La Strada del Lupo

di Red Owl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Non sapeva perché avessero deciso di nascondersi in quella stanza. Certamente avrebbe avuto più senso tentare una fuga per i campi. Avrebbero avuto il tempo per farlo: quando le campane della cappella avevano preso a suonare a martello, lei e le sue consorelle avrebbero potuto precipitarsi verso la porta sud e scendere la ripida scaletta che conduceva al fiume, balzando da un sasso all’altro per attraversare l’Aser. Si sarebbero bagnate i piedi e forse anche le sottane, ma almeno sarebbero state libere.

Stavano già lavorando nell’orto, le schiene ricurve sulla terra scura e indurita dall’inverno appena trascorso. La salvezza era stata lì, a portata di mano, e lei era stata a un soffio dall’abbandonare la zappa e correre verso la porticina seminascosta dall’edera che cresceva su quella porzione delle mura del convento. La voce della Superiora aveva però soffocato quegli intenti sul nascere. “Nelle cantine” aveva detto la donna. “Lì saremo al sicuro.”

Neve non riusciva a capacitarsi di come si potesse essere al sicuro sottoterra. Era forse un po’ claustrofobica, ma gli ambienti bui e poco arieggiati non le erano mai piaciuti, soprattutto se era costretta a condividerli con altre persone.

Il cuore le martellava nelle orecchie e non c’era nulla che lei potesse fare per rallentarne un po’ il ritmo. Lisi le stritolava il braccio destro in una morsa e Clara le si stringeva invece contro il fianco sinistro. Tremava e piangeva piano, il che era del tutto comprensibile, se si considerava che la ragazzina aveva solo quattordici anni, ma stava facendo davvero troppo rumore: le avrebbero trovate di sicuro.

Pregate, ragazze.”

La voce della Superiora era tranquilla e placida come sempre: non sembrava quella di una donna a un passo dalla morte.

Neve non voleva pregare. Non che non credesse negli Dei (ci credeva e la sua fede era sincera), ma c’era qualcosa che le impediva di concentrarsi sulla salvezza della propria anima. La Superiora era stata chiara: se i briganti che avevano assaltato il convento le avessero trovate, molte di loro sarebbero morte, mentre altre sarebbero state portate via per essere vendute come schiave. La donna non aveva detto che avrebbero anche subito violenza, perché non c’era davvero motivo di specificarlo: le monache raccolte nelle cantine conducevano una vita reclusa, ma questo non impediva loro di sapere come andava il mondo.

Oh, Madre, Luce del Creato, ti supplico… le parole le evaporarono dalla testa. No, non ci riusciva. C’era qualcosa che si contorceva nel suo petto. Era una creatura bianca ed evanescente, impalpabile come la nebbia e viscida come un pesce. Bollente e irrefrenabile. Inafferrabile. Si chiama paura, pensò Neve aprendo e chiudendo spasmodicamente i pugni. Si chiama panico, terrore.

Aveva anche altri nomi, però, nomi antichi e dimenticati da tempo, nomi che aveva portato con sé quando, dieci anni prima, aveva lasciato le fredde terre del nord per entrare nel convento di Forrascura. Nomi che non desiderava ricordare. È piuttosto meglio morire, si disse, ascoltando il respiro affannoso di Clara e quello stentato di Lisi. Forse sì, forse no, sussurrò la creatura che le si agitava nel petto. Comunque non stava a lei deciderlo: l’avvicendarsi degli eventi avrebbe scelto in sua vece.

Neve fissò la porta sbarrata che intravedeva nelle tenebre davanti a sé. C’era solo uno spiraglio di luce, una sottile fessura luminosa lì dove i due battenti non combaciavano alla perfezione. Era una porta vecchia, probabilmente marcia. Nascondersi lì sotto era stata davvero una pessima idea.

C’erano delle scale che scendevano fino alla cantina, scale che partivano da un angolo del cortile del convento. Non erano difficili da trovare. Erano scale sulle quali in quel momento risuonavano i passi pesanti di diversi uomini.

Le monache nascoste nella cantina trattennero il fiato, respirando come un bizzarro essere collettivo. Le dita di Lisi, piccole, ma forti, ebbero uno spasmo e si conficcarono nel braccio di Neve, tanto in profondità che la giovane sentì una miriade di microscopici spilli pungerle la mano destra. C’era un suono lugubre e acuto nel suo orecchio sinistro: ci mise qualche secondo per capire che si trattava del gemito disperato di Clara.

La porta vibrò sotto un colpo violento inferto dall’esterno. 

Sono pronta a morire, pensò Neve. Ho ventidue anni e sono pronta a morire.

In un modo o nell’altro, sussurrò la creatura nel suo petto. Se avesse avuto una voce, sarebbe stata una voce soffiante, priva di timbro, acuta, ma con un brontolio di fondo. Se avesse avuto occhi, sarebbero stati occhi di vetro, piatti e senza fondo.

È la voce della tua paura, le aveva detto sua nonna tanti, tanti anni prima, quando lei gliene aveva parlato per la prima volta. Neve ci aveva messo un bel po’ per capire che, per quanto saggia e intelligente, la nonna non sapeva proprio tutto.

La cosa positiva era che Neve aveva imparato a dominarsi e a dominarla. Ormai sapeva tenere sotto controllo la paura e le altre cose che a volte rischiavano di soffocarla.

Un altro colpo, e il chiavistello scricchiolò.

Restiamo vicine” le sussurrò Lisi nell’orecchio. Il suo braccio le cinse la vita. “Restiamo unite.”

Neve dubitava che restare unite servisse a qualcosa, ma annuì comunque. Lisi le era simpatica. Avevano la stessa età, erano entrate in convento insieme, e la considerava quasi una sorella. Anche Clara si strinse a loro, insinuandosi nel loro abbraccio. Era piccina e spigolosa, praticamente una bambina non ancora divenuta adolescente.

Al terzo colpo, la porta esplose e qualcuno gridò. Neve sentì il respiro inciamparle in gola e la creatura sobbalzarle nel petto. Mossa dall’istinto, contrasse gli addominali e irrigidì la cassa toracica, quasi per trasformare le costole in una gabbia. Per un istante soltanto, le sue mani si contrassero con una forza quasi innaturale e Lisi gemette, ferita da quella stretta di granito.

Scusa, pensò Neve, riprendendo subito il controllo sul proprio corpo. Non un passo di troppo, si ricordò. Non un passo di troppo, perché non conosci il punto in cui sarai perduta per sempre.

Gli uomini entrarono nella cantina. Quattro, cinque, forse sei o sette: erano controluce e Neve non riusciva a vederli bene; e comunque i numeri erano privi di significato. Quello che contava era che erano molti, e grossi, e armati. A parte la Superiora, c’erano altre dieci donne rintanate tra i formaggi e le botti di vino: erano numericamente superiori ai briganti, ma come potevano pensare di contrastarli?

Avanti, tutte insieme! Pensò per una frazione di secondo Neve, ma i suoi muscoli  non obbedirono e il pensiero svanì. Del resto era una follia. Tre di loro erano vecchie, due bambine, e nessuna delle donne più giovani e in forze era comunque addestrata a combattere: sarebbe stato un suicidio.

Ma non è forse meglio morire a testa alta? Si chiese amaramente. Non aveva importanza: sapeva di non avere in sé il coraggio di compiere un simile sacrificio. 

Ed ecco qui le altre signorine” sogghignò un uomo, quello che guidava il drappello dei suoi compari e che reggeva tra le mani una torcia accesa.

Neve tentò di guardarlo, di imprimerselo nella mente, ma i dettagli le sfuggirono. Vide solo che non era vecchio, che aveva capelli corti che riflettevano il bagliore del fuoco e un sorriso che pareva la lama di un coltello. L’uomo fece un cenno a uno dei banditi che gli stava accanto. “Esaminiamo la merce, su!”

Obbedendo all’ordine del suo capo, il brigante si fece avanti: aveva la pelle scura degli uomini dell’ovest e un passo irregolare che parlava di una vecchia ferita mai guarita alla perfezione. 

Mentre l’uomo avanzava, la Superiora fece lo stesso. “Fermo!” gli intimò, levando le mani nella sua direzione. “Non un altro passo!”

Il brigante levò la spada e si voltò verso il suo comandante: uno schiocco di dita, un ordine, e la lama saettò colpendo la Superiora alla gola.

Era troppo buio per vedere con esattezza ciò che era successo, ma il corpo della donna ebbe un sussulto e poi giacque immobile. Dal gruppo delle monache si levarono esclamazioni d’orrore e gemiti e Neve si portò istintivamente una mano alle labbra, forse per saggiare la consistenza del proprio respiro. Eppure la creatura nel suo petto parve acquietarsi: era una cosa che conosceva, quella. Conosceva il sangue, conosceva la morte, ed era un po’ come tornare a casa.

Incurante del corpo ai suoi piedi, l’uomo dalla pelle scura si fece avanti e afferrò la prima donna che gli capitò a tiro: era Daina, una monaca ormai anziana e quasi cieca. Il brigante con la torcia fece un cenno di diniego e Daina fu spinta verso il fondo della cantina. Sbilanciata da quel movimento brusco, la vecchia si accasciò tra due botti.

Il bandito afferrò allora il braccio di Lona, una ragazzotta grande e grossa, con fianchi larghi e guance rosse. Dal gruppetto dei criminali si levarono alcuni mormorii e l’uomo con la torcia alzò la fiamma per osservare più da vicino il volto della giovane. Poi sorrise. “Questa può venire buona a qualcosa, che ne dite?” chiese con un sorriso storto.

Uno degli altri briganti raggiunse l’assassino della Superiora e afferrò i polsi di Lona, costringendoglieli dietro alla schiena e legandoli con un pezzo di corda. La giovane monaca aveva muscoli saldi - Neve l’aveva vista spaccare la legna ed era rimasta impressionata dalla sua forza - ma in quel momento sembrava del tutto incapace di reagire: grosse lacrime silenziose solcavano il suo volto dai tratti grossolani e la ragazza si lasciava manovrare come una bambola di pezza.

Questa?” chiese ancora l’uomo dalla pelle scura, allungando una mano verso Clara. 

La ragazzina rantolò in preda al terrore. Prima che Neve potesse anche solo pensare di frapporsi tra lei e il suo aggressore, Lisi si staccò dal suo braccio e si lanciò verso il brigante. “No!” tuonò. “Lasciala stare, è solo una bambina!”

L’uomo lasciò andare il braccio di Clara e afferrò Lisi per la gola. I suoi denti scintillarono nel buio, scoperti da un sorriso divertito.

E tu chi saresti, carina?”

Era stato il capo dei briganti a parlare, avvicinandosi al suo compare e studiando il volto di Lisi alla luce della torcia. Dalla sua posizione privilegiata, Neve vide l’istante preciso in cui il bandito si accorse di quanto fosse bella la sua amica. Perché Lisi era davvero molto bella: aveva una pelle lattea e purissima, senza alcun segno né imperfezione, grandi occhi verdi che sembravano brillare d’innocenza e folti ricci neri che le incorniciavano il volto di porcellana.

Lisi deglutì e si morse nervosamente le labbra rosse. “Mi chiamo Lisi” disse con la voce che le tremava. “Ti prego, non… non farle del male: ha solo quattordici anni.”

L’uomo levò una mano e la posò sul mento della ragazza, quasi con delicatezza. “E tu quanti ne hai?” La stava studiando come se fosse un’opera d’arte; o forse un cavallo di cui stava valutando l’acquisto.

La giovane abbassò gli occhi a terra. “Ventidue.”

Mh.” L’uomo parve soddisfatto della risposta e fece un cenno al suo compagno. “Questa la teniamo” decise. “Non legatela troppo stretta, che mi sembra che abbia la pelle delicata. E prendete anche la ragazzina.”

Due uomini si fecero avanti e trascinarono via le due giovani. Clara si aggrappò al braccio dell’altra ragazza e a Neve parve quasi un po’ rinfrancata.

Una mano si strinse brutalmente sulla sua spalla e la giovane si ritrovò a fissare gli occhi scuri dell’uomo che l’aveva afferrata. Scoprire i denti fu un istinto che non riuscì a sopprimere e il brigante scoppiò a ridere. “Questa mi vuole mordere” sghignazzò, voltandosi verso il suo capo che aveva ancora gli occhi fissi su Lisi.

Mettiamole la museruola” borbottò distrattamente l’altro uomo.

Una parte del suo inconscio, quella parte che ricordava ancora i giorni della sua infanzia in cui le governanti le sussurravano che lei era migliore della comune plebaglia, sollevò improvvisamente il capo. “Non ci provare” sibilò a denti stretti.

La sua esclamazione attirò finalmente l’attenzione del capo dei briganti. “Quanta boria” mormorò morbidamente, agitandole la torcia davanti al volto. “Abbiamo forse una signora tra di noi?”

Neve si rigirò la risposta sulla lingua. Era da quando era entrata in convento che faceva del proprio meglio per mescolarsi con le altre ragazze: suo padre le aveva detto che era meglio così, che l’anonimato le avrebbe permesso di restare al sicuro. Adesso, però, aveva la sensazione che il suo titolo avrebbe potuto esserle d’aiuto: la figlia di un Conte aveva certo più valore di una comune contadinella, no?

Inspirando a fondo per darsi coraggio, Neve levò fieramente il capo (o almeno ci provò). “Esatto” confermò con voce squillante. “Io sono Neve Aralas, figlia dei Conti di Nevelunga. Trattami con il rispetto che mi devi.”

Sul volto del brigante con la torcia passarono in rapida sequenza tutta una serie di emozioni. Infine fece una cosa che Neve non si sarebbe mai aspettata: scoppiò a ridere.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Neve di Nevelunga” sghignazzò l’uomo. “L’ho sempre trovato un nome stupido.”

La ragazza non reagì. C’era poco da dire: era un nome stupido, ma le era stato assegnato per rispettare una tradizione vecchia di secoli.

Il brigante le afferrò i capelli della nuca e li tirò, costringendola a reclinare il capo all’indietro. Le avvicinò ancor di più la torcia al volto e Neve avvertì il calore della fiamma lambirle la guancia.

E quindi tu saresti la sorella di Lord Falco” mormorò il brigante, osservando con attenzione i lineamenti affilati del suo volto. “Sì, in effetti gli assomigli.”

Nell’udire il nome del fratello, lo stomaco di Neve si contrasse sgradevolmente, ma la ragazza si impose di non mutare espressione: di certo era troppo buio perché il bandito notasse lo sgomento che le aveva riempito gli occhi.

Io e tuo fratello abbiamo fatto buoni affari, in passato” continuò l’uomo, ammorbidendo la presa sui suoi capelli e permettendole di riassumere una posa più naturale. “So che si è sempre chiesto che fine avesse fatto la sua sorellina.”

Neve irrigidì la mascella: non rispondere a quella domanda le costava una certa fatica. Ho fatto la fine che mi ha fatto fare lui quando ha deciso di sfidare nostro padre e di ucciderlo, pensò con rabbia. La creatura nel suo petto si agitò in preda ai ricordi.

Il brigante non parve gradire il suo silenzio e le sue dita sprofondarono nuovamente nei capelli della giovane. “Hai perso la lingua, adesso?” le chiese strattonandola.

Neve serrò le labbra per trattenere un sibilo di dolore. “Non c’è niente da dire” fece poi, cercando di assumere un tono sdegnoso. Non mi sorprende che mio fratello faccia affari con dei criminali, aggiunse mentalmente, ma evitò di esternare ad alta voce quella considerazione.

L’uomo le rivolse un sorriso storto. “No, eh? Ma scommetto che Lord Falco avrà qualcosa da dire, quando ti riporteremo da lui.”

La ragazza sgranò gli occhi e il cuore le accelerò nel petto. “Non voglio tornare da lui!” Le parole le scivolarono fuori dalle labbra senza che lei potesse fare niente per trattenerle; e la voce le si spezzò, rivelando i suoi veri sentimenti. Non voleva tornare da Falco, no! Cosa l’era venuto in mente di rivelare la sua identità? Falco era il suo unico parente ancora in vita, era ovvio che quei banditi avrebbero cercato di ottenere qualcosa da lui! Che stupida, che sono stata, pensò la giovane, facendo del proprio meglio per ricacciare indietro le lacrime.

No?” chiese il brigante con voce suadente, tirandosela un po’ più vicina. “E perché mai? Non sarà perché non sei chi dici di essere e hai paura che il tuo caro fratello ti smascheri?”

Neve aggrottò la fronte. Davvero quell’uomo pensava che fosse un’impostora? Era davvero possibile che fosse all’oscuro di quelli che erano i rapporti tra lei e Falco, di quello che era successo quando, dieci anni prima, quello che allora era solo un ragazzo si era preso la Contea di Nevelunga?

Neve non sapeva cosa farsene, di quella rivelazione, e non sapeva nemmeno se fosse il caso di confermare nuovamente la sua identità. Ma che alternative ho? Se gli faccio credere di averlo preso in giro, questo mi ammazza!

La ragazza deglutì. “Sono Neve Aralas”, ripeté, “e non voglio tornare da mio fratello. Non è una brava persona.”

L’uomo le lasciò andare i capelli e le afferrò invece una spalla. “No?” le chiese inarcando le sopracciglia. “E noi ti sembriamo per caso brave persone?”

Neve lo fissò negli occhi ed ebbe l’impulso di fare qualcosa. Di sputargli addosso, di morderlo o forse di vomitare, chissà, ma invece si limitò a guardarlo impietrita. Il brigante scosse il capo e la spinse verso Lisi, che si mosse come per arrestare il suo movimento. La ragazza aveva però le mani legate dietro la schiena e non poté fare nulla per impedirle di inciampare e di finire contro Lona. Fortunatamente la giovane monaca era abbastanza grande e solida per evitarle di finire a terra.

Il brigante con la torcia si rivolse al suo compare con la pelle scura. “Tu guarda se ce n’è qualcun’altra che ci può essere utile: io inizio a portare via queste due.”

Così dicendo, l’uomo fece un cenno a uno degli altri banditi, che legò Neve nello stesso modo in cui erano state legate le altre ragazze. “Andiamo” disse poi, afferrando saldamente la spalla di Lisi e spingendola davanti a sé.

Il terzo brigante, che era più anziano di quello con la torcia e quello con la pelle scura, ma non meno forte, fece lo stesso con Neve, avviandosi dietro al proprio capo.

Aspettate!” La voce di Clara, simile a uno squittio, risuonò nel silenzio della cantina spezzato soltanto dal respiro affannoso delle monache che ancora aspettavano di conoscere il proprio destino. La ragazzina scattò verso Lisi e si piazzò al suo fianco, alzando sul bandito che la teneva prigioniera i suoi grandi occhi scuri e imploranti.

Clara…” mormorò Lisi in tono di avvertimento, temendo forse la reazione dell’uomo.

Quello però si limitò a osservare la ragazzina con espressione divertita. “Che vuoi, mucchietto d’ossa?”

Clara avvampò, un rossore ben visibile anche nella penombra della cantina. “Io…” la ragazzina cercò di spiegarsi, ma le parole parvero incastrarsi nella sua gola.

È abituata a stare sempre con Lisi e me” spiegò allora Neve. Sebbene non fosse legata a Clara quanto l’amica, intuiva che la ragazza sarebbe stata più al sicuro con loro che non con le altre monache. Se non altro, ci sono forse meno possibilità che veda morire qualcun altro. Spero.

Il brigante con la torcia le rivolse un’occhiata sarcastica. “È la tua servetta?” la interrogò.

