L'INNOCENZA DEL DIAVOLO

di Ilsognodiunascrittrice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 ***


AUDREY
 
Mi alzo dal corpo che ha appena smesso di vivere per mano mia. Lascio cadere il coltello di metallo con ancora le mani che tremano. Il coltello colpisce il pavimento facendomi sobbalzare e ritornare alla realtà. Guardo il corpo di mio padre inerme, che non respira, ricoperto di sangue.
Guardo le mie mani. Sono sporche del suo sangue.
Che ho fatto? Come ho potuto fare una cosa del genere?
Guardo i miei vestiti, sporchi di schizzi di sangue. Sento la nausea salirmi piano piano. Se prima ero fredda, determinata a fare il gesto appena compiuto, adesso mi sta venendo lo schifo e i sensi di colpa che mi stanno divorando.
Crollo sul corpo ormai privo di vita di mio padre. Inizio ad urlare. Urlo per la disperazione, per la rabbia e per l’odio che provo verso me stessa e verso mio padre.
Una scarica di adrenalina colpisce il mio corpo, e ciò mi porta ad alzarmi e iniziare a mettere a soqquadro tutta la casa, senza mai smettere di urlare.
I cuscini del divano finisco sul pavimento, anche loro si sporcano di sangue presente sulle mie mani, ma non m’importa.
Ho bisogno di sfogarmi e di urlare tutte le emozioni che sto provando ora, anche se ormai sono tutte un misto, non riesco più a distinguerle lucidamente.
Non mi sento in colpa per aver ucciso lui, ma per aver appena firmato la mia condanna a morte. Sento che la mia testa sta per scoppiare per i troppi pensieri che stanno scorrendo.
Dopo aver smesso di urlare, scivolo lentamente contro lo schienale del divano. Tutto il mio corpo trema e non ha intenzione di smettere.
L’ansia si insinua in me, e inizio a piangere disperata nuovamente. La disperazione mi ha portato a commettere un crimine, mi ha portato a rovinarmi la vita a soli 18 anni. Come faccio a dimostrare che è stata semplice difesa? Non ho nessun testimone.
Mi passo le mani tra i capelli, sporcandoli ancora di più per poi appoggiare la testa sulle ginocchia.  Me le stringo e mi lascio andare in un pianto liberatorio. Se da una parte mi sono liberata di un peso, dall’altra me ne sono procurata un altro.
Mi salgono conati di vomito. Mi alzo e corro verso il lavandino della cucina. Rimetto anche l’anima.
Devo uscire immediatamente da questa casa. Le mie impronte digitali saranno ovunque. Sul coltello, sui miei vestiti che sto indossando adesso, sul pavimento, sul corpo di mio padre, ovunque. Mi sono scavata la fossa da sola.
Decido di calmarmi. Se mi agito non riuscirò mai a trovare il modo di andarmene. Prima di tutto devo liberarmi da questi vestiti e dal sangue presente sul mio corpo.
Prendo un respiro profondo e mi appoggio al lavandino della cucina. Dopo essermi calmata mi avvio verso le scale senza toccare niente. Per fortuna ho un bagno in camera mia, non è molto grande, ma non fa nulla.
Qualcuno avrà già chiamato la polizia per via degli spari che ci sono stati prima. Entro in camera, per fortuna avevo lasciato la porta aperta.
Ormai è successo, troveranno le mie impronte ovunque, non ho tempo di preoccuparmi di non lasciarle anche qui.
Non ho tempo di cambiarmi. Vado dritta in bagno e mi lavo le mani e la faccia. Mi faccio una coda ai miei capelli neri. Decido di mettermi un capello. Per fortuna ne trovo uno sulla scrivania.
Prendo dall’armadio un borsone e ci metto dentro le mie maglie, felpe, pantaloni e scarpe. Per fortuna non ho molti vestiti.
Mi prendo la giacca che tengo sempre sulla sedia e mi metto gli occhiali da sole. Guardo il mio pc sulla scrivania. Devo prenderlo, non posso lasciarlo qui.
Prendo uno zaino di grandezza media e ci metto dentro il pc con caricabatterie. Voglio portarmi via più delle cose possibili, non voglio che trovino cose che potrebbero rendermi la situazione ancora più complicata.
Per mia fortuna su quaderni, block notes non ho nulla di importante, sono solo appunti della scuola. Prendo le mie amate cuffiette e me le metto in tasca. Metto la giacca, zaino in spalla, borsone in una spalla e mi guardo allo specchio.
Mi asciugo le lacrime e prendo un respiro profondo. Prendo il telefono dal letto e me lo metto nella tasca della giacca.
Esco dalla camera, ma mentre sto scendendo le scale sento le sirene della polizia. Sono qua. Non posso uscire dalla porta principale. Guardo per l’ultima volta il corpo di mio padre.
Non posso nemmeno uscire dalla finestra di camera mia. Pensa Audrey, pensa. Vedo che dalla tasca dei jeans di mio padre fuoriescono le chiavi delle auto.
Scendo di corsa le scale e le prendo. Esco dalla porta di retro che si trova in cucina. Una volta uscita, mi avvicino all’angolo del muro.
Mi guardo intorno e cerco di trovare la macchina di mio padre. Riesco a trovarla. Non so come mai, ma non è parcheggiata vicino alla soglia di casa come sempre.
L’ha parcheggiata vicino alla sua tabaccheria di fiducia. Ormai i poliziotti sono entrati in casa, ma alcuni sono di pattuglia fuori.
Decido di non correre, sennò sarei troppo sospettosa. Inizio a camminare veloce verso l’auto con la testa abbassata.
Sblocco la macchina. Iniziano a tremarmi le mani, ma non posso mollare adesso. Entro, e chiudo la portiera. Metto in moto la macchina e butto il telefono sul sedile del passeggero. Ho solo un posto dove andare.  Butto zaino e borsone nei sedili posteriori.
Conosco più o meno la strada della mia destinazione. Per fortuna nessun poliziotto mi ferma e posso andare tranquillamente verso la mia destinazione. Una volta arrivata, parcheggio un po’ più distante, per poi farmela a piedi.
Entro nel cancello e vado dritta verso la porta. Busso, guardandomi intorno sperando che nessuno mi veda.
Non ricevendo risposta, busso più volte. Sento dei passi accompagnati dalla voce di qualcuno che si è appena svegliato.
Quando la porta si apre, lascio cadere il borsone e l’abbraccio.
 
