Il difetto fatale

di anonimo_21
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Percy ***
Capitolo 2: *** Frank ***
Capitolo 3: *** Annabeth ***
Capitolo 4: *** Percy ***
Capitolo 5: *** Annabeth ***
Capitolo 6: *** Percy ***
Capitolo 7: *** Annabeth ***



Capitolo 1
*** Percy ***



Tutto sommato stava andando tutto bene fino a quel punto. Era riuscito a superare le sfide della lupa, l’arrivo al Campo Giove, coloro che lo evitavano poiché figlio di Nettuno, aveva accettato di accompagnare Frank nella missione affidatagli da suo padre Marte, ed insieme a Frank e Hazel avevano sconfitto il gigante, liberato Thanatos e recuperato l’aquila simbolo della dodicesima legione fulminata. Erano tornati in tutta fretta al campo giove e il loro contributo era stato fondamentale per respingere l’immenso esercito di mostri che si era presentato quella notte.
Poi vi erano stati i festeggiamenti, e Percy era stato eletto pretore senza grandi cerimonie per le incredibili prestazioni sul campo di battaglia, e ne era contento. Era acclamato come il successore di Jason Grace, pretore scomparso da mesi, proprio nel periodo del suo arrivo. Poi tutto questo era svanito quella stessa notte dopo la battaglia. Mentre Percy passeggiava sulla riva del Piccolo Tevere, una singolare coltre di fumo colorato si era raccolta sul fiume, ed era apparsa l’immagine di un centauro dall’aria sapiente. Questi aveva potuto solo dire al figlio di Nettuno: “Di non preoccuparsi” e che: “i suoi amici sarebbero venuti a prenderlo”. Tutto era durato poco secondi, poi la coltre di fumo era svanita, lasciando Percy allibito. Fino a quel momento il ragazzo non si era reso conto della sensazione di vuoto che lo opprimeva da mesi, ogni giorno di più. Quel messaggio lo aveva segnato. Era come se si fosse rotta una barriera nella sua mente e ora momenti del suo passato potevano tornare a fargli visita di notte, sotto forma di incubi terribili, ma dei quali non restava nulla il mattino dopo. Tutto ciò che ora ricordava erano due magnifici occhi grigi, ma non ricordava a chi appartenessero. Milioni di dubbi lacerarono da subito le certezze di Percy a cui era bastata una sola notte (la stessa dopo il messaggio) per decidere che ne aveva abbastanza. Non era più sicuro di niente. L Aveva deciso di rinunciare alla carica di pretore, e questo aveva stupito tutti i romani, che se prima lo guardavano con rispetto assoluto, ora parevano quasi offesi dal suo aver rifiutato il pretoriato della dodicesima legione fulminata. Anche per questo molti stentavano a credere alla storia del messaggio. Il pretore Reyna pareva stupita e quasi delusa dalla decisione di Percy di lasciarla a dirigere il campo da sola, ma non aveva dubitato della veridicità delle sue parole (in questo i suoi cani metallici avevano aiutato molto).
Ora le giornate scorrevano piatte e spaventosamente monotone. Grazie agli Dei Hazel e Frank non avevano abbandonato Percy, con il quale passavano tutte le ore del giorno, su concessione anche di Reyna, che si era accorta del singolare allontanamento dei legionari da Percy.Quei due erano stati una vera ancora di salvezza per il ragazzo, diventato inavvertitamente insicuro e ansioso. La sua paura più grande era ora quella di ricordare il suo passato smarrito. Non ricordare nulla di chi fosse gli toglieva il sonno, non risparmiandolo neanche quella sera, mentre si rigirava nel letto, cercando di capire se gli avrebbe fatto più male non dormire o un’altra notte di sonno eclissato dagli incubi.