Era una palese provocazione – o almeno credeva che lo fosse, le monache non avevano servitù – ma Neve piegò il capo in un gesto di dubbia interpretazione. “Potrebbe esserlo, se servisse” commentò sollevando una spalla.

Lisi le lanciò un’occhiata dubbiosa, ma lei rifiutò di sentirsi in colpa: se trovare uno scopo a Clara poteva servire per salvarle la vita, non si sarebbe fatta problemi a trattarla come una sua sottoposta.

Benissimo” commentò il brigante. “Chi sono io, per privare una nobildonna della sua ancella? Vieni anche tu, ragazzina, e non cercare di scappare: non mi faccio problemi a staccarti quella testolina pelata da quelle spalle ossute.”

Clara sussultò, forse per la minaccia o forse per l’insulto: un’infestazione di pidocchi avvenuta qualche mese prima aveva costretto la Superiora a rasarle i lunghi capelli castani e ora la ragazzina assomigliava a un pulcino spennacchiato.

Le tre giovani vennero condotte fuori dalle cantine, accompagnate dai due uomini che le tenevano prigioniere.

I raggi del sole primaverile la colpirono come uno schiaffo e Neve si sentì vacillare. Era tutto vero. Fintanto che era rimasta chiusa nell’atmosfera soffocante delle cantine, aveva avuto l’impressione che quello che stava accadendo fosse una sorta di illusione, un fatto confinato in una bolla di buio e umidità. Ma non era così. Il loro convento era davvero stato attaccato. La Superiora era davvero stata uccisa. E lei stava davvero per essere riconsegnata a Falco. Ammesso che mi rivoglia, pensò con un brivido di apprensione. Suo fratello aveva cercato di ucciderla: erano passati dieci anni, ma non aveva motivo di credere che nel frattempo avesse cambiato idea.

Nel cortile del convento c’erano decine di uomini sconosciuti; e cavalli. “Spero che sappiate cavalcare, signore” disse il capo dei briganti, passando la torcia a uno dei suoi compari che lo attendeva in cima alle scale. “Dobbiamo fare un po’ di strada e sarebbe davvero sgradevole dovervi trascinare per tutto il tempo.”

Così dicendo raggiunse un robusto cavallo baio e afferrò Lisi per la vita, issandola in sella. Mentre il suo carceriere la sospingeva fino a una giumenta grigia, Neve storse le labbra notando come l’uomo che comandava quella banda di predoni pareva essere profondamente affascinato dalla sua amica. Non le toglieva gli occhi di dosso, né le mani.

Lisi si lasciava manovrare come un oggetto inanimato, consapevole del fatto che opporsi sarebbe stato inutile. Stupita, Neve si accorse di avere in bocca il sapore ferruginoso del sangue: stava digrignando i denti senza nemmeno rendersene conto e, così facendo, si era morsa una guancia. C’era qualcosa che poteva fare per aiutare Lisi? C’era qualcosa che voleva fare?

Il brigante alle sue spalle le posò le mani sulla vita. “Su!” le ingiunse, sollevandola di peso e depositandola senza troppi complimenti sul dorso della giumenta. Non c’era nulla di sensuale nel tocco dell’uomo, che anzi sembrava maneggiarla come un sacco di patate: Neve gliene fu stranamente grata.

Aro!” fece il capo dei banditi, facendo cenno a un ragazzotto riccio e tarchiato. “Tu prendi la ragazzina.”

Il giovane fece come gli era stato ordinato e, una volta che anche Clara fu sistemata in sella a un cavallo, il gruppetto si avviò trottando fuori dal cortile del convento. Neve si contorse come meglio poteva per guardarsi alle spalle, lanciando un ultimo sguardo a quella che era stata la sua casa da quando aveva dodici anni: c’era un filo di fumo che indicava che qualcosa stava bruciando – forse le stalle? – e con la coda dell’occhio vide due uomini che trasportavano un baule dall’aspetto pesante.

Non aveva senso. Il loro convento era piccolo e non era certo il più ricco della zona: perché quei criminali avevano deciso di attaccarlo? Cosa speravano di ottenere da quella barbarie?

Sta’ dritta, principessa” le disse il brigante che cavalcava con lei, premendole un braccio contro le costole per spingerla a guardare di nuovo in avanti.

Contessa” lo corresse lei tra i denti. Un’abitudine che risaliva al passato, a quando ancora poteva fregiarsi di quel titolo.

È la stessa cosa” tagliò corto lui.

Neve serrò la mascella ed evitò di rispondere, costringendosi invece a fare un paio di respiri lenti e profondi per calmare il tumulto del proprio cuore e per mettere a tacere l’istinto che le ordinava di lottare per liberarsi.

Sarebbe stato facile lasciare libero dominio alla cosa che si dibatteva dietro al suo sterno. Erano passati più di dieci anni dall’ultima volta che Neve aveva lasciato libero il demone che viveva nel suo petto, ma non aveva alcun dubbio che se glielo avesse permesso, quello avrebbe preso il sopravvento sui suoi sensi e sul suo corpo in un istante. 

Tuttavia la giovane aveva coscienza del fatto di non poter lasciare che questo accadesse. Sapeva che, se avesse abbracciato quella parte del suo essere come avevano fatto Falco e i suoi cavalieri quando si erano ribellati al Conte di Nevelunga, il brigante che la teneva prigioniera non avrebbe avuto scampo. I lacci che le bloccavano i polsi si sarebbero spezzati, la giumenta le sarebbe sembrata più fragile di un gattino e la spada del bandito non sarebbe riuscita a ferirla. Nessuno dei tre uomini che viaggiavano con lei sarebbe riuscito a farle del male: erano troppo pochi, servivano forze ben maggiori per soggiogare la creatura. Ma quale sarebbe stato il prezzo della libertà?

Neve era ben consapevole della presenza di Lisi e di Clara: l’essere fatto di rabbia e furore che viveva in lei non avrebbe fatto distinzioni tra amici e nemici. Davanti alla sua furia, sarebbero caduti tutti. Me compresa, pensò la giovane con un tremito.

Falco non si era perso quando si era incamminato lungo la Strada del Lupo, e nemmeno i suoi cavalieri l’avevano fatto, ma lei non era come loro. L’aveva scoperto nel momento sbagliato, con la persona sbagliata, e suo fratello non gliel’aveva mai perdonato. 

La prima e unica volta che aveva perso il controllo, Neve era solo una bambina di undici anni e la creatura era ancora troppo giovane per vivere autonomamente. Neve era solita immaginarsela come un cucciolo rannicchiato al di sotto delle costole, un cucciolo bianco come l’inverno, morbido come il cotone, ma con denti aguzzi e artigli affilati. L’aveva quasi considerato un amico, qualcuno che poteva darle man forte contro le angherie del fratello. 

Non ci aveva messo tanto a capire che quell’essere non era suo amico. Da bambina, Neve era riuscita a sottrarsi alle sue grinfie, ma sarebbe riuscita a fare lo stesso, ora? Anche se gli anni trascorsi nella pace del convento l’avevano aiutata a trovare equilibrio e serenità, Neve sapeva che quella parte di sé che lottava per tenere nascosta non aveva fatto altro che crescere e rafforzarsi e diventare più arrabbiata. Per questo ricordava sempre le parole che la sua governante le aveva sussurrato prima di consegnarla alle cure della Superiora: non puoi vivere senza di lei, le aveva detto, puntando il dito al suo petto, ma non puoi vivere nemmeno con lei. Tienila a bada. Non lasciare che abbia la meglio, perché ti divorerebbe.

Tienila a bada, si ripeté anche in quel frangente, mentre il bandito che montava dietro di lei spingeva la giumenta giù per il pendio che conduceva verso la forra boscosa che dava il nome alla contrada. Non lasciarla uscire.

Malgrado tutto, la tentazione c’era; e cedervi sarebbe stato così facile. Neve però chiuse gli occhi e fece ancora qualche respiro profondo, lasciando che le parole della Preghiera della Madre le accarezzassero la mente.

La tensione che le cresceva nel petto la abbandonò, e con essa anche parte delle forze che l’avevano sostenuta fino a quel momento. Non mi sto arrendendo, si disse, lasciandosi ricadere un po’ contro il petto del bandito. Troverò un’altra via per liberarmi. Troverò un altro modo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Nei dieci anni che aveva passato nella contrada di Forrascura, Neve non era quasi mai uscita dal convento. Il bosco che si estendeva in fondo alla valle era sempre stato soltanto un'enorme ombra verde - o nera d'inverno - dal quale giungeva il canto degli uccelli e, di tanto in tanto, il richiamo di una volpe o di un lupo.

Ora che vi entrava a dorso di cavallo, con le mani legate dietro la schiena e tenuta in equilibrio dalle mani rudi di un uomo al quale non importava nulla di lei, la ragazza aveva l'impressione che gli alberi che la componevano fossero insolitamente alti e scuri, diversi da quelli che crescevano nelle foreste che aveva frequentato nella sua infanzia.

Nell'aria c'era un denso odore di terra umida, foglie marce e linfa, il sentore della vita che si risvegliava dopo il rigore dell’inverno. Tutto intorno a lei, il marrone cupo del terreno ricoperto di fango si mescolava con il verde intenso dei germogli primaverili e con il bianco delle prime campanule che crescevano un po’ ovunque nel sottobosco. Il sentiero su cui stavano procedendo era talmente stretto che i cavalli ci passavano a malapena e si dipanava serpeggiando tra imponenti rocce nere e coperte di muschio.

Il capo dei briganti non sembrava preoccuparsi di non fare rumore e di tanto in tanto indicava un particolare elemento del paesaggio, come se le tre ragazze che aveva strappato dalla sicurezza del convento fossero dell’umore adatto per apprezzare la natura che le circondava. “Questi sono i massi delle fate” disse a un certo punto, indicando una roccia che si levava alla destra del sentiero. “Si dice che siano stati messi qui a guardia della foresta e dei suoi abitanti.”

Neve cercò di soffocare uno sbuffo sarcastico, senza però riuscirvi del tutto. 

Non credi nelle fate?” le chiese a mezza voce il brigante che cavalcava con lei. Parlava piano, come per non farsi sentire dalle creature di cui aveva appena pronunciato il nome. Come per non offenderle.

No” rispose asciutta la giovane. Le fate, i folletti e tutto il resto vivevano solo nelle leggende e nelle fiabe che si raccontavano ai bambini, ed era ridicolo che degli uomini adulti si lasciassero cogliere da quelle suggestioni.

Però ho sentito dire cose strane a proposito di voi gente del nord” proseguì l’uomo, apparentemente appassionandosi all’argomento di conversazione. “Anche a proposito di Lord Falco. Se solo metà delle cose che si raccontano sono vere, non vedo perché non debbano esistere le fate.”

D’istinto, Neve irrigidì la schiena. “Non so di cosa stai parlando” replicò, sperando che la voce non le tremasse, rivelando la bugia. “Quali sono le cose che si raccontano? Non vedo mio fratello da dieci anni e mai nessuna voce sul suo conto è arrivata al convento.”

Il brigante esitò, cercando forse di decidere se fosse davvero il caso di fornire alla prigioniera quelle informazioni, vere o false che fossero. “Si dice che abbia la capacità di trasformarsi in un lupo” mormorò dopo qualche secondo. “Pare che sia in grado di assumerne la forma e di vagare per i boschi cacciando come fanno quegli animali. Alcune persone giurano anche di averlo visto compiere sortilegi oscuri, mentre altre sostengono che non sia lui stesso a compiere quegli incantesimi, ma una strega che ha a servizio.”

La ragazza aggrottò la fronte. Per quanto fantasiosa e in un certo senso esagerata, poteva capire da dove giungesse la diceria secondo la quale Falco era in grado di mutare forma e diventare un lupo. Ma la magia? Le accuse di stregoneria? Quelle voci le giungevano davvero del tutto nuove. Superstizioni, si disse dopo una breve riflessione. La gente vede quello che crede di vedere; e questo è tanto più vero per la gente ignorante e che non conosce i modi delle terre del nord.

Deglutendo un paio di volte per schiarirsi la voce, Neve scosse il capo. “Sono tutte sciocchezze” dichiarò con forza. “Mio fratello è nato da una donna mortale, esattamente come me, e nelle sue vene non scorre certo il sangue di una bestia, né una singola goccia di magia. Ammesso poi che una simile cosa esista al di fuori dei racconti e dei canti dei bardi.”

Suvvia, contessina.”

La voce del capo dei briganti suonò sprezzante e Neve spostò lo sguardo su di lui, incontrando i suoi occhi chiari al di sopra della spalla dell’uomo: erano occhi del colore del ghiaccio perenne, gelidi e al tempo stesso animati da una lingua di fuoco azzurro. Per un istante pensò di trovare in essi una somiglianza con quelli del fratello, ma no: nonostante tutto, gli occhi di Falco erano infinitamente più freddi.

Neve aggrottò la fronte. “Cosa c’è?”

Il brigante sogghignò, mettendo in mostra il suo sorriso affilato. “Anche se non lo vedi da tempo, converrai che in Lord Falco c’è davvero un qualcosa di animale: il modo in cui ha sottratto la Contea a tuo padre non è certo un segreto, e il trattamento che riserva a certi suoi nemici…”

L’uomo lasciò sfumare la frase e finse di rabbrividire. Neve serrò i denti. Sapeva perfettamente a cosa stava facendo riferimento. O, meglio: sapeva cos’era successo a suo padre, quando Falco e le sue bestie avevano attaccato. 

E quindi?” ribatté dopo essersi costretta a rilassare la mascella. “Il fatto che si comporti come una bestia non significa che lo sia davvero.” Fu sul punto di dire che il loro comportamento non era poi migliore di quello di Falco, ma si trattenne, perché sarebbe stata una bugia. Anche se il risultato finale era lo stesso, la tecnica era ben diversa. 

Il brigante sostenne il suo sguardo per alcuni istanti, poi fece rallentare il proprio cavallo, permettendo alla giumenta grigia di affiancarlo. Quando fu accanto a lei, Lisi le lanciò uno sguardo confuso, forse stupita dal fatto che stesse conversando con i loro rapitori.

Neve la ignorò. Capiva la confusione dell’amica, ma intendeva ottenere quante più informazioni possibili sul conto del fratello. Se davvero presto sarebbe stata costretta a incontrarlo, desiderava almeno sapere con un certo anticipo a cosa stava per andare incontro.

Forse è così, contessina, riprese l’uomo a capo del gruppetto di criminali, “o forse sai più di quello che dici e ti rifiuti di condividere il tuo sapere con noi. Il che è piuttosto maleducato da parte tua, visto che ti stiamo tutto sommato trattando bene, no?”

In quelle parole le parve di scorgere una velata minaccia, ma la giovane tentò di non farsi intimidire. Non sapeva nulla di quegli uomini, non sapeva chi fossero, cosa volessero, cosa sapessero e perché avessero attaccato proprio il suo convento: si era trattato di una coincidenza o c’era dell’altro? Raccontar loro del dono che scorreva nelle vene di Falco e di tutti gli antenati di sua madre sarebbe stata pura follia.

Non so cosa dirti” replicò con quella che le parve una voce sufficientemente altera. “Mi pare di capire che vuoi che ti riveli qualcosa sul conto di mio fratello, ma tu lo conosci meglio di me, ormai. Intendi forse punirmi per questo?”

L’uomo piegò le labbra in una linea che forse avrebbe voluto essere un sorriso, ma che, in realtà, parve solo una smorfia. “No di certo” la rassicurò. “Sei troppo preziosa per essere punita e sei pur sempre la sorella di tuo fratello.”

E dunque?” replicò lei, presa in contropiede da quell’osservazione. 

E dunque”, le fece eco il brigante, “credo che ci siano ottime probabilità che la cosa che scorre nelle vene di Lord Falco scorra anche nelle tue. Il che rende consigliabile un approccio prudente.”

Neve non riuscì a evitarlo: la bocca le rimase socchiusa in un’espressione allibita e lei guardò con occhi sgranati il suo interlocutore. Dunque sapeva. O, se non sapeva, quantomeno sospettava. Il bandito era a conoscenza del fatto che Falco non era davvero un uomo come tutti gli altri e aveva intuito - o forse immaginato - che la caratteristica che lo rendeva speciale viveva anche in sua sorella. Eppure l’aveva presa con sé. L’aveva presa con sé e, sebbene la tenesse prigioniera, in un certo qual senso la rispettava. O forse la temeva, che, in fin dei conti, era quasi la stessa cosa.

Le preghiere che aveva recitato poco prima avevano acquietato la creatura nel suo petto, ma nel vedersi riconosciuta essa si espanse quasi stiracchiandosi e vibrò soddisfatta. Era come se facesse le fusa, la bestiolina.

Neve si ripiegò istintivamente in avanti: non poteva portarsi le mani al petto e allora cercò di comprimere lo sterno contro il collo della giumenta. Le mani del brigante che montava dietro di lei le si strinsero attorno alla vita impedendole di sbilanciarsi, ma la mossa non sfuggì al suo capo.

I suoi occhi azzurri ebbero uno scintillio che alla ragazza parve quasi un cenno d’assenso.

Il resto del viaggio trascorse in silenzio, ma Neve sentì per tutto il tempo su di sé gli occhi chiari di Lisi. La ragazza la stava guardando, osservandola con un’attenzione quasi maniacale, e lei era consapevole di non poter sfuggire per sempre al confronto. Se mai avessero avuto occasione di trovarsi di nuovo sole o al massimo in compagnia di Clara, la giovane l’avrebbe certamente tempestata di domande, pretendendo che Neve facesse luce su tutti gli aspetti del suo passato sui quali aveva taciuto negli ultimi dieci anni.

Fino a quel momento, però, Neve era determinata a rifugiarsi nel santuario della propria testa, passando in rassegna  i pensieri che la affollavano e cercando di mettervi ordine. 

Cavalcarono per un tempo che la ragazza non fu in grado di definire e infine giunsero in una radura che sarebbe stata uguale a molte altre che avevano superato, se non fosse stato per le dozzine di tende di stoffa che vi erano state sistemate. Neve cercò di contarle con un colpo d’occhio, ma l’accampamento si estendeva anche tra gli alberi e la giovane non riuscì a capire quanti briganti fossero presenti in quel campo. Quel che notò fu che tra le persone che si radunarono in fretta attorno a loro c’erano soprattutto donne e bambini, un particolare che la sorprese. Era evidente che la maggior parte degli uomini era ancora impegnata a saccheggiare il convento, ma non si era aspettata che quei criminali si spostassero con mogli e figli.

Mikel!” esclamò un uomo dai lunghi capelli grigi e folti baffi. “Dove sono gli altri? Queste sono tutte le donne che siete riusciti a procurarvi?”

Non preoccuparti, padre” replicò con un mezzo sorriso quello che fino a quel momento Neve aveva identificato come il capo dei briganti. “Gli altri ci raggiungeranno a breve. Ho preferito iniziare a portare via queste tre, però: una di loro è un bottino prezioso.”

L’uomo più anziano fissò il figlio con aria inquisitoria. “Ovvero?”

Mikel si avvicinò a Neve e la aiutò a smontare da cavallo. “Te lo spiego tra poco. Nel frattempo saresti così gentile da trovare una tenda per queste tre signorine? Una tenda ben sorvegliata, se possibile.”

Suo padre aggrottò la fronte, forse contrariato da quella richiesta, ma poi annuì. “Quella lì è vuota” disse, indicando una tenda verso i margini della radura. “Puoi sistemarle lì, per ora. Poi però pretendo che mi spieghi chi sono e perché ritieni che siano tanto importanti.”