<< Santo Dio, sono quasi le tre del mattino. Che ti salta in mente? >>  Connie ricambia l’abbraccio.  << Entra. >>  Una volta sciolto l’abbraccio, prende le mie cose e mi fa entrare.
 
<< Connie. Mi dispiace di disturbarti a quest’ora. >>  Chiudo la porta e accendo la luce.
 
Gli occhi di Connie si sgranano davanti alla vista di me stessa con i pantaloni e la maglia ricoperta di sangue. La giacca la porto sempre aperta, e anche se stavolta l’ho chiusa, non copre tutto il sangue che ho addosso.
Non so che fare, non so che dire, non so se sia giusto coinvolgere Connie, nonché mia migliore amica in questo casino che ho combinato. Ho paura che possa sbattermi fuori casa, che non voglia vedermi mai più.
Invece la sua reazione mi stupisce. Va in cucina e ritorna con un bicchiere d’acqua. Me lo porge e mi vado a sedere sul bracciolo del divano.
Connie vive da sola. Ha un lavoro che le permette di pagare le bollette e di farsi la spesa. Questa casa gliel’hanno comprata i suoi genitori, ma da lei si aspettavano che si trovasse un lavoro per provvedere alle bollette e alla spesa, frequentando contemporaneamente l’ultimo anno di scuola.
Non voglio rovinarle la vita che si è creata con tanto impegno. Tengo il bicchiere tra le mani, sento che inizieranno a tremare, e per impedirlo, decido di lasciare che sia la gamba a tremare.
Appoggio il bicchiere d’acqua sul tavolino che si trova di fronte al divano in salotto.
 
<< Mi spieghi che cosa cazzo succede? Perché sei coperta di sangue? >>  Connie inizia a fare avanti e indietro per la stanza. << Audrey, che cos’hai fatto? >>   Mi guarda dritto negli occhi.
 
<< Connie...ho fatto una cosa orribile. Non so che fare. Mi sono messa nei casini da sola. >> Mi alzo e mi passo una mano tra i capelli. << Ho ucciso mio padre .>> Decido di dirlo direttamente senza giri di parole. << C’era qualcuno in casa. È iniziato tutto perché mia madre è andata in biblioteca come suo solito, ma era passato troppo tempo da quando era andata via. Volevo chiedere a mio padre se sapesse qualcosa, ma mi sono ritrovata una persona a me sconosciuta che ha cercato di farmi del male. Aveva una pistola, ma dopo che sono riuscita a fargliela cadere, l’ho presa. Quando ha sentito il colpo di pistola che ho sparato verso mio padre, è scappato. Dopo essere scappato, gli è caduto un coltellino. Non se n’è accorto, ed io l’ho usato per ferirmi, volevo far credere che la persona che mi ha attaccata mi avesse ferita. Nella mia testa ho pensato che mi potesse aiutare per dire di essermi difesa. Ti giuro che non volevo arrivare a tanto, ma mio padre si è lanciato contro di me, anche quando sono scesa con la pistola puntata contro di lui. Nonostante avesse visto della ferita mi ha aggredita, mi ha fatto cadere la pistola, ho lasciato il coltellino per prendere il suo coletto, e alla fine, l’ho accoltellato. Ecco cos’è successo. >> Sento le lacrime che vogliono scendere, ma le ricaccio dentro.
 