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Nonostante tutto il domani arrivo lento ed inesorabile. Quello era il giorno di riposo della maggior parte delle persone, ragion per cui il Foro era perfino più trafficato del solito. Percy, Frank ed Hazel avevano deciso di passare lì la mattinata, passeggiando e chiacchierando. Frank e Hazel si erano accorti del costante malessere di Percy e facevano del loro meglio per distrarlo. I tre ormai conoscevano quasi tutto delle vite dei compagni, ovviamente ciò non poteva accadere per Percy, perciò spesso glissavano sull’argomento.
Tutt’a un tratto il distratto il parlare della folla di romani nella piazza aumentò di volume. Una moltitudine di braccia si alzò per indicare il cielo sopra le colline di Berkeley, dove ora era visibile una triremi volante di un metallo sconosciuto(Percy credeva si chiamasse bronzo celeste, ma non aveva idea di come facesse a saperlo) lunga almeno sessanta metri. Da tutta Nuova Roma si alzarono voci perlopiù allarmate mentre l’immensa imbarcazione volante sorvolava l’acquedotto in direzione del centro della cittadina. Più si avvicinava e più Percy notava dettagli che prima non erano visibili: gli alberi, la forma dello scafo e molti altre finezze tecnologiche incomprensibili degne del miglior figlio di Vulcano...
Quest’ultimo pensiero inquietò particolarmente, ma nemmeno lui riusciva a spiegarsi il perché di questo fatto. Fu in quel momento che Percy notò e riconobbe la polena della nave: la testa di un drago di bronzo con due occhi rossi come rubini...
Un ricordo colpì la memoria di Percy come un fulmine: la figura di un ragazzo diciottenne, scuro di pelle e con due enormi mani ricolme di calli. Aveva l’impressione che quel ragazzo fosse stato qualcuno importante per lui. Quando nella memoria di Percy riapparve anche il volto di quel ragazzo, Il suo respiro aumentò vertiginosamente di volume. All’improvviso lo raggiunse la consapevolezza che quel ragazzo era morto, seguita subito da un enorme senso di colpa che annebbiò ulteriormente la sua mente. Gli parve di ricordare il nome di quel ragazzo, poteva essere Charles?. Si era Charles, figlio di Vulcano… (o Efesto?) La sua morte era davvero stata colpa sua? Percy sentiva di sì e temette di star impazzendo. si rese conto di star tremando, la sua espressione in quel momento doveva essere orribile, ma nessuno sembrava averci fatto caso. Hazel fu la prima ad accorgersene e ad intuire che c’era qualcosa che non andava:-Che succede, Percy?-. In quel momento un potente ruggito raggiunse la piazza, proveniente dalla testa di drago della nave, che sbuffò fumo dalle narici. Altri flash riempirono la mente del figlio di Nettuno: Il ragazzo su di un carro da guerra totalmente meccanico, poi di nuovo lui paralizzato in una grotta ricolma di ossa, e infine Percy si vide abbandonare quel ragazzo su una nave immacolata gettandosi nel mare, l’esplosione che ne era seguita pareva aver scosso il pianeta. Qualcosa dentro di lui si ruppe. Non resse più e scappò via, cercando la solitudine e la quiete, lasciandosi la nave, la folla e tutto il resto alle spalle.