Naturalmente” acconsentì di buon grado l’uomo più giovane. Poi tornò verso il proprio cavallo, afferrò Lisi per la vita e la depositò a terra. “Tutto bene?” le chiese a mezza voce. La giovane chinò il capo e annuì in silenzio.

Il giovane riccio si occupò di Clara e poco dopo le tre ragazze vennero accompagnate fino alla tenda che era stata loro indicata dal brigante più anziano. 

Eccoci qui, signore” annunciò serafico Mikel, esaminando la tenda come se pensasse di trovarvi chissà cosa. Era un atteggiamento piuttosto stupido, dal momento che non c’era proprio nulla da vedere, se si escludevano i quattro materassi da campo sistemati l’uno accanto all’altro e una sorta di straccio sudicio che fungeva da tappeto. “Adesso vi slego” disse, rivolgendo un cenno ai due uomini che erano stati con lui al convento. “Siate intelligenti, comportatevi bene e cercate di non commettere sciocchezze. Mi rivolgo soprattutto a te, Contessina.”

Neve si strinse nelle spalle e si morse le labbra per non rispondergli a tono. Altrimenti che cosa fai? Avrebbe voluto dirgli. Se davvero sospettava qualcosa sul suo conto, allora avrebbe anche dovuto sapere che c’era ben poco che poteva fare per trattenerla, se proprio avesse voluto scappare infischiandosene delle conseguenze. Considerata la situazione, però, scelse di rimanere in silenzio: era stupido sfidare quell’uomo strano, che sembrava conoscere il segreto di Falco senza però temerlo veramente.

Il brigante che aveva cavalcato con lei recise la corda che le imprigionava i polsi e Neve gemette mentre il sangue tornava a scorrerle nelle mani. Il formicolio che le avvolse era insopportabile e la ragazza le scosse più volte, cercando di riguadagnare la sensibilità nelle dita.

Evidentemente soddisfatto della scena che aveva davanti agli occhi, Mikel annuì. “Perfetto. Vi lascio riposare un po’. Lascio un paio di uomini attorno alla vostra tenda… giusto per tenere lontani i malintenzionati. Se avete bisogno di qualcosa, chiedete pure a loro.”

Con quelle parole l’uomo si accomiatò e uscì dalla tenda portandosi dietro i propri compari. 

Clara, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, rigida come uno stoccafisso, emise un suono simile a un singhiozzo e poi si accasciò sul materasso più vicino, rannicchiandosi in posizione fetale.

Via, via” la esortò Neve, sfiorandole una gamba con la punta di un piede. “Non fare così, Clara: dobbiamo restare forti.”

In verità, la reazione della ragazzina era del tutto comprensibile, ma per qualche motivo la sua disperazione la infastidì. Per tutta risposta, Clara gemette un po’ più forte e si portò le mani al volto, soffocando contro i palmi un gorgoglio umido.

Neve deglutì, a disagio. Non era mai stata brava a consolare le persone e così si voltò verso Lisi in cerca di aiuto. La ragazza la stava però guardando con la fronte aggrottata in un’espressione pensierosa e con una strana luce negli occhi chiari. 

Contessina?” le chiese in tono d’accusa.

Neve gemette: era evidentemente arrivato il tempo di affrontare quella discussione che aveva tanto sperato di poter posticipare ancora per un po’.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Neve si strinse nelle spalle e poi si sedette su uno dei materassi ancora liberi, facendo cenno a Lisi di prendere posto accanto a lei. La ragazza bruna incrociò però testardamente le braccia davanti al petto e la fissò con un’espressione determinata.

Neve sospirò: quando la sua amica si metteva in testa una cosa, distrarla era quasi impossibile.

Sì, be’”, borbottò allora, scrollando ancora le spalle, “la storia l’hai sentita. Non credo che ci sia bisogno di aggiungere altro.”

Lisi storse le labbra. “Non capisco perché non mi hai mai detto niente. Ci conosciamo da dieci anni!”

Rannicchiata sul suo materasso, Clara smise di singhiozzare e si mise in ascolto.

Non ho mai detto niente perché mi hanno raccomandato di non farlo” sbuffò Neve. “Credo che tu sappia quello che è successo a Nevelunga, no? Mia madre è sparita nel nulla e mio fratello ha ucciso mio padre: quando mi hanno portata al convento, tutti pensavano che Falco avrebbe tentato di uccidere anche me. Mi hanno portata via di nascosto, con il preciso intento di far perdere le mie tracce. Cosa potevo fare? Allora ero solo una bambina ed ero spaventata a morte, mi sembra solo naturale che io abbia tenuto la bocca ben chiusa.” Quando Lisi annuì quasi controvoglia, Neve continuò: “Con il passare del tempo, poi, quello che ero è diventato sempre meno importante. Quel tipo là fuori mi chiama contessina, ma lo fa solo per prendermi in giro: quando sono entrata in convento ho rinunciato ai miei titoli, quindi non ho più il diritto di farmi chiamare così. Ormai io sono solo Neve del convento di Forrascura.”

Lisi reclinò il capo sulla spalla com’era solita fare quando rifletteva. Dopo qualche istante le si avvicinò e si sedette a poca distanza da lei. “Non è quello che hai detto a Mikel, però.”

Neve inarcò le sopracciglia chiare. “Mikel?” le fece eco.

Sulle gote dell’altra ragazza comparve un lieve rossore. “Si chiama così, no?”

Cer-to” scandì lentamente Neve, insospettita dalla strana famigliarità che Lisi sembrava aver sviluppato con il capo dei briganti. Quella storia le puzzava, ma era qualcosa su cui avrebbe dovuto riflettere un’altra volta.

Quindi?” insistette Lisi, spronandola a rispondere.

Neve si coprì per qualche secondo gli occhi con le mani, prima di farle ricadere rumorosamente sulle ginocchia. “Non so perché gli ho detto che ero la sorella di Falco. È stata un’idea stupida, suppongo, ma mi è venuto d’istinto.” Arrossendo, la ragazza proseguì: “Immagino che sia una sorta di automatismo che mi porto dietro da quando vivevo ancora a Nevelunga. Una volta mi bastava sbandierare il mio titolo perché gli altri bambini mi rispettassero. Visti i risultati, non avrei dovuto dirglielo.”

Almeno siamo vive” pigolò timidamente Clara dal suo materasso.

Per ora” ribatté amaramente Neve. “Non posso tornare da Falco: quello mi ammazza.”

Lisi la fissò con i suoi begli occhi verdi. “Ma ne sei proprio sicura?”

Neve si mordicchiò le labbra. Sì, ne era sicura, perché sapeva di per certo che Falco la considerava un pericolo da eliminare. E non a torto, sussurrò una vocina che giungeva da quella parte della sua mente che odiava e temeva la creatura che le viveva nel petto. “Ne sono abbastanza certa, sì” mormorò senza scendere nei dettagli. “Non so se fino a ora abbia mai cercato di trovarmi, ma la cosa migliore sarebbe se pensasse che fossi già morta.”

Qualcuno sa che sei… che eri al convento?” le chiese ancora Lisi.

Le persone che mi hanno portato qui lo sanno” annuì Neve. “La mia governante e i cavalieri che erano rimasti fedeli a mio padre. Non so se siano ancora vivi, però. In ogni caso, se Falco non è venuto a cercarmi al convento, significa che non hanno parlato.”

La ragazza bruna le si avvicinò fino a prenderle le mani tra le sue. “Perché tuo fratello ti odia tanto?”

Neve si irrigidì. Oh, no. Quella non era un’informazione che desiderava condividere con Lisi e Clara. Non avrebbero capito. Come avrebbero potuto farlo, se nemmeno lei aveva mai veramente capito la propria natura? “Questioni di famiglia” ribatté decisa. “Scusami, ma preferisco non parlarne.”

Lisi le lasciò le mani e si ritrasse, visibilmente ferita dalla sua freddezza.

Nella tenda scese un silenzio teso che Clara spezzò dopo qualche minuto. “Non c’è nessuno che ti possa aiutare?” chiese con la sua vocetta sottile. “Re Johan, forse…”

Neve scosse il capo con un sospiro carico di sarcasmo. “Il nostro Re non ha alcun interesse a controllare le terre del nord. È così da sempre: il nord si autogoverna, ogni tanto qualcuno ammazza qualcun altro e alla fine l’equilibrio e il pagamento delle tasse rimangono garantiti. È sempre stato così, stando a quanto mi ha spiegato mio padre prima di… prima che io venissi a Forrascura. Il nord non infastidisce la Capitale e la Capitale non ficca troppo il naso negli affari del nord; e tutti sono contenti e soddisfatti.”

Lisi si chinò in avanti, gli occhi fissi sull’apertura della tenda, oltre la quale era possibile scorgere la sagoma di alcuni uomini. “Quindi cosa intendi fare?” le chiese sottovoce, con il chiaro intento di non farsi sentire da chiunque potesse essere in ascolto.

L’altra ragazza scosse mestamente il capo. “Non ne ho idea” ammise. “Non ne ho davvero idea. Forse potrei provare a ragionare con questi uomini, ma dubito di poter ottenere qualche risultato. Prima di consegnarmi a lui, chiederanno di certo un riscatto a Falco e io non posso certo sperare di pagare più di lui…”

E se Lord Falco non ti volesse?” chiese Clara, che evidentemente stava cercando di farsi forza e di dare qualche speranza alla compagna.

Improbabile”, commentò Neve, “ma auspicabile.”

Né Clara né Lisi sembrarono aver altro da aggiungere a quel punto e Neve si portò le mani alla testa, esalando lentamente nel tentativo di allentare un po’ la tensione che le mordeva i muscoli del collo. La treccia in cui aveva stretto come di consueto i capelli chiari le stava irritando il cuoio capelluto e così la ragazza la sciolse, lasciando che i capelli biondi le ricadessero pesantemente sulla schiena. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che li aveva lasciati sciolti in presenza di altre persone?

La sua mente rievocò un ricordo sbiadito, soffocato dalla miriade di altri ricordi che si erano sovrapposti a esso. C’era un fuoco acceso in una stanza che profumava di cannella e chiodi di garofano, c’era un tappeto morbido sotto le sue ginocchia e un corpo caldo dietro di lei, dita delicate che le accarezzavano i capelli, dividendo con dolcezza le ciocche. C’era profumo di mamma e il suo cuore era colmo di pace.

C’erano anche delle parole sussurrate, raccomandazioni che non avevano avuto molto senso alle sue orecchie di bambina. La mia piccola guerriera, aveva mormorato sua madre; e Neve non aveva capito il perché di quel titolo. Sì, le era capitato di prendere a sassate qualche altro bambino e sì, una volta aveva morso la mano di una sua compagna di giochi e non l’aveva lasciata andare finché la governante non era venuta a liberare la sventurata, ma non poteva certo dirsi una guerriera.

Verrà un giorno in cui dovrai combattere, piccola mia, le aveva detto sua madre. Quando quel giorno arriverà, non aver paura di percorrere la Strada del Lupo. È nel tuo sangue: quando sarà il momento saprai cosa fare.

All’epoca Neve era già consapevole dell’animaletto che viveva rannicchiato dietro le sue costole, del cucciolo che ogni tanto borbottava in lei. Già allora aveva l’impressione che non fosse un lupacchiotto, ma Neve ricordava distintamente di non averne mai parlato con sua madre. Perché una mamma le sa, certe cose, si era detta. La mamma sa sempre tutto e non ha bisogno che glielo dica io.

La ragazza si domandò se sua madre sapesse veramente tutto, se fosse consapevole della natura dell’essere che viveva in lei. Non aveva mai avuto modo di chiederglielo: ricostruire lo scorrere del tempo era impossibile, ma la giovane sapeva che, poco tempo dopo la scena dei suoi ricordi, la donna era inspiegabilmente svanita nel nulla. Con ogni probabilità era morta.

D’impulso Neve si afferrò i capelli in un pugno e li attorcigliò come per fissarli di nuovo sul capo. All’improvviso il fatto di lasciarli sciolti le sembrava quasi sacrilego, come se facendolo avrebbe in un qualche modo offuscato l’ultimo ricordo che aveva di sua madre. Rendendosi conto di quello che stava facendo, la ragazza si obbligò a lasciare la presa. Aveva mal di testa e non aveva senso torturarsi in quel modo. La situazione in cui si trovavano era già abbastanza sgradevole così com’era.

Dopo qualche tempo Clara si mise a sedere e si guardò attorno con occhi nervosi.

Cosa c’è?” le chiese Lisi, sollevando appena il capo dal materasso sul quale stava sonnecchiando, stremata dallo stress della giornata.

La ragazzina arrossì. “Devo usare il bagno” confessò.

Neve si mordicchiò le labbra: a breve anche lei avrebbe avuto lo stesso problema. All’interno della tenda non c’era però nulla che potesse fare a caso loro, nemmeno un lenzuolo che potesse garantire loro un minimo di riservatezza.

Con un sospiro, la giovane si alzò in piedi, ignorando le fitte a schiena e gambe dovute alla cavalcata fuori programma. Anche se era imbarazzante, non avevano altra scelta che chiedere aiuto agli uomini che Mikel aveva messo a guardia della loro tenda. 

Scostando il lembo che fungeva da porta, Neve sporse il capo all’esterno e si trovò di fronte al giovane che aveva cavalcato con Clara e a un ragazzo biondo. “La mia amica ha bisogno di andare in bagno” annunciò senza giri di parole. Era molto più semplice far credere che fosse Clara l’unica ad avere problemi con la vescica, piuttosto che ammettere che anche lei iniziava ad avere una certa urgenza di fare pipì.

I due ragazzi si scambiarono un’occhiata. “Vediamo di procurarvi qualcosa” disse il giovane biondo. Aveva un viso gradevole e dall’espressione quasi amichevole: Neve si trovò a pensare che era un vero peccato che facesse parte di quella banda di criminali.

La ragazza annuì e fece per rientrare all’interno della tenda, ma in quel momento l’occhio le cadde su un gruppetto di persone raccolte attorno a un vecchio castagno. Mila! Shandra! Pensò, riconoscendo due delle sue consorelle. Erano due monache che avevano suppergiù la sua età e che non si erano trovate nelle cantine quando era avvenuto l’attacco. Evidentemente i briganti avevano rastrellato il convento e avevano portato in quella sorta di accampamento tutte le donne che avevano reputato di un certo valore.

Prima che avesse modo di cogliere qualche particolare in più, la guardia bionda si frappose tra lei e il gruppetto di monache. “Ah-ah!fece in tono di rimprovero. “Torna dentro, dai: lo sai anche tu che Mikel non vuole che ti guardi in giro.”

Neve aggrottò la fronte, cercando di prendere tempo. “Ma che male può fare se mi guardo un po’ in giro? Sono comunque vostra prigioniera.”

Il ragazzo scosse il capo. “Dentro!” le ordinò, puntando un indice verso la tenda.

Con un sospiro sconfitto, la giovane fece come le era stato chiesto.

Allora?” le chiese Clara, incrociando penosamente le gambe.

Neve le rivolse un’occhiata di compatimento. “Hanno detto che adesso ci portano qualcosa” replicò. “Cerca di resistere o, se proprio non ci riesci, vai in un angolo e solleva il tappeto.”

La ragazzina avvampò. “Resisto” borbottò a denti stretti.

Bene” sospirò Neve, rivolgendole un cenno d’assenso. Poi si voltò verso Lisi. “Ci sono delle nostre consorelle, là fuori. Credo che le abbiano legate a un albero.”

La giovane bruna si mise immediatamente a sedere. “Chi sono? Hai riconosciuto qualcuno?”

Neve si mordicchiò le labbra. “Ho visto chiaramente solo Shandra e Mila, poi mi hanno costretta a rientrare. Comunque mi sembrava che ci fossero solo donne giovani: non so cosa ne abbiano fatto delle altre.”

Lisi chinò mestamente il capo e Neve tentò di reprimere un brivido d’orrore. Se la sorte toccata alla Superiora era un indizio, non ci voleva certo un genio per capire cosa fosse successo alle loro consorelle più anziane.

Clara ondeggiò mestamente sul posto, cingendosi il ventre con le mani. “Secondo voi cosa ne faranno? Cosa ci faranno?”

Tenteranno di venderle come schiave ai pirati che trafficano con le terre che si trovano al di là dell’oceano” replicò cupamente Lisi. “Sembra che… da quello che so, quella è la sorte che tocca a quasi tutte le donne che cadono in mano a predoni come questi.”

La ragazza più giovane rabbrividì. “Credi che finiremo anche noi oltre oceano?”

Neve serrò i denti. Era evidente che lei non era inclusa in quel noi: lei sarebbe finita a Nevelunga, dove avrebbe incontrato il suo destino. Forse sarebbe meglio venir mandata al di là del mare, dove nessuno mi conosce e dove potrei iniziare una nuova vita. Per quanto miserabile, non può essere peggiore di quella a cui mi costringerà Falco, ammesso che mi lasci vivere!

A quel pensiero, la creatura nel suo petto ebbe un fremito rabbioso. Oh, se Falco avesse cercato di ucciderla, lei non sarebbe stata a guardare come una preda inerme. Si sarebbe difesa con le unghie e con i denti e gliel’avrebbe fatta vedere lei, l’avrebbe morso e graffiato e avrebbe assaggiato il suo sangue, ne avrebbe ricordato il sapore e…

No! Neve rinculò fisicamente e si costrinse ad abbandonare quei pensieri. Non avrebbe ceduto alla bestia. L’avrebbe tenuta nascosta, controllata. Ma a che pro? Le chiese una sorta di coscienza ribelle. Se Falco sarà sul punto di ucciderti, che senso ha resistere a quello che sei? È meglio la morte o una nuova forma d’esistenza?

Prima che avesse modo di rispondere a quel quesito, Lisi si alzò e le posò una mano sulla spalla. “Tutto bene?” le chiese guardandola con un’espressione preoccupata nei grandi occhi verdi.

Neve annuì. “Sì, è tutto a posto” mormorò con voce roca. “Ho solo avuto un momento di debolezza: devo essere stanca.”

Lisi la studiò con aria scettica, ma, sebbene fosse evidente che non le credeva, evitò di commentare, scegliendo invece di rispondere a Clara. “Non so cosa ne sarà di noi, ma suppongo che tu accompagnerai Neve a Nevelunga: hanno deciso che le farai da ancella e le ancelle seguono ovunque le loro signore.”

Clara storse le labbra pallide, incerta se apprezzare o meno quella prospettiva, e Neve si sentì arrossire: lei non era più abituata a essere la signora di nessuno.

Io, invece”, continuò Lisi con una smorfia, “verrò con ogni probabilità venduta oltre oceano. A Neve non servono due servitrici.”

Mentre pronunciava quelle parole Lisi tenne gli occhi bassi e Neve la fissò con uno sguardo indagatore. “Oh, io non ne sarei così certa, se fossi in te” replicò lentamente, studiando la reazione dell’amica. “Mikel sembra aver sviluppato un certo interesse nei tuoi confronti.”

Le guance pallide di Lisi si tinsero di rosa. “Oh, non lo so. Non credo che si farà problemi a cedermi in cambio di un po’ di quattrini.”

È arrossita? Si chiese Neve incredula. Perché è arrossita? Non può essere… affascinata da quel tizio!

Lisi” esordì con voce cauta, ma in quel momento l’entrata della tenda si spalancò e Neve si voltò di scatto per fronteggiare il nuovo arrivato.