<< Audrey...non so cosa dirti. Ti sei difesa, ma scappando, dimostri altro. Voglio aiutarti, ora vai a farti una doccia, io mi occuperò dei tuoi documenti. Conosco qualcuno che può aiutarmi, ma non adesso. Spero solo che tu non abbia lasciato tracce che possano portare a me .>> Nella sua voce sento un tono di paura, e non posso biasimarla. << Se venissero a cercarmi per il legame che ho con te, sarà difficile organizzare la fuga. >> Ha ragione, ma in questo momento non mi viene in mente se abbia lasciato qualche traccia di lei.
 
Non rispondo, prendo il mio borsone e salgo le scale. So che Connie non prenderà questo silenzio come un’offesa, sa che in questo momento ho solo bisogno di tranquillizzarmi un attimo.
Entro in bagno e appoggio il borsone a terra. Lo apro e prendo il pigiama. Una semplice canottiera bianca e dei pantaloncini corti che arrivano fino a metà coscia neri, almeno domani potrò cambiarmi velocemente.
Appoggio il pigiama sul lavandino, e apro l’acqua della doccia. Lascio che si riscaldi mentre mi spoglio. Butto i vestiti sporchi sul pavimento e sospiro.
Sento bussare. Connie entra dopo che le ho dato il permesso.
 
<< Ti ho portato degli asciugamani pulite. Erano in camera mia, mi sono dimenticata di dirtelo. >> Le appoggia sulla lavatrice. << Questi vestiti è meglio se li butto. Anche se non ti ha visto nessuno, non si sa mai che possano contenere tracce del tuo DNA una volta lavate. >> Prende i vestiti. << O preferisci che li brucio? >> La guardo. Non è da Connie, ma capisco perché lo fa.
 
Annuisco. Mi dà una stretta alla spalla per poi uscire chiudendosi la porta dietro di sé. Sospiro e mi tolgo l’intimo. Non so come farà a bruciarli senza che nessuno se ne accorga, con la confusione che ho in testa, mi sono dimenticata di chiederglielo.
Mi guardo allo specchio. Faccio schifo. Ho gli occhi gonfi e rossi, il naso tutto rosso e quel poco di trucco che ho messo, si è rovinato tutto.
Entro in doccia e lascio che il getto di acqua calda m’invada tutto il corpo. I muscoli si rilassano e per dieci minuti mi lascio bagnare dall’acqua senza passarmi nulla.
Mi prendo i miei minuti e mi lavo facendo attenzione a eliminare tutto il sangue presente sul mio corpo. Guardo l’acqua rimuovere il sangue. Come vorrei che fosse l’eliminazione di questo incubo, ma per quanto le prove stiano lasciando il mio corpo, i sensi di colpa continuano a mangiarmi.
Niente potrà eliminare ciò che ho fatto, nemmeno l’acqua. Finché non dimostrerò di essere innocente, non mi sentirò libera.
Esco dalla doccia e mi metto un asciugamano intorno al corpo, mentre con l’altra mi asciugo i capelli per eliminare le gocce che scendono da essi.
Prendo il phon di Connie e mi asciugo i miei lunghi capelli neri che mi arrivano fino a metà schiena.
Mi guardo allo specchio e mi rendo conto che dovrò cambiare il mio aspetto. Sicuramente troveranno mie foto in giro per la casa, per quanto non avessi un bel rapporto con i miei genitori, mia madre teneva sulla sua parte del comodino una mia foto fatta con lei di recente.
Non ho avuto tempo di poter andare a rimuoverla. Andrà su tutti i giornali e su tutte le tv.
Dovrò cambiare. Colore, taglio, tutto. Mi guardo allo specchio ed osservo per l’ultima volta l’Audrey che mi ha accompagnata in questi 18 anni.
Sospiro e metto l’intimo nella lavatrice. Piego gli asciugamani e le appoggio sopra la lavatrice. Metto il phon da dove l’ho preso. Metto le ciabatte ed esco dal bagno.
Scendo di sotto e vedo Connie sul divano. Le sorrido e mi vado a sedere vicino a lei per parlare al meglio del mio piano adesso che sono più tranquilla.
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 ***