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Capitolo 2
*** Frank ***


Frank era stato molto fortunato: l’arrivo di quello strano figlio di Nettuno gli aveva concesso un’ottima scusa per poter passare più tempo con Hazel Levesque, la figlia di Plutone di cui si era infatuato da poco. Nonostante lei fosse due anni più piccola di lui, non aveva potuto fare a meno di sviluppare una simpatia e anche qualcosa di più nei suoi confronti. La ragazza era forse l’unica a non averlo guardato storto per la sua condizione di probatio che all’età di sedici anni era motivo di vergogna. Inoltre i numerosi turni di guardia condotti con lei gli avevano permesso di conoscerla un po’ meglio, condividendo molti momenti di dialogo. Poi era arrivato quello strano Percy Jackson, con in braccio la Dea Giunone, a rompere la tranquillità di quei giorni. Il ragazzo stava scappando da due gorgoni dalle quali lui e Hazel l’avevano salvato, per poi condurre il ragazzo al campo. Percy era poi stato riconosciuto da suo padre Nettuno. Singolare era il fatto che Reyna si fosse subito fidata del nuovo arrivato, ma vista la fama della ragazza erano davvero in pochi a mettere in dubbio ciò che faceva. Percy si era poi bene o male integrato, nonostante uno nota di sconforto fosse sempre presente nei occhi verde mare.
 Frank, Hazel e Percy per passare quel giorno di riposo avevano deciso di girare per Nuova Roma. Si trovavano nei pressi dell’affollato Foro quando la nave era apparsa. Frank non aveva mai visto niente del genere. Ai romani non era mai piaciuto il combattimento via nave, perciò quel vascello risultava loro ancora più imponente. Era lunga circa sessanta metri e composta di un metallo che Frank non aveva mai visto. La cosa che più lo stupiva era la polena, aveva la forma della testa di un drago e come occhi due rubini visibili anche dalla distanza. Alcuni si preoccuparono seriamente ma nessuno fece nulla per fermare la nave, dalla quale sembravano ammaliati. Quando il drago-polena ruggì Frank sorrise per lo stupore, ma durò poco. Hazel lo strattonò per un braccio: -Frank!- Frank si girò: -Che succ… Dov’è Percy?- Hazel era visibilmente preoccupata:-è appena corso via. Sono abbastanza sicura che non stesse bene. Non so cosa gli sia preso…-. Frank cercò di alleggerire: -In effetti mi sembrava un po’ strano, credo non stesse troppo bene.- Hazel fu la prima ad arrivarci:-E se quella nave fosse legata al messaggio che ha ricevuto?-. A quell’idea Frank si incupì un poco -Credo che…- ma non riuscì a rispondere perché il frastuono prodotto dal motore della nave era diventato assordante con l’avvicinarsi della stessa. Alcuni si pararono le orecchie, ma per poco perchè la nave rallentò fino a fermarsi con precisione sopra il Foro. Subito dopo le sagome di un ragazzo ed una ragazza si lanciarono giù dalla barca, scendendo verso il terreno delicatamente, accompagnati dai venti. Alcuni indietreggiarono dal centro della piazza per fare spazio. In pochi secondi i due erano atterrati senza troppi complimenti nella piazza, ora totalmente ammutolita. Il silenzio venne rotto da qualcuno che riconobbe il ragazzo e in breve lo stupore prese possesso della piazza:-è il Pretore…-. -Jason Grace?- -è proprio lui!- -Bisogna dirlo a Reyna!-.
Reyna, come in risposta a quelle chiamate, arrivò subito dopo, tutte le voci si zittirono nuovamente. La folla si aprì per lasciar atterrare il suo pegaso Scipione con lei sopra. Il pretore era partito non aveva saputo e aveva il fiato grosso per la frenetica cavalcata. Quando il suo sguardo passò dalla nave al centro della piazza, dove si trovavano un ragazzo e una ragazza entrambi biondi, perfino lei faticò a trattenere gioia e stupore:-Jason?-. Il Figlio di Giove sorrise:- Sono tornato!-.