All’interno del rettangolo luminoso della soglia si stagliava la figuretta di una ragazzina che non poteva essere molto più grande di Clara. Aveva la pelle talmente scura che a tratti pareva avere riflessi bluacei, vestiva abiti maschili e in mano reggeva una padella dall’aspetto inequivocabile. 

Allora!” esclamò la ragazzetta con un gran sorriso. “Mi hanno detto che qualcuno se la sta facendo addosso!”

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Con le guance in fiamme, Clara si alzò e raggiunse la ragazzina, prendendo con cautela la padella che quella le stava porgendo.

Ci puoi portare anche una coperta o qualcosa da appendere?” le chiese Neve, indicando l’angolo della tenda in cui Clara stava sistemando la padella.

La nuova arrivata annuì e poi la scrutò da capo a piedi. “Sei tu Neve?” indagò. Quando la giovane bionda fece un cenno d’assenso, sorrise soddisfatta. “Io sono Ciela” si presentò. “Mikel dice che devo venire con te da Lord Falco. Dice che avrai bisogno d’aiuto e che quella lì non è probabilmente in grado di essere una buona ancella.”

Sentendosi nuovamente chiamata in causa, Clara si rabbuiò e si strinse nervosamente le braccia esili attorno al petto.

Piccola maleducata, pensò Neve guardando con aria severa la giovane dalla pelle scura. “E tu pensi di essere una buona ancella?” le chiese in tono scettico.

Quella scosse il capo. “Proprio per niente” ammise in tutta tranquillità. “Ma Mikel vuole che ti segua, quindi io obbedisco.”

Neve sbuffò con sdegno. “Mi piacerebbe capire perché Mikel creda che mi servirà tutto questo aiuto, una volta che tornerò a Nevelunga.”

Ciela inarcò le sopracciglia scure. “Tutte le signore nobili hanno bisogno di qualche tipo di servitù” osservò con aria confusa. “Non è così?”

Non quelle che sono state dieci anni in convento” ribatté con una risatina amara. “E non quelle che hanno a che fare con mio fratello. L’hai mai incontrato?”

La ragazzina fece un segno di diniego. “No, ma mio padre ci ha parlato un paio di volte e mi ha detto che è un tipo strano. Credo che mi piacerebbe conoscerlo.”

Perché?” indagò Neve, avvicinandosi fino a trovarsi a meno di un metro da lei. Malgrado fosse con ogni probabilità più giovane di lei di diversi anni, la ragazzetta era piuttosto alta e non aveva alcuna difficoltà a guardarla dritta negli occhi. No, decisamente non aveva la stoffa dell’ancella.

Ciela si strinse nelle spalle, mentre un angolo delle sue labbra si sollevava in un mezzo sorriso. “Così. Mi piacciono i tipi strani. È vero che può trasformarsi in un lupo?”

Davanti a quella domanda diretta, Neve esitò, poi optò per una verità formale. “Nessun uomo è in grado di mutare forma e assumere l’aspetto di un animale. Solo un idiota o un pazzo può dire di aver visto mio fratello trasformarsi in un lupo.”

Forse allora non cambia il suo aspetto”, ribatté prontamente Ciela, “ma diventa comunque come un lupo. È così?”

Neve aggrottò la fronte. “Non so di cosa stai parlando” sbottò, scoprendosi però incapace di sostenere lo sguardo della ragazzina.

Ciela incrociò le braccia davanti al petto e inclinò il capo di lato, fissandola con aria impertinente. “Certo che no” sogghignò.

Neve avrebbe potuto ribattere, insistere, ma aveva l’impressione che quell’atteggiamento non avrebbe fatto altro che rafforzare ancor di più le convinzioni della ragazzina. Forse quei briganti sapevano veramente più cose sul conto di Falco di quante non ne sapesse lei. Forse suo fratello non si faceva alcuna remora a mostrare la sua natura: in quel caso, la reticenza di Neve sarebbe apparsa ridicola agli occhi di uno spettatore ben informato. “Come credi” sospirò allora, lasciando cadere il discorso. “Adesso possiamo avere quel telo che ti ho chiesto, se non ti dispiace?”

Va bene” sorrise la ragazzina, con una nota canzonatoria nella voce. Poi aggiunse, come per un ripensamento: “Mia Signora” e fece un piccolo inchino impacciato, simile a quello di un uccellino che si piega per becchettare qualche granaglia.

Quando Ciela svanì oltre la soglia, Neve storse la bocca, confusa da quell’incontro. “Strana ragazza” osservò incontrando gli occhi di Lisi.

Sono parecchie le cose strane, qui” mormorò di rimando la giovane bruna. Quando non aggiunse altro, Neve decise ancora una volta di lasciar cadere la questione. La tensione all’interno della tenda era comprensibilmente alta e lei era abbastanza lucida per capire che anche l’osservazione più innocente avrebbe potuto essere male interpretata e dar vita a un litigio. Non potevano permettersi discussioni: in quelle circostanze avevano bisogno di restare unite com’era sempre stato quando si erano trovate tra le mura del convento. Per mantenere alto l’umore, si disse Neve, e per non permettere che nessuna perda la testa a causa della disperazione.

Lisi e Clara, doveva ammetterlo, avevano ancora meno punti di riferimento di lei. Se non altro, lei aveva una vaga idea di cosa aspettarsi: sapeva dove si trovava Nevelunga, sapeva quanto era distante dal convento e, quindi, dal punto in cui erano tenute prigioniere, e conosceva Falco. Cosa sapevano le sue due amiche? Se Clara poteva indovinare il suo destino, Lisi si trovava di certo completamente allo sbaraglio: “al di là dell’oceano” non era un luogo, ma un’espressione che racchiudeva in sé una vita intera. Oltretutto, ragionò, le mezze parole e le allusioni fatte sul conto di suo fratello avevano con ogni probabilità aumentato i dubbi e le incertezze delle altre due fanciulle.

Per le ore successive, le ragazze sedettero in silenzio sui rispettivi materassi, in attesa che qualcuno portasse loro qualche notizia, buona o cattiva che fosse. Nessuno aveva dato loro una torcia e così restarono a guardare mentre la luce che filtrava attraverso le chiome degli alberi e la spessa tela della tenda si faceva sempre più fioca; e le ombre della sera sempre più lunghe. Fatta eccezione per Ciela, che portò loro il telo che le era stato richiesto, nessuno fece loro visita. La sera divenne notte e le giovani iniziarono a sentire i morsi della fame. Quando i suoni del campo dei briganti si acquietarono, uno degli uomini di guardia portò loro una pentola che conteneva una sorta di brodaglia spessa, dalla quale emergevano un paio di patate e qualche carota. L’uomo si ritirò prima che Neve o una delle altre fanciulle potesse aprire bocca.

Passarono tre giorni che a Neve parvero i più lunghi della sua vita. Non era abituata all’inattività: in convento c’era sempre qualcosa da fare, piccoli compiti ripetitivi che l’aiutavano a riempire la giornata. Le occasioni di conversare con Lisi e Clara si fecero sempre più scarse. Una volta che ebbero esaminato in lungo e in largo la sfortunata situazione in cui si trovarono, le ragazze si trovarono a corto di argomenti di cui discutere: del resto, nessuna di loro era dell’umore adatto per chiacchierare del più e del meno.

Per quanto si sforzassero di tendere le orecchie e di cogliere qualche dettaglio, qualche frammento di conversazione che permettesse loro di capire cosa stesse accadendo al di fuori della loro piccola prigione di stoffa, pareva che i loro carcerieri fossero ben attenti a non dar loro alcun appiglio. Parlavano sussurrando, in un tono troppo basso perché le giovani potessero distinguere le parole.

Cionondimeno, qualche suono filtrava comunque. Colpi sordi e nitrire di cavalli, risate e insulti urlati, ma anche grida di terrore e pianti soffocati. Erano sempre voci femminili a emettere quei suoni che avevano il sapore della disperazione, e le ragazze chiuse nella tenda non avevano bisogno di confrontarsi per capire chi fosse a gridare e a piangere: alle loro consorelle era stato evidentemente riservato un trattamento meno favorevole.

La mattina del quarto giorno, la tenda si aprì cogliendole di sorpresa. Le uniche visite che ricevevano durante il giorno erano quelle dell’uomo e della donna che servivano loro pranzo e cena e che si occupavano di mantenere un minimo decoro nella tenda e per questo non si aspettavano l'arrivo del bandito dalla pelle scura che aveva ucciso la Superiora: non di prima mattina, se non altro. Le tre ragazze, che erano balzate in piedi quando la tenda si era aperta, retrocedettero d'istinto come un sol uomo. 

"Tu", disse il brigante tendendo una mano verso Lisi, "vieni con me."

Le gote della giovane mora si fecero ancora più pallide del solito. “Perché?” chiese con un filo di voce. Senza nemmeno rendersene conto, Neve e Clara le si strinsero ai fianchi, quasi intendessero proteggerla dall’uomo che torreggiava su di loro.

Mikel vuole così” replicò il bandito in tono brusco, senza sbilanciarsi. “Puoi seguirmi sulle tue gambe oppure puoi farti portar via di peso: scegli tu.”

Lisi si guardò attorno come alla ricerca di un appiglio, gli enormi occhi verdi carichi di smarrimento. “Ma…” la voce le si affievolì e scomparve prima che la giovane riuscisse a esprimere la propria obiezione.

Forse d’istinto, Lisi guardò Neve come alla ricerca di un aiuto. La giovane bionda non riuscì a fare altro che aprire e chiudere stupidamente la bocca per un paio di volte, incapace di pronunciare parole di senso compiuto. Neve non si stupì nello scoprire che, nonostante il senso d’orrore che le stritolava il cuore, non c’era nessun fremito di rabbia nelle profondità del suo petto: alla bestiolina che vi abitava non era mai interessato un granché del benessere degli altri.

La ragazza deglutì più volte nel tentativo di scacciare il nodo che le stringeva la gola e poi gracidò: “Non puoi portarla via!”

Il brigante si voltò per fulminarla con gli occhi, una reazione che non si era aspettata. “E tu invece hai il diritto di portare via mia figlia?”

C-come?” balbettò Neve, presa in contropiede. Ci mise qualche secondo per collegare tutti gli elementi. “Oh… Ciela è tua figlia?” chiese.

Già” annuì l’uomo con un brusco cenno del capo.

Non ho chiesto io che venisse con me!” ribatté la ragazza, piccata da quell’accusa infondata. “A quanto pare è stato il tuo capo a decidere di spedirla con me a Nevelunga!”

E adesso Mikel ha deciso di tenersi la tua amica. Direi che non possiamo fare altro che accontentarlo” replicò il bandito, come se vi fosse un qualche tipo di equilibrio in quella sorta di scambio di ostaggi.

... vuole tenermi con sé?” sussurro Lisi in un tono che Neve non seppe interpretare alla perfezione. C’era una nota di timore, certo, ma…

Il bandito esalò con forza dal naso. “Cerca di mostrarti dispiaciuta, ragazza.”

Lisi avvampò. “Lo sono!” sibilò, ritrovando il proprio spirito combattivo. “Non ha alcun diritto di tenermi con sé, né di vendermi a qualcuno o, o… di fare qualsiasi altra cosa, con me!”

L’uomo le puntò addosso i suoi occhi neri. “Preferiresti quindi essere venduta al mercato degli schiavi?” la provocò.

La ragazza bruna aggrottò la fronte e chinò gli occhi a terra. “No” ammise in un soffio.

Non che fare da puttana a quello là sia una sorte molto migliore, sussurrò una voce nella testa di Neve, e la ragazza arrossì, mortificata da quel pensiero volgare e assolutamente non in linea con quello che pensava della sua amica. Da dov’era sbucato? Non era da lei giudicare in maniera tanto superficiale le scelte e i pensieri dell’altra giovane.

Nemmeno tua figlia sembra dispiaciuta di venire a Nevelunga” disse allora, inserendosi nel discorso e rifiutandosi di interrogarsi oltre su quello che avrebbe potuto essere il rapporto tra Lisi e Mikel.

Ciela non ha ancora quindici anni” sbottò il bandito. “È troppo giovane per sapere quello che vuole. Sta a me decidere per lei. Proteggerla è compito mio!”

Nemmeno Clara ha ancora quindici anni”, ribatté Neve, indicando la ragazzina, “eppure guardate che trattamento le state riservando.”

Sul volto dell’uomo passò un’ombra veloce e la giovane si chiese se si sentisse in colpa per le proprie azioni. Poco dopo il brigante si strinse però nelle spalle. “I suoi genitori l’hanno venduta al convento: le hanno tolto la libertà di decidere del proprio futuro parecchio tempo fa.”

I miei genitori sono mortiesalò Clara e, per la prima volta, a Neve parve di cogliere una nota di sdegno nelle sue parole.

L’uomo la guardò con una smorfia. “Peggio per te” replicò. Doveva avere fretta di chiudere il discorso, perché non aggiunse altro e afferrò con malagrazia un polso di Lisi. Con uno strattone deciso, costrinse la ragazza ad allontanarsi dalle amiche e ad accostarsi a lui.

No!” protestò la giovane dimenandosi.

Finiscila!” ringhiò l’uomo, prendendola per le spalle e scuotendola con forza. “Cosa speri di ottenere? Non hai ancora capito qual è la tua situazione?”

Lei emise un gemito e gli occhi le si fecero lucidi, ma smise di lottare. Non rispose dalla domanda del bandito - che era comunque retorica - ma l’uomo parve interpretare il suo silenzio come un assenso. “Andiamo” le disse, tornando a stringerle il polso con quella che a Neve parve una presa più delicata rispetto a quella di poco prima.

Quando la giovane fu scomparsa oltre l’apertura della tenda, Neve si mordicchiò pensosamente le labbra. Meglio con Mikel che con Falco, probabilmente, considerò. Spero solo di riuscire a salutarla.

Si sentiva come svuotata. Lisi, un’amica che l’era tanto cara da considerarla quasi una sorella, era stata portata via ed era forse uscita per sempre dalla sua vita, ma lei non avvertiva altro che un vago senso di mancanza.

Clara le si avvicinò e le prese una mano tra le sue. “Siamo rimaste sole” le disse in un sussurro.

Neve guardò nei suoi grandi occhi scuri e vi lesse tutto lo smarrimento che in quel momento rischiava di soffocare la ragazzina. “Lo so” sospirò cingendole le spalle con un braccio. “Noi due resteremo insieme, però. Non hanno alcun interesse a dividerci.”

Clara annuì e le si strinse al petto, nascondendo il volto nel suo collo. Neve le accarezzò la schiena in cerchi lenti, cercando di confortarla. Il corpo ossuto della ragazzina sobbalzò sotto l’impatto dei singhiozzi silenziosi e senza lacrime che la stavano scuotendo e la giovane si sforzò di trovare parole che fossero in grado di consolarla e di confortarla.

La sua mente rimase però perfettamente vuota, quasi distaccata dal suo corpo fisico. C’erano i concetti di compassione e pietà, Neve li riconosceva nella loro dimensione astratta e sapeva che quei sentimenti avrebbero dovuto riempirle il cuore e la testa, ma in lei tutto era stranamente silenzioso: taceva la parte razionale del suo essere e taceva allo stesso modo la creatura rannicchiata sotto le sue costole.

Quel silenzio era un’anomalia e Neve si scoprì a temerlo.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Nei giorni che seguirono, Neve si interrogò più volte se fosse possibile fuggire. Quando di notte giaceva sul suo materasso, il volto schiacciato contro la stoffa ruvida e le orecchie tese per cogliere i suoni che giungevano dalla foresta e dal campo, la sua mente costruiva elaborate fantasie di libertà.

Avrebbe potuto scappare da sola, pensava il più delle volte. Clara sarebbe stata un ostacolo. Nascondersi da sola sarebbe stato molto più semplice che nascondere anche una seconda persona. Avrebbe dovuto aspettare che la ragazzina si addormentasse – non avrebbe dovuto attendere a lungo perché, a differenza sua, Clara aveva il sonno pesante – e poi avrebbe sollevato il bordo della tenda opposto all’ingresso. Avrebbe strisciato: non aveva paura di sporcarsi.

Altre volte pensava invece che no, non poteva abbandonare Clara in quel posto. Cosa sarebbe successo quando i loro carcerieri si fossero accorti che Neve era sparita? Avrebbero pensato che la ragazzina avesse favorito la sua fuga e chissà in che modo l’avrebbero punita.

In ogni caso, con o senza Clara, il difficile sarebbe stato sopravvivere nella foresta. Neve non aveva che una vaga idea di quale fosse la cittadina più vicina al convento. I rifornimenti arrivavano soprattutto da Ponte Vento, il che, supponeva, significava probabilmente che quella città non poteva distare dal convento più di due giorni di viaggio. Ma quale strada avrebbe dovuto percorrere per raggiungerla?

L’educazione che aveva ricevuto durante gli anni che aveva vissuto come monaca era interamente incentrata nei campi della religione, dell’arte, della musica e dell’economia domestica: nessuno si era mai preoccupato di insegnarle la geografia di Forrascura, dal momento che la vita delle appartenenti al suo ordine religioso era interamente condotta all’interno delle mura del convento.

Neve sapeva solo che Ponte Vento sorgeva poco lontana da una delle grandi vie di comunicazione che attraversavano il regno, ma di quale strada si trattava? La giovane aveva più volte cercato di rievocare gli insegnamenti che il suo tutore le aveva impartito quand’era ancora bambina: era la Via dei Laghi? O forse la grande Strada dei Mercanti, l’antichissima rotta commerciale che attraversa quelle terre da oriente a occidente? Non aveva davvero alcun elemento per definirlo con certezza.

La ragazza era abbastanza sicura di poter sopravvivere un paio di giorni senza cibo, dissetandosi nei numerosi ruscelli e torrenti che attraversavano la regione, ma come se la sarebbe cavata, se la sua fuga sarebbe durata più del previsto? Anche ammesso che i banditi non la ricatturassero nel giro di un paio d’ore - e che non la intercettassero appena lasciata la tenda - di cosa si sarebbe nutrita? Non aveva con sé né provviste né denaro, e come poteva essere certa di potersi fidare delle persone che avrebbe incrociato lungo la via?

Che viaggiasse sola o con Clara faceva poca differenza: delle donne non accompagnate davano sempre nell’occhio indipendentemente dal loro numero e dalla loro età - anche se, in effetti, i capelli corti della ragazza più giovani sarebbero stati particolarmente vistosi.

E se fossero riuscite ad arrivare indenni a Ponte Vento o in un qualche altro villaggio della zona, come avrebbero giustificato la loro presenza? Era prudente presentarsi come monache sfuggite al saccheggio del convento di Forrascura? Se avessero trovato delle brave persone, queste le avrebbero certamente aiutate, ma se avessero trovato invece degli alleati dei banditi che le avevano rapite - o altri malintenzionati - il loro destino sarebbe stato segnato.

Di una cosa Neve era certa: non avrebbe più fatto l’errore di presentarsi come la figlia dei Conti di Nevelunga. La reazione di Mikel era stata più che sufficiente per farle capire che il suo titolo non era in grado di offrirle alcuna reale forma di protezione.

La giovane passo così ore interminabili a dibattersi in preda a dubbi e speranze vane fino a quando, il settimo giorno, la possibilità di decidere le proprie mosse le fu nuovamente sottratta. Era pomeriggio quando Mikel si presentò nella tenda: lei e Clara non lo vedevano dal giorno in cui erano state condotte all'accampamento.

