare sui miei passi e intercettare i miei fratelli prima che si dirigessero in Alaska. Non li volevo nemmeno a dieci chilometri da Denali, o da Edward.

Un attimo prima di voltarmi, incrociai il suo sguardo addolorato e decisi di rischiare, di assecondare la vocina temeraria che ancora riecheggiava nella mia mente. Veloce come un lampo mi allungai verso di lui, premetti per un istante le labbra sulle sue e mi tirai indietro altrettanto rapidamente. Durò solo un istante, ma fu pura elettricità. Sentii la pelle bruciare, come era accaduto nella foresta quando le sue dita si erano serrate sul mio polso.

In un altro momento avrei riso dell'espressione frastornata di Edward. Batté le palpebre e rimase a fissarmi come se non riuscisse a capacitarsi di ciò che avevo appena fatto. L'avevo visto parecchie volte eludere i tentativi di approccio da parte di Tanya grazie al suo dono, ma a me non era potuto sfuggire. Mi sentii un po' in colpa, ma lui non sembrava indignato, né disgustato. Soltanto...turbato. «Bella». Il mio nome fu come un sospiro sulle sue labbra. Protese una mano come se volesse afferrarmi, ma io indietreggiai fuori dalla sua portata.

«Ora...è meglio che vada», dissi, facendo qualche rapido passo indietro. Gli rivolsi un ultimo sorriso. «Addio, Edward».

Poi mi voltai e iniziai a correre.   




 
* * *



 
Recensioni-2





Dopo la partenza di Bella impiegai qualche ora per riscuotermi e riprendere il controllo. Mi sentivo in qualche modo lacerato, diviso tra ira e un'acuta sofferenza a cui non sapevo dare un nome.

Dovetti fare forza su me stesso per non partire all'inseguimento di Bella e impedirle di ricongiungersi ai due vampiri che avevo percepito, i suoi malvagi fratelli adottivi. Mi era bastato un assaggio delle loro menti per indovinare la loro identità, non mi serviva conoscere i loro nomi. I loro pensieri erano ripugnanti, e speravo che Bella non venisse mai a scoprire quali imprese avevano compiuto da quando le loro strade si erano separate. Liberai un ringhio di frustrazione e di collera.

Avrei tanto voluto raggiungere Bella, afferrarla e portarla in un luogo sicuro. Rapirla, se necessario. Ero pronto a fare qualunque cosa, pur di tenerla lontana dalle grinfie dei Volturi.

Ma lei me l'aveva impedito. Non avrebbe lasciato che mi mettessi in mezzo, era troppo altruista. Non mi avrebbe mai permesso di sfidare i suoi mentori, se ciò avesse significato mettere in pericolo me stesso e la mia famiglia.

Strinsi i pugni lungo i fianchi, sentendomi per la prima volta dalla mia trasformazione impotente, inutile e debole quanto un essere umano.
Come si poteva passare, nel giro di un pomeriggio, da un'inaspettata felicità alla disperazione più cupa? Quelle ultime ore trascorse con Bella erano state perfette, i momenti più spensierati della mia vita – e anche i più significativi. Per la prima volta lei aveva lasciato cadere le proprie difese e mi aveva permesso di conoscerla come desideravo fare dal nostro incontro nella foresta. Ero riuscito a fare breccia nei suoi pensieri, e avevo scoperto che non le ero del tutto indifferente come credevo. Al contrario, l'attraevo proprio come lei attraeva me. E avevo appena dovuto dirle addio.

Quando tornai a casa era da poco passata la mezzanotte. Dalle espressioni allarmate che accolsero il mio arrivo, intuii che dovevo avere scritto in viso ciò che stavo provando. In un secondo mi ritrovai circondato da pensieri agitati e voci preoccupate.

«Edward, caro, cosa è...», tentò di chiedermi Esme, ma io cominciai a scuotere la testa prima che terminasse la domanda.

«Se n'è andata», dissi, con un tono che suonò piatto e tetro alle mie stesse orecchie.

La mia frase causò qualche sibilo di sorpresa e accentuò il cipiglio meditabondo di Carlisle. «Edward...», esordì, in tono circospetto.

Alzai una mano per interromperlo. Sapevo cosa stava per dire, ma in quel momento una discussione era l'ultima cosa che volevo. Mi sentivo spossato, senza forze, come pensavo dovessero sentirsi gli umani dopo una maratona di cento chilometri. Desideravo soltanto richiudermi nella mia stanza ed estromettere dalla mente i pensieri di tutti, compresi i miei. «Scusatemi, ma adesso preferisco rimanere da solo».

Dovevo davvero avere un aspetto orrendo, se perfino Rosalie evitò di infierire. Incrociai i suoi occhi per un attimo, mentre le sfilavo accanto diretto alla scalinata. Nel suo sguardo non c'era traccia di compiacimento, ma intravidi la stessa pena che vedevo riflessa negli occhi di Esme e Carlisle. Strinse le labbra e tenne per sé i propri pensieri. Gliene fui molto grato: non ero dell’umore per uno dei nostri soliti battibecchi.

Emmett e Jasper erano fuori a caccia in quel momento, ma sapevo che, una volta tornati, non avrebbero avuto il medesimo tatto. Una volta intuita la mia disperazione, ero certo che avrebbero insistito per prendere subito una decisione, fosse anche quella di prenotare il primo volo per l'Italia per far visita ai Volturi. E non disponevo della lucidità mentale necessaria per affrontare una conversazione del genere, non quando ancora fremevo dalla voglia di mettermi sulle tracce di Bella per riportarla indietro.