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Capitolo 3
*** Annabeth ***


La tortura non era ancora finita. Non erano bastati mesi e mesi di paura e angoscia, notti insonni, menzogne, ricerche disperate e fiumi di lacrime. No. Ad Era, o Giunone come la chiamavano lì, non era bastato. La dea le aveva tolto Percy dalle mani una seconda volta: sta volta non l’avrebbe mai perdonata, MAI!
 Scoprire il Campo Giove era stato già di per sé un trauma. Chirone l’aveva tenuto nascosto perfino a lei (a cui solitamente diceva sempre tutto) e la cosa le aveva dato parecchio fastidio nonostante sapesse benissimo che cosa significasse aver giurato sullo Stige. Arrivarci poi era stato ancora peggio: la figlia di Atena era da sempre convinta che per i semidei non era e non sarebbe mai esistito un posto migliore del Campo Mezzosangue in cui passare la vita. Annabeth detestava ammetterlo, ma il Campo Romano era perfino più bello di ciò che si era immaginata nelle ore passate ad ascoltare le accuratissime descrizioni di Chirone.
Come se non bastasse al loro arrivo il pretore l’aveva presa da parte subito. Reyna (quello era il suo nome) era stata molto restia a fidarsi di lei, nonostante avesse riportato Jason, e l’aveva costretta a raccontarle molte cose per esempio come avessero fatto a superare la barriera magica del campo e Terminus (Era stata opera di Jason che si era fatto riconoscere dal Dio), arrivando anche a minacciarla verbalmente. Annabeth le aveva tenuto testa, trovando sempre una risposta buona  ad ogni suo quesito. Tutto ciò aveva però la figlia di Atena a dura prova e quando si arrivò a toccare l’argomento Percy, non riuscì a trattenere qualche lacrima, ricordando i tremendi mesi che aveva passato fra pressioni e incubi. Quella fu la prova definitiva che convinse Reyna della buonafede di Annabeth. Le due riuscirono a superare tutto questo e uscirono da quella conversazione perlomeno con un rapporto di reciproco rispetto e fiducia. Di lì a poco avrebbero scoperto che Percy era scomparso e l’interminabile ricerca sarebbe cominciata.

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Capitolo 4
*** Percy ***


Quanto tempo era passato? Percy ormai aveva perso il senso del tempo… E come avrebbe potuto?  Da ore la sua testa era piena di volti di persone morte e non riusciva a pensare lucidamente. Andava a momenti. C’erano stati momenti in cui aveva pensato addirittura di uccidersi con Vortice; la lama era l’unica cosa di cui era cosciente,  sempre lì, nella sua tasca, unico raggio di luce in un labirinto di sensazioni ed emozioni, soprattutto sensi di colpa, troppo opprimenti…
Non ne poteva più. Percy cercò di concentrarsi solo sul suo corpo. Capì di essere seduto con la schiena appoggiata su di una roccia… o di un tronco?  Si, al tatto sembrava legno. Si accorse di avere gli occhi chiusi, li aprì e capì di essere in un bosco, con al centro un piccolo stagno. Non voleva pensare, aveva la consapevolezza che se ci avesse provato avrebbe di nuovo perso il controllo. Il battito del suo cuore divenne sempre più frenetico. Stava perdendo nuovamente il controllo, sapeva cosa stava per accadere e ne era terrorizzato. Aveva passato le ultime ore così, tra incubi tremendi e risvegli affannosi. Cercò di concentrarsi su ciò che poteva vedere. Il cielo era tinto di rosa, che pian piano andava scurendosi. Nulla disturbava la quiete di quel laghetto Qualcuno di cui prima non si era accorto scomparve dal suo campo visivo. …Ma non bastava… Le lacrime gli stavano appannando la vista… Udì dei passi veloci allontanarsi. Si prese la testa pulsante fra le mani e si rese conto di star ansimando. La vista si stava distorcendo, i suoni lo fecero poco dopo. Percy ricadde nuovamente nell’oblio.