Ottime notizie, contessina!” esordì il brigante. “Lord Falco ci ha fatto avere la sua risposta.” L’uomo levò un pugno e le mostrò il piccolo rotolo di pergamena che stringeva in esso. La giovane lo riconobbe all’istante: era uno dei piccoli messaggi che, infilati in minuscoli cilindri d’ottone, venivano affidati alle ali dei piccioni viaggiatori perché li consegnassero in tutto il regno con una rapidità a cui nessun cavaliere poteva aspirare.

La giovane sbiancò e si mise in piedi su gambe tremanti. Per qualche motivo, si era illusa che i suoi carcerieri non avessero ancora contattato suo fratello: era stata davvero stupida pensare che, prima di scrivere a Falco, Mikel si confrontasse con lei. Adesso sa che sono ancora viva, pensò in preda a una vertigine. Sa che sono prigioniera e che questi uomini sono disposti a vendermi a lui.

D’istinto allungò una mano verso il rotolo di pergamena, chiedendo silenziosamente di poter leggere con i propri occhi il messaggio riportato su di esso, ma Mikel retrocedette di un passo e si infilò il rotolino in una tasca dei calzoni.

Meglio di no, contessina” le disse con un sorriso indulgente. “Non vorrei che ti venisse la tentazione di farlo a pezzi: conosco tuo fratello e so bene che, quando si tratta con lui, è buona cosa tutelarsi in ogni modo possibile. Senza offesa, ma ho tutte le intenzioni di riscuotere la somma che lui stesso ha indicato qua sopra” disse, tamburellando con le dita sulla tasca che ora custodiva il messaggio.

Neve deglutì. “Che cifra è?” chiese con voce roca.

Sul volto del brigante passò un’ombra. “Fa differenza?” le chiese con voce quasi gentile.

La giovane sollevò le spalle. No, in effetti non faceva alcuna differenza.

E adesso quindi cosa si fa?” chiese allora. Se non poteva fare nulla per decidere del proprio futuro, desiderava almeno scoprire cosa gli altri avessero deciso per lei.

Mikel esitò per qualche istante prima di rispondere e all’improvviso Neve si trovò a contemplare un’ipotesi che fino a quel momento non aveva nemmeno preso in considerazione. Sin da quando Mikel le aveva rivelato di essere solito a fare affari con il Conte di Nevelunga, si era immaginata che Falco avrebbe voluto rimettere le mani su di lei così da poter concludere ciò che aveva iniziato dieci anni prima e ucciderla una volta per tutte. Ora si rendeva conto che c’era anche un’altra alternativa: e se suo fratello non avesse avuto alcun interesse a ucciderla di persona? E se avesse pagato Mikel e i suoi banditi perché fossero loro a ucciderla, consegnandogli come prova soltanto la sua testa?

La prospettiva le accese una fiamma nel petto e, prima che potesse fare qualcosa per evitarlo, Neve sentì un ringhio lasciarle la gola, e i colori del mondo attorno a lei si dissolsero in un turbinio e lei si ritrovò immersa in una dimensione fatta di ombre grigie e nere. I muscoli delle mani e delle braccia le si irrigidirono e qualcosa si contrasse nel suo torace e nel suo ventre, sobbalzando come nel tentativo di liberarsi dalla prigione della carne e delle ossa.

Clara gridò e il suono giunse a lei come da una grande distanza, ma fu sufficiente per scuoterla dalla trance nella quale stava rapidamente cadendo. Neve si aggrappò alla voce dell’amica come un naufrago al quale viene gettata una cima e la usò per riemergere a fatica dal caos che ruggiva dentro di lei, ricacciando indietro la bestia e rinchiudendola nella profondità del suo essere. 

Lo sforzo la lasciò sfinita e Neve ricadde pesantemente sul materasso. Quando riuscì ad aprire nuovamente gli occhi, vide che Mikel la guardava con un certo allarme e la cosa riuscì a procurarle un brivido di soddisfazione.

No! Si rimproverò serrando ancora le palpebre. No, ci sono andata troppo vicina questa volta! Se Clara non avesse gridato…

Ehi” mormorò Mikel, e Neve si costrinse nuovamente a guardarlo. Si era avvicinato a lei e teneva le mani sollevate come per dimostrarle che non aveva cattive intenzioni. “Noi dobbiamo semplicemente riportarti da tuo fratello. Non vogliamo farti del male e credo che lo stesso valga anche per Lord Falco.”

La ragazza non riuscì a trattenere un sogghigno. “Ne sono certa” mormorò di rimando. Tentò di dare un’intonazione ironica a quelle parole, ma la sua gola era ancora stretta in uno spasmo doloroso e la voce ne uscì distorta, bassa e roca.

Mikel si strinse nelle spalle. “Non so esattamente cosa sia successo tra voi, ma l’ultima volta che vi siete visti eri una bambina. Adesso sei una donna, e le donne come te hanno più valore da vive che da morte.”

Neve aggrottò la fronte, sorpresa da quelle parole. Per prendere tempo giocherellò con la stoffa del saio che ancora indossava, gli occhi fissi sul ruvido tessuto grigio. Quella era una prospettiva che non aveva mai preso in considerazione. L’immagine che aveva di Falco era quella di un giovane uomo di nemmeno vent’anni, non particolarmente alto, ma forte e agile come un gatto, col viso liscio di chi è appena uscito dall’adolescenza. Dell’adolescenza aveva anche la rabbia e l’impulsività: le aveva viste bruciare come fuoco nei suoi occhi azzurri. Ma adesso era cresciuto, com’era cresciuta lei, e per dieci anni aveva governato Nevelunga senza attirare le ire del re. Possibile che fosse cambiato?

Neve irrigidì la mascella soffocando un ringhio. No, non si faceva illusioni. Falco aveva dimostrato che tipo di uomo fosse: chi aveva il coraggio di fare quello che aveva fatto lui a diciannove anni non poteva veramente cambiare natura. Le parole di Mikel, tra l’altro, le avevano più volte confermato che il Conte non era una persona raccomandabile.

Ma forse non meditava più di ucciderla? Forse aveva in mente per lei un impiego più redditizio? Non era una gran consolazione, ma a Neve parve di scorgere un microscopico granello di luce nel mezzo dell’abisso oscuro nel quale aveva l’impressione di essere caduta.

La giovane incontrò gli occhi di Mikel e col capo gli rivolse quello che poteva essere un cenno d’assenso. “Adesso mi porterete da lui, quindi?” chiese, riformulando la domanda che gli aveva posto poco prima.

Partiremo domani mattina” confermò l’uomo. “Ci serve solo il tempo per organizzare le cose qui al campo.”

Neve annuì: non si era certo aspettata che l’intera banda di briganti la scortasse a Nevelunga. “Clara verrà con me?” chiese, voltandosi per osservare la ragazzina che la guardava con gli occhi sgranati e ancora un filo di paura sul volto. La giovane si chiese quale aspetto avesse avuto negli attimi in cui aveva quasi perso il dominio sulla creatura che viveva in lei. La battaglia che infuriava nel suo petto si manifestava anche all’esterno?

Sì, e anche Ciela” fece Mikel, ignorando il turbamento della ragazza più giovane.

Sentendosi sufficientemente padrona di sè, Neve incontrò gli occhi dell’uomo. “E Lisi, invece?”

Un angolo della bocca del bandito si sollevò nell’accenno di un sorriso. “Lisi cosa?”

Verrà anche lei con noi?” insistette con impazienza la giovane.

Mikel la guardò reclinando il capo. “Non ho ancora deciso” disse con lentezza. “Ti accompagnerò di persona da Lord Falco e non mi piace l’idea di lasciarla qui da sola. D’altro canto, però, non vorrei rischiare di metterla in pericolo.”

Neve emise un sibilo che avrebbe voluto essere una risata, ma che non ci assomigliava affatto. “Perché ti preoccupi per lei, giusto?” lo provocò con sdegno. Aveva l’impressione che per l’uomo fosse tutto un gioco, qualcosa da non prendere sul serio e la cosa la faceva fremere di rabbia: lui e la sua banda di criminali avevano rovinato o distrutto un gran numero di vite e avevano anche il coraggio di riderci sopra.

Davanti alla sua domanda, Mikel si fece però serio. “Sì, mi preoccupo per lei, contessina. È una brava ragazza.”

La ragazza scosse la testa, incredula. “Ed è per questo che la tieni prigioniera? Perché è una brava ragazza?”

Ovviamente no” replicò l’uomo impassibile. “Non fare domande stupide, mia signora.”

Era solo una provocazione, pensò Neve arrossendo. Passandosi nervosamente una mano tra i capelli, si sforzò di sostenere lo sguardo del bandito. “Perché pensi che potrebbe essere in pericolo, se venisse con noi?” chiese, cambiando argomento. “Credevo che fossi in buoni rapporti con Falco.”

E infatti è così” ribatté Mikel. “Ma il viaggio fino a Nevelunga non è semplice; e gli uomini di tuo fratello non sono una compagnia raccomandabile: ci penserò due volte prima di portare tra di loro una ragazza tanto bella. Tu sei intoccabile, la ragazzetta lì dietro è uno spaventapasseri e Ciela non è molto meglio. Ma Lisi… Lisi attirerà sicuramente la loro attenzione.”

E suppongo che sia meglio che attiri solo la tua, di attenzione, pensò ancora la giovane, ma non lo disse. Non voleva rischiare di tirare troppo la corda con il bandito: fino  a quel momento le aveva permesso di parlargli come meglio credeva, ma Neve sapeva di non potersi spingere troppo in là.

In ogni caso”, riprese Mikel quando, dopo qualche istante, fu evidente che Neve non intendeva aggiungere altro, “non sono venuto qui per parlare di Lisi, ma per portarvi questi. Cambiatevi: non potete viaggiare con quegli stracci addosso.” Così dicendo, si chinò e aprì la bisaccia che giaceva ai suoi piedi. Ne estrasse alcuni vestiti piegati sommariamente: gonne e camicie e corpetti che dovevano essere un tempo appartenuti a qualcuna delle donne che, volenti o nolenti, si erano trovate a passare del tempo in compagnia di quegli uomini.

Neve li prese con riluttanza dalle mani di Mikel e li depose sul materasso senza nemmeno guardarli. Avrebbe voluto chiedergli se temeva che dessero troppo nell’occhio avvolte nei loro rigidi sai grigi, ma, di nuovo, si trattenne.

Benissimo” commentò l’uomo rivolgendo alle due giovani un cenno del capo. “Cercate di riposare bene questa notte: partiremo all’alba e passeranno settimane prima che possiate riposare ancora in un ambiente così sicuro.”

Senza aggiungere altro, Mikel uscì dalla tenda, lasciando che il lembo che ne copriva l’entrata si chiudesse frusciando alle sue spalle. Riposate bene, si ripeté Neve con una smorfia. Era facile dirlo, per lui: lei sapeva benissimo che quella notte non avrebbe chiuso occhio.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


L’alba arrivò senza che Neve fosse riuscita a scivolare in un sonno veramente ristoratore. Aveva attraversato le interminabili ore notturne immersa in un dormiveglia inquieto, accompagnata dal respiro leggero di Clara e dai mille fruscii che giungevano dal mondo al di fuori della tenda.

Quando la luce grigia delle prime ore della mattina la illuminò, la giovane gettò indietro la coperta ruvida che l’aveva tenuta al caldo e subito si sfilò di dosso il saio, rimanendo solo con la biancheria intima.

La sua compagna di tenda dormiva ancora, ma lei aveva ormai deciso che era inutile perdere tempo: restare a languire distesa sul materasso non avrebbe reso più sopportabile il resto della giornata. La giovane raggiunse l’angolo della tenda nel quale era stato riposto un catino con dell’acqua pulita e vi immerse le mani, stringendo i denti quando il liquido freddo le aggredì la pelle. Si lavò sommariamente, strofinandosi con vigore il viso e il torso e pettinando all’indietro i capelli biondi, prima di raccoglierli in una treccia che era appena un poco meno severa di quella che portava quando era al convento.

Senza permettersi di fermarsi e pensare, afferrò poi una delle sottane che Mikel aveva portato loro il giorno prima. La sera precedente lei e Clara avevano esaminato gli abiti che erano stati loro offerti e se li erano spartiti a seconda di gusti e dimensioni: a Neve era toccata una gonna di lana tinta di un blu polveroso, con l’orlo decorato con un semplice motivo floreale, una camicia che forse un tempo era stata bianca, ma che ora aveva assunto una sgradevole tinta giallognola, segno di un lavaggio approssimativo, e un consunto corpetto di una spessa stoffa marrone. 

Erano abiti poveri, dalla fattura semplice, ma, una volta che li ebbe indossati, Neve si passò più volte le mani sui fianchi, esaminando il modo in cui il corpetto le disegnava la forma della vita: abituata com’era al saio, persino quei vestiti da contadina le parevano troppo attillati, troppo poco modesti.

Be’, ma che ci posso fare? Si chiese, tornando a sedersi sul materasso e calzando gli stivaletti neri che erano il suo unico paio di scarpe da un paio di anni. Erano scarpe solide, robuste e ormai perfettamente adattate alla forma del suo piede e Neve era felice che Mikel le avesse permesso di tenerli.

Quando, più tardi, il giovane bandito che giorni prima aveva cavalcato con Clara venne a chiamarle, il cielo si stava appena tingendo dell’azzurro della mattina.

Avete dormito bene, signorine?” 

La voce di Mikel risuonò chiara e forte tra le tende e Neve gli lanciò un’occhiata carica d’astio. Quando vide che Lisi era in piedi al suo fianco, però, sgranò gli occhi e fu sul punto di correre da lei per chiederle come stava e per assicurarsi che l’uomo l’avesse trattata con riguardo. La giovane bruna però chinò il capo, quasi come se si vergognasse di incontrare il suo sguardo.

Oh, pensò la ragazza, turbata da quel gesto. Con la fronte aggrottata, Neve si guardò attorno, esaminando rapidamente l’ambiente che la circondava: se c’erano state delle altre monache, lì, ora non c’erano più. I banditi dovevano averle trasferite altrove; forse le avevano già vendute ai pirati che le avrebbero trasportate dall’altra parte dell’oceano. Il pensiero le riempì lo stomaco di rabbia e di nausea e la giovane si costrinse a respirare a fondo per calmarsi.

Il campo era meno affollato di quanto si fosse aspettata: i suoi abitanti erano forse ancora addormentati o, più probabilmente, l’avevano già lasciato per occuparsi delle loro faccende quotidiane, qualsiasi esse fossero. Ad accogliere lei e Clara c’era solo uno sparuto gruppetto di persone: oltre a Mikel e a Lisi, c’erano Ciela e suo padre, il giovane che le aveva condotte fuori dalla tenda, il bandito più anziano che aveva cavalcato con Neve il giorno in cui il convento era stato assaltato e due altri uomini che la ragazza non aveva mai visto.

Facciamo le presentazioni” disse Mikel con un mezzo sorriso. “Passeremo parecchio tempo insieme ed è importante conoscerci.”

Ne faccio volentieri a meno, pensò Neve con una smorfia. Però non disse niente e l’uomo prese il silenzio suo e di Clara come un assenso.

Aro già lo conoscete”, disse l’uomo, indicando il giovanotto riccio che le aveva svegliate quella mattina, “così come conoscete Gert ed Eitan, il papà della nostra piccola Ciela.”

Sul volto dell’uomo dalla pelle scura - Eitan, evidentemente - passò un lampo e Neve ricordò che il bandito non era affatto felice che sua figlia partisse per Nevelunga con l’intento di restarci.

Questi due gentiluomini che ci accompagneranno sono invece Yorik e Hinn” continuò Mikel. “Siate gentili con loro.”

Neve percorse i due briganti con un’occhiata rapida: il primo era un uomo apparentemente sulla trentina, con capelli scuri e occhi di una strana sfumatura ambrata, mentre il secondo era più giovane e minuto e aveva gli occhi sottili e i lunghi capelli neri dei nomadi delle pianure.

La giovane fece un piccolo cenno d’assenso. “Bene” disse, con una voce che sperava lasciasse intendere tutto il suo disinteresse per l’identità di quelle persone. Per quanto la riguardava, i loro nomi non avevano alcuna importanza: erano dei criminali, e tanto bastava per identificarli.

In sella, allora!” esclamò Mikel battendo le mani. Poi si rivolse ai suoi uomini. “Gert, tu cavalcherai con la contessina, visto che ormai la conosci. Yorik, tu gli darai il cambio.  Aro e Hinn, voi invece prendete l’anatroccolo: non vi darà problemi.”

Nell’udire quelle parole, il visetto di Clara si contrasse e per un istante Neve sperò che la ragazzina desse un qualche cenno di ribellione. Prima che potesse vedere se il suo desiderio si concretizzasse o meno, però, Gert le posò una mano sulla spalla e la sospinse verso la stessa giumenta grigia che Neve aveva già conosciuto il giorno in cui era stata portata via dal convento.

Non ci legate le mani, questa volta?” chiese, quando l’uomo si fu sistemato in sella alle sue spalle.

Questa volta no” confermò il brigante. “Mikel pensa che non siate così stupide da provare a scappare.”

Ah” commentò Neve, mentre la sua mente correva ai piani di fuga, tutt’altro che vaghi, che aveva maturato nelle notti precedenti. Erano davvero idee tanto sciocche?

Comunque nemmeno io penso che siate stupide” continuò il brigante che rispondeva al nome di Gert.

Oh?” fece la ragazza, stupita da quel riconoscimento inaspettato. L’uomo non aveva scambiato che poche parole con lei e con Clara e dunque non aveva davvero alcun elemento per giudicare il loro carattere. Sta forse cercando di entrare nelle mie grazie? Si chiese la giovane. Pensa forse che potrò metterlo in buona luce con Falco? Era un pensiero davvero ingenuo, che dimostrava quanto poco quegli uomini conoscessero in realtà suo fratello.

Il brigante non aggiunse altro e Neve, che nonostante l’apparente apertura dell’uomo non aveva comunque intenzione di fare conversazione, si rassegnò a cavalcare in silenzio, la mente piena di pensieri inquieti.

Nelle ore che seguirono, la giovane si scoprì più volte a studiare il paesaggio che stavano attraversando, adocchiando una scarpata o una macchia di alberi particolarmente fitta e chiedendosi se avrebbe potuto gettarsi giù di sella, rotolare a terra e svanire nel fitto del bosco. In un paio di occasioni si ritrovò a flettere i muscoli delle gambe, stringendole sui fianchi della giumenta come per darsi lo slancio necessario per sgusciare via dalla morbida presa di Gert. Ogni volta, però, desistette, conscia che non sarebbe riuscita ad andare lontano. Lei e il suo custode cavalcavano alle spalle di Mikel e Lisi: tra la giumenta grigia e il baio del capo dei briganti c’erano circa una decina di metri, e altri dieci ce n’erano tra loro e il cavallo che trasportava Clara e Aro. Lo spazio sarebbe forse stato sufficiente per tentare una mossa avventata, se non fosse stato per Yorik che, in sella a un pesante cavallo morello, seguiva come un’ombra la giumenta di Gert.

Da quando avevano lasciato il campo, il bandito non aveva pronunciato una singola parola, ma Neve aveva più volte avvertito su di sé il peso del suo sguardo. Quel suo studiarla in silenzio la metteva a disagio e la ragazza non ci aveva messo molto a decidere che quell’uomo non le piaceva. O, più precisamente, che le piaceva ancor meno di quanto non le piacessero i suoi compari.

Quando giunsero sulle rive di un torrente che scorreva gorgogliante tra le piante, Mikel fermò il cavallo e levò una mano per attirare l’attenzione dei suoi uomini. “Facciamo una pausa” ordinò. “Non vorrei che le signore si stancassero troppo.”