CONNIE

Chiudo la porta del bagno e vado in camera mia. Dopo una giornata stressante tra scuola e lavoro avevo proprio bisogno di una doccia calda.
Abito da sola. I miei genitori mi hanno comprato questa casa qui a Nothing Hills, ma a patto che mi trovassi un lavoro e che mi mantenessi da sola.
Mi hanno dato dei soldi con cui partire, ma per il resto dovevo cavarmela da sola. Lavoro come segretaria, e questo è un vantaggio da una parte.
Non è molto tranquillo, visto che appena esco da scuola devo recarmi subito in ufficio, ma in accordo con il capo, mi fa fare quattro ore e il week-end mi fa andare solo il sabato mattina, il vantaggio sta nel fatto che posso lavorare da casa.
Mi hanno fornito un cellulare, hanno la mie e-mail e il capo mi invia ciò che devo concludere a casa.
Ovviamente cerco di fare tutto in ufficio, ma in 4 ore non fai molte cose. Lascio la porta della camera aperta, non essendoci nessuno non ho paura che qualcuno possa invadere la mia privacy.
Mi lego in una cosa alta i capelli ancora umidi e apro l’armadio. Prendo sempre i vestiti la sera prima, in modo che la mattina posso fare tutto con più calma.
Prendo una camicia rosa con le maniche che arrivano fino a metà gomito, dei jeans grigi, e degli stivaletti neri con un po’ di tacco. Sopra metterò una giacca bianca. Cerco di essere il più professionale possibile, visto che poi devo recarmi a lavoro.
Accendo la televisione e mi metto Netflix. Faccio partire un film e mi metto sotto le coperte. Dopo neanche cinque minuti, i miei occhi mi comunicano che non guarderò ancora per molto il film.
Spengo la tv e appoggio il telecomando sul comodino. Prendo il telefono, sono le due del mattino, è meglio dormire. Metto la sveglia alle sette e blocco lo schermo.
Metto il telefono in carica e mi lascio andare nella morbidezza del cuscino e nel calore della coperta.
Vengo svegliata da dei colpi sulla mia porta di casa.
Magari è un sogno, ma realizzo che non è così quando i colpi si fanno più insistenti. A malavoglia mi alzo dal letto e controllo l’ora. Manca un quarto d’ora per le tre. Chi è che quasi alle tre del mattino bussa alla mia porta. Ho un po’ di ansia, ma cerco di stare tranquilla, al massimo chiamo la polizia.
Mi metto le ciabatte e scendo di sotto.

<< Arrivo! >> Urlo alla persona che sta maltrattando la mia porta di casa.

Quando l’apro, mi vedo davanti l’ultima persona che mi sarei aspettata di trovare. Audrey, la mia migliore amica. Di solito quando vuole venirmi a trovare, mi manda un messaggio, non si presenta così di punto in bianco, e soprattutto mai a quest’ora. Mi stringe in un abbraccio lasciando cadere il borsone. Ricambio l’abbraccio.

<< Santo Dio, sono quasi le tre del mattino. Che ti salta in mente? >> Ricambio l’abbraccio. << Entra. >> Una volta sciolto l’abbraccio, prendo le sue cose e la faccio entrare.

<< Connie. Mi dispiace di disturbarti a quest’ora. >> Chiude la porta e accende la luce.

I miei occhi si sgranano davanti alla vista della maglietta di Audrey ricoperta di sangue. Per quanto indossi la giacca, non nasconde alla perfezione le macchie di sangue.
Il mio istinto diceva che fosse qualcosa di grave, e ora ne ho la conferma. Guardo gli occhi di Audrey. Sono rossi, gonfi, avrà pianto per tutto il tragitto.
Nel momento in cui mi riprendo, senza dire nulla, vado in cucina a prenderle un bicchiere d’acqua. Mentre prendo il bicchiere e la caraffa dell’acqua da dentro il frigo, le mani iniziano a tremarmi. Ripeto a me stessa di stare calma, non posso farmi vedere spaventata da Audrey. In questo momento ha bisogno di me, e non l’aiuterebbe vedermi spaventata, nervosa e ansiosa. Questo la porterebbe a pensare che voglio andare contro di lei, che la voglio abbandonare, o persino che voglia chiamare la polizia.
Quando riesco a rilassarmi, metto l’acqua nel bicchiere e poso la caraffa nel frigo. Ritorno in salotto e vedo seduta sul braccio del divano. È spaventata. Le porgo il bicchiere d’acqua che appoggia sul tavolino di fronte al divano.

<< Mi spieghi che cosa cazzo succede? Perché sei coperta di sangue? >> Inizio a fare avanti e indietro per la stanza. << Audrey, che cos’hai fatto? >> La guardo dritto negli occhi, cercando di nascondere il nervosismo nella mia voce.