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Capitolo 5
*** Annabeth ***


La figlia di Atena era tremendamente provata. Sapere che Percy fosse così vicino, ma al contempo così lontano la stava facendo impazzire. I suoi occhi grigio tempesta scattavano alla ricerca di qualcosa che potesse ricondurla dal suo amato. Ormai stava diventando paranoica, vedeva Percy dovunque.
Dopo essere riuscite a far pace lei e Reyna avevano intuitò che Percy non poteva non essersi accorto dell’arrivo della nave che era stato visibile da tutto il Campo Giove. Avevano cominciato a cercarlo, il pretore aveva fatto chiamare Frank e Hazel (che nel frattempo si erano fermati nel mezzo della folla improvvisata che si era formata nella piazza mentre Jason narrava le sue avventure da quando era scomparso). Hazel aveva raccontato di come lei e Frank avessero visto la nave nel cielo e di come subito dopo Percy si fosse allontanato in fretta e furia senza dire loro nulla. Annabeth era stata in pensiero,  ma aveva deciso lo stesso di attendere che i luoghi principali dove Percy avrebbe potuto essere fossero controllati. Quando i soldati incaricati da Reyna erano tornati a mani vuote, la ricerca era diventata ufficiale.
Qualcosa la riscosse dai suoi pensieri. Le foglie di un albero alle sue spalle frusciarono, Annabeth si girò di scatto, il pugnale già estratto. Il suono era stato prodotto da una civetta che si era appena svegliata e aveva preso il volo. Era forse un monito di sua madre che le diceva di restare vigile? Non poteva essere. Sua madre non era stata risparmiata dalla scisma greco-romano. Mentre rimuginava su tutto questo, e, se possibile, si deprimeva ancora di più, riconobbe il suono delle ali di un pegaso. Ebbe giusto il tempo di girarsi e si ritrovò davanti Reyna in groppa a Scipione. Annabeth cercò di darsi un contegno:-Trovato nulla?-. La speranza quasi assente dalla sua voce. Lo sguardo del pretore era grave:-Annabeth…- Reyna prese tempo. In quel momento la figlia di Atena ebbe davvero paura della risposta. -L’ho trovato… ma non è in sé-.
 
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Dopo un tempo che le sembrò infinito, Annabeth era finalmente lì, a (se ciò che Reyna diceva era vero) un minuto di cammino da Percy, in mezzo a quel piccolo bosco. Il pretore camminava impassibile al suo fianco, mancava sempre meno… Le due ragazze superarono un cespuglio e si ritrovarono davanti ad un piccolo stagno, circondato da alberi di modesta statura. Su uno di questi un ragazzo poggiava la schiena, reggendosi la testa fra le mani . Il cuore di Annabeth saltò più di un battito. Quel ragazzo era Percy.
Annabeth venne scossa da un forte brivido, rimase paralizzata, incapace di pensare lucidamente. In quel momento Percy si lamentò. Il ragazzo farneticava, il suo volto non era visibile, ma era chiaro che non stesse bene. Annabeth cominciò ad avanzare verso di lui come in trance…