Hai fame?” chiese Gert a Neve mentre l’aiutava a smontare da cavallo.

Lei scrollò le spalle. “Un po’” mormorò. In realtà il pensiero di ingerire qualcosa le dava il voltastomaco, ma era ben consapevole di dover mangiare per tenersi in forze. Se fosse stata fiaccata dalla fatica e dalla fame, il viaggio verso Nevelunga sarebbe stato ancora più insopportabile; senza contare che, se mai le si fosse presentata una possibilità di fuga, avrebbe rischiato di essere troppo debole per sfruttarla.

Lei e Clara furono fatte sedere poco distanti dalla riva del ruscello e Lisi le raggiunse alcuni minuti dopo, portando loro un pezzo di pane e un po’ di formaggio duro. “Come state?” chiese loro la giovane bruna.

Noi stiamo bene” mormorò Clara, posandosi in grembo il cibo che Lisi le aveva offerto.

Vedendo che non pareva avere intenzione di toccarlo, Neve le posò una mano sul braccio. “Mangia” le disse, prima di rivolgersi alla giovane bruna. “Tu invece come stai?”

Lisi abbassò lo sguardo e sulle sue guance comparve un leggero rossore. “Non posso dire di stare male” mormorò, flettendo nervosamente le dita fino ad affondare le unghie nella stoffa dell’abito azzurro che qualcuno le aveva fatto indossare. Neve non poté fare a meno di notare che pareva di una fattura migliore di quelli che erano stati invece consegnati a lei e a Clara. “Mikel mi tratta con riguardo, quindi suppongo di non potermi lamentare più di tanto, ma…”

Ma?” la incalzò Neve.

Lisi incontrò i suoi occhi e le rivolse un sorriso quasi timido, diverso dagli sguardi che si erano scambiate in tutti gli anni che avevano passato insieme. “Non posso fare finta di non essere sua prigioniera. Lui può anche sforzarsi di essere gentile, ma la sua gentilezza non cambia il fatto che è un… un mostro, ecco.”

Neve arricciò il naso. Lei li avevi visti, i mostri, e Mikel, per quanto spregevole, era su un altro livello: era solo un volgare bandito e non avrebbe avuto alcuna possibilità in un confronto contro un mostro vero. Tuttavia non v’era alcun motivo per contraddire l’amica. “Certo che no” disse allora, concordando con l’affermazione di Lisi. “Dev’essere davvero stupido, se crede di farti dimenticare il modo in cui ci ha trattate… il modo in cui ha trattato le nostre sorelle, soprattutto!”

Già” sussurrò la giovane bruna, ma i suoi occhi scivolarono via da quelli dell’amica.

Non mi sembra molto convinta, osservò Neve aggrottando leggermente la fronte. Non era la prima volta che l’atteggiamento di Lisi nei confronti di Mikel la confondeva. E, non per la prima volta, si chiese se la sua amica fosse in un qualche modo attratta dall’uomo. Se pensava in maniera oggettiva, doveva ammettere che il bandito era piuttosto attraente: aveva un viso dai tratti piacevoli, un naso dritto e una mascella forte, penetranti occhi azzurri e un accenno di curata barba castana che dava al suo volto un aspetto virile. Per quanto la riguardava, però, Mikel avrebbe anche potuto essere l’uomo più bello del mondo e i suoi crimini l’avrebbero comunque reso ripugnante ai suoi occhi: ma Lisi la pensava come lei?

Ciò che la ragazza le aveva detto poco prima le faceva supporre che sì, la sua amica era in grado di giudicare la situazione in cui si trovava in maniera oggettiva, ma nei suoi occhi Neve credeva ora di leggere una risposta diversa.

E comunque, si disse ancora la ragazza, turbata da quello che le sembrava quasi un tradimento della giovane bruna, ha fatto anche lei un voto di castità: se n’è forse già scordata?

Strappando con i denti un pezzo di pane, Neve si ritrovò per la prima volta a chiedersi quanto sarebbe cambiato il loro stile di vita, ora che avevano lasciato il convento. Non erano passati che pochi giorni e già aveva perso la costanza nel recitare le preghiere che la Superiora e le altre consorelle anziane le avevano insegnato quand’era poco più di una bambina. Non va bene, si rimproverò con una smorfia. Gli Dei erano gli unici a poterla aiutare, in quel momento, e lei era sempre stata molto devota alla Madre: cosa n’era stato di quella devozione?

E poi… la castità. Il pensiero le strappò quasi un sorriso. Non si illudeva certo di vivere tanto a lungo da trovarsi nelle condizioni di mettere in discussione il suo voto di castità. Sebbene, rispetto a qualche giorno prima, fosse ora meno sicura delle intenzioni di Falco nei suoi confronti, continuava a pensare che lo scopo ultimo di suo fratello fosse di ucciderla.

E se intendesse invece darmi in sposa a qualcuno? Si chiese con un tremito improvviso. L’idea non l’aveva mai sfiorata prima d’allora, ma non sarebbe stata né la prima né l’ultima nobildonna costretta a un matrimonio di convenienza, venduta a un partito conveniente in cambio di terre o favori. Neve si immaginò con un marito al fianco - e, dal momento che sarebbe stato Falco a combinare il matrimonio, se lo immaginò vecchio, e orrendo, e crudele - e qualcosa in lei si ribellò. 

No, sibilò la creatura nel suo petto, e Neve sentì sotto i denti il sapore del sangue, il gusto della pelle che si rompeva, e nelle mani le parve di stringere un osso fino a spezzarlo. Oh, si sarebbe presa cura di suo marito, come no!

Inorridita da quel pensiero, nauseata dal sentore metallico che le pareva di sentire sulla lingua, la giovane lasciò che il pane e il formaggio che ancora stringeva tra le dita le cadessero in grembo.

Ehi!” fece Lisi, posandole una mano sulla spalla con espressione preoccupata. “Va tutto bene?”

Neve deglutì. “Sì”, mormorò, “va tutto bene.” 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Quando ebbero finito di mangiare e si furono dissetate con l’acqua del torrente, Mikel decretò che era giunto il momento di rimettersi in viaggio. 

Sospirando, Neve si rimise in piedi sulle gambe doloranti e si avvicinò a Gert, che stava sistemando i finimenti della sua giumenta grigia. Vedendola avvicinarsi, l’animale sbuffò gentilmente in segno di saluto e la ragazza gli sfiorò con le dita il naso vellutato, grata per quel piccolo conforto. Poi si posizionò a fianco della sella, aspettando che il brigante la sollevasse come aveva fatto quella mattina.

Lui però scosse il capo. “No” le disse, guardandola con la coda dell’occhio. “Questo pomeriggio non cavalcherai con me: Piuma ha bisogno di riposarsi.” Sentendosi chiamata in causa, la giumenta mordicchiò affettuosamente la manica del proprio padrone. 

Ah” fece Neve, presa in contropiede. “Quindi…”

Gert sospirò e poi si voltò, indicando con una mano un punto alle spalle della ragazza. “Viaggerai con Yorik. È grande e grosso, ma il suo cavallo è robusto e non avrà problemi a portarvi tutti e due, almeno fino a stasera.”

Voltandosi lentamente, Neve vide che il brigante in questione era fermo a pochi metri da lei. Ancora una volta, la stava osservando in silenzio e con un’espressione indecifrabile sul suo volto dai tratti spigolosi. Senza riuscire a trattenersi, Neve si lasciò sfuggire un gemito e si voltò di scatto verso Piuma, posando inconsciamente le mani sulla sella che l’aveva ospitata fino a quella mattina.

Beh?” fece Gert con una nota di stupore nella voce.

Neve sbuffò, sperando di riuscire a nascondere dietro a una parvenza di irritazione tutta l’inquietudine che provava. “Quel tipo non mi piace” sbottò senza giri di parole.

L’uomo si chinò verso di lei e la guardò con espressione scettica. “E noi invece ti piacciamo, principessa?”

Contessalo corresse automaticamente lei, prima di stringersi nelle spalle.”E no, nemmeno voi mi piacete, ma quello lì, proprio…” La giovane lasciò sfumare la frase, limitandosi a guardare il suo interlocutore con un’espressione disgustata. 

Se doveva essere completamente onesta con se stessa, doveva ammettere che Gert iniziava a sembrarle quasi tollerabile. Forse era perché, a differenza di Mikel ed Eitan, non si era trovato nelle cantine quando la Superiora era stata uccisa, o forse era perché l’aveva sempre trattata con gentilezza e quasi con rispetto, ma Neve iniziava a sentirsi quasi a proprio agio in sua compagnia. Per una frazione di secondo si chiese se Lisi provasse forse qualcosa di simile nei confronti di Mikel, ma subito allontanò quel pensiero. Le due cose non erano nemmeno lontanamente paragonabili: lei poteva dire di non odiare Gert, mentre Lisi si stava forse infatuando di Mikel, il che rendeva la situazione della sua amica decisamente peggiore di quella in cui si trovava lei.

Yorik, in ogni caso, la metteva a disagio. Non aveva scambiato con lui che un paio di occhiate, ma in quell’uomo c’era qualcosa che non le piaceva a pelle. Qualcosa che mi ricorda Falco, comprese Neve con un sussulto.

Il suo turbamento dovette trapelare perché Gert sospirò e per un attimo parve sul punto di posarle una mano su una spalla. “Non c’è nessun motivo di avere paura di lui” la rassicurò a bassa voce, forse per non farsi sentire dall’altro brigante. “È uno che sta sulle sue ed è molto fedele a Mikel: non farà nulla che lui non voglia e ciò che Mikel vuole, in questo momento, è riportarti sana e salva da tuo fratello.”

Non ho detto che ho paura di lui” ribatté seccamente Neve. “Ho detto che non mi piace.”

Gert si strinse nelle spalle. “Non c’è niente che io possa fare per fartelo piacere” osservò. “Va’ da lui, non pensarci e resta zitta come hai fatto questa mattina: sarai con lui solo di pomeriggio.”

Tutti i pomeriggi?” insistette Neve, pur conoscendo già la risposta.

Gert annuì. “Già.”

Con una smorfia di insoddisfazione, la ragazza tornò a voltarsi verso Yorik e vide che, alle sue spalle, Clara era già montata in sella davanti al ragazzo delle Grandi Pianure. Forse potrei convincere Mikel a farmi cavalcare con lui, pensò Neve mordicchiandosi le labbra. Questo avrebbe significato costringere Clara a montare con Yorik, ma la giovane non riusciva a sentirsi in colpa per quella prospettiva.

D’istinto si voltò per cercare con lo sguardo il capo dei briganti e, quando lo trovò, si rese conto che l’uomo la stava già fissando con espressione impaziente. “Muoviti” le disse sistemando meglio Lisi davanti a sé.

Rassegnata, la ragazza raggiunse il bandito alla cui custodia era stata affidata. Questa sera, si ripromise. Questa sera chiederò a Mikel di farmi viaggiare con Hinn.

Yorik era alto. Se n’era accorta già dalla prima occhiata frettolosa che gli aveva riservato, ma ora che l’uomo torreggiava su di lei, Neve si rendeva conto di quanto imponente fosse veramente il bandito: lei non era particolarmente bassa, per essere una donna, ma lui la sovrastava di più di una testa, e aveva spalle larghe il doppio delle sue.

Quando il brigante le strinse la vita tra le mani per issarla in sella, la giovane fu tentata di tenere lo sguardo fisso sulla criniera scura del cavallo, cercando istintivamente di sottrarsi a ogni forma di confronto. Il suo orgoglio le impose però di voltarsi e di fronteggiarlo: irrigidì allora la mascella e poi si divincolò, contorcendosi fino a quando i suoi occhi chiari incontrarono quelli dell’uomo. In quell’istante Neve sperò che sembrassero freddi come ghiaccio, gelidi proprio come quelli di Falco.

Gli occhi dell’uomo erano stranamente morbidi, con un che di luminoso: erano occhi di animale, pensò la ragazza, gialli e liquidi. Contro ogni previsione, in essi Neve scorse qualcosa di famigliare e subito le sue labbra si sollevarono a scoprire i denti e un borbottio sordo si levò dalla sua gola. 

C’era qualcosa in lui, qualcosa che la creatura rannicchiata tra le sue costole riconosceva: un nemico, un avversario da scacciare o soggiogare.

Neve boccheggiò, confusa e sorpresa dalla reazione che le era esplosa nel centro del petto. Le sue dita si strinsero sul cuoio spesso della sella e per un attimo la giovane fu certa di essere sul punto di perdere il flebile controllo che ancora esercitava sulla cosa che si agitava nel suo torace. Un battito di ciglia, però, e la creatura parve acquietarsi: a Neve sembrò quasi di avvertire la sua confusione, lo spaesamento che nasceva da una sfida lanciata e non raccolta.

Prima che potesse fare o dire qualcosa, Yorik la afferrò più saldamente per la vita e la alzò all’altezza delle proprie spalle, sistemandola a cavalcioni del robusto animale che era solito cavalcare. Poi montò in sella dietro di lei, strattonandola fino a quando Neve non posò la schiena contro il suo petto. 

Stordita e con il respiro corto, la ragazza si lasciò manovrare come un peso morto e non protestò quando il cavallo si avviò al passo sulla via segnata da Mikel: trascorsero diversi minuti prima che si rendesse conto che quello che era accaduto era qualcosa di anomalo.

La giovane afferrò le redini d’istinto e il morello scosse il capo, irritato dalla tensione improvvisa sul morso. Le mani di Yorik si strinsero immediatamente su quelle di lei, inglobandole e obbligandola a lasciare la presa.

Cosa sei?” gli chiese Neve con voce sommessa. Perché era sicura, assolutamente certa, che in quel bandito ci fosse qualcosa di più di quanto balzasse all’occhio.

Niente” replicò lui. Aveva una voce profonda, dal timbro quasi vellutato, in contrasto con il suo aspetto trasandato. Prima di avvicinarsi a lui, la ragazza gli aveva dato un’occhiata veloce, ma approfondita: i suoi abiti erano vecchi e recavano su di sé le cicatrici di parecchi rammendi fatti senza particolare maestria e i suoi capelli scuri, lunghi fino alle spalle e in parte intrecciati, parlavano di un’igiene personale piuttosto approssimativa. Persino la barba, tratto che accomunava gran parte degli uomini di quelle terre, pareva essere stata accorciata malamente, in maniera irregolare.

Non fu solo la sua voce a coglierla di sorpresa, ma anche la sua risposta. Cosa vuol dire “niente”? Si chiese Neve indispettita. Ora che la cosa che aveva nel petto si era acquietata, adesso che non rischiava più di essere sopraffatta da quell’entità senza nome che forse viveva di vita autonoma e che forse invece era parte integrante del suo essere, la ragazza vedeva chiaramente che nell’atteggiamento dell’uomo c’era qualcosa di bizzarro.

Non mi hai chiesto cosa’gli fece notare.

Pressata com’era contro il suo torace, Neve lo sentì trattenere il respiro. “Cosa?” fece poi; e Neve alzò gli occhi al cielo. La stava forse prendendo in giro?

Ho detto che non mi hai chiesto cosa intendessi dire con quella domanda, ma mi hai detto che non sei niente. Il che è una risposta piuttosto strana” spiegò la giovane con un sospiro di esasperazione.

L’uomo non rispose per qualche istante, poi sospirò. “Non sono certo di seguire il discorso” ammise con voce stanca.

Voglio dire…” Neve si interruppe di colpo. Ogni volta che aveva avuto l’occasione di parlare della vera natura di Falco e di fare accenno al demone che si agitava nel suo stesso petto, aveva desistito per timore di quella che avrebbe potuto essere la reazione dei suoi carcerieri e delle sue amiche. Era davvero prudente approfondire l’argomento con quell’uomo strano, che con ogni probabilità sapeva molto di più di quello che diceva?

Neve aveva imparato a fidarsi del proprio istinto e sapeva che doveva esserci un motivo, se aveva reagito in quel modo al primo vero contatto che aveva avuto con Yorik. Che lui dicesse pure di non essere niente: non era tanto sciocca da credergli.

Sta’ ferma, mia signora, che innervosisci il cavallo.”

Le parole di Yorik la colsero di sorpresa e Neve si accorse solo in quel momento di essere intenta a torcersi le mani, ruotando le dita finché le nocche non si facevano bianche. Immediatamente ammorbidì la presa e lasciò che le sue mani si posassero sull’unica porzione di sella che riuscivano a raggiungere.

La ragazza lasciò cadere il discorso e l’uomo non cercò più di riprenderlo; e così i due continuarono a cavalcare in un silenzio rotto solamente dalla cadenza ritmica degli zoccoli degli animali e dal chiacchierare sommesso di Eitan e Ciela, che chiudevano la piccola carovana.

A differenza di quello che aveva fatto quella mattina, Neve non passò le ore pomeridiane a studiare il paesaggio nella speranza di individuarvi una possibilità di fuga, ma rifletté a lungo sul modo in cui la presenza di Yorik avrebbe potuto influenzare il resto del viaggio.

Era davvero curioso il modo in cui un uomo che fino a poche ore prima le era parso insignificante e sgradevole le pareva tutto d’un tratto l’elemento più interessante dell’intera compagnia. Ora tutto assumeva un senso, in effetti: l’istintiva diffidenza che aveva avvertito nei suoi confronti, il modo insistente in cui lui l’aveva fissata per tutta la mattinata. Chissà se anche lui aveva avvertito in lei la presenza di un avversario. Chissà se era già a conoscenza della sua vera natura - del resto, non sospettava già da tempo che Mikel sapesse più cose sul conto di Falco di quanto non lasciasse intendere? E chissà se la presenza di Yorik nel gruppo era casuale, così come sembrava essere casuale la presenza di Gert, Aro e Hinn, o se Mikel aveva deciso di portarlo con sé per un preciso motivo. E, se era così, qual era quel motivo? Avere qualcuno che fosse in grado di tenerle testa, qualora ve ne fosse stata la necessità? Sfidare Falco?

Neve ebbe l’impressione di perdersi in quella spirale di ipotesi sempre più inverosimili e allora chiuse per un attimo gli occhi e cercò di riordinare i pensieri. Madre, Luce del Creato, custodiscimi e proteggimi nell’ora più buia della notte, pregò, cercando conforto in quelle parole familiari. 

Il battito del suo cuore rallentò, ma la sensazione che le stringeva la bocca dello stomaco non svanì del tutto. A causarla non era, per una volta, la creatura che pareva assopita dietro le sue costole, ma un più banale stato d’ansia che si era impossessato di lei, una sorta di tensione vibrante che la percorreva da capo a piedi. Era una sensazione multiforme sulla quale Neve non riusciva a posare le dita. In essa c’era angoscia, l’incertezza di non conoscere il proprio futuro e la natura dell’uomo che cavalcava alle sue spalle, la paura di scoprire in lui un nemico difficile da sopraffare, il conforto di sapersi non più sola, il timore di doversi confrontare con qualcuno di simile a Falco ancor prima di arrivare a Nevelunga.

Quando il sole si fece basso sull’orizzonte e Mikel diede il segnale di fermarsi, Neve era sfinita. Compiendo un ultimo sforzo per rimanere eretta e non scivolare nuovamente contro il petto di Yorik come aveva fatto per la prima fase di quel viaggio, la ragazza si guardò attorno e si rese conto che il paesaggio che la circondava  era cambiato.