Quindi chiesi di non essere disturbato da nessuno e mi chiusi – anzi, barricai – in camera mia. Presi dallo scaffale un cd che conteneva le giuste dosi di batteria e chitarra elettrica – quello che Alice chiamava baccano infernale –, accesi lo stereo e lo feci partire.

Mentre iniziavano i primi accordi e la voce graffiante del cantante mi riempiva le orecchie, mi lasciai ricadere sul pavimento accanto alla grande vetrata che occupava tutto il lato Nord della stanza. Appoggiai la fronte al vetro e feci vagare lo sguardo sulle cime innevate che scorgevo all'orizzonte. I bassi ritmati che uscivano dalle casse attenuarono le voci mentali dei miei famigliari, ma non riuscirono a scacciare in alcun modo la mia. Nella mia testa era in corso un acceso dibattito tra la mia metà assennata e quella impulsiva.

Incapace di frenare quell'irrequieto flusso di pensieri, cominciai a vagliare le possibilità con razionale freddezza. Non erano molte: la scelta si riduceva ad una soltanto. I Volturi non avrebbero mai lasciato libera Bella, non senza ricevere qualcosa in cambio. Il suo creatore, per quanto tenesse a lei, non si sarebbe mai schierato contro il volere di Aro, non si sarebbe battuto per lei. Non come avrei voluto fare io.

Ma cosa sarebbe accaduto se avessi deciso di partire per l'Italia? Tutta la mia famiglia aveva intuito i sentimenti che avevo iniziato a provare per Bella, per cui immaginai mi avrebbero sostenuto qualunque decisione avessi preso. Ricordai cosa aveva pensato Esme nel vedermi partire di corsa per Denali il giorno precedente. Dopo aver assistito al nostro primo bisticcio, mia madre aveva segretamente sperato che Bella diventasse per me ciò che Carlisle era per lei. Aveva notato il mio spiccato interesse nei confronti di quella vampira dai modi inaspettatamente gentili, di come nell'ultima settimana non avessi fatto altro che parlare di lei. Ma se l'unica opzione per restare accanto a Bella fosse stata di unirmi ai Volturi, come avrebbe reagito? E io ero davvero pronto a separarmi per sempre dalla mia famiglia, quando nemmeno sapevo per certo se i miei sentimenti erano ricambiati?

Chiusi gli occhi e rividi il viso sorridente di Bella, uno spettacolo molto più ammaliante del cielo illuminato dall'aurora boreale. Era accaduto tutto in un attimo: mi ero voltato per osservare la sua reazione alla sorpresa che avevo architettato e non ero più riuscito a distogliere lo sguardo da lei. In quell'istante avevo capito che non avrei mai più prestato attenzione a nessun'altra, che tutto ciò che stavo cercando da più di un secolo era proprio lì, davanti ai miei occhi. Quella rivelazione mi aveva colpito con la forza di un uragano. Finché avessi vissuto, il mio cuore sarebbe sempre appartenuto a quella splendida vampira che sapeva tenermi testa e celarmi i propri pensieri.

Ma lei cosa provava davvero per me?

Mi trovava affascinante, questo sì. Avevo scorto una forte emozione nel suo sguardo mentre mi osservava cacciare, lo stesso desiderio che avevo sentito nascere in me. Le avevo rivelato una parte del mio passato di cui non andavo affatto fiero e lei non si era mostrata disgustata, anzi aveva approvato le mie scelte. E poi quel bacio, lieve come una piuma e devastante quanto un terremoto. Nelle mie recenti fantasie ero io a fare la prima mossa, e mi ero deciso a provarci quella sera stessa, ma lei mi aveva battuto sul tempo.

Il primo bacio e il primo cuore spezzato, tutto nello stesso istante. L'ironia di un destino crudele che ero più che determinato a cambiare.

Mentre un'idea prendeva vita nella mia mente, udii un discreto bussare alla porta. Un secondo dopo, incurante della musica martellante e del mio caparbio mutismo, Alice si affacciò sulla soglia. Scoccò un'occhiata divertita allo stereo, poi si sedette al mio fianco e mi diede un buffetto sul braccio. «Fidati di me, Edward. Dovrai pazientare ancora per un po', ma si risolverà tutto», bisbigliò, così da non farsi udire dagli altri. Lasciò che sbirciassi per qualche secondo tra le sue visioni e notai con stupore che molte di esse riguardavano Bella. «Te l'ho detto, no? Bella e io diventeremo grandi amiche. E di certo non lo potremo fare, se abitiamo in due diversi continenti, non credi?». Ciò detto, mi strizzò l'occhio e uscì dalla stanza rapida com’era entrata, lasciandomi solo, sconcertato e pervaso da un’accesa speranza.











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Ciao a tutti! Come state? Come vi sembra la storia?

Ringrazio chi ha commentato, chi l'ha inserita tra le seguite/preferite/ricordate. Al prossimo aggiornamento!


Un bacio da Lizz.


p.s. I titoli dei capitoli sono ripresi dai versi di Spirit In The Sky dei Keiino. Per restare aggiornati e leggere i miei vaneggiamenti vari, questa è la mia pagina fb. Il resto lo trovate qui e sul mio blog.







 

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