Dopo aver preso un respiro, Audrey mi racconta ciò che è successo. Mentre lo racconta faccio fatica a crederci. Non ha mai passato una bella vita. La sua rovina è stata il fatto di essere nata con occhi rossi e capelli neri. Ciò le ha causato di venir associata alla figlia del diavolo. I suoi genitori non sono mai stati molto amorevoli con lei, non tanto sua madre, ma suo padre l’ha sempre odiata.
Sapevo che non provava molta simpatia nei confronti di Audrey, ma non mi sarei mai aspettata che avesse organizzato il suo omicidio.
I genitori di Audrey non hanno avuto più vita sociale dopo che le persone sono venute a scoprire del colore dei capelli e degli occhi di Audrey.
Nemmeno io ho avuto molti amici dopo che sono diventata la migliore amica di Audrey. Non mi dispiace, perché Audrey si è sempre rivelata l’amica che ho sempre desiderato.
Per quanto le persone si sono definite sempre mie amiche o miei amici, alla prima occasione mi hanno sempre abbandonata per frequentare persone che somigliassero a loro.
Non ho mai amato le persone che pur di farsi accettare nascondono loro se stessi. Audrey non è così. Lei è sempre stata se stessa.
Mi sono affezionata a lei perché è diversa dagli altri. Agli inizi non è stato facile stringere un legame con lei, molte volte si è incolpata per il fatto che non avessi degli amici.
La considero sangue del mio sangue anche se non abbiamo nessun legame di parentela. Vedo quanto è difficile per lei raccontarmi tutto. Alla fine del racconto cerca di non far scendere le lacrime.

<< Audrey...non so cosa dirti. Ti sei difesa, ma scappando, dimostri altro. Voglio aiutarti, ora vai a farti una doccia, io mi occuperò dei tuoi documenti. Conosco qualcuno che può aiutarmi, ma non adesso. Spero solo che tu non abbia lasciato tracce che possano portare a me. >> Nella mia voce sento un tono di paura, ma non riesco a controllarla questa volta. << Se venissero a cercarmi per il legame che ho con te, sarà difficile organizzare la fuga. >> Non voglio andare contro di lei, ma è importante che non ci siano tracce di me, sennò non riesco ad aiutarla come vorrei.

Non risponde, ma so che il suo silenzio non vuol dire che si sia offesa. Il silenzio di Audrey, a meno che non le hai fatto un torto, è un segno che ha bisogno di tranquillità, di prendersi un momento da sola, ma che dopo ritornerà a parlare.
Non posso biasimarla, non è facile essere forti in un momento del genere, chi ci riuscirebbe? Non ci riuscirei nemmeno io.
Prende le sue cose e sale. Ormai questa casa la conosce, è sempre stato il suo rifugio nei momenti in cui stava per cedere per la situazione in casa.
Non sempre rimaneva a dormire qui, per il semplice fatto che voleva stare con sua madre, purtroppo succube di suo padre.
Una volta salita, mi siedo un attimo sul divano per metabolizzare ciò che mi ha detto. Ho bisogno di studiarmi un piano perfetto per scappare.
Prima di tutto deve cambiare colore capelli e anche taglio. Ha bisogno delle lenti a contatto, e qualche modifica al corpo. Non intendo interventi sia chiaro.
Sospiro e salgo su in camera mia. Apro il cassetto dove tengo gli asciugamani per la doccia. Ne prendo due e vado verso il bagno.
Busso e una volta ottenuto il permesso, entro.

<< Ti ho portato degli asciugamani pulite. Erano in camera mia, mi sono dimenticata di dirtelo. >> Le appoggio sulla lavatrice. << Questi vestiti è meglio se li butto. Anche se non ti ha visto nessuno, non si sa mai che possano contenere tracce del tuo DNA una volta lavate. >> Prendo i vestiti. << O preferisci che li brucio? >> So che Audrey pensa che non sia da me, ed è vero, ma voglio aiutarla, non merita di finire dietro le sbarre.

Esco dal bagno e scendo giù in cucina. Avrei bruciato domani i vestiti. Prendo un sacco dell’immondizia e ci butto dentro i vestiti. Chiudo la busta e la nascondo nel mobile dove tengo le cose per pulire casa.
Vado a sedermi sul divano. Ho un camper che i miei genitori mi hanno regalato per i miei 18 anni. Sì, sono venuti fin qui per festeggiare con me il mio compleanno. Il camper se lo sono procurato tramite un amico di mio padre che abita qui. Ovviamente io non ne ero a conoscenza, né del fatto che mio padre avesse un amico che vivesse qui e nemmeno che mi regalassero un camper.
Oltre che per il mio compleanno, è stato un premio per essere riuscita a mantenere la promessa che ho fatto a loro.
Sospiro e ritorno in camera per prendere il cellulare. Scendo di sotto e vado a sedermi di nuovo sul divano.
Apro la rubrica e la scorro finché non trovo il numero del mio amico che si occupa di documenti d’identità e tutte queste cose qui, ma oltre ciò fa anche l’avvocato.
Per quanto mi dispiaccia, dovrò mentirgli su per la persona a cui serve il documento d’identità. Gli mando un messaggio, sapendo che domani mattina lo leggerà.

C: Scusa se ti scrivo a quest’ora. Ho bisogno di un favore, ci possiamo vedere domani sul tardo pomeriggio presso il tuo ufficio?

Blocco lo schermo e metto il telefono sul tavolino davanti a me. Sento scendere le scale, mi giro, è Audrey in pigiama. Mi chiedo se non abbia freddo con un pigiama così leggero. Mi sorride e si siede vicino a me.