Era stata talmente assorta nei propri pensieri che non si era nemmeno accorta che durante il pomeriggio avevano cavalcato in salita, lasciandosi alle spalle la profonda depressione che dava il nome al distretto di Forrascura. Mentre lei rimuginava sulla natura di Yorik, i cavalli e i loro cavalieri si erano inerpicati su per le pareti dell’antico canyon e sfruttando l’ascesa più dolce e meno difficoltosa erano infine giunti sull’immenso plateau calcareo che sovrastava quella contrada.

Le rocce chiare e porose accoglievano i raggi del tramonto e ne assorbivano i colori, tingendosi d’un velo rosa che si faceva sempre più intenso con il passare dei minuti. La vallata che si estendeva ai loro piedi era già immersa nelle ombre della sera e solo l’Aser, in fondo, rifletteva, simile a un nastro dorato, la luce che ancora riempiva il cielo. 

L’orizzonte era tanto ampio che la vista poteva spaziare da levante a ponente, arrivando fino ai margini più occidentali della foresta di Forrascura. Neve riusciva a indovinare le sagome di alcuni villaggi e forse, lontano, anche quella di un insediamento più imponente che pareva sorgere sulle rive di un corso d’acqua minore. E quel solco che le pareva di indovinare tra gli alberi era forse una strada? Possibile che quella città fosse proprio Ponte Vento, il luogo che aveva sognato di raggiungere quando aveva progettato una fuga notturna dalla tenda nella quale era custodita?

Abbiamo percorso già parecchia strada, comprese la ragazza con una stretta al cuore. Non aveva avuto l’impressione che i banditi avessero spinto i cavalli ai limiti delle loro capacità, ma che ne sapeva lei di quegli animali? Neve cercò di ricordare il viaggio che dieci anni prima l’aveva condotta al convento, cercò di riportarne alla mente i tempi e le distanze.

Sei giorni, calcolò, sette al massimo. Una settimana e poi sarò a casa. Subito si accorse di ciò che aveva pensato e si corresse: non a casa, no, ma a Nevelunga. E da Falco.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Il materasso da campo che le avevano dato era vecchio e consunto, troppo sottile per proteggerla davvero dalle asperità del terreno sul quale si apprestava a distendersi. All’interno del convento le comodità erano state un lusso riservato a poche e Neve era ormai abituata a uno stile di vita spartano, ma quella era la prima volta che si trovava a dormire all’aperto e l’esperienza non era di suo gradimento.

Sistemandosi attorno alle spalle la coperta che Gert le aveva offerto, un manufatto di lana grezza e che tratteneva in sé l’acre odore del fumo, la giovane si tolse gli stivaletti per far riposare i piedi doloranti e si apprestò a passare una notte all’addiaccio. 

A meno di un paio di metri da lei, Lisi e Clara giacevano distese sui loro materassi: li avevano avvicinati fino a formare un unico giaciglio e si erano avvolte nelle coperte, abbracciandosi per trattenere il calore corporeo e per farsi coraggio. La giovane le osservò con una punta di invidia: le sarebbe piaciuto stringersi a loro, farsi confortare dalla loro vicinanza e dai loro corpi tiepidi, ma sapeva di non poterlo fare. Era ancora troppo turbata e temeva di non essere perfettamente in grado di mantenere il controllo su se stessa e sulla cosa che si agitava in lei.

Da quando si erano fermati per la notte e lei aveva avuto modo di riflettere sugli eventi della giornata, la creatura che viveva nel suo petto aveva preso a vibrare in preda a un tremito inquieto. Neve si sentiva insoddisfatta, nervosa, e fremeva per tornare da Yorik: avvertiva come il bisogno di affrontarlo o, se non altro, di capire da che parte stava e di accertarsi che non fosse un pericolo peggiore di quello della banda di farabutti che l’aveva portata via dal convento.

Da che parte vuoi che stia, si disse con una smorfia sarcastica mentre si sistemava meglio la coperta attorno alle spalle. Ovviamente sta dalla parte di questi disgraziati. Mikel lo pagherà profumatamente o, se non altro, gli darà vitto e alloggio: è più di quanto possa offrirgli io.

Ma era vero? Colpita da un pensiero improvviso, Neve si figurò a Nevelunga e si immaginò non più sola di fronte a Falco, ma in compagnia di quell’uomo dal volto cupo e dalle spalle larghe. Se fossero stati in due, forse sarebbero riusciti ad avere la meglio su Falco. Forse sarebbero riusciti a farlo ragionare; e allora lei avrebbe avuto qualcosa da dare a Yorik in cambio dei suoi servigi: una casa e del cibo, soldi e ricchezze e forse anche un pezzo di terra da lavorare.

La giovane lanciò un’occhiata di soppiatto alle sagome dei banditi accampati a una decina di metri da lei. Ora che il fuoco che li aveva riscaldati fino a poco tempo prima era stato spento per non attirare attenzioni indesiderate, gli uomini non erano altro che forme indistinte tra le ombre della notte e Neve sentì le proprie speranze sparire. Non essere stupida, si rimproverò. Si era forse scordata dei cavalieri che accompagnavano suo fratello, feroci quasi quanto lui? Se anche Yorik avesse deciso di aiutarla - e non l’avrebbe fatto, pensare il contrario era pura follia - non sarebbero comunque stati in grado di sopraffarli tutti. Era inutile perdere tempo con quelle illusioni: se voleva sperare di sopravvivere all’incontro con il Conte di Nevelunga, doveva trovare un modo realistico per prepararsi a esso.

È più facile a dirsi, che a farsi, si disse; e lo stomaco le si strinse in una morsa d’angoscia. Quando il suo petto vibrò come in risposta sotto la spinta di un ringhio silenzioso, Neve si costrinse a chiudere gli occhi e a espirare lentamente dal naso. Dormi, si disse. È notte; e a queste cose ci puoi pensare anche domani.

Prima che potesse sdraiarsi, però, un’ombra più piccola e più discreta delle altre le si avvicinò e si sistemò accanto a lei sul materasso. “Non ti sciogli la treccia per dormire?” le chiese sottovoce Ciela. I suoi grandi occhi neri parevano brillare sotto la flebile luce del primo quarto di luna.

Neve sbatté un paio di volte le palpebre, sorpresa dalla domanda dalla ragazzina e dalla sua stessa presenza. “No” ammise, stringendosi istintivamente la treccia nel pugno destro.

Dovresti” ribatté Ciela. “E dovresti anche spazzolarti i capelli: aiuta a rilassarsi.”

La giovane corrugò la fronte. Anche se in quel momento era troppo buio per scorgere i dettagli della pettinatura della ragazza, ricordava chiaramente che i suoi capelli erano raccolti in decine e decine di strane treccioline che le correvano lungo il cuoio capelluto e che scendevano poi a sfiorarle le spalle in corrispondenza con la nuca: non poteva dirlo con assoluta sicurezza, ma era abbastanza certa che Ciela non le disfasse ogni sera per poi ricomporle ogni giorno all’alba.

Non ce n’è bisogno” disse allora, sperando che tanto bastasse per allontanare la ragazzina. “Nemmeno tu ti pettini i capelli tutti i giorni.”

Cosa c’entra?” ribatté lei. “Io non sono una signora.”

Neve inarcò le sopracciglia. “E quindi?” insistette: non perché la conversazione fosse di suo interesse, ma perché era abituata ad avere l’ultima parola.

I denti bianchi di Ciela balenarono alla luce lunare. “Sono meno delicata di te. Ho bisogno di meno cure.”

La giovane bionda esalò con forza dal naso, dimenticandosi per un istante della presenza dei banditi che, ne era certa, stavano tendendo le orecchie per carpire qualche particolare di quella conversazione. Neve dubitava che la ragazzina le si fosse avvicinata di sua iniziativa. “Non sono delicata” le assicurò con lo spettro di una risata che le gorgogliava in gola.

Uhm” mormorò Ciela. Prima che Neve potesse rendersi conto di quello che stava facendo, la mano dell’altra ragazza si posò sulla sua treccia e la seguì fino a quando le sue dita piccole e già ruvide non le sfiorarono il punto in cui l’orecchio si univa alla curva della mascella.

I suoi polpastrelli premettero con più forza sulla sua pelle e Neve sussultò. “Non toccarmi!” ringhiò, stringendo in un pugno il polso sottile della ragazzina. La sua presa era probabilmente troppo salda, ma Ciela non dette segno di esserne infastidita.

E va bene” sospirò stringendosi nelle spalle. “Volevo solo fare una cosa gentile. Voglio essere una buona ancella, ma non so nemmeno da che parte iniziare!”

Neve la guardò con gli occhi ridotti a due fessure, ma era troppo buio perché lei potesse scorgere l’espressione della ragazzina. “Per essere una buona ancella devi fare una sola cosa” disse, cercando di assumere un tono sprezzante. “Devi ascoltare quello che ti dico e obbedirmi.”

Ciela rimase in silenzio per qualche istante. “Sei sicura che sia proprio così?” indagò poi.

Sì” tagliò corto la giovane, incapace di capire se nel tono della ragazzina ci fosse della malizia o meno. “E quello che voglio in questo momento è dormire. Da sola. Sono stanca e ho bisogno di riposarmi.”

Ciela sospirò teatralmente e si mise a carponi sul materasso. Solo in quel momento Neve si accorse che aveva in mano un pettine e si sentì un po’ in colpa per il trattamento brusco che aveva riservato all’altra ragazza. Forse aveva davvero intenzione di spazzolarle i capelli per aiutarla a rilassarsi: erano dieci anni che nessuno faceva per lei una cosa del genere.

D’accordo” gemette la ragazzina alzandosi in piedi. “Ti lascio dormire, allora.”

Bene” mormorò di rimando Neve, soffocando tra i denti il grazie che rischiò di sfuggirle di bocca: non aveva nessun motivo per ringraziare Ciela. Era femmina e giovane, ma non tanto giovane da non poter essere ritenuta responsabile delle proprie azioni. Sembrava perfettamente a proprio agio con quella gentaglia tra la quale era con ogni probabilità nata e cresciuta, il che la rendeva a tutti gli effetti una loro complice. Distrattamente Neve si chiese dove fosse sua madre, se fosse ancora viva e se avesse accettato a cuor leggero di mandare sua figlia dall’altra parte del regno, dove sarebbe stata alla mercè di un estraneo che si diceva essere più bestia che uomo.

Neve scrollò il capo come per allontanare quei pensieri e poi si rannicchiò sul materasso, cercando di frapporre fra sé e il freddo della notte l’esile barriera della coperta che le era stata consegnata. Quando riuscì a scivolare in un sonno agitato, si trovò però immersa in un sogno bizzarro. 

Era a Nevelunga e le sale del palazzo erano quelle immense conservate nei suoi ricordi infantili. Si trovava nella Stanza degli Arazzi, una delle sue preferite, e con la coda dell’occhio poteva vedere le scene di caccia e le rappresentazioni dei miti che tanto l’avevano affascinata quand’era bambina. In piedi davanti a lei c’era Falco e il suo volto le era al tempo stesso familiare e sconosciuto: era quello insanguinato del ragazzo che l’aveva guardata con gli occhi pieni di terrore, ma era anche quello del giovane signore che sedeva sullo scranno che era stato di suo padre. In esso c’erano anche dei tratti sconosciuti, che appartenevano ad altri volti: la mascella di quello stesso padre che Falco aveva ucciso, il sorriso di Mikel, l’ombra di altri uomini di cui Neve aveva ormai dimenticato il nome. E dietro di lui c’erano altre persone, gente la cui identità era celata da maschere di legno e osso: la ragazza le aveva già viste da qualche parte, ma non riusciva a ricordare dove.

Nel sogno, Neve si scopriva immobile, incapace di avanzare tanto quanto di retrocedere. Era Falco ad avvicinarsi a lei, ad allargare le braccia e dirle “Bentornata, sorella” con una voce che non era mai stata la sua. Nella mano stringeva qualcosa che sulle prime a Neve sembrava un coltello, ma che in realtà era qualcos'altro. 

Falco la stringeva a sé e le posava il capo sulla spalla e Neve si sentiva soffocare e allora cercava di urlare, ma le parole che le lasciavano la gola non erano parole umane. Ed era in quel momento che si accorgeva di non essere sola: sentiva dietro di sé un respiro caldo, odore di foresta e di terra asciutta, avvertiva delle dita sottili scivolarle lungo la schiena e su per il collo.

C’era qualcosa di grande e scuro che si muoveva ai margini del suo campo visivo e qualcosa di più piccolo che fluttuava alle sue spalle. Neve non poteva voltare la testa, ma sapeva che era Ciela, perché avvertiva le sue dita tra i capelli sciolti.

A un certo punto Falco sollevava la testa dalla sua spalla e incontrava gli occhi di Ciela e le diceva “Filo di lana”, il che non aveva davvero alcun senso. E allora la ragazzina si allontanava da Neve, sfilava le dita dai suoi capelli e tutto diventava nero e grigio: a quel punto Neve si svegliava di soprassalto, con il cuore che le martellava in gola e la sensazione di aver dimenticato qualcosa di importante.

Prima dell’arrivo dell’alba la ragazza fece per altre tre volte lo stesso sogno, con poche varianti: cambiava l’ambientazione, cambiavano un poco le maschere degli uomini, il volto di Falco sembrava più vecchio o più giovane, ma il resto rimaneva uguale.

Filo di lana” disse Neve quando si svegliò per la quarta volta, e quelle parole le procurarono un crampo doloroso alla bocca dello stomaco.

Come dici?” le chiese Gert, che si trovava a pochi passi da lei.

Neve sbatté più volte le palpebre e poi scrollò il capo, spaesata. “Niente” mormorò. “Era solo un sogno.”

Il bandito la guardò con un’espressione perplessa. “Forza, recupera le tue cose” le disse poi, indicando con un cenno del capo il materasso sul quale la giovane aveva dormito. “Tra poco partiamo.”

Mettendosi a sedere, la ragazza vide che Lisi e Clara si stavano già infilando le scarpe e si affrettò a imitarle; non perché desiderasse mettersi nuovamente in viaggio verso Nevelunga, ma perché sperava che l’attività fisica la aiutasse a scacciare il senso di malessere che il sogno le aveva lasciato addosso.

L’oppressione che le gravava sul petto però non scomparve e più tardi, mentre attraversavano un bosco di larici profumato di resina e legno, Gert dovette accorgersi del suo umore particolarmente cupo. “Cosa c’è?” le chiese, stringendole il costato con una mano come per sollecitarla a rispondergli.

Neve sollevò le spalle. “Ho dormito male” mormorò tra i denti. E comunque non ho motivo di essere di buon umore, aggiunse nella propria mente. Gert si era forse dimenticato che lei e le altre ragazze erano lì perché loro le avevano rapite e portate via dal convento? Quello non era un viaggio di piacere, e il sogno che si era ripetuto più e più volte durante la notte le aveva portato via la voglia di fare conversazione.

Yorik ha fatto qualcosa?”

La domanda era talmente inaspettata che Neve si riscosse un poco. “Come? No.” Non volontariamente, almeno, pensò ancora la ragazza. Il problema, almeno fino a quel momento, non era quello che Yorik faceva, ma quello che era.

Sicura?” insistette Gert.

Neve si contorse su dorso di Piuma finché non riuscì a guardare in faccia l’uomo che cavalcava alle sue spalle. “Perché me lo chiedi?” lo interrogò, improvvisamente sospettosa. “Ieri mi hai detto che non dovevo avere paura di lui e oggi insisti a chiedermi se ha fatto qualcosa: com’è questa storia?”

Gert lanciò un’occhiata verso il fondo della piccola carovana. A differenza di quello che aveva fatto la mattina precedente, Yorik non cavalcava a pochi metri di distanza da loro, ma si era attardato a parlare con Eitan e sua figlia. Anche quando si fu assicurato che l’altro uomo era fuori portata d’orecchio, Gert esitò a rispondere. “Non c’è nessuna storia” disse poi. “Ha un carattere difficile, è uno che parla poco e che ogni tanto dà anche brutte risposte, e tu mi sembri una che se la prende facilmente.”

Tutto qui?” replicò Neve, scettica.

Il bandito annuì con apparente decisione, ma Neve notò che evitò di incontrare i suoi occhi. “Quel ragazzo è con noi ormai da diversi anni e non mi risulta che abbia mai fatto cose strane. Però ieri sembrava che non avessi proprio voglia di cavalcare con lui e mi chiedevo se tra di voi fosse successo qualcosa.”

La ragazza sbuffò rumorosamente dal naso. “Sei consapevole del fatto che non l’avevo mai visto prima, vero?”

Davanti a quell’osservazione, gli occhi scuri dell’uomo incontrarono finalmente i suoi. “Certo. Però pensavo…”

Il bandito non terminò la frase e Neve aggrottò la fronte. “Cos’è che pensavi, esattamente?”

Gert le afferrò una spalla in una mano e la costrinse a girarsi nuovamente verso il senso di marcia. “Niente. Ho sentito dire cose strane sul conto di tuo fratello e immaginavo che pure tu avessi ereditato un po’ delle sue stranezze.”

Non era la prima volta che il brigante cercava di spingerla a rivelare qualcosa sul conto di Falco e Neve si morse le labbra per costringersi a non rispondere e a lasciare cadere il discorso: rimaneva convinta che quegli uomini sapessero più cose sul conto di suo fratello di quante non ne sapesse lei, e non capiva il motivo di quel loro continuo pungolarla.

Peccato non poterne approfittare per scoprire qualcosa di più sul conto di Yorik, però, pensò la giovane, tenendo gli occhi fissi sulle orecchie bianche di Piuma: se c’era qualcuno che poteva rivelarle qualcosa di interessante sul conto dell’altro bandito, quello era Gert. E forse Ciela, rifletté la ragazza. Loro sono gli unici con cui posso dire di avere un minimo di confidenza.

Tuttavia Neve non trovò il modo né il coraggio per intavolare quella discussione senza riportare la conversazione su se stessa e Falco, e così la giovane si rassegnò a viaggiare in silenzio per il secondo giorno di fila. Gli strascichi del sogno le rimasero addosso per l’intera giornata e quando, nel pomeriggio, Neve si trovò di nuovo in sella sul robusto cavallo di Yorik, il suo umore era poco meno che burrascoso.

L’uomo parve cogliere la tensione che le irrigidiva le membra ed evitò di rivolgerle la parola, comportandosi come se la giovane fosse un oggetto inanimato, un bagaglio da trasportare da un luogo a un altro: come già aveva fatto il giorno precedente, la sollevò in sella e la sistemò davanti a sé come preferiva; e le sue mani la maneggiavano senza alcuna delicatezza, serrandosi dolorosamente sulle sue braccia e attorno alla sua vita.

Il sole iniziava ad abbassarsi oltre la chioma degli alberi quando Mikel, che come di consueto guidava la piccola carovana, si fermò all’improvviso. Gert gli si avvicinò con un’espressione cauta disegnata sul volto e Neve sentì che Yorik si irrigidiva contro la sua schiena.

Con un gesto della mano, Mikel indicò ai suoi uomini di virare verso destra, inoltrandosi nella macchia di ontani che crescevano lungo le rive del torrente che stavano costeggiando da qualche ora. Quando si trovarono tra la protezione degli arbusti, l’uomo coprì con una mano la bocca di Lisi e indicò qualcosa con un cenno del capo. “Siamo rimasti per troppo tempo sulla riva orientale del fiume” mormorò con una voce bassa e tesa.

È la Via dei Laghi?” chiese sottovoce Eitan, che si era affrettato a raggiungere il suo comandante.