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Capitolo 6
*** Percy ***


Vuoto. Una infinità di nulla nel quale perdersi. Poi ricominciarono i flash:
La luce della luna illuminava una ragazza sui quattordici anni dalla pelle olivastra e i capelli neri legati in una treccia. Era consapevole di essere stato davvero lì con lei ma in quel momento poteva solo guardare se stesso passivamente.  Sulla schiena della ragazza un arco argentato scintillava nella notte, mentre ella scompariva sotto ad un enorme piede  d’acciaio. Poi il gigante cadde ma della Cacciatrice non era rimasto nulla. Percy fu pervaso dal senso di colpa. Si vide cercarla fra i rottami per ore. Avrebbe dovuto impedirle di andare… Il senso di colpa colmò la sua mente non lasciando spazio a nient’altro, poteva solo soffrire per ciò che non era stato capace di fare.
Il cielo brillava, percorso da mille sfumature di rosso, rosa e arancione. Percy si vide su un autostrada, mentre spazzava via orde di nemici, nulla poteva tangerlo. Era scioccato e infuriato perché qualcuno a cui teneva molto era stato ferito, ma non riusciva a ricordare chi fosse… Quelle emozioni lo stavano guidando in battaglia, avrebbe potuto continuare per settimane, ma il suo nemico era lì, e lui non poteva essere battuto. Quando quest’ultimo era arrivato i suoi amici erano ormai tutti fuggiti, solo uno era rimasto, il leader, a coprire la ritirata. Ricordò di aver fatto come gli aveva detto quel ragazzo. Si vide conficcare e subito dopo estrarre la spada dall’asfalto, da lì l’acqua eruttò, spaccando il ponte in due. Ma quando tutto smise di tremare Percy era rimasto solo sul ponte, un arco giaceva abbandonato sul lato della strada. Di nuovo colpa sua. L’ennesimo compagno era morto… ed era stata colpa sua.
La sua mente staccò da tutto questo, gettandolo in un turbine di immagini sconnesse ed emozioni discordanti. Prima o poi sarebbe diventato pazzo…  o forse lo era già ?  Era pazzo o una voce lo stava chiamando? Mentre cadeva nel buio sempre più profondo, i timpani graffiati da un vento assordante, riconobbe una voce ovattata, distante, che lo pronunciava il suo nome, come a volerlo trarre in salvo. Cercò di aggrapparsi a quella familiare voce con tutto se stesso…
I ricordi divennero sempre più rapidi. Il ragazzo afroamericano, Charles, aveva una ragazza… Con uno sforzo non da poco Percy forzò la sua mente a cercare ricordi di quella ragazza. Funzionò.
Vide il fumo levarsi dalle strade di un enorme metropoli. Un plotone di semidei combatteva contro un dragone verde che nessuno di loro era destinato a sconfiggere. Dal cielo arrivò una squadra di carri trainati da magnifici pegasi. I carri attaccarono il dragone. La capessa abbandonò la biga, proseguendo a terra. Qui Percy ricordò di aver dubitato che fosse davvero la ragazza che pensava. La capessa venne colpita da uno spruzzo di acido. Percy si vide correre verso di lei, ma i ricordi opposero resistenza, non mostrandogli ciò che più voleva, il volto di quella ragazza. Combatté con la sua stessa mente: l’unica cosa che riuscì a tirar fuori fu l’immagine sfocata di un medaglione d’argento sulla mano di Silena (il cui nome era riemerso dalla mente di Percy), un medaglione con una falce. Le emozioni collegate ai ricordi di quel simbolo lasciarono Percy ammutolito. Prima che i suoi ricordi cambiassero di nuovo, riuscì a vedere una ragazza con la lancia della caduta in mano gridare mentre si lanciava contro la bestia.
Tutti i ricordi riguardanti Luke, e Luke soltanto, inondarono percy che rivide ogni suo incontro con il ragazzo. Vide il loro primo scontro, lo vide in quelli che dovevano essere stati sogni, visioni, lo vide all’interno di una bara dorata con un buco nel petto, lo vide alzarsi da quella stessa bara con gli occhi come sfere perfette di oro freddo, lo vide sulla nave che lui e Charles avevano fatto esplodere, ma soprattutto lo vide al centro di una magnifica sala, circondato da 12 troni giganteschi. Qui la sua mente si fermò e Percy si vide attaccare il Titano.
Lo scontro non era mai stato bilanciato, Percy aveva retto bene per un po’, ma l’ultimo colpo assestatogli era stato tremendo. Si vide tentare di sollevarsi più volte, e quando ci riuscì il titano stava combattendo contro una ragazza dai capelli biondi. Percy si vide cercare con tutto se stesso di aiutarla, ma riuscì ad alzarsi solo quando il titano schiantò con uno schiaffo la ragazza contro il trono di sua madre. Quella scena ferì il ragazzo nel profondo. Il titano si avvicinò per il colpo di grazia, ma qualcosa che la ragazza disse scosse il titano, che perse il controllo del corpo che non gli apparteneva veramente. Percy poté finalmente vedere il volto della ragazza: ferito, sia sulla pelle che nel cuore. Due occhi grigi come l’acciaio fissavano imploranti il titano, una chioma bionda sparsa malamente a terra. Il flusso dei ricordi si interruppe bruscamente. Fu come se qualcuno lo stesse aiutando a risalire a nuoto una cascata, i ricordi riaffiorarono a uno a uno nella testa del Figlio di Poseidone (e non Nettuno, come fino ad allora credeva). Persone, luoghi, voci si mischiarono finché qualcuno non lo tirò fuori dal flusso dei suoi pensieri. Percy capì di essere ancora nella sua testa, ma quello che vedeva non era un ricordo. Una ragazza bionda lo osservava dall’alto in basso sorridendo. Gli occhi grigio tempesta che tormentavano le notti di Percy da mesi avevano finalmente trovato la loro collocazione in quel volto delicato, magnifico, che per Percy era tutto. Percy in quel momento fu felice.
 Poi tutto si fermò. Per la prima volta da ore la mente di Percy era finalmente vuota. Finalmente vi era solo il silenzio e il buio. Un buio senza pensieri. Poi i sensi cominciarono a tornare poco alla volta. Percy riaprì gli occhi, mise a fuoco una sagoma china sopra di lui, la ragazza dei suoi sogni lo guardava con la speranza e un accennò di lacrime negli occhi.