<< Connie. Ho pensato alla mia fuga. Non voglio che tu mi aiuti, non voglio rovinarti la vita. Hai faticato tanto per poter ottenere la vita che hai ora. Hai un lavoro, vivi da sola, riesci a mantenerti e a combaciare scuola e lavoro. >> Distoglie lo sguardo. Per quanto capisca le sue motivazioni, non la lascerò sola e inizierò anche io una vita da fuggiasca.

<< Non pensarlo nemmeno per sogno, io ti aiuterò. Sei la mia migliore amica. Che me ne faccio di una vita possiamo dire perfetta senza la mia migliore amica. Tu sei stata l’unica ad accettarmi davvero, l’unica a non abbandonarmi mai, quindi, il minimo che possa fare è aiutarti. >> Audrey mi abbraccia e ricambio l’abbraccio. La tengo stretta per farle capire che non mancherà mai il mio supporto.

<< Ascolta. Adesso andiamo a dormire, domani organizzeremo tutto. È tardi, ed è meglio che abbiamo le menti lucide per organizzare la fuga. >> Sciolgo l’abbraccio e Audrey annuisce. << Guai a te se vai a dormire nella stanza degli ospiti. >> Conoscendola, so che l’avrebbe fatto per stare da sola o per paura che il nostro rapporto fosse cambiato solo per questa storia.

Audrey si alza e sale le scale. Per quanto si sia sinceri con lei, ha sempre una parte che la porta ad aver paura che quella persona sta mentendo, o che le dice ciò solo per darle il contentino.
Non sono una di quelle persone, e per quanto so che l’abbia capito, non posso di certo biasimarla se in questo momento ha dei dubbi.
Mi ha appena detto che ha ucciso il padre per legittima difesa, e per quanto io so del suo passato, è normale che possa pensare che possa abbandonarla. È una situazione pesante in cui nessuno vorrebbe farci parte.
Una volta che ci sei dentro, hai firmato la condanna a morte, hai rovinato la tua vita perché aiuti quella che per tutti è un’assassina.
Per quanto so i rischi che corro, non abbandonerò Audrey, e se questo vuol dire che ci rimetterò la vita, lo farò. Non posso abbandonare una persona così importante per me.
Sospiro, prendo il cellulare e controllo se ci sono notifiche. Il mio amico Mike mi ha risposto.

M: Tranquilla, ho appena finito di lavorare su un caso. Va bene, ti aspetto alle 9.30 A.M. nel mio ufficio.

Esco da Whatsapp dopo avergli mandato un ok. Guardo l’ora sono le cinque del mattino. Metto la sveglia per le otto del mattino. Il suo ufficio si trova a mezz’ora da dove abito io. Blocco il telefono e salgo su in camera. Entro e vedo che Audrey sta già dormendo. Ha accesso la luce della lampada che si trova sul mio comodino.
L’avrà accesa per permettermi di vedere qualcosa una volta in camera. Mi siedo sul letto e metto in carica il telefono.
Mi sdraio, mi metto sotto le coperte e spengo la luce. Mi giro verso Audrey e le accarezzo i capelli. Ne ha passate tante, voleva solo una vita normale, invece si ritrova a dover scappare e dimostrare la sua innocenza.
Purtroppo, non può farlo qui, è troppo ricercata, e per quanto la ricerca verrà estesa sul tutto il territorio dell’Inghilterra e su quello americano, restare qui è troppo pericoloso.
Piano piano i miei occhi si chiudono e sprofondo nel sonno. Vengo svegliata dal suono della sveglia.
Quando apro gli occhi, vedo Audrey dormire. Mi giro e spengo la sveglia. Mi siedo sul letto e mi stiracchio.
Prendo i vestiti che ho preparato ieri e vado in bagno per farmi una doccia veloce. Dovrò avvertire che oggi in ufficio non posso esserci.
Spero di trovare un altro lavoro come questo nella prossima città in cui stabiliremo. Ho abbastanza soldi da permettermi di affittare un appartamento, ma non molti da potermi comprare una casa.
Mi faccio la doccia e mi vesto. Mi faccio una coda alta ai capelli dopo averli asciugati. Mi trucco come mio solito e metto il pigiama nella lavatrice. C’è anche l’intimo di Audrey.
Le lascerò un bigliettino in cui le chiederò se può metterla avanti. Esco dal bagno ed entro in camera per mettermi le scarpe e il telefono.
Scendo di sotto e mi metto la giacca. Prendo la borsa che uso sempre per andare a scuola, le chiavi di casa e della macchina per poi uscire di casa.
Sospiro e mi dirigo verso la mia auto. La sblocco, entro, chiudo la portiera, mi metto la sveglia e parto verso la mia direzione.
Aiuterò Audrey ad ogni costo.