Aguzzando la vista, Neve si accorse che l’area grigiastra che aveva scorto tra la vegetazione alla sua sinistra e alla quale non aveva prestato attenzione non era un ghiaione come quelli che avevano più volte attraversato da quando si erano lasciati alle spalle la vallata di Forrascura, ma una strada abbastanza ampia da consentire il passaggio di due carri.

La Via dei Laghi! Comprese, mentre il cuore le balzava in gola. Era il primo segno di civiltà che incontrava da quando era stata portata via dal convento e nella sua mente presero immediatamente forma alcuni vaghi propositi. 

Quasi come se fosse in grado di leggerle nella mente, Yorik le afferrò più saldamente la vita e Neve si costrinse a rilassarsi contro il petto dell’uomo. Fa’ attenzione, adesso, si raccomandò la ragazza. La Via dei Laghi era una via commerciale di grande importanza che attraversava il regno da nord a sud: la giovane non sapeva con esattezza quali villaggi e quali città toccasse, ma sapeva che era molto trafficata. Se fosse riuscita a raggiungerla, non sarebbe stato difficile incrociare qualcuno a cui chiedere aiuto.

Stiamo andando a ovest, calcolò. Tra meno di due ore sarà buio e dovremo fermarci per la notte. Cercando di calmare i nervi, si apprestò a memorizzare quanto più possibile il percorso.

Vuoi davvero scappare? Si chiese, prendendo mentalmente nota della posizione di un masso brunastro. L’hanno vista tutti, la strada: questa notte saranno tutti sul chi va là. Si aspetteranno certamente un tentativo di fuga. 

Ed era vero, era innegabile, ma non era sufficiente per farle abbandonare la speranza di riacquistare la propria libertà. Non subito, se non altro: del resto, lei aveva un vantaggio sui propri carcerieri.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Il luogo in cui si erano accampati per la notte non era l’ideale per ciò che Neve aveva in mente. Abbandonato il torrente, durante il pomeriggio si erano accostati a una dorsale montuosa di cui la ragazza ignorava il nome e che sembrava percorrere longitudinalmente l’altopiano sul quale erano approdati la sera precedente. Mikel aveva scelto di fermarsi in una sorta di scarpata sassosa, dove gli enormi massi scaraventati a valle da un’antica frana erano costellati da cespugli di rododendro in bocciolo e da larici carichi di germogli ancora teneri.

Era un posto scomodo e le tre prigioniere erano state costrette a sistemarsi in un esiguo spazio erboso incastrato tra i massi granitici. Il terreno era morbido, ma i briganti avevano su di loro il vantaggio dell’altezza: Mikel e i suoi uomini avevano infatti preso posto sulla sommità delle rocce che circondavano lo spazio in cui le ragazze avevano disteso come potevano i loro materassi; e le sovrastavano, tenendo d’occhio ogni loro movimento.

Hanno paura che proviamo a scappare, si disse la giovane, rannicchiandosi sotto la coperta e premendo il naso contro la schiena ossuta di Clara. Neve affondò le unghie nel tessuto ruvido che la copriva nel tentativo di placare il tremore che le scuoteva le mani. Non si era illusa che i briganti non prevedessero le sue intenzioni, ma il fatto che i suoi carcerieri si aspettassero un tentativo di fuga la rendeva nervosa.

Sciocchezze, sibilò una voce dentro di lei. Se se lo aspettano, sarà ancora più divertente

La creatura che viveva dietro le sue costole era eccitata, fremeva dalla voglia di spezzare l’immobilità nella quale languiva da ormai troppi anni. La prospettiva di un inseguimento la divertiva.

Distesa davanti a lei, Clara rabbrividì ed emise un piccolo gemito soffocato, simile allo squittio di un topolino, e lo stomaco di Neve si contrasse in una morsa. Era davvero sicura di volerlo fare? Voleva davvero abbandonare le sue amiche tra le grinfie di quegli uomini?

È la mia unica possibilità di salvezza, si disse cercando di allontanare i sensi di colpa. Lisi e Clara sarebbero state bene anche senza di lei. Anzi, era probabile che sarebbero state persino meglio senza di lei: se fosse scomparsa, non avrebbero avuto più alcun motivo di raggiungere Nevelunga e di incontrare Falco. 

E nessuno farà loro del male, cercò di convincersi la ragazza. Mikel vuole Lisi per sé, la tratta bene perché gli piace e non certo per riguardo nei miei confronti. E la piccola Clara? Lisi le è affezionata, rifletté nel tentativo di rassicurarsi. Convincerà Mikel a non mandarla via, le troverà qualcosa da fare…

Neve preferì non interrogarsi troppo su quale occupazione un uomo come Mikel avrebbe potuto trovare a una ragazza come Clara: più ci pensava e più si convinceva che non potesse trattarsi di nulla di particolarmente dignitoso, ma la giovane sapeva di non potersi fare condizionare da quella consapevolezza. 

Quella era la sua sola e unica possibilità di riconquistare la libertà che le era stata sottratta: Mikel aveva sbagliato una volta e si era avvicinato troppo alla Via dei Laghi, ma non avrebbe commesso due volte lo stesso errore. Pur senza conoscerlo a fondo, la giovane intuiva che l’uomo si sarebbe tenuto alla larga dai villaggi e dalle grandi vie di comunicazione sino a quando non sarebbero arrivati a Nevelunga, quattro o cinque giorni più tardi.

Devo andare, si disse, stringendo le mani in un pugno. Se scappo questa notte, riuscirò a raggiungere la strada nel giro di poche ore. Se aspetto domani o dopodomani, invece, mi perderò sicuramente in una terra che non conosco… e sarò anche troppo a nord. Basta esitare.

Con un sospiro silenzioso, la giovane si fece scivolare via la coperta dalle spalle e si mise in ginocchio. Clara emise un altro gemito, ma non si svegliò. Bene, pensò Neve, prima di cogliere un movimento con la coda dell’occhio. Anche se il ritmo regolare del suo respiro l’aveva ingannata, Lisi non dormiva e ora aveva sollevato il capo, guardandola con occhi che scintillavano alla luce argentea della luna.

Dove vai?” le chiese in un sussurro quasi impercettibile.

Devo andare in bagno” sussurrò di rimando lei, pregando che la sua voce non recasse alcuna traccia dei sensi di colpa che le stringevano la gola.

Lisi non replicò, ma, pur nella penombra, Neve vide le rughe che le incresparono la fronte. Non mi crede? Si chiese con una punta di panico. Possibile che la sua amica avesse intuito le sue intenzioni? Avrebbe forse provato a fermarla?

La giovane bruna sostenne però il suo sguardo per una manciata di secondi e poi posò di nuovo il capo sul materasso. “Va bene” mormorò chiudendo gli occhi.

Neve deglutì un paio di volte cercando di attenuare un po’ la sensazione di secchezza che le era rimasta appiccicata al palato, poi raggiunse la base del masso sul quale erano appollaiati due dei briganti. Prima che potesse aprire bocca, però, fu raggiunta dalla voce sferzante di Mikel. “Dove credi di andare?” la apostrofò l’uomo.

Ho bisogno di usare il bagno” replicò lei in tono deciso. Non devi tremare, adesso, le sussurrò una voce che forse era la sua e forse era quella della creatura che viveva in lei. Nessuna esitazione, o se ne accorgeranno.

Ah, davvero?” ridacchiò Mikel, raggiungendo i due uomini che si trovavano a pochi passi da Neve. Strizzando gli occhi per vedere meglio nell’oscurità della notte, la giovane vide che si trattava di Aro e Hinn. “Falla lì, che tanto non ti guarda nessuno.”

Neve sgranò gli occhi; e l’indignazione che provò davanti al suggerimento del brigante era autentica. “Come ti permetti?” sibilò. In quelle poche parole risuonò l’eco di un accento che credeva di aver perso ormai da anni e quella scoperta le causò una stretta all’altezza dello stomaco, ma la giovane cercò di non distrarsi. “C’è un limite a tutto e io non intendo iniziare a comportarmi come un animale.”

Mikel fece schioccare la lingua. “Come un animale”, ripeté, “che esagerazione! Non lo sai che agli uomini piace fare pipì in compagnia?”

Neve cercò gli occhi di lui attraverso la quieta aria notturna. “Be’, io non sono né un uomo né una cagna e pretendo di mantenere un minimo di dignità.”

Non mi sembra che ti sia stata negata, contessinareplicò Mikel e alla giovane non sfuggì la nota tagliente che gli increspò la voce.

Insisto” disse però, sperando con tutta sé stessa che il bandito si stancasse di quella conversazione e non la costringesse ad arrivare allo scontro diretto. Non sapeva cosa avrebbe fatto, se l’uomo si fosse rifiutato di soddisfare la sua richiesta. Magari avrebbe rinunciato. Probabilmente avrebbe rinunciato.

Per sua fortuna, però, Mikel si lasciò sfuggire un suono secco, forse un’imprecazione, e le fece cenno di raggiungerlo sul masso. “E va bene” sbuffò, allungando una mano per aiutarla a salire. Quando gli fu accanto le artigliò un avambraccio in una presa dolorosa. “Io e Hinn ti accompagnamo” le disse piegandosi su di lei e indicando con un cenno del capo il giovane nomade. “Sta bene attenta, carina, e non farti venire idee strane. Fino ad ora siamo stati gentili con te e con le tue amiche, ma, come hai detto tu stessa, c’è un limite a tutto: ti consiglio di non cercare di scoprire il mio.”

Potrei farti a pezzi con le mie mani. Potrei squarciarti la gola con i denti e bere il tuo sangue, fu il pensiero che strisciò nella mente di Neve e, per una volta, la ragazza non lo rigettò. Oh, sì, potrei farlo

Tuttavia la giovane serrò i denti e ricacciò indietro la tensione che per un istante le aveva irrigidito il torso e si costrinse ad annuire. “Bene.”

Mikel la soppesò con lo sguardo per qualche istante e poi, senza lasciarle il braccio, la condusse via dal luogo in cui Lisi e Clara stavano riposando. Facendo scorrere tutt’attorno a sé un’occhiata veloce, Neve vide che Lisi giaceva perfettamente immobile, fingendosi addormentata, e si concesse un sospiro di sollievo rendendosi conto che, se anche sospettava qualcosa, la sua amica non sembrava intenzionata a tradirla. Ulteriore sollievo le fu dato dal fatto che Eitan e Yorik non sembravano essere nei paraggi: non aveva idea di dove fossero andati, ma il fatto che Yorik in particolare non fosse lì non poteva che essere positivo.

Il terreno irregolare li costrinse a percorrere una decina di metri prima di raggiungere un posto che Mikel ritenne adatto alle esigenze di Neve. “Che ne dici, contessina?” le chiese, indicando l’ombra scura di un masso che si ergeva a pochi metri di distanza da quella che alla giovane parve una scarpata irregolare e coperta da cespugli di rododendro. “Ti pare soddisfacente?”

Neve annuì. Se davvero avesse avuto necessità di svuotare la vescica, avrebbe potuto acquattarsi dietro la parte più bassa del masso di granito: il suo corpo sarebbe stato al riparo da occhi indiscreti, ma Mikel e Hinn avrebbero comunque potuto vedere la sua testa e le sue spalle e assicurarsi così che non cercasse di scappare.

Forza, allora!” la spronò Mikel.

La giovane raggiunse il punto che le era stato indicato e voltò il capo verso i due uomini. “Dovete proprio stare così vicini?” chiese. “Non potete allontanarvi di qualche metro?”

Mikel scosse il capo. “No. Datti una mossa.”

Con un sospiro, Neve sollevò la sottana e si piegò sulle ginocchia, ignorando il rossore che, malgrado tutto, le aveva colorato le guance. Questo è il momento, si disse.

Aveva pochi secondi a disposizione, lo sapeva bene, e in quei pochi secondi si chiese nuovamente se voleva davvero abbandonare le sue amiche. Sì! Disse - ruggì - la voce nella sua testa, e Neve lasciò che la creatura emergesse dalle profondità della sua anima.

Quello che stava facendo era rischioso. Tieni il guinzaglio corto, si raccomandò negli ultimi istanti in cui fu pienamente padrona di se stessa. Lascia che ti guidi, ma non permetterle di prendere il sopravvento. Neve non era certa di essere in grado di mantenere il controllo sulla creatura, pur concedendole qualche libertà: in tutti gli anni che aveva passato al convento, era riuscita a tenerla prigioniera all’interno di sé, ma per farlo l’aveva annullata fino quasi a negarne l’esistenza. Ora aveva bisogno dell’aiuto della cosa che viveva nel suo petto, ma non aveva alcuna garanzia del fatto che, nel momento in cui avrebbe allentato le catene che la tenevano prigioniera, quella non sarebbe esplosa come una forza indomabile.

Madre, proteggimi, implorò la giovane, prima di lasciar ricadere l’orlo della gonna sopra le proprie ginocchia flesse. Neve premette i polpastrelli contro la roccia fredda sulla quale era acquattata, sentendo la superficie granulare del granito che le penetrava nella pelle. La decisione che aveva preso era rischiosa, sì, ma era l’unico modo per raggiungere quella libertà che ora le sembrava lì, a portata di mano.

Qualcosa si levò dalle profondità del suo essere, simile a una miriade di minuscole bolle d’aria che si levavano dal fondale sabbioso e salivano fino a sfiorare la superficie dell’acqua, e Neve non attese altro: senza concedersi il tempo nemmeno per un respiro più profondo, puntò la suola degli stivaletti contro la roccia e poi si scaraventò in avanti, oltre il bordo del masso e giù lungo il ripido pendio irregolare che si sviluppava al di là di esso. 

I primi passi li fece alla cieca, e fu solo la fortuna a far sì che non mettesse un piede in fallo, che non inciampasse in un arbusto o che non cadesse nella fessura tra due massi. Le sue orecchie colsero il grido di Mikel, ma il suo cervello lo processò come un qualcosa di insignificante, al pari del richiamo di un uccello o dello stormire del vento; e fu in quel momento che Neve si accorse di essere andata oltre.

La paura che, anche se aveva cercato di tenerla a bada, l’aveva fatta tremare fino a un istante prima svanì, e quando la giovane rabbrividì fu a causa dell'ebbrezza della corsa. La notte sembrava essersi fatta più chiara, ora, la luce della luna più intensa e, se i colori erano meno marcati, i contorni del mondo che la circondava erano cento volte più netti di quanto non fossero stati una manciata di secondi prima. Neve poteva vedere ogni foglia, ogni scheggia di pietra, e le sue gambe erano più forti, i suoi piedi più agili.

Il suo naso raccolse profumi e odori mai sentiti prima - o forse dimenticati da tempo - e solo l’aria che le frustava le guance le diede un’idea della velocità a cui stava correndo. Qualcosa nel retro della sua mente le disse che doveva rallentare, fermarsi un attimo per calcolare la direzione corretta, ma la creatura - o la versione di Neve che nasceva dall’incontro con la creatura - non raccolse quella raccomandazione: solo la corsa era importante, la velocità e lo sforzo dei muscoli, l’assoluta sensazione di libertà che nasceva dalla fuga giù per il pendio.

Presto ne raggiunse il fondo, e la voce che apparteneva alla fanciulla che era cresciuta tra mille agi e che era diventata donna tra le mura di un convento le gridò che la Via dei Laghi era a destra, ma la creatura annusò l’aria e decretò: a sinistra, verso la montagna e il punto in cui i larici si facevano più fitti.

Sospesa per un attimo tra due istinti opposti, la giovane esitò. Si sentiva leggera, quasi sospesa al di sopra del proprio corpo: era una sensazione che aveva talvolta vissuto nei sogni. Era cosciente, eppure non lo era, e la cosa che da sempre portava dentro di sé le parve meno una bestiola dotata di vita propria e più una parte integrante del proprio essere.

Un rumore la distrasse e Neve si voltò per fronteggiare il pendio che aveva appena superato. Hinn lo stava percorrendo a grandi balzi, muovendosi con una velocità insospettabile: era solo umano, ma era un umano decisamente agile.

Idiota, pensò la giovane, prima di piegarsi quasi a metà sotto la spinta di un istinto che le diceva di mettersi a quattro zampe e attaccare attaccare attaccare. Voleva mordere, voleva graffiare, sentiva già sulla lingua il calore della carne e del sangue…

Scappa! Si disse, mettendo tutta la propria razionalità in quel comando. Non avrebbe ceduto alla creatura, non si sarebbe piegata all’istinto! La ragazza tremò, combattuta, i muscoli congelati dall’incertezza. Fu allora che vide l’acciaio scintillare nella mano destra del giovane nomade: una lama ondulata che le riportò alla mente vaghi ricordi di veleni e di riti sciamanici.

Scappa! Ordinò di nuovo, e questa volta le gambe le obbedirono. Neve non ebbe però la forza di decidere la direzione della fuga e si trovò a correre in salita anziché in discesa, e presto i suoi piedi lasciarono i sassi del pendio detritico e si posarono sul morbido sottobosco che si estendeva ai piedi della foresta di larici.

Fu come entrare in un mondo nuovo. Dei profumi intensi le aggredirono le narici: il sentore balsamico degli aghi dei larici e della resina, quello umido del muschio e della terra ricca e scura, quello vischioso dei funghi e della materia in decomposizione. Neve dimenticò presto il proprio inseguitore e rabbrividì di piacere davanti a quegli odori che sembravano dipingerle la mente di quei colori che non riusciva più a vedere.

Mentre correva leggera sui sassi muschiosi e sul terreno elastico, schivando senza nemmeno accorgersene i rami più bassi e individuando con naturalezza la via migliore attraverso gli alberi fitti, la ragazza si accorse di avere a propria disposizione anche una sorta di sesto senso. È naturale, sibilò la voce che aveva da sempre accostato con la creatura, e Neve non fu in effetti sorpresa di riuscire ad avvertire la vita tutto attorno a sé. Era consapevole del topo che zampettava tra le radici di un vecchio larice e del gufo che, nascosto tra i rami dello stesso albero, aspettava il momento opportuno per gettarsi sulla preda; poteva sfiorare la coscienza della volpe che annusava un cespuglio di felci qualche decina di metri più in là e addirittura quella del nugolo di moscerini che pulsava sopra una pozzanghera. Era in sintonia con le piante, con la loro respirazione lenta, con i funghi che ancora non erano emersi dalla loro culla di terra, con l’inconoscibile espansione dei licheni che crescevano sulla roccia e sul legno.

Più di tutto, però, Neve avvertiva una vibrazione sulla pelle, nella pelle, una sorta di tensione che la trascinava in avanti, verso una meta che la creatura intuiva e che la sua parte razionale non riusciva invece nemmeno a ipotizzare. C’era come il fantasma di un gusto in fondo alla sua bocca, nel punto in cui la gola incontra il naso, qualcosa che ricordava il sapore della terra e delle foglie d’estate. Era un aroma quasi familiare, che le solleticava la memoria. L’aveva già sentito, ma dove?

Il ricordo la colpì mentre le sue gambe la proiettavano al di sopra di un tronco caduto, in un balzo che la giovane non sarebbe mai stata in grado di compiere in condizioni normali. Oh, no! Pensò Neve.

Oh, sì, le fece eco la creatura.

***

Ehilà! Ricordo che le recensioni, i commenti e i suggerimenti motivano chi scrive e fanno sì che gli aggiornamenti siano più frequenti. Se una o due delle persone che passano da queste parti e che lasciano traccia nei numerelli delle visite volessero lasciare anche due parole, sarei molto felice.

A proposito: ringrazio come sempre Old Fashioned, presenza costante capitolo dopo capitolo.

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