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Capitolo 7
*** Annabeth ***


 Con voce rotta Percy pronunciò il di lei nome: -Annabeth…-. Il volto di lei si rilassò, per la prima volta da mesi. La ragazza lo aiutò ad alzarsi con mani delicate ma decise. Quando furono entrambi in piedi, lui sorretto da lei, poterono fermare ad ammirarsi l’un l’altro i volti. Annabeth non aveva dimenticato nulla, le cicatrici, i capelli neri disordinati, gli occhi verde mare… guardandoli capì che non c’era bisogno di parole. Ora erano insieme e in tutto il cosmo non c’era niente di più importante. Seguì un bacio, di cui nessuno dei due avrebbe mai più ricordato la durata. Sapevano solo che ad un certo punto il pretore Reyna (rimasta in disparte) si era schiarita la voce, i due se ne erano accorti e si erano separati, con i cuori ormai sincronizzati.
Reyna intimò loro di restare lì mentre sarebbe andata ad avvisare tutti del ritrovamento di Percy e soprattutto a chiamare un altro pegaso per il ragazzo. Il contatto con Annabeth sembrava aver dato forza al figlio di Poseidone, ma nonostante ciò era meglio per lui evitare sforzi inutili.  Annabeth e Percy si sedettero a terra, mentre guardavano il pretore e il suo pegaso sfrecciare nel cielo verso Nuova Roma. Per un po’ si godettero quel tramonto dai mille colori, poi fu Annabeth a rompere gli indugi: -Percy… sono stata in pensiero per mesi, e mai come oggi. Si… insomma, sono felice di rivederti…- Gli occhi di Percy erano l’unica parte di lui che sembravano non patire la stanchezza; la scrutavano, attenti ad ogni dettaglio. Il ragazzo accennò un sorriso:< Ormai capisco quando qualcosa ti turba Sapientona…>. Nonostante tutto Percy era ancora sfacciato come sempre. Entrambi sapevano però dove sarebbe andata la conversazione. Dovette fare un respiro profondo: -il mio difetto fatale… -. Non riuscì a proseguire, Annabeth intervenne: -La lealtà… Non sapevo come aiutarti. Mentre eri svenuto raccontavi storie a spezzoni, tutte le morti a cui hai assistito-. Guardò a terra. -E conoscendoti ti sei convinto di esserne stato la causa-. Percy annuì, un brivido improvviso lo scosse. Parlò con voce incerta.-Tutto questo mi ha segnato. Io… non so se sono lo stesso di prima-  Annabeth sospirò, ma poco dopo le sfuggì un sorriso: -Noi viviamo un cambiamento dietro l’altro, fidati se dico che nonostante tutto i tuoi occhi sono gli stessi di sempre, Testa d’alghe- Il ragazzo non ebbe il tempo di pensare ad una risposta, che il cielo davanti a loro era stato occupato dalla Argo II, con tutto il suo equipaggio a bordo che si sbracciava per salutarli. Percy si alzò per primo, subito seguito da Annabeth: -Forse hai ragione. Ma non voglio più pensarci- Disse il ragazzo mentre la nave atterrava. -Sei con me, per tutto il resto c’è tempo. È ora di andare a casa…-
 
 
Spazio autore:
vi ringrazio per avere letto la mia breve fanfiction, penso si sia capito che sono molto giovane e mi sono buttato totalmente allo sbaraglio pubblicando questa fanfiction. Spero che avrete voglia di commentare e di dirmi cosa ne pensate. Nonostante la breve durata ci ho messo due mesi per finirla (purtroppo non ho avuto molto tempo, sennò avrei finito prima), mi sono divertito molto. Vi ringrazio nuovamente e vi auguro tante buone cose!
 

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