 


 

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 3 ***


AUDREY
 
Chiudo la porta della nuova casa. Alla fine, siamo riuscite a trovare una casa non tanto costosa. Ognuna ha una sua stanza. Un bagno, un salotto e una cucina. Il giardino sarà utile per quando vorrò starmene un po’ da sola.
Connie ha organizzato tutto in ogni minimo dettaglio. Entrambe abbiamo cambiato colore di capelli. I miei da lunghi fino a metà schiena sono diventati corti che toccano a malapena le spalle, e da neri sono diventati viola scuro.
Quelli di Connie sono diventati da lunghi fino alle spalle, a corti che le toccano le spalle e da marroni li ha fatti biondi.
Userò le lenti a contatto azzurre, mentre Connie non ne avrà bisogno, per fortuna nessuno l’ha mai vista, ma lei ha voluto cambiare almeno pettinatura.
Sarà difficile per la polizia trovarci, ma dobbiamo comunque stare attente. Connie ha pensato anche ai nostri documenti. Ora mi chiamo Rose, mentre Connie si chiama Rachel.
Purtroppo per quanto sia più esposta io di lei, è fondamentale che tutte e due diventiamo altre persone.
Si è occupata anche dei documenti della patente e ha pensato anche a due nuove carte di credito. Senza di lei sarei dietro a delle sbarre. L’unica cosa a cui dobbiamo pensare, è quella di trovare un lavoro.
Per quanto abbiamo dei soldi che ci permettono di poter vivere, prima o poi finiranno e non possiamo pagare le bollette e fare la spesa senza un lavoro.
Connie mi avverte che esce un attimo per andare a fare un po’ di spesa, annuisco e salgo di sopra. Apro la porta della mia futura stanza e appoggio zaino e borsone sul letto. Abbiamo scelto una casa già arredata. La stanza in cui sono capitata mi piace molto.
Il letto è coperto da un piumone viola a fantasia con sopra stelle e lune. Ai suoi piedi ci sono due pouf, entrambi a pua, ma uno rosa e uno azzurro.
Di fronte al letto è presente una scrivania bianca con cassetti. Di fronte alla scrivania è posizionata una sedia bianca. Ai lati del letto sono presenti due comodini, su uno di essi è posizionata una lampada. Sopra la scrivania è presente una televisione.
L’armadio è sistemato contro il muro tra il letto e la scrivania. Le tende appese alla porta del balcone sono di colore viola.
È presente una libreria bianca contro il muro di fianco al balcone, vicino ad essa è presente una poltrona a righe nere e viola.
Al centro della stanza è presente un tappeto a scacchi viola con sopra un tavolino con un vaso.
Le pareti sono di colore viola scuro. Apro lo zaino e prendo il mio pc portatile. Lo appoggio sulla scrivania per poi mettere nel cassetto di essa carica batterie e mouse.
Apro il borsone e tiro fuori i pochi vestiti che ho. Apro l’armadio e li sistemo. Sospiro e prendo il cellulare. Si sono fatte le quattro del pomeriggio.
Siamo venute a Manhattan. Non ci sono stati problemi con il volo perché Connie ha preferito prima poter fare avere ad entrambe delle nuove identità.
Sono state dieci ore di viaggio, ma almeno adesso sono in uno stato in cui sarò meno ricercata, almeno finché la ricerca non sarà estesa anche qui.
Dovrò coprire ancora meglio le mie tracce, ma il fatto che abbia stravolto del tutto la mia identità è un passo importante.
Mi dispiace solo per Connie che ha dovuto fare questo sacrificio. Spero che riesca ad ottenere la vita che aveva lì, anche qui.
Dobbiamo iscriverci anche all’ultimo anno di scuola, ma Connie ha detto che provvederà lei a tutto, ma per il lavoro dovrò trovarmelo da sola.
Sento il telefono vibrare, segno di un messaggio. Lo prendo. È Connie, mi dice di farmi una doccia, prepararmi che saremmo andate a fare un po’ di spesa non avendo nulla in casa.
Prendo dall’armadio dei jeans neri, con una maglia nera a mezze maniche. Mi sarei messa una giacca di jeans sopra, e poi la giacca.
Mi dirigo in bagno e mi faccio una doccia veloce. Mi asciugo i capelli, essendo corti, ci metto poco ad asciugarli. Per mia fortuna non si gonfiano quando sono asciutti, almeno non devo passarmi la piastra. Mi vesto, vado in camera per mettermi delle scarpe della ginnastica nere.
Prendo il telefono e la borsa. Scendo di sotto. Accendo il telefono e vedo il messaggio di Connie. È fuori casa.
Per il momento non disponiamo di una macchina, però Connie provvederà a prenderne una, appena inizieremo a lavorare.
Decidiamo di andare al Zabar’s Broodway. Si trova solo a dieci minuti da casa nostra. Non avendo la macchina e non potendo prendere il pullman per risparmiare i soldi che ci siamo portati dietro. Non ha trovato altri supermercati vicini dove poter andare a prendere le cose che magari ci mancavano.
Durante il tragitto parliamo del più e del meno. Ha deciso di iscriverci in una scuola a venti minuti da casa nostra. Scelta più che giusta.
Una volta arrivate, prendiamo lo stretto indispensabile. Una volta ritornate a casa, mettiamo la spesa in ordine e decidiamo di metterci un po’ tranquille in salotto.
 
<< Che prospettive hai di questa nostra nuova vita? >> Connie si siede sul divano.
 
<< Non ho prospettive.Non voglio farmi speranze che potrebbero risultare false. Ho una situazione difficile da portarmi sulle spalle. Finché non si risolve, non posso avere speranza >> so che penso in negativo, ma non posso farci molto. Con la situazione che ho, non riesco ad avere pensieri positivi.
 
<< Lo so, ma devi anche avere una piccola speranza. Cerca di credere in te stessa. Riuscirai a dimostrare che è stata semplice innocenza. Incomincia a lavorarci, ma ti prego di non fissarti. Hai la possibilità di farti una nuova vita>> la guardo. <> nei suoi occhi brilla la speranza, come sempre. <> sorride e allunga la mano. << Dammele le metto a disinfettare in un posto sicuro >> me le tolgo e gliele do.
 
<< Grazie, senza di te sarei persa >> i miei occhi si devono un attimo abituare al cambiamento.
 
Connie mi dà un bacio sulla testa e si alza. Penso le metterà in bagno. Lei sa nascondere bene le cose che non vuole far trovare, come sa trasmettere un sacco di speranza alle persone.
È una delle cose che ho sempre preferito di lei. Quando ci siamo conosciute, mi ha dato la speranza di poter trovare qualcuno che mi accettasse così come sono, senza avere la paura che il mio aspetto e le bugie che venivano dette su di me, potessero influenzare la persona che mi stava parlando.
Lei è quella persona che mi ha fatto andare avanti nella vita senza farmi cedere, quella che mi ha fatto sperare in un miglioramento di essa.
Mi ha sempre detto che un giorno sarebbe arrivato il momento in cui potevo essere felice. Forse ha ragione, magari il fatto di aver cambiato Stato è un segno del destino, magari è davvero la mia opportunità per poter essere felice.
Forse devo concordare con lei anche sul fatto che non posso stare troppo fissata sul mio obiettivo, ma essere in grado di conciliarlo provando a fare una vita normale.
Prendo il telefono e apro la fotocamera. Mi guardo. Sono diversa. Nonostante i miei occhi rossi, è quasi impossibile associarmi alla persona che è scappata da Londra.
Mi sento diversa. È come se questo cambiamento mi abbia dato una botta di vita, come se mi avesse cambiata, facendomi dimenticare la persona che ero prima, quella che mi ha sempre causato problemi e che gli ha causati alla mia famiglia.
Chissà se un giorno potrò sapere che cos’è successo a mia madre. Forse è scappata, e se l’avesse fatto, non la biasimerei e non me la prenderei con lei.
Infondo, viveva una vita d’inferno, tra un marito con cui non riusciva a ragionare e una figlia come me, non dev’essere stato per nulla facile.
Le vorrò sempre bene, perché tra i due, è sempre stata quella che mi ha mostrato affetto e che non mi ha mai incolpato della loro mancanza di amici, ma era troppo soggetta a mio padre, e questo ha reso impossibile a lei di ribellarsi.
Ci ho sperato fino in fondo che un giorno succedesse, ma ogni volta che entravo in camera con la mia razione di cibo, mi rendevo conto sempre di più che non sarebbe mai successo.
 
<< Fai una foto? Voglio unirmi. Immortaliamo questo momento. L’inizio di una nuova vita >> Connie appare dietro di me. La sua faccia sorridente è vicino alla mia.
 
Ci mettiamo in posa. Io seduta con la schiena contro la spalliera del divano. Connie con le mani appoggiate sulle mie spalle, abbassata, con il viso vicino al mio, quasi guancia su guancia e sorridente.
Sorrido anche io, premo il pulsante per scattare la foto. Ne facciamo quattro. Una dove sorridiamo, un’altra dove facciamo facce buffe, un’altra dove Connie mi dà un bacio sulla guancia e l’altra dove glielo do io a lei.
Imposto quella dove sorridiamo come sfondo, mentre quella dove le do un bacio sulla guancia come blocco schermo.
Connie invece, una volta che glielo inviate su Whastapp, ci fa il collage, in modo che può far rientrare tutte e quattro sia come sfondo che blocco schermo.
Guardo la foto e sorrido. Che la nuova vita abbia inizio e la speranza di Connie mi aiuti a non mollare mai.
 
 
 
 
